La nostra Seconda Stagione - Ep.19 - Destiny - Destino

di Mick St John
(/viewuser.php?uid=79763)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** seconda parte ***
Capitolo 3: *** terza parte ***
Capitolo 4: *** quarta parte ***
Capitolo 5: *** quinta parte ***
Capitolo 6: *** sesta parte ***
Capitolo 7: *** settima parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***




Vi presentiamo il 19 episodio co-prodotto da Mick St. John , Lady Maeve, Daniela e curato graficamente da Faith.

Come al solito poche annotazioni per ricordare ai nostri lettori che utilizziamo anche delle fonti.

- L'intro è una fanfic di prorpietà di Lady Maeve cui va un GRAZIE gigantesco per la pazienza e il tempo dedicato al sottoscritto oltre che alla fanfic.
- I riferimenti storici prendono spunto da veri documenti storici e dai romanzi di Alexander Dumas.
- Brian White e Shemar Moore sono effettivamente amici e la foto non è un fotomontaggio
- La fan art di Sophia Myles è prelevata da http://enginemonkey.deviantart.com/
- Potete trovare informazioni e foto della Goldstein's House a questo link

Non ci resta che augurarvi buona lettura del 19° episodio della Moonlight Fanfic sperando che anche questo sia di vostro gradimento!






Moonlight Episodio 19

- Destiny -


Intro


********
1.

Los Angeles - 1922

Julie posò la scopa nell’angolo della cucina, soddisfatta.
- Bene!
Disse guardandosi intorno mentre controllava che tutto fosse pulito e in ordine.
Si tolse il grembiule appendendolo al gancio dietro la porta e andò in salone, prendendo il giornale che ancora non aveva avuto il tempo di leggere dalla mattina.
- Vediamo un po’...
Spiegò le pagine sulle gambe e lesse le notizie del giorno. Era un periodo abbastanza tranquillo, ovviamente tralasciando le solite rapine e gli omicidi che avvenivano puntualmente in centro.
La giovane donna sbuffò e ripiegò il giornale, stendendo poi le gambe sul divano e chiudendo gli occhi per riposare.
In quel momento il campanellino a vento della porta del suo negozio, tintinnò.
“Classico... ogni volta che decido di riposarmi un pochino arriva qualcuno”
Pensò alzandosi e mettendo su un finto sorriso, tornò in cucina e poi fuori, nel negozio annesso a casa sua.
- Mary, che sorpresa!
Disse sentendosi sollevata di vedere una faccia amica, mentre rinfilava il grembiule e la cuffietta per i capelli.
- Cosa posso fare per te?
- Mi servirebbe una crostata, Julie.
Disse la donna in rosso, guardando il bancone a vetro pieno di dolci.
- Come la preferisci? Crema o frutta?
Mary la guardò alzando le spalle.
- Non ne ho idea, è un regalo... ti ricordi quell’amica di mia madre? Annie?
Julie annuì.
- Si, certo...la moglie del signor St. John... Oh capisco, ha partorito?
Mary annuì con decisione.
- Si e come al solito la mamma ha mandato me a prendere il regalo.
- Beh, io ti consiglio questa!
Disse sorridendo, prendendo una crostata alla frutta.
- L’ho fatta stamattina e ne sono particolarmente fiera.
Mary sorrise di rimando.
- Perfetto, allora fammi una confezione regalo di quelle che solo tu sai fare!
- Certamente.
Disse iniziando a confezionare il dolce e per impegnare il tempo decise di approfondire la conversazione.
- Mary, hai poi più deciso dove andrai ad abitare?
La donna in rosso si lasciò scappare una risatina amara e i suoi occhi verdi si velarono di tristezza.
- No Julie, resto con i miei.
Julie la guardò sconvolta da quella risposta inaspettata.
- Ma come? Dopo tutto quello che mi hai detto?
- Non sono come te... io non potrei mai fare quello che hai fatto tu.
La pasticciera si accigliò.
- Quello che ho fatto io è un'altra storia, tu devi seguire la tua strada!
- Quella che i miei genitori hanno scelto per me è la più sicura...
Julie sospirò finendo di impacchettare la crostata, ma non osò replicare.
- Ecco a te, sono 25 dollari, Mary.
La ragazza pagò e prese il dolce, aggiungendo con tono malinconico e rassegnato.
- Non tutte hanno il tuo coraggio e non tutte hanno la tua forza... A presto Julie.

Quella sera Julie si spogliò con le parole di Mary in testa.
Era vero, lei era una donna forte e Jack glielo ripeteva sempre, ma l’unica cosa che aveva fatto era incaponirsi e seguire il suo sogno, lei voleva una vita semplice e soprattutto indipendente e così era stato.
Guardò il piccolo ritratto che sulla sua libreria, occupava il posto d’onore e sorrise.
- Tu si che eri coraggiosa...
Disse alla donna che le ricambiava il sorriso nell’acquerello.
La sua trisavola Jacqueline Elizabeth De Robert era stata adottata ancora infante e trasferita da Parigi a Londra, per essere cresciuta nella nobilissima famiglia inglese degli Stewart. Ma la nobiltà non era adatta a lei e la giovane Elizabeth sognava una vita semplice, lontano dalle complicazioni e dalle forzature cui la costringeva il suo alto lignaggio.
Così sfidando non solo la sua famiglia, ma anche tutti i principi sui quali il suo mondo ruotava, scappò dalla sua casa e in seguito a questo, venne diseredata e perse tutti i suoi averi.
Ma non avrebbe comunque potuto desiderare niente di meglio, perché non aveva denaro e non aveva cognome, ma aveva la sua libertà e la possibilità di continuare la sua vita nella maniera che più desiderasse.
Iniziò a lavorare come garzone per un Mastro pasticciere dell’epoca, di pochi anni più grande e che ben presto si innamorò di lei.
Si sposarono e lui le insegnò i trucchi e l’arte della pasticceria condivisi con tanta passione.
Vissero una vita semplice, ordinaria, priva di lusso, ma Julie sapeva che la sua antenata era stata la donna più felice della terra.
Ricordava ancora come sua nonna ogni sera le raccontasse quella storia, come se fosse la favola più bella, e sapeva che lei avrebbe fatto lo stesso con sua figlia o figlio, e poi con i suoi nipoti, affinché quella preziosa storia di coraggio non venisse mai perduta.
Era proprio in onore di quella storia così importante, che le aveva insegnato il vero significato della vita, oltre che per un'innata passione per i dolci, che lei aveva deciso di aprire una pasticceria.
A quel che ne sapeva, lei era l’unica della sua famiglia ancora in vita, dopo la morte di sua nonna, a conoscere quella storia. E presto si sarebbe sposata e avrebbe avuto un bambino e una famiglia tutta sua.

Los Angeles - 1928

La giovane Annie varcò con timidezza la soglia, chiedendo permesso con voce molto bassa, mentre attirava delicatamente il suo piccolo alla sua gonna lunga. La sua testolina non smetteva di muoversi, da una spalla all’altra, mentre si guardava attorno smarrito.
- Mamma, dove siamo?
- Sssh... Mick, amore fai il bravo... qui bisogna stare in silenzio!
- Perché, mamma?
- Siamo venuti qui per salutare la Signora Julie, te la ricordi no? La proprietaria della pasticceria dove la domenica andavamo a comprare quelle torte che ti piacevano tanto?
- Si, me la ricordo! Ma perché? Dove va la Signora Julie?
Chiese il bambino a bassa voce guardando la mamma incuriosito.
- La Signora Julie è andata in cielo, da Dio, lui l’ha chiamata a sé perché voleva, anche lui, assaggiare i suoi dolci.
- E quando torna, mamma?
Annie St. John si chinò ad accarezzare gentilmente i capelli sulla fronte del suo bambino. Aveva lo sguardo velato per la commozione di quella dolcissima e innocente domanda.
- No, Amore... non tornerà. Si è trasferita in cielo per sempre. Sarà più felice lì.
Mick si staccò dalla mamma e si avvicinò alla bara dove un uomo era seduto accanto ad un passeggino per neonati e piangeva.
Conosceva quell’uomo, era il marito della Signora Julie e probabilmente nella carrozzina, c’era il loro figlio, Mark, che la mamma gli aveva detto essere nato da qualche giorno.
Il piccolo Mick St. John era confuso e chinando leggermente la testa da una parte osservava con attenzione e riverente silenzio, mentre si domandava perché la Signora Julie avesse deciso di andare da Dio proprio quando suo figlio era appena nato.
Pensava che forse la Signora non fosse felice di aver avuto il suo bambino, ma non riusciva proprio a capire. L’unica cosa di cui era convinto davvero era soltanto che i grandi fossero strani.
Jack Turner ricambiò lo sguardo del bambino che lo stava osservando con gli occhi lucidi e pensò al suo Mark e alla sua Julie, che se n’era andata troppo presto e desiderò intensamente di avere la forza per crescere da solo quel figlio tanto amato, e aiutarlo a diventare uomo.


Los Angeles - 1981


Lo sguardo stanco e annoiato del vampiro scorse sul giornale.
“Gli annunci di nascita... Grandioso...”
Pensò, guardando pigramente i nomi di coppie che annunciavano a tutta la città di avere avuto un bambino.
Uno tra tutti attirò in particolare il suo sguardo vitreo.
- Mark Jr. e Cheril Turner sono felici di dare il benvenuto alla loro piccola Elizabeth.
Mick sbuffò e ripiegando distrattamente il giornale, lo lanciò sul tavolo.
Lo stomaco cominciava a reclamare ed era ora di uscire a caccia.
Alzò così la cornetta e compose il numero.
- Josef, ho fame...

Los Angeles - 1985

Cheril Turner si diresse a passo deciso su Drexel Avenue, il vento le asciugava le lacrime che continuava a versare.
In testa aveva un solo pensiero.
Beth... la sua piccola Beth.
E si domandava perchè una cosa del genere fosse accaduta proprio quando Mark non c’era più.
Quel dolore era insopportabile e doveva fare qualcosa.
Salì le scale respirando piano, per evitare di singhiozzare e per riuscire a parlare, mentre teneva la foto della sua bambina stretta fra le mani.
Bussò con mano tremate, decisa più che mai a farsi forza.
Ma quando l’uomo le aprì la porta, il discorso che si era preparata meccanicamente l’aveva ridotta alle lacrime.
La disperazione la fece crollare e abbracciando quel perfetto sconosciuto singhiozzò poche parole.
- Signor St. John, per favore mi aiuti... Qualcuno ha rapito mia figlia...



******
2.

MICK'S VOICE OVER

Sogni o ricordi... è tutto così ingarbugliato. Quello non era argento... Forse una nuova droga per vampiri... sto delirando.
Non ho molti ricordi lucidi di quando ero bambino, ma alcune volte mi capita di avere dei flash in maniera disordinata e confusa.
Tuttavia sono le cose più care che ho di loro.
Ricordo il profumo dei dolci che mi solleticava l'appetito tutte le volte che ritornando a casa, cercavo di convincere mia madre Annie a fermarsi in pasticceria. Lei mi guardava teneramente, sorridendo compiaciuta con gli occhi lucidi e non riusciva mai a dirmi di no.
Ricordo le corse sui prati, le cadute sui vialetti e le sbucciature sulle ginocchia che bruciavano in maniera pazzesca.
Ricordo come mi sentivo afferrare con forza e tirare su, quando mio padre Michael mi raccoglieva premurosamente da terra con le sue mani grandi, analizzandomi con lo sguardo preoccupato.
E poi mi sgridava, prima di darmi una sculacciata ben assestata, ma mai tanto forte quanto doveva essere.
Ricordo anche i lacrimoni che mi rigavano le guance, quando poi mi disinfettava con cura le ferite e non resisteva all’istinto di abbracciarmi e asciugarmi il viso col suo fazzoletto profumato di lavanda.
E ancora ricordo quanto scalpitavo nel banco, durante la messa della Domenica, incapace di starmene fermo ad ascoltare la predica, mentre i miei genitori faticavano a mantenere la concentrazione sul significato del sermone.
Sorrido sempre al pensiero dei capricci che facevo per un giocattolo nuovo, mettendo su il broncio coi pugni chiusi, facendo l'offeso.
O quando stavo sdraiato nel lettone dei miei genitori, coccolato dalle loro mille attenzioni, tutte le volte che avevo la febbre troppo alta per restare solo in camera mia.
Ero al centro del loro mondo, come loro lo erano del mio.
E quando iniziai a camminare con le mie gambe, mi sostenne sempre il pensiero che i miei genitori fossero dalla mia parte e vegliassero su di me sempre e comunque.
Certi colori e certi profumi mi aiutano a ricordare loro e il Mick di tanti anni fa.
Ricordo particolarmente bene una di quelle giornate serene, con mio padre che andava a lavorare con la sua ventiquattrore, il suo impermeabile e il suo cappello grigio e si voltava nel vialetto un’ultima volta prima di salire sulla sua Bentley blu.
Lanciava un’occhiata felice alla finestra dove io gli facevo "ciao", spostando le tendine a fiori, con la mia piccola mano ben aperta e lo sguardo pieno d’entusiasmo, mentre il viso dolce di mia madre, poggiato sulla mia spalla, accompagnava il mio saluto con il suo sorriso radioso.
Questa è l’ultima immagine luminosa e la più nitida che ho di loro, stampata nella testa come una cartolina.
Avevo sei anni allora e conoscevo solo la vita.
Quella cartolina ha perso ogni giorno un po’ della brillantezza dei suoi colori.
Neanche mi sono reso conto con quale velocità siano sbiaditi, lasciando il posto ad un atono giallo paglierino, come se fosse una carta vecchia e consumata, ormai ingiallita e macchiata, segno di un tempo ormai lontano.
Il problema dei ricordi è proprio questo.
Non riesci a trattenerli quanto vorresti, affiorano improvvisamente quando meno te lo aspetti. Certe volte emergono a tratti dall’abisso della memoria, i particolari di un episodio, di un volto o di un luogo.
Ma tende tutto a sfocare velocemente e ben presto ti accorgi che lo stai perdendo, quell’ultimo attimo di felicità che conservi gelosamente in un angolo della mente, ma soprattutto in fondo al cuore.
Per quanto ti sforzi di tenerlo in caldo ancora per un po’, sai che è destinato a perdersi, a svanire.
E una volta spento, non tornerà mai più e l’avrai perso definitivamente.
Così lotti contro tutto per tenerti stretta quella tua ultima, memorabile, calda primavera, prima di tornare ad una vita fredda, fatta d’inverni gelidi.
Ma non ho solo pensieri felici di allora.
Anche in una vita perfetta come quella della famiglia St. John, era destino che arrivasse un brutto giorno, come per tutti.
E arrivò anche per me il momento di confrontarmi con la scia di dolore che la nera signora lascia in ogni epoca dietro di sé.
Perché se è vero che da bambini non si conosce la morte, si impara a scorgerne gli effetti sul volto degli adulti.
E così capitò anche a me la prima volta che mia madre mi portò a fare visita ad una famiglia colpita dal lutto.
Non ricordo più il loro nome, ma ricordo il volto triste di un uomo che tratteneva a stento le lacrime, con gli occhi gonfi e rossi di pianto.
E in quel momento in cui il suo sguardo si era posato su di me, avevo avvertito un brivido lungo la schiena.
Qualcosa dentro di me, mi aveva fatto fare un pensiero del tutto nuovo e inaspettato.
Promisi a me stesso che avrei fatto di tutto per non far soffrire qualcuno in quel modo.
Che avrei lottato per vedere la gente felice, non per far loro del male.
E desiderai intensamente di diventare forte, molto forte, per me e per chiunque avesse avuto bisogno del mio aiuto.
Alcune volte penso con nostalgia a quel bambino pieno di buoni sentimenti che ero e che non avrebbe mai immaginato un futuro per sé come quello che ho.
Di certo ho tentato con tutto me stesso di mantenere quella promessa, nonostante la mia vita sia così incredibilmente particolare.
Mi piace pensare che i miei genitori siano comunque orgogliosi di me...



**************************
3.



Quella mattina, riaprendo gli occhi nel mio freezer, mi sentivo più vigile.
Stavo lentamente riprendendo possesso delle mie energie, ma la testa mi dava ancora fastidio e me ne resi conto tirandomi su a sedere, sollevando lo sportello brinato.
Avevo una sensazione di vuoto che ancora non era passata.
Facendo un po' di fatica, uscii dal mio "letto" glaciale e silenziosamente raggiunsi la camera per recuperare dei vestiti puliti.
Quando mi affacciai dalle scale, avvertii distintamente l'odore di Beth. Stava armeggiando in cucina.
E questo pensiero mi strappò il primo, tenero sorriso della giornata.
Scesi di soppiatto e rimasi a guardarla per qualche secondo mentre lei, di spalle, sistemava i bicchieri sulle mensole, dopo averli puliti accuratamente con lo straccio che stringeva in mano, canticchiando spensieratamente un motivetto.
Mi piaceva oltremodo vederla a suo agio in casa mia e per un attimo mi resi conto da solo di avere nello sguardo la consapevolezza di essere una persona davvero fortunata.
E mentre mi beavo di quello stato di armonia da troppo assente nella mia vita, avvertii bussare alla porta.
Così mi voltai per andare ad aprire e fu solo allora che Beth si accorse della mia presenza.
"Mick, ciao! Ti sei alzato." Era ancora in ansia, mentre mi seguiva all'ingresso.
"Si, sto meglio... Non preoccuparti. Sono stanco di stare sdraiato. Vado io ad aprire." Le risposi, rivolgendole uno sguardo rassicurante.
Avevo appena tirato la maniglia, quando mi ritrovai la mia ospite inaspettatamente avvinghiata addosso.
Fu allora che i miei pensieri placidi di serenità scomparvero all'istante.

"MICK! Come sono felice di rivederti! Stai bene, vero? Perdonami per averti lasciato lì... Ho fatto come volevi, ma ero presa dal panico. Non avrei mai dovuto."
Mi aveva buttato le braccia al collo e non avevo potuto evitare una stretta di notevole intensità sotto lo sguardo ingelosito di Beth.
"Cindy... non importa. Sto bene." Le spiegai io, scostandole gentilmente le braccia strette a me. Poi rivolsi lo sguardo a Beth, implorando la sua comprensione.
"Questa è Beth... Beth Turner. Beth, questa è Cindy Morrigan, la profiler di N.Y. con cui ho lavorato all'ultimo caso..."
Beth ci fissava con occhi di brace, così intensamente che mi stupiva il fatto che Cindy non stesse prendendo fuoco.
L'elettricità avrebbe potuto scatenare fulmini, lì dove le loro occhiate si incontravano a mezz'aria e io sapevo di dover tenere d'occhio Cindy, ma il telefono squillò proprio in quel momento, costringendomi a lasciarle sole.
"Scusatemi..." Dichiarai congedandomi e mi avviai verso il divano senza però perderle di vista.
Intanto Beth cercava di fare la brava donna di casa e si sforzava di essere il più ospitale e naturale possibile.
Vedendosi alle strette, reagì tirando fuori la sua grinta e sfoggiando un sorriso di circostanza.
"Beh, Cindy... vuoi qualcosa da bere?" Domandò, facendole strada verso la cucina dove sapeva bene di poter mettere mano alle mie scorte.
"Si grazie!" Rispose la vampira con un artificioso sorriso compiaciuto, mentre la seguiva come un'ombra.
Beth aprì il frigo e preso un bicchiere pulito, versò un po' di sangue in bottiglia, per poi porlo a Cindy con soddisfazione.
"Ormai sei pratica di queste cose, eh?" La provocò e Beth annuì con un certo entusiasmo, facendole capire che ormai era entrata nell'ottica della nostra esistenza ed aveva una certa padronanza sull'argomento.
Ma la reazione della vampira in risposta fu immediata e precisa.
"Ne sono felice... Mick deve amarti moltissimo. Lui è stato un partner eccezionale, sai? E' un investigatore di grande talento! E' stato un onore affiancarlo in quel caso e spero ce ne siano altri in cui collaborare... Molti altri. Non deve essere facile per te stare con un uomo come lui... insomma, a guardarlo... E' irresistibile! Sono sicura che sai di non essere l'unica donna ad avere fantasie erotiche con lui... questo sarebbe faticoso da sopportare, se fossi una persona gelosa. Ma immagino che tu non lo sia! Hai tutta la mia stima per questo. E' chiaro che se ti fidi di lui, non hai motivo di arrabbiarti, anche se dovesse succedere qualche piccolo incidente come l'ultima volta... "
Beth era stata colpita a raffica e impiegò qualche secondo per concretizzare tutte quelle affermazioni sferzanti.
"Incidente? Quale incidente? Di che parli?" Domandò smarrita.
"Ma, come... Mick non ti ha detto del bacio? Oh, che gaffe imperdonabile! Mi dispiace!" Simulò il tono mortificato senza nascondere nemmeno troppo il suo sarcasmo.
Beth invece sentiva la terra mancarle sotto i piedi e si sforzava di celare il panico in cui l'aveva gettata quella parola pronunciata a bruciapelo.
"BACIO? Quale BACIO?"
"Oh, ma non devi preoccuparti... è stato solo per copertura. E' stato magnifico, ma esclusivamente per copertura."

Cindy era malefica. Lo era davvero in quel momento in cui la stava bombardando a tutto spiano e la stava demolendo totalmente, tanto che Beth stava davvero perdendo il controllo dei suoi nervi. Ma non potevo salvarla. In quel momento c'era un'altra cosa a distrarmi.

Ero entrato in salotto mentre Guillermo mi salutava al telefono, dopo avermi avvisato che il mio A positivo era pronto.
Di solito mi mandava un sms, ma erano passati due giorni da quando avevo passato la notte più lunga della mia vita, rischiando di morire.
E le storie sulla Black Moon cominciavano a serpeggiare paurosamente tra i vampiri di L. A. , soprattutto tra quelli meno coraggiosi.
"Ehi Amico... Volevo essere sicuro che stessi bene! Sai cosa si dice qui? Mick St. John è il paladino che ha osato sfidare l'inquisizione e l'ha fatta franca! Sei diventato una celebrità! Sei l'unico, a quanto so, che sia stato in una stanza d'argento e possa raccontare di esserne uscito vivo, da solo, dopo aver salvato un altro vampiro! Guarda che mi stai dando un sacco di soddisfazioni! Mi vanto con tutti di conoscerti bene da anni... Fa un certo effetto, sai?"
Sorrisi stancamente a quelle parole che non erano di grande orgoglio per me. Non avevo fatto altro che seguire l'istinto e per poco non avevo perso la vita.
"Beh, grazie Guillermo, ma io non sono un eroe, perciò smettila di vantarti. Comunque ci vediamo più tardi."
Chiusa la comunicazione, scuotendo la testa, passai affianco alla scala e lì avvertii improvvisamente uno scricchiolio sommesso.
Così, incuriosito, mi bloccai di colpo per concentrare il mio udito e capire da dove provenisse.
Avanzai verso la porta d'ingresso e mi resi conto che in quella direzione era più forte.
Individuai che probabilmente veniva da sotto il divano o il mobile alle spalle di quello.
Così mi chinai e, ginocchia a terra, cercai di capire se fosse un insetto o qualcosa del genere. Ma non avvertivo alcun odore.
Quando ne riuscii a distinguere uno, non ci volle molto a capire chi fosse.

"Questa era proprio la scena che sognavo di vedere, entrando qui dentro! Il tuo sedere in bella mostra!"

Mi voltai a freddare Josef con lo sguardo, ammonendolo di fare silenzio. Poi gli feci segno di avvicinarsi.
"Prima o poi dovrai dirmi come ci riesci..."
Ma Josef avvertì la presenza di Cindy e Beth nell'altra stanza e mi parlò con il tipico sussurro vampirico percepibile solo a noi.
"Non posso... se te lo svelo, non mi permetterai più di usare questa capacità!"
"Devi insegnarmelo. Mi potrebbe essere molto utile!"
"Lo immagino..."
Rispose lui, sorridendo maliziosamente, poi domandò incuriosito
"Che stai facendo, Mick? Cerchi le rotelle che hai perso?"
"Lo senti anche tu?"
Domandai a mia volta, senza dare peso alla sua battuta.
Josef porse l'orecchio e dopo un primo momento di esitazione, annuì.
"E' un topo?"
Quella domanda mi fece sorridere.
"UN TOPO, JOSEF? Nell'appartamento di un vampiro al 12° piano?"
"No, hai ragione... Sembra più un rumore elettrico. Come se fossero... scosse."

E non sono Cindy e Beth. Pensai tra me e me.
Josef fece il giro del divano e io lo seguii. Spostammo il divano e ci inginocchiammo entrambi, ma io chiusi per un istante gli occhi sentendo la testa girarmi.
"Ehi... non fare sforzi. Lo prendo io. Basta che non mi morda!"
Josef infilò il braccio sotto il mobile proprio mentre Cindy e Beth entravano in salotto.
Cindy sospirò, vedendoci a terra, mentre Beth spalancava gli occhi stupita.
"Mio Dio! Sono così... adorabili!" Commentò la vampira fissando i nostri fondoschiena rivolti verso di loro.
Mi alzai subito per indicare anche a loro di stare in silenzio. E finalmente Josef recuperò qualcosa, tirandosi su con un sorriso pieno d'orgoglio.
"Buongiorno principesse..." Poi però tornò serissimo, mentre ci mostrava cosa teneva stretto tra le mani.
Avvicinammo le nostre teste sul suo palmo aperto e mi resi conto con rammarico che si trattava di una cimice, una di quelle microspia.
Josef alzò le sopracciglia in quel suo gesto che valeva sempre più di mille parole.
"Lo so, con me non ci si annoia mai!" Commentai guardandoli tutti e tre.
Poi presi la cimice dalle mani di Josef e la poggiai sul tavolo in cucina, afferrai un bicchiere vuoto e lo capovolsi, ponendolo sopra di essa, mentre gli altri seguivano attentamente i miei gesti.
Avevo creato così una sorta di campana di vetro che avrebbe isolato la ricezione del suono.
"E' un microfono, Mick! Chi può averti messo un microfono in casa?" Domandò Cindy con aria curiosa e falsamente innocente.
Ma il suo sguardo e quello di Josef, si spostarono automaticamente su Beth che ancora faceva fatica a realizzare quanto stesse succedendo.
Io la fissai negli occhi e lei si turbò profondamente.
"Beh? Perchè guardate me? Mick, non penserai che sia mia, vero?" Le sfuggì un sorriso carico d'incredulità.
Io scossi la testa con decisione e mi avvicinai a lei.
"No Beth, certo che no. Ma tu sei l'unica che può aiutarmi a capire di chi sia. Mi sarei accorto di quel rumore... deve essere stata messa lì da poco tempo. Sono stato su quel divano in una sorta di stato comatoso per diverse ore finchè non mi avete portato nel freezer e io non l'ho percepito. Ma ora che sono in forma, ho sentito bene quel brusio. Questo vuol dire che è stata posizionata mentre ero sotto l'effetto dell'argento. Chi è entrato qui, oltre a voi due?" Domandai guardando Beth e Josef.
E Beth prontamente rispose con un profondo respiro, facendo mente locale.
"Dunque... io non ho fatto entrare nessuno e sono stata qui con te tutto il tempo. Non sono mai uscita, Mick! Josef è stato qui fino a ieri mattina. Ma ti assicuro che non è entrato nessuno a parte lui."
Rimasi per un attimo a riflettere.
"Se non è entrato nessuno, come ci è arrivata sotto al mio mobile? Tra l'altro, chiunque sia stato, ha avuto anche il tempo di nasconderla bene lì sotto."
Beth scoteva la testa, cercando di ripercorrere con la mente la giornata infernale che avevamo passato. Ad un tratto ebbe un vistosissimo brivido.
Un sospetto le aveva procurato un dolore acuto come uno spillo. Appena aveva visto la cimice, aveva pensato alla polizia e si era ricordata di Ben, quando quel giorno l'aveva fatta sedere sulla sua poltrona. Forse lei non se n'era accorta e lui le aveva messo la cimice nella borsa.
Quando era tornata a casa e non mi aveva trovato, l'aveva svuotata di fretta sul divano in cerca del telefono e sicuramente era stata troppo distratta per accorgersi che la cimice era finita sul pavimento e poi sotto al mobile.
Beth era più che convinta che quell'ipotesi fosse plausibile, ma non mi confidò i suoi pensieri.
Temeva di avere ragione e non voleva accettare che Ben fosse a conoscenza dei nostri segreti e ci tenesse sotto controllo.
Questo era un chiaro segno del fatto che si stesse affezionando a lui e col suo silenzio aveva deciso di proteggerlo, almeno fino a che non avesse avuto prove del fatto che fosse coinvolto in quella faccenda.
"Ti controllano Mick... questa non è una bella notizia. Cosa farai?" Josef mi sembrava molto incuriosito dall'accaduto, ma non stupito quanto me.
"Non lo so... ci devo pensare. Ora mi sento un po' stanco."
Cindy e Josef annuirono e si avviarono alla porta e poi all'ascensore insieme, per lasciare il mio appartamento, ma promettendo a loro stessi di dirigersi in due luoghi ben distanti tra loro.
Una volta rimasti sul pianerottolo, si guardarono con un po' di imbarazzo, per salutarsi.
"Vuoi... un passaggio?" Gli domandò Josef con un sorriso smaliziato che aveva l'intonazione di una frase simile a "Perchè non passi un po' di tempo con me?"
E lei replicò un secco "No, grazie." Che suonò più o meno come "Purtroppo non posso accettare, maledizione!"
E si avviarono ognuno per la propria strada, mentre io e Beth avevamo trovato finalmente il tempo per restare soli e chiarire i nostri punti di vista.

Dire che Beth si fosse innervosita, è poco.
"Simpatica, la tua amica! Non ha fatto altro che esaltare le tue qualità di maschio irresistibile." Cominciò lei, guardandomi storto.
"Ah... davvero?" Cercavo di non raccogliere quella frecciata ed ero intenzionato a cambiare discorso e a deviarlo sul ritrovamento della microspia, contrariamente a quanto invece era nelle idee di Beth.
"Mi ha detto che l'hai baciata e che le è piaciuto molto... ma non è successo, vero? Me lo avresti detto, ovviamente! VERO?"
Era seria. Troppo seria per i miei gusti.
Deglutii a fatica, cercando di pensare a qualcosa di efficace da dire a mia discolpa. Ma il mio silenzio accentuò la sua irritazione.
"TU! Tu hai baciato quella strega?" Mi si freddò il sangue nelle vene a quella domanda. Ormai la risposta era scontata.
E Beth si scurì in volto come non aveva mai fatto davanti a me.
"Beth... Non era un bacio!" Tentai di spiegare.
"Lei ha detto che TU l'hai baciata!"
"Si ma... non sulle labbra, sul mento! Così..."

Pensai che una dimostrazione pratica mi avrebbe scagionato, invece distrusse definitivamente la mia difesa.
"Mick! E' disgustoso! Mi hai davvero delusa... è assurdo! Quella è una megera! Come hai potuto farlo?"
"Lo so... ma infatti io non volevo, è stato solo..."
"Per copertura, LO SO! Lasciami!"

Mi avvicinai per darle un bacio vero e lei mi scansò con la mano.
"BETH!" Protestai.
"Non baciarmi, MICK! Non dopo avere baciato... quella vipera! Vai... Lontano da me! VAI!"
Mi fece segno con la mano di allontanarmi e io continuai a fissarla inebetito per qualche secondo.
Poi mi ritirai, ferito da quel suo rifiuto e mi sistemai nello studio, portandomi via la microspia.
Non volevo credere che mi volesse evitare per quel mezzo bacio, che tra l'altro ero stato costretto a dare e che non aveva rappresentato proprio nulla per me.
Capivo la sua gelosia, ma non una reazione così decisa verso di me.
Restai rintanato lì per una decina di minuti, evitando di incrociarla, allo scadere dei quali tornai da lei con decisione.
Ma Beth non era più lì. Era al piano di sopra e sentivo dei rumori che non riuscivo ad identificare.
Facendo i gradini a due a due, la raggiunsi in camera e la trovai mentre, con il suo trolley aperto davanti, toglieva dall'armadio alcuni vestiti che aveva portato da me e li ripiegava per metterli in valigia.
Rimasi fermo a seguire i suoi movimenti senza capire. Mi sembrava impossibile.
"Beth... Ma cosa stai facendo?"
Quando si voltò a guardarmi per un istante, incrociai i suoi occhi arrossati, ma mi resi conto che non stava piangendo. Non ancora.
"Mick... Ho bisogno di allontanarmi per qualche giorno. Voglio stare un po' da sola e riflettere... Lo so che non lo capirai, ma ti prego, non tentare di fermarmi, sarebbe peggio."
Non solo non provai a fermarla, ma nemmeno riuscii a trovare le parole per spiegare quello che ci stava succedendo.
Non andartene... ti amo... resta con me... Erano frasi patetiche da vittima in quel momento, che dimostravano un senso di colpa che non avevo, perchè quello stupidissimo bacio dato a Cindy non poteva essere la causa di quella crisi. Mi rifiutavo di crederlo.
E lentamente affiorava in me la paura che Beth, la mia Beth, volesse fuggirmi. Ma mi venivano in mente solo queste parole, in un primo momento.
Poi avanzarono quelle roventi, quelle dettate dalla rabbia, quelle che sai bene che se le pronunci è difficile tornare indietro e fare finta che nessuno le abbia sentite.
Sono quelle pesanti come le pietre e taglienti come frammenti di vetro.
Sei impazzita? Di quella non me n'è mai fregato nulla! Smettila di fare la ragazzina... E' ridicolo! Tutte cose sbagliate. Preferivo stare zitto.
E lasciavo parlare i miei occhi smarriti e il mio viso distrutto da quella decisione incomprensibile di partire all'improvviso.
Ero nella confusione più totale.
Restai a guardarla prepararsi la borsa con gesti rapidi come se non vedesse l'ora di andare via. E ad ogni indumento che sbatteva in valigia quasi con rabbia, avvertivo un colpo al cuore.
Non potevo fare altro che guardarla, impotente, fino a che finalmente non riuscii ad articolare un pensiero e ad esprimerlo con estrema lentezza, a voce bassa e roca.
"E..." cominciai deglutendo. "Quando tornerai?"
Beth cercò di evitare il mio sguardo ferito, ma le fu inevitabile incrociarlo nell'istante in cui ne avvertì tutta l'intensità.
E con un sospiro, per farsi coraggio, chiuse il trolley e mi rispose seccamente.
"Non lo so, Mick. Quando mi sentirò meglio e mi andrà di tornare."
La seguii giù per le scale e fuori dalla porta, tentando di aiutarla a trasportare quel bagaglio che non voleva proprio mollare.
E sulla soglia, dopo avere aperto la porta, si voltò a darmi una carezza di compassione e un semplicissimo bacio sulla guancia, mentre fissavo il mio riflesso in quegli occhi azzurri che non riuscivo più a riconoscere.
"Scusa Mick, ma devo proprio andare via di qui e allontanarmi da te. Ciao."
E senza dire altro imboccò il corridoio e prese l'ascensore, mentre i miei occhi intimoriti la seguivano finchè fu possibile.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** seconda parte ***




**************************
4.

BETH'S VOICE OVER



Mick e Ben...
Amare un vampiro, fidarsi di un amico... credere in se stessi e di poter essere sempre forti, contro qualcuno che è per natura più forte di te.
Come posso vivere così... come posso riuscire ad amarti come vorrei? Mick... Non voglio credere che Ben mi usi per scoprire cosa sei.
Non voglio credere di essere stata così stupida da lasciarmi usare e da metterti in pericolo.
Non voglio pensare che tu abbia baciato quella Cindy provandoci gusto, così come non voglio pensare che ora soffri per me.
Vorrei soltanto affondare il viso in un cuscino e piangere fino a sfinirmi, fino ad addormentarmi e a tornare ad un settimana fa, quando tutto andava bene, quando io e te eravamo semplicemente io e te, niente vampiro...niente umana.
Solo due persone che si amano e che vogliono passare il tempo che possono, insieme.
Sono una stupida... sbaglio sempre tutto.
Se resto ti faccio del male, se vado via, faccio anche peggio... Voglio amarti, tu non sai nemmeno quanto voglio amarti, ma non riesco a farlo bene...è così difficile, stare in silenzio, fare finta di niente, accettare il fatto che ogni volta che esci fuori dalla porta potresti non tornare e io non saprei nemmeno chi o cosa ti ha strappato dalle mie braccia.
L'accettare di non poterti aiutare...di non doverti aiutare in caso tu avessi bisogno di aiuto.
Pensavo di farcela...ma ieri notte...tu non immagini nemmeno cosa ho sentito...quanta pena ho avuto dentro.
E il non sapere...il non sapere mi ha uccisa. Io ero come morta, in quegli istanti mi sono sentita davvero morta... E non so se posso... Non so se posso reggere ad una vita così.
Però... Ti amo così tanto... Mi manchi da impazzire e non so neanche come ho fatto a lasciarti lì, sulla porta, con quello sguardo lucido, quando l'altra notte stavo per perderti per sempre.
Perchè? Perchè deve essere tutto così complicato? Perchè non possiamo semplicemente amarci come desideriamo?
Non erano abbastanza l'eternità, il non poter avere bambini e la luce del sole, a dividerci?
Dovevano mettersi di mezzo anche le leggi del tuo mondo, che mi tagliano fuori sempre e comunque, e le persone di quello che credevo essere il mio mondo, che a quanto pare vogliono soltanto usarmi per entrare nel tuo!
Sono solo un oggetto, sono solo qualcosa che serve a qualcuno per ottenere qualcos'altro?
Io sono una persona Mick! Non sono sangue, non sono un collegamento...sono soltanto una donna che ti ama...
Ma che ha bisogno di capire che fine ha fatto la vera se stessa e da che parte vuole stare, con te o con l'idea che ho di me stessa.
Sono confusa.
Ma non durerà a lungo.

Questo era il flusso inarrestabile dei miei pensieri, e ad interromperlo, fu lo squillo del mio cellulare.
Così lessi il display.
"Ben." Sussurrai piano, respirando a fondo.
"Perfetto...iniziamo a mettere a posto questa storia"
Schiacciai il tasto per rispondere, cercando di mantenere la mia voce meno isterica possibile e facendo mente locale, per trovare un modo per fargli dire quello che volevo sapere, poi decisi che lo avrei lasciato spiegare il motivo per cui mi aveva chiamata. Solo dopo gli avrei chiesto di vederlo subito, per parlargli faccia a faccia di ciò che interessava a me.
Certe cose bisognava affrontarle subito e a quattr'occhi.
"Pronto?"
"Pronto, Beth!"

Il suo tono allarmato non aiutò i miei nervi.
Perchè era così nervoso? Non per lavoro, da quello che sapevo.
Sentii una morsa allo stomaco e respirai a fondo aspettando che continuasse.
"Pensavo non avresti risposto. Và... Tutto bene?"
Sospirai e cercai mentalmente di calmarmi ancora un pochino, ma era difficile, sapendo come mi ero lasciata Mick alle spalle.
"Si, tutto ok! Scusa, è che non trovavo il telefono nella borsa..." Cercavo di sembrare cordiale. "Dimmi tutto." Aggiunsi curiosa e impaziente di risolvere quella faccenda.
La curiosità uccise il gatto Beth. In questo caso l'umana.
Lo sentii chiaramente cercare di riprendere il controllo e schiarirsi la voce. Era agitato, ma non sapeva quanto lo fossi io, più di lui.
"Ah, bene... temevo di averti disturbata... Volevo chiederti se potevamo vederci, per lavoro."
Dal modo in cui marcò la parola lavoro, capii che voleva evitare qualunque tipo di equivoco.
"Da soli." Specificò dopo qualche secondo.
Senza Mick St. John volevi dire, vero? Prima mi usi per spiarlo e poi mi chiami per un incontro? Ma che razza di uomo sei? e io che ti credevo un amico!
Sopportai la fitta che sentivo allo stomaco e al cuore, io mi ero fidata e adesso per colpa mia, Mick era in pericolo.
Ad ogni modo, non poteva scegliere un momento migliore, dato che anche io avevo bisogno di parlargli faccia a faccia.
"Certo Ben, dammi solo il tempo per tornare a casa a posare alcune cose, dove ci possiamo vedere?" Chiesi decisa a risolvere quel dubbio atroce che mi stava assillando.
"E' una questione assolutamente confidenziale, sarebbe il caso di vedersi qui nel mio ufficio. Poi magari andiamo a cena insieme... sempre, se non hai altri programmi. Mi farebbe molto piacere."
Per un momento mi sembrò che tutto fosse tornato come qualche settimana prima, ma probabilmente quella sua gentilezza era solo di facciata, una copertura.
Chiusi gli occhi per domandarmi se volevo andare a cena con Ben. La risposta era chiaramente no. Non volevo. Sarebbe stato il primo invito da parte sua che avrei rifiutato.
"A dire il vero io ho promesso a Marissa che avrei cenato con lei stasera..." Dissi mentre entravo in casa e posavo distrattamente la valigia.
"Allora dieci minuti e sono da te... ok?" Chiesi
"Ah e ... questo è un no?" Lo sentii domandare di rimando con un tono alquanto deluso.
Cercai di calmare il cuore che batteva troppo forte e faceva troppo male e rimasi in silenzio fino a che lui non continuò.
"Comunque io ti aspetto qui."
"Ok, a dopo" Salutai prima di chiudere frettolosamente. Mi asciugai gli occhi, ancora umidi di pianto, decisa a richiudere subito la porta e a scendere in strada.
Non mi andava nemmeno di sistemarmi.
Avrei risolto il problema con Ben e poi... poi avrei affrontato me stessa.

**************************
5.

MICK'S VOICE OVER


Rimasto solo, l'unica cosa cui potevo pensare era l'assurda situazione in cui mi ero ritrovato senza sapere come.
Come si manifesta la depressione di un vampiro? Non lo so. So solo che ho seguito l'istinto di celarmi dietro uno sguardo triste e duro, cercando di contenere le lacrime.
Con Beth lontana, non mi restava che buttarmi nel lavoro per potermi distrarre, ma a quanto pareva, nessuno aveva bisogno di Mick St. John.
Avrei potuto approfittarne per riposarmi, se tutto fosse stato al suo posto e invece avevo il vento contro.
Persino il telefono taceva. Così andai a recuperare quello che restava della bottiglia di whisky che Beth mi aveva regalato tempo fa e che avevo cominciato a bere insieme a Josef.
E sedendomi sullo sgabello, iniziai a riempirmi il bicchiere, deciso a svuotarla.
Non sarebbe servito a molto, non potevo ubriacarmi, ma forse mi avrebbe psicologicamente fatto un effetto lenitivo, o almeno così mi illudevo.
E proprio mentre scolavo il secondo bicchiere, il cellulare squillò.
I primi secondi hai sempre una vana speranza che possa essere la persona cui pensi intensamente.
Poi subentra l'obiettività e lo scetticismo e ti ritrovi a pensare che sarebbe troppo bello per essere vero.
Infine c'è la delusione, quando prendi in mano il telefono e leggi sul display con una smorfia quello che intimamente sospettavi come ipotesi più probabile.
"Logan, ciao..."
"Ehi Mick! Come stai?"

Come sto... Come sto? Non lo so come sto.
"Potrei stare meglio." Risposi seccamente "Che succede?"
"Lo so, ho già chiamato troppe volte, anche Beth, giuro che la smetto, non ci sto provando con la tua ragazza... E' solo che volevo dirti una cosa che ho pensato potesse interessarti."
"Hai il numero di Beth?" Chiesi incuriosito, ma quella domanda era decisamente inutile. Così mi affrettai ad aggiungere
"Non devi scusarti, dimmi."
"Ecco... Dopo che sei entrato in quella sorta di coma dovuto allo shock da argento liquido, Roger è venuto da me e mi ha pagato profumatamente per fare una ricerca approfondita sul ragazzo che hai salvato.
Si chiama Sam Jefferson. E' uno studente poco studiante... Gli piace il football e ha un debole per i Rave parties. Anche se bisogna capirlo... E' rimasto orfano di madre a soli 5 anni, stroncata da un brutto male incurabile.
E' cresciuto con i nonni materni e con il padre, un famoso imprenditore di fabbriche del vetro che distribuisce in tutto il mondo.
Ma al di là di questo, quello che mi ha fatto tornare in mente te è stato il suo indirizzo, abita in una casa a Pasadena.
Mi sono ricordato che quando abbiamo controllato la mappa della Black Moon tu hai voluto controllare Pasadena e che lì c'erano due locations. Così ho pensato che forse le due cose potessero essere connesse..."

Restai in silenzio qualche secondo riflettendo sulla sua considerazione e Logan interpretò male quel mio attimo di esitazione.
"Ma, magari no... Forse non avrei dovuto disturbarti per una cosa così stupida... Scusami Mick."
"No, no Logan, scusami tu. Hai fatto benissimo ad avvisarmi. Credo che questa cosa però debba rimanere tra noi, non parlarne con Cindy, non parlarne con nessuno, veramente. Soprattutto con Cindy, hai capito?"
"Si certo, tranquillo. Ne ho parlato solo con te proprio perchè immaginavo che volessi indagare da solo, però Mick, non fare scherzi eh! Non fare l'eroe da solo contro il mondo, non è molto raccomandabile dopo quello che ti è successo!
Se necessario, avvertimi e io contatterò subito le pulitrici, ma non avventurarti più da solo in un covo di legionari, per favore."
"No, stai tranquillo, ho imparato la lezione. E grazie per l'informazione, chiamami se dovessi scoprire qualcos'altro. Anche se..."

Sam Jefferson... Avevo già sentito quel nome. Conoscevo un certo Samuel Jefferson.
Era stato il mio compagno di classe all'ultimo anno di elementari.
Era un ragazzino con un faccione paffuto e le mani sempre unte di ciambelle glassate.
Un tipo molto simpatico e molto gentile, mai prepotente, sebbene fosse alto quanto due di noi ragazzini dalla corporatura media.
Dopo la scuola ci perdemmo di vista, ma ricordo bene un episodio di cui diventammo protagonisti.
Una mattina ero con un gruppo di amici, e mentre eravamo impegnati a giocare tra noi, due bulli del quartiere, più grandi di diversi anni, si erano avvicinati con spavalderia e si erano appropriati delle nostre biglie colorate.
Io protestai a gran voce cercando di opporre resistenza, e richiamai l'attenzione di Sam, che vedendomi in difficoltà, decise di buttarsi nella mischia, sebbene fosse del tutto estraneo alla causa.
Io e Sam fummo tra i più agguerriti nel darle, ma ne prendemmo entrambi davvero tante, quel giorno, da non poterle dimenticare, prima da quei due balordi e poi dai nostri genitori, per esserci infangati e riempiti di tagli e lividi.
Ma se non fosse stato per il coraggio di Sam, che non si limitò solo a contrastare gli avversari, ma anche a proteggere me, io avrei avuto di certo la peggio.
Invece fummo sconfitti, perdemmo le biglie, ma col sorriso sulle labbra, entrambi soddisfatti per avere combattuto insieme contro l'ingiustizia.
Ricordo di avergli passato qualche caramella per ringraziarlo di avermi sostenuto in quella crociata allo sbaraglio.
E il giorno dopo lui mi regalò un sacchetto pieno di biglie, ancora più belle di quelle che io e i miei amici avevamo perso.
Vetro...
Per un attimo mi sfiorò l'idea che, per uno strano caso del destino, il Samuel che mi aveva salvato da bambino potesse essere un avo del Sam che avevo salvato io.
"Scusa Logan, ma Sam ha 17 anni effettivi, pur essendo un vampiro?"
"A quanto mi risulta, si. Deve essere stato tramutato da poco tempo... E immagino che la famiglia sia troppo impegnata con gli affari per accorgersi che il ragazzo, più che mangiare, beve..."
"Si, credo che sia così. Fai una cosa per me Logan, chiama la pulitrice e avverti che la raggiungiamo al magazzino. Voglio parlare con questo ragazzo. Poi ti spiego meglio di persona... Intanto passo a prenderti, così mi accompagni. Non hai molto da fare, vero?"
"Ehm, no... Nulla che non possa rimandare!"
Logan sembrava stupito da quel cambiamento repentino di programma. Forse distrattamente aveva appena rovesciato il suo bicchiere con la "merenda", da come intuii, sentendolo maneggiare qualcosa sulla tastiera, per poi tornare a spiegarmi.
"Okay, nessun problema, la chiamo subito e ti aspetto."
"Grazie ancora Logan. A tra poco."

Lo salutai e restai ancora qualche minuto assorto, perdendomi in quei ricordi di una vita precedente.
"Samuel Jefferson di Pasadena..." Sussurrai a denti stretti.
Le coincidenze mi lasciavano sempre di più sconvolto.
Anche Tony e Juliet avevano 17 anni.
Forse frequentavano la stessa scuola, magari avevano amicizie in comune.
Dovevo chiarire personalmente i miei dubbi.


**************************
6.

BETH’S VOICE OVER


Quando arrivai alla centrale, entrai nel suo ufficio con molta disinvoltura e sicurezza.
Ero mossa da tutte quelle emozioni difficili da sopportare e da controllare.
"Ciao Beth."
Vidi Ben scostarsi dalla scrivania, cui era appoggiato di schiena e con entrambe le mani, con una leggera spinta.
Aveva lo sguardo adombrato, i suoi occhi avevano perso gran parte della loro luminosa intensità.
Alzò una mano per passarsela sulla fronte come se volesse, con quel gesto, allontanare il velo di preoccupazione che gli offuscava i pensieri, poi mi fissò, fece un respiro più profondo degli altri e si sforzò di sorridere.
Anche se gli avevo detto di stare bene, ora che mi guardava, sentii che gli era bastato un attimo per capire che qualcosa era cambiato tra noi.
E in fondo sapeva anche di conoscere bene il perchè di quel profondo turbamento nell'espressione di quella che, sapevo considerasse, e che sperava restasse ancora, la sua socia.
"Sono contento che tu sia qui." Mi confidò, pronunciando lentamente quelle parole, mentre si avvicinava.
Per me invece, vederlo fu in pratica una battaglia emotiva.
Tante sensazioni, tutte contrastanti, lottavano in me per prendere il sopravvento, ma riuscii a tenerle a bada, anche se sentivo che sul mio viso tutto era chiaro quanto il sole.
"Ciao Ben." Risposi al saluto, meravigliandomi io stessa di quanto la mia voce fosse fredda e distaccata.
Ma di che ti meravigli, Beth? Lui ha messo in pericolo Mick... è ovvio che tu sia distaccata e fredda.
Persa nei miei pensieri e fra le mie sensazioni, quasi non mi accorsi che lui aveva detto altro e mi affrettai ad annuire in risposta.
"Dimmi, di cosa volevi parlarmi di tanto importante?"
Ben mi si avvicinò per farmi cenno di entrare e si affrettò a chiudere la porta del suo ufficio.
Poi cominciò, fissando il suo sguardo profondo nel mio, con un tono decisamente confidenziale, cercando di mantenersi pacato il più possibile.
"Ecco, io... Dovrei parlarti di una cosa molto importante di cui sono a conoscenza e... credo di doverti informare prima che possano esserci dei problemi. "
Sentii le sopracciglia alzarsi e lo guardai, bloccando la rabbia e l'indignazione, per poi farle uscire lentamente, mentre sibilavo con tono avvelenato.
"Sentiamo, si tratta per caso del motivo per cui mi hai messo una cimice nella borsa, Signor viceprocuratore?" Sentivo i miei occhi infuocarsi dall'ira.
A quella frase, non era necessario che fossi un vampiro per capire che il cuore di Ben perse un battito e fu incontrollabile, l'espressione di stupore che gli si dipinse improvvisamente sul viso.
Al contrario di quanto stava accadendo a me, le sue sopracciglia si aggrottarono sulla fronte.
"Cimice? Di che cimice stai parlando?" Fingeva stupore.
Quello che mi riusciva difficile da interpretare era se fosse stupito per essere stato incolpato così spudoratamente o se gli risultasse incredibile che io avessi trovato la cimice in così breve tempo.
Ridacchiai amaramente e sospirai, cercando di dare, alle frasi che mi si erano affollate in gola, un ordine e un senso ben preciso.
"Ti prego..." Implorai. "Ti prego Ben, non mentire ancora...perderesti quella poca fiducia in te che ancora ho!" Esclamai intensificando il mio sguardo nel suo.
"Sai benissimo di cosa parlo, pretendo una spiegazione!" Il mio tono non ammetteva repliche.
Ben distolse lo sguardo dai miei occhi chiari che lo fissavano intensamente, implorandolo di non mentire.
I suoi occhi invece cercarono sollievo da quelle pesanti accuse, riflettendosi nella vetrata di fronte e forse lì trovarono un po' di coraggio.
Quando tornò a guardarmi, stava ancora pensando a quella frase terribile che aveva appena sentito uscire dalla mia bocca.
Probabilmente non sapeva con certezza se fosse pronto a perdere quella poca fiducia che riponevo ancora in lui.
Ma era sicuro di non avere molta scelta riguardo alla verità.
"D'accordo... Ascoltami, io... Hanno tentato di ucciderti più di una volta, volevo solo essere sicuro di poterti essere d'aiuto, se fosse stato necessario." Mentre mi spiegava, mi appoggiò le mani su entrambe le spalle. "La microspia serviva solo ad accertarmi che tu stessi bene. So di avere sbagliato, avrei dovuto avvisarti, ma ormai so come sei fatta, non me lo avresti lasciato fare, ammettilo! L'ho fatto di nascosto solo per questo, e perchè ci tengo a te ed ero preoccupato. Voglio solo proteggerti." Concluse giustificandosi con tono risoluto e poco colpevole, che mi irritò ancora di più.
No... per favore basta...
Guardai Ben indecisa se scansarmi o meno. Ero discretamente disgustata.
"Proteggermi?" Domandai sentendomi la vena pulsare sulla tempia.
"Spiarmi Ben... SPIARMI!" Esclamai esasperata, alzando le braccia e sentendo di più la pressione delle sue mani sulle mie spalle.
"Ma cosa avete tutti? Perchè questa mania di proteggere la piccola Beth? Sono davvero così importante?"
Chiesi irritata, guardandolo. E Ben, pungolato nell'orgoglio, reagì d'istinto.
"Non ti starà sfuggendo un piccolo particolare? Io sono un viceprocuratore e fino a prova contraria ci tengo alla vita dei miei collaboratori!" Poi cercò di controllarsi. "Andiamo Beth, sei testarda in maniera assurda alcune volte! Ed è ovvio che tu sia importante, non solo per Mick! Tra l'altro non sono proprio convinto che lui possa riuscire a proteggerti come deve, da solo! Scusami se sono stato invadente, ma conoscendoti, non mi è venuto in mente un altro modo!"
"Ben, per l'amor del cielo! NON STANNO COMPLOTTANDO PER UCCIDERMI!"
Urlai, allontanandomi da lui e guardandolo fisso.
"Non stiamo indagando e in questo momento non sono in pericolo! Ti ha mai sfiorato l'idea che una microspia nella borsa potesse farmi imbestialire?"
Oramai il tono della mia voce era incontrollato, pensando a chissà cosa avesse sentito.
Mi tornò in mente quella scena terribile della notte precedente, le voci, la mia e di Josef.

"Beth! AIUTAMI!! il SANGUE! MI SERVE IL SANGUE!"
"Lì dentro! C'è il MIO!!"


Tremai senza che potessi fare nulla per fermare il mio corpo e le lacrime minacciarono di affacciarsi ai miei occhi.
Le ricacciai indietro a forza.
"Cosa hai sentito?" Mormorai con voce tremante.
Controllati Beth, non puoi lasciare che lui scopra che c'è qualcosa nella tua vita che non deve assolutamente sapere.
Lo guardai, cercando di capire cosa sapesse, di quanti e quali miei, nostri, loro segreti fosse a conoscenza.
In realtà non avrei mai saputo che quello che Ben aveva sentito era meno di quanto avesse voluto sentire.
Stava andando tutto bene, aveva sentito le mie risposte durante la telefonata con Simone, poi improvvisamente aveva avvertito un fruscio più accentuato del solito e un tonfo sordo. Da quel momento la microspia, forse danneggiata, aveva inviato il segnale in modo meno chiaro e ad intermittenza.
Aveva riconosciuto la voce di un uomo che non era St. John, ma che gli ricordò subito invece il tono del tipo che aveva salvato lui e me da quel chirurgo plastico impazzito.
Ormai era quasi certo si trattasse di Josef Kostan, specialmente dopo averlo visto fuori dal palazzo dove era nascosta la sede della Black Moon.
In più era sicuro di avere sentito parlare di sangue. Ma non fu del tutto sincero con me, nonostante io fossi adirata tanto da alzare la voce.
Continuava a guardarmi con aria colpevole senza però trovare le parole giuste per spiegarsi.
Affidava solo ai suoi occhi il compito di farmi capire che aveva applicato quella procedura non solo per dovere investigativo, ma per affetto nei miei confronti. Poi tentò di tirare fuori una confessione blanda per accontentarmi.
"Sapevo che l’avresti presa così male. Ma ho affrontato il rischio perchè era più importante per me assicurarmi che fossi al sicuro, con o senza il tuo investigatore privato! Ho sentito solo che hai ancora contatti con l'avvocato Walker dopo il caso Michaels... poi la comunicazione si è interrotta. Immagino che sia accaduto perchè hai trovato la cimice...Non ho sentito altro, te lo assicuro."
Lo guardai leggermente sollevata, forse il segreto di Mick era ancora al sicuro. Mi riavvicinai a lui e gli poggiai una mano sul braccio.
"Come faccio adesso a fidarmi ancora di te, Ben? Come farò a crederti ancora?" Chiesi guardandolo negli occhi.
Lui chinò lo sguardo sulla mia mano delicata che gli aveva sfiorato il braccio. Pensò di interpretarlo come un gesto di addio.
E ritornò a guardarmi, accorgendosi che la rabbia aveva lasciato il posto ad un altro sentimento.
Avevo uno sguardo triste e amareggiato, più che arrabbiato e quelle poche parole taglienti pronunciate dalle mie labbra, gli provocarono un dolore capace di confonderlo.
"Non farlo, se pensi che non sia il caso. Ma sappi che l'ho fatto solo per il tuo bene."
Il tono sconsolato che aveva usato, giustificava la profonda ferita che sentivo aprirsi nel suo cuore.
Capii di averlo colpito a fondo e il groppo in gola di riflesso, mi fece malissimo.
Prima Mick, ora Ben.
Lo guardai quasi con disperazione e abbassai lo sguardo per poi voltarmi e avviarmi alla porta
"Io... tornerò. Ma ora devo andare." Dissi uscendo e chiudendomi la porta alle spalle.
"Aspetta... Beth!" Ben fece qualche passo verso di me, allungando il braccio e assecondando il primo istinto di seguirmi.
Ma poi si fermò, capendo che avevo bisogno di tempo per smaltire quella delusione che mi aveva provocato, e che, lui non lo avrebbe mai saputo, io stessa mi ero provocata, ferendolo.
Ben restò immobile a fissare quella porta che mi ero chiusa alle spalle, per qualche minuto.
"Lo spero..." Riuscì a sussurrare a stento muovendo appena le labbra.


**************************
7.
MICK'S VOICE OVER


Logan entrò nella mia Mercedes guardandosi attorno furtivamente.
"Allora? Che succede?" Esclamò preoccupato. E io lo freddai con lo sguardo prima di lanciargli una bustina di plastica con la mia piccola “sorpresa”.
"Ho trovato questa microspia in casa. Dagli un’occhiata appena puoi. Non vorrei che avessero messo sotto controllo anche il cellulare, perciò è più sicuro che sia tu a comunicare con la pulitrice."
"Ah, certo, come vuoi. Ma... Ci seguono? Pensi che la Black Moon ti stia pedinando?"

Logan non era di certo un cuore impavido e in certi casi tirava fuori un’espressione di panico talmente esagerata da risultare ridicola.
"Ehi Calrissian, hai paura, per caso? Dov'è finito il tuo coraggio da leone?"
"Andiamo Mick, non scherzare... Quelli della Legione fanno sul serio, mi sono documentato... Non hanno saputo dare un nome a quel cocktail che ti hanno sparato. Perciò scusa se sono un po' preoccupato... Ma soprattutto, Beth dov'è? Come l'hai convinta a farti uscire di casa senza di lei? Lo sai che sei di nuovo in movimento? E che..."
"LOGAN! PIANTALA di tartassarmi di domande, OKAY? Tieni la bocca chiusa, perchè non è la giornata giusta!"

Logan si turbò ancora di più di fronte a quella reazione e al mio sguardo cupo. Avvertiva benissimo il mio disagio e il mio nervosismo.
"Ok. Afferrato. Prometto di non nominarla più. La pulitrice ci aspetta." E passandosi tra le mani la microspia che gli avevo dato, si ammutolì.
"Perfetto." Girai la chiave e partii per raggiungere il magazzino dove ero stato già per il caso di Laurence Flown.
Quando arrivammo però, non eravamo i soli a voler incontrare la pulitrice. Roger era fuori dalla porta e mi salutò per niente sorpreso.
"Ah, St. John, sei in piedi! Mi avevano detto che avevi preso una bella batosta! Credevo fossi in pausa! Cindy... "
"Sto meglio, grazie per avermelo chiesto."
Dissi interrompendo la sua frase a metà e dirigendomi a passo svelto verso l'interno dell'edificio.
Logan accelerò il passo per tenermi dietro mentre Roger borbottava, tanto per cambiare, contrariato.
"Ha la luna storta, oggi..." Gli spiegò per giustificarmi, ma Roger annuì sbadigliando, dimostrando la completa inutilità di quella precisazione.

"Mick!"
Mi voltai seguendo la voce che mi chiamava e raggiunsi la pulitrice dentro uno dei locali, seguito dai due vampiri di scorta.
"Logan e Roger si sono offerti volontari per aiutarmi ad interrogare Sam Jefferson." Le dissi, indicando alle mie spalle con risolutezza.
"Ho il permesso?"
"Mick sono felice che tu stia meglio..."
Mi rispose lei prima di tutto, accennando un sorriso di gentilezza che sparì subito.
"Questo ragazzo manca da casa da diversi giorni. Lo abbiamo fatto telefonare ai suoi per avvisare la famiglia che è fuori da amici, ma non so se gli hanno creduto. Fatto sta che dobbiamo rilasciarlo, comincia a smaniare... Comunque ti sta già aspettando dentro."
"Non c'è problema, saremo rapidi."

Annuii comprensivo e lei decise di darmi fiducia.
Così mi accompagnò nella sala dove Sam ci stava aspettando.
Era seduto al tavolo davanti ad un bicchiere di carta pieno per metà della nostra tipica bevanda sanguinolenta.
Vedendomi, si alzò con un sorriso a trentadue denti per stringermi la mano.
"Signor St. John! Sono davvero felice di poterla rivedere! Non sono riuscito nemmeno a dirle grazie, l'altra notte! Lei mi ha salvato la vita e gliene sarò sempre debitore... Sono contento di vedere che sta bene!"
Anche lui era in forma, per essere stato sotto tortura. Notai che ormai le ferite provocate dalle armi d'argento che mi ricordavo sul suo collo, erano scomparse del tutto.
"E' un piacere conoscerti, Sam..." Risposi io ricambiando il saluto.
"Ti prego, dammi del tu. Prometto che non ti tratterrò ancora per molto, è giusto che ritorni a casa al più presto, la tua famiglia sarà in pensiero... Volevo giusto farti qualche domanda su quanto è successo."
Lo guardai dritto negli occhi, sperando che fosse il più possibile collaborativo con me, perchè avevo davvero milioni di interrogativi, ma pochissimo tempo. Per cui non potevo permettermi il lusso di girare troppo intorno alla faccenda.
Poche domande efficaci dovevano essere l'esca giusta per ottenere quante più informazioni possibili.
Sam sembrava calmo e, alzando le spalle, si riaccomodò sulla sedia.
"Dimmi pure, Mick... Se posso esserti d'aiuto, lo faccio molto volentieri."
"Beh, innanzitutto vorrei sapere da quanto tempo eri lì dentro, prima che io ti trovassi."
"Sono stato rapito da quei bastardi la mattina di quello stesso giorno in cui tu mi hai salvato. Uscivo di casa e appena messo il naso fuori dal cancello mi hanno sparato qualcosa che mi ha completamente stordito. Probabilmente qualcosa di simile a quello che hanno sparato a te, ma di certo più leggero. L'ho detto anche alle pulitrici."
"E che cosa volevano da te?"

Nel fargli quella seconda domanda mi ero avvicinato e poggiando i palmi sul tavolo, mi ero chinato verso di lui per concentrarmi sui suoi sguardi.
"Mi hanno chiesto se conoscevo un certo Sebastian Von Loldav o Von Lavdol, non mi ricordo... Comunque io non so proprio chi sia! Loro naturalmente non mi hanno creduto e mi hanno torturato! Non so quante volte mi abbiano infilato quella lama d'argento nel collo, maledetti! Che il diavolo se li porti!"
Sam agitò un pugno in aria davanti alla mia faccia per poi sbatterlo violentemente sul tavolo.
Digrignava i denti, ricordando il dolore fisico che aveva dovuto sopportare.
"Li troverai vero? Quando li trovi per vendicarti, massacrali anche da parte mia!"
"Capisco il tuo rancore, ancora io non mi sono ripreso del tutto... Ma dato che abiti a Pasadena, mi domandavo se per caso conoscessi la famiglia McLow... in particolare Juliet McLow, o magari il suo fidanzato, Tony Romeo."

Sam alzò lo sguardo di scatto, fissando i miei occhi per un breve istante, poi diede un'occhiata sfuggente al suo orologio e spaziò con lo sguardo per la stanza, mentre si passava con falsa disinvoltura una mano tra i capelli sopra la nuca.
Questo mi fece pensare che volesse trovarsi improvvisamente in un altro luogo.
"Beh... Juliet e Tony, si... frequentiamo lo stesso istituto. Dopo la storia dell'incendio però ci siamo persi di vista... Se non ricordo male Tony è ancora in carcere. Mio padre è abbastanza fiscale sulla buona opinione della famiglia, non vuole che il nostro nome sia compromesso dagli scandali... "
"Come tutte le brave personalità di Los Angeles!"
Conclusi io con un sorriso rassicurante.
Sam non mi aveva mentito, non aveva negato di conoscere Juliet e Tony, ma non mi convinceva molto la reazione che aveva avuto. Di certo quella domanda fuori programma lo aveva spiazzato.
"Se non c'è altro, io andrei..." Esclamò allora lui, tornando ad alzarsi.
"Ancora una cosa... Per caso sai di avere un parente, forse un nonno... di nome Samuel Jefferson che prima abitavano a West Adams?"
"Si, prima i miei nonni paterni abitavano lì. Mio padre è cresciuto in quel quartiere, perchè?"
"Tuo nonno era mio amico... Una volta, mi ha fatto un favore e credo proprio di averglielo restituito, aiutando te. Se dovessi avere bisogno di qualcosa, Sam, puoi chiamarmi. "
Gli passai uno dei miei bigliettini da visita e lo salutai.
"Certo... Grazie ancora Mick!" Il sorriso di Sam tornò a brillare sulle sue labbra, mentre mi stringeva la mano per la seconda volta, prima di andare via.
Avevo in mente un'altra visita da fare, ma dovevo andarci da solo.
Congedai Logan chiedendogli di farmi qualche ricerca su questo tale Sebastian che Sam aveva nominato e Roger pensò bene di accompagnarlo al rifugio tanto per impicciarsi di più, ma si trincerava sempre dietro al consiglio ed era impossibile allontanarlo definitivamente senza indignare qualche pezzo grosso della comunità.
Io comunque rientrai nella mia auto, facendo rotta verso casa di Simone. Mentre guidavo, speravo con tutto me stesso che Beth mi stesse pensando. Più volte avevo avuto voglia di chiamarla ma tutte le volte che guardavo il display, mi pentivo di averlo pensato.
Se avessi tentato, avrei corso il rischio di allontanarla ancora di più ed era l‘ultima cosa che volessi fare.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** terza parte ***



**************************
8.
BETH'S VOICE OVER


Una volta fuori dall'ufficio di Ben, le lacrime presero a scendermi dalle guance senza che io avessi la forza per oppormi. Ma in fondo non volevo nemmeno oppormi, volevo piangere, piangere come una bambina.
E avevo bisogno di andare lontano da quella città che credevo amica, che credevo casa mia, ma che troppi segreti nascondeva alle mie spalle e in cui troppe persone...ma non persone...troppi esseri, lottavano in guerre che non mi appartenevano, ma in cui mi ero ritrovata coinvolta.
Troppi esseri...sei cattiva Beth, Mick è un uomo...è un uomo così reale...è un uomo che ti ama. Ti ama come nessuno ti ha mai amata....e tu lo hai ferito a morte.
Per la prima volta avevo davvero paura dei miei sentimenti e volevo solo fuggirli.
I singhiozzi aumentarono, entrai in macchina e cercai di calmarmi, perchè guidare nelle condizioni in cui ero non era una bella idea, ma girai lo stesso la chiave nel cruscotto, facendo svegliare il motore.
Respirai piano, assecondando il dolore che sentivo e stringendo i denti, abbassai il finestrino e partii.
Ma piano, con calma. Non dovevo combinare pasticci come al solito, dovevo solo andare nell'unico posto dove sarei potuta tornare ad essere me stessa.
Dove l'unico vero mostro era l'idea di una donna malata di mente che ventitre anni prima aveva rapito una bambina.
Dovevo andare da mia nonna.
Lì sarei tornata la Beth che ero un tempo, nonostante adesso conoscessi tutti i mostri del mio passato, nonostante avessi nuovi mostri da affrontare nel mio presente, accompagnati dalla certezza che avrei dovuto affrontare nuovi mostri, forse più pericolosi, nel mio futuro.
Non importava, lì non importava nulla che non fossi io.
Null'altro che non fosse me: Beth.
Un sorriso triste mi accarezzò timidamente le labbra mentre svoltavo, seguendo la strada che facevo tutti i giorni di festa della mia vita.
La radio e l'aria del finestrino mi aiutarono a mantenere gli occhi sgombri dalle lacrime che volevo versare e senza nemmeno sapere bene come, tirai un sospiro di sollievo, una volta arrivata nella stradina, quando spensi il motore davanti la villetta col portico, di mia nonna.
Presi la borsa dal sedile posteriore e chiusi la macchina, avviandomi sul vialetto di ghiaia costeggiato dalle aiuole a cui la nonna dedicava in pratica tutta la sua vita.
E finalmente bussai alla porta cercando di sorridere più che potevo.
"Beth!"La nonna sorrise aprendo la porta e abbracciandomi.
"Ciao Nonna." Dissi sorridendo tristemente.
Lei si rese conto subito che qualcosa non andava, dopotutto mi aveva cresciuta quando anche la mamma se ne era andata.
"Beth, bambina mia, che ti succede?" Sorrisi ancora amaramente e alzai le spalle.
"Posso passare la notte qui?" Sentii distintamente il dolore farsi più pungente.
La nonna premurosamente, mi fece entrare e mi pilotò poi fuori, alla veranda sul retro, dove iniziò i suoi riti di consolazione.
E io la lasciai fare, sentendo subito il calore di quei gesti così familiari ammansire il mio turbamento e il malessere che mi lottavano dentro.
La guardai con riconoscenza, mentre mi faceva sedere sul dondolo e mi avvolgeva con la morbida coperta di lana, la coperta che sua mamma le aveva fatto. Poi, mentre prendeva ad accarezzarmi i capelli, spettinandomeli con le dita dolcemente, mi esortò a parlarle e a confidarmi con lei.
"Dai, Tesoro, dimmi cosa c'è, che non va. Mi sembravi così felice durante la tua ultima telefonata! Hai qualche problema con Mick?"
Strinsi le labbra che avevano iniziato a tremare per i singhiozzi e pensai ad un modo di dirle cosa sentivo, senza metterla in pericolo e senza tradire ancora di più Mick.
"Ho fatto una cosa molto brutta, Nonna..."
"Cosa, amore?"
"Mi sono fidata di una persona che credevo mio amico, io lo credevo davvero... Lui voleva proteggermi, ma questo mi ha fatto litigare con Mick. Sai che fa l'investigatore, beh... anche io sto lavorando, spesso ci troviamo sugli stessi casi... è solo che...non lo so... è difficile da spiegare."
"Non devi spiegarmi tutto, dimmi solo perchè piangi."
"Ma io non voglio piangere!"

Avvertii che stava sorridendo, mentre pronunciavo quelle parole.
"Piangere è il modo migliore per liberarsi dal dolore, è lo sfogo perfetto per definizione e fai bene a piangere, se stai male, ma vorrei capire il perché, Tesoro."
"Piango perchè ho lasciato Mick sulla porta di casa sua senza una spiegazione valida, senza un motivo preciso... e sono sicura che lui sta soffrendo."
"Ma tu avevi un motivo per farlo?"

Io annuii pensando alla microspia e a quanto avevo rischiato di metterlo in pericolo.
"E questo motivo coinvolge quel tuo amico?"
"Ben..."
Anche se non potevo vederla, ero sicura che la nonna avesse aggrottato le sopracciglia, stranita.
"Allora la faccenda è seria, ma si risolverà." Aggiunse lei comprensiva, con un sorriso tirato e un po' spento.
"Ho ferito entrambi."
"Pensi che Ben col suo gesto volesse ferirti, o ferire Mick?"
"Non lo so... è questo che..."
"E' questo il problema che riguarda Ben? Non sai più se puoi fidarti di lui a causa di quello che ha fatto, giusto?"

Ecco da chi avevo preso la passione per l'investigazione.
"Già..." Ammisi sinceramente.
La nonna sospirò e continuò la sua opera coi miei capelli, iniziando ad intrecciarli con amore. Funzionava, ero molto più rilassata e parlavo con tranquillità della cosa.
"E il problema con Mick, allora, qual è?"
E quello fu il mio turno, a sospirare.
"Il mio lavoro lo mette in pericolo."
Un‘altra volta...
Cercavo di trovare una bugia decente, ma la nonna scoppiò a ridere e mi fece alzare, guardandomi negli occhi come solo lei sapeva fare.
"Beth, amore... Io non conosco questo Mick, se non attraverso quelle foto che mi hai mandato e quello che mi hai raccontato di lui, ma mi è sembrato un uomo forte e assennato, e fa l'investigatore... pensi davvero che il modo migliore per proteggerlo, sia allontanarti da lui?"
Mi morsi un labbro, abbassando lo sguardo. Non vidi il sorriso malizioso che aveva incurvato le labbra della nonna e lei continuò quel suo discorso pieno di verità.
"Bambina, ascoltami... ho qualche anno più di te e so cosa vuol dire condividere la vita con un uomo. Qualunque sia il motivo... il vero motivo per cui te ne sei allontanata, a prescindere dal tuo datore di lavoro, credo che tu dovresti parlarne con lui. Sei una donna forte, ma Tesoro, la vera forza, è quella che un uomo e una donna hanno insieme, quando si amano. Solo insieme possono fare grandi cose!"
Alzai le spalle confusa, mentre il tramonto stava già dipingendo i suoi colori rossastri nel cielo.
All'improvviso il mio stomaco brontolò, ricordandomi che non avevo pranzato e la nonna rise ancora alzandosi, per poi coprirmi premurosamente bene con la coperta.
"Aspettami qui." Si raccomandò dolcemente mentre si dirigeva in cucina.
Tornò dopo qualche minuto posandomi una tazza di tè in mano.
"Tu resta qui e rilassati, io penso a preparare la cena. Rifletti su ciò che ti ho detto, Elizabeth."
Sorrisi per ringraziarla del tè e mi voltai verso la finestra della cucina.
La guardai armeggiare con le pentole per la cena mentre ripensavo a come me ne ero andata, a come avevo lasciato l'uomo che amavo, lì sulla soglia di casa sua, a pensare che per uno stupido finto bacio, per una stupida vampira bionda, io avessi avuto dubbi sul sentimento che ci legava.
Che brava attrice che sono e che sciocco che sei stato, Mick... come hai potuto pensare che io avessi dei dubbi su di te? Su quello che provo? No. No amore mio, non me ne sono andata perchè hai dato un finto bacio a quella serpe, me ne sono andata perchè sono stata una stupida... perchè mi sono fidata troppo di Talbot e ho lasciato che mi usasse!
Mi asciugai gli occhi, cercando di frenare i singhiozzi che minacciavano ancora una volta di esplodere incontrollati e non volevo piangere ancora davanti alla nonna.
Mick come potrai mai perdonarmi? Per colpa mia sospettano di te... e forse dovrai andartene...dovrai lasciarmi prima del previsto... e io non voglio... è colpa mia... è solo colpa mia!
Affondai il volto nella coperta che mi avvolgeva e mi lasciai andare all'ennesimo pianto.
La nonna mi aveva detto che facevo bene a piangere, che il pianto era uno sfogo, ma non era così, sapevo di essere sola, non c'era nessuno che potesse aiutarmi, non potevo parlare con nessuno delle mie vere pene, nemmeno con lei che tante volte mi aveva aiutata. Anche lei doveva ascoltare una bugia.
Ricordo ancora il suo volto stupito quando subito dopo che venni rapita, andai a dormire da sola, senza nessuna paura.
Anche in quel momento in cui piangevo, quel ricordo mi faceva sorridere, forse più delle altre volte.
Nonna, sono riuscita a dormire da sola perchè sentivo che il mio Angelo Custode mi era vicino. Sentivo il suo amore e la sua calda ombra vegliare su di me, lui mi ha sempre protetta... mi ha sempre difesa, e io non ho saputo ricambiare il favore... sai Nonna, il mio capo sta indagando su di lui, forse sospetta che lui sia un vampiro... si nonna, l'uomo che amo in realtà è un non-morto che beve sangue che compra all'obitorio! Oh, ma dovresti conoscerlo, nonna... è il cadavere più bello e sexy che giri a Los Angeles, ma è anche la persona più buona che io conosca... Io lo amo e l'ho messo in pericolo. L'ho messo in pericolo perchè mi è piaciuto sentirmi contesa fra due fuochi, perchè ho voluto fare la prima donna, perchè mi sono fidata di qualcuno di cui in realtà non avrei mai dovuto... perchè, nonna, io avrei dovuto saperlo! Si, avrei dovuto saperlo, perchè dal primo secondo che si sono incrociati, non si sono piaciuti, ma a me cosa importava? Io avevo l'ammirazione e la stima di entrambi! Mi sentivo speciale! Mi sentivo più donna e in tutto questo, quello che mi brucia di più è che Ben mi piaceva... Lo trovavo un tipo affascinante e ho anche pensato che se Mick non ci fosse stato... OH, CHE IDIOTA!
"Beth! smettila, così ti farai male!"
Guardai mia nonna. Aveva ragione, dare testate sul mio ginocchio, seppur avvolto nella coperta, non era un buon modo per risolvere la cosa.
Mick... ti prego, perdonami... ti giuro che io amo solo te e che farò di tutto per rimediare a quello che ho fatto. Ho solo bisogno di tempo per capire come, per tornare ad avere la forza. Devo essere sicura che non ti metterò più in pericolo... Perché ti amo.
La nonna sorrise come se potesse ascoltare i miei pensieri, prendendo la tazza ormai fredda dalla mensola della finestra su cui nemmeno ricordavo di averla appoggiata e mi aiutò a scendere dal dondolo.
"Vieni a mangiare, Cara..."
Seguii la nonna in sala da pranzo e cominciammo a mangiare in silenzio
"Credi davvero che dovrei parlarne con lui? Io davvero non posso dirglielo, il perchè, nonna. Cioè, forse posso... ma non voglio, altrimenti..."
Altrimenti ammazzano il mio capo e io mi ritrovo senza un “amico“, oltre che disoccupata!
La nonna per tutta risposta, scosse la testa.
"Beth, parlare, per quanto possa essere difficile, è sempre la via più semplice per risolvere i problemi. Mentendo percorri la strada più comoda, ma non fai altro che aggiungere problemi su problemi."
E a quelle parole anche la mia testa si mosse.
"No, c'entra il caso, nonna. Se parlassi con Mick, metterei in pericolo Ben e viceversa... parlare con Ben significherebbe mettere a rischio Mick."
La nonna stavolta annuì.
"Allora spiegagli tutto, omettendo i particolari che metterebbero a rischio il tuo amico. Ho detto che la strada più facile è parlare ed essere sinceri, ma noi donne dobbiamo anche saper parlare!" Mi consigliò sorridendo furbescamente. "Beth, quello che sto cercando di farti capire è che è davvero inutile che entrambi restiate separati e soffriate, quando potreste stare insieme ed essere felici! Se vi amate sul serio, queste cose si supereranno, ma sempre e solo insieme! Non puoi rischiare che per un caso la tua vita con lui vada a farsi friggere, lo capisci?"
Aveva ragione. Mick era mio. Mio e di nessun’altra, al contrario di quello che Cindy, Coraline e molte altre come loro, speravano.
E in quel momento realizzai quanto ero stata sciocca a non aver avuto la forza di rispondere per le rime a quella papera bionda succhiasangue come meritava.
Eccola, Beth Turner... eccola qui. Dissi a me stessa sorridendo e dallo sguardo che vidi negli occhi della nonna capii che anche lei lo aveva notato.
Non importava. Il mondo intorno a noi, poteva anche cadere a pezzi, ma io e Mick saremmo rimasti insieme.
"Hai ragione nonna, domattina vado a riprendermi il mio uomo."
E lei sorrise, fiera e orgogliosa.
Bentornata, Beth Turner.

**********
9.

MICK'S VOICE OVER


Quando arrivai sotto casa di Simone, chiudendo la portiera cercai inutilmente di lasciare dentro l'abitacolo tutto il mio malinconico struggimento.
Quando bussai, lei mi aprì facendo una piacevole espressione sorpresa.
"Mick! Che bello vederti! Entra!" Si affrettò a farmi segno di accomodarmi mentre Juliet accorreva alla porta.
"Mick? Oh Mick, sei davvero tu!" Non mi aspettavo un'accoglienza così calorosa, ma Juliet mi saltò letteralmente al collo per posarmi un tenero bacio sulla guancia.
Per un attimo restai spiazzato da quel modo incredibilmente travolgente di fare, tipico di un'adolescente come Juliet.
Era felice e questo mi rendeva sicuro che ci fossero buone notizie riguardo a Tony. Ma il suo viso dolce, sebbene sorridente, sembrava velatamente preoccupato.
"Abbiamo saputo quello che ti è successo, però ora stai bene, vero?"
Beth mi aveva lasciato un vuoto incolmabile, ma mi sentivo lusingato da quelle sue premurose attenzioni.
"Si Juliet, grazie, sto bene ora. Mi rimetto in fretta!"
Stavo bene fisicamente, o meglio il mio malessere non derivava dall'argento della B.M. ma questo nè Juliet nè Simone potevano saperlo. Potevano solo tentare di interpretare il mio sguardo velato di tristezza, mentre cercavo di aprire il più possibile il sorriso sincero che mi era spuntato sulle labbra, per la prima volta dopo che Beth se n'era andata.
"C'è qualcosa che non va, Mick? Posso offrirti un drink, mentre ci spieghi il perchè della tua visita?" Anche Simone parlava sorridendo, ma sentivo dentro di me che condividevamo lo stesso silenzioso e dilaniante turbamento.
"Si grazie, sei molto gentile..." Avevo accettato perchè non avevo toccato cibo per tutto il giorno e cominciavo a sentire un po' di languidezza. Non avevo voglia di passare da casa dove, ero sicuro, mi sarei lasciato prendere dalla malinconia e dalla tentazione di telefonarla e di implorarla di tornare.
"Vado io!" Si offrì volontaria Juliet, saltando su come un grillo e sparì in cucina.
Ne approfittai per accostarmi a Simone e porle l'unica domanda che non potevo farle davanti a Juliet.
"E tu, come stai? Hai più visto Josef?"
Simone sospirò a fondo chiudendo gli occhi per un istante come se quelle parole le avessero tolto il fiato.
Capivo esattamente come si sentisse. Eravamo due specchi rotti che potevano riflettere solo un’immagine distorta e frammentata della realtà circostante.
"A dire il vero non l'ho nemmeno sentito, dall'altra notte, quando ti hanno ferito... Più tardi lo chiamo io. Ho aspettato anche troppo. Se proprio dobbiamo rompere, vorrei prima chiarire delle cose con lui... Cose che non ho avuto il coraggio di dirgli." Imbarazzata dalla propria sincerità, Simone distolse lo sguardo dal mio.
"Mi dispiace, vedrai che ti spiegherà, non è un bel momento per lui..."
"Eh si, lo so... E Beth? Immagino che tra voi vada tutto a gonfie vele. L'ultima volta che ci ho parlato era molto più pacata di me, più sicura... Mi ha lasciato senza parole sai? Lei si fida ciecamente del vostro rapporto."
Forse nella sua voce c'era anche una punta d'invidia del tutto perdonabile.
Ero rimasto incantato ad ascoltarla, mentre parlava di lei. E di noi. A giudicare dall’ultima reazione che Beth aveva avuto con me, non mi sembrava affatto come l'aveva descritta lei.
E pensai che doveva essere successo per forza qualcosa, qualcosa che mi era sfuggito e che invece avrei dovuto notare. Qualcosa che aveva ferito Beth nel profondo, più di un semplice bacio rubato.
I dolcissimi occhi nocciola di Simone carpirono l’azzurro vitreo del mio sguardo in quel momento di profonda debolezza, in cui annuii sconsolatamente senza fiatare. Ma non potemmo approfondire quell'argomento perchè Juliet tornò con il mio bicchiere di sangue fresco e io mi preparai per rientrare nel mio ruolo di investigatore e farle le domande per cui mi ero presentato da loro.
"Juliet, come sta Tony? Quando esce?" Le domandai prima di dare un sorso profondo al mio drink, deviando completamente il discorso.
"Oh, Tony dovrebbe uscire domani! Su cauzione, se tutto va come previsto all'udienza... Vero Simone?" Juliet era raggiante e Simone annuì con decisione cercando di mantenere vivo quel suo entusiasmo. Ma era ben chiaro ai miei occhi quanto facesse fatica a sembrare felice.
"Sono molto contento per voi due... Senti Juliet, sono passato perchè avrei bisogno di alcune informazioni. Sai che ho salvato dalla Black Moon un ragazzo della tua età?"
Juliet annuì lentamente alzando un sopracciglio. Sapeva che la domanda impegnativa stava per arrivare.
"Penso che tu lo conosca. Si chiama Sam Jefferson... Ti dice niente?"
"SAM? Oh cavolo..."
L'euforia di Juliet si spense sentendo quel nome.
"Si, conosco Sam... Purtroppo."
"Perchè, purtroppo?" Domandai incuriosito.
"Sam era molto amico di Tony... o meglio, si è finto suo amico. Poi ad un certo punto ha deciso di mettersi contro di noi, ha tradito la nostra fiducia. Una sera ad una festa, ha scoperto il mio segreto... ha voluto sapere tutto, di noi, del nostro mondo... Tony si è fidato e si è fatto promettere da lui il silenzio e invece Sam si è documentato per conoscere altri vampiri. Così Tony ha discusso animatamente con lui, ma Sam non si è fatto convincere e ha chiesto di essere abbracciato. Ci aveva promesso che non lo avrebbe mai fatto, invece... Ora è un vampiro. Ma questo lo sai già."
"Si... lo è e non sta affatto simpatico alla B.M." Spiegai raccogliendo con la lingua il sangue che mi era rimasto sul labbro inferiore. E poi mi venne in mente una domanda che non avevo pensato di fare a Sam, quando era stato il momento.
"Sai per caso chi è il suo sire?"
Juliet ci pensò su qualche secondo poi rispose con voce sicura.
"Credo proprio che sia Bastian."
Quel nome mi rimbalzò in testa per qualche secondo, lasciandomi a bocca aperta.
"Bastian? Sta per caso per Sebastian? Sebastian von Lavdol?"
"Lavdul, Sebastian Von Lavdul... bella bestia, quello!"
"Tu lo conosci?"
Domandai stupito.
"Certo che lo conosco, Mick! Tu... forse tu sei troppo anziano per questo genere di cose, ma Bastian è un tipo mondano, adora stare in mezzo ai ragazzi, sa come conquistarli e soprattutto non passa mai di moda... Lui è davvero un personaggio particolare, molto carismatico... Sam si è fatto suo servetto e ha ottenuto l'immortalità. Ora capisci perchè io e Tony ci abbiamo litigato? Non ti fidare di quel viscido ragazzino viziato! Sotto quel sorriso e quello sguardo innocente, c'è un vampiro pronto a vendersi gli amici! Qualunque cosa ti abbia detto, scommetto che mentiva." Alzando gli occhi al soffitto, mi sfuggì uno sbuffo.
"Juliet... io. Sono senza parole. Dimmi tutto quello che sai su Bastian, dovrò fare una visita a questo tipo..."
"E' meglio se ci vai con Josef. Dopo l'ultima volta, non andare da solo! Io ci tengo al mio amico Mick dagli occhi dolci..."
Mi fissò intensamente, lasciandomi una tenera carezza sulla guancia e quel gesto così semplice, ma adorabilmente carico di affetto, mi ricordò la carezza consolatoria che Beth mi aveva dato in macchina, davanti alla casa di Jacob.
Era capace di sciogliere in un istante lo strato protettivo di gelo che avevo tentato disperatamente di issare per celare le mie emozioni.
"Si, starò più attento e mi porterò Josef." Confermai lanciando un'occhiata complice a Simone che raccolse il mio sguardo con un sorriso accennato.
Poi le salutai in tutta fretta per dedicarmi alla mia nuova ricerca.

Una volta fuori dall’appartamento di Simone, chiamai Logan. Parlava a voce bassa nonostante sentissi una musica altissima.
"Logan, che diavolo combini?Abbassa questa musica! Hai cercato informazioni su Sebastian Von Lavdul?"
"Si, Mick... Scusami, ma non posso fare altrimenti... Allora, ho due notizie per te. Una bella e una brutta, quale vuoi sentire prima?"
"Voglio la brutta..."
Affermai chiudendo gli occhi per un istante.
Tanto ormai... Peggio di così.
"Come vuoi. Sebastian ha mantenuto sempre lo stesso nome, ma ha cambiato cognome parecchie volte, usando anagrammi del suo vero cognome... Che è DuVall." Dopo quell’attimo brevissimo di esitazione Logan aveva deciso di dirmi tutto senza mezzi termini.
E in effetti quella fu una vera, sconcertante sorpresa. Mi ci volle un po’ per rendermi conto di quello che avevo appena sentito. Aveva scoperto che Sebastian era uno dei fratelli di Coraline e di Lance. Era uno dei sette fratelli di cui la mia ex moglie mi aveva raccontato.
Aveva ragione Logan, era una pessima notizia.
"DuVall? Ne sei proprio sicuro?"
"Si Mick, questo tipo è molto famoso nel mondo degli adolescenti. La prossima notizia non so da che parte metterla, perciò te la butto nel mezzo... Ha prenotato un volo per Parigi per dopodomani pomeriggio... Non credo che riuscirai a trovarlo in tempo. E potrebbe essere un bene, ancora non sei in forma."
"Questo è da vedere... E ora vai con la buona."
Risposi a tono.
"La buona è che ho una foto presa dal suo facebook, l‘unica rintracciabile... Ora te la mando per MMS. Ah Mick, Roger è ancora qui, non sono riuscito a mandarlo via. Tra l’altro sono convinto che abbia più informazioni di noi, ma non c’è verso di farlo sbottonare... Cosa facciamo? "
Ora capivo perché aveva la musica a tutto volume.
"Andiamo da Josef, forse lui saprà darci qualche dritta. Conoscerà sicuramente Sebastian. Fatti accompagnare lì, ci vediamo fuori dal suo edificio."
"Stai dicendo... dici sul serio? Da Josef Kostan? Alle Kostan Industries? Fantastico! Ok a dopo!"


image




**************************
10.

"Buongiorno Signor Kostan!"
"Buongiorno Lara, ci sono messaggi per me?"
"Si Signore, e diversi sono di Miss Walker... la prega di richiamarla appena possibile."

Josef afferrò senza fiatare, i foglietti che Lara gli porgeva prontamente con le sue delicate mani ben curate.
Quando l’aveva assunta come segretaria, era rimasto affascinato dal colore della sua pelle, di un nocciola intenso, così compatto tanto da sembrare di pura seta.
I suoi occhi dal contorno dorato e dalla forma morbida ma ben allungata, adornati dalle ciglia sottili e tirate all’insù che gli ricordarono subito quelli di un felino, avevano rapito all’istante il suo sguardo.
Era la più bella ragazza dalla pelle scura che avesse mai incontrato, ma Lara si era dimostrata anche una efficiente collaboratrice, nonostante lui fosse un capo molto esigente.
Alle sue parole cortesi, accennò solo un sorrisetto comprensivo dei suoi e si infilò nell'ascensore per raggiungere il suo piano.
Quando le porte scorrevoli si riaprirono, a grandi passi si direzionò alla sua imperiosa scrivania scura, si accomodò sulla sua poltrona e prendendo il telecomando dal cassetto, accese i suoi preziosi monitor.
Poi aprendo il giornale del giorno che Lara gli aveva fatto trovare, controllò l'andamento delle borse.
Dopo una rapida occhiata per confrontare i dati, notò con soddisfazione che i conti erano perfetti e che le sue azioni erano ben posizionate.
A quel punto si dedicò a controllare i messaggi telefonici che gli erano stati passati e presi in mano i bigliettini, cominciò a scartabellarli con attenzione.
Alcuni erano dei suoi azionisti a Boston e a Washington. Uno era di un suo socio in affari del nord Europa e tre erano di Simone, come Lara gli aveva preannunciato.
Voleva che la richiamasse al più presto e sapeva bene perchè. Era sparito completamente dal giorno prima, quando la mattina, all'alba, era piombato in casa sua per dirle che non avrebbe mai dovuto chiedergli di abbracciarla.
Da quando lo aveva fatto, aveva avuto un vero e proprio rifiuto del pensiero di Simone.
La fuggiva, forse perchè ogni volta che pensava a lei provava una strana fitta al cuore.
Pensava di doverla allontanare prima che quella storia prendesse una brutta piega e diventasse troppo importante per lui.
Se lo era ripromesso, le freshies erano principalmente un modo divertente con cui distrarsi, fare un aperitivo e attenuare il dolore della perdita di Sarah.
Nessuna mortale era contemplata come appuntamento fisso nell'agenda e da un po' di tempo il nome di Simone era ovunque e prima di tutto stampato nella sua testa.
Il fatto che ne avesse parlato con me e che fosse saltato fuori l’argomento “abbraccio” costituiva un forte scossone alle solide certezze che rappresentavano i pilastri portanti della vita di un vampiro secolare come lui. Non era stato un problema fino a che qualcuno non gli aveva ricordato che aveva commesso un grave errore che non si era ancora perdonato.
Al rimorso per ciò che era successo a Sarah c’era da aggiungere la scoperta traumatica che la Legione era di nuovo in movimento e aveva cominciato a fare vittime, o a tentare di farne, come nel mio caso.
Questo gli aveva fatto fare un decisivo passo indietro.
Josef infilò la mano nella tasca per riprendere il suo samsung e lo posizionò davanti a sè con lo sguardo turbato.
Per un attimo aveva pensato di chiamarmi per sapere della microspia e per chiedere se avessi bisogno d'aiuto.
Ma poi agitò una mano in aria davanti a sè come a voler scacciare quel pensiero idiota che gli era venuto.
"Ah Mick! Sei abbastanza grande per cavartela da solo e io non sono di certo la tua balia! E poi se ti serve aiuto, chiamerai tu o ti vedrò arrivare alla mia porta come fai sempre... Maledizione dove diavolo ho messo la mia Montblanc?"
Si tastò il taschino e si ricordò di averla messa nella tasca interna della giacca.
La recuperò e annotò la risposta da inviare per fax al suo socio in Europa. Poi gli uscì un profondo sospiro di liberazione e si appoggiò allo schienale, abbandonandosi al relax.
Era la sua mente instancabile che continuava ad arrovellarsi sullo stesso argomento.
Si prese ancora qualche minuto di riflessione, tamburellando con le dita sulla scrivania e ad un tratto pensò che aveva bisogno di uno spuntino.
"A stomaco pieno si ragiona meglio!" Disse a se stesso a voce alta, facendo leva sulle braccia per alzarsi.
E si avvicinò al minibar per versarsi un bel bicchiere di AB negativo e sorseggiarlo con calma, mentre tornava a sedersi.
Ma ad un tratto, alzò la testa avvertendo la presenza di un'altra persona sul piano che stava per bussare alla sua porta.
"Entra pure..." La autorizzò alzando la voce mentre appoggiava delicatamente il bicchiere di cristallo sul legno pregiato della scrivania.
Cindy si affacciò socchiudendo la porta e ammiccò per salutarlo.
"Cindy! Ti credevo da Logan..." Josef cercava di trattenere un sorriso del tutto spontaneo che avrei definito preoccupante.
"Ciao Josef... Sono passata per chiederti una cosa. Disturbo?"
"No, sono solo, per ora... E' un piacere rivederti."
Le ultime due parole, Josef le aveva appena sussurrate, perchè si era accorto subito dello sguardo diverso che gli stava riservando la vampira.
Era famelica.
"Non dirmelo, è per la storia della microspia e Mick sta arrivando, immagino..." Ipotizzò, mentre le sue dita iniziavano a giocare con la penna che aveva tra le mani.
Ma Cindy scosse la testa, agitando i suoi lunghi capelli biondi.
"No, Mick è ancora convalescente, sarebbe una crudeltà costringerlo a pedinarmi, non ti pare? Oggi sono senza segugio alle calcagna... Volevo approfittarne per parlarti da sola e accertarmi che tu stessi bene."
Josef non riuscì a controllare un'espressione di stupore mentre replicava prontamente, lasciando scivolare la penna via dalle sue dita.
"Ehi, ma io sto bene... E' Mick quello che è stato ferito! Non credo di dovertelo ricordare."
"No... infatti. Posso entrare?"
Replicò lei per nulla scomposta da quella risposta.
Josef le fece segno di avvicinarsi senza alzarsi dalla poltrona, ma appena Cindy varcò la porta, si rese conto con un brivido di quanto fosse sexy.
Si era cambiata, rispetto a quando l'aveva incontrata a casa mia.
Ora aveva un grazioso tailleur di giacca e gonna blu con una scollatura che lasciava intravedere il suo reggiseno ricamato.
Gli si avvicinò ancheggiando, agitando il suo telefonino e quando si chinò verso di lui per mostrargli la foto che aveva sul cellulare, Josef fu totalmente rapito da quelle rotondità accattivanti che sporgevano piacevolmente dai vestiti, esponendosi al suo sguardo.
"Vedi questo segno? Era quello sul sito della Black Moon. Sei sicuro di conoscerlo? Perchè io non ne avevo mai sentito parlare... Insomma, è vero che sei più vecchio di me di un secolo, ma... Josef? JOSEF! Hai capito cosa ti ho chiesto?"
Josef si destò dal suo stato assorto, alzando gli occhi verso il suo viso e annuì con decisione, ma rispose in tutta sincerità.
"No... non ho sentito niente. Che cosa hai detto?"
Cindy si sciolse in un sorriso comprensivo, ma ne approfittò per sgridarlo.
"Josef Kostan! Se guardassi il display invece di tenere d'occhio la mia scollatura, forse capiresti di che parlo..." Lo rimproverò. Ma fingeva spudoratamente e questo non sfuggì a Josef.
"Si certo... la Black Moon..." Le sfilò il cellulare dalle mani con scatto preciso e Cindy ne approfittò per chinarsi ancora di più su di lui e sfiorargli la mano per una carezza, mentre toccava lo schermo e ingrandiva la foto.
"Cindy... Scusa ma non mi interessa assolutamente niente della B. M. in questo momento." Sussurrò lui con tono un po' urtato, irrigidendosi e posando il cellulare accanto al suo.
E Cindy si accigliò.
"Sei nervoso anche tu? Si può sapere cosa vi prende in questo periodo? C'è qualche virus che colpisce i vampiri maschi sessualmente eccitati?"
Mentre lo diceva, avvertirono il samsung di Josef vibrare sulla scrivania e abbassando entrambi gli occhi sul display, lessero il nome di Simone.
"Fammi indovinare... Una delle tue Freshies? Ecco cosa vi rende nervosi... Il contatto con le mortali! Sono altamente deleterie!"
Josef guardò Cindy stancamente, poi lanciò un'occhiata sfuggente al cellulare.
"Avanti, rispondi... ti lascio alla tua privacy!" Protestò lei allontanandosi di qualche passo e prendendo il bicchiere che lui aveva lasciato a metà, sorseggiò lentamente.
Josef seguì con lo sguardo quel suo ennesimo gesto provocatorio e invece di rispondere, afferrò il telefono e lo chiuse nel cassetto con una mossa molto rapida.
"No. Smetterà prima o poi..." Spiegò calmo come tutte le volte che sapeva di fare qualcosa di sbagliato, ma sentiva di doverlo fare.
Josef aveva un'alta capacità di autogiustificarsi. Il suo sistema di vita era molto machiavelliano.
Nel Kostan pensiero, il fine giustificava sempre i mezzi, leciti o meno.
E Cindy approfittò come al solito di quella politica per raggiungere il suo scopo.
"Povero Josef..." Esclamò con voce compassionevole riponendo il bicchiere ormai vuoto e passandosi un dito sulle labbra cremisi.
Vedendolo in crisi, gli tornò vicino e gli posò un bacio sulla guancia che non era affatto innocente. Perchè fu solo il primo di una lunga serie che si stava facendo sempre più invadente sul suo collo, fino al colletto della camicia.
Josef socchiuse gli occhi in quel momento di smarrimento, in cui il razionale stava lentamente cedendo il passo all'istinto.
Poi però ebbe un ultimo impeto di autocontrollo e portandosi la mano ad assestare il nodo della cravatta, si scansò da lei e si alzò di colpo dalla poltrona, sfuggendo a quei baci ardenti.
Una volta in piedi, Cindy si sollevò sulle punte dei piedi e gli buttò le braccia al collo.
"Cindy..." Cominciò Josef con un po' di incertezza nella voce.
In realtà Cindy cercava di farsi perdonare a modo suo, ovvero strofinandosi contro di lui come ben sapeva fare e con la consapevolezza dell'effetto che provocava.
Davanti a lei, Josef cercava di rimanere al suo posto, ma indubbiamente lottava con sentimenti contrastanti. E Cindy capiva perfettamente che lo stava torturando.
I suoi occhi languidi di un azzurro intenso ammirarono estasiati il loro riflesso in quelli lucidi, dall’iride castana a raggi dorati del vampiro. Erano così espressivi da riuscire ad urlarle nel silenzio quello che soffocava faticosamente nel cuore.
"Scusa Josef... Non dire nulla, lo so, ora me ne vado. Sono proprio una cattiva ragazza! E' che non sopporto di vederti stare così... Hai bisogno d'aiuto! Sono una profiler e certe cose le so vedere, pur senza conoscerti bene quanto il nostro investigatore preferito! E dato che Mick non se ne rende conto... L'ho visto bene, è troppo distratto dalla sua umana. Io invece, potrei fare qualcosa per farti stare meglio, signor Kostan... Ma solo se tu me lo lascerai fare."
Gli passò un dito sul viso per accarezzargli le labbra mentre i loro respiri si sfioravano.
"Ah si?" Chiese Josef con lo sguardo lucido, meravigliato da quella dichiarazione che lo toccava nel profondo.
Sapeva di essere in pericolo, eppure si stava lasciando avvinghiare e Cindy presto lo avrebbe chiuso tra le sue spire senza lasciargli possibilità di fuga.
"Io credo che tu abbia bisogno di un po' di compagnia, Josef... E io so ascoltare gli uomini. Potremmo approfittare di questo momento di intimità per approfondire la nostra conoscenza..."
Gli si era avvicinata ancora di più e schiudendo le labbra carnose aveva fatto un sospiro di cui Josef sentì tutto il calore sul mento.
Un istante dopo era già poggiata a lui e prendendo l'iniziativa, gli stava sfilando la giacca via dalle spalle.
"E' un'ottima idea, sai?" Josef aveva cominciato nel peggiore dei modi e non avrebbe finito meglio, nonostante per un attimo avesse rivisto la mia faccia con espressione tirata che gli ripeteva severamente "Stai lontano da lei, Josef...Non mi fido!"
Quel pensiero lo fece tentare di tirarsi indietro, ma con scarse possibilità di successo.
"Allora cosa aspettiamo?" Sussurrò lei maliziosamente.
"Ma qui? Ora? Ho del lavoro da fare e sono parecchio indietro..."
Quella non era un'argomentazione capace di fermare Cindy. E d'altronde Josef non voleva affatto fermarla, mentre lei, dopo avergli allentato la cravatta, iniziava già a sbottonargli la camicia e a passargli le labbra sulla pelle, dal mento, giù per il collo, seguendo poi il movimento delle sue mani lungo il suo petto.
Ma ad un tratto si scansò, facendolo barcollare.
Si sbottonò i due bottoni della giacca e la sfilò con poche e veloci mosse, facendola cadere sulla scrivania.
Poi si portò le mani sulla gonna stretta e abbassò la zip su un fianco, lasciandola scivolare ai suoi piedi, agitando i fianchi.
E Josef restò ad ammirare estasiato quello spogliarello che ero sicuro,avesse già immaginato nella sua mente la prima volta che l’aveva vista nel suo ufficio, quando io ce la avevo portata.
Ora poteva vedere il suo magnifico corpo scarsamente coperto da un completino mozzafiato.
Cindy si accomodò sul bordo della scrivania e lo attirò a sè di nuovo, mentre Josef scrutava la biancheria intima che tentava a fatica di contenere quelle accattivanti forme sinuose e ben proporzionate.
"Non dire sciocchezze Josef...Io lo so perfettamente che non vuoi aspettare oltre."
Ed era maledettamente vero. Perchè lui assecondò i suoi movimenti finendo dritto tra le sue gambe senza nemmeno provare a replicare.
"Lo sai che io posso e voglio accontentarti in tutto, senza nessun freno. E vedrai che dopo andrà meglio...Molto meglio."
Continuava a tentare di persuaderlo con la sua voce suadente ma non ce n'era bisogno perchè Josef era già caduto nella sua rete.
E afferrandola per i fianchi si era già chinato su di lei per baciarla con foga.
Cindy si lasciò trasportare dalla sua passionalità e quando le loro labbra si divisero, le scappò un mugolio di assenso, assaporando quel bacio impetuoso.
"Wow...sei incredibile, Josef! I pettegolezzi su di te sono molti e ottimi, ma non ti rendono onore comunque..."
"Pettegolezzi?"
Domandò lui divertito.
"Si...se le vampire parlano bene di te, immagina le mortali, cosa possano dire... Forse sei davvero l'amante perfetto, fai di me quello che vuoi, Mr Kostan..."
Josef schiuse le labbra in un sorriso di soddisfazione a quell'invito esplicito. E si fermò solo per un istante per chiamare la sua segretaria sul citofono interno e dare disposizioni.
"Lara, sarò totalmente irreperibile fino alla prossima comunicazione."
E tornò ad occuparsi del suo passatempo preferito.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** quarta parte ***



**************************
11.

Aveva appena chiuso la comunicazione col suo capo, quando Lara si accorse della nostra presenza e mi venne immediatamente incontro, lasciando la sua postazione alla Reception per pararsi davanti a me.
"Signor St. John! E' un piacere vederla! Ma il Signor Kostan... è molto impegnato in questo momento. Devo chiederle di ripassare più tardi."
Quelle parole mi fecero salire la bile. Ero nervoso già per quello che era successo con Beth.
Ora sapevo che Josef non era con Simone, di questo ero certo. Dunque non aveva importanza con chi fosse, certe cose urgenti riguardo a noi non avevano scusanti di alcun tipo.
"Lara... non ti preoccupare. Mi prendo io la responsabilità."
La freddai con lo sguardo e lei sbiancò di colpo.
"Mick...la prego..." Quasi mi implorò e non mi aveva mai chiamato per nome.
" Stia tranquilla..."
Entrai nell'ascensore e il mio tono glaciale colpì anche Roger e Logan dietro di me.
"Andiamo!"
Mi avevano seguito senza chiedere nulla, leggendo sul mio volto la tensione di quella giornata. In più sapevano che non stavo ancora bene e per discrezione, tacevano e mi assecondavano.
Così, incastrati in quella situazione, fissarono la segretaria per un attimo come per scusarsi e Logan tirò fuori un’altra delle sue giustificazioni con tono mortificato, mentre Roger si stringeva nelle spalle.
"Sai com'è... non vogliamo farlo arrabbiare ancora di più... Oggi è un po' nervoso."
Ed entrambi mi seguirono placidamente, lasciando Lara con la sua espressione disperata sul volto, mentre si ripeteva a voce alta sempre la stessa frase.
"Mi ucciderà! Josef stavolta mi ucciderà! O come minimo mi licenzierà..."

Quando uscimmo dall'ascensore, spalancai la porta dell'ufficio di Josef senza nemmeno bussare.
La avrei aperta comunque, anche se fosse stata chiusa a chiave a quattro mandate, cosa che nemmeno si era premunito di fare.
"Ops..." Sussurrò sadicamente Cindy vedendomi con la coda dell'occhio, mentre Josef alzava la testa dal suo collo per fissarla sconsolato.
"Dimmi che non è lui..."
Cindy gli sorrise dispettosamente, controllando a stento una risata nervosa.
"Oh, Josef...Sai benissimo che è lui!"
Logan e Roger guardarono Josef e Cindy, poi me, che avanzavo nella stanza con una faccia tesa che avrebbe gettato nel panico chiunque mi conoscesse.
Logan preoccupatissimo, si voltò verso Roger.
"Tu che sei dell'F.B.I. e che puoi tutto... Fammi sparire... ora!"
Roger in realtà, rideva, nascondendosi dietro una mano, ma sentendo quella richiesta, tornò serissimo e lo sferzò col suo sarcasmo.
"Se avessi potuto, lo avrei già fatto da tempo, te lo assicuro!" Ma quella battuta non fece ridere nessuno.
Logan temeva la mia reazione, ma anche quella di Josef, dato che era complice di quella invasione di privacy.
"Io lo sapevo che non dovevo uscire dal mio rifugio... L'ho detto, che dovevo restare a casa... NON ci dovevo venire io qui..." Piagnucolò per qualche istante, ma sentendomi parlare, si zittì immediatamente.
"Ma bravi...bello spettacolo!"
Applaudii per qualche secondo avvicinandomi di più a loro, che erano rimasti paralizzati dalla nostra irruzione.
Josef non trovava ancora il coraggio di voltarsi a guardarmi. Ma non per vergogna.
Lui era un amante, non un combattente, come si era autodefinito. Questo lo giustificava a pieno titolo.
Quando finalmente si staccò da lei, voltandosi verso di me, cercò di calmarmi.
"Okay... Mick non è successo niente di grave. Ci stavamo solo..."
"Sollazzando! Si lo vedo! Scusateci per l'interruzione, ma vi prego, continuate pure! Fate come se non ci fossimo!"

Spostai lo sguardo penetrante dai suoi occhi, per posarli in quelli di Cindy, dove affondai con decisione.
"Perchè è questo probabilmente che aveva in mente, Josef, che guardassimo! Che ti rendessi ridicolo ai nostri occhi e che io mi innervosissi a tal punto da fare una scenata!"
Non ero calmo e non lo sembravo nemmeno. Si capiva perfettamente quanto la stessi odiando.
E lei, con un sorrisetto diabolico, mi scrutava con sguardo risoluto e sicuro senza la minima vergogna, sebbene fosse seminuda davanti a quattro uomini.
Dovevo smettere di guardarla per cercare di trattenere la rabbia che stavo provando e tornai a guardare Josef su cui, volendo, avrei anche potuto sfogarla.
Non avrei mai messo le mani addosso a Cindy, ma in quel momento avevo un forte impulso di prenderla a schiaffi e di trascinarla per i capelli fuori dalla stanza.
"Questo immagino sia successo perchè ti avevo detto di non darle troppa confidenza! Perchè tu sei così Josef, più ti dico di non fare una cosa e più tu la FAI per farti del male e per farmi un dispetto!"
Josef era stranamente calmo. Lui lo era davvero. La cosa mi fece adirare ancora di più e commise il grave errore di difenderla.
"Mick, veramente quello è un vizio che hai tu, ultimamente... E non c'è nulla di male...Siamo due adulti consenzienti, con almeno 300 anni a testa... "
Nella mia mente provata da mille emozioni, quelle parole risuonarono distorte più o meno così
"Mick...sei patetico. Siamo due vampiri secolari che hanno voglia di fare sesso e tu sei decisamente di troppo. Fatti gli affari tuoi!"
E mentre già non ci vedevo più dalla rabbia, Cindy prese la parola, per ferirmi in profondità come sapeva fare bene anche se non ce n'era alcuna necessità.
Io ero già dilaniato nel profondo.
"Josef, non prendertela. Vedi, Mick ce l'ha con me, non con te! E' me che detesta... Gli ricordo troppo la sua ex moglie."
Mi fissò con una espressione in cui lessi in quell'istante un disprezzo senza precedenti, mentre scivolava giù dalla scrivania.
Fu allora che persi davvero il controllo. E voltando i miei occhi, piantandoli di nuovo nei suoi con sguardo affilato, tirai fuori tutto quello che pensavo di lei e nel modo peggiore.
"E a quanto pare ho ragione! Cerchi di portarti a letto Josef ma stamattina hai detto a Beth del nostro bacio per farci litigare!"
"Bacio? Quale bacio?"
Domandò Josef spiazzato, guardando prima me e poi lei.
Ma nessuno dei due raccolse le sue obiezioni. Eravamo troppo impegnati a sputarci addosso il nostro veleno.
"MA SENTILO! Sei TU che dovevi dirglielo! Pensavo che lo avessi fatto! Non sei tu quello che predica la sincerità sempre e comunque? Hai qualcosa da nasconderle, per caso? Forse è il fatto che ti è piaciuto, St. John?"
"Ho baciato una STREGA! Come poteva piacermi?"
"Beh, a Josef piacciono i miei baci! E ha bisogno di me!"
"L'ultima cosa di cui Josef ha bisogno è di una vipera come te attaccata ai suoi attributi!"

Dopo questa frase, Josef iniziò a vacillare capendo che doveva inventare qualcosa per fermarci. Ma non aveva idee.
"AH! La verità è che sei invidioso! Perchè quello che Josef può fare con me, TU non lo potresti fare con la tua amichetta umana! Rischieresti di romperla!"
E pronunciando quelle parole, mi paralizzò, insultandomi con il suo sorrisetto di malvagio trionfo.
Persino Josef la guardò preoccupato per la mia reazione, trattenendo il respiro.
Roger e Logan erano ammutoliti, aspettando la mia risposta a tono.
E io, rilassai la mia espressione, dopo avere percepito tutta la spietata freddezza di quella affermazione.
Mi sfuggì addirittura un sorriso nervoso per quello che stavo per dire.
"Hai ragione. Potrei farlo con te senza rischiare... Ma non so... ti fai pagare, Cindy? No perchè, dovresti! E sai una cosa? A me non piace la roba di seconda mano!"
Non ero riuscito a frenare la lingua. E Cindy spalancò la bocca prima di assestarmi una cinquina potentissima sulla guancia, mentre Josef non sapeva come riparare al danno se non riprendendomi con un "MICK!" quasi urlato.
"Questo è troppo! Me ne vado!" Affermò lei con la voce tremante di rabbia, chinandosi per recuperare la gonna dal pavimento, sotto lo sguardo curioso dei presenti.
"AH! Brava...CIAO! Trovati un altro giocattolo da rompere!" Con movimento fulmineo recuperai la giacca dalla scrivania e gliela tirai al volo.
Josef tentò di fermarla per calmarla, ma Cindy si avviò verso l'ascensore con i suoi vestiti in mano, ripetendogli che non era colpa sua. La seguì fino alle porte scorrevoli e poi la lasciò andare, tornando nel suo ufficio con una certa rassegnazione nello sguardo.
Essendo dalla parte della stanza, nel cui angolo erano fermi e zitti come due soprammobili, Logan e Roger, Josef si rivolse prima a loro, sfoderando il suo sorriso disinvolto.
"Scusate per il triste spettacolo..."
"Oh ma noi, capiamo perfettamente Josef... scusa noi per essere...qui."
Lo rassicurò Logan con un brivido e un sorriso forzatissimo.
"Sei contento?" Mi domandò poi, tornando a fissarmi con sguardo severo. "Non avrai esagerato un po'?"
"NO JOSEF. Non sono contento e NON ho esagerato!" Replicai stizzito.
"Ma che hai, Mick? Che diavolo ti è preso? Non ti ho mai visto in questo stato, è successo qualcosa? Ho capito... ora tocca a me. Avanti sfogati, sono pronto! Almeno dopo ti sentirai meglio..."
Mi rassettò il bordo della giacca in modo ruffiano come era solito fare.
E restò fermo al centro della stanza, a torso nudo, in attesa dei miei rimproveri.
Invece io replicai con un sorriso appena accennato, carico di sarcasmo, e un'espressione tristemente amareggiata.
"Non ho niente da dirti, Josef. Sono stanco di ripetere sempre le stesse cose. Volevo il tuo aiuto ma mi sono accorto che hai altro per la testa e io posso farcela anche da solo, da un po' non riesco più a capirti."
Uscendo senza aggiungere altro, urtai la spalla contro la sua, senza scansarmi, e imboccai il corridoio per prendere l'ascensore e andarmene, seguito a testa bassa dagli altri due vampiri che salutarono con un cenno imbarazzato.
Ancora non lo sapevo ma avevo dato a Josef il colpo di grazia.


**************************
12.

Mentre Josef si rinfilava la giacca entrò Lara trafelata.
Aveva visto passare davanti alla reception prima Cindy seminuda e poi noi tre con un’aria a dir poco inquietante.
Così si era precipitata a controllare l’umore del suo stimatissimo datore di lavoro, con tutta la buona volontà di farsi perdonare per avere infranto gli ordini ricevuti.
"Va tutto bene Signor Kostan? Mi dispiace... Sono mortificata."
L’espressione di rammarico che aveva sul volto rivelò a Josef la sincerità di quella sua affermazione.
"Non dica sciocchezze, Lara...Non è colpa sua." Rispose lui, aggiustandosi i polsini della camicia sotto la giacca. Ma mentre lo diceva con quel tono sommesso, squillò il telefono.
"Lara... risponda da qui, non farebbe in tempo a prenderla giù."
E la segretaria ubbidiente, annuì e fece per prendere il telefono, ma Josef con mossa fulminea posò la mano sulla sua, bloccandola sulla cornetta. Lara avvertì un brivido percorrerle la schiena su fino alla nuca e il respiro le si bloccò per qualche secondo.
"Lei sta facendo un ottimo lavoro, invece... " Josef sorrise per un breve attimo e poi la lasciò prendere la telefonata, mollando lentamente la presa.
Lara sollevò quindi la cornetta, rispondendo più rincuorata al sorriso del suo giovanissimo e affascinante capo.
"Kostan Industries, buonasera... Si, mi dica... "
Ascoltando la richiesta dell’interlocutore all’altro capo della linea, lo sguardo di Lara si ridusse a due piccole fessure e cercò di incrociare quello di Josef.
"Attenda in linea, per favore... " Poi isolò la comunicazione mettendo una musica di attesa e domandò un po’ turbata.
"Vogliono parlare con lei... Un uomo si è presentato come un certo Phil, “amico di Sarah“... Non so... Vuole che glielo passi?"
Josef spalancò gli occhi per la sorpresa e le sue labbra si schiusero quasi a rallentatore.
"Si, grazie Lara... Potrebbe fare una cosa per me? Metta questi documenti in cassaforte, le scrivo subito il codice d’accesso."
Le passò i fogli che aveva nel cassetto e con la penna segnò velocemente dei numeri.
"Ma... Signor Kostan io..." Tentò di replicare lei, ma Josef fu irremovibile.
"Mi fido di lei, li metta al sicuro e stia tranquilla, appena finisco la telefonata cambierò il codice. Ora può andare...e chiuda la porta." Si raccomandò, prendendole la cornetta dalle mani e Lara eseguì prontamente.
A quel punto, ormai solo, Josef deglutì rumorosamente, mentre si sistemava sulla poltrona, cercando di mantenere i nervi saldi. Poi sbloccò il tasto dell’attesa.
"Pronto..."
"Salve Josy! Ti sei ricordato di noi, allora... Hai visto che ho mantenuto la promessa di richiamarti?"
Quelle parole lo irritarono oltremodo, soprattutto dopo la nostra discussione. Phil doveva essere il nome di uno dei legionari della Black Moon che lo aveva minacciato nel parcheggio. Era anche uno di quelli che mi aveva quasi fatto fuori. Aveva riconosciuto la sua voce calma e sicura ed era quasi certo si trattasse dell’uomo col cappellino.
Sporgendosi in avanti col busto, Josef era già abbastanza teso da poter scattare in piedi alla minima provocazione.
La sua voce calda assunse in quel momento un tono spaventosamente imperioso.
"Lei... Apra bene le orecchie! Non si permetta mai più di darmi del tu! Se mi ha telefonato per riempirmi di minacce o per tentare di spaventarmi, le dico subito che io la troverò, prima o poi, e le assicuro che non sarò affatto gentile! Non osi mettersi contro di me, perché io ho ucciso per molto meno!"
Josef avvertì il sospiro profondo dell’uomo dall’altra parte del telefono.
"Non faccia così... io sto cercando di venirle incontro...Di aiutarla... Lei ha salvato Mick St. John grazie a “qualcosa” che noi da tanto tempo cerchiamo. Ora...Se lei mettesse a disposizione questo "qualcosa" per le nostre ricerche, ci sarebbero buone probabilità di risvegliare la Signorina Whitley dal suo coma... potremmo trovare un compromesso..."
Ma sentire quel discorso non solo non calmò Josef, ma gli fece perdere completamente l’autocontrollo.
"NO! Io NON ho NESSUNA intenzione di scendere a patti con lei! NON ho bisogno di nessun aiuto! NON ne ho MAI avuto bisogno! Nè di lei, nè di St. John nè di chiunque altro! VADA AL DIAVOLO E MI LASCI IN PACE!" Urlò con tono carico di insofferenza. E senza dare possibilità di repliche al legionario, agganciò.

"Phil... sei davvero testardo. Io te lo avevo detto che non avrebbe capito! Prima o poi dovremo cancellare anche quei nomi che sono sulla lista... Se non vuole ascoltarci Kostan, nemmeno sotto ricatto della Whitley, non abbiamo molte probabilità con gli altri."
"No Jim... io conosco Josef. Sono sicuro che non sia il momento giusto. Ma lui, è un ragazzo intelligente. Capirà, dobbiamo solo dargli un po‘ di tempo..."
Jim aveva visto bene il broncio sul volto del suo socio, ma sapeva di non poterlo aiutare più di quanto non stesse già facendo.
"E‘ proprio quello che ci manca, Phil... Ah, sta prenotando un volo per New York..." Spiegò Jim guardando il palmare.
E sul viso di Phil si delineò lentamente un sorriso. Poi, calandosi meglio il cappellino sulla fronte, esclamò.
"Si... Vai da Sarah... Bravo Josef, vai da lei. Forse ci siamo, ce la possiamo fare."


**************************
13.

Cindy nel frattempo era entrata nel parcheggio e aveva recuperato la sua auto. Era rimasta ferma in macchina qualche secondo, stringendo forte il volante davanti a sé, aggrappandosi forte.
Stava reprimendo la sua crisi di nervi, ma non era offesa per ciò che le avevo detto. Era nervosa perché era cosciente di quanto fosse vero. Non capiva ciò che il suo cuore volesse.
Forse aveva solo bisogno di scambiarsi calore con qualcuno che fosse pronto ad abbracciarla, fosse anche solo per una notte. Era sicura che anche Josef avesse la sua stessa esigenza.
Ad un tratto gettò la testa all’indietro e infilando la chiave, la girò, facendo sbuffare il motore.
Quando partì, sentì il piede scendere sull’acceleratore senza poterlo controllare. Forse cercava nell’ebrezza della velocità quella scarica di adrenalina che le era stata negata, ma essendo vampira non poteva provare la paura di morire. Poteva solo provare il brivido di causare la morte di qualcuno.
Da lontano, sulla strada semideserta, scorse il rosso acceso del semaforo e così scartò immediatamente l’ipotesi di rallentare, certa del fatto che sarebbe scattato il verde prima che potesse arrivare all’incrocio.
Ma sotto le ruote, l’asfalto bagnato scivolava con una velocità notevole rispetto al solito e quando giunse a pochi metri dalle strisce, il rosso era ancora vivo e un pedone si apprestava ad attraversare con una certa sicurezza.
Cindy, intravedendolo, inchiodò paurosamente cercando di mantenere il controllo della sua auto ed evitare l’ostacolo che gli era improvvisamente sbucato davanti.
Tranciarlo a quella velocità, gli sarebbe stato certamente fatale, ma a Cindy non sarebbe importato granchè. Le importava di più non rovinare il cofano della sua BMW samoa.
L’uomo al contrario, non si accorse del sopraggiungere dell’auto se non quando i fari gli abbagliarono lo sguardo e il puzzo dell’olio dei freni e del copertone bruciato lo aggredì, togliendogli il respiro. Tossì forte e fissò sconcertato il vetro del parabrezza, cercando di identificare il guidatore forsennato. Per non cadere, si appoggiò al cofano, fermo a pochi centimetri dalle sue gambe che gli stavano lentamente cedendo per lo spavento.
"Lei... lei è pazza! Ma lo sa a quanto stava andando?"
Domandò cercando di urlare, ma la voce gli si era strozzata nella gola secca.
Cindy per tutta risposta scese dalla macchina come una furia sbattendo lo sportello. Si accorse che l’uomo in giacca e cravatta che aveva davanti era giovane e molto alto, sebbene fosse piegato sul suo cofano.
"Il pazzo sei tu! Prima di attraversare, guarda dove metti i piedi, razza di bellimbusto senza cervello! Cos’hai che non va? Non hai visto che stava per scattare il verde per me!" Urlò lei di rimando.
L’uomo la fissò ancora più inebetito e sconvolto, squadrandola. Cindy era scesa di corsa dalla macchina e non si era ancora abbottonata la giacca. Quando si accorse dello sguardo invadente dell’uomo si affrettò a ricomporsi.
"Lei stava per investirmi... Stavo attraversando la strada sulle strisce e lei stava per uccidermi. Se ne rende conto? Poteva esserci una mamma con una carrozzina e lei l‘avrebbe presa in pieno! Vuole anche avere ragione?"
Quel tono deciso e quello sguardo verde intenso scossero improvvisamente la coscienza di Cindy. Stava per uccidere quella persona senza provare alcun rimorso e soprattutto la stava accusando di essere nel torto, quando l’unica ad avere sbagliato tutto era lei. Improvvisamente non ricordava di avere fatto una sola cosa giusta nella sua vita. E senza poterne fare a meno, crollò. Reprimendo i singhiozzi, cambiò espressione e si rivolse con gentilezza, stavolta, mentre strizzava gli occhi per impedirsi di piangere, cercando con le mani di domare i capelli e raccoglierli da una parte.
"Ha ragione... mi scusi, io... Mi dispiace moltissimo... E‘ stata una giornata infernale e sono emotivamente provata. La prego, dimentichi quello che le ho appena detto. Non mi era mai capitata una cosa del genere, di solito sono sempre prudentissima. Sta bene, vero?"
L’uomo si accigliò, vedendola reagire in quel modo. Il suo sguardo severo si addolcì un po’, impietosito da quegli occhi chiari e lucidi di pianto.
"Io sto bene, per fortuna. Ma credo che lo stesso non valga per lei... Senta signorina, non si preoccupi. Non chiamerò la polizia solo se lei mi giurerà di non mettersi più al volante in queste condizioni! Non dovrebbe guidare così sconvolta. "
Cindy annuì e facendosi coraggio con un sospiro profondo cercò di rimediare al danno compiuto.
"Lei è davvero molto comprensivo... Grazie. Posso offrirle un caffè per farmi perdonare?"
Il giovane la guardò per un istante pensieroso.
"La prego, mi farebbe davvero piacere..." Cindy insisteva sforzandosi di sorridere e l’uomo capì che non si trattava solo di un invito di cortesia, ma di una richiesta di aiuto.
Avrebbe voluto rifiutarsi, ma sentiva che questo avrebbe ferito quella donna, deprimendo il suo animo più di quanto non fosse già.
"Non deve sentirsi in obbligo ma... se proprio insiste, d‘accordo."
Cindy gli tese la mano per presentarsi, stavolta con un sorriso di riconoscenza e il giovane ricambiò con convinzione. Ora che la vedeva sorridere si era accorto di quanto fosse graziosa, nonostante il trucco fosse totalmente sconvolto sul suo viso.
"Sono Cindy Morrigan...piacere."
E lui rispose alla stretta con un sorriso più disteso.
"Benjamin Talbot."

**************************
14.

Parcheggiai sotto casa e mi avviai all’entrata del mio palazzo, ma camminando avvertì un brivido che già avevo avuto altre volte, come un soffio gelido sulla nuca.
Mi fermai di colpo sul marciapiede guardandomi intorno, ma i miei occhi cercavano senza sapere bene cosa avrebbero dovuto trovare, tra le luci dei lampioni e le ombre della sera. Poi alzai lo sguardo verso il cielo, scorgendo la luna quasi del tutto piena e restai come ipnotizzato per qualche secondo da quel luminoso alone argenteo, l’unico da cui ero letteralmente attratto.
Un vagabondo, vestito di stracci, ridendo forte e imprecando in qualche lingua sconosciuta e distorta dalla sbronza, richiamò la mia attenzione, poi puntò dalla mia parte, mi passò accanto lasciando una scia di alcool e dopo avermi superato si accasciò a terra canticchiando una strana canzone.

“La luna, il sole dovrà coprire...
Andare per il cielo come il vento!
Entrare nelle case serrate e gli uomini più forti far indebolire...
Gli amici più cari far litigare,
mariti e mogli stare sempre in astio...
Uomini e donne torturare con dolori forti e senza pietà,
farli godere e poi soffrire...
Questo la luna farà...”


Non volevo ascoltarla ma non riuscii a farne a meno.
E per quel breve tratto di pochi metri che mi separavano dal portone d‘ingresso, mi resi conto che non ero mai stato tanto solo.
Avevo litigato con Josef, avevo insultato Cindy facendo una scenata davanti ai nostri amici ed ero di nuovo senza Beth.
Mettendo stancamente un passo dietro l’altro sul marciapiede, cercai di fare appello all’ultimo sprazzo di orgoglio che mi era rimasto e alzai lo sguardo dritto davanti a me.
Fu allora che riconobbi quei morbidi ricci corvini dall’altra parte della strada. O almeno mi sembrò di riconoscerli.
E quando quella testa si girò verso di me, incrociai il suo sguardo d’ossidiana in grado di dissolvere ogni dubbio.
Era Coraline.
Ma con un battito di ciglia lei non era più lì.
Feci qualche passo verso la visione che avevo appena avuto, ma poi mi bloccai per indietreggiare. E stringendo i pugni più che potevo, avvertii le unghie entrarmi nei palmi, dandomi un dolore acuto e fastidioso.
Detestavo i pensieri che avevo fatto, dimostravano quanto fossi vulnerabile e totalmente scombussolato.
Perfetto! Ora sogno di vedere Coraline... La mia fidanzata si prende una pausa riflessiva e io ho le visioni della mia ex moglie! Devo essere impazzito, dannazione!
Mi voltai di colpo, infuriato con me stesso e una volta rientrato in casa, levai la giacca e mi lasciai cadere sulla poltrona con un tonfo sordo.
Spalancando gli occhi sul soffitto, cercavo di pensare inutilmente a qualcosa di positivo.
Dentro avevo la potenza di un vulcano pronto ad esplodere, ma sentivo il corpo troppo debole per sopportare tanta forza distruttiva.
Mi mancava tutto di Beth, persino la sua tazza vuota col fondo di caffè, lasciata sul bordo del tavolo, il suo telo umido appeso nel bagno, la sua borsa posata distrattamente sulla mia poltrona.
Chiudendo gli occhi riuscivo ancora a sentire il suo profumo nell'aria ed ero incapace di resistere alla tentazione di respirare a fondo.
Per non dire che, dare un'occhiata di sfuggita al divano su cui tante volte eravamo stati abbracciati stretti, con e senza vestiti, mi provocava delle vere e proprie crisi di astinenza.
Quando in quel momento bussarono alla porta, saltai su e andai ad aprire quasi correndo, con la speranza nel cuore che fosse la mia Beth.
Invece Cindy entrò senza nemmeno aspettare l'invito. Era trafelata come se avesse corso.
"Devo parlarti. Ho bisogno di farlo, mi sento uno schifo."
Non ci avrei creduto nemmeno se mi avesse implorato, bagnandomi di lacrime le ginocchia.
"Ci sei riuscita. Beth se n'è andata." Le spiegai con ovvietà.
"COSA? Ma... Tornerà presto, vero?"
"Non lo so. Non so neanche se tornerà mai. Ora puoi dire a Coraline che so cosa ha provato lei quando l'ho lasciata. Puoi dirle che il dolore dell'abbandono mi sta massacrando... Me lo merito, lo so. Così come l'ho procurato, ora lo sto vivendo sulla mia pelle... Hai compiuto la tua missione, ora lasciami soffrire in pace! Oppure devi per forza infierire?"

Cindy si adombrò ancora di più.
"Oh Mick...Ma che stai dicendo? Io..." Sembrava si sentisse davvero in colpa per la prima volta nella sua vita. Ma per troppe volte mi aveva ingannato.
Forse leggeva davvero nel mio sguardo cupo e spento, tutta la mia cruda tristezza, ma il suo rimorso non mi era di alcun aiuto.
"Mick, venendo qui ho incontrato un umano. ... E non l'ho ucciso." Cominciò lei. Ma a me non importava nulla.
"Perchè?" Domandai scettico stringendomi nelle spalle. In realtà dovevo dire "Perchè lo stai raccontando a me? Fai quello che ti pare!"
La cosa non mi interessava affatto in quel momento, ero insensibile alle sue necessità.
"Perchè mi piace... Non mi capitava da molto tempo di essere attratta così da un mortale. Nei suoi occhi ho trovato uno sguardo capace di entrarmi dentro e di toccarmi a fondo, rivoltandomi il cuore. E improvvisamente ho capito che avevo sbagliato con te... Scusami, Mick... Mi dispiace davvero tanto che Beth abbia reagito così... Il mio era solo un capriccio stupido."
"Non devi scusarti..."
Sospirai appoggiando il gomito allo stipite della porta e mi passai stancamente la mano sulla fronte, tirandomi indietro i capelli.
Quando hai voglia di piangere e non ci riesci, senti dentro un'ombra sordida e affamata.
E' come avere un mostro sadico che ti consuma lentamente, sfregando le unghie sulla tua anima, che si affila gli artigli nel posto più sensibile del tuo cuore e che ogni tanto ti assesta un morso profondo.
Vorresti prendertela con te stesso, ma non puoi farlo e questo è irritante in maniera insopportabile.
Chiusi gli occhi lentamente e riaprendoli tornai a guardare il pavimento per evitare di incrociare il suo sguardo.
"Non può essere stato solo quello che le hai detto a farla andare via. Quello che mi sta massacrando è proprio questo... sapere che c'è qualcosa che la tiene lontana da me e contro cui non posso reagire, perchè non so cos'è... O forse si. Forse lo so bene chi è... Ma non voglio crederci. Non voglio accettarlo."
E lei, comprendendo il mio malessere, fece quello che non avrebbe dovuto fare. Allungò la sua mano per darmi una carezza sulla guancia e riportare il mio sguardo su di sè.
"Amare una mortale ti farà capire molte cose, prima tra tutte che siamo creature destinate a soffrire. Solo che noi meritiamo questa dannazione, loro no. Loro non meritano tanto dolore. So che non puoi fare a meno di amarla. Ma forse lei non è disposta a soffrire per causa tua le pene dell‘inferno."
Aveva negli occhi una nuova luce, per la prima volta mi sembrava sincera come lo era stata solo con Josef e solo per un istante.
E io di rimando la fissai come non avevo mai fatto. Lei lo capì immediatamente.
Si alzò sulle punte dei piedi per avvicinarsi al mio viso e anche se cercava un angolo della mia bocca, sapevo che una volta toccate le mie labbra, non si sarebbe fermata.
Era una sfida. Ma io ero stanco di giocare.
Ero stanco di oppormi, persino di controbattere. Ero stremato dal dolore che avevo nel cuore e avevo un solo pensiero nella mia mente, Beth.
Tutto il resto non era nulla. Cindy era lì ma era come se non ci fosse. E anche se la guardavo, non riuscivo a vederla. Fissavo solo quelle labbra che si avvicinavano e che volevano provocarmi, senza avere alcuna intenzione di opporre resistenza.
E improvvisamente anche io pensai di capire cosa provasse Josef.
Perdere l'amore, vedertelo strappare dal cuore con brutalità, ti toglie il respiro e le emozioni. Ti paralizza, ti svuota e ti rende l'ombra di te stesso. Anche io con lui avevo sbagliato, avevo avuto poco tatto, ma il dolore che sentivo assorbiva tutto il mio essere.
Mi sarei lasciato baciare, in quel momento, senza rendermi conto di quello che avrebbe comportato.
Le avrei lasciato fare qualunque cosa, purchè fosse riuscita ad alleggerire il peso che avevo sull'anima, ma sapevo che era inutile.
Nessuno poteva riuscirci. Al contrario mi avrebbe allontanato da Beth ancora di più e mi avrebbe distrutto totalmente.
Forse fu proprio questa certezza a fermare anche Cindy, a pochi millimetri dalla mia pelle.
Si allontanò piano, poi mi fissò stupita e turbata, prima di sussurrare un timido rimprovero dei suoi.
"Ma come mi stai guardando, Mick?"
"Come ti sto guardando, Cindy?"
Replicai in modo arrogante.
"Non mi piace come mi guardi... Non mi piace che tu sia così remissivo..."
A quelle parole capii cosa dovevo fare. Aprii la porta con mossa sicura senza spostarmi di un millimetro.
"Vai via Cindy, per favore." Ordinai.
E Cindy annuì, sorridendo appena.
"Si Mick... spero tu possa perdonarmi. Ma voglio dirti ancora una cosa. Josef mi ha raccontato di Coraline. Ha rinunciato a te per salvarti, sacrificando se stessa a Lance. Beth farebbe la stessa cosa? Si sacrificherebbe per salvarti o sta scappando perchè ha paura di te e del tuo mondo? Io spero che ti ami quanto tu ami lei..."
Uscì di fretta ed io richiusi la porta alle mie spalle cercando di cancellare quelle parole, poi afferrai il telefono e composi il messaggio che avevo meditato di mandare a Beth tutta la giornata.
| Non riesco a smettere di pensarti... Vorrei solo sapere come stai. Ti amo... | Ed inviai.
Poi feci appena in tempo ad arrivare al divano. E sedendomi, facendo un respiro profondo, nascosi il viso tra le mani.
Era così assurdo da sembrare impossibile.
Forse è un incubo...Tra un po' mi risveglierò e Beth sarà qui con uno dei suoi sorrisi radiosi a riempirmi la stanza con la sua luce.
Invece mi addormentai, cadendo in un sonno profondo in cui mi sentii quasi risucchiato. Forse era ancora colpa dei residui d’argento.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** quinta parte ***



**************************
15.

Fu una notte molto lunga per tutti. Per me, per Beth, per Josef e Cindy.
Lo fu persino per Talbot che continuava a pensare a quella nuova sconosciuta che aveva incontrato sulla 7th Avenue, che era quasi riuscita ad investirlo e che poi paradossalmente aveva dovuto consolare.
Aveva scoperto che si trattava di una profiler, avevano chiacchierato piacevolmente per una mezz'ora e Cindy gli era sembrata particolarmente interessante, molto diversa rispetto a quella che era stata la sua prima impressione profondamente negativa.
Così si erano anche scambiati i numeri di telefono, promettendosi di mantenersi in contatto.
Stranamente Ben aveva pensato più volte di richiamarla, ma si era controllato, perché quando prendeva il cellulare in mano finiva sempre per pensare a Beth.
I pensieri relativi ad entrambe si incrociavano, confondendogli le idee.
Si era notevolmente affezionato a Beth, ma ora che aveva conosciuto Cindy aveva l’occasione di distrarsi e concentrarsi su una possibile relazione concreta. Beth aveva il cuore già impegnato e Ben sapeva bene da chi.
Appena sdraiatosi nel letto si era sentito subito stanco ed era sicuro che si sarebbe addormentato subito, invece fu costretto ad alzarsi con una smorfia di disappunto per andare ad aprire la porta.
Sul pianerottolo c’era Phil a fissarlo con il suo sguardo determinato e Ben sospirò a fondo prima di strizzare gli occhi stanchi nel tentativo di togliere un po’ di torpore dalle palpebre appesantite dal sonno.
"E‘ tardi... Ma voi non dormite mai? Che cosa ci fa qui? E‘ successo qualcosa di grave?"
Domandò facendogli segno di entrare in casa.
"Ah non lo so... dimmelo tu. E piantala con questo “lei” diplomatico! Ho saputo che hai avuto un po‘ di problemi con Miss Turner per via della microspia."
"Si, beh... l‘ha trovata. Ora dovremo trovare un altro sistema per controllare St. John. Al momento non mi viene in mente nulla, ma risolverò, glielo...te lo prometto." Si corresse.
Phil, varcata la soglia fece solo qualche passo per permettergli di chiudere la porta. Poi lo avvisò.
"Ascolta, Ben... me ne vado subito ma prima devo ribadirti un concetto che mi sta molto a cuore. So che non è facile perchè ho capito che quella ragazza ti piace... Ma sforzati di non parlare con lei di nulla che riguardi la legione. E‘ ancora presto e non capirebbe. Cercheremo un contatto quando sarà il momento propizio. Ora limitati a starle vicino, a conquistare la sua fiducia e a tenerti buono St. John. Al resto penseremo io, Jim e gli altri. Abbiamo rintracciato di nuovo il ragazzo che avevamo sequestrato, Sam Jefferson, e se tutto va come previsto,presto ci porterà da Sebastian. Se riusciremo a prendere un Duvall avremo la possibilità di colpirli in profondità. Perciò non possiamo permetterci errori dovuti a stupide debolezze. Hai capito?"
Ben annuì lentamente abbassando lo sguardo.
"Spero di riuscirci, Phil... Voglio quanto te che la situazione migliori. Ora so chi, anzi “cosa” ha sterminato la mia famiglia. Non permetterò che continuino a fare ciò che vogliono, indisturbati."
"Lo so, Ben... Da quando fai parte della squadra ho capito che sei un più che valido elemento. Nonostante tu abbia poca esperienza hai dimostrato un carattere giudizioso e un’ottima capacità come mediatore, sei portato per questo “lavoro”. "
Phil gli diede due amichevoli pacche sulla spalla cercando di rassicurarlo.
"Ora goditi il meritato riposo. Anche io vado a letto. Mi posso prendere un momento di pausa, poi dovrò tornare a seguire il mio sorvegliato speciale che dovrebbe atterrare all‘aeroporto di Los Angeles tra..." Si fermò per controllare il suo cronografo e poi sorridendo, concluse.
"Circa 8 ore. Ho il tempo di farmi un sonnellino!"
Ben ricambiò il sorriso e accompagnò il suo ospite alla porta.
Dopo averlo salutato, tornò in camera e si rinfilò sotto le coperte, ma improvvisamente il sonno sembrava svanito e con il braccio appoggiato dietro la testa, non riusciva a sgombrare la mente dai ricordi di 10 anni prima.
Si era appena chiuso il primo semestre del College e per le vacanze di primavera era felice di poter ritornare a casa dai suoi.
Chiuse gli occhi lentamente rivedendo per un istante davanti a sé la scena che gli si era mostrata, quando aveva aperto la porta di casa.
Il corpo di sua madre era riverso sulle scale, mentre gli ultimi gradini erano puntellati di piccoli schizzi di sangue rappreso. Nell’immediato gli era sembrata svenuta e si era gettato subito su di lei per soccorrerla. Ma voltandola per guardare il suo volto ceruleo e cercare di svegliarla, si era reso conto del suo sguardo ormai opaco e privo di vita. Le sue braccia erano aperte a più tratti da tagli profondi fino a scoprire le vene e i muscoli.
Ben aveva invocato a gran voce il nome di suo padre tra i singhiozzi, mentre le lacrime gli rigavano le guance e gli riempivano gli occhi, annebbiandogli la vista. Ma sebbene distrutto da quel macabro ritrovamento, si trascinò in salotto per capire perché alle sue urla strazianti rispondesse solo silenzio. E nella sala da pranzo aveva trovato la tragica risposta alla sua domanda.
Anche suo padre era stato freddato ed era stato abbandonato sulla sua poltrona a peso morto e in maniera scomposta. La sua testa, piegata da un lato, rivelava la presenza di diversi tagli e graffi profondi fino alla giugulare. Come gli spiegarono in seguito, intorno a loro non c’era così tanto sangue quanto avrebbe dovuto trovarne in condizioni normali.
Entrambi i cadaveri erano stati accuratamente prosciugati per il 70% del loro liquido ematico.
Il rimanente era stato in parte assorbito dai vestiti.
Ma Ben in quel momento non lo aveva di certo notato.
Quello che invece gli premeva più di tutto scoprire era dove fosse finita la sua sorellina di otto anni.
Agli inquirenti fu chiaro sin da subito il movente del duplice omicidio e il rapimento della bambina. La donna che le aveva fatto da baby sitter per circa tre mesi, l’aveva rapita dopo avere massacrato la sua famiglia. Cosa avesse fatto del sangue delle sue vittime e della ragazzina, restò sempre un mistero per Ben, fino a che non gli era capitato tra le mani il dossier sul rapimento di Beth Turner e qualcuno gli aveva fatto avere una lunga lista dove figurava, tra tanti, un nome a lui troppo familiare.
Bridget Bishop.



**************************
16.

A svegliare me la mattina successiva, fu la fame. Mi ero abbandonato alla mia catalessi senza trovare nemmeno la forza di entrare nel mio freezer. Così, appena aperti gli occhi, mi ero alzato per versarmi da bere qualcosa di fresco e piacevole per le mie papille gustative.
Dopo avere fatto quella ricca colazione, mi sfilai il telefono dalla tasca per controllare le chiamate, ma da Beth non avevo ricevuto alcun segno e rendermi conto di non fare altro che attenderne uno, mise a dura prova il mio già provato sistema nervoso.
Ecco perché, quando bussarono alla porta, ero così stordito da non rendermi conto di quanto tempo fosse passato.
Eppure un odore conosciuto e a me tanto caro attirò immediatamente la mia attenzione.
Andai alla porta ad aprire con lentezza, stavolta. Avevo paura di leggere nei suoi occhi una risposta deludente alle mie aspettative.
"Beth..." Sussurrai sentendomi mancare la voce.
"Mick." Rispose lei con più sicurezza.
Entrò facendo due passi verso di me e poggiò la valigia a terra. Poi si voltò a guardarmi mentre si sfilava la sciarpa.
"Ho riflettuto a lungo. Mi ha fatto bene stare via."
"Sono contento di vederti... "
La aiutai a portare dentro il trolley e poi appoggiai le mani sui fianchi respirando a fondo.
"E di vedere che stai bene...Ma perchè sei andata via?"
Dovevo stare zitto, ma la domanda mi uscì del tutto naturale.
"Sei andata via perchè eri confusa su di noi?" Precisai.
Nemmeno aveva messo piede dentro casa che la stavo già aggredendo con le parole, anche se avevo controllato l’impulso di stringerla tra le braccia.
Beth si prese qualche secondo prima di rispondere.
"Si... ero confusa." Si guardò intorno un poco, prendendosi qualche momento per riflettere.
"Non... non esattamente" Aggiunse poi titubante.
"Ero confusa più che altro su di me." Disse azzardandosi a guardarmi finalmente negli occhi.
"Su di te?" Domandai senza capire. Anche se forse quella risposta mi preoccupava ancora di più.
Notai il suo sguardo sfuggente ma terribilmente penetrante.
"E...Ora non lo sei più?" Mi costava molto quella domanda, per la paura che avevo di sentirne la risposta.
Ma non potevo trattenermi dal fargliela, volevo sapere, anche se avrebbe potuto fare maledettamente male.
Beth deglutì a vuoto.
"Lo sono ancora...ma almeno ho deciso cosa voglio, e come affrontare questo mio problema." Disse piano alzando impercettibilmente le spalle, sul volto era chiaramente dipinta la paura della mia reazione e io abbassai lo sguardo per un attimo, smarrito.
Quel tono di voce e quella espressione non mi piacevano affatto. Facendo qualche passo a testa bassa, andai verso il divano.
"Beth scusami... ma faccio fatica a seguirti..." Le spiegai mentre, voltandomi di nuovo verso di lei, facevo un sorriso nervoso a metà.
"Sei confusa, ma sei decisa. E cosa vuoi, posso saperlo?" Avrei voluto sedermi ma l'agitazione me lo impediva.
Lei avanzò di un passo verso di me e prendendo coraggio, rispose.
"Io voglio stare con te, con tutto quello che comporta." Mi guardò negli occhi, mentre parlava e all'improvviso sentì di doversi giustificare.
"Mi dispiace di averti ferito Mick..." Sussurrò con la voce provata dall'emozione. Sembrava commossa e mi stava implorando di perdonarla. I suoi occhi mi chiedevano comprensione e affetto e io ricambiai il suo sguardo profondo, mentre ascoltavo in silenzio quello che avevo fretta di sentire.
La amavo così tanto da volerglielo gridare, ma non potevo. Dovevo prima capire cosa le aveva impedito di restarmi accanto, cosa era stato tanto insopportabile da dover fuggire da me.
"Allora cosa c'è che ti rende confusa, Beth?" Domandai con voce sicura, un po' infastidito dai pensieri che facevo. Non era da me quella sensazione, ma mi sentivo minacciato.
Sentivo bruciarmi dentro il fuoco della gelosia come non mi era mai capitato e fui incapace di controllarmi.
"In questa tua confusione... c'entra per caso Benjamin Talbot?"
Beth sospirò chiudendo gli occhi.
"Anche, ma quella è un'altra storia...una cosa che non riguarda me e te, è che io ho paura di non riuscire a proteggere il tuo segreto. Quella microspia era addosso a me, e io non me ne sono accorta!" La sua voce si alzò di un'ottava per la tensione e il nervoso.
"Tu non immagini nemmeno cosa è stato per me capire di averti messo in pericolo! Mi sono sentita..." Non riuscì a continuare, scosse la testa e ricacciando a forza le lacrime, concluse.
"Mi dispiace...sono un pericolo per te e per quelli come te."
Poi sospirò alleggerita in parte di quel peso e mentre parlava, io mi ero concentrato istintivamente sul battito del suo cuore.
Non lo avevo mai fatto prima. Non avevo mai avuto dubbi che mi dicesse la verità, ma in quel momento, non ero abbastanza lucido da impedire ai miei sensi di reagire a quella situazione soffocante.
Avevo bisogno di sapere. Ma Beth non mi stava mentendo, non lo avrebbe mai fatto e io lo sapevo bene nel mio cuore.
"Ah." Esclamai mordendomi il labbro a quella sua spiegazione. Non sapevo cosa fare. Si sentiva in colpa, ma se davvero la Black Moon l’avesse usata come spia a sua insaputa, come mi stava facendo capire, io non trovavo comunque un solo motivo per rimproverarla.
Mi massaggiai la fronte per qualche istante. Poi la guardai intensamente con occhi lucidi d'emozione.
"Io ti amo Beth... Amo solo te e del resto mi preoccuperò quando sarà il momento. L’unica cosa che voglio è che resti solo se sei davvero convinta di voler restare qui con me, anche a costo di questi inconvenienti. Ci seguiranno, ci ascolteranno… E io ho bisogno di sapere che sei qui perchè mi ami ancora e vuoi restare al mio fianco comunque..."
Beth respirò profondamente, tremando ancora un poco.
"Ancora?" Chiese stupita.
"Mick io me ne sono andata perchè ti amo e non voglio metterti in pericolo! Non ho mai smesso di amarti, come potrei? Ti amo da quando avevo quattro anni...in pratica da tutta la mia vita! Se sono qui è perché, sì, voglio stare con te per tutto il tempo che ci sarà concesso! Spero che tu possa perdonarmi per averti messo in pericolo."
Ricambiò lo sguardo sincero che avevo e aggiunse piano
"Prometto che starò più attenta, credimi, ce la metterò tutta."
Sentivo che aspettava il mio abbraccio e lo desiderava tanto quanto lo desideravo io.
Quell'allontanamento forzato ci aveva fatto capire molte cose del nostro rapporto che avevamo forse bisogno di cogliere nella loro interezza.
Non era Cindy il problema, non era Ben, era quel qualcosa che continuava a costituire la barriera tra il mio e il suo mondo.
Ma l'amore che provavamo sarebbe stato più forte, come sempre. Entrambi ci stavamo impegnando al massimo per farlo funzionare nonostante gli ostacoli. E io sorridendo in maniera più serena, cercai di farle capire anche il mio punto di vista.
"Ma di che parli, Beth? Pensi davvero che io ti dia la colpa di quella microspia? L'unica cosa che voglio è che io e te restiamo insieme!"
Mi avvicinai a lei per prenderla tra le braccia e stringerla forte a me come avevo desiderato dal primo momento che aveva messo piede in casa mia.
Ora che avevo capito quale era il motivo che l'aveva fatta fuggire, speravo di rassicurarla con il mio affetto.
Non ce l'avevo affatto con lei.
"Ma perchè non mi hai detto subito che si trattava di questo? Se non fosse stato per te, Beth, nemmeno io sarei qui ora."
Passai una mano tra le sue ciocche dorate accarezzandole la nuca all'attaccatura dei capelli. E nello stesso tempo piegai la testa avvicinando le labbra alle sue per baciarla, attirandola a me.
Ci scambiammo un bacio lento e lungo, che ci diede tutto il tempo di realizzare quanto amore provavamo l'uno per l'altra e quanta passione ci fosse nei nostri animi, legati già dalla prima volta che ci eravamo incontrati per volere del destino.
Quando le nostre labbra si separarono con un leggero schiocco, restando comunque abbracciati, fui io a scusarmi.
"Sono io che devo chiedere il tuo perdono per quello che è successo con Cindy... Ma non farlo più, Beth... Non lasciarmi più." Aggiunsi sorridendo dolcemente.
Cingendole la vita, intrecciai le gambe con le sue, accostandomi ancora di più a lei con tutto il corpo.
Una volta a contatto col suo, era impossibile nascondersi e resistere alla nostra profonda sintonia fisica.
"Ti amo... e riesci a sentire quanto ti voglio? Facciamo pace..." Suggerii con un sussurro malizioso al suo orecchio.
Beth rise di nuovo un po' imbarazzata e reciprocamente, iniziammo a toglierci i vestiti di fretta, eccitati come due matricole alla loro prima notte insieme.
Beth era alle prese con i miei pantaloni, mentre io le sbottonavo la camicetta, quando all'improvviso bussarono di nuovo alla porta.
"NO... non ora! Non importa..." Protestai, agitando una mano verso la porta, accantonando l'idea di andare ad aprire.
E continuavo a concentrarmi sui suoi bottoni mentre Beth mi spiava di sottecchi.
Bussarono di nuovo e stavolta lei, facendo un sorriso, cercò di farmi ragionare.
"Potrebbe essere importante, Mick..."
Mi scappò un nuovo sbuffo, innervosito da quella interruzione e andai ad aprire deciso a mandare al diavolo chiunque fosse.
Ma mi trovai di fronte Simone, la quale mi squadrò, e vedendo Beth oltre la mia spalla in uno stato un po' sconvolto, si scusò immediatamente.
Il suo sguardo triste smorzò all'istante ogni mio stato di eccitazione.
"Ciao Mick...ciao Beth... Oh perdonatemi, vi ho disturbato... Me ne vado subito. Volevo solo chiederti un favore, Mick.
Se vedi Josef... Puoi dirgli che non sono arrabbiata con lui, ma vorrei parlargli? Mi piacerebbe che restassimo amici, almeno... Non riesco più a contattarlo. In ufficio non l'ho trovato nè ieri nè oggi, a casa non c'è nessuno... Il cellulare è staccato..."

Ero sicuro che avesse gli occhi arrossati di pianto e il mascara leggermente sbafato all'attaccatura delle ciglia, dava conferma ai miei dubbi.
"Certo Simone... Glielo dirò. Però l’ho visto ieri, stava bene. "
O almeno così sembrava, quando l'ho beccato tra le cosce di Cindy...
"Vuoi... entrare?"
Mi stupivo di averglielo chiesto, ma la mia coscienza mi diceva che era in difficoltà e non volevo comportarmi con egoismo.
"No Mick... sei davvero gentile...Ma davvero, sono di corsa... Grazie e scusatemi ancora!"
Salutò con la mano e si voltò per allontanarsi velocemente verso l'ascensore.
Quando richiusi la porta, mi voltai di nuovo verso Beth per spiegarle della discussione con Josef e Cindy.
"Okay.. c'è una cosa che devo dirti. Quando sei andata via ho parlato con Logan per via di un'indagine che sto facendo per conto della nostra comunità. Con l'occasione gli ho anche consegnato la trasmittente che avevamo trovato, ma non è riuscito a risalire alla fonte. Comunque, per raccogliere informazioni sono andato da Josef e l'ho trovato con Cindy. Erano entrambi mezzi nudi nel suo ufficio... Insomma la verità è che la cosa mi ha mandato in bestia e per quanto abbia provato a controllarmi, ho alzato la voce sia con lui che con lei. Se lo meritavano, Beth... Conosci Josef ormai! Volevo solo tenerlo lontano da altre storie che potevano fargli del male! Per questo da ieri non l'ho più sentito nè visto... Me ne sono andato senza nemmeno chiedergli ciò che dovevo."
Mi fermai a guardarla con aria rammaricata.
"Adesso me ne sto pentendo un po'... Il fatto è che ero nervoso per altri motivi..."
Lasciai in sospeso la frase sapendo che lei capiva benissimo.
Beth si morse il labbro abbassando gli occhi colpevole, adesso si sentiva ancora in colpa, anche se in effetti la colpa di tutto era di Cindy.
Probabilmente stava desiderando ardentemente di avere un paletto a portata di mano, era certa che fosse stata lei a provocare Josef come le avevo fatto capire e quindi alla fine se io e lui avevamo litigato era soprattutto per colpa sua.
Non potevo leggerle nel pensiero ma il suo sguardo lasciava più o meno questo segnale
"Perchè per certe donne tenere le gambe chiuse è pura utopia?" ma ovviamente, guardandomi, lasciò comunicare quel pensiero solo con la sua espressione e alzò le spalle rassegnata.
"Mi dispiace Mick, l'ultima cosa che volevo era farvi litigare." Disse piano anche perchè sebbene gran parte della colpa fosse di Cindy, era convinta che se non se ne fosse mai andata, forse io non li avrei aggrediti a parole come avevo fatto.
"Prova a chiamarlo, sono certa che si chiarirà subito." Aggiunse cercando di mettermi fiducia e ci riuscì.
Ma io sospirai a fondo scotendo la testa.
"Beth non è stata colpa tua...Comunque si, lo chiamerò... non subito però... sbaglio o io e te siamo stati interrotti in un momento un po' delicato?" Dicendolo mi avvicinai a lei per riprendermela tra le braccia e Beth sorrise fissandomi con sguardo complice.
"Si, non sbagli"
Mi assicurò, passandomi una mano sul petto lentamente sopra la camicia, dimostrando di essere più che disponibile a fare finalmente pace.


**************************
17.

Beth era tornata con le idee più chiare e avevamo ritrovato il nostro equilibrio.
Quando la strinsi forte al mio petto, posandole un bacio premuroso sulla spalla nuda, la sentii fremere deliziata.
"Mmm...Mi sei mancata così tanto..." Confessai socchiudendo gli occhi e cercando di assorbire quelle sensazioni intense mentre appoggiavo di nuovo le labbra sulle sue.
Beth strinse ancora di più le sue braccia intorno alla mia vita, ricambiando il bacio con trasporto.
"Okay... solo altri cinque minuti. Poi ci alziamo, vero? Intanto provo a chiamare Josef."
Con un colpo di reni mi sollevai per allungare il braccio dietro la schiena e recuperare il mio Iphone.
Inoltrai la chiamata ma mi rispose immediatamente la segreteria.
Così lasciai un messaggio.
"Josef, sono io... Quando ti deciderai a riaccendere il telefono, richiamami, per favore. Devo parlarti."
"Ancora spento?"
Domandò Beth con tono preoccupato.
"Ancora spento." Confermai io ricambiando il suo sguardo.
"C‘è qualcosa che non va. Ora chiamo in ufficio... magari Lara sa dirmi che fine ha fatto."
Cercai il numero delle Kostan Industries e Lara mi rispose prontamente.
"Industrie Kostan, buonasera..."
"Lara, ciao, sono Mick St. John. Per caso Josef è lì?"
"Salve Mr St. John, no, mi dispiace... Anzi, la prego, aspetti un minuto in linea."
Aggrottai le sopracciglia sotto lo sguardo serio di Beth e le spiegai.
"Mi ha messo in attesa... "
"Forse sta controllando se è tornato?"
Scossi la testa confuso da quella sua domanda, ma prima che potessi azzardare ipotesi, sentii Lara tornare al telefono.
"Signor St. John è ancora in linea?"
"Si, Lara... Che succede? Va tutto bene?"
"Mi sono trasferita nello studio... Non voglio che mi sentano gli altri impiegati. Veramente no...siamo tutti un po’ preoccupati. Da quando lavoro qui, il Signor Kostan non ha saltato un solo giorno di lavoro senza avvisare. Stamattina non si è presentato ad una importante riunione e non sono riuscita a rintracciarlo da nessuna parte. Forse non dovrei dirglielo... non sono affari miei, ma lei è sicuramente la persona più vicina al signor Kostan che io conosca e fa l’investigatore... Insomma, potrebbe essere importante. Ieri mattina ha ricevuto una telefonata strana, dopo che lei è andato via... Mi sembrava turbato. Mi ha chiesto di prenotagli un volo per New York, ma aveva il rientro stamattina, proprio in tempo per la riunione. L’autista mi ha detto di averlo riaccompagnato a casa, ma lì non c’è nessuno e qui non si è fatto vedere... Io comincio ad avere paura che gli sia accaduto qualcosa. "
Lara aveva la voce tremolante d’angoscia.
"Hai fatto bene a parlarne solo con me, Lara. Dì a tutti che Josef ha una forte influenza e che tornerà appena possibile. Io ti chiamo appena so qualcosa. E grazie."
Io e Beth ci scambiammo uno sguardo eloquente che non aveva bisogno di commenti e a malincuore ci sciogliemmo da quel caldo abbraccio per rientrare nei nostri rispettivi vestiti.
Anche se avessi tentato di lasciarla a casa, non ci sarei mai riuscito.

Quando la mia Mercedes imboccò il vialetto della Goldstein house, mi accorsi subito che c’era qualcosa che non andava.
La villa di Josef era piena di vetrate e non era mai priva di personale. In casa invece, già da una prima occhiata, mi sembrava non ci fosse anima viva.
Parcheggiai e scendemmo dalla macchina per andare a bussare alla porta dell’ingresso principale, ma nessuno venne ad aprirci.
"Sembra non ci sia nessuno... Forse è a New York..."
"No, Beth, è dentro." Sentivo la sua presenza.
Ero sicuro che ci fosse.
"Allora vuole stare da solo, capita ogni tanto, a tutti... Mick... quella piscina è fantastica!" Esclamò ad un tratto lei sbirciando al di là del vetro.
Aveva lo sguardo rapito dal panorama e soprattutto da quella piscina pensile che aveva conquistato tanti cuori.
Io le passai delicatamente una mano sotto al mento per richiuderle la bocca con una carezza.
" Oh... è magnifica!" Disse lei con un sorriso imbarazzato come se volesse scusarsi di essere rimasta a bocca aperta davanti a quel capolavoro dell'architettura moderna.
"Lo so... La prima volta fa questo effetto a tutti."
Beth annuì e alzò lo sguardo per osservare meglio la casa nella sua interezza mentre io guardavo all'interno, facendomi ombra dal riflesso sui vetri, con la mano.
Ero sicuro di avere visto qualcosa riverso sul pavimento, ma i mobili mi impedivano la visuale e Beth richiamò la mia attenzione un po' allarmata.
"Mick, vieni! Guarda lassù! C'è qualcosa alle finestre...sembra..."
"Ha oscurato le finestre."
Chiarii io, alzando a mia volta la testa.
"Non è normale vero?" Il suo sguardo si era fatto molto più serio e preoccupato.
La fissai senza rispondere.
"Non lo so... Josef, dannazione! APRI O SFONDO LA PORTA!" Gli intimai, tornando a colpire violentemente il legno con il pugno e facendo vibrare rumorosamente la porta blindata. Ma sapevo di non poterla scardinare.
"Non sembra abbia intenzione di aprire... La sfondiamo?"
"Ci vorrebbero le granate al Napalm per sfondare questa porta, Beth..."
"Oh, ma tu hai detto... Ok, beh io le ho dimenticate nell'altra borsa... E tu?"
"Infatti, entreremo dalla finestra...La Goldstein House sembra di facile accesso, ma in realtà è una fortezza."

Le spiegai con risolutezza. Ma anche sfondare una portafinestra non era un'impresa facile, persino per me.
"Mick, ma come facciamo a rompere una finestra antisfondamento? Questa è a prova di proiettile!"
"Si, lo so..."
Dopo un attimo di esitazione in cui pensavo al da farsi, mi avviai alla macchina e aprii il bagagliaio per recuperare il mio crick.
"Tesoro... non mi sembra una buona idea..." Tentò lei con voce sempre più preoccupata.
"Beth, allontanati!" Ordinai e lei fece qualche passo indietro ubbidiente, ma non mi sembrò abbastanza.
"Ancora... e copriti gli occhi!"
"Stai scherzando? Non voglio perdermi questa scena!"

A quelle parole di replica, sbuffai.
"Non è un gioco! Mettiti gli occhiali da sole, almeno!" Le urlai perentoriamente.
A quel punto, caricai il colpo, afferrando il crick con entrambe le mani, stendendomi più che potevo.
Poi rilasciai con tutta la forza che avevo nei muscoli delle braccia, lanciando il crick contro il vetro come se fosse una mazza da baseball.
Al primo colpo il vetro si scheggiò in un punto preciso da cui si diramarono delle crepe profonde.
Caricai di nuovo e al secondo colpo, il vetro iniziò a cedere, piegandosi verso l'interno e perdendo compattezza.
Il terzo e ultimo colpo lo infranse, facendo schizzare alcune schegge impazzite.
Beth mi tornò subito vicino togliendosi gli occhiali.
"WOW...Questa cosa con me non la avevi ancora fatta, St. John!" Esclamò con un sorriso di vittoria, stringendomi il braccio per tastare il muscolo e io ammiccai.
"Con te cerco di essere delicato..." E Beth rispose, sfoderando uno sguardo malizioso. Poi tornò a preoccuparsi per Josef.
"Questo non lo farà arrabbiare, Mick?"
"Si, credo di si... ma lui entra sempre a casa mia senza bussare! Per una volta gli ricambierò il favore. Andiamo...Attenta ai vetri." La invitai ad entrare mentre ci scambiavamo un sorriso, che si spense all'istante quando ci ritrovammo nel salotto di Josef.
"Oh mio Dio, Mick!" Beth indicò a terra, dove c'era una ragazza sdraiata sul tappeto. Altre due erano riverse sui divani di pelle della Goldstein in maniera del tutto scomposta.
"Ah bene... Ha mangiato." Commentai io.
"Sono...morte?" Beth era rimasta ferma col fiato sospeso, poi mi aveva seguito per avvicinarsi ai corpi.
Entrambi avevamo visto i segni evidenti dei morsi, sulle braccia, oltre che sul collo. E questo ci aveva fatto pensare al peggio, ma io potevo percepire il loro battito cardiaco.
"No, dormono soltanto..." Raccolsi un bicchiere riverso sul tavolino e lo annusai.
"Credo che le abbia drogate."
"Si ma lui dov'è? Dorme? O forse non sta bene..."
Ipotizzò e io fui incapace di risponderle.
"Josef! Vuoi smetterla di giocare a nascondino? JOSEF!" Urlai affinché si decidesse a scendere. Ma non udimmo alcuna risposta e nessuna reazione a quel richiamo. Eppure il suo odore era più che percepibile al mio olfatto.
"E' al piano di sopra... Se non scende lui devo andare a prenderlo io!"
"Mick..."
Sussurrò Beth aggrappandosi al mio braccio.
Non mi ricordavo lo avesse fatto mai in quel modo da quando ci conoscevamo.
"Non ti nascondo che ho i brividi..."
"Lo vedo."
Le dissi accarezzando con la mia mano, la sua che stringeva forte la mia giacca.
"Ci sono io... Và tutto bene." Cercavo di rassicurarla, anche se nemmeno io ero tranquillo. E feci un ultimo appello, prima di prendere altre iniziative di invasione.
"JOSEF! SE NON SCENDI, SALIRO’ IO!"
Silenzio.
"Okay, STO SALENDO!" Lo avvisai.
Beth si manteneva dietro di me di qualche passo.
Mi seguì su per le scale e una volta al secondo piano, avvertimmo subito il cambio di temperatura.
Mi scambiai uno sguardo d'intesa con lei e mi tolsi la giacca per mettergliela sulle spalle.
"Grazie... Ma cos'è questo gelo?"
Io le indicai la porta e le spiegai.
"Quella è la stanza da letto... ha un'alcova che è come una cella frigorifera di diversi metri quadrati, una stanza che è in realtà un enorme freezer. Quando aziona il dispositivo di congelamento, si raffredda fino a raggiungere temperature molto basse. A giudicare dal freddo che fa deve essere acceso da parecchio."
"Stupida io a pensare che Josef dormisse in un congelatore come te... è poco chic!"

A quella frase mi voltai a fissarla accigliato. Era nervosa e cercava di sdrammatizzare con qualche battutina sarcastica.
"Grazie..."
"No ma... anche se non è chic, il tuo freezer è sexy! Cioè... A me piace molto..."
Confessò con un sussurro. Ma tremava e non era solo per il freddo.
Sentivo il battito del suo cuore accelerato dalla paura e quello che più mi allarmava era che Josef non accennava a muoversi per accoglierci.
Arrivati davanti alla porta, poggiai la mano sulla maniglia della stanza da letto.
"Ok, io apro. Ma tu resta lontana da noi... E qualunque cosa accada, non dire nulla se non ti guarda, hai capito?"
"Non dico nulla, se non mi guarda... ok... Ma perchè? Che gli sta succedendo Mick?"
"Succede che 400 anni di vita cominciano ad essere pesanti anche per lui. Credo sia in una fase di profonda depressione."
"Beh, capita... Sarà come per gli umani...no?"
"Adesso vediamo."
E mentre lo dicevo, si levarono le note di una musica ad un volume altissimo.
"ODDIO!" Gridò Beth sobbalzando.
"La voce degli angeli..." Mi scappò di bocca. E anche Beth la riconobbe, sebbene non ne conoscesse il titolo.
"Mi aveva detto che gli piaceva questa musica! Ma non credo gli faccia bene ascoltarla in questo momento!"
"NO, Per niente!"
Confermai mentre abbassavo la maniglia e aprivo la porta di scatto. Gettammo uno sguardo all'interno in un misto di stupore, curiosità e timore, ma solo io riuscivo a vedere bene, con tutto quel buio, nonostante dalla porta da noi socchiusa potesse entrare un timido spiraglio di luce fioca.
Josef era riverso sul letto, steso con la faccia sul cuscino. Indossava solo un pantalone di seta blu notte. Ed era immobile.
Sospirai profondamente e avanzai di qualche passo dentro la stanza, lasciando Beth sulla soglia, paralizzata dallo sgomento per quella nuova e del tutto inaspettata situazione.
"Josef, che ti sta succedendo? Questo... non è da te."
Non riuscii a strappargli nessuna risposta e così mi avvicinai ulteriormente per recuperare il telecomando dello stereo e spegnere quella musica straziante.
Ma sapevo che poteva sentirmi anche se avesse avuto le casse sulle orecchie.
"Josef! Sto parlando con te! Che diavolo succede?" Gridai con un tono più risoluto, mentre mi chinavo su di lui e forzatamente cercavo di costringerlo a voltarsi a guardarmi.
Lui allora chinò la testa dalla mia parte e aprendo gli occhi restò a fissarmi con lo sguardo più profondo che gli avessi mai visto farmi.
Josef aveva sempre un'espressione molto penetrante, ma non mi aveva mai rivolto uno sguardo di quel tipo. Era un'estrema richiesta di aiuto.
"Non ha funzionato, Mick... Ci ho provato, ero sicuro che funzionasse...Invece non è andata."
Aprì lentamente le dita lasciando cadere la cassetta che stringeva.
Era la mia cassetta della voce degli angeli. Riconoscevo l'etichetta segnata a penna.
Non mi ci volle molto a capire che l'aveva copiata e fatta ascoltare a Sarah, ma non era servita a risvegliarla come sperava.
Quella delusione, la seconda dopo averla abbracciata, gli aveva fatto capire che l'aveva persa di nuovo. Per la seconda volta. E mi ricordai quello che aveva detto a me nella sua stanza, davanti alla sua bella addormentata, la sua convinzione di avere il destino contro.
Iniziavo a credere anche io che il destino si accanisse perchè restassero separati.
"Josef... Non è un buon motivo per chiudersi dentro. Vuoi che ti prepari un buca di 6 piedi per farti seppellire vivo? Non cambierà la situazione!"
Lui, con lo sguardo perso in un angolo buio della stanza, accennò un sorriso.
"Ma... forse mi farebbe stare meno male. Sono stanco di vivere così... Voglio una ragione di esistere, Mick. Tu ce l'hai, tienitela stretta..."
Alzò gli occhi nella direzione di Beth e lei schiuse le labbra per parlare, ma Josef rivolse gli occhi a me di nuovo, spiazzandola.
"Io sono un vampiro e forse nemmeno a te è del tutto chiaro ancora cosa significhi questa frase."
"Lo so bene, invece."
"Mick... Noi non saremo mai amici come pensi. L’amicizia è un sentimento positivo esattamente come l’amore e tutti i sentimenti che caratterizzano i mortali. Vivono fino a che c’è un cuore che batte. Ma quando quel cuore si ferma, resta solo l’ombra sbiadita di quei sentimenti. In realtà io ti invidio... Sai essere molto simile al mortale che eri. Io non sono così. Io uccido senza rimorsi quando lo ritengo necessario, io mi nutro prendendo il sangue di chi vuole offrirmelo, ma in realtà non chiedo mai il permesso… Ti sei fidato di me e io ho deluso le tue aspettative. Come puoi avere la certezza che io non tradisca ancora la tua fiducia? Ci ho pensato molto e ho capito. Sarei capace di macchiarmi della più deplorevole delle crudeltà. Tradirei il mio migliore amico… Lo farei, se fosse necessario…
Dovresti uccidermi prima che io faccia del male a te...O a Beth."

Il tono della sua voce mi provocò un brivido inquietante. Non era più Josef, non era il Josef che conoscevo.
"Josef ma di che diavolo parli? Perchè dici queste cose? Non ha senso! Tu non mi tradiresti MAI e soprattutto non faresti MAI del male a BETH!"
Josef mi fissò prima di marcare il suo sorriso con ostinazione.
"Ne sei proprio certo? Io farei qualunque cosa per riavere Sarah... Ucciderei chiunque. Anche la tua Beth. Tradirei anche te. Mors tua, vita mea, dico bene? Perciò se non vuoi uccidermi, vattene e lasciami solo!"
"Che scemenze stai dicendo? Sei impazzito per caso?"

A quella domanda vidi i suoi occhi farsi più scuri e rossastri, raccogliendo quella poca luce che entrava dalla porta socchiusa.
La sua voce si alterò, divenendo più dura e rauca.
"Non sono scemenze e non sono mai stato tanto sincero! "
Improvvisamente si sollevò per mettersi seduto al bordo del letto e fissare ulteriormente il suo sguardo di fuoco nel mio. Poi, alzando la voce, urlò senza controllo.
"Tu lo sai chi sono io in realtà? EH? LO SAI? NO! Non sai niente di me, del mio passato, NIENTE! Come puoi fidarti di ME? IO POTREI TRADIRTI IN QUALUNQUE MOMENTO!"
Mentre ascoltavo quello sfogo, gli poggiai una mano sulla spalla sperando che potesse aiutarlo a calmarsi.
"Josef, io credo di no..." Ma Josef non mi stava ascoltando, era preda dei suoi pensieri violenti e autodistruttivi. E abbassando lo sguardo continuò sconsolato, ridimensionando anche il tono della voce.
"Potevo essere felice con Simone, se lei non mi avesse fatto capire che voleva essere abbracciata… E io non voglio vivere così! Se potessi tornare indietro, Mick, farei esattamente come te! Non trasformerei Sarah e anche se lei forse non capirebbe, sarebbe ancora viva!"
"Josef, si può risolvere con Simone..."
"NO, NO MICK! NON SI PUO’ RISOLVERE! Io NON... non la amo, capisci? E’ solo un pallido tentativo di dimenticare Sarah... Non riesco più ad amare, Mick... mi sento vuoto. L'unica persona per cui riuscivo a provare qualcosa di più e che sembrava amarmi per quello che sono, era Simone! E io l'ho allontanata dalla mia vita. E questo perchè mi sento in colpa con lei, la amo ma non quanto amo Sarah! E questo mi fa sentire anche in colpa con Sarah! Non riesco a togliermela dalla testa! Mi sembra di impazzire..."

Si portò la testa tra le mani affondando le dita nei suoi capelli spettinati. Quei repentini sbalzi di umore mi preoccupavano seriamente.
"Aiutami Mick... Aiutami. Tu... se sei un vero amico UCCIDIMI. Fallo ora, prima che io faccia del male a qualcuno... A te, a Beth, a chiunque. Sono così disperato che venderei tutto il mondo, pur di riavere Sarah. Pensieri come questo mi fanno capire che sono fuori di me... "
"Non lo faresti... non hai ucciso quelle tre ragazze al piano di sotto... "
"No, lo avrei fatto al prossimo pasto."
Precisò lui con un sorriso sadico.
"Josef... smettila!" Mi sfuggì.
E in quel momento mi spiazzò totalmente e si trasformò davanti ai miei occhi.
Mi si rivoltò contro con un ruggito che fece trasformare di rimando me e impallidire terrorizzata Beth.
I suo occhi glaciali e la bocca aperta a scoprire i canini aguzzi mi fecero allontanare la mano che avevo lasciato sulla spalla, mosso dallo spirito d’amicizia. La sua voce aveva un tono alterato che non gli avevo mai sentito.
"MICK! TI HO DETTO DI ANDARTENE! VATTENE! E PORTATELA VIA! Sono stanco di sentire le tue cavolate! VATTENE!"
L’unica paura che avevo era per Beth. Non volevo che vedesse quello spettacolo, ma non avevo alternative.
Mi ero reso conto che Cindy aveva saputo vedere ben oltre quello che avevo visto io. Mi ero concentrato sulla mia vita e sui miei sentimenti per Beth, dimenticandomi del dolore di Josef, dando per scontato che fosse abbastanza forte per superarlo.
Quante volte lo avevo sgridato di comportarsi in modo incomprensibile e non mi ero accorto che si trattava solo di un modo per alleviare quel dolore straziante che lo martoriava giorno e notte.
Pensare a come lo avevo trattato, a quanto ero stato insensibile, mi innervosì molto e da vampiro, ero pronto a respingere ogni suo attacco, ma con la volontà di cantargli anche le mie ragioni perché tornasse in sé.
La nostra amicizia non era affatto un’utopia come l’aveva descritta lui. E io ci credevo sempre di più.
"Vuoi litigare! Perciò, d’accordo, litighiamo! Io non ho problemi!" Affermai risoluto scoprendo a mia volta i canini. E lui mi guardò incredulo, spalancando i suoi occhi di terso ghiaccio.
"Sei sempre il solito testardo... Ma non dire che non ti avevo avvertito!"
"No, tu hai parlato, ora stai a sentire me! Dunque noi non contiamo nulla, vero? Sarebbe inutile tentare di farti capire che non sei solo, giusto?"

Gli spiegai indicando anche Beth in riverente attesa sulla soglia, sebbene avesse tutta la voglia di scappare via di lì.
"Voi? Mick, sono solo capace di complicarmi la vita! Non sono stato nemmeno in grado di starti vicino quando avevi bisogno di me! E non nascondermelo, sei andato lì, nel covo della B.M. da solo, perchè mi avevi promesso di prendere quei tizi! Tu avresti dato la vita per me, io mi sono domandato se fossi in grado di fare lo stesso per te. Non ti farebbe piacere conoscere la risposta... così come non è piaciuta a me!" E nel dirlo aveva usato il tono più freddo che potesse avere.
"Non ho altro che me stesso e non ci credo più come prima... Almeno sono onesto come te, per una volta e ti mostro la parte più vergognosa del mio animo. Ma io sono così... Devi rendertene conto."
"Credi che io sia stato sempre sincero con te? Onestà? E' questo che vuoi? "

Gli domandai guardandolo fisso, corrugando la fronte.
Non ero solo contrariato, mi sentivo pugnalato da ogni parola che aveva detto. E stavo solo aspettando il suo prossimo scatto d’ira. Solo che in quel momento avevo un’idea ben precisa in testa e invece di calmarlo, cambiai strategia.
"Ora l'avrai. Hai ragione, mi fai pena, Josef Kostan! Sei un viziatissimo damerino che non fa altro che piangersi addosso...Un pallone gonfiato senza spina dorsale! Sei schifosamente egoista come al solito, ma ora sei anche patetico! Che fine ha fatto l'uomo forte e maledettamente sarcastico che conoscevo? Se non altro prima eri un bastardo divertente! Ora sei noioso e sì, sai fare solo danni, nella tua vita! Non sei stato capace di costruire un accidente se pensi solo ai soldi e ti dimentichi degli amici! Hai ucciso la donna che amavi! E l'unica cosa decente che io ti abbia visto fare da 50 anni a questa parte è stata quella di allontanare Simone prima di uccidere anche lei! E mi hai stupito sai? Almeno per una volta hai usato la testa giusta, per prendere una decisione intelligente, quella che hai sul collo!"
Josef ricambiava il mio sguardo, infuocato dalla rabbia che gli stava salendo.
"Mick, ti prego..."
Beth voleva implorare di calmarci, ma come le avevo detto, faceva appello a me senza mai rivolgersi a Josef.
Avrei voluto darle ascolto ma proprio non potevo farlo. Dovevo pungolarlo nell’orgoglio finchè non fosse esplosa tutta quella miriade di sentimenti negativi che covava dentro e che gli stava macerando quelli positivi. Dovevo mortificarlo, mio malgrado, dovevo farlo.
"No, non mi serve un amico così... debole e insulso che piagnucolando come un moccioso, continua a ripetersi che sbaglia ma non fa nulla per cambiare! E alla fine neanche io sono l'amico perfetto che hai sempre fatto finta di rispettare! Anche io ho sbagliato tanto. Ricordi Virginia, la tua amica vampira, quella stagista di Boston, che ti piaceva tanto? Beh, me la sono portata a letto prima di te!"
Quelle parole arroganti sferzarono Josef in profondità, cui reagì spalancando la bocca e fissandomi con odio impastato allo stupore di quella inaspettata rivelazione.
"MICK! Per favore!" Gridò di nuovo Beth sempre più spaventata.
"E non puoi immaginare che picco ha toccato il mio orgoglio quando Cindy ha detto che avrebbe preferito venire a letto con ME, piuttosto che con TE! Non sei bravo nemmeno a fare ciò di cui vai tanto fiero! Sarai anche un bravo amante, ma probabilmente non sei l’unico! Sei contento adesso?"
"Ma brutto figlio di..." Josef scattò velocemente in piedi, ma prima di sentirgli finire quella frase, gli assestai un bel gancio sul mento, chiudendogli la bocca.
E lui perse immediatamente il controllo, gettandosi su di me per rispondere ai miei fendenti con altrettanta forza e velocità.
Un pugno ben assestato sullo zigomo mi sbilanciò da una parte, ma riprendendo l’equilibrio, replicai con uno in pieno stomaco, abbastanza forte da farlo cadere all‘indietro di qualche metro.
Tuttavia Josef si rialzò immediatamente. La violenza con cui ci colpivamo faceva urlare Beth disperatamente, creando ancora più confusione. Mentre Josef si preparava a caricarmi di nuovo, afferrai una sedia per rompergliela addosso, ma alzando un braccio con molta disinvoltura, si parò dal colpo, mandandola in frantumi. Poi riprese a colpirmi, passando ai calci e improvvisamente mi ritrovai contro la vetrata.
Prima ancora di poter tentare di evitarla, l'avevo già sfondata con la schiena, precipitando giù in terrazza.
Restai sdraiato sulla schiena per qualche secondo, come paralizzato, ricoperto da schegge di vetro.
Non ci eravamo mai trovati a combattere l’uno contro l’altro e stavo riscoprendo in Josef una forza che non conoscevo ancora.
Forse era lui a risultare più forte del solito, non essendo in sé, o forse ero io a non essere in grado di colpire il mio migliore amico come avrei dovuto fare per potermi difendere a modo, restava il fatto che lo sentivo prevalere con un grande scarto.
E quando Josef non esitò a saltare giù per raggiungermi e mi afferrò per la gola, serrandomi con determinazione, non reagii come lui pretendeva. Questo lo innervosì ancora di più e lo fece scattare con maggiore violenza.
Mi strattonò piantandomi di nuovo quegli occhi di brace nei miei prima di gettarmi addosso altro dolore.
Speravo proprio che la cosa lo aiutasse a superare quel momento difficile in cui si stava allontanando troppo dalla sua parte umana.
"Non vuoi proprio capire, eh Mick? Potrei staccarti la testa e appendermela in salotto con una bella targhetta commemorativa degna di te “In ricordo del mio Migliore Amico!” così tutti sapranno quanto ti ho voluto bene!" E mentre lo diceva, fissava i miei occhi grigi che facevano appello alla parte della sua personalità che conoscevano bene e in cui credevano ciecamente, nonostante quella rabbia incontenibile lo avesse trasformato in qualcosa cui non volevo dare un nome.
Voleva dimostrarmi di poter essere spietato, di poter avere la forza di uccidermi sotto lo sguardo scioccato di Beth.
Voleva spaventarmi per allontanarmi, ma non glielo avrei mai permesso. Non gli avrei mai permesso di perdersi definitivamente.
E forse leggere nel mio sguardo la compassione e la fiducia che riponevo in lui, mentre sentivo le sue unghie iniziare a tagliarmi la gola in quella stretta cui non mi opponevo, gli provocò un istante di esitazione che sfruttai per ribaltare la situazione.
Con un guizzo deciso, mi liberai e lo atterrai.
Girandomi di scatto, fui sopra di lui e serrandogli la gola col braccio, mi piegai per afferrare una delle schegge di vetro e gliela puntai sul petto. Non era un paletto, ma era abbastanza appuntito da potergli penetrare nel cuore provocandogli un dolore insopportabile. Ma a me serviva solo per una dimostrazione pratica.
"Scusami Josef, potrei ricambiarti il favore appendendo il tuo cuore come prova che una volta ne avevi uno! Non sono sicuro che mi piaccia arredare il mio salotto in questo modo... Ma sono sicuro che questo cuore ha amato molto e sa ancora amare moltissimo..."
Con un altro strattone, cercò di liberarsi ma lo avevo bloccato troppo bene in quella morsa.
"TORNA IN TE JOSEF! HO BISOGNO DEL TUO AIUTO... DA SOLO NON POSSO FARCELA, LO SAI, E NON SMETTERO’ MAI DI CREDERE IN TE! ANCHE SE TI COMPORTI IN MODO COSI' ASSURDO!"
Gli gridai.
E lui alzò lentamente una mano per fermarmi.
"O.. okay... Hai vinto...Lasciami..." Mormorò riprendendo il suo aspetto umano, tirando la testa all‘indietro con una smorfia di sofferenza. E a quel punto mollai la presa e mi sollevai per sedermi accanto a lui sul bordo della piscina.
Aveva bisogno di tirare fuori quel male che lo stava mangiando dentro.
Josef era troppo orgoglioso per versare lacrime e questo non gli permetteva di sfogarsi come doveva. Aggredirlo per fare a botte era l'unico modo che conoscessi per dargli una strapazzata e scuoterlo.
Lui mi fissò ancora accigliato, mentre si passava una mano sul petto, dove il taglio che gli avevo fatto si stava cicatrizzando a poco a poco e replicò.
" Non... Non è vero, quello che hai detto di Cindy..."
"Si, che è vero..." Risposi accennando un sorriso sornione.
"No... Stai mentendo St. John e sei un pessimo bugiardo! Ma sul serio sei stato con Virginia? Prima di me? Non posso crederci..."
Lo sguardo provato e il tono lamentoso mi fecero capire che quella precisazione me la dovevo risparmiare. Cercai le parole giuste per alleggerire la confessione che mi era sfuggita.
"Ma cosa importa Josef? E' successo 50 anni fa... è roba stravecchia!"
Josef invece si accigliò ancora di più.
"Come hai potuto? Tu lo sapevi quanto mi piacesse..."
"Okay... quella sera... Lo sai, mi ero lasciato da poco con Coraline e avevo bisogno d'affetto... Ammetto che mi sono sentito un verme e infatti è stato solo quella volta. Poi mi sono fatto da parte proprio perchè avevo capito quanto ci tenessi..."
"Vatti a fidare degli amici!"
Esclamò lui con l’ennesima smorfia di disapprovazione, mentre lo aiutavo a rialzarsi.
"Questa me la paghi, St. John... "
"Oh si... anche a me! Me la pagate tutti e due!"
Esclamò Beth avvicinandosi e poi voltandosi di colpo verso Josef gli diede un sonoro ceffone che mi fece rabbrividire, temendone la reazione.
Invece Josef restò a bocca aperta a fissare il riflesso dei suoi occhi in quelli di Beth e lei, subito dopo averlo colpito, gli si gettò al petto, piangendo e rimproverandolo.
"Non pensare mai più quello che hai detto. Ti vogliamo bene, Josef..."
Il vampiro abbassò lo sguardo con aria vagamente colpevole e alzò un braccio per posare la mano sulla schiena di Beth e massaggiarla delicatamente.
"Scusatemi, ho avuto un crollo nervoso simile a quello che ho avuto dopo aver abbracciato Sarah... Mi dispiace per quello che ho detto."
Io gli posai di nuovo la mano sulla spalla, sicuro che fosse di nuovo tutto sotto controllo.
"Josef... Scusami per le vetrate... Ma adesso che sei tornato normale devo chiederti una cosa molto importante... Devi parlarmi di Sebastian DuVall."
Josef si rattristò e scosse la testa debolmente.
"Passi per le vetrate, Mick... Ma adesso questo nome come è saltato fuori? Vedi che ho ragione? Sei tu che hai il vizio di metterti nei guai e di frequentare le persone da cui ti chiedo di restare alla larga! Hai degli ex cognati decisamente interessanti... ma anche pericolosi. Sebastian è molto abile nel combattimento, ed è anche furbo. E‘ uno dei più giovani dei DuVall, ma non so dove si nasconda, né che giro abbia. Evita ogni contatto con lui e i suoi, per il tuo e il nostro bene." E finendo quella frase indicò Beth con lo sguardo.
"Sta partendo per Parigi, ha il volo prenotato tra poche ore... Posso raggiungerlo all‘aeroporto. Non so perché ma sento che devo farlo, devo incontrarlo."
Beth mi fissò preoccupata, mentre si scostava da Josef asciugandosi il viso con la mano.
"Io non ti ci faccio andare da solo. Ci vai soltanto se io posso restarti accanto."
Josef ci guardo entrambi, e poi sospirò.
"All’aeroporto in mezzo alla gente, forse sarete al sicuro. Ma niente mosse false, Mick! "
"Te lo prometto. Grazie Josef... ma ora chiama Lara, era molto in pensiero. E anche Simone... "
Lui annuì in risposta e lasciammo la sua casa.

Sebastian DuVall
image

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** sesta parte ***



**********************
18.

Mancavano pochi minuti al volo per Parigi che avrebbe portato Bastian in qualche luogo sicuro dell’Europa.
Io e Beth trovammo tutti i dati seguendo le indicazioni telefoniche di Logan e raggiungemmo il Gate grazie al lasciapassare che in qualità di investigatori potevamo ottenere.
Una volta all’imbarco, riconoscendolo dalla foto, identificai Sebastian.
Era seduto su una delle poltrone con la testa appoggiata stancamente sulla mano.
Davanti a lui c’erano altri due ragazzi e una ragazza, tutti molto giovani, tutti probabilmente vampiri. Ma lui sembrava non curarsi di loro e con sguardo annoiato guardava oltre la vetrata che affacciava sulla pista.
Ad un tratto uno dei due ragazzi dal volto a me noto, si girò nella nostra direzione e incrociò il mio sguardo.
Era Sam. A quanto vedevo stava per partire col suo sire. Riconoscendomi però, Sam iniziò ad agitarsi, mettendo in allarme anche Bastian, il quale, notando il suo sguardo smarrito, si voltò dalla nostra parte.
E dalla sua espressione fui quasi certo che mi conoscesse.
In quel momento, l’altoparlante annunciò l’imbarco e tutti i passeggeri si alzarono per mettersi in fila al controllo biglietti.
Bastian si alzò lentamente mentre gli altri ragazzi ci fissavano con attenzione senza fiatare, attendendo disposizioni dal loro leader. Il vampiro invece ci rivolse un irritante sorrisetto di sfida cui non potei fare a meno di replicare con una espressione di delusione.
Mi stava sfuggendo e non potevo fare nulla per fermarlo.
E lui, come se avesse letto i miei pensieri, muovendo appena le labbra, mi salutò con un sussurro che ero certo di non poter cogliere, ma che invece sentii direttamente riecheggiarmi in testa.
"Ci rivedremo presto..."
Questo bastò per farmi passare la voglia di intraprendere qualunque tentativo di impedirgli di salire su quell’aereo.
Sebastian si chinò a prendere il suo bagaglio a mano, imitato dai suoi giovani adepti e tornò a guardare la postazione dove la hostess controllava i biglietti dei passeggeri.
Non si voltò più verso di noi.
Deglutendo a vuoto, cercai lo sguardo di Beth ferma al mio fianco. Avevo gli occhi spalancati dallo stupore per quella inaspettata dimostrazione di potere psichico cui non ero affatto abituato.
Pensai addirittura di essermi lasciato suggestionare troppo dalla situazione, anche se ora ero certo del potere carismatico di Bastian.
Quando tutte e quattro le loro teste scomparvero nel tunnel che conduceva al loro aereo, Beth cercò di consolarmi con uno dei suoi sorrisi dolci.
"Non te la prendere... Vedrai che tornerà." Poi mi trascinò per il braccio verso l’uscita. Riprendemmo il corridoio principale pieno di negozi griffati e locali e Beth si fermò un istante davanti ad un bar.
"Ti prego, Mick, fammi prendere una camomilla, ne ho bisogno..."
Io annuii comprensivo e indicandole il tavolo mi avviai verso la cassa.
"Vado io...Tu aspettami seduta."
Beth si lasciò quasi cadere su una delle sedie, un po’ sconsolata. Aveva le gambe che le tremavano dalla tensione. Erano due giorni che i suoi nervi venivano messi a dura prova e quando tornai al tavolo, porgendole la tazza di camomilla, non esitò ad aprirmi il suo cuore. Mi accomodai accanto a lei, confuso anche io da quanto avevamo vissuto nelle ultime ore. Avrei tanto voluto sapere cosa dirle.
Beth sorseggiò e poi mi spiegò prendendomi la mano.
"Mick... quello sguardo e quel sorriso mi hanno fatto tremare da capo a piedi! Hai visto che faccia indisponente?" Ma mentre pronunciava quelle parole l’ennesimo trauma della giornata le spalancò la bocca di colpo e puntò l’indice verso la piccola tv del locale, soffocando un grido.
"Mick!"
Seguendo il dito, osservai lo schermo, incapace ormai di stupirmi più di tanto.
C'era Josef in primo piano. Era di nuovo accigliato e da quanto capivo dalle immagini stava minacciando senza mezzi termini il cameraman che lo inquadrava a tutto campo.
"IAN, fai sparire questi dannati giornalisti ficcanaso dai miei occhi prima che li mandi sulla luna a calci nel cu...BIIIP"
"Lo hanno censurato... Hanno censurato Josef!" Esclamò Beth sconvolta.
"A quanto pare si è ripreso. Quello è il Josef Kostan che conosco bene!"
Il tono che avevo era meno allarmato di quanto lei pensasse.
Beth, ancora a bocca aperta, si alzò per avvicinarsi e capire qualcosa di più del contenuto del servizio.
Io riuscivo a sentirlo bene anche dal tavolo, ma decisi di andarle dietro.

“LE KOSTAN INDUSTRIES sono una delle più potenti aziende di Los Angeles. Ma quest’uomo di cui potete vedere la foto ora sullo schermo, da alcune ore si è barricato al ventesimo piano di questo edificio che vedete alle mie spalle, al cui interno lavorano più di 200 dipendenti del famoso imprenditore Josef Kostan.
Duke Collins, questo il nome del sequestratore, ha un figlio di 33 anni, Mark, accusato di avere ucciso durante una rapina l’ufficiale di polizia Ken Wingate, nel maggio del 2000. Mark si trova ora nel braccio della morte e sarà giustiziato domani mattina all'alba.
Collins ha minacciato di farsi saltare in aria se l’ordine della sentenza non sarà annullato entro questo pomeriggio.
Le autorità di L. A. sono tutte in allerta e temono un insano gesto da parte del sequestratore.
Seguiremo in diretta tutto lo svolgimento della vicenda... Restate con noi."


Beth, avvertì la mia presenza dietro di sé e mi lanciò uno sguardo provato.
"E adesso?"
"Beh almeno, pare che Josef si sia ripreso. Andiamo a dare un‘occhiata..."
Capitolai, tornando verso il tavolo per recuperare la sua camomilla.
"Ma prima finisci questa, ne hai bisogno."


**********************
19.

Appena raggiunta l’entrata del palazzo delle Kostan Industries, trovammo il tenente Davis e il viceprocuratore Talbot discutere animosamente.
Io e Beth ci avvicinammo per chiedere notizie di Josef e l’aggiornamento di quanto avevamo sentito alla tv.
Ben, vedendoci arrivare insieme, sembrò piacevolmente sorpreso, nonostante la tensione della situazione.
"Beth, Mick... sono felice di vedervi. Parlate con il signor Kostan e cercate di calmarlo! Sta dando spettacolo e non riesco a tenerlo lontano dai giornalisti!"
Io annuii in modo deciso e Beth si affrettò a precisare.
"Tu però dicci che succede, perché stavate discutendo tu e Carl?"
"Davis mi ha spiegato che Mark, il figlio del sequestratore, è anche il fidanzato della segretaria del signor Kostan. Lei ora è in quell’ambulanza. Sembra decisamente sotto shock... Lui li conosce entrambi, sono stati molto amici.
Dopo la rapina, Mark ha confessato di avere sparato per paura e per questo si sperava in una condanna all‘ergastolo. Invece il discorso si è complicato perché c‘è un‘accusa di una vera e propria esecuzione, che pesa sulla testa del ragazzo. Wingate era un ufficiale di polizia, bianco, 45 anni, con 2 figli. La pistola con cui gli hanno sparato era indubbiamente intestata a Collins, e Wingate era uno dei migliori agenti impegnati nel recupero e nel controllo di una banda di ragazzi sbandati.
Il pubblico ministero ha sostenuto l‘accusa dicendo che Collins avrebbe premeditato l‘omicidio dell‘agente e lo abbia freddato senza alcuna pietà, scaricandogli addosso l‘intero caricatore. Carl sostiene che Mark abbia avuto un complice, il vero omicida, mai identificato e che col suo silenzio lo stia volontariamente coprendo. Questo gli costerà la vita, dato che la sentenza è stata di condanna a morte per omicidio colposo, aggravato dalla premeditazione. Sapete quanto la legge sia severa quando c’è di mezzo un discorso razziale e per di più la vita di un agente di alto grado, fortemente impegnato nel sociale...
La sentenza di Mark sarà eseguita domani mattina.... Suo padre è incensurato, Carl ha garantito che è un brav’uomo, è solo l’amore paterno a spingerlo in questa pericolosa avventura. Ora sta tentando l’ultima carta che può giocarsi."
Ben fissò intensamente Beth, poi me.
"Dove si trova in questo momento?" Domandai allora pensando che avrei potuto raggiungerlo e disarmarlo senza troppi problemi evitando un’invasione del reparto speciale.
"Nel CAVEAU!" Urlò Josef alle mie spalle. Era stravolto.
"Torno a lavoro e mi ritrovo questo pandemonio! Il mio palazzo... l’ho appena ristrutturato e quel bastardo vuole farlo esplodere!"
"Ti preoccupi del palazzo quando ci sono 40 persone che rischiano la vita?"
Lo rimproverai e lui alzò gli occhi al cielo.
"Mi preoccupo anche del palazzo! A quello, penso solo io..."
"Non accadrà nulla di troppo grave al palazzo, se Collins dovesse farsi esplodere nel bunker..." Precisò Talbot.
"Ma lei dovrà dire addio a tutto il suo contenuto."
Questo rendeva perfettamente chiaro quanto i documenti che Josef riponesse abitualmente nel caveau dovessero essere importanti per la sua azienda.
"Sistemeremo tutto, Josef... " Tentai di rassicurarlo.
"Ma come ci è finito Collins nel tuo caveau?"
Josef alzò lo sguardo verso Talbot senza rispondermi e domandò a sua volta.
"Dov’è Lara?"
Ben ricambiò lo sguardo di Josef cercando di dimostrarsi il più comprensivo possibile, ma non rispose. E Josef mi spiegò.
"E‘ stata colpa mia, maledizione! Ho dato a Lara il codice per farle mettere al sicuro dei documenti importanti! Ma quando sono uscito di corsa ieri, mi sono dimenticato di cambiarlo! Voglio vedere Lara, mi hanno detto che è uscita, dov’è?" Josef aveva lo sguardo troppo lucido perché non lo notassi.
"Probabilmente Lara è stata costretta a rivelarglielo." Spiegò Ben glissando di nuovo la domanda, ma da quello che gli aveva spiegato Carl era più probabile che lei glielo avesse fornito spontaneamente. O peggio ancora, come io e Josef, stavamo ipotizzando anche senza dirlo in maniera esplicita, probabilmente era stata proprio Lara a cogliere l’occasione propizia.
Il suo datore di lavoro si era fidato ciecamente di lei, le aveva lasciato il codice della stanza blindata e il giorno dopo non si era presentato in ufficio. Era praticamente un invito a prendere possesso del palazzo. E magari Lara si era lasciata convincere da Duke a mettere a punto il piano estremo del sequestro di un grattacielo a Down Town.
Ero quasi certo che fossero complici, mossi entrambi dalla disperazione.
"Josef, perché ho la sensazione che devi ancora dirmi la cosa peggiore di tutta questa storia?"
Josef mi fissò ancora più accigliato e sbuffò.
"Il codice è controllato da un sistema di sicurezza avanzatissimo. Si può isolare dall‘interno. In poche parole lo avrà bloccato dall‘interno e se non lo sblocca lui, nessuno riuscirà ad entrare a meno che non decida di usare un bazooka e anche in quel caso non so se riuscirebbe facilmente a sfondare."
"Ah... perfetto." Commentai con rassegnazione.
"Io mando su gli Swat. Col bazooka." Annunciò allora Talbot, piuttosto risoluto.
"Non abbiamo alternative e sono rimaste 40 persone lì dentro. Tutte sul piano del caveau!"
"Aspetta! Fai salire me... Voglio fare un tentativo." Esclamai concentrando lo sguardo di tutti su di me.
"Non serve, Mick, abbiamo già mandato su il negoziatore, ma non c‘è stato verso di farlo tornare in sè."
In quel momento Beth si avvicinò a Ben e con la sua nota risoluzione tentò di convincerlo.
"Andiamo Ben, lascia che Mick faccia l‘ultimo tentativo... Sbaglio o hai ancora qualcosa da farti perdonare da me?"
Talbot, messo alle strette, si morse un labbro, consapevole di non saper dire di no alla sua socia dagli occhi azzurri e tornò a guardare me.
"Hai un quarto d‘ora, St. John, non un minuto di più. Se non ti vedo uscire tra un quarto d‘ora, ti vengo a prendere con loro! Tutto chiaro?"
Alzai le sopracciglia stupito di quanta fiducia riponesse in me. Un quarto d’ora non sarebbe stato sufficiente nemmeno per arrivare al piano del caveau, considerando i tempi umani. Ma io potevo muovermi ad una certa velocità.
Prima di avviarmi però, ringraziai Beth con un sorriso e uno sguardo carico di sentimento.
"Grazie per l‘aiuto, Ben non sa proprio dirti di no... Peggio di me."
"Mick... non ringraziarmi e pensa solo a riportare qui la tua magnifica persona tutta intera."
Ridendo spostai lo sguardo sulle sue labbra. Avevo voglia di baciarla ma c’era troppa gente e noi avevamo ancora il nostro patto da rispettare.
"Okay allora... mentre sono su, tu tieni d‘occhio Josef. Cerca Lara con uno sguardo decisamente preoccupante... Non vorrei pensasse di vendicarsi a modo suo...hai capito cosa intendo. "

Beth approfittò del fatto che tutta la stampa avesse deciso di seguire me e si avvicinò a Josef come mi aveva promesso.
A dire il vero non sapeva bene cosa dire, aveva ancora in testa l’orribile scena della lotta fra lui e me e così si limitò a prendergli una mano.
Era un gesto abbastanza affettuoso, loro due non erano così intimi, ma lei pensò che forse in quel momento anche Josef aveva bisogno di affetto.
Il vampiro si voltò a guardarla sorpreso da quel gesto e disorientato, senza sapere bene cosa fare.
Lei gli sorrise e cercò le parole giuste.
"Mick sistemerà ogni cosa Josef, non credo che ci sia bisogno che tu mortifichi oltremodo quella poverina...Io e te lo sappiamo meglio di chiunque altro, quando si è innamorati si fanno tantissime sciocchezze!Tu con la tua Bella Addormentata...io che me ne vado senza un vero motivo e lascio qui Mick tutto solo...l’amore rende pazzi"
Josef la guardò incupito.
"Per amore non si tradisce la fiducia che gli altri ripongono in te, Beth...e ad ogni modo io pretendo una spiegazione è mio diritto! Come datore di lavoro e come persona. Non mi succede spesso di fidarmi così dei miei dipendenti e come vedi ho ragione a comportarmi come mi comporto!"
Beth lo trattenne stringendogli la mano ancora più forte.
"Josef...però, per favore...promettimi che quell’umana non pagherà un prezzo troppo alto...sta già soffrendo troppo.”
Non a caso aveva usato la parola umana, sapeva che alla fine per Josef quella ragazza era semplicemente quello. Una umana come lei.
"Non macchiarti di sangue inutilmente."
Josef guardò nei suoi occhi azzurri pensando che Beth fosse la persona più strana che avesse mai conosciuto.
Sapeva come trattare con lui, con quelle semplici parole gli aveva sussurrato in realtà
So che uccidi...non mi importa, ti accetto per come sei...ma fallo almeno per cose per cui valga davvero la pena uccidere!
Lui le sorrise
"Sai, signorina Turner? Sei l’umana più vampirefriendly che io conosca!"Le disse lasciandole la mano. "Ok, ti prometto che non la ucciderò. Mi limiterò a minacciarla, va bene?" Chiese, cercando il suo appoggio e Beth sorrise comprensiva.
"Va bene, ma vengo con te. Ho imparato che è sempre meglio tenere d'occhio un vampiro!"
Josef in effetti impiegò molto poco a trovare Lara tra la folla di agenti e soccorritori, e quando la raggiunse, lei scoppiò in lacrime, cercando di impietosirlo.
"Mi perdoni... mi perdoni Signor Kostan, ma io amo Mark. Non voglio che muoia... Ero pronta a fare qualunque cosa per salvarlo. Forse non servirà ma almeno ci avrò provato. Mark è innocente..."
Sentendo quelle parole Josef si adombrò ancora di più.
"Dimmi una cosa, prima che mi venga l’istinto di ucciderti... Tu e suo padre siete gli unici a ritenere che non sia stato lui a sparare, ma ha anche confessato. Cosa ti fa credere che sia innocente con tanta convinzione?"
Lara si guardò le mani bagnate di lacrime e cercò di coprirsi il viso contratto dai singhiozzi.
Per qualche secondo non riuscì a parlare. Poi tra i singulti gli confessò la verità. Per la prima volta dopo 8 anni.
"Io merito di morire, non ho paura. Perché l‘ho ucciso io... Sono stata io a sparare a quell‘agente..." Fu costretta a fermarsi per soffocare l’ennesima crisi di pianto.
"Sa cosa significa... Mr Kostan... Sapere che la persona che ama sta scontando le sue colpe? Sa quanta pena, straziante, deve sopportare una come me... che per sbaglio e per paura, ha premuto quel grilletto non una, ma 5 volte! Avevo paura che ci sparasse... L‘idea della rapina era di Mark e lui si sentiva responsabile per me... ma la colpa è sempre stata solo mia! Dovrei essere lì, in carcere al posto suo... Dovrei morire, al posto suo! Invece avrò per sempre il rimorso di avere lasciato che la persona che amo di più al mondo soffrisse per me, morisse... per me. Non ho saputo resistere alla tentazione di provare a salvarlo. Immagino che non possa perdonarmi, ma le chiedo almeno di capire un po‘... quanto può essere insopportabile il mio dolore...
Ho creduto davvero, grazie a lei, di essere riuscita a cambiare vita. Non avrei mai voluto tradire la fiducia che aveva riposto in me, ma non ho avuto scelta... E ho pensato che il destino avesse voluto darmi un’occasione di rimediare al mio tragico sbaglio! E’ stato terribile, ma forse un giorno lei comprenderà..."

Beth aveva assistito in silenzio a quella confessione, a quello sfogo terribilmente struggente. E provava una profonda pena per Lara. Sapeva anche che le sue parole avevano toccato Josef nel punto più morbido del suo cuore. Perché anche Josef aveva un rimorso che lo consumava senza dargli pace.
Lara allora afferrò la borsa e tirò fuori una fotografia dal portafogli, per mostrarla ad entrambi.
"Guardate... guardate come eravamo felici... Mark è in primo piano con la maglietta bianca e il cappellino..."
Josef prese la foto dalle sue mani tremanti per dare uno sguardo distratto e poi la passò a Beth che al contrario la guardò con più attenzione.
Nella foto c’era anche Carl.
"Forse non è tutta colpa del destino... Molto dipende da noi." Sentenziò Lara tirando su col naso.
"Ho rovinato anche la vita di Duke. Ora sono pronta a pagare per i miei errori. "


image




**********************
20.

Talbot si preoccupò di farmi raggiungere l’ingresso, mentre la folla urlante invadeva le strade circostanti con cartelli e striscioni contro la pena di morte e i giornalisti si affrettavano ad intervistare i più fomentati. Ben urlò contro di loro chiedendo di liberare la strada e permettere ai soccorsi e alle autorità di intervenire con maggiore velocità, poi si premurò di avvertirmi un’ultima volta.
"Tieni d‘occhio l‘orologio..." Io gli risposi con un gesto d’assenso e mi voltai per entrare.
Salii fino al piano del caveau, uno dei più alti del palazzo delle Kostan Industries e liberai tutte le persone che erano ancora legate o chiuse nei loro uffici. Ma alcune di loro mi spiegarono allarmate che Duke aveva portato con sé nel caveau altre due persone.
Quando mi ritrovai fuori dalla pesantissima porta d’acciaio della camera blindata, chiamai il sequestratore a gran voce.
Avevo i minuti contati e il mio cervello stava lavorando per cercare delle argomentazioni convincenti per far desistere quel padre così provato emotivamente da lanciarsi in quell’impresa disperata.
"DUKE COLLINS, VENGA FUORI, LA PREGO, DEVO PARLARLE!"
"LEI CHI é E COSA VUOLE?UN ALTRO NEGOZIATORE? SE NE VADA!NON SPRECHI ALTRO FIATO!"

Mi avvicinai ancora di più alla porta e cominciai ad impostare il mio discorso.
Speravo di poter toccare le corde giuste per convincere Collins ad arrendersi, perché non solo non avrebbe ottenuto nulla, ma stava rischiando di peggiorare tutto se avesse disgraziatamente pensato di ricorrere all‘esplosione.
"Mi chiamo Mick St. John, voglio solo parlare, Mr Collins... "
"E io ho solo una cosa da dirle! E l’ho detta già mille volte! Mio figlio Mark è INNOCENTE!"
"Senta... Parliamo di lei, Mr Collins. Io credo che lei sia un bravo cittadino, terribilmente sconvolto per quello che è accaduto a suo figlio... Capisco benissimo il suo stato d'animo, anche se solo chi si trova nella sua situazione può comprendere veramente il suo dolore. Ma si è affacciato? Ha visto che lì fuori c'è molta gente che crede in lei? E’tutta brava gente che è contro la pena di morte, che la sostiene nei suoi valori! Se lei andrà fino in fondo nel suo intento, se continuerà a minacciare di compiere questo atto assurdo, la tradirà tutta! Capisce che non è possibile scarcerare suo figlio in questo modo? E' sbagliato! Lei deve comprendere che il governo non può cedere ai suoi ricatti, o dovrebbe farlo in qualunque caso si presentasse un familiare disposto a tutto, come lei... "
"Io so soltanto che mio figlio è innocente e non cederò! Lei ha figli, Signor St. John?"
"Purtroppo no...ma posso immaginare cosa stia provando..."
"No, si sbaglia, non può capire quanto un padre preferisca morire piuttosto che sopportare di seppellire il proprio figlio! Mi creda... non posso fermarmi! A costo di far saltare in aria tutto!"
"Ma se fa una cosa del genere, comunque non salverà suo figlio! La prego, mi lasci dire una cosa... Non sono padre, è vero, ma sono un figlio che ha amato profondamente i suoi genitori e ha capito forse troppo tardi quanto gli abbiano dato!
Sono sicuro che lei, come mio padre, abbia insegnato a suo figlio il valore della vita umana e che lo abbia educato ai principi civili come era suo dovere. Ed è proprio per questo che è convinto della sua innocenza..."

Mentre parlavo, Duke mi ascoltava in silenzio e questo aumentò la mia determinazione.
"Perchè lei non può accettare l’idea che il suo Mark sia venuto meno a ciò che gli ha insegnato, vero? Ecco perchè lei crede che sia innocente..."
"Nemmeno lei mi crede...Lui NON è colpevole! Non è stato lui! IO lo so!"
"Ascolti...Io non posso sapere con certezza se suo figlio sia innocente o meno. Non ero lì per vederlo con i miei occhi se ha sparato o no a quell’agente né posso sapere se lo ha fatto per paura o per vendetta!"

Replicai alzando la voce.
"Ma sono sicuro che LEI è innocente, Signor Collins, esattamente come quelle persone che sono lì dentro con lei!
Se lei ora si fa saltare in aria, condannerà a morte tante persone innocenti, compreso sè stesso.
Comunque vadano le cose, signor Collins, sono sicuro che lei è in buona fede... perciò, la prego, non si sporchi le mani del sangue di queste persone... Se lo farà, dimostrerà soltanto che la sua famiglia non ha rispetto della vita altrui e getterà ancora di più nel fango la reputazione di suo figlio. Chi potrebbe credere che il figlio di un assassino suicida non sia un potenziale assassino?
Ha già dimostrato a tutto il mondo la sua disperazione e la sua determinazione... E tutti comprendono con commozione il suo dolore, partecipano del suo dramma, ma sanno anche che se lei è una persona di cuore, ora si fermerà prima di diventare un boia a sua volta. Perciò ora apra questa porta, Mr Collins... Pensi a Lara, che si è compromessa seriamente, coprendola in questo suo folle proposito... pensi all'esempio negativo che le sta dando! E soprattutto, lo faccia per suo figlio, perchè Mark sappia che almeno lei ha sempre fatto la cosa giusta e ha avuto il coraggio di essere una persona migliore!"

Passò ancora qualche secondo di silenzio, mentre scorreva inesorabilmente il conto alla rovescia.
Il tempo a mia disposizione stava ormai per scadere ed ero sicuro che Talbot scalpitasse per far entrare in azione il reparto speciale.
Ma improvvisamente avvertii il bip di disinnesco del codice. E Duke Collins comparve sulla soglia del bunker, dietro la pesantissima porta d'acciaio. Aveva gli occhi inondati di lacrime.
Accanto a lui c'erano i dipendenti sequestrati che si stavano ancora liberando delle corde con cui li aveva legati.
Duke lasciò cadere la pistola e notai che addosso aveva due candelotti di dinamite, infilati nella cintura.
Lo accompagnai fino all’uscita e, scorgendo le nostre sagome e quelle dei sequestrati, Carl si avvicinò con alcuni agenti per assicurarsi che quella follia fosse finita.
"Duke... Grazie a Dio hai capito che era la cosa migliore da fare." Esclamò con un sospiro di liberazione.
Io invece raggiunsi Talbot che mi guardava avanzare dalla sua parte con lo sguardo serissimo e le braccia incrociate sul petto.
"Non voglio sapere come ci sei riuscito, non mi interessa! Lo ammetto, provo una profonda invidia nei tuoi confronti quando mi rivolgi quello sguardo trionfante... Se vuoi che ti ringrazi, grazie! Ora sparisci...come tutti i bravi supereroi!"
Non so perché ma quella cinica battuta mi fece sorridere e annuire divertito.
"Dov‘è Beth?" Chiesi invece.
"Ancora con Josef e Lara..."
"Perfetto, volevo giusto parlare con te a quattr'occhi. Ho bisogno di un favore e credo che tu sia la persona più adatta a cui chiederlo."
Ben allargò le braccia assottigliando lo sguardo, ammutolito dalla sorpresa. Senza aspettare che mi chiedesse informazioni, cominciai a spiegargli brevemente cosa mi passasse per la testa.
"Domani ci sarà l’udienza di Tony Romeo, l’avvocato Walker chiederà l‘uscita su cauzione e se Tony la dovesse ottenere, Beth vorrà tornare da lui per fargli alcune domande."
"Come lo sai? Te lo ha detto lei?"
Domandò, interrompendomi.
"Non me lo ha detto, ma lo so. Pensi che non la conosca abbastanza bene? Solo che non vorrà essere accompagnata da me, vuole andarci da sola. E io invece voglio che la accompagni tu!" Lo indicai puntando il dito verso di lui.
Ben mi guardò per qualche secondo in modo scettico. Poi si guardò intorno per assicurarsi che Beth fosse ancora lontana e con un profondo respiro tornò a sostenere il mio sguardo.
"Ok St. John.. se sei venuto a chiedere aiuto a me devi essere davvero disperato. E io ti aiuterò. Farò tutto quello che mi chiederai, perchè non voglio che accada nulla a Beth. "
Rimasi sorpreso da quella risposta. Speravo che mi aiutasse, ma non pensavo che avrebbe accettato subito e con tanta sicurezza e accondiscendenza.
La cosa non mi rassicurava molto.
Forse era l'occasione che da tempo stava aspettando.
"Ma voglio sapere perché. Perché proprio io?"
"Perché so che Beth si fida di te."
"Ah davvero? E tu, Mick?Tu ti fidi di me, talmente tanto, da affidarmi il compito di proteggere la tua ragazza al tuo posto?"

Dal tono con cui aveva chiesto, mi sembrava che si aspettasse una risposta del tutto negativa e sincera. Ma io ci pensai su per qualche istante prima di rispondere. Voleva sincerità e io gliela avrei data.
"Sì. Sì, mi fido di te, Ben. Anche se sembra incredibile a tutti e due..." Aggiunsi.
Odiavo l'idea di non poter proteggere Beth come volevo io. Ero sicuro che nessuno potesse farlo meglio di me.
Ma in quel momento volevo che mi sapesse al sicuro e l‘idea che avessi contatti con quella famiglia, la agitava troppo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** settima parte ***



**********************
21.

Come avevo previsto, il giorno dopo Simone ottenne l’uscita su cauzione e Tony tornò a casa quella mattina stessa.
Beth era in fibrillazione e non tentò neanche di nascondermi il suo intento di tornare alla villa.
Ben si offrì di accompagnarla, come avevamo concordato e Beth accettò, nonostante all’inizio fosse stata un po’ titubante.
Josef invece si offrì di farmi compagnia e di torturarmi tutto il tempo, aizzando la mia gelosia nei confronti di Talbot.
"Ma cos‘hai in testa? Di certo non sei un tipo geloso! Quello non vede l’ora di rimanere solo con Beth e tu gliela servi su un piatto d’argento! Piatto d’argento che tu, tra l’altro, non puoi nemmeno sfiorare..."
" Josef, andiamo, non avevo alternative." Gli spiegai sedendomi sul divano fingendo un certo distacco.
"Dovresti essere qui per farmi rilassare, non per agitarmi!"
"Sei più divertente, quando sei agitato. E ti devo ancora un paio di destri in faccia per la storia di Virginia! Non credere che me ne sia dimenticato o che l’abbia ancora mandata giù!"
Per tutta risposta, sbuffai, prendendo il giornale e cominciai a leggere le notizie del giorno.

Intanto i due ospiti attesi erano ormai alla porta e quando bussarono, fu Tony stesso ad aprire loro, con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto.
"Vi stavo aspettando... Seguitemi, venite su con me."
Beth e Ben si scambiarono uno sguardo incuriosito e seguirono Tony al piano superiore, attraversando diverse stanze e corridoi lussuosi, fino a che il ragazzo non si fermò davanti ad una porta con la mano sulla maniglia.
"E‘ qui, Miss Turner... E‘ appesa al muro, sulla destra..." Spiegò Tony, temendo forse che la sorpresa potesse spiazzare esageratamente Beth.
Quando aprì, sia lei che Ben si resero conto di quanto la cosa potesse essere stupefacente. Ed entrambi restarono sbigottiti per la somiglianza di Beth con la donna del quadro.
"Ecco a lei, Miss Turner... Le presento Madame Jacqueline Elizabeth De Robert vissuta alla corte di Francia tra il XVII e il XVIII secolo!"


image




Gli occhi di entrambi i visitatori brillarono vistosamente d’emozione e Tony cominciò a raccontare la sua storia.
"C‘è una leggenda che gira su questo meraviglioso personaggio della storia che ben pochi conoscono. Se conoscete i romanzi di Dumas saprete anche che la Regina Anna, sposa di Luigi XIII, fu tanto odiata, per la sua parentela con famiglie “pericolose” per la Francia, dal fidato consigliere del re, il cardinale Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu.
Si racconta che la regina avesse grossi problemi a portare a termine le sue gravidanze e che il cardinale le rimproverasse eccessiva immaturità nel continuare a fare vita di corte con tutti i suoi svaghi senza tenere conto del fatto che, ormai più che adulta, non aveva ancora dato a Luigi un degno erede.
La storia rivela che ebbe diversi aborti,spontanei, altri dovuti a delle cadute, prima di partorire dopo 20 anni di matrimonio, il famosissimo Luigi XIV che diventerà il Re Sole. In realtà prima di lui e di suo fratello Filippo, alcuni sostengono che Anna abbia dato alla luce una bambina. Nel romanzo dei tre moschettieri si parla approfonditamente di una relazione clandestina che Anna avrebbe avuto con George Villiers, primo duca di Buckingham. Quello che il romanzo omette, lo si è intuito analizzando alcuni documenti dell’epoca e cioè che la regina pare sia rimasta anche incinta durante la relazione col duca, che abbia dato alla luce appunto la bambina, ma che questa fosse morta durante il parto. Dopo questo spiacevole episodio, dopo l‘ennesimo scontro con Richelieu, la regina Anna si convinse ad interrompere la relazione col duca, che tornò definitivamente in Inghilterra. Non è del tutto da escludere che abbia simulato l’ennesimo aborto nel dubbio che il neonato fosse appunto figlio del duca e non un legittimo discendente dei Borboni.
Per anni non si seppe null’altro che questo, ma da alcune lettere intercettate e prelevate dalla corrispondenza che il Duca ancora intratteneva con la regina Anna, alcuni studiosi affermano di avere scoperto che la bambina cui fu dato nome Elizabeth, non fosse affatto nata morta, ma che fosse stata portata in Inghilterra dal presunto padre e cresciuta presso la famiglia della vera figlia del duca, che la adottò in maniera ufficiale. "

Tony indicò con la mano il quadro che aveva di fronte e Beth espresse subito le sue perplessità.
" Quindi... quindi se ho capito bene, Elizabeth è figlia della regina Anna e del duca di Buckingam?"
"Figlia della regina Anna, molto probabilmente... Ma non si può avere la certezza scientifica che fosse figlia del duca e non di Luigi. Se fosse stata concepita dal re, questa donna qui ritratta sarebbe in realtà una sconosciuta discendente della dinastia dei Reali di Francia, poiché nelle sue vene scorrerebbe sangue borbonico. Purtroppo nessuno ci svelerà mai questo mistero.
Il sangue della discendenza di Elizabeth, se anche fosse una sua lontana antenata, miss Turner, come si può pensare dalla somiglianza, non potrebbe essere comunque confrontato con quello dei Borboni che si estinsero alla fine del 1700 durante la Rivoluzione Francese. L‘intera famiglia reale fu condannata alla ghigliottina, come di certo saprete... Cos‘altro posso dirvi? Credo di avervi spiegato la storia, così come l‘hanno raccontata a me, ma è chiaro che si potrebbe trattare solo di pettegolezzi di palazzo. Forse di voci messe in giro dallo stesso cardinale Richelieu per gettare fango sulla reputazione della regina."

Mentre finiva di parlare, Tony venne interrotto dalla cameriera che lo pregò di raggiungere il padre al piano inferiore e il ragazzo si congedò con estrema gentilezza, sorridendo.
" Vi prego di scusarmi, ma voi restate pure, tornerò appena possibile."
Beth si avvicinò ancora di più al quadro per osservarlo da vicino e sfiorò appena la superficie della tela, con una certa incredulità.
"La somiglianza è davvero impressionante... " Si lasciò sfuggire Ben.
"Dal racconto di Tony sembra che tu possa essere una discendente dei Reali di Francia! E‘ incredibile... "
Ma Beth non lo stava ascoltando, rapita da quella sensazionale scoperta. Quando si voltò a guardarlo, i suoi occhi si posarono su un particolare che non le poteva sfuggire.
" Il Fleur de Lys..." L’incisione a giglio che aveva visto sulla porta alle spalle di Ben la attirò come una calamita.
E Ben la fissò turbato.
"Beth... di che stai parlando? Quale fiordaliso? "
Beth si accostò alla porta e la aprì senza un attimo di esitazione.
"NO! Beth! " Protestò Talbot raggiungendola.
"Che vuoi fare? Non possiamo andarcene in giro per la casa! Dobbiamo aspettare Tony!"
Beth invece di rispondergli, gli indicò il pavimento al di là di quella porta e Ben chinò lo sguardo suo malgrado per accontentarla.
"Che c‘è?"
" A me sembra una scala...Una scala a chiocciola. "
Ben guardò con attenzione e capì che avevano trovato un passaggio interno.
La scala lunga e stretta, sembrava condurre non al piano inferiore, bensì ad una sorta di seminterrato.
Beth si voltò a guardarlo negli occhi emozionatissima.
"Wow... a me sembra un passaggio segreto... "
Ben sospirò.
"Io scendo." Sentenziò lei mentre Talbot la fulminava con lo sguardo spalancato per lo stupore e la preoccupazione.
"No Beth, tu non vai da NESSUNA parte! Questa casa non è un parco giochi! Non stiamo giocando ad una caccia al tesoro, perciò noi non ficcheremo il naso in quel sotterraneo!"
"Ben... io ti credevo più coraggioso sai?"
"Io sono coraggioso quanto basta! E' solo che non sono avventato e incosciente come te! Ora andiamocene."

Ordinò tirandola per il polso.
Ma Beth sentiva qualcosa che la attirava verso l'ignoto. E non era solo curiosità. Con uno strattone si liberò dalla presa di Ben e si precipitò giù per la scalinata. Una volta aver sceso a perdifiato tutti i gradini, si ritrovò di fronte ad un percorso obbligato.
C’era uno stretto corridoio che si diramava in profondità ma la cui fine era preclusa al suo sguardo.
Gettò un’occhiata in alto verso Ben che le urlava di risalire e stava già scendendo a sua volta per raggiungerla, poi guardò verso il tunnel per un istante in cui capì che doveva percorrerlo fino in fondo.
E varcò la soglia della galleria, pronta ad avventurarsi.
Vedeva un bagliore azzurro in lontananza dietro la prima curva di quel budello. E quella luce con quel colore, la rassicurava e la attirava.
Ben sbuffò contrariato ed esitò prima di raggiungerla.
"Beth... ti prego. Per l'ultima volta...torniamo a casa. Non voglio che Mick mi dissangui se non ti riporto da lui tutta intera..."
Aveva usato la parola giusta.
Dissanguare era proprio quello che avrei fatto se la situazione gli fosse sfuggita di mano. E Beth avrebbe dovuto capire.
La aveva usata di proposito per richiamare la sua attenzione, ma lei non lo aveva nemmeno sentito.
A causa della poca luce Beth fu costretta ad assottigliare lo sguardo e le sembrò di scorgere delle ombre agitarsi.
"Ben... vieni qui... C'è qualcuno laggiù!"
Ben si accigliò e il suo sguardo si accese di una luce più forte. Ora temeva davvero che le cose andassero come non aveva previsto.
"Sembra... Un bambino!"
Gridò ad un tratto Beth ed iniziò a correre prima che lui potesse bloccarla.
"BETH! DOVE DIAVOLO VAI? ASPETTA!"
Entrò anche lui nel tunnel cercando di raggiungerla ma dopo avere svoltato l'angolo s'era ritrovato ad un bivio e l'aveva persa.
Beth invece aveva visto una sagoma non molto alta. Era quasi certa che fosse quella di un bambino e voleva raggiungere a tutti i costi.
"Ehi TU!"
Gli gridò in un tratto di strada più rettilineo. Ma mentre correva inciampò in qualcosa e cadde.
Piantando i palmi a terra aveva attutito la caduta, ma si era tagliata sotto il pollice e alzando lo sguardo si accorse di non essere sola.
La figura che aveva intravisto precedentemente era di fronte a lei, accucciata.
"Ti sei fatta male?" Domandò una vocetta flebile ma sicura.
"Sto bene..."
Gli rispose Beth alzando lo sguardo incredula, mentre le sue mani cercavano un fazzoletto per avvolgerlo intorno al taglio.
Il bambino piegò lentamente la testa da un lato, incuriosito, mentre Beth si rialzava, scrollandosi di dosso una nuvola di polvere e terra.
Poi il suo sguardo si posò su quella piccola e curiosa presenza.
Ebbe l’impressione di avere già visto quell'espressione, perché gli sembrava di riconoscere quel gesto.
Sentì improvvisamente un’ondata di calore invaderle il cuore mentre lo osservava con attenzione.
Doveva avere forse 6 o 7 anni, aveva un paio di pantaloncini sporchi di fango e un ginocchio sbucciato, i capelli spettinati sulla fronte e la sua piccola mano stretta forte intorno ad un aeroplanino di plastica.
La fissò con uno sguardo serio e intenso che penetrò a fondo in quello di Beth. Uno sguardo sicuro e allo stesso tempo dolcissimo.
Uno sguardo che una parte remota del suo animo trovò stranamente familiare, troppo familiare.
"Ma perchè scappavi? Non devi avere paura...non voglio farti del male! Come ti chiami? "
Gli chiese Beth ancora dolorante.
"Mi chiamo Elliot."
Rispose il ragazzino facendola sobbalzare.
"Elliot..."
Sussurrò con un filo di voce Beth e un brivido le passò lungo la schiena.
"BETH! BETH DOVE SEI??"
Talbot cominciava ad agitarsi e ad innervosirsi.
"RISPONDIMI, BETH!"
Ma Beth non riusciva a smettere di fissare quel bambino, proprio non ci riusciva, quella piccola sensazione si stava ingrandendo, più lo guardava più la sentiva diventare una certezza.
"Elliot... che ci fai qui?"
La sicurezza nella sua voce svaniva lentamente, lasciando il posto ad un tremolio incerto.
"Mi sono perso..."
"Adesso vieni con me...ti aiuto io ad uscire..."

Gli rispose lei con un sorriso tremante, rendendosi conto che tra i due, la spaventata era lei.
Si chinò fino a trovarsi alla sua altezza e con una mano incerta quanto il suo sorriso, che avrebbe voluto essere incoraggiante, gli accarezzò i capelli scarmigliati sulla fronte.
Erano morbidi e lei sentì che anche quel gesto le era familiare, era come se lo avesse già fatto. Il suo sorriso diventò più fermo e la sua mano si tese verso il bambino.
"Io sono Beth! Vieni, Elliot. " Ripetè con dolcezza mentre lo osservava prendere la sua mano.
"No... vieni tu..." Le rispose il bambino tirandola verso la fine della galleria. Improvvisamente si ritrovarono dentro una stanza dalle pareti di roccia e con il pavimento ricoperto di strane scritte in latino. Al centro della stanza c’era un libro aperto ed Elliot glielo indicò.
"Cercavi quello, vero? Tutti cercano quello..."
"Non lo so... "
Rispose Beth timidamente.
"Non so cosa sia. "
Elliot la fissò senza battere ciglio e poi rispose.
"Quel libro è pieno di risposte. "
Beth si avvicinò incuriosita e stringendo gli occhi per poter leggere nonostante la pochissima luce, riuscì a capire il senso di quelle pagine.
Ma non era sicura di essere sveglia o di vivere un sogno ad occhi aperti.
Photobucket
"BETH! Dove sei? BETH RISPONDI! "
"BEN VIENI, HO TROVATO UN BAMBINO!"
Gridò ad un tratto, indietreggiando e uscendo dalla stanza per andare incontro a Ben, nell’ oscurità da dove sentiva provenire la sua voce. Ma il bambino che aveva al fianco si bloccò di colpo e Beth fu costretta a fermarsi.
Piegandosi sulle ginocchia verso di lui, cercò di rassicurarlo.
Talbot arrivò proprio in quel momento. E la vide chinata a parlare piano.
"Beth, finalmente ti ho trovata! Ma con chi parli?"
Beth si voltò verso di lui con un sorriso.
"Con Elliot, lui... si è perso..."
Ben sbirciò il muro oltre la sua spalla prima dal lato sinistro, poi dal destro.
"Beth, ma che stai dicendo? Non c'è nessun bambino!"
Le disse afferrandola per le spalle e scuotendola con una certa forza.
Beth si voltò e si rese conto che di Elliot non c'era più neanche l'ombra.
Ma quello sguardo che aveva visto, lo ricordava fin troppo bene, impresso a fuoco nella sua mente come tutte quelle sensazioni che aveva provato, quel calore, il senso di gioia che aveva avvertito nell'accarezzarlo.
Quando si sentì afferrare da Talbot, scoppiò in lacrime, senza alcun controllo.
Non riusciva a fermarle, sebbene si sforzasse.
Aveva improvvisamente realizzato cosa le era successo.
"O mio Dio Ben.. Elliot! Elliot somigliava...Aveva lo stesso sguardo di... Quello... Era ...era... Non è possibile!"
Sentiva lo stomaco premuto in una morsa e si abbandonò tra le braccia del viceprocuratore, mentre lui cercava di rassicurarla.
Era scombussolata, stordita, sconvolta, mentre parlava in modo sconclusionato e incomprensibile.
"Chi era, Beth?"
Chiese lui stringendola, non capendo cosa volesse dire.
"Era...Io lo so chi era..."
Ma non riusciva a dirlo. Le restava fermo in gola.
Ben sollevò il suo viso e la guardò negli occhi.
"Chi Beth? Chi?"
"Era..."
Lei non riuscì a continuare, l'unica cosa che vedeva era quel bambino in mezzo alle lacrime che le riempivano gli occhi azzurri.
"Ti dico che non c'è nessuno qui! Era solo una tua fantasia, Beth... Va tutto bene... Ora mi credi? vedi che è meglio andare via di qui?"
Beth si asciugò una guancia, cercando di reprimere i singhiozzi.
Piangeva in modo incontrollato e si sentiva stupida.
Ma le emozioni che aveva vissuto non erano spiegabili. Erano innaturali.
Solo lei poteva sapere quello che le era capitato e dentro di sè aveva la certezza che quel bambino fosse parte di lei.



**********************
22.

Lentamente ripiegai il giornale e lo appoggiai sul tavolino prima di rialzarmi dal divano.
"E così è saltato fuori all’improvviso un testimone che, dopo 8 anni, ha dichiarato che i rapinatori erano due e che a sparare all’agente sia stato l’altro, e non Mark. Questo ha convinto il governatore a concedere la grazia. Okay senti... Io ho i miei sospetti su chi possa essere stato a parlare con Schwarzy..."
Gongolai fissando Josef e lui, evitando accuratamente di incrociare il mio sguardo, scolò tutto d’un fiato il suo bicchiere.
"Allora avevo ragione... ce l‘hai ancora un cuore...Lara te ne sarà debitrice a vita. L‘hai licenziata?"
"Non avrebbe avuto senso licenziarla ora che ho comprato la sua riconoscenza per tutta la vita, non ti pare? Ora è mia schiava fino al suo ultimo respiro."
" Mmm... come sei sadico... L’unico sadico dal cuore tenero che io conosca!" Replicai alzandomi per dargli una pacca sulla spalla.
In quel momento il sorriso mi si congelò sulle labbra, sentendo Beth singhiozzare fuori dalla porta. Ben l’aveva accompagnata fino al pianerottolo, ma poi Beth aveva preteso che finalmente la lasciasse sola. Solo che dopo neanche 30 secondi che il suo amico era entrato in ascensore, le era presa una nuova crisi di pianto.
"E io che ti avevo detto? Questo è il risultato dopo averla mandata in giro da sola con Talbot!"
Freddai Josef con lo sguardo mentre mi precipitavo alla porta e abbracciando Beth, cercai di farla calmare.
"Dov’è Talbot? Che è successo?" Le sussurrai appena all’orecchio portandola verso il divano per farla sedere.
"Ben... l‘ho mandato via io...Non...lui non c‘entra..."
Balbettò Beth, ma era sconvolta e faceva fatica persino a deglutire.
"Restale vicino, ma senza stressarla." Intimai a Josef e lui sfoderò un’espressione ferita e contrariata per la mia precisazione. Io invece mi allontanai da lei solo il tempo di prenderle un bicchiere d’acqua.
Beth sorseggiò cercando di riprendere fiato e si scusò. Poi iniziò a raccontare la storia della dama del quadro, di quanto le somigliasse. Ricordare ebbe l’effetto di distrarla. Ma quando arrivò alla parte più preoccupante della storia, tornò a sussultare tra i singhiozzi. Ci parlò delle pagine del libro e di quello che aveva letto sugli immuni. Josef era più perplesso di me e ascoltava in rispettoso silenzio.
"Smettila di piangere..."
Le ripetevo continuamente, tenendola stretta a me più che potevo, mentre le accarezzavo i capelli sulla nuca. Ma non riuscivo davvero a capacitarmi di ciò che era successo.
E lei non sentendosi creduta, non si sentiva rassicurata dal mio abbraccio come doveva.
"Mick... perdonami, ti prego... non so cosa mi è preso..lo so che è una cosa assurda e stupida da pensare, ma io te lo giuro... me lo sento... Quel bambino... era nostro figlio!"
Ogni volta che lo aveva detto avevo avvertito una fitta al cuore. E quel dolore mi era insopportabile.
"Era solo una tua proiezione, Beth... Hai avuto una allucinazione, in quel tunnel dovevano esserci delle piante velenose... Quando sei caduta e ti sei ferita hanno fatto effetto sulla tua psiche..."
Sapevo che non sarei stato in grado di darle un piccolo Elliot come voleva e il solo pensiero che lei lo avesse sognato ad occhi aperti, mi faceva stare malissimo.
"Ma io lo avevo visto prima di cadere, Mick! L'ho visto correre prima ancora di entrare lì dentro! Ha detto di chiamarsi Elliot! Elliot, Mick! Capisci? E' stato incredibile... E guardami, mi ha turbata, ma non sono spaventata, è solo che... mi ha toccata nel profondo! Io ho visto te in lui, Mick! Aveva il tuo stesso sguardo...E' stato pazzesco, ma bellissimo, credimi..."
Josef ci guardava taciturno, scotendo la testa.
Poi mosse le labbra senza emettere suono mentre lo fissavo preoccupato.
E capii perfettamente cosa voleva dirmi.
"Magia bianca."
Cui io risposi scotendo la testa a mia volta.
"No...Veleno. "
Era una cosa paradossale, ma ora che era accaduta ne vedevo gli effetti devastanti sullo spirito di Beth.
Noi rischiavamo la vita a contatto con quella gente, ma Beth rischiava di perdere la ragione. Era la sua integrità psicologica ad essere messa a dura prova, confrontandosi con cose ben più grandi di lei.
Quella casa nascondeva molte cose incomprensibili.
Il quadro era la prima che non mi convinceva affatto, così come la storia della discendenza dei reali di Francia con cui Tony pensava che Beth potesse essere imparentata.
Il secondo elemento fortemente sospetto era il proprietario di casa, assolutamente inesistente nel nucleo familiare ma apparentemente sempre presente con le sue direttive.
Ora si aggiungeva la storia del passaggio segreto e del tunnel allucinogeno.
"Non metteremo più piede lì dentro. Hai capito? Mai più, né tu né io." Mormorai a Beth chiudendo gli occhi.
Josef intanto, rifletteva su tutta quella storia dell’immunità pensando a Sarah e ad un tratto ci salutò ricordandosi che doveva passare dal suo ufficio. In realtà doveva essere una scusa per togliersi di mezzo e tornare a dedicarsi ai suoi piccoli problemi.


***************
23.

Ben lasciò Drexel Avenue dirottando verso casa, ma il cellulare squillò facendolo sobbalzare.
"Okay Ben, calmati, è tutto sotto controllo... Qualunque cosa Beth abbia visto, non era reale! Devo chiedere spiegazione a chi di dovere!" Si ripetè prima di prendere la telefonata. Ora che Beth era di nuovo con me si sentiva più tranquillo ma non aveva ancora smaltito l’adrenalina.
"Ben... Scusa se ti disturbo, come stai?"
Riconobbe subito quella voce sexy.
"Cindy? Ciao... io sto bene e tu?"
"Bene, grazie... Volevo chiederti... beh, se non sei già impegnato stasera... Ti andrebbe di cenare qui da me?"
Ben deglutì prima di rispondere, facendo mente locale.
"A Cena? Oh... Va bene, ti ringrazio... A che ora? "
"Alle sette... per te va bene?"
"Va bene... alle sette, ci sarò. Ciao, a dopo..." Rispose Talbot controllando nello specchietto retrovisore con un sorriso di compiacimento.
"Fantastico! A dopo!" Esclamò Cindy di rimando con l’entusiasmo di una ragazzina al suo primo appuntamento.

Dall’altra parte di Down Town invece Josef rientrava in ufficio per uscirne solo al calare del sole.
Quando lasciò il suo ufficio quella sera, lui e Lara si salutarono con uno sguardo diverso, quasi complice.
E una volta rientrato in casa accese tutte le luci come non faceva da diverso tempo. Si tolse i vestiti, si infilò la vestaglia di seta bordeaux e si versò da bere. Poi prese in mano il samsung per chiamare Simone ma nel farlo urtò accidentalmente il bicchiere, facendolo cadere a terra e versandone il contenuto sul parquet.
"Ma porc...!"
Stranamente il cristallo dondolò restando intatto e quando si chinò per raccoglierlo, avvertì un rumore sordo che aveva già sentito, riconoscendolo subito.
C’era una cimice anche in casa sua.
Il liquido che aveva distrattamente versato era entrato a contatto con la microspia, mandandola in corto circuito.
Quando si tirò su, con lo sguardo ancora stupito per quel ritrovamento, qualcuno suonò alla sua porta.
Josef andò ad aprire, incuriosito e guardando dritto davanti a sé, le sue pupille si restrinsero di colpo.
Il cellulare gli cadde pesantemente dalle mani.
Quella notte capì una cosa molto importante della sua vita.
Ora se ne ricordava perfettamente.
Non importava di quanto il destino volesse dare o togliere ad ognuno di noi.
Importava ogni nostra emozione, ogni nostra sensazione seppure impercettibile, capace di far vibrare di vita ogni singolo secondo.
E Josef, che aveva perso di vista lo scopo principale del suo esistere, in quel momento si ripromise di recuperarlo con una nuova consapevolezza.
Quando il battito del suo cuore avrebbe superato le ombre del passato... allora l'amore sarebbe riuscito davvero a trionfare sul destino.
Doveva solo chiedersi se fosse pronto.


Fine Destiny - Ep 19

Per il seguito... Stay Tuned!


Cast di questa puntata:

image Mick St. John: Alex O’Loughlin
image Beth Turner: Sophia Myles
image Josef Kostan: Jason Dohring
image Benjamin Talbot: Eric Winter
image Logan Griffen: David Blue
image Carl Davis: Brian White
image Juliet McLow : Shiri Appleby
image Tony (Anthony) Romeo: Jason Behr
image Cindy Morrigan: Naomi Watts
image Roger Kale: Patrick Thompson
image Long John Silver/Jim: Michael Chiklis
image Julie Roberts: Claire Danes
image Mary: Idina Menzel
image Jack Sr. Turner: Paul Bettany
image Mark Collins: Shemar Moore
image Duke Collins: Julius Tennon
image Lara: N.P.
image Le pulitrici: N.P.
image Annie St. John: Jennifer Connely
image Michael St. John : Gary Oldman

image Sebastian DuVall: Henry Cavill
image Sam: Vincent Kartheiser
image Elliot: Saxon O'Lachlan

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=849154