Quando il mondo è una canzone...

di _CodA_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - La stagione dell'amore ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Hello ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Con gli occhi della notte ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Ricordi e Speranze ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Raccontami. E infine colpisci. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Ma... ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Stringimi ancora ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Oh simple thing where have you gone? ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - You had time ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Goodbye to you ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Life has a funny way... ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Solo io ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - What happened... ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Ragioni d'amore ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Ombra ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Crescere ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Perchè ti amo. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Ti fidi di me? ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Solo io e te, alla luce della Luna ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - E ora...?! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sono sempre stata convinta che il modo migliore per imparare qualcosa sia con divertimento, con piacere
E’ quello che ho sempre detto ai miei studenti da quando ho iniziato ad insegnargli l’italiano, di cui ancora devo scoprire piccole sfumature.
E’ una lingua affascinante, complicata, piena di sinonimi e significati diversi, intonazioni e differenze. Un labirinto in cui perdersi, una storia di culture e dominazioni.
La cosa divertente per me è stato trovare parole simili, somiglianti, andare alla ricerca di questo o quel significato, scoprire come dire le prime parolacce e poi parole d’amore.
Gesti che accomunano tutti, che chissà perché interessano a tutti e che per questo non ho voluto negare ai miei alunni.
La prima cosa che gli ho insegnato sono state le parolacce, quelle che ipocritamente noi adulti continuiamo ad intimargli di non usare, come se noi non facessimo altrettanto.
Dopodiché fissando le ragazzine più timide gli ho confessato come dire “ti amo”, gli ho spiegato come gli italiani facciano differenza tra “ti voglio bene” e “ti amo”, soluzione utile che spesso a noi americani, mancando, ha creato qualche scompiglio e non poca confusione.
Ma il passo successivo, che continua ad insegnare tanto anche a me stessa, sono state le canzoni, sono quelle che ci accompagnano per la vita, che ci trasmettono tutto, le uniche a cui rimaniamo veramente appassionati.
E può non piacerne una, ma è questo il bello: non finiscono mai. E sono eterne.
Ho iniziato i miei studenti alla gioia della musica, del canto e delle parole, della scrittura e della lingua straniera con cui sono venuti a contatto per la prima volta, ma di cui hanno apprezzato sia il suono che il significato.
E quelle ore di lezione erano le uniche in grado di distrarmi, perché per quanto mostrassi la mia gioia, la mia serenità, queste si esaurivano una volta tornata a casa, da sola, consapevole di aver perso parte della mia vita.
Ricordavo tristemente la mia vita, la mia vita precedente a quella di insegnante, che avevo vissuto magicamente in compagnia dell’unica donna che avevo mai amato: Brittany S. Pierce.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - La stagione dell'amore ***


La stagione dell’amore viene e va
I desideri non invecchiano quasi mai con l’età
Ne abbiamo avute di occasioni perdendole
Non rimpiangerle, no, non rimpiangerle mai.
 
Sapevo di non dover rimpiangere niente, di dover ricordare con serenità e gratitudine quelle immagini ancora chiare nella mia mente, ma d’altronde erano passati solo due anni, e ancora erano vive le memorie, le nostre insieme, nude nella vasca da bagno, strette nel suo letto, abbracciate sotto le mie coperte.
Eravamo giovani, certo, innamorate, ovviamente, ma incredibilmente sciocche, convinte che bastasse l’amore a tenerci unite, un amore inconfessato peraltro, convinte che saremmo state felici insieme, per tutta la vita, convinte che una volta finito il liceo ci saremmo sacrificate l’una all’altra, senza problemi.
Non so precisamente cosa ci allontanò, non credo ci sia da dare la colpa a nessuno, so solo che continuo ad amarla, a distanza di due anni, ben dodici mesi di totale assenza, totale silenzio e completa tortura.
Perché ci sono dei giorni, a volte più di uno, che senti quel vuoto da riempire, non sai neppure tu se fisico o spirituale, ma sai solo che ti manca qualcosa, e ti raggomitoli su te stesso.
Poi comprendi che ciò che ti manca è Lei.
Allora la desideri, più della tua stessa vita, desideri anche il coraggio di chiamarla per sentirne la voce e dirle “ciao, ti amo”. Solo questo e poi riattaccare.
Ma ti manca il coraggio e ti manca lei.
E vorresti morire, stretta al tuo cuscino, stretta alle tue lacrime calde contro il tuo corpo ormai freddo, che rifiuta le coperte.
Ed è proprio così, oggi uno di quei giorni, in cui la notte è diventata rifugio di speranze e pozzo di disperazione.
Ho anche trovato ogni modo possibile per ferirmi ogni sera sempre di più, per sprofondare nella solitudine triste e patetica: guardare le nostre foto lontane, rileggere messaggi dolci e innamorati, ripensare ai momenti felici, il giusto mix per il baratro.
E adesso che vivo da sola in una grande città manca persino la mamma che mi rassicura che tutto andrà bene, anche se non ha la minima idea di quello che sta succedendo, manca un’amica che mi possa tenere la mano e asciugare le lacrime.
Non sono mai stata questo tipo di ragazza, ero piuttosto riservata ed arrabbiata, ma è in questi momenti che vorrei esserlo, che vorrei recuperare ciò che mi sono persa ed apprezzarlo ora. 
Sembra strano dirlo ma forse Santana Lopez è cresciuta.



Piccola nota:
Prologo e primo capitolo e niente Brittana, se non indirettamente. Si lo so, sono cattiva, ma non vi preoccupate. Attendete fino al terzo capitolo, sempre se vi va u_u
Fatemi sapere che vi pare di questo inizio!
_CodA_ <3



canzone: "la stagione dell'amore"  di Franco Battiato :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Hello ***



Accendi la radio e tutto cambia.
 
 
Hello, it’s me again.
I know you love when you see me call you
Hello It’s me again
It’s three days now you’ve been in my dreams.
 
E’ proprio questo di cui parlo io, di come le canzoni con le loro parole, di qualsiasi lingua esse siano, riescano a parlarti, a farti vibrare e tremare e piangere, magari sorridere.
Perché poi una certa chiamata ti arriva e tu sobbalzi, tremi, piangi e poi magari sorridi.
“Pronto?”
“Saaaan!! Quanto tempo è passato! Come stai?”
Rimasi un attimo contrariata, incapace di parlare.
Restavo lì muta a cercare le parole, forse a cercare di placare l’animo e il cuore in subbuglio.
“San?! Sei in linea? Dannato telefono!”
Con il terrore che potesse riattaccare e non telefonare mai più mi affrettai a riprendere l’uso della parola.
“Britt, ci sono!”
“SAAAAAAAAAN!”
Il suo entusiasmo era palese. Il mio un po’ meno, ero più che altro sorpresa, come se le mie preghiere, seppure fossi atea, fossero state esaudite, come se i miei desideri avessero avuto modo di avverarsi. E non potevo crederci.
“Britt..” mi limitai a sussurrare incredula, sentendo ancora la sua voce, e piangendo per la gioia del momento che non credevo si sarebbe mai replicato.
“Come te la passi?”
“Beh…” ripensai ai miei ultimi due anni velocemente, non ero rimasta senza fare nulla, ma non vedevo nulla di straordinario in quello che facevo, in quello che avevo fatto, mi sentivo in ogni caso una fallita “sto bene. Tu?”
“Sto alla grande! Senti vado di fretta ma o ti chiamavo adesso o mai più! Ho sperato tanto che tu non avessi cambiato numero! Ho bisogno di un grandissimo favore!”
Non l’avevo di fronte, chissà dov’era, ma potevo benissimo figurarmi il suo viso supplichevole, dolcissimamente.
“Dimmi pure..” la rassicurai, senza nemmeno pensarci, come la più vecchia delle abitudini.
“Avrei bisogno di un posto dove stare per un paio di giorni, forse qualcosa in più… Quinn mi ha detto che ora vivi a Los Angeles, giusto?”
Rimasi un attimo senza parole.
Non sapevo se per la prospettiva di averla per casa, come ai vecchi tempi, o se perché lei aveva parlato con Quinn ma mi sentivo in qualche modo presa in giro, o messa alle strette.
Ma poi realizzai che non avevo ancora dato una risposta.
“Ehm.. si per me non ci sono problemi, Britt! Puoi venire quando vuoi!”
La sentì balzare di gioia, urlando nel mio orecchio; non c’era dubbio che fosse felice della mia risposta.
“Wow! Grazie San! Dovrei essere in città domani, non so bene a che ora. Mandami il tuo indirizzo a questo numero e ti raggiungo io.”
“Il volo 2-8-10 è in partenza, prepararsi all’imbarco”
“Adesso devo scappare! Grazie ancora! Ciao!!”
“Ciao” risposi perplessa, consapevole di parlare già ad un apparecchio spento.
Senza attendere un solo secondo mi accinsi a salvare quel numero come una cosa preziosa.
Salvai in rubrica il nuovo numero di Brittany Pierce e le inviai l’indirizzo del mio appartamento.
Improvvisamente la vita sembrava più bella, più semplice e felice.
Non sapevo quale potere avesse quella ragazza, come riuscisse a sollevarmi così velocemente da uno stato catatonico, di totale assenza, fino a farmi sentire quasi felice.
Volevo già averla lì, per abbracciarla e farmi dire che tutto sarebbe tornato come prima.
Sentirla mi aveva fatto credere che c’era speranza.
Era come se sentirla mi avesse convinto che lei esisteva ancora, che non si era dimenticata di me e che esisteva ancora un noi in cui credere.
Forse era un po’ un pensiero affrettato, ma non potei fare altrimenti, non potevo frenare il mio improvviso entusiasmo.
Mi sentivo rinata e mentre rassettavo casa immaginavo già il nostro incontro, le sue braccia intorno al mio collo, le sue labbra, le nostre chiacchiere continue e poi il silenzio mentre l’avrei guardata dormire nel mio letto, dopo una notte d’amore ritrovato.
Forse le cose non sarebbero andate come prevedevo, ma si sarebbero avvicinate parecchio.
 
 
Essendo rimasta sveglia tutta la notte e il giorno seguente, e di lei nemmeno l’ombra, non riuscì a tenere ancora le palpebre aperte e mi appisolai sul divano scompostamente.
Quando sentì bussare alla porta doveva essere tardi.
Guardai rapidamente l’orologio del cellulare e quello segnava l’una di notte.
Aprendo la porta rimasi senza fiato, ancora stordita dal sonno ed in quel momento anche dalla sorpresa.
“Britt..” sussurrai, vedendola lì, più bella che mai, più alta che mai, con un bagaglio piccolo e un sorriso enorme.
“Saaan!”urlò nuovamente, come se le urla dal telefonino non si fossero mai interrotte.
Sentì le sue braccia avvolgermi e stringermi.
Lentamente portai anche le mie mani dietro la sua schiena schiacciandola di proposito contro di me, per sentirla vicina e intrappolata, non poteva scappare e non poteva essere un sogno.
Era vera, ed era con me, abbracciata a me.
Quando si allontanò la lasciai entrare, rendendomi conto di averla lasciata sulla porta.
“Entra..”
“Grazie..”
Sussurrammo entrambe, come se un imbarazzo improvviso ci avesse colto.
“Sarai stanca.. è tardi..”
“Oh si devi perdonarmi, il mio volo ha avuto non so quante ore di ritardo e non ho potuto raggiungerti prima o avvisarti perché sull’aereo è vietato..”
Frenai il suo fiume di parole dispiaciute e mortificate.
“No, Britt! Scusami tu, non volevo intendere questo! Per me non ci sono problemi, tanto ho dormito nell’attesa. Volevo solo sapere se volevi andare a letto o se avevi fame potevo preparati qualcosa da mangiare.. non so…”
“Vado a letto.. così non creo altro disturbo!”
La frenai per un braccio, ero scioccata.
“Ehi, ma quale disturbo?! Su.. ti preparo qualcosa. Intanto sistema la tua roba, la stanza è quella infondo al corridoio.. l’ultima sulla destra”
Lei annuì silenziosamente e la osservai dirigersi lentamente per casa.
Ero sbalordita.
Era come se tutta la familiarità, la naturalezza, con la quale avevamo convissuto per anni, che ci aveva fatto sentire libere di essere chi eravamo l’una in presenza dell’altra, come se quella magia fosse scomparsa, e non era bello.
Possibile che un paio d’anni potessero cancellare tutto?
Mi accinsi a prepararle un rapido piatto di spaghetti col pomodoro fresco, specialità italiana di cui stavo imparando ogni sfumatura.
“Ecco, spero che ti piaccia” le porsi il piatto con un sorriso soddisfatto una volta arrivata al tavolo.
“Grazie.. e tu, non mangi?”
“No, ho già mangiato..”
“Dai, prendine due anche tu, non lasciarmi mangiare da sola..”
Acconsentì prendendo un po’ del sugo avanzato e mangiandolo con del pane.
Sedevamo una di fronte all’altra, gustando i nostri piatti, e cercando contatto visivo che però sfuggiva prima a una e poi all’altra.
Non riuscivamo a sincronizzarci e la cosa mi rendeva triste, sentivo che una parte di noi era andata persa e non capivo perché.
“Da dov’è che vieni?” le chiesi curiosa, intavolando una discussione.
“Da Parigi, ho appena finito uno spettacolo teatrale.”
Rimasi impressionata.
“Cavolo! Sei diventata la ballerina che volevi diventare!”
“Non esattamente! Non sono esattamente quel tipo di ballerina, lavoro anche come attrice, insomma.. non mi sono specializzata, ma meglio di niente!” rispose in ogni caso entusiasta, senza far trapelare la nota di rammarico che provava.
“E tu? Cosa fai?”
“Insegno”
“uh.. cosa, sentiamo…”
Avendo finito la cena, posai tutto nel lavandino rimandando il lavaggio all’indomani.
“Italiano”
Ci sedemmo sul divano e io iniziai a parlarle dei miei studenti, di come ce la stessi mettendo tutta per coinvolgerli e tenerli svegli, ma non sentì nulla del mio discorso, poiché si addormentò placidamente dopo pochi secondi, cullata dalla mia voce.
E io non me la presi.
Le sorrisi dolcemente e non avendo la forza di portarla in braccio la lasciai lì, coprendola con una coperta leggera.
Io non dormì nemmeno quella notte.
Non potevo perdermi tale bellezza, non potevo perdere l’occasione di guardarla dormire quando probabilmente non si sarebbe riproposta tanto presto.
Era lì con me, e fosse vera o no, ne avrei approfittato, dal primo all’ultimo secondo, non andava sprecato nulla.
Non volevo altri rimpianti. 


Piccola nota:
non l'ho riletta, potrebbero esserci errori, mi scuso.
canzone: "Hello" di Schuyler Fisk

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Con gli occhi della notte ***


Dolce profumo nelle notti
abbracciata al mio cuscino
starò sveglio per guardarti nella luce del mattino
 
 
L’indomani mattina scoprì di aver chiuso gli occhi, almeno per un’ora o due, e quando li riaprì fui felice di vedere che le cose non erano cambiate da come le avevo lasciate la sera precedente: Brittany dormiva stesa comodamente sul divano, con le labbra leggermente umide per la poca saliva che le era scivolata via. Il suo ventre andava su e giù ritmicamente, lento, mentre potevo sentire il rumore del suo respiro.
Le gambe lunghissime non entravano perfettamente nel divano, per cui una gamba era leggermente piegata e un piede, quello destro, fuoriusciva dal bracciolo.
Vedendola così, a suo agio, e nella sua naturale bellezza, sentì l’urgenza di abbracciarla, l’istinto premere dentro di me di alzarmi e stringerla forte, o al limite baciarle via la saliva e poggiare le mie labbra sulle sue umide, intrecciare le nostre dita e sussurrarle qualcosa all’orecchio;
baciarle una guancia e attendere che aprisse le palpebre per poter vedere da vicino i suoi occhioni azzurri.
Ma tornando alla realtà mi accorsi di aver sognato qualcosa di ancora troppo lontano, la mia mente e i miei desideri stavano offuscando la percezione di tutto. Dovevo stare attenta.
Attesi ancora qualche secondo, in quel torpore immobile che si era creato e poi mossi un piede e subito l’aria in movimento mi colpì e mi fece rabbrividire, motivo in più che mi convinse ad alzarmi, raggiungere la cucina e preparare un caffè.
Fu un inizio di domenica mattina spettacolare: poter preparare la colazione guardandola dormire.
Non avrei potuto chiedere di meglio.
Diede i primi segni di vita solo una volta che il caffè fu più che pronto e il suo aroma si diffuse per tutta la stanza.
La vidi muoversi: per prima il piede fuoriposto, poi una mano alzata che si stava stiracchiando e dei capelli biondissimi che coloravano il blu del mio divano.
Immaginai come profumasse adesso, come fosse impregnato del suo odore e desiderai buttarmici sopra per poterlo annusare a fondo, fino a perdere i sensi.
Poi si alzò a mezzo busto e finalmente vidi il suo viso, ancora leggermente addormentato, e gli occhi vaganti alla ricerca di un punto di riferimento.
Incontrarono i miei e la loro ricerca si esaurì; avevano trovato la meta.
“Buongiorno..” sussurrò sorridendo timidamente.
“Buongiorno!” esclami più decisa, presa dalla gioia di vederla nel mio appartamento, sapendo quanto avevamo da dirci.
“Dormito bene?”
Lei annuì, enfatizzando il gesto chiudendo gli occhi e agitando forte la testa su e giù, proprio come i bambini.
E mi fece sorridere, mentre versavo il caffè che le portai.
“Grazie..” sussurrò ancora, afferrando la tazzina prima ancora di mettersi seduta.
Sorseggiò velocemente e poi sprofondò nuovamente nel divano, lasciando l’aria smuoversi e trasportare la sua essenza fino alle mie narici che ne furono invase, come le onde di un mare che si infrangevano contro le rocce, catturandone la spuma, senza lasciarle andare via indenni.
Io la osservai seduta sul tavolino al centro della stanza, aspettando una sua mossa.
Sentendo i miei occhi su di sé si nascose dietro un cuscino.
“Sono inguardabile, lo so.. a prima mattina faccio paura.. probabilmente puzzo persino, devo farmi una doccia..”
“Non dire così! Sei bellissima..”
Le parole che non riuscì a frenare sembrarono fuori luogo, il suo improvviso silenzio mi lasciò interdetta, pensando di averla combinata grossa.
“Scusa, sono inappropriata.. perdonami.. non so da dove mi sia uscito..” blaterai imbarazzata, sentendo le guance avvampare e la gola inaridirsi.
Evitai con tutte le mie forze un contatto visivo con lei finché il mio sguardo non finì sulla sua mano ferma sul mio polso, decisa ad impedirmi di andare via.
Quando incontrai i suoi occhi sinceri non so cosa successe.
 
Poi ho visto gli occhi tuoi
Rotolando verso casa
chiamare i miei “che bella sei”.
 
Avvertì nettamente una fitta al cuore.
 
quando scende la bellezza in fondo al cuore…
 
Il ricordo degli anni passati riemerse come una valanga e lo sentì pesare, opprimente e doloroso.
Ricordai la mancanza che avevo avuto, che avevo provato, e sapevo di non aver riempito ancora quel vuoto, sapevo che mancava ancora tanto, ma averla lì era già qualcosa, e quello sguardo e quella mano, quel contatto così genuino e rassicurante, mi lasciarono priva di battiti; si fermò per un attimo il cuore, le ciglia non sbatterono per più di un secondo, e nettamente il tempo si era fermato attorno a noi, potevo sentirlo.
Era come se avessi potuto anche afferrare la polvere che vedevo vorticare lentamente nei raggi di sole che filtravano dalla finestra.
Era così talmente bella… che l’imbarazzo sparì e sentì solo sicurezza, voglia rinvigorita e desiderio.
Il mio sguardo si fermò sulle sue labbra carnose, rosee, ancora umide, ora profumate di caffè, e desiderai baciarle.
Solo la consapevolezza di non potere, di non averne il diritto, di dover contenere il mio istinto, mi lasciò sprofondare.
 
quando scende la tristezza invade gli occhi.
 
 
Non disse nulla, nulla poteva dire, non c’era niente che potesse consolarmi, o farmi uscire da quella situazione senza compromettere anche lei.
Si limitò a sorridere, tenendomi stretto il polso, tenendo stretto il contatto, e poi lentamente a lasciarmi andare.
E io sentì l’irrefrenabile impulso di fermarla, di tenere ancora la mia mano sulla sua su di me.
Ma non potevo, non dovevo.
E lasciai il mio viso sorridere a sua volta, prima di alzarmi per posare in cucina la tazzina vuota, in totale silenzio.
“Vado a farmi una doccia..”
Si alzò e superò la cucina sotto il mio sguardo curioso e divertito.
Tornò in retromarcia pochi secondi dopo.
“Ehm.. dov’è il bagno?”
Risi spudoratamente al suo tentativo, di sparire frettolosamente da quella stanza piena di imbarazzo, fallito miseramente; ma aveva ottenuto qualcosa: era riuscita a farmi ridere, cosa che a quanto pareva non le risultava molto difficile.
“La prima a destra” risposi ancora sorridendo.
Lei imbarazzata fuggì via e io mi occupai della cucina ancora sfatta. 


Piccola nota:
Non siamo ancora nel vivo della vicenda, ma una lenta introduzione era d'obbligo! u_u
Attendo commenti *-*
E dedico questo capitolo in particolare a lilien, ohnay, XyrisKiku92  perchè mi hanno inserita tra i loro autori preferiti! Vi adoro!! <3
Grazie
_CodA_

Canzoni:
"Vorrei incontrarti tra cent'anni" - Ron
"Occhi" - Zucchero

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Ricordi e Speranze ***


Finita la cucina di cui ero abbastanza soddisfatta pensai di dovermi cambiare e rendermi presentabile ed, essendo la mia stanza l’ultima, trovai del tutto naturale percorrere il corridoio tranquillamente; non avevo minimamente pensato alla mia ospite; avevo rimosso, chissà come avevo potuto farlo, le sue abitudini.
Quando superai il bagno mi colpì il disastro che aveva lasciato per terra, ma non me ne preoccupai, avrei pulito dopo.
Fu proseguendo e dando un’involontaria occhiata alla sua stanza che la vidi in piedi, davanti al letto, mentre era intenta a legarsi i capelli con una molletta, completamente nuda, mentre si teneva dritta sulle mezze punte come la più naturale delle pose, magari la più rilassante per lei.
E mentre sentì le mie guance colorirsi e bruciare, distolsi rapidamente lo sguardo e lo precipitai sul pavimento davanti a me proseguendo in camera mia.
Respirai a fondo una volta chiusa la porta e aprì gli occhi a fatica, forzatamente, per cancellare dalla mia mente quell’immagine così provocatoria e assillante.
Non potevo credere a come avesse ancora quel fortissimo effetto su di me.
Agli occhi di chiunque era un corpo come un altro, ma per me… significava molto di più..
Ogni centimetro di quella pelle lo avevo a lungo esplorato tanto da ricordarne perfettamente segni e particolarità, lo avevo amato come nessun altro mai; quel corpo raccontava due storie: la sua e la nostra, quella del suo corpo e del mio, insieme, uniti.
Lo avrei amato per sempre, adesso e tra cent’anni, perché era come se fosse diventato parte di me.
E l’anima dentro di esso apparteneva a me, lo sapevo io e lo sapeva lei, avremmo dovuto solo accettarlo tanto tempo prima, invece di andare avanti credendo di poter dimenticare, credendo di poter ignorare i segni l’una dell’altra che in realtà ci portavamo dietro ogni giorno con noi, sui nostri stessi corpi.
 
Grazie per ogni singolo momento nostro
Per ogni gesto, il più nascosto,
Ogni promessa, ogni parola scritta
Dentro una stanza che racchiude ogni certezza.


Una volta pronta tornai in salotto credendo di doverla attendere ancora e invece, stranamente, era lì, in un semplice vestitino a fiori, troppo corto per le sue gambe chilometriche.
E io le guardai, quelle gambe, perché erano fatte per essere guardate e a lei non dispiacque.
“Hai qualche programma per la mattinata?” le chiesi speranzosa.
“Sono tutta tua…”
Il cuore mi saltò in gola, ancora. Non sapevo se doverla maledire o ringraziare per quelle briciole disseminate un po’ in giro che mi facevano ben sperare.
Evitai ogni commento per l’imbarazzo, la paura di poter esagerare, e prendendo la borsa di sfuggita lasciai che mi seguisse.
La portai al parco dove sapevo che avremmo potuto godere di una splendida vista, di tranquillità che ci avrebbe permesso di parlare, passeggiare e godere della reciproca compagnia.
Nonostante il cielo fosse grigio e disseminato di nuvole confidavo nel fatto che non avrebbe piovuto.
Camminammo a lungo finché non rallentai di proposito il passo in prossimità del laghetto che sapevo lei avrebbe adorato per via delle papere che sostavano sempre in attesa di un visitatore magnanimo.
Approfittai della sua estasi per quegli esserini gialli, che mai avrei compreso fino in fondo, per iniziare una discussione.
“Allora.. quanto resterai?”
Piegata sulle gambe e con la mano protesa verso uno dei paperotti non badò a rispondere molto seriamente.
“Mah.. non ne sono sicura.. per ora sono libera.. dipende..”
“Da cosa?”  chiesi curiosa, sempre più speranzosa che fosse arrivata per me, e fosse tornata per restare.
“dipende dalle offerte di lavoro che mi verranno fatte..”
“Capisco..”
Interpretai quella risposta come una frase per non tradirsi e sorrisi dentro di me.
“E come mai proprio Los Angeles?”
“Beh.. si sa.. è il centro di tutto!”
Doveva averle pensate tutte prima di arrivare, era davvero convincente, ma io ero sicura che fosse tutta una messinscena.
Mi guardai intorno e notai il cielo annuvolarsi sempre più.
“Credo che dovremmo andare..”
“Oh dai.. ancora un po’.. queste papere sono davvero deliziose!”
Sorrisi dolcemente della sua incredibile fanciullezza mantenuta così intatta da far spavento.
“Dai.. ti porto a pranzo fuori..” approfittai della situazione, cercando di invogliarla a tirarsi su sentendo le gocce iniziare a bagnarmi il viso.
“Pranzare fuori non significa avere un appuntamento, vero?”
Mi colse totalmente impreparata, e non sapendo che dire o fare biascicai qualcosa sbattendo nervosamente le palpebre.
“N-no, no! Ovvio che no!”
“Bene.. Brandon non ne sarebbe stato felice..”
Il mio corpo, tutto quanto, si immobilizzò per un attimo.
E la mente parlò da sé, trovando strada tra le mie labbra.
“C-chi è Brandon?”
“Il mio fidanzato” rispose lei come se fosse stata la più naturale ed ovvia delle risposte.
Un tuono squarciò il silenzio e il lampo il cielo lontano da noi.
Continuai a fissare il vuoto, incapace di muovere un sol muscolo. La pioggia fuori era incrementata e ora mi aveva inzuppato i capelli, completamente attaccati al mio volto.
Tutte le illusioni che mi ero fatta erano frantumate con tre semplici parole. Ed avevo scelto bene le parole dei miei pensieri.
Illusioni.
Aspettative.
Impressioni sbagliate che mi avevano portato a credere… credere che lei potesse essere, dopo tanto tempo, ancora interessata a me.
Si alzò dalla sua posizione, abbandonando svogliatamente le papere al loro rifugio subacqueo, e mi fissò.
“Allora, andiamo? Comincia a far freddo..”
Con la coda dell’occhio, che ancora non controllavo perfettamente, notai che i suoi capelli sembravano asciutti, la sua pelle quasi perlata per le poche gocce che l’avevano toccata.
Sembrava imperturbabile persino dal tempo, persino dalla natura.
E la osservai, ancora immobile, avanzare verso il cancello del parco, mentre io sentivo l’acqua bagnarmi persino gli slip, infiltrarsi nelle ossa che piansero con me quell’atroce sensazione di sconfitta.
A breve mi costrinsi a raggiungerla, a muovere un piede dietro l’altro per inerzia cercando di concentrarmi sul rumore della pioggia che scrosciava pesantemente contro ogni oggetto tranne che su di lei.
Ogni goccia che incontrava il suo corpo sembrava rallentare, danzare sulla sua pelle e liberare la sua fragranza, trascinarla con sé; ogni goccia ne sottolineava le curve, ne impreziosiva il volto, e la faceva risplendere.
Non riuscivo ad essere arrabbiata con lei, non potevo farmi pervadere dalla gelosia, non ne avevo alcun diritto.
Per cui sorrisi; sorrisi, senza che lei sapesse il perché, e lei mi sorrise a sua volta, radiosa.
Considerai davvero fortunato questo Brandon che aveva saputo conquistarla, e tenersela stretta, diversamente da qualcun altro che se l’era lasciata scappare pur avendola avuta tra le mani… 


Piccola nota:
Notate qualche elemento familiare? Il cielo grigio vi dice qualcosa? Ebbene si, sono fissata! u______u
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo e attendo altri commenti! Ringrazio tutti, in particolare nicole89 che commenta ogni singolo capitolo di tutte le mie sciocchezze *-*

Canzone: "Grazie" degli Zero Assoluto


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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Raccontami. E infine colpisci. ***


Con questo capitolo vi sto donando un pezzo di cuore. Abbiatene cura.
_CodA_







Raccontami le storie che ami inventare,
Spaventami.

Raccontami le nuove esaltanti vittorie.
Conquistami.
Inventami.
Dammi un’altra identità.
Stordiscimi.
Disarmami.
E infine colpisci.
 
 
Ci trovammo d’accordo nel voler saltare quel pranzo fuori. Quella proposta non era che servita a distruggermi, e niente più.
Fummo costrette a tornare a casa completamente bagnate, ma mentre lei non aveva perso la sua sensualità io al contrario ero un disastro.
“Devi scusarmi, ma sono indecente..”
“No, non dire così.. sembri un cucciolo spelacchiato..” rispose con un sorriso.
Probabilmente intendeva farmi sentire meglio, ma non fece che abbattere ancora di più la mia autostima.
La carezza che ne ricavai da quel mezzo complimento però mi fece risollevare.
Una volta cambiate entrambe in qualcosa di più comodo e aver pranzato in quasi totale silenzio ci ritrovammo sul divano, nuovamente, stavolta ai due capi opposti eppure viso contro viso, mentre lei si teneva la testa con un braccio e le gambe rannicchiate sotto il suo peso.
Mi guardava sorridente, come se le avessi raccontato la migliore delle storie.
Presi coraggio, volendo porre fine a quello sguardo ininterrotto sempre più provocatorio ai miei occhi, e parlai.
L’argomento non poteva che essere quello, e anche se faceva male, dovevo affrontarlo.
“E allora.. com’è questo Brandon? Come vi siete conosciuti?”
Per un attimo il suo viso sembrò rispecchiare i miei pensieri taciuti dicendomi – so che non vuoi che io ti parli di lui, perché quindi me lo stai chiedendo?-
Sarà stato per gentilezza, per curiosità, forse per masochismo puro, chi lo sa. Ma se prima ero indecisa adesso, dopo il suo sguardo interdetto, pretendevo saperlo.
Il sorriso che sfoderò poi per iniziare a raccontare però mi fece pentire del mio maledetto orgoglio.
“Brandon è dolcissimo!” esclamò non appena aprì bocca, animandosi tutta.
Eravamo solo all’inizio e io già ne ero infastidita.
“E’ un ragazzo stupendo: sa cucinare, balla, è paziente, ride alle mie battute e sa sempre cosa dire per tirarmi su il morale!”
Ascoltai attentamente non potendo fare a meno di pensare di essere capace di fare ognuna di quelle  cose su quello stupido elenco. Ovviamente il paragone era stato inevitabile nella mia mente, e non vi trovai nessun motivo per cui dovesse preferire lui a me.
“Mi è stato molto vicino in quest’ultimo anno..” aggiunse con una nota di tristezza.
Ecco, ecco cosa aveva quel Brandon che io non avevo! Io ero scomparsa dalla sua vita. Seppure avessimo condiviso un’intera adolescenza insieme, adesso c’era lui a prendere il mio posto, magnificamente, mi dispiaceva ammettere.
Ma non dissi nulla.
Preferì lasciarla parlare, preferì farmi da parte e silenziosamente ammettere la mia colpa.
Lasciai che lei mi parlasse di lui, di quello che avevano passato insieme; in meno di tre ore probabilmente mi raccontò più di quello che c’era da sapere, cose di cui veramente avrei fatto a meno.
Ma me lo meritavo.
Anche se ogni suo sorriso e ogni suo nuovo ricordo corrispondevano a un pugno nel mio stomaco, sapevo che ogni dolore e ogni ferita che si riapriva mi spettava e dovevo soffrire in silenzio.
Non so se lei si accorse di quel mio flagellamento, a me sembrò di si.
Fu come se lei si fosse finalmente sfogata, come se avesse riversato tutta la rabbia, il rancore e la tristezza che le avevo provocato in quei sorrisi e in quei racconti, ogni aggettivo aggiunto sapeva che mi avrebbe inflitto più dolore, e lei aveva abbellito minuziosamente di particolari ogni singolo aneddoto. Non si era risparmiata, e non aveva risparmiato me.
E la capivo.
Se in quel quadretto all’apparenza perfetto avessimo levato i sorrisi, il mio innaturale silenzio, i miei versi di assenso, i suoi occhi sbrilluccicanti, la nostra innaturale distanza, sarebbe apparsa la scena per quella che era: una lite feroce.
C’era lei in realtà su quel divano che continuava a schiaffeggiarmi mentre io piangevo impassibile di fronte a lei, tenendomi ogni colpo.
Si agitava, gridando, piangendo anche lei, rinfacciandomi ogni notte passata insonne a pensarmi, e io tentavo di scusarmi tra i singhiozzi, il pianto e i colpi.
“Se vuoi puoi incontrarlo! Domani ci vediamo!” esclamò eccitata, cogliendomi di sorpresa, essendomi mentalmente assentata per un secondo o due.
Mi vidi alle strette e cercai un modo rapido e infallibile per poterne uscire, potevo sopportare racconti, ricordi, sorrisi, ma vederli insieme sarebbe stato troppo.
“Ehm… mi piacerebbe.. ma sai.. domani riprendo a lavorare.. è lunedì mattina..”
“Uh hai ragione! Io perdo facilmente il conto dei giorni..”
“Ricordo..” sussurrai tristemente a me stessa, mentre lei fu distratta dal suono del telefonino che aveva in tasca.
“Oh è lui! Scusa..” esclamò indicando il cellulare prima di alzarsi e iniziare a camminare verso camera sua. “Ciao tesoro…”
Sentì solo quel saluto mellifluo e sdolcinato che mi fece storcere il naso.
Non potevo credere a quanto le cose fossero cambiate.
Lei che si sentiva costretta ad andare in un’altra stanza per poter avere la sua.. privacy!
Non ricordavo nemmeno di aver mai usato quella parola quando si trattava di me e lei.
Eravamo fatte per condividere tutto, dalla vasca da bagno sin quasi ai pensieri.
Bastava uno sguardo per intuire ciò che l’altra pensava.
Ora era così diverso.
Vedevo nei suoi occhi qualcosa che non ero abituata a scorgere, era cambiata.
Sapevo che dovevo arrendermi a quell’evidenza, dovevo soccombere allo scorrere del tempo, a come questo era trascorso, ma dentro di me avrei voluto cambiare le cose, e desideravo ardentemente che dentro a quegli occhi ritrovassi l’antica Brittany innamorata di me, innamorata persa.
Forse era egoistico come pensiero, ma volevo che tornassimo ad essere la Santana e la Brittany di un tempo per sapere di avere ancora potere, per sapere di poter aver controllo, su di noi, sulla nostra relazione, sulle nostre vite.
Ora era tutto così..  friabile.
Sembrava tutto scomparire con uno schiocco di lingua.
Non c’era nulla a cui potevo aggrapparmi, nemmeno una certezza. Solo preoccupazione e finzione.
Persino la sua aria tranquilla e comoda sembrava costruita.
Quando tornò mi sentì miseramente in colpa per la sua faccia e volli ritirarmi ogni pensiero maligno.
“Cosa succede?” chiesi vedendola riaccomodarsi con un viso dispiaciuto e spento, vicino al pianto.
“E’ Brandon… è arrabbiato con me.. dice che dovevo avvertirlo prima del mio arrivo.. ma è stata una cosa improvvisa, non sapevo che sarei stata libera perché il mio ultimo spettacolo è stato cancellato proprio pochi minuti prima che chiamassi te!” spiegava quando per me non ci sarebbe voluta alcuna spiegazione.
Fossi stata in Brandon l’avrei apprezzata lì con me in qualsiasi momento, a qualsiasi ora, per qualsiasi motivo.
“Ci vediamo così poco.. non vedevo l’ora di rivederlo!” ammise teneramente, quasi imbarazzata, e distolse lo sguardo dal mio.
Che improvvisamente si sentisse in colpa di sputarmi in faccia la sua felicità?
Non potevo crederlo possibile.
Ma la rabbia ancora una volta fu sopperita dall’amore che provavo per lei, per quelle labbra mutate in un pianto, per quelle guance inumidite.
Senza pensarci su due volte mi accostai lentamente a lei e posi una mano sulla sua che teneva abbandonata sulla testa del divano.
“Sai cosa facciamo ora?”
La mia voce e la mia domanda non solo la colsero alla sprovvista ma la incuriosirono.
Alzò la testa e prima il suo sguardo finì sulle nostre mani.
Io guardai lei ancora voltata.
Sapevo che fissava la perfezione delle nostre mani insieme, come si adagiavano completamente l’una nell’altra, mescolando i colori, le dita, i profumi, sentendo quelle piccole vibrazioni di imbarazzo ed eccitazione farle scattare di tanto in tanto l’una nell’altra.
Attesi che la sua meraviglia sparisse e che tornasse a guardare me, dritta negli occhi.
Non avendo risposto proseguì io.
“Ecco cosa faremo.. tu adesso lo richiami, gli spieghi esattamente come ti senti, gli dici esattamente cosa hai detto a me.. che non vedi l’ora di vederlo.. e gli dai appuntamento da lui domani, sul presto. Lo andrai a trovare e passerete una fantastica giornata dimenticando questa assurda discussione.”
La mia voce insicura e altalenante tradì il sorriso finale che fu il mio tentativo di rassicurarla della convinzione che avevo messo in quelle parole.
Ogni singola parola mi era costata un pezzo di cuore in meno, avevo sentito nettamente il cuore rallentare.. perdere battiti e vita..
Ero lì a consolarla, a consigliarle come fare pace con il suo uomo, quando avrei solo voluto abbracciarla e gridarle il mio amore.
Volevo piangere, e non potevo fare nemmeno quello.
Non mi era concesso nulla se non vederla più serena per le mie parole, la sua stretta leggermente approfondita nella mia mano.
“Vado a chiamarlo subito”
Sparì in camera sua, senza che mi fossi accorta di nulla.
Capì che se n’era andata completamente quando guardai la mia mano vuota, fredda, improvvisamente leggera.
E approfittai della sua fugace assenza, di quel momento solo mio, per abbassare il capo dentro il divano, nascondermi dietro quel tessuto blu e piangere brevemente.
Non fu nemmeno liberatorio, fu solo patetico.
Era pura disperazione, pura autocommiserazione. Ero completamente sola pur avendo l’oggetto del mio unico amore a qualche stanza da me.
Saperla lì non aveva fatto che incrementare le mie speranze e mai farle sparire.
Poterla toccare mi rassicurava che non era ancora finita, che potevo ancora sentirla, come se così i miei sogni si fossero potuti avverare.
In effetti potevo percorrere quella casa. Già mi vedevo.
Percorrevo determinata il salotto e spalancando la porta degli ospiti la coglievo di sorpresa mentre era ancora a telefono.
-Cosa..?-
Frenavo le sue domande gettando via il cellulare, quello stupido oggetto, e afferrandola con decisione e passione la baciavo ritrovando le emozioni e le sensazioni di una volta, ancora vive, vivide, sulla sua bocca.
Invece piangevo sul mio divano sognando un impossibile coraggio.
Non potevo farle quello dopo tutto quello che avevamo passato entrambe, non era giusto.
Cominciavo a pensare di non essere io quella giusta per lei.
 
Eppure sentire i sogni in fondo a un pianto..
 
 
“Sei un genio!”
Mi affrettai a strizzare gli occhi tra le dita per nascondere le lacrime cosicché riemerse il mio viso dal divano più malandato di prima, ma sembrò non farci caso.
“Ha detto che va bene! Si è scusato per prima, era solo scontento di non potermi vedere subito!”
Saltò sul divano e l’istinto di tanti anni prima di saltare e gettarsi tra le mie braccia vidi che si fece strada tra le sue vene; il suo corpo ricordava perfettamente ogni movimento.
Fu il cervello a comandare di fermarsi: sarebbe stato sconveniente questa volta.
Sapere di dover essere comandati da qualcosa che non fosse il nostro istinto, il nostro semplice essere noi stesse l’una con l’altra, mi mandava in bestia.
Mi sarei colpita ancora e ancora prima di potermi perdonare la cazzata più grande della mia vita.
“Mi fa piacere per te..” sussurrai poco convinta, nascondendo davvero male la mia malinconia e poi proseguì.
“Ti dispiace se vado a letto? So che è presto, ma è stata una giornata strana.. e il mal di testa mi sta martellando..”
“No vai, è casa tua, puoi fare quello che vuoi!”
“Già..” sussurrai ancora, alzandomi barcollante dal divano.
“Tu fai come vuoi.. qui c’è il telecomando se vuoi vedere un po’ di tv.. sai dov’è la cucina e anche il bagno..”
Mi frenò subito.
“Credo che verrò a letto anche io..”
Per un attimo le sue parole e il mio incredibile desiderio mi fecero credere che intendesse dormire proprio con me, nel mio stesso letto.
La immaginai rannicchiata attorno a me, avvolgendomi, scompostamente.
Ma poi si avvicinò e i pensieri si annuvolarono.
“Buonanotte”
Il bacio sulla guancia che mi regalò bastò a mandarmi completamente in tilt.
Sentì la nostra pelle toccare, frantumarsi insieme.
Volevo davvero morire, sul posto, pregando che la mia vita fosse fatta dei suoi teneri ed inaspettati baci.
Mi sorprendeva sempre.
Sembrava che avesse voluto evitare ogni contatto per tutta la serata e poi senza problemi si avvicinava per darmi una semplice buonanotte.
Fui a stento capace di rispondere.
“’Notte”
Sorrise lievemente e superandomi camminò sulle punte fino a camera sua, agitando il fondoschiena quasi impercettibilmente.
Sapevo che l’aveva fatto apposta.
Le era sempre piaciuto provocarmi, quando sapeva di poterlo fare non perdeva occasione.
Ed eccola lì, tornare d’improvviso alle vecchie abitudini.
E come al solito lasciarmi dormire più serena, con un sorriso, quasi a scusarsi di tutte le pene che volontariamente mi aveva fatto subire tutto il pomeriggio.
“Scuse accettate…” sussurrai tra me e me, prima di raggiungere camera mia e chiudere la porta, sapendo che lei non l’avrebbe fatto, un esplicito invito a varcare la soglia e raggiungerla nella notte.
Mi accomodai nel letto guardando la parete a cui davo le spalle, sapendo che dall’altra parte c’era lei, probabilmente già assopita.
Ripensai a come due giorni prima ero completamente sola e abbandonata a me stessa, rimpiangendo il passato e incapace di dimenticarla.
Adesso non ero più sola. 


Canzoni:
"Parole di burro" di Carmen Consoli
"Eppure sentire" di Elisa


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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Ma... ***


Tutti i lunedì mattina sono faticosi e maledetti.
Quello, in particolare, fu il peggiore lunedì mattina di tutta la mia vita.
Aprì gli occhi con la consapevolezza che avrei dovuto affrontare una giornata fingendo di essere un’altra.
Come il giorno prima, avrei dovuto fare l’indifferente, l’amica ritrovata, la confidente, quando non volevo essere nessuna di queste cose se non abbinate all’appellativo di fidanzata.
Invidiavo Brandon più che mai in questo momento.
Lo invidiavo e lo odiavo e mi rotolavo con il viso nel cuscino immaginando di sparire, di non sentire mai più quel nome devastante.
Il pensiero però di sparire e non poter rivedere più la mia Britt mi riportò alla realtà.
Riemersi dal letto e mi accinsi ad andare a preparare la colazione.
Come immaginavo, e avendo conferma dall’occhiata alla sua camera spalancata, Brittany dormiva ancora beatamente rilasciata sul letto singolo che le stava vistosamente stretto.
Sorrisi della sua tenera goffaggine e preparai silenziosamente il caffè.
Poi decisi di preparare dei pancake e così accesi la radio per tenermi compagnia.
“This is the last time that I will show my face, one last tender lie, and then I’m out of this place…”
Iniziai a canticchiare, ma quando mi resi conto delle parole che cantavo, della situazione a cui sembravano adattarsi perfettamente, rimasi un attimo a riflettere e non mi accorsi di altro.
“Perché hai smesso? Era così bello sentirti cantare..”
Lanciai uno sguardo di terrore verso di lei, non l’avevo minimamente né vista né sentita arrivare.
Imbarazzata le mie guance si colorirono e le diedi la schiena con la scusa di dover recuperare qualcosa in frigo.
Spensi la radio per evitare altre imbarazzanti performance e dare spazio alle nostre voci per una tranquilla chiacchierata.
“Canti ancora, vero?” mi chiese illuminandosi, fremendo sullo sgabello sul quale era seduta.
Le rivolsi uno sguardo e un sorriso riconoscente e dolce, ma poi le risposi.
“No, ho smesso..”
“Starai scherzando spero! La tua voce..”
Avrebbe potuto dire di tutto, aggiungere qualsiasi cosa, ma sarebbe stato inutile, poiché avevo capito chiaramente cosa voleva dire.
Aveva sempre apprezzato la mia voce, lei in modo particolare adorava il mio tono un po’ rauco e caldo, mi aveva spesso pregato di parlarle in spagnolo dicendo che ero davvero sexy quando parlavo con quell’accento latino.
Una volta, per il suo diciottesimo compleanno, avevo persino cantato per lei.
E nessuna delle due l’aveva dimenticato.
Quella mattina in particolare, oltre quei due giorni, sembrava la mattina dei ricordi, dei rimpianti, della malinconia.. e dell’affetto.
Stranamente cercava insistentemente un mio contatto.
Non solo visivo.
Aveva più volte posato la sua mano sulla mia.
Mi aveva accarezzato un braccio facendomi rabbrividire, forse volontariamente.
Eppure proprio quella mattina non scorgevo nulla di malizioso nei suoi gesti, solo puro affetto da dover ricordare.
Come se avesse saputo che a breve, a distanza di poche ore, avrebbe dovuto dimenticare il suo affetto per me. Cercava di avvertirmi in qualche modo che quell’idillio che mi ero creata doveva sparire, si scusava per il trambusto che aveva creato nel mio cuore, ancora una volta, e si scusava per quello che avrebbe creato quella mattina, quando l’avrei saputa tra le braccia di qualcun altro, di un uomo, di Brandon, che non mi era per nulla simpatico.
Con quelle dolci carezze, quegli sguardi intensi, voleva comunicare l’amore e la tristezza che provava per me. Sapevo che voleva dirmi che provava anche lei ciò che provavo io, ciò che non avevamo mai smesso di provare entrambe.
Eppure doveva andare.
Si erano già fatte le dieci e lei sapeva che io dovevo andare a lavoro.
Con la scusa di poter arrivare in ritardo lasciai che fosse lei la prima a prepararsi.
E mentre lei si lavava, sceglieva con cura gli abiti da indossare, il trucco da mettere, io riflettevo, appoggiata al muro, su di noi.
Non era un noi romantico, non potevamo di certo esserlo, eppure qualcosa tra noi c’era, solo non sapevo esattamente cosa.
E non so se lei lo sapesse. Avrei voluto chiederlo, anche solo per fare chiarezza.
Perché la tensione tra noi era evidente, sentivo la mia pelle vibrare di continuo in sua presenza.
Lei, solo lei, mi faceva vorticare velocemente i pensieri fino a tornare a lei, al pensiero di lei che dormiva, lei nuda, lei abbracciata a me, lei baciata da me, lei che correva, lei felice, lei triste, lei sensuale, lei estasiata.. tutti i miei pensieri erano per lei, come lo era il mio corpo, che fremeva a questi pensieri.
Il corpo era quello più difficile da tenere a bada; reagiva senza comando, viveva e pretendeva di avere la sua linfa, la sua metà a cui aggrapparsi e ricongiungersi.
Ma purtroppo non poteva andare così.
Perché non c’era un noi, non era più la mia metà, ma la metà di qualcun altro.
E continuavo a non sapere cosa fossimo io e lei, quella donna che conoscevo da così tanto tempo e che invece si era comportata quasi come un’estranea il giorno prima; e ora voleva essere perdonata.
Non potevamo essere amiche.. non potevamo essere amanti.. non potevamo essere conoscenti..
 
Spero che un giorno smetterai di fare confusione tra il dolore ed il piacere,
La paura ed il bisogno di ferire.
Sono certa che un giorno chiameremo tutto questo col nome giusto.
                                                                                                                                 
 
Riemerse dalla camera pronta e bellissima, inebriandomi del suo profumo, del suo splendore, della sua bellezza.
Rimasi ferma, scioccata, estasiata.
Non dissi nulla, ma lei capì e sorrise.
La accompagnai in salotto, lei andava avanti, oramai pratica della casa e io la seguivo, come un cagnolino, ancora incapace di dire qualcosa.
E fu quando avrei davvero dovuto dire qualcosa che ancora una volta mi mancarono le parole.
Lei era sulla porta di casa, io la guardavo da lontano andare via, appoggiata al divano, per farmi forza, per tenermi su, sapendo che le gambe non avrebbero retto e ben presto il pianto avrebbe vinto su di me.
Volevo dirle di restare, pregarla di rimanere con me. O quanto meno di non dimenticarsi dell’amore che provava per me, di riflettere su quello che potevamo ancora avere..
Ma così come lo pensai sembrò tutto .. inutile, quasi falso.
Ogni speranza mi abbandonò in quel momento, vedendola pronta e bellissima per lui, solo per lui.
Fu in quel momento che capì che doveva andare così, che non avevo né diritto né potere di fermarla.
E anche se il mio cuore continuava a chiederle di restare, non potevo farlo davvero.
 
Ma se ti va
Puoi stare qua
Trova una scusa
 
I nostri sguardi incatenati non si lasciarono presto.
Non era facile andare via con la consapevolezza di tutto questo, di dirsi addio ancora una volta.
Anche lei indugiava, indecisa se scappare o restare.
La sua vita sembrava essersi ricollegata alla mia, aver riallacciato i vagoni, e come un treno, adesso procedeva bene, dritta per il suo corso.
Avevamo ripreso a battere con un unico cuore, era come assaggiare il cibo degli dei e poi privarsene, brutalmente.
E io volevo continuare a vivere, volevo che il mio cuore continuasse a battere all’unisono con il suo.
Ma non sempre i nostri desideri si avverano.
La vidi voltarsi e scendere rapidamente le scale.
Fissai il suo posto ora vuoto e pensai che avesse fatto la scelta giusta, in fin dei conti.
Sebbene scappava da lui, la sera stessa sarebbe tornata da me. 



Piccola nota:

Commentate, io apprezzo u_u

canzoni:
"This is the last time" dei Keane (quella che canticchia San)
"Col nome gisto" di Carmen Consoli
"Vuoi vedere che ti amo" di L'Aura & Gianluca Grignani

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Stringimi ancora ***


Ero ridicola.
Da quando era andata via lei quella mattina, ero rimasta lì, seduta scompostamente sul divano, tapparelle ancora abbassate, aria stantia che non avevo voglia di cambiare.
Quell’aria conteneva ancora Brittany, quel buio, quella notte, ancora erano sue. E io volevo averla con me.
Tutto era ancora impregnato di lei e io non volevo lasciarla andare.
Agirandomi svogliatamente per casa però il mio occhio cadde sull’orologio a muro che segnava il pomeriggio inoltrato.
Non riuscì a frenare i miei pensieri e immaginai cosa stesse facendo lei.
Improvvisamente l’immagine di loro due mi fece rabbrividire.
Sentì ogni parte del mio essere rigettare quell’immagine con forza, ma rimaneva viva ed indelebile nella mia mente.
Non avevo la minima idea di come fosse fisicamente questo Brandon di cui mi aveva parlato Brittany, ma riuscivo a vederlo: bello, possente, alto, bianco, magari bruno con gli occhi chiari, verdi.
Ogni dettaglio che si aggiungeva alla mia immaginazione mi faceva peggiorare.
 
Mi lascio andare al tuo respiro
E mi accompagno con i ritmi tuoi
 
Li potevo vedere perfettamente: Brittany sopra di lui, che si guardavano, nudi, mentre lui la toccava, prima i seni e poi i fianchi, per tenerla stretta sopra di lui, e lei inarcava la schiena.
 
Voglio il tuo profumo
 
Un senso di nausea mi pervase.
Sapevo che Brittany non poteva avermi aspettata tutto quel tempo, non l’avevo fatto nemmeno io, ma l’idea di loro due insieme..
 
Voglio il tuo profumo
 
Li vedevo nella mia mente muoversi ritmicamente su e giù, quasi in una danza, lui disteso sul letto e lei poggiata con le mani ai suoi pettorali, sudati entrambi.
Vedevo i suoi occhi chiusi quando ricordavo che ogni volta che io e lei avevamo fatto l’amore voleva sempre guardarmi negli occhi.
 
Dammi tutto il tuo sapore
No, ti prego, no non ti asciugare
 
Mi gettai faticosamente nuovamente sul divano, con gli occhi sbarrati, spaventata, scioccata, per le immagini vivide che si riproponevano nella mia mente, per l’immagine nauseante che continuavo a vedere, che sentivo stava  realmente avvenendo, in qualche stanza di quella città.
Non potevo fare a meno di pensare che quello che immaginavo fosse solo una parte della realtà.
Pensai di impazzire.
Li vedevo ovunque, muoversi all’unisono, uno sull’altro, tra le coperte, mescolando il loro sudore e i loro odori.
Frustrata mi alzai di scatto e corsi in camera sua, dove aveva adagiato tutta la sua roba.
I suoi vestiti erano scompostamente sparpagliati per tutta la stanza: qualcuno sul letto, altri sulla sedia e altri ancora a terra.
La valigia sostava aperta accanto al letto.
Mi accovacciai a raccogliere una maglietta, sicuramente gettata per terra quella mattina cercando qualcosa da mettere per l’occasione.
Stringendola, chiusi gli occhi, la annusai e ricordai il suo dolce odore.
 
Sai di vento, sai di te, sulla tua pelle addormentata.
Mi accarezzo coi vestiti tuoi,
Ti sento addosso, ma dove sei?
Portai la maglietta al viso, mi accarezzai la guancia con il suo profumo, con la sua essenza, e piansi.
Bagnai la maglietta impregnandola di me, lasciando marchiato il suo profumo con il mio.
E non volli lasciarla.
Mi buttai sul letto di camera mia ranicchiandomi su me stessa, stringendo in due pugni quella maglietta completamente stropicciata.
Continuai a piangere ignorando il tempo passare, ignorando i pensieri farsi sempre più decisi, più maligni.
Si riproponeva l’immagine di loro due per pugnalarmi meschinamente, sussultavo ogni volta.
Singhiozzi, lacrime, profumi, e uno strano calore che mi aveva avvolto e cullato fino a tranquillizzarmi, spossata dal pianto e dagli spasmi allo stomaco, i conati che quasi avevano avuto la meglio.
Non so quanto tempo passò. La casa era rimasta buia tutto il tempo per cui la luce naturale non poteva aiutarmi.
So solo che ad un certo punto, dopo quella che a me era parsa un’eternità di pena e tortura, avvertì il rumore della porta, aprirsi e poi richiudersi.
Poteva essere chiunque, non mi ero disturbata a chiudere la porta.
Sentì poi un’altra porta aprirsi, più vicina questa volta, e il suono della doccia scrosciante inondare l’intero appartamento.
Era quasi assordante.
La doccia confermò i miei sospetti, confermò quelle immagini, confermò il mio dolore.
E mi strinsi nuovamente su me stessa, su quella maglietta, costringendo gli occhi ad una linea serrata e scura, dolorante ed umida.
Poco dopo sentì un braccio allungarsi sul mio, carezzarlo fino a stringere la sua mano con la mia.
Il suo seno si schiacciò contro la mia schiena, i suoi capelli biondi e lunghissimi coprirono parte della mia spalla destra e del mio viso.
E fui felice di sentire nuovamente il profumo dei suoi capelli, l’odore della sua pelle, sua e di nessun altro.
Non disse nulla, non ci provò nemmeno.
Sapeva solamente cosa dovevo aver passato, o quanto meno lo poteva intuire.
Aveva sicuramente visto la sua maglietta tra le mie mani, ma non si lamentò.
Mi cinse da dietro, si strinse a me, evitando di lasciare qualsiasi spazio, assicurandosi che ogni distanza tra noi fosse annullata.
E intrecciando le nostre dita, posando il viso proprio dietro il mio, respirò tra i miei capelli.
 
Nella mia stanza calda tu sei tu
Stringimi ancora un po’ di più
di più, di più la mano…
 
Non sapevo quello che stava accadendo, non credo che nessuna delle due potesse nemmeno vagamente capirlo.
Si era precipitata qui con un giorno di preavviso dopo due anni di totale assenza.
Mi aveva nuovamente travolto, essendo semplicemente se stessa, e anche nell’assurdità del nostro incontro, delle nostre chiacchiere e dei nostri sguardi, potevo sentire scorrere nelle vene quella vecchia passione, che voleva che io la prendessi lì subito e la baciassi, e quel vecchio amore, che mi impediva di farlo.
Oltretutto ero codarda, spaventata, indegna.
Mi sentivo nuovamente una stupida sedicenne, incapace di prendere una decisione, incapace di vivere appieno la vita.
Ma stavolta c’era un motivo in più per il quale non potevo nemmeno sognare di proseguire quella follia: Brittany era impegnata, seriamente.
Forse era passato troppo tempo, forse non eravamo più quelle di una volta..
Era certo che fossimo cambiate, lei forse radicalmente.
Eppure tornando nella mia stanza buia lei riprendeva ad essere se stessa, io mi abbandonavo alle sue braccia e al suo profumo.
I ruoli della nostra vita si invertivano.
La ragazzina spaventata e da proteggere ero io tra quelle quattro mura, non lei.
Avevamo sempre funzionato così.
Io la difendevo dai bruti e dai cattivi, a scuola e in città, minacciando chiunque le si avvicinasse, chiunque si azzardasse anche solo a guardarla male.
Una volta in camera però, una volta che mi aveva abbracciata, le difese crollavano.
Lei mi cullava e mi difendeva da me stessa, si prendeva ogni lacrima che avevo da buttare e la trasformava in un bacio e poi in un sorriso, in una carezza e in un abbraccio.
Era lei a darmi la forza per poterla difendere una volta fuori nel mondo reale.
E forse era ciò che più mi era mancato di lei, in quegli ultimi due anni.
La consapevolezza di non potercela fare da sola mi aveva lasciata alla deriva, senza conquistare mai niente, potendo solo ondeggiare ancora un po’ con quel poco di forza che mi era rimasta.
E rivederla… aveva significato perdere i sensi e riacquistarli di nuovo, potenziati, più attivi di prima.
Il suo potere, la sua magia, era tenermi in vita, solo lei poteva farlo, solo lei poteva riuscirci.
E se fosse stato necessario le avrei pregato di restare, pur sapendo che il suo cuore apparteneva ad un altro.
Avrei sopportato altri pomeriggi così, anche le notti a venire, tremando e piangendo, ma sapendo che alla fine sarebbe tornata da me. Mi bastava questo: che lei mi accarezzasse i capelli, mi inebriasse col suo profumo, mi stringesse la mano, e sarebbe andato tutto bene.
Sentirla respirare tra i miei capelli, sulla mia spalla, mi faceva sentire protetta.
Mi convincevo di tutto questo, ero ora decisa fino al midollo che avrebbe funzionato, senza aver chiesto il suo parere, senza sapere cosa significasse tutto questo per lei.
Quando questo pensiero mi turbinò nella mente altre cento domande si fecero strada.
Perché era tornata? Come mai non era rimasta la notte da lui? Cosa ci faceva aggrappata a me, alla mia schiena, alla mia mano?
E se mi fossi girata, e l’avessi guardata occhi negli occhi, avrei avuto il coraggio di baciarla?
E lei mi avrebbe respinta?
Le mie domande rimasero prive di qualsiasi risposta.
Il mio respiro di tutta risposta si fece più affannoso, senza che io potessi controllarlo, mentre fissavo le nostre mani intrecciate ignorando il significato che tutto questo poteva avere per lei.
Probabilmente avvertì il mio respiro forzato, l’ansia nel mio ventre che si sollevava a ritmi impossibili.
Alzò il viso fino al mio orecchio e con il suo alito mosse lievemente i miei capelli, sussurrando con voce bassa e calda, quello che avevo bisogno di sentirmi dire.
“Dormiamo, ti va?”
Lasciai un sospiro che nemmeno sapevo di star trattenendo e la sua mano si strinse più forte nella mia, comprensiva.
Diedi un ultimo sguardo, a quell’intreccio perfetto, prima che il peso delle palpebre avesse il suo inevitabile effetto e mi lasciasse sprofondare in un sonno profondo, esausto e sfinito, privo di ogni pensiero, fortunatamente.
 
 
  
Piccola nota:
Anche a questo capitolo chiedo un occhio di riguardo, stranamente mi piace ç___ç

Canzone: "Profumo" di Gianna Nannini -->  fissazione per questa! Ha ispirato l'intero capitolo!

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Oh simple thing where have you gone? ***


 
Aprì lentamente gli occhi: entrambi, poi li richiusi; ne riaprì uno e poi di nuovo insieme.
La realtà mi stava con calma strappando al sonno, al sogno, e riportando a sé infelicemente.
Non volevo ritrovarmi faccia a faccia con la dura verità.
Così come lentamente aprivo gli occhi e riprendevo conoscenza, lentamente compresi dove mi trovavo, a chi appartenessero quelle braccia, e quel calore.
Sentivo un leggero peso sulla mia schiena, poi sulle mie spalle e un’aria calda che mi teneva stretta, mi circondava, imperturbabile.
Brittany era praticamente distesa su di me in un abbraccio che voleva chiaramente dire – non scappare..-
Sentivo il suo seno spingere contro la mia schiena, le sue gambe attorcigliate alle mie.
Il suo braccio destro disegnava il mio per intrecciare all’estremità le nostre dita,
che avevo fissato fino ad un attimo prima di cedere alla stanchezza;
il suo braccio sinistro era scomodamente piegato sulle nostre teste,
mi aveva carezzato dolcemente i capelli fino ad un attimo prima di cedere anche lei.
Era come un dolcissimo koala, e mi sentì onorata di essere il suo albero di eucalipto.
Attentamente mi girai su me stessa per averla davanti agli occhi e poterla guardare nella sua totale bellezza.
I capelli leggermente arricciati e lunghissimi erano ovunque: sul cuscino ed oltre, sulle spalle, di entrambe.
Ed ebbi l’urgenza di sporgermi verso di lei e baciarle la punta del naso.
Perché era dolcissima, era da coccolare. Ma decisi di ricoricarmi tra le sue braccia, sprofondando il viso nel suo petto, cercando il battito del suo cuore con l’orecchio.
Quando l’ebbi trovato però l’avevo svegliata e in parte ne fui felice.
Si aprirono due pozze di azzurro sincere e leali.
Io allora non potei fare a meno di alzare nuovamente la testa, guardarla negli occhi come per ottenere il permesso e poi baciarla, leggermente, sulle labbra.
Un tocco appena accennato che però ci scosse entrambe vistosamente.
Era passato davvero tanto tempo..
 
I wish nothing but the best for you 
 
Anche lei mi guardò, sentendo la forza di quel bacio scorrere nelle vene, negli istinti e chiedere di più. Capiva dal mio sguardo un po’ perso, vagamente malizioso, ma soprattutto spaventato, che quel tocco era solo l’inevitabile ciglio di un precipizio troppo profondo.
Cadere era facile, le probabilità di restarne vivi e risalire veramente poche.
Ma io non volevo rovinare nulla.
La guardai silenziosa, cercando così di farle capire cosa non riuscivo ad esprimere a parole.
I miei occhi erano lucidi, innamorati, inebriati di lei, bramanti eppure sconfitti.
Il suo sguardo fisso ed imperturbabile non mi lasciava andare, non sembrava dare segni di comprensione.
Ma poi vidi una lacrima solcarle consapevole il viso; fece luccicare la guancia sinistra per poi andare a bagnare il cuscino sotto di noi.
Aveva compreso. Aveva ascoltato i miei occhi e ora sapeva che.. mi tiravo indietro. Nonostante l’amassi con tutte le mie forze, con tutta me stessa, stavolta non avrei combattuto per averla; la lasciavo andare. Lasciavo che fosse felice così, con il suo destino, con il suo destinato uomo, con la nostra destinata lontananza.
E le auguravo il meglio, salutandola così.. in un abbraccio prolungato, durato una notte, in un bacio lentamente fugace.
Le sussurravo addio con gli occhi bagnati, un tremolio nelle labbra e un bruciore stretto alla gola.
Le dicevo addio senza staccare i nostri corpi, che si erano ritrovati più velocemente di come noi avessimo saputo fare con le parole.
Il mio corpo, così perfetto accanto al suo, così in simbiosi, così a suo agio, si adattava perfettamente al suo; ne formavano insieme uno nuovo ancora più bello.
Sapevo che dovevo dire addio a tutto questo, solo…  mi sarebbe mancato il suo profumo.
Mi sarebbe mancato il nostro essere insieme.
Lentamente, come se il tempo scorresse all’indietro moltiplicando i secondi, la mia mano sinistra si alzò per andarsi ad adagiare sulla sua guancia destra.
In modo delicato e dolce le mie dita scorsero sulla sua pelle, carezzando teneramente quella rosea collinetta paffuta e accaldata.
Non mi ero accorta di star piangendo. Sentì subito il bisogno di rassicurarla, sapendo che vedendomi così avrebbe potuto pensare alla mia codardia, ad un mio ripensamento.
Sorrisi, tentai di abbozzarne uno, ma quello stupido tentativo non fece che rattristarla ancora di più.
Guardò le mie labbra costrette in una curva di consolazione, falsa, totalmente in contrasto con i miei occhi tristi, con le mie lacrime acide e le grida disperate d’addio che assaltavano la sua guancia tra le mie dita.
Fu questo costruito contrasto che probabilmente la fece cedere e trasformò il suo viso in una tragedia.
Vidi i suoi occhi inondati di lacrime, come i miei, mentre io la carezzavo, le sorridevo, e lei mi teneva stretta, i nostri corpi schiacciati, le sue braccia attorno a me, sulla mia schiena.
L’urgenza di consolarla ancora di più, meglio di prima, anche se ero io quella che sarebbe rimasta sola, priva di nulla se non il dolore.
Mi sforzai di sorridere più sinceramente, cercando di coinvolgere gli occhi, ma sentendomi stupida lasciai che accadesse il contrario: furono gli occhi a coinvolgere la bocca e le mie labbra impersonarono una smorfia.
“Mi dispiace..” sussurrai, per non essere stata in grado di mentirle, di dirle che tutto sarebbe andato bene, per essermi tradita.
Pianse senza però emettere alcun rumore.
Strinse gli occhi forte forte, probabilmente volendo evitare che io la guardassi così.
Immaginai la sua tristezza derivasse dal fatto di avermi procurato tanto dolore, di non essere riuscita a costruire un’amicizia abbastanza solida da poter superare questo, dal fatto che ero io a doverla consolare dopotutto, e mi sentivo io in colpa per non riuscirci.
Riaprì le palpebre più bagnate di prima, gli occhi leggermente arrossati mi trasmisero il suo dolore e mi colpirono più forte.
Dovevo dire qualcosa… dovevo dire qualcosa… ma cosa?
Riuscivo solo a pensare a quanto fosse bella, mentre ancora la mia mano le stringeva la guancia, anche dopo aver pianto. E a quanto la amassi.
Se le avessi detto esplicitamente che stavamo ponendo la parola fine al nostro rapporto ne sarebbe morta, e io con lei.
Dovevo trovare il modo di parlare e mentire, mentire spudoratamente per il bene dei nostri cuori e delle nostre vite, per consolare la nostra piccola speranza senza però incrementarla.
Dovevo prendermi cura di lei, ora più che mai, per l’ultima volta.
“ci rivedremo sai?” iniziai sentendo la voce tremare ma gli occhi sicuri su di lei “in un posto che solo noi conosciamo.. andremo lì e ci ritroveremo, un giorno.”
La vidi tirar su col naso, interrompere lentamente il pianto, come se quelle parole l’avessero tirata un po’ su, ma non convinta del tutto.
“E come faremo a sapere dove andare? Come saprò che quello è il nostro posto?”
Le sorrisi dolcemente, facendo di tutto intanto per far scomparire le lacrime.
“Lo saprai e basta.. vieni qui..”
Con una mano dietro la nuca la avvicinai a me, cercando di cullarla e riparare il suo viso nel mio petto, una semplice ed ultima volta.
I suoi capelli biondi tra le mie dita, il suo viso, improvvisamente piccolo, schiacciato contro di me.
So…” iniziai lentamente “…why don’t we go…  somewhere only we know…” cantai in un sussurro con la voce rotta dal pianto, soffiando sui suoi capelli chiari, come se ci fosse un pianoforte ad accompagnarmi nel nostro abbraccio: nel nostro addio, nella nostra ultima canzone. 



Piccola nota:
un pò struggente? un pò troppo? xD scusate!

canzoni:
- "Someone like you"  di Adele
- "Somewhere only we know" dei Keane

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - You had time ***


you'll say it's really good to see you
you'll say I missed you horribly
you'll say let me carry that
give that to me
and you will take the heavy stuff
and you will drive the car
and I'll look out the window making jokes
about the way things are

 
 
Non so come ci staccammo da quella posizione, di come fui in grado di separare la nostra pelle.
Ricordo solo che improvvisamente io non ero più lì ma in cucina, cercando di non pensare, con uno sguardo assente, e imbottendomi di caffè.
Lei era in bagno, sentivo l’acqua scorrere, i suoi piedi camminare scalzi dal bagno alla sua camera, mentre io la lasciavo indisturbata prepararsi ad andare via.
Non c’era stato bisogno dirlo. Aveva capito.
E una volta in piedi aveva cominciato ad impacchettare la sua roba, era la soluzione migliore.
Per tutti.
Ancora nei miei pantaloncini attillati e neri, nella mia canotta bianca, camminavo nel salone scalza cercando di fissare i miei pensieri, i miei occhi, i miei gesti verso qualcosa, indirizzarli verso qualcosa che non fosse lei.
Poi però sentì un rumore e lentamente, dubbiosa, mi accostai alla sua camera per dare uno sguardo e controllare che tutto procedesse.
Affacciandomi alla sua camera la vidi in piedi, ancora nella sua tenuta da notte, intenta a prendere a calci la valigia.
“Perché.. diavolo.. non ti chiudi… stupida valigia?” mormorava tra i denti per non farsi sentire ma tralasciando tutta la sua stizza in quelle parole e in quell’atteggiamento nervoso.
Diede un ultimo calcio all’oggetto che non fece che aprirsi maggiormente.
Chiuse gli occhi e si portò le mani tra i capelli, in segno di quella che io interpretai come disperazione.
Osservai la scena sorridendo, vedendo il lato comico della cosa, la sua buffa goffaggine.
“Serve una mano?”
Sobbalzò vistosamente, non aspettandosi nessuno che la stesse guardando o ascoltando.
“Oh.. ehm.. non.. non riesco a chiuderla..” rispose imbarazzata.
“Vedo..” commentai con un sorriso.
Senza altri indugi posai la tazza di caffè sulla scrivania e mi calai ai suoi piedi, proprio accanto alle sue gambe lunghe ed esposte.
Gli lanciai un rapido sguardo e poi tornai alla valigia di cui dovevo occuparmi.
Notai che non aveva piegato assolutamente nulla di quello che vi era dentro, si era limitata semplicemente a gettarlo dentro.
Mentre io iniziai a piegare la roba pazientemente, lei si appoggiò alla scrivania e prese tra le mani la mia tazza.
Iniziò a bere tranquillamente il mio caffè, stringendo la tazza con entrambe le mani, e guardandomi mettere a posto.
“Dov’è che andrai?” chiese d’un tratto, intenzionata a far sparire quel silenzio, quando avevamo ancora solo poche ore per poterci parlare, sentire l’una la voce dell’altra, che speravo non dimenticassimo mai.
“Mmm.. penso da Brandon.. non ne abbiamo ancora parlato.. ma credo che a lui starà bene.. almeno fin quando non avrò un altro ingaggio o deciderò di voler prendere un appartamento tutto per me.”
Annuì, distrattamente, avendo perso interesse nel sentirlo nominare.
“Credo sia la cosa migliore..” dissi, senza dire a quale delle due mi riferissi.
Era una risposta vaga, di circostanza, che lei capì e non si disturbò ad andare oltre.
Improvvisamente però quel nostro stare insieme, stare nella stessa stanza, mentre io l’aiutavo e lei mi guardava sorseggiando dalla mia tazza di caffè mi fece pensare a quanto avremmo perso, a quanto dolore andavo incontro.
Non capivo come un quadretto di noi due così semplice potesse sembrare così estremamente perfetto.
Mi comunicava serenità e amore.
E malinconia che già iniziavo a provare.
Di colpo il mio cuore balzò.
Avevo ritrovato, tra le sue maglie e i suoi jeans, una mia vecchia t-shirt con scritto -I love u so much- che Britt si era una volta presa in prestito e che io non avevo voluto mi restituisse.
I ricordi mi invasero e, vedendo il mio sguardo perso, soffermò anche lei il suo sguardo sulla maglia.
Comprendendo mi guardò preoccupata, preoccupata di come avrei potuto reagire, aspettando da un momento all’altro che il mio viso crollasse, che fossi colta da un pianto inarrestabile.
E così fu. Dentro di me.
Da fuori però mantenni la calma, solo un lieve tremolio all’occhio tradì la mia compostezza, e chiusi tutto.
Anche se non avevo finito di piegare avevo fatto abbastanza perché si chiudesse.
Feci scorrere velocemente la zip e mi rialzai, guardandola che mi aspettava.
“Fatto.. ti lascio vestire”
In una camminata fin troppo veloce uscì dalla stanza e mi diressi nella mia.
Chiusi a chiave e respirai a lungo.
Le lacrime salite agli occhi le costrinsi a tornare indietro, il bruciore in gola lo misi a tacere evitando di parlare.
Mi precipitai al mio armadio per vestirmi ed evitare altri momenti che rievocassero il passato dolce e duro da dimenticare.
Era finita: quella zip chiusa rappresentava la nostra relazione, quella valigia di ricordi era ciò che ne rimaneva ed andava seppellita.
Quando tornai in cucina lei era pronta in mia attesa, con sguardo basso e un favoloso aspetto.
La guardai, forse per l’unica ed ultima volta mi concessi di guardarla con tanto amore e desiderio come feci.
Il citofono squillò ed avvertì entrambe dell’arrivo del taxi che avevo chiamato prima, avvertì entrambe che il nostro tempo era arrivato a termine.
Prima che potesse dirigersi verso di me per abbracciarmi e salutarmi la fermai.
“Ti accompagno giù..”
Presi la sua valigia e mi diressi verso la porta.
Lei mi seguì silenziosamente per tutte le scale, e sentì per la prima volta quel silenzio farmi male davvero.
Eravamo davvero alla fine.
Eccoci lì, davanti al portone, in uno strano momento di tristezza.
Quando sai che quello è un addio ma la tua bocca si rifiuta di dirlo e la tua mente di accettarlo.
Volevo dire qualcosa, alzai lo sguardo, ma inaspettatamente fui travolta da lei e dalle sue braccia.
Mi strinse in un abbraccio, incastrando i nostri visi tra il collo e la spalla, mischiando i nostri capelli.
Sentì le sue braccia lunghe circondarmi completamente fino a carezzarmi la schiena su e giù con le mani.
Feci lo stesso, premendo più forte il palmo della mia mano contro la sua schiena, schiacciando i nostri seni e sentendo il suo respiro farsi pesante, senza lamentarsi, senza voler andar via.
“Ci rivedremo.. promesso?” la sentì dire tra i miei capelli.
Ringraziai di non averla di faccia e di poter evitare il contatto con i suoi occhi, mi avrebbe scoperta.
Strizzai gli occhi addolorata e mentì, per noi, per lei.
“Promesso”
Sentì un’ultima forte stretta e poi le sue dita lasciarmi andare, slacciarsi e voltarsi verso il taxi.
Inserì la valigia nel posto accanto al suo e poi voltandosi ancora verso di me prima di partire mi sorrise.
Ed ecco una fotografia che avrei desiderato a lungo conservare con me, tenerla per sempre stretta al cuore.
Lei, bellissima, alta, con quei capelli che scivolavano senza intralci sulle sue spalle ed oltre, gli occhi azzurri e sinceri, che mi guardavano. Le sue labbra sorridenti…
Cercai di memorizzare ogni particolare.
Il vento che le mosse qualche ciocca, gli occhi vivi e brillanti, le mani in tasca, e un pallido colorito.
Mentre lei voleva salutarmi io le dicevo addio e la ringraziavo per quella splendida visione che ancora una volta mi regalava, struggendo il mio cuore.
Così le sorrisi sinceramente, lei sapeva che era così.
E anche se volevo con tutto il cuore donarle un ultimo bacio, ricevere un’ultima carezza da quelle morbide labbra, non potevo rovinare tutto ciò per cui avevo lottato, non potevo distruggere nuovamente la nostra, più che altro la sua, serenità.
L’equilibrio doveva rimanere intatto, le nostre labbra non si sarebbero toccate.
Mi limitai ad allungare delicatamente la mano, e in un gesto naturale e semplice a stringere le sue dita nelle mie.
La guardai sorridente e lei sussurrò “ciao”.
Sparì nel taxi, si chiuse la porta dietro di sé e mi lasciò.
Vuota: vuote le mie dita, vuota la mia mente, vuoto il mio stomaco, ma piene le mie parole che solo ora pronunciavano, per svuotarsi anch’esse : “I love u so much”.
 
how can I go home
with nothing to say?
I know you're going to look at me that way
and say what did you do out there
and what did you decide 
you said you needed time
and you had  time.




Piccola nota:
ok, c'è stato l'addio, ma può mai finire tutto qui? No, per cui attendete! xD
Vi adoro quando commentate!*-*
_CodA_


Canzone : "You had time" di Ani di Franco




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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Goodbye to you ***


It feels like I'm starting all over again
The last three years were just pretend
And I said,
Goodbye to you
Goodbye to everything I thought I knew
You were the one I loved
The one thing that I tried to hold on to


Chiudendola porta dietro di me e sbattendo duramente la testa contro di essa mi ritrovai sola, sola davvero stavolta, con i miei pensieri, le mie sensazioni, le mie emozioni, il mio corpo.
Confluivano tutti verso di lei, verso lei che non c’era più e a cui, ancora una volta, avevo dovuto dire addio.
Trascinandomi pateticamente per casa vidi la camera, che per poco era stata sua, vuota.
Cercavo conforto nel letto, nelle lenzuola che potevano sembrare le sue braccia calde avvolgermi nella notte.
Ma lei non era più lì in quel letto.
Mancava il suo profumo, il suo corpo, mancava lei.
Il mio cuore era pieno della sua mancanza.
Già sentivo che era sbagliato, già sapevo che quel letto era fatto per lei, per noi due insieme, e nessun’altro.
Non posso spiegarlo, ma sapevo che era giusto, sentivo che il suo posto era lì e da nessuna altra parte, con me.
Il suo posto era qui con me ma non risiedeva qui la sua felicità.
Sperai dentro di me che Brittany imparasse a capirlo, che avrebbe capito la mia scelta quando gli anni sarebbero passati e di me non avrebbe avuto più notizie.
Lo facevo per lei.
Mi mettevo da parte e lasciavo che lei fosse felice, cosa che egoisticamente non avevo saputo fare anni addietro.
Se solo avessi impiegato più forze a farla innamorare di me invece che sprecarle per ostacolarne ogni tipo di relazione…!!
La amavo, con tutta me stessa. E per questo lasciavo la sua mano, lasciando tesa la mia..
Perché se mai avesse avuto bisogno non avrei saputo negarle le mie dita, non avrei saputo negare il supporto che con gli anni per lei ero diventata.
Avrei continuato ad amarla.
D’altronde… quando amiamo qualcuno ci innamoriamo di ogni più piccolo aspetto, probabilmente dei più insignificanti dettagli che diventano il nostro punto di forza.
E come si può dire di aver smesso di amare quel naso arricciato appena, ogni volta che veniva solleticato? Come potevo solo pensare di smettere di amare il suo corpo incredibile, le sue dita fluide e lunghe, e la sua fragranza? Come credevo di potermi disinnamorare dell’incredibile ingenuità con cui Brittany sembrava affrontare ogni problema della giornata?
Come potevo ignorare la bellezza esteriore ed interiore che mi avevano rapita sin dal primo anno alla scuola media?
Semplicemente era impossibile.
L’avrei amata, senza dirle nulla, senza cercare di colpevolizzarla.
A me bastava avere la certezza della sua serenità, della sua felicità.
E l’avevo, sapendola con Brandon, sapendo che quel ragazzo, per quanto io l’avrei odiato, sarebbe stato in grado di donarle ciò che io le avevo negato e avrei continuato a ignorare.
Mi diressi in salotto e infilai nel giradischi che tenevo nascosto sotto una coperta di velluto rosso un vecchio disco, deprimente e sdolcinato: un classico.
E la grande Mina partì a pieno fiato.
Risuonò nella stanza, con la sua voce, le sue parole e la mia storia d’amore, a cui dicevo addio.
 
Addio my darling
goodbye my love
anche se parti da me
il nostro breve incontro
non scordo più

 
 
Abbandonandomi in quel magico suono, che si infrangeva su di me duramente, come ad infliggere maggior pena, sentivo la musica scorrermi nelle vene, l’epicità di essa, il suo incantesimo pervadermi e la consapevolezza farmi preda.
Iniziai a piangere convulsamente, non riuscendo a frenare il pianto, le lacrime, le scosse, i pensieri.
Volevo tornare indietro, volevo che tornasse da me. Quanto era breve la mia forza di volontà!
E quanto tenace il mio egoismo.
Cercai di razionalizzare, di ricordarmi perché lo stessi facendo, per cosa avevo sacrificato la mia felicità, per cosa spendevo le mie lacrime.
Ed era giusto che fosse così. Dovevo continuare a piangere, soffrire, e tacere. L’unica cosa che speravo davvero, con tutto il cuore, era che non mi dimenticasse, non volevo che scordando i nostri momenti insieme mi rimuovesse dalla sua memoria.
Anche se le nostre vite avrebbero proseguito separatamente, anche se non ci saremmo riviste più e probabilmente lei avrebbe avuto un bellissimo matrimonio, due bimbi biondi e meravigliosi, pregai dentro di me che un giorno rivedesse negli occhi scuri di uno di loro il mio sguardo e si ricordasse di quella stupida e innamorata ragazza ispanica, che tanti anni prima non le seppe confessare il suo amore.

e non scordarlo nemmeno tu.
Al nostro breve amore
alla felicità
che, se ritornerai, ritornerà.

 
Non potevo sperare nel nostro ritorno, non mi era più concesso, avrei solo sperato in un addio migliore, in un saluto che valesse una vita. Ma mi resi conto, lentamente, mentre la canzone si avvicinava alla fine e la melodia cessava di risuonare, lasciando il suono stridulo della punta sul disco vuoto, che non poteva esserci alcun addio migliore, non c’era addio che potesse risultare anche minimamente decente, sopportabile.
Alla parola fine non si accompagna mai l’aggettivo bello o piacevole. Nè tanto meno perfetto.
L’addio è un addio: triste, sconsolato, demoralizzante, sconvolgente, svuotante.
Niente più.
 
Addio my darling
goodbye my love. 



Piccola nota:
Probabilmente necessitava di qualche revisione, ma davvero mi scocciavo xD Se riuscirò, domani!
Intanto me felice per l'episodio 4 *___* SPOILER: -->    .......           girlfriends!!! it was always so on!!!
Ok, basta!! .... *_________________*   <3
Santana è quasi più innamorata di come la descrivo io xD
Bacibaci :*   _CodA_


Canzoni:
"Goodbye to you" di Michelle Branch
"Breve amore" di Mina 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Life has a funny way... ***


I missed the bus and
There’ll be hell today,
I’m late for work again
 
Svegliandomi, aprendo gli occhi al mondo, compresi di aver nuovamente dormito male.
Ma era ora, ormai, di tornare alla realtà, di dimenticare il passato, lasciarsi tutto alle spalle, e tornare alla solita vita quotidiana, noiosa e stressante.
Come ogni mattina, da due anni a questa parte, mi alzai e bevvi il mio caffè nel silenzio del mio appartamento.
Fissando il vuoto mi diressi automaticamente in bagno e con calma mi preparai per uscire.
Passivamente infilavo le scarpe, recuperavo la borsa e solo una volta chiusa la porta mi ricordavo di essere in ritardo, in tremendo ritardo, ed iniziavo a correre per le scale, rischiando come sempre di inciampare e rompermi il collo, ma come mi dicevo sempre: non era mai accaduto, perché doveva accadere proprio oggi?
Correndo quasi a perdi fiato vedevo da lontano il pullman caricare la folla che si era formata per l’attesa di mezz’ora che io mi ero risparmiata, per avere in cambio una corsa di 200 metri e i polmoni distrutti.
Arrivai senza un minimo di fiato e le porte mi si chiusero in faccia.
Il conducente mi guardò battere le mani forte sulla porta.
Come se l’avessi disturbato e urtato sulla sua stessa faccia, mi guardò con occhi di rimprovero e senza distogliere lo sguardo da me inserì la prima e partì.
Sapevo che lo aveva fatto apposta, come ogni mattina.
Prima che scomparisse all’angolo della strada alzai il mio braccio e gli mostrai il dito medio.
Anche se sapevo non sarebbe servito a niente, e non mi avrebbe nemmeno visto, lo feci per liberarmi della rabbia e la frustrazione che mi attanagliavano e che un inizio di giornata così non aveva fatto che incrementare.
Mi sedetti sulla panchina oramai libera e attesi, guardando i miei piedi penzolare avanti e indietro, fissando la valigetta nera che avrebbe dovuto darmi un’aria professionale, assieme agli occhiali squadrati e i capelli raccolti in uno chignon.
Sbuffai all’ironia della vita alla che si prendeva gioco di me, lasciandomi ancora una volta libera di pensare, libera di pensare a lei, di distruggermi il cervello e di far sanguinare il mio cuore, essendo anche in ritardo a lavoro.
 
A traffic jam when you’re already late
A no-smoking sign on your cigarette break
 
Continuavo a guardare le persone passare, passare le loro vite, scorrere il loro tempo, e io mi chiedevo dove stessero correndo tutti, dove fossero diretti, e dove ero diretta io.
Davvero non avevo una risposta.
Sembrava mancarmi un pezzo fondamentale, un punto di riferimento che aveva fatto cadere ogni mio schema, ogni mio progetto, anche se quel pezzo fondamentale era stato via tanto tempo.
E poi all’improvviso… fu sempre lei a tirarmi su, era lei a tenere i fili della mia vita, poteva farne ciò che voleva, io non avrei opposto resistenza.
Sentì il cellulare vibrare e da che ero annoiata e mi sentivo disturbata da quella chiamata, inaspettatamente leggendo il nome sullo schermo mi sentì prima sollevata, poi in ansia, ma un’ansia piacevole, che mi provocava una capriola allo stomaco e una leggera sensazione di nausea che partiva dal cervello.
Sapevo che non dovevo rispondere, dovevo lasciar squillare, ma quei due giorni eravamo state così bene e… eravamo lontane oramai, non poteva accaderci nulla di male.
 
And then you call me
and it’s not so bad,

It’s not so bad.
 
 
“Pronto…?” risposi timidamente, ancora titubante.
“San..”
Il suo tono non era dei migliori, non sprizzava gioia come mi sarei aspettata, come accadeva ogni volta che la sentivo trillare nel telefono.
Non era la solita e gioiosa Brittany a cui stavo parlando.
Mi preoccupai ed immediatamente le chiesi cosa non andasse.
“E’.. è tutto ok.. Solo.. ho bisogno di chiederti un favore, un altro favore..”
Chiusi gli occhi e inspirai. Sapevo che non le avrei detto di no, qualunque cosa fosse, per cui mi preparai a dover ricucire e medicare le ferite del mio cuore ancora una volta.
“Dimmi tutto”
“Potresti venire a prendermi…? Sono a casa di Brandon..”
Intuì il suo silenzio poi, le cose non dette che aveva voluto tacere, e mi limitai ad una risposta secca e concisa.
“Certo. Dammi l’indirizzo..” e mentre rispondeva, io già tornavo verso casa, senza esitare, a passo svelto e deciso, per prendere l’auto parcheggiata in garage e che ora ero costretta ad usare.
Una volta lì, dopo aver chiuso la telefonata, lanciai la valigetta sul sedile posteriore e mi sciolsi i capelli rapidamente, liberandoli e facendoli ondeggiare fluidamente sulle mie spalle.
Entrai in auto e partì, preoccupata, ma in parte felice di poter rivedere Brittany anche se mi ero riproposta di non farlo. Ma aveva bisogno di me e non gliel’avrei mai negato.
 
 -
 
Eccomi qui.
Ero davanti al portone dell’edificio, l’enorme palazzo in cui alloggiava Brandon.
Solo pensare il suo nome mi faceva rabbrividire e la gelosia si impadroniva di me.
Una volta lì la sicurezza che poco prima avevo avuto sembrò scomparire e mi sentì piccola, insignificante.
Nuovamente l’immagine di loro due insieme mi fece disgustare; immaginai ancora le sue braccia grandi e possenti, i suoi capelli castani e gli occhi chiari.
Il pensiero che potesse essere in casa con lei e che di lì a poco avrei dovuto forse incontrarlo mi fece paura.
Ma non potevo lasciare Brittany lì da sola, in difficoltà, quando aveva bisogno di me. Per cui mi feci forza entrai nel palazzo e chiesi di un certo Brandon al portiere che mi indicò il sesto piano.
Quando bussai alla porta non passarono che pochi secondi prima che Brittany mi accogliesse rapidamente e in ansia, con gli occhi velati di lacrime e le sue braccia improvvisamente che mi avvolgevano.
“Perché ci hai messo tanto?” mi chiese scavando con la testa una tana tra la spalla e il mio collo.
Imbarazzata da quel contatto così inaspettato ed intimo ci misi un po’ prima di portare le mani sulla sua schiena e stringere a mia volta.
“Ho fatto prima che ho potuto..” sussurrai nei suoi capelli biondi e profumati.
Quando si staccò dall’abbraccio mi guardò dritto negli occhi, come se cercasse di chiedermi scusa e ringraziarmi allo stesso tempo, non potendo fare di più.
“Vieni, entra..”
La seguì, con la mia mano nella sua, fino al divano grigio che sembrava essere la cosa più colorata dell’intero appartamento.
Dandomi un’occhiata in giro notai solo tante mensole bianche, appese a pareti altrettanto bianche, su cui però non c’era che qualche libro ed un fiore in un vaso.
Sapevo che quello non era un ambiente accogliente, non era l’ambiente in cui avrebbe voluto vivere Brittany, sapevo ne sarebbe solo rimasta spaventata e oppressa.
Brittany era sempre stata solare, piena di vita, piena di voglia di esprimere e creare, dare vita a ciò che la circondava, a chi come me la circondava. Donava amore e riscaldava chiunque, non avrebbe sopravvissuto qui dentro che qualche ora.
Una volta sedute entrambe sul divano feci finta di nulla, non chiesi né dell’appartamento né di Brandon, né del motivo per cui fossi lì.
Attesi che lei parlasse, come avevamo sempre fatto, aspettando ognuna i tempi dell’altra, senza pressioni o forzature, semplicemente essendoci l’una per l’altra, mani nelle mani, come adesso.
“C’è una cosa che non ti ho detto…”
Avvertì il suo sussurro pronunciato con sguardo basso e triste.
E il mio cuore saltò un battito, spaventato e speranzoso.
Impercettibilmente sentì la mia pelle tremare e sperare, voler sapere cosa mi avesse nascosto.
Ma anche temendo che potesse essere una notizia tutt’altro che buona per me.
“Non sono tornata qui per un pausa lavorativa…”
Ancora un altro sussulto e maggiore terrore nel mio cuore.
“Io…”
Vidi la sua mano sinistra separarsi dal nostro intreccio, lasciare scoperta e fredda la mia mano, e posarsi sul suo ginocchio.
Timidamente capì, intuì qualcosa, e alzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi pieni di lacrime.
“Qualche giorno prima che ti chiamassi.. ho avuto un brutto incidente..”
La sua mano destra si tese nella mia ed iniziò quasi a tremare, la sua voce era instabile.
“In.. in una presa difficile con il mio partner di ballo.. sono caduta.. lui non mi ha preso bene e sono scivolata da un’altezza di due metri.. e mi sono quasi rotta il ginocchio sinistro..”
Le sue mani tentarono di scappare ma io strinsi la mia presa su di esse, le riavvolsi nelle mie, e la accarezzai, cercando di tranquillizzarla.
“.. anche se stavo bene, i miei produttori mi hanno impedito di ballare e hanno detto che per me la stagione era finita.. non sanno dirmi nemmeno se potrò proseguire l’anno a venire..”
Il suo sguardo si riabbassò sulle nostre mani intrecciate, oramai senza più timore.
Le strinsi forte, senza dire nulla, e la vidi piangere in silenzio.
“E’ che..” alzò il viso e mi guardò dritta negli occhi, solo io potevo sapere quanto fosse difficile per lei dirmi quelle cose, ammettere di aver fallito, di sentirsi una nullità “.. mi vergogno così tanto!”
“Oh Britt..” sussurrai melanconica, incredula a quelle parole.
Mi avvicinai di più e la strinsi a me, la cullai, e lasciai che si sfogasse, che piangesse su di me, senza problemi, senza doversi vergognare.
Quando sentì i suoi singhiozzi diminuire accarezzando i suoi capelli iniziai a parlare dolcemente, a voce bassissima, come se qualcun altro avesse potuto sentire, ma non doveva.
“Tu.. sei la creatura più bella che abbia mai conosciuto.. sei la ballerina migliore che abbia mai visto.. tu sei passione, vita, forza… non devi mai vergognarti di ciò che sei, o di quel che fai.. è stato un errore, anche alla creatura migliore può capitare.. siamo fatti per sbagliare, per rimetterci in piedi e rifare meglio di prima..”
“Ma..”
“Ma niente.” Risposi prima che potesse continuare “Non è stata colpa tua, non hai fallito. Sei la stessamagnifica ballerina disempre.. solo.. con uno ginocchio slogato..” sorrisi, poggiando una mano sul suo ginocchio.
Ma non fu una mossa astuta.
Spaventata, terrorizzata, si ritrasse subito; con uno scatto fu in piedi e la vidi fuggire via da me come mai aveva fatto.
Improvvisamente mi parve di non riconoscerla, di avere di fronte a me una persona diversa, di cui davvero non sapevo nulla.
Poteva essere cambiato tutto così?
Ma i suoi occhi azzurri e lucidi la tradirono, riconobbi quello sguardo spaventato e dispiaciuto, di una ragazzina sola in mezzo ad una stanza completamente bianca.
Mi alzai lentamente e la raggiunsi.
Non oppose resistenza, anzi mi attendeva.
E con le sue lacrime mi chiese scusa della reazione che aveva avuto, con il suo abbraccio mi chiese scusa di non essersi fatta sentire per anni, con le sue carezze mi chiese scusa del dolore che mi procurava ora.
La strinsi forte, per accettare le sue scuse, e dopo un po’ cercai il coraggio nella mia voce per pronunciare quelle dannate parole.
“Cosa ci faccio qui, Britt?”
Eravamo ancora attaccate, strettissime l’una all’altra, non c’era una parte del nostro corpo che non si toccasse.
E quell’intimità ripristinata, che nessuna delle due sembrava più temere, mi spaventava più di ogni altra cosa.
Tremò nel mio abbraccio e riemerse il suo sguardo dal mio collo.
“Mi salvi…”
Mentre pronunciò quelle parole, mentre la guardavo negli occhi paralizzata e incantata, mentre il mio cuore tornava a sperare, a lasciarsi andare, e cercava una risposta nei suoi occhi, cercando di capire se avessi capito bene, se non stessi fraintendendo, la porta di casa si aprì.
Il rumore ci fece rapidamente girare e poi in un attimo separare.
Sentì le mie braccia ricadere senza forza lungo il mio corpo, con gli occhi abbandonati e persi sulla porta di casa.
In un attimo credevo di aver raggiunto la felicità, e nello stesso identico attimo mi era stata strappata la gioia, la stessa speranza di averla ottenuta.
Guardai per un attimo gli occhi spaventati di Britt di fronte a me, che guardava a sua volta la porta.
E capì.
 
It’s meeting the man of my dreams…
And then meeting his beautiful wife.
And isn’t it ironic… don’t you think?
 
Capì davvero di averla persa, di essere di troppo; capì che quello sulla porta era Brandon, muscoloso e alto come l’avevo immaginato, ma non biondo o castano, no. Era bruno, con la carnagione scura, e gli occhi castani, incredibilmente simili ai miei.
Capì che quella era casa sua. E me ne andai.
Senza dire nulla, senza guardarla più di un solo attimo, mi avvicinai silenziosamente alla porta e, una volta lì alzai, lo sguardo.
Incontrai gli occhi di Brandon per la prima volta e lo vidi debole e perduto, innamorato della stessa fragile eppure fatale creatura che amavo io.
Mentre sorreggeva ancora la maniglia della porta e mi guardava sostare davanti a lui, io non smisi di fissarlo.
Stavo tentando in ogni modo di disprezzarlo, di trovargli quei difetti schifosi che avevo tanto immaginato. Ma non trovai nulla e sconfitta avvertì lentamente le lacrime formarsi nei miei occhi.
I nostri occhi simili si guardarono e come io compresi lui, senza però riuscire a smettere di odiarlo insensatamente, lui comprese me; comprese che se fosse arrivato lui prima di me si sarebbe trovato nella stessa disperata situazione.
Per cui non mi rimproverò, non mi odiò, non fece una scenata di gelosia, che io immaturamente avrei al suo posto fatto. Si dimostrò adulto e comprensivo, fiducioso, e lo odiai ancora di più per la sua perfezione, perché non faceva che sottolineare la mia imperfezione, le mie debolezze.
Quando una lacrima scappò sul mio viso e vidi una sua mano alzarsi per potersi posare sulla mia spalla e consolarmi fu davvero troppo.
Sfuggì al suo tocco e a quella casa, a quella maniacale perfezione, a quella adorabile creatura, ancora ferma al centro della stanza, che mi rendeva me stessa più di quanto avrei voluto.
Una volta che sentì il rumore della porta chiudersi i miei occhi bagnati si spalancarono e cominciai a sentire una mancanza di aria, e per la corsa e per le emozioni.
Mi fermai e mi lasciai cadere in un angolo delle scale, invano tentai di trattenere le lacrime.
Volevo scappare da quell’edificio, da tutto, ma non ne avevo le forze.
Riguardando i piani che avevo rapidamente lasciato sopra di me, il mio pensiero volò ancora a lei, all’ultima straziante immagine che ne avrei per sempre avuto.
Era rimasta incredibilmente in silenzio, incredibilmente immobile, quasi colpevole di quello spiacevole incontro che mai sarebbe dovuto avvenire.
E pensando anche a lui, a come si doveva essere sentito trovandomi lì in casa sua, ammesso che sapesse chi fossi, mi fece sentire anche in colpa e tirai un pugno a terra, cercando di sfogare la rabbia.
Il dolore alle nocche fu forte ma quello al petto era ancora peggio.
Rivedendo la sua figura nella mia mente ripercorsi i dettagli che mi avevano catturato.
La sua carnagione scura, avvolta in una t-shirt bianca, gambe alte e snelle nei jeans e capelli arruffati e neri.
Ma gli occhi nocciola, davvero così simili ai miei, così espressivi, erano il tocco finale, il tocco di classe che mi avevano stordita e che ora mi facevano sorridere amaramente.
“Oh Britt…”  mi uscirono quelle parole in un sussurro senza che potessi fermarle.
E mentre sorridevo per l’ironia della situazione, della minuziosità con cui Brittanysembrava aver scelto il suo nuovo compagno, le lacrime tornarono ad inondare il mio viso.
Non appena fui in piedi, poco stabile e sicura di quello che mi accingevo a fare, le lacrime si fermarono, giusto il tempo di permettermi di arrivare alla macchina, per poi poter riprendere a scorrere senza disturbo.
 
A little too ironic…
And yeah, I really do think. 


Piccola nota:
spero vi abbia straziato come ha fatto a me scriverla.   
_ CodA_


Canzoni:
"Ironic" di Alanis Morisette
"Thank you" di Dido


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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Solo io ***


Questo cuore sparpagliato
Per il mondo se ne va
 
 
Andai dritta al parco, il parco che avevamo insieme visitato e che si era aggiunto alla lista dei luoghi, delle cose e delle parole proibite, che mi parlavano di lei.
Forse per farmi male, per sentire ancora il dolore pervadermi e dimostrarmi che il cuore ancora batteva, forse semplicemente per avere in mente un’immagine diversa di quella di lei che sostava in quattro mura bianche e silenziose.
Seduta su una panchina, sotto il cielo scuro, non distinsi il giorno dalla notte, e vi rimasi un bel po’ prima che qualcuno mi facesse notare l’ora tarda.
Mi destai leggermente da quello stato catatonico e abbandonato.
Avevo passato la giornata seduta su una panchina, circondata dalla vita, ma questa non mi aveva toccato, nemmeno sfiorato.
Ero solo io, persa, nel mio mondo, senza emozioni: se le era portate lei.
Tornai a casa e chiudendo la porta buttai giù mezza bottiglia di vino, che tenevo conservata per un’occasione speciale.
“Cin cin!” urlai amaramente all’aria vuota alzando in alto la bottiglia prima di bere.
Giù, tutto in un sorso.
Posando duramente la bottiglia sul bancone della cucina, ora il vino era giusto a metà.
Programmai di aspettare che l’alcool facesse effetto nelle mie vene per stordirmi e magari berne ancora un sorso per addormentarmi profondamente.
Ma qualche minuto dopo qualcuno bussò alla porta.
Aprì e senza cambiare espressione, domandai.
“Cosa ci fai qui?”
“Ti amo..”
Brittany mi rispose secca, decisa, fiera, coraggiosa.
E si gettò tra le mie braccia.
Le sue braccia dietro il mio collo e le sue labbra sulle mie.
Non ebbi esitazione.
Scaraventai la porta con un calcio per chiuderla e strinsi le mie mani dietro la sua schiena, sui suoi fianchi, sulle sue gambe, sulla sua nuca.
La sua lingua a breve si avventurò nella mia bocca, rievocando sensazioni mai dimenticate.
Sentì quell’emozione di unicità, di completezza, di perfezione, che mi pervadeva solo quando i nostri corpi si univano a formarne uno, quando i nostri corpi sembravano adagiarsi uno sull’altro come se non avessero mai dimenticato come fare.
Le mie mani scorrevano sul suo corpo, sui suoi vestiti di cui non vedevano l’ora di liberarsi.
Senza nemmeno pensarci ci dirigemmo rapidamente in camera mia e quando fui sul letto sopra di lei, mentre i suoi occhi fissavano silenziosamente i miei, in attesa, non sapevo se quello che mi faceva battere rapido il cuore, che mi faceva sussultare, fremere la pelle, fosse lei o l’alcool.
Probabilmente entrambi mi stavano annebbiando la vista, ma ogni volta che baciavo la sua pelle e sentivo lei rispondere con un gemito, la mia mente si schiariva e sentivo dentro di me il cuore riempirsi e la mia gola capace di formulare solo la parola amore.
Ci strappammo praticamente i vestiti di dosso, incapaci di aspettare ancora, incapaci di frenare l’istinto e la voglia che avevamo fatto tacere già giorni prima.
Le barriere e le regole che ci eravamo imposte crollarono e fummo libere di amarci.
Sentimmo il sangue scorrere forte, l’una sentiva il battito accelerato dell’altro senza sosta.
Gli affanni si fecero più intensi, e quando la vidi completamente nuda, di nuovo, sotto di me, capì che non sarei più stata in grado di fermarmi.
L’amavo, più di ogni altra cosa, e volevo sentirla di nuovo mia, volevo che mi sentisse ancora sua.
E le chiesi di guardarmi, di allacciare i nostri sguardi, perché volevo amarla completamente, e volevo dirglielo con il mio corpo, con le mani, col cuore, con la voce, con lo sguardo.
 
Così mi manchi
Nell’universo…
Così ti cerco
E grido forte…
 
La guardavo dritto negli occhi mentre nel buio, nel silenzio, circondate dai nostri respiri affannati, dal nostro sudore e dalle nostre ombre, le mie mani percorrevano il suo corpo conosciuto, mentre la mia anima si placava. Il mio timore e le mie insicurezze erano scomparse.
Ma il mio animo tornava ad essere inquieto ed, ad ogni piccola parte di pelle che scoprivo, si saziava, e poi di nuovo ne voleva ancora.
Non sarei mai stata sazia di lei.
Ne’ lei di me, non poteva negarlo.
Potevo leggere perfettamente la sua voglia, il suo implacabile desiderio, nei suoi occhi persi e ora offuscati, potevo sentirlo nelle sue dita frementi, nella bocca gonfia, nei suoi gemiti tremanti e ancora timidi, tra le sue cosce, contro la mia gamba.
Solo io potevo farla sentire così, solo io ero capace di provocarle queste sensazioni tutte insieme; lo sapevo perché erano le stesse uniche sensazioni che provavo io con lei.
 
Solo io
Da quante lune
Solo io
Ti aggiusto il cuore
Solo io
 
 
Ed era bellissima alla luce della luna, a poco a poco più decisa sul suo corpo.
Una mia mano le carezzava i capelli, mentre l’altra vagava lungo le sue forme, contornando la sua figura; dalle gambe circondai il suo ginocchio ferito e amorevolmente la guardai negli occhi.
La vidi ricambiare lo sguardo, le lacrime formarsi ancora in quegli splendidi occhi chiari mentre accennava un sorriso per convincermi che andava tutto bene.
Ma non era così.
Anche se non si era ritratta al mio tocco, ogni volta che avesse sfiorato quel ginocchio avrebbe ricordato la sconfitta, si sarebbe sentita inutile e vulnerabile.
Abbassai il mio viso sul suo e le baciai gli occhi che si chiusero gentilmente sotto la mia bocca.
Le mie labbra si inumidirono di lacrime salate che baciai via rapidamente e di cui non ci fu più traccia.
Le baciai una guancia e poi l’altra.
 
Io sono un’ombra e tu…
E tu sei il sole!
 
“Sei.. bellissima..”
Sentendo quelle parole le si strinse la gola e il petto, e mi cinse ancora più forte.
I nostri seni erano schiacciati gli uni contro gli altri, e lei mi aveva costretta con tutto il peso su di lei.
Temevo di starle facendo male, ma a lei non importava, mi voleva così, più vicina che poteva.
Schiacciò il mio viso contro il suo in un bacio disperato e poi mi abbracciò ancora.
I miei occhi furono invasi dal profumo dei suoi capelli.
E sentì la sua bocca muoversi accanto al mio orecchio.
“Voglio sentirti dentro di me..”
Rabbrividì.
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che le aveva sentito pronunciare parole simili, dovevo tornare a farci l’abitudine; intanto però l’effetto era sempre lo stesso: smarrimento e totale eccitazione.
Mi abbassai lentamente sul suo collo e le regalai qualche bacio umido e delicato prima di raggiungere la sua bocca e baciarla, appassionatamente ma anche con un amore indescrivibile.
Mi lasciai andare.
Dimenticai il nostro silenzio durato anni, dimenticai la lontananza, dimenticai Brandon…
I nostri corpi insieme avevano saputo sempre esprimersi meglio delle nostre parole. Sapevano come parlarsi.
E lasciammo che si parlassero tutta la notte. 



Piccola nota:
Dedico questo capitolo a chi sta sopportando tutta questa sofferenza leggendo, commentando, seguendo!
Vi adoro!  <3
_CodA_


Canzone: "E' delicato" di Zucchero.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - What happened... ***





Aprì gli occhi e ritrovai lei.
Dormiva placidamente con la testa sul mio braccio, accoccolata accanto a me.
I nostri corpi nudi si riscaldavano a vicenda sotto quelle poche lenzuola.
Chissà perché la mattina sembrava tutto così poco poetico, poco romantico..
Le lenzuola ci coprivano scompostamente mentre attorno a noi c’erano tutti i nostri indumenti gettati per aria, un po’ su ogni mobile; le tende erano chiuse male, e ora filtrava prepotentemente la luce del sole per destarci.
Solo guardando lei la pace sembrò tornarmi nel cuore, il caos che ci circondava sembrava non toccarmi più, eravamo solo io e lei, nude nelle braccia l’una dell’altra.
Il mio braccio addormentato sotto il suo viso non sentiva né dolore né fastidio, avrei solo voluto che durasse per sempre quell’immagine di noi due, completamente rilassate, libere, innamorate.
Ma pecca chi desidera l’eternità, chi ha aspettative troppo grandi che rendono miserabile la realtà.
Ignara ancora di quello che sarebbe potuto accadere non riuscì a resistere alla tentazione e soffiando sui suoi capelli scompigliati, li baciai e lei si destò.
Stiracchiò lentamente le braccia ancora piegate sul mio petto e poi sbadigliò.
Non potei che sorridere a quella vista così tenera.
E anche se per un secondo aprì gli occhi e mi sorrise, fu solo un attimo, e d’improvviso la vidi scattare seduta sul letto, gridando ansiosamente.
“O mio Dio! Che ore sono? Non dovevo dormire tanto! I miei pantaloni, mi servono i pantaloni!”
La vidi agitarsi senza concludere nulla, mentre mi lasciava allibita sul letto, sotto lenzuola già fredde e dimenticate.
Non era certo questo il risveglio che speravo e aspettavo, non dopo una notte così.
“Ehi calmati.. li troveremo..”
Il mio tono non sembrò tranquillizzarla o fermarla.
Continuò la ricerca dei suoi pantaloni dopo aver già infilato le mutandine.
“D’accordo.. ti aiuto a cercarli..”
Mi alzai trascinandomi le coperte per avvolgermi in esse e una volta che fui in piedi sul letto dalle lenzuola cadde il suo cellulare, doveva essere caduto mentre…
Lo raccolsi e senza pensarci cliccai uno dei tasti per illuminarlo e poter leggere l’orario.
Non trovai subito i numeri digitali che dovevano indicarmi l’ora. Piuttosto il mio sguardo fu catturato da altro.
10 chiamate perse e 3 messaggi non letti, tutti di Brandon.
Sapendo già cosa mi aspettava, sapendo perfettamente, ancora prima di leggerli, cosa vi avrei trovato e cosa mi avrebbero provocato, sfidai la sorte e cliccai –leggi-.
Non appena io ebbi finito lei riemerse da dietro alla poltroncina sul lato del letto. Guardò me, poi il cellulare tra le mie mani e poi di nuovo me, terrorizzata, incapace di dire qualcosa.
Mi sentì improvvisamente presa in giro, tradita, io stessa, per quello che mi aveva fatto, per come mi aveva ingannata. Eppure non potevo incolparla: avevo voluto credere a qualcosa che non mi era stato detto.
Avevo preferito mentire a me stessa, convincermi che andasse tutto bene, che quello che stavamo facendo fosse giusto, quando sapevo perfettamente che non era così.
Avevo voluto credere che quello che più speravo al mondo fosse vero, mi aveva fatto comodo credere così e non il contrario, avevo scelto la via più semplice e avevo semplicemente chiuso gli occhi.
Ora riaprendoli, mi toccava affrontare la realtà. La dura realtà.
 
It’s like one of those bad dreams
When you can’t wake up
 
“Io…”
La fermai, senza poterla guardare negli occhi, fissando lo schermo del cellulare non più illuminato.
“Credevo avessi rotto con lui.. ci avevo davvero sperato..”
“San..”
“Vai via”
La sua voce tremante rese ancora più difficile la mia decisione, le mie parole.
Ma il mio cuore ferito non riusciva a placare la rabbia, la frustrazione, la gelosia.
Sanguinavo per colpa sua, ancora, e stavolta la ferita avrebbe bruciato così tanto e per così tanto tempo.. che non sapevo se sarei stata in grado di perdonarla.
Avevo sbagliato.
Ce l’avevo con me stessa per essere stata così fragile, così debole, ed aver ceduto sin dall’inizio.
Dovevo rimproverare me stessa per l’ottimo lavoro e il risultato raggiunto.
Eppure mi sentivo così umiliata.
Pensavo davvero che almeno lei mi amasse e potesse capirmi.
Non credevo sarebbe riuscita a ferirmi così, senza pietà e con una tale forza da lasciarmi indifesa.
Ero lì, in piedi sul letto, coperta solo dal lenzuolo e sostavo davanti a lei, immobile e in silenzio, priva di ogni difesa.
E fu come se mi avesse gettato addosso pietre e coltelli, sentì le gambe tremare, lo stomaco stringersi forte e le mani contrarsi.
Il suo sguardo bastonato non faceva che peggiorare la situazione.
“San, ti prego.. posso..”
Come se non bastasse le lacrime che mi stavano bagnando il viso bagnarono il letto e io mi sentì umiliata ancora di più, ancora una volta esposta e indifesa ai suoi occhi, dopo ciò che mi aveva fatto.
Sentivo che aveva giocato con i miei sentimenti.
Mi voltai per non guardarla, per negarle alcun tipo di replica.
E mentre la sentì rivestirsi tra le lacrime e andare via, così com’era venuta, nella mia mente si fecero vivide le immagini di quella notte d’amore che avevamo appena passato insieme, una delle notti più belle della mia vita: le nostre dita intrecciate mentre una scossa ci pervadeva e sentivo il nostro sudore mescolarsi, e ci univamo ancora, più di prima. Potevo sentire ancora il suo profumo, il suo seno contro il mio, il suo cuore battere con il mio: la notte migliore della mia vita.
Era un peccato scoprire che era stata tutta una grande menzogna.
 
 
And I won’t forget you, my friend
what happened. 


Piccola nota:
Non uccidetemi!  Ve ne prego >___________<   Ma non poteva essere tutto così semplice...


Canzoni:  "I don't believe you"  e  "Who knew" di P!nk



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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Ragioni d'amore ***


Prima di leggere...
L'ho scritta e riletta ascoltando "Forever and almost always" di Kate Voegele. Se volete entrare nell'atmosfera, vi consiglio di ascoltarla.




Vorticava nella mia mente la sua immagine nitida e solare; nonostante avessi il desiderio di provare rabbia e rimorso, nonostante me lo imponessi, fallivo miseramente.
E quel letto, quelle lenzuola, non facevano che rendere tutto più complicato.
Decisi che era ora di cambiare aria; sfilai rabbiosamente le lenzuola dal materasso e le accatastai al centro del letto, scompostamente, fissandole con occhio truce e misero, quasi impaurita che potessero ferirmi, più di quanto già non facessero.
Le ignorai finché non fui pronta per uscire, per lavorare, darmi da fare, distrarre la mia mente.
Attraversai casa rumorosamente e una volta fuori il portone, prima di entrare in auto -al diavolo l’ambiente e il traffico!- gettai le lenzuola, così come le avevo arrotolate, nel cassonetto dell’immondizia.
Dovevo rompere definitivamente ogni contatto, ogni cosa che potesse ricordarmi quella notte, e le lenzuola erano sicuramente le prime della lista.
 
Purtroppo il mio poteva essere solo un vano tentativo.
Le aule brulicavano di studenti, scocciati e persi, impauriti, alcuni anche desiderosi di apprendere, ma ero io, la loro insegnante, a non essere in grado stavolta di sostenere i loro problemi, i miei, e continuare.
Sapevo di essere stata a lungo una buona insegnante, stimolante e capace, sapevo che molti di loro avevano piena fiducia in me, e non avrei mai voluto deluderli.
Ma già vedermi in quello stato perso, catatonico, in cui l’occhio vagava e così anche i pensieri, in direzioni diverse, lontane da quell’aula e quella scuola, mi aveva reso vulnerabile, umana, diversa ai loro occhi. Avevo fallito anche con loro.
La cosa non fece che abbattermi ancora di più.
Ero seduta sulla mia sedia davanti alla scrivania, dondolandomi leggermente, mentre fissavo il vuoto fuori dalla finestra ed improvvisamente Mike, il ragazzo con cui avevo lavorato maggiormente e che aveva subito più cambiamenti grazie al mio insegnamento e al mio impegno, mi rivolse la parola preoccupato.
“Signorina Lopez… tutto bene?”
Mi destai improvvisamente.
“Ehm.. si, Mike, certo… perché?”
“Veramente.. è circa mezz’ora che attendiamo che ci dia istruzioni su cosa fare..”
“Oh…”
Mi resi conto solo allora di come l’aula si fosse riempita, dalla prima fila fino alla sesta.
In silenzio avevo circa una trentina di occhi puntati fissi su di me che attendevano.
Cercai di non andare nel panico e riassunsi una posizione composta.
Non volevo stare in quell’aula, per la prima volta non desideravo che scappare, chiudermi in casa, fuggire dalla mia vita e dai pensieri, dalla quotidiana realtà che mi rinfacciava gli errori commessi.
Desideravo solo un po’ di pace.. era forse chiedere troppo?
“Ragazzi, la pausa è finita! Aprite tutti il libro a pagina…”
Sfogliai distrattamente il libro di letteratura che avevo davanti e il mio occhio cadde su una frase piuttosto che sul numero della pagina.
-La ragione ci comanda ben più imperiosamente di un padrone, perché disobbedendo a questo si è infelici, disobbedendo all’altra si è sciocchi.-
Anche il caro Pascal mi suggeriva di restare, di smettere di pensare ad altro e di concentrarmi. Pascal mi ricordava della ragione, mi ricordava cosa il mio buon senso mi diceva andasse fatto, per il mio bene.
Non dovevo essere sciocca…
Una ragazza in fondo alla stanza, con ancora le cuffiette nelle orecchie, ignorava la situazione attorno a sé e canticchiò inavvertitamente qualcosa.
“…because you’re mine, forever and almost always and I’m fine, just love me when you can and I’ll wait patiently, I’ll wake up every day just hoping that you still care…”
Fissai per un attimo la ragazza che aveva pronunciato quelle parole con occhi spalancati, vitrei, ed ad un tratto nuovamente pieni di vita, struggente ma vera.
E fuggì.
Lasciai l’aula agli alunni, liberi di imparare se avessero voluto, senza il mio aiuto stavolta.
Era la volta di scegliere, imparare, e sostenersi, da soli. E senza dare spiegazioni lasciai l’aula.
Intanto tutti i ragazzi si erano girati verso quella povera ragazza che non aveva fatto altro che aprirmi gli occhi.
Si tolse le cuffiette improvvisamente cosciente di cosa stesse accadendo.
“Che ho detto?”
A quei ragazzi sarà sembrato nulla, ma quelle parole, quel canto sussurrato nel silenzio di un’aula, nella prigione della mia mente, mi avevano risvegliato.
Ed ora era grazie a lei che correvo senza sosta.
Grazie ad una canzone e non alle parole di un vecchio uomo troppo spaventato per ammettere le proprie debolezze.
Correvo verso ciò che veramente desideravo, anche senza sapere cosa avrei ottenuto.
Correvo e basta, grazie al cuore e non alla mente.
La ragione non bastava stavolta, andava messa da parte. Non era lei che dovevo ascoltare ora.
La canzone risuonava dentro di me e sapevo che quelle parole erano per me, per me e per lei.
Quando mi fermai ero al parco.
Rallentai gradualmente la mia corsa fino alla panchina che dava le spalle al laghetto e mi guardai intorno come se avessi dovuto trovarci qualcuno, come se dentro di me sapessi di essere in ritardo per un appuntamento.
Ma non c’era nessuno.
Solo una coppia di anziani che camminava a braccetto lungo il perimetro del laghetto, sorridendo alle paperelle, mentre scompostamente mantenevano insieme l’ombrello che avrebbe dovuto proteggerli dall’imminente pioggia che stava per scatenarsi.
Presi posto sulla panchina e tirai un grosso sospiro, per scaricare la tensione e riprendere fiato dalla lunga ed estenuante corsa.
Ecco..
Stupido cuore!
Mi aveva portato ad una panchina vuota, ad un parco deserto, ad un cielo grigio.
Forse Pascal aveva ragione, chi non segue la ragione è sciocco.
Fissai i miei piedi stanchi, sentendoli distaccati dal mio corpo, come se quel dolore fisico poco mi toccasse. E mi sentì stupida.
Quando decisi che era arrivato il momento di riprendere le redini della situazione, di dar conto alla ragione e alzare lo sguardo, incontrai due occhi che non speravo più di poter vedere.
Brittany sembrava paralizzata, in piedi a pochi passi da me, sorpresa e spaventata.
Il mio sguardo era molto simile al suo, completamente disorientato.
Non sapevo come dovermi comportare.
Il cuore e l’istinto mi dicevano di raggiungerla e stringerla a me, come avevo desiderato fare da quella mattina; la ragione invece… mi suggeriva di andarci cauta, di stare attenta ad ogni mossa ed ogni parola.
Mi chiedevo intanto cosa passasse a lei per la testa, ma non potevo avere risposta.
Per non sbagliare ignorai sia istinto che ragione e attesi una sua mossa.
Accennò un sorriso bagnato dalle lacrime che non aveva saputo trattenere e si diresse lentamente verso di me.
Io continuai a fissare il punto in cui i miei occhi avevano incontrato la sua figura mentre lei si sedeva accanto a me, stringendo nella sua la mia mano poggiata sulla panchina.
Guardò le nostre mani sorridendo, poi scoppiò in una risata più rumorosa guardandosi attorno e si asciugò le lacrime sotto gli occhi con il palmo dell’altra mano.
Io non accennai a fare o dire nulla. Credevo impossibile che potesse ridere in una situazione simile, prendendomi per mano, senza dire niente.
Ma sapevo che ogni parola sarebbe stata sbagliata, per cui apprezzai la sua scelta, come al solito preferì il nostro silenzio.
Intanto le sue dita dentro le mie mi riscaldarono, fecero apparire il vento che mi raffreddava le spalle una brezza leggera, sentì quel sentimento lontano eppure così forte travolgermi, quelle emozioni antiche dolci da riscoprire.
E la mattina in cui avevo rinnegato ogni mio sentimento, in cui mi ero pentita di ogni mia azione, sembrò svanire, sembrò perdere di importanza.
Fu come se lei ed io ci fossimo ritrovate in un mondo parallelo, in un universo in cui il tempo non poteva sfiorarci, scorreva senza incidere sulle nostre vite, sulla nostra eternità insieme.
“Avevi ragione, sai?!  Sapevo che ti avrei trovato. Il mio corpo mi ha portata qui…”
In un attimo le sue parole rievocarono le mie, sentite lontane ma in realtà di solo qualche giorno prima.
 
“ci rivedremo sai?”
“E come faremo a sapere dove andare? Come saprò che quello è il nostro posto?”
“Lo saprai e basta..”
 
Come se avessi tutt’un tratto ricordato e assemblato i vari pezzi, essendomi solo ora resa conto di ciò che accadeva, il mio corpo si scosse, la mia mano tremò nella sua e lei la strinse di più.
Sorrise, confermando il pensiero e le conclusioni a cui ero giunta.
Ma mentre guardavo il suo sorriso sincero, mentre la guardavo stringere la mia mano e abbandonarsi all’amore, sapevo che io le stavo semplicemente dicendo addio.
Quello che il mio corpo stava cercando di dirmi, ciò che al mio corpo mancava, era un addio.
Avevamo perso l’occasione di salutarci, di ricordare insieme l’amore che ci aveva unite, lo stesso amore che ora ci divideva, lo stesso che mi costringeva a lasciarla.
Non avrei voluto. Non desideravo altro che stringere quella docile mano e baciarla.
Ma non potevo.
“Mi apparterrai per sempre…” sussurrai.
Ed in un istante, mentre le nostre dita si scioglievano, mentre tornavano ad essere due e non più una sola, in un solo secondo, vidi il suo viso trasformarsi.
Mentre le mie dita perdevano contatto con le sue, il sorriso dalle sue labbra sparì.
Non appena fummo divise il vento ci travolse, sentì improvvisamente freddo e il suo abito iniziò a sventolare violentemente.
Non più invincibili, non più imperturbabili.
La guardai un ultima volta, mentre ero in piedi ad una distanza di sicurezza che mi proteggesse dal suo corpo, dal suo cuore, e dal mio amore.
Rividi comparire le lacrime agli angoli dei suoi occhi e sentì il cuore stringersi.
Sentivo che lei era qui per me, sentivo che il suo corpo era stato richiamato dal mio, e il mio dal suo e, non so ancora come, ci eravamo ritrovate al parco, insieme.
Ma tutte quelle coincidenze, quelle fatalità impreviste, non servirono a placare il mio dolore.
Il mio amore era indelebile, irrefrenabile.
Ma per una volta, una sola maledettissima volta, la ragione doveva avere la meglio ed impedire la mia autodistruzione.
Un fuoco che porta solo ustioni, per quanto possa essere forte, potente ed affascinante, non va alimentato.
La delusione e la sfiducia erano le uniche due forze che mi avevano reso capace di quella separazione.
Non so come, dopo tanta sofferenza per la sua mancanza, avessi avuto il coraggio di dirle addio.
Ma lo feci.
Forse fu per la mia coscienza. O forse per il fatto che lei non si era preoccupata di chiedermi scusa, di proteggermi da altro dolore.
La soluzione migliore era dirle addio e non cercarla più.
Avremmo vissuto vite migliori di queste, separate ma migliori.
E come al solito toccava a me la decisione difficile, ero io a spezzarle il cuore mentre mi guardava con quegli occhi da cane e una mano ancora ricurva nel vuoto.
Anche se sapevo che aveva bisogno di sostegno, di una spalla su cui piangere, io stavolta non potevo darglielo.
Non potevo restare ancora, perché ero debole.
Una volta che il suo viso si fosse posato sulla mia spalla le avrei baciato la tempia, le avrei carezzato i capelli, e il mio cuore avrebbe ripreso a battere per lei, grazie a lei, con lei.
Restando così invece, distanti, salutandola da lontano, per l’ultima volta, il mio cuore era al sicuro, nel suo petto.
Lo aveva lei il mio cuore, l’avrebbe custodito per sempre accanto al suo, avrebbero battuto per sempre all’unisono nel suo petto.
Pregai solo che fosse forte abbastanza da reggere i battiti, da non farli fermare entrambi.
Confidai in lei, ancora una volta.
Sperai vivamente che fosse forte per me, prima di scappare via.
 
 
Baby be strong for me, baby belong to me… 




Piccola nota:
Non disperate, su! Tenete duro ancora un pò.. pochi capitoli ed è finito lo strazio! :)
_CodA_


Canzoni:
"Forever and almost always" di Kate Voegele (quella che canticchia la ragazza)
"On my own" di Nikka Costa

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Ombra ***


Piccolo consiglio:
La musica lamentosa, i tamburi che aumentano, insomma la melodia che crede di sentire San è ispirata a "Winters love" degli Animal Collective. Se vi va, mettete play e leggete :)
_CodA_




Angel eyes why do you look back
And all this time how did you know that
I'd be here, I'd be here, I'd be here
In this world all alone

 
Passarono circa due settimane, due settimane in cui non ebbi alcuna notizia di lei, non seppi nient’altro: non la vidi, non la contattai. Per quanto ne sapevo poteva essere morta.
Non fu facile, nonostante fossi stata io a prendere quell’amara decisione.
Passai notti insonni, giornate vuote e noiose, al meglio delle possibilità. Altre volte ero scossa da rapidi e fugaci ricordi che mi lasciavano sanguinare dentro e rendevano le giornate impossibili da affrontare, per ricordi impossibili da dimenticare. Più di una volta pensai di cedere alla tentazione: allungare il braccio, non sarebbe stato molto difficile, afferrare il cellulare e comporre un numero. La chiamata sarebbe partita e io avrei sentito la sua voce, con mano tremante avrei sorretto il telefono e avrei taciuto al suono della sua voce dolce e incurante.
Ma mi ripetevo, in questi momenti di debolezza, che non avrei fatto che rendere vani i miei e i suoi sforzi. Avrei peggiorato le cose e saremmo dovute ripartire da zero.
Per cui costringevo il braccio sotto il cuscino, sotto una stretta pesante e salda, e attendevo che le ore passassero, prima di dare il benvenuto ad un nuovo solitario e straziante giorno.
A scuola le lezioni ripresero normali, senza problemi o imprevisti.
Non ci furono più mancanze da parte mia, ma l’accaduto di due settimane prima mi diede l’idea per un nuovo progetto.
Decisi che sarebbero stati anche i ragazzi a proporre delle canzoni per il nostro programma di studi.
Certo avremmo allungato le lezioni, forse fallito, saremmo con molta probabilità rimasti indietro col programma, ma a me non importava e nemmeno ai ragazzi sembrava dare fastidio.
Quel nuovo approccio a cui avevo acconsentito permetteva ad ognuno di loro, anche il più timido, di intervenire, esprimersi e dire la sua, innescando discussioni intelligenti che sarebbero valse come interrogazioni se, stimolati dallo spunto che avevano creato, avessero saputo citare qualche famoso letterato e contestualizzare la loro argomentazione.
La loro risposta fu assolutamente positiva e non potei che esserne felice, nonostante continuassi ad essere chiamata in segreteria ad orari diversi.
“Professoressa Lopez, la vogliono sulla linea uno”
“Grazie Betty…” risposi con un sorriso all’anziana signora in segreteria che da anni, seppur senza alcun titolo di studi, aveva amministrato brillantemente le carte della scuola e reso le giornate sempre più semplici con una parola di gentilezza.
“Qui Santana Lopez, con chi parlo e come posso esserle utile?”
“…”
“Pronto?”
Ancora nessuna risposta. Attesi con la cornetta sempre più schiacciata contro il mio viso, dubitando delle mie orecchie che potevano giocarmi brutti scherzi. Ma non ero io a non sentire, era davvero il telefono vuoto, perché nessuno si preoccupava di parlare.
“Pronto?!?!” inveì contro la cornetta ancora una volta, perdendo la pazienza.
Posai il telefono brutalmente, spazientita.
“Betty, ti hanno detto chi era al telefono?” chiesi, poco speranzosa.
“La cercava qualcuno.. qualcuno per dei pagamenti.. qualcosa che aveva a che fare con la tariffa del suo telefono..”
“Lo sapevo! Quegli operatori vogliono offrirmi qualche altra promozione e intanto chiamano e mi fanno perdere tempo, e mi mettono in attesa senza nemmeno la musichetta! Che tipi! Betty, fammi un favore. Poiché sarà la quarta volta in questa settimana, la prossima volta che succede.. se chiamano ancora… comunica che mi sono trasferita, ok?! Non ne posso più..”
“Certo, nessun problema.”
“Grazie” risposi prima di tornare in aula.
Passai una mano tra i capelli, sbuffando, ormai gesto che era divenuto routine.
Ogni giorno oramai era una lotta alla sopravvivenza.
Tornai a casa esausta intorno alle sei del pomeriggio, mangiai il take-away preso lungo la strada e feci tristemente zapping in tv sorseggiando del vino pessimo preso al supermercato.
Vedendomi dall’esterno mi sarei biasimata da sola, gettata a soli ventidue anni su una poltrona il venerdì sera, sorseggiando vino di pessima qualità su un cibo cinese poco cotto.
Sorseggiai ancora per scacciare quel pensiero, cosciente che quel vino mi avrebbe solo provocato un gran mal di testa.
Un giorno tutto questo passerà.
Fu quello che pensai per convincermi a posare la bottiglia ed andare a letto.
Chiusi le luci dietro di me, raggiunsi il letto e mi ci gettai scompostamente.
Abbracciando il cuscino freddo seppi che quella che mi ero detta era una bugia e piansi.
Il cuscino umido era ciò che di più triste potesse esserci al mondo.
Il cuscino è un oggetto crudele e meschino.
Come una spugna assorbe ogni sentimento, ogni emozione, ma durante le notti silenziose è pronto a sprigionarle tutte insieme.
Come un diario racchiude ogni momento, ogni sensazione celata al futuro.
Come un libro dispiega le sue storie, i suoi ricordi, intrisi di maggior malinconia e feroce vendetta.
E mentre piangevo, mentre riversavo altre lacrime e altri ricordi su quella stoffa colorata, mentre il cuscino diveniva il mio migliore amico, il miglior confidente di sempre, sentì il mio cervello e il mio cuore lavorare all’unisono per evocare una lontana canzone, una musica, fatta di lamenti eppure di tamburi e chitarre veloci; voci indistinguibili in contrasto con la musica allegra, ironica, completamente deridente.
E più le voci nella mia mente incrementavano i loro lamenti cantati, più io sentivo le lacrime aumentare al bordo dei miei occhi e inzuppare il cuscino.
Volevo gridare ma la musica nella mia mente sovrastava tutto, sembrava come se fosse trasmessa da uno stereo a casse potentissime, che risuonava per tutta la stanza, per l’intera casa, si estendeva, e mi fendeva il cuore.
Volevo morire.
Tutto ciò che mi faceva desiderare quella canzone e quella bottiglia di vino pessimo era la morte.
Ma ancora la musica cresceva, le lacrime assieme a lei, il mio pianto si faceva rumoroso e straziato contro il cuscino e contro la pelle della mia stessa guancia.
E una volta dolorante dagli spasmi, dalle contrazioni allo stomaco e al cervello, mentre il dolore diventava parte di me e la musica lentamente iniziava a diminuire, mi addormentai.
 
 
Il risveglio era difficile. Particolarmente.
La testa doleva, girava, ruotata il mondo tutto attorno e sentivo la nausea farsi notare.
Ma non vomitavo.
La mia condanna era la nausea continua e il tormento, senza risoluzione; un incubo senza risveglio.
E meritavo l’inferno, meritavo le pene, le quotidiane pene che si ripetevano all’infinito.
Vestita mi dirigevo a scuola e passavo le mie ore di lezione in tranquillità paradossale, come se quelle ore mi salvassero dalla vessazione.
Ma quando mi inoltravo verso le ore pomeridiane, la solita musica straziante mi pervadeva e iniziava a tamburellare la mia mente per ricordarmi che non sarebbe mai andata via, mai.
Salutai Betty, uscendo da scuola, mentre lei a telefono mi diede un felicissimo pollice in su.
Aveva esaudito la mia richiesta con lo sconosciuto scocciatore. Almeno qualcosa in questa giornata aveva avuto un risultato positivo.
Ma la considerai una conquista di Betty e non mia, per cui non potevo ritenermi soddisfatta.
E comunque erano appena le sei. La giornata era ancora lunga e dolorosa.
Fu un repentino battito alla porta che mi scosse dalla mia quotidiana routine e mi fece sobbalzare dalla poltrona.
Mi diressi così com’ero, in shorts grigi e canotta bianca, alla porta, senza nemmeno dare un’occhiata allo spioncino.
Aprendo la porta mi portai la bottiglia di vino rosso alla bocca e bevvi un bel sorso mentre i miei occhi realizzavano chi avevo davanti.
Deglutì, con difficoltà, e guardando la sua figura non potei fare a meno che deglutire di nuovo, spaventata.
Mi chiedevo perché fosse qui, cosa volesse da me e… Però rimanevo in piedi, in silenzio.
“Posso entrare?”
Mi scostai di lato ed entrò.
Non si inoltrò molto all’interno della casa, preferì rimanere al centro dell’entrata e attendere me.
Ero intimorita dalla sua figura, dal suo aspetto oggettivamente affascinante, e da ciò che rappresentava.
Era il nemico in casa mia.
“Cosa fai qui, Brandon?” sfacciataggine che cercavo di ostentare nei momenti di paura e di poca sobrietà.
“Mi fa piacere constatare che conosci il mio nome.. ciò mi permette di saltare i convenevoli e passare subito al dunque..”
“Non chiedo altro”
“Credi di poter seguire ciò che ti dirò o sei troppo ubriaca per farlo?”
Qualcosa nel suo tono di voce mi suggeriva che si stava divertendo, si prendeva la sua rivincita.
E anche se non potevo negargliela, anche se era palese che fossi quanto meno brilla, non volevo che avesse questa soddisfazione.
Mi stava giudicando ed era una cosa che odiavo.
“Parla”
“Ho sentito dire che avevi intenzione di trasferirti; ero venuto a constatare di persona questa notizia..”
Qualcosa scattò dentro di me. Una connessione che serviva ad unire i pezzi di un piccolo puzzle.
“Eri tu…!” esclamai puntando il mio dito indice contro di lui, in tono accusatorio.
“Brittany ha continuato a chiamarti… le avevo detto di non farlo ma l’ho beccata l’altro giorno ancora una volta.. mi ha detto che aveva bisogno di sentire la tua voce..”
Sorrisi al pensiero. Pensare che Britt non mi avesse dimenticata, che avesse ceduto al mio stesso desiderio mi fece sentire in qualche modo ancora una volta connessa a lei in un modo unico e speciale.
“Ascoltami bene… non conosco i dettagli della vostra relazione, non so esattamente cosa sia successo negli anni passati, cosa vi abbia unito così tanto e cosa vi abbia diviso.. ma non sono stupido! So che c’è stato qualcosa tra voi, qualcosa che va oltre l’amicizia, ho potuto sentirlo in questi anni.. e ho avuto occasione di vederlo nei giorni passati..”
Un rapido flash di me e Brittany avvolte l’una nell’altra nel mio letto mi attraversò la mente, ma non era certo quello a cui si riferiva Brandon.
In un certo senso mi dispiacque per lui, al suo posto mi sarei sentita presa in giro.
Volevo rispondere, dire qualcosa per frenare quelle parole, quella strana confidenza che sembrava avere l’altro nei miei confronti.
Volevo negare tutto, anche l’evidenza, e mi sembrò di essere tornata al liceo.
Ma lui non mi diede tempo di replicare.
“..Brittany.. non l’ho mai vista tanto presa da una persona.. riguardo a te.. sei stata capace di muoverle emozioni opposte tutte alla massima potenza. Qualsiasi sentimento sia correlato a te, nel bene e nel male, è sempre il più forte. E non capisco davvero… Brittany non ne vuole parlare, si rifiuta di avere a che fare con me da quasi due settimane oramai.. e io..”
Si mostrò impotente e fragile ai miei occhi, non credevo che potesse abbassare la guardia così, davanti ad un potenziale nemico, io non l’avrei fatto.
“Io non so cosa fare.. oggi ha sentito che stavi per trasferirti e le è crollato il mondo addosso.
Ha iniziato ad urlare che era finito, tutto finito e non c’era più nulla da fare. Ma.. non so bene a cosa si riferisca, per cui non posso aiutarla. Quindi, vengo da te… vengo qui da te e ti imploro di aiutarmi; aiutami ad aiutarla!”
La rabbia che avevo letto inizialmente nel suo tono e nel suo sguardo erano svaniti.
Ora c’era solo un misero uomo dinnanzi a me, privo di difese, disarmato, giovane, bello ed innamorato.
Ma non abbastanza.
Sentì la rabbia, la gelosia, il mio amore, ribollire sotto la pelle.
La voglia di cacciarlo a calci dal mio appartamento.
Non meritava di stare con Brittany se non riusciva a comprenderla, se non riusciva a starle accanto e dare il meglio di sé.
Evidentemente il suo meglio non era abbastanza per Brittany, e io glielo feci pesare, avendo avuto il desiderio di infierire e non di guarirlo dalla sua ferita d’amore.
“Siamo state insieme” fui tagliente e secca, la mia lingua ferì il suo occhio e l’orgoglio che riluceva in esso.
Improvvisamente il suo corpo si eresse fiero e forte, in netto contrasto con la mia esile figura, cercando di contrastare anche le mie parole, di farsi scudo con il proprio corpo.
Purtroppo il vino non lasciava inibizioni, per cui non potei evitare la tragedia.
Mi guardò irato, furioso, colpito nell’orgoglio e nella dignità. In fondo però era stato lui a chiedere.
“Io la amo”
Conclusi non avendo avuto risposta verbale da lui.
“Non l’avrai. Solo perché dici di amarla, questo non ti dà il diritto di prendertela”
“Nemmeno tu puoi averla, allora..”
Abbassò lo sguardo non riuscendo a sostenere il mio.
Bingo!
Ma quando lo rialzò ebbi paura di essere stata sconfitta.
“Non siamo noi a dover prendere questa decisione.. è Brittany che farà la sua scelta..” continuò lui.
Mi riportai la bottiglia alle labbra e bevvi, aggirandolo per raggiungere il divano e buttarmici scompostamente, considerando la discussione conclusa.
Ma lui mi seguì con lo sguardo fino a voltarsi per guardarmi.
Ero patetica, lo percepivo.
Sapevo che pensava solo il peggio di me, ed ero stata io ad avergli dato il pretesto per farlo.
“So che pensi che Brittany abbia già fatto la sua scelta, che tu sia la vincitrice in questione.. ma allora come mai non state insieme? Come mai è a casa mia e non tua?”
Mi girai disgustata dalle sue parole, tutte sbagliate, una dietro l’altra.
“Chi ti dice che ci sarà un vincitore? Qualunque sarà la sua scelta saremo tutti perdenti, rammentalo. Vivremo sempre per lei, e mai con lei.
Saremo sempre le sue ombre, ma non possiamo far parte di lei.
Quindi.. no, nessun vincitore, stupido cazzone! E ora sparisci dalla mia vista, prima che ti tiri questa bottiglia addosso. Sono ubriaca e se lo dico lo faccio!”
Le mie parole sembrarono averlo immobilizzato, ma la paura della bottiglia fu maggiore.
Lo vidi allontanarsi lentamente e raggiungere la porta.
“Non sei una cattiva persona, Santana.. Se davvero la ami come dici, sai perfettamente che la cosa migliore per lei è stare con me. Se non vuoi farlo per me… fallo per lei.”
Sentì i suoi occhi sollevarsi dal basso verso l’altro, scrutandomi con disprezzo.
“Non sei abbastanza nemmeno per la sua ombra!”
Parlò con cattiveria prima di richiudere la porta, lasciando stridere il mio nome tra i suoi denti in quella maniera.
“Nessuno lo è..” sussurrai prima di bere l’ultimo sorso di vino e gettare poi la bottiglia ad infrangersi contro la porta chiusa.



Canzone: "Don't make me wait" di This World Fair

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Crescere ***


 E questa sera pubblico due capitoli di fila, perchè questo è davvero troppo breve, ma volevo scriverlo, non volevo eliminarlo, nè incorporarlo ad altri. Passo dopo passo...




All I know
Is everything is not as it's sold
but the more I grow the less I know
And I have lived so many lives
Though I'm not old

 
Ancora ci pensavo; ci avevo pensato tutta la notte e ci pensavo ora alle prime luci del sole, distesa immobile sul mio letto triste.
Non potevo prendere in giro nessuno, le sue parole mi avevano ferito, ardentemente.
Anche se non volevo ammetterlo, dentro di me sapevo che le sue parole erano vere, più vere del mio respiro.
E io Brittany l’amavo davvero.
Era l’unica certezza rimastami. L’unica vera e sola.
Ma come poteva chiedermi una cosa simile?
Sapevo di averle già detto addio, sapevo di averla già persa, ma il solo fatto di vedere lui qui, ad implorarmi aiuto.. mi lasciava interdetta. Mi faceva improvvisamente pensare che Brittany poteva davvero amarmi e lasciare lui. La debolezza di Brandon mi faceva sperare per me, per me e per lei di nuovo insieme.
Significava che quello che avevano o che avevano avuto non contava nulla a confronto.
Ma sapevo che la scelta che avevo preso giorni addietro, la parola fine che avevo scelto per noi, era stata motivata da qualcosa, un qualcosa di concreto che non poteva essere messo da parte da un po’ di gelosia e vendetta.
Io e Brittany provavamo entrambe un sentimento profondo l’una per l’altra, che sembrava non essersi affievolito minimamente in quegli ultimi due anni.. anzi!
Ma seppure il sentimento fosse ancora presente e in forze, non significava che noi non fossimo cambiate. Eravamo comunque cresciute e avevamo vissuto esperienze diverse, che ci avevano in ogni caso segnato e trasformate. Come potevamo pensare che non fosse cambiato nulla, che potessimo tornare al vecchio –noi-, che potessimo cancellare gli ultimi due anni e amarci? Senza dar conto a nessuno?
Avrei voluto che fosse così semplice, davvero.
Purtroppo ciò che desideriamo deve essere messo da parte, molto spesso, per qualcosa di più grande di noi, che ci controlla e ci comanda, che ci impedisce di tornare sui nostri passi, di ripetere errori, e ci consente di fare finalmente, dopo svariati giri e numerose rotte sbagliate, la cosa giusta.
Mi vestì rapidamente, convinta da un pensiero fisso e giusto.
Finalmente vedevo le cose chiare e distinte, straordinariamente semplici.
Dovevo mettere da parte l’orgoglio, la dignità, l’amore che avevo per Brittany, la gelosia e il desiderio di averla per me.
Dovevo far tacere la Santana, dentro di me, possessiva e far affiorare solo la Santana innamorata, quella completamente pazza di Brittany, quella che avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla stare bene e renderla felice; quella Santana che avrebbe ceduto la propria felicità per la sua, quella che avrebbe dato la vita per lei.
Quella che ora attraversava a piedi la città, andando incontro a morte certa, e lo faceva con un sorriso, sacrificandosi volentieri per lei.



Canzone:
"Try" di Nelly Furtado


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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Perchè ti amo. ***


 Bussai alla sua porta decisa ma non rumorosa.
Quando si aprì e lo vidi, lo guardai solo per un attimo, giusto il tempo di fare un passo avanti nel suo appartamento e poi voltarmi via con disprezzo, ancora offesa dalle sue parole.
Doveva essere chiaro che non era stato lui a convincermi, non era perché credevo nella loro storia che ero lì, ma semplicemente perché tenevo a Brittany più di quanto potesse fare lui.
Con un mezzo sorriso soddisfatto, chiuse la porta abbassando il volto e cogliendo occasione di sussurrarmi rapido: “E’ nel salone”.
Non attesi un solo secondo.
Camminai rapida nella stanza principale, l’unica che potevo riconoscere e la vidi, inerme e persa, seduta a gambe incrociate sul divano, con la schiena appoggiata al bracciolo a me più vicino.
Per cui non mi vide arrivare.
Sentì semplicemente i miei passi, ma solo dopo avrei potuto capire che non avrebbe fatto la differenza.
Mi sedetti di fronte a lei, nella sua stessa posizione, a pochi centimetri la mia pelle dalla sua, ma non mi azzardai a toccarla.
Le sue mani abbandonate dove si univano i piedi erano prive di vita, come il suo sguardo, e come la sua pelle, più bianca del solito se possibile.
I capelli erano un po’ elettrizzati e scompigliati ma io la trovavo bellissima. Sarà il cliché più vecchio del mondo, ma era così. Mi sentì una stupida ragazzina, e provai l’urgenza di doverla accarezzare, di sistemarle qualche ciuffo biondo dietro l’orecchio giusto per cogliere occasione e carezzarle la guancia. Ma non lo feci.
Sembrava fragile, intoccabile, e distante.
“Britt…?” la chiamai esitante.
I suoi occhi furono scossi da un lieve tremito e sbatterono un paio di volte prima di focalizzare.
Si voltò verso di me, inclinando leggermente la testa e mi sorrise.
“San…”
“Britt.. che ti è successo?”
“Mi hai lasciata andare…”
Sentì il cuore stretto in una morsa come se l’avesse addentato con le sue parole e l’avesse fatto scoppiare.
Era colpa mia se era in quello stato catatonico e assente.
Dovevo rimediare.
“Adesso sono qui..”
“Non dire così!” esclamò ridendo sommessa, come se avessi fatto una tremenda battuta.
Notai che non aveva forze nemmeno per ridere, stentava a tenere gli occhi chiusi, la curva delle labbra appena accennata.
“Ti ho persa, di nuovo.. e stavolta per sempre. Stai partendo, San.”
La guardai tristemente. Prima di varcare quella soglia, mi ero ripromessa che ero qui per lasciarla nel miglior modo possibile, per convincerla che fosse la cosa migliore da fare per lei e avrei continuato a mentirle riguardo al mio trasferimento.
Ma ora le cose sembravano essere cambiate. Non potevo mentirle. Non potevo.
“Britt.. non vado da nessuna parte..”
Accompagnai quelle parole con un semplice gesto, accorto e delicato, prendendo le sue dita tra le mie mani.
Ed improvvisamente il suo occhio si fissò rapido e spaventato su di me.
L’avevo scossa da quel torpore, l’avevo fatta tornare alla realtà. Era bastato toccarla.
“San…?!”
Non capì perché mi chiamasse, sembrò riconoscermi solo ora, come se solo ora avesse notato la mia presenza.
Continuai ad accarezzare le sue mani e improvvisamente si gettò su di me, stendendomi sul divano sotto di lei.
“San!!!” esclamò gioiosa, ancora però provata e debilitata da quello stato catatonico in cui si era costretta.
Strinsi forte la mia presa su di lei, avvolsi le mie braccia alla sua schiena e carezzandola mi inebriai del suo odore.
“Sei qui, sei vera..” sussurrò al mio orecchio, col viso nascosto tra i miei capelli.
Capì allora che aveva dovuto pensare fossi un prodotto della sua mente, doveva avermi immaginato già altre volte e credeva che la sua mente la stesse nuovamente traendo in inganno, ma stavolta non era così.
Realizzare cosa poteva aver passato mi indusse a stringerla ancora di più, a strizzare gli occhi per cercare di non piangere.
La mia mano destra si avvolse attorno alla sua testa, tenendola stretta e ferma nell’incavo della mia spalla e la cullai dolcemente, l’avrei tenuta stretta a me finché ne avesse avuto bisogno.
Dopo qualche minuto protetta l’una nelle braccia dell’altra la sentì alzarsi e prendere di nuovo posto sul divano.
Non lasciava andare le mie mani, però.
“Britt, vuoi dirmi cos’è successo?” le chiesi preoccupata, guardandola negli occhi alla ricerca di qualche verità e di qualche risposta.
“Sono stata male.. ma adesso sei qui, è questo che conta!” si affrettò a dire, prima che potessi contraddirla, come se avesse bisogno di convincersi di questo.
Abbassai lievemente lo sguardo e attesi, guardando le mie mani vittime dei continui giochi di Brittany. Le incrociava, le carezzava, le separava… erano come sue.
“Non resterò per sempre, lo sai vero?”
Abbassò anche lei lo sguardo mentre io lo alzavo, e incrementò la sua stretta sulle mie dita.
Sentì il suo fiato morire e l’ansia rendere i suoi movimenti brevi e scattanti.
“Non… non devi per forza… perché non possiamo restare insieme, San?”
Mi chiese implorante, incollando i suoi occhi ai miei, bagnati e tristi.
 
So if you love me
Why’d you let me go?
 
 
Io la guardai e non ci fu modo di mentirle, ma non potei fare a meno di amarla ancora di più.
Mi concentrai e iniziai il mio discorso, cercando di ignorare i suoi sguardi per poter dire tutto ciò che avevo da dire e andare via.
“Abbiamo provato, non ha funzionato.. non siamo fatte per stare insieme, Britt.. per quanto io lo desideri, per quanto speri che un giorno io e te avremo una casa grande, con un immenso giardino pieno di fiori colorati, con tanti cani e magari un tenero bambino che gattona tra di noi.. per quanto questo quadretto sia terribilmente allettante.. resta pur sempre un quadretto… non esiste.. e non penso esisterà mai. Noi siamo quel che siamo, e siamo su strade diverse, in case diverse.
Io abito a 5 chilometri da qui e tu….” Mi diedi una rapida occhiata intorno, cercando di non far trasparire troppa rabbia o disgusto nelle parole che seguirono “.. tu passi di qui. In una casa bianca, con un unico fiore finto” lanciai uno sguardo al solitario vaso sulla mensola “ e con un uomo.”
Mi fermai.
Pensare a Brendon nell’altra stanza, che probabilmente ascoltava e assisteva ai nostri discorsi, mi fece irritare.
Ma chiusi gli occhi e coraggiosamente proseguì.
“Un uomo che, malgrado quel che io possa pensare, ti ama. E devi amarlo anche tu per stare con lui. Quindi.. Io sono qui per donarti l’ultima goccia di vita che ti manca, sono qui per sorreggerti ancora una volta, come ti ho promesso che avrei sempre fatto, ma non sono qui per restare, questo no. E devi capire che.. anche se prendo questa decisione non significa che io ti ami di meno. Io ti amo come prima, come e più di prima. E semmai un giorno lascerai Brandon, dopo averlo lasciato, per i motivi giusti, allora forse potremo riparlarne. Potremmo parlare di case, giardini, fiori, cani, bambini..”
Mentre avevo proseguito il mio discorso non avevo tanto badato ai suoi movimenti e solo ora, che giungevo alla fine, chiudevo le parole del mio cuore e tornavo alla realtà, mi accorsi che si era stesa sopra di me, tra le mie gambe, e poggiava la testa sul mio petto, e mi carezzava le mani tenendole sul suo ventre.
Ascoltava assorta, tranquilla, ciò che avevo da dire, come una vecchia fiaba.
Non so quanto avesse capito, quanto mi avesse preso seriamente, ma mi interruppe.
“E gatti, San? Potremo avere dei gatti?”
Rimasi sbalordita. Non sapevo se parlasse sul serio, se volesse abbandonarsi ad una fantasia prima di dirmi ancora addio, o se stesse seriamente valutando l’idea di crescere una famiglia con me.
Risposi con naturalezza, abbandonando la mia testa sulla sua, baciandole di tanto in tanto i capelli dolcemente.
Era il nostro momento quello, nessuno mi avrebbe impedito di vivere quell’amore così sincero e naturale, almeno per l’ultima volta.
“Certo…quanti gatti vorrai..”
“E potremo prendere anche un delfino?
Strabuzzai gli occhi leggermente, ma sapevo che lei non mi avrebbe visto.
“Un delfino, ovvio! Come ho fatto a non pensarci?!”
Rise, ignorando la mia sottile ironia, divertita della mia dimenticanza.
Infondo era sempre la solita dolce e ingenua Britt.
“Lo sai che i delfini sono…”
“… solo squali gay! Si Britt, lo so..” conclusi per lei roteando gli occhi al cielo, ricevendo un sorriso più che soddisfatto dalla donna tra le mie braccia, improvvisamente tornata la bambina che a volte era costretta a nascondere.
Seguì qualche attimo di silenzio e poi fu lei a parlare, più seria stavolta.
“Non so cosa succederà San, ma io ci voglio provare.. voglio dipingere questo quadretto con te…”
Le sue parole mi stupirono. Così repentine ed inaspettate.
Non credevo che sarebbe stato così semplice, che l’amore avrebbe trionfato.
Forse avrei avuto occasione di vivere con lei, per una volta; avremmo avuto una chance di vedere se il nostro futuro era fatto per condividerlo insieme.
E volevo davvero provare. Volevo vedere dove questa scelta ci avrebbe portato, se il nostro amore sarebbe durato e se lei era in grado di lasciare la sua vita per viverne una nuova con me.
Forse presa dall’amore e dalla speranza non pensai troppo alle conseguenze;
e per una volta fu un bene.
“Ne sei sicura?” chiesi, ancora leggermente titubante.
Lei annuì dolcemente, sentendo il mio mento ondeggiare mosso dal suo scatto.
Iniziai a pensare cosa andava fatto.
I pensieri si accavallavano rapidamente e irrefrenabili.
Brandon, casa, lavoro, famiglia, tempo, soldi, città…
Ma lei sembrò intuire i miei pensieri, sembrò percepire le mie paure, e questo non faceva che promettere bene per un nuovo inizio.
Strinse la sua presa sulle mie mani e catturò così la mia attenzione.
“Prima di iniziare.. che ne dici se dormiamo un po’, ti va?”
Sorrisi e tirai un sospiro di sollievo, per la sua tranquillità e la naturalezza con quale sembrava affrontare il problema.
Sapeva come trattarmi.
Acconsentì semplicemente stringendomi su di lei, tenendola stretta, poggiando la mia guancia sui suoi capelli e sentendo i nostri respiri farsi regolari su un divano stretto, in una stanza bianca, in una casa non nostra.
Poteva sembrare tutto sbagliato, ma era invece l’opposto. Non mi ero mai sentita così giusta in vita mia.
 
 
And I just want to be close to you
You make me feel so alive
You make me feel, you make me feel,

you make me feel like a natural woman.



Piccola nota:
Spero vi siano piaciuti. Attendo commenti :) 
_CodA_

Canzoni:
"Violet hill" dei Coldplay
"A natural woman" di Aretha Franklin

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Ti fidi di me? ***


 Quando aprì gli occhi ero sola sul divano stretto.
Guardandomi attorno la cercai con gli occhi, allarmata, credendo di aver sognato ogni cosa. Eppure ero lì, in quella casa fredda e apatica, alla ricerca della donna che amavo.
La sua voce non tardò ad arrivare alle mie orecchie attente, ma ancora un po’ ovattate.
“…devi capire quello che sto cercando di dirti…”
“…è più di un’ora Britt che tenti di spiegare ciò che cerchi di dirmi! Ne ho le palle piene!”
La voce scura e alterata di Brandon mi fece stizzire non appena sveglia, facendomi desiderare di farlo sparire.
Posizionai i piedi a terra senza fidarmi di loro e con cautela mi alzai reggendomi a mala pena.
Improvvisamente sentivo la stanchezza e lo stress di quegli ultimi giorni tutti sulle mie spalle, tutti sui miei piedi stanchi di correre e di scappare.
Oggi avevo fatto un grande passo. Oggi avevo sfidato il destino e avevo avuto un po’ più di fiducia in Brittany e nel suo amore per me. Era ora di darle prova del mio di amore, doveva poter contare su di me.
Mi avvicinai alla cucina, luogo dal quale provenivano le voci, e trovai Brittany appoggiata al lavandino, con le mani dietro la schiena, che fissava tristemente il pavimento, mentre Brandon la guardava con fare insistente ed irato, con una mano in aria che gesticolava e accompagnava le sue parole irrequiete.
“Non posso credere a cosa mi stai dicendo! Non puoi lasciarmi così, Brittany! Non dopo quello che abbiamo passato io e te, non dopo due anni insieme! Non per… QUELLA!” urlò l’ultima parola indicando la parete alla sua destra oltre la quale si supponeva ci fossi io.
Gli occhi di Brittany si alzarono feriti e si fissarono nei suoi.
“-Quella-, come la chiami tu, è l’amore della mia vita!”
“Oh ma andiamo!” la schernì lui, con una smorfia del viso che, anche se non potevo vederla, mi disgustò parecchio. “L’amore della tua vita?! Ma per favore! Non vi siete parlate o viste per due anni! Questo lo chiami amore?” continuò a rivolgersi a lei con un tono a limite dal gridare, avvicinandosi a lei quasi per farle paura con la sua stazza sempre più imponente.
A me fece paura.
“Io chiamo amore un sentimento che non si è affievolito nonostante siano passati due anni! Chiamo amore quel senso di sicurezza e fiducia che con te non ho mai provato!”
Non avevo mai sentito Brittany parlare sprezzante con tale sicurezza.
Sgranai gli occhi, ricordandomi di nascondermi dietro la colonna accanto alla porta della cucina, dalla quale stavo sbirciando la scena.
Lui oramai era davanti a lei della quale non potei più vedere il viso.
Vedevo solo le sue lunghe gambe filiformi e chiare e le sue braccia appoggiate al marmo dietro di lei.
“Ascoltami! A lei non gliene frega niente di te! Non vuole altro che una cosa…”
“Adesso basta!” entrai quasi urlando e spaventando entrambi, che non attendevano un mio intervento.
Lui si voltò repentinamente e mi guardò interrogativo.
“Non accetto che mi si tratti così, che si mettano in discussione i miei sentimenti per Brittany! Non ne hai alcun diritto! Tu non mi conosci!” dissi ferma e risoluta guardandolo con una freddezza negli occhi che mai credo di aver posseduto.
Si distaccò rapidamente da lei e sostenne il mio sguardo di ghiaccio con uno altrettanto pietrificante.
Brittany intanto alternava il suo sguardo su di me e su di lui.
Improvvisamente la sua risata proruppe nel nostro silenzio, tra noi, e mi spaventò. Scaraventò a terra le mie certezze, non sapendo nemmeno perché.
Quando si fu ripreso mi guardò ancora, stavolta serio e taciturno e poi diede fiato ai suoi cattivi pensieri.
“Come dici, non ti conosco, ma conosco Brittany e conosco le tue parole, quelle di ieri sera. Le ricordi vero?”
E improvvisamente l’ondeggiante sguardo di Brittany si fermò su di me, inquisitorio.
“San… di che sta parlando?”
Rapidamente la guardai e poi sfuggì alla sua domanda e ai suoi occhi che avrebbero letto le mie bugie.
Guardai i miei piedi piegarsi timidamente su se stessi per evitare l’imbarazzo, per evitare il disastro.
“Diglielo! Avanti diglielo cosa pensi di lei!”
Alzai la testa e lo gelai con lo sguardo.
Ma poi la riabbassai sconfitta, sapendo che oramai la fine era vicina ed era io stessa la causa della mia rovina: le mie parole, il mio stupido alcool.
“L’amore della tua vita pensa che tu sia irraggiungibile!” le gridò in faccia schernendomi “E’ fermamente convinta che noi tutti siamo ombre della tua altezzosa figura!” continuò facendo un inchino, ridendo.
Le lacrime iniziarono a formarsi nei suoi occhi azzurri, li sentì fissi su di me, increduli, delusi; ed io amareggiata attendevo che facesse qualcosa, speravo che Brandon la smettesse di gettare fango su di me una volta che ero già affogata nella melma; non ebbi il coraggio di fermarlo, le parole giuste sembravano essere sparite. Avevo solo la testa bassa, un inutile senso di colpa e la voglia di rimangiarmi tutto. Tutto quanto.
“Secondo la signorina qui presente noi comuni mortali non potremo mai vivere con te, ma per te: per servirti e riverirti, esaudire ogni tuo piccolo capriccio, perché sarai sempre egocentrica ed egoista col tuo lavoro, coi tuoi sentimenti…”
“Non è ciò che intendevo!” mugugnai colpevole senza alzare la testa. “Non…”
E le lacrime ebbero la meglio, mentre guardavo di sott’occhio Brittany che sembrava immobilizzata, con gli occhi lucidi e rossi fermi su di me.
Mentre piangevo, mentre Brandon rideva continuando a riempirmi di vergogna, Brittany ignorò ogni successiva parola e mi parlò, mi sussurrò parole di cui Brandon nemmeno si accorse.
“E’ questo ciò che pensi di me?”
Il suo tono tremante ed instabile mi terrorizzò, non l’avevo mai sentita così, sull’orlo di un precipizio, amaramente convinta che non ci fosse una via di ritorno.
“No!” esclamai decisa, incontrando i suoi occhi.
Ci fissammo a lungo, incapaci di dire altro, incapaci di credere di essere arrivate al punto.
Leggevo nei suoi occhi la delusione. Ero stata l’unica di cui potersi fidare, l’unica che le aveva promesso di non abbandonarla, l’unica che poco prima era stata pronta a costruire una famiglia con lei.. e sapevo che alla luce di quelle parole sembrava tutto costruito su una menzogna.
Brandon di scatto, guardandola, interruppe il suo monologo e le si avvicinò, convinto di abbracciarla e cullarla.
Ma Brittany, non appena sentì il suo tocco, si scosse dal mio sguardo e si strinse su se stessa, invogliandolo ad allontanarsi.
“Britt… so che adesso ti senti persa, ma io sono qui..”
“No.”
I suoi occhi scuri si spalancarono e le sue braccia restarono aperte e a mezz’aria sospese.
“Non credere che dicendomi questo tra noi ritorni tutto come prima. Tu non ci sei. Tu non ci sei stato per molto tempo e non ci potrai essere adesso. Non più. Avrei dovuto fare questa scelta tanto tempo fa.”
Una flebile speranza si accese dentro di me, lasciandomi alzare la testa su loro due di fronte a me, sull’orlo della rottura definitiva che avrebbe reso Brittany libera, libera di stare con me.
“E quello che hai fatto qui oggi, il riferire parole che non ti appartenevano solo per provocare una frattura.. non ti fa onore. Ti credevo superiore a certe cose.. Mi hai solo aperto gli occhi su che razza di persona sei! Sei insensibile, egoista, freddo, maniacale ed egocentrico! Devi ottenere tutto ciò che vuoi, tutto il meglio di ciò che vuoi.. e io non sarò il tuo trofeo!”
Sentire Brittany usare quella parola mi fece ripensare al mio discorso avuto con lui il giorno prima e sorrisi. In fondo qualcosa di sensato l’avevo pur detto.
Ma il mio sorriso passò per un altrettanto gesto infantile che non fece che farla infuriare ancora di più.
“E quanto a te!” urlò voltandosi completamente verso di me. “La frattura c’è stata. Hai ferito il mio cuore. Nel profondo. Non mi sono mai sentita così.. presa in giro!” concluse illuminandosi, avendo trovato finalmente la parola adatta. “Capisci che intendo?”
Mi apriva il suo cuore nonostante tutto, nonostante il litigio che stava avvenendo; corrugava la fronte tra le lacrime, guardandomi con sincerità dritto negli occhi.
Annuì lievemente trovando inopportuna qualsiasi risposta.
“Non credevo che tu potessi farmi così male..” ammise, guardando un punto a lato del mio viso.
Mi sentì un verme, sentendo quel –tu- tra le sue labbra come una staffilata. 
Sapevo che intendeva –tu, come tutti gli altri: come Artie, al liceo… come Brandon, adesso.-
Io abbassai la testa non dovendo più sostenere il suo sguardo. E lasciai la bocca, ferita anche essa, parlare.
“Tu me ne hai fatto molto di più..”
Il suo sguardo fu di nuovo su di me, colpito e ferito.
“E’ al gioco della vendetta che stiamo giocando?” mi chiese, profondamente arrabbiata.
“no..” sussurrai sorridendo nervosamente.
Stupidamente stetti in silenzio, a testa bassa, ignorando il suo sguardo, il suo respiro affannato, le lacrime, semplicemente sorridendo.
Sorridevo all’ironia della vita, a come i nostri desideri viaggiassero sempre un istante prima o dopo rispetto a ciò che aveva da offrire la realtà.
Se solo avessi voluto stare così tanto con Brittany quella giornata di due settimane fa..
Se solo avessi ceduto all’orgoglio e alla dignità..
Se solo avessi…
Pensare a questo ancora una volta mi stava facendo lasciare una possibilità alle spalle; la possibilità di spiegarmi, di scusarmi e andare avanti.
Ridevo beffardamente, ridevo di me, ma lei si offese e interpretò male la mia risata e il mio silenzio.
“Io me ne vado” annunciò sorpassandomi velocemente e dirigendosi in salotto.
“Brittany…” accennò Brandon seguendola e lasciandomi sola.
In quell’esatto momento mi resi conto di quello che accadeva attorno a me, strinsi gli occhi forte, e piansi.
Mi disperai silenziosamente, stringendo una mano sui miei occhi stanchi e dolenti, volendo nascondermi dietro i miei capelli neri e lisci.
Quando sentì la porta d’ingresso aprirsi rumorosamente i miei muscoli si mossero e mi fecero capitolare da lei, all’istante.
“Aspetta!” urlai afferrandole il polso prima che potesse richiudere la porta.
Si voltò a guardarmi, e gli occhi bagnati, il viso pallido, la matita nera, messa chissà quanti giorni prima, sciolta attorno agli occhi mi strinsero lo stomaco.
Ero colpevole di quel viso triste e malandato. Ancora una volta.
Dubitai per un istante che fosse una buona idea iniziare una famiglia con lei.
Non per lei, ma per me.
Forse ero io la causa di tutto.
Ma ancora una volta stavo sminuendo i nostri sentimenti, stavo riponendo poca fiducia in lei e nel suo amore, stavo sotterrando il mio amore dietro un senso di colpa. Facevo ancora una volta retromarcia essendo terrorizzata. Ma sapevo che senza lei non avrei resistito.
Una vita con Brittany valeva mille litigi e ancora uno.
“Non voglio che tu vada..” ammisi disperata, non sapendo come rimediare in così poco tempo.
Sorrise amaramente, e capì cosa doveva aver provato nel vedermi sorridere quando lei era in quello stato. Era straziante.
“E’ inutile che io rimanga.. l’hai detto tu: sarai solo la mia ombra!” mi rinfacciò parole mal dette, mal riferite, mal pensate.
Chiusi gli occhi per un attimo come se così quel discorso ubriaco potesse sparire.
Riaprendoli trovai sicurezza in quello che avevo da dire, reggendo ancora il suo polso, guardandola ancora negli occhi.
“Ho sbagliato. Ho sbagliato su tutto. Ma voglio ricominciare. So di appartenere a te”
Lei mi guardò languidamente, ma il dubbio che le avevo instillato non era così facilmente cancellabile.
“Non so più cosa fare. Se non posso fidarmi di te, allora..”
“Britt! Britt, apri gli occhi!” le urlai duramente, strattonandole il braccio per il polso, scuotendola da quello stato di indecisione e confusione. “Sono sempre io: San! Non sono cambiata! Saranno passati pure due anni.. sarò diventata un’insegnante, questo è vero.. ma sono sempre la stessa! La stessa vecchia Santana! Quella codarda vipera scontrosa incapace di parlare e fare la scelta giusta, innamorata pazza di te!” le urlai d’un fiato cercando di non farmi offuscare troppo la vista dalle lacrime che mi avevano accompagnata.
Ma né le parole né le lacrime sembrarono convincerla.
“Chi mi dice che non stai mentendo? Come posso fidarmi di nuovo di te?”
Alzai gli occhi al cielo, maledicendomi ancora una volta per essere come ero!
Le lacrime mi rigarono i lati del viso e non ebbi la forza nemmeno di nasconderle o di asciugarle via.
Stringevo ancora forte il suo polso e ne approfittai per avvicinarla a me.
E confidai nel contatto, nei nostri corpi, nel mio che parlando con il suo sarebbe corso ancora una volta in mio aiuto.
“Dimmi..” sussurrai lasciando urtare il mio fiato sul suo viso “.. qualcuno ti hai mai fatto sentire così..?” chiesi, sentendo la mia voce tremare mentre i nostri corpi iniziavano a sfiorarsi e sentivo improvvisamente la sua estrema vicinanza.
La guardai negli occhi sincera. I toni si erano decisamente abbassati.
Nessuno urlava più, nessuno piangeva.
C’eravamo solo io e lei di nuovo vicine, di nuovo fatte l’una per l’altra.
“Hai mai provato tutto questo.. con qualcuno.. con il solo battere dei vostri cuori?”
Conclusi portando la sua mano sul mio seno e spingendola lì dove avrebbe sentito il mio cuore.
Il suo respiro divenne pesante e trattenuto.
Chiuse gli occhi cercando di ritrovare la lucidità che le stavo facendo perdere.
“Io non..” accennò scuotendo la testa.
Mi avvicinai ancora lasciando strusciare le nostre guance, per arrivare al suo orecchio, tra quei profumatissimi capelli biondi.
“Lui potrà averti fatta innamorare, ma io ti ho rapito il cuore! E tu hai rapito il mio! Lo sappiamo entrambe..”
La sentì tremare, e io con lei. Quando riaffiorai dai suoi capelli, quando tornai a guardarla, i suoi occhi mi attendevano, ancora lucidi ma pieni di passione, di desiderio, di forza, di vita.
Mi guardò persa e poi mi baciò con foga, senza dover attendere una mia risposta.
Quando ebbe finito con le mie labbra si staccò lentamente e poco, lasciando i nostri nasi sfiorarsi, le nostre labbra respirare una sull’altra, gli occhi incredibilmente vicini.
I miei scurissimi nei suoi chiari ma profondi.
“Nessuno mai..” mi sussurrò, con un tono così basso che se non avessi saputo a cosa si riferisse, non avrei capito.
Accennai un sorriso, facendo così toccare le mie labbra con le sue.
Un brivido mi percosse e anche lei sorrise, tenendo ben salda la sua mano sul mio fianco, leggermente piegata sulla schiena.
“Ti amo.”
“Lo so”
“Mi ami anche tu?”
Lei annuì sorridendo e chiudendo timidamente gli occhi.
“Per questa volta potrebbe bastare..” biascicò in un sospiro.
Le sorrisi e inspirai il suo dolce profumo ritrovato, facendomi pervadere da lei. Ancora non credevo che fosse tutto finito; che eravamo di nuovo insieme, innamorate come non mai.
Ma gridavo vittoria troppo presto.
Brandon sostava a pochi passi da noi nella sua casa. Si schiarì la voce e spezzò la magia che si era creata, il mondo ultraterreno in cui ci eravamo rifugiate giusto per pochi secondi.
Respirai a fondo e la guardai intensamente, unendo le nostre fronti per infonderle sicurezza, e ricavarne un po’ anche io.
“Ti fidi di me, vero?”
Lei annuì silenziosa, chiudendo gli occhi, ancora un velo di tristezza la stava pervadendo.
Non era così semplice. Sarebbe servito tempo per tornare alla normalità.
“Allora corri!”
 
 
While I'm safe there in your arms
So all I ask is for you
To come away with me in the night
Come away with me




Piccola nota:
Siamo quasi alla fine... il prossimo sarà il penultimo capitolo... si tirano le somme!


ps. avete visto Santana nell'ultimo episodio? Praticamente sto riguardando solo il suo pezzo da ore! ;)

_CodA_

Canzone: "Come away with me" di Norah Jones

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Solo io e te, alla luce della Luna ***


 In my head your voice
 
“Ehi Britt, guarda la luna…”
Sussurrai al suo orecchio, sfiorando con le labbra i capelli biondi e il collo esposto, mentre la cingevo da dietro; io seduta sul muretto e lei tra le mie braccia, abbandonata su di me all’in piedi, ma rilassata, libera di guardare il cielo e le stelle e la luna, con me.
“Ricordi?” chiesi, retoricamente in un sorriso.
“Come potrei non ricordare?!” ammise, quasi tristemente.
I nostri respiri e i nostri pensieri sembrarono fermarsi istantaneamente ad unico ed identico ricordo.

-Siamo scappate! Non posso credere che l’abbiamo fatto davvero! Abbiamo solo tredici anni e così tanto da imparare, un mondo da esplorare, ma già so con chi voglio condividere tutto questo. Lei, solo lei.-
Penso, guardando quella meravigliosa ragazzina bionda dondolare davanti a me.

Ogni volta che la guardo non posso che pensare che sono quasi un anno più grande di lei e siamo alte uguale! Un anno, diamine! Non posso pensare cosa accadrà se mi supererà!
Ma faccio spallucce e non ci penso più, non mi importa più, quando mi guarda con quegli occhi strani: brillanti, lucenti.

Siamo amiche da sempre, il mio primo ricordo è suo. Circa 7 anni fa ci siamo incontrate in quella grande e desolante stanza, piena di bambini urlanti, maestre furiose e genitori fantasma.
Ed in quel frastuono, quello spaventoso luogo dove mamma e papà mi avevano abbandonato, vidi lei, seduta ad un tavolino, tranquilla, che colorava pacificamente;
 e sotto braccio un pupazzo a forma di papera, quasi più grande di lei.

Fu naturale avvicinarsi e, senza nemmeno chiedere, sedersi di fronte a lei, rubarle i colori e ricevere in cambio solo un semplice e disarmante sorriso.
Da quel momento siamo diventate inseparabili: amiche, migliori amiche ed ora…
Ora siamo qui, allo scadere delle scuole medie, attendendo l’infernale liceo, e siamo scappate di casa, la notte prima dell’ultimo di luglio, per scampare alle vacanze estive, che ci avrebbero divise per un mese intero, che avrebbero reso impossibile e devastante il ritorno a casa e l’immediato arrivo ad una nuova scuola.

Non so cosa spero di ottenere, non ho un soldo, non so dove andare, è infondo la mia prima fuga, ma ho Brittany accanto a me, del resto non mi può fregare molto.
Ma so che quella di restare unite così è quasi un’illusione.
Così mi godo questa improvvisa libertà rapita e la guardo, la ammiro sotto la luce della luna, nel bel mezzo della strada, mentre sostiamo su un muretto qualsiasi.
“Stai diventando sempre più bella..” ammetto, nel pieno della mia sincerità infantile, senza pensarci su, senza pensare a cosa si nasconde dietro quella frase, quale significato cela quel pensiero, all’apparenza così innocente e naturale.
Lei sorride e mi guarda di rimando, a lungo, e ancora sorride. Poi arrossisce e abbassa la testa, facendo cadere i capelli tutti sul viso.
E io sorrido.
Solo questo. Siamo io e lei, ancora, e sorridiamo.
Ed è straordinario. Perché io sorrido solo con lei, e lei arrossisce solo con me.
Vedo il mio cellulare illuminarsi e un messaggio compare sul mio schermo in bianco e nero.
“La signora Pillsbury vi ha viste gironzolare per la città. Stiamo venendo a prenderti. Stavolta l’hai combinata grossa, a casa faremo i conti. Dìì a Brittany che stanno arrivando anche i suoi genitori”
Richiudo il messaggio di mia madre alzando gli occhi al cielo e a lei non sfugge.
Rispondo al suo sguardo interrogativo, seppure per niente turbato.
“Ci hanno trovate, stanno arrivando..”
Lo dico con un sorriso, avendo saputo sin dall’inizio che tutto questo non sarebbe servito, che la fuga era un fallimento sin dal principio, che non avevamo speranze; ma per stare con lei, anche solo un’ora in più, stare in punizione per i prossimi 3 giorni ne valeva la pena.
Quando la guardo però noto le lacrime sulle sue guance.
Mi avvicino quindi per confortarla.
“Britt, non piangere! Ci rivedremo tra un mese! Sono solo una trentina di giorni.. poco, se conti quanto tempo poi staremo insieme una volta tornate!”
Tira su col naso, ancora indecisa se essere convinta o meno.
La guardo speranzosa, cercando gli occhi sotto i piangenti capelli dorati.
“Ma tu hai detto che una volta al liceo.. le cose cambieranno..”
“Non necessariamente! Non tutto! Io e te saremo amiche per sempre, Britt. Questo non cambierà mai ,non potrà mai cambiare!”

“Lo prometti?”
“Promessa di mignolo” esclamo, porgendole il mignolo e lei, stringendolo, sa che è la cosa più sacra che avessi potuto dire, la promessa che non avrei mai potuto infrangere.
Con la coda dell’occhio intravedo in fondo alla strada i fari di un paio di macchine avvicinarsi, farsi sempre più accecanti, e capisco che rimane poco tempo prima di doverci salutare.

“Sai Britt.. probabilmente mi verrà sequestrato il cellulare per un paio di giorni, per cui non potremo sentirci..” leggo il panico nei suoi occhi e mi affretto ad aggiungere “.. ma sai.. c’è una cosa che non cambia mai.. una cosa che somiglia a noi.. noi che non cambieremo mai.. la luna! Guardala!” dico, alzando lo sguardo per incoraggiarla a seguirmi.
Parlo, col naso all’insù e lei che fa lo stesso, ascoltando attenta.
“La luna è bellissima stasera… e lo sarà sempre. Ci sarà, ovunque tu sarai. E così anche io! Ogni volta che pensi a me, ogni sera che vorresti abbracciarmi e stringerti a me, basterà guardare la luna, e saprai che io sono con te. Saprai che quella luna siamo noi, eterne ed immutabili.”
E’ quello il momento in cui capisco di essermi innamorata di lei, della mia Brittany, della dolce bambina che mi aveva strappato un sorriso, quella prima giornata all’asilo, e me ne strappava altri mille durante ogni giornata.
Capisco che quelle favole che raccontavano non erano vere. Perché a me non serviva un principe. Tutto ciò che volevo era la mia principessa. Volevo Brittany, e mi sarebbe bastato per essere felice.

E lei, che era sempre stata la più intelligente e coraggiosa tra le due, non ebbe timore di dar voce ai suoi sentimenti.
“Ti amo..” sussurra, con il naso ancora all’insù, guardando ancora la luna, con innocenza e sincerità.
La costringo ad abbassare il volto verso di me, standole davanti insistentemente, e porto le mie labbra a toccare le sue.
Il mio primo bacio. Il nostro.
Sfioro leggermente la mia bocca contro la sua, ne bacio il labbro superiore, e poi torno al mio posto, composta, aprendo gli occhi, mentre lei fa lo stesso.
In quell’esatto momento sento delle portiere aprirsi e sbattere rumorosamente. I fari disturbano il buio della notte, i miei occhi e noi, ancora desiderose di scoprire quale affetto ci avrebbe ancora unito, dopo tanto tempo. Non saprò mai se avessero visto il nostro bacio, se avessero capito...
Una mano strattona il mio braccio e vedo al suo accadere lo stesso, mentre ci trascinano in direzione opposte, blaterando rimproveri e minacce, del tutto prive di significato, soprattutto in questo momento.
Io la guardo e basta. Fisso i suoi occhi andando via, sentendo il bisogno di dirle –ti amo- e già non avere il coraggio di farlo.
Lei mi fissa a sua volta e sorride, comprendendo la mia difficoltà, il loro particolare tempismo, e non se la prende.
Non mi scuote la portiera spiaccicatami in faccia, nemmeno il rombo del motore dell’auto accesa.
Accostata al finestrino attendo di superare l’ altra auto per incrociare il suo sguardo un’ultima volta.
Lei ricambia. E io indico la luna, come per ricordarle le mie parole, per ricordarle la mia promessa, e rispondere a quella frase così maledetta.
La vedo voltarsi curiosa e trovare la luna nel cielo, piena e brillante, che pulsava d’un amore appena nato, eppure già potente.
Si volta ancora verso di me prima che potessi sparire, e sorridendo posa una mano sul vetro come per potermi toccare, per potermi dire –ciao-, ancora una volta.
E io faccio lo stesso, prima che la macchina acceleri.
 

Interruppe i nostri pensieri, il nostro breve ritorno al passato, con voce triste e allarmata.
“Cosa facciamo qui, San?”
La tenevo ancora tra le mie braccia.
Avevo il mio viso appoggiato alla sua testa, qualche volta le donavo un piccolo bacio e accarezzavo dolcemente le nostre mani che lei stringeva sul suo petto.
“Aspettiamo che la luna tramonti..”
Curvò la testa per potermi guardare, i suoi occhi cercarono i miei, il suo naso all’insù puntava il cielo.
E io mi calai su di lei, non resistendo alle sue labbra.
Le baciai dolcemente, un tocco appena accennato, come quel primo di tanti anni prima, e poi la lasciai andare.
Ma lei era ancora in cerca di risposte.
“Aspettiamo che faccia giorno! Se superiamo la notte insieme, nulla potrà più dividerci..”
Si riposizionò tranquillamente tra le mie braccia, fissando ora l’orizzonte, mentre la luna calava.
“Se è così.. attenderò anche fino alla prossima luna”
Sorrisi alla sua risposta e non potei non baciare i suoi capelli perfetti, che carezzavo con la guancia e che ogni tanto mi facevano il solletico.
Improvvisamente riconobbi il suo tremore. Faceva freddo in quella notte e io così non riuscivo a tenerla abbastanza calda.
Era cresciuta la mia piccola Britt, mi aveva ampiamente superata in altezza, e anche stando su quel muretto, non potevo avvolgerla tutta.
“Siamo fuori da ore oramai. Che ne dici di tornare a casa?”
La sentì titubare.
“La tua?”
“La nostra”
Vistosamente, sorrise.
 


Piccola nota:
un capitolo necessario per portare un pò di pace ai vostri cuori che hanno sofferto con me. Al prossimo ed ultimo capitolo!
_CodA_


Canzone:  "In my head" di Anna Nalick

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 - E ora...?! ***


Concludiamo, vi va?

 

Aprì la porta di casa in silenzio, un silenzio strano ed improvviso, angusto, mentre le lasciavo lo spazio per poter entrare.
Era spiazzante ritrovarla qui, tra quelle quattro mura, dopo quello che avevamo passato. Sembravano passati anni, quando in realtà era stata solo qualche settimana.
Ma in quei pochi giorni erano successe così tante cose e ora quella casa racchiudeva così tanti ricordi, la maggior parte spiacevoli, che mi intristiva; mi scombussolava vedere lei ancora inesperta, indecisa nei passi, come se quella casa non le appartenesse, perché teoricamente era ancora così.
La vidi accomodarsi timidamente sul divano, seduta sulle sue stesse gambe lunghe e sottili, e fissare il vuoto, pensierosa.
Avevamo lasciato così tante cose in sospeso, situazioni e avvenimenti con cui dovevamo ancora fare i conti, credendo di poterli ignorare e ricominciare come se nulla fosse accaduto.
Ma improvvisamente le questioni irrisolte mi travolsero e mi infastidirono.
Non potevo più sopportarle, erano risalite a galla e una volta per tutte andavano cancellate o quanto meno chiarite.
Mi avvicinai a lei, poggiando le chiavi sul mobile accanto alla porta e poi proseguendo verso il divano.
In silenzio, notandomi dopo poco accanto a sé, lei si voltò per guardarmi e donarmi un sorriso, così bello quasi da farmi dimenticare i miei buoni propositi.
Seguì con gli occhi la curva delle sue labbra, così perfette, così vicine...
Scuotendo il capo cacciai quei pensieri per concentrarmi su qualcosa di più importante.
“Credi che potremmo parlare di come siamo arrivate fin qui?”
Mi guardò interrogativa.
“A piedi.. mi sembra ovvio..”
Non potei trattenere una risata lieve ma piena.
“Voglio dire… dopo tutto quello che è successo.. ritrovarci ancora qui, in questa casa, insieme.. non ti sembra strano? Non ti sembra che ci sia qualcosa in sospeso?”
Abbassò lo sguardo, triste.
Allora non ero la sola ad avere quei dubbi, quelle incertezze, che sembravano corrodere anche il più felice dei momenti!
Si torturò abbondantemente le dita, sfregandole e pizzicandole, per mascherare imbarazzo e disappunto.
“Perché siamo scappate, San?” chiese tutt’a un tratto.
La guardai sconvolta. Mi convinsi che volesse incolparmi della fuga, come se non l’avesse voluto anche lei. Poteva essere così? Potevo averla inconsciamente costretta a seguirmi, senza altra via di scelta?
Boccheggiai per trovare le parole, incredula e ferita.
“D-dovevamo… Brandon.. non ci avrebbe mai lasciate andare.. insomma… credevo lo volessi anche tu..” completai con voce spezzata e le lacrime che si trattenevano, per chissà quale miracolo, nell’angolo interno degli occhi straziati.
“No.. Siamo sempre fuggite via, abbiamo sempre scelto la via più facile… perché siamo scappate l’una dall’altra anni fa, San?”
Leggermente fui sollevata dal suo chiarimento, ma lo sconforto mi pervase di nuovo, quando sapevo che non avrei saputo dare risposta alla sua semplice eppure complicata domanda.
“Io… io...” abbassai lo sguardo sconfitta “Non lo so”.
Il suo sguardo mi suggerì che non fu soddisfatta della mia risposta.
“Si che lo sai! Devi saperlo! Altrimenti avremo sprecato due anni della nostra vita senza motivo! Devi dirmelo, San! Devi dirmi perché siamo fuggite, perché ti sei allontanata da me! Perché?”
Aveva iniziato a piangere e urlare e dimenarsi sul divano, cercando di aggrapparsi alle mie spalle, scossa dai tremiti e dai singhiozzi.
I miei occhi sbarrati la guardavano consumarsi di malinconia, rabbia, odio, solitudine che anche io avevo provato, che ci eravamo tacitamente inflitte a vicenda per tutto questo tempo.
E non sapevo che dirle. Non c’era motivo, era questo esattamente il nostro problema.
Avevamo lasciato andare, avevamo mollato e non avevamo creduto nel nostro amore, forse io più di lei.
Non ci avevo reputate abbastanza forti, abbastanza innamorate: non eravamo abbastanza.
Ma la mia scelta, e anche la sua, l’avevo ripagata con la sofferenza di ogni giorno, per quei due anni in sua assenza.
Afferrai le sue mani che erano sulle mie braccia, la guardai forte negli occhi.
E pronunciai con convinzione le mie parole, anche se le lacrime mi tradirono.
“Io.. non so perché ci siamo allontanate, cosa ci ha spinto a separarci… posso solo immaginare che sia stata la paura di sprecare il nostro tempo, di impedirci di vivere i sogni l’una dell’altra solo per stare insieme… ma ora capisco che è stato solo un errore, un grosso errore che pagherò probabilmente per il resto dei miei giorni..”
Mi guardava piangendo, trovando amare e dure le mie parole, quasi rassegnate.
Ma io continuai.
“.. Ogni giorno ripenserò a quei due anni, due anni persi, andati, che potevo trascorrere con te, che avrei condiviso con te. Mi sono persa la tua crescita, la tua determinazione, il tuo lavoro.. sei diventata una donna senza di me e per questo non mi perdonerò mai..”
Tirai su col naso e respirai prima di trovare ancora la forza per continuare.
“Abbiamo… abbiamo condiviso tutto, io e te. Sin da bambine. Ti ho vista imparare, giocare, sporcarti nel terreno solo per far imbestialire tuo padre; ho assistito alle tue cadute e alle tue vittorie, alla nascita del tuo talento di ballerina… sono stata il tuo primo bacio, la tua prima volta…”
Abbassai lo sguardo, ancora leggermente imbarazzata quando si parlava di questo. Lo ero sempre stata, mi ero sempre vergognata di quella notte, quella prima, che avevamo condiviso, importante eppure spaventosamente patetica. A questo sorrise, sapevo che sorrideva dalla sua stretta marcata, dalla sua abitudinaria voglia di ridere affettuosamente di me quando mi vedeva in difficoltà così.
Con coraggio rialzai lo sguardo verso di lei e continuai.
“.. ho assistito ai tuoi pianti e ho curato le tue ferite.. ho lottato per te.. ti ho difesa.. e tu ti sei presa cura di me, credendo in me, più di chiunque altro. Anche quando ti vedevo con qualcun altro sapevo di appartenerti, sapevo che se avessi avuto il coraggio di dirtelo e di farmi avanti saresti stata mia, senza riserve. Perché ci amavamo, ci siamo sempre amate.”
Ora fu lei ad abbassare lo sguardo, nuovamente triste, come se tutto questo non fosse più possibile.
Ma io sapevo che eravamo qui per questo, per ricominciare, per riprendere da dove avevamo lasciato, e ritrovarci fino alla fine dei nostri giorni.
“Per cui ti chiedo… ti chiedo di dimenticare questi due anni, di lasciar perdere il motivo della nostra lontananza, di ignorare la mia maledetta codardia.. e di amarmi, come hai sempre fatto.”
Alzò il viso e mi sorrise; e fui rincuorata, comprendendo la sua risposta taciuta.
“Ci sono ancora tante cose da chiarire, San”
“Lo so…”
Ignorò la mia flebile interruzione.
“Con Brandon devo chiudere veramente, non posso andar via così e credere di aver sistemato ogni cosa. Non potrei stare con te una vita, sapendo di aver lasciato in sospeso il cuore di un altro..”
Sapevo bene cosa significava lasciare il cuore in trepidante attesa, in un limbo di incertezza e speranza… Per cui non trovai da obiettare.
“E non voglio dimenticare. Voglio parlarti di questi due anni. Voglio dirti tutto, come se fossi stata lì con me. Ti racconterò delle mie paure, di quante volte ti ho sognata cercando conforto. Di quante volte ho abbracciato il cuscino fingendo fosse il tuo corpo a toccarmi.. E ti racconterò del mio lavoro, della mia crescita, della mia caduta finale.. e di quanto, senza di te, non posso andare da nessuna parte.”
Annuì piangendo, con un sorriso felice sulle labbra, ora che eravamo veramente noi stesse, con due anni da recuperare e una vita da vivere, felice ed insieme.


Vorrei, non so, che lei, o no…
Le mani, le sue
Pensiero stupendo…



Guardandola, lasciando che il mio sorriso coinvolgesse gli occhi ancora intrisi di lacrime, strinsi ancora le sue mani nelle mie e alzandomi la invogliai a seguirmi, a camminare silenziosamente fino alla mia camera, alla nostra.
La feci distendere sul letto, lei che si lasciava condurre da me, senza mai staccare il suo sguardo dal mio.
La guardai mentre separai le nostre mani e mi sfilai la maglia.
La guardai mentre sfilai i suoi pantaloni.
Si accinse a levare la sua maglia e dovette separare i nostri sguardi, che si cercarono immediatamente un attimo dopo.
Salì sul letto avvolgendola con le mie gambe, salendo su di lei per sentire i nostri corpi vicini.
E lei ne approfittò per sbottonare i miei jeans.
Li lasciò scivolare sulle mie gambe con i piedi e mi guardava, mentre le sue mani vagavano sul mio addome.
 
Si potrebbe trattare di bisogno d’amore… meglio non dire.

Sentivo la nostra pelle, calda, iniziare a toccarsi e avvertivo i nostri respiri affaticarsi man mano che proseguivamo, nel silenzio risuonavano nelle mie orecchie.
E la guardavo.
La guardavo e lei accennava un sorriso per assicurarmi che fosse tutto apposto, che potevo toccarla.
Ma le mie mani erano ancora ferme ai lati del suo viso, che mi tenevano stabile a cavalcioni su di lei, mentre i capelli neri ricadevano sulle sue spalle, la solleticavano, e si mischiavano con i suoi, biondo chiaro.
La guardavo seria, lasciandola interdetta, anche titubante non comprendendo le mie intenzioni a questo punto.
Sembravo immobilizzata, indecisa, quasi pentita.
Invece il mio sguardo era fisso nel suo perché innamorato, stavo facendo l’amore con i suoi occhi, con il suo corpo, anche solo guardandola.
La ammiravo nella notte quasi giunta alla fine, sul mio letto, sotto di me;
mentre respirava, il suo petto si sollevava lentamente e il suo respiro toccava il mio.
Improvvisamente, cosciente di poterla spaventare se avessi continuato a fissarla senza fare o dire niente, mi calai su di lei per baciarla.
Chiuse istantaneamente gli occhi e toccai le sue labbra con le mie, senza approfondire il bacio, gustando anche il più lieve tocco, riscoprendo i brividi che mi donava quella bocca.
Toccai la sua pelle con la mia e mi sentì fremere, non solo di voglia e di desiderio, soprattutto di paura.
Ero spaventata al solo pensiero di toccarla, terrorizzata, quasi come quella prima volta.
Solo che stavolta non avevo paura di farla male o di rendermi ridicola, ma semplicemente temevo svanisse, temevo scappasse, temevo si tramutasse in un sogno.
Così la baciai con tutta la delicatezza possibile, con il labbro tremante, gli occhi strizzati e le mani che mentre viaggiavano si fermavano per accarezzare, per rendere reale quel lembo di pelle appena sfiorato.
E mentre tremavo io, rabbrividiva lei, di piacere, di consapevolezza che questa volta sarebbe stata la nostra nuova prima volta, la prima di una vita.
 
Pensiero stupendo, nasce un poco strisciando…
 
Così mentre guidò la mia mano giù sul suo addome e ancora più giù, tra le sue gambe, impaziente oramai per le mie involontarie torture, spalancò gli occhi, mi guardò intensamente e io la sentì, la sentì tremare più forte; a lungo le mancò il fiato, poi riprese veloce, e il sudore le imperlò il viso finché non poggiò la sua fronte alla mia, piegandosi verso di me, ansimando sulla mia bocca.
Mi accarezzò la guancia, il viso, sfiorò con il pollice le mie labbra umide e grandi.
 
E lei adesso sa che vorrei
Le mani le sue
E poi un' altra volta noi due

 
Non le diedi occasione di baciarmi. Spinsi più forte e lei boccheggiò, inerme, estasiata.
Fu un gemito, un lamento, quasi un pianto, breve ma intenso, in cui si rilasciò.
Bellissima.
E io ricaddi su di lei, la abbracciai, nascosi il viso nel suo collo, nei suoi capelli, nel suo profumo…
E lei mi carezzò la schiena lentamente, ancora esausta, sorridendo.
Baciò la mia spalla, mentre ansimavamo entrambe.
Volevo piangere, volevo urlare, volevo divorarla di baci, per ringraziarla di essere rimasta qui, tra le mie braccia, in questo letto, a fare l’amore con me, ancora una volta, di nuovo ma in modo diverso.
E allora piansi, nell’incavo del suo collo, scossa dai tremiti, rilasciata completamente su di lei, mentre mi accarezzava.
Lei però capì; capì che fu un pianto di gioia, un pianto per scacciare via i cattivi pensieri, l’ansia e la paura che mi avevano attanagliato per mesi, la solitudine che una volta per tutte sconfiggevo, l’amore che dopo anni avevo ritrovato.
“Ti amo” sussurrò lei, nel mio orecchio coperto dai capelli.
Ma io sentì le sue parole e mi si strinse il cuore di gioia, mentre la mia mano cercava la sua, la trovava, la stringeva, sentendo le dita occupare finalmente il proprio posto.
“Un giorno accetterai di diventare mia moglie?” le chiesi così d’un tratto, senza più paura di nulla, nuda sul suo corpo.
La sua risata risuonò nella stanza, nella luce che ora sorgeva nuova dalla finestra, a poco a poco, lentamente.
Era naturale, felice, spensierata.
Dopotutto insieme avremmo affrontato ogni cosa.
“Anche subito, se è questo che ti preoccupa…” alla fine rispose.
E io sorrisi sulla sua spalla, baciandole il collo teneramente, stringendo ancora le sue dita intrecciate alle mie.
“Dormiamo, ti va?” suggerì.
“Così?” chiese lei, solo per avere una conferma, trovandolo giusto.
“Si… buonanotte, Britt”
“Buonanotte, San..”
Mi accomodai meglio sul suo petto, per poter sentire il battito del suo cuore tutta la notte, per potermi cullare anche solo con il suo respiro.
Lei, solo lei, mi avrebbe fatta sentire così per il resto della vita: felice.
“Ce l’abbiamo fatta, eh?” non riuscì a trattenermi, anche se avevo già gli occhi chiusi, l’orecchio in ascolto del suo cuore, e gli arti rilassati.
“Di nuovo insieme..” sussurrò.
E non servì altro per farmi addormentare con un sorriso e il cuore che batteva forte.
 
Pensiero stupendo.
 
 
 
Fine



Ultima piccola nota:
E approfitto per ringraziare tutti, tutti quelli che hanno commentato, recenstnsito, preferito, ricordato, seguito, questa storia, chi assiduamente, chi anche solo una volta; chi ha passato la notte a leggerla tutta d'un fiato ;) anche chi dopo il primo capitolo ha detto basta!
Grazie di cuore a tutti <3
_CodA_


Canzone: "Pensiero stupendo" di Patty Pravo (ho ideato  tutta la storia  partendo dal finale, volendo usare questa splendida canzone.)

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