Since I don't have you

di EdenGuns
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


« Ehi Bailey, perché non vai a farti un giro?»

Giornata piuttosto assolata a Lafayette.

« Tieni la tua ragazza al suo posto, Jeff.»

Isbell arrossì improvvisamente.

« Non è la mia ragazza» bofonchiò, tornando a sfasciarsi il fegato con lo Zio Jack.

Eppure gli sarebbe piaciuto, eccome.

Dalla prima volta che l'aveva vista, a casa di Billy. Era stato un festino per pochi, per gente che aveva la roba. E lei era una di quelli.

Ricordava ancora com'era vestita: minigonna, calze a rete bucate e stivaletti pieni di borchie.

Lo aveva colpito molto.

« Dammene un po'.»

Passò la bottiglia a Cherise.

« Allora dato che non è la tua ragazza stasera può venire a fare compagnia a me.»

Bailey accompagnò le sue parole a una vigorosa pacca sul fondoschiena della ragazza.

« Idiota.»

 

Ormai era abituata alle sue attenzioni. Avrebbe preferito se Jeff si fosse lasciato andare un po' di più con lei, ma il suo carattere era chiuso e riservato, così diverso da quello esuberante dell'amico.

« Senti Jeff, mi potresti ospitare stanotte? Mia madre deve vedere quel coso orrendo e ne avranno per tutta la sera. Mi faresti un grade favore. Dormo per terra, non ti preoccupare per me. Mi so adattare.»

« Sì, va bene. Tanto i miei saranno fuori città.»

« Grazie mille.»

Gli sorrise e lo vide arrossire ulteriormente.

« Ah Bailey, ha detto Joe che se non gli dai i soldi ti fa fuori.»

Gli fece un occhiolino e se ne andò con passo sicuro, con gli sguardi dei due ragazzi puntati sulla schiena.

Arrivata a casa, ignorò la madre che stava preparando la cena in cucina e salì le scale velocemente, diretta nella sua camera.

Appena varcata la soglia si spogliò e cambiò i vestiti. Canotta dei Led Zeppelin e pantaloni di pelle.

Avrebbe fatto capitolare Jeff, volente o nolente.

Aumentò lo scollo tirando la stoffa con le mani e si cotonò i capelli. Passò il rossetto rosso e si mise mascara e matita.

Quando pensò di essere abbastanza pronta, mise sul giradischi il disco dei Sex Pistols e iniziò a ballare.

Senza pensieri.

Niente mamma puttana, niente clienti della mamma puttana che abusavano di lei, niente droga, niente alcol. Solo musica che le sfondava il cervello.

« Cherise! CHERISE!»

Si fermò bruscamente.

Tolse il disco e lo ripose metodicamente nella cusodia di sottile cartone, e poi sulla pila con gli altri.

Andò ad aprire la porta.

« Che vuoi?»

Una donna sulla quarantina stava in piedi davanti al lei. Portava un vestito rosso molto scollato e i capelli biondo tinto lunghi e mossi.

« Tra poco arriva Ted.»

E senza dire un'altra parola, sua madre si dileguò altrove.

Allora lei prese la sua sacca, con lo spazzolino e dei dischi di buona musica, e scese.

Nonostante fosse solo l'inizio della primavera, Cherise uscì solo con la canottiera.

Il freddo era un buon anestetizzante per il suo cervello sovraccarico.

Arrivò a casa di Isbell in netto anticipo, così dovette aspettare che i suoi uscissero.

« Già qui?»

Si girò spaventata e vide Jeff guardarla con un mezzo sorriso.

« La merda è arrivata un po' prima e allora mia madre mi ha cacciata.»

« Non hai freddo?»

« No.»

Rimasero un attimo a studiarsi.

« Allora vieni dentro, o no?»

Annuì, raccogliendo la sacca da terra.

Casa sua era piccola, ordinata e pulita. Profumava vagamente di lavanda ed era la classica dimora del ceto medio.

« Hai fame?»

Cherise non rispose.

« Ho dell'arrosto di ieri sera e gli spaghetti di mezzogiorno.»

Dato che non sentiva risposta, Isbell si voltò.

Lei lo stava guardando dal bancone, dove si era seduta, con uno sguardo indecifrabile.

« Vanno benissimo gli spaghetti.»

Gliene servì una porzione e infilzò il cibo con una forchetta.

Cherise scese dal bancone e prese il piatto.

« Te non mangi?» gli chiese, con la bocca piena.

« Già mangiato.»

Si sedettero attorno al tavolo, l'uno di fronte all'altra.

« Sei buffa.»

Lo guardò presa in contropiede.

Lei voleva sedurlo e tutto quello che aveva ottenuto era quello di sembrargli buffa?

Ma lui scoppiò a ridere, e lei ne rimase incantata.

Rideva così spontaneamente, così dolcemente.

Non sorrideva spesso, ma quando lo faceva era uno spettacolo.

« Ma mi stai prendendo per il culo?»

Lui le si avvicinò e, con il polpastrallo del pollice, le pulì dalle labbra la sbavatura di pomodoro che si era fatta mangiando gli spaghetti con troppa foga.

« Non ti prenderei mai per il culo.»

Allontanò il piatto e si alzò, per guardare in faccia Jeff.

« Sei così misterioso.»

Lui la guardò un attimo senza dire una parola. Poi si girò, scuotendo la testa.

« Dormirai nel mio letto, io starò sul divano.»

« Non voglio sfrattarti, ti ho detto che mi so adattare. Dormo anche sul pavimento.»

« Io sono un gentiluomo.»

« Mica come Bailey.»

« A proposito...»

« No, ti prego!»

« Ho cercato di dissuaderlo, ma ha detto che sarebbe venuto lo stesso, quindi non so che dirti.»

« Ma non può farsi una vita?»

« Penso sia interessato a te.»

« Ma io non a lui.»

Prese un bicchiere dalla credenza e cercò nel frigo una birra.

« E a chi?»

Ne versò dalla bottiglia fino arrivare a filo col borbo « A un suo amico.»

« Lo conosco?»

Lei rise. « Piuttosto bene, anche.»

« E poi sarei io quello misterioso!»

« Già.»

Bevve a lungo, quasi tutto d'un fiato.

« E tu a chi sei interassato?»

« A una mia amica.»

« E la conosco?»

« Piuttosto bene, anche.»

Lo guardò con un mezzo sorriso.

Era lei che stava capitolando, senza ritegno.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Stavano parlando del più e del meno, seduti sul divano nel salottino, quando alla porta iniziarono a bussare selvaggiamente.

« Ma che cazz...»

Prima che Jeff potesse aprire Billy entrò con in mano una cassa di birra, seguito da una ragazza piuttosto svestita.

« Tieni» disse Bailey, consegnando all'amico sia le birre che la tipa.

Isbell balbettò qualcosa, mentre l'altro si fiondava sul divano accanto a Cherise.

« Ciao, dolcezza. Sono venuto a farti compagnia.»

Tentò di darle un bacio ma lei lo schivò prontamente.

« Fermo, carino.»

Cercò lo sguardo di Jeff, ma lui era troppo occupato a cercare di sottrarsi dalle attenzioni dell'altra ragazza, che sembrava essere addestrata per molestarlo.

Cherise sentì crescere in lei un moto di gelosia, di cui rimase stupita.

« Bill mi stai sul cazzo» esclamò lui, cercando di arrivare al divano senza essere stuprato nel tragitto.

« Cos'è, non ti piace Roxy? Mi avevi detto che non ti scopavi Cherry e allora ho portato un'amica.»

« Cherry a chi?»

« Oh che gusti difficili, ragazzi! Ho buttato giù qualche frase per una canzone con quel nomignolo, sai? Dovresti esserne onorata.»

« Sempre modesto, eh Bailey? Piuttosto, te li sei procurati i soldi?»

Il ragazzo sbiancò subito, iniziando a sudare freddo.

Era letteralmente al verde e doveva procurarsi un po' di grana se non voleva che un grossissimo spacciatore lo picchiasse a sangue.

« Ci sto lavorando, ok? Dammi ancora tre giorni e ti ripago fino all'ultimo centesimo.»

« Tre giorni e poi faccio venire Joe.»

Sorrise vittoriosa guardando Billy abbassare la cresta.

« Senti Jeff, ma...»

Cherise si voltò e vide la ragazza avvinghiata al suo amico come una sanguisuga.

Gli stava prosciugando la bocca con le sue labbra a ventosa, mentre lui tentava si scollarsela di dosso.

Non ragionò neppure e qualcosa la spinse ad alzarsi, prendere la tizia per i capelli e trascinarla fino alla porta.

« E' ora che tu te ne vada» sibilò.

« Ma che cazzo vuoi?» rispose quella con tono insolente.

Fece per tirarle uno schiaffo ma la sua mano fu fermata a mezz'aria da un'altra, più grande e calda.

« Ora se ne vanno tutti, non è vero?»

Billy, ancora scosso dal pensiero di prima, si alzò come un'automa dal divano, prese per il braccio la ragazza addestrata allo stupro e sparì oltre la soglia di casa.

Cherise si accorse che Jeff non le aveva ancora lasciato la mano.

Lui tirò con uno scossone, facendola voltare e arrivare a pochissimo dal suo viso.

« A cosa devo questo tuo comportamento?» le chiese.

Cherise sentiva il respiro caldo di Jeff inebriarle la pelle.

Non avrebbe resistito ancora per molto.

« Allora?»

Lei tentò di allontanarsi, ma lui non glielo permise.

« Non mi andava quella tizia» si giustificò, col fiato corto.

« Non stava parlando con te.»

« Tecnicamente neanche con te.»

Le sorrise, divertito dal tono geloso della sua voce.

« Facciamo una pazzia?»

« Eh?»

La presa sui suoi fianchi diventava sempre più ferrea e il cuore della ragazza sembrava impazzito.

« Stai arrivando al punto di non ritorno» sussurrò lui, sfiorando con le sue labbra quelle di Cherise.

« Jeff...»

Provò ancora ad allontanarsi, senza troppo sforzo, ma lui la lasciò andare.

Cherise sentiva il corpo scosso da forti brividi di desiderio, che non sarebbe riuscita a calmare facilmente.

Le sorrise di nuovo, e lei ancora si sciolse. Poi Isbell le prese la mano in modo amichevole, come se non fosse successo nulla pochi secondi prima, e la portò nella sua camera da letto.

Con un gesto ampio indicò la stanza. « Tutta tua. Buonanotte, Cherise.»

E se ne andò chiudendo la porta.

 

Sola, nella stanza di un ragazzo che conosceva da pochissimo ma che già l'aveva stregata, si ritrovava a fissare il soffitto dal grande letto in cui era stesa.

I cuscini e le lenzuola profumavano di Jeff e lei era ancora stremata dall'effimero contatto di qualche tempo prima.

Avrebbe voluto andare da lui e saltargli addosso, ma non le sembrava il caso. Se avesse voluto l'avrebbe raggiunta lui, era così che funzionava.

Ma rimase sola per tutto il tempo, finché, ipnotizzata dal pensiero di Jeff e dalle crepe del soffitto, non si era addormentata.

 

Jeff non riusciva a prendere sonno. Continuava a rigirarsi sullo scomodo divano, che gli avrebbe procurato un bel mal di schiena l'indomani.

Sigaretta.

Si alzò, trattenendo un gemito per le sue ossa indolenzite e iniziò a cercare il pacchetto.

Ma dove diamine l'aveva cacciato? Poi la sua mente fu pervasa da una nitida immagine: sul suo comodino, accanto al libro che stava leggendo in quel momento.

Ma c'era Cherise lì dentro. Dopo quello che aveva fatto qualche ora prima, non voleva affrontarla.

Si era lasciato andare, ma sapeva che era solo un'amica e che comunque lui stesso non avrebbe potuto donarle una storia seria. Sopratutto per i progetti che aveva per il futuro.

Non ne aveva ancora parlato neanche con Billy, che si poteva dire fosse il suo migliore amico.

Percorse il corridoio e arrivò alla sua stanza. Tentando di fare meno rumore possibile aprì la porta e, a tentoni nella penombra, arrivò al comodino.

Il respiro di Cherise era calmo e regolare.

Al chiaro di luna che penetrava dalla tende dell'unica finestrella il viso della ragazza era ancora più pallido.

A Jeff sembrò come un angelo.

Poi scosse la testa e uscì dalla camera, richiudendo con delicatezza la porta.

Doveva tirarsela fuori dalla testa assolutamente. Nei suoi modesti anni di vita aveva già fatto soffrire troppe ragazze.

Uscì nel piccolo giardino sul retro e si sedette a gambe incrociate per terra.

Si accese la sigaretta e la infilò tra le labbra, lanciando uno sguardo alla luna piena.

Il suo cervello era un insieme di pensieri, dei più diversi tra loro.

C'era il viso di Cherise, il contatto di labbra di prima, ma anche Billy con il suo innato egocentrismo e la figura del profilo di Los Angeles.

Era quello il suo piano: arrivare alla grande città e sfondare come musicista.

E di certo non prevedeva ragazze. Cioè sì, ma non fisse.

Ma con Cherise era diverso. Provava un sincero affetto per lei, e la desiderava.

Peccato che non aveva nulla da offrirle.

Spense la sigaretta nella terra umida e lanciò via il mozzicone, lontano, come avrebbe voluto fare con i suoi dubbi e preoccupazioni.

« Non hai freddo, Jeff?»

Stupito si girò.

Cherise, in mutandine di cotone e una sua maglietta a maniche corte che le stava decisamente larga, si teneva tra le braccia saltellando da un piede nudo all'altro per la bassa temperatura.

« Piuttosto tu» esclamò alzandosi e sbattendo sui pantaloni con le mani per togliere la terra.

Si tolse la giacca di pelle e la avvolse con quella.

Vederla così gli faceva uno strano effetto. Era intenerito per la sua inconsueta innocenza nell'esporsi in quel modo, ma le sue lunghe gambe nude non gli rimanevano indifferenti.

Lei gli si appoggiò contro, accoccolandosi col viso affondato nell'incavo del suo collo.

« Mi sento sola lì, Jeff. Il letto è troppo grande.»

Senza che lui potesse rispondere, Cherise iniziò a camminare, portandosi dietro il ragazzo.

Rientrando in casa, Isbell notò due bottiglie di birra vuote.

Evidentemente era un po' alticcia; incredibile come una ragazza potesse scolarsi due birre in così poco tempo.

La lasciò fare, incapace di dirle di no, mentre lo portava in camera.

Lo fece sdraiare e ci si stese accanto, stringendolo con egoismo.

« Stanotte rimani con me» sussurrò, mentre incrociava le loro gambe.

Nel giro di pochissimi minuti si addormentò e Jeff si ritrovò con l'oggetto dei suoi desideri avvinghiato a lui.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Era abbracciata a qualcosa di caldo, le girava la testa e si ricordava poco della sera prima.

Iniziò a preoccuparsi seriamente; il tessuto ruvido dei pantaloni dell'altra persona le solleticavano la pelle nuda delle gambe.

Poi le venne in mente di essere a casa di Jeff.

La sera prima l'aveva accompagnata in camera e poi se n'era andato. Non riusciva a prendere sonno, così era andata nel salottino, aveva trovato la cassa di birra ancora intatta e non aveva resistito. Se ne era scolate due, poi le era iniziata a girare la testa.

Non riusciva mai a reggere l'alcol ma le piaceva un sacco il senso di smarrimento in cui poteva perdersi e non diceva mai di no davanti a una bella bottiglia di alcolico, che fosse birra o Jack Daniels.

Dopo aver svaligiato la cassa però i suoi ricordi si facevano vaghi e a tratti neri.
Sperava solo di non aver fatto qualche cazzata di cui poi doversi pentire.

Si ricordava il freddo che le aveva punto la carne quando era barcollata fuori e forse la giacca di Jeff sulle sue spalle.

Riemerse dai suoi pensieri per appurare fosse l'amico quella persona cui aveva riposato avvinghiata.

Voltò il capo e incontrò il viso addormentato di Isbell.

Aveva la bocca mezza aperta, i capelli scuri sparsi per il cuscino e gli occhi velati dalle palpebre.

Rimase a guardarlo incantata: era perfetto nella sua imperfezione.

I tratti affilati erano allo stesso tempo armoniosi, e gli conferivano un aspetto misterioso.

I capelli quasi corvini sparsi sulla fronte accarezzavano il suo profilo, creando un ipnotico vortice di pensieri più o meno impuri, come se quest'ultimi si fossero impigliati tra quelle ciocche ribelli.

« Va un po' meglio?»

Quasi non le prese un accidenti quando vide le sue labbra muoversi.

Jeff aprì gli occhi, sorridendole.

« Sì.»

Il suo stomaco brontolò in modo poco silenzioso e lui rise.

« Hai fame?»

« Un po'» ammise, arrossendo.

Jeff scese dal letto e tese la mano, che Cherise strinse, aiutandosi ad alzarsi.

Barcollò un attimo, e Isbell la prese subito per la vita.

« Vuoi che ti porti la colazione a letto, così stai comoda?»

Lei scosse la testa. « Non sono mica malata, solo un po' barcollante.»

Trovò l'equilibrio e si incamminò con passo deciso verso la cucina.

 

Isbell fissava mordendosi un labbro il ritmo ipnotico dei fianchi che ondeggiavano davanti a lui. Forse farla andare in giro in mutandine non era stata un'idea molto brillante.

Distolse lo sguardo, con una strana sensazione.

Arrivarono in cucina, e lei si sedette di nuovo sullo stesso bancone, come aveva fatto la sera prima.

« Gusti particolari?» chiese, mentre iniziava a trafficare con pentole e padelle.

« Quello che mangi tu andrà benissimo.»

Prese dal frigo qualche uovo e il cartone di latte semivuoto.

Cherise iniziò a canticchiare una canzone, mentre lui cucinava le uova strapazzate.

« Queen?»

« Esatto.»

Spense il fornello e mise quello che aveva, in modo molto approssimativo, cucinato in un piatto. Poi versò il latte in due bicchieri e portò il tutto al tavolo.

Lei procurò le forchette e ne porse una all'amico.

Iniziarono a mangiare dallo stesso piatto con calma, senza parlare.

Cherise gli rivolgeva occhiate di nascosto, che però lui non mancava di notare.

« Tutto bene?» chiese, masticando un boccone.

Lei mise giù la forchetta e unì le mani, poggiandoci sopra il mento.

« C'è una domanda che ho paura di farti» esordì, con voce flebile.

Jeff assunse un'aria interrogativa.

« Il fatto è che non ricordo molto di ieri sera, cioè fino a quando non ho bevuto le birre, più o meno. E quando mi sono svegliata dormivamo insieme, quindi...»

Lui la guardò un attimo e nella sua mente balenò l'immagine di lei che lo portava in camera. Avevano solo dormito. La prima volta in vita sua che aveva solo dormito nello stesso letto con una ragazza.

« Non abbiamo fatto nulla, non ti preoccupare» disse, sorridendo.

Lei sembrò rasserenarsi tutto d'un tratto.

« Meno male. Avevo paura di aver fatto qualche cosa mentre... Ecco, mentre non ero in me.»

Coscienza sporca?

« Tranquilla.»

Le rivolse un altro sorriso più o meno rassicurante e scolò il suo bicchiere di latte cercando di pensare ad altro.

 

Le posò un bacio sulla guancia, salutandola sulla soglia della casa di lei.

« Grazie mille ancora, Jeff.»

« Quando vuoi.»

Cherise rimase un attimo a guardarlo negli occhi senza dire una parola.

« Stasera si fa qualcosa?» le chiese lui.

Riemergendo dalle sue riflessioni su quanto il riflesso del sole negli occhi di Isbell fosse affascinante, emise uno strano sospiro.

Jeff le rivolse uno sguardo stralunato, per poi ripetere la domanda.

« Non so. Ti faccio sapere, ok?»

Era sabato, non dovevano andare a scuola, e come al solito si sarebbero trovati nel pomeriggio all'incrocio della via di Billy, con qualche alcolico e molto fumo.

« Va bene, allora a dopo.»

Le fece un occhiolino e si voltò, incamminandosi verso casa.

Rimase a guardare il ragazzo finché non sparì dietro l'angolo. Poi suonò il campanello e aspettò che qualcuno le aprisse.

« Ciao mamma.»

La donna annuì e se ne andò.

Cherise non aveva mai avuto un bel rapporto con la madre. Da quando suo padre era morto poi, sei anni prima, tra di loro si era creato un abisso.

Lei era molto più legata alla figura paterna, e la madre si vedeva già con altri uomini quando lui era ancora in vita.

Scosse la testa, iniziando a salire le scale.

« Sei tornata!»

Ted, l'ultima conquista della madre, le sorrise sornione.

Cherise fece per correre su, ma lui la prese per il braccio.

« Lo sai che mi diverto di più con te» le sussurrò all'orecchio.

Lei rabbrividì, con le lacrime agli occhi.

« Non mi toccare, bastardo» ebbe la forza di dire, ma quello non mollava la presa.

Cherise poteva sentirne l'alito che puzzava di alcol, mentre le dita grassoccie dell'uomo le stringevano il braccio.

« Verrò ancora a farti visita.»

Stava per scoppiare a piangere, il cuore le si era incastrato in gola e martellava come un ossesso.

Poi la madre rientrò nella stanza e allora il porco si allontanò, volando dalla donna.

Non sospettava di nulla, neanche guardando il viso contratto dal terrore della figlia.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Dopo aver accompagnato Cherise a casa, durante il tragitto di ritorno, non fece che pensare al sorriso della ragazza.

Era così dolce e spontaneo! Sembrava avercelo in servo sempre e comunque, anche se tutto andava male.

Non sapeva quasi nulla di lei, della vita che conduceva quando non lo frequentava, eppure tutto in quella piccola donna lo affascinava.

Anche solo il modo in cui metteva le mani nei capelli scuri per scostarseli dal viso a cuore. Oppure la leggera fosseta che spuntava nella sua guancia destra quando rideva.

Arrivato a casa, si chiuse in bagno; aprì il rubinetto dell'acqua calda della vasca e iniziò a svestersi.

La sua pelle bianca quasi risplendeva alla tenue luce dell'unica candela accesa.

Gli piaceva la penombra, gli conciliava il pensiero.

Si infilò nella vasca, godendo del tepore che gli bruciava la pelle.

Si immerse completamente; e se non ne fosse mai uscito? Se si fosse lasciato affogare in quell'acqua che già gli stava intorpidendo le membra?

Forse a nessuno sarebbe importato.

Eppure, quando sentì di non poter più rimanere in apnea, la sua mente fu invasa dall'immagine del volto di Cherise e dal suono della sua risata.

Trovò la forza di riemergere, sputacchiando acqua e riempendo i polmoni d'aria pulita con foga.

Si accasciò al bordo della vasca, ancora in carenza d'ossigeno. Il suo cuore batteva fortissimo, minacciando di sfondare la gabbia toracica.

Non sarebbe morto prima di dirle che l'amava, e ora lo aveva capito.

 

Cherise aveva chiuso la porta chiave. Non sarebbe entrato, non gli avrebbe permesso di toccarla di nuovo.

Tremava ancora dalla paura, ininterrottamente, da quando aveva risalito le scale fuggendo da quell'essere schifoso.

Ho bisogno di Jeff.

Quel pensiero fu come un fulmine a ciel sereno. Non si aspettava di poter tenere ad una persona così tanto, non più almeno.

Se ne era resa conto così, improvvisamente.

Si era sempre considerata una persona non degna di poter provare amore ed essere ricambiata, dato che quando voleva bene a qualcuno c'era sempre una brutta notizia in agguato, qualcosa che andava storto.

Pensava fosse semplicemente il suo amaro destino, morire sola.

E non voleva fare del male a Jeff con i suoi sentimenti.

E se averlo voleva dire rischiare di perderlo, allora sarebbe rimasta in disparte.

Incredibile come l'angosciante pensiero di Ted potesse scemare davanti all'immagine del viso sorridente di Jeff.

Sorrise a sua volta involontariamente, arrossendo come una bambina alle prese con la prima cotta. Poi prese il vinile dei Pink Floyd.

Meglio smettere di pensare per un po'.

 

All'incrocio della via di Bailey, Jeff aspettava i suoi amici.

Era pronto, voleva dirglielo. Lo stomaco gli si continuava a torcere ed era nervoso come mai prima, con le famose farfalle nello stomaco.

Ma quella mattina si era reso conto di amarla e non l'avrebbe più nascosto.

Che lei lo avrebbe respinto o meno non importava, lui doveva dirglielo, sennò scoppiava.

Si accorse di non aver portato neanche un fiore e si picchiò col palmo della mano sulla fronte.

Stupido!

Era arrivato persino a pensare di portarla con sé a Los Angeles, si sentiva pronto per iniziare qualcosa di serio e duraturo.

Un piccolo appartamento, loro due. Appene avrebbe sfondato come musicista le avrebbe donato una casa grande, dove vivere insieme e magari mettere su famiglia.

Fu distolto dai suoi rosei piani da dei frettolosi passi in avvicinamento. Si voltò verso la fonte di quel rumore e vide una massa informe di capelli rossi che svolazzavano nel vento venirgli incontro.

Il viso era rigato dalle lacrime, gli occhi smeraldo appannati dal pianto.

« Che è successo, Bill?» chiese, con un groppo in gola.

Senza dire una parola lo abbracciò, continuando a singhiozzare sulla sua spalla.

Ormai l'angoscia lo lacerava.

« E' in fin di vita, Jeff. Quel porco maledetto l'ha quasi ammazzata di botte.»

Il suo cuore sprofondò e tutto il dolore che provava venne divorato da una rabbia cieca.

Scostò Billy con violenza e prese a correre come un pazzo, verso casa di Cherise.

Non può essere, non può essere!

Le lacrime gli volavano via dal volto, creando sfuggenti gocce scintillanti alla luce del sole.

Era veloce, come non lo era mai stato prima di allora.

Arrivò che due agenti stavano portando via il bastardo.

Come una furia gli si scaraventò addosso, buttandolo per terra e riempendolo di pugni e calci.

Per tutto quello che le aveva fatto, per averle negato una vita serenza, anche solo per averla pensata in quella maniera schifosa.

I due poliziotti lo presero per le ascelle, tirandolo via di peso, mentre continuava a scalciare.

« Bastardo!» urlò, e il suo sputo riuscì a raggiungere la faccia del maledetto, già martoriata dai suoi pugni.

La madre di Cherise guardava la scena piangendo.

Appena i due agenti lo misero giù, raggiunse la donna, per cui provava molto disprezzo, per tutto ciò che aveva lasciato succedere a sua figlia.

« Dove l'hanno portata?» chiese.

« All'ospedale più vicino.»

Lo guardò con un profondo sguardo di rimorso.

« E come sta?»

Lei scosse la testa, stringendosi tra le braccia.

Jeff represse un ennesimo moto di pianto.

« Io non credevo...»

Sentì la rabbia aumentare notevolmente. « Stia zitta, davvero.»

E prima che i due poliziotti riuscissero ad acciuffarlo, scappò di nuovo.

 

« Avrei dovuto tenerla con me.»

Sul sedile posteriore di un taxi, Jeff singhiozzava senza ritegno sulla spalla di Billy.

« Non è colpa tua... vedrai che starà meglio...» continuava a ripetergli.

Isbell si sentiva come dilaniato; non si era sentito minimamente meglio dopo aver pestato quell'essere spregevole.

Cherise stava ancora lottando per la vita, in chissà quale letto di ospedale.

Ma lui la stava raggiungendo, non l'avrebbe lasciata sola.

Intanto Billy sembrava aver perso improvvisamente tutta la sua spavalderia.

Non aveva mai visto l'amico fare così; Jeff era sempre stato quello forte, quello su cui contare sempre e comunque.

Eppure in quel momento era lo stesso Bailey la spalla su cui piangere.

Scesero dall'auto e lui pagò la corsa frettolosamente.

Corsero alla reception chiedendo di lei e un'infermiera li condusse ad una stanza.

C'era un fortissimo odore di disinfettante e tutto era grigio e in plastica.

« Siamo riusciti a stabilizzarla, ora dipende tutto da lei.»

Se ne andò senza dire altro, lasciandoli soli in quelle quattro mura spoglie.

Lo sguardo di Billy corse al viso di Cherise: dormiva. Aveva cerottini a chiuderle i tagli, macchie rosse e viola sulle guance.

Gli si strinse il cuore a vederla in quelle condizioni.

Era piena di flebo e tubi per l'ossigeno.

Jeff le si avvicinò, prendendole la mano: « Sono qui con te, non ti lascio sola.»

Invece Bailey si eclissò dietro la porta, uscendo dalla stanza per lasciarli soli.

Se sarebbe guarita, l'avrebbe fatto solo ed esclusivamente con Jeff al suo fianco, questo l'aveva capito pure lui.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La stanza era silenziosa. In sottofondo solo il bip regolare dei macchinari, bizzarramente armonizzato coi respiri sommessi delle due figure.
Jeff stava su una sedia, con lo sguardo gravido di dolore sul viso contuso di lei. Cherise dormiva, apparentemente tranquilla, intubata ovunque e piena di cerotti.
Ma quelle bende non sarebbero mai bastate, perché le ferite più profonde erano incise sulla sua anima agonizzante.
Colpita la sua fiducia, abusata la sua purezza, maltrattata la sua leggerezza.
La sua
voglia di vivere era morta ancora prima di nascere.
Era notte, ormai. Jeff non aveva chiuso occhio, impaurito dall'idea di trovare quel letto vuoto al suo risveglio.
Impaurito dall'idea di perdere la
sua voglia di vivere.
Un respiro mozzato, le palpebre sbarrate.
Cherise si guardò intorno, con la pelle che tirava dannatamente per i punti infissi per non farla sanguinare più. Sapeva benissimo che le ferite superficiali erano il minore dei suoi mali.
Tutto ciò che vide furono le mura grigie, le tende pesanti a coprire l'unica finestra e un vaso di fiori finti su di una scrivania in legno scheggiato.
Jeff trattenne il fiato, carezzandola con lo sguardo mentre lei provava a girare dal suo lato la testa per scrutare pienamente la stanza.
Appena Cherise incontrò gli occhi del ragazzo, arrossì.
Le faceva ancora lo stesso effetto, forse accentuato dalla sensazione di essere completamente indifesa.
Non pensò neanche un secondo a quello che fosse successo; tutta scemava davanti all'immagine di Jeff, per lei.
Senza dire una parola lui le si avvicinò, inginocchiandosi vicino al letto con le inferriate che la ragazza odiava tanto. Le prese la mano, racchiudendola nella sua delicatamente, per paura di farle male.
Non un suono uscì dalle loro labbra. Rimasero a guardarsi negli occhi, gioendo della vista che possedevano in quel momento.

Avevo paura di non poterti rivedere mai più.
Un pensiero che ebbero in comune, anche se uno all'insaputa dell'altra.
Quasi non sbattevano le palpebre, rimanendo immobili.

Ti amo.
Le parole non servivano, non per loro. Attraverso gli occhi riuscivano a comunicarsi tutto ciò che ognuno dei due custodiva nel cuore.
Come non ho mai amato nessuno.
Entrambi poi si avvicinarono, lasciando che fossero le loro labbra a parlare.
Danzarono insieme, come non avrebbero potuto fare nella realtà. Si dissero che non si sarebbero mai lasciati, che finalmente si erano trovati e che insieme avrebbero potuto superare tutte le difficoltà. Curarsi le ferite a vicenda, riscaldarsi davanti al freddo e difficile futuro.

Insieme.

 

« La terremo in ospedale ancora per qualche giorno, poi rilasceremo le carte di dimissione.»
« E dove andrà a vivere? Lei si rende conto che ormai in casa con la madre non tornerà, vero?»
« Quel particolare non è di mia competenza, giovanotto. Comunque la signorina tra poco compirà la maggiore età, starà a lei decidere.»
Il dottore lasciò Jeff solo e confuso in corridoio, davanti alla porta socchiusa della stanza di Cherise. Erano usciti per non parlare delle sue condizioni davanti a lei, nonostante fossero piuttosto buone per un tentato omicidio.
Quando rientrò nell'angusto locale, vide che un'infermiera dall'aria materna stava aiutando la ragazza a mettersi seduta.
« Oh, caro, vieni qui» esclamò, vedendolo.
Lo prese per il braccio per avvicinarlo al letto e poi gli mise tra le mani un vassoio, corredato di cibo.
« Falla mangiare tu, penso apprezzerebbe di più la magra colazione.»
Detto ciò uscì, lasciandoli l'uno davanti all'altra.
« Hai fame?»
Come al solito, lo stomaco di Cherise rispose per lei con un rumoroso brontolio.
Si sorrisero.
Jeff sedette accanto al letto, aiutandola ad infilare tra le labbra secche un cucchiaio di yogurt.
Le mani della ragazza erano flagellate da flebo e dolorosi ematomi e le impedivano di essere autosufficiente.
« Ti piace?» le chiese, guardandola leccarsi una sbavatura di crema.
Annuì: « E' buono.»
La sua voce era roca, ma il tono prometteva bene.
Rimasero in silenzio mentre lei continuava a mangiare, imbarazzata da quella situazione, in cui doveva completamente dipendere da Jeff.
Era sempre stata una figura forte e risoluta, non una pecorella smarrita.
« Ti va di parlarne?»
All'idea di ripercorrere la scena del suo massacro soffocò un verso di dolore.
Isbell le accarezzò il viso dolcemente: « Non ti preoccupare, se non ti va possiamo anche stare in silenzio.»
Lo amava e, dopo quello scambio di dichiarazioni di poche ore prima, lo sentiva se fosse possibile ancora più vicino.
Scosse la testa delicatamente, perché ogni movimento le causava forti dolori.
« Scusami.»
« E per cosa?»
Il tono di Jeff era stupito.
« Ti ho fatto stare sveglio tutta la notte.»
Le diede un bacio e poi la imboccò di nuovo.
« Spero che la prossima volta che mi farai rimanere sveglio tutta la notte sarà per un motivo divertente.»
Cherise arrossì a quell'allusione, che però non aveva nulla di volgare. Unirsi a Jeff, sentirlo davvero, per lei sarebbe stata la cosa più bella al mondo.
« Non lasciarmi sola.»
Lui la guardò, scuotendo la testa: « Mai.»

 

Era passata una settimana.
Cherise avrebbe compiuto gli anni nel giro di pochissimi giorni ed entrambi avevano deciso di andarsene.
« Los Angeles. E' la città delle speranze.»
Jeff strinse la presa attorno alla ragazza e chiuse gli occhi, immaginando i grattacieli luccicanti della metropoli.
« Mi fa un po' paura.»
« Perché, Cher?»
Emise un verso contrariato: « Già non mi piace il mio nome, piantatela di storpiarmelo.»
Jeff rise; sapeva di farla arrabbiare e lo faceva apposta per vedere quel rossore imbarazzato colorarle le gote pallide.
« Comunque, un po' per tutto. E se non riuscissimo a trovare casa? E il lavoro?»
« Iniziamo ad arrivarci. E poi ricordati, l'importante è che siamo insieme.»
Cherise fece incrociare le dita a quelle del ragazzo, poggiando il capo sul suo petto.
Il letto di Jeff era stato teatro delle loro chiacchierate, dei loro baci, delle loro carezze. Non avevano fatto altro da quando lei era uscita dall'ospedale, con tanti antidolorifici da prendere e ferite ben più profonde da curare
« Insieme» disse ancora, mentre la sua mano si insinuava sotto la maglietta del ragazzo.
Non erano mai andati oltre alle carezze un po' azzardate, ma entrambi si desideravano come nessuno mai.
La pelle di Jeff era calda, poteva sentire le costole timidamente nascoste sotto quel sottile strato chiaro e morbido. Quando arrivò con la punta delle dita al capezzolo lui sussultò, bloccandola.
A Cherise scappò un sorriso, poi si allungò per baciarlo.
Era preoccupato di poterle fare male con il suo tocco, in un atto passionale.
Quelli che seguirono furono minuti di tormento, mentre si spogliavano lentamente, rimanendo per la prima volta in assoluto completamente nudi l'uno di fronte all'altra. Gli occhi di Jeff furono irrimediabilmente attirati dai numerosi lividi ormai quasi spariti, ma ancora visibili.
Lei si rifugiò tra le braccia del ragazzo, cercando tutto quell'amore e tutta quella comprensione che gli erano sempre stati negati negli anni precedenti.
« Non ti preoccupare» gli sussurrò, vedendolo incerto su dove poggiare le mani.
Trattenne un gemito di dolore quando lo sentì sfiorare involontariamente un livido e si aggrappò ancora di più a lui.
« Stringimi forte.»
Obbedì e fece aderire i loro due corpi.
« Ora ci apparteniamo davvero, per sempre.»

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