Bonheur de Malheur di reilin (/viewuser.php?uid=102982)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le bonheur est comme ça ***
Capitolo 2: *** Je n'ai que l'audace de caresser mes écorchures ***
Capitolo 1 *** Le bonheur est comme ça ***
bonheur de malheur
Dopo
mesi di assenza dal fandom, torno a voi con questa fanfiction su un
pair che più crack non si può: Feliciano X Sesel. In
tutto il fandom - italiano ed internazionale - c'è solo un'altra
fic su questa coppia, ed è in indonesiano!
Sono stata ispirata a scrivere su di loro da alcune fanart di Pixiv,
nel quale questa coppia è definita come "coppia di buontemponi",
io preferisco chiamarla "Pasta e Tonno"! :D
Non escludo che Feli e Sesel possano apparirvi un po' OOC!
Bene, non mi resta che augurarvi buona lettura e chiedervi la cortesia di farmi conoscere le vostre impressioni sulla storia!
Ja_ne
~reilin
Bonheur de Malheur
«Hai davvero bisogno di una vacanza, Feli!», così gli
dicevano i suoi amici alla festa che gli avevano organizzato per celebrare la
vittoria di quel prestigioso concorso. Tutti lo avevano sempre considerato uno
sfaticato, ma, negli ultimi mesi, Feliciano Vargas aveva sorpreso tutti dando
prova di una tenacia ed una forza di volontà tali da permettergli di superare
brillantemente sia l’esame di abilitazione all’insegnamento che il concorso per
la cattedra di Storia dell’Arte di un liceo esclusivo.
Dopo tanto stress e tanta fatica, meritava davvero un po’
di svago, così suo fratello ed il suo
compagno Antonio gli avevano organizzato
un viaggio rilassante in un arcipelago paradisiaco.
“Che mare incantevole”, si diceva il giovane italiano
mentre sistemava il cavalletto e la sua
attrezzatura da disegno sulla spiaggia bianchissima, pregustando già la
soddisfazione di poter dipingere quei paesaggi di una bellezza mozzafiato. Suo fratello Romano ed Antonio erano rimasti
in albergo: c’era da aspettarselo che quei due colombi volessero passare un po’
di tempo da soli.
“Non che a me dispiaccia”, si era detto Feliciano, a cui,
da qualche tempo, la solitudine non spiaceva, anzi, lo aiutava a concentrarsi
maggiormente sul soggetto da ritrarre. Ne erano cambiate di cose in due anni:
era cambiato lui stesso in quel lasso di tempo…
Sorrise tristemente, pensando che a volte anche le grandi
sofferenze potevano portare degli inaspettati frutti nella vita di una persona,
proprio come era successo a lui. Mentre si perdeva con la mente in queste
riflessioni ed in mille ricordi dal sapore agrodolce, le sue mani si muovevano
agilmente nel preparare i colori ad olio sulla sua tavolozza, ed era così
concentrato da non accorgersi del pericolo che imminente incombeva su di lui.
In un battito di ciglia si trovò scaraventato a terra: il
cavalletto era andato a gambe in aria e la tela era finita nella sabbia. Si
guardò addosso e vide che la sua camicia bianca si era tutta impiastricciata
dei colori che aveva appena preparato.
«E che diamine!» ,
esclamò esasperato e piuttosto infastidito.
«Ops… mi scusi!», rispose una voce all’altezza del ventre
del giovane italiano che, abbassando lo sguardo, incontrò con suo sommo stupore
le sembianze dell’uragano che l’aveva travolto. Due occhi neri come
l’inchiostro si puntarono in quelli suoi color nocciola: avevano un’espressione
fra l’imbarazzato ed il divertito. Alla vista dell’espressione severa di
Feliciano, si sbrigò a rialzarsi in piedi, scrollandosi la sabbia di
dosso. Una ragazza sui diciotto anni guardava il giovane moro con aria
supplichevole. Indossava un bikini celeste ed un paio di shorts bianchi, ed il
colore della sua pelle a Feliciano ricordava del buon cioccolato al latte. Una cascata di capelli neri come l’ebano era
divisa in due codini da due nastri di
raso rosso corallo.
La giovane tese una mano all’italiano per aiutarlo ad
alzarsi da terra: «Si è fatto male?», gli chiese preoccupata. Lui, mentre si
rimetteva in piedi, non poté far a meno di
notare quanto fosse buffa la sua pronuncia a metà fra l’inglese ed il francese,
così, sbollita la rabbia, sorridendo, le rispose: «Non mi sono fatto niente,
non si preoccupi signorina!». Lei gli sorrise di rimando, tranquillizzata, poi
il suo sguardo cadde sulla camicia del giovane: «Le ho rovinato la camicia! Mi
dispiace così tanto: mi permetta di lavargliela…».
Feliciano ridacchiò imbarazzato: «Suvvia, non si
preoccupi, ho con me una T-shirt di ricambio e poi comunque dipingendo l’avrei
sporcata comunque, veh!».
La ragazza non sembrava convinta: «Posso almeno aiutarla
a rimettere in ordine la sua attrezzatura da disegno?», chiese, e senza
aspettare di ottenere una risposta, prese a raccogliere fra la sabbia i
pennelli ed i tubetti di colore.
Feliciano si mise al lavoro anche lui, rialzando il
cavalletto e raccogliendo la tela che, fortunatamente, non si era rotta.
«Questo deve essere suo, veh…», disse alla giovane donna
raccogliendo da terra un voluminoso libro dalla copertina sporca di una
variopinta macchia di colori ad olio. «Elementi di diritto di famiglia», lesse
il titolo del tomo, prima di porgerlo alla sua proprietaria, «deve essere
parecchio difficile, veh?».
Lei prese il libro e rispose: «Beh, sì, lo è. In autunno
inizio il primo anno di università e sto iniziando a darmi da fare!».
«Mi dispiace che il libro si sia sporcato di tempera», le
disse Feliciano.
«Oh, ma non fa niente, così ora siamo pari!», esclamò lei
sorridendo.
«Mh… libro per camicia, dice… veh, se per lei va bene
così…», esalò l’italiano, poco convinto.
La ragazza guardava con curiosità Feliciano, che aveva
ripreso già ad armeggiare con colori e pennelli; «Lei è un pittore?», domandò
incuriosita.
«Beh, veramente sono un professore di storia dell’arte,
però mi piace tanto dipingere, specialmente paesaggi incantevoli come questi…»,
le rispose lui.
«Senta… ehm… signor… pittore», disse la giovane,
realizzando di non conoscere ancora il nome del suo interlocutore, «le spiace
se resto a guardare mentre dipinge? È così… bello». I suoi occhi neri non si
staccavano dalla tela e dalle sapienti mani dell’italiano, che si muovevano
velocemente su di essa.
«Veh, può rimanere pure! A proposito, io mi chiamo
Feliciano Vargas, piacere di conoscerla», replicò lui, vagamente imbarazzato.
«Oh, il piacere è tutto mio!», cinguettò lei allegra, «io
mi chiamo Victoria! Vogliamo passare a darci del tu, visto che siamo quasi
coetanei, penso!».
«Volentieri, Victoria. Da dove vieni?», le chiese
Feliciano, sinceramente interessato.
«Beh, io sono nata e cresciuta qui a Mahè. Tu invece,
Feliciano? Dal tuo nome direi che sei spagnolo …», tirò ad indovinare Victoria.
Il moro rise di gusto: «No, no: sono italiano, non
spagnolo, io!», precisò con decisione .
La ragazza era sorpresa: «Sei un artista italiano: che
figo! Non ne avevo mai conosciuto uno prima d’ora!».
Feliciano rise
divertito e la sua allegria contagiò anche Victoria che sorrideva spensierata
accanto a quell’uomo appena conosciuto, ma
così solare e gentile che quasi le sembrava di conoscerlo la così tanto
tempo.
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Capitolo 2 *** Je n'ai que l'audace de caresser mes écorchures ***
bonheur de malheur 2
Je n'ai que l'audace de caresser mes écorchures
«Ed ora dove sarà mai il chiosco di Victoria?», si
domandava Feliciano, camminando con qualche difficoltà sulla sabbia resa
ardente dal solleone di mezzogiorno. Quella strana ragazza, il giorno
precedente, dopo essere stata accanto a lui per tutto il pomeriggio, aveva
tanto insistito per portarsi a casa la camicia che aveva sporcato di colore per
poterla lavare e poi restituirgliela il giorno seguente.
«Passa al chiosco dove lavoro per mezzogiorno», le aveva
detto lei, indicandogli come raggiungerla.
Feliciano guardava confuso la lunga fila di baretti da
spiaggia, tutti così simili fra loro, e si domandava se avrebbe mai trovato
quello giusto.
Ad un tratto, mentre era tutto concentrato a scrutare
l’interno dei vari chioschi nella speranza di vederla comparire da qualche
parte, ecco che sul bancone di uno di essi aveva riconosciuto il voluminoso
libro di diritto dalla copertina macchiata di colore appartenente alla ragazza.
Si avvicinò di più al chiosco ed ecco che Victoria finalmente era andata ad
accoglierlo con uno dei suoi sorrisi sornioni: «Allora, ce l’hai fatta a
trovarmi?», gli chiese divertita.
«Veh, non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato
lui a guidarmi», rispose ridendo ed indicando il tomo sul bancone. «Certo, non
avevo mai visto tanto attaccamento ad un libro: penso tu sia unica nel tuo
genere», esclamò lui.
«Sicuramente sono l’unica cameriera di un
bar dei Tropici che si porta sul lavoro testi di diritto sporchi di colori»,
precisò lei, gaia.
«A proposito di macchie di colore», disse
Victoria prendendo da sotto il bancone una busta di carta e porgendola
all’italiano, «ho lavato la tua camicia e le macchie sono andate via, però…»
«Però?», chiese fra il divertito e
l’incuriosito il moretto, tirando l’indumento fuori dalla busta quel tanto che
bastava per notare il suo colore insolitamente rosato invece dell’originale
bianco.
«Ehm… ecco… però, per errore l’ho lavata
insieme ad un mio vestito rosso e così è diventata di questo terribile rosa
salmone. Perdonami, sono una frana!», si scusò lei, sinceramente mortificata.
Feliciano se la rideva e, rimirando la
camicia, concluse: «Ah ah ah, quantomeno la tinta è venuta uniforme. Ma sì, la
regalerò a mio fratello Romano che adora
queste tonalità di rosa! Ah ah ah, non ti preoccupare: Antonio la adorerà».
Poi mise sul bancone il grande pacco
avvolto in carta da imballaggio che aveva portato con sé e disse alla ragazza:
«Questo è per te!».
Victoria era interdetta: «Cos’è questo,
Feliciano?»
«È il dipinto che ho realizzato ieri
sulla spiaggia: mi pareva di aver capito che ti piaceva molto…», rispose lui,
semplicemente.
«Oh, sì, adoro quel dipinto, ma non
avresti dovuto: è troppo, dopo tutti i casini che ho combinato!», a Victoria
non sembrava di meritare un simile dono, ma l’italiano zittì immediatamente le
sue rimostranze: «È solo un lavoro fatto di getto, nulla di particolare. E poi
mi fa piacere che l’abbia tu: non ammetto repliche!».
«Uhm… lascia almeno che ti inviti a
pranzo», chiese allora la giovane, sfilandosi il grembiule nero da lavoro. «Io
ho appena finito il turno e, se ti accontenti di una cucina alla buona, puoi
venire a casa mia».
Da buon italiano, Feliciano non seppe
rifiutare un simile invito: «Perché no? Sarò volentieri tuo ospite, Victoria».
«Andiamo, allora, casa mia non è lontana
da qui! Ciao Hong, ci vediamo questo
pomeriggio». Victoria salutò il suo datore di lavoro, un ragazzo asiatico
piuttosto taciturno e diretto nei modi, che infatti le rispose con un cenno
della testa.
L’italiano e la giovane isolana si
incamminarono lungo le strade assolate di Mahè, passando davanti alle sontuose
ville e agli opulenti resort destinati ai turisti, per addentrarsi più
all’interno della città, su viottoli più stretti che lambivano palazzine poco
appariscenti, destinate ad essere l’alloggio della gente del posto. Dopo
un’abbondate decina di minuti, l’attenzione di Feliciano fu catturata da un
edificio su tre piani la cui costruzione sembrava risalire alla prima metà
degli anni Settanta. Il suo aspetto era
semplice, con la facciata dipinta di bianco grezzo e gli infissi in legno
scuro.
«Siamo arrivati: abito al primo piano»,
gli comunicò Victoria, facendogli cenno con la mano di seguirlo. La chiave
compì velocemente due o tre giri nella serratura ed il piccolo portone si
spalancò mostrando al giovane moro gli interni modesti ma decorosi e ben
ordinati.
«Metterò qui il tuo dipinto», gli disse
lei, indicando un’ampia porzione di muro spoglia al di sopra del divano. Lui
sorrise, annuendo: «Sono davvero felice che ti piaccia!».
Dopo aver apparecchiato il tavolo per
due, Victoria si mise subito ai fornelli, tutta intenta a cucinare il suo
piatto forte: la zuppa di pesce. Feliciano prese posto attorno al tavolo e, nel
silenzio che improvvisamente era sceso fra i due, si guardava attorno e
rifletteva. Quell’appartamento, benché semplice ed essenziale fino a rasentare
lo spoglio, era tenuto in un ordine ed un decoro notevoli, soprattutto
considerando che Victoria, la proprietaria, aveva appena diciannove anni.
Mentre la ragazza serviva in tavola il pranzo, l’italiano, incuriosito e allo
stesso tempo ammirato dai suoi modi di perfetta casalinga, le chiese: «È da
tanto tempo che vivi da sola, Victoria?». Lei prese posto attorno al tavolo,
sedendo proprio di fronte al suo commensale, cui rivolse un sorriso un po’
mesto, poi iniziò a raccontare la sua storia: «Oh beh, è davvero un bel po’ che
sto per conto mio. Sono andata via di casa a diciassette anni e da allora non sono più tornata su miei passi».
Feliciano era talmente sorpreso e curioso
da non riuscire a trattenersi dal chiederle maggiori dettagli.
La giovane isolana, guardando
l’espressione del viso dell’italiano, comprese di averlo sconvolto e,
arrossendo, continuò il suo racconto: «Quando frequentavo il penultimo anno di
liceo, arrivò a scuola un giovane professore di inglese: era biondo con gli
occhi verdi ed io, come la maggior parte delle mie compagne, finii per
prendermi una cotta per lui. Dal momento che io ero la capoclasse e lui
l’insegnante di riferimento della mia classe passavamo molto tempo insieme, e
così quando lui mi confessò goffamente di essersi innamorato di me, capii che
la mia cotta era diventata un sentimento più profondo. Abbiamo cominciato a frequentarci
di nascosto a tutti, finché non siamo stati scoperti dal vicepreside, che
subito convocò i miei genitori ed il Consiglio d’Istituto. Non potrò mai
dimenticare gli sguardi pieni di disgusto e delusione dei miei genitori e le
orribili parole che ci rivolsero insegnanti e studenti. Arthur fu licenziato in
tronco ed io fui espulsa dalla scuola. Per separarmi da lui, i miei genitori
decisero d’iscrivermi ad un collegio femminile, ma, la notte prima della mia partenza scappai di
casa ed insieme ad Arthur ci trasferimmo in questa città. Qui io e lui
iniziammo a vivere insieme e mentre io frequentavo l’ultimo anno del liceo, lui
manteneva entrambi lavorando in un bar».
Mentre sorbettava svogliatamente il
gelato all’ananas, Feliciano chiese a Victoria: «Ed i tuoi genitori non ti
hanno più cercata?»
Gli occhi della ragazza si velarono di
tristezza: «No, dopo che sono fuggita da loro come una ladra, non hanno più
voluto saperne niente di me. Conoscendoli, penso che mi considerino come se io
fossi morta, o peggio, mai esistita».
*** C'est reilin qui parle!***
Eccomi qui con questo nuovo capitolo: ci ho messo un po' ma ce l'ho fatta ad aggiornare! Spero davvero che vi piaccia...
Ringrazio con tutto il cuore Bazylyk19, Cosmopolita, _Ayame_, darllenwr e TudorQueen
che hanno recensito il primo capitolo: ero molto scettica sul fatto che
questa fic potesse incontrare l'apprezzamento dei lettori del fandom,
invece le vostre parole mi hanno dato tanto entusiasmo per continuare a
scrivere! Grazie a tutte, davvero!
Grazie anche a coloro che hanno aggiunto la storia fra le preferite ( _Ayame _ e TudorQueen) e fra le seguite ( Krystal_Tsuki, Cosmopolita e TudorQueen).
Vi lascio infine segnalandovi questo contest
dedicato ai crack pairing di Hetalia, che abbiamo indetto io ed
_Ayame_: le iscrizioni sono aperte, vi aspettiamo numerose!♥
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