Something happened.

di Ebby Beckett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era lì. Davanti a me. Attorno a me.
La magnifica. L’irraggiungibile.
E’ il mio luogo preferito,  da studentessa parlando.
Non posso fare a meno di amarla.
Harvard.
Emana un calore irresistibile.
 
Ci fermiamo a pranzare in uno dei classici chioschetti di provincia. Solo che questo serve limonata amaranto. E veggie burger. Ma quanto si fanno amare?
 
… In certi momenti della vita ho preferito di gran lunga i luoghi alle persone…
 
 
 
Siamo in quattro. Alice, Martina, Chiara e me, Elide.
Quattro giovani ragazze, nemmeno ventunenni, in vacanza a New York. Ora in gita a Boston.
Siamo un po’ pazze, noi quattro. Amiamo l’America. Da sempre. Perché è speciale. Perché è umana. Perché la sentiamo nostra.
Questa vacanza ci serve per staccare, segna un passaggio importante nelle nostre vite. Tre di noi quando torneranno a casa si immergeranno nel mondo universitario. Io sarò una fuorisede, e studierò a Bologna, assieme a Chiara. Martina sarà una matricola Bocconiana. Invece il rientro per Alice segnerà l’inizio di una accademia di grafica, il sogno lavorativo della sua vita.
 
Giriamo per negozietti di libri e di merchandising da portare a casa come ricordo, poi ci avviamo verso la stazione. Mi tolgo uno sfizio, e ceno con un bel piatto di spaghetti e pollo orientale, probabilmente indonesiano, o indiano.
Il viaggio in treno è stancante, sono tre ore di pura tristezza. Il pensiero di lasciare Boston mi deprime nel profondo. Potessi vivrei e lavorerei lì. C’è verde, il paesaggio è divino, e la città è un piccolo paradiso.
Le mie compagne di viaggio notano la mia solitudine, e mi ci lasciano immergere. Forse sperano sia una cosa passeggera. E forse lo è.
Siamo così stanche che arrivate alla Grand Central Station diamo solo una veloce occhiata alla stazione notturna. Sembra uscita da un quadro di Van Gogh, la mia amata New York.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mi sveglia la suoneria di un cellulare, probabilmente quello di Alice. Di sicuro qualche sua amica dei forum le avrà chiesto come procedeva l'esplorazione.
Io penso: "Beh, oggi andiamo al MET, di sicuro salterà giù dal letto appena sentita la sveglia!" Le visite ai musei d'arte appassionano sempre i ragazzi del liceo artistico, figuriamoci se non fanno lo stesso effetto sulla più grande nerd di Bologna!
Sono ancora con la testa immersa nei cuscini mentre penso alle visite che dobbiamo fare quando suona rombante nella mia testa il cellulare di Martina. Maledetta vibrazione! Sento muoversi le coperte, e dopo il "Mmmh" di Chiara capisco che è il caso di alzarmi come tutte le altre.
"Buongiorno!" "Buongiorno..." "Giorno!" "Mmmh cavoli, è già giorno?"
"Si Chiara.. Oh guarda, Cristina mi ha appena..."
Boom! crash!
"Oh Eli, stai bene?" chiede la mia conqui-letto.
"Diciamo che stavo meglio seduta sul letto" rispondo io, finita per terra col sedere per aria e a faccia spalmata sulla moquette.
"Veramente poco igienica la moquette. Per certe cose gli americani non li capisco…"
Mi arrampico a stento sul giga letto king sized, ritornando immersa nelle soffici coperte.
"Che sfiga eh? Iniziare la giornata con una bella caduta!"
Questi, cara mia, non sono semplici inizi di giornata di una pasta frolla quale sono io. Questi si chiamano presagi di una giornata che parte col piede sbagliato, ma io stessa lo compresi solo in seguito.

“Ehi, Chiara, ho il pc in mano, controllami che cosa facciamo oggi, per piacere!  Andiamo al MET, giusto?”
“Ma se ci siamo state ieri!”
“Ah, già! Cavoli necessito davvero di un caffè!”
“A chi lo dici… Alice! Illuminami, cosa dobbiamo fare secondo il programma?”
"Dobbiamo andare a veder l'Upper East Side, e poi...."
"Si! L’ Upper East, il regno di Gossip Girl e Sex and the city!"
"Nel pomeriggio sarebbe carino andare a fare un giro a Soho, no? Oppure andiamo a girare i negozi della 5th avenue! C'è pure l'Apple Store che non abbiamo visto bene!"
Mentre Alice e Chiara iniziano a decantare le lodi di ognuno dei posti che vorrebbero visitare, Martina è in bagno. Io ormai loro due le sento parlare sempre, non ci faccio quasi più caso. Mi hanno lasciato il computer, per controllare la posta elettronica. Mi deve arrivare una mail, per una conferma importante.
Apro il browser, accedo a Hotmail. Una mail è arrivata. La apro.
E' proprio dalla persona che mi aspettavo, ma non è una conferma. Anzi, molto peggio.



Comincio col fissare i tombini e gli idranti, per le strade. Ogni tanto torno a guardare più in alto, verso i chioschi di Hot Dog e il fondo delle vetrine dei negozi. Più passano le ore più i marciapiedi e le strisce pedonali diventano ai miei occhi interessante oggetto di studio scientifico. Li fisso attentamente, per quel che posso, mentre le mie compagne mi trascinano verso le mete che ci siamo poste per la giornata.
Per fortuna la visita al MET l'avevamo già fatta. Non avrei mai sopportato di alzare gli occhi verso i capolavori della galleria più famosa del mondo con il cuore così celato dietro alla tenda più nera della mia esistenza.
Non me lo sarei mai perdonato, a me stessa.
L'arte è arte sempre. Mi sarei sentita uno straccio a inquinare le opere di qualcuno con la mia negatività.
La mia profonda stupida ed insignificante negatività.




















Il cantuccio dell'autrice.
Salve ragazzi :) Purtroppo il proseguo della fic sta andando a rilento, manca l'ispirazione :(
Pubblicherò sabato, il 26 di novembre, l'ultimo capitolo che ho scritto.
Quando avrò aggiornamenti li segnalerò alla fine dell'ultimo capitolo della fic, per evitare casini :)

Ora che la parte istituzionale è finita, ditemi, vi sta piacendo? Siete curiosi di sapere cosa succederà alla nostra strana e sbadata protagonista? :)
Le recensioni sono il sale della vita. Vi prego, abbondate, che ho dimenticato di metterlo nell'acqua :P
... Battuta scema, lo so. Scusate l'autorino, che oggi è assai cretino :P
Grazie anche solo di averla letta, comunque. Non mi aspettavo così tanti lettori :)
A presto :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ceniamo da Friday’s, dove mangio il miglior hamburger della mia vita, dopo il veggie di Harvard. Cerco di fingere allegria, almeno a cena.
Usciamo dal locale e siamo in Times Square in cinque minuti. Decidiamo allora di fare come i veri newyorkesi e di rimanere a chiacchierare sulle seggiole colorate che stano davanti alla scritta dell’ormai chiuso Virgin. E’ proprio triste sapere che lo Store è fallito, osservando il riflesso di questa economia di cacca proprio su quei simboli che fanno di NYC un’icona.
Purtroppo la nostra minor età ci costringe lontano da bar e locali. Mamma mia, cosa darei per un Long Island! O perlomeno per un bicchiere di San Giovese, cazzo. Mi servirebbe proprio.
Come era scontato, le ragazze fanno conoscenza, un turista canadese ospite della sorella. Io non gli do tanta retta, il mio cervello è in tutt’alta atmosfera.
Blueness. Parola molto triste, e probabilmente sconosciuta al dizionario Oxford. Come del resto tutte le parole che creo sul momento.
Sono seduta su un muretto con gli occhi persi nel cielo, e quando realizzo che proprio quel cielo mi sarà sottratto tra meno di 48 ore torno a fissare il ben più monotono ma molto più facile pavimento.
Non faccio in tempo ad alzare i piedi che sento qualcosa bloccare i miei piani di seduta.
“Ouch!” esclama qualcuno, che probabilmente stava proprio davanti alla mia porzione di muretto. “Scusa!” esclamo, “Non ho fatto apposta, non ti ho proprio visto!” Avevo proprio dato i piedi in faccia a qualcuno! Da non credere!
“Non ti preoccupare, me la sono andata a cercare! La prossima volta farò dei segnali di fumo per farmi notare!” mi risponde, in perfetto italiano, la vittima del mio massacro.
“Ero sovrappensiero, non stavo facendo caso a nulla. Nemmeno al cielo, fai te!” dico, come per giustificarmi.
“Si vede che fai proprio dei pensieri di piombo, allora. Ben fissati per terra!” risponde lui, mentre mi siede di fianco. “Era lì che li volevi lasciare,” dice indicando il pavimento “ a terra?”
“Beh, diciamo che..” faccio per spiegare, ma mi interrompe: “ Sai, ogni tanto è meglio far prendere un po’ d’aria a noi stessi, soprattutto alla nostra testa!”
Lo guardo perplessa. Sembra un ragazzo normale, moro, mani scavate e voce rassicurante. E questo mi preoccupa. Nessun ragazzo così mi si avvicina di solito, figuriamoci se è normale che succeda in pieno Times Square!
“Hai ragione, hanno bisogno di una rinfrescata…” Sento il suo sguardo, un po’ titubante, un po’ rilassato. Mi guarda: “Ti va di raccontarmi un po’?”
Lo osservo di nuovo, guardandolo negli occhi: sono verdi, luminosi e raggianti. Proprio gli occhi di una persona sicura. Forse vale la pena fidarsi, almeno un po’, no?
 
Mi sono girata verso di lui, incrociando le gambe. Gli ho raccontato per ben dieci minuti tutti i problemi che mi hanno assalito in questi giorni, e non ha battuto assolutamente ciglio. “E così è tutta la giornata che non riesco a non pensare ad altro.” Concludo, rigirandomi verso il lato libero della piazza.
“Beh dai, ti posso assicurare che ce ne sono sempre di doppie disponibili a Bologna, anche a fine settembre. La città è costantemente tappezzata di annunci.”
Mi viene un dubbio, “Ma com’è che conosci così bene Bologna?”
“Io sono bolognese” mi risponde lui.
“Ma dai! Che coincidenza! Anche le mie amiche sono bolognesi! Magari vi conoscete!”
“Dubito, sono quattro anni che sono via…”
“Ah! Dove vivi allora? Qua?”
“Si lavoro nella libreria di mio zio, nell’Upper West” … E io, da brava cretina quale sono, esclamo: “Ohh come in “C’è Post@ per te”! “
“Quanto entusiasmo! E’ il tuo film preferito?”
“Diciamo che di film preferiti ne ho un Farinotti!” dico io ridacchiando.
Lui ci pensa un attimo, mi squadra da capo a piedi. Avevo un paio di AllStar verdi militare a stelle, dei jeans neri e una maglietta comprata allo store della NBC con scritto “30 ROCK” a caratteri cubitali. E giravo con una grossa borsa in pelle nera.
“Dimmi, vuoi frequentare il DAMS?”
Io ridacchio di nuovo, e scendo dal muretto. “ Ovvio. Come l’hai capito?”
“Beh, il cinema ti spunta dalla borsa” dice puntando gli occhi sul mio libro su Hitchcock che sbuca vistosamente dalla mia borsona. “Ahh, capito!”
Lui riprende il discorso: “Ma soprattutto me l’hanno detto i tuoi occhi: hai esultato alla citazione di quel film come un vero tifoso di calcio! … E poi hai l’aria dell’artista!”
“Davvero? Incredibile, e pensare che io non mi ritengo un artista!”
“Gli artisti non si ergono mai tali, sono gli altri che li trovano e definiscono  geniali”.
Mi si è avvicinato ancora, nel frattempo. Le nostre braccia si sfiorano. E i suoi occhi non fanno altro che cercare di scrutarmi dentro.








Il cantuccio dell'autrice.
Ciao ragazzi :) ho scritto la bozza del prossimo capitolo, ma devo revisionarlo molto (non mi convince affatto, voglio dargli un occhio attento).
Così, se va tutto bene lo pubblico sabato prossimo (attendo il viaggio in treno di venerdì <3 ), sennò segnalerò cmq sabato a che punto sono, a fine di questo capitolo :)

Ed ora.. che mi dite? Vi è piaciuto? Vi state chiedendo anche voi chi sia e da dove spunti questo donzello?
Come vi sembra, abbastanza interessante o totalmente inutile questa versione fanfictionata della mia vita?
Cosa ne pensate dell'idea di fanfiction su noi stessi e su ff rispetto a persone che conosciamo? dite la vostra :)
Nel frattempo, nel caso non dovessimo vederci, "buongiorno, buonasera e buona notte!" ! <3 (viva il citazionismo, pane di tutti i nerd del mondo)
Abbracci telematici *_*
Ebby

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ci dirigiamo in metro verso Brooklyn, vogliamo percorrere a piedi il ponte.
Sono le sei, più o meno. La luce è strana, il cielo si prepara al sopraggiungere della sera, e l’acqua accoglie a braccia aperte i nuovi colori del mondo.
Giallo, arancione, rosso.
Fatico a non perdermi nel meraviglioso spettacolo a cui assisto mentre passeggio per i sentieri segnati sul pavimento.
C’è troppo da vedere, tanto da pensare.
Sogni realizzati, ideali da raggiungere. Sfide da porsi.
Una vita sola non basta, si dice sempre. Ma forse non è necessario vivere tutto per essere felici, no?
 
Arriviamo alla fermata di Brooklyn Bridge dentro a Manhattan. E’ sotto una piccola zona verde, caruccia.
Faccio per tirare fuori il biglietto della metro dalla borsa e noto il libro che stavo leggendo durante il viaggio. Quello che il ragazzo bolognese aveva notato la sera prima.
Già.
Certo che potrei anche chiamarlo. In fondo ci siamo scambiati i numeri per risentirci, non c’è niente di male a chiamarlo così presto. Potrei mandargli un messaggio, magari.
Mi giro e mi rivolgo a Chiara: “Il tipo di ieri, lo chiamo?”, e lei, attivando la sua modalità cerbiatto mi dice: “Non è un po’ troppo invasivo?”
“Potrei scrivergli. In fondo parto domani, cazzo!” dico, ragionando ad alta voce.
“Ah già.. e allora fallo, dai, e vediamo che succede!”
Ovviamente nel mentre sto già scrivendo un possibile sms.
Lo rileggo, e con fare soddisfatto premo invio.
 
Mentre aspettiamo l’arrivo della nostra ordinazione gli chiedo di parlarmi del suo lavoro, di zio Michele e della sua vita a New York.
Lo zio è stato simpatico e gentile, nonostante mi avesse riconosciuto. Ero quella rompiscatole che pochi giorni prima gli chiedeva con insistenza un’informazione sulla copia di Pride and prejudice che era in vendita nella sua bancarella di beneficienza.
Mi aveva preso in simpatia, a quanto pare. Prima di uscire dalla libreria col nipote infatti mi aveva voluto parlare in ufficio. Per propormi un contratto di lavoro, in quella stessa libreria, famosa per il suo reparto sul romanticismo. Io sono sospettosa, in principio, e lui mi specifica che è alla ricerca di un responsabile preciso e possibilmente italianofono. In prova per un mese, giusto per imparare il suo metodo di gestione.
Mi ha lasciato qualche giorno per riflettere, che in realtà sono poche ore.
Non avevo intenzione di accennare della proposta a cena col bolognese, meglio sondare il terreno, avevo ragionato.
Lo zio è un po’ strambo, ma è un datore onesto e responsabile, mi spiega.
Era emigrato negli anni 60, e aveva comprato un piccolo negozio con l’eredità lasciatagli da una nonna. E si era fatto una vita.
Di lui invece mi racconta che finito il liceo aveva deciso di partire per gli Stati Uniti per cercare lavoro, e che alla fine lo zio aveva acconsentito a farlo lavorare nel suo negozio. Ma solo a condizione che frequentasse l’università, facoltà di lettere, e che pagasse tutto Michele stesso. E lui aveva infine acconsentito, con sommo gaudio.
“Ah, beh, immagino quale sacrificio, il tuo!!” sogghigno. “Esatto!” dice lui, ammiccando soddisfatto.
Arriva il sushi, e io comincio a wubbare.
Non c’è citazione o aneddoto cinematografico che batta una bella porzione di sushi.
Iniziamo a mangiare.



Il cantuccio dell'autrice.
Scusate il "ritardo" (è mezzanotte, in fondo :P ), ma Word mi ha dato seri problemi oggi. Da domani, open office, perdindirindina!
Finora nessuno ha commentato ancora (se non la giovane giudice della sfida ;D )....
ditemi qualcosa, almeno un "scusa, ho sbagliato citofono, pensavo di essere in una Drarry invece son finita in una commedia di nora ephron!
anyhow, leggete leggere leggete :D

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Sono confusa. Mi sdraio finalmente nel letto, e realizzo la serata che ho appena trascorso.
Mi hanno offerto un lavoro, ben pagato, a New York. Nell'ambito dei miei sogni, per giunta! Il tutto condito dalla conoscenza di un ragazzo tranquillo, dolce che ascolta ogni mio delirio con interesse e attenzione. Che mi ha chiesto di frequentarlo, per un po', di dargli una possibilità.
Mi prende la paura, sotto queste tranquille coperte dell'Holiday Inn. Così la mia nonnata, sicuramente tutt'altro che serena, ha inizio.

***

Quante immagini. Il ponte alle undici di sera. I menestrelli al Washington Square Park. Quella ballata.
Quella, cazzo. Proprio quella. E' il sogno di ogni "palladiniano": ballarla.
Le stelle, mai viste così. Sentirsi bene, tra le sue braccia. I suoi occhi. Lui.

"Cosa ne pensi?"
"Non lo so..."
"Non pensi valga la pena?"
"Potrebbe, ma..."
"Di cosa hai paura?"

***

Mi svegliano i rumori della strada. E' presto, sono le otto: dobbiamo partire nel tardo pomeriggio.
Mi alzo piano piano, e sul comodino trovo un biglietto:

Siamo scese a fare colazione.
Ti aspettiamo.
Scusaci per la sveglia X)


Mi giro e prendo il cellulare. La sveglia era puntata alle otto e mezza. Che carine, mi hanno lasciato dormire! Del resto, ieri sera sono tornata tardissimo, e tutto ho fatto tranne che riposare da quando sono tornata.
Sento il campanello di una bicicletta e mi affaccio alla finestra. C'erano un sacco di bambini per strada, con mamme e papà, tutti che si dirigono verso un bel edificio a mattonelle rosse a vista. Deve essere una scuola elementare.
Gli alberi che decorano i marciapiedi si stanno autunizzando, gettando tutte le loro bellissime foglie sulle strade. Gli spazzini si danno un bel da fare in questo periodo, penso. E' tempo di matite ben temperate, di odorosi evidenziatori, di libir e quaderni appena scartati dal celofan.
Eh già, proprio un bel periodo, persino il cielo è azzurro, oggi. Sembra proprio la giornata autunnale perfetta.
Mi vesto di buona lena ed esco dalla camera. Sullo zerbino c'è una copia dlel'USA Today, e mentre sono in ascensore me la sfoglio.
Ennesimo pluriomicidio nel Queens, leggo nella sezione di cronaca.
Beh certo, New York mica è il paradiso.




Il cantuccio dell'autrice.
Scusate il ritardo di quasi uan settimana, ma ho appena finito di dare un esame per cui non ero assolutamente preparata psicologicamente. Ora che ho finito gli esami per quest'anno posso dedicarmi a concludere la fan fiction. Penso che al massimo scriverò altri due capitoli, penso più probabilmente che il prossimo sarà l'ultimo.
Fatemi sapere cosa ne pensate, davvero. :)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Alzo il braccio destro  con nonchalance e un taxi si ferma vicino al marciapiede dopo pochi secondi.
Se c’è una cosa che amo di Manhattan sono proprio i taxi: comodi, non troppo costosi e rilassanti. Non ti devi preoccupare di nulla, se non dare le indicazioni al conducente, e tenerti da parte qualche banconota da un dollaro per la mancia.
La mia destinazione oggi però è il JFK.
Sto tornando in patria.
 
"Ma sei davvero sicura?"
"Certo che no! Ma ti pare?
La mia vita è tutta un'incertezza.
E mi piace così com'è."

 

Dopo una mezz’oretta arrivo a destinazione, e scendo dal taxi.
Osservo e contemplo il piazzale davanti all’entrata dell’aeroporto.
L’ultima volta che ci sono stata era settembre, quando ho salutato le mie amiche Bologno/Lecchesi che ritornavano a casa dopo la nostra vacanza newyorkese.
Ripenso a tutte le avventure che ho vissuto nell’ultimo anno in questo paese, e sento già nostalgia della mia nuova casa, del mio televisore e della mia collezione di dvd.
Ogni anno devo ritornare qualche giorno a casa in Brianza, per poter rinnovare il visto di lavoro.
Non sono mai tornata da quell’estate, in cui sono partita, pensando di tornare. 


Il mio compagno di viaggio è un bel macbook pro, con cui mi diletto a photoshoppare i "frutti" del mio""albero reflex", primo acquisto che ho fatto col primo stipendio serio.
Già, che ricordi i primi stipendi. I primi mesi. Quelli sì che sono stati abbastanza duri. Vivevo a Brooklyn, in un minuscolo monolocale, più una tana che una casa. Poi ho trovato un appartamento più serio e pulito, un po’ più dispendioso ma di sicuro più comodo, nell’Upper West, vicino alla libreria.
Frequentavo i ritrovi universitari la sera, assieme a dei colleghi. Mi ci è voluto poco per fare amicizia con le matricole della NYU. Così poco che ho iniziato piano piano ad informarmi nelle varie segreterie come poter continuare a studiare qua e fare domanda di trasferimento dal DAMS. Mi hanno dato pile di documenti, scadenze e procedure da assolvere. E conti di rette, cifre astronomiche per una ragazza che deve ancora ottenere il visto permanete e che deve tornare in patria una volta l’anno.
Mi hanno guidato un po’ verso il mondo delle borse di studio per stranieri, ma sono difficilissime da ottenere, per cui mi hanno consigliato di fare delle ricerche in Italia. Oppure di rivolgermi agli annunci dei finanziatori privati, ce ne sono un sacco negli Stati Uniti: dai prestiti post laurea ai lavori come il babysitteraggio (perché spesso le famiglie se benestanti si offrono di pagarti gli studi, se soddisfi le loro esigenze).
Ho contattato un paio di agenzie e fatto qualche colloquio. Spero che mi diano una risposta mentre sono in Italia, così posso accordarmi con Michele per il lavoro.
Il lavoro in libreria procede, ma non come mi aveva spiegato Michele: dopo la formazione mi ha assunto come commessa ordinaria, e da lì non mi ha più accennato a eventuali promozioni. Purtroppo i soldi sono quelli che sono, pure per la sua libreria. Ho parlato con suo contabile, un gran chiacchierone, che mi ha spiegato che la "cassa progetti"che si era messo da parte per realizzare dei piccoli miglioramenti per l’azienda è arrivata al fondo del barile.
Il suo simpatico nipote, dopo queste belle notizie, si è sentito in dovere di lasciare l’università. Spera di iscriversi con me l’anno prossimo, in una normale università pubblica.
Io e lui ci siamo frequentati per un po’, ma ci è bastato poco a capire che non eravamo fatti l’uno per l’altro.
Siamo diventati presto amici. Ma niente di più.
Ho frequentato un paio di ragazzi, americani, carini e sensibili, ma duriamo poco. Io sono uno spirito indipendente, estroverso. Loro mi chiedevano un rapporto di cui io non avevo bisogno, pieno di confidenze e smancerie da fidanzatini. Preferisco la solitudine, di gran lunga.
I miei nuovi amici dell’università sono tutto quello che ho di più caro al mondo, ormai. La mia nuova famiglia americana.

 



Due settimane dopo...

Alla fine sono riuscita a convincere qualcuno dei miei amici a venire con me, perlomeno Chiara!
L’ho convinta, dicendole che così avrebbe conosciuto i miei amici e che sarebbe stata ovviamente mia ospite… Così ci aiuterà con il primo corto che abbiamo in cantiere! Una vera damsiana ci servirebbe davvero, almeno come supporto critico! Spero nel suo occhio magico per il casting, sarà una vera impresa!
Mentre lei è indaffarata col mio pc a scrivere giù un paio di idee, io sono nel pieno della tristezza: i miei cuginetti sono venuti all’aeroporto ad accompagnarmi, visto che sono stata con loro pochi giorni soltanto.
Mi hanno fatto una sorpresa meravigliosa! Mi hanno regalato un bellissimo disegno: un piccolo panorama  di New York, con la statua della libertà e l’Empire State Building, e con una bella scritta, "Il paese della felicità".

 

"Elide, perché non sei tornata più lanno scorso? Avevi detto che venivi TU a portarci i regali da nuiokk!"
"Eh, bimbi miei, non sono tornata perché ho visto nuiokk e mi ha chiesto di rimanere da lei!"
"Ma poi tornerai di nuovo?"
"Certo, ogni vacanza!"
"Ma uffa, perché devi andare fino a là per lavorare? Non ti piace qua?"
"Non posso stare qua, sai Valerio? Quando crescerai e diventerai grande ti succederà qualcosa, troverai un posto, un lavoro o una persona che ti fa stare tanto e tanto bene. E quando ti capiterà dovrai coglierlo al volo, impegnarti tanto e goderne ogni singolo momento. Per questo sono rimasta a NY, perché è la che ho trovato la mia felicità!"
"E se io non la trovo?"
"Non devi mai perdere la speranza! Capito? MAI!
Ma soprattutto non dovrai mai perdere il sorriso, vedrai che sarà lui che ti aiuterà a trovare la felicità."







Il cantuccio dell'autrice.
Con quest'ultimo capitolo si conclude la mia fanfiction, un tocco delicatamente positivo, che spero sia stato apprezzato. :)
Che ne pensate? Vi è piaciuto?
La mia "sfidante" non ha ancora pubblicato la sua ff, ma se vi va di aggiungervi come concorrenti saremo ben liete di leggervi :)
Ps. scusate il ritardo, volevo scrivere prima di natale, ma l'ispirazione mancava proprio. Ho scritto e revisionato oggi questo capitolo, se trovate errori sapete perchè :P
Grazie a chi l'ha letta, la mia creaturina. Anche se non avete commentato so che avete letto con interesse! (non lo so davvero in realtà, ma è una speranza cosmica:)) )

E ovviamente grazie a Eden, la nostra Giudice, che ha recensito tutta la fic e seguito la storia.. e che mi ha supportato nei vagheggi su facebook e tumblr *__*

Finalmente posso scrivere la dedica, a cui tengo molto.


 

Alla mia famiglia. Quella vera.
Perché in qualsiasi circostanza spazio temporale sono certa
che vi troverei, e vi amerei, così come vi amo ora.






Arrivederci, 
Ebby Beckett.

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