A place in this world

di francy13R
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ready ***
Capitolo 2: *** There's nothing i do better than revenge ***
Capitolo 3: *** Paris 1 ***
Capitolo 4: *** Paris 2 ***
Capitolo 5: *** Paris 3 ***
Capitolo 6: *** Paris 4 ***



Capitolo 1
*** Ready ***








“Disadattata del cazzo, ecco come la dovrei intitolare questa miserabile storia. Quello che è certo è che non la raccomanderò a nessuno, non è una di quelle storie dove tutto è perfetto e l'unico problema è un fidanzato un po' troppo geloso o una fidanzata che gli fa le corna...”

 

Non seppi più cosa scrivere su quello stupido libricino. Avrei dovuto descrivere il mio aspetto fisico? E per far che? Ah già...alla gente interessavano quelle cose, ma il bello era che a me no. Seduta sul letto con la penna tra le labbra rimuginavo a come poter continuare. Mi sdraiai a pancia in giù torturandomi i capelli ancora umidi dopo la doccia. Il mio sguardo cadde sull'anta dell'armadio rimasta aperta e in particolare sullo specchio appeso ad essa. Stufa di tutte quelle coincidenze mi alzai e chiusi definitivamente l'armadio, in modo che non potessi nemmeno vedere di sfuggita il mio aspetto. Odiavo qualsiasi cosa che mi appartenesse, odiavo la mia scuola, odiavo le persone che la frequentavano, odiavo il mondo intero e in quel preciso istante iniziai ad odiare l'odore troppo dolce di ammorbidente del golfino blu che indossavo.

Non ero una emo masochista che ad ogni possibile occasione tentava di tagliarsi i polsi come segno della sua infinita sofferenza, nemmeno una punk che aveva come unica filosofia la musica rock-metal e non mi drogavo. Ero io, semplicemente una ragazza di diciassette anni che ne aveva piene le scatole di tutte le ingiustizie che passavano inosservate in quel mondo, tanto da odiarlo in ogni sua singola sfaccettatura.

Le cose positive nella mia vita? Mmm Non molte se non una: i libri. La mia camera piccola ma accogliente rivelava la mia vera essenza, la mia anima. Infatti sparsi a terra vi erano all'incirca un centinaio di libri, alcuni dei quali trattavano di argomenti seri come Anselmo D'Aosta e la sua strana ma intrigante filosofia, altri invece erano uno sfizio: i soliti fantasy la cui trama ti rapiva in libreria tanto da farteli comprare.

Amavo leggere, ma non era un comune amore, era qualcosa di più. Ogni volta che le mie dita sfioravano un libro la mia mente partiva a razzo articolando miliardi di pensieri, alcuni dei quali senza senso, e quasi istintivamente i muscoli si rilassavano, il cuore si animava davanti alle pagine gialle di un vecchio volume di retorica o davanti alla Divina Commedia.

E se mi reputate strana, be' problemi vostri.

Avevo iniziato a fregarmene dell'opinione altrui ormai da troppo tempo, le offese, i giudizi negativi o le prese in giro non mi sfioravano nemmeno, anzi non arrivavano neanche alle mie orecchie. Forse mi ero creata una bolla sicura attorno a me che solo in pochi riuscivano a violare, anzi solo una riusciva a violare, ma mi importava ben poco che fosse una cosa negativa o positiva.

Vivevo secondo la mia filosofia e mi ritenevo fortunata, io avevo un mio essere, mentre la maggior parte delle persone là fuori copiava per essere accettata, erano solo tante anime perse che trovavano conforto nel primo modello decente che gli capitasse davanti. Quando gli passavo accanto l'unica cosa che potevo pensare era: povere!

Mi girai fino a guardare il soffitto, avrei dovuto attaccare qualche poster anche lì, sulle altre pareti non c'era più spazio. La mia stanza: cinque metri quadrati in cui avevo passato la maggior parte della mia vita. Quelle mura mi conoscevano meglio di chiunque altro. La parete alla quale era appoggiata la tastiera del letto era di un rosso cupo, il mio colore preferito, mentre le altre erano nascoste dall'armadio e dalle migliaia di fotografie che avevo scattato in giro per il mondo.

In giro per il mondo...Di tanto in tanto sfuggivo alla monotona vita di Milano per rifugiarmi in tutte le città europee che per me avevano un significato speciale. Parigi era il primo luogo in cui ero stata, a quindici anni.

Ero letteralmente fuggita, non avevo avvertito ne mio padre tanto meno Nancy, la sua nuova mogliettina.

Ah ecco cosa dovevo aggiungere!

 

“Parlando della mia vita e delle persone che mi circondano non bisogna tralasciare la fottuta stronza moglie di mio padre, una vipera, un mostro capace di far scomparire una banconota da cinquecento euro in mezz'ora. Come la chiamereste voi: la matrigna cattiva. Ma è qui che vi sbagliate! Lei non è cattiva alla mia vista, ha solo bisogno di essere al centro dell'attenzione, cosa che in mia presenza non è mai. Non ha mai fatto male ad una mosca con le sue delicate dita. Diciamo che non avendo mai fatto nulla nella sua vita è impossibile che abbia fatto del male a qualcuno. Un'altra vostra domanda potrebbe essere: e allora perchè tuo padre l'ha sposata? Be' se avete dei suggerimenti fatevi avanti perchè io non lo so proprio, so solo che la mia vita prima che arrivasse lei era uno schifo, ma adesso è veramente peggio. E non so cosa ci possa essere di peggio dello schifo! Per favore illuminatemi!”

 

Bene, stavo decisamente sclerando. Chiedere consigli ad un quaderno...

Lo chiusi e lo lanciai dall'altra parte della stanza facendolo atterrare su un mucchio di libri. Chiusi gli occhi cercando di rallentare il ritmo del mio cuore, non c'era motivo di essere così agitati, era già tutto programmato... oh forse non tutto, ma il resto sarebbe venuto da se.

Troppe informazioni! Inspirai e tentai di riordinare la mia mente.

Aprii gli occhi e la prima foto che mi trovai davanti era quella scattata da Matthew sulla Tour Eiffel, avevo i capelli più corti e il volto ancora rotondo.

Si vedeva tutta Parigi sullo sfondo e non mi ero sentita mai così libera come in quel momento quando avevo realizzato il mio più grande sogno, quello di visitare la città di mamma. Mamma... Inevitabilmente una lacrima scese lungo la mia tempia e scomparve tra le pieghe del piumone. Era morta da ormai quattro anni. Non mi ricordavo quasi niente di lei, nonostante avessi condiviso ogni mio singolo giorno con quella donna, sembravano essere passati secoli dall'ultima volta che la vidi varcare la soglia di casa, sempre con quel volto scocciato dalla mia pigrizia e dalla mia scarsa voglia di riordinare la camera. Era morta per andare a prendere dello stupido sale al supermercato. Ogni volta che ci pensavo mi veniva voglia di sbattere la testa contro un muro.

-Cazzo!-, esclamai in preda al quel dolore all'altezza dello stomaco che mi colpiva ogni volta che pensavo a mamma. Scarse immagini, lampi di un secondo si riversarono nella mia mente: i capelli neri che raccoglieva sempre in una chignon, il rossetto rosso con il quale dipingeva le sue labbra, il profumo della cipria sulle sue guance sempre troppo pallide e la sensazione delle sue fredde e affusolate dita sulle mie spalle.

Aveva lasciato tutto per il suo amore più grande: mio padre. Aveva abbandonato la sua vita a Parigi, gli amici, i parenti...era riuscita a staccarsi da una vita che non le apparteneva e a crearsene un'altra.

Solo da lei avrei potuto prendere quel lato intraprendente e senza paura che mi aveva spinta, per mezzo di autostop, ad allontanarmi da Milano. Era stata come una boccata d'aria fresca.

Non sarei mai riuscita a fare quello che avevo sempre voluto fare senza le persone che avevo incontrato durante quel viaggio.

Cercai di ritornai con i piedi per terra. Forse nel quaderno avrei almeno dovuto scrivere il mio nome. Mi alzai svogliata e lo raccolsi lisciando una piega nell'ultima pagina.

 

“Mi chiamo Eve, ho ormai diciotto anni e..”

 

Era inutile girarci intorno, prima o poi avrei dovuto scrivere il perchè di quella specie di diario da bambini di cinque anni.

 

“ho iniziato a scrivere su questo quadernetto perchè voglio documentare il mio viaggio, per filo e per segno, non dico che descriverò anche le soste alla toilette, ma quasi... Diciamo che il mio non sarà il solito viaggio di due settimane, ma sarà un po' più lungo. Sin da quando ero piccola desideravo esplorare il mondo. Sono sempre stata incapace di stare ferma, ogni volta che torno qua a Milano mi sembra di essere oppressa. Certo è una città bellissima, ha le sue attrazioni, ma voglio vivere e questo non è il genere di vita che voglio. Quindi mi sono organizzata aspettando il mio diciottesimo compleanno, la mia più completa libertà, autonomia ed indipendenza per partire, lasciare per sempre tutto quello che è incollato in questo luogo.”

 

Sorrisi. Non mi sentivo così libera da fin troppo tempo ormai infatti l'ultima scappatella era durata solamente una settimana a causa del poco denaro che avevo portato con me.

Mio padre era un architetto e di certo i soldi non gli mancavano, ma non volevo pesargli, quindi contro la sua volontà avevo trovato un lavoro da cameriera in un ristorante non molto lontano da casa e avevo iniziato a racimolare un po' di soldi, abbastanza per sfuggire temporaneamente da casa.

Fino a quel momento avevo vissuto con la certezza che nonostante fossi in tutte le città dell'Europa, sarei dovuta tornare prima o poi.

Ma questa volte era diverso, questa volta avrei lasciato tutto per davvero.

La cosa che mi sarebbe mancata di più sarebbe stata casa mia: l'attico progettato da papà dal quale si godeva una vista meravigliosa, potete immaginarvi il perchè... In quella città così caotica e vitale quello era l'unico angolo di pace che mi rimaneva, il mio rifugio personale sfuggente al suono dei clacson o al rombo delle moto. Era il mio piccolo paradiso terreste, violato quando Nancy ci aveva messo piede.

Infatti adesso sembrava un confetto, non vi erano più libri sparsi per il tavolo della cucina, cartoni di pizza sul divano, la televisione sempre accesa e nemmeno il profumo delle lasagne che impregnava l'aria la domenica mattina.

La mia nuova “mamma” non si sarebbe mai azzardata a toccare i fornelli, avrebbe rischiato di rompersi le unghie rifatte, figuriamoci di lavare i piatti, perciò quello che mangiavamo proveniva dalla gastronomia dall'altra parte della strada. Con la scusa delle lezioni di danza (che coprivano il lavoro) e lo studio non mangiavo quasi mai con loro, preferivo comprare qualcosa al supermercato e divorarlo in camera oppure scroccare qualche fetta di pizza durante il mio turno.

Alcune volte mi chiedevo come fosse possibile che papà avesse scelto una donna così diversa dalla mamma. Non ero contraria al fatto che si rifacesse una nuova vita, anzi ne avevo bisogno, perchè sapendo che lui era felice anche io lo sarei stata, ma proprio lei doveva scegliere?

Papà...Chissà cosa avrebbe pensato del mio gesto! Per un attimo nella mente mi balenò l'idea di rimanere, ma sapevo che se avessi deciso ciò me ne sarei pentita per il resto della mia vita.

 

Dall'altra parte della porta chiusa a chiave mio padre bussò e disse: -Eve è pronta la cena! Mangi con noi?-. Notai la punta di speranza nella sua voce.

-No, non ho fame!-, esclamai con le lacrime agli occhi. Mi sarebbe mancato papà, il mio papà, quello che mi prendeva in braccio la mattina per portarmi davanti al tè e ai biscotti che mamma preparava, quello che la sera quando tornava dal lavoro continuava a ripetermi quanto fossi bella, quello che non lasciava mai la mia mano durante il funerale... Forse un giorno l'avrei rivisto.

Sentii i suoi passi che si allontanavo. Così mi alzai e mi diressi nel mio bagno. Aprii un'anta seminascosta, presi una birra e una confezione di patatine. Andavo avanti così da ormai due anni e il risultato di quell'alimentazione sregolata erano i fianchi rotondetti che si intravedevano quasi sempre sotto una maglietta e il passaggio dalla 40 alla 42, ma ero alta, quindi la cosa si intravedeva appena. Comunque il fatto che avessi qualche chilo in più mi era del tutto indifferente.

Raccolsi i capelli neri in una crocchia disordinata e accesi il computer per controllare il mio profilo di Twitter. Andai immediatamente sul profilo di Matthew per vedere se c'erano novità, ma dedussi di no data la presenza di un misero tweet sul tempo autunnale. Non aveva disdetto! Mi sentii sollevata. Il fatto che mi dovessi appoggiare ad altre persone oltre che me stessa mi rendeva nervosa, avrebbero potuto cambiare idea da un momento all'altro e se questo fosse accaduto tutto ciò che avevo organizzato sarebbe andato in fumo.

Ancora quattro giorni, il tempo che convalidassero la mia maggiore età, e sarei partita.

Prima destinazione: Parigi.

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Capitolo 2
*** There's nothing i do better than revenge ***








Arrivata a scuola notai con un po' di delusione che le cose non erano cambiate e come tutti gli altri giorni mi diressi verso la mia classe cercando di essere invisibile.

Il gruppo delle “fighe” si esibiva per i corridoi spalmandosi sui rispettivi ragazzi come la Nutella sul pancarrè. Non esiste similitudine più adatta di questa. Le secchione con venti paia di occhiali da vista erano riunite in un angolo intente ad esaminare i loro libri di storia e i truzzi appoggiati al muro le deridevano. Gli atletici con le loro solite tute facevano i loro soliti giri intorno al campo da basket al di fuori dell'edificio e i poveretti che non avevano mai avuto una ragazza in tutta la loro vita e passavano la maggior parte del loro tempo chiusi in camera a masturbarsi avevano lo sguardo incollato ai sederi delle ragazze che correvano.
Poi c'erano le vie di mezzo, quelli che non appartenevano a nessuno di questi gruppi e poi c'ero io, quella a cui le persone evitavano di rivolgersi. Talvolta mi chiedevo se fossi costantemente vestita da Halloween, ma poi la risposta alle mie domande arrivava immediatamente: ero strana. Tutti sapevano che qualche volta me ne andavo di casa e molti erano convinti che andassi a vivere sotto i ponti, a quelle affermazioni non potevo che ridere.
Mi mancava quella di essere considerata una poveraccia.
Sapevo di non appartenere alle “vie di mezzo” perchè queste avevano il privilegio di essere ignorate .

Appena passai davanti alle fighe alzando al massimo il volume del mio i-pod per evitare che i loro commenti acidi giungessero alle mie orecchie, una di loro si staccò dal gruppo e mi si parò davanti.
Disse qualcosa e io per non fare la maleducata mi tolsi una cuffia dicendo: -Scusa?-.

-Ho detto: dove credi di andare vestita in quel modo?-. Mi squadrò dalla testa ai piedi. Quel giorno avevo indossato una semplice gonna lunga fino ai piedi di tutte le tonalità del blu e una maglietta larga beige, non mi sembrava di aver esagerato dato che la temperatura, nonostante fosse Ottobre, era ancora abbastanza mite.

Non era la prima volta che si mettevano sulla mia strada. Mi insultai nella mente per essermi tolta la cuffia.

-Dove credo di andare? In classe! E mi stai intralciando il passaggio, quindi levati-, dissi con tutta la tranquillità di questo mondo e senza aspettare una sua risposta le girai intorno per proseguire.

Mentre rimettevo all'orecchio la cuffia sentii in lontananza: -Cosa vi avevo detto? Quella si droga, che schifo!-.


Non potei non sorridere. Già mi drogavo come pochi, mai quanto quella biondina con il complesso della dea onnipotente. Forse nessuno mi considerava, ma una cosa che adoravo da matti era il gossip. Non mi servivano molte informazioni per capire la gente e quello che combinava, tanto che quando la nemica della Dea era stata arrestata per possesso di droghe ed espulsa intuii immediatamente che ci fosse lei sotto quella storia ed infatti ne ebbi la certezza nei bagni della scuola.
Naturalmente feci una chiamata anonima alla polizia fornendole tutte le prove necessarie per portare in libertà Rachele che non mi era mai stata antipatica, anzi era una delle poche con cui scambiavo due chiacchiere durante la ricreazione. Sotto sotto anche io agivo, ma evitavo di sbandierarlo in giro per evitare che le persone mi odiassero più del dovuto.
Tutti quei pettegolezzi mi sarebbero mancati, ma più di tutti mi sarebbe mancata Agnes, una semplice ragazza come me, ma che a differenza degli altri captava immediatamente il mio stato d'animo e mi lasciava in pace se ero di cattivo umore. Forse non mi capiva del tutto, ma era quella che si avvicinava di più al mio mondo. Avrei voluto portare anche lei via da quel covo di serpi, ma non me l'avrebbe permesso, Agnes a differenza mia aveva una vita che adorava a Milano e troppe cose che la trattenevano qui.

Passai l'ora di storia e quella di filosofia a disegnare sagome sfuocate sul quaderno degli appunti. Sapevo già tutto della prima guerra mondiale, avevo letto esattamente sei libri riguardanti quest'argomento. Inoltre la professoressa sapeva che era inutile disturbarmi e tentare di trovarmi impreparata perchè non era mai successo e mai sarebbe accaduto.

Durante l'intervallo mi sedetti sulle gradinate all'esterno e mi accesi una sigaretta mentre tenevo sulle ginocchia un libro sul complesso di Edipo. Dopo qualche minuto assorta sulla tesi di un filosofo contemporaneo non vidi la palla che centrò in pieno il mio stomaco. Senza fare troppe sceneggiate, nonostante fosse una palla da basket, la presi e la lanciai ad un ragazzo.

-Tutto ok? Scusa!-, disse lui con un sorriso sul volto. Lo guardai male. “Se non ti ho detto niente vuol dire che sto bene”.

Annuii semplicemente e ritornai con la testa nel libro. Stupidi dopati!
Quel ragazzo però era pignolo e fece il grave, anzi gravissimo errore di sedersi vicino a me. All'inizio lo ignorai.

-Che stai leggendo? Non sembra molto interessante!-, commentò come se potesse comprendere anche una singola parola di quel manuale.

-Invece lo è!-, dissi scocciata. Alzai la testa e incontrai i suoi occhi di un marrone simile a quello del cioccolato al latte. I capelli sul biondo scuro gli cadevano sulla fronte sudata appiccicandovisi.

-Non ti ho mai vista in giro!-, esclamò avvicinandosi. Ok, poteva anche essere un ragazzo carino, ma non era il mio tipo. Sembrava un bambino delle elementari con quelle fossette e quel sorriso accennato e in vita mia mi ero già imbattuta in troppi bambini.

-Senti adesso vedo che sei presa dal libro, ma magari stasera...-

Non lo lasciai finire la frase. -No, grazie ma qualsiasi cosa tu mi stia per chiedere è no-. Mi alzai buttando il libro nella tracolla e sistemandomi la gonna.

-Stasera c'è una festa a casa di Steve, sai chi è? Comunque se ti va ci possiamo vedere là-.

-No-, risposi e mi fiondai per i corridoi.

 




“Un tipo mi ha invitato ad una festa! Il fatto è che domani me ne vado ed ecco, forse dovrei farci un salto, sai giusto per divertirmi! Agnes ci va e quando ha saputo dell'invito mi ha praticamente supplicata di andarci. Forse ci faccio un salto, forse!”

Scrissi queste misere parole sul libretto, poi incapace di stare ferma iniziai a camminare attorno al letto nervosa. Dopo tutto era solo una festa! Non mordevano mica, inoltre se le mie previsioni erano giuste ci sarebbe stata anche la Dea e non me ne volevo andare senza lasciarle un piccolo regalo.
Sapevo esattamente chi fosse il ragazzo che si era seduto vicino a me il mattino precedente: Diego, il suo ex, che lei aveva lasciato. Ma le ragazze come lei si pentono sempre di lasciare dei fustacchioni del genere, soprattutto se a questi la cosa non fa ne caldo ne freddo.
Sorrisi tra me e me. Si ero una stronza e ne andavo fiera.

 


Aprii l'armadio e presi il primo vestito che trovai, se volevo fare quello che volevo fare dovevo almeno rendermi presentabile. Il vestito di un bel verde smeraldo scendeva aderente fino a metà coscia ed evidenziava le mie curve un po' più abbondanti del dovuto. Lasciai i capelli sciolti al naturale ed evidenziai con un po' di matita gli occhi dello stesso colore del vestito.

Per le scarpe dovetti arrangiarmi diversamente, non ne avevo neanche un paio con il tacco. Quindi aprii la porta e mi assicurai che in casa non ci fosse nessuno. Ah giusto, Nancy avrebbe dovuto trovarsi al corso serale di Yoga.
Entrai nella camera di papà e fregai il primo paio di scarpe con il tacco che trovai nell'armadio di sua moglie, con tutte le scarpe che aveva non se ne sarebbe neanche accorta.

Indossai il cappotto a tre quarti nero e uscii con l'intenzione di divertirmi almeno l'ultima sera della mia vecchia vita. Il giorno dopo sarebbe cambiato tutto, avrei spiccato il volo. Sorrisi tra le strade affollate di Milano stringendomi nel copricapo. Se il giorno la temperatura arrivava fino ai 25 gradi la sera calava drasticamente.
Steve era un ragazzo americano con un grande attico nel centro del capoluogo ed era letteralmente un “figlio di papà”. Viveva nel lusso assoluto, ma a parte quel piccolo dettaglio era simpatico e con me si era sempre comportato in modo quasi normale, alcune volte a scuola riusciva addirittura strapparmi un sorriso con le sue stupide battute.
Sarebbe stato felice di vedermi.

Arrivata a casa sua lasciai titubante il cappotto alla governante e mi diressi incerta sui tacchi 12 verso la sala dalla quale giungeva una canzone di Pitbull a me sconosciuta. Non mi era mai piaciuto quel genere di musica, preferivo il pop.
Il vestito corto era più che appropriato e vedendo che la maggior parte delle ragazze indossava i tacchi mi rilassai, presi un bicchiere di Champagne e andai alla ricerca di Agnes. Quando la vidi aumentai il passo sperando di passare inosservata, ma un braccio mi prese per la vita e mi costrinse a deviare il percorso.

Scossa alzai lo sguardo e ritrovai davanti ai miei occhi quelli cioccolato di Diego.
Non era ancora il suo turno, erano solo le dieci.

-Alla fine sei venuta!-, sussurrò al mio orecchio trattenendomi. Mi scansai.

-Eh mi hai convinta-, mentii.

Lui si voleva divertire e sinceramente anche io, era da un po' che non baciavo qualcuno. Vi potrà sembrare strano, ma quando ho detto che non mi interessavano i ragazzi intendevo i fidanzati. Mi piacevano le storielle di una notte, massimo due. Non c'erano vincoli e ognuno in futuro avrebbe potuto fare quello che voleva. La cosa era molto più eccitante.
La cosa che Diego non aveva capito era che volevo fare le cose per bene. Sarebbe stato uno spasso dato che era evidentemente attratto da me. Gli riservai un sorriso e mormorai al suo orecchio: -Tra un ora qui!-.

Dopo di che scappai e mi unii ad Agnes, che quella sera indossava un abito a tulle color del cielo estivo, e al suo gruppo. Quando Steve mi notò lasciò i suoi amici e mi riservò un caloroso abbraccio.

-Da quanto signorina! Come mai qui? Non che non sia felice, ma è strano vederti tutta in tiro-, disse facendo scorrere lo sguardo sul mio vestito e soffermandosi sulle gambe nude.

-Anche io ho bisogno di svagarmi! Comunque complimenti, bellissima festa!-.

-Avevi dubbi? Io sono Steve: il re delle feste!-, urlò e metà della gente presente si girò e iniziò ad applaudire.

-Ok, adesso per evitare figuracce ritorno dai miei amici "normali"-, gli sussurrai ridendo. Mi diede un bacio sulla guancia e anche lui ritornò dai suoi compagni.


 

Cinque minuti prima dell'appuntamento mi ritrovai nel bagno intenta ad evidenziare le mie labbra con un rossetto rosa. Uscita incontrai la Dea che esibiva il suo vestito fucsia e i capelli da Barbie. Le andai addosso volontariamente, in modo che in seguito mi tenesse d'occhio.
Infatti mentre mi dirigevo verso la nicchia nella quale avevo parlato con Diego mi girai e notai che mi stava fissando.

Una mano sbucò dal nulla e mi prese per il polso facendomi trovare con la schiena contro il muro. Diego davanti a me sussurrò avvicinandosi sempre di più e facendo aderire il suo corpo al mio: -Com'è possibile che non ti abbia mai vista a scuola?-. Risi. Quante volte avevo sentito quella domanda da ragazzi come lui? Occupati a guardare ai piani alti tanto che non vedevano le persone che gli stavano di fronte?

Non mi sarebbe dispiaciuto, era carino e sexy con quella camicia bianca e i capelli all'aria. Affondò la testa tra l'incavo del mio collo e la mia spalla nuda baciandomi la clavicola e lasciando una scia incandescente su di essa.
I suoi capelli iniziarono a solleticarmi la guancia così mi abbassai fino a ritrovare i suoi occhi. Naso contro naso. Aveva bevuto qualche bicchiere di troppo dato il suo alito che sapeva di alcool e me ne approfittai, sicuramente non me ne sarei sentita in colpa.

Avevo spento il lato compassionevole che era in me.

Diego mi accarezzò i capelli facendo scivolare l'altra mano lungo la mia schiena e attirandomi sempre più contro di lui mi baciò con passione. Lo spinsi contro il muro ribaltando la nostra posizione senza staccare le mie labbra dalle sue.

-Andiamo in camera di Steve!-, sussurrò ansimante contro la mia pelle.

L'urlo che sentii mi bastò per staccarmi da lui, pizzicargli il labbro e allontanarmi.
Aveva visto tutto. Non riuscii a trattenermi dal sorridere trionfante.


Prima di scappare abbracciai Agnes per un'ultima volta e senza rimpianti o ripensamenti lasciai quella festa decisamente magnifica. Per ultimo incrociai lo sguardo sconvolto della Barbie e la salutai sorridente.


-Ci si vede!-, le sussurrai sicura che avrebbe capito. Eccome se avrebbe capito. Probabilmente il giorno dopo sarebbe stata ad aspettarmi per una sfuriata, ma sarebbe stato troppo tardi. Non che fossi una codarda. “Consideralo un regalo da parte mia! Scusami, questo era l'unico modo per farti ricordare che al mondo non esisti solo te ma ben sette milioni di persone. Forse cambierai da questa sera, capirai che la vita talvolta è uno schifo e che la ruota della fortuna gira e non sempre si ferma su di te, ma ne dubito, in fondo le stronze rimangono stronze”.

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Capitolo 3
*** Paris 1 ***






“Sono partita questa mattina alle cinque, ho lasciato come al solito un biglietto sopra il tavolo della cucina con scritto -non chiamare la polizia, ho bisogno di tempo, ti voglio bene papà-. Fa male, ma dopo qualche giorno passerà, è sempre stato così. Non me ne pento minimamente. Forse il mio babbo starà meglio senza di me, una preoccupazione in meno, spero solo che la sera prima di addormentarsi tra le braccia di quella donna si ricordi di me qualche volta! Chiedo troppo?

La camera sembrava così spoglia...”

 

Una lacrima scivolò lungo la mia guancia. Il mio piccolo e caldo rifugio era diventato un semplice spazio vuoto e prima di abbandonare per sempre quella stanza avevo sentito come se un pezzo del mio cuore si fosse staccato e fosse rimasto là.

 

“Non è che sto disseminando parti del mio cuore per il mondo? E se fosse così mi rimarrebbe una parte di esso per rimanere in vita?”

 

Alzai lo sguardo verso il finestrino del treno. Erano le 10:13 e le nuvole quel giorno si potevano sfiorare alzando la mano. Era una di quelle giornate che avrei sicuramente passato seduta nel parco davanti al castello Sforzesco a leggere un libro rallegrata dai turbini di vento e dalle foglie che avrebbero accarezzato il suolo. Le montagne del Piemonte si alzavano imponenti davanti a me e la ricca flora dorata mi fece sorridere. Si, di sicuro l'autunno era la stagione più bella dell'anno. Tutti quei cambiamenti, il sole che tramontava sempre più velocemente, le nuvole che si addensavano creando un immenso spettacolo che mi lasciava senza fiato e il primo freddo; quello che la mattina ti svegliava dal breve letargo e ti faceva rabbrividire, quello che ti conduceva inevitabilmente davanti ad un tè caldo, quello che ti solleticava il naso e le gote appena uscivi di casa.

Forse tutte quelle sensazioni sarebbero durate anche nel mio viaggio.

 

“Ieri sera verso le due ho infilato tutte le fotografie che avevo in un album, certo non mi è bastato tutto, le altre le ho ficcate sotto il solito asse del parquet. Accipicchia, sembra quasi un film! Non ho portato tanta roba con me, dei vestiti posso farne a meno. Però Matthew ha detto che se avessi avuto bisogno di spazio avrei potuto portare un po' di cose nel suo appartamento, quindi ho preparato una valigia con dentro l'album, un po' di libri e devo dire che la scelta è stata davvero difficile con tutti i volumi che volevo portarmi dietro, da 235 sono passata a 45, gli altri sono sotto l'armadio. Spero almeno che Nancy non li butti, quella Barbie.... Ah, il cellulare l'ho lanciato dal balcone, spero almeno che nessuno l'abbia ricevuto in testa, di questo si che me ne sentirei in colpa! Il cellulare direi che non mi servirà, forse un giorno me ne comprerò un altro, avrò un altro numero di telefono e nuovi numeri sulla rubrica, ma in quel momento potrò dire che la mia vita sarà perfetta, quindi mi sa che manca ancora molto al mio acquisto! Ho preso i soldi che, devo dire, sono un bel po'...Sono fiera di me, per il lavoro fatto e per tutte le pizze e i piatti consegnati, ogni goccia di sudore significava un passo in più verso la libertà e adesso che ce l'ho fatta non mi sembra vero!”.

 

Dopo aver scritto sul quaderno iniziai a sentire la stanchezza, infatti la notte precedente avevo dormito poco più di un'ora per l'agitazione. Ma adesso che mi trovavo su un treno diretto a Parigi con le cose a me più care sopra la mia testa, avrei anche potuto schiacciare un sonnellino. E fu così che dormii per tutto il viaggio.

Mi svegliai quando sentii una mano sulla spalla scuotermi leggermente. Aprii gli occhi di botto e mi sistemai sul sedile.

-Signorina, mi dispiace svegliarla ma siamo arrivati!-, disse in perfetto francese un uomo in divisa.

-Oh, grazie-, risposi.

Presi la mia roba e stranamente con poca fatica ed evitando orribili capitomboli per il corridoio del treno ancora pieno di gente, scesi da esso. Matthew mi avrebbe aspettato di fronte alla Tour Eiffel, lo stesso luogo dove era avvenuto il nostro primo incontro esattamente tre anni prima.

Mi sentivo agitata, nonostante avessi visto le sue foto su Twitter, sapevo che lo avrei trovato diverso: un vero e proprio uomo e sapevo anche, anzi lo sapevo benissimo, di avere una cotta per lui, ma quello era solo un piccolo, insulso, insignificante e aggiungerei misero dettaglio.

Mentre camminavo notai che non era cambiato niente, era come se fossi sempre vissuta lì. Il panettiere dove avevamo comprato le focacce quel pomeriggio, il negozio di pelle dove Matthew mi aveva regalato una borsettina in pelle persa nel mio armadio e.... e la Tour Eiffel davanti a me. Così imponente, maestosa, il simbolo di quella città maledettamente raffinata e chic. Prima di raggiungerlo davanti alla “nostra” cabina telefonica mi diressi verso un caffè all'angolo della strada ed entrata mi sedetti ordinando una tortina con la glassa rosa che avevo visto al di là della vetrina e un caffè macchiato.

Ecco cosa mi erano mancate più di tutte: le tortine. Quei pasticcini che non potevano essere chiamati tali perchè erano troppo grandi e non potevano essere chiamati torte perchè troppo piccoli. Pagai la cameriera che aveva posato il mio “pranzo” (leggermente scarno, ma non avevo fame), ma questa vedendo che le avevo dato i soldi contati non si spostò. Già, dimenticavo quanto fossero esigenti a Parigi...

Posai annoiata e leggermente contrariata un euro sulla sua mano e cercai di non notare la sua faccia insoddisfatta, dopo di che si dileguò e mi lasciò in pace.

La tortina si rivelò ultraterrena, infatti al suo interno mi stava attendendo una dolce crema pasticcera con piccoli e croccanti pezzetti di zucchero colorato che divorai famelica. Altro che bon ton...

Il caffè mi scaldò e mise a tacere il mio stomaco.

Nel bel mezzo delle mie considerazioni sulla bellezza del parco davanti a me e sul disgusto provato guardando due ragazzi che si stavano mangiando a vicenda, mi ricordai dell'appuntamento. Diedi un'occhiata all'orologio e sbuffai: in ritardo come al solito.

Da quella postazione potevo vedere benissimo la malridotta cabina telefonica nella quale tre anni prima mi scontrai con Matthew, quindi se fosse arrivato lo avrei sicuramente riconosciuto.

Il rumore di una sedia che grattava il pavimento dietro di me mi distrasse dallo scrutare attentamente qualsiasi persona vicino alla cabina.

-Sai, all'inizio non ti ho riconosciuto, ma quando hai iniziato a girarti i pollici e a sbuffare ho capito che eri te, dimmelo, dimmi che sono un fottuto genio-, sussurrò qualcuno al mio orecchio. Non sobbalzai come mio solito perchè lo riconobbi subito.

Mi girai di scatto e senza neanche guardarlo in faccia lasciai la sedia e lo abbracciai. Si, era Matthew.

Lui mi strinse a se e affondò il viso nei miei capelli. Quanto mi erano mancati quei ricci di quel colore indefinito che andava tra il rosso al biondo e la loro morbidezza. Se li era sicuramente appena lavati, perchè quando lo strinsi sentii il forte profumo di shampoo e senza esitare infilai una mano tra di essi sorridendo.

Matthew mi prese delicatamente una spalla e mi fissò negli occhi. Era alto almeno dieci centimetri in più di me e la prima cosa che si notava di lui erano gli occhi: era un colore speciale. Non il solito azzurro tipico dei biondi, ma era un azzurro mischiato a delle pagliuzze verdi e più ci si avvicinava più si vedeva che intorno alla pupilla quei due colori intensi si miscelavano creando un blu oltremare unito ad un verde smeraldo abbagliante. Forse quello era l'elemento più bello in lui, ma non c'era da tralasciare quella magnifica barba che spuntava sulle sue guance e che lo faceva assomigliare ad un'artista di strada tutto trasandato. Eppure i vestiti lo tradivano, infatti quel giorno, per proteggersi dal freddo aveva indossato sopra la camicia a scacchi rossa e nera dell'Abercrombie un cardigan nero e una sciarpa dello stesso colore, mentre ai piedi calzava un semplice paio di converse rosse. Non era di certo un poveraccio, vista la sua lussuosa villa ad est della città.

-Matt! Ma sei altissimo e guardati! Sei un uomo-, esclamai in francese, ma purtroppo la pronuncia era storpiata dall'accento italiano che non voleva sparire.

-E tu ti sei vista? Sei bellissima!-, commentò facendomi arrossire.

Dopo di che mi prese la mano e mi condusse verso il ponte D'Ièna proprio davanti alla Tour Eiffel.

-Allora? Come va a Milano?-, mi chiese guardando dritto davanti a se senza lasciare la mia mano.

-Mah, solita vita-, commentai distratta dal luccichio del fiume sotto di me.

-Immaginavo, sennò perchè saresti qui?-. Puntò quegli occhi sorprendentemente chiari nei miei senza accennare ad un sorriso, era preoccupato.

-Perchè..-

-Perché scappi dalla tua vita? Eve? Guardami! Non è normale!-, disse serio.

-No, Matt, ti prego, sei l'unico che mi capisce, non rovinare tutto!-.

Perchè la gente voleva rendere le cose più complicate di quello che già erano? La mia vita era uno schifo, lo sapevano anche i muri, ecco perchè mi ero allontanata da essa. Non provavo più niente a stare seduta sul mio banco di scuola e nemmeno a studiare. Avevo capito che quello non era il posto in cui avrei passato il resto dei miei giorni semplicemente quando mi resi conto che non provavo più niente, ne' gioia, ne' rabbia, ne' delusione....niente, ero vuota. Ero un corpo senza anima e quel viaggio mi sarebbe servito per ritrovarla, infatti una parte di essa si era fatta strada nel mio cuore quando avevo rivisto Matthew.

-Ok, hai ragione! Scusa!-. Dopo di che calò il silenzio. Un silenzio però a mio parere sereno, come se quell'atmosfera carica di tensione si fosse dileguata nell'aria frizzante di Parigi.

Arrivati in via Victor Hugo aprì un cancello sulla strada e mi fece entrare per prima. Salimmo sette rampe di scale e alla fine giungemmo in un bellissimo appartamento dal quale si godeva una vista magnifica. Lo guardai confusa.

-Ho diciotto anni bellissima! Questo è il mio regalo di compleanno!-, disse ridendo.

Emisi un piccolo fischio facendo cadere lo zaino e poggiando la valigia a terra.

-I tuoi non dovrebbero fidarsi così tanto di te!-.

-I miei non hanno tempo per fidarsi di me, è diverso! Comunque fai come se fossi a casa tua, ma ti avverto: essendo il padrone di casa dovrai fare esattamente quello che ti dirò!-, mi avvertì serio e alzando l'indice in segno di comando. Risi della sua goffaggine e mi buttai stremata sul divano di pelle marrone togliendomi gli stivali. Mi massaggiai i piedi mentre Matt si sdraiava sulla poltrona davanti a me e mi esaminava divertito.

-Cosa devo fare?-, chiesi preoccupata. Quel ragazzo avrebbe potuto tirarmi matta per il resto del mio soggiorno.

-Spogliati!-, ordinò. Spalancai la bocca e rimasi a fissarlo sbalordita. Giuro che non me lo sarei mai aspettato.

Improvvisamente scoppiò a ridere fino a rotolarsi a terra e tra le lacrime disse: -Ci credevi davvero? Non sei cambiata vedo!-. E continuò a ridere a crepapelle finché non gli tirai un calcio sul fianco e lui mi prese la caviglia facendomi cadere sul tappeto insieme a lui.

-Parlando seriamente! Stasera c'è un party a casa di Anne, sai, quella ragazza è diventata una vera e propria troia e questo più il fatto di avere una casa grande può portare solo ad una cosa: feste tutte le settimane-, disse Matt che si era appoggiato alla poltrona e anche lui si stava togliendo le converse.

Anne...Si, la conoscevo eccome, era la prima persona che il mio amico mi aveva fatto conoscere. Si presentava come una delle solite viziate ragazzine, ma quella era capace di farti sparare se le stavi antipatica, quindi avevo cercato di prenderla con il piede giusto.

La cosa che più ti colpiva di lei era la sua energia, un concentrato di vita in un misero metro e sessanta. L'ultima volta che l'avevo vista era stato alla stazione, mi aveva pagato il viaggio assicurandosi che non dovessi neanche mettere un piede fuori dalla prima classe e ormai le ero affezionata. Quel piccolo mostriciattolo!

-Troia, tu hai concezione un po' troppo ampia di quella parola! Se ti raccontassi tutto quello che ho fatto negli ultimi tre anni lo sarei anche io, te l'assicuro-, commentai trattenendo una risata.

-Ma tu sei la mia Eve, la piccola fanciulla smarrita! Nah, non ti ci vedo a limonarti mezza città-.

Alzai gli occhi al soffitto.

-Dai, ti faccio vedere la tua stanza così ti prepari per stasera!-, esclamò lui alzandosi e sistemandosi i jeans.

-Ehi, non ti ho mica detto che verrò-.

-Ehi ricordati che io sono il padrone di casa-.

















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Ecco a voi il terzo capitolo! 
Se volete seguirmi su Twitter il mio nickname è: Francy13R :D
Buona serata baciiiiiiiiiii :D

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Capitolo 4
*** Paris 2 ***



 

And we try and we fall 
And we live another day 
And we rise like a phoenix 
From the flames 
And it burns but it turns out golden 
And went for the sky 
And fell down low 
And flew too high 
But we still survived cos you and I 
We turned out Golden 

Golden-The Wanted







Forse ero un po' troppo esagerata, forse il vestito era troppo corto, fatto sta che non c'era più tempo per cambiarsi. Quindi decisi di darmi un'ultima occhiata allo specchio e fregarmene dell'opinione di Matt, tanto per lui sarebbe stato troppo corto anche un burqa. L'abito era nero, con delle borchie sul petto che riflettevano la luce della lampada appesa. Avevo deciso di abbinarci le scarpe con il tacco che la sera precedente avevo fregato a Nancy e che avevo portato con me nell'eventualità di serate come quella. I capelli erano raccolti in modo leggermente trasandato e per renderli un po' più eleganti ci abbinai un fermaglio argentato. Con il trucco mi arrangiai con i pochi che avevo portato, rossetto rosso fuoco, mascara e matita nera passati forse un po' troppo pesantemente per evidenziare il verde comune dei miei occhi.

Guardai oltre lo specchio ed esaminai per la prima volta la stanza che mi aveva affidato Matthew. Era grande, molto grande e il parquet a terra era di un caldo marrone rallegrato da diversi tappeti sulle tonalità del rosso. Il letto matrimoniale si trovava nel centro della stanza e oltre a questo vi era una grande finestra grande quanto la parete che mi riservata la vista della Tour Eiffel illuminata. Avevo buttato i vestiti che avevo nell'armadio senza curarmi di appenderli e avevo tirato fuori solo il necessario.

-Eve! Sei pronta?-, urlò Matt dall'altra parte del corridoio.

-Arrivo!-. Presi la paquette e vi infilai dentro un paio di banconote da venti e un pacco di sigarette. Sinceramente mi mancava il mio cellulare e il costante controllo dei messaggi di Agnes. Scossi la testa e mi diressi verso la sala illuminata da una lampada rotonda che emanava una particolare luce rossa rendendo l'atmosfera accogliente.

-Wow!-, esclamò il mio amico che se ne stava appoggiato alla porta d'ingresso con un semplice paio di jeans scuri e un cappotto marrone sotto il quale si intravedeva una camicia bianca abbottonata fino al collo.

Feci per sbottonargli almeno il primo bottone, ma lui mi bloccò.

-Non sai che vanno di moda le camicie portate così?-, chiese spegnendo le luci.

-Che moda!-, sbuffai.

-Non è che sei gay?-.

-Ma piantala Eve, non sono mai stato così etero!-, rispose chiamando l'ascensore.

-Davvero? Parli tanto degli altri ma tu non sei di meno allora!-, commentai con un sorriso malizioso nascosto dietro la sciarpa.

-La differenza è che io le cose le faccio con stile e poi sai che sono un romanticone!-. Adesso era lui a guardarmi con un sorriso strano. Si avvicinò verso di me accarezzandomi una guancia mentre io pietrificata non riuscivo a togliere lo sguardo dai suoi occhi. Mi baciò delicatamente una guancia facendomi arrossire.

-Te l'ho detto che sei bellissima stasera?-, sussurrò. Cercai di riprendermi più in fretta che potevo.

-No, ti sei dimenticato. Mi ritengo offesa! Ah e quando arriviamo alla festa non te ne andare con la prima che incontri, cerca almeno di stare con me finché non trovo Anne!-. Incrociai le braccia appoggiandomi al legno scuro dell'ascensore.

-Non ti preoccupare, non ti lascio-.

Con la sua piccola cinquecento gialla arrivammo in meno di quindici minuti in Rue De Cevennes e parcheggiamo davanti ad una pizzeria chiamata “Pizza Nella”, al di sopra di essa dominava la zona un palazzo bianco formato principalmente da ampie vetrate che lasciavano intravedere la festa all'interno. Qualcuno resistente al freddo aveva deciso di sporgesi dal balcone gigantesco per fumare una sigaretta o per avere un po' di privacy.






Salite le scale mi ritrovai davanti la minuscola e scheletrica Anne che appena mi vide iniziò a corrermi incontro come una bambina. Io piegai leggermente le ginocchia e l'abbracciai contenta di quell'intimità, dopo di che mi diede tre baci sulle guance e mi esaminò con un sorriso luminoso sul piccolo volto. Non era cambiata per niente, forse i tratti erano più spigolosi, il fisico ancora più asciutto e i capelli più scuri e lunghi, ma era sempre lei.

Come al solito indossava abiti sgargianti infatti aveva abbinato una gonna gialla a vita alta con un top blu elettrico, per coprirsi dal freddo portava una giacca in pelle nera dello stesso colore dei tronchetti ai suoi piedi. I capelli leggermente mossi e con delle sfumature viola le ricadevano sul lato sinistro nascondendo in parte la maglia e il rossetto fucsia la faceva sembrare una bambola di porcellana.

-Sempre più alta-.

-Sempre più bella!-, risposi io. Sapevo che le piaceva essere adulata e soprattutto essere posta al primo piano senza nessuno che la oscurasse e il fatto che fossi più alta di lei la infastidiva. Forse avrei dovuto togliermi le scarpe con il tacco.

“Oh, ma per favore! Non ho intenzione di fare la guastafeste, tanto meno mettermi ad atteggiarmi! Sono rimasta nell'ombra fino adesso e rimarrò nell'ombra probabilmente fino alla fine dei miei giorni”.

Alla sua sinistra e alla sua destra notai le sue socie, serve, aiutanti...chiamatele come volete. Loro invece non erano cambiate neanche di uno spicciolo, sempre acide, con la puzza sotto il naso e inclini al lecchinaggio.

-Flore e Chloé! Che bello rivedervi!-, esclamai abbracciandole. “Che meraviglia rivedere due simpatiche zabette come voi due, speravo che fosse il vostro giorno libero, peccato!”.

Flore si scostò subito e si sistemò preoccupata i lunghi capelli biondi. Mi sorrise e spostò immediatamente lo sguardo su Anne per essere rassicurata sulla sua condotta e falsa esibizione. Chloé invece mi abbracciò con più entusiasmo, non era poi così male come ragazza. Si faceva influenzare moltissimo e andava dove il vento tirava, ma avevo conosciuto persone peggiori così ricambiai l'abbraccio e mi complimentai sincera per il vestito rosa antico che le avvolgeva gli esili fianchi. Anne intanto si era scambiata qualche breve battuta con Matthew.

-Cosa ci fai ancora sulla porta! Avanti entra!-, mi ordinò lei.






Entrata nel grande atrio rimasi a bocca aperta. Potevo dire con certezza che la festa di Steve non era niente a confronto. Si, è vero, lo stile di Anne era molto diverso da quello di una persona normale, ma era quello che la rendeva così interessante e particolare.

Centinaia di palloncini sulle tonalità dell'arancione e del rosa volavano per la stanza e la maggior parte era ammassata sul soffitto, mentre le luci ad intermittenza creavano splendidi riflessi sulle pareti di un lieve giallo. La musica era molto soft, più sul pop dolce leggermente re-mixato che sulla disco dance.

-Bella musica!-, dissi io mentre Matt si allontanava per salutare qualche suo amico.

“Come non detto, mi toccherà unirmi ad Anne”. Non che avessi qualcosa contro di lei. Da una parte era una vera amica, ma dall'altra vedevo come trattava Flore e Chloé, e be'...non avrei mai voluto essere nei loro panni. Mi mancava solo quello di essere dipendente da una ragazzina e la mia vita sarebbe affondata come il Titanic.

-Allora! Cosa mi racconti di Milano? Cosa va di moda in questo periodo?-, chiese Anne prendendomi a braccetto mentre con l'altra mano salutava i suoi amici. Sembrava il papa!

-Mah, vanno molto le tonalità del marrone-. Non ne sapevo molto di moda. Mi limitai a scrollare le spalle.

-Oh si? Quindi forse il mio abbinamento non va bene!-, disse accigliata facendo cadere il suo sguardo sul completo.

-Io penso che vada benissimo! Sei semplicemente perfetta! Mi piace l'abbinamento del blu con il giallo, molto particolare!-. Non avrei mai avuto il coraggio di vestirmi come lei, io ero molto più tradizionalista, mi bastava una semplice maglietta e un paio di jeans per andare ad una festa, ma quella sera credevo che fosse qualcosa di molto più sofisticato conoscendo Anne ed ecco il perchè di quel vestito.

Matt mi aveva avvertito del cambiamento della ragazza al mio fianco, solo che non credevo fosse stato così radicale. Sembrava un'altra persona, più libera.

-Non si può dire lo stesso di te!-, disse guardandosi in giro. “Grazie, sei la solita”. Ero abituata ai suoi sbalzi d'umore.

-Credo che dovrò rimediare a questo pasticcio-. Mi trascinò verso una scala e mi spinse verso la prima porta che incontrammo.

-Sono così messa male?-. Annuì. Dentro stavo fumando, ma come al solito non lo davo a vedere. Non tutti erano così ricchi da permettersi vestiti di marca, il mio dell'HeM poteva sfigurare in confronto ai suoi, ma se stiamo a guardare la mia condizione non ci sarebbe nessun santo che reggerebbe. Era già tanto che avevo un paio di scarpe con il tacco...

Anne aprì l'armadio che occupava tutta la parete destra e stette a guardarlo per qualche minuto mentre io ispezionavo per la prima volta la sua stanza. Pareti rosa e gialle con un letto matrimoniale contro la parete sinistra e una lunga scrivania davanti a me. Su di essa vi era un'enorme computer e appoggiato vicino ad esso un portatile. Mi sembrava di essere ritornata a Milano, nella perfetta casetta che Nancy aveva modificato per il “mio” bene. Non potevo di certo vivere in quel caos, giusto?

Mi sedetti sul letto attenta a non stropicciare l'immacolato piumone.

-Ecco! Non ti preoccupare, me li ridarai un altro giorno-, disse la nanetta e mi porse un vestito giallo stretto fino alla vita e a tubino fino a metà coscia. Non era il mio genere, ma vedendo come erano vestiti i suoi amici mi avrebbe almeno fatto passare inosservata. Mi spinse verso il bagno e lì mi cambiai indossando anche il paio di stivaletti con il tacco che mi aveva consegnato.

Mi guardai allo specchio e decisi di sciogliermi i capelli.

Uscita mi fece sedere su uno sgabello e, nonostante le mie proteste, mi sistemò i capelli in una traccia che cadeva laterale sul mio seno. Arricciai il naso trattenendo il commento scortese che mi sfiorava la lingua e cercava di trovare spazio tra le mie parole.

-Grazie! Davvero! Dovresti fare la stilista-, dissi a denti stretti abbracciandola.

Anne rise e iniziò a parlare di quanto le piacesse lo shopping, i vestiti, l'emozione nel comprare un vestito che nessuno si sarebbe potuto permettere e altre cose stupide alle quali annuivo con falso interesse. “Certo che sei proprio superficiale”.

Flore appena mi vide notò il mio cambio di abiti e guardò leggermente arrabbiata la sua protettrice, mentre a me riservò una semplice occhiata colma d'invidia.

Dopo qualche chiacchierata con dei suoi amici con (naturalmente) le solite figure di emmental da parte mia a causa del mio scarso interesse alla moda e al gossip parigino mi rifugiai all'esterno. Mi aggrappai alla ringhiera e chiusi gli occhi cercando di scacciare la sensazione di essere una completa estranea indesiderata per tutti. Dopo di che mi consolai con una sigaretta e iniziai a pensare cosa avrei fatto in futuro.

Parigi non sarebbe stata la mia prima e ultima tappa, avevo in mente un obbiettivo molto più grande: l'America, gli Stati Uniti. Nuova aria e come disse Cristoforo Colombo: nuovo mondo.

Era quel genere di posto di cui avevo sentito solo parlare e dove le persone come me sembravano essere in molte, quindi perchè non tentare? In fondo se non avessi spiccato il volo verso quel paese avrei ripreso a vagare per l'Europa, magari Praga o Madrid, Amsterdam o Londra. No, avevo chiuso con quelle città. Troppi ricordi, alcuni positivi, altri negativi. Avevo bisogno di altro. Avevo bisogno di qualcosa di nuovo, completamente inesplorato da parte mia.

-Ti verrà la febbre se non ti copri-, disse qualcuno alle mie spalle facendomi sobbalzare. Mi girai e trovai Matt con le mani nelle tasche dei Jeans e lo sguardo rivolto alla luna.

Si avvicinò e mi posò sulle spalle il suo cappotto.

-Dai papà! Così verrà a te un malanno-, esclamai con una voce da bambina.

Rise e mi abbracciò involontariamente. Un abbraccio da orso, di quelli che si davano ai migliori amici, quelli pieni d'affetto e non di amore.

-Vedo che Anne ha migliorato la situazione, anche se non credevo che fosse possibile-, mi sussurrò all'orecchio.

-Oh grazie mister oggi-mi-sento-di-fare-complimenti!-.

-Dai vieni dentro, ti faccio conoscere qualche mio amico!-. Mi prese per mano e mi riportò dentro mentre la mia mente per una volta cercava di svuotarsi e godersi la serata.

 

 






Dopo mezzanotte la festa si era trasformata in un vero e proprio delirio. I palloncini che vagavano per l'aria erano solo un fastidioso intralcio, le luci si erano fatte più aggressive come la musica e dal nulla erano sbucati fiumi di birra, spumante e vino. La cosa iniziava a farsi interessante con un tipo da Bruxelles, ma Matt come al solito mi rovinò il divertimento dicendo che era ora di andare.

In effetti mi sentivo stremata e avevo il piccolo presentimento che fossi leggermente ubriaca così diedi un bacio stampo al bruno davanti a me (che non era per niente male) e mi allontanai a malincuore verso la porta d'ingresso. Anne era sparita lungo le scale mano per la mano con un rosso statuario e sinceramente non avevo nessuna intenzione di andare a bussare alla sua porta e salutarla, anche perchè sarei stata senz'altro di disturbo.

Salutai invece Chloé che stava ballando su un tavolino abbracciata ad altri tre ragazzi che la guardavano con brama, quella serata sarebbe stata una favola per quelle due, mentre io mi sarei dovuta accontentare di abbracciare il cuscino. Bah, ecco le ingiustizie della vita.

Salita in macchina mi addormentai come un sasso per tutto il tragitto e quando arrivammo Matt cercò di prendermi in braccio senza però molto successo. Entrati in ascensore mi appoggiai al legno freddo e mi strinsi nel giaccone chiudendo gli occhi.

-Vedo che ti sei divertita!-, commentò Matthew proprio davanti a me. Annuii.

-Tu invece?-, mormorai. Vedendo che non mi rispondeva aprii scocciata gli occhi e trovai i suoi a pochi centimetri dai miei mentre l'aria s'impregnava del mio respiro affannato.

-Sei la più bella creatura che abbia mai visto sulla faccia della terra!-. Non capii neanche una parola di quello che disse. So solo che non riuscivo a staccare la mia mano dal suo petto e non riuscivo ad ignorare il frenetico battito del suo cuore. La flebile luce dell'ascensore riusciva a far risaltare il blu dei suoi occhi lasciando celato il verde..... Al diavolo tutti quei maledetti pensieri poetici!

Non seppi esattamente perchè lo feci, ma fatto sta che lo baciai con così tanta passione da spingerlo fino alla parete opposta dell'ascensore. Non c'era spazio per parole e neanche per respirare. Mi ritrovai inevitabilmente incollata a lui con una voglia frenetica di avere ogni singolo pezzo di quel ragazzo così meravigliosamente sexy, dolce, gentile, simpatico, romantico e....Non riuscivo a pensare. Era sbagliato o no? La sua mano tra i miei capelli. Avrei dovuto farlo o no? Il suo petto contro il mio. Ma sei scema a rovinare un'amicizia per la tua improvvisa voglia di sesso? Le mie gambe attorno alla sua vita e le sue labbra così morbide sul mio collo.

Sentii a mala pena l'ascensore che si era fermato. Con un calcio lui aprì la griglia e mi ritrovai per il corridoio con le labbra che sperimentavano il sapore del vino sulle sue. Mi strinse contro la porta alzandomi leggermente con un braccio mentre con l'altra mano tentava di aprire la porta. Gli accarezzai il volto stringendogli i capelli e avvicinandolo sempre di più a me.

Quando finalmente Matt aprì la porta mi infilai all'interno dell'appartamento mentre lui mi prendeva in braccio esplorando tutto il mio corpo e finii schiacciata tra il suo letto e il suo corpo.

Lo presi per la vita e gli tolsi la camicia con agilità. Gli accarezzai i bicipiti avvertendo i suoi muscoli e i suoi addominali fino a scendere ai jeans infine ribaltai le nostre posizioni trovandomi a cavalcioni su di lui e facendo scorrere le mie labbra sulla sua mascella. Avvertii le sue mani sulla cerniera del mio vestito e con un rapido gesto me lo slacciò e lo gettò per terra, dopo di che le sue dita sfiorarono la mia schiena nuda provocandomi dei brividi, che più che essere di freddo erano di piacere, fino a fermarsi all'attaccatura del capelli.

-Bella treccia!-, sussurrò contro le mie labbra.

-Peccato!-, disse prima di togliere l'elastico e liberare i miei capelli. Risi mentre lui mi riportava sul caldo piumone e mi mordeva con leggerezza l'orecchio.

Quello che accadde dopo potete immaginarlo, anche se non mi ricordo molto di quella sera. Maledetto alcool, avrei dovuto bene di meno, ma se lo avessi fatto non sarei mai riuscita a spingermi fino a quel punto con Matthew. Forse però prima o poi l'avrei fatto con lui. Ero completamente persa di quel ragazzo così elegante e disinvolto, tanto che il pensiero di rimandare di molto la partenza per gli Stati Uniti si impossessò della mia mente. Nah, non avrei dovuto pensare a niente quella sera...

E dopo quelle ultime considerazioni spensi del tutto la mia mente.

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Capitolo 5
*** Paris 3 ***


 


Baby u the best cuz u worked me out

I keep building walls up but u tear ‘em down

I’m fighting I don’t wanna like it but u know I like it





Flying with ur love, shining with ur love, riding with ur love

I feel like I’m on top of the world with ur love

One hit with ur love can’t quit with ur love so sick but so what

I feel like I’m on top of the world with ur love



Cher Lloyd- With ur Love

 








L'aria frizzante della mattina mi svegliò provocandomi dei dolci brividi sulla schiena nuda...
Nuda? Aprii gli occhi immediatamente disorientata, quella non era la mia stanza! Il letto era troppo grande e vuoto, l'armadio si trovava ne posto sbagliato, come la scrivania e c'era troppo disordine per essere la mia camera.

Abbassai gli occhi sul mio corpo e notai terrorizzata che non portavo nemmeno la biancheria, sconvolta mi coprì con il lenzuolo alla ricerca dei miei slip e del mio reggiseno. Li localizzai in un angolo lontano del letto tra le lenzuola stropicciate, li presi e l'infilai più svelta che potei dopo di che mi lasciai cadere sui morbidi cuscini tormentandomi i capelli selvaggi.
Matthew, avevo fatto sesso (l'amore?) con Matthew! Sforzai la mente, dovevo ricordare qualcosa!

L'ascensore, era partito tutto da lì. Ricordai i suoi occhi blu così vicini da farmi mancare il fiato, ricordai arrossendo involontariamente il mio impeto nel farlo mio. Mi lasciai sfuggire un gemito di delusione, l'alcool, tutta colpa dell'alcool. Eppure la mia mente ancora mezza addormentata ricordò un dettaglio: “Sei la creatura più bella che abbia mai visto sulla faccia della terra”. O forse l'avevo detto io? Improbabile... Soffocando il desiderio di averlo vicino a me avvertii la lontana sensazione delle sue dita sul mio corpo, dei suoi baci e carezze. Vicino a lui mi sentivo un'altra persona, riusciva a far emergere il lato buono che era in me, anche se fino a quel momento avevo dubitato di aver un lato positivo. Io ero sempre stata la cattiva o volevo esserlo?



Ad un tratto sentii dei passi al di fuori della porta e mi nascosi tra le lenzuola temendo chiunque vi fosse dietro a quella. Un piede scalciò la porta facendola sbattere contro il muro.

-Cazzo!-, esclamò qualcuno, ma lo riconobbi! Chi altro poteva essere se non Matt?
Si fece strada fino al letto con un vassoio sul quale era appoggiato una tazza di caffè fumante, un croissant al cioccolato e una spremuta d'arancia. I miei occhi si spalancarono increduli, mancava solo la cinepresa e sarebbe stata perfetta come scena di un film romantico. Mi sorrise e appoggiò la colazione sul letto.

-Buongiorno!-, esclamò sporgendosi per darmi un bacio sulla guancia. Quel contatto mi riportò alla mente la sua ruvida barbetta che mi graffiava morbidamente il collo e le tempie la notte precedente. Non riuscii a trattenermi e arrossii.

-Che è successo ieri sera?-, chiesi prendendo d'assalto il cibo.

-Non ti ricordi niente?-, domandò lui sgranando gli occhi. Era delusione quella nascosta dietro il suo sguardo divertito? Lo conoscevo troppo bene per non accorgermene.

-Si, ma...volevo, volevo una specie di conferma...sai...-. Celai la mia voce tremante masticando la brioche. Lui rise alzando il viso al soffitto e rivelando uno dei migliori sorrisi che avessi mai visto in tutta la mia vita. Mi persi a contemplarlo, sembrava un divo di Hollywood, ma un attore non si sarebbe mai seduto vicino a me, non mi avrebbe mai preparato la colazione, non mi avrebbe mai fatto sentire come mi sentivo in quel momento. Mi sforzai di sorridere, un mezzo sorriso sbilenco che fece diventare serio Matt. Si avvicinò e avvertii il mio cuore aumentare i battiti in modo estremamente pericoloso. Come era possibile che non mi ricordassi quasi niente di quella notte? Sarebbe stata probabilmente la più bella della mia vita se avessi avuto un po' più di lucidità! Lo desideravo da così tanto tempo che avevo addirittura sognato quel momento, avevo bramato disperatamente le sue mani che esploravano il mio corpo e quando era giunto il momento... volli prendermi a martellate.

-Sai, se sei nuda nel mio letto..-, evidenziò il “mio” con un certo orgoglio, mentre roteavo gli occhi al soffitto.

-Vuol dire che abbiamo fatto l'amore, sai non credo che avremmo potuto giocare a monopoli o semplicemente parlare! Anche perchè non avrei resistito, sei splendida!-, disse prendendomi in contropiede. Parlava come se stesse ripetendo la lezione di storia e non trovava il tutto fin troppo imbarazzante cosa che era per la sottoscritta. Ma ciò che mi fece fremere ancora di più fu un'altra.

-Cosa hai detto?-, chiesi sperando di aver capito male. Anzi, togliamo lo “sperando”, volevo che avesse detto quello che avevo sentito, ne avevo bisogno in quel momento, non mi importava delle conseguenze.

-Che sei splendida?-. Sorrise inclinando la testa di lato e scostando il vassoio verso il bordo del letto.

-No, prima, ancora prima-, dissi chiudendo gli occhi per evitare che inutili lacrime cadessero.

-Che abbiamo fatto l'amore?-. Mi bloccai, non riuscivo a respirare con la sensazione del cuore in gola. Mi sentivo compressa come se sopra di me gravasse un peso enorme o semplicemente come se la pressione dell'aria fosse aumentata di botto contro qualsiasi legge fisica.

-Per me non è stato sesso! Anche se nessuno dei due era pienamente in sé! Voglio che tu lo sappia: per me non è stato e non sarà mai solo sesso con te!-. Immobile con le ginocchia strette al petto cercavo di non far svanire dalla mia mente quelle parole, quella voce. Matt, il mio Matt, sembrava un'altra persona, più seria, decisa. Ero sempre stata abituata a vederlo come un giocherellone e come una persona per niente responsabile che quell'improvviso cambiamento mi riempì l'anima mescolandosi con la dolce sensazione di essere protetta e amata. Gli sorrisi inevitabilmente, non potevo contenere quella meravigliosa gioia che mi riempiva e mi riscaldava fino alle dita dei piedi.

Mi abbracciò e avvertii che era quello l'abbraccio che avevo sempre desiderato da parte sua. Fece aderire il suo petto con il mio facendo scivolare via il lenzuolo che mi copriva.

-Dai dì la verità, sono straniera, decente e simpatica quindi hai pensato bene di provarmi, insomma lo fai con tutte, perchè non con me?-, sussurrai sulla sua pelle calda provocandogli la pelle d'oca.

Lo sentii ridere e annusare i miei capelli.

-Be' effettivamente hai ragione...-. Lo guardai fulminandolo con lo sguardo. Ma lui mi baciò delicatamente il naso e mi fece stendere sul letto mentre esaminava con le mani le mie curve.

-Sto scherzando Eve, però devi ammettere che ho fatto un bell'affare-. Mi guardò con i suoi occhi profondi prima di intrecciare le sue gambe con le mie. Riusci solo ad annuire e a chiudere gli occhi per assaporare al meglio la sensazione del suo corpo sul mio, mentre Matt coprì ogni singola parte del mio collo con baci leggeri facendomi fremere dal desiderio.
Forse non avrei dovuto essere così egoista, lo avevo avuto per una notte, adesso avrei anche potuto lasciarlo nelle mani di un'altra più degna di me. Il solo pensiero mi fece ribaltare lo stomaco. Mi prese per i fianchi lasciandomi una scia infuocata lungo la vita.

-Mmm vorrei stare qui ma...-. Quelle sue parole mi catapultarono nella realtà così lo scostai da me e feci per alzarmi in silenzio quando Matt mi avvolse con un braccio il petto e mi baciò da dietro il collo.

-Ho dell'impegni con la casa editrice, ci vediamo dopo piccola Eve-. Fu così che si dileguò lasciandomi in quell'immenso appartamento che senza di lui sembrava vuoto e inospitale.





Raccolsi da terra il vestito e mi diressi verso il bagno avvertendo l'improvviso bisogno di una doccia. Mi annusai i capelli notando tracce di fumo impregnate in essi e Matt le aveva senz'altro avvertite. Quando mi vidi allo specchio mi venne quasi un infarto, avevo il mascara sbavato che copriva le occhiaie, il rossetto rosso ancora vivo sulle mie labbra, le guance rosse e gli occhi emanavano una strana luce che rendeva il mio verde particolare. Solo allora mi accorsi che alla fine il colore dei miei occhi non era così male.
Senza indugiare ulteriormente mi immersi nell'acqua calda della grande cabina tentando di eliminare i residui della sera precedente. Ogni volta che entravo a contatto con il vapore della doccia i miei pensieri partivano a razzo e rischiavo di rimanere in quell'accogliente buco per addirittura tre quarti d'ora, ma quella volta mi diedi un tempo. Avevo anche io delle cose da fare.
Uscita dal bagno in fretta e furia mi asciugai optando per un largo maglione blu e bianco e un paio di leggins lunghi, indossai i miei stivali foderati con del pelo. Raccolsi i capelli neri in una treccia alla bella e meglio, presi la piccola tracolla e uscii.

Presi la metropolitana e riuscii come sempre a non perdermi. Amavo la metropolitana di Parigi, era sempre colma di gente indaffarata e che mi trasferiva un certo senso di appartenenza a quella città. Mi sedetti osservando le persone attorno a me e individuando un bambino biondo in braccio alla madre con la faccia tutta sporca di cioccolato che rischiava di colare anche sulla sciarpa, anche lui mi guardò con i suoi grandi occhi azzurri e mi sorrise amorevolmente. Mi erano sempre piaciuti i bambini piccoli eppure quando mi pensavo madre un moto di negazione si impossessava di me.

Scesa a “Richelieu Drouot” presi la prima via sulla sinistra e arrivata ad un condominio ornato con colonne dai capitelli arricciati salii le scale notando la porta aperta. Quello che mi interessava era il quarto piano e quando vi arrivai sentii le gambe cedermi, poteva anche essere morta e io non avrei saputo nulla, ma quando suonai una signora sulla settantina mi aprii. Aveva setosi capelli neri e solo alcuni di essi erano argentati, il viso spigoloso negli anni si era arrotondato. Gli occhi di un verde brillante si illuminarono ancora di più quando mi videro e mi riconobbero subito.

-Bambina mia!-, esclamò con un sorriso sul volto e le lacrime che le rigavano le guance. Non potei non abbracciarla e rifugiarmi tra le sue braccia così simili a quelle materne.

-Nonna!-, sospirai immergendo il viso nei suoi capelli.

-Sei...sei una donna ormai, guardati! O santo cielo, assomigli così tanto a tua madre!-, disse scostandosi di poco e guardandomi dritto negli occhi. Verde contro verde.

-Vieni dentro, fa così freddo fuori...-.

Mi fece accomodare dentro il suo salottino al centro del quale vi era un piccolo focolare scoppiettante e mi fece sedere sul divano di pelle rosso accarezzandomi i capelli e senza togliere lo sguardo da me. L'ultima volta che l'avevo vista era stato due anni prima, durante una mia piccola vacanza ad Amsterdam che si era prolungata fino a lì. Mia nonna, la mamma di mia mamma non era cambiata per niente, forse vi erano un po' più rughe attorno agli occhi e più fili grigi tra i suoi capelli, ma lei era insieme a me. Temevo di perderla, era l'unica cosa che mi attaccava alla mamma.

-Sapevo che saresti venuta! Lo speravo più che altro, tuo padre ha chiamato preoccupato!-, disse accigliandosi.

-Non ti preoccupare non gli dirò niente, comprendo a pieno la tua voglia di fuggire da quel posto, ma sono preoccupata per te! Non puoi andare avanti così bambina mia. Tutto ciò non rientra nell'ordine naturale delle cose-.

Sospirai sporgendomi e baciandole la guancia ruvida.

-Lo so nonna è solo che...voglio, non so neanche io cosa voglio! So quello che non voglio però e Milano, una vita in quella città rientra tra quelle cose!-, sussurrai.

-Stai dal tuo amico Matthew?-.

Annuii e le sorrisi per la preoccupazione che mostrava nei miei confronti. Mi guardò con quel sorriso, lo stesso sorriso della mamma e sentii un groppo in gola. Ma lei non si accorse di nulla.

-È venuto a trovarmi! Mi ha portato dei dolci davvero squisiti! Quand'è stato? Circa verso l'inizio dell'estate! È proprio un bel ragazzo, inoltre è dolce e premuroso, spero che si prenda cura di te in maniera adeguata!-.

-Eccome!-, mormorai trattenendo un sorriso. Matt...Era passato a trovare mia nonna. L'aveva conosciuta quando mi aveva accompagnato da lei la prima volta e aveva assistito alla scena del nostro ricongiungimento con gli occhi umidi.

Parlammo di tutto ciò che non avevamo potuto dirci riguardo a quegli ultimi due anni, ma fui io quella che parlò per la maggior parte del tempo. Nonna voleva sapere come stesse mio padre, come stesse la sua nuova moglie e come fosse la vita a Milano. In seguitò iniziò a farmi domande sul mio futuro, cosa avrei voluto fare e le presentai tutti i miei dubbi. Ero combattuta tra il rimanere e vivere la mia vita lì a Parigi con tutte le persone che avevano acquistato importanza o partire di nuovo.

Fu lì che lei mi consigliò esattamente l'opposto di quello che mi aspettavo da parte sua.

-Vivi! Parti, viaggia, non rimanere qui! Potresti pentirtene! Vivi la tua vita finché riesci, cerca di annullare le emozioni che ti trattengono qui, alla fine potrai sempre tornare invece se ti radicherai qui non avrai via di scampo!-.

Be' il suo ragionamento era più che sensato. Nonna guardò l'orologio e inorridita disse:-Tesoro, avrai fame sono le due e mezza, santi numi! Ti preparo subito qualcosa!-.

Non bastò trattenerla e fingersi non affamata. Infatti si liberò della mia stretta come se avesse trent'anni e dieci minuti dopo mi fece accomodare a tavola davanti a tutto quel ben di Dio.

 

 

 




Percorsi via Victor Hugo mentre il cielo diventava sempre più scuro e l'aria sempre più fredda. Mi strinsi nel maglione e ripensai al pomeriggio appena passato. Dopo mangiato nonna aveva insistito a farmi fare un giro turistico per Parigi e a comprarmi un po' di abiti giustificandosi con il fatto che io ero l'unica nipote e che almeno un po' doveva viziarmi. Avevo acconsentito a mala voglia, ma quello che mi importava era passare del tempo con lei, quindi avevo sopportato senza lamentele e mi ero mostrata felice quando davvero lo ero.
I lampioni lungo la via si accesero ed emanarono una flebile luce sufficiente per illuminare l'ampio marciapiede.
Quando arrivai a casa suonai con la speranza che Matt fosse tornato e che non mi avesse creduto dispersa. Fortunatamente aprì la porta e mi fiondai tra le sue braccia sentendo un po' di ristoro da quel freddo che era penetrato fin sotto ai vestiti.

-Eccoti finalmente!-, disse lui chiudendo la porta e abbracciandomi di rimando.

-Scusa, sono andata a trovare mia nonna e...avrei dovuto lasciarti un bigliettino! Com'è andata la tua giornata?-, chiesi sciogliendo i miei capelli dalla treccia. Notai il suo sguardo spostarsi dai miei occhi ai miei capelli e un sorriso fare capolino sul suo volto.

-Bene, ho finito un libro! Mi sa che non te l'ho detto e un mese fa l'avevo portato a revisionare, agli esaminatori è piaciuto! C'è una buona probabilità che lo pubblicheranno!-, disse orgoglioso mentre ci dirigevamo in cucina.

-Ma è fantastico, romanzo rosa?-, chiesi curiosa.

-No, ti prego quello lo lascio a te, non avrai anticipazioni bellezza!-. Misi il broncio. Mentre prendevo dalla credenza del thé e un pacco di biscotti mi sentii stringere da dietro e il contatto con il suo petto mi riscaldò ancora di più.

Forse dovevo mettermi qualcosa di più caldo. Misi l'acqua a bollire e giunta in camera con un po' di buste da sistemare indossai una comoda tuta e sopra di essa un maglioncino forse un po' troppo esagerato, ma adoravo stare al caldo.

-Senti, stasera esco con dei miei amici a festeggiare la buona notizia! Mi fai compagnia?-, chiese Matt sedendosi sul mio (in realtà suo) letto con gli occhi desiderosi.

-Scusa, ma sono stanchissima! Sarà per un'altra volta!-, dissi a malincuore e gli baciai una guancia ritornando in cucina a preparare il mio piccolo e bollente spuntino.

-Ci vediamo dopo Eve!-, mi salutò e scomparve dietro alla porta. Ancora una volta avvertii un senso di vuoto e di paura, così accesi quasi tutte le luci della casa lasciando nel buio solo le camere da letto con i rispettivi bagni, presi il telecomando e mi sdraiai comoda sul divano facendo zapping alla televisione di quarantadue pollici.

Mi piaceva come Matt aveva sistemato la sua casa, era moderna, mentre a terra il parquet le donava un tocco di classicità insieme alla parete dietro al televisore completamente coperta da mattoni a vista. La mia attenzione fu catturata dal “Signore degli Anelli” trasmesso in francese, non dovevo nemmeno compiere il leggero sforzo di tradurre nella mia mente perchè sapevo le battute dei personaggi a memoria. Improvvisamente, proprio mentre i ricordi del passato facevano capolino nella mia mente, mi ricordai del mio diario. Così corsi in camera afferrando una coperta dall'armadio e munita di penna mi strinsi tra i cuscini. Dopo aver bevuto un primo sorso di thé e constatato che era ancora troppo caldo per evitare che mi bruciasse la lingua iniziai a scrivere tutto quello che mi era capitato in quei due giorni. Due giorni...sembrava esser passata un'eternità da quando avevo abbandonato Milano.

 

“Siamo alle porte di Novembre e qui a Parigi il freddo si avverte! Sono così contenta di essere qui! Oggi sono andata a trovare la nonna, per un attimo ho davvero pensato che sarebbe potuta essere morta e io non lo avrei mai potuto saperlo in tempo per darle un ultimo addio. Ha sempre lo stesso profumo, lo stesso della mamma, probabilmente anche io ne possiedo un briciolo, ma il suo l'ho avvertito ancora prima di abbracciarla e lo sento nei miei capelli, si è completamente insediato in me! Papà non ha mai avuto un bel rapporto con la nonna, lei era adirata riguardo a ciò che era successo alla mamma e dava...perchè uso il passato? Ancora oggi quando le ho fatto visita, nonostante mi avesse chiesto come stesse lui, percepivo la sua rabbia! Il punto è che io so la verità, so che lui non c'entra niente con la morte della mamma, forse nonna aveva bisogno di incolpare qualcuno! Spero che le cose in futuro cambieranno, ma ne dubito.”

 

Sospirai sorseggiando il thé agli estratti di fragola.

 

“Ma ancora non ti ho raccontato la parte più bella! E chi se lo sarebbe mai aspettato? (ok, lo devo scrivere) Sto cazzo! Chi altri? A parte gli scherzi, adesso sono a casa di Matt e posso permettermi di scrivere questo. È successo, quello che avevo tanto sperato, è successo! Mi sembra ieri la prima volta che l'ho incontrato davanti alla Tour Eiffel e mi sono innamorata (mmm forse non innamorata, diciamo che mi sono presa una bella cotta duratura) di colpo, senza una spiegazione. Ritornata a Milano ho cercato di togliermelo dalla mente ed ha funzionato in un certo senso, solo che appena tornata sono ricaduta nella stessa trappola. Riguardo a ciò che è successo, be', tutto è partito dalla festa di Anne, si proprio lei: la ragazzina viziata che a mio parere è nata per farmi sentire una nullità. È cambiata tantissimo, credo che nessuno oserebbe intralciarle il passaggio, è tanto minuta quanto forte, una vera forza della natura. Ma ritornando a Matt: ero ubriaca, infatti mi ricordo davvero poco della notte scorsa (lo so, lo so dovrei auto-fucilarmi, ma dove la trovo una pistola?) e sono quasi sicura che lui mi avesse detto che ero la creatura più bella che avessi mai visto! Mmm se l'avessi detto ad Agnes probabilmente sarebbe scoppiata a ridere. Credo di piacere a Matt e credo che lui sia sicuro del fatto che mi piaccia da morire. È una situazione nuova per me, è la prima volta che mi mostro così debole, ma soprattutto non era mai successo che fossi così dipendente da qualcuno come con lui. Non so ancora che fare.”

 

Chiusi il diario e lo ficcai sotto i cuscini del divano troppo stanca per mettere anche un piede per terra. Appoggiai la testa sul divano perdendomi nel mondo del signore oscuro, di Frodo e Gandalf e nella battaglia per la conquista del fosso di Helm. Dopo qualche minuto stravolta chiusi gli occhi e mi addormentai sotto la calda coperta.

 

Il mio cervello annebbiato riuscii a elaborare il pensiero che qualcuno fosse entrato in casa, ma i miei occhi non reagirono, stavo troppo bene. Una persona che non poteva essere altro che Matt mi tolse di dosso la coperta e mi circondò la vita con le sue braccia. Mi sentii trasportare, ma per il freddo avvertito mi strinsi al suo petto mugugnando qualcosa di incomprensibile.In pochi secondi mi ritrovai su un materasso, vista la consistenza morbida, e all'improvviso tutto il freddo si trasformò in caldo con un semplice bacio sulla fronte. Sospirai tirando le coperte fin sopra la mia testa e finalmente mi addentrai nel mondo dei sogni.

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Capitolo 6
*** Paris 4 ***


Cuz there’ll be no sunlight, if I lose you baby.

There’ll be no clear skies, if I lose you baby.


Just like the clouds pass, I would do the same,

If you walk away, everything will rain, rain, rain.


It will rain- Bruno Mars

 







“Sono un parassita! È da esattamente tre giorni che vago per casa tentando di trovare qualcosa di concreto e utile da fare, magari pulire o preparare la cena, oppure uscire semplicemente, ma niente, non ho ispirazione! Dopo l'uscita con la nonna mi sono barricata nell'appartamento di Matt e l'unica cosa che faccio è analizzare ogni singolo grumo di polvere che si posa sull'isola della cucina!

Ieri è venuta a trovarmi Anne, diciamo che non era una semplice visita di cortesia, voleva indietro il suo vestito che avevo accuratamente lavato e stirato. Si era fermata per tutto il pomeriggio e abbiamo parlato di tutto compreso il rosso che (con la sua conferma) si era portata a letto la sera della festa. Poi ha toccato un punto dolente: Matthew. Mi ha detto esattamente queste parole: “Sai, non ci ho mai pensato, ma tu e Matt siete davvero una bella coppia e secondo me lui è cotto di te”. Non che ciò migliorasse la situazione visto che dalla famigerata serata del mistero mi avrà sfiorato si e no due volte. Credo però che sia meglio così nonostante il mio groppo in gola. Sono così vicina all'affezionarmi ad una persona come non lo ero mai stata, si sa, non sono una tipa socievole o estroversa. Tendo invece all'ermetismo e non penso che sia una cosa negativa, io sto più che bene nella mia bolla e questa mi permette di viaggiare e fare quello che voglio, quindi la mia più essere definita una vita bizzarra. Riguardo a Matt diciamo che non sta quasi mai a casa e quando torna sono sul divano a mangiare gelato o a letto facendo la parte della -bella addormentata nel bosco- e non tralasciamo il fatto che questa fanciulla magari si aspetta un bacio dal suo principe. Un bacio che sicuramente non arriverà. Meglio così, meglio così!”

 

Conclusi così il riassunto di quelle maledette tre giornate rinchiusa nella mia gabbia d'oro. Mi alzai dal letto svogliata riservando una fugace occhiata al panorama che si presentava davanti a me, la Tour Eiffel di un grigio cupo era quasi invisibile circondata da una leggera nebbia che ne lasciava scoperta la punta rendendola surreale.

Mi affacciai nella camera di Matt per vedere se si fosse svegliato e notai con stupore che dormiva ancora così per la prima volta mi sedetti sul suo letto attenta a non fare rumore e nemmeno a piegare il materasso e fissai quel volto...Accipicchia! Dovevo ammetterlo, dove avrei potuto trovare un ragazzo come lui? Talvolta non lo capivo, era così enigmatico quanto frustrante, scherzava e dopo qualche secondo poteva essere la persona più seria al mondo, quando camminava o sorrideva mostrava una sicurezza infinita, ma allo stesso tempo bastava un piccolo gesto come una mano tra i capelli, gli occhi spalancati o il volto leggermente accigliato a renderlo impacciato e vulnerabile.

Gli diedi un bacio sulla guancia e in punta di piedi mi allontanai dirigendomi verso la cucina. Misi su l'acqua e tirai fuori il pan-carré con la Nutella. Forse in quei pochi giorni avevo esagerato con le dosi, infatti avevo finito quattro barattoli di quella squisita crema tentatrice.

Appena il thè fu pronto mi sedetti sull'isola e mi gustai la sensazione del dolce sul palato mentre il mio corpo e la mia mente trovavano un po' di lucidità dopo il sonno.

Il rumore del parquet scricchiolante mi informò che Matt si era svegliato e infatti dopo pochi secondo apparve a petto nudo con i capelli per aria e una mano a stropicciare gli occhi.

-Buongiorno-, disse assonnato.

Io mi limitai a sorridergli e a indicargli il thè che gli avevo lasciato.

-Mmm credo di aver bisogno di un caffè-. Si voltò di spalle a prendere il necessario dalla credenza e non potei fare a meno di soffermare il mio sguardo sui muscoli della sua schiena che si contraevano e che mi attiravano verso di lui.

“Eve calma i tuoi ormoni, santo cielo!”, mi imposi.

-Hai fatto tardi ieri sera!-, commentai, ma più che una costatazione le mie labbra la trasformarono in un'accusa facendomi pentire di aver aperto bocca.

-Non mi ricordo molto! Mmm tutto quest'alcool mi fa male!-. Si passò una mano tra i capelli cercando di appiattirli e renderli meno disordinati, ma fece solo per peggiorare la situazione, così mi avvicinai e glieli sistemai alzandomi in punta di piedi, mentre avvertivo i suoi occhi concentrati sul mio viso.

-Fatto!-, esclamai sorridendogli.

-Grazie-. Dopo giorni avvertì la sua mano scendere dalla mia tempia fino al collo provocandomi la pelle d'oca e le sue labbra sulla mia guancia infiammandola.

-Ti volevo dire, stasera hai qualcosa da fare?-.

-Difficile che abbia da fare-. Sorrisi e lui fece lo stesso inarcando il sopracciglio.

-Quindi stasera sei mia!-, affermò il padrone di casa.

Non potei trattenermi dal ricordargli: -L'ultima volta che l'hai detto non è finita bene!-.

Feci per dirigermi verso la mia camera in cerca di qualcosa da fare ma lui mi trattenne intrecciando le sue dita nelle mie. Una scossa di calore attraversò il mio corpo.

-Infatti, è finita stupendamente!-. Mollai la presa e me ne andai. Se pensava che fossi un burattino pronto all'evenienza si sbagliava, non ero il suo giocattolo appagante, io ero Eve e be' fino a prova contraria, nonostante il cuore mi dicesse di fare qualsiasi cosa che volesse lui, avevo un cervello che mi urlava di non cedere.

 

 

-Devo vestirmi elegante?-, urlai per farmi sentire da Matt che era nella sua stanza.

Lo udii ridere prima che si affacciasse alla porta della mia stanza trovandomi con una semplice maglietta che mi copriva il minimo indispensabile.

-Bussare no?!-, chiesi arrossendo violentemente.

-Non ti preoccupare, stiamo in casa! Esco, torno tra dieci minuti!-, disse senza smettere di lanciare occhiate curiose alle mie gambe nude.

Quando se ne andò tirai un sospiro di sollievo e caddi sul letto a peso morto! Dopo qualche minuto perso a pensare quanto fossi sciocca e infantile infilai un paio di jeans scuri, una felpa rossa della nike e un paio di calze pesanti. Mi ritrovai così davanti allo specchio cercando di sistemare quella chioma indefinita e di truccarmi senza fare pasticci. Non ero mai stata brava ad acconciarmi.

Lasciai i capelli lunghi tendenti al riccio ricadere sul mio petto e passai qualche goccia di fondotinta e una linea di matita sugli occhi per renderli più profondi.

Giunta in sala lo trovai di ritorno con in mano due grandi buste piene di scatoline bianche.

-Cinese!-, esclamò mentre faceva spazio sul tavolino in mezzo ai due divani.

-Oh, mi sono dimenticato di chiederti se ti piace!-. Si voltò verso di me con lo sguardo perplesso.

-Non l'ho mai provato, dici che muoio?-, chiesi nascondendo un sorriso e buttandomi a peso morto sul divano facendo penzolare le gambe.

Matt prese il telecomando e accese la tele su MTV poi si girò e sbadatamente me lo lanciò in testa. Non potei fare a meno di urlare per il dolore e ridere per la comicità della situazione mentre lui mi abbracciava e tra le risate mormorava ininterrottamente: -Scusa! Scusa! Non l'ho fatto apposta!-.

-Dai! Vieni a mangiare scema! Mi hai fatto prendere un colpo, vedrai che non ti uscirà nemmeno il bernoccolo!-, disse sedendosi a terra e aprendo a caso le scatoline dalle quali usciva un forte odore (profumo?) di fritto.

Mi posizionai all'opposto del tavolino mentre alla tele trasmettevano “The One That Got Away” di Katy Perry.

Ok, non sapevo cosa fosse quella roba ma quando la assaggiai constatai che non era male.

-È un involtino primavera!-, disse Matthew togliendomi ogni dubbio.

-Ah, sarebbe questo il famoso e prelibato cibo cinese?-.

Lui riuscii solo a mugugnare un si mentre si ficcava in bocca un grosso boccone di spaghetti. Dopo qualche minuto mentre Matt cercava di pulire un'ostrica e io esaminavo una scatoletta contente degli strani gnocchi alle verdure accadde l'apocalisse. Il frutto dell'ostrica saltò e si insediò nei miei capelli. Io e il ragazzo davanti a me ci guardammo per un momento interminabile, lui scoppiò a ridere invece la sottoscritta si alzò imbestialita in piedi (sono molto suscettibile) e cercò di levarsi quella roba ultra condita dai capelli diligentemente lavati e pettinati.

Poi lo presi e mi diressi velocemente verso un Matt sdraiato a terra che si teneva la pancia e rideva come un bambino. Presi l'orlo della manica e glielo infilai dentro la maglietta marrone.

Accortosi dell'intruso la sua risata si spense sostituita da uno sguardo omicida.

-Vieni qua!-, urlò alzandosi alla velocità della luce da terra. Mi prese per la vita e mi alzò come se pesassi pochissimo, mi buttò sul divano facendomi rimbalzare mentre non riuscivo a far altro che ridere.

-Hai iniziato tu-, dicevo tra una risata e l'altra.

-Io?-. Mi guardò innocente. -é stato un incidente!-, si giustificò.

-Non è vero, l'hai fatto apposta-. Iniziò a farmi il solletico finché il Matt che conoscevo, quello burlone e divertente, non si lanciò sopra di me facendomi seriamente temere per la mia incolumità.

Quando davanti a noi apparve il video di “Chasing Pavements” di Adele ci bloccammo. Quella era la nostra canzone, quella che condividevamo, quella che mi faceva ripensare ai giorni passati a Parigi, al mio gelato sulla sua maglietta, alla Tour Eiffel di sera, alle corse per arrivare a casa sua in tempo prima che i suoi genitori si arrabbiassero, alle risate, agli sguardi di cui solo in quel momento avevo capito il significato nascosto.

Lui mi fissò con la stessa intensità di quella sera in quell'ascensore, ma non volli cedere. Il suo unico pensiero era “sesso” e io...Non volevo di più perchè non avevo intenzione di affezionarmi a lui, se fosse successo sarebbe stato un casino andarsene, e non volevo nemmeno essere usata.

Esercitai una leggera pressione sul suo petto per fargli capire di spostarsi e lui colse al volo il segnale.

Mangiammo in silenzio ognuno guardando il proprio piatto o la televisione e fu così che ci ritrovammo sdraiati per terra a distanza di sicurezza a guardare i video di MTV senza avere realmente alcun interesse.

Mentre mi stavo torturando una ciocca di capelli a pancia in su sentii le note di “It Will Rain” di Bruno Mars invadere l'appartamento e i miei muscoli si rilassarono immediatamente. Adoravo Bruno, non c'era una sua canzone che non mi piacesse, aveva quello stile...Non sapevo neanche io come descriverlo.
Matthew notò il sorriso sul mio volto, si alzò e mi prese per mano. Mi alzai dubbiosa e mi condusse al centro della sala sul parquet.

-Balla con me!-, sussurrò guardandosi i piedi e accennando un sorriso.
Mi prese la mano destra e strinse la mia vita con l'altro braccio.

 

 


If you ever leave me baby, leave some morphine at my door,

Cuz it would take a whole lot of medication,

To realise what we used to have it but we don’t have it anymore.

 

 

Mi strinse a se e avvertii le lacrime rigarmi le guance. Non volevo lasciarlo, non volevo, ma dovevo. Strinsi i denti contro la sua spalla e senza farmi scoprire asciugai quelle maledette gocce d'acqua salata.
Matt si mise a cantare dolcemente al mio orecchio.

 

 

 



There’s no religion that could save me, no matter how long my knees are on the floor.(ooooh) so keep in mind all the sacrifices

I’m making,

to keep you by my side, and keep you from walking out the door

 

-Rimani ancora un po' qua con me!-, sussurrò accarezzandomi i capelli.

-Perchè?-. Trattenni le lacrime e guardai fuori dalla finestra il buio più completo. Era l'unica soluzione accettabile la mia, dovevo, dovevo, dovevo andare via. Una parte di me mi urlava di rimanere, di tenermi quel ragazzo, di non fare quell'errore, di non averla vinta sempre. Dopo tutti quegli anni passati a viaggiare per trovare il posto adatto a me...Era davvero Parigi?? Pensai agli Stati Uniti e la mia mente si illuminò. “Eve, spegni la testa”. Ormai lo facevo quasi sempre e quello era l'unico modo per avere un po' di pace nella mia vita, per fermarmi e godere di piccoli ma bellissimi momenti. Forse dovevo ascoltare quella vocina, alla fine l'idea non era pessima. Giurai a me stessa che sarebbe stato solo per quella sera, solo per quelle poche ore, poi avrei pensato seriamente a lasciare Parigi.

Matt mi fece fare una capriola per poi premere il suo petto contro il mio.

-Perchè... Perchè alla fine tu stai bene qui e io sto bene insieme a te, non ho bisogno di altro quando tu sei vicino a me, mi fido di te, mi fai ridere, sempre anche quando sei imbronciata, mi fai tenerezza e ora che sei tornata...Non puoi andartene così presto, non puoi Eve. Ti ho aspettato per troppo tempo-, mormorò ad un centimetro dalle mie labbra.

Mi aspettavo che le lacrime uscissero da sole, ma non accadde. Ero concentrata sui suoi occhi, cercando di notare la scintilla di falsità tipica in tutti i bugiardi, ma non c'era nulla, solo verde e blu.

Stare con lui quella sera era la cosa più giusta da fare, era quella più naturale e più bella. Non avrei mai potuto desiderare altro o qualcosa di meglio.

Matt mi prese il mento tra le dita e mi diede un dolce bacio a stampo che per me fu come una scossa elettrica. Quando fece per staccarsi lo trattenni dal colletto della felpa. Questo bastò per fargli continuare il bacio che divenne sempre più profondo. Dio santo...come baciava bene!

Anche volendo, non sarei riuscita a staccarmi da lui se non per prendere il respiro. Eppure la parte combattiva e caparbia di me cercava di allontanarmi e fu così che dopo aver indietreggiato di qualche passo sempre con le sue labbra sulle mie cascai sul divano trascinando anche Matthew.

Aprii gli occhi e ritrovai i suoi leggermente palancati e il suo petto immobile, ma quando scoppiai a ridere si rilassò e infilò un braccio tra il divano e la mia schiena avvicinandomi.

Mi aspettavo un altro bacio così chiusi gli occhi con un sorriso sulle labbra, ma quel bacio non arrivò.

-Io..Io, ok forse devo dirtelo!-, sussurrò lui (in imbarazzo?).

Aprii gli occhi e lo fissai pronta ad allontanarmi dal quel divano, com'era possibile che l'incantesimo fosse sparito?

-Voglio, ma non è una pretesa, insomma voglio che tu sappia che...Beh sai che ti voglio bene...-.

-Che cosa c'è Matt? Arriva al punto, non me la prendo!-, mormorai ad un centimetro dalle sue labbra.

-Fai l'amore con me!-, disse tutto d'un fiato chiudendo gli occhi.

Ecco lo sapevo, voleva solo sesso, solo quel maledettissimo sesso che però entrambi desideravamo, ma...Perchè mi dava così fastidio? Non volevo niente di più e alla fine il sesso interessava anche a me. Nervosa mi accorsi a mala pena della lacrima che scese lungo la mia tempia. Basta!! Piangevo per tutto, per qualsiasi cosa, provando qualsiasi emozione e questa era una vera e propria tortura, odiavo piangere perchè questo voleva dire mostrarmi debole.

Appena Matt vide quella stupida goccia me l'asciugò con un bacio continuando a sussurrarmi: -Scusa, scusa, davvero! Non volevo, mi dispiace piccola. Scusa Eve, sono uno stupido!-.

Fece per allontanarsi e ancora una volta istintivamente lo strinsi più forte. Avevo bisogno di quel contatto nonostante tutto fosse sbagliato e nonostante lo odiassi.

-No non ti scuso, ma per questa sera potremmo chiudere un occhio! Che dici?-, gli chiesi. Lo vidi annuire e sorridermi dolcemente come se fossi la cosa più delicata che lui avesse mai tenuto tra le mani.

-Te l'ho già detto che sei la creatura più bella che abbia mai visto?-, chiese alzandosi.

-Mmm mi sembra di si-, risposi ridendo. Ma prima di poter dire altro mi ritrovai tra le sue braccia.

-Tutto ma non sul divano, primo è scomodo e secondo....beh è scomodo-, commentò alla mia faccia perplessa. Arrivati nella sua camera mi lasciò cadere sul letto senza mollare la presa.

Sapevo che quella volta sarebbe stato diverso, quella volta sarebbe stato dolce, lento, perchè entrambi sapevamo che non c'era fretta e né frenesia, questo non voleva dire che eravamo a corto di passione, ma cercammo di calibrarla per prolungare quel momento così perfetto.

Forse lo amavo, ma la parola “amore” mi spaventava troppo per ammetterlo e poi lui non aveva bisogno di tali dimostrazioni d'affetto. Lo baciai dolcemente e risi quando non riuscì a slacciarmi il reggiseno, non una ma ben cinque volte.

-Come mai così impacciato?-, dissi ridendo sulla sua pelle.

-Sapessi...-, rispose lui non curante di quanto mi piacesse torturare la gente.

Così lo presi per la felpa e lo sovrastai prendendo le redini del gioco. -No, adesso me lo dici!-.

-Eve, Eve, Eve, sempre la solita, vuoi sapere troppe cose, troppe piccola! Un giorno forse te lo dirò-, mormorò cercando di distrarmi baciandomi il collo e purtroppo per me ci riuscì. Persi la testa nel momento esatto in cui ritornò a baciarmi. Le mie mani vagavano per il suo corpo assolutamente perfetto soffermandosi sempre di più sui suoi meravigliosi ricci mentre le sue erano bloccate sui miei fianchi.

Subito dopo aver fatto l'amore mi baciò dolcemente prolungando quella stupenda sensazione fino a quando le mie labbra chiesero pietà e così lo staccai di mala voglia da me. Inizialmente si girò dall'altra parte ma in seguito tornò a stringermi a se e ad accarezzarmi il viso.

 

 

 

Matthew

Don't say goodbye 
Keep us alive 
Cause my world would stop if we didn't try 
Can't we pretend 
Just for tonight 
Cause those words would tear the stars from the sky 
Don't say goodbye

Olly Murs 



Guardai la sveglia sul comodino e notai con stupore che si erano già fatte le tre di notte, ma era inutile, non riuscivo a dormire, l'unica cosa che la testa mi ordinava di fare era stare sveglio a guardarla. No, decisamente no, non era solo sesso con lei, nemmeno attrazione fisica, era amore, lo sapevo ed ero restio ad ammetterlo perfino a me stesso.

Ero sempre stato uno di quei tipi che stanno alla larga dalle ragazze serie, uno di quelli che passava le notti nelle discoteche più chic facendosi le ragazze più belle, ma basta. Il giorno dopo non volevo sapere niente di niente. Invece Eve era...aveva la capacità di cambiarmi, di trasformarmi, se si può dire, in un bravo e fedele ragazzo.

Mi piaceva come camminava, come si passava la lingua sulle labbra quando era indecisa su cosa dire, mi piaceva come camminava e come sorrideva, perchè quando lo faceva una parte di se rimaneva composta, quasi timida, non sclerava, non urlava e non rideva in modo stridulo, invece emetteva una di quelle risate forti che raramente avevo sentito. E i suoi occhi...ogni volta mi incatenavano a lei, mi ipnotizzavano, erano di un unica sfumatura, di un verde smeraldo abbagliante e nonostante la compattezza del loro colore erano profondi quanto un abisso.

Le accarezzai con il pollice una guancia morbida e avvertii un leggero filo di fondo tinta, non era da lei truccarsi e il pensiero che l'avesse fatto per me mi fece perdere due battiti del cuore.

Si sistemò meglio appoggiando la testa sulla mia spalla e rannicchiandosi contro di me, non potei che stringerla a me. Non poteva lasciarmi, sarei morto senza di lei. Lei era...Lei, quella che non avevo nemmeno cercato, non avevo bisogno di amore nella mia vita, ma da quando lei vi era entrata un tornado mi aveva privato di tutto l'entusiasmo che avevo nel bere e nel fare nuove conquiste, nel suo raggio d'azione la fame scompariva seguita da un tremendo tormento alla base dello stomaco, le mani mi sudavano e la mia espressione sfacciata non reggeva per più di cinque minuti. Inutile, sapevo cos'era e non potevo di certo nascondermi così con tutto il coraggio che avevo lo ammisi.

-Ti amo!-, sussurrai appoggiando la mia testa sulla sua.

 

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