DREAMTIMES

di baby dark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1# ***
Capitolo 2: *** 2# ***
Capitolo 3: *** 3. capitolo ***
Capitolo 4: *** 4// ***
Capitolo 5: *** 5// ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7// ***
Capitolo 8: *** 8// ***
Capitolo 9: *** 9/// ***
Capitolo 10: *** 10/// ***
Capitolo 11: *** 11// ***
Capitolo 12: *** 12// ***
Capitolo 13: *** 13///// ***
Capitolo 14: *** 14: la storia di un'amicizia ***
Capitolo 15: *** 15// ***
Capitolo 16: *** 16// ***
Capitolo 17: *** 17// ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***



Capitolo 1
*** 1# ***


Nuova pagina 1

DREAMTIMES

 

 

1: Adii 

Il cuore mi batte fortissimo, ho il timore che da un momento all’altro mi potrebbe uscire dal petto. Sono così felice che credo di volare…arrivo davanti alla porta di casa mia. Guardo Mark negli occhi cercando una conferma su quello che stavamo per fare…mi basta osservarli, quei meravigliosi occhi bruni, per far si che tutti i dubbi che  assillano la mia mente si dissolvano. Lui mi stringe la mano per darmi sicurezza. Prima di suonare il campanello gli sorrido…

Mia madre viene ad aprire.

Vedendoci così tesi, comincia a preoccuparsi. Io la guardo determinata , per poi dirigermi verso la poltrona dove era accomodato mio padre che era intento a guardare il notiziario delle 20.

Papà: Strawberry sei tu?

S: si, papà, sono io!

Mi posizionai davanti al televisore. Lui mi guardò stupefatto. Io non dissi nulla…poi feci cenno a Mark di venire e presi la sua mano…

S: Papà, lo sai che io ti rispetto e che ti voglio un mondo di bene. Ma so anche che non ti va giù il fatto che io stia con Mark. Questo lo posso capire. Ma adesso sono qui, anzi, siamo qui per chiederti di darci il permesso di realizzare i nostri sogni. Di poterci rendere felici.-Mi inginocchiai di fronte a lui- sono qui per chiederti di darmi il permesso di partire per Londra con Mark. Sai, andremo in un college, così finalmente potrò imparare bene l’inglese…Lui mi squadrò con uno sguardo indecifrabile. Poi mi diede uno schiaffo in piena guancia impedendomi di continuare. Mark si mosse per prendere le mie difese, ma mia madre lo fermò.

Non so come descrivere il mio stato d’animo in quel momento. Non ero arrabbiata. Ero semplicemente delusa. Mio padre non mi aveva mai picchiata prima d’ora.

Forse sono un insensibile a trattarlo. Se dicessi che potevo capire il suo stato d’animo sarebbe stata solo una sporca menzogna. Io non avevo figli a cui badare, a cui indicare la giusta via da seguire…posso solamente immaginare il motivo che lo spinge ad agire così nei miei confronti.

Secondo me non era rabbia, ma paura quella che albergava nel suo cuore. La paura di un padre che è cosciente di star per perdere sua figlia... Volevo solo fargli capire che lui non mi avrebbe perso, mai! Forse ho sbagliato ad essere così diretta, ma in queste situazioni le mezze misure non servono.

Cercai ,in un disperato tentativo, di prendergli le mani. Ma lui, come sdegnato, le ritirò.

Adesso,potevo leggere nel suo sguardo disprezzo…avrei voluto tanto che dicesse qualcosa, ma niente. Non mi guardava neanche. Il suo sguardo era rivolto verso la finestra dove scivolavano ,sicure, delle gocce di pioggia.

S: SEI SOLO UN’EGOISTA! NON HAI MAI CAPITO NIENTE DI ME E ADESSO ME NE DAI PROVA! TI DA FASTIDIO IL FATTO CHE NELLA MIA VITA C’ E’ UN ALTRO UOMO OLTRE TE…è QUESTO IL PROBLEMA, VERO?

Il mio era un grido di disperazione che avevo espresso a voce alta. Avevo finalmente detto tutto quello che pensavo, e che fino a quel momento era rimasto sepolto da qualche parte della mia mente. Finalmente ho rivelato i miei veri sentimenti e ho finalmente buttato via quella maschera da brava ragazza che concepisce il padre come l’unico uomo, quella stessa, che accettava ogni sua decisione senza ribellarsi, anche se infondo le ritenevo ingiuste…avevo dimostrato a quell’uomo che prima di essere sua figlia, sono una donna…

Armai senza alcuna speranza nel cuore, ma determinata a portare avanti le mie convinzioni, mi alzai e abbracciai mia madre. Poi presi la mano di Mark e mi diressi verso la porta…

Mio padre si alzò dalla poltrona. Fece pochi passi e mi si posizionò davanti. Mi asciugai le lacrime e cercai di sostenere il suo sguardo con fierezza.

P: se tu vuoi lasciarci per questo buono a nulla, fa pure, ma sappi, che se esci da quella porta…questa non sarà più casa tua. Ma non preoccuparti, ci penserà lui a cercarti un posto dove stare da adesso in poi…

Detto questo si voltò e salì le scale.

Avrei voluto urlare, spaccare tutto. Solo così avrei potuto placare la mia rabbia. Tutto l’odio per quell’uomo che adesso era così freddo, incapace di comprendere i desideri di sua figlia, la persona, che a suo dire, era la  più importante per lui.

Non riesco a credere che l’uomo che mi ha appena cacciata da casa, fosse lo stesso che,nelle foto che ogni tanto guardavo con la mamma, timoroso, mi teneva in braccio quando ero poco più di un bambolotto, quello che mi guardava con quegli occhi pieni d’amore…voglio credere che non sia lui. voglio pensare che quell’uomo sia lontano, solo un flebile ricordo…

Seguita da Mark uscii da quella casa chiudendo rumorosamente la porta dietro di me.

Non volevo piangere come una bambina. Mark avrebbe pensato che non volevo staccarmi dalla mia famiglia…

S: Mark, scusami, ma adesso vorrei stare un po’ da sola. Quando è l’aereo?

M: dopodomani. Comunque sappi che ti capisco. Non voglio che tu ti senta costretta a partire…

S: non preoccuparti. Ti chiamo!

Mi incamminai per le strade di Tokio senza sapere dove i miei piedi mi stessero portando. Camminai a lungo. La stanchezza cominciò a farsi sentire solo molto tempo dopo. In condizioni diverse me ne sarei andata a casa, mia madre mi avrebbe preparato della cioccolata calda e mi sarei messa a guardare la tv con mio padre che da dietro criticava i canali su cui mi soffermavo…adesso non potrò fare mai più queste cose. Devo cominciarmi ad abituare…

Non avrei mai voluto giungere a questo punto, ma sia io che mio padre abbiamo fatto delle scelte, e adesso dobbiamo portare avanti, andando ognuno per la propria strada…

 

 

 

 

 

 

 

Allora vi è piaciuta? È soltanto l’inizio ma in questa storia ne vedrete davvero delle belle…comunque terrei a precisare che è un genere molto più dark rispetto ai precedenti. Poi è più matura perché verrà affrontato un tema importante…bhè, che dire…a me è piaciuta, spero anche a voi… commentate!!!!!! Tantissimi bacioni!!!!

 

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Capitolo 2
*** 2# ***


Nuova pagina 1

2:  Lacrime di diamante

Me ne stavo sul mio letto a guardare una vecchia foto. Ritraeva me con i mie genitori e Kayl. Ricordai il momento in cui quella foto era stata scattata…

Era una giornata di primavera. Ricordo che ero stranamente felice, ma non ne conoscevo il motivo. Scesi rumorosamente le scale e incontrai, nel salone, Kayl e mio padre che sorseggiavano del caffè e parlavano di “esperimenti necessari per la riuscita del progetto”, di solito, mi fermavo e li ascoltavo, e rimanevo catturato dal modo di mio padre di esporre i suoi progetti. Ma oggi non ne avevo voglia. Li salutai distrattamente e corsi in giardino dove, in lontananza, scorsi mia madre che leggeva un libro all’ombra di un Faggio. I raggi di sole le colpivano il viso. nessuna ruga solcava quel viso angelico e, pensai tra me, che mai lo avrebbe fatto. Lei sembrava così eterea e perfetta per essere umana.  Mi avvicinai curioso.

Lei , vedendomi, distolse lo sguardo dalle pagine e mi sorrise. Mi fece cenno di sedermi accanto a lei, ed io, senza esitare, lo feci. Mi abbracciò e mi regalò un bacio sulla fronte.

M: ti piacerebbe se io, tuo padre, Kayl e tu, ci facessimo fare una foto.

R: perché fare una foto se vi posso avere in carne ed ossa?!

M: piccolo mio, sei intelligente, e con te, posso parlare in libertà. Devi sapere che i genitori non sono eterni, nessuna persona al mondo lo è. In un lontano giorno in cui io e tuo padre non ci saremo più, tu ti sentirai solo, ma se avrai con te qualcosa con la quale poterci ricordare, allora sarà più facile per te capire che nonostante tutto resteremo sempre conte, anche se non, come tu dici, in carne ed ossa, ma ci saremo. Non importa se non ci vedrai, noi ci saremo, non importa se ci dimenticherai, noi ci saremo, sempre…

Rimasi un po’ scioccato da quelle parole così profonde. Era un concetto difficile da comprendere, più di qualsiasi teoria matematica che imparavo a scuola.  Quello che mia madre mi donò quel giorno, non fu solo una fotografia, ma una lezione, importantissima di vita. Perciò ogni volta che mi sento solo, tiro fuori dal cassetto questa fotografia e la guardo…

Tornai improvvisamente alla realtà. Mi parve di sentire bussare al piano di sotto. Mi infilai i pantaloni e scesi di corsa a vedere chi fosse.

Aperta la porta, davanti a me, mi trovai l’ultima persona che mi fossi aspettato di vedere…Strawberry era lì davanti a me bagnata fradicia. Il suo volto, sempre allegro e vivace, non traspariva alcun sentimento.

La invitai ad entrare. Lei oltrepassò la soglia senza proferire parola…

R: cosa ti è successo? Per caso ti hanno buttato giù dal letto stamattina?

Lei mi guardò,mi corse incontro e mi abbracciò. Io le accarezzai i morbidi capelli rossi. Sentii scendermi lungo il torace delle piccole gocce.

R: non trattenerti, sfogati! Vedrai che dopo ti sentirai meglio…- le sussurrai all’orecchio-

La sentii piangere su di me a lungo. Era uno strazio per me vederla in quello stato…dall’ altra parte cosa potevo fare. Ero impotente e questo non mi piaceva. Vederla così male mi procurava una stretta al cuore…potevo solo stare lì ed aspettare che si calmasse…

Dopo qualche ora rimasti abbracciati, non sentii più le lacrime bagnarmi il torace. Ormai i singhiozzi andavano a sfumarsi, sino a scomparire completamente.  Feci finta di non sentire che aveva smesso di piangere, forse perché una volta finito lo sfogo si sarebbe allontanata da me, e questo non lo volevo. Forse ero egoista a trarre la mia gioia dalla sua tristezza, non lo avrei mai fatto. Tutto ciò che volevo era starle vicino. Toccarle i morbidi capelli purpurei. Accarezzarle la pelle vellutata. Sentire il suo profumo entrarmi nell’anima. Era questo ciò che volevo, ma avrei preferito non avere tutte queste cose pur di non vederla in quello stato pietoso…

Il tanto temuto momento arrivò…lei girò il suo volto verso di me e mi guardò dolcemente con quei meravigliosi occhi da cerbiatta, ancora arrossati dal pianto...

S: scusami Ryan. Non volevo annoiarti con I miei piagnistei, ma avevo un disperato bisogno di una spalla su cui piangere. Non so perché ma senza volerlo sono arrivata proprio da te. E proprio prima di entrare, ho realizzato che volevo te. Solo con te mi sento libera di essere me stessa. Perché tu sei l’unico che mi conosce veramente e mi apprezza per quello che sono…

Io, sorpreso da quelle parole così profonde, sorrisi.

R: come siamo saggi…

Lei camuffò il suo dolce, triste, sorriso, in una smorfia di disapprovazione per la frecciatina che le avevo appena inviato…

R: lo sai che scherzo…ricorda che io ci sarò sempre…

S: è buffo! Me lo hai detto anche un’altra volta…

R: e a quanto pare hai preso la palla al balzo.

Invece di prendersela, questa volta, mi sorrise. Il sorriso che solo lei sa fare. così simile a quello di una bambina. Così puro e allegro. Quel sorriso che mi ha donato la luce nei giorni bui. Quel sorriso che mi ha fatto innamorare di lei. Quel sorriso che ha legato il mio cuore a lei per sempre.

Poi, ritornò seria e mi alzò in punta di piedi per darmi un bacio sulla guancia.

Avevo deciso qualche giorno prima che alla prima occasione le avrei confessato i miei sentimenti come mai con nessuno avevo fatto. Avevo deciso che lei era l’unica con la quale volevo aprirmi completamente. Ero giunto alla conclusione che era l’unica che meritava di ricevere il dono più grande che potevo farle, il mio amore. Forse mi avrebbe riso in faccia pensando che stessi scherzando o avrebbe abbassato lo sguardo e con aria triste mi avrebbe detto che lei amava Mark. Mi ero preparato a tutte le eventualità. Ma adesso che sento essere il momento giusto, senza perdermi nei miei mille interrogativi, decido che non l’avrei fatto. Avrei tenuto per me quelle parole ancora per altro tempo. Forse per sempre…ma la sua serenità era sicuramente più importante. E sicuramente quello che avevo da dirle l’avrebbe turbata, rendendola ancora più triste di quanto già non fosse…

Mi limitai a regalarle il sorriso più sereno che potevo fare. lo sapevo che non era un gran che, ma anche lei mi apprezzava per quello che ero…un eterno musone.

S: avrei bisogno di chiederti un favore…- disse liberandosi dal mio abbraccio- ho bisogno di un posto dove stare per qualche giorno…ti dispiace se rimango qui?

R: lo sai che non mi dispiace…ma non c’è abbastanza posto per tutti e due…

Strawberry assunse un aria visibilmente triste…mi maledii per aver detto quell’orribile frase…ma poi un idea mi venne in mente.

R: di dispiacerebbe andare alla villa al mare…lì ci sono letti a sufficienza…io poi non ci vada mai quindi puoi stare tutto il tempo che vuoi…

S: ok…a patto però che vieni con me…?!!!

R: non so se…ma si, al diavolo il lavoro…se non do fastidio a sua maestà…

Le presi la mano e, dopo aver fatto un buffo inchino le baciai la mano…

La vidi sorridere di nuovo come sempre…il suo sorriso era diventato ormai come una droga, non ne avevo mai abbastanza…

 

 

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Capitolo 3
*** 3. capitolo ***


Nuova pagina 1

4: L’alba di una nuova vita senza amore…

 

Non so come farò a vivere senza di te…ci proverò

non so dove prenderò la forza per dirti addio…lo farò

ma, per favore, non farmi smettere di amarti…non lo farò mai, non potrò mai!

 

Era notte fonda. Mi era svegliato all’improvviso tutto sudato. Ero certo di aver fatto un brutto sogno, ma non riuscivo a ricordarmelo. Ero confuso, avevo a dosso una sensazione strana di angoscia mista a tristezza ma non ne sapevo il motivo.

Decisi di rinfrescarmi un po’ le idee. Uscii sul balcone e misi le braccia conserte sulla ringhiera di ferro. La luna quella sera era bellissima. Chiusi gli occhi e tirai un profondo respiro come se cercassi di catturare l’essenza della notte stessa…

Il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli erano la colonna sonora perfetta per quella notte perfetta.

Aprii gli occhi e presi ad ammirare il movimento sempre costante delle onde. Andavano e venivano, proprio come qualsiasi cosa…

Solo allora realizzai che una sagoma era lì, seduta sulla sabbia ad osservare anche lei le onde. Cercai di guardare meglio e mi resi conto che era Strawberry…

 

Avevo sempre sognato di ritornare qui. Questo posto ha il potere di darmi sicurezza e protezione. Quando sono qui tutti i problemi svaniscono. È stato così anche la prima volta che ci sono venuta…ero occupata a pieno dal progetto mew e in più ci si mettevano i miei pensieri per Mark che era lontano. Quella volta avrei voluto Mark con me qui, ma adesso no . Voglio semplicemente stare qui a guardare le onde senza pensieri, preoccupazioni e pressioni. Solo io , il mare e la notte.

Mi raggomitolai mettendo la testa tra le gambe. L’aria cominciava a farsi più fresca e io avevo solo una camicia da notte di seta blu a bretelline. Ero scesa così, senza coprirmi. Ho sentito ,mentre ero in camera, il bisogno di starmene un  po’ qui da sola. È stato come se il mare mi stesse chiamando.

Cominciavo a sentire sempre più freddo…poi improvvisamente sentii due braccia forti stringermi da dietro e il calore invadere ogni fibra del mio essere. Chiusi gli occhi e senza voltarmi per vedere chi fosse mi abbandonai a quell’abbraccio…

 

Non so cosa mi sia preso, ogni volta che ero con lei facevo cose di cui poi mi pentivo. Erano gesti che nella mia mente facevo in continuazione, ma mai pensavo di metterli in pratica. Però questa volta l’ ho fatto. Mi sono arreso ai miei sentimenti è l’ ho abbracciata. Avevo bisogno di stringerla, di sentirla su di me per vivere…

Mi sarei aspettato da lei qualunque reazione, ma lei non disse nulla ne fece nulla, tranne quella di abbandonarsi su di me chiudendo gli occhi.

Restammo così per tutto il resto della notte. Sinceramente non sapevo se stesse dormendo o fosse sveglia, ma non mi interessava scoprirlo.

Lentamente il sole cominciò a fare il suo ingresso scacciando le tenebre della notte, colorando il cielo con colori accesi che andavano dal rosso al violetto. Era uno spettacolo bellissimo.

Sussurrai dolcemente il suo nome al suo orecchio. Lei aprì gli occhi e si voltò verso di me chiedendomi con gli occhi il perché l’avessi chiamata.

Senza dirle niente le indicai con il dito il punto in cui stava sorgendo il sole. Lei si rivoltò e rimase estasiata ,come me, da quello spettacolo naturale.

I primi raggi solari le illuminavano il volto colorando di arancione la sua carnagione. Le sue labbra apparirono più rosse e i suoi occhi brillavano di meraviglia come quelli di una bambina che per la prima volta scopre il mondo. Avrei tanto voluto baciarla mandando al diavolo tutto, il suo stupido ragazzo, il mio auto controllo e tutte le belle parole che mi ero detto e ridetto dentro di me sul fatto di tenermi tutto per me e restare amici. Ma facendolo sarai apparso un egoista. Avrei annullato per sempre la felicità di quel magico momento. Le avrei dato problemi e l’avrei turbata. Non volevo assolutamente che questo accadesse. Avrei fatto di tutto pur di vederla felice e adesso lo era. Le lacrime versate il giorno prima erano solo un pallido ricordo. Era questo il mio obbiettivo, farle dimenticare i problemi, e ci ero riuscito…questo mi bastava…

Quando ormai il sole fu sorto completamente lei si voltò verso di me. Mi sorrise e appoggiò la testa sul mio petto…

S: grazie.

R: non c’è di che.

S: volevo comunque dirtelo. Sei una persona speciale e spero che un giorno questa bellissima alba la condividerai finalmente con qualcuno che ami ti ami e che ti sappi apprezzare per come sei, e non con un’amica piagnucolona.

Quelle parole mi arrivarono dritte al cuore e mi riscaldarono l’anima. Nonostante tutto lei si preoccupava di me…in quel momento avrei tanto voluto dirle che era lei la persona che amavo e con cui sarei voluto essere, ma non dissi nulla. Mi limitai a sorriderle e a darle un bacio sulla guancia.

R: adesso però andiamo a fare colazione. Va bene?

S: finalmente! Morivo dalla fame…

R: ti conosco.

Entrammo dentro e la feci accomodare. Lei sorpresa mi guardò e io mi limitai a sorriderle.

R. non ti preoccupare ci penso io.

S. vuoi che ti dia una mano?
R: meglio di no…

S: cosa vorresti insinuare…

R: quello che ho detto.

Sconfitta da quel duello verbale si voltò e cominciò a fissare il vuoto pensierosa.

Le porsi una bella tazza di caffè e mi sedetti di fronte. Lei alzò lo sguardo su di me e aprì le labbra come se volesse dirmi qualcosa ma le richiuse ondeggiando la testa in segno negativo…

R: è successo qualcosa?

S: no…cioè si…senti non so con chi parlarne. Ma non riesco a tenermi tutto dentro…

R: lo sai che con me puoi parlare con libertà…

S: ieri quando sono venuta da te piangevo perché mio padre mi ha cacciato da casa…dopo aver terminato l’orario al caffè, ero tornata a casa con Mark perché ci tenevo che venisse anche lui. Qualche giorno fa  mi ha proposto di andare con lui in Inghilterra per studiare. Ci tenevo veramente tanto e credevo che i miei ne sarebbero stati entusiasti. Ma non è andata così. Mia madre non riusciva neanche a guardarmi negli occhi, mentre mio padre mi ha cacciata di casa…io ho sbattuto la porta dietro di me e me ne sono andata. Tutto qui.

Non riuscivo a credere alle parole di quella ragazza. Lei aveva sacrificato il rapporto che aveva con i genitori per quello con Mark. Sinceramente mi chiedo se mai quell’individuo se lo meritasse. Sapevo che era una ragazza impulsiva, sin troppo, ma da qui ad andarsene di casa ce ne voleva. Distolsi lo sguardo da lei e mi diressi verso il lavabo della cucina per lavare la mia tazza.

S: allora?

R: cosa vuoi che ti dica…hai fatto bene!

S: è inutile che mi prendi in giro…non lo pensi veramente. Voglio sapere veramente cosa ne pensi!

Mollai la tazza che cadde rumorosamente nel lavabo. Mi voltai verso di lei.

R: vuoi sapere veramente cosa ne penso…?credo che tu sia solo una sciocca a fidarti di quello lì. Come può una persona che dice di amarti farti andare contro i tuoi genitori?

S: adesso non prendertela con Mark. Lui, come me del resto, non sapeva come avrebbero reagito i miei…

R: io credo invece che lo sapesse. Prova a immaginare il loro dolore, tu sei la cosa più importante per loro. La loro piccolina per cui hanno fatto tanti sacrifici, e tu come li ripaghi, andatone chi sa dove con Mark.

Battei le mani a modo di applauso.

R: complimenti!

Lei irritata si alzò dalla sedia…

S: ho capito! Sono stata una stupida a raccontarti tutto! Me ne vado, così non darò più fastidio a nessuno!

R: brava scappa!

Lei mi guardò con rabbia per poi salire le scale e andarsi a chiudere in camera sua. Io feci lo stesso. Preso dal nervosismo cominciai a prendere a calci e pugni il muro.

Smisi soltanto quando le nocche delle mani mi cominciarono a sanguinare. Mi diedi dello stupido per aver reagito così. Il mio ,più che un consiglio da amico, era quello di un povero ragazzo geloso, ma forse, se lei credeva veramente in quel ragazzo, se aveva fatto tutto quello che aveva fatto solo per l’amore che nutriva nei suoi confronti, allora non era tutto sbagliato…è vero che l’amore rende stupidi, ma lei ha avuto coraggio nel difendere il suo amore, quel coraggio che io non avrò mai…

Aprii di scatto la porta e andai a bussare alla sua. Pregai che non se ne fosse ancora andata.

Sentii dei passi venire verso di me e ringraziai dio in cuor mio. Aprì la porta e ci trovammo faccia a faccia. I suoi occhi erano rossi, doveva aver pianto…

R. scusami! Ho sbagliato! Se tu lo ami è giusto che lo segui. Se è quello che vuoi veramente allora lotta fino alla fine per averlo e tienitelo stretto…questo è il mio consiglio da amico saggio…va bene?

Lei mi sorrise e mi abbracciò.

S: si!

Mi allontanai da lei.

R: quando hai l’aereo?

Lei preoccupata guardò l’orologio.

S: tra circa un’ora.

R: vieni! Dobbiamo sbrigarci!

Lei prese la borsa e mi seguì. Scendemmo a piano terra. Cercai in tasca le chiavi della moto e uscii seguito a ruota da Strawberry che ancora non aveva capito nulla delle mie intenzioni.

Aprii la porta del garage e andai verso la moto. Inserii le chiavi e le girai. Diedi gas, ma non partiva. Pensai che era stata troppo tempo ferma e il motore aveva bisogno di scaldarsi…ma il problema era un altro: non c’era benzina…

R: cazzo! – fu l’unica parola che mi venne in mente-

Mi diressi verso la mercedes e ci entrai dentro. Voltai anche qui le chiavi verso destra. Questa volta però la macchina partì subito. Feci cenno a Strawberry di entrare e a tutto gas ci dirigemmo verso l’aeroporto.

Arrivammo davanti all’ingresso principale. Un vigile mi  fermò per dirmi che avevo parcheggiato la macchina in un luogo vietato. Lo mandai al diavolo invitandolo a farmi una multa, senza darmi più fastidio.

Presi la borsa di Strawberry.

Sentii l’operatrice informare sull’ultima chiamata per il volo Tokio – Londra.

In fondo al corridoio Strawberry vide Mark e gli corse incontro superandomi. Lo abbraccio e gli diede un bacio sulle labbra.

 

Finalmente stavo per coronare il mio sogno. ero lì con Mark. Finalmente stavo per partire con lui…mi voltai verso Ryan e gli corsi incontro abbracciandolo.

S: la troverai la persona giusta, quella che ti farà battere il cuore…non preoccuparti!

R: non mi preoccupo!

 

Lei mi regalò l’ultimo sorriso prima di voltarsi e andarsene per sempre. Era come se una parte del mio cuore stesse partendo con lei. Anzi tutto il mio cuore era con lei. Adesso che lei se ne stava andando il mio amore per il suo ricordo era l’unica cosa che mi dava la forza di pensare al domani…

Le avevo detto di non preoccuparsi. Avrei dovuto continuare dicendole che la persona che mi faceva battere il cuore l’avevo già trovata…ma questo spero che un giorno potrò dirlelo di persona…forse imparerò da lei ad avere coraggio e a lottare per quello che desidero veramente…

 

 

Singh singh, ho battuto me stessa! Però devo ammettere che sono stata brava! Sono riuscita ( credo, poi me lo direte voi) a fondere tristezza con gioia, o almeno così credo. Questo, comunque era il mio intento e spero di aver fatto arrivare a voi lettori queste sensazioni. Avrete capito che da un po’ di tempo a questa parte mi sto fissando con le Mercedes…ebbene ve ne sorbirete ancora per un po’…che dire di più…RECENSITEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!

Baby Dark

 

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Capitolo 4
*** 4// ***


Nuova pagina 1

5: Gocce di memoria

 

Cara amata,       

 nella mia vita ho commesso molti errori.

Vorrei tanto poter tornare indietro per non commetterli.

Ma, probabilmente, rifarei tutto esattamente come prima…

ma sono sicuro che non troverei un’altra volta la forza di dirti addio

 

 

Le gocce di pioggia si andavano a sgretolarsi contro il freddo vetro e, leggere, si facevano scivolare su di esso. Il loro percorso era chiaro. Quelle piccole particelle d’acqua sapevano che una volta sul vetro il loro viaggio sarebbe stato in discesa e, per questo, lo compivano rassegnate, sapendo che una volta finita la pioggia, il sole le avrebbe fatte di nuovo levare verso il cielo donando a loro nuova vita.

Rimasi ad osservare il tempo  minaccioso. Non faceva che piovere e tuonare da più di tre giorni, e non accennava a smettere. Proprio quella sera avevo ascoltato il notiziario delle 20 che avvertiva noi cittadini di Tokio di stare all’erta perché da un momento all’altro poteva essere emanato l’ordine di sfollamento. Infatti un potente ciclone minacciava la penisola.

Non so come il giornalista potesse dire tutte quelle notizie sconcertanti come se nulla fosse e poi, con tranquillità passare alla rubrica di spettacolo o di cucina. Non riuscivo proprio a capire come le persone pensino solo a se stesse, fregandosene altamente del mondo che li circonda.

Tuttavia la mia testa era vuota o meglio piena di timore. Una strana sensazione mi attanagliava lo stomaco da qualche settimana, tanto che andai anche dal medico, ma lui, dopo aver tastato il mio addome, mi sorrise e mi disse che stavo benissimo e che era solo un po’ di stress accumulato.

Stress accumulato, e? Quel manichino con quel camice bianco non sa nulla di me, ne di tutti i suoi pazienti che nelle sue cure ripongono le loro vite. Quel camice bianco  da il diritto a quelli che lo indossano di decidere delle vite di altre persone, come uno smistamento, loro sanno chi deve morire o invece chi far sopravvivere per estorcere altro denaro.

Ecco lo sto facendo di nuovo! Critico sempre tutte le persone che mi circondano. In loro vedo solo avidità, menefreghismo, odio, rancore…ma la verità è che tutti questi sentimenti sono in me. Si sono presi la mia anima rendendola sporca, si sono presi la mia mente, facendomi credere ciò che vogliono loro e annebbiando i miei sensi. Ma l’unica cosa che non sono riusciti a prendere e che non prenderanno mai, è il mio cuore. L’unica parte di me che si è salvata da questa distruzione.

A volte vorrei che se lo prendessero. Forse, così si potrebbe riempire di qualche emozione, anche se si trattasse di odio.

Senza emozioni è come essere vegetali che ritardano solo la morte. Pur troppo sembra che la mai ora sia ancora lontana. Non nascondo che quando sono andato dal medico ho sperato dentro di me,  mi dicesse che avevo una malattia grave e che mi rimanevano solo pochi giorni di vita.  Ho il desiderio di morire solo per poter assaporare la vita che tre anni fa ha abbandonato il mio corpo.

Sorrido guardando il mio riflesso sul vetro della finestra. Disgustato dalla mia stessa immagine, mollo al vetro un pugno. Piccoli frammenti di vetro mi entrano nella carne. Osservo il sangue uscire dalle ferite e, lentamente, coprirmi la mano e parte del polso. Scivola, scivola, la mia vita scivola via come questo sangue, scivola via, senza che io possa fare niente per fermarla, scivola via il mio essere, troppo stanco per continuare a respirare, perché è solo questo che faccio…io, ormai non vivo più, sopravvivo, mi trascino con tutte le forze che mi rimangono lungo i giorni che scorrono…

Eccolo qui, Ryan Shirogane che muore perché ,come uno stupido, ha lasciato uscire dalla sua vita, l’unica cosa buona mai entrata.

Eccolo qui, il grande Ryan Shirogane che ogni sera va a puttane coltivando la vana speranza che in qualcuna di quelle sgualdrine, può ritrovare il “suo” sguardo. Quello sguardo dolce di bambina innocente e candida, quello sguardo che riesce a leggerti l’anima, l’unico sguardo capace di farlo innamorare.

Tutte le notti sogno i tuoi occhi che mi scrutano, la tua pelle candida illuminata da timidi raggi di luna, il tuo collo nudo e ambrato, le tue labbra rosse come il fuoco dell’inferno e i tuoi capelli che, come spighe di grano rosso, si agitano al vento. Sei lì, seduta sulla spiaggia che mi domandi il perché io ti stia osservando. In tutti i sogni tu mi fai questa domanda, in tutti i sogni io vorrei dirti la verità, vorrei urlare al mondo intero che ti amo, vorrei prenderti tra le mie braccia e stringerti forte e poi posare le mie labbra indegne sulle tue. Ma, in tutti i sogni,  mi limito a fare spallucce e ad andarmene, senza dire niente.

Non mi è mai piaciuto mentire. Ma da quando ti ho conosciuto non ho fatto altro. Ti mentivo dalla mattina alla sera, sapevo che se per una volta, una sola, fossi stato sincero, il nostro rapporto si sarebbe inclinato per sempre.

Quante mattine mi sono ripromesso di dirti quello che provavo, ma ogni volta che ti guardavo la paura di un rifiuto certo, mi attanagliava la mente e rimanevo a fissarti da lontano mentre compivi gesti, a volta leggiadri e calmi, altre veloci e isterici. Tu da sola riempivi il mio cuore, eri il suo nutrimento.

Purtroppo quando quel nutrimento è venuto a mancare, l’ ho cercato invano in altre ragazze. Ma non erano te. Nessuno sarà mai come te. Tu sei stata la prima a farmi scendere dal piedistallo su cui ero. Sei stata la prima ad essere sincera e a trattarmi come un ragazzo qualunque. Sei stata la prima a farmi sorridere spontaneamente e a farmi dimenticare il mio triste passato. Sei stata l’unica a non permettere che la tristezza mi portasse via.

Mi hai fatto capire che anche io posso buttarmi alle spalle ciò che non voglio e vivere come ho sempre voluto, e l ’ho fatto! L’ ho fatto per te. L’ ho fatto perché tu potessi essere fiera di me.

Adesso però non ci riesco. Non riesco a dimenticarti e a buttarti alle spalle. Non riesco a dimenticare quelle farfalle nello stomaco quando ti ho visto per la prima volta. Ti ho amato e ti amo tuttora, e credo che ti amerò per sempre…il mio cuore spera che un giorno tu possa entrare da quella porta, come hai sempre fatto, e sorridermi di nuovo. Allora forse la pioggia finirà di cadere e io rinascerò a nuova vita.

Tolgo la mano dal freddo vetro e ammiro per qualche secondo l’impronta di sangue che ho lasciato sul freddo vetro…cerco di ritornare in me e mi fascio la mano con una garza. Poi prendo dall’attaccapanni il mio giubbotto. Prima di andarmene raccolgo dal tavolo vicino alla finestra, la tua ultima lettera. Come se non l’avessi mai vista prima d’ora, la guardai ancora. La tua grafia era tremolante e sulla carta ,ancora vive, le macchie lasciate dalle tue lacrime. Mi dispiace che scrivermi questa lettera ti abbia arrecato dolore, ma non posso farci niente, faccio soffrire sempre le persone che amo…

Il mio ultimo sguardo va sulla data, scritta in piccolo sul margine destro del foglio bianco. Risaliva a circa due anni fa. Da allora non avevo più ricevuto tue notizie…

Avrei voluto anch’io scriverti una lettere, ma mi rendo conto che sarebbe stato superfluo e inopportuno, perché ti avrei scritto un mucchio di sciocchezze, visto che le parole che veramente mi stavano a cuore dirti non le avrei potute scrivere.

 

 

Piaciuto? Questa storia mi sta uscendo molto più dark di quanto pensassi. Ma a me piace così, spero che lo stesso valga per voi cari lettori. Scrivetemi tante recensioni, altrimenti non scrivo più e vi lascio sulle spine!!!!! Scherzo, comunque mi farebbero piacere le vostre recensioni, se non altro per capire se sto facendo un buon lavoro o no! tantissimi baci!

Baby Dark

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Capitolo 5
*** 5// ***


5: Sotto la pioggia.

 

È  difficile vivere sapendo di essere sola.

È faticoso resistere all’impulso di ritornare.

Ma devo stringere i denti e resistere. Devo farlo per il mio amore.

 

La pioggia procedeva la sua discesa senza smettere neanche per un secondo. Le piccole gocce si frantumavano sul mio capo e colavano giù seguendo le pieghe dei miei capelli.

Il freddo che emanava il marciapiede sul quale ero seduta infreddoliva le mie gambe nude e mi recava in tutto il corpo un tumulto di brividi freddolosi . Cercando di ripararmi il meglio possibile, mi raggomitolai nel giubbotto di pelle nera, troppo grande per me.

Guardavo le persone camminare lungo le strade. Alcune erano di fretta, altre passeggiavano tranquillamente, fermandosi di tanto in tanto a guardare le vetrine illuminate.

Di fronte a me, una vecchietta cercava di vendere dei mazzi di fiori, ormai inzuppati d’acqua, ai passanti, che, scostanti, rispondevano di no . Poco più distante da me, c’era la fermata dell’autobus, e, dato l’ora tarda era poco affollata  Più in là i primi negozianti che calavano le saracinesche dei loro negozi.

Smisi di osservare il mondo che mi era dinanzi, e alzai il capo verso l’alto, andando a posare i miei occhi sul cielo. Avrei tanto voluto vedere le stelle in quella buia notte, ma erano tutte coperte dalle nubi. Mi rattristai. Chiusi gli occhi e lasciai che la pioggia mi bagnasse il volto.  In realtà cercavo di nascondere le lacrime, che si mescolavano alle gocce di pioggia.

Mi capitava spesso di avere momenti in cui, senza un motivo preciso, scoppiavo in lacrime. Di questo passo sarei rimasta senza liquidi in corpo.

La notte, mentre aspetto un “ passaggio”, rimango seduta a riflettere, o meglio ad immaginare. Mi sforzo di immaginare come sarebbero andate le cose, se solo ti avessi ascoltato. Se solo avrei ascoltato le tue raccomandazioni e le tue perplessità sulla mia scelta di partire. Probabilmente la mia vita sarebbe stata diversa, mi sarei risparmiata un bel po’ di tristezza e vergogna. Avrei mantenuto integro il mio pudore. Ma, come una stupida non l’ ho fatto.

Non ho voluto ascoltarti, non ho voluto ascoltare tutti quelli che la pensavano come te…ma ormai quel che è fatto è fatto. Non posso semplicemente schioccare le dita e ritornare indietro di tre anni. Non posso.

Sorrido. Chi sa cosa diresti se mi vedessi adesso. Probabilmente, anche tu mi allontaneresti come un’appestata. Oppure mi guarderesti con quei meravigliosi occhi turchesi e te ne andresti via, voltandomi le spalle. Sai, comprenderei ogni tua possibile reazione. Sarei felice semplicemente del fatto che tu saresti qui.  Potrei rivedere finalmente un viso amico.

Troppe persone mi hanno usato, troppe mi hanno maltrattato, troppe tradito, ma una sola mi ha dimostrato un affetto vero e incondizionato. Solo adesso capisco che dietro le tue battutine infantili e gli sguardi di finta indifferenza, c’era una persona che si preoccupava per me, che mi voleva bene.

Non sono mai riuscita a dirtelo, ma anch’io, nonostante tutto, ti volevo bene.

Dovevo venire sino a Londra e passare quello che ho passato, per capirlo. Sono proprio una schiocca. Se solo ti avessi ascoltato adesso, probabilmente, sarei con te, a ridere e scherzare. Invece, eccomi, qui, su di un freddo marciapiede di una fredda città.

Adesso che ci penso, non ho mai pensato all’eventualità che tu adesso sia fiero di me. Dopotutto ho fatto quello che tu mi hai intimato più di una volta: ho seguito il mio cuore. Ho seguito il mio amore. Ho seguito Mark. A prescindere da quello che faccio, io adesso sono con lui. Continuo ad amarlo nonostante tutto. Mai come adesso capisco il detto “l’amore è cieco”. Forse non è il ragazzo che ricordi, è cambiato, ma, nonostante tutto lo amo, ugualmente.  Non mi importa di ciò che mi capiterà a continuare quello che sto facendo, so solo, che lui è felice, e se lui è felice, anch’io lo sono.

Un amaro sorriso si dipinse sul mio volto. Il sorriso di una ragazza che non sa a cosa va incontro, di una ragazza che vive di ricordi di persone che si illude la pensino ancora, che attendono ancora il suo ritorno. L’amaro sorriso di colei che è consapevole di vivere in un mondo di paglia, e si sa ,la paglia, se esposta troppo tempo al fuoco, può prendere fuoco.

Riaprii gli occhi, perché destata dal suono di un clacson. Guardai l’auto nera di grossa cilindrata che si era appena fermata dinanzi a me. Come un malfattore che viene condotto al patibolo, mi alzai, mi sistemai la minigonna di jeans che indossavo tirandola più giù possibile, e mi avviai verso l’auto. L’uomo mi aprì la portella ed io entrai nella vettura.

Lo guardai in faccia. Era un uomo sulla quarantina, dai capelli neri un po’ brizzolati, che aveva una sigaretta in bocca, i cui tanfo aleggiava per tutta la vettura. Dopo avergli fatto un sorriso di circostanza mi girai dalla parte apposta e appoggiai il capo sul sedile che puzzava anch’essi di fumo, riprendendo ad ammirare le luci della città.

Dopo circa un ora ritornai a casa. Entrai la porta e con dispiacere constatai che Mark non c’era, probabilmente era ancora a lavoro. Mi spogliai e mi sedetti alla sedia davanti al televisore, ma non lo accesi, non avevo voglia di ascoltare nessuno, volevo essere inghiottita dal silenzio che regnava in quel bilocale rozzamente arredato, che ai miei occhi appariva la casa più accogliente del mondo.

Venni catturata dal mio riflesso nello specchio. Avevo ancora il volto umido, il trucco tutto rovinato e sbavato, i capelli pieni di nodi. Avvicinai la sedia allo specchio e con la spazzola, appoggiata sul comodino, cominciai a spazzolarmi i capelli, cento colpi, come facevano le principesse nelle storie che la mamma mi raccontava da piccola per farmi addormentare.

 

Eccomi qui per un nuovo capitolo. Che ve ne pare? Come avreste intuito, è Strawberry che parla in prima persona qui. Credo che si sia intuito cosa fa, comunque, la situazione si evolverà. ( hehehehehehehe fa pure rima!!!!!)

Come avrete notato dalla fine del capitolo, ho concluso nello stesso modo in cui si conclude un capitolo del libro “Melissa P-100 colpi di spazzola prima di andare a dormire”.  Il motivo è che sono rimasta molto colpita da questo libro e ho deciso di utilizzarlo per arricchire questa storia. La Strawberry ha poco a che fare con la protagonista del libro, ma in alcune parti, il personaggio di Strawberry che voglio costruire le è simile. Spero che questa mia idea vi piaccia!

Quasi dimenticavo…RECENSITE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Baby Dark  

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Capitolo 6
*** 6. ***


Nuova pagina 1

6: Cena con i tuoi

La pioggia continuava a cadere indisturbata, in quella grigia giornata, senza dare cenni di cedimento. In quella piccola via di periferia si odono solo i miei passi e il soffuso ticchettio delle gocce di pioggia che si frantumano sull’asfalto.

Sono ormai bagnato fradicio, ma non mi importava. Non mi importava più di nulla. Sono solamente un involucro di carne e ossa senza anima, senza linfa vitale.

Continuo a camminare, solo. Ormai fantasma del ragazzo che ero un tempo. Solo un fantasma…solo un fantoccio…

Arrivo dinanzi al palazzo dove i tuoi genitori vivono da un anno. Loro sono le uniche persone che probabilmente possono comprendermi. Loro, a differenza mia, attendono il tuo ritorno. Dico a mia differenza, perché io non credo che tornerai. Chiamami pessimista, ma ho perso la speranza di rivederti tanto tempo fa, quando hai smesso di darmi tue notizie. Per quale motivo dovresti ritornare qui, se dove ti trovi adesso sei felice. È inutile illudermi di poterti rivedere, è inutile torturare ancora di più il mio cuore malato procurandoli ancora una delusione. Ho accettato la tua decisione di partire insieme a Mark quella mattina di tre anni fa quando ti ho accompagnata all’aeroporto, e continuo a rispettarla, ti ho promesso di farlo. Però, questo non vuol dire che non possa soffrire, per cui continuo a vivere nel tuo perenne ricordo che mi tortura piacevolmente in ogni misero istante della mia esistenza, in silenzio, tenendomi tutto dentro, come ho sempre fatto.

Guardo il misero condominio in cui i tuoi sono andati a vivere. Non sai quante volte li ho offerto il mio aiuto, ma hanno sempre rifiutato. Probabilmente ti stai chiedendo il motivo del loro trasferimento. Ebbene, qualche mese dopo la tua partenza, tuo padre ha lasciato il lavoro. Lui afferma di averlo fatto semplicemente perché quello che faceva non lo appassionava più come prima, per cui non aveva alcuna ragione di continuare. Ma, orgoglioso come è, non ha voluto ammettere che lo ha fatto perché non riusciva più a vivere senza di te e quindi si è lasciato andare tra le dolci braccia della depressione, poiché ha trovato più comodo starsene tutto il giorno davanti ad un televisore, anziché reagire. Così facendo non è riuscito più a mantenere la vostra vecchia casa, che ha dovuto vendere. Ma io lo capisco, solo io ne sono in grado, perché ho fatto la medesima sciocchezza.

Ricordi quanti sogni avevo. Sarei voluto diventare un rinomato scienziato come mio padre, o dedicarmi alla mia passione segreta, di cui non avevo parlato neanche con te, cioè diventare un medico per poter essere utile alla gente. Ma come posso salvare la vita di un’altra persona, se per primo ho lasciato affievolirsi la mia? Per cui, quando ti dicevo di vivere soltanto per ricordarti, non esageravo.

Busso alla porta e tua madre mi viene ad aprire con il suo solito sorriso caloroso, che poi si tramuta in uno sguardo severo e di rimprovero. Mi ordina ad entrare con tono di rimprovero.

M: ma sei impazzito? Come ti è saltato in mente di venire con questo tempaccio? Aspettami qui che vado a prenderti un’ asciugamano.

Così dicendo si allontanò lasciandomi sull’uscio della porta. Dopo qualche minuto ritornò e mi avvolse in un telo rosso. In quel momento ho avvertito il tuo odore, quello di fragole di bosco. Rimasi così per non so quanto tempo.

Non so perché continuavo a fare visita ai tuoi genitori. Probabilmente perché era un modo come un altro per potermi illudere di condividere qualcosa con te. O forse perché mi faceva comodo. Erano sempre così gentili e ospitali nei miei riguardi che mi davano la falsa sensazione di poter far parte di una famiglia.

È triste, vero? La mia vita è contornata da illusioni e falsità. Nulla è come sembra, nulla è come io vorrei, ma è ciò che mi rimane di te. Queste falsità mi servono per sopravvivere e tirare avanti sino a che gli dei non mi chiameranno a loro.

Dopo essermi asciugato mi dirigo verso il salone mentre tua madre ritorna in cucina. Tuo padre, come previsto, è seduto proprio dinanzi al televisore, comodamente seduto su di una poltrona marrone, ormai logorata dal tempo. Mi soffermo a guardare il suo fiocamente illuminato dalla luce che la TV emana. Tutta la sua giovinezza è scomparsa, al suo posto vi sono i visibili segni del tempo che marcano i lineamenti. Mi chiedo se tra qualche anno sarò anch’io così.

Lui si accorge della mia presenza e mi fissa. I suoi occhi corvini si incrociano con i miei , quasi volesse leggermi l’anima. Poi mi rivolge un sorriso ,che fa trasparire tutta la sua insoddisfazione per quella vita che lo sta pian piano uccidendo, ed io ricambio il gesto.

P: qual buon vento ti porta qui ,ragazzo?

R: nessuno. Solo voglia di non starmene da solo.

Lui mi fa un cenno affermativo con il capo e ritorna a concentrarsi sulle immagine proiettate al televisore.

Io gli volto le spalle e mi dirigo verso la cucina dove mi soffermo a vedere tua madre che armeggia indaffarata le stoviglie.

Mi piace osservare i tuoi. Mi fanno comprendere il significato profondo dell’amore. Che non è quello stupido adolescenziale, ma quello vero. Quel sentimento che si costruisce pian piano, con il passare del tempo. Quella complicità che li fa essere un’unica cosa.

Mi avvicino e ai fornelli e approfitto di un momento di distrazione di tua madre per sgraffignare un pezzo di crostata. Lei se ne accorge e mi da un leggero schiaffo sul dorso della mano. Io le sorrido e vado a darle un affettuoso bacio sulla guancia, come facevo sempre con te. Poi mi siedo ad una sedia poco lontana dalla tavola e prendo a mangiare il mio pezzo di crostata alla marmellata di frutti di bosco.

Intanto il mio naso viene stuzzicato da un profumino che proviene da una delle pentole posate sul fuoco.

R: cosa cucini di buono?

M: spezzatino. Rimani a cena!

R: non vorrei dare disturbo e poi a casa mi aspetta uno di quelli invitanti piatti già pronti surgelati.

M: forse non hai capito. Non era una domanda! Era un ordine!

R: se è così. il mio surgelato dovrà aspettare.

Ci guardammo per un attimo negli occhi prima di scoppiare entrambi a ridere. Era identica a te. Aveva il tuo stesso meraviglioso sorriso. Rimasi incantato a guardarla.

Terminata la cena tua madre portò a tavola la crostata a sui mancava un piccolo pezzo. Dopo aver consumato anche quella e aver osservato divertito i numerosi battibecchi tra i tuo genitori, li informai che me ne stavo andando. Tuo padre mi salutò e salì le scale diretto, presumo, in camera da letto, mentre tua madre mi accompagnò sino alla porta.

Prima di aprirla però, assunse un aria seria e mi guardò con fare preoccupato.

M: Ryan caro, so che sei molto amico di mia figlia. Hai ricevuto per caso sue notizie ultimamente. Non ti nascondo che è da circa due mesi che non mi scrive e sono preoccupata.

R: mi dispiace deluderla, ma non credo di essere così importante per sua figlia, poiché non ho sue notizie da oltre un anno, per cui sono la persona meno indicata su cui contare.

Lei intuì la tristezza che animava le mie parole e il mio sguardo, e mi abbracciò come se fossi un bambino da proteggere, come se fossi suo figlio, donandomi un po’ di calore materno di cui avevo bisogno.

Una volta allontanatasi da me ritornò seria.

M: non è mia intenzione angosciarti, ma vedi avrei voluto informarla del fatto che tra tre settimane suo padre si dovrà sottoporre ad un delicato intervento a cuore aperto. Avrei tanto voluto che lei venisse a sostenerlo…

Guardare il viso di tua madre così preoccupato mi provocò una stretta al cuore. I tuoi erano le ultime persone che avrei voluto vedere soffrire. Ero inutile, anche in questa situazione. Loro mi aveva donato tanto, mi erano stati vicini durante questi anni, ed io come li ricambio? Con niente. Eppure qualcosa farò. A costo di doverti venire a cercarti personalmente per tutta Londra. Che gli dei mi siano testimoni, io ti riporterò a casa Strawberry, fosse l’unica cosa che faccio!

Che non vengano a chiamarmi egoista, non lo faccio per me, potrei anche “vivere” soltanto del tuo flebile ricordo, ma i tuoi genitori no . loro hanno bisogno di sapere come sta la loro figlia e che donna è diventata lontana da loro.  Per questo verrò a cercarti…

 

 

Piaciuto? Mi sono mangiata letteralmente il cervello, poiché avevo scritto già qualche giorno fa questo capitolo, e devo dire che mi era piaciuto molto. Purtroppo avrò sbagliato qualcosa nelle operazione di selvaggio, percui il file è andato perso. Mi sono talmente innervosita che non riuscivo più a riscriverlo. Poi me lo sono imposto come un obbiettivo personale, ed ecco qui il frutto delle mie fatiche. Nella stesura originale la parte iniziale era più ricca di particolari deprimenti, comunque devo dire che nonostante tutto questo capitolo mi piace! Vorrei porvi una domanda. Vi piace questo mio nuovo modo di scrivere, cioè di rivolgere i pensieri del personaggio ad un’altra persona (in questo caso, Ryan pensa come se stesse parlando con Strawberry). Miraccomando fatemelo sapere, perché se non vi piace non lo utilizzerò più!

Tanti saluti dalla vostra

Baby Dark 

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Capitolo 7
*** 7// ***


Nuova pagina 1

7: Paradiso e Inferno

Uscito dal bagno, mi diressi verso il letto matrimoniale blu, situato proprio al centro della camera. Mi lasciai andare e mi sdraiai sul lenzuolo blu notte. I miei capelli ancora bagnati, crearono tutto intorno un alone d’acqua che pian piano si espandeva, sino a prendere  tutto il cuscino. Solo allora riuscii a rilassare i miei muscoli. Avevo trascorso tutta la giornata a cercarti, ovviamente senza successo, non che speravo di trovarti al primo tentativo.

Sorrido. Non ero mai stato a Londra. Già, è strano che uno come me, non abbia mai visitato una città così importante. Forse è questo l’aspetto positivo di questa esperienza: grazie a te ho avuto finalmente la possibilità di vedere e assaporare la vita di questa splendida città.

[…]

Ero seduta su di una, alquanto sgangherata, sedia di legno, comunque, mi sarei aspettata di peggio, vedendo il genere di bettola dove mi trovavo: un lurido motel, appena fuori Londra.

Le pareti erano di un grigio spento, che in origine, sarebbe dovuto essere celeste acquamarina. Il letto era spoglio e misero, coperto da una dozzinale coperta di fibra sintetica, raffigurante una pacchiana fantasia a fiori gialli. I comodini, posizionati ai lati del letto, erano di legno alquanto scadente, e in alcuni punti scheggiati. Di fronte al letto era posizionato uno specchio che prendeva metà parete. La cornice era d’ottone, un po’ arrugginita dal tempo. Anche il vetro era coperto da uno spesso strato di polvere: di certo non era una preoccupazione di chi veniva in questi luoghi, guardarsi allo specchio. E sinceramente non volevo farlo neanche io. Non volevo vedere il mio pudore abbandonare pian piano la mia persona. Non volevo!

Dal bagno uscì un uomo sulla cinquantina in accappatoio. Aveva i capelli bianchi e le iridi nere. Portava, sospesi sul setto nasale, un paio di occhiali a fondo di bottiglia alquanto bizzarri. Mi sorrise e si diresse verso di me con le braccia spalancate.

Non avevo neanche la forza di ribellarmi. Mi abbandonai e feci fare tutto a lui. Non volevo prendere parte a quello schifo. La mia mente abbandonò il mio corpo e presi ad osservare quella scena come una semplice spettatrice, come se io non centrassi nulla con quella puttana che si faceva palpeggiare da un uomo che poteva essere tranquillamente suo padre.

Infondo gli uomini con cui andavo a letto erano veloci. Visto che da me voleva esclusivamente una sola cosa, prima le la davo, e prima quel supplizio terminava. Semplice, no?

Tutti uguali. Tutti schifosamente uguali…

La maggior parte di loro sono tutti uomini sopra la trentina, con mogli e figli a carico. Secondo me lo fanno per evadere dalla monotonia coniugale o perché la moglie è la classica oca giuliva che se la tira, o troppo stanca, alla sera, per soddisfare le voglie sessuali del marito o del fidanzato. Non c’è una costante che spinge l’uomo impegnato ad andarsene a puttane, ne sentono il desiderio e basta. 

Poi ci sono quelli che non hanno nessuno e si rifugiano tra le braccia di una sconosciuta per colmare qualche vuoto nella loro vita.

È strano, come si possa scoprire il mondo facendo la troia. Normalmente, tutti sono così gentili e premurosi nei tuoi confronti, mentendoti, molte volte. Con una puttana invece, la parte peggiore degli uomini esce fuori. A galla, emergono le loro fissazioni, i loro desideri e le loro passioni.

Solo adesso riesco a comprendere le verità nascoste del mondo. Quelle verità celate dietro falsi sorrisi e false speranze. Dietro persone che si interessano a te, ma che infondo, voglio solo una cosa.

Le persone sincere e leali sono davvero rare, più di quanto pensassi.

Dopo circa un’ora e mezzo, tutto è finito. Raccatto le mie cose e me ne vado in bagno a vestirmi. Chiudo la porta dietro di me e lascio scivolare il mio corpo contro, inginocchiandomi e iniziando a piangere silenziosamente.

Sai Ryan, tu eri una di quelle persone speciali a cui prima pensavo. Non sai cosa darei per poterti rivedere  ancora. Anche se da lontano, poter ammirare quell’angelo meraviglioso che ho lasciato volare in Paradiso, mentre io sono scesa all’inferno.

Non so perché, ma mi piace pensarti. Parlarti come se fossi ancora qui. A volte penso: cosa farebbe Ryan? Cosa mi consiglierebbe Ryan se fosse qui? Buffo vero? Tu, probabilmente, non ti ricorderai neanche di quella buffa ragazzina, perennemente lì a scocciarti per ogni cosa. Meglio così. non ti merito, perché tu sei un angelo, io, una creatura degli inferi…

[…]

Dopo essermi infilato velocemente un jeans e una maglietta, e aver preso il giubbotto, esco da quella camera così lussuosa, eppure così vuota e desolante, cercando di trovare qualcosa che mi potesse occupare, facendomi evitare di pensarti continuamente. 

Dopo aver fatto qualche metro, vengo attirato dall’insegna di un bar e decido di entrarvi. L’interno è fiocamente illuminato da alcuni faretti rossi, sparsi qua e la, per il resto, tutto è in penombra, avvolto da una nuvola di fumo molto densa. Poco distante dalla porta d’ingresso, vi è il bancone illuminato da un neon di colore azzurro. Mi avvicino e prendo posto su uno degli sgabelli posizionati di fronte. Solo dopo qualche minuto riesco a catturare l’attenzione del bariste che stancamente si dirige verso di me.

-vodka, prego!- gli ordino, coprendomi gli occhi con una mano, disturbato dalla luce del neon.

-subito-

Qualche secondo dopo la mia vodka e davanti ai miei occhi. Senza esitazione la butto giù in un sol sorso, stringo gli occhi, e la sento scendere lungo la gola e portare via con se anche i miei pensieri. Sorrido. È solo una bella illusione. Neanche l’alcol è capace di portare via i mie pensieri. Sono troppo duri da distruggere per fino per lui. Me ne libera solo per qualche attimo, solo per qualche attimo…

Dopo essermele scolate altre tre, con la gola, ormai insensibile e arrossata, mi alzo e lascio i soldi sul bancone, infilo le mani nelle tasche del giubbotto e me ne vado.

Me ne torno in albergo e, una volta spogliato, mi infilo sotto le calde e soffici coperte. Volgo la testa in direzione della grande vetrata e osservo prima i grattacieli della City e poi più in su, sino a incrociare le stelle. Sospiro…almeno questa notte, cara Strawberry, siamo sotto lo stesso cielo, e probabilmente stiamo guardando le stesse stelle, che timidamente, staranno illuminando il tuo volto con una luce argentea che lo rende ancora più bello e splendente, facendoti apparire come una venere uscita dalla punta del pennello di qualche famoso pittore.

Buona notte, anche a te….

[…]

Cammino con passo svelto verso casa mia, sai, le strade dopo un certo orario non sono più tanto sicure, soprattutto dove abito io. Arrivo finalmente davanti al portone e infilo la chiave nella toppa del portone. Ma prima, alzo lo sguardo a cielo e sorrido alle stelle, che mi guardano dall’alto e vegliano su di me, rendendo meno scura la notte. Gli sorrido e penso a cosa stai guardando tu in questo momento…

Entro e mi chiudo alle spalle la porta.

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Capitolo 8
*** 8// ***


Nuova pagina 1

8: La West Evenuie

Questi ultimi giorni erano volati, senza neanche  che me ne accorgessi ne erano già trascorsi cinque.  Purtroppo il mio soggiorno a Londra, fino ad ora, non aveva prodotto nulla. Solo ancora più preoccupazione e paura.

Ma cosa hai fatto Strawberry? Questa mattina, mi sono recato al college dove dovevi venire tre anni fa con Mark. È tutto molto strano, sai. La signora all’entrata mi ha detto che tu hai frequentato solo una settimana e poi, senza dare spiegazioni, sia tu che Mark ve ne siete andati.

Potevi dirmelo. Potevi tornare a casa. Certo, non pensavi che a causa tua, stavo sprofondando tra le sabbie mobili della depressione,ma potevi farlo almeno per i tuoi. Non sai come hanno vissuto durante questi anni. Gia, tu non potevi vederli. Eri troppo impegnata a girovagare chissà dove con il tuo amato.

Solo io ho potuto vedere il loro occhi, perennemente velati dalla tristezza per aver perso il frutto del loro amore, per non vedere più la cosa più importante che abbiano mai avuto.

Cara Strawberry, mentre felicemente, te ne andavi a spasso con Mark senza neanche degnarli di un pensiero, i tuoi genitori, si illudevano di poterti vedere  entrare all’improvviso dalla porta della loro casa. Io sono stato lo sfortunato spettatore della loro infelicità.

Sai cosa ti dico? Sei solo una schiocca. Dei genitori così, non te li meriti. Non riesci a capire la fortuna che hai avuto, vero? Tu, almeno, puoi contare su due persone che per te ci saranno sempre, che farebbero tutto per poterti vedere felice…io invece, non ho mai avuto nessuno. Solo  tu mi hai aiutato ad andare avanti, e quando te ne sei andata sono rimasto solo. Ma questo non è il punto.

Sei solo una bambina egoista. Mi domando come ho fatto ad innamorarmi di te. Forse perché, come cita un antico proverbio, l’amore è cieco…

Avverto il bisogno di sfogare la mia rabbia. Non riesco più a tenerla dentro. Devo trovare un carpio espiatorio. Questa sera, però, non basterà qualche bicchiere di vodka, mi servirà di più.

Afferro velocemente il giubbotto  ed esco dalla camera dell’albergo. Non so dove andare, ma sono sicuro che morirei se rimanessi ancora un minuto in quella stanza così grande.

[…]

Ero distesa sul letto, ancora i biancheria intima e mi accarezzavo il piatto ventre. Una strana sensazione di inquietudine mi attanagliava, sin dalla mattina. Era come se il mio corpo mi stessa inviando dei segnali per avvisarmi che tra poco sarebbe successo  qualcosa di importante. Volgo lo sguardo all’orologio e, allarmata dall’orario, mi desto di soprassalto. Rimango qualche minuto a fissare la mia immagine quasi nuda allo specchio di fronte a me e mi dico tra me e me di tenere duro ancora un po’, che tutto presto finirà, quindi, traggo un profondo respiro e mi dirigo verso l’armadio per cercare qualcosa da mettermi.

Dopo circa un ora sono pronta. Prendo speditamente la giacca di pelle e la borsetta rossa ed esco a malincuore da casa. Sarei rimasta volentieri a letto invece di andare a lavorare, ma non potevo.

Dopo aver percorso sino in fondo la via, voltai due volte a sinistra e una a destra, per poi trovarmi di fronte al cartello stradale su cui c’erano incisi a caratteri grandi e bianchi: “West Evenuie”. Quella era una strada, tra le più malfamate di tutta la città… era come un mercato, dove potevi comprare droga, sesso, persino armi. Tuttavia, a tutte le varie attività era destinato una determinata parte della strada, separata dalle altre per non creare risse pericolose.  Per fortuna il mio era proprio all’inizio, perciò non dovetti attraversare tutta la strada.

Appena arrivata, salutai Marlyn e Bea.  Erano due ragazze molto simpatiche e disponibili con cui avevo instaurato una bella amicizia. Marlyn era qualche centimetro più alta di me, con lunghi capelli castani che le cadevano sulle spalle, occhi verdi e un fisico da modella. Infatti, mi aveva raccontato, che era stato proprio quell’effimero mondo a averla ridotta a fare quello che faceva. Era appunto venuta a Londra per sfilare, ma poi ha conosciuto la amara realtà della droga che le faceva spendere per essa il denaro, prima ancora di poterlo guadagnare. A lungo andare, ha esaurito il liquido e per cause di forza maggiore ha dovuto disintossicarsi. Una volta uscita dall’istituto di disintossicazione non ha trovato più ne il suo né nessun altro lavoro, tranne questo.

Bea, invece, non lo fa principalmente per soldi, ma per divertirsi. Io per prima non capisco il divertimento che si prova a fare la puttana. Ma, è l’unica risposta che mi ha dato. Anche se secondo me, c’è dietro qualcosa di più importante. Una volta l’ ho vista mentre piangeva guardando una foto che raffigurava un ragazzo. Sicuramente il motivo della sua professione è racchiuso lì. Comunque non le l’ ho mai chiesto, per rispetto sulla privacy.

Come, puoi vedere Ryan, in questa strada malfamata, si intrecciano molte storie, una più bizzarra e triste dell’altra. Qui ho imparato che la vita non è tutta rose e fiori, ma per essere felici bisogna lottare duramente, e comunque, non sempre si raggiunge il proprio obbiettivo. La vita, caro Ryan, è un gioco molto difficile da fare, e tu dovresti saperlo meglio di me.

[…]

Mi ripresento allo stesso bar dell’altra sera. Questa volta, però, dopo essermi scolato due bicchierini, chiedo al proprietario dove posso trovare compagnia per la sera.

     -ragazzo mio, quelle lì, ci sono dappertutto. Ma quelle più carine, forse, battono sulla West Evenuie-

prendo dalla tasca dei pantaloni dei soldi e li appoggio sul bancone. Sorrido a quel bizzarro uomo e me ne vado, finalmente con una meta.

Seguo le indicazioni datemi dal proprietario del locale e dopo qualche minuto trovo la famosa strada.

Infilo la mani nella tasca del giubbotto e traggo un profondo respiro, prima di prendere definitivamente la via del peccato.

Mi sento come un macellaio che scruta i capi, per scegliere i migliori da destinare al macello. Guardo le ragazze che, come animali in gabbia, cercano di attirare la mia attenzione e spingermi a scegliere una di loro.

[…]

Assorta nei miei pensieri e appoggiata al muro dietro di me, venni destata dai rumori che provenivano da più avanti.

-         Marlyn, sai cosa succede?-

-         No, ma Bea è andata a dare un’occhiata.-

Infatti, dopo qualche istante arrivò Bea, tutta trafelata per la corsa e paonazza in volto.

-         quelle galline lì davanti! Fanno tanto rumore per nulla. -  disse scocciata

-          cosa vuoi dire?- si intromise Marlyn

-         il fatto e che anno visto un bel ragazzo e si stanno comportando come tante oche. Fa che quello da loro vuole di più del loro corpo.

Mi riabbandonai con la schiena sul muro e continuai a pensare allo stato, ormai perenne, d’agitazione.

Sai la cosa più strana? Ebbi l’impressione di vederti proprio qui, sulla West Evenuie. Tu bellissimo come sempre con un paio di jeans e un giubbotto da motociclista nero e le tue mani infilate nelle sue tasche. Richiudo gli occhi e rimango un minuto così. ho paura di riaprirli e non vederti più. So che si tratta solo di una stupida illusione, ma è lo stesso difficile.

Riapro lentamente le palpebre. Rimango sconcertata. La tua immagine non è scomparsa come credevo. È lì, qualche metro distante da me.

Che non sia  solo un illusione?! Che sia invece la realtà?!  Devo saperlo! Assolutamente.

Mi guardo in torno, poi avviso Bea e Marlyn di coprirmi per qualche minuto. Adesso mi dirigo verso quella che credevo fosse solo una misera riproduzione di te della mia mente.

Mi avvicino e la scruto. Quella mi guarda ,prima con aria interrogativa, poi come se stesse guardando in faccia un fantasma. Eppure è tutto così reale. Non può essere solo il frutto di un sogno o della mia mente.

-Ryan ?!- le faccio

-Strawberry?!- mi rifà quella. Per tutta risposta.

[…]

dopo tanto cercare eccoti! Ti ho finalmente trovata. Tutto il rancore e l’odio che solo qualche minuto prima provavo nei tuoi confronti svanisce magicamente nel medesimo momento in cui poso il mio sguardo su i tuoi occhi da cerbiatta. Vorrei chiederti il perché tu sia in questa strada, ma se lo faccio ti dovrei anche dire il motivo del perché ci sono io.  Per cui, mi limito ad avanzare verso di te per abbracciarti, ma tu blocchi le mie braccia e mi fai cenno di star zitto con il dito. Poi, mi prendi la mano e mi porti via di lì. Voltiamo un angolo e proseguiamo per un po’ verso quella direzione. Dopo aver svoltato per altre due volte, ci ritroviamo in una strada completamente deserta, in cui l’unica fonte di luce è data dalle stelle e dalla luna.

Solo adesso ti volti verso di me. Posso vedere due lacrime solitarie, che come piccoli fiumi, nascono dai tuoi occhi e muoiono sul tuo mento. Ti avvicini a me e mi abbracci stringendomi, come mai avrei immaginato che potessi fare.

Rimaniamo così, abbracciati, illuminati dall’argentea luce degli astri notturni, unici spettatori di quel furtivo incontro di cui siamo i protagonisti.

 

Allora! In questa storia mi sto davvero sbizzarrendo a inventare cose sempre più tristi e struggenti, vero?

Che dire di più…commentate e commentate. Visto che vi trovate, andate a dare un’occhiata alla ff “ I can live my life”. Leggete quello che c’è scritto e lasciatemi un commento! Miraccomando, conto su di voi!

Sempre vostra…

Baby Dark ( sommersa dalle versioni di latino che cercano di divorarmi!)

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Capitolo 9
*** 9/// ***


Nuova pagina 1

9: Confusione

Non so quanto rimasi abbracciata a te. Il tempo trascorse velocemente, ladro di quel momento così magico. Quante volte avevo espresso il desiderio di poterti vedere ancora, di poterti riabbracciare. Quante volte ho avuto bisogno dei tuoi fraterni consigli, e dei tuoi rassicuranti sorrisi. Certi notti avrei voluto vederti al mio fianco e, regalandomi uno dei tuoi bellissimi sorrisi, che mi dicessi : “non preoccuparti Strawberry, andrà tutto bene !”

Il tuo ricordo ha sovrastato tutti gli altri. Ha avuto bisogno della tua presenza più di qualunque altra cosa. Solo quando mi sei venuto a mancare ho capito che eri un punto fermo all’interno della mia incerta vita. L’unico su cui potevo contare in ogni minuto del giorno e della notte. Poi sei diventato l’unica luce nel buio delle tenebre. Ma adesso quella luce è tornata a brillare con il tuo arrivo. Il solo pensiero che tu sia finalmente qui con me mi riscalda l’anima e mi fa dimenticare il dolore e l’umiliazione sopportata quotidianamente sino ad adesso.

Ho sempre avuto, accantonato in un angolino recondito nella mia mente, il desiderio di vederti un giorno camminare con passo deciso lungo quella strada di innumerevoli orrori dove passavo la maggior parte del mio tempo e con le tue forti braccia mi portassi via. Via da tutto e tutti. Adesso quel desiderio, magicamente, è divenuto realtà e forse rappresenti anche la mia via di fuga da questo orribile mondo. Forse l’unica…

Ma mi chiedo dove troverò il coraggio di raccontarti tutto. Probabilmente per questi anni avrai pensato che me ne sia andata chissà dove con Mark. Non hai mai avuto la minima avvisaglia del modo in cui ho vissuto. Come potevi?

Eppure adesso sei qui e tutte questi dubbi, prima assillanti, passano in secondo piano, come offuscati dalla tua luce immacolata.

Con lentezza mi separo dal tuo corpo e con le dita mi asciugo le lacrime, per poi posare di nuovo lo sguardo sui tuoi occhi. Sorrido e ti passo una mano tra i capelli, ormai cresciuti, scompigliandoteli, imitando lo stesso gesto che mi rivolgevi sempre tu con fare fraterno. Tu sorridi timido, senza sapere che con quel sorriso mi rianimi pian piano di nuova vita.

-come mai qui?- di domando realmente perplessa

- potrei farti la stessa domanda, non trovi?- la tua voce, ancora rauca, si carica di un tono tra il rimprovero e il preoccupato

-be’…io…passeggiavo…si…passeggiavo, ma credo di essermi persa!- fingo di guardarmi intorno con finta preoccupazione per un po’, poi mi rivolto verso te

-a si?- non l’hai bevuta per niente, eh? Sempre il solito Shirogane…

-comunque sei tu quello fuori posto! O sbaglio?

-Già! Comunque sono venuto sin qui per dirti qualcosa di estremamente importante- dal tuo sguardo traspare sincera preoccupazione, legata probabilmente al messaggio che devi darmi –tuttavia, preferirei parlartene davanti a un bel caffè! Ti va?- sorrido animata dalla felicità che mi mette il tuo invito.

-certo! Sarò felice di essere la sua giuda notturna di questa meravigliosa città, signor Shirogane – così dicendo ti prendo a braccetto e con passo sostenuto  ci dirigiamo verso un luogo più sicuro…

Dopo circa un’oretta ci troviamo davanti, io ad una bella cioccolata fumante e tu ad un caffè ovviamente senza zucchero. Sei preoccupato. E molto anche. Posso leggere l’agitazione nei tuoi occhi e inevitabilmente il tuo stato d’animo contagia anche me facendomi cadere dell’agitazione e nel panico.

-ma si può sapere cosa hai? È da quando ti ho incontrato che hai quell’espressione triste sul volto! – finalmente stacchi lo sguardo dalla tazza di fronte a te e mi guardi con compassione. Non mi piace…

[…]

Mi sento un verme, forse è per questo che non riesco a guardarti dritto negli occhi. Perdonami. Non riesco a dirti con tranquillità quello che ho da dichiararti. Eppure le tue parole, animate da sincera preoccupazione per me, mi hanno mosso qualcosa dentro. Sono riuscite a penetrare in me e attraverso il cuore, risvegliarmi dallo stato di trans in  cui ero. Ho una gran responsabilità nei tuoi confronti e in quelli dei tuoi. Solo adesso riesco a sollevare lo sguardo dal nero del caffè al nocciola dei tuoi occhi.

-sai, Strawberry, non sono qui per una semplice visita- tiro un profondo respiro, consapevole del fatto di esserci ormai dentro sino al collo. – ho saputo che tuo padre, tra circa tre settimane dovrà sottoporsi ad un delicato intervento a cuore aperto, e tua madre vorrebbe che solo per quel giorno tu ritornassi a Tokio – non so dove avessi potuto prendere la forza di dirti tutto così direttamente, ma giri di parole sarebbero stati superflui.

Cerco di scovare qualcosa che esprimesse quello che provi in questo momento, ma i tuoi occhi sono vuoti e spenti, il tuo viso contorto in una smorfia di confusione.

Avrei voluto saper guardarti dentro per poterti aiutare a capire, ma non posso. Come sempre, mi devo limitare a guardarti affondare tra mille dubbi, senza poter fare null’altro.

[…]

Li per lì, non pensavo a nulla. Se avessi provato a dare un immagine figurale ai miei pensieri sarebbe stato un posto nero e vuoto senza alcun particolare. Solo un baratro tenebroso e angusto dove l’aria è rarefatta e il tutto sa di confusione. Adesso come adesso ho bisogno solo di riflettere e starmene da sola. Ti guardo e mi sforzo di rivolgerti un sorriso che possa apparire il più vero possibile, ma che in verità non lo è. Mi avvicino e ti stampo un affettuoso bacio sulla tua morbida e candida guancia, sussurrandoti all’orecchio un timido e rauco “ grazie…”, per poi scappare via senza neanche preoccuparmi di nulla. Solo io contro il gelo della notte. Solo io e il mio passato….

 

 

Scusate il mega ritardo, ma non avevo proprio l’ispirazione per scrivere, e quando non c’è quella si può fare ben poco. Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che in tanti me lo facciate sapere. Vorrei ringraziare tutti colora che recensiscono e che leggono solamente.

Ringraziamenti ( ho deciso di farli anch’io)…

Hermy6: ecco qui il nuovo capitolo. Scusa anche te per il super mega ritardo. Comunque spero ne sia valsa la pena. Ciao bella!!!!!

Totoby: adesso ci vuole una bella risata diabolica: maaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!! Ovviamente non ti farò anticipazioni su cosa o chi ha fatto di Strawberry quello che è. Comunque ti invito a continuare a leggere, così facendo lo scoprirai!!!!!!! Ciao!!!!!!!

Pfepfer: ciao bella!!!!!!!!! Tu non hai bisogno di quel corso perché sei una scrittrice fantastica, mi pare di avertelo detto in alcune recensioni, io ti stimo molto per questo!!!! Grazie ancora per i complimenti!!!!!!!!!!! Continua a farlo!!!!!!

Un salutone anche a tutti gli altri che sopra non ha menzionato. Lo farò la prossima volta se mi lasceranno un recensione da cui poter vedere il nick, ok? Vi voglio tantooooooooooo bene!!!!ciao ciao!!!!!!!

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Capitolo 10
*** 10/// ***


10: bambola di ceramica

10: bambola di ceramica

Dopo aver richiuso la porta dietro le mie spalle mi dirigo con passo abbastanza fiacco verso la camera da letto. I miei movimenti sembrano meccanici, come se il mio corpo rispondesse agli ordini impartiti da una forza estranea alla mia mente, la quale è impegnata a vagare nel più nero vuoto...era così strano…non riuscivo a pensare a nulla. Il vuoto più totale. Quante volte avrei voluto isolare la mente, spazzare via tutti i pensieri, lieti e meno lieti…ma nulla. Avevo sempre un qualcosa che purtroppo mi riportava all’amara realtà. Questa volta invece, avrei voluto pensare a cosa mi aveva detto Ryan, a cosa avrei dovuto fare con mio padre…già… mio padre…improvvisamente una luce rischiara le tenebre dentro me…e poi il suo volto. Non più tanto giovane, affaticato dal continuo lavoro. Lo ricordo in uno dei tanti pomeriggi domenicali. Lui seduto comodamente sulla sua poltrona rossa di pelle intento a guardare il notiziario della sera. Magari, borbottando di tanto in tanto su qualche comportamento poco patriottico di qualche politico o sul mio totale disinteresse per quelle notizie…

Già…adesso si che riesco a focalizzarlo…mio padre…il primo uomo della mia vita. La persona che sulle foto di famiglia mi teneva ancora neonata in braccio con la paura di dovermi rompere quasi fossi una bambola di porcellana…il suo sguardo così dolce mentre mi curava le ferite, dopo essere caduta dalla bicicletta…le sue improvvise scenate di gelosia quando uscivo con i ragazzi. E come se fosse cresciuto di  pari passo con me. I suoi mutevoli comportamenti hanno caratterizzato con dolcezza e ironia ogni attimo, significativo e non, della mia vita.

Eppure caro papà, non sono stata capace di capire subito le tue intenzioni. Non ho saputo cogliere nel momento opportuno il significato delle tue parole. Tutto ciò che ho fatto è disubbidirti, senza neanche capire per cosa, non comprenderti sino in fondo, sono stata solo capace di voltarti le spalle e andarmene. Solo adesso capisco. Solo adesso sono in grado di leggere tra le righe dei tuoi discorsi…adesso che è ormai troppo tardi…

Se solo potessi riabbracciarti, non sprecherei il tempo a frignare o cercare di farti un discorso articolato…vorrei solamente poterti dire “mi dispiace”.  Sarebbero scuse sincere, nate dal profondo del mio cuore per te. Per riparare ,in qualche modo, al mio tremendo egoismo.

Sono solo una bambina viziata che non sa vedere al di fuori del suo piccolo e ristretto mondo. Non ho mai dato ascolto, ne a te ne alla mamma, e mi dispiace. Se solo l’avessi fatto, probabilmente adesso sarei una persona migliore…come voi…

Mi rendo conto che farti le mie scuse così non vale a nulla, ma sono una vigliacca e mi vergogno. Non potrei mai guardarti negli occhi perché sicuramente tu non saresti  fiero di me. Avrei voluto essere la figlia di cui potersi vantare e invece ti ho deluso. Ho ripagato il tuo sudore , nato dal lavoro per mantenermi e farmi crescere senza farmi mai mancare nulla, con il menefreghismo…lo so…ma cosa ci posso fare, papà, se quella bambola di porcellana, così candida e perfetta, nonostante i tuoi tentativi di proteggerla, si è rotta, schiacciata dal peso della vita…

I miei pensieri furono interrotti dal rumore della porta d’ingresso che si apriva. Non ci badai più di tanto, sicuramente era Mark che aveva finalmente deciso di ritornare prima dell’alba…

Qualunque altro giorno ne sarei stata felice, gli sarei corsa incontro e l’avrei abbracciato, ma stasera no . Stasera non sarei riuscita a guardare colui che mi aveva portata via dall’amore della mia famiglia negli occhi…

D’un tratto mi accorsi che il rumore dei passi che si dirigevano verso la stanza dove mi trovavo non corrispondevano a quelli di Mark. Intimorita e spaventata alzai la testa dal cuscino, inconsciamente bagnato dalle lacrime, per udire meglio.

Davanti a me comparve la persona che avrei mai pensato di vedere lì…Josh. Timidamente illuminato dalla luce della lampada posta sul mio comodino, mi apparve più beffardo di quanto già non lo fosse normalmente. Fisicamente era molto attraente: aveva circa 20 anni, i capelli corvini spettinati e selvaggi tagliati a spazzola, due occhi di un verde smeraldo intensissimo, quasi magnetico che ti induceva a non staccare da lui lo sguardo. Aveva un po’ di barbetta incolta a contornargli il mento.

Era molto alto e il suo fisico modellato alla perfezione.  Era difficile non provare qualcosa per lui, lo dicevano tutte, eppure io, guardandolo non sentivo nulla. Al massimo solo voglia di prenderlo a schiaffi, tanto mi innervosiva quella perenne aria beffarda dipinta sul suo volto…quasi che ad ogni suo sguardo corrispondesse una sfida a non morirgli ai piedi…era così sicuro di se stesso che un po’ lo invidiavo…

Anche adesso mi guardava con fare di sfida, sorridendomi sornione.

-          non dovresti essere qui- mi disse, quasi divertito

-          non mi sentivo tanto bene- dissi cercando di sostenere il suo sguardo

-          mi dispiace- fece una smorfia di finto dispiacere e prese ad avvicinarsi

Cercai invano di indietreggiare sul letto, ma mi ritrovai quasi subito contro la spalliera. Lui appoggia le mani sul materasso portandosi sempre più vicino…

-          sai, potresti recuperare…- disse accarezzandomi con un dito la gamba destra

-          scusa, ma non ci tengo proprio- gli risposi togliendo la sua mano dalla mia pelle, infastidita dal contatto.

Sorprendendomi,  sorrise, questa volta non beffardamente, e ritornò indietro, dirigendosi sull’uscio della porta della camera.

- ok…tanto ci sarà tempo…buona notte- così facendo mi mandò con le dita un bacio volante per poi andarsene chiudendo la porta dietro di se, fischiettando come un bambino…

 

 

Ok…so che sono in terribile ritardo, ma cosa potevo farci se l’ispirazione non mi veniva. Eppure, tra un regalo e una visita a parenti, tra i compiti delle vacanze e il ragazzo che mi piace, ho trovato il tempo di scrivere un nuovo chap, forse illuminata dalla forza prorompente dell’amore…chi sa…

Adesso passiamo ai ringraziamenti…

Pfepfer: cara…grazie del tuo aiuto e scusami per non aver postato questo capitolo prima…ma comunque noi artiste siamo così…maaaaaaaa!!!

Hermy6: grazie per i tuoi complimenti e faccio anche a te le mie scuse…e comunque anche io adoro Ryan e di giuro che da questa storia lo farò uscire come gran figo quale è…come in tutte le altre…grazie ancora…

Kagome_chan 88: grazie molte…e non preoccuparti per le recensioni ( bugia…preoccupati) e cmq me ne sono accorta che la tua storia è migliorata tantissimo…merito tuo perché sei una brava scrittrice….grazie ancora…

Anche se in ritardo vorrei dare a tutti i miei più sinceri auguri: per il natale che ormai è passato (noooooooooo io voglio ancora regali, regali regali regali….REGALI!!!!) e per il nuovo anno che verrà….

Con affetto Baby dark…

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Capitolo 11
*** 11// ***


Solo…in quella città che ormai cominciava a starmi stretta…camminavo come un balordo, senza meta, per le sue vie

 

11: ancora una scelta…

Solo…in quella città che ormai cominciava a starmi stretta…camminavo come un balordo, senza meta, per le sue vie. Angosciato dallo spiacevole compito che avevo appena portato a termine. L’ultima cosa al mondo che avrei voluto fare era recare qualsiasi forma di dispiacere a Strawberry. Nulla strazia più il mio cuore che vedere un’espressione di tristezza disegnata sul suo volto. Nulla lacera il mio animo come quel suo sguardo triste, da bambina…

Eppure cara strawberry, il destino mi ha affidato questo ingrato compito, io me ne sono fatto carico e adesso ne devo pagare le conseguenze.

Sinceramente, non avrei mai pensato che darti la notizia sulla condizioni di salute alquanto precarie di tuo padre, potesse darti tanto dispiacere. Stupido, lo so, ingenuo, forse…solo egoista perché matto sempre davanti i miei problemi e le mie emozioni, senza curarmi degli altri. Ma sono vissuto solo allungo, non ho mai dovuto badare a nessuno all’infuori di me stesso…invece con te è diverso, tutto cambia…tu mi hai insegnato a capire e rispettare il prossimo, mi hai indotto a cambiare in meglio, se pur mantenendo la mia vera personalità, ma cosa più importante, hai fatto nascere in me il più bello e nobile dei sentimenti…l’amore. Nessuno mai mi ha dato tanto. Tu sola sei riuscita a cancellare tutti i timori e le paure legate al mio passato. Tu sola sei riuscita oltrepassare quella barriera che isolava il mio cuore e riscaldarlo con affetto, del tutto disinteressato…piccola Strawberry, non sai quanto mi hi donato, e quanto io ti ami per questo…ma questa è tutta un’altra storia…la mia…

Sono determinato a restituirti una piccola parte di ciò che tu hai fatto per me standoti vicino in questo momento difficile. Lo farò anche se tu non vorrai. Non ho paura di sembrarti appiccicoso e impiccione, testardo o stupido…io lo farò per te. Come ho sempre fatto in questi anni ti amerò da lontano, come si ammira un piccolo fiore per paura di spezzarlo…

Quel fiore, Strawberry, anche se un po’ malato, deve lottare e continuare a vivere…

Volto l’angolo e mi dirigo verso il mio albergo. Saluto con fare non curante il portiere, entro nell’ascensore e mi lascio accasciare con le spalle alle porte…un rapido sguardo allo specchio che si trova dinanzi a me. Eccolo lì il mio riflesso: sempre serio e impassibile, freddo e distaccato da ciò che lo circonda con pacato menefreghismo…sono io…il mio peggior incubo e ,contemporaneamente, quello che sono fiero di essere…il volto giovane ma stanco di vivere una vita che è stata fin troppo dura, gli occhi di ghiaccio posti quasi come una difesa, per intimidire chiunque si avvicini ad allacciare qualsiasi tipo di contatto con me…

La gente non riesce proprio a capire che questa è solo una maschera…è fin troppo comodo pensare che io sia una persona burbera e irascibile, e a volte anche violenta…così facendo, il mondo, dovrà occuparsi di un essere umano in meno. Tanto Ryan Shirogane è forte abbastanza per badare a se stesso, anzi, persino di vivere da solo. A cosa servono gli amici o un amore per Ryan Shirogane: nulla…

Le porte dell’ascensore si aprono, e pian piano mi rialzo, dirigendomi; con andatura stanca, verso la mia camera…per starmene ancora una volta solo con i miei pensieri…a lesionare il mio cervello con domande amletiche…a cui non posso dare risposta, ma che ugualmente mi pongo. Questa è la mia condanna, questa è la mia vita e questo sono io…non posso farci nulla…

Come tutte le sere mi spoglio, lancio i miei vestiti all’rinfusa per la camera e mi infilo tra le morbide coperte…mi ci avvolgo dentro e riprendo a pensare, guardando fuori dalla finestra e aspettando l’alba…

[…]

Ero agitata, non riuscivo a dormire, anzi avevo paura di farlo. Ogni volta che chiudevo gli occhi e riuscivo a prendere sonno, un qualche incubo mi destava con prepotenza…volti conosciuti e non, voci inquietanti come sottofondo e un turbinio di emozioni che non sapevo distinguere…era come essere in un quadro astratto, dove tutti i personaggi dell’opera sono dipinti con l’ausilio di colori forti, decisi e incandescenti, quasi che venissero direttamente dall’inferno, per poi avvolgere il tutto con un atmosfera misteriosa e angosciosa…era così che mi sentivo…nell’occhio del ciclone delle mie stesse emozioni, da cui non riuscivo a uscirne…

Gocce di sudore freddo mi attraversarono il petto, fermandosi proprio nell’incavo tra i seni…passai una mano sulla fronte e ne asciugai un po’ anche da lì…

Di sicuro sapevo che quegli incubi erano provocati dalla vita che facevo, perché tutti quei volti di uomini potevo averli visti solo facendo la puttana, e quei colori così accesi e imponenti che mi avvolgevano e mi trascinavano verso quelle mani avide del mio corpo e che contemporaneamente si contrapponevano lasciandomi fluttuare a mezz’aria, erano sicuramente i miei sentimenti, troppo confusi e insicuri per prendere una decisione…

La cosa che però non conoscevo era l’antidoto e questa situazione…la cosa o la persona che mi avrebbe guarito da questa vita malata…forse l’arrivo di Ryan e la notizia dell’intervento di mio padre è un segno…forse tutti questi avvenimenti improvvisi e del tutto inaspettati mi sono stati inviati da Dio per dirigermi verso la retta via, verso le mie radici, verso la guarigione…

Probabilmente solo affrontando sia il passato che il presente, sarò capace di costruirmi un futuro…

Mi asciugai le ultime gocce di sudore e feci sprofondare il mio corpo nelle coperte e diressi lo sguardo verso la finestra, da cui si potevano ammirare i primi raggi solari che davano inizio ad un nuovo giorno…pensai a Ryan…a lui piaceva molto ammirare l’alba…mi domandai se in quel momento la stesse osservando anche lui... cercai comunque di allontanare il suo pensiero dalla testa. Mi voltai e vidi Mark addormentato vicino a me…ancora una volta un bivio, ancora una volta una decisione importante da prendere…restare o partire, cuore o mente….

Lasciai al sole ancora neonato quei miei interrogativi, solo per un attimo volevo liberare la mente e respirare la vita…mi alzai e uscii fuori dal balcone…

Non mi importava del freddo pungente, non mi importava di nulla ormai…solo di liberare la mia mente e poter dire, esecutivamente in quel momento, di essere felice… un sorriso amaro si dipinse sul mio volto, abbassai lo sguardo e sconfitta me ne ritornai in casa…

L’amara realtà mi era venuta ad informare che purtroppo non era vero…non ero assolutamente felice…

[…]

Quando decisi ad alzarmi dal letto, il sole era ormai alto in cielo. Presi dalla valigia un jeans e una felpa e li indossai…presi il giubbotto, uscendo il mio sguardo cadde ancora sullo specchio. Sorrisi alla mia immagine e dissi tra me e me “buon giorno Ryan”…passai le mani tra i capelli e li spettinai un po’. Rifeci il solito percorso, come se fossi un automa: presi l’ascensore, schiacciai il pulsante su cui c’era una T e una volta arrivato davanti alla reception, salutai il portiere, questa volta però con un sorriso…

Non so spiegarmelo, ma questa mattina ero di buon umore. Non provavo questa sensazione di pace ed equilibrio interiore da tanto tempo.

Dopo aver indossato il giubbotto, estraggo dalla tasca un paio di occhiali da sole e li indosso…comincio a passeggiare. Dopo aver sorriso ad alcune ragazze che mi rivolgevano dei complimenti alquanto originali, mi fermai davanti al caffé dove la sera precedente avevo dato a Strawberry la notizia su suo padre. Controllai l’orologio. Ero arrivato in leggero anticipo e conoscendo Strawberry sarebbe arrivata in ritardo, quindi mi sedetti su di una panchina davanti al luogo dell’appuntamento e osservai le persone che passavano.

L’attesa durò poco. Passarono circa due minuti prima di vedere i tuoi capelli rossi, illuminati dalla luce dorata del sole, fluttuare e seguire l’andamento del resto del tuo corpo. Eri bellissima. Una bellezza semplice e delicata, quasi indifesa.

Ti guardi in torno un po’ preoccupata nel non vedermi, poi ti volti nella mia direzione e mi osservi…timidamente, con timore, stai per abbassare lo sguardo, ma non lo fa. Alzi il volto e mi guardi dritto negli occhi, per poi rivolgermi uno dei tuoi meravigliosi sorrisi. Spero che quel sorriso voglia dire ciò che penso…lo desidero con tutto me stesso, desidero immensamente che tu ritorni con me a casa…

                                                                                                                

 

Continua….

 

 

 

Eccomi qui…sono riuscita a scampare alle grinfie di mia  madre che mi vuole far studiare a tutti i costi e tra una versione di latino e qualche esercizio di francese…sono riuscita nell’arduo compito di scrivere un nuovo capitolo caldo per vous (deformazione professionale)…questo è comunque un capitolo intenso e molto riflessivo…e spero vi sia piaciuto…

Non vi nascondo che stavo andando avanti nel raccontare la storia, poi mi sono detta “e non li devi far stare almeno un po’ sulle spine e rovinare la tua fama di perfida scrittrice?!” e così ho premuto il tasto per cancellare e mi sono fermata qua…maaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa (risata perfida)

Passiamo adesso a ringraziare:

 

Hermy6: grazie per i complimenti…e comunque quel paragone mi è nato da un ricordo flash che ho avuto…infatti mia madre mi chiamava sempre bambola di porcellana perché mi influenzavo molto spesso durante il periodo delle vacanze natalizie…per quanto riguarda Josh, all’inizio non contavo di crearlo, ma alla fine, ho deciso di modificare alcune cose e dopo la revisione mi sono accorta che questo personaggio ci sarebbe andato a pennello…ma come sai…W Ryan…4ever!!!!

 

Pfepfer: grazie anche a te…sono contenta che ti sia piaciuto quel capitolo, anche perché ormai temevo di aver perso la mano dopo tanto tempo che non mi mettevo a scrivere…sai, ti confesso che il personaggio di Josh (si vedrà più avanti) è stato cucito dalla sottoscritta su misura di una ragazzo di cui mi sono infatuata (tu avrai capito chi)…quindi…è tutto da scoprire…

Un saluto anche a tutti coloro che hanno letto la mia storia ma che erano troppo impegnati a ingurgitare panettone per recensirla….ciao

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Capitolo 12
*** 12// ***


Mi sedetti con calma sulla panchina

12: Una dura decisione e uno strano incontro

Mi sedetti con calma sulla panchina. Al contrario di quello che volevo dar a vedere ero molto nervosa e agitata. Ma mi dissi che era normale. In fondo è lecito che prima di prendere una decisione che cambierà tutta la mia vita fossi un pochino nervosa. Niente però riusciva a mettere in dubbio ciò che avevo deciso di fare…ormai avevo deciso e per una volta nella mia vita, non sarei scappata, non avrei pianto, non avrei aspettato un’ eternità per accorgermi che quella era la giusta strada da seguire…mai più l’avrei fatto. Sono maturata. Adesso sono diversa, più adulta. Credo di  essere a questo punto capace di prendere da me decisioni importanti.

Certo, la paura di star per fare uno sbaglio, un grosso sbaglio, forse il più grande della mia vita, c’è sempre. Purtroppo è una presenza costante all’interno della mia mente che aleggia minacciosa, tentando di condurmi a fuggire. Ma come ho già detto, questa volta non lo farò. Rimarrò qui e seguirò la mia strada. La strada su cui mi ha direzionato il mio cuore. E di certo lui non può sbagliare.

So che anche se andrà male, anche se tra qualche giorno mi dovrei pentire di quello che oggi sto per fare, comunque sarei fiera di me, perché per la prima volta nella mia vita ho seguito alla lettera quello che una voce, proveniente dall’interno della mia anima, mi sussurrava fievole all’orecchio. In passato non l’ho fatto. Ho preferito fare ciò che era giusto, già scontato e già scritto, insomma, la strada più facile perché senza rischi e pericoli.

Solo un’altra volta ho seguito il mio istinto: sono partita con Mark, e mi sono ritrovata qui, in condizioni in cui mai avrei immaginato di vivere. Ripensandoci adesso, io non sono delusa dal fatto di aver seguito il mio cuore, di aver dato il potere alle mie emozioni e al mio istinto…sono delusa dalle persone. Troppe di loro hanno promesso senza mai mantenere. Forse è il genere umano in generale che mi ha un po’ deluso. Ma non il mio cuore. Sono fiera di quella mia decisione come di questa…

E poi, ho ritrovato una cosa di cui non ammettevo la mancanza. Non so perché ma quando vedo il tuo sorriso, Ryan, il mondo mi appare roseo…come se riesci ad illuminarlo di una luce iridescente…questo mi mancava…mi mancavi Ryan.

Adesso basta rimuginare su cose astratte, campate in aria all’rinfusa. È giunto il momento di mettere ordine.

Comincio a giocherellare con le dita nervosa. Subito lo capisci e mi abbracci per darmi il coraggio necessario per parlare e mettere fine a quel silenzio pieno di parole confuse.

-          ci ho pensato…ho pensato…all’eventualità di ritornare per un po’ a casa per vedere mio padre…e sostenere sia lui che mia madre durante l’operazione…sarà difficile…lo so…ma sono determinata…

-          non preoccuparti, se vorrai, potrai sempre contare su di me.

Mi strinsi ancora di più tra le sue braccia. Le sue parole erano così ferme e decise. Non traspariva il minimo segno di indecisione. Come avrei voluto essere anche io così sicura. Sicura di quello che era accaduto, che stava accadendo e che accadrà. Ma purtroppo non lo sono, per me è un salto nell’ignoto. Non so cosa accadrà, non so cosa farò…so solo che sarò me stessa…semplicemente Strawberry Momomyna…

Forse finalmente la vita mi ha dato l’opportunità di riscattarmi. Potrei ricominciare una nuova vita, o meglio, continuare quella vecchia…quella che ho lasciato a Tokio, e considerare questi tre anni a Londra come una triste e tormentata parentesi…eppure qualcosa dentro di me mi dice che comunque dentro di me ne porterò per sempre i segni…forse distanti e opachi, oscurati, ma comunque presenti…è questo quello che mi incute terrore: non tanto il fatto di abbandonare questa vita, non tanto ritornare a Tokio e affrontare tutti quelli che conosco compresi i miei genitori...ma le conseguenze che il passato…avrà su di me…

Guardo ancora il tuo viso Ryan. Voltato verso il solo come se ci stessi parlando. Anche tu hai avuto un passato difficile da archiviare, ed ironia della sorte, sono stata proprio io a spingerti a farlo, ad aiutarti nel ricostruire una nuova vita…adesso però, sembra che i ruoli si siano invertiti. Ma io non ho la tua stessa forza d’animo e non so se riuscirò a sorreggere il peso dei ricordi…ma ci proverò…

Lascio i miei pensieri e vedo la porta del caffé dinanzi a noi aprirsi. Da esso fa capolino la persona che mai avrei voluto vedere in quel momento. Subito mi irrigidii…

Josh era appena uscito dalla caffetteria con una lattina di cola in una mano e un sacchetto di carta nell’altra.

Pregai che lui non si voltasse. Chi sa cosa avrebbe fatto o detto a Ryan vedendolo assieme a me…

Evidentemente le mie preghiere non furono udite e Josh si voltò verso la panchina su cui ero seduta e naturalmente mi vide…

Con mia grande sorpresa il suo sguardo passò da me a Ryan, il quale sentendosi osservato aveva riaperto le palpebre e aveva preso a fissare con aria interrogativa colui che lo aveva disturbato.

Successe tutto in un istante: Ryan si alzò, e Josh si fece avanti verso di lui. I due aprirono le bocche nel medesimo momento…

-          Shirogane…Ryan Shirogane?!

-          Josh Radley?!

Tutti e due sembrarono molto sorpresi, come se stessero faccia a faccia con un fantasma. Poi scattarono in avanti e si strinsero la mano, come se fossero due vecchi amici. Josh tirò a se la mano di Ryan e li passò una mano sulla testa per scompigliarli i capelli in preda alle risate. Ryan dal canto suo, per liberarsi dalla sua morsa li diede una gomitata nello stomaco e prese a ridere anche lui mentre Josh si massaggiava l’addome con un’espressione alquanto buffa di dolore stampata in volto.

Io fui la spettatrice di tutto questo. Non riuscivo a capire proprio nulla: Ryan, il mio Ryan che conosceva Josh…non so perché ma la cosa non avrebbe portato nulla di buono…assolutamente nulla di buono…

 

 

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Capitolo 13
*** 13///// ***


Ero giunta da poco di fronte al portone di casa mia

 

 

13: Una partenza poco rilevante

Ero giunta da poco di fronte al portone di casa mia. La via sarebbe stata completamente immersa nel buio se non fosse stato per  la fiocco luce emanata da un lampione poco distante. La notte sembrava aver avvolto tutto: profumi, suoni e persino le persone…la strada era completamente deserta. Eppure ci ero abituata. All’ora in cui rincasavo non c’era mai nessuno per le vie, solo drogati, accantonati in un angolo a farsi, alcolizzati che a stento si reggevano in piedi barcollando e canticchiando a volte qualche stupida canzoncina. Questa gente l’avevo ormai soprannominata: “reietti della società”. Ero consapevole tuttavia, che nonostante io odiassi quelle persone e la loro vita, facevo anche io parte di quel club esclusivo. Ne ero ormai parte integrante.

Per un solo attimo ero riuscita a non pensare alla giornata appena trascorsa. Mille dubbi e domande affollavano la mia mente. Tanto per cominciare, perché Ryan conosceva Josh? Ma soprattutto perché quel verme non ha detto a Ryan che mi conosceva già quando lui ci ha presentati. Ha solamente fatto finta di non conoscermi e, dal canto mio non potevo chiedere altro…ma perché non lo ha detto? Poteva distruggere tutto in un attimo, con una sola parola. Poteva farmi risultare agli occhi di Ryan per quella che sono. Eppure non lo ha fatto. Sapeva di poter distruggere tutto. Ma non lo ha fatto…

Infilo distrattamente la chiave nella toppa della serratura e la giro sino a che non avverto lo scatto e spingo la porta. L’intera casa era avvolta nelle tenebre. Cerco a tentoni l’interruttore e, una volta trovato, lo spingo, illuminando l’ingresso. Poggio le chiavi sul tavolo e mi sfilo la giacca. Faccio lo stesso con i pantaloni e la maglia mentre mi dirigo verso il bagno, desiderosa di un bagno caldo. Una volta illuminata anche quella stanza, apro il rubinetto e faccio scorrere l’acqua: prima ghiacciata, poi bollente. Quando la vasca si è completamente riempita faccio cadere al suo interno dei Sali da bagno che mescolo con la mano, facendoli amalgamare con l’acqua.

Ormai priva anche degli ultimi indumenti, mi immergo, scivolando dolcemente e facendomi avvolgere completamente dal liquido.

Dopo essermi rilassata per più di un ora, avverto l’acqua ,che ormai si è raffreddata, provocarmi dei brividi freddolosi per tutto il corpo, spingendomi a terminare lì il mio trattamento anti-pensieri.

Indosso l’accappatoio e le ciabatte, ritrovando in essi il calore, e mi dirigo verso la camera da letto.

Stavo per tuffarmi a peso morto nel letto e avvolgermi tra le coperte, ma vengo fermata da qualcosa che scorgo dalla finestra. Mi avvicino e passo una mano sul vetro gelido, appannato dalla differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno.

La scorgo scendere candida e nobile, quasi stesse eseguendo una danza, rara e aggraziata, per poi depositarsi, come morente, sulle superfici che incontra. Rimango incredula davanti a quello spettacolo come una bambina che vede per la prima volta la neve cadere. Nonostante l’abbia vista tante volte discendere, quella nevicata mi sembrava diversa dal solito, più brillante e straordinaria. Aveva l’aria di un qualcosa che apprezzi sapendo di non poter più vedere, sapendo che quella è l’ultima volta che puoi assaporarla. E così feci: l’assaporai. Non so se per l’ultima volta, ma lo feci.

Quando la neve ebbe finito di scendere, mi sedetti sul letto a fissare il vuoto, sino a che qualcosa mi diede fastidio sotto la gamba. Afferrai con la mano quello che si rivelò essere un foglio di carta. Lo lessi e rilessi.

La calligrafia era tonda ma sbrigativa, come se il suo artefice andasse di fretta, scritta utilizzando l’inchiostro blu di cui si poteva avvertire ancora l’odore. Poche righe buttate giù di malavoglia da un Mark troppo vigliacco per dirmi in faccia che aveva lasciato Londra per cambiare vita e uscire dal tunnel dell’alcool.

“so che quando vedrai questo biglietto probabilmente mi odierai…anzi ne sono sicuro. So anche che avrei dovuto avvisarti prima di questa mia decisione, ma credimi non ne ho avuto modo. Voglio solo dirti che ho deciso di lasciare Londra. Non ho il desiderio di passare tutta la mia vita nel luogo che mi ha rovinato. Quando sono partito tre anni fa credevo di poter trovare qui l’America, e invece ho saputo solo incasinarmi la vita, precludendomi il futuro. Tu sai quali erano i miei sogni e cosa ero disposto a fare per realizzarli. Eppure questa città che mi avrebbe dovuto dare fama e successo mi ha dato solo rogne e danni, tra cui quello maggiore la dipendenza dall’alcool. È colpa mia. Me la sono cercata da solo frequentando quella gente e mi dispiace di averti immischiata. Spero che le mie ragioni ti abbiano convinta. Ricorda che sarai sempre importante per me e che ti porterò per sempre nel cuore. Tuo Mark”.

Rileggevo quelle righe parola per parola, ma nulla. Ero sorpresa mi me stessa. Avrei dovuto piangere, buttare tutto per aria, maledire quel bastardo…e invece nulla. Anzi era come se il mio cuore si fosse alleggerito, liberato da un macigno che lo opprimeva. Forse perché me l’ero sempre aspettato da lui? No credo che non sia per questo, credo che non mi importi più nulla perché ormai non provavo più niente. Se prima ero rimasta con lui per l’affetto che comunque provavo nei suoi confronti, negli ultimi tempi era scomparso anche quello, ormai non c’era più alcun motivo per stare insieme. L’unica cosa che mi rodeva dentro era il fatto di essere passata per la povera ragazzina piantata dal ragazzo con una lettera a giustificare la vita di merda in cui adesso si è ritrovata per colpa sua. Solo questo e il rimpianto di non averlo fatto io per prima.

Forse adesso, con Mark ormai parte del passato, tutto avrebbe preso la giusta direzione. La mia vita si sarebbe sistemata e sarebbe andata avanti meglio, senza paura di ferire qualcun’altro. Ero dell’avviso che anche questo era un segno mandatomi a conferma della mia decisione di partire con Ryan…

Improvvisamente il campanello suonò e rimasi interdetta, nel dubbio di chi potesse essere a quel ora. Mi diressi verso di essa con passo felpato e sbirciai dallo spioncino. Ancora più turbata di prima e rassegnata aprii la porta.

Nella casa entrò Josh con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, squadrandomi con aria beffarda, la solita di sempre.

-          cosa vuoi?

-          Si accoglie così il tuo salvatore?!

-          Salvatore?! Ma cosa stai dicendo?! Non mi hai salvato da nessuno a quanto mi risulta!

-          Allora deve essere stata una mia impressione che il tuo, nonché mio, amichetto non sapesse nulla del tuo “lavorino”…

-          Piantala! Vuoi sentirti dire grazie…lo farò GRAZIE! Sei contento adesso?!

Rimane un attimo interdetto, a riflettere sulla mia affermazione suppongo. Sia che il sorriso che l’aria schermitrice si erano fatti da parte per fare posto ad un espressione seria, completamente ignota ai miei occhi. Dal canto mio, mi sento colpevole di non so quale reato…in colpa per la frase un po’ troppo dura appena detta. Calò quindi un silenzio alquanto imbarazzante che avvolse tutta l’atmosfera circostante. A romperlo fui lui…

-          scusami per essermi presentato nel cuore della notte…non volevo…e solo che pensavo volessi parlare…

-          non preoccuparti…anzi scusami tu…non volevo aggredirti e solo che sono un po’ nervosa…

Inavvertitamente  alzai in alto il pugno in cui tenevo stretta la lettera di Mark, facendola entrare nel campo visivo di Josh che ovviamente se ne accorse subito. Inutili furono i miei tentativi…perché Josh, più veloce di me, adesso me l’aveva presa e la stava leggendo. Quando ebbe finito alzò lo sguardo verso di me…uno sguardo del tutto indecifrabile, degni di quelli di Ryan.

-          mi dispiace…sai l’avevo sentito farneticare qualcosa a proposito ma pensavo fosse solo uno scherzo dell’alcool…non avrei mai pensato che…

-          no…davvero…sapevo che prima o poi sarebbe successo, solo ci avrei voluto pensare prima io…ma va bene così.

-          Ne sono convinto anche io…secondo me quello era gay…io l’ho sempre detto ma nessuno mi ha mai dato retta…

Cercai di trattenere le risate, ma non ci riuscii e scoppiai a ridere ormai piegata in due, seguita a ruota dallo stesso Josh…

Per la prima volta, osservandolo mentre rideva, riuscii a cogliere la sua bellezza, semplice e allo stesso tempo mozzafiato. E pensare che durante tutto questo tempo, sono arrivata persino al punto di odiarlo. Ma forse quello che ho visto non era il vero Josh, forse era solo un guscio…già…forse lui è così: solare, sensibile e divertente. Forse quelle ragazze che gli morivano dietro lo facevano solo per il suo aspetto fisico, senza soffermarsi a capire, a leggere tra le righe…

Non so come ci ritrovammo a ridere e scherzare seduti sul divano, come due vecchi amici. Avevamo una voglia matta di conoscere di più l’una dell’altro. Poi una domanda mi tornò in mente…

-          Josh?

-          Si…dimmi?

-          Ma come mai tu e Ryan vi conoscete?

Lui riflette un attimo prima di rispondere. Quasi stesse scrutando all’interno della sua mente in cerca di quel ricordo nascosto chissà dove.

 

 

So che cominciate a odiare questo mio brutto vizio di interrompere il racconto sul più bello, ma giuro che questa volte non è colpa mia…o meglio è colpa mia, ma ho deciso di farlo perché vorrei rendere giustizia al racconto della storia di come Josh e Ryan si sono conosciuti e diventati amici, per cui il prossimo capitolo sarà oltre che bello (ma dove è andata a finire la modestia?! Sotto le scarpe!!!!!) anche lungo…quindi…recensitemi!!!!!

Passiamo ai ringraziamenti: 

 

Aya: non preoccuparti per le recensioni, non le reputo affatto inutili. Anche due righe per me sono importanti per darmi la grinta per continuare. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Ciao e alla prossima.

 

Luchia nanami: grazie. Mi fa piacere che ti sia piaciuto il capitolo. Continua a recensirmi!!!

 

Pfepfer: cara…credo che questo vizio non me lo toglierò molto presto. Come avrai notato è più forte di me…non sono io…mi disegnano così ( frase mitica tratta da Roger Rabbit) maaaaaaaaaaaaaaaa!!!! Alla prossima!!!!

 

Tsubasa: devo ammettere che ho battuto me stessa con questo colpo di scena e come avrai cominciato a notare, ce ne saranno altri perché sono la mia specialità…mi piace immaginare le vostre belle faccine sconcertate di ogni mio colpo di scena….è la vita…ci farai l’abitudine!!!! Ciao!!!

 

Hermy6: carisssssssssssssima!!! Grazie per il complimento, molto commovente! E hai anche azzeccato l’aggettivo per descrivere il segreto che si cela “oscuro”…maaaaaaaaaaaaaa!!! Scherzo non è molto oscuro…o forse lo sarà…ancora non lo so… perché, come avrai notato, cambio idea molto facilmente…ma gli artisti sono così…maaaaaaaa!!! Ok…grazie e alla prossima!!!

 

Un mega saluto a tutti quanti, siete tutti meravigliosi!!! Ciao ciao e alla prossima….

 

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Capitolo 14
*** 14: la storia di un'amicizia ***


Fuori dalla finestra, il paesaggio innevato si presentava in tutto il suo candore

Fuori dalla finestra, il paesaggio innevato si presentava in tutto il suo candore. Tutto era ricoperto dal quel sottile, quasi impercettibile strato di ghiaccio e dal biancore della neve, più densa di esso. Quasi mi perdevo nell’osservare quel paesaggio così vasto, per quanto mi sforzassi non riuscivo a scorgere alcuna forma di vita nel giro di chilometri e dove il mio sguardo non riusciva ad arrivare, c’era solo buio, nella sua forma più candida ed innocente: come se le stesse tenebre fossero state ricoperte dalla neve. Passai una mano sul vetro gelato e rabbrividii al contatto, ciò non ostante cominciai a far scivolare i polpastrelli sulla liscia superficie gelida. Immerso come sempre tra i miei  pensieri, un mondo quello, dove mai nessuno sarebbe potuto entrare. Apparivo, troppo spesso, schivo e altezzoso, se bene avessi solo dieci anni. Nessun bambino della mia età si era mai avvicinato a me: avevo sempre vissuto nella solitudine, a domandarmi fiocamente cosa potesse essere l’affetto incondizionato di una persona verso un’altra. Questo, per me, purtroppo, rimaneva solo una frase, un concetto racchiuso tra le pagine ingiallite dal tempo o ancora profumante di inchiostro di qualche libro. Ma purtroppo l’idea non poteva rendere la realtà. A niente serviva avere tutto ciò che volevo, a niente serviva avere domestici che mi servivano e mi riverivano, a nulla occorreva essere un bambino prodigio che frequentava di già il liceo.

Forse perché l’affetto di una persona era l’unica cosa che non potevo comprare con il denaro, eppure era la più importante, quella che in segreto bramavo di possedere più di qualunque altra, quasi fosse un gioiello prezioso. Avevo ormai rinunciato a contare sulla mia famiglia: mio padre troppo occupato a viaggiare da una parte all’altra del globo per affari e mia madre che per la solitudine alzava il gomito qualche volta in più. Non so se capire perfettamente la situazione alquanto inusuale in cui si trovava la mia famiglia era un bene o un male. Bene, perché potevo finalmente guardare in faccia la realtà e conoscerla; male, perché capendone la sua gravità, cercavo di dare meno peso ai miei problemi, rincuorandomi che al mondo esistevano mali peggiori. Male perché mi mancava l’affetto, l’amore dei miei genitori che evidentemente mi consideravano quasi un trofeo da esibire davanti agli altri per poi, una volta calata la sera, riporre da qualche parte.

Eppure, sentivo, dentro di me, nascere dal profondo, il desiderio di liberarmi di tutto: tutti quelle pressioni sul futuro erede dell’impero informatico Radley, tutta quella solitudine che mi avvolgeva come un’effimera coperta.

Levai, ormai rassegnato, la mano dal vetro e guardai giù per le scale. Luci accecanti e tavolate piene di pietanze prelibate, persone che ridevano spensierate, ed altre più serie. Era così da quando papà era tornato dal suo ultimo viaggio in Tailandia. Tutte le sere, a casa mia, erano dati party, dove la solita elite della società si radunava, desiderosa di succhiare pettegolezzi e denaro dai miei genitori.

Era sempre la stessa musica, sempre la stessa ipocrisia che accomunava quelle persone così inette da sentire il bisogno di essere ospiti di qualche persona potente per sentirsi protetta e importante anch’esse. Per fortuna ero riuscito a scappare quella sera. Non ne potevo più di strizzatine d’occhi o di guancia, tanto per ricordarmi quanto roseo sarebbe stato il mio futuro. Ebbene, neanche una di queste persone sa cosa vorrei davvero. La verità è che a me non me ne importa niente della società di mio padre. Quello che vorrei veramente è essere libero di fare le mie scelte, senza sentirmi il fiato sul collo, tutti pronti a vedere come il giovane rampollo della famiglia Radley si comporta, cosa fa. Non ne posso più. Vorrei tanto poter urlare, gridare a tutte queste persone cosa veramente penso di loro, ma mi limito solo ad abbozzare un sorriso e scendere di sotto per un’altra infornata di prospettive del mio futuro.

Scendo calmo, in verità alquanto annoiato, le scale, ritrovandomi al centro della sala, già pronto per la quotidiana routine di falsità e menzogne. Ma nessuno sembra essersi accorto di me, torno improvvisamente ad essere invisibile, mentre tutta la gente in sala è voltata, con aria curiosa, verso un palco allestito poco lontano dall’entrata. Posto in modo che tutti potessero notarlo. Mi domandai cosa sarebbe successo di tanto eclatante da costringere tutta quella gente a restare sulle spine.  Non dovetti attendere molto per avere una risposta alle mie domande, infatti, le luci che illuminavano a giorno la stanza si spensero improvvisamente, solo una rimase accesa:quella direzionata verso il palchetto. 

Vidi tre sagome, di cui non riuscivo a riconoscere l’identità perché immerse nell’oscurità,  dirigesi verso il rialzamento. Quando furono finalmente sotto la luce del faretto notai che una delle sagome apparteneva a mio padre, invece l’altra apparteneva ad un giovane individuo, e proprio al fianco di questo ultimo c’era il proprietario della terza: un bambino, forse della mia stessa età, con dei corti capelli dorati e dei grandi quanto freddi occhi azzurri. Nel guardare quel bambino il sangue nelle mie vene si raggelò: era come se stessi guardando me stesso in uno specchio. Quel ragazzino aveva la mia stessa espressione fredda e distaccata dal resto delle persone che lo circondavano, ostentando di proposito un’aria molto annoiata.

Mio padre, con fare solenne, si avvicinò al microfono montato sul palchetto e con un gran sorriso di compiacimento cominciò a parlare:

-          signori e signore, per prima cosa vorrei ringraziarvi di essere stati anche stasera miei ospiti…ma sicuramente vi starete chiedendo cosa sta per succedere. Ebbene, le vostre domande avranno immediatamente una riposta…

mio padre fece cenno all’uomo dietro di lui di avvicinarsi al microfono e rendersi visibile a tutta la sala.

-          sono lieto di presentarvi un mio carissimo amico. Lui è Gary Shirogane. E come saprete è un noto scienziato, non che, attualmente ricercatore di qualche strana cosa…o come piace chiamarle: diavolerie di altri mondi…come sempre…

nella stanza si sollevarono molte risatine, alcune anche forzate. Gli unici a non gradire l’umorismo sembravano proprio il signor Shirogane, suo figlio e io. Contrariamente da mio padre e tutti gli zoticoni che mi circondavano, io sapevo benissimo chi fosse il signor Shirogane: un’icona della ricerca rivolta a le più sconosciute e complesse malattie. Ricordavo appunto, di aver letto un articolo in cui affermava di aver scoperto un enzima, che poteva essere utilizzato, per la sua straordinaria composizione chimica, per la cura di ogni malattia. Ma il tutto rimaneva solo un’ipotesi, avvolta comunque dal più religioso silenzio a riguardo. Personalmente nutrivo una gran stima verso quel uomo e trovavo la battuta di mio padre di cattivo gusto. Non riuscivo a concepire il fatto che lui, il quale aveva fatto fortuna con imbrogli e trabocchetti vari, criticasse una persona genuina e corretta come il signor Shirogane, di cui si sentiva parlare solo per i meriti professionali e non per scandali e cose del genere..

-          comunque, siamo entrambi qui per presentare a voi tutti il figlio di Gary Shirogane: Ryan Shirogane. A quanto mi ha detto Gary, il ragazzo è molto intelligente e sono sicuro che sarà l’erede meritevole del padre.

Mio padre passo una mano tra i biondi capelli del ragazzino e li scompiglio, Ryan lo fulminò con lo sguardo. Ecco qui un altro rampollo con il futuro e il conto in banca bello e pronto, pensai subito. Non era la prima volta che durante feste del genere, venivano presentati alla società giovani, figli di persone importanti, che ovviamente avrebbero ereditato  tutto una volta maggiorenni. Eppure questa situazione, da un certo punto di vista era diversa dalle altre. A parte il fatto che mai a nessuno era stato riservato una simile presentazione, con tanto di palco per le conferenze. La cosa che mi ha più colpito è quel ragazzino: tutti gli altri, nella sua posizione sarebbero stati al settimo cielo. Già li vedo, tutti impettiti che si gonfiano di complimenti e belle parole. Invece, Ryan, sembrava assente, quasi quello che stesse accadendo fosse distante dalla sua persona. Sembrava stesse seguendo la scena da spettatore e non da protagonista qual era. Esattamente come feci io due anni fa. C’era un non so che in quel Ryan che mi affascinava: era diverso da tutti gli altri ragazzi che avevo conosciuto, era come me. Può sembrare azzardato, ma potevo leggere nella sua espressione, nel  suo modo sprezzante di guardare tutta quella gente davanti a lui che mi ricordava me stesso.

Non appena il discorso di mio padre ebbe finalmente fine, sia lui, che il padre di Ryan, seguito da questo ultimo, scesero dal palco e si immischiarono nella folla, pronta ad assalirli. Io invece me ne andai di sopra a riammirare il paesaggio invernale, e a perdermi  nel mio mondo privato e invalicabile. Mi rimisi davanti alla solita finestra e persi il mio sguardo, nuovamente, tra le cime dei monti e degli alberi innevati. Non so quanto tempo trascorse, ma all’improvviso, un rumore mi destò dal mio dormi-veglia. Mi voltai verso destra, dalla parte da cui proveniva il rumore, e con mia grande sorpresa notai che Ryan si trovava nella mia stessa posizione: appoggiato ad una finestra poco più avanti rispetto a quella davanti alla quale mi trovavo io. Era come me immerso nel vuoto, con lo sguardo perso in chissà quali pensieri, e il volto completamente impassibile.

-          come mai anche tu qui?- gli domandai, un po’ timoroso per la risposta

-          do fastidio forse?- disse lui senza staccare lo sguardo dalla finestra

-          non ho detto questo- sussurrai e anche io mi voltai

-          e che lì di sotto non fanno altro che stritolarmi le guance, ed io non lo sopporto- disse lui, come a giustificarsi, arrossendo un po’

-          benvenuto nel club- gli risposi io in tono scherzoso e voltandomi dalla sua parte sorridendogli. Lui fece altrettanto.

Per la prima volta, provai una sensazione, sino a quel momento completamente sconosciuta. Un calore, mi pervase. Nessuno mai mi aveva sorriso a quel modo; non avevo avuto mai nessuno con cui scherzare e dimenticare quella sorta di telenovela che era la mia vita. Non so cosa mosse questa conclusione, ma giunsi finalmente ad un punto fermo: finalmente, dopo tanto cercare avevo trovato il mio gioiello prezioso; ciò che desideravo con tutto me stesso; avevo finalmente trovato un amico…

Dopo quella sera Ryan divenne l’unico punto fermo nella mia  vita. L’unico a cui importava veramente qualcosa di me. La sua amicizia mi aiutò molte volte durante la mia adolescenza. Era diventata la mia ancora di salvezza a cui aggrapparmi nei momenti bui. Era sempre lui a correre in mio aiuto quando i ragazzi più grandi che mi avevano preso di mira, mi infastidivano…era una sorta di angelo custode. Poi però accadde qualcosa che cambiò le carte in tavola: i suoi genitori morirono.

Ricordo benissimo quel giorno…lui pianse tutto il giorno sulla mia spalla, chiusi nella sua camera da letto. Poi nel bel mezzo della notte smise, alzò il capo e disse: “Josh, so che mi odierai per quello che sto per dirti…ma ormai ho deciso…purtroppo sono rimasto il solo a poter portare avanti il progetto di mio padre. Questo sicuramente mi porterà lontano…lontano dalla nostra amicizia…ma è inevitabile…al fine di non rendere vana la morte dei miei…voglio renderli orgogliosi di me…voglio vivere anche per loro…”

In quel momento, l’unica persona che mi aveva sempre e incondizionatamente dato affetto,senza mai chiedermi qualcosa in cambio, stava per abbandonarmi…in quel momento mi sentii poco più che un verme…Ryan era appena divenuto orfano, gli erano morti i genitori e stava per intraprendere un percorso che avrebbe fatto onore a tutti…eppure io pensavo a come avrei fatto senza di lui… scoprii di essere un emerito egoista.

L’ultima volta che lo vidi fu un paio di giorni dopo all’aeroporto, dove lo salutai mentre lui saliva su un aereo per New York…

Come se non avessi mai lasciato quella stanza, come se il tempo, avesse ripreso il suo normale corso, ritornai con la mente sul divano della casa di Strawberry, con le stessa seduta davanti a me che, stranita, mi fissava. Non l’avevo mai vista così fragile e indifesa, quasi fosse un cucciolo da proteggere. I suoi occhi erano dolci e lucidi per le lacrime trattenute. Quegli occhi che avevo conservato la loro ingenuità, che sembravano non aver visto nulla di brutto. Eppure, io so cosa hanno dovuto sopportare questi tuoi occhi, Strawberry. Puoi mentire su chi se agli altri, ma io ti conosco…

 

Tutto quel raccontare, tutto quel sopportare incondizionatamente dolore, solo dolore…avevo già vissuto questa scena…forse in un altro film, con altri attori, ma sempre lo stesso…sempre occhi tristi, bisognosi di liberarsi di tutto quel rancore verso la vita, verso tutto il male subito durante essa. Eppure è strano come il destino, tanto crudele con singoli elementi, poi decida, servendosi di un insieme di casualità, di unire le sue vittime, così che insieme possano appoggiarsi l’uno all’altro, possano donarsi a vicenda quel affetto che nessuno ha saputo darli, strano come due persone sole, possano unirsi formando un’unica cosa…strano certe volte il destino…

Lasciando per una frazione di secondo le mie meditazioni su quanto imprevedibile possa essere la vita…penso a come possa cambiare il mio avvenire un unico gesto, che adesso, proprio in questo istante, provoca in me un forte desiderio di oltrepassare la linea, di sfidare, io per prima, la vita…

Mi protendo in avanti e cado nel desiderio, più che altro un subdolo tranello tesomi da non so quale demonio, di abbracciare Josh, di sentire la mia pelle a contatto con la sua profumata e di non pensare al domani…a cosa ne sarà di me quando il sole, prepotentemente, sorgerà di nuovo.

Poi qualcosa mi spinge a riaprire gli occhi precedentemente chiusi. Avverto qualcosa di piacevolmente umido sulle mie labbra…quelle di Josh.

Avrei voluto urlare, schiaffeggiarlo, offenderlo…ma non cui riuscivo, un impulso irrefrenabile mi faceva rimanere incollata alle sue labbra…come non stessi attendendo altro da sempre…

Sconfitta, mi arresi al turbinio di passione che mi aveva avvolto…abbandonandomi ormai inerme a lui…

 

 

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Capitolo 15
*** 15// ***


I primi raggi di sole entrarono e si dissiparono per tutta la stanza, provocando di quando in quando dei piccoli effetti luminosi bluastri, rubando il colore dalla tenda che era stata posta davanti alla finestra

15°: Pensieri indecisi e una quasi verità

I primi raggi di sole entrarono e si dissiparono per tutta la stanza, provocando di quando in quando dei piccoli effetti luminosi bluastri, rubando il colore dalla tenda che era stata posta davanti alla finestra.

Questi raggi galeotti mi illuminarono il viso dandomi il definitivo segnale che un nuovo giorno stava per iniziare. Mi voltai, impaurita da ciò che avrei potuto vedere lì di fianco a me…

Girandomi, infatti, vidi lo statuario corpo di Josh profondamente addormentato accanto al mio. Solo un timido lenzuolo, di un bianco candido, quasi simile alla neve, lo copriva di tanto in tanto, formando dei giochi di ombra e luce sui suoi muscoli, mostrandoli e a volte nascondendoli…i capelli, scompigliati, come se anche loro fossero addormentati, erano riversi sulla fronte, coprendoli le palpebre, sollevati leggermente, dalle lunghe ciglia.

Con molta calma, quasi irreale, raccolsi il lenzuolo e mi alzai dal letto avvolgendomi dentro di esso. Con passo felpato mi avvicinai alla porta finestra e la spalancai, per poi, una volta uscita, richiuderla alle mie spalle.

Chiusi gli occhi e lasciai che la spumeggiante brezza mattutina mi scompigliasse i capelli e giocasse con il lenzuolo in cui ero avvolta; i miei capelli turbinavano all’indietro, ondeggiando elegantemente, mentre la rugiada, portata dal vento, si depositava sul mio viso e scendendo pian piano lo accarezzava con estrema dolcezza…

In fondo non chiedevo nulla di più alla vita, solo un po’ di amore…solo un po’ di incondizionata dolcezza nei miei confronti.

Il mio animo era stato troppe volte calpestato e maltrattato, il mio cuore mai veramente amato, io mai veramente compresa e apprezzata…prima ero Strawberry la svampita, quella che prendeva tutto sotto gamba, che viveva per divertirsi, senza alcuna preoccupazione oltre quella di lamentarsi della troppa fatica e delle rare volte che aveva la possibilità di uscire con il suo ragazzo…poi sono diventata Strawberry la troia, quella che si è prostituita, quella che viveva giorno per giorno, senza domandarsi cosa avrebbe fatto in futuro…in effetti, per me non c’è mai stato un futuro…forse non l’ho neanche mai voluto, o forse ho paura di averlo, perché probabilmente sono consapevole del fatto che costruirsene uno, lavorare giorno dopo giorno per mettertelo su è più dura…mi ritorna in mente la favola della formica e della cicala che mia madre mi raccontava quando ero piccola per farmi addormentare. Io impersono un personaggio diverso, che, diciamo, è in mezzo tra quello della cicala e della formica. Anche se, lo riconosco, per tutta la mia vita sono stata una cicala: mai preoccupata o lontanamente turbata da nulla, a meno che questo non turbasse in modo blasfemo il mio piccolo mondo di cristallo che avevo costruito: la mia vita era perfetta, sono sempre stata viziata, coccolata, giocata, sgridata…non mi è mancato mai nulla…o almeno così credevo…non possedevo la cosa più importante di tutte:qualcuno che mi amasse…i miei genitori hanno per un po’ svolto questo compito, ma sia loro, per primi, e poi io, sapevamo che non era questo che mi mancava. Non avevo bisogno di sentirmi amata dai miei genitori, sapevo già da me che loro mi amavano, anche se non me lo dicevano tutte le sante volte…avevo bisogno di un altro tipo d’affetto, più profondo non depositato del sangue, ma per cui faticare, tutto ancora da costruire e rinnovare, poi, giorno dopo giorno, avevo e ho tuttora bisogno di una persona che mi ami, ma che soprattutto io ami, che mi faccia sentire speciale, ogni giorno…una persona con cui condividere tutto: gioie e dolori, con cui trascorrere avventure, ma anche disavventure, al fianco della quale, poter crescere e apprendere sempre di più su quel meraviglioso e perpetuo punto interrogativo che è la vita…

Ieri , mi ero illusa che Josh, avrebbe saputo darmi tutto quello di cui ho bisogno, in fondo è un bravo ragazzo...nei suoi occhi, quando mi ha raccontato la storia della sua triste infanzia, ho letto tanto di quel amore, bello e pronto per essere donato a qualcuno…subito ho pensato che non c’era nulla di male a provare a lasciarsi un po’ andare a volte, almeno per una volta fuori dall’orario di lavoro.

I quei occhi c’era affetto, dolcezza, tenerezza e bontà, eppure, quando ci sono andata a letto, non ho avvertito nulla di tutto questo…non per colpa sua, lui è stato davvero molto dolce con me, ma da parte mia, non c’è stato quel coinvolgimento, oltre che fisico, anche emotivo, che avrei sperato…è stato come andare a letto con uno dei miei clienti…non è stato amore, è stato solo sesso: semplicemente un effimero piacere carnale, senza sentimenti, oltre la passione…

Credevo di aver trovato la via; credevo di aver scorto uno spiraglio tra le tenebre; credevo di aver finalmente trovato la serenità…eppure è stato solo un abbaglio, solo un’illusione, un incidente di percorso. Adesso però mi domando: cosa farò? Dove andrò?

Forse dovrei continuare la via che avevo scelto in precedenza, cioè quella di ritornarmene a casa con Ryan…

Tuttavia non posso dimenticare lo sguardo di Josh quando parlava di Ryan: i suoi occhi sembravano illuminati da una luce iridescente, quasi nostalgica. Esaminando entrambi devo ammettere che forse Josh, ha un carattere più espansivo e solare di quello di Ryan; forse lui ha saputo contare su di lui, proprio perché glielo ha chiesto apertamente. Magari Ryan, conoscendolo, ha usufruito di meno da questa amicizia. Sicuramente, da orgoglioso qual è, si è limitato a dare aiuto a Josh, senza mai farsi aiutare…

Avevo sempre pensato che questo aspetto del suo carattere sia una conseguenza della morte dei genitori, invece c’era già prima, magari in quantità minore, forse meno espansa, ma comunque presente. Da quando lo conosco, l’unica  volta in cui ho avvertito una sorta di SOS dalle sue parole è stato quando mi ha raccontato della morte dei suoi genitori…quel giorno lui mi ha chiesto in silenzio aiuto, ma io sono stata troppo sorda e cieca da leggere tra le righe del suo discorso, sempre troppo occupata a lamentarmi di quello che facevo e ad uscire con quello smidollato di Mark.  

Improvvisamente, come se dentro il mio cervello si fosse accesa una luce pronta ad illuminare e ordinare le mie idee: rivivo tutti gli episodi vissuti in tua compagnia, Ryan…quel giorno in cui mi hai salvato dalle grinfie del primo chimero che avessi mai visto, rivelandomi, con fare distaccato e quasi noncurante che ti contraddistingueva, che sarei stata una paladina della giustizia, che avrei difeso la terra…ricordo quella volta in cui per la prima volta il mio cuore ebbe un sussulto così grande: durante la festa che avevi organizzato e durante la quale, ballando, mi avevi stretto a te…quella volta che mi avevi invitato al mare, che stupida fui a pensare che avessi invitato solo me…eppure, quando scoprii che erano state invitate anche le altre mew, una strana sensazione di ira mi aveva avvolta…potrei ricordare mille e mille di episodi in cui direttamente o indirettamente sei coinvolto…senza però trovare una conclusione diversa: tutta la mia vita si sia incentrata, al di fuori della mia famiglia e delle mie amiche, su te e su Mark. Mark era il mio ragazzo, il primo per il quale provavo qualcosa di mai provato, mi sembrava l’unico in grado di comprendermi; tu invece eri…eri tu, il mio migliore amico. La persona su cui potevo sempre contare; potevo chiedere il tuo aiuto a qualsiasi ora del giorno e della notte, sicurissima che tu ci saresti stato…ci sei sempre stato per me, con il sole e con la pioggia, con il bello e cattivo tempo. Anche se pensandoci, i miei problemi, rapportati ai tuoi, erano insignificanti, tu lo stesso ti sedevi e mi ascoltavi, senza mai interrompermi o commentare ciò che dicevo. Facendomi sfogare, facevi sì che io trovassi la soluzione da me, e per questo ti ringrazio…e forse non lo farò mai abbastanza…

È strano come qualsiasi persona rapportata a te risulti, ai miei occhi, completamente diversa e, se dobbiamo dire la verità, più debole e insignificante. Sei sempre stato un modello di comportamento per me e anche se tutti gli altri di denigravano per questo, io, da lontano, in silenzio, ti ho sempre ammirato, nutrendo per te grande rispetto e stima… sei stato tu, anche se inconsapevolmente, a darmi la forza di andare avanti per questi tre lunghi anni…che ho vissuto come uno stato passeggero, di sosta, prima di ripartire per un lungo viaggio.

Gli ho vissuti con l’aspettativa che un giorno o l’altro la vita mi avrebbe condotto alla via giusta per raggiungere l’amore. Eppure, sono cambiata tante volte. Tante, forse troppe, ho mutato il mio aspetto, il mio carattere, il mio modo d’essere, adattandomi, come un camaleonte, ai vari momenti della mia vita. E questo a cosa mi ha portato? Assolutamente a nulla. Anzi, tra le mani non ho nulla se non la consapevolezza di aver gettato via la mia vita al vento, senza avere neanche la soddisfazione di conoscere almeno me stessa, di sapere come sono fatta, cosa odio e cosa mi piace…questo è l’amaro risultato di una vita passata a cambiare sempre pelle per piacere agli altri, per essere apprezzata dal terribile mondo esterno che è sempre lì pronto a indicarti e a giudicarti, addirittura a deriderti se non segui le regole da lui stesso imposte…sono stufa di sforzarmi ad essere una, cento diverse, Strawberry, per piacere giorno dopo giorno agli altri…per cui questo è solo un gioco

Chiudo leggermente gli occhi e respiro per l’ultima volta l’aria mattutina lasciandola, questa volta, penetrare in ogni fibra del mio essere, illudendomi di purificarmi un po’…poi, come se fossi ritornata da un lungo viaggio sulle nuvole, gli riapro e stampo sul mio volto un ghigno di finto divertimento intriso di amara rassegnazione….

Eppure sono troppo codarda per mettere la parola fine a questo gioco….

Me ne ritorno a letto e mi raggomitolo infreddolita tra le coperte e prendo a fissare passivamente il soffitto, liberando la mia mente e sprofondando nel nulla….che bella sensazione

Dopo qualche minuto, timidamente quasi fosse un bambino che chiede il permesso di svegliarsi, Josh apre i suoi occhi e si sposta, con fare ancora assonnato, le ciocche di capelli riversi sul suo volto, per poi prendere a fissarmi con fare dolce e ironico…io gli sorrido…mi sono arresa ormai.

Il risveglio non fu terribile come pensavo. Mi ero già preparata a mentire ad ogni domanda, invece il tutto sprofondò nel silenzio: Josh non mi chiese nulla, dopo essersi fatto velocemente una doccia e aver addentato distrattamente e di corsa un cornetto, si vestì. Io invece rimasi a letto a guardare nostalgica il soffitto come se stessi seduta al cinema a gustarmi il film della mia vita, senza ricoprire alcun ruolo, così era molto più semplice….

Venni interrotta dal rumore dei passi di Josh che si avvicinavano…era lì sull’uscio con un vassoio in mano e un fiore nell’altro che mi sorrideva. Anche io gli sorrisi e presi al volo il vassoio che stava per cadere…ci guardammo per poi scoppiare a ridere come due bambini.

Poi presi il fiore in mano e lo esaminai…

-          vaso verde del salotto?- domandai con fare investigativo

-          vaso verde del salotto- mi rispose lui facendo spallucce con aria di chi ha appena confessato un crimine…

Dopo aver consumato la mia colazione e avermi salutato con un bacio a fior di labbra, Josh uscì e facendomi l’occhiolino mi disse che ci saremmo visti alle 23  a casa sua.

Passarono ore in cui pensai se fosse giusto o meno stare con lui, perché evidentemente ormai era così. Avevo ormai appurato che non lo amavo, che non era la persona giusta per me. Certo per il momento poteva rappresentare una sottospecie di ancora a cui aggrapparmi e resistere…ma per quanto? Quanto avevo intenzione di mandare avanti questa messinscena? Non lo sapevo, ma per adesso volevo solo starmene da sola, il destino avrebbe deciso cosa sarebbe stato di me, come sempre…

Riaprii gli occhi e istintivamente guardai l’orologio sul comodino. Le grandi cifre rosse segnavano le 12: dovevo essermi addormentata. Mi alzo e decido di uscire un po’ a prendere una boccata d’aria. Passeggiai per le strade di Londra, dando fondo al mio portafoglio, illudendomi che un po’ di shopping mi avrebbe fatto dimenticare tutto.

Ero seduta a sorseggiare un the al limone quando il cellulare comincia a suonare. Senza neanche vedere il display, rispondo.

-          Strawberry? Sono Ryan!

-          ….ciao…

-          Scusa se ti disturbo, e solo che volevo sapere cosa avevi deciso riguardo a ciò che ti ho detto…ma non c’è fretta, incontriamoci stasera alle 19…ti passo a prend…volevo dire, ci vediamo alle 19  a Bukangam Palaceok?

Non ci pensai nemmeno un secondo che subito risposi di si. Il fatto di dover prendere una decisione era l’ultimo dei miei pensieri al momento. In realtà ero felice, ma allo stesso tempo spaventata di vedere Ryan. Cosa gli avrei detto? Cosa voglio davvero fare?

Finii il mio the e ripresi a camminare…e a sprofondare tra le mie preoccupazioni, domandandomi di tanto in tanto il perché fossi sempre così indecisa…

Lo sono sempre stata. Sempre perennemente a chiedersi se fare o meno qualcosa. Indecisa eternamente tra due direzioni, tra due strade, ferma lì, passivamente a chiedermi quale imboccare, ferma lì davanti a crogiolarmi tra i miei dubbi e le mie insicurezze…senza mai prendere una decisione, forse perché, consapevole che la mia scelta provocherà sicuramente delle conseguenze, sono troppo immatura per sopportarle

Il tempo sembra volare, e mi rendo conto che non posso passarlo tutto a chiedermi cosa fare e cosa no, è evidente che non arriverò da nessuna parte standomene qui a passeggiare e a spappolarmi il fegato, quindi decido di tornarmene a casa e prepararmi. Tanto quello che dovrà succedere, succederà anche se starò qui a pensarci tutta la vita, devo solo fare ciò che meglio mi viene di fare: farmi travolgere inerte dagli eventi…per adesso seguirò questa sorta di corsia d’emergenza, prima di prendere coraggio e ritornare in carreggiata…

 

Lo devo ammettere, con questi ultimi due capitoli sto battendo davvero me stessa…non c’è che dire…sarà che in questo periodo sono particolarmente ispirata, ma come avrete intuito, solo per cose abbastanza dark e malinconiche, ma voglio tanto quanto voi che questa storia finisca bene, quindi…ciao a tutti…lasciate un commentino…sempre!!!!!

 

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Capitolo 16
*** 16// ***


Tutto era avvolto da una luce soffusa, come se nella stanza si fosse abbattuta una coltre, quasi irreale di nebbia; tutto ciò, posto, con l’intenzione di rendere ancora più magico di quanto già non lo fosse, quel momento

16°: La verità…tutta la verità.

Tutto era avvolto da una luce soffusa, come se nella stanza si fosse abbattuta una coltre, quasi irreale di nebbia; tutto ciò, posto, con l’intenzione di rendere ancora più magico di quanto già non lo fosse, quel momento. Io ero seduto proprio di fronte a lei, e nonostante la poca illuminazione, i contorni del suo viso erano perfettamente percepibili dai miei occhi. La sua espressione, da quando c’eravamo incontrati, era buffissima: se ne stava in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto e ad ogni rumore sussultava, insomma, sulle spine, ma non appena mi voltavo nella sua direziona, cambiava espressione, stampandosi un sorriso a trentadue denti tutto tirato, quasi fosse appena uscita da un intervento chirurgico di plastica facciale. Evidentemente sperava che io non mi accorgessi del suo comportamento, ma si sbaglia, so che sei a disagio; l’unica cosa che mi sfugge è il motivo: siamo stati tante volte da soli, ma mai aveva accennato ad un comportamento del genere; probabilmente è ancora indecisa su cosa dover fare riguardo a suo padre…scuoto la testa e mi autoconvinco che è così, anche se una piccola parte di me vorrebbe qualcos’altro….

Prendo tra le mani il bicchiere con il vino e lo stringo tra i polpastrelli, fermandomi proprio un attimo prima di romperlo in mille pezzi per il nervosismo che inevitabilmente Strawberry mi aveva contagiato. Sorseggio, poi lo rilascio. Una domanda mi balena in mente: la più banale che poteva venirmi in mente, ma senza neanche accorgermi sto già aprendo la bocca per darle voce:

-          sai, sono curioso! Raccontami un po’ cosa hai fatto durante questi anni?

Notai che l’espressione sul suo viso mutò all’istante, non appena ebbi finito di parlare. Al posto della confusione, nei suoi occhi, leggevo paura, timore, sembrava un cucciolo ferito che chiedeva silenziosamente aiuto.

-          nulla di che…-

subito capii…

-          mi dispiace…-

-          di cosa scusa?

-          di aver infierito. È chiaro che non ne vuoi parlare…-

 

[…]

Inavvertitamente sgranai gli occhi nell’udire quelle parole: nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere; nessuno si era preoccupato di quello che pensavo, se le parole mi  ferivano, invece lui si preoccupa di me, si preoccupa di come sto, di quello che sento, si preoccupa di farmi stare a mio agio…

Una vocina in un angolo recondito della mia mente mi sussurra debolmente ma nitidamente di raccontargli tutto; di sfogarmi; di liberarmi del macigno che grava sulla mia coscienza; quella macchia che mi fa sentire perennemente sporca, impura, non adatta addirittura a vivere…forse se mi aprirò con qualcuno potrò buttarmi alle spalle tutto. Finalmente potrò iniziare a vivere la mia vita normale, potrò riprendere il mio percorso da dove ho iniziato e lasciato in standby ,chissà, magari portarlo a termine…

-          anzi…scusami tu….sinceramente non mi sono comportata  nel migliore dei modi nei tuoi confronti…-

-          in che senso?- mi chiede lui visivamente preoccupato

-          diciamo che non sono stata completamente sincera…affatto!-

Respiro a pieni polmoni e cerco di prendere quel pizzico di coraggio che mi serve per sputare il rospo. Eppure qualcosa mi frena: il dubbio della tua reazione. Come reagirai? Cosa farai? Vorrai ancora essere mio amico dopo ciò? Potrai ancora guardarmi negli occhi senza provare disgusto o peggio pena nei miei confronti? Il mio è un salto nell’ignoto. Non so come andrà a finire questa discussione, non so dove ci porterà. L’unica certezza è che qualcosa cambierà…

Respiro di nuovo e tolgo lo sguardo dai tuoi occhi, prendendo a fissare la vetrata e il paesaggio di Londra dall’alto.

-          come sai, ero venuta qui a Londra per studiare, ma soprattutto per accompagnare Mark…appena arrivata, quelli del college ci hanno fatto fare un test di cultura generale, per smistarci nelle varie classi. Mark ha superato questo test e quindi ha avuto di diritto l’accesso ad entrare, il mio invece è andato male, tanto che la mia professoressa mi ha consigliato, con fare gentile, di ritornarmene a casa. Sai quanto sono testarda, per ciò ho rifiutato il consiglio e ho riprovato a rifare il test altre due  volte, ma niente da fare. Lì mi sono arresa. Ma non potevo tornarmene a casa con quello che avevo combinato per partire, così mi sono data da fare per trovarmi un lavoro e stare comunque con Mark. In quel periodo ho fatto ogni sorta di impiego, senza però trovarne uno decente o che fosse alla mia portata. Mi stavo dando per vinta anche questa volta, ma una sera Mark è tornato a casa e mi ha detto che un suo amico cercava delle ragazze per servire in un locale. Questo locale è di Josh. All’inizio mi sono trovata bene, ma poi, i clienti hanno cominciato a spingersi un po’ oltre le semplici parole… i semplici apprezzamenti. Lì mi sono andata a lamentare con Josh, ma nel frattempo che aspettavo di essere ricevuta nel suo ufficio, senza volerlo, ho ascoltato lui che parlava con una mia collega, con cui parlava di “affari” che diciamo, col locale non centravano nulla….-

Mi fermai un momento. Non avevo contato che raccontando la mia storia, inevitabilmente ci sarebbe andato di mezzo anche Josh. Non volevo che a causa mia, dei miei errori, l’amicizia tra Josh e Ryan si rovinasse…ma forse anche questo fa parte di un unico progetto. Il mio cuore mi dice indistintamente, con parole chiare, di continuare il racconto senza omettere alcun particolare. Credo che se l’amicizia tra Ryan e Josh è così forte, supererà queste rivelazioni.

-          quindi…-continuai- ho capito che ci sarebbe stata l’opportunità di guadagnare un po’ di più, seguendo una…chiamiamola così: “strada secondaria”. Praticamente, e non me ne vergogno poco, ho cominciato a…- giunta a questo punto mi blocco e comincio a piangere a dirotto come una fontana. Non mi preoccupo degli sguardi delle persone tutti puntati su di me…quello che mi spiazza sono solo i suoi…quei zaffiri turchesi che mi osservano con durezza mista a incredulità e con un pizzico di amarezza, senza però fare o dire nulla. Passano dei secondi che mi sembrano ore e finalmente un rumore mi scuote. Ryan appoggia le mani chiuse a pugni sul tavolo e si alza dalla sedia, mettendosi in piedi. Senza staccare il suo sguardo da me, infila una mano nella tasca posteriore del pantalone e tira fuori un portafoglio nero da cui estrae dei contanti che sbatte sul tavolo, poi mi getta un’ultima occhiata prima di girarsi e procedere verso la porta d’uscita.

Guardo passiva tutta la scena poi, come se le mie gambe fossero mosse da qualche d’un altro, scatto in piedi e gli corro dietro. Lo riesco a raggiungere e lo fermo tirandolo per la manica della giacca.

-          posso spiegarti…non è come sembra…tu non sai cosa vuol dire sopravvivere…tu non sai…-

A questo punto lui, che era rimasto girato, si volta verso di me, e mi si avvicina sempre di più, tanto da potermi specchiare nei suoi occhi e quasi sfiorarmi con il suo naso.

- dimmi… cos’è che io non saprei?!- mi domanda visibilmente adirato…come una furia- sopravvivere?!! Cara, stupidamente lo faccio da quando sono nato, ma questo non lo  vengo a raccontare certo a te…cosa non so?! Non so cosa porta una sedicenne a fare la puttana?! O forse non so cosa ci si prova?! È vero non so nessuna di queste cose…e sinceramente preferisco vivere nel dubbio! È inutile…non puoi spiegarmi nulla…ma più stupido io che parlo al vento!!- e ti rivolti dandomi le spalle.

- ecco perché non te ne ho parlato prima! Sapevo che avresti reagito così!- ammetto con un filo di voce sovrastato dai singhiozzi.

- e cosa ti aspettavi di diverso. Che ti avrei detto “ brava Strawberry, sono fiero di te”…?! Sai invece cosa penso?  Che sei solo una bambina piccola e viziata…solo una persona del genere avrebbe fatto tutto quello che hai fatto tu…e poi, per cosa? DIMMI, PER CHE COSA??-

- non capisci vero…proprio non riesci?!-

A questo punto lui alza la mano destra verso l’alto come se la stesse caricando per darmi una sonora sberla…invece il suo braccio rimane fermo, levato a mezz’aria mentre io chiudo gli occhi intimorita. Non sentendo arrivare il colpo atteso, pian piano, li riapro e vedo che lui adesso si è allontanato e che i suoi occhi sono lucidi, quasi stesse trattenendo le lacrime…si allontana sempre più; sino a che non urta con la schiena la porta di vetro, in quel momento si gira e se ne va .

Non so se è per il nervosismo o per altro, ma mentre guardo la sua schiena, le gambe mi si fanno molli, fino a perdere la sensibilità di esse, la vista mi si offusca e un gran mal di testa mi assale. È come se il mio corpo mi chiedesse di lasciarmi andare, ed io ubbidisco. Chiudo gli occhi e lascio che la mia faccia entri in contatto con il freddo marmo del pavimento, perdendo conoscenza.

[…]

 

Vuoto, solo questo regna nella mia mente. Il buoi più assoluto e le tenebre più fitte. Cerco di isolarmi e non pensare. Cerco di rimuovere dalla mia mente l’accaduto di tre minuti fa, ma non ci riesco. Più cerco di dimenticare, più ci penso, e quando accade ciò la fantasia si fa padrona di me e dei miei sensi, facendomi immaginare a le cose più funeste. Fatti a cui non vorrei dare una consistenza: Strawberry posseduta da tanti uomini diversi che la maltrattano, che le fanno del male, che non si fermano nell’udire i suoi lamenti e le sue suppliche, anzi, sembrano eccitarsi ancora di più. Il mio corpo trema nell’immaginare le mani sudice di quegli uomini sul corpo ancora candido e fanciullesco di Strawberry.

Comincia a piovere. Una pioggia fitta e piccola, quasi impercettibile: molto fastidiosa. Alzo il volto al cielo e lascio che quelle piccole gocce mi bagnino. Per la prima volta nella mia vita faccio da parte orgoglio e razionalità, abbandonandomi alle mia emozioni, a quello che in questo momento mi passa per la testa: piangere.

Prendo le estremità della giacca e le tiro al massimo, coprendomi il torce, fermandole poi con le braccia. Lascio per la prima volta che la mie stesse lacrime, invadano il mio volto, terreno ancora inviolato sino a quel momento.

Adesso mi sento meglio. È come se stessi vivendo per la prima volta, come se stessi vedendo ciò che fino ad allora non avevo notato: la bellezza di esternare ciò che si prova.

Improvvisamente mi fermo e smetto di piangere. La mia mente viene occupata nuovamente dall’immagine del volto di Strawberry. Mi riappare la scena in cui, nel ristorante, cerca di fermarmi, cerca di spiegarmi, io invece la scanso e, invece di confortarla, ho pensato solo a quello che provo io e le scarico tutte le colpe di questo mondo.

Adesso invece, vorrei non aver parlato…vorrei che lei non avesse parlato, che non mi avesse detto la verità. Sostanzialmente a me non dovrebbe interessarmi nulla, in quanto per lei non sono nessuno, solo un amico troppo brontolone che ha avuto l’infelice idea di innamorarsi di lei. Ma giustamente, per ovvie ragioni, lei, questi retroscena, non li conosce. Non può capire che ogni volta che la vedevo mi si accendeva il cuore come una lampadina, che io vivevo degli sguardi che ogni tanto mi gettava, che ogni volta che la vedevo con Mark sarei voluto morire, scomparire per sempre piuttosto che vedere lei felice con un altro. Ero e sono tuttora consapevole di non poterla rendere felice, di non poterla amare come andrebbe fatto; sono troppo problematico per lei, che invece è un uragano di vitalità. Certo una così un potrà mai stare al passo di uno come me che si crogiola nelle sue disgrazie.

Purtroppo si ritorna sempre allo stesso discorso: cosa farò con quello che sento? Posso gridare al mondo intero che la amo, ma non ho il coraggio di dirtelo in faccia, guardandoti negli occhi. Sono capace solo di amareggiarti, arrecarti dolore e sofferenza. Anche se so come renderti felice, sono altrettanto consapevole che non riuscirei a metterlo in pratica.

Arrivo vicino ad un parco dove poco lontano scorre un fiumiciattolo. Mi avvicino al piccolo corso d’acqua e mi sporgo dal parapetto in legno sopra di esso e prendo ad ammirare il suo corso tranquillo, interrotto di tanto in tanto da qualche goccia, che nonostante, si perde in esso, senza arrecargli alcun danno, anzi arricchendolo di nuova acqua.

Poco più avanti sento degli schiamazzi allegri, coperti dal rumore dello scrosciare della pioggia. Più in la, nel parco, una ragazza ed un ragazzo stavano giocando a rincorrersi. Correvano scalzi per il prato come due gatti. L’uno cercava invano di prendere l’altra. Lei era visibilmente divertita dalla situazione, lui invece si cominciava a preoccupare perché nonostante i suoi sforzi non riusciva ad acchiapparla. Di punto in bianco la ragazza si ferma e si lascia prendere dallo sbalordito ragazzo che l’abbraccia come se la stesse rivedendo dopo chissà quanto tempo. I due poi, insieme, si gettano sul prato bagnato e prendono a baciarsi l’una tra le braccia dell’altro.

Finalmente pronto ad affrontare ciò che più mi affascina e contemporaneamente mi intimorisce più di qualunque altra cosa: perdermi completamente nel mio amore, mettere la mia vita nelle mani di un’altra persona, vivere a fondo i miei sentimenti.

Comincio a correre nella direzione da dove sono venuta pregando sottovoce Dio di incontrarla. Volto l’ultimo angolo che mi separa da lei e sorrido felice, tirando un sospiro di sollievo e rallentando. Ma ciò che vedo mi riporta con i piedi per terra, distruggendo con un colpo di falce le ali su cui avevo volato sino a quel momento.

Non riesco a capire più nulla, ne tanto meno a vedere cosa poteva essere successo, a causa della luce blu dell’ambulanza che mi abbagliava la vista.

Come un fantasma mi avvicino al gruppo di persone riverse sulla barella. I miei arti tremano e il mio cuore si ferma. Lì, distesa sulla barella c’era la mia Strawberry, bianca come un cadavere, il volto inespressivo e i suoi meravigliosi occhi da cerbiatta coperti dalle palpebre.

Il medico dell’ambulanza mi chiede, vedendomi visibilmente atterrito e quindi deducendo che conoscessi la ragazza, mi chiede con fare comprensivo se voglio salire, io annuisco debolmente e insieme alla barella salgo sulla vettura.

 

 

Ciao a tutti…belli e brutti!!! Ma dai…siete tutti stupendi!!!! Sono io che sono perfida e in questo ultimo capitolo ho dato ulteriore prova di questa mia caratteristica che mi contraddistingue. Spero davvero che vi sia piaciuto e vi prometto che (visto che il 3 partirò per Nizza) pubblicherò almeno altri tre capitoli…detto questo non mi rimane altro che ringraziarvi di aver letto questa mia storia e spronarvi a lasciarmi una piccola recensione a fine capitolo…grazie anche a quelli che magari non avendo tempo non possono…ciao a tutti e grazie!!!!

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Capitolo 17
*** 17// ***


Mi risvegliai come da un lungo sonno

17°: All’ospedale

Mi risvegliai come da un lungo sonno. Pian piano aprii le palpebre e la prima cosa che vidi fu il soffitto bianco, con una piccola crepa che guastava il suo candore. Dopo un po’ anche il paesaggio circostante mi fu più chiaro. Ero su di un letto con una coperta verde smeraldo e indossavo una camicia da notte bianca. Per tutta la piccola stanza aleggiava un odore alquanto fastidioso di disinfettante e dal corridoio fuori dalla porta si udiva il rumore delle ruote dei carrelli trascinati da infermiere che di tanto in tanto parlavano ad alta voce. Capii subito che mi trovavo in un ospedale ma non riuscivo a ricordarmi il perché. Poi, improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, rammentai tutto quello che era successo la sera precedente: la mia confessione, la reazione di Ryan e il mio brusco svenimento. Fiaccamente mi rimisi a letto. Forse se facevo finta di dormire ancora, nessuno mi avrebbe fatto domande, nessun avrebbe potuto aggredirmi. Se mi fossi raggomitolata tra le coperte nessuno mi avrebbe fatto più del male. Poi una voce dentro di me si sveglio come in preda ad un impeto e mi disse che non avrei risolto nulla nascondendomi, fingendo di essere ancora moribonda. Ed aveva ragione la voce del mio inconscio. Non potevo passare tutta la vita a vivere come un parassita a celarmi dietro al mondo.

Piano alzo la coperta in cui mi ero avvolta e poggio la punta dei miei piedi nudi a terra. Rimango stupita, seduta da un lato del lettino ad osservarlo, non l’avevo notato prima, forse perché impegnata a capire dove mi trovassi. Eppure lui era sempre stato qui a vegliare su di me, il mio amato angelo biondo, che in questo momento sta dormendo beatamente, con la testa china da un lato, su di una sedia vicina al mio letto.

Rimango ad osservare il suo viso colpito dai raggi del primo sole e penso a quanto forse l’ho fatto soffrire. Sicuramente sapere tutto è stata una gran batosta. Credo che da me una cosa del genere non se la sarebbe mai aspettata. I suoi occhi mentre mi rimproverava, rimarranno per sempre stampati nella mia mente a simboleggiare il mio enorme sbaglio.

Scendo dal letto e mi avvicino a Ryan ancora dormiente. Mi chino sul suo viso e, spostandogli i capelli davanti alle palpebre chiuse, poggio le mie labbra su le sue, unendole, senza la sua autorizzazione, in un bacio casto e ingenuo, quasi infantile.

La voglia di approfondire quel contatto è grande, ma con determinazione, separo le mie labbra dalle sue e mi rialzo. Non voglio sporcare lui, tanto puro, non voglio trascinarlo nella mia vita infernale. Ho sbagliato tutto con te. Ho agito da sciocca, preoccupandomi solo di me stessa, senza contare che davanti a me non ho un automa, ma una persona umana  che pensa, gioisce e soffre. Gli ho già recato troppo dolore e di questo me ne pento amaramente. Ho contribuito alla tua infelicità Ryan, e di questo non finirò mai di pentirmi. Potrei svegliarti e chiederti scusa, forse potrebbe tornare tutto come prima, ma so che ti ferirei ancora. Forse ti faccio così male, perché in realtà ti voglio troppo bene. Me ne accorgo giorno dopo giorno. Da quando sei arrivato qui, ho una marcia in più. Non sento più quel velo di tristezza che mi accompagna, il solo pensarti mi da allegria. Ho fatto chiarezza e credo di provare qualcosa, ma non sono ancora pronta per fartelo presente, probabilmente perché faccio fatica a crederci io stessa. Sento che potresti davvero rendermi felice, ma rinuncio alla mia di felicità per la tua. So che con me soffriresti e non sopporterei ancora di vedere i tuoi occhi velati dalla tristezza.

Ti accarezzo il viso e con i polpastrelli percorro tutte le sue incavature come se le stessi scoprendo per la prima volta. Ricordo tre anni fa, quando all’aeroporto ti dissi che anche tu avresti trovato la tua anima gemella. Ebbene sono ancora di questa idea. Sei la persona più speciale che abbia mai  conosciuto e sicuramente qualcun’altra meno stupida e cieca di me saprà darti ciò di cui hai bisogno cioè l’amore.

È inutile perdersi tra i “se” e i “ma”, ho sbagliato a partire con Mark tre anni fa invece di rimanere con te, ma quello che è fatto è fatto. E adesso non posso dire semplicemente “scusami, ho sbagliato” per far ritornare tutto come prima. E forse non voglio neanche stare con nessuno in questo momento…voglio solo ritornarmene a casa e ricominciare, dedicandomi solo ed esclusivamente a me. Ho deciso di crescere e non fare più la parte della bambina. Voglio avere anche io un futuro e lottare per costruirmelo.

Decido di sgranchirmi un po’ le gambe e, allontanandomi pian piano dalla sedia su cui giaceva supino Ryan, mi dirigo verso la porta della camera, giro piano la maniglia e comincio a camminare per il lungo corridoio tappezzato da carta da parati verde, in alcuni punti anche rovinata.

La mia attenzione viene catturata dai rumori che provocava un gruppo di quattro infermiere che portavano avanti e indietro coperte, cuscini e altre cianfrusaglie, in poche parole stavano disfacendo la stanza. Ne intuii subito il motivo: la persona doveva essersene andata.  Non sapendo neanche io il motivo, mi avvicinai ad una delle infermiere e chiesi il motivo della loro attività. Non so spiegare il perché, ma avvertivo una strana sensazione, come se la persona della stanza avesse a che fare con me.

-          la ragazza è morta- mi risponde senza neanche degnarmi di uno sguardo l’infermiera- brutta storia…davvero una brutta storia…- continua, adesso guardandomi con occhi sinceramente tristi- era molto giovane…davvero un peccato-

-          come si chiamava?

-          Marylin…Marylin Grey se non mi sbaglio-

Ecco il perché di quella sensazione.  Perché proprio lei. Come può Dio, che si fa indicare come il sommo benefattore, prendere la vita di una ragazza così giovane e preziosa. Ricordo il suo sorriso radioso, la sua incredibile voglia di vivere e sognare. Proprio questo mi aveva colpita la prima volta che la conobbi: la sua voglia, nonostante tutto, di voler sognare e fare di tutto per realizzare i suoi sogni. E proprio per quello stramaledetto sogno si è messa nei casini. Lei e quella sua stupida ambizione di diventare una modella. Lei e la sua dipendenza dalla droga. Adesso mi domando a cosa l’ha portata seguire i suoi sogni? A nulla all’infuori della morte. Alla fine è morta e nessuno dei suoi sogni potrà riportarla indietro.

Ricordo che diceva sempre “un giorno o l’altro me ne andrò da questa merda di città”. Invece ci è rimasta in questa città. Adesso sarà il suo riposo per sempre. Io l’ho sempre detto che questa maledetta vita ci avrebbe inghiottiti tutti quanti…Marylin è stata solo la prima, nulla di più. A lungo andare, se rimarrò, sono sicura che anche io farò la sua stessa fine.

Cominciai a piangere silenziosamente, mentre volavo le spalle all’infermiera e ripercorrevo al contrario quel corridoio che sembrava essere lungo il doppio di prima.

Aprii la porta e trovai Ryan, ormai sveglio, davanti che stava per aprire la maniglia della parte opposto della porta, se non fossi stata più veloce.

Lui mi guardò con aria interrogativa ed io ovviamente, non seppi rispondergli, lo abbracciai semplicemente  e mi abbandonai tra la presa forte delle sue braccia. Appoggiai la testa sul suo petto e presi a piangere più forte, tanto che ad ogni singhiozzo il mio corpo vibrava tutto.

Lui non disse nulla, oltre che abbracciarmi sempre più forte quasi stesse dicendo “hei, io sono qui. Non preoccuparti”, lisciandomi pian piano i capelli e il capo.

-          me ne voglio andare di qui. Voglio tornarmene a casa!- dissi di punto in bianco io, con la voce ancora alterata dal pianto

-          sono qui per questo- mi rispose semplicemente lui con foce profonda e rassicurante, regalandomi quello che più mi occorreva in quel momento: un meraviglioso e dolcissimo sorriso.

Io rimasi attonita a guardarlo, come una bambina, stupendomi ancora di più di quanto quel ragazzo significasse per me. Ogni suo gesto, ogni sua parola, rafforzava in me, questa convinzione, facendomi chiedere, di tanto in tanto, come ho fatto a vivere senza di lui affianco in questi anni.

Non so se la morte di Marylin centri qualcosa con me. So solo che grazie a lei ho finalmente scelto. Per la prima volta non ho paura del domani. Anzi, sono pronta a sfidarlo, perché ormai sono fiera e sicura della mia decisione. E questo lo dedico tutto a te, cara amica mia. Grazie per avermi guidato verso la chiarezza. Riposa in pace piccolo angelo…

 

[…]

Mentre ce ne stavamo abbracciati sull’uscio della porta, un colpo di tosse, evidentemente volontario, ci interruppe. Un’infermiera tarchiata e grassoccia , con un’aria leggermente austera, ci chiese con i suoi occhietti da topo incavati all’interno del suo viso di smettere e ascoltarla.

-la signorina Momomyna?-

-si…- rispose Strawberry con un espressione preoccupata

- le ho parlato- domanda, questa volta rivolta a me.

Mi ero completamente dimenticato di tutto.

-          no…non ancora…non ho avuto tempo…- faccio io visibilmente imbarazzato

-          cosa avresti dovuto dirmi?- mi fa Strawberry mentre si passa una mano sul viso con l’intento di asciugare la lacrime dal viso.

-          Che dovrà rimanere qui, sotto osservazione, per un altro paio di giorni- dice la signora intromettendosi

-          E perché?-

-          Senta…forse deve essere operata, ma i medici vogliono esserne sicuri- ribadisce l’infermiera visibilmente contrariata.

-          Vedrai che non sarà nulla- dico io a Strawberry, prendendole le mani e cercando di rassicurarla, mentre con la coda dell’occhio vedo la buffa infermiera uscire e sbattere la porta alle sue spalle, lasciandoci soli.

-          Ho paura- mi dici Strawberry, guardandomi come un cucciolo abbandonato.

-          Tra un po’ sarà tutto finito- cerco di sollevarle il morale

-          Lo spero- dici lei ormai rassegnata, staccandosi da me e andando verso il letto dove si siede.

-          Una mia amica è morta…l’ho saputo proprio adesso-

-          Mi dispiace-

-          È che anche lei era finita nel giro…non voglio fare la sua stessa fine…non voglio…non voglio morire- ricomincia a piangere e si copre il viso con le mani.

Io mi siedo affianco a lei e le scosto le mani. Le racchiudo nelle mie e guardandola dico

-          Non ti ho cercata per poi vederti andare via un’altra volta- mi piego per darle un bacio sulla guancia, ma lei si sposta all’ultimo momento e le mie labbra vanno ad unirsi con le sue, in un bacio sempre meno pudico e più approfondito.

 

 

Già immagino le vostre facce soddisfatte a urlare un sonoro “finalmente”…ebbene, io stessa mi ero scocciata di questa situazione stile convento…adesso diamoci una mossa e andiamo al sodo…

Spero che questo capitoluccio vi sia piaciuto, anche se un po’ troppo dialoghi. Credo di aver reso, usando tutte le mie dubbie capacità descrittive, la scena e dei vari baci…quindi, come sempre, a voi l’ardua sentenza. Vi avviso solo di una cosa, che dal prossimo la faccenda si farà un po’ più complicata…rimanete sintonizzanti ( ma che stiamo a Mediaste?! Nd tutti)

Ciao ciao dalla vostra Baby dark

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Capitolo 18
*** 18 ***


Passarono giorni e giorni prima che potei vedere nuovamente il cielo con i miei occhi direttamente e non attraverso la finestrella della mia camera d’ospedale, dove ero rimasta per più di un paio di giorni come mi aveva detto l’infermiera

18° : Perché scappi?

Passarono giorni e giorni prima che potei vedere nuovamente il cielo con i miei occhi direttamente e non attraverso la finestrella della mia camera d’ospedale, dove ero rimasta per più di un paio di giorni come mi aveva detto l’infermiera.

I controlli sul mio corpo erano stati fastidiosi e frequenti. Tutte le mattine mi alzavo molto presto e cominciavo con il prelievo del sangue, a finire poi con la tac. Sempre la solita routine. A causa dei controlli non mangiavo neanche più, mi ero dimenticata il sapore di qualsiasi cibo. Mi nutrivano a suon di flebo.

Finalmente, dopo tanti preoccupazioni, sarò messa davanti alla realtà dei fatti. Saprò l’esito dei vari esami.

Sento i passi dell’infermiera echeggiare nel corridoio e come per proteggermi dal pensiero della notizia che mi porterà, mi raggomitolo tra le coperte, ma poi mi dico che sono forte. Ferma della mai decisione di lottare per tutto ciò che è avvenire. Vuol dire che devo lottare anche contro  questo. Alzo la testa dalle lenzuola e mi siedo sul letto, aspettando l’ignoto.

Nella stanza entra l’infermiera accompagnata da un agitato Ryan, che appena mi vede fa segno di non sapere nulla.

-         signorina Momomyna- esordisce l’infermiera- dopo aver analizzato tutto siamo lieti di constatare che lei non ha nulla di quello che ci eravamo aspettati di trovare.

Io rimango impassibile. Mi ero già preparata al peggio, ed invece tutto si è risolto nel migliore dei modi.

-         tuttavia- fa la signora, allentando la mia gioia- le consiglio personalmente, di non aver rapporti sessuali per un po’ di tempo, diciamo un mese minimo.

La domanda più banale che mi viene in mente è “perché?”

-         il suo collo vaginale presenta delle piccole lacerazioni. Nulla di grave, non si preoccupi. Ma se ulteriormente danneggiate, potrebbero avere serie conseguenze.

Per nulla rattristata da ciò, rivolgo un sorriso all’infermiera.

-         cercherò di resistere- faccio ancora con un sorriso a trentadue  denti stampato in faccia, facendo rimanere l’infermiera di sasso. La signora guardò poi, prima me e poi Ryan, sogghignando sotto i baffi prima di darci le spalle e salutarci, socchiudendo la porta dietro le sue spalle.

Non vedendoci più dalla felicità abbracciai Ryan. Lui che mi era sempre stato vicino in questi difficili giorni, a partire dal mio primo prelievo. Chi sa che figura che avrò fatto: ho urlato come una scimmia quando ho visto l’ago dirigersi minaccioso verso il mio braccio. Per finire in questo giorno di liberazione, dove timori e insicurezze si sono dimostrate vane. Lui ci è sempre stato per me e voglio che ci sia anche in futuro…

-         senti.. volevo dirti che…- la mia bocca fu tappata dalla sua.

-         Non dire nulla…- il suo era un dolce ordine a cui non potevo disubbidire.

 

Passarono alcune ora prima che potei finalmente uscire e respirare l’aria del mondo, guardare il cielo che stranamente era terso. Infatti, dopo aver sbrigato le scartoffie burocratiche potei infine  uscire da quel ospedale e lasciare quella stanzetta di quel orrido verde che cominciava ormai a starmi stretta. Aiutata da Ryan, presi le poche cose che avevo con me e uscii senza neanche voltarmi indietro una volta superate le porte automatiche.

-         c’è una cosa che vorrei fare prima di partire…- esordisco io

-         cosa?- mi risponde lui curioso

-         vorrei tanto mangiarmi un cheasburger, orgoglio  del regno unito, non so se te ne rendi conto, ma è una settimana che non mangio nulla…-

-         ok…ma stai attenta- mi fa lui con fare affettuoso

-         cercherò di prendere in considerazione questo avvertimento- gli rispondo

La giornata trascorse tranquilla. Mangiando ogni sorta di schifezza e parlando un po’ del passato, rimembrando le nostre avventure, i nostri battibecchi e quando facevamo pace. Che stupidi eravamo a litigare sempre come due matti. Adesso, neanche a volerlo,  non riesco a ricordare un unico motivo importante per cui sarebbe valsa la pena litigare. Forse è come dice Ryan. Forse siamo troppo orgogliosi per ammettere che sbagliavamo, mettendoci anche il fatto che probabilmente ci dimostravamo il nostro affetto a suon di insulti.

Eravamo seduti ad una panchina di Sout Kensigton quando una mano mi afferrò per la vita.

-         si può sapere dove eri finita in tutti questi giorni?- mi spaventai non poco a vederlo così. Mai mi era capitato di vederlo adirato e sinceramente avrei preferito vivere con questo dubbio. Il suo viso sembrava distrutto, stanco e affaticato, senza contare il fiatone che aveva per la corsa. I suoi occhi erano inespressivi, anzi, in loro c’era un pizzico di rabbia. Il suo sguardo passò da me a Ryan…

-         forse ho capito…-

-         vedi che non hai capito proprio nulla- si intromise Ryan

-         me lo dovevo aspettare da te…tradirmi con il mio migliore amico…- sbuffo leggermente prendendo a osservare il laghetto poco lontano.

-         Tradire chi?- rispose Ryan

-         Che c’è la nostra cara Strawberry prima di venire e letto con te non ha detto che aveva fatto una sosta anche nel mio?!-

Ryan rimase di sasso. Il suo sguardo fisso nel vuoto era tutto un programma…un brutto programma.

-         la volete finire tutti e due?!- dissi io, che riuscii a parlare solo allora. Non volevo che uno stupido malinteso rovinasse tutto. Non sarebbe andato tutto in frantumi un’altra volta. Non adesso.

-         Stai zitta!- mi intimidì Josh- ed io stupido che mi sono innamorato di una così!- dicendo così, se ne andò, non prima però di aver assestato un pugno ad un albero.

A quel punto mi voltai verso Ryan che stringeva i pugni, segno evidente di un moto di rabbia represso.

- fammi spiegare…ti prego, almeno tu…- dico io appellandomi alla sua coscienza e ormai con le lacrime agli occhi.

Senza dire nulla lui se ne va, passandomi di fianco senza dire o fare nulla. È vero che il silenzio è peggio di mille parole, me ne accorgo solo adesso.

In ultimo tentativo disperato gli corro incontro e lo afferro per la manica della maglia.

Lui, scuro in volto dalla rabbia, mi strattona congedandomi con un semplice e rabbioso “lasciami stare”, sussurrato, quasi impercettibile per le orecchie di qualunque altro, ma non per le mie.

 

La pioggia cadeva imperterrita da due giorni ormai ed io non facevo altro che osservarne il percorso da dietro il vetro della mia finestra. Scendeva tranquilla. Il suo sguardo…lo sguardo di Ryan…di nuovo quello sguardo deluso di me, in cui tutto il mondo mi crolla addosso. Non esiste più nulla. Nella mia mente c’è l’apocalissi e sembra che il sole non debba mai più risorgere.

Un rumore mi riporta alla realtà. Un ticchettio flebile contro la finestra provocato da un piccolo sassolino. Apro la finestra e vedo Ryan completamente bagnato che mi guardava, ancora non del tutto amichevole…

-         perché continui a scapparmi?- mi chiede con espressione e voce ferma.

-         Guarda che sei tu ad essere scappato- rispondo io, con l’immagine di lui che mi intima di lasciarlo stare  ben impressa nella mente.

-         Perché continui a scapparmi?- mi rifà lui con la stessa aria indecifrabile. Mentre io rimango in silenzio non sapendo cosa rispondere, completamente spiazzata.

-         …non lo so…- gli rispondo con una voce bassa, quasi ammettendo la mia posizione dalla parte del torto.

-         Io invece credo di saperlo – risponde Ryan- perché non sei pronta a lasciarti andare…non sei pronta ad amare.-

La sua dichiarazione mi centra in pieno il cuore. È esattamente quello che penso. Non sono pronta ad  amare, questa è la triste realtà. Non mi sento pronta a donarmi completamente a qualcun altro nuovamente. Ho deciso di cambiare vita, senza ricadere negli sbagli di questa mia precedente.

-         non sono venuto qui per colpevolizzarti o darti fretta. Voglio semplicemente farti sapere che io ci sarò sempre, ti aspetterò per tutto il tempo necessario.- continua Ryan.

Chiudo gli occhi e assaporo tutti gli odori che si sollevano dalla terra a causa della pioggia. Gli riapro e faccio cenno di si con la testa sorridendogli, e ricevendo in cambio lo stesso regalo da parte sua. Poi, dopo avermi gettato un ultimo sguardo, se ne va .

Spinta dal mio cuore, dal sentimento che provavo per lui o dalle sue parole, questo non lo sapevo, so solo che mi allontanai dalla finestra e compii diverse e profonde falcate  verso la porta d’ingresso che aprii. Corsi lungo le scale e mi catapultai giù, fuori dal mio portone, investita completamente dalla pioggia che mi bagnò tutta, ma questo era l’ultimo dei miei problemi. Raccogliendo tutte le forze che avevo in corpo gridai il suo nome, sperando con tutto il cuore che lui potesse sentirmi. Così fu. Nell’udire il suo nome, Ryan si fermò e poi si voltò nella mia direzione. Io gli corsi incontro e lo abbracciai. Lui mi strinse forte e mi accarezzò delicatamente la schiena. Ci allontanammo leggermente e lui mi sfiorò il viso con il polpastrello del pollice il mento, per poi portare il mio volto al suo e sigillare la nostra unione con un bacio.

Spero che tu abbia abbastanza pazienza per aspettarmi...

Innanzitutto volevo scusarmi con voi tutti per questi capitoli dialogati. Sapete sicuramente che non è nel mio genere farli, ma cosa avrei dovuto fare?! Certamente i prossimi saranno migliori…almeno lo spero, tuttavia, devo ammettere che anche se personalmente li odio questi capitoli sono molti importanti per il tutto e spero di averli resi il meno terribili possibile. Grazie dell’ascolto a tutti!!!!

Vostra Baby Dark

 

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Capitolo 19
*** 19 ***


I wake up in the morning / Mi sveglio la mattina

 

19:Ancora confusa

 

 

I wake up in the morning / Mi sveglio la mattina
Put on my face / Indosso la mia faccia
The one that's gonna get me / Quella che mi porterà
Through another day / Attraverso un altro giorno
Doesn't really matter / Non importa davvero
How I feel inside / Come mi sento dentro
This life is like a game sometimes / Questa vita è come un videogioco a volte

Then you came around me / Poi sei venuto da me
The walls just disappeared / I muri sono scomparsi
Nothing to surround me / Niente a circondarmi
Keep me from my fears / E proteggermi dalla mie paure
I'm unprotected / Sono senza protezione
See how I've opened up(oh) / Vedi come mi sono aperta
You've made me trust / Mi hai fatto avere fiducia in me

( Avril Lavigne- Naked)

 

 

Cammino per le strade della città. Nei miei occhi uno strano bagliore di serenità mista ad un infantile, nonché immotivato senso di ilarità. Guardo ogni cosa, e chiunque come se stessi posando per la prima volta il mio sguardo su di loro. Dettagli di vita, che in passato avevo avuto da sempre sotto gli occhi, ma di cui non mi ero mai curata,improvvisamente si erano rivelati a me. Come se fino ad adesso avessi brancolato nel buio, ed ora finalmente qualcuno avesse acceso la luce.

I miei passi erano lenti e soffici, quasi stessi accarezzando l’asfalto su cui stavo passeggiando, tuttavia erano sicuri e decisi, come ormai me…dopotutto.

Sono serena, la mia mente non è angustiata da strani e turbolenti pensieri, svolge semplicemente quello che svolgono tutte le altri menti. Sorrido tra me e me: avevo dimenticato cosa si provava quando si è  felici…

In tutti quegli anni, questo sentimento era stato per me solo un miraggio, pari all’acqua del secco deserto. Eppure eccomi qui, sana e salva. Finalmente arrivata alla mia oasi di pace e serenità.

Rivolgo uno sguardo al sole e sorrido di nuovo. Passeggio spensierata tra i negozi e specchiandomi nelle loro belle vetrine, addobbate a festa per ricordare a chiunque le guardi che tra qualche giorno sarebbe arrivato il nuovo anno. Guardavo la mia immagine riflessa in quei pezzi di vetro e mi soffermavo, prestando attenzione all’espressione del mio viso. Era disteso, senza neanche una ruga che stesse ad indicare qualche brutto pensiero, la bocca era ricurva a formare una mezza luna, e a creare delle piccole fossette sotto gli occhi. Rispendevo di una luce nuova, mai vista prima. Rispendevo di serenità. Avevo tutto quello che volevo: finalmente avevo chiarito i miei sentimenti per Ryan e anche se non gli avevo ancora dato una risposta precisa e definitiva, avevo la consapevolezza che lui mi amava, che forse lui era l’unico e il solo capace di curare le ferite della mai povera anima. Avevo, inoltre, anche tutte le carte in regola per poter rifarmi una vita, distaccandola da quella vissuta fino ad adesso.

E, sempre immersa nell’ammirare quei meravigliosi addomi per capodanno, pensai che molto probabilmente avrei festeggiato l’arrivo del nuovo anno a casa mia con i miei genitori e forse, perché no, anche con Ryan.

Staccai le mani e gli occhi dalla vetrina e di nuovo con le buste della spesa in mano mi diressi verso casa. A guardarmi sembravo proprio una madre di famiglia.

Ma mentre ridevo di gusto tra me e me per l’immagine che mi ero fatta nella mia mente, mi sento strattonare il braccio e vengo tirata da una mano uscita dal nulla, verso un vicolo poco illuminato, adiacente alla strada principale. Guardo il mio rapitore ma è voltato di spalle e per di più indossa un capello che lo copre fino agli occhi.

Una volta entrati nella stradina lui mi lascia bruscamente e si allontana di qualche passo, rimanendo sempre di spalle. Poi, all’improvviso si porta la mano al capo e si sfila dalla testa il cappello, quindi si volta verso di me. Era Josh.

I capelli più lunghi, la barba e i vestiti stropicciati gli davano un aspetto trascurato, quasi fosse un barbone, e se non lo avessi identificato dai sempre bellissimi e limpidi occhi, probabilmente non l’avrei mai e poi mai riconosciuto.

Mi fissa, quasi volesse entrarmi dentro e si comincia ad avvicinare a me. Sono intimidita e quindi indietreggio un po’, fino a che la mia schiena non viene bloccata dal muro. Ma lui non si ferma e continua ad avanzare verso di me, sempre di più. Un odore nauseabondo di alcol mi assale prima di lui. Deve aver bevuto molto. Cercando di salvare qualcosa del nostro rapporto, e anche evitare di farlo avvicinare ulteriormente, mi faccio coraggio e decido di parlare per prima.

-         ciao…-

-         “ciao” è tutto quello che hai da dirmi?! Dopo tutto quello che mi hai fatto ti viene in mente solo uno stramaledettissimo “ciao”?!

[…]

 

Mi ritrovo a fissare il candido soffitto del mio appartamento. È l’unica cosa che ricordo. È come se il tempo si fosse fermato e, mentre io ero bloccata, il mondo è andato avanti senza di me, trascinandomi insieme al lui per il tempo e lo spazio inconscia di tutto quello che stava accadendo; ma adesso , almeno per quanto mi riguarda, deve aver ripreso il suo naturale corso, lasciandomi in balia dei ricordi di qualche minuto fa, sorretti da una base logica racchiusa nel mio cervello.

Ecco lì qui che arrivano. Affamati di sangue, del mio sangue. Avidi di felicità, ben predisposti a succhiarmi tutto quello che di buono e puro c’è in me. Come una macabra armata di morte, ecco avanzare e farsi largo tra le mie sinapsi quei malvagi pensieri, che, come tanti funghi parassiti, si depositano nel tuo cervello e lo affollano, non facendoti neanche respirare; senza neanche darti il tempo di capire le malignità che ti sussurrano dolcemente all’orecchio, che subito ne hanno pronte delle altre, molto più incisive e devastanti delle precedenti.

Fiaccamente lascio cadere il mio capo sul morbido cuscino e passo una mano sull’addome, accarezzandolo debolmente.

Ritornano vive, come se fossero marchiate a fuoco, le parole che circa un’ora fa erano uscite dalla carnose labbra di Josh.

È vero io non avevo nulla da dirgli. Ero troppo sporca. Troppo compromessa per rivolgergli la parola. In quanto, se pur ben nascosta nel mio subconscio, una vocina mi giudicava un vero e proprio verme per quello che gli avevo fatto.

Lui era lì. Con il suo aspetto un po’ malandato, con l’espressione che ha un cane randagio che deluso dai precedenti padroni, preferisce cavarsela da solo e decide di vivere errando.

E vorrei tanto rispondere a questa insistente e alquanto fastidiosa vocina dentro di me che, prima di accusare, forse sarebbe stato meglio prendere in considerazione anche la possibilità  che io potrei non c’entrare nulla con nulla di tutto quello che sta passando Josh, che sono stata una storia come le altre, una delle tante ragazze che si è portato a letto, per puro piacere fisico.

Ma allora perché quelle sue parole? Perché mi ha detto di amarmi, quando credo che non sia vero?

Di nuovo la voce nella mia mente risponde alla mia domanda, chiedendo a sua volta cosa ne sapevo io di quello che provava Josh, ma non solo, cosa ne sapevo io in generale dell’amore…

È vero, nella mia vita, a dire il vero sin da piccola, lo desideravo. Mi ricordo che, tranquilla e sicura sotto le mie coperte, ascoltando le storie di principesse e principi, di avventure fantastiche che questi personaggi affrontavano insieme, e di come ne ero ardentemente gelosa. Mi domandavo insistentemente perché le altre persone avevano la fortuna incommensurabile di poter vivere un amore vero, anche solo uno solo in tutta la vita, ed io invece neanche vederlo da lontano, non vivere neanche il più opaco riflesso di questo grande sentimento.

Ma, parlando sinceramente, non ho mai fatto nulla perché il mio sogno si avverasse. Me ne stavo lì, ad aspettare, come un guardiano del faro che aspetta giorno e notte l’arrivo delle navi. Anche se dentro bruciavo dal desiderio di conoscere cosa si prova ad amare e ad essere amati, fuori, non facevo nulla di concreto perché questo si avverasse. Credo sia stata colpa di tutte quelle favole lette. Certo, in quei racconti, il principe azzurro arriva all’improvviso, salvandoti e promettendoti subito amore eterno. Sorrido. Nella realtà, nell’amara realtà, bisogna cercarlo il proprio principe azzurro. È tutto un gioco di sentimenti e sensazioni che ti fanno credere o meno che quella che ti è di fronte è la tua anima gemella. Ho scoperto, andando avanti, ma ahimé, me ne rendo conto solo adesso, che l’amore non può nascere da un giorno all’altro. Ma, come un muretto a secco, bisogna costruirlo giorno per giorno, con mattoni fatti di fiducia e rispetto reciproco.

Forse qui, come se fossi ritornata bambina, nel mio caldo e sicuro letto, tutto può sembrarmi più facile, non riesco a vedere ostacoli sulla via, ma so che si saranno. Quindi, è inutile pensare a cosa accadrà domani. Forse sarebbe meglio vivere giorno per giorno, anche se la mia indole me lo renderà alquanto difficile.

Non appena, sicura delle mie idee, credo di vedere infondo alle tenebre del mio cuore una luce, ecco qui che di nuovo il buio dell’incertezza la ricopre. Mi tornano in mente, quasi fosse accaduto tanto tempo fa e non appena due ore prima, gli occhi di Josh, freddi e distaccati, come due lastre di ghiaccio. Le sue parole che, fermamente, come se le sue labbra stessero parlando per diretto mezzo del suo cuore, cariche di rabbia e rancore, mi ricordano ciò che lui ha fatto per me durante questi anni. Come mi ha aiutata, come si è preso cura di me dandomi un lavoro. E per concludere, come, anche se secondo lui faccio finta di non averlo sentito, per un secondo, un solo e unico secondo, mentre facevamo l’amore, io l’abbia amato veramente.

Eccolo qui, che nel vicolo si avvicina verso di me e mi abbraccia. È caldo. Avverto una sensazione magnifica, come se stessi tra le nuvole, e guardassi tutto e tutti dall’alto, senza avere problemi miei a cui pensare. Lui che mi sussurra all’orecchio con la sua voce profonda delle parole che forse la mia memoria aveva rimosso fino a questo momento per non darmi supplizio. Delle parole che arrivano nel mio cuore come una doccia fredda, abbattendo tutto quello che ho detto prima riguardante la nuova vita che avevo intenzione di iniziare.

“ lui potrà amarti fino a quando non ti avrà riportata a casa dai tuoi genitori. Io potrei, invece, amarti sul serio… per il resto della mia vita…”

Con queste stesse parole che come spiriti inquieti volteggiavano nella mia mente, mi lasciai andare tra le sicure e dolci braccia di Morfeo.

Venni destata dopo non so quanto tempo dal rumore della caffettiera che con il suo fischiettio annunciava che il caffé era pronto. Piano mi alzai e a piedi nudi mi diressi verso la cucina.

Trovai Ryan intento ad armeggiare con tazzine, zucchero e caffé. Non aveva un’espressione molto convinta mentre faceva tutto questo, forse perché non ci aveva mai provato.

Io mi misi ad osservarlo appoggiata allo stipite della porta e sorridendo cercai di non far trapelare la mia presenza.

Dopo un po’ posò le tazze su di un vassoio e, voltandosi per uscire dalla cucina, mi trovò dinanzi a lui. Dopo un primo momento di immobilità, mi fece cenno di andarci a sedere in salotto, e così facemmo.

Con ancora la tazza di caffé fumante tra le dita, venni presa improvvisamente dalla paura, scaturita dalle parole di colui che mi sedeva di fianco.

Aveva davvero appena detto che il nostro volo sarebbe partito domattina alle 9? Davvero mi stava dicendo che ritornare a Tokyo sarebbe stata la scelta migliore per entrambi, ma che comunque la decisione di partire o restare qui sarebbe stata mia?

Non sapevo cosa fare. Forse sarebbe stato meglio se lui mi avesse costretto a partire, almeno non mi sarei ritrovata in questa situazione.

Ti guardo fisso in quegli occhi di ghiaccio e silenziosamente ti chiedo aiuto. Ma tu mi sorridi e posi le tue labbra sulla mia guancia. Appoggi  la tazza sul tavolo e te ne vai.

E così vuoi che sia il mio cuore a scegliere? Sei convinto che sia celata dentro di esso la risposta a questa domanda?

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Capitolo 20
*** 20 ***


Ryan se ne era andato ormai da un bel po’ di tempo, che a me sembrava unìeternità

20: scelta obbligata dalla vita

Ryan se ne era andato ormai da un bel po’ di tempo, che a me sembrava un’eternità. Me ne stavo lì, sul divano di pelle rossa, con ancora la tazza piena di un surrogato del caffé che doveva contenere qualche ora fa. Rimuginavo ancora sulla scelta di restare o partire. Lo chiedevo a me stessa, ansiosa che all’improvviso qualcuno uscisse fuori e mi desse una risposta, una qualsiasi via da seguire, perché a me sembrava impossibile venire fuori con le mie sole forze da questo enorme dilemma.

Eppure ero così ferma nella mia decisione di mollare tutto qui e partire con Ryan, quindi, poter finalmente riabbracciare i miei cari.

Se solo Josh non mi avesse fermato stamattina. Se solo non si fosse impicciato in questa situazione. Se solo non avesse detto di amarmi.

Ma in contemporanea un’altra domanda prese vita nella mia mente. Davvero Josh ha giocato un ruolo tanto importante all’interno di questa faccenda? Cioè, davvero questa mia indecisione è stata causata da lui?

Mi sembra essere ritornata a vestire i panni della vecchia Strawberry. Quella ragazza di quindici anni che la mattina si svegliava sempre tardi, e proprio non riusciva a sentire in tempo la sveglia. Che andava a scuola e riusciva ogni anno ad andare avanti per un pelo, visto che non era dotata di una gran voglia di studiare. Quella ragazza che subito dopo la scuola andava a lavorare in un caffé, l’unico luogo dove forse poteva dare libero sfogo ai lati della sua personalità repressi; l’unico posto dove si sentiva veramente libera. Lì non c’era nessuno a giudicarla, poteva fare tutto ciò che voleva. Le sue compagne la aiutavano senza mai pretendere nulla e quando aveva un problema si prodigavano anima e corpo per lei. 

Ma ricordo anche una fondamentale componente di quella ragazzina. Una costante del suo carattere che nell’adolescenza molte volte l’ha fatta soffrire, forse, inutilmente. Era un’eterna indecisa.

Non riusciva mai a prendere una decisione netta nella sua vita. Si trovava sempre in bilico tra quello che era giusto e quello che voleva davvero fare, tra quello che si aspettavo gli altri da lei e quello che voleva

La maggior parte della volte optava sempre per la prima ipotesi. Quella meno faticosa. Quella che, come si dice, fa vincere tutti, quella forse più facile e scontata. Quella, che però , anche, le faceva rimpiangere la seconda e la condannava spesso a uno stato di infelicità e una conseguente insoddisfazione interiore terribile.

Pensavo che oramai quella ragazzina fosse morta. Sepolta nei meandri dei miei ricordi. Che avevo ormai concluso quel capitolo della mia vita. Ma invece, ecco qui che ritorno alle origini. Ecco qui che quel maledetto mio modo di essere è stato liberato e adesso è di nuovo padrone di me. Svolazza liberamente tra i miei pensieri, spargendoci accuratamente un pizzico del suo potere, confondendomi. Intorpidendo il mio metro di giudizio che tanto ho faticato a costruirmi.

Odo il rumore dello scatto che la chiave fa quando viene girata nella toppa della porta. Ryan deve essere tornato per una risposta immagino. Ma cosa farò? Io non ho una risposta ancora. Ho bisogno ancora di tempo. Tempo per capire se è giusto partire e riprendere la vecchia vita da dove la si è lasciata  o restare e accettare le conseguenze di questa nuova che ho intrapreso di mia spontanea volontà, che forse, con il tempo potrà cambiare, migliorare.

Ma sulla soglia del salotto non è Ryan a fissarmi con fare cagnesco. È ancora una volta Josh. La mia paura sale maggiormente quando lui comincia di nuovo ad avanzare verso di me. Come nel vicolo. Mi alzo dal divano e comincio ad indietreggiare, questa volta però, senza preoccuparmi di darlo o meno a vedere. Ma lui non si ferma e continua a venire verso di me con la stessa espressione minacciosa.  Mentre mi trascino stancamente da un mobile all’altro della stanza, mi rendo conto che le mie mani hanno cominciato a tremare.

-         hai pensato a quello che ti ho detto stamattina?- mi chiede lui fermandosi al centro della stanza e incrociando sul petto le braccia.

-         Non ne ho ancora avuto occasione- mento io, in preda alla paura.

-         A davvero? Bhè in effetti hai tanto a cui pensare ultimamente…vero? Non ti fai manco più trombare né da me né da Ryan…credo che quindi avrai un sacco di tempo libero…giusto?

-         Josh, non ti permetto di trattarmi così…!- faccio io in preda a un attacco improvviso di coraggio del tutto innato.

-         Mi sembra di dire solo la verità- mi risponde lui con la sua aria beffarda che da sempre lo contraddistingue. – ma dimmi…hai deciso cosa farai?- continua

-         In che senso?- domando fingendo di non aver capito dove volesse andare a parare.

-         Partirai o resterai qui?

-         Ancora non lo so….- ammetto amaramente la mia sconfitta, mentre lui sorride.

-         Quindi il nostro Ryan non ti ha convinto come credevamo…bene bene.

-         Non è lui….sono io che sono confusa-

-         Bhè…quando uno è senza macchia, non è confuso. Quando invece si ha qualcosa da nascondere lo si è - Io rimango lì come un ebete, mentre lui si avvicina. Adesso non ho neanche la forza di scappare o respingerlo. Sono distrutta.

-         Tu lo ami?- mi chiede infine prendendomi il mento tra le sue dita.

Io lo guardo senza dire una parola. Anche perché non me ne viene nessuna al momento. Lui, con gli occhi mi chiede una risposta, ma cosa posso farci se non la conosco.

-         non lo so- faccio io. Lui avvicina le sue labbra a le mie e mi bacia profondamente. Infialando prepotentemente tutta la sua lingua in bocca. Io non voglio.

Vorrei poter urlare che non voglio baciarlo. Vorrei poter avere la forza di dargli una spinta e allontanarmi da lui. Ma non ci riesco. Non riesco a reagire. E quindi rimango lì in balia delle sue azioni.

 […]

Avevo in mano un mazzo di rose gialle, le sue preferite, e due biglietti di sola andata per Tokyo. Mi caddero entrambi nel sentire quelle parole insicure pronunciate dalla sua bocca e nel vedere che non opponeva resistenza al suo bacio. Una lama si conficcò nel mio petto squarciandolo e rendendomi completamente nudo. Vuoto da ogni cosa che anche lontanamente potesse assomigliare a un sentimento che non fosse l’odio. Lasciai lì quello che mi era cascato per terra e me ne andai senza far rumore, come un ladro. Senza dire nulla. Senza chiedere spiegazioni. Come un predatore ferito dalla sua stessa preda.

[…]

Compresse i nostri corpi l’uno sull’altro lungo la parete e spingendomi mi portò in camera da letto. Anche qui, mi sarei voluta opporre. Non volevo entrare. Non volevo che lui abusasse di me in quel modo. Ma non dissi nulla. Mi feci trasportare come una carcassa morta che ormai non ha niente per cui lottare.

Mi poggiò sul letto e con impeto prese a strapparmi quello che avevo in dosso. Sembrava una furia. Capii che l’unico modo di placarla era dagli quello che desiderava. Ma al contempo non volevo.

Non so dove trovai la forza di fermare le sue mani e gridare un no secco.  Lui mi guardò dritto negli occhi. Ebbi più paura di prima perché potevo leggere in quelle ormai non più limpide sfere verde smeraldo, un maggiore piacere, di natura sicuramente sadica, nel mio rifiuto. Infatti mi sorrise e continuò con più forza e più avidità a palpare ogni centimetro del mio corpo che ad ogni suo contatto rabbrividiva e si opponeva. Continuava e continuava. Poi mi sfilò gli slip, si slacciò i pantaloni,e mi sorrise con menefreghismo di nuovo. Poi, con prepotenza entrò dentro me, iniziando a sferrare colpi sempre più forti. Senza amore, senza un briciolo di sentimento. Sporcando ancora di più il mio corpo già irrimediabilmente compromesso.

Sentii lacerare con fortissime fitte ogni parte della mia femminilità deturpata. Proprio in quel momento, mentre lui ardeva dal piacere e io dal dolore più spirituale che fisico, capii che questa  sarebbe stata la mia condanna in eterno. Avrei dovuto pagare per il resto dei miei giorni la mia voglia di trasgredire che quel giorno mi portò qui a Londra. Capii che non sarei mai più uscita da questo circolo vizioso che ormai era diventata la mia vita. Non c’erano vie d’uscita. Un angusto vicolo cieco.

Solo un pensiero mi tenne coscienze durante tutto questo. La volontà di non trattenerti. Non voglio che tu sia legato a me. Non voglio vederti soffrire e ho paura della certezza che se io dovessi seguirti e stare con te, inconsapevolmente lo farei. Guardami. Guarda quello che mi lascio fare. Guarda il modo in cui vivo. Non ti merito. Perdonami. Non voglio vederti legato. Sei uno spirito libero, e come tale devi essere libero di vivere, spensierato e fiero come sei sempre stato Non voglio essere un altro velo di oscurità sui tuoi occhi. Non voglio essere un’altra fitta al tuo cuore. Non voglio che tu rabbrividisca al pronunciare del mio nome.

Non voglio essere ricordata da te. Voglio vivere e morire nell’anonimato per quanto ti riguarda. Forse all’inizio questo ti sembrerà del tutto insulso…ma con il tempo capirai. Dimenticami, Ryan. Cancellami dal tuo cuore e sii libero.

 

Of all the things I've believed in /Di tutte le cose in cui ho creduto 
I just want to get it over with/Voglio solo farla finita con
Tears form behind my eyes/Le lacrime che si formano nei miei occhi
But I do not cry/Ma non piango
Counting the days that pass me by /Contando i giorni che mi passano accanto

 

Words that I'm hearing are starting to get old /Le parole che sento iniziano ad invecchiare
It feels like I'm starting all over again/E’ come se stia ricominciando tutto di nuovo
The last three years were just pretend/Gli ultimi tre anni erano solo una finzione
I've been searching deep down in my soul/Sto cercando in fondo alla mia anima
And I said, /E ho detto,

Goodbye to you/Arrivederci a te
Goodbye to everything that I knew/Arrivederci a tutto ciò che conoscevo
You were the one I loved /Eri l’unico che amavo
The one thing that I tried to hold on to /L’unica cosa che ho cercato di tenere stretta

 

Michelle Branch – Goodbye to you

[…]

 

Cominciò a piovere. Pensai che da quando ero giunto a Londra, le giornate di sole di cui avevo potuto godere potevano essere contate, e neanche, sulle dita di una mano. Contrariamente a quello che succede a Tokyo, o in qualsiasi città che abbia visitato. Qui le persone non si affannano per tornare a casa o per riparasi. È quasi illusoria la loro calma mentre continuano imperterriti a camminare noncuranti della fitta pioggia che per le strade della città. Tanto che mi domando se non sia solo io a vederla e a sentirla.

Cercavo di distrarmi. Era un tentativo disperato, che rasentava il patetico. Ma da quella immagine di te che baci lui, mia cara, non si scappa. Mi insegue e inevitabilmente mi afferra, costringendomi a riviverla. Vorrei scappare. Vorrei sfogare tutta la rabbia che in questo momento si è sostituita al sangue nelle mie vene. Vorrei tanto non essermi fidato, non aver creduto così in fondo da essere deluso in questo modo.

Ma quel che è fatto è fatto, e anche se ti amo più della mia stessa vita, ancora, nonostante tutto, come un vecchio cane che rimane fedele al suo padrone fino alla morte; anche se sarei pronto a morire anche solo per vederti sorridere, e questo tu lo sai bene, non ti sto dicendo nulla di nuovo; non posso dimenticare. Non posso tornare indietro.

Quindi me ne resto qui, in mezzo alla gente e pure così solo, con solo i miei pensieri a farmi compagnia.

Sento l’acqua bagnarmi i vestiti che umidi aderiscono alla pelle, e i capelli. Lentamente piccole gocce scendono sulle palpebre, proseguendo fino alle guance congestionate dalla rabbia.

Eppure, nel bel mezzo di tutto questo, tra tutte le cose che in pochissimo tempo si sono succedute ad un ritmo sempre più incalzante, un brivido mi attraversa la schiena, come un fulmine che squarcia il cielo. Mi sento vivo. Dopo tre anni, adesso, grazie a l’ira, il mio animo si sia risvegliato dopo un lungo e profondo letargo.

Mi sento ancora quel diciassettenne, quel ragazzo impulsivo e passionale. Disposto a provare solo emozioni forti. Sento nuova linfa animarmi, percorre ogni centimetro del mio corpo. Non mi importa se è odio, è comunque un qualcosa che mi dica che non sono un vegetale, ma vivo e respiro come un essere umano.

Giro i tacchi e comincio a correre. Sento la pioggia andare contro il mio viso provocandomi un lieve non che un piacevole solletico. Mentre dentro di me mi dico e ripeto,per esserne certo, “sono vivo”.

Arrivo in albergo, e raccatto velocemente tutto ciò che mi appartiene da quella stanza. Mentre prendo la maglia dalla poltrona, lo sguardo mi cade su un foglio piegato sul mio comodino.

Lascio tutto ciò che ho in mano e prendo il foglio bianco, un po’ ingiallito dal tempo e mentre lo apro mi siedo sul letto. Rileggo velocemente quelle righe, dolci mandanti di quella missione che ormai volge al termine. Questa lettera mi ha dato la spinta per tirare avanti e a spingermi a venirti a cercare. Ma adesso che le rileggo scopro che oltretutto questo pezzo di carta ha sempre contenuto la risposta che forse prima ero stato troppo cieco per non vedere.

Tutto quello che ho fatto, tutto quello che ho detto, in fondo, non è servito a nulla perché tu non sei la Strawberry che sono venuto a cercare e di cui mi sono innamorato dal primo momento in cui l’ho vista.

Puoi avere i suoi stessi capelli; i suoi stessi occhi; puoi sorridere come fa lei, baciare come bacia lei. Puoi parlare come parla lei, comportarti come lei, portare il suo stesso nome, avere il suo stesso profumo. Ma non sarai mai lei, la timida e innocente ragazza che io amo e amerò finché avrò aria nei polmoni. Sei solo un fantoccio in mano a questa sporca società che ti ha logorato dentro fino ad annientare ogni traccia della tua vera personalità. Sei solo una bambola di cera vuota all’interno che queste persone, quelle che tu chiami amici, che dicono di averti aiutato, hanno plasmato a loro piacimento. Tu non sei Strawberry.

Ripiego accuratamente la lettera come se fosse un cimelio prezioso ed esco da quella camera d’albergo che ormai cominciava a starmi stretta, portandomi dietro la mia valigia. Giunto per strada fermo un taxi e vi salgo a bordo. Il conducente mi chiede la destinazione.

Ho un momento di titubanza.

-         l’aeroporto, per favore- dico infine, con voce fredda, pizzicata leggermente da una punta di rammarico.

Nel momento stesso che pronuncio questa frase una triste nonché del tutto prevista verità si fa largo tra i miei pensieri. Ho fallito.

 

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Capitolo 21
*** 21 ***


Sono tre

 

 

 

 

 

 

21: La Fenice

Sono tre. Tre uomini aventi più o meno la stessa corporatura. Sono qui intorno a me. Su di me. Mi hanno bendata, così da non poterli vedere.

Mi tastano, approfondendo sempre di più ogni singolo tocco. Non oppongo alcuna resistenza, lascio il mio corpo totalmente in balia di quelle avide mani che sembrano trovare di che sfamarsi solo nello sciupare il mio corpo…

Potrei mettere fine a tutto questo. Potrei rivestirmi e scappare da qui. Ma non lo faccio. Rimango tra questi uomini, rimango attanagliata nel buio che mi circonda e che mi impedisce di vedere. A cosa servirebbe scappare? A un bel niente!  Servirebbe solamente ad allungare la mia agonia, rendendola più angusta e raddoppiandone la sua durata.

Sono pronta a sacrificarmi. A immolarmi. Non voglio che altre persone rimangano coinvolte . Ryan deve essere l’ultimo anello della catena. L’ultima vittima.

Dopotutto questa è la vita che ho voluto. Per cui ho lottato. E adesso devo viverla. Anche se non sono Felice. Anche se ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. Anche se non è l’utopia che cercavo…devo stringere i denti e andare avanti. Non dico a testa alta, ma quanto meno arrancare verso la sua fine...

Comincio a piangere. Le mie lacrime vanno a depositarsi sulla benda, formando due chiazze bagnate all’altezza degli occhi. Comincio a singhiozzare, prima piano, quasi impercettibilmente, poi forte, tanto che i tre individui se ne accorgono e si fermano.

Sento i loro occhi puntati addosso, il calore dei loro sguardi che mi osservano.

Uno di loro, con voce tremante e compassionevole, consiglia agli altri di togliermi la benda e farmene andare.  Non so chi sia, eppure sento di essergli grata.

Un’altra voce, poi, molto più altisonante della prima, rompe il silenzio che ha seguito le parole della prima.

-         ma cosa ce ne importa? È solo una puttana!-

Dicendo così mi spalanca con brutalità le gambe e mi penetra. Colpi forti e bruti. Sento la pelle lacerarsi. Poi il buio.

Non ricordo più nulla. Devo aver perso conoscenza. Spalanco impaurita gli occhi. Sono nella stessa camera di motel. Squallida e dall’odore acre di umido.  Non ho più la benda. Ma sono ancora legata per un polso alla sbarra del letto, con la testa all’indietro, ancora completamente nuda.

Con la mano libera, sciolgo dalla presa della corda l’altra mano. Mi alzo e frettolosamente raccolgo i miei vestiti, ed esco finalmente da quell’edificio ancora più ripugnante di quanto me lo ricordassi.

Mi guardo un attimo intorno. Non so da che parte andare. Non conosco questa zona, non ci ero mai venuta prima di oggi. Deve essere in periferia.

Due fari di automobile mi accecano. Stringo forte le palpebre. Quando non avverto più la luce, le riapro. La macchina si è fermata davanti a me. Il finestrino viene abbassato e la testa di Josh spunta dall’oscurità interna della vettura.

Mi sarà venuto a prendere da lavoro.

Mi apre la portella dall’interno ed io entro. Lui mi sorride e subito mi schiocca un bacio sulla guancia. Poi mette una mano sul volante, mentre con l’altra cerca la mia…la trova e incastra le nostre dita come se fossero tasselli complementari di uno stesso puzzle.

Intanto alla radio inizia la riproduzione di una canzone…che magari non c’entra nulla con me e te, con la nostra storia…ma che comunque mi prende, e mi culla dolcemente con le sue noti…tristi e risolute…

 

You took my hand
You showed me how

Cerco di concentrarmi su di te. cerco di dire a me stessa che sono felice così. Cerco di dire a me stessa che ho raggiunto finalmente tutto quello che volevo, anche se non è tutto così perfetto come lo immaginavo…ma dopotutto, cosa lo è in questo mondo?

Mi manca.  La verità, Josh, è che penso continuamente a lui. Penso a quello che sarebbe potuto accadere se avessi scelto lui senza preoccuparmi di quello che avrebbe passato dopo.

Comunque il pensiero di averlo in un certo senso salvato, mi rianima.


You promised me you'd be around
Uh huh
That's right

 

Tre anni fa, mi promettesti di proteggermi. Di vegliare su di me. Certo, non mi trattavi come una principessa, ma con lo scorrere del tempo, ho capito perché.  Forse ero io o forse eri tu, non so. Ma in quei tuoi gesti bruschi, in quelle tue parole prive di qualsiasi, anche più recondita gentilezza, si nascondeva la volontà di non essere così. Lo so. Conosco quel comportamento.  Inizia per caso. E senza neanche accorgerete diventa il tuo modo di essere. È una sorta di provocazione all’incontrario del nostro inconscio. Sorrido. Strano il genere umano, vero?

 

I took your words
And I believed
In everything
You said to me
Yeah huh
That's right

 

Niente è come sembra. E tutto è così come lo si vede. Ogni semplice pensiero, anche il più comune, il più quotidiano, ogni qualvolta chiamato in causa, si divide in numerosi sottomultipli. Tutto dipende dal tuo stato d’animo e dal contesto in cui ti trovi in quel momento.

Prendi me, per esempio. Tre anni fa, anche se ti conoscevo appena e di te sapevo solo che come persona non mi piacevi affatto, ma  pendevo dalle tue labbra. Mi ispiravi sicurezza. Protezione e per qualche strana e recondita ragione ti credevo. Credevo ad ogni tua parola, come una bambina.

If someone said three years from now
You'd be long gone
I'd stand up and punch them up
Cause they're all wrong
I know better
Cause you
said forever
And ever
Who knew

 

Già! Chi poteva sapere che alla fine ci saremmo messi insieme? Chi poteva sapere che sarei stata seduta accanto a te, nella tua auto, mano nella mano e contemporaneamente pensare ad una ragazzo lasciato tre anni fa come semplice amico, ritrovato, emerso dal passato per cercarmi e pazzamente innamorata di lui adesso? Chi poteva saperlo?

Remember when we were such fools
And so convinced and just too cool
Oh no
No no
I wish I could touch you again
I wish I could still call you friend
I'd give anything

 

Si, Josh. È triste ammetterlo, ma è ancora più triste capirlo, leggerlo nel mio cuore nitidamente a caratteri cubitali solo adesso e pentirmi ,come una volta, delle mie azioni. Vorrei poter aver la risolutezza e il coraggio di girarmi e guardandoti negli occhi dirti che amo Ryan.

When someone said count your blessings now
For they're long gone
I guess I just didn't know how
I was all wrong
They knew better
Still you said forever
And ever
Who knew

 

Non mi importa nulla delle persone che dicono che è meglio così. Io so che non è meglio vivere nella menzogna. Essere il fantasma di se stessi e vagare mentendo anche per una sciocchezza. Non voglio. Non voglio ammalami di questo.

Yeah yeah
I'll keep you locked in my head
Until we meet again
Until we
Until we meet again
And I won't forget you my friend
What happened

 

Vorrei poter avere la risolutezza e il coraggio di non entrare in casa tua. Vorrei poter avere la risolutezza e il coraggio di dirti che non voglio fare l’amore con te. Di dirti che, visto che amo il tuo amico d’infanzia, non sarebbe giusto né per te, né per me, farlo.

Ma purtroppo sono un verme. Vigliacca. Sono una sporca carogna. E me ne sto zitta. Mi lascio spogliare. Toccare. Scopare. Senza dire nulla. Senza esprimere neanche un emozione. Vuota. Arida. Piena solo di rimpianto e rancore verso l’esistenza e verso me stessa.

Ormai sono diventata il peggior nemico di me stesso. Anche questo è triste, non trovi?

If someone said three years from now
You'd be long gone

 

Quando ritorno in me tu stai già dormendo. Fuori è buio e stranamente il cielo è sgombro dalle nuvole. Miriadi di stelle e una bellissima luna fanno da padroni di questa splendida notte. Rimango girata verso la finestra ad osservargli. Tutto mi sembra più facile. Più chiaro. Nitido. Sgombro, come il cielo, da impurità.


I'd stand up and punch them out
Cause they're all wrong and
That last kiss

 

Mi alzo dal letto ancora nuda. Vado  in bagno e mi lascio cadere sotto il getto bollente della doccia. L’acqua calda toglie le impurità, diceva mia nonna. Rimango lì per non so quanto tempo. Poi mi siedo vicino allo specchio e come feci la notte prima di incontrare Ryan, spazzolo i capelli. cento colpi di spazzola. Come fanno le principesse nelle favole. Sorrisi al mio riflesso. Finalmente non ne ho più timore. Finalmente non mi faccio più schifo. Adesso sono pulita. Posso ritornare ad essere ciò che ero. Posso ricominciare.

Silenziosamente mi vesto, prendo la borsa e mi dirigo verso la porta. Mi volto per l’ultima volta. Ti guardo illuminato dalla luce della luna. Bello come un dio. Sembri quasi non reale. Una scultura di marmo. Perfetta.

Faccio dietro front e mi avvicino al letto. Con delicatezza mi inginocchio e mi ritrovo a due centimetri dal tuo volto addormentato. Mi chino e ti bacio per l’ultima volta.

Questo resterà per sempre il simbolo della fine di questa vita. Per poi, come le fenici, rinascere dalle proprie ceneri.

 

Continuo a fischiettare il ritornello della canzone che ho ascoltato nell’auto con Josh. E senza accorgermene mi accorgo di essere arrivata a destinazione. Mi fermo e mi siedo. Guardo la moltitudine di gente che va e viene . Un crocevia di vite che senza saperlo si incrociano e si mescolano tra loro.

Affascinata me ne rimango ad osservarle, mentre fuori il sole comincia a sorgere.

 

Il bello della psicologia del genere umano, per quel poco che mi è concesso di sapere e che ho capito durante la mia ancora giovane vita, è che sbaglia innumerevoli volte.

Credo che l’uomo si portato a sbagliare per natura. Diciamo che è il suo istinto primordiale. Ma è ancora più affascinante il modo in cui si rialza dopo essere caduto. Ancora più forte di prima. Nuovo.  O, come me, deciso a riscoprirsi, a ritornare alle origini. 

Prendo la mia valigia e mi dirigo verso il checkin’ del volo diretto Londra- Tokyo.

I'll cherish
Until we meet again
And time makes
It harder
I wish I could remember
But I keep
Your memory
You visit me in my sleep
My darling
Who knew
My darling
My darling
Who knew
My darling
I miss you
My darling
Who knew
Who knew

 

 

Rieccomi! Era da tanto, miei cari, che non scrivevo qualcosa sotto i chap, ma ovviamente non per mia scelta ma per esigenze, se vogliamo chiamarle “ di copione”. Il fatto è che il mio pc era a riparare e per scrivere e postare usavo quello di mio padre. Quest’ultimo mi metteva fretta e quindi ho dovuto rinunciare a interagire con voi magnifici ( ma cosa si è fumata questa oggi Nd Tutti) ( bhè…qualcosina….Nd Baby).

Comunque la canzone è ovviamente la bellissima Who Knew di Pink. Anche se in alcune parti non c’entra nulla con la storia, e lo dice anche Strawberry, secondo è azzeccata per il momento. Dopotutto quante volte si trova per caso la conzone legato del tutto a qualcosa di tuo stando in macchina…a me quasi mai, tranne nei momenti in cui il destino si accanisce particolarmente contro la sottoscritta…ma questa è un’altra storia…

Per farmi perdonare della mia assenza spirituale faccio i ringraziamenti arretrati adesso…dal chap 17 in poi….

 

Hermy6: non so se per colpa mia ho è un tuo problema con il personaggio di Josh, comunque non ho creato questo personaggio per farlo odiarlo, tutt’altro. La storia del ragazzo (Ryan) e  della ragazza ( Strawberry) che vivrebbero felici e contenti se non fosse per il cattivane di turno che vuole lei (appunto Josh), è stata vista e rivista. Infatti ho cercato di fare Josh il più imperfetto possibile, ma anche affascinante. Per cui non è il classico “l’altro “ della situazione…ma è adatto a reggere il confronto con Ryan secondo me…! Spero di averti convinto insomma a rivedere questo personaggio…anche perché personalmente ci tengo molto visto che per crearlo mi sono ispirata ad ragazzo che ha rappresentato molto all’ora e continua a farlo…quindi la cosa è anche personale! Grazie ancora e tantissimi bacioni! P.s. quando continui la tua ficcy…come vedi non me ne sono dimenticata…vedi di provvedere!!! Ciao

 

Pfepfer: va bene che non dovevo…ma suona bene quella rima…e poi mi devi spiegare cosa hai contro quella povera e piccola, indifesa rimetta!!!!!!! Cmq credo che avremo occasione di discuterne…me la segno comunque ( Baby segna il nome di Pfepfy sulla sua lista nera…muaaaaaaaaaaaaaa) byz collega!!!!!

 

Kagome_chan88: anche se in visibile e imperdonabile ritardo…ti volevo ringraziare per le delucidazioni…e grazie per l’interessamento!!!! Continua I’m too sexy mi raccomando…!!!! Ciao e anche a te un kiss!!!

 

luchia nanami: mi sorprendi!!! Riesci a farmi sempre delle recensioni azzeccate…diciamo incisive spendendo tre parole…io invece dilago…alcune volte vado fuori come un balcone ( battutaccia Nd Tutti…baby va a fare cerchietti nell’angolino)!!! Comunque sempre grazie!!!! Un solutone!!!!

 

In conclusione ringrazio ovviamente, come è di rito, anche tutti quei cattivoni che leggono e non recensiscono anche se in pratica faccio anche io parte del loro club visto che certe volte leggo, apprezzo e non recensisco per problemi di tempo….!!!! Grazie anche a voi ovviamente !!!!! grazie a tutti!!!!

Continuate a seguire le mie gesta!!!!!!

Sempre vostra Baby Dark  ( mi piace da morire questo carattere!!!!!! Nd Baby…tutti con la gocciolina….)

 

 

 

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