Redenzione

di masterteo89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Fantasmi nella nebbia ***
Capitolo 3: *** Il pericolo giunge dal cielo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4- Cala la notte, cresce la tensione: la verità si avvicina ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Oscurità e sangue, l'altra faccia del terrore ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - La memoria di Archibald Livingstone ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Erebo e Moros, inferno in terra e ineluttabile fato. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Highway to hell ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Redenzione Dopo tanto tempo torno a scrivere e mi imbarco in un'impresa che temo sia superiore alle mie capacità ma...tentiamo. Questo è un crossover tra Elfen Lied e Silent Hill, figurante LucyXOC. Però alcuni avvisi:
1- A parte l'introduzione la parte riguardante Elfen Lied arriverà più tardi, non subito.
2- Da bravo fan di Silent Hill 1,2,3, Origins e film metterò dentro vari elementi di questi giochi e film senza creare però un pentolone privo di senso. Promesso.
3- Il mostro che ho creato in questo capitolo ha un particolare "preso in prestito" ad un famoso mostro di Silent Hill 2...di che mostro parlo? Felicità e figli maschi al primo che indovina! (C'è già il capitolo serio, fatemi scherzare almeno qui suvvia)

4- Mi piacerebbe ricevere qualche commento per capire se la storia interessa o se necessita di alcune dritte...

CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE

Buio. Il locale asettico e spartano era immerso nella più totale oscurità, nascondendo in una fitta penombra gli orrori e le atrocità che nel corso degli anni avevano sconvolto quella fredda stanza.

A intermittenza baluginavano fioche le luci prodotte da schermi e circuiti elettrici posti contro le pareti metalliche lievemente arrugginite, lievi bagliori irregolari prodotti da scariche di tensioni dovuti a regolazioni di differenze di potenziali elettrici.

Eppure, i banchi di lavoro parevano abbandonati; i raccoglitori erano sparsi alla rinfusa sulle superfici lisce e regolari dei tavolati, i fogli e le cartelle poste alla rinfusa sul pavimento impolverato, sulle sedie decrepite.

Pareva un luogo abbandonato, privo di alcun calore umano e tenuto lontano dal cuore e dagli occhi degli esseri viventi...eppure...le apparecchiature funzionavano in maniera efficiente.

Macchinari oliati e meticolosamente controllati in maniera giornaliera, a stridere con lo stato di incuria generale della sala.

Pareva quasi vi fosse rinchiuso il diavolo in carne ed ossa e  le uniche presenze umane che frequentavano tale loco si affrettavano a svolgere il loro compito per poi ritirarsi celermente verso porti sicuri.

E in effetti non avevano tutti i torti, poichè la stanza puzzava di morte.

Morte e paura, mista a incontenibile rabbia e tristezza impregnavano l'aria, generando un atmosfera pesante ed estremamente inospitale verso chiunque osasse penetrare quel luogo lontano da Dio e dalla sua immensa misericordia.

Ma quale poteva mai esserne la causa?
La risposta a tale quesito stava immobile al centro della sala, confinata in una gabbia circolare di 2 metri di raggio e legata saldamente su un lungo tavolo operatorio macchiato di sangue e chissà quali altre innominabili sostanze.

La figura pareva umana, o per essere precisi era una ragazza molto graziosa, dai lineamenti gentili e delicati che non dimostrava più di vent'anni di vita.
Eppure, c'era qualcosa che strideva nell'immagine plausibilmente inoffensiva ed erotica di quella ragazza bellissima e nuda.

Perchè era legata? Perchè si trovava imprigionata in una gabbia? Perchè i pochi ricercatori che si avventuravano in quel locale che poteva ora delinearsi come un laboratorio evitavano di guardarla, anche solo di sfuggita? Perchè il suo viso era celato allo sguardo, intrappolato in un casco grigio di freddo metallo con solamente alcuni fori per permetterle di osservare la sua triste prigione e respirare l'aria stagnante e viziata?

Poteva solo roteare il capo, ma l'odio presente nei suoi occhi era palpabile e furiere di sventure.
Era una promessa di morte verso chiunque avesse l'ardire di sostenerlo.

Quella sera il laboratorio era deserto e le telecamere di sorveglianza apparentemente spente, poichè il ronzare sommesso che normalmente producevano era cessato da diversi minuti.

Il silenzio tombale, teso come una corda di violino, era rotto solamente dagli occasionali rantoli e ringhi rochi prodotti dalla ragazza, la voce della rabbia e della sofferenza di un animale ferito e impotente.

Tuttavia, quella sera la situazione era diversa, qualcosa era cambiato...poteva avvertirlo, poteva presagirlo.
C'era qualcosa nell'aria, odore intenso di cenere e zolfo, misto all'aroma metallico del sangue umano. Di conseguenza la ragazza si concesse un sorriso crudele, privo di alcuna allegria e simile quasi ad un ghigno bestiale.

La puzza di sangue implicava uno spargimento di esso e dunque qualche umano aveva sofferto e non sarebbe riuscito a vivere per vedere l'alba dal domani, e tale pensiero era dolce alla sua povera mente abusata.

Non aveva dimenticato gli esperimenti atroci che era stata costretta a sopportare, l'umiliazione costante di crescere nel disprezzo senza neppure ricevere il lusso dei vestiti o di un nome; era trattata come un animale, nuda come la natura l'aveva creata e spogliata della sua identità.

Le avevano dato un nome, ma non era il suo, era un nome imposto come ogni singolo aspetto della sua esistenza.

E per tale ragione lei gli odiava, tutti...dal primo all'ultimo.

Tale era la rabbia e l'umiliazione che li avrebbe dilaniati a morsi, e anche così il suo cuore non si sarebbe placato.
Ma era risaputo che gli umani disprezzavano l'ignoto; e invece di tentare di comprenderlo essi prima lo studiavano poi lo distruggevano, senza pietà alcuna.

E oramai lei non aveva più lacrime da versare, poichè il cuore si era adombrato e indurito, preda del suo stesso dolore e bramoso della vendetta che la sua gente reclamava, che lei a gran voce nell'intimo reclamava.     
Trascorsero lentamente i minuti, un attesa lunga e snervante ma alla quale oramai vi era abituata, poichè tale era la sua vita.

Un'eterna attesa tra un doloroso esperimento e l'altro, finchè non venisse sopressa o finchè non perisse di morte naturale.

Senza la possibilità di vedere il mondo esterno...cosa non avrebbe dato per vedere ancora una volta il colore del cielo.

 All'improvviso il silenzio venne rotto da due semplici parole, proferite con una tale pacatezza da sembrare quasi irreale.

-Ciao Lucy.-

La ragazza, sentendo pronunciare il suo nome da quell'intruso, roteò lentamente il capo in direzione della voce, scorgendo la figura di una bambina spasmodicamente aggrappata con entrambe le mani alla rete metallica della gabbia che le impediva di fuggire da quelle odiose quattro mura.

Ora, fosse stata un'altra persona avrebbe notato con sconcerto che qualcosa non andava. Cosa ci faceva in quel posto una bambina?

Ma soprattutto, come vi era arrivata?
Tuttavia non le interessava la risposta, poichè era un'umana e di conseguenza una creatura odiosa votata solamente a farla soffrire.

Uomini o donne erano tutti uguali, poichè tutti sorridevano o ridevano apertamente mentre lei gemeva, schernendola.

-Chi sei piccola? Non riesco a vederti bene, avvicinati. Non voglio farti del male, lo prometto.- Domandò con falsa dolcezza, approfittando del fatto che il casco impediva a chiunque di scorgere il suo volto e le emozioni che lo plasmavano.

Si rendeva conto però che avrebbe avuto più fortuna se l'interlocutore fosse stato un uomo.

Era evidentemente cresciuta e, anche se non era mai riuscita ad osservare il suo corpo a causa dei lacci che la tenevano salda al letto operatorio, si rendeva conto dalle reazioni dei ricercatori che doveva essere ciò che un maschio definirebbe attraente. Non che lei potesse giudicarlo, era stata rinchiusa in quel luogo da quando aveva circa sei anni.

Però i maschi erano irrazionali a volte e lei aveva smembrato con discreto entusiasmo alcune di quelle...bestie che momentaneamente si erano dimenticate della sua pericolosità.
I lati positivi di un corpo attraente...le menti deboli facilmente si piegano.

-So chi sei Lucy- Continuò la bambina imperturbata; indossava un vestito viola e pressapoco dimostrava otto anni ma l'espressione del viso era matura, sembrava recare con sè anni di esperienze e vicissitudini. Non che si riuscisse bene a scorgere il volto, giacchè era coperto da una lunga chioma di capelli corvini scomposti.

Ma c'era pure dell'altro, un qualcosa che strideva.
L'istinto le diceva di fuggire da quella bambina ma la ragione scartava tale ipotesi irrazionale...era solo una piccola, insignificante umana giusto?

 -Lucy, ti senti sola vero? Vorresti punire gli umani che ti hanno rinchiusa in questa umiliante gabbia? Vorresti...vendicarti forse?-

Suadenti le sue parole, discorsi non adatti ad una bambina di quell'età che accentuavano ulteriormente il disagio di Lucy.

La ragazza ascoltò in perfetto silenzio e ponderò dentro di sè la situazione. Pensava di essere lei la predatrice, di aver trovato un nuovo giocattolo con cui lenire la sua ira...invece ora non capive bene cosa avesse di fronte a sè.

 -E come potrei? Non posso muovermi, non posso liberarmi. Sono in balia di quelle bestie sanguinarie e crudeli. Non c'è speranza per me, solo sofferenza.- Replicò aspra la ragazza, distogliendo lo sguardo verso il soffitto.

-Io posso aiutarti. Vuoi vendicarti di queste persone vero? Posso sciogliere le odiose catene che ti relegano in questo luogo, posso soddisfare la tua sete di sangue. Ma c'è un prezzo da pagare.-

Scandì bene le ultime parole, sorridendo enigmatica.
Esitando, Lucy chiese

-Chi sei veramente?-

-Ho molti nomi, ma considerami un angelo vendicatore, sceso sulla Terra per punire i malvagi. Il sangue laverà il sangue, e scorrendo a fiumi corromperà gli animi dei deboli e di coloro i quali sono facilmente manipolabili.-

-Non sono mai stata religiosa. Dio è per gli uomini, non per i diclonius.-

-Forse, ma il demonio invece ascolta tutti, umani e...diclonius? Tale è il nome dato alla vostra razza?- Affermò la bambina con un ghigno sinistro, attendendo pazientemente la risposta della ragazza.

Lucy tornò ad osservare la bambina, ma stavolta lo sguardo era un misto di brama e diffidenza. Gli occhi le brillavano in maniera selvaggia, lo sguardo di un predatore.

-Qual'è il prezzo da pagare?-

-L'eternità a Silent Hill, la città eterna della divina giustizia. Il limbo dove i peccatori scontano per sempre i loro peccati. Finiresti lì ugualmente, poichè sei stata molto molto cattiva. L'unica attenuante è che il tuo cuore è puro, è il mondo ad averti resa malvagia. Ti offro solo la possibilità di sfogare un'ultima volta la tua rabbia verso coloro i quali ti hanno reso la vita un inferno.-

-Mi stai dicendo che morirò?- Chiese mesta.

-No, ma sarai mia ospite forzata per l'eterntà poichè a prescindere dai motivi una vita recisa è una vita recisa. E tu ne hai recise molte, temo.-

Trascorsero diversi minuti durante i quali regnò il silenzio più assoluto, poi Lucy senza esitazione disse -Vendetta senza timore di morte...accetto.- E la sua risata echeggiò a lungo nella stanza, risata crudele che preannunciava sofferenze ma soprattutto agognata vendetta.

E quella notte fu ricordata a lungo, poichè molte persone perirono in circostanze tanto incredibili quanto sconcertanti.

Il giorno successivo i muri dell'istituto erano lordi di sangue e resti umani, ma di Lucy e della bambina nessuna traccia.

Diversi mesi dopo...

-Ma cosa...?- Mormorò perplesso David Livingstone socchiudendo gli occhi a fatica, si sentiva estremamente debole e gli girava la testa.

Supino, tastò con una mano la superficie su cui era adagiato, riconoscendo il tessuto semplice e soffice delle coperte di un letto.

Voltò debolmente il capo a destra e a sinistra, osservando la stanza immersa nella penombra con sguardo critico.

La luce entrava in quella stanza accogliente da una semplice finestra, ma era difficile scorgere il paesaggio perchè una nebbiolina aleggiava all'esterno, rendendo i contorni degli oggetti estremamente lattiginosi. Quella che cadeva...era neve? Strano, perchè pareva più cinerea di colore rispetto al classico candore dei fiocchi...ma non era quello il principale problema al momento.

Lentamente, si alzò dal letto sorreggendosi su gambe intorpidite e malferme. Era un ragazzo di ventidue anni, alto 1 e 90 per un fisico asciutto e discretamente muscoloso. Capelli castano scuri si abbinavano ad occhi intelligenti e riflessivi verde smeraldo, con una punta di bruno sui bordi dell'iride. I lineamenti del volto erano vagamente affilati, conferendogli un aria seria e severa nonostante di carattere fosse si riflessivo ma gioviale e affabile.
David si guardò lentamente intorno, prendendo nota del luogo in cui si trovava: il suo sguardo colse un semplice televisore impolverato, un tavolino posto di fronte alla finestra ed un ampio armadio a muro.

-Dove mi trovo?-

Domandò a bassa voce, quasi i muri potessero ascoltarlo e fornirgli risposta ai suoi interrogativi. Ricordava che stava tornando a casa dall'università, poi...buio totale.

Era stato forse rapito? Il timore lo colse, ma il dubbio svanì all'istante poichè nessun rapitore sarebbe stato tanto stupido da lasciarlo slegato in una stanza.

Inoltre, poteva notare un telefono sul tavolo nei pressi della finestra.

Un rapitore ovviamente non lascerebbe un telefono a disposizione della sua vittima, nevvero?

Prese in mano la cornetta e la portò all'orecchio, ma dal suono dovette constatare con una smorfia che la linea era assente.

Fu in quel momento che, osservando fuori dalla finestra, gli parve di scorgere una figura trascinarsi lungo il vialetto esterno alla camera per scomparire in breve inghiottito dalla nebbia.

-Ma chi può essere...? Non ci capisco più nulla...chi era quello?-

La curiosità ebbe la meglio sul buonsenso e deciso si diresse verso la porta, aprendola senza degnare di uno sguardo le carte appese ad essa.

L'aria gelida dell'esterno lo colse impreparato e David si ritrovò a battere i denti dal freddo, ma facendosi forza avanzò deciso nella direzione in cui l'ombra si era allontanata, passando di fianco nel suo passaggio ad altre porte recanti ognuno un numerino in ottone. Nel complesso, doveva trovarsi in un motel o qualcosa di simile.

Il vialetto era ricoperto di mattonelle di un rosso vivo, graffiate in alcuni punti ma nel complesso parevano essere state installate di recente; a destra si trovavano le altre stanze mentre a sinistra le mattonelle terminavano in un giardino ghiaioso i cui limiti si perdevano tra le spire interminabili di quella fitta nebbia.

-Inquietante- Pensò con un certo timore dentro di sè -Non riuscire a scorgere i limiti di un luogo...mi pare di essere nudo, in balia di chiunque in un mare infinito. E questa sensazione spiacevole...qualcuno mi osserva?- Si voltò repentino alle sue spalle ma non scorse nulla, solo nebbia.
Si rilassò, esalando un respiro di sollievo.
Thump. Thump.
Tonfi attutiti persi nella nebbia dinanzi a sè, probabilmente prodotti dalla figura che stava cercando di raggiungere.

Fu allora che commise l'imperdonabile errore: dimentico di essere solo in un luogo sconosciuto e possibilmente ostile rese nota la sua posizione prima ancora di accertarsi se il potenziale interlocutore fosse un amico o un potenziale malvivente.

Con voce chiara disse -C'è nessuno?-

Thump. Thump.
La sua voce lentamente si perse tra la nebbia e l'unico suono presente fu il tonfo tranquillo dei passi in lontananza...
Thump.
David notò con un certo sollievo che i passi si erano arrestati, forse finalmente era stato udito.
Thu-thump. Thu-thump.
Il senso di sollievo lasciò improvvisamente il posto ad un groppo in gola.

Quei passi...quel suono...non erano normali!

-Sembra lo strascicare degli ubriachi...ma molto più rapido, quasi...smanioso di raggiungerlo?-

Thu-thump. Thu-thump.
David si ritrovò ad arretrare lentamente, un brivido freddo lungo la schiena tremante.
Thu-thump. Thu-thump.
I passi, aquisivano sempre più forza e vigore...quasi tentassero di tramutarsi in corsa ma senza riuscirci.
E finalmente la vide: dapprima una sagoma lattignosa che dondolava da un lato all'altro del vialetto, poi i contorni si fecero sempre più nitidi.

Non dondolava, erano le gambe che piegate alle ginocchia in un angolazione innaturale gli impedivano di procedere con sicurezza secondo una traiettoria rettilinea, e di conseguenza sbandava leggermente di lato.

Poi udi il rumore, un basso gorgoglio che a tratti si trasformava in un ringhio ferale...

Infine la sagoma divenne distinta...e David si accorse in quel preciso momento il motivo per cui non bisogna inseguire le ombre.

Di fronte a lui avanzava quella che era solo una caricatura crudele e distorta di un essere umano: il corpo era pieno di tagli e cicatrici e in alcuni punti la pelle mancava totalmente, mettendo in mostra muscoli sfilacciati e ossa ingiallite e malate. Il braccio sinistro era muscoloso e terminava in una mano provvista di unghie che parevan quasi artigli: lunghi e robustri stridevano contro la parete esterna delle camere mentre la creatura avanzava; l'arto destro invece terminava in un lungo tentacolo irto di spine rigirato tutto intorno al braccio, quasi fosse una serpe. Ma ciò che più lo scosse fu il capo: non aveva occhi quella creatura ed il naso sembrava essere stato tranciato di netto, il sangue colava lento ma costante sulla bocca irta di zanne che rabbiosamente si apriva e si chiudeva quasi stesse pregustandosi già il banchetto.

Avanzava in maniera convulsa, irregolare, sembrava spinto da un istinto bestiale e da pura forza di volonta!

 David riuscì a riscuotersi dal terrore giusto il tempo necessario per evitare che il lungo tentacolo gli si  avviluppasse intorno alla gamba, ghermendolo e trascinandolo verso morte certa.

Colpì il pavimento invece e scheggie di mattonelle volarono in ogni direzione, graffiando in maniera superficiale la gamba del ragazzo che però non parve rendersene conto.

In preda al panico corse nella direzione in cui era venuto, accompagnato dal ringhio lamentoso della creatura alle sue spalle che aveva incominciato ad inseguirlo con rinnovato vigore.

David non potè fare altro che barricarsi nella camera in cui si era destato in precedenza, sperando in cuor suo di aver depistato il mostro che, seppur micidiale, era innegabilmente lento.

L'attesa parve protrarsi all'infinito poichè nei momenti di panico il tempo sembra sempre scorrere più lentamente del normale.

Solo, accucciato dietro alla porta, tirò un respiro di sollievo non appena udì i passi della creatura superare la sua posizione e perdersi in lontananza.

Era salvo per il momento, ma per quanto ancora poteva dirsi al sicuro?

Si sentiva male, voleva piangere per la frustrazione ma non poteva...aveva capito che in ogni istante rischiava la propria vita.

Quante creature simili vagavano tra la nebbia?
Rialzandosi, ancora scosso, prestò maggiore attenzione ai fogli appesi alla porta d'ingresso.

-Riverside Motel...ecco dove mi trovo. In una cittadina chiamata Silent Hill. Questa mappa potrà tornarmi utile.-

Sussurrò strappandola dalla porta, poi voltandosi verso l'interno della stanza mormorò -Devo andarmene da qui...ma prima, vediamo se posso trovare qualcosa di utile in questa stanza.-

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Capitolo 2
*** Fantasmi nella nebbia ***


Fantasmi nella nebbia Angolo dell'autore

-Eccomi qui con il nuovo capitolo di questa storia, vi sono mancato vero?-
...il vento ululando sommesso nella sala deserta fornisce una chiara ed esauriente risposta...
-Non si può avere tutto dalla vita presumo. Dunque muri prestatemi orecchio, or vi narrerò il proseguo della storia.-

Capitolo 2- Fantasmi nella nebbia

Seduto sul bordo del letto David lanciava occhiate preoccupate verso l'esterno del locale: la sua fervida immaginazione continuava a creare innumerevoli abomini in agguato nella nebbia, bestie simili a quella che solo alcuni istanti prima aveva attentato alla sua vita.

Si dice che i mostri non esistono, giacchè sono solo la prole di una mente inquieta in balia dei timori primordiali: solitudine, buio, rabbia...tutte sensazioni che irrimediabilmente sfociano nella paura e si manifestano sotto forma di nemesi tangibili.

"I mostri sono veri" Pensò rattristato il giovane, strofinandosi meccanicamente le braccia nel tentativo di placare il terrore che gli gelava le membra "Sono veri...scivolano nella nebbia. Tanto effimeri quanto assetati di sangue...ma dove sono capitato..."

E mentre rifletteva con gli occhi sbarrati su questi tristi pensieri, gelido terrore scivolava nelle sue ossa. Raggelava il sangue, si imponeva minacciando di annientare la ragione sostituendola con cupo panico.

E, incurante dei tumulti interiori del ragazzo, la cenere silenziosa continuava a fioccare su quel mondo fuligginoso e spento. La nebbia ora assumeva un carattere minaccioso, poichè il suo aleggiare pacifico celava in realtà orrori banditi dal mondo nei più profondi recessi dell'inferno.

Spire biancastre e lattiginose lambivano i muri del motel e le colonne del vialetto esterno, sbiancavano le mattonelle ed i grani di ghiaia del giardino conferendo loro contorni sbiaditi e irreali.

Era un ambiente inospitale e inquietante poichè mancava di calore umano, sembrava un grande affresco dipinto con colori spenti e freddi, crudi e minacciosi.

Ma David non poteva permettersi il lusso di tergiversare. Ogni istante che trascorreva aumentava la possibilità che "quello" lo trovasse.

"E se non si trattasse di un singolo? E se l'ignoto celasse altri orrori innominabili? Ciononostante la paura uccide la mente, non posso permettermi di cedere al panico o non riuscirò neppure a mettere un piede fuori da questa stanza. E allora sarà come attendere la morte...e io non voglio morire..."

Ricacciando con estrema forza di volontà le lacrime che minacciavano di solcare il suo viso cereo, David si rizzò lentamente e prese a guardarsi intorno in cerca di qualcosa che potesse tornargli utile.

Ma, notò con estremo fastidio, la stanza era tanto pulita e ordinata quanto priva di ogni articolo superfluo. Non poteva certo avventurarsi nella jungla armato di un telefono fisso!

Sopra al letto era appesa una graziosa cornice raffigurante una composizione floreale, nulla di utile ma se l'occasione fosse stata differente il ragazzo si sarebbe soffermato ad osservarla meglio poichè meritava veramente.

Invece, lo sguardo sorvolò il locale con una profonda delusione per poi posarsi sulla porta del bagno. Valeva la pena andare a darci un'occhiata.

Dentro, le piastrelle di ceramica della semplice doccia brillavano dolcemente alla fioca luce della lampada elettrica appesa alla parete, quasi ignare degli orrori che strisciavano all'esterno.

Non vi era nulla di nota nel piccolo locale, un wc ed un lavandino scheggiato con alcuni tubetti di prodotti cosmetici offerti gentilmente dalla direzione del motel.

David soffocò una risatina beffarda alla vista di tutto ciò. "Quanto vorrei telefonare alla direzione... ottima sistemazione, soprassedendo ai vicini molesti e famelici"

Uno specchio era appeso sopra al lavandino e rifletteva nella scarsa luce della stanza l'immagine sfocata di un ragazzo pallido come la morte, con lo sguardo triste e deciso di chi possiede la consapevolezza di essere in una pessima situazione ma rifiuta di arrendersi fino all'ultimo. Ed era vero, David avrebbe lottato con tutte le sue forze per sopravvivere all'incubo nel quale era stato suo malgrado catapultato.

E mentre rimuginava su queste cose improvvisamente lo specchio esplose, lanciando per il bagno frammenti di vetro affilati come rasoi che per estrema fortuna non incontrarono il giovane nella loro traiettoria, risparmiandolo così da morte certa.

David, dal canto suo, non potè far altro che portarsi freneticamente le braccia al viso nel tentativo estremo di proteggersi dalle scheggie, reprimendo a stento un urlo di terrore per l'evento inaspettato.

Quando il clamore di vetri infranti cessò, lasciando il posto al consueto silenzio di tomba che pareva caratterizzare questa strana realtà, il ragazzo abbassò lentamente le braccia.

Voltandosi vide che il bagno, in precedenza pulito e ordinato, aveva subito un radicale mutamento: vetri erano sparsi alla rinfusa sul pavimento mentre, con estremo orrore del ragazzo, dal bocchettone della doccia aveva iniziato a fuoriuscire un liquido denso e verdastro dall'odore nauseabondo.

Avvicinandosi cautamente David storsè il naso e, non riuscendo a reggere oltre la vista di quell'immagine inquietante e disgustosa, uscì in fretta dal bagno chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandosi pesantemente ad essa.

Splosh.
Squish. Squish.

-
Ma cosa...? Cosa stà succedendo in bagno?-

Dal locale dal quale era appena uscito provenivano rumori strani, sembrava quasi che un corpo di consistenza melmosa tentasse di muoversi e prendere forma e...cos'erano quei bassi gorgoglii?

Gli rammentavano i goffi tentativi di quand'era piccolo chee, immerso nella piscina comunale, tentava invano di parlare con la bocca piena d'acqua.

I rumori...lenti ma costanti si stavano avvicinando alla porta.

Senza pensare, spinto puramente dall'adrenalina, David corse ad afferrare l'unica sedia presente nella stanza e la pose con il bordo giusto sotto la maniglia della porta del bagno bloccando così la serratura.

David arretrò di alcuni passi, osservando trepidante lo sviluppo degli eventi mentre il rumore di passi melmosi e bagnati arrivava sempre più vicino per poi arrestarsi repentinamente.

Il ragazzo fissò intensamente la maniglia della porta, ma per alcuni interminabili istanti non accadde nulla. Solo il respiro gorgogliante e pesante della cosa nel bagno poteva essere udito e l'attesa era decisamente snervante.

Infine, lentamente la maniglia si abbassò...bloccandosì però non appena incontrò l'ostacolo rappresentato dalla sedia.

Lentamente, la maniglia tornò in posizione per abbassarsi nuovamente. Ma la cosa doveva essersi resa conto della futilità della sua azione poichè senza alcun preavviso il movimento si fece più rapido e smanioso, mentre l'intera serratura tremava violentemente con violenza sempre maggiore.

Quella cosa sapeva che David si trovava dall'altro lato della porta! Lo sapeva...e lo desiderava, bramava il suo sangue caldo e la sua carne fresca...non accettava che un semplice ostacolo lo separasse dalla preda...

Ma fu quando l'intera porta incominciò a tremare, scossa da colpi frenetici e rabbiosi accompagnati da gorgoglii lunghi e colmi di furia primordiale, che David si decise a fuggire.

Come temeva, anche la stanza che aveva eletto a santuario non era più un rifugio sicuro...e non voleva scoprire cosa si nascondesse nel bagno.

Eppure, quale certezza lo attendeva oltre quelle quattro mura? Quali orrori l'attendevano la fuori?

 Ma se esitava...presto sarebbe stata la cosa a trovarlo, poichè la porta non avrebbe retto a lungo.

"Una cosa alla volta. Ora devo allontanarmi da quella porta perchè se il pericolo all'esterno è ignoto, qui è certo." Pensò mentre usciva con cautela dalla camera del motel; e fu in quel momento che si insinuò in lui la consapevolezza di essersi addentrato nuovamente nella bocca dell'inferno.

Estrasse da una tasca dei Jeans la mappa che aveva strappato in precedenza dalla superficie lignea della porta spessa e robusta della camera; la pianta dell'edificio era abbozzata e a malapena comprensibile ma si sarebbe adeguato alla situazione. Bisognava fare di necessità virtù...

-Ecco qua...voi siete qui- Mormorò, leggendo ad alta voce l'indicazioni scritte. Stando alla cartina, David si trovava nell'area settentrionale del Riverside Motel e la stanza dalla quale era appena uscito era la numero 105.

-Dannazione- Mormorò a denti stretti, compiendo un rapido calcolo mentale. La creatura che si aggirava nella nebbia era giunta da destra, la direzione in cui stando alle indicazioni della mappa doveva trovarsi la reception e quindi la via d'uscita da quella prigione infernale.

"A destra la via più breve, ma era anche il luogo in cui si stava dirigendo il mostro...e se altre creature avessero seguito il suo esempio? Sono disarmato e non conosco la zona, se mi trovano dubito di poter contare ancora sulla fortuna. Però dopo aver depistato la creatura, questa si era diretta verso sinistra. Cosa faccio?"

E mentre ponderava attentamente la scelta da compiere voltava il capo da una parte all'altra del giardino, prendendo nota di ciò che poteva scorgere tra la nebbia e aiutandosi mentalmente con la mappa appena consultata.

Il motel era un grosso complesso costruito su due piani e recintato da spessi fili di ferro che non solo rendevano difficile scavalcarli, ma probabilmente al contatto producevano pure un frastuono poco consigliato nella circostanza in cui il ragazzo si trovava. Due grossi edifici verniciati di un bianco spento e opaco ospitavano le camere degli ospiti più i locali vari della manutenzione e della ricreazione dei dipendenti, mentre un edificio decisamente più minuto costituiva la reception ed era nei pressi dell'unico cancello pedonale di uscita del motel. Queste palazzine erano suddivise da recinti e cancellate in sei zone differenti, ognuna comprendente un giardino che si affacciava su un vario numero di camere diverse.

"Ma è un motel o un labirinto? Se uno pernotta nella zona meridionale, supponendo di entrare dal cancello per le auto posto all'estremo nord del motel, deve superare due cancelli con la macchina per poi scendere a piedi e superarne un terzo di larghezza sufficiente a concedere il passaggio solo ai pedoni! L'architetto deve essere stato decisamente un tipo eccentrico...e se la situazione non fosse estremamente seria penserei quasi di essere entrato in un videogioco."

Poteva scavalcare i fili ed uscire dal motel nella maniera in apparenza più facile, ma poi? Avrebbe fatto rumore, allertando quelle cose...quei fantasmi nascosti nella nebbia; e mentre lui non conosceva il terreno in cui si trovava probabilmente il discorso non valeva per quei mostri.

Addentrarsi a casaccio nel loro terreno di caccia poteva comportare spiacevoli conseguenze.

"Un motel deve essere vicino o annesso ad una cittadina, probabilmente questa fantomatica Silent Hill riportata sulla cartina. Se riuscissi a raggiungere la reception riuscirei a trovare qualche depliant turistico della città e di conseguenza una mappa. E se sono fortunato, qualche sopravvissuto che mi possa spiegare come sono finito in questo luogo e cosa diavolo è capitato."

Con la coda dell'occhio vide in lontananza alla sua destra un'ombra muoversi, o meglio errare senza meta nella nebbia. Non si avvicinava, ma neppure si allontanava, si manteneva giusto quel che bastava per permettere a David di scorgerne appena i lineamenti sfocati.

Ironia della sorte! Sembrava che l'edificio stesso avesse scelto per lui l'itinerario più sicuro da seguire...anche se la parola sicurezza strideva con l'entità stessa di quel luogo.

Si trovava nell'area settentrionale: a est il giardino sarebbe terminato bruscamente con l'edificio della reception, ma l'unico ingresso da quel lato era una porticina che nel caso fosse stata chiusa avrebbe segnato il suo destino.
Allo stesso modo, poco più a sud di quella porta il giardino terminava con il tratto di recinzione che separava questa zona dalla parte centrale. Ma proseguire in quella direzione era troppo pericoloso, considerando l'ombra in agguato. Inoltre al pensiero di entrare nella zona centrale, la quale ospitava il tratto di giardino più ampio, si sentiva spiacevolmente esposto.

Meglio scivolare lungo i bordi, sperando di passare inosservato finchè non fosse riuscito a trovare un qualcosa per difendersi in maniera efficace. Doveva sopravvivere, e poteva contare solo sulla prontezza del suo corpo e sulla lucidità della sua mente accorta.

E così si avviò alla sua sinistra, tentando di attutire il suono dei suoi passi sulle mattonelle e prestando orecchio ad ogni suono che potesse tradire la presenza di qualche creatura.

Lui ovviamente avrebbe tentato di evitare ogni rumore poichè palesarsi all'ignoto significava invitare i mostri al banchetto e apparentemente David era la portata principale.

Dopo diversi metri il muro terminò in una staccionata bassa di legno che dava su un cancello di ferro lavorato...divelto. Una delle due parti era piegata verso l'interno, squarciata orribilmente come se un corpo contundente l'avesse colpita ripetutamente senza pietà. La serratura era ovviamente distrutta e non offrì alcuna resistenza quando il ragazzo fece per varcare la porta.

Cigolando, il cancelletto venne richiuso alle sue spalle e il giovane si concesse un breve istante per guardarsi attorno:  contro un muro stavano diversi cassonetti pieni di immondizia e sacchi neri colmi di rifiuti maleodoranti, dal lato opposto i fili di ferro della recinzione esterna parevano sfidare minacciosamente il ragazzo a superarli.

Dinanzi a sè una porta di ferro massiccia, ma ciò che sconcertò David fu che tanto la porta quanto la ghiaia intorno erano lordi di sangue rappreso. Il giovane si sentì un groppo in gola e la consapevolezza di stare per entrare nel locale adibito a cucina della tavola calda del motel non contribuiva ad alleviare la propria tensione. Doveva ammettere tuttavia che quel complesso era fornito di qualsiasi genere di confort e servizio; persino un ristorante vero e proprio ed un locale lavanderia!

Se fuori c'era tutto quel sangue dentro cosa avrebbe trovato? Mucchi di cadaveri in decomposizione? Oppure qualche mostro ripugnante?

Non poteva attendere oltre, il precedente cigolio del cancello poteva aver attirato qualche creatura e David oramai sapeva che, per quanto lente, quelle cose erano forti e tenaci. Qualcosa sarebbe giunto, attirato dal rumore...ci avrebbe messo il suo tempo ma l'avrebbe fatto. Ne era terribilmente certo.

-Sembra che qualsiasi azione io compia non mi lasci mai la possibilità di tornare sui miei passi...posso solo andare avanti- Constatò con un sospiro prima di varcare la porta della cucina.

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-..-.-.-.-.-.-.-.-

Buio...non ha mai fine questa oscurità.
E queste cose...le ho viste divorare gli umani, le ho viste dilaniare le carni...
ma allora... perchè non mi attaccano?
Sono anch'io un mostro ai loro occhi?
Ah...fa male...questa rabbia, tanta impotenza...
perchè qualunque cosa io faccia sono sempre sola?
Feccia...loro la colpa...
umani...ucciderli tutti...
no...perchè penso queste cose?!
Creature inferiori...estirpare la macchia dal creato...
qualcuno mi aiuti...

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
 
La cucina pareva l'interno di un mattatoio; chiazze di sangue erano presenti in ogni angolo del pavimento sporco e un'odore dolciastro, di marcio, aleggiava nell'aria.

Al centro un grande piano metallico ospitava friggitrici arrugginite, cappe d'areazione e fornelli vari, oltre che stranamente numerosi bossoli vuoti di fucile.

Gli stessi bossoli che potevano essere rinvenuti lungo tutto il pavimento, quasi fosse avvenuta in precedenza una sparatoria.

Lunghi banconi erano posti contro le pareti; sopra ad  essi giacevano alla rinfusa pentole, pentolini, mestoli, padelle...persino resti marci di ortaggi e cibarie assortite.

Nel complesso, salvo il disordine e l'estrema sporcizia, non era nulla di speciale; una normalissima cucina da ristorante attrezzata per cucinare velocemente il giusto numero di manicaretti riducendo al minimo i tempi di attesa.

Però non riusciva a comprendere ciò che era accaduto: cos'era successo per giustificare la presenza di tutti quei bossoli? Senza contare le macchie di sangue, silenti testimoni del massacro avvenuto.

Mentre avanzava si concedeva il tempo necessario per frugare tra i cassetti e le cianfrusaglie, alla ricerca di qualcosa che potesse fargli comodo per il futuro. La calma non poteva regnare in eterno.

E fu allora che la vide, nascosta dietro i resti di un cavolfiore giaceva una mannaia da macellaio, non molto lunga ma affilata al punto giusto.

Afferrandola, la agitò un paio di volte nell'aria, soppesandola e valutandone l'efficienza. Era un pò scomoda e non molto maneggevole, ma almeno aveva qualcosa con cui difendersi.

Un colpo diretto con quell'utensile poteva risultare fatale...ma sfortunatamente richiedeva di avvicinarsi pericolosamente al potenziale avversario. Dunque, meglio usarla solo se non si possedevano alternative.

Non poteva correre rischi inutili, se veniva ferito diventava una preda facile...e loro erano molti, potevano permettersi qualche perdita.

Mentre considerava tale questione scorse con la coda dell'occhio una figura gettata di lato sul pavimento vicino alla porta d'uscita della cucina, e il cuore gli si strinse nel petto dal timore reverenziale.

Crivellato di colpi, il petto squarciato in più punti, giaceva una figura maschile enorme...pareva quasi un'uomo di due metri d'altezza. Estremamente muscoloso, era completamente lordo di sangue.

Ma non poteva essere considerato umano, poichè aveva un qualcosa di irreale, David non riusciva bene a esprimere ciò che provava al momento.

Il volto era sfigurato, coperto a metà da una maschera di metallo. La causa del decesso era dubbia, poichè non solo fori di proiettili ricoprivano il suo corpo: un'immensa mannaia infatti era immersa a fondo nel suo petto.

-Santo iddio...- Mormorò David portando una mano alla bocca, reprimendo a stento i conati di vomito generati da una simile scena macabra.

Scrollando il capo, si diresse verso la porta. Non aveva tempo da perdere a considerare ogni stranezza che gli veniva offerta da questo posto surreale.

Una cosa era certa però...si trovava in un incubo dal quale non poteva svegliarsi.

Sospirando, attraversò il resto del locale immerso nella penombra, portandosi nei pressi della porta comunicante con il ristorante.

Sulla maniglia della porta era appeso un foglietto sbrindellato e macchiato di sangue, incollato con un giro di nastro adesivo.

Staccandolo, David lo portò all'altezza degli occhi e prese a leggere:

" Chi cerca trova.
Il macellaio ha trovato, ma troppo ha osato.
Tu cosa cerchi?
Lui attende...forse ha le risposte. Perchè non lo raggiungi?
Reception...luce e ombra...
Di numero 500 fa la stanza...
ti reclama a gran voce...perchè non ti sei ancora laureato?"

Alla vista di quelle parole un brivido freddo gli corse lungo la schiena. Quell'ultima frase...
"Tu...non sarai mica tu? No, non è possibile...sei morto due anni fa!"
Ancora una volta, nuove domande sorgevano ma le risposte erano ben lungi dall'essere ricavate.

 Angolo dell'autore


Allora, come vi è sembrato il nuovo capitolo? Per il prossimo dovrete aspettare qualche giorno temo. Ma l'attesa verrà ripagata, spero.
Mi impegno sempre a scrivere un buon capitolo, ma la qualità è quella che è e naturalmente l'argomento può non interessare.
Però, a scrivere mi diverto e questa storia è una piacevole esperienza.
Commentate mi raccomando, se avete qualche domanda o qualche consiglio da farmi non esitate.
Le recensioni sono sempre accette, anzi, mi rallegrerebbero perchè mi aiuterebbero a capire il gradimento della storia.
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Il pericolo giunge dal cielo ***


Il pericolo giunge dal cielo Eccoci finalmente al terzo capitolo, non stavate più nella pelle nevvero?
8 visite al primo capitolo e 2 al secondo, o poca gente legge le storie riguardanti Silent Hill o la mia storia deve essere di una mirabile bruttezza ahahah cough cough.

Prima di incominciare, comprendo che la descrizione del motel può sembrare un pò confusionaria ma... se avete giocato a Silent Hill Origins non potete biasimarmi, anche nel gioco è un labirinto di camere e giardini!
Ah, quanto tempo ci persi scorrazzando da una zona all'altra senza capire dove andare...
Bando alle ciancie, se vi interessa mandatemi un messaggio e vi posto il link della mappa del motel.
E adesso...torniamo a torturare David Livingstone!  (quanto mi piace il cognome Livingstone...)

Capitolo 3 - Il pericolo giunge dal cielo

Infilando il foglietto consunto nella tasca dei jeans, David socchiuse cautamente la robusta porta che collegava la cucina con il locale pubblico della tavola calda.

Tenendo la mannaia alta dinanzi a sè, pronta a calare con violenza al minimo segnale di pericolo, penetrò lentamente nel locale. Discrezione era la chiave per sopravvivere in tale luogo, di ciò oramai ne era completamente certo.

Non aveva scordato il cadavere crivellato di proiettili di quel gigante ed in cuor suo si riteneva estremamente fortunato.

I mostri incontrati in precedenza erano estremamente pericolosi, ma tuttavia stupidi e lenti. Cosa sarebbe accaduto se si fosse trovato dinanzi un simile colosso?

Forse la mente lo traeva in inganno, comprensibilmente suggestionata dalle fattezze antropomorfe di tale creatura, ma esisteva la seria possibilità che intelligenza permeasse quelle membra.

David comprendeva le implicazioni di tale considerazione: quanto pericolosa poteva essere una mente tanto malvagia e distorta quanto sottile e accorta?

Nascondersi poteva servire a depistare i normali fantasmi della nebbia, ma un predatore intelligente poteva leggere oltre gli inganni della preda e colpire implacabile.

E come poteva difendersi David? Aveva solo una mannaia pesante e poco maneggevole, inadatta a combattere...non che facesse una qualche differenza.

Il giovane non aveva mai avuto la necessità di difendersi in vita sua poichè conduceva una vita completamente normale e pacifica, come poteva comprendere anche i semplici fondamenti dell'autodifesa?

E mentre avanzava nel locale un singolo pensiero gli solcava la mente: " Come si suol dire, gettati a capofitto nelle gelide acque: annega o impara a nuotare"

E non aveva altre alternative, poichè il libero arbitrio gli era stato chiaramente negato. Sopravvivere o perire, un concetto tanto semplice quanto turpe.

La tavola calda era un piccolo locale luminoso ed accogliente; strideva con l'alone di gelida ostilità che permeava ogni altro angolo del motel.

Alcuni tavoli erano posti nelle vicinanze delle pareti, circondati da graziosi divanetti e sedie imbottite ma leggermente ingiallite.

Saliere e contenitori per il pepe erano posti con estrema meticolosità al centro delle superfici lignee, e piatti di ceramica risplendevano alla luce delle lampade elettriche.

David non credeva ai suoi occhi, c'era persino un Jukebox dal quale usciva una bassa melodia country... pareva quasi di essere tornati a casa.

Era una piacevole boccata d'aria fresca, anche se il ragazzo sapeva di non potersi permettere il lusso di abbassare la guardia.

Sulla destra l'angolo bar faceva capolino con un lungo bancone e ripiani colmi di bottiglie dai più svariati colori di succhi di frutta, sciroppi e liquori.

La porta d'uscita era lì nei pressi, ma al momento David era più interessato alla figura massiccia del Jukebox che in qualche maniera sconosciuta pareva imporsi nella sala.

Eppure non vi era nulla di insolito, e questo il giovane potè constatarlo piegandosi leggermente verso di esso e picchiettando più volte sulla superficie metallica.

Sospirò e scrollò il capo, sconsolato. Si stava comportando in maniera irrazionale.

Una risatina graziosa e argentina lo fece riscuotere all'improvviso da quei pensieri; voltandosi repentino vide l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettato di scorgere in quell'inferno.

Seduta comodamente su di uno sgabello, il gomito appoggiato distrattamente sul bancone, stava una giovane ragazza che non pareva dimostrare molti anni di differenza da quelli del ragazzo.

Indossava un lungo abito da sera rosso acceso e portava un paio di orecchini che brillavano fiocamente nella luce del locale. Pareva stesse per dirigersi ad un party di classe, a giudicare dall'eleganza degli abiti che indossava.

Anche l'atteggiamento era ricercato, aggraziato. Il viso era curato e leggermente affilato, naso piccolo e occhi di una gradevole sfumatura azzurra. Per finire, una lunga chioma di capelli biondi le arrivava fino alle spalle.

Notando di avere l'attenzione del ragazzo, la giovane sorrise affabile, facendogli cenno di avvicinarsi con la mano graziosa e minuta.

Sorridendo a sua volta David si divesse verso il bancone, fermandosi a pochi passi dalla donna.

- Ciao. Non mi aspettavo di trovare un'altra persona in questo loco- Disse osservandola in volto, rapito dalla profondità dei suoi occhi azzurri.

- Mi hai rubato le parole di bocca. Sono Livia, Livia Hart. Piacere di fare la tua conoscenza.- Rispose, portando con una punta di timidezza le braccia al grembo, riservata.

- David Livingstone, il piacere è mio.-

-E dimmi, David, è tua abitudine aggirarti per i locali con una mannaia in mano? Se non sapessi che tu sei un cuoco mi preoccuperei...ma tu lavori quà, nevvero?- Terminò, con una punta di incertezza nella voce.

Tanto graziosa e delicata quanto dolce e timida. Come poteva sopravvivere un simile fiore in un luogo del genere, dove la violenza imperversava in ogni angolo?

Misurando accuratamente le parole disse - Non lavoro qui. Mi sono svegliato alcune ore fa in una camera di questo motel...ma non sò come ci sono arrivato. Francamente, sono ancora molto confuso.-

La ragazza parve riflettere su queste parole, poi cauta disse -Non mi sembri un pazzo o un malvivente, lo leggo nel tuo sguardo. Sei troppo dolce e ingenuo perchè tali turpi pensieri possano albergare nelle tue membra.-

Alla parola "ingenuo" David socchiuse le palpebre, punto sul vivo, ma la ragazza parve non accorgersene e proseguì -Io non posso soddisfare la tua sete di conoscenza, temo. Non ho le risposte che cerchi. Mi sono destata alcuni giorni fa in una delle camere del secondo piano e da allora ho vagato inutilmente per il motel, cercando a mio volta di comprendere dove sia mai capitata. Il mio povero marito...il mio povero figlio...chissà come sentiranno la mia mancanza.-

Si asciugò una lacrima che silenziosa aveva cominciato a solcarle la guancia come conseguenza della dolorosa reminiscenza. Sembrava così fragile...David fin dal primo sguardo aveva provato l'impulso irrazionale di proteggerla, quasi temesse che anche un semplice filo d'aria potesse portarla via. Sentimento forse accentuato dal fisico della ragazza, esile e snello. Se si fosse alzata in piedi lo avrebbe probabilmente superato in altezza.

-Ma sei pazza?- Esclamò concitato David prima di mormorare una scusa ed abbassare lo sguardo, imbarazzato. - Quelle creature...quei fantasmi. Non li hai incontrati? Non è un luogo sicuro!-

A queste parole Livia lo guardò preoccupata -Non sò di che cosa tu stia parlando. Mostri? Ho visto solo tanta nebbia...in verità questo perenne silenzio tombale mi spaventa. C'è qualcosa che bussa alle porte della mia mente, ma quando sono sul punto di afferrarlo esso mi sfugge. Che io abbia subito uno shock? Forse sono stata rapita...magari tale è il motivo per cui non mi ricordo più come ho fatto a giungere qui.-

-Considerazione alla quale ero giunto pure io, prima di incontrare la fauna locale. Hai detto di esserti svegliata in una camera al secondo piano...non è possibile che qualcuno abbia lasciato un indizio o qualcosa di simile? Sembrerò sciocco a dire queste cose, ma è innegabile il fatto che qualcuno dovrà pur averci trasportato in questo inferno. Non siamo certo giunti di nostra spontanea volontà. Magari ha lasciato qualche tuo oggetto personale?-

-Non ho controllato, ma non voglio tornare in quella stanza. L'ho chiusa a chiave perchè mi terrorizzava. Così tanta nebbia oltre la finestra...e strane sagome. Devo avere le allucinazioni... Ma se è ciò che desideri, soddisferò la tua curiosità. Prendi.-

E lentamente dischiuse una mano mostrando nel palmo una piccola chiave di metallo, incrostata a tratti di ruggine.

Porse l'oggetto a David che senza indugio lo ripose accuratamente in una tasca dei suoi pantaloni, assumendo un'aria corrucciata.

Strano, pareva evidentemente sollevata ora che si era liberata di quel fardello. Ma che pericolo poteva rappresentare un'innocua chiave?

Infine parve prendere una decisione. Con tono pacato e gentile disse -Livia, nonostante le tue precedenti parole probabilmente penserai a me come ad un pazzo. E chi può darti torto? Sono uno sconosciuto, spaventato e armato con una mannaia da macellaio. Almeno fossi squilibrato! Se tutto ciò che stiamo vivendo fosse frutto della mia mente malata sarebbe una consolazione, ma temo che la realtà sia ben diversa.-

Esalò un lungo sospiro, serrando le palpebre quasi non avesse il coraggio di guardare la ragazza negli occhi. -Ho una richiesta da farti.-

Livia, che fino a quel momento era rimasta perfettamente in silenzio, decise di dare voce ai suoi pensieri. Poggiando una mano sul braccio di David disse -Non nutro alcun dubbio sulla tua sanità mentale. Sei solo un ragazzo spaventato, anche se ignoro ciò che ti abbia terrorizzato in tale maniera. Dimmi pure, non esitare.-

-Ti ringrazio per la comprensione, ma lo dirò solamente una volta poichè non si presenterà una seconda occasione. Per favore, non avventurarti più all'esterno. Qui sei al sicuro, forse. Aspettami e poi andremo via insieme da questo posto maledetto.- 

Detto ciò, si avviò verso la porta senza aggiungere altro, recando sul viso un sorriso amaro. Consapevole dello sguardo ansioso e angosciato della ragazza solo la pura forza di volontà lo trattenne dal gettarsi tra le sue braccia.

Non voleva fare altro che affondare il capo nella seta del suo vestito, confortandola e nel contempo cercando il conforto che tanto desiderava. Ma non c'è pace per i maledetti.

E mentre si richiudeva la porta alle spalle, gettato nuovamente in quell'ambiente nebbioso e inospitale, solo un pensiero gli solcava la mente. "Fa che non ti accada nulla mentre sono via... E soprattutto, se tardo a tornare scappa. Trova il coraggio e fuggi da questo luogo infernale. Dio ha distolto lo sguardo, possiamo contare solo su noi stessi."

Appoggiandosi pesantemente contro la superficie spigolosa della porta desiderava ardentemente di sbagliarsi, lo desiderava davvero. Ma sapeva che non era vero.

Dio li aveva abbandonati.

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Angolo autore

Hart è il cognome di...
-Non ci interessa Autore-san!- Urlò David, intento a giocare a poker con Alessa
Sono il tuo creatore, devi portarmi rispetto.
-Nè! Autore-san! Io sarò importante nella storia?- Domandò una saltellante Livia, correndo a caso per la sala.
San? Non è mica un cartone giapponese...
-Oh castite lilium...-
Lucy non mi pare il caso di canticchiare in latino, l'angolo degli emo è di là.
E mentre la suddetta ragazza si allontana mesta mesta arriva un tizio in bermuda e sombrero
-Lento lento, lemme lemme se ne va a Gerusalemme il fachiro Casimiro che ipnotizza la città! Tumbala tumbalatumballà!!!-
Via tu, non siamo in spiaggia. (Eco di gabbiani e tizi cocco-bello)
Stavo tentando di dire, prima che così rudemente mi si interrompesse...
-ALESSA TU PARTORIRAI DIO!!- Gridò Dalia Gillespie spuntando dalla finestra.
(fuggi fuggi generale, Alessa in particolare si lancia dal balcone. Rimane solo l'autore attonito con i fogli in mano e Lucy a dondolarsi sconsolata in un angolo, un pollice in bocca.)
Ci rinuncio...
-Perchè? A me interessa- Affermò Dalia con un sorriso da ebete
Sparisci...
-Kyrie, ignis divine, eleison...-
Anche tu Lucy...

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Era mattino? Pomeriggio? Forse sera? Chi poteva dirlo, in quel luogo si perdeva inevitabilmente la cognizione del tempo.

"Ho fame" Pensò con vago dispiacere, conscio di essersi appena lasciato alle spalle una bellissima tavola calda. Sembrava essersi scordato che il poco cibo presente era per lo più ammuffito o andato a male. 

Presto o tardi avrebbe dovuto cercare qualcosa da mangiare, e probabilmente pure dell'acqua potabile.

E restando in tema d'acqua, cos'era che gorgogliava in lontananza? Non sapeva dirlo, poichè la bruma rendeva impossibile approssimare le distanze tra gli oggetti.

Gettò una lunga occhiata dinanzi a sè, prendendo nota di quel poco che si presentava ai suoi occhi: stando alla mappa si trovava nel tratto di giardino più esteso, e difatti la superficie ghiaiosa indistinta si estendeva fino a sparire inghiottita nella nebbia, senza alcun limite o confine.

Il silenzio era totale, l'aria pesante e carica di oscuri presagi; David in quell'immensità si sentiva incredibilmente piccolo e insignificante.

Thump. Thump.

David si irrigidì all'istante, deglutendo di riflesso. Non osò muoversi, timoroso di svelare la propria presenza alla creatura celata nella nebbia. Non era più solo.

Fece guizzare lo sguardo intorno a sè, tentando di individuare la sorgente di quel tonfo leggero e strascicato, rumore terribilmente noto al ragazzo.

Non aveva scordato il terrore provocato da quella creatura, nè il lungo tentacolo irto di spine che per poco non si era avviluppato intorno alla sua gamba.

Un turpe abbraccio che lo avrebbe condotto alla morte. E nella mente già vedeva cosa il futuro aveva in serbo per lui, riusciva ad immaginarselo.

La creatura sarebbe sbucata dalla nebbia, il lungo tentacolo gli avrebbe afferrato la gamba senza esitazione, affondando le spine nella sua carne.

E mentre David si dibatteva futilmente, il tentacolo l'avrebbe trascinato vicino alla creatura, finchè questa non si fosse chinata sulla sua preda, azzannandola alla gola senza esitazione.

Avrebbe assaporato il suo dolce sangue, l'avrebbe dilaniato, l'avrebbe mutilato. E poi...avrebbe atteso la sua prossima vittima.

Questo il futuro che l'attendeva se si lasciava prendere dal panico. Doveva ragionare. Sapeva solamente, grazie alla cartina, che a destra ed a sinistra nei pressi di alcune camere si ergevano gli scalini che conducevano al corridoio aperto del secondo piano, la sua meta.

Alzando lo sguardo David poteva notare i tratti sfocati della ringhiera del corridoio del secondo piano, e di conseguenza poteva farsi un'idea del percorso da intraprendere.

Thump. Thump.

A sinistra, una figura si stava lentamente appropinquando. "Tombola" Rimuginò il ragazzo, scivolando dalla parte opposta.

Mentre si muoveva riusciva a distinguere i bordi di una piscina, leggermente macchiati di quello che pareva essere sangue. Ma poteva sbagliarsi, la nebbia non permetteva di scorgere bene i dettagli.

La creatura procedeva senza mutare il passo, dunque non lo aveva scorto oppure non lo reputava abbastanza interessante da meritare di inseguirlo.

Ma sembrava seguire le orme dei suoi passi...le orme... orripilato David abbassò lo sguardo e vide che i suoi sospetti erano fondati.

Il sottile strato di cenere che fioccava costantemente dal cielo lasciava tracce ben visibili delle suole delle scarpe del ragazzo.

Possibile che stia seguendo le mie orme? Sarà veramente così intelligente?

Non rimaneva che una cosa da fare, anche se rischiosa: cancellare le sue tracce, e sapeva bene come fare. Se correva al secondo piano la bestia lo avrebbe seguito e il corridoio pareva stretto.

Ergo, se là in alto era presente un altro mostro David si sarebbe trovato stretto tra due fuochi, in trappola e spacciato.

"La piscina!" Pensò con un lampo di comprensione. Serrando la mascella, si diresse verso l'acqua compiendo un grande arco nel tentativo di non essere scorto da quella cosa.

Era un rischio calcolato, ma rischio rimaneva: se nel giardino era presente una seconda creatura allora era spacciato.

Thump. Thump.

Non mollava, come un segugio lo tallonava implacabile e deciso.

Giunto nei pressi della piscina sentì le proprie speranze risollevarsi dal baratro dell'incertezza. Era di modeste dimensioni e pareva profonda; l'acqua gorgogliava placidamente e alghe galleggiavano a tratti lungo la superficie.

Non doveva essere stata pulita di recente, considerando pure le macchie di sangue che incrostavano i bordi. Represse un brivido; non voleva pensare a cosa mai potesse nascondere quella superficie apparentemente calma e innocua.

Ma alla luce di tali considerazioni, conveniva disturbare le acque? Un brivido freddo gli corse lungo la schiena.

Thump. Thu-thump.
Thu-thump. Thu-thump.

Agghiacciato, colse all'istante il mutamento repentino dei passi della creatura. Ora erano smaniosi, febbrili...aveva raggiunto una decisione ed era a caccia.

Non poteva perdere altro tempo. "Dio, se esisti fa che non spunti qualcosa dall'acqua ad afferrarmi e gettarmi nelle sue profondità melmose" Supplicò dentro di sè.

Chinandosi, prese l'acqua a grosse manciate, gettandola ad arco dietro di sè, in modo da rendere indistinguibili le sue impronte in un certo raggio.

Compì un lavoro approssimato, ma aveva solo pochi istanti poichè se la creatura l'avesse scorto era inutile tentare di depistarla.

Correndo lungo il bordo della piscina si portò sul lato opposto per poi lanciarsi affannosamente in uno scatto verso la direzione approssimata in cui doveva trovarsi la scala.

Solo quando superò l'ultimo scalino si concesse di tirare il fiato, appoggiandosi stancamente contro la parete delle camere e scivolando lentamente fino a terra.

Portandosi una mano al petto, aspettò che gli si regolarizzasse il respiro, l'adrenalina ancora in circolo nel sangue.

"Morirò d'infarto" Commentò dentro di sè, ma più l'agitazione passava più un senso di euforia lo assaliva: era ancora vivo!

"Che bella la vita...solo quando rischi di perderla impari ad apprezzarla veramente."

In basso, in una direzione indefinita nei pressi del centro del cortile, ringhi rabbiosi e impotenti salivano al cielo. Le urla disperate del predatore che scioccamente si era lasciato sfuggire la preda.

Ciò che David ignorava però, era che non era solo come pensava di essere: sul tetto dell'edificio adiacente due occhi iniettati di sangue e pieni di odio lo stavano fissando intensamente.

-Stanza 212- Sussurrò giocherellando con la chiave affidatagli dalla ragazza, da quella tale Livia. Una ragazza così ammodo, elegante e raffinata...nobile quasi. Di sicuro doveva essere ricca, a giudicare dalla fattezza degli abiti che indossava.

-Forza e coraggio, se restò qua presto o tardi qualcosa mi troverà. Meglio non indugiare oltre-

     

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Capitolo 4
*** Capitolo 4- Cala la notte, cresce la tensione: la verità si avvicina ***


Capitolo 4- Cala la notte, cresce la tensione: la verità si avvicina Ben ritrovati cari lettori affezionati e non a questa modesta storia, priva di pretesa alcuna. Continuano le peripezie del povero David che, fino a questo momento, è riuscito a procurarsi quasi 2-3 infarti. Ma che non gli si dia del codardo...sotto sotto tutti ci comporteremmo nella stessa maniera in tali frangenti. O volete dirmi che se doveste capitare a Silent Hill voi correreste in giro brandendo un fucile e sparando all'impazzata? Nel videogioco si può fare...nella realtà non sopravvivereste neppure per un paio d'ore. Morale: evita il più possibile i guai, dato che a Silent Hill sono loro che costantemente vengono a cercarti.

Capitolo 4- Cala la notte, cresce la tensione: la verità si avvicina

 David aprì cautamente la porta della stanza 212,  preparandosi a calare la mannaia su qualsiasi cosa gli si fosse avventato contro. L'uscio cigolò sommessamente sotto la spinta della mano del giovane ed un silenzio profondo lo accolse, quasi ad invitarlo ad abbracciare la penombra di quella camera spoglia.

Mentre si accingeva ad entrare una forte perplessità permeava il suo animo: quella stanza era tale quale alle altre, dunque che ragione aveva Livia di sentirsi inquieta?

Un urlo straziante lacerò il silenzio, un lontano grido d'agonia di un essere umano che chiedeva al cielo la salvezza che tristemente gli veniva negata.

Probabilmente David non avrebbe mai avuto l'opportunità di incontrare quello sfortunato: la città oramai l'aveva reclamato.

-Livia- Mormorò flebilmente, un nuovo groppo alla gola -Non uscire da sola, rimani nella tavola calda...- E mentre tali pensieri l'assalivano aveva già chiuso la porta alle sue spalle, e nemmeno se ne era avveduto.

"Che idiota" Si maledisse mentalmente "Farsi assalire dalla preoccupazione in un simile momento, quando la morte striscia in ogni angolo. Ora devo pensare a me stesso o rschierò di venir colto di sorpresa. Non voglio condividere la sorte del proprietario di quella voce"

Tutto ruotava intorno ad un unico desiderio, un'unica volontà: non voleva morire...non si meritava di morire...non era giusto morire in questo luogo! Ma era inevitabile.

La giustizia non è mai giusta. Ha mille volti, muta come il vento, sostiene e abbatte con estrema indifferenza, di nulla si cura, niente la turba. La giustizia non evita che il bambino muoia di fame, la giustizia non salva l'innocente ma assolve l'assassino. Esiste un tale valore?

Si, ma sovente è corrotto e distorto. La giustizia del diavolo soverchia sempre quella divina.

La stanza 212 era tale quale alla stnza in cui il giovane si era risvegliato, forse un poco più pulita. Aveva un tocco stranamente femminile, e il vago sentore di profumo di cosmetici si palesava nell'aria stagnante.

La finestra di lato alla porta era socchiusa e spire sottili di nebbia penetravano nel locale, depositandosi in basso a rendere lattiginoso e indistinto il robusto pavimento in legno.

Il letto sfatto era testimonianza della passata presenza di Livia, e alcuni capelli biondi sul cuscino avvaloravano la sua ipotesi.

Accarezzandone uno con il palmo della mano abbozzò un lieve sorriso. Era innamorato? No, però provava un forte desiderio di proteggere quel fragile fiore in balia degli eventi avversi. Sentiva che se Livia dovesse morire, anche una parte di lui sarebbe perita irrimediabilmente.

Sarebbero fuggiti da questo incubo e David l'avrebbe protetta, avrebbe dato la sua vita affinchè quella ragazza potesse salvarsi. Quel tenero virgulto non meritava il Limbo nebbioso.

Attraversando la camera giunse non senza esitazione al bagno; troppo vividi i ricordi degli eventi che avevano portato alla fuga dal suo vecchio rifugio. Chissà se quella cosa si aggirava ancora per i corridoi deserti del motel?

Le piastrelle, immerse nell'oscurità, rendevano impossibile distinguere dove mettesse piede il ragazzo; l'intera sala era composta di sagome scure e indistinte: senza una torcia aggirarsi lì dentro era una perdita di tempo totale.

Mentre tornava indietro qualcosa scricchiolò sotto i suoi piedi, quasi fosse del cartone o della carta stracciata. Chinandosi scoprì che effettivamente un foglietto di carta gli era capitato per puro caso sotto la suola.

Tuttavia non riuscì a distingere ciò che recava scritto, il buio gli negava la possibilità di soddisfare la sua curiosità.

Uscì dunque dal bagno e si appropinquò a rapidi passi alla finestra, tentando di sfruttare la luce tenue proveniente dall'esterno.

Il biglietto, stracciato e ingiallito, conteneva un messaggio tanto conciso quanto inquietante.

"La curiosità uccide il gatto."

Ma il giovane non ebbe il tempo di riflettere sul significato del messaggio poichè repentinamente una sagoma indistinta proveniente dall'esterno si gettò come un proiettile contro il ragazzo, gracchiando selvaggiamente e sfondando la finestra in un'esplosione di vetri e schegge di legno vecchio.

David venne gettato sul letto mentre la mannaia cadeva con fragore sul pavimento, ma non c'era tempo di pensare a quello poichè la bestia gli era addosso.

Un enorme creatura alata era sopra di lui, pareva quasi un avvoltoio scuoiato vivo: sangue e pus colavano senza tregua sul letto e sul ragazzo, fluidi immondi scivolovano lungo i muscoli scoperti dela bestia.

Gli artigli acuminati erano puntati sul letto, intenti a stracciare rabbiosamente tutto ciò che capitava loro a tiro; il muso invece era puntato sul ragazzo.

Occhi colmi d'odio e furia bestiale, lo sguardo maniacale di un mostro assetato di sangue. Nulla lo avrebbe fermato, mai avrebbe desistito dal divorare la sua preda.

Gracchiando selvaggiamente tentò di affondare il rostro sul viso di David, e fu solo grazie alla prontezza di riflessi ed al freddo ragionamento che il peggio venne evitato.

Supponendo infatti che il volatile avrebbe mirato agli occhi David spostò il capo di lato, lasciando che la bestia affondasse il muso nel letto.

Nello stesso istante raccolse le gambe e con tutta la forza donatagli dall'adrenalina e dalla disperazione scalciò violentemente contro il ventre della creatura, facendola ruzzolare oltre il bordo del letto.

Non vi era tempo di pensare, doveva agire affidandosi all'istinto.

Si fiondò oltre il capo opposto del letto e raccolse la mannaia dal pavimento; non appena "l'avvoltoio" fece capolino oltre il bordo del letto, ripresosi evidentemente dalla caduta, il giovane vibrò un affondo diretto contro il muso dell'avversario.  

Il cranio della creaturà scricchiolò sinistramente mentre la mannaia vi affondava implacabile, sfondando il cranio e abbeverandosi del sangue scuro e immondo del fantasma della nebbia.

Con un ultimo grido straziante la bestia colpì violentemente il giovane con un'ala muscolosa, mandandolo a sbattere contro la parete opposta della camera.

Battendo violentemente il capo, l'oscurità inizio a farsi strada negli angoli più remoti del ragazzo, imponendo l'oblio dell'incoscienza che ogni preoccupazione e dolore cancella.

Ma prima di svenire il giovane fece in tempo a vedere la figura agonizzante della bestia che si accasciava sul letto pesantemente, e a quella vista il suo cuore si rallegrò.

Non si sarebbe più rialzata.

Con quell'ultimo pensiero l'odiosa oscurità lo avvolse e privo di qualsiasi controllo motorio si accasciò stancamente sul pavimento.

...Infine giunse il nulla.

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L'angolo dei mostri, perchè noi tutti li adoriamo!
-Autore-san, ma tu hai una mente abbastanza contorta lo sai?- Commentò Livia con la vocina tremula
-Concordo.- Si aggiunse cupa Lucy, un'espressione minacciosa sul volto -Ne ho abbastanza di psicopatici-
-Ma no, se ti riferisci a Dalia è solo...diversa.- Abbozzò David, sfogliando una rivista d'enigmistica.
-L'avvento di Dio è alle porte! Ahahahahahah il paradiso è ormai prossimo, e lui ci salverà!- Gridò in risposta Dalia, tentando di avvicinarsi ad Alessa mentre quest'ultima la teneva disperatamente a bada con una scopa.
Non andiamo fuori tema, dobbiamo discutere dei mostri di questa storia.
L'aria nell'intero locale si raggelò, e tutti gli occhi (tranne quelli di Dalia, la quale stava sbavando e gridando -Il paradiso arriverà e tutti moriranno!!! ahahahahah) si puntarono sulla figura di Lucy che lentamente si alzò in piedi.
Il viso nascosto dai lunghi capelli rosa, a bassa voce mormorò -E così anche tu mi consideri un mostro-
Ma no! Si tratta di un equivoco!
-Voi umani siete tutti uguali. Condannate ciò che non riuscite a comprendere.- Continuò minacciosa, avvicinandosi all'autore.
Aspetta!
-Zitto. Ora muori.-
SPLAT
...
...
...
Tutti (tranne Dalia) : -Lucy! Hai ucciso Autore-san!-
...
-Succede. Qualcosa in contrario?-
E tutti prontamente chiusero la bocca e distolsero lo sguardo.

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Era passata un ora? Qualche minuto? Al ragazzo non era dato saperlo.

Aprì lentamente gli occhi, portando una mano a massaggiarsi il capo. Aveva la vista leggermente sfocata e un vago senso di nausea, ma presto sarebbe cessato tutto.

Probabilmente erano le conseguenze dell'impatto.

-Che botta...- Mormorò, portandosi la mano dinanzi al viso. Sangue.

-Sangue? Devo aver preso un bel colpo allora...la curiosità uccide veramente il gatto.-

Alzandosi faticosamente in piedi lanciò un'occhiata al cadavere della creatura che l'aveva assalito e, osservandolo meglio, notò un bigliettino ingiallito e sporco di sangue che spuntava dal suo becco. David a quella vista non sapeva in cuor suo se doveva essere disgustato o se fosse più opportuno mettersi a ridere.

Era tutto così macabramente ilare...

"Perchè perdi tempo?
 Così finirai ammazzato.
Ti aspetta, perchè farlo attendere?
Non importa, vai alla tavola calda, ho lasciato un regalo.
Quante preoccupazioni, perchè l'hai deluso?
Così difficile trovare una ragazza?"

Ancora questi messaggi sibillini a tormentarlo, David non ne poteva più.

Ma una frase l'aveva lasciato raggelato: "Non importa, vai alla tavola calda, ho lasciato un regalo.".

-Livia!- Esclamò precipitandosi fuori dalla camera, abbandonando la mannaia nella fretta di giungere al ristorante.

"Se le è accaduto qualcosa non me lo perdonerò mai! Sono stato uno stupido! Non dovevo lascarla sola!"

Aprendo la porta del locale si avventò all'interno quasi avesse il diavolo in corpo, e constatò che le sue più grandi paure erano fondate: Livia era scomparsa.

Solo una cosa gli impedì di cadere nella più cupa disperazione: la presenza di alcuni oggetti sul bancone che fino a poco tempo prima non c'erano mai stati.

Il primo era un biglietto, scritto in caratteri ricercati e eleganti:

"David, ho paura...ho tanta paura. Suoni dalla cucina, ringhi bestiali che non avevo mai udito prima d'ora in vita mia.
E da dietro al bancone, gorgoglii inquietanti.
Dalle poltrone, da dietro il jukebox...le ombre si muovono irrequiete.
Mi sento spiata, mi sento osservata.
Volevo aspettarti ma temo per la mia incolumità, ora le tue parole hanno un senso.
Se leggi questo messaggio significa che non ho resistito e non ti ho atteso.
Di ciò mi rammarico profondamente ma...ho tanta paura.
Spero di ritrovarti in futuro e...buona fortuna.
Livia Hart"

David esalò un sospiro di sollievo. Non era morta, ma vagava anche lei per il motel...o forse era riuscita a scappare.

Non poteva fare altro che continuare il suo cammino e sperare di riuscire a rincontrarla presto o tardi.

Il secondo oggetto...era un pacchetto regalo con tanto di fiocco e bigliettino allegato.

Inarcando perplesso la fronte prese a leggere:

"Prima c'era un muro ora c'è un buco.
Non è quello che capita pure alle nostre certezze?
Stanza 500...attende...attento.
Magazzino"

E dentro il pacchetto...una torcia elettrica.

David soffocò un'esclamazione di gioia. -Finalmente non dovrò più aggirarmi a tentoni.-  
Però...doveva usare saggiamente quello strumento, poichè la luce aiuta la vista ma...attira sicuramente anche le creature della nebbia.
Proprio ciò che doveva aspettarsi dal misterioso autore di quei bigliettini...il "regalo" poteva rivelarsi una trappola mortale se usato incautamente.

Prima c'era un muro ora c'è un buco...magazzino. David consultò la mappa del Riverside Motel.

-Se esco dalla tavola calda e attraverso tutto il giardino verso sud trovo la parete che divide l'esterno dal magazzino della sala manutenzione. Che si riferisca a quella zona? Vale la pena andare a controllare...cerchiamo dunque il buco.-

E mentre attraversava il giardino silenzioso e immerso nella nebbia uno strano fenomeno fece la sua comparsa: rapida, senza preavviso alcuno, la tenebra scese sul Motel, avvolgendo ogni cosa nell'oscurità.

Il dilemma era evidente... la visibilità era drasticamente ridotta, le ombre avevano stabilito il loro dominio assoluto.

E se avesse acceso la torcia...sarebbe stato un faro mel mezzo di un mare in tempesta. Avrebbe attirato i mostri come uno specchio per le allodole.

Solo, disarmato e infreddolito, si apprestava a continuare la sua lotta per la sopravvivenza. Ma calate le tenebre, Silent Hill sarebbe diventata un luogo ancor più inquietante.

Ma David non poteva ancora saperlo. Tuttavia, presto se ne sarebbe reso conto...a sue spese.


Angolino dell'autore. In questo periodo sono abbastanza impegnato, quindi temo che per il prossimo capitolo l'attesa potrà dimostrarsi...lunga. Certo, se ricevessi dell'apprezzamento potrei accorciare i tempi. Invero, scrivo la storia poichè mi diverto a scrivere, ma senza nessuna recensione a spronarmi dovrò dare la precedenza agli esami universitari e quant'altro. Mi prenderò il mio tempo, probabilmente.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Oscurità e sangue, l'altra faccia del terrore ***


Capitolo 5 - Oscurità e sangue, l'altra faccia del terrore Eccomi qui con il nuovo capitolo, vi sono mancato vero? (Schiva summa cum gratia il lancio di pomodori della folla) Dicevo, tenendo fede al buon vecchio Silent Hill 1 ho adottato alcuni particolari importanti. Per citare un semplice esempio, le "dimensioni" sono 3, non 2. Dal secondo capitolo della serie esisteva solo la Silent Hill nebbiosa e la realtà alternativa, la rappresentazione degli incubi di Alessa. Ma se ricordate, nel capitolo originale della serie la dimensione nebbiosa prevedeva anche momenti di "notte", in cui pur rimanendo nel mondo nebbioso l'ambiente diventava nel complesso più inquietante e minaccioso. Dunque l'oscurità di cui parlo è questa, NON è la dimensione alternativa. Quella arriverà...

Capitolo 5 - Oscurità e sangue, l'altra faccia del terrore

Buio. Un mare di tenebra aveva ingoiato le sue membra, trasformando i suoi passi in un lento e cieco errare attraverso il giardino innaturale e silenzioso.

L'occasionale scalpiccio sulla ghiaia echeggiava nell'ambiente esterno come un turpe tamburo, imponendo cautela e discrezione; di conseguenza la parete meridionale della palazzina appariva sempre come un vano miraggio agli occhi del ragazzo.

Faro di salvezza o principio della fine? In quell'inferno ogni angolo nascondeva un pericolo, ogni decisione conduceva ad un'amaro bivio che non ammetteva ignoranza alcuna: era una continua lotta per la sopravvivenza ed il fio dello sciocco era morte certa.

David riusciva a scorgere vagamente i contorni distorti della parete della tavola calda; ad essi si riferiva costantemente mentre avanzava poichè in cuor suo intuiva che smarrirsi in quel giardino sarebbe stato il principio della sua disfatta.

"Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la dritta via era smarrita... Dante, non potesti proferire verbo più veritiero! Tanto smarrito è il mio animo in questo incubo quanto la mia strada, ignava la mente vaga tra la dura accettazione di questa cruda realtà e la sua negazione. Posso celare la paura, ma non posso scacciarla.
 Alle porte della ragione bussa, sempre con rinnovato vigore e insistenza."

 Questi i cupi pensieri che assillavano il giovane lungo il suo cammino: tristi compagni di sventura, furieri di sofferenza e paranoia.

E ad ogni passo le spire di nebbia lambivano delicatamente il suo corpo, come le sirene parevano invitarlo ad abbandonarsi a loro per sparire in eterno nella loro depravata perdizione.

Il pensiero in verità aveva già solcato la sua mente: cosa accadeva alle vittime della bruma demoniaca? Erano quelle sfigurate creature forse un pallido simulacro della loro vita terrena?

Erano forse vittime innocienti come lui? Ma soprattutto...rappresentavano l'inenarrabile destino che l'attendeva alla fine di questa maledetta avventura? Non voleva pensarci, non poteva dubitare, non doveva crederci.

Sarebbe sopravvissuto, avrebbe lottato e alla fine sarebbe emerso alla luce. Non è forse vero che dove l'oscurità è più fitta la luce brilla con maggior purezza e intensità? Avrebbe squarciato il velo dell'incubo che lo intrappolava, doveva farlo. L'alternativa era tanto ovvia quanto amara.

In lontananza alcune urla risuonarono stridule nella notte, sovrastate in breve da ruggiti rochi e disumani...vagamente esultanti. David serrò inconsciamente la mascella mentre un'espressione misera e impotente solcò celermente il suo volto: non poteva fare nulla per loro, non si era mai sentito così solo...

Ignorando i rumori distanti della notte e degnando di minima attenzione lo scalpiccio irregolare prodotto dalla creatura che vagava al lato opposto del giardino (era forse il mostro che aveva eluso in precedenza per raggiungere il secondo piano? Il pensiero gli strappò un sorrisetto compiaciuto e divertito), finalmente David scorse dinanzi a sè il profilo lattiginoso del muro meridionale della palazzina.

Sopprimendo a stento il desiderio di accendere la torcia, David fece scivolare lo sguardo lungo la parete, attendendo che lo sguardo si abituasse un poco all'oscurità della notte.

A breve riuscì a distinguere una vasta zona in cui l'oscurità era più rada e chiara, sospetta quasi. E difatti una fenditura si apriva nel muro, il famoso buco citato dal misterioso autore della nota ingiallita.

Evitando calcinacci e detriti vari, utilizzando per un rapido istante la torcia al fine di scongiurare il pericolo di impalarsi il polpaccio contro eventuali travi di ferro sporgenti, David penetrò dentro al locale polveroso del magazzino della sala manutenzione.

Reputando inevitabile l'utilizzo della torcia, osservò il piccolo ambiente che lo circondava alla ricerca di una qualche arma da poter utilizzare in futuro. Se solo non avesse abbandonato la mannaia!

Purtroppo, il magazzino si era rivelato un semplice magazzino, ovvero un luogo pieno di utensili vari e insoliti privi di scopo alcuno per il ragazzo.

Non poteva certo aggirarsi con uno spazzolone pesante e ingombrante; ma il locale all'occorrenza offriva pure veleno per topi ed un set di cacciaviti. Ovviamente tutti ottimi strumenti di manutenzione ma abbastanza carenti in termini di autodifesa contro le creature che infestavano il motel.

Pile di casse lacere e macchiate di sangue erano accatastate alla rinfusa mentre fili elettrici ed utensili vari erano riposti con cura sopra a diversi scaffali posti alle pareti.

Una luce soffusa filtrava da uno spiraglio della vecchia porta di legno marcio, la maniglia d'ottone che macchiata di sangue pendeva semidivelta in una corona di scheggie di legno affilate come rasoi.

Facendo appello al comune buonsenso, al fine di evitare di mutilarsi una mano nell'afferrare quella porta sgangherata, David con l'ausilio del manico della torcia aprì uno spiraglio appena sufficiente a permettergli di passare al locale successivo senza produrre troppo rumore sgradito.

Escludendo il cigolio della porta, la quiete della sala manutenzione era assoluta e pregna di tensione. Era la calma che precede la tempesta, il principio della tela del turpe ragno che in agguato attendeva la preda.

C'era qualcosa nell'aria, era innegabile. Un sentore dolciastro di carne marcia tradiva la presenza di un cadavere o , nel peggiore dei casi, di una di quelle creature della nebbia.

Dei grossi macchinari occupavano i lati dell'ampio locale mentre file di armadietti e tubi di grandi dimensioni attraversavano per il lungo la sala, creando corridoi separati tra loro da un piccolo varco della misura di un paio di uomini. Nel complesso, pareva più un labirinto di corridoietti e generatori elettrici che una sala manutenzioni.

Se il caos presente rifleteva la maniera con la quale gestivano le apparecchiature del motel, c'era da domandarsi quante volte i clienti fossero stati costretti a farsi la doccia con l'acqua fredda o privi di luce alcuna.

Alcuni tavoli di lavoro erano posti nell'angolo occidentale del locale, dove si trovava il ragazzo: sporchi, macchiati d'olio per i macchinari e pieni di cianfrusaglie inutili erano uno spettacolo disdicievole.

Pareva che a marcire fosse lo stesso locale, non il presunto ospite.

David non voleva avventurarsi all'interno della stanza, attraverso quei corridoietti che chissà quali orrori celavano alla vista, dunque tenendosi contro la parete preferì seguire il perimetro della zona, sperando di scorgere presto o tardi una qualche porta d'uscita. Questo locale gli metteva i brividi.

La luce che filtrava attraverso la porta del magazzino si rivelò provenire da una lampada decrepita appesa al soffitto e posta proprio a pochi metri di distanza dal giovane, un'ostacolo inevitabile se voleva proseguire in quella direzione.

La scelta era ardua, ma aveva alternative? No, meglio passare sotto la luce e rischiare di essere avvistati piuttosto che deviare attraverso i corridoietti bui e finire preda di un qualche agguato nell'ombra.

Entrambe le scelte erano svantaggiose, ma bisognava prendere l'alternativa che comportava il male minore. Ecco perchè David affrettò il passo per oltrepassare in fretta e furia il cono sfarfallante di luce, i sensi all'erta ed i muscoli pronti a scattare al primo segno di un qualche pericolo in agguato.

Ora che aveva corso il rischio calcolato doveva affrettarsi a localizzare l'uscita del locale: se qualcuno lo stava osservando nell'ombra ora sapeva dove si trovava, poteva seguirne i movimenti e giocare le sue carte al momento opportuno.

Ovvero, David aveva perso il suo unico vantaggio, la segretezza. La nebbia sapeva, non era più sola. Un umano era tra loro, una preda. Carne fresca e sangue caldo, cibo.

Il giovane non aveva fatto in tempo a portarsi al lato opposto della sala che un brivido gelido gli scese lungo la schiena, cristallizzando la sua paura in mille frammenti di panico.

Gettò un occhiata intimorita verso il cuore della sala, là dove il buio si faceva più fitto e minaccioso.

Li aveva scorti...li aveva scorti! Due pozze di fuoco, inettate di sangue che l'osservavano...

Tic.Tic.
Tic-tic, tic-tic.

Questo rumore...le ombre si muovevano accompagnate da un suono soffocato e distante...il ticchettio di un'orologio? No, era il ticchettio di unghie contro la superficie solida del pavimento, era il suono del predatore che aveva intrapreso la battuta di caccia.

David tenendosi contro la parete affrettò il passo, ma la creatura teneva perfettamente la sua andatura, come un fantasma appariva e scompariva giusto ai lati estremi del campo visivo del ragazzo...in parole povere stava giocando con il cibo.

Saltava sui tubi e sopra agli armadietti, sibilava minacciosamente e batteva a tratti gli artigli con violenza contro la superficie fredda e metallica, facendo stridere lamentosamente il metallo.

Maledicendosi per la sua stupidità, David accese la torcia e consultò la mappa alla ricerca della porta di uscita di quel maledetto locale. Perchè non ci aveva pensato prima?

E fu allora che il cuore gli saltò in gola, mentre freddo panico incominciava a invadergli la mente: la porta si trovava esattamente oltre il labirinto di armadietti in cui si aggirava la creatura che gli stava dando la caccia.

-Mio Dio...per sfuggire alla morte devo gettarmi nel pericolo. La mosca attenderà il ragno o si getterà nella ragnatela? Posso solo contare sulle mie gambe e sui miei riflessi.- Mormorò con un filo di voce, prendendo coraggio dalle sue stesse parole.

Ciò che non proferiva e a cui non voleva pensare era che, nel caso in cui la porta si fosse rivelata chiusa a chiave, per lui sarebbe stata la fine.

Stava per correre alla cieca verso l'ignoto ma la creatura lo precedette: mostrando incredibile agilità saltò alla parete alle spalle del giovane e da qui si avventò contro il ragazzo, scaraventandolo a terra diversi metri più avanti.

David, momentaneamente intontito per l'urto, fece appena in tempo a rotolare sulla sua schiena che la bestia gli fu addosso tentando furiosamente di azzanarlo alla gola.

E il giovane sarebbe stato divorato se per puro riflesso non avesse acceso la torcia elettrica, colpendo la creatura al viso.

L'urto sembrò non sortire alcun effetto ma non appena il fascio di luce colpì la belva questa si ritrasse con un verso stridulo, agitando furiosamente le zampe.

Senza perdere altro tempo David corse attraverso gli spazi tra gli armadietti, verso la porta.

Aveva visto quella creatura e non aveva intenzione di averci nulla a che fare: una chiostra di denti ingialliti e aguzzi su un volto vagamente antropomorfico ma più simile a quello di un ragno: il corpo intero era un ammasso di carne marcia, nera e pelosa con otto lunghe zampe muscolose ognuna terminante in una fila di artigli lunghi e taglienti.

Perchè l'avesse spinto invece di lacerarlo era un mistero; forse voleva semplicemente giocare prima di divorarlo. Ma stava commettendo l'errore di sottovalutare la preda.

Inoltre, temeva la luce e questo forniva David di un grosso vantaggio.

Un lampo di luce, un rapido guizzo di artigli dall'ombra di uno dei corridoietti e per poco David non venne decapitato.

Intorno a lui l'ombra si muoveva; il mostro sfruttava gli spazi tra gli armadietti per sbucare all'improvviso e sferrare attacchi a sorpresa!

Non era stupido, comprendeva che azioni rapide e precise non avrebbero dato il tempo al ragazzo  di usare la torcia. Ma in due potevano giocare a quel gioco.

David prese a scartare tra un anfratto e l'altro tornando a volte pure indietro nel tentativo di eludere le imboscate della creatura tentando nel contempo di avvicinarsi il più possibile all'uscita.

Era una curiosa danza, condotta puramente da adrenalina e riflessi tesi allo spasmo; a parole è assai difficile da spiegare ma basti dire che quel ballo di morte non ammetteva errori.

Quando il giovane fu nelle vicinanze della porta puntò repentinamente la torcia verso la bestia e approfittando della sua temporanea ritirata si avventò sulla porta, aprendola con violenza e richiudendosela alle spalle.

Non passò neppure un secondo che un corpo sbattè violentemente contrò il lato opposto della porta, ringhiando e sibilando furiosamente per il pasto che gli era sfuggito sotto agli occhi.

Scivolando lungo la superficie della porta verso il terreno, David chiuse le palpebre e pensò in cuor suo che mai la notte gli era sembrata tanto gradita e agognata.

Pallida soddisfazione che non appena l'adrenalina avesse abbandonato le sue vene si sarebbe mutata nuovamente in pallido terrore.

La notte si era rivelata ancora più insidiosa in quel luogo maledetto e il futuro appariva incerto e misterioso.
 
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-Autore-saaaaan!- Si lamentò Livia a gran voce, pestando i piedi per terra in maniera non dissimile a una bambinetta di 10 anni. E di età mentale quasi ci si azzeccava.

-Cosa vuoi, Livia.- Sospirò esasperato l'autore, mentre seduto di fronte alla scrivania riordinava con cura le recenti carte.

-Perchè non ci sono più in questo capitolo? Uffa!-

-Me l'hai già chiesto mille volte, e ti ho risposto che sei un personaggio marginale. Anzi, dato che insisti potrei anche farti morire, sola e bistrattata, alla fine della storia.-

E detto ciò la lasciò a bocca aperta, traumatizzata.

Il giorno dopo, David si avvicinò all'autore e chiese -Autore-san, dove sono tutti?

E l'autore senza indugio a turno li indicò tutti: Livia era acquattata in un angolino, le gambe raccolte tra le braccia che si dondolava mentre fissava ad occhi sbarrati il soffitto.

Dalia...stava rincorrendo il postino vestita da babbo natale e agitando in mano per chissà quale astrusa ragione una coppia della Bibbia. A quanto pare il suo paradiso non prevedeva bollette a Dicembre.

Alessa...vent'anni di donna ma come una bambina piangeva in un angolino mentre la falsa-alessa-bambina-ovvero-demonio rideva e le agitava vicino al volto un'accendino. Intanto canticchiava -Alessa ha paura del fuoco, strega, strega, strega...-

Lucy che...nuda come al solito, aveva iniziato a fissare in maniera maniacale David, ghignando maliziosa. Ignorando le lamentele del ragazzo lo afferrò saldamente lo condusse in una saletta chiudendo la porta a chiave alle proprie spalle.

A quel punto, voltandosi verso la preda in trappola la ragazza mormorò cupa -
Mi piace tingere i muri di sangue umano.-

E le mura risuonarono a lungo delle risate maniacali di Lucy e dei gemiti imploranti di David.

Si, l'autore non poteva lamentarsi...era una giornata come tante in redazione.

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 Si trovava ora nella zona meridionale del Motel, a poca distanza dal corridoio che lo avrebbe indirizzato verso la reception dove speranzosamente avrebbe potuto trovare qualche mappa o indicazione della località in cui si trovava. E forse sarebbe anche riuscito a contattare qualcuno.

La striscia di giardino in quella zona era molto più minuta e fortunatamente deserta, motivo per cui si arischiò ad accendere la torcia per esplorare l'ambiente circostante.

Alle sue spalle la sala manutenzione, tana della creatura del demonio e luogo nel quale non avrebbe messo mai più piede: piuttosto avrebbe preferito morire di stenti rintanato in un cantuccio da qualche parte.

A destra la recinzione esterna con i fili di ferro, non era certamente la direzione da intraprendere.

A nord, il cancello di comunicazione aveva un'aspetto invitante poichè era lì che doveva dirigersi se la mappa non lo tradiva.

A nord-ovest si apriva il cancello comunicante verso il grosso cortile della zona centrale, probabile tana di innominabili creature. Se ci teneva alla vita, quell'itinerario era da evitare tassativamente.

A ovest...alcune camere erano disposte in fila e su una di esse cadde lo sguardo del ragazzo: un foglio ingiallito e macchiato di sangue copriva una porta annerita e cadente.

"Disgrazia della famiglia...poco di buono...
...fuggire...codardo...colpa tua.
Attendo. "

E sotto, in differente calligrafia

"La reception è chiusa.
Lui ha la chiave...ti odia sai?
Indovina indovinello, chi è il mostro del tassello?"

E con un groppo in gola David strappò dalla porta il biglietto nefasto, rivelando ciò che già aveva intuito: il numero della stanza era "500".

Non aveva altra scelta, era ora di affrontare le sue paure, era ora di  incontrare la causa dei recenti eventi del Motel.

E cosa c'era di peggio che affrontare una creatura in grado di creare simili turpitudini quali quelle che era stato costretto a superare?

La risposta è semplice: la consapevolezza che la mente a capo di quell'incubo altro non era che un suo parente.

NOTA DI AUTORE: allora, anche questo capitolo è fatto. Ci avviciniamo alla fine del motel, ma è solo l'inizio dell'avventura di David attraverso Silent Hill...
Se vi è piaciuta o avete delle critichesuggerimenti, recensite per favore!

Alla prossima, Masterteo89.


 


   

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - La memoria di Archibald Livingstone ***


Capitolo 6 - La memoria di Archibald Livingstone Eccoci qui con il nuovo capitolo. Siamo vicini alla conclusione della vicenda...ma non dell'avventura del giovane David. Riuscirà a fuggire dal motel? Ma soprattutto, cosa l'aspetterà oltre quelle fredde recinzioni metalliche? Pazientate cari lettori, la matassa verrà svolta poco alla volta. Ed ora...che si alzi il sipario! (scappa per evitare il consueto lancio di pomodori da parte del pubblico che evidentemente non gradisce lo spettacolo)

Capitolo 6 - La memoria di Archibald Livingstone

La porta si chiuse alle sue spalle con un cigolio sommesso, attutito dal suono improvviso e incessante di vecchi macchinari arrugginiti in funzione.

Uno stridore alternato a tonfi profondi e ritmici...tamburi nel profondo delle tenebre, il congeniale benvenuto nella bocca dell'inferno.

Intimorito, David arretrò contro la porta solo per staccarsi repentinamente con un gemito di dolore soffocato: il gomito che aveva sfiorato la superficie lignea della porta sfrigolava e doleva, quasi fosse stato punto da un'immensa moltitudine di aghi acuminati.

E puntando il fascio di luce pallida della torcia nella direzione dalla quale era giunto, David non potè che portarsi inorridito una mano alla bocca: sangue colava lungo la superficie della porta, scivolava silenzioso come una lunga trama di velluto cremisi.

Lambiva la maniglia, lambiva la serratura...sfrigolava e ribolliva turpemente; pareva una visione giunta dalle profondità degli incubi della mente umana. E mentre David portava inconsciamente una mano a massaggiarsi la pelle arrossata e ricoperta di piccole bolle, segno inequivocabile della scottatura ricevuta, l'odore metallico si fece sempre più insopportabile...il sentore di morte, furiere dei presagi oscuri che l'angolo più remoto della psiche umana generava incessantemente: il messaggio era chiaro, il sangue sigillava a fuoco l'unica via di salvezza e condannava il ragazzo a proseguire lungo la strada del dolore.

I macchinari risuonavano della loro litania funebre in triste armonia con la lenta avanzata del sangue, fluido dannato che diviso in mille tentacoli cupi aveva iniziato a divorare i muri e il soffitto, diramandosi con furia primordiale e avanzando lungo il pavimento verso la figura della preda, verso David che ammutolito arretrava in preda al panico scellerato che rapiva la ragione.

E sarebbe morto, ricoperto e divorato da quel sangue che molte vittime aveva certamente fatto sue: ma il piede mentre indietreggiava andò a collidere fortuitamente con uno scatolone appoggiato sul pavimento, riscuotendo David dal gelido orrore. E mentre si voltava e correva lungo il corto corridoio, scendendo quei gradini di pietra sporca e polverosa che proseguivano fino a perdersi inghiottiti nell'oscurità, solo un'immagine continuò a tornargli alla mente.

Scolpiti a fuoco gli tornavano alla memoria quei profili scolpiti nel sangue, quei volti cremisi sfigurati e gementi delle precedenti vittime del liquido assassino.

Il calore era sempre più insopportabile, l'oscurità sempre più fitta e inquietante lungo quella discesa infinita verso l'ignoto: tamburi nella notte parevan richiamare i demoni al loro cospetto, pronti per il macabro banchetto.

Le caldaie venivano scosse da tremiti sempre più violenti man mano che il giovane avanzava; ma la sua mente si era già smarrita.

"Impossibile! Come può una scala essere così lunga? Come può esistere un sotterraneo così profondo! Mi pare di essere nei pressi delle fondamenta stesse della creazione" Questi alcuni dei suoi pensieri, mentre spingeva i muscoli allo spasmo per sfuggire dalla cupa marea alle sue spalle, dai flutti dannati dei lamenti, dal limbo eterno della dannazione, dalla morte sicura di quel macabro fulgore.

"Non voglio diventare come quei volti! Non mi merito quella maledizione eterna! Non voglio esser condannato a nutrirmi della carne dei miei simili!" Pensieri confusi e spaventosi, nati ogni volta che voltando il capo alle sue spalle osservava con occhi sbarrati il suo inseguitore.

Simili, pensava. Che sciocchezza! Quelle anime distorte avevano perso ciò che le rendeva umane, controllate da un'oscura volontà demoniaca erano solo fameliche pedine del burattinaio, alfieri della marea di sangue maledetto.

Udiva i mormorii sconnessi, i cupi lamenti e gli assordanti ringhi; il bruciore cocente della dannazione era sempre più vicino, sempre ad un passo dal catturare la sua preda.

E lungo lo stretto corridoio la marea si faceva sempre più violenta, adirata nei confronti della preda che osava sfidarla; la fuga era vana, questo avrebbe detto se l'odio avesse avuto possibilità di esprimersi in un linguaggio intelleggibile.

Cenere e sangue, binomio di odori metallici e soffocanti che parevan provenire dall'oltretomba: l'odio personificato delle pozze infernali era alle costole del ragazzo e non demordeva.

David voleva piangere, comprendeva di non avere alcuna speranza ma l'adrenalina non gli permetteva di prendersi una simile comodità.

Saltava i gradini, affidandosi all'intuito dove la vista lo tradiva, evitando sbarre di ferro sporgenti e scatoloni che ingombravano il passaggio.

Fortuna che aveva l'abitudine di uscire a correre ogni sera dopo una lunga giornata trascorsa in università!

Ora quell'allenamento era stato finalmente messo a frutto. E finalmente vide una luce nel profondo della tenebra, la luce fioca e rossastra di una porta antincendio.

Sforzando i muscoli al limite, ignorando i dolori lacinanti ai polpacci, raggiunse la porta e dopo averla superata se la rinchiuse alle proprie spalle: esalò un lungo sospiro di sollievo mentre la marea cremisi si schiantava inutilmente contro la superficie robusta e metallica.

E mentre riprendeva il fiato ansimando come un mastice, si guardò attentamente intorno; temeva un nuovo attacco improvviso.

Fortunatamente non accadde nulla: la stanzetta nella quale si trovava era completamente spoglia e deserta. In quell'ambiente lercio, spartano e polveroso risaltava un lettino operatorio macchiato di sangue rappreso.

Lungo quanto una persona adulta, ospitava sul piccolo materasso ingiallito e brulicante di vermi diverse catene e lucchetti oltre a quella che pareva essere una camicia di forza.

In fondo alla sala stava una porta con a fianco un tavolino illuminato da una piccola lampada: il fascio di luce puntava sulla superficie lignea dove uno di quei maledetti foglietti gialli brillava malizioso.

Avvicinatosi cautamente alla camicia di forza David notò qualcosa nascosto nei risvolti: in preda a pura curiosità infilò le mani ed estrasse quello che pareva un notes sbrindellato e macchiato di sangue.

Naturalmente, puntando la torcia prese a sfogliarlo.

Agosto 2007

Catturati altri esemplari...femmine.
10 morti e 3 feriti nello scontro a fuo...
Forza spaven...a .
Rinchiusi qui a Sha...Isla...massima sicurezza.

Settembre 2007

Abbiamo i primi dati di queste creature:
li abbiamo nominati "Diclonius"...stupefacente...estre...colosi.
Mutazione...netica? Stiamo anco...approfon...studi.

Ottobre 2007

Possiedono un cervello molto sviluppato, possibile evoluzione razza umana?
Prevalentemente ese...femminili. Tendenze omicida verso uma...i.

Novembre 2007

Piccole corna sulla testa,,,capelli rosati, talvolta rosso fuoco.
Peri...estremam...ggressivi.
Abbiamo chiamato "vettori" le loro armi...pparentemente il cervel...ppato
consente loro di creare braccia invisibili all'occhio umano dalla base del collo.
Consistenz...eterea, possono materializzarle a piacimento.
Poichè manovrate dalla mente e non dal corpo, possiedono una forza altrimenti impossibile per una creatura antropomorfa.

Dicembre 2007

Og... esemplare 27 è stato abbatt...o. Incubo, dem...e! Camm...ava lungo il cor...oio
 tranquillamente, squart...agenti e deflette...i proiet...con quel..braccia invis...!
Uccisa approf...di sua distraz...e. Corridoi zup... di san...interiora e pezzi di carne umana.
Ho voglia di Vom...are.

Gennaio 2011

L...y, la regina è stata inspie...liberata!
Tutti mo...sta venendo a pre...mi, Dio santo!

La scrittura si interrompeva bruscamente, lasciando il posto ad una larga macchia di sangue rappreso.

-Cosa diavolo significa tutto ciò?- Mormorò David confuso, gettando il notes sul lettino ospedaliero.

Scosse risoluto il capo -Non ho tempo da perdere con le storie dell'orrore. Al confronto di ciò che stò passando le storie del maestro King sembrano favole per ragazzi.-

Si portò rapidamente verso il tavolino, desideroso di leggere il nuovo "consiglio" di quel misterioso figuro che David doveva ancora capire se definirlo nemico o alleato.

"Dinanzi al mietitore cremisi siamo tutti uguali.
Non implorare salvezza, non la riceverai.
Credi nel sovrannaturale? Il rimedio più antico uccide.
Oltrepassa quella porta...danza il turpe ballo della morte."

Intimorito, David avvertiva un oscuro presagio ad attenderlo oltre quella soglia. Ragion voleva che voltasse le spalle al futuro e fuggisse dalla direzione da cui era giunto...ma il filo del destino è sottile e subdolo.

Sulle scale solo la morte lo attendeva, il mare rosso dai volti sfigurati e maliziosi. Oltre la porta, l'ignoto.

Ma sfortunatamente David aveva appreso a sue spese che a Silent Hill l'ignoto uccide.

Ma non potè perdersi in troppi ragionamenti poichè non appena oltrepasso la piccola porta di legno l'oblio l'avvolse. Cadde a terra privo di sensi, e l'incoscienza gli risparmiò di assistere alla genesi del nuovo orrore.

Una sirena squillò nell'oscurità, a lungo e lamentosa. Poi, il silenzio.

E lentamente i muri della piccola stanzetta in cui David era riverso incominciarono a comportarsi come se avessero preso fuoco, sfilacciandosi e incenerendosi con il crepitare violento di fiamme invisibili.

Il pavimento scuro impallidì e mutò in un'unica grata metallica arrugginita e macchiata di grumi rappresi di sangue: pareva di essere passati dalla realtà ad una dimensione alternativa, dove gli incubi di qualcuno erano reali e avevano preso forma.

Incubi mortali dai quali David forse non si sarebbe destato.

E con un cupo ronzio, accompagnato dallo squillare della sirena e dal profondo tambureggiare delle caldaie, il pavimento metallico prese a muoversi verso l'oscurità sottostante. Recava con sè il tributo per l'oscuro signore del Motel.

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Lucy era appoggiata con i gomiti sul davanzale della finestra della redazione, osservava annoiata il paesaggio innevato natalizio: gli abeti innevati, le festose luminarie, Padre Vincent vestito da Babbo Natale che consegnava porta a porta opuscoli religiosi...

David che giocava a palle di neve contro Livia... Alessa ricoperta di ragù e tagliatelle che inseguiva con un mattarello Dalia, la quale brandiva uno scolapasta e fuggiva sbraitando -Dio vuole che sua madre sia buona per la venuta del Natale!-

...Piramid Head in un angolo giocava a strip poker con Claudia e Walter... inutile dire che al poverino rimaneva addosso solo un indumento: la maschera. E mentre tremava come un fuscello Claudia si provava il gonnellino e Walter tentava di sollevare l'enorme mannaia.

...Se Lucy fosse rimasta ad osservare ancora per qualche minuto, avrebbe visto Piramid Head fuggire nudo verso il bosco, uno stuolo di fan girls alle calcagna ad inseguirlo. 

Piramin Head - Maledetta scala reale, avevo full di assi!!!!-

Walter e Claudia insieme -Si, e se mia nonna aveva le ruote era una carriola-

Walter e Claudia, insieme e rivolti l'uno verso l'atro -Anche la tua?-

Padre Vincent -Amen dementi- e se ne andò alla ricerca di Heater per importunarla un pò spiegandole il valore delle madonnine a cucù Uzbeche nella teoria relativistica dell'unico Dio che passa per il camino.

Estremamente interessante, ovviamente.

Lucy si staccò dalla finestra e andò a sedersi nei pressi del camino.

-Autore.- Proferì dura, a voce bassa.

-Dimmi Lucy-

-Ancora una volta hai accennato a me ma non mi hai presentato. Sono molto seccata.- E detto ciò iniziò a fissarlo con uno sguardo carico di odio, le sue iridi rosse che brillavano malignamente alla luce delle fiamme.

-Vedi... il motivo è...- E l'autore si lanciò dalla finestra per evitare di trasformarsi in Simmental.

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Quando David aprì gli occhi, l'oscurità lo avvolse.

Si alzò lentamente, tentando inutilmente di scorgere qualsiasi cosa oltre il velo di tenebra, riordinando intanto i propri pensieri e preparandosi al peggio.

-In principio era la tenebra-

Dichiarò una voce atona e profonda, proveniente dal cuore dell'oscurità stessa.

-Poi venne la luce, e mostrò agli uomini gli orrori della dannazione.-

A queste parole delle torce appese alle pareti in precedenza invisibili della sala incominciarono ad attizzarsi, gettando luce su un'immensa visione da incubo.

Non vi era un normale pavimento, bensì tutto ciò che separava il ragazzo dal buio della perdizione era una misera grata metallica circolare, arrugginita e insanguinata.

David abbassò lo sguardo e arretrò orripilato: si era sbagliato, non vi era turpe tenebra ai suoi piedi! Era una distesa lucida e cupa di sangue, un mare bollente di anime mietute e intrappolate nell'eterna dannazione.

L'odore metallico e marcio era insopportabile.

Ma peggio era ciò che lo attendeva oltre i bordi del pavimento circolare: la grata terminava a un metro di distanza dalle pareti della sala e queste mura... erano vive!

Pulsavano all'unisono come un gigantesco cuore malato, secernevano pus e liquidi immondi dalla consistenza ignota e pungente.

Tre cadaveri, uno ad ogni parete, erano nudi e crocifissi. Spolpati e sanguinanti parevano levare mute suppliche al cielo, ma Dio non li avrebbe mai ascoltati.

Paletti di frassino erano immersi a fondo nel loro petto, corone di filo spinato ghermivano le loro gambe e braccia, zuppe di sangue che ritmicamente gocciolava verso il mare cremisi sottostante.

Voltandosi verso l'ultima parete...lo vide. In piedi, impettito e solenne come una statua, un'uomo l'osservava in silenzio.

Occhi scuri scavati in un volto severo e affilato, serio e autoritario. Capelli corti neri come l'inchiostro e pizzetto brizzolato, curato con estrema attenzione.

Vestiti eleganti e raffinati, senza un piega nè una macchia di sangue considerato il luogo.

Odio. Odio profondo e furia cieca permeavano quella figura, mentre squadrava severa il ragazzo.

-Questo è il modo di presentarsi David- Sibilò il vecchio, stringendo i pugni -Spaventato e indecente come al solito. Vergogna della famiglia!-

David rimase immobile, paralizzato dallo stupore e dall'orrore.

-Non è possibile...- Mormorò infine -Nonno, sei morto due anni fa!-

La figura ringhio in maniera inumana, avanzando di un passo verso il giovane. -Per te sono Archibald Livingstone, ragazzo! Un nobile dalla nomea infangata dalla tua inettitudine!-

-Ma cosa...?- David sapeva che suo nonno quand'era in vita prendeva dei medicinali poichè soffriva di allucinazioni, ma non si immaginava che la situazione fosse così grave.

Però era anche vero che non lo aveva più visto da quando era stato ricoverato al manicomio.

Suo nonno credeva di essere un nobile? Certo, si atteggiava in maniera distinta e vagamente altezzosa ma...

-Silenzio! Per colpa tua sono morto di crepacuore! Sempre preso con i tuoi libri, trascurando tutto e tutti! Indietro persino con gli studi della facoltà che tu  hai scelto, contravvenendo al volere della famiglia!-

-Aspetta nonno...-

-Taci! Dovevi portare avanti il nostro lignaggio, invece hai ripudiato la famiglia! Era troppo il peso delle responsabilità, vigliacco? Sei fuggito come un cane, vile creatura!-

-Volevo scegliere io come vivere la vita! Sei sempre rimasto intrappolato nella tua desolante utopia, e volevi trascinarmi con te!- Gridò David di rimando, in preda all'ira.

Malattia o no, suo nonno l'aveva sempre disprezzato.  Perso nelle sue delusioni, soffocato dalla malattia che gli aveva divorato lentamente il cervello, si aspettava che David fosse completamente sottomesso ad ogni suo volere, come si conveniva che i giovani seguissero l'esempio del capofamiglia.

Ma costui aveva portato il concetto all'esasperazione, arrivando al punto di non tollerare nulla che contravvenisse al suo volere. Tale il dissapore nei confronti del nipote che quando la morte l'aveva colto nel sonno l'ira non lo aveva abbandonato. Qui a Silent Hill era cresciuta, nutrita costantemente dalla carne e dal sangue delle vittime della nebbia. E evidentemente col tempo aveva attribuito la sua morte al dolore che il nipote gli aveva costantemente arrecato per la sua disobbedienza, mutando il rancore in vendetta.

-Basta così. Mi hai deluso profondamente ragazzo. E adesso? Non ti smentisci mai. Ti ho visto aggirarti per il motel, come un cane spaventato!-

A queste parole l'ira riempì il cuore del giovane, il quale rabbioso domandò, esigendo spiegazioni -Sei stato tu a creare questi orrori?-

Silenzio. Un ghigno malizioso lentamente si dipinse sul volto di Archibald, i tratti stravolti dal delirio della pazzia.

-Orrori?- Disse, pacato - Povero stolto. Pensavi di  salvarti da me? Mi hai ucciso. Ora è giunto finalmente il tempo di pagare il prezzo delle tue azioni.-

-Sono stati i tuoi dissapori e la malattia ad ucciderti! Non è colpa mia, ti prego cessa questa pazzia e lasciami andare.- Lo supplicò David, turbato profondamente dal mutamento repentino d'espressione e atteggiamento del vecchio.

Suo nonno...che bei ricordi possedeva un tempo di lui. Ricordi di pomeriggi a pescare insieme, o di quando andavano per il quartiere in bicicletta...

Quella cosa ragionava come suo nonno, aveva le stesse fattezze e gli stessi ricordi...eppure aveva un qualcosa di inquietante, di sbagliato.

Era suo nonno, ma nel contempo non era più l'uomo che aveva conosciuto in vita. Il gioviale e acuto vecchietto che lo portava al bar a prendere il gelato quando usciva da scuola...era morto.

Ma forse era scomparso fin da quando la malattia l'aveva dilaniato dall'interno.

-David! Il tempo dei dialoghi è terminato. Osserva per causa tua cosa sono diventato!- Disse, mentre il suo corpo veniva percorso da fremiti incontrollabili.

Cadde all'indietro, nei flutti ribollenti di sangue e per alcuni istanti regnò il silenzio.

Poi...qualcosa di caldo e viscido afferrò David alle gambe, un sottile tentacolo di sangue sfrigolante.

David venne lanciato con violenza verso il lato opposto della sala e fu per pura fortuna che non cadde oltre il bordo, dentro il mare profondo e letale.

Al lato opposto della sala si ergeva una creatura vagamente umanoide, interamente ricoperta di sangue e fibre muscolari scoperte. Il volto era una pallida copia di ciò che era stato il viso di suo nonno, occhi iniettati di sangue osservavano implacabili il ragazzo, lo sguardo del predatore.

Volti...le stesse faccie dannate e distorte dal dolore che aveva incontrato in precedenza lo osservavano, emergendo e scomparendo in quel sottile rivolo di sangue eterno che partendo dalla gola squarciata della creatura lambiva tutto il corpo immondo.

Con un ringhio allungò un braccio e diversi tentacoli di sangue sfrecciarono diretti verso il giovane, ma questi si lanciò di lato evitandoli per un soffio. Ma non poteva sfuggire in eterno.

Però analizzando la situazione...quella cosa sferzava mantenendosi a distanza, quindi forse non era molto forte. Un tentacolo si avvolse improvvisamente intorno al suo petto e lo sbatacchiò contro il soffitto e la parete vicina, intrappolandolo in una morsa letale.

Sarebbe morto, sbattuto ripetutamente contro le pareti fino a renderlo esanime e infine divorato dal tetro sangue, ma per puro istinto di conservazione David prese ad agitarsi selvaggiamente tentando di attutire al meglio gli urti.

E fu allora che gli capitò tra le mani una delle torce. Non appena l'ebbe afferrata i tentacoli si ritrassero stridendo, gettando il ragazzo sul pavimento.

Rialzandosi a fatica David mormorò -Così temi il fuoco. E allora...- Proseguì, correndo verso la creatura mentre agitava la torcia per farsi strada tra i tentacoli -...Brucia e va all'inferno mostro!- Gridò, colpendo la bestia al viso con la torcia.

Subito la creatura prese fuoco, agitandosi spasmodicamente e ruggendo di dolore. Ma non bastava, il fuoco lentamente si stava estinguendo.

Fu allora che David si ricordò delle parole scritte sul foglietto: " Credi nel sovrannaturale? Il rimedio più antico uccide. "

La più antica delle creature sovrannaturali era il vampiro e il rimedio per annientarlo era un crocifisso o un paletto di legno nel cuore; forse le parole si riferivano a questo.

Non poteva perdere tempo, doveva tentare e incrociare le dita.

E corse allora verso il cadavere crocifisso più vicino, strappandogli dal petto il paletto di frassino insanguinato.

Irrigidì la mascella preparandosi all'inevitabile, poi abbassò il capo e serrò brevemente le palpebre.

-Addio nonno. Che la tua anima possa finalmente trovare la pace e la felicità che la malattia ti aveva negato.- Mormorò.

 Poi si avventò sulla creatura. Prima che questi si accorgesse di che cosa le fosse capitato, il paletto di frassino era immerso in profondità nel suo petto immondo.

Un urlo lacerante fece tremare la sala, poi lentamente la creatura che un tempo era stata Archibald Livingstone si dissolse in una nube di cenere che andò a depositarsi sulla superficie del mare di sangue.

Ma prima, un'ombra di un sorriso comparve sul volto sfigurato della belva che pronunciò una sola parola, resa impossibile da udire a causa del ruggito delle fiamme.

-Grazie, David.-

Lui, che aveva divorato innumerevoli anime, veniva ora divorato dal suo stesso sangue. La giusta fine di un'anima nera.

Finalmente il suo incubo personale era terminato. E mentre ascendeva in cielo l'ombra di un sorriso solcava le sue labbra. Ora finalmente era felice.

Una sirena echeggiò in lontananza e David sprofondò esausto nell'incoscienza.

NOTE D'AUTORE

Che fatica questo capitolo, non finiva più. Spero vi sia piaciuto. A me personalmente piacciono i cattivi che in realtà sono i primi a suscitare pietà. Se lo avete capito, ditemi le vostre impressioni!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Erebo e Moros, inferno in terra e ineluttabile fato. ***


Capitolo 7 - Erebo e Moros, inferno in terra e ineluttabile fato Eccomi qui, un nuovo capitolo tutto per voi in occasione del Natale alle porte. Non siate timidi suvvia, recensite.

Capitolo 7 - Erebo e Moros, inferno in terra e ineluttabile fato.


David si destò di soprassalto, strabuzzando gli occhi e gettando occhiate frenetiche intorno a sè.

-Stò forse sognando o son desto?- Mormorò con una punta di timore nel tono di voce, le terribili immagini del fiume di sangue ancora impresse nella sua memoria.

Era in una camera del motel, una stanza pulita e ordinata che odorava ancora di disinfettante al limone. Niente mostri, niente sangue, niente grate metalliche.

Seduto sulle morbide coltri del letto, il giovane si prese il capo tra le mani. -Non stò sognando, i lividi sono ancora presenti su gran parte del mio corpo; eppure di quella turpe pozza non vi è traccia alcuna. Pare quasi che non sia mai esistita!-

Queste le sue stupefatte parole, verbo innocente ed onesto che celava in sè mille domande che non avrebbero mai ottenuto risposta alcuna.

E non giovò neppure una rapida ispezione del locale, poichè nulla era fuori dall'ordinario: solo la mancanza di mostri era sospetta, ma quel particolare era tuttavia ben gradito.

Desiderando ardentemente di possedere almeno un'arma, David si preparò ad affrontare nuovamente la nebbia maledetta: doveva aver dormito a lungo poichè il buio era stato scacciato dal pallido chiarore del sole offuscato.

Sole che per le leggi stesse che regolavano l'universo doveva esserci da qualche parte, ma oppresso dalla bruma non poteva fare capolino tra le infinite spire lattiginose.

Il ragazzo ebbe un attimo di terrore quando si accorse che il pomello non girava, ma non si perse d'animo: fortunatamente la porta non era l'unica via di fuga da quella stanza piccola e inospitale.

Troppo pulita, troppo accogliente. Come la pianta carnivora si mostra invitante per intrappolare la preda, così la sala pareva troppo idilliaca per essere vera.

In quella realtà spietata la comodità non esisteva: ma la nebbia si era già dimostrata numerose volte maestra d'inganni di ogni sorta.

Uscì dunque dalla finestra, chiaramente non senza difficoltà perchè le ante non volevano saperne di aprirsi. Qualche pugno ben assestato, una spinta poderosa e l'inconveniente era stato risolto in breve tempo.

L'ambiente esterno era inquietante come di consueto, con la nebbia che pareva ancor più fitta e il silenzio profondo rotto solamente da qualche gemito innaturale in lontananza.

Stranamente però la cenere aveva cessato di cadere: i fiocchi turpi e grigiastri erano spariti totalmente e un leggero venticello lambiva maliziosamente le membra del ragazzo, ululando lamentosamente.

Il triste requiem del motel per il padrone deceduto, il mostro di sangue un tempo conosciuto con il nome di Archibald Livingstone.

-Nonno...- Sussurrò David, intenso dolore a sfigurare il suo volto affilato mentre le parole lasciavan le labbra leggermente distorte. Aveva oltrepassato il cortile ed il corridoio di collegamento tra l'ala sud del motel e quella orientale; oramai la reception era vicina.

Ad ogni passo il basso edificio si faceva sempre più definito, gradevole alla vista con il suo porticato di legno ed i muri pitturati di fresco.

Fortunatamente la porta era aperta e non appena penetrò nel luminoso locale un sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra gelide e tremanti dal freddo.

Ce l'aveva fatta! Ora finalmente avrebbe scoperto dove si trovava e poteva dunque pianificare le sue prossime mosse.

La sala d'accoglienza era di modeste dimensioni ma molto graziosa: divanetti comodi e dai colori vivaci erano disposti ordinatamente nei pressi di un bancone, rastrelliere colme di depliant turistici giacevano indisturbate contro la parete più vicina. Una lampada sul soffitto illuminava il locale, scacciando le ombre e risaltando il leggero velo di polvere depositato sugli armadetti posti dietro al bancone.

Sulla superficie liscia e levigata di quest'ultimo giaceva un registro presenze aperto ed un campanello, strumento usato dai clienti per chiamare il personale.

David dubitava seriamente che qualcuno avrebbe risposto al campanello e non voleva attirare la spiacevole attenzione del vicino di stanza.

David si muoveva con estrema cautela ma non poteva certo ignorare i suoni provenienti dall'ufficio del direttore, stanza che stando dalla targhetta appesa alla parete era di fronte a lui.

La porta era spalancata e dall'interno proveniva, oltre ad un odore mefitico e dolciastro, un leggero grugnito misto al suono prodotto da mascelle colte nell'atto di masticare qualcosa o qualcuno.

Rabbrividendo al pensiero della sorte del direttore del motel, David si mosse verso la rastrelliera di opuscoli turistici con estrema lentezza, tenendosi basso e approfittando del riparo del bancone per scivolare nella sala senza che la creatura lo scorgesse.

Creatura che, a giudicare dai suoni prodotti, dove trattarsi di un qualche orrore che non aveva mai incontrato prima d'ora. L'unico particolare inquietante era che...quei suoni parevano quasi umani e non bestiali.

Poteva reggere la vista dei mostri, ma umani colti da cannibalismo...non sarebbero bastate le sedute dallo psicoanalista per curarlo.

Le riviste erano alquanto scadenti. Alcune illeggibili, altre inutili poichè descrivevano luoghi particolari quali un luna park o un hotel con vista sul lago Toluca.

Però un depliant colsè la sua attenzione: dentro una cartelletta dai colori vivaci e squillanti trovò una mappa turistica della città, scoprendo così il luogo in cui si trovava.

A grandi lettere si leggeva: BENVENUTI A SILENT HILL, PER UNA VACANZA CHE NON SI SCORDA!

David aggrottò la fronte, serrando rabbiosamente la mascella. "Certo che non si scorda, se sopravviverò renderò ricco l'analista che mi prenderà in cura!"

Alcune note attirarono subitò la sua attenzione: dall'altro lato della città rispetto al motel sorgeva un grande edificio nomato "Cedar Groove Sanitarium", un manicomio in parole povere. Tale edificio era cerchiato con quello che pareva essere sangue fresco e, tra diverse sbavature, una scritta diceva "Veritas". Verità in latino.

Altri indizi...avrebbe mai avuto fine tutto ciò? E mentre rifletteva su queste cose venne colto dall'irrefrenabile curiosità di scoprire quale creatura si celasse nell'ufficio del direttore.

Grosso errore, la curiosità uccide il gatto...ma evidentemente la lezione impartitagli dal volatile demoniaco non gli era bastata.

Si sporse oltre il bancone, allungando lo sguardo: ciò che vide gli fece raggelare il sangue nelle vene.

Un cadavere giaceva sul freddo pavimento e chinato sopra ad esso...c'era un uomo. Ma nello stesso tempo non lo era.

Quella cosa era estremamente muscolosa, magra ma solida e armoniosa nelle forme. Un fisico statuario dalla forza immensa, poteva intuirlo già con un'occhiata sommaria.

Posata a pochi passi era un'enorme mannaia insanguinata, pareva quasi uno spadone talmente era lunga. Doveva essere estremamente pesante, impossibile da maneggiare anche per il più forte degli individui.

Eppure sentiva che quella cosa l'avrebbe maneggiata senza il minimo sforzo. E poi lo colse l'orrore nell'osservare gli indumenti della bestia: nulla sul torace, solo un gonnellino sudicio di pelle...umana???

David si portò una mano alla bocca, orripilato. Ma non terminava qui: il volto era difficile da scorgere poichè lercio di sangue della vittima che stava divorando, ma sorretto da una mano faceva capolino un casco metallico enorme, a forma piramidale.

Era talmente insanguinato che il metallo era tinto cremisi.

Terminava il cruento dipinto una lunga lancia, infissa in profondità nel pavimento.

David a un certo punto doveva aver sussultato e la creatura ovviamente non aveva gradito di essere interrotta mentre si nutriva. Inafatti si alzò con estrema lentezza, calando l'elmo sul capo e osservando il giovane con un'espressione carica di furia cieca e omicida.

Il giovane si sarebbe aspettato di udire grida o ringhi, invece la bestia non produsse suono alcuno: si limitò ad afferrare repentinamente la lancia e, dopo averla letteralmente sradicata dal pavimento, la scagliò contro il giovane.

David si gettò di lato, mentre l'arma trapassava il bancone e, graffiando il giovane al fianco, affondava nel soffice tessuto del divanetto, sibilando rabbiosa per non aver morso la carne della sua preda.

Il ragazzo portò una mano al fianco, notando distrattamente che sangue usciva dalla ferita superficiale; tuttavia non poteva tergiversare!

La creatura aveva raccolto la mannaia e ora stava guadagnando terreno, avvicinandosi con passo lento e barcollante ma estremamente deciso: in una mano teneva il cadavere per il collo, l'altra trascinava dietro di sè la lnga mannaia.

Ignorando gli acuti stridii che la lama produceva mentre graffiava il pavimento, David corse verso la porta alla parete opposta: l'uscita dal locale che si avvacciava sul cancello principale del motel.

A metà strada si abbassò appena in tempo mentre un corpo sfrecciava a pochi centimetri dalla sua testa, andandosi a schiantare rovinosamente contro la porta a cui David era diretto: altro non era che il cadavere del direttore, lanciato da quella creatura che da quel momento in poi avrebbe soprannominato Piramid Head a causa dell'elmo spesso sul suo capo.

Con alcuni colpi di mannaia la creatura si fece largo tra i resti scheggiati del bancone e andò a recuperare la lancia, ignorando totalmente il giovane a pochi passi dalla sua posizione.

David fece per aprire la porta ma fu costretto repentinamente ad abbassarsi: Piramid Head aveva sferrato un colpo di mannaia seguendo una traiettoria circolare, distruggendo un vaso di fiori e decapitando il giovane nel caso in cui non si fosse abbassato.

Mancato il colpo, la creatura piantò la mannaia nel terreno e alzata la lancia si preparò a colpire il giovane proprio nell'istante in cui questi fuggiva dal locale chiudendo la porta alle sue spalle.

La lancia trapassò con fragore la spessa porta della reception, distruggendo la serratura e andando a rotolare sul vialetto a poca distanza dal cancello principale.

Che fortuna inaspettata!

Ora la creatura non poteva inseguirlo, poichè anche se armeggiava con la maniglia la serratura non avrebbe più girato.

Ma una serratura rotta non lo avrebbe fermato in eterno.

E mentre la porta tremava visibilmente, scossa dai colpi rabbiosi di Piramid Head, David prese una decisione.

Afferrò la lancia della creatura, soppesandola accuratamente: non era leggera ma neanche troppo pesante, avrebbe potuto utilizzarla sia come strumento offensivo sia come scudo di fortuna. Si, aveva deciso che l'avrebbe portata con sè.

Ma Piramid Head come avrebbe preso il furto della sua arma? David, fosse stato più accorto, non si sarebbe mai sognato di sottrarre l'arma del destino vendicativo: icona di Silent Hill, arma della giustizia allo scopo di abbattere e tormentare le anime abbiette dei peccatori.

David non poteva saperlo ma macchiandosi di quel furto aveva appena insozzato la sua anima innocente, condannando in eterno la sua esistenza.

Piramid Head non lo avrebbe perdonato, giudice impassibile e spietato esecutore.

Piramid Head lo avrebbe stanato e giustizia sarebbe stata fatta. Il prezzo del furto era morte e dannazione eterna. Poichè la giustizia divina è cieca, essa non accetta mai compromessi e colpisce senza distinzioni.

E mentre David fuggiva dal motel impugnando la lunga lancia di metallo scuro, le tenebre di morte già si affollavano intorno a lui.

L'unica consolazione era la lancia di squisita fattura, nera e lucida sembrava composta di un materiale ultraterreno, divino.

Incise a fuoco, di un rosso vivo e brillante, lungo l'asta vi erano alcune lettere latine a formare la parola "Nemesis", vendetta in latino.

Sulla punta acuminata invece era inciso in greco antico la scritta "Nέμεσις", ovvero Nemesi, la dea della Giustizia figlia della Notte.

Una lancia dunque adatta alla giustizia divina che Piramid Head personificava; un sacrilegio ad essere maneggiata da mani mortali quali quelle di David.

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SPAZIO AUTORE: capitolo ridotto per postarlo in tempo prima delle feste.
Non vi chiederò di recensire, vi auguro solo Buon Natale!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Highway to hell ***


Capitolo 8 - Highway to hell Ed eccoci al nuovo capitolo, edizione di capodanno! Prima di incominciare voglio augurare un buon e felice anno nuovo agli 8 lettori fissi che leggono ogni capitolo della mia storia; un ringraziamento speciale va a colui il quale ha recensito fedelmente la mia storia: i tuoi consigli e le tue impressioni sono stati sempre preziosi. A te ho dedicato, per pura riconoscenza, l'ingresso di Piramid Head nella storia. Avrà delle parti non trascurabili, il freddo esecutore.
Allora, bando alle ciance...David finalmente è uscito dal motel! Arriverà al manicomio o le strade lo inghiottiranno verso morte certa?

COMMENTO: in questo capitolo verrà messa in luce la mia idea di Silent Hill, della città. Le vostre impressioni renderebbero l'autore felice

Capitolo 8 - Highway to hell parte 1

David aveva corso a lungo, attingendo a tutte le sue energie per fuggire dal motel e da quella nuova, terribile e inquietante figura.

Il panico l'aveva invaso, gettando un cupo velo sulla mente del ragazzo: l'adrenalina aveva preso il sopravvento sulla ragione e l'unica cosa a cui il giovane prestava attenzione era il battito spasmodico del proprio cuore.

Superò strade e vicoletti adombrati, scansò scatoloni e segnali stradali divelti; fendeva la fitta nebbia senza curarsi di nulla, ma ad ogni passo la dritta via era sempre più smarrita.

Quando riuscì ad ottenere il pieno controllo di sè era atterrito: non sapeva dove fosse nè come ci fosse arrivato.

Era nel mezzo di una strada tanto ampia quanto lercia e polverosa. Con la coda dell'occhio gli parve di scorgere un gruppo di topolini che dall'ombra di uno scatolone ammuffito lo osservavano diffidenti.

La nebbia era fitta, ma riusciva a scorgere sul lato opposto della strada le sagome sfocate e distorte di una fila di negozietti vari, le vetrine infrante o invase da muschio e piante rampicanti.

Era incredibile quanto anche l'edera in quella città sembrasse smunta, morta: il verde delle foglie non era vivace, bensì pallido e malato. Pareva che la loro vita stesse lentamente marcendo dall'interno, corrosa dall'atmosfera malsana e inquietante di Silent Hill.

Silent Hill...di sicuro non l'aveva mai sentita nominare prima d'ora. Probabilmente si trovava negli U.S.A. , oppure in Gran Bretagna...non era da escludere.

Ma dunque perchè l'esercito non era ancora intervenuto?

Facendo ciondolare, esausto, le braccia ai fianchi espresse a voce alta i suoi pensieri -Ma dove sono finiti tutti?-

La sua voce echeggiò per alcuni istanti nella densa foschia, assumendo una tonalità lugubre e lamentosa. Maledicendo la sua stupidità, David rafforzò rabbiosamente la presa sulla lancia, furente con sè stesso.

"Non posso farmi prendere dall'angoscia e abbandonare così follemente ogni precauzione! Non ho combattuto i miei fantasmi interiori al Motel per morire attirando a me quelle bestie con il suono della mia stessa voce! Destino beffardo, certo non aiuti l'uomo neppure nel momento in cui cede alla debolezza!"

La cenere continuava a fioccare placidamente tutt'intorno a David, ricoprendo strada e macchine parcheggiate di una coltre densa e cinerea, fuligginosa quasi.

E guardandosi cautamente intorno, David non riuscì a scorgere alcun cartello che indicasse il nome della via in cui si trovava: la nebbia era troppo fitta per osservare in lontananza, doveva indagare con calma avvicinandosi a pareti e cartelli se voleva ottenere qualche informazione.

Il quesito era: ne aveva il tempo? Poteva permettersi il lusso di tergiversare ed errare ignavo? Le creature potevan sbucare da un istante all'altro, magari attirate dalla sua voce.

Maledisse ulteriormente la sua stupidità. Era uscito da un incubo, ma stava rapidamente piombando dentro un nuovo e peggiore incubo ad occhi aperti.

Un incubo dal quale non ci si poteva svegliare, un terribile sogno che uccideva: e lo faceva in maniera cruenta e impietosa, cibandosi prima delle paure e del cupo terrore delle sue vittime.

David tornò ad osservare il vicolo alle proprie spalle, la stradina dalla quale forse era giunto quando il panico muoveva le sue gambe.

Il vicoletto buio presentava comprensibilmente una visibilità maggiore: la nebbia trovava qualche difficoltà ad infilare i suoi tentacoli nello spazio stretto tra gli edifici cadenti e impolverati.

Decadenza, questo era il termine adatto a descrivere Silent Hill: una città marcia sospesa nel tempo, sorretta saldamente dai tentacoli di una nebbia che pareva fare da crudele burattinaio.

La flora, i palazzi, il terriccio ai bordi delle strade, i pochi e sparuti animaletti...tutto era morto, ma nello stesso tempo vivo.

Come può daltronde umano verbo descrivere il surreale? Tutto ciò va oltre la nostra comprensione, non vi è vocabolo adatto.

Talvolta si udiva un leggero sospiro, un cupo gemito...gli edifici, la città stessa si lamentava, come un cuore pulsante viveva, un organo malato pieno di metastasi e colmo di indomabile tristezza.

Silent Hill, carnefice o vittima? Arduo quesito, ma David ora aveva questioni ben più pressanti da ponderare.

Ignorò dunque l'aspetto pietoso del paesaggio e gli alberi immobili e scheletriti, i rami spigolosi e affilati che parevano artigliare rabbiosi il cielo: ira impotente per la loro condizione o sfida aperta verso tutto ciò che era vivo e felice?

L'odio generava odio, ed esso poi sfociava in rancore e ira funesta: la nebbia provvedeva a ghermire le speranze dei vivi, schiacciandole nelle sue grinfie e lasciando solo gusci vuoti.

Anime tormentate e afflitte, attratte e respinte da ciò che credeva ancora nel futuro.

Lasciate ogni speranza voi che entrate. Mai Dante espresse una frase più veritiera e appropriata: Silent Hill, il limbo eterno tra la morte e la vita.

E preso da questi pensieri la nebbia gli parve stringersi maggiormente intorno a lui, il silenzio farsi più pesante ed opprimente.

Thump. Thump.
Thump. Thump.

Brividi gelati corsero lungo la schiena del ragazzo ed il freddo non ne era certamente la causa.

Delle sagome lattiginose si affacciarono in lontananza all'ingresso del vicolo, almeno tre in apparenza o forse erano di più.

 Thu-thump.
Thu-thump.

Dalla strada altri passi si unirono al coro, più veloci e sostenuti rispetto ai primi.

Era circondato. A giudicare dal rumore strascicato e dall'andatura incerta e oscillante, doveva trattarsi di un nutrito gruppo di quelle creature dai lunghi tentacoli spinati.

Era nei guai, la lancia non sarebbe servita a granchè se quelle cose riuscivano a sferzarlo tenendosi a distanza.

"I negozi!"

Riflettè tra sè e sè e correndo verso le vetrine si infilò dentro la prima che trovò, facendosi strada attraverso i vetri in frantumi.

Apparentemente era capitato in una boutique, lunghe file di vestiti ingialliti erano appesi alle pareti ed altrettanti capi erano gettati scomposti sul pavimento.

Molti recavano anche impronte insanguinate e grumi di sangue rappreso: pareva quasi che le creature si fossero addentrate in quel luogo di tanto in tanto nel loro continuo vagabondare privo di meta alcuna.

File di scaffali colmi di cianfrusaglie decoravano la parete che dava sulla sala di ritrovo dei dipendenti; a poca distanza invece si stagliava lo spoglio bancone e la cassa arrugginita. Alcune banconote erano sparse in disordine sul tavolato, e sulla superficie alcuni graffi incidevano il legno a formare una semplice ed inquietante frase:

"Fuggi, piccolo topolino.
L'esecutore stà arrivando,
la morte ti stà braccando."

David, tremante, si guardò rapidamente intorno: non vi era alcun luogo in cui nascondersi, poteva solo ripararsi nella stanza del personale che, stando alla targhetta, fungeva da magazzino della boutique.

Chiuse la porta dietro di sè e si appoggio ad essa, tendendo le orecchie in cerca di qualche suono che potesse tradire la presenza degli inseguitori. Trascorse qualche minuto ma non udì più alcun rumore.

I passi erano cessati, le creature erano apparentemente scomparse con la stessa rapidità con la quale erano apparse.

Non restava altro da fare se non ritornare sui propri passi e cercare indicazioni sulla strada più breve per giungere al manicomio.

Peccato che la porta non accennava più ad aprirsi. Era bloccato nel magazzino.

Imprecando sottovoce, si voltò ad osservare l'ampia sala nella quale era intrappolato.

Buia e silenziosa, accoglieva numerosi scatoloni delle più svariate forme e dimensioni, senza tener conto dei manichini.

Numerosi manichini giacevano in ogni angolo libero, alcuni seduti, altri sorretti da ganci, altri in posizione eretta...altri ancora gettati sul pavimento o accasciati alle pareti come dei burattini privi di corda.

Facendo luce con la torcia, David si addentrò nel locale, inquieto e turbato per la presenza di quelle cose.

Antropomorfi, i manichini parevan quasi reali, erano espressivi: i volti erano contorti in ghigni maliziosi o espressioni di stupore, altri parevan addormentati e altri ancora parevano burlarsi di David.

Figure di uomini corpulenti e donne dalla snella figura, indossavano abiti ricercati e puliti nonostante lo stato di completo abbandono del locale.

A un certo punto David ritornò sui suoi passi, puntando la torcia sul viso di una figura femminile e illuminandone le gote pallide ed il cappellino viola a motivi floreali.

- Ho le traveggole?- Mormorò perplesso: il manichino lo stava fissando ma David poteva giurare che fino a qualche istante prima aveva il volto rivolto verso uno degli scatoloni.

-Odio i pupazzi- Bofonchiò continuando ad avanzare, i sensi all'erta. Si sentiva osservato e non riusciva a determinare se si trattasse di pura suggestione o peggio.

Scorse una porta ma suo malgrado la trovò anch'essa bloccata, ma sulla vicina parete alcune tracce di sangue formavan la scritta:

"Se dai manichini vuoi fuggire, i fleshlips dovrai invocare.
Il nome è strano, ma il loro volere è legge.
Sarai meritevole?"

E mentre scorreva queste parole un suono sommesso si levò alle sue spalle: voltandosi vide che i manichini stavano iniziando a scuotersi con violenza, quasi fossero colti da spasmi.

Uno in particolare di fattezze femminili si alzò dal suolo e barcollando prese ad avanzare verso il giovane, un ghigno malefico stampato sul volto.

E David stava per alzar la lancia quando all'improvviso una figura immensa piombò con un tonfo sordo alle spalle del manichino, levando un polverone denso e grigio.

Il ragazzo udì come il rumore di una breve colluttazione, poi gli parve di scorgere la nuova figura afferrare saldamente il manichino per il collo e dividerlo a metà con un fendente secco di una specie di clava enorme che recava nell'altra mano.

Quando la polvere si levò, del manichino era rimasto ben poco...il sangue chiazzava tutta la sala e gli scatoloni ammuffiti.

La figura lentamente si voltò verso il giovane, senza emettere alcun suono. Pareva estremamente calma e a suo agio, come se mutilare una creatura vivente fosse una banalità che non meritava la sua considerazione.

La figura prese ad avanzare verso il giovane, l'enorme mannaia che strideva contro il pavimento ed il casco metallico puntato verso la sagoma terrorizzata di David.

Un casco piramidale...nient'altro che Piramid Head in persona, l'esecutore.

David corse verso la porta, tempestandola freneticamente di pugni e tentando invano di girare la maniglia: la porta non cedeva, pareva anzi canzonarlo.

Anche i manichini si erano chetati, chiaramente intimoriti.

E Piramid Head si faceva sempre più vicino...

-So che me ne pentirò amaramente...so che non devo ascoltare i nefasti consigli di questo mattatoio...ma se non agisco moriro...-

Mormorò mestamente, mordendosi le labbra, infine esclamò - Aiutatemi Fleshlips!-

Per alcuni istanti la sua voce echeggiò nel locale, poi si udì lo scatto di una serratura. La porta era aperta!

Senza perdere altro tempo David entrò nel locale, chiudendo la porta alle proprie spalle.

Si trovava in un lungo corridoio, ma non poteva perdere tempo ad ammirarlo: Piramid Head apparentemente era alqunato irritato che quel giovane continuasse a sbattergli le porte in faccia.

Squarciò la porta con un fendente della mannaia, gettandosi con la sua andatura lenta ma determinata all'inseguimento della preda.

Il corridoio si era rivelato un labirinto, più volte David si smarrì nelle sue diramazioni e fu costretto a ritornare sui suoi passi, evitando puntualmente di venire decapitato dall'immensa mannaia della creatura.

Non capiva dove diavolo fosse capitato, poichè il negozietto non poteva essere così enorme...

E giunse infine, le gambe che gli dolevano per lo sforzo, dinanzi a un portone arruggnito.

Sulla targhetta vi era scritto a lettere cubitali "OBITORIO"

David richiuse la porta alle sue spalle, sperando di aver seminato il suo inseguitore.

Il locale era fiocamente illuminato e lungo le pareti erano disposti numerosi cubicoli mortuari, ma David non ci teneva a scoprire se fossero liberi o occupati.

Una barella solitaria giaceva nel mezzo della sala e sopra ad essa...Livia.

La giovane donna era legata saldamente alla barella, gli occhi impazziti dal terrore che roteavano in cerca di una via d'uscita, il viso pallido e cereo.

-Livia!- esclamò sconcertato David, precipitandosi a liberarla.

La ragazza anche in quel frangente manteneva una raffinata eleganza, pareva una bellissima bambola di porcellana. Se almeno non fosse sconvolta dal terrore!

David tentò di farla ragionare, tentò di calmarla, ma la ragazza continuava a farfugliare parole senza senso e ad indicare il soffitto, dove si aprivano alcuni fori della grandezza di un uomo.

Un suono secco e improvviso fu la goccia che fece traboccare il vaso, gettando in aria le mani Livia corse fuori dalla stanza dalla parte opposta a cui David era entrato, impazzita dal terrore.

Tutto era stato così inquietante e rapido che David si trovò spiazzato, incapace di reagire.

E quando tentò di imboccare la strada che aveva preso l'amica, noto con estrema preoccupazione che la porta non accennava a schiodarsi.

E il panico iniziò ad impadronirsi di lui quando scorse ciò che aveva presumibilmente turbato in tale maniera Livia:

dai fori del soffitto al capo opposto della stanza lentamente strisciarono fuori delle cose. Non potevano avere alcuna definizione se non...fleshlips.

Erano due ammassi di carne in putrefazione, racchiusi in quella che pareva una gabbia di ferro arrugginita e insanguinata.

Si muovevano...anzi dondolavano sul soffitto grazie ad alcuni tentacoli e rapidamente si stavano avvicinando alla sua posizione.

La parte inferiore del corpo doveva essere la testa, poichè parevano avanzare aggrappati capovolti al soffitto ma...non si poteva chiamare testa.

Erano semplicemente due grossi ammassi di carne, turpe riproduzione di un paio di labbra, irte di zanne acuminate.

Due braccia pendevano afflosciate e, non ci voleva un genio per capirlo, servivano per afferrare la preda di peso e sollevarla verso la "testa".

David comprese che se fosse stato afferrato quelle due creature lo avrebbero decapitato a morsi prima ancora che lui potesse reagire.

Fleshlips...il nome era appropriato.

Questa volta era veramente nei guai.

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Terminiamo con un bel cliffangher. Vi è piaciuto il capitolo? Si dico a voi, commentate per favore... dopo 8 capitoli solo una persona recensisce, non vi costa molto no? E non dite che vi fa schifo perchè altrimenti non continuereste a leggere ogni volto il nuovo capitolo...Be, RECENSIONI, anche solo 1, o il nuovo capitolo non arriva.

BUON ANNO NUOVO!!!

Posto ma son stravolto, se ci sono errori ortografici scusatemi.

   

 

ENTRA NEGOZIO VESTITI TROVA MANICHINO CHE POI SI ANIMA

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