Ho notato una cosa.

di bianfre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E' bella ***
Capitolo 2: *** cap. 2 ***
Capitolo 3: *** cap.3 ***
Capitolo 4: *** cap. 4 ***
Capitolo 5: *** cap. 5 ***
Capitolo 6: *** è odiosa ***
Capitolo 7: *** è speciale ***
Capitolo 8: *** 8. è pazza ***



Capitolo 1
*** E' bella ***


Ho notato una cosa.
 
 
E’ bella.
 

 
Non era certo come se l’aspettava.
Una caserma, un castello, una galassia
Chiamatela pure come vi pare, ma quella casa era davvero
qualcosa di, di, di….. osceno.
Inferiate, tutt’attorno ad una siepe alta e vasta, adornata
dai più colorati e profumati fiori primaverili. Prato così inglese
-che quasi temetti di veder sbucare Arthur da un qualche cespuglio,
munito di cesoia- e muricciolo, cosparso da piante rampicanti, con
all’estremità statue di angeli.
E nel mezzo, senza neanche bisogno di dirlo, stava la reggia.
Non ho ancora trovato un termine appropriato per quella vista,
ma ne elencherò innumerevoli nella speranza di farvi anche solo
immaginare lo splendore.
Maestosa, imponente, eccelsa...
Era una villa fottutamente fantastica, ok?
La mia stessa indole di 'chiacchierone dell’allegra compagnia' ne era
rimasto basito –tanto che non dissi nulla. Solo restai fermo lì, a riempirmi
gli occhi di cotanta bellezza.
Germania non poteva neanche lontanamente immaginare perché piansi.
Sarà stata la luce dell’alba su quel pezzo di terra troppo perfetta, sarà stata
la fresca aria estiva, l’odore pungente d’erba bagnata ma--- forse non fu tanto questo.
Perché il paesaggio conteneva qualcosa. Nell’aria, tra le spesse mura, c’era qualcosa.
Una cosa che faceva parte di Germania, che solo lui aveva vissuto e toccato.
E di cui io potevo solo vedere e meravigliarmi dall’esterno. Perché anche con
tutte le forze non avrei mai potuto conoscere tutte le realtà che quel luogo legava a Ludwig.
Come lui non sarebbe mai riuscito a capire il motivo per questo mio tanto scotimento.
“Benvenuto nella mia villetta segreta”.
Non seppi dire se la segretezza di quel posto fosse una battuta –vista la grandezza-
o una reale dimora emigrata dal resto del mondo.
Ma ne sorrisi, perché lui aveva deciso di mostrarla a me.
Non ad altri, solo a me.
Ed era bellissimo.
Quel posto sapeva di Ludwig.
Ed era bellissimo, davvero.
 


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Capitolo 2
*** cap. 2 ***


 



“E se ti parlassi di loro?”
Se ne era saltato fuori con una semplice domanda, spirata al vento.
Il suo sguardo non lo stava neanche considerando, ma lo disse
comunque a voce alta, per farsi sentire.
“Parlarmi di cosa?” chiesi sistemandomi il colletto della giacca,
fissandolo dubbioso.
Feliciano sorrise unicamente, voltandosi ora dall’altra parte.
“No nulla, non importa” disse calciando un sassolino nell’acqua.
Lo fissai ancora un po’ da dietro la spalla, voltandomi poi, riprendendo
a camminare.
Lo faceva spesso di lasciare i discorsi a mezz’aria, così, ponendo
le domande solo per il gusto di farlo.
Ma non pensava minimamente a quanto io mi rodessi il fegato per sapere.
Non sarebbe dovuto essere così ingenuamente crudele.
 
 

 
 
 
“Hai finito?”
Ho. I. Miei. Tempi.
Perché deve essere sempre così frettoloso? Che pensi ai suoi, di piatti.
“Non ancora”
E dire che è così palese. C’è ancora tutto il sugo da raccogliere, il pane
da mangiare, l’insalata da condire ma lui ha sempre fretta di finire, fretta
di fare, fretta che tutto sia pulito e in ordine. Fretta di vivere.
Dio Lud, possibile che tu non riesca a respirare, un secondo di più?
Stai soffocando.
 
 

 
 
 
Complesso d’inferiorità?
Non credo l’abbia mai provato, altrimenti penso che non vivrebbe
in assoluto per il senso di minorità.
Ha perso contro tutti, vinto guerre esigue, si è subito arreso ed è tuttora
incapace di progredire.
Complesso di superiorità?
Ha paura degli altri, non lo è.
Però con suo fratello è diverso. Li vedo ora parlare, e Feliciano ha
quell’incedere encomiabile che lo mette sotto una diversa luce.
Avevo sentito dire del problema dell’immondizia e della mafia al Sud.
Lo stava forse Compatendo?
 
 

 
 
“Ti ho visto parlare con quell’inglese”
Perché aveva aspettato così tanto per dirglielo?
“A cosa ti riferisci?”
“A due giorni fa”
Perché aveva aspettato così tanto a chiederglielo?
“Era tutto solo” spiegai.
“E’ un nemico. Sono affari suoi se è solo” e se ne era andato, portando
con sé il fucile, e un pezzo del mio sorriso.
 
 

 
 
Quella non era in assoluto una cosa ‘facile’.
“Non posso”
Non lo era affatto. Ma il mio compagno aveva deciso di ignorare
bellamente le mie lamentele. E le mie preghiere.
“Fallo fuori”
Aveva risposto così, con una pacatezza innaturale. Come se si stesse
parlando di dar da mangiare a un gattino, come se la cosa fosse normale.
“… non posso”
I gatti non si avvelenano con il cibo.
 
 



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Capitolo 3
*** cap.3 ***



“Sai che cosa disse?”
 
“No, cosa?”
 
Soppesai il candido fiore tra le dita, indeciso se strapparne le tenere piume, oppure tenerlo così integro com’era.
 
“Mi disse che fu il caso a farli incontrare”.
 
Lo guardai meglio ora, iniziando a staccarne i piccoli petali, uno ad uno, con minuzia.
 
Germania mi fissò delicato.
“Beh, al tempo non esistevano poi così tante nazioni… “ spiegò “sai, a me invece ha detto che era un tipo seccante e petulante”.
 
Italia continuò a prendere con pacata lentezza ogni candido sepalo, soffiando parole mute al vento, lasciandoli poi cadere ai suoi piedi.
 
“Un piantagrane che non faceva che ridere, mangiare e divertirsi,” Ludwig volse di nuovo lo sguardo a Feliciano, per un secondo; ma non ricevendo alcun cenno, continuò -“ma nonostante questo, lo ammirava. In battaglia non vi fu nessuno come lui; la sua audacia, la sua forza… era il suo eroe”.
 
Il moretto si fermò ora, un attimo, guardando il suo compagno.
 
“Lo ammirava?”ne era stupito.
 
Germania lo fissò scosso a sua volta.
 
“Stiamo parlando del grande Impero Romano dopotutto. Ne sei così sorpreso?”
 
Italia annuì energico, sorridendo poi, ritornando a torturare quel piccolo bocciolo schiuso.
“Nonno Roma era sì forte, ma… era anche un uomo tanto fragile. Metteva tutto se stesso nel combattimento e sai,
quando tornava a casa, se beveva un sacco lo faceva solo per dimenticare… cercava amore
nelle donne di corte perché ne era avaro.
E quando lui mi guardava e sorrideva, sentivo che mi amava davvero”.
 
Arrivò all’ultimo petalo, sorridendo intenerito.
 
“Credo che facesse sentire allo stesso modo anche Germania Magna~” disse porgendomi il piccolo pistillo oramai vuoto.
Lo fissai piano, volgendo poi lo sguardo all’italiano.
 
 
“ ’Mi ama’? ”
 
“Esattamente”.
 

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Capitolo 4
*** cap. 4 ***


 

“Hai un fratello particolare”
 
Oh, sapevo perfettamente a cosa facesse riferimento.
E’ solo che aveva beccato il giorno sbagliato, il momento sbagliato.
 
“Ma no, è solo che … ecco… non è come può sembrare, in realtà non è così!”
 
Germania lo fissò ancora più attentamente, voltandosi poi verso di me, sempre più convinto.
 
“No, no… è proprio come sembra”
 
E cos’altro avrebbe potuto dire dopo aver trovato Romano completamente nudo a ‘rilassarsi’ davanti ad un documentario sulla… Spagna.
 
HO APPENA GIRATO CANALE, si era giustificato questo, urlando come un ossesso.
 
Ma ciò non impedì ad Antonio di finire in ospedale, dissanguato.
 
E, beh... c’era d’aspettarselo.
 
 
 

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Capitolo 5
*** cap. 5 ***


Forse non era il momento adatto, ma di stare in casa non se ne parlava di certo.
Benchè le nuvole lasciassero presagire nient’altro che pioggia, non avrebbe sopportato un intero pomeriggio al fianco di quel maniaco di Francia e di quel beota di Spagna, perennemente presi a causargli una serie di crisi nervose.
 
Quindi aveva bellamente deciso d’imboccare la prima svolta a destra del vialetto, e di andarsene da qualche parte, lontano da presenze mal sopportate, evitando così coinvolgimenti in scenate vergognose.
 
 
Non lo fece apposta a capitare lì.
Preso com’era nei suoi mille pensieri, non se ne accorse nemmeno.
Però il fato fece che i suoi piedi si ritrovassero ora bagnati dalle candide onde del mar Adriatico.
 
“VEEEEH LUUUUD!!!” lo richiamò una voce alle sue spalle, facendolo trasalire. Dietro di lui comparve così l’allegro sorriso spensierato del suo alleato, con tanto d’occhi sbarrati per lo stupore. “Che ci fai qui?? Non mi hai detto che saresti venuto!” canticchiò allegro Italia, raggiungendolo di corsa.
Lo fissò ancora sbigottito il tedesco, non sapendo cosa dire, maledicendosi mentalmente per aver camminato fin lì per abitudine.
Il moretto si guardò un attimo in giro, notando poi i piedi del tedesco immersi di un gradino sotto il livello dell’acqua del canale.
“Veeeh Lud, ti stai bagnando le scarpe!” esclamò tironandolo per la manica.
Germania, che neanche se ne era accorto, imprecò salendo subito, fissando dispiaciuto le scarpe nuove completamente imbrattate di alghe e di acqua non proprio pulita.
ScheiBe---“ masticò mentre sbatteva il piede contro un muricciolo, continuando a borbottare ‘chi glielo avesse fatto fare di andare lì’.
Se stesso, forse…?
 

 
Feliciano sciabattava su e giù dalle scale, portando ogni volta un nuovo paio di pantofole da far provare a Germania, sperando che gli andassero bene.
Ma non capiva che non avevano lo stesso numero di piedi...?!
“Veeehhh Lud... anf anf… neanche queste vanno bene! Ah aspetta, nella mansarda dovrei—“
“Feliciano lascia strare per cortesia!” disse il biondo tirandolo per un braccio, prima che ripartisse. “Aspetterò che si asciughino, non c’è problema!” -sempre meglio che vederlo scorrazzare e stancarsi per tutto il giorno per motivi futili-.
Italia annuì piano, prendendo una sedia e sedendocisi in senso contrario, fissando ora il biondo arrotolarsi i pantaloni fino alle ginocchia.
“Veeh allora? Qual buon vento Lud?” chiese sorridendo sornione. Germania strizzò l’estremità dei jeans , asciugandosi poi le mani.
“Nulla di che. Antonio e Francis sono venuti a far visita a mio fratello, e non ero davvero in vena di sopportarli” ammise sedendosi su una delle tante seggiole.
Italia lo fissò dubbioso, alzandosi poi, prendendo dal mobiletto una bottiglia di vino.
“Vuoi?” chiese mentre me la porgeva davanti agli occhi, andando a prendere i bicchieri.
Fissai male prima lui, poi l’orologio.
“Feliciano sono le quattro del pomeriggio…” dissi evidentemente preoccupato per il suo... fegato?
“Veh, mica ho detto che dobbiamo bercela tutta!” rispose ridendo, porgendomi un bicchiere a coppa, riempiendolo fino a metà. Lo stesso fece col suo, portandoselo alle labbra.
“E’ buonissimo” soggiunse, facendolo rigirare tra le mani.
Lo fissai storcendo lieve il naso, ma pensando che poi, alla fine, non ci fosse nulla di male.
Saggiai la fredda consistenza con appena un cenno di lingua, annusandolo poi, muovendolo.
Il colore era di un rosso brillante, come lo stesso sapore, fantastico.
“E’ davvero buono” ammisi prendendone un altro sorso, vedendo il sorriso del moretto aprirsi -se è possibile- ancora di più.
Degustando l’ultimo goccio gli porsi il bicchiere vuoto, che rapido Feliciano ripose nel lavello, sciacquandolo subito.
“Beh, visto che sei qui…” prese a dire mentre asciugava le stoviglie con uno straccio “che ne dici se ti faccio fare un giro in gondola?”.
Lo guardai di stucco, vedendo il suo piccolo ciuffetto muoversi nervoso, mostrando un volto paonazzo d’imbarazzo.
Cosa…?
 
 

 
 
Quanto di questo aveva calcolato?
Lo aveva portato nella stiva.
L’intero luogo era impalato sopra delle grosse assi di legno, ben salde nel fondale marino ‘pieno di cozze’,soggiunse l’italico con sguardo affamato.
Alle pareti stavano appese tutta una serie di remi di varia lunghezza e dimensione, mentre nel mezzo c’era un enorme buco dove galleggiava tranquilla una gondola tipicamente veneziana: nera laccata con la classica estremità a pettine, guarnita di morbidi cuscinetti e ornamenti in oro nel mezzo.
Feliciano ci montò sopra con estrema facilità, facendo un balzo senza paura alcuna di perdere l’equilibrio.
Allungando il braccio aprì un normale cassetto nello scalino interno della barca, da cui ne estrasse un cappello di paglia legato da un singolo nastro rosso, una canotta a strisce bianche e nere, e un paio di pantaloni blu notte, come le scarpe.
Senza darmi tempo alcuno, iniziò a togliersi la maglietta che aveva indosso, esalando solo: ’un attimo, veh!”.
Imbarazzato mi voltai dall’altra parte, trovando ora estremamente interessanti quei piccoli depliant impolverati sopra lo scaffale.
Rigirandomi poi lo trovai preso a slegare la cima della barca, riponendola in un’apposita fenditura.
“Oh, il remo!” esclamò imbarazzato guardandosi attorno, puntando lo sguardo su di me, facendomi cenno col capo. “Potresti passarmi quella con le strisce blu??” chiese indicando una pala giusto dietro alle mie spalle, che presi con una certa fatica per la pesantezza, passandogliela poi.
“Grazie!”disse sporgendosi per brandirla, facendomi cenno di accomodarmi, porgendomi la mano.
Gliela strinsi abbastanza saldamente (avevo seriamente timore di cadere in acqua!) e con un balzo mi ritrovai comodamente seduto su quei morbidi divanetti di taffettà neri con drappo bordeaux, in armonia con il tappetino rosso ai miei piedi.
 
Italia puntò il remo in acqua, e con una leggera pressione la gondola iniziò a muoversi verso l’esterno.
Mi attaccai preoccupato ai lati della bagnarola, timoroso che da lì a poco si sarebbe sicuramente rovesciata.
Cosa che non avvenne.
Urlando un ‘gondola in stransito!’, ci ritrovammo con il muso onice diretto verso la casa di fronte. Preso dal panico non feci neanche in tempo a dire ‘a’ che Feliciano girò la barca con un colpo deciso di remo, gestendo la gondola come e dove gli pareva. Fissai allibito ora il canale libero davanti a me, voltandomi verso Italia. Il suo sguardo puntava dritto davanti a sé, dipinto da un sorrisetto furbo in volto, che mi dedicò strizzandomi l’occhio. Mi rivoltai leggermente imbarazzato, rilassandomi ora alla normale andatura del corso d’acqua.
 
Italia remava con calma e pacatezza, curvando nei vari vicoli senza alcuna brusca manovra e senza cedere il dolce decorso, spiegando ogni singolo luogo o casa che passavano, per quanto inutile fosse. Ludwig si stupì molto di questa sua dote come navigatore, ma non lo disse. Un po’ per orgoglio, un po’ perché se ne vergognava.
 
Le alte mura delle case mettevano in ombra la maggior parte del tragitto, creando una piacevole brezza fresca che fece di poco assopire il giovane tedesco.
“Veeh Lud~“ disse poi l’italiano sporgendo il busto verso l’amico, guardandolo ora dall’alto. Germania reclinò il capo all’indietro, ritrovandosi invischiato in quello sguardo denso come miele. “Che ne dici? Ti piace la mia città?”
A quella domanda il teutonico si sedette dritto con la schiena, lasciando ora vagare lo sguardo tra le strette insenature entro le case, i piccoli ponticelli strada facendo e le bancarelle ai lati piene di gente allegra e sognante. Le bianche lenzuola stese al cielo, riflesse lucenti nel mare calmo.
Se gli piaceva?
Ne era innamorato.
“Mmh” disse solo, facendo scorrere la punta delle dita nell’acqua, creando una scia mossa al suo passaggio, sorridendo impercettibile. Anche Feliciano sorrise, accucciandosi ora sotto il passaggio di un ponte, sfiorando appena i capelli biondi dell’altro con le mani.
Alzandosi, virò all’angolo di un piccolo giardino, passando in un vicolo molto stretto a cupo. Germania fissò preoccupato le pareti delle case sfiorare di un soffio i lati della gondola, girandosi dubbioso verso l’amico che non aveva mia perso il suo sorriso e la sua costanza.
Rincuorato, guardò ancora davanti a sé, chiedendo poi dove fossero diretti.
“Ora lo vedrai~“ rispose il moretto dando un colpo più forte di remo, facendoli emergere in pieno mare aperto.
 
Quello era…
 
Il cielo era azzurrissimo, privo di qualsiasi nuvola, tanto blu che in lontananza pareva un tutt’uno con il mare stesso. Altre gondole vogavano ora per quelle immense acque cristalline, salutando Feliciano di tanto in tanto, sorridendo allegri.
Non un’espressione annoiata, nessun affaticamento. Tutti quei turisti così entusiasti, i loro gondolieri così appassionati e voltandomi mettendo una mano a coprirmi gli occhi, Feliciano mi pareva ora la persona più felice al mondo.
Lasciando scorrere il remo, lo vidi accucciarsi, tirando fuori dal cassetto di prima un altro cappello di paglia, che mi porse sorridente. Lo presi e me lo misi in testa, sentendomi imbarazzato e… il mio cuore aveva preso a battere così forte.
Mi guardai ancora intorno, perdendomi nell’infinità di quel mare azzurro e alla vista della meravigliosa piazza che ora sostava alla nostra destra. Una cupola brillante si stagliava ponderosa, incorniciata da ampie statue di cavalli e maschere finemente riprodotte sopra ogni bancone.
“Piazza San Marco, in tutto il suo splendore”.
Mi sporsi appena per vedere meglio, mentre Feliciano, procedendo piano, non appostò la barca vicino ad uno dei tanti tronchi, legandoci saldo la cima, poggiando il remo al lato della barca. Non feci in tempo a voltarmi che mi passò al fianco, sedendosi ora davanti a me, stendendosi lungo tutto il sedile ed alzando gli occhi al cielo, respirando a pieni polmoni. Lo fissai profondo, facendo poi lo stesso. E nel cielo ora un aereo passava, lasciando una candida scia blanda a tracciarne il manto azzurro.
Rivolsi lo sguardo a terra e vidi Italia trafficare con un cestino per il pranzo, nascosto nel sotto barca senza che me fossi accorto.
Ne estrasse un panino imbottito, che mi porse sorridente: “Mortadella?” chiese tenendo in caso contrario un'altra pagnotta nella mano sinistra. Allungai la mano e lo presi, scartandolo.
“Mortadella grazie” dissi, e mi voltai di nuovo verso la piazza, masticando piano. Feliciano fece lo stesso.
 
Fu così che trascorremmo l’intero pomeriggio, cullati dal dolce andazzo dell’acqua mediterranea, a volte coronati da qualche gabbiano che volava pacifico lungo il cielo turchino, a volte accarezzati dall’allegro vociferare della persone per le strade.
Ed io e Italia restavamo stesi li, l’uno affianco all’altro, a bearci di quella splendida giornata a Venezia.
 
 

 
 
“Bruther si può sapere dove sei stato tutto il giorno!?” esclamò seccata la magnifica Prussia, esibendosi con il suo nuovissimo grembiule giallo pulcino, agitando qua e la il povero wurstel infilato nella forchetta.
Ludwig lo guardò con sufficienza ed entrò senza proferire parola, andando a sedersi distrutto sul divano.
“Hey West, che diamine, rispondimi!” insistette questo chiudendo la porta d’ingresso, procedendo a passo spedito verso il fratello, ora completamente steso sul sofà.
“Ma che ti importa…” rispose questo nascondendosi la faccia con il cuscino. “Piuttosto gli altri due coglioni se ne sono andati?”s’interessò.
A quelle parole Gilbert lo imitò facendo le boccacce, tornando in cucina.
“Si, stai tranquillo! Cavolo oggi ci siamo divertiti un mondo, perché te ne sei andato!?” blaterò da dietro la porta l’albino, imprecando contro Gilbird per aver zampettato sopra i suoi magnifici-quanto-il-sottoscritto crauti.
“Sono andato a divertirmi da un'altra parte” rispose solo il tedesco, pensando alla bellissima giornata trascorsa assieme a Feliciano. “E se tu ti sei divertito un mondo, io mi sono divertito un universo” disse sorridendo vittorioso, sentendo ancora l’emozione di quel luogo scombussolargli lo stomaco.
Prussia si affacciò ora da dietro l’uscio, gracchiando divertito.
“E’ per quello che hai indosso quelle assurde pantofole aliene?” disse indicando con il mestolo le adorabili pantofoline verdi con sopra disegnata una faccia di rana che Italia aveva prestato a Germania mentre le sue scarpe erano ad asciugare.
Ludwig alzò ora il guanciale, restando fermo a fissarsi i piedi dal fondo del divano, perdendo un battito.
Dopo di che si rimise il morbido cuscino in viso, scoppiando a ridere come un matto.
Pure le scarpe gli aveva fatto dimenticare, quell’italiano.
 
-Mi farà diventare pazzo- pensò felice il teutonico, raggiungendo il fratello in cucina.
 
 
 
… pazzo di quel luogo bellissimo che è l’Italia.
 

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Capitolo 6
*** è odiosa ***



Non è che lui sia debole o stupido.
“Feliciano, per favore. Non litighiamo per questioni futili”.
E’ solo così pigro.
“Io non voglio litigare, infatti. Ho solo detto che posso benissimo farlo dopo!”
La scena era questa: un giovane italiano tirato per i piedi da un tedesco pervaso da una fortissima crisi di nervi, aumentata dai continui piagnistei del più giovane che non accennava a staccarsi dai lati della porta.
Scena stupida, insensata e ridicola.
Cosa gli capitava di fare contro natura, a quel pover’uomo.
“Allora fa il tuo lavoro!” masticò tra i denti il biondo, tirandolo maggiormente dalle caviglie, sfilandogli quasi un calzino.
“NNOOOOHHHH!” fu il grido di rimando dell’altro che non cedeva alla presa degli stipiti.
“FELICIANO MUOVITI!”
“HO DETTO CHE LO FACCIO DOPO!”
“PERCHE’ DEVI SEMPRE RIMANDARE, FALLO ORA CHE POI HAI FINITO NO!?”
“MA CHE CAMBiA A TE SE LO FACCIO DOPO!?!?”
Altra sciocca questione: a lui cambiava eccome. Non era tanto il lavoro in sé a far fumare le cervella al teutonico, quanto il concetto. Il motivo.
‘Dopo’, ‘tra 5 minuti’, ‘un secondo’… sapeva che lo faceva apposta.
Teneva la storia del si, arrivo per far perdere la pazienza al tedesco così da far fare tutto a lui infine, presentandosi poi dopo mezzora sull’uscio della cucina, stupito, chiedendo perché il lavoro l’avesse fatto al posto suo.
Ma non questa volta.
“Ora tu ti alzi, ti metti al lavello e lavi quelle cinque cose che abbiamo usato a pranzo!!!”
“Ma io ho sonno!!! Che ti cambia se lo faccio dopo, quando mi sveglio!?”
“MI CAMBIA CHE NON LO FAI!”
“SI CHE LO FACCIO!”
“NO!”
“SI!”
“NO!!!”
“SIIII!!!” e avanti con questa tiritera per almeno un’altra decina di minuti.
Ludwig era furioso. Mollò un piede all’italiano, allungando la mano libera a prendergli la maglia, trascinandolo a sé e bloccandolo ora per le spalle, ignorando i suoi continui piagnistei.
“NO! Lud ho detto che lo faccio dopo!!!” urlò spaventato il moretto mentre il compagno lo portava di peso davanti al lavello.
Ormai per entrambi era diventata una questione di principio.
“Feliciano muoviti altrimenti le prendi!!!” disse tenendogli le mani e ficcandogliele nell’acqua.
“Provaci e chiamo fratellone Francia!!!” ribadii questo, voltandosi verso il biondo.
“Fallo e le prenderà pure lui!!!” sibilò l’altro spingendogli col proprio ginocchio la gamba contro il mobiletto in basso, provocando un lieve ‘ahi’ dalle labbra del più giovane, e una serie di improperi.
“sei un mostro, MOLLAMI!”
“lava i piatti e lo farò”
“non ci sono piatti!”
“APPUNTO, HAI SOLO POSATE E DUE BICCHIERI, TI CHIEDO TANTO!?” annaspò poi Germania, fissando malevolo il moretto che se ne era rimasto finalmente zitto, a fissare la schiuma nel lavello.
Ci stava forse … pensando?
Una manna dal cielo pensò felice Ludwig che aveva creduto di aver visto la luce. Feliciano aveva infine capito!
Ma dopo un profondo respiro, l’italiano si rivoltò verso il compagno, guardandolo storto:
“Non ci sono piatti, e allora si può sapere che urgenza hai per lavare queste due robette!? Posso farlo benissimo dopo!”disse con tono pacato come se lo stesse spiegando ad un bambino capriccioso.
Germania non ci vide più.
Perché il signore doveva avercela così tanto con lui…?
Perchè doveva essere così.. così… odioso!?
 

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Capitolo 7
*** è speciale ***


 
 
Un pugno, un calcio.
Un pestaggio, insulti e quant’altro di traumatico potesse essere inflitto a quel piccolo essere di nome Feliciano.
Le aveva passate tutte, dalle più infamie beffe alle più violente marachelle, fin da bambino.
Piangeva, si lamentava.
Ma alla fine aveva sempre perdonato tutti.
 
Troppo buono direte voi, che lo vedere così sorridente nei caldi pomeriggi di maggio, intabarrato sotto quel grande cappello di lino ricamato.
Il quadro di un santo, di un uomo in pace con il mondo e con chiunque vi abiti.
Tanto puro da non riuscire ad odiare davvero il prossimo.
 
E qui, vi pongo una domanda.
Semplice, piccola piccola.
Italia sorride a tutti, perdona tutti…
Quindi qualcuno può spiegarmi per quale assurdo motivo sbraita solo con me!?
 
Mi spiego.
Dove lo trova il coraggio anche solo di contestare quel che gli dico?
Oh, ma non è sempre stato così cocciuto. All’inizio era stato un rapporto molto tra capo e schiavo, non so se mi spiego.
‘Io parlo e tu fai’, era un po’ questo il nesso, anche se i risultanti non erano certo come appunto comandavo.
Lui ubbidiva, spaventato, attento per quel che poteva a non combinare scempiaggini.
E mano mano che il tempo trascorso insieme aumentava, lui mi si sedeva un poco alla volta sempre più vicino, scambiando qualche parola in più, qualche sospiro in più.
Sorrideva, ora. E rideva.
Infondo mi piaceva vederlo felice, anzichè costantemente in preda all’ansia. Quindi cominciai ad andargli incontro, ad essere più ‘morbido’, per quel che mi riusciva.
Trascorrevamo insieme il tempo fuori dal lavoro, frequentando medesime persone e luoghi, discutendo di ciò che ci piaceva e di quel che non ci piaceva, parlando, ascoltando…
Credo che fu proprio questo il mio errore.
Si aprì a me, molto.
Ma molto molto.
TROPPO insomma, avete capito!
E cosa ci ho ricavato?
Un’anatra starnazzante 25 ore su 24, che piange ride e mangia allo stesso tempo!
 
E mi abbraccia.
 
Oh Dio, Dio, quando fu la prima volta che… Ah già.
Dico ‘ah già’ con voce atona e spenta perché non ci fu neanche un particolare evento o motivo per farlo, o per darci una vaga giustificazione. Probabilmente si era solo svegliato di buon umore, fatto sta che una mattina si presentò davanti casa mia, e al solito cenno di saluto ci incorniciò un caldo abbraccio, avvolgendomi l’addome, appoggiando il capo sul mio petto.
Non mi sentii così imbarazzato da quando mio fratello mi aveva calato le braghe durante la recita di quinta elementare.
 
Comunque è successo così, a grandi linee.
E da quel giorno ha preso anche ad essere più impertinente e a rispondere ai miei ordini.
E a scapparmi via (questo però glielo devo perché quando ci si mette sa davvero correre come un ghepardo. Quindi è anche un bene, almeno si allena).
 
Anche se i momenti teneri sovrastano sempre quelli polemici, è un aspetto che Feliciano mostra solo con me.
Sorride e ama le altre persone, ma nei miei confronti è sempre in modo diverso.
 
 
 
Dice che sono speciale.
 

Non so se considerarlo un pregio o un difetto, a questo punto.
 
 

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Capitolo 8
*** 8. è pazza ***


 
Come se mi importasse.
Avanti, avanti vieni con me.
Ancora da solo? Oh, tu della vita non hai capito un cazzo.
Il tram parte, e io non ci sto più con la testa.
Ancora da solo? Pesta i piedi, muoviti dai.
Alzati, cammina e balla fino a notte fonda.
Fino a non capire più nulla.
Il tram parte e tu non ci stai più con la testa.
Guardati ora, uomini e donne intorno.
Tutto gira, tutto muove, tutto scorre.
Come se mi importasse.
Avanti muoviti con me.
Fare l’amore con me?
Hahaha sicuramente non ti piaccio ma—
La tua mano dove va?
Oh, tu dell’amore non hai mai capito un cazzo.
Ancora da solo?
No, ora non più.
Sul tram il posto al mio fianco è vuoto.
Ma io sono in piedi hahaha.
Avanti, avanti vieni con me.
Ancora da solo?
Come se mi importasse.
Dell’amore non ho mai capito un cazzo.
Ora tutto gira, tutto muove, tutto scorre.
Guardati ora, uomini e donne intorno.
Il tram parte, e noi non ci stiamo più con la testa.

 
 
Canta a squarcia gola, la musica così alta ma lui è nel mezzo della pista e non gli interessa.
Prosecco sulla sinistra e non lo avevo mai visto così pazzo.
Arthur al fianco non lo sta ad ascoltare, Francis è ancora troppo vicino ma Italia lo chiama a ballare, lo prende sottobraccio e Gilbert ci si immischia a ruota.
Tre completi ubriachi fatti di musica dance anni ‘90.
Il ritmo ancora più veloce -il mio piede batte il tempo in un modo così imbarazzante- e mio malgrado Italia se ne accorge.
Salta, mi prende un braccio e ha la forza di alzarmi. Mi butta tra le grinfie di mio fratello, inizia ad urlare eccitato, a danzandomi intorno.
Mi porge da bere, costringendomi a tenere il suo bicchiere in mano prima di farlo finire a terra come gli altri.
Sorride, ride come un matto, m’incita a bere e sono costretto a farlo.
Non ho idea di cosa succede, ma già la testa mi gira e questa è la botta finale.
Mi si avvicina, si alza appena sulle punte e mi bacia veloce sulle labbra, tornando subito al posto, indietreggiando di uno, due, tre passi.
A tempo di musica, a tempo di ritmo, io lo guardo stranito e lui pare non darsene pensiero.
E il ritmo è così veloce che accellera anche i miei pensieri. Non ci do bado, non lo ricordo neanche più.
Mi lascio contagiare dal momento, mio fratello che mi gira intorno e va bene così.
 
 
L’italiano ripete le parole della canzone, cantando a squarcia gola, la musica così alta ma lui è nel mezzo della pista e non gli interessa.
Ora con una strana luce negli occhi, ora con un sorriso tutt’altro che spensierato.
Non lo avevo mai visto così pazzo.
 
Il tram parte, e noi non ci stiamo più con la testa.
 
 
 



 
 
Non che sia una grande fan di Fabri Fibra (proprio per niente a dirla tutta) ma questa canzone mi piace!
http://www.youtube.com/watch?v=y_KQEe7Zd_Y
 

Ah mesi fa mi sono creata un utente su Deviantart per i miei disegni, quindi se volete farci un salto siete i benvenuti/e =)
 
http://maryluis.deviantart.com/

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