Alle Cinque In Punto

di Marrs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sì, sempre e solo sì ***
Capitolo 2: *** Un tuffo nel passato ***
Capitolo 3: *** I colori del Natale ***
Capitolo 4: *** Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio ***



Capitolo 1
*** Sì, sempre e solo sì ***




Capitolo UNO - , sempre e solo sì.



Il concetto fondamentale che la vita ci insegna ancor prima di conoscere il significato delle parole “concetto” e “imparare” è quello di famiglia. E fin qui non dovrebbero esserci problemi, dal momento che l’esperienza ci dimostra sin dal concepimento che ognuno di noi è il frutto di un grande amore, o così dovrebbe essere. Il mondo è pieno di contraddizioni però, no? Forse un po’ troppo spesso sentiamo raccontare storie a cui ci è difficile credere, perché non le sentiamo nostre. Tra tutte, la mia vicenda probabilmente sembrerà un banalissimo incidente di percorso. Eppure posso assicurarvi che non sia così facile da affrontare, soprattutto quando vedi il muro di certezze costruito mattone dopo mattone in diciotto anni di lotte e sacrifici crollare, quasi fosse fatto di cartapesta . Non mi sarei mai più rialzata; non avrei ricostruito quel muro, perché con sé portava troppa sofferenza. O meglio, così credevo…
 

><><><>< 

 
Mi sentivo priva della mia solita sicurezza, quel tratto così dominante nel mio carattere da mettere soggezione a chi ancora non mi conosceva bene. Trovavo soddisfacente che gli atri mi guardassero attenti a non commettere alcun errore; sapevano di dover essere sempre pronti a mettersi sulla difensiva dopo un passo falso che avrebbe sicuramente scatenato una mia risposta senza possibilità di replica. No, non credo fosse sadismo. Morbosa necessità di rispetto. Paradossale come esternassi tutta quella sicurezza solo per non mostrare quanto in fondo fossi debole. Avevo dato fiducia così tante volte a persone così tanto sbagliate da essermi chiusa in un guscio impenetrabile, nel quale non avrei permesso a nessuno di entrare. Nessuno, tranne la mia famiglia. Se qualcuno mi avesse chiesto chi fosse mia madre, avrei risposto - La mia migliore amica, ovvio!- mentre mio padre aveva assunto il titolo di “Consigliere personale dello shopping” nonché la figura su cui contavo di più quando volevo essere rassicurata, nonostante il dialogo tra noi non fosse sempre così facile. Anche mia sorella aveva un ruolo non meno importante in tutto ciò, “piccola pazza della casa” che avrei difeso a qualunque costo, anche dandole lezioni piuttosto dure. Non ero molto espansiva, nemmeno con loro, ma contavo sul fatto che loro capissero tutto senza bisogno di troppe parole. Ciò di cui non avevo tenuto conto era quel vecchio proverbio, fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Cominciò così l’inutile valanga di litigi con mio padre, gli sfoghi inutili con mia madre che servirono solo a peggiorare la situazione. Purtroppo mi accorsi troppo tardi dell’irreparabile situazione che la mia testardaggine aveva creato. Non avevo scusanti, se non il banalissimo orgoglio che contraddistingueva tutta la mia famiglia.
Inizialmente l’aria di casa nostra era irrespirabile. Mio padre chiuso nel suo silenzio, mia madre carica di improvvise responsabilità che prima le toccavano in parte, mia sorella alle prese con la classica ribellione adolescenziale. E poi, c’ero io.
Tutto questo, però, accadeva due anni fa.
Ormai erano passati quattro mesi da quando il mio consigliere personale aveva preso la sua strada e mia madre aveva perduto quel ruolo di migliore amica che fino a qualche tempo prima le spettava di diritto. Avrei dovuto reagire diversamente, visto che già da un anno ero pronta al peggio. Inoltre non ero per niente sola, ero ben consapevole di non essere l’unica ragazza al mondo con i genitori separati; ma proprio non riuscivo a capacitarmene. Ero da sempre abituata a dover combattere con entrambi e a vederli difendersi l’un l’altro; il mio punto di riferimento in ogni istante. Solo adesso invece mi rendevo conto di quanto la felicità fosse precaria, di quanto potere avessero le parole e, ancor più, i gesti. Perché non avevo impedito tutto questo? Ripetevo a chiunque che fosse meglio così, ma, più che una spiegazione per gli altri, sembrava essere un tentativo di auto convincimento mal celato a me stessa; così sorridevo e dentro di me continuavo a chiedermi quando sarebbe finita. Spesso mi ritrovavo a parlare a vanvera con qualche conoscente e a toccare superficialmente questo tasto dolente, cercando una valvola di sfogo per poter liberare sentimenti contrastanti e paure attanaglianti. Come spesso accade, però, non trovavo mai nessuno in grado di cogliere quella sottile sfumatura grigio tristezza che traspariva dalla mia voce quando parlavo di loro. Avevo un incredibile bisogno di aprire il mio cuore a qualcuno, una necessità primaria di ascoltare i consigli di qualcuno in grado di capirmi, volevo solo un po’ di sostegno in un periodo per niente semplice della mia vita. Volevo potermi fidare nuovamente di qualcuno, volevo potermi mostrare debole. Ma la dea bendata mi aveva voltato le spalle e non sembrava esistere persona in grado di ascoltare le paturnie di una ragazzina che, raggiunti i diciotto anni, credeva di poter spaccare il mondo e che ora, invece, si ritrovava a dover combattere contro se stessa per poter riemergere da quella pozza nera in cui stava annegando da ormai più di un anno.
Avrei tanto voluto poter aprire uno di quei siti web in cui prenotare al volo un biglietto aereo per una destinazione ad almeno cinquemila chilometri dal paesino in cui abitavo sin dal mio primo giorno di vita; ma non mi era dato di fare neppure questo dal momento che le finanze di famiglia non erano in buono stato e che io non ero ancora riuscita a trovare un lavoro che si conciliasse con gli impegni di una liceale. Se almeno la scuola mi avesse dato le tante desiderate soddisfazioni, forse non sarei arrivata ad odiare la mia vita fino al punto di chiudermi in me stessa, non permettendo più a nessuno di intaccare il precario equilibrio che avevo trovato con me stessa. Invece, fortunata come sempre, stavo frequentando il quinto anno di un liceo scientifico situato in un paese vicino al mio, con un anno di ritardo perché avevo ben pensato di farmi bocciare durante uno di quei gironi infernali, quasi non bastasse sprecare lì dentro un migliaio di giorni della propria vita. Non che non mi piacesse studiare, anzi. Infatti, quando qualcuno mi chiedeva quale strada avrei intrapreso dopo il diploma, rispondevo prontamente - La facoltà di giurisprudenza! -
E così era stato, in effetti.
 
- Eli, sei ancora al computer? Sai che si sta facendo tardi, vero? Muoviti o non arriveremo più a lezione! E non voglio rinunciare al mio cappuccino solo perché sei un’eterna ritardataria! -
- Arrivo subito, Michi! Due minuti, mi preparo al volo. Non ti chiederei mai di fare a meno della tua colazione - risposi, aggiungendo poi sotto voce - Potresti rinfacciarmelo per i prossimi due mesi… -
- Guarda che ti ho sentita! -
- Ops! -
Micaela era sempre rimasta con me, sin dal giorno in cui aveva deciso di regalarmi uno di quei suoi  sorrisi tanto speciali che le illuminavano il viso quotidianamente. Ormai eravamo ben consapevoli del legame che ci teneva unite. Nulla avrebbe potuto separarci. Un migliore amico si sceglie per la vita, o così credevo prima che qualcosa di cui non ero a conoscenza nemmeno io mi aveva separato da lui.
- Stavi ancora perdendo tempo con quello stupido progetto di scrivere i tuoi ricordi su una pagina virtuale? Se è così, rispiegami per quale motivo perché proprio non ti capisco! - mi disse facendo capolino dalla porta della mia stanza.
- Non è un progetto stupido, solo un diario al passato. -
Avevo deciso di mettere per iscritto la mia vita con l’intento di non scordarne neanche un attimo, anche se la verità forse era che non volessi dimenticare ogni attimo della mia vita in quei due anni che mi avevano annientata, seguiti da altri due anni che mi avevano resa tanto diversa dalla ragazza che si nascondeva dietro ad una parvenza di orgoglio e sicurezza dopo il duro colpo subito.
- Siamo sicure non c’entri Chr… -
- Shhh! Voglio dimenticare il nome di quello stronzo e tu non mi sei di aiuto continuando a ripeterlo! - 
Aveva ragione, lo sapevo bene. Di certo però non avrei permesso alla mia migliore amica di credere che stessi soffrendo ancora per il suo abbandono. Mi aveva consolata troppe volte, troppe volte mi aveva tenuto compagnia ascoltando l’immenso vortice di pensieri che mi occupava la testa e non volevo che questo strazio si prolungasse ulteriormente. Inoltre volevo veramente mettere fine a tutta quella storia legata al nome di uno, come già detto, stronzo. E ci sarei riuscita, ne ero certa.
- Bene, allora riformulo la domanda. Siamo sicure che l’ “Innominato” non abbia nulla a che vedere con questa improvvisa voglia di ricordare? - enfatizzò sull’ultima parola.
- Non dire sciocchezze! Lo faccio solo per me stessa, perché mi piace scrivere e fare tesoro delle mie esperienze. Il cassetto “Chr… ehm, Innominato” ormai è sigillato - fu la risposta risoluta che diedi a Micaela. Naturalmente lei non crebbe a una sola parola, ma accettò di buon grado la mia poca voglia di parlarne. Dovevo ancora accettare quanto difficile potesse essere lasciarlo andare e la mia migliore amica, la stessa che mi aveva passato una quantità industriale di fazzolettini in quei mesi, sapeva che avrei scelto da sola il momento adatto alle confidenze.
Così annuì e mi disse di prepararmi velocemente.
Quando fummo pronte, ci avviammo verso il nostro bar preferito, il Coffee Dream, dove prendemmo di corsa due cappuccini e ci affrettammo fuori di lì alla volta dell’università.
Fu proprio in quel momento che il mio sguardo si posò oltre la vetrina di un negozio, lo stesso che mi piaceva guardare ogni mattina passando da lì. Quello che non potevo prevedere, però, era chi ci avrei trovato dentro e la valanga di ricordi che si sarebbe riversata di fronte ai miei occhi increduli, appannandomi la vista per qualche secondo…
 
- Perché mi manchi!- dissi ostentando sicurezza. Volevo capisse davvero l’importanza del ruolo che ormai ricopriva nella mia vita e che non si limitasse a chiudere i compartimenti stagni del suo cuore, rinunciando per sempre alla nostra amicizia.
- Devo andare Elisa, gli altri mi aspettano- fu tutto ciò che mi rispose. Poi si voltò e cominciò a camminare in direzione del cancello d’entrata.
Rimasi lì, senza parole. Ero stata abbandonata, di nuovo. Come quando i miei genitori avevano deciso che vivere tutti sotto lo stesso tetto non fosse più una buona idea. Dopo loro, gli unici in cui avevo riposto tanta fiducia e a cui avevo donato tanto affetto erano lui e Micaela. In quel momento, però, a uno dei due non sembrava importare più nulla di me dal momento che mi aveva liquidata con noncuranza chiamandomi persino Elisa.

 
Ed eccolo di fronte a me, solo una lastra di vetro a separarci. Eppure lo sentivo distante anni luce. Christopher stava riponendo uno dei capi di abbigliamento su uno scaffale e, fortunatamente, sembrava non essersi accorto della mia presenza. Avrei voluto voltarmi prima che fosse lui a farlo, ma non avevo fatto i conti con le mie gambe: sembravano pietrificate. In quel momento, quindi, luisi accorse di me, fissandomi stupito mentre io, non sapendo che fare, riportai frettolosamente lo sguardo avanti a me. Afferrai Micaela per un braccio con la scusa del solito ritardo e mi allontanai il più possibile dai ricordi che prepotenti m’invasero nuovamente la testa, pronti per essere trascritti su di un computer.
 

><><><>< 

 
Non ce la facevo più. Avevo agognato tanto quel piccolo momento durante le estenuanti otto ore di lezione che avevo dovuto affrontare.
Non appena varcai la soglia, la mia pelle calda a causa dell’elevata temperatura delle aule universitarie si scontrò con il freddo di Novembre. Non pensavo sarei riuscita ad assaporare quella sensazione di libertà reggendomi sulle mie gambe. Ero davvero esausta.
- Non lo senti nell’aria? - esclamò entusiasta Micaela, interrompendo l’analisi dettagliata della reazione involontaria del mio viso al contrasto caldo-freddo. Nel frattempo lei, sorridendo, socchiuse gli occhi e rivolse il viso verso i timidi raggi del sole che facevano capolino dalle nuvole. Non c’era che dire, la mia Michi era proprio una bella ragazza; ventuno anni, una folta chioma rossiccia e occhi di un azzurro splendido. Dal suo metro e settantacinque non aveva nulla da invidiare alle sue coetanee. Aveva il fisico perfettamente proporzionato, l’aria sbarazzina e tanta voglia di vivere; e i ragazzi non la lasciavano passare senza prima averla squadrata per bene.
E lei era così sbadata ed esuberante da non accorgersi di avere il mondo ai suoi piedi!
- Cosa? - chiesi, disorientata.
- Il profumo di libertà, Eli! Possibile debba spiegarti tutto?! - fu l’ovvia risposta della mia folle amica. Inutile dire che, nonostante la conoscessi da quasi tre anni, ogni volta che cercavo una normalissima risposta alle sue domande, lei me ne regalava una delle sue quasi fosse di facile intuizione e non la più disarmante. Comunque, anche in questo caso, aveva semplicemente dato voce ai miei pensieri. L’unico intrattenimento di quelle otto ore era lo studio approfondito del colore dell’intonaco che mutava ogni due ore e solo perché ad intervalli regolari il professore ci annunciava il cambio di lezione.
Ad ogni modo vedendo che tardavo a rispondere, Micaela colse l’occasione al volo per continuare il suo sproloquio.
- Abbiamo ben quattordici ore di libertà davanti! Naturalmente abbiamo anche tante pagine di diritto nel nostro futuro più prossimo, ma questo non sarà un nostro problema per almeno un paio ore visto che ho intenzione di trascinarti a prendere un caffè! -
- Oh, mia salvatrice! - esclamai ridendo del suo tono convinto. Quel giorno però non potevo certo darle torto. Il lunedì all’università era un vero incubo. Io e Micaela passavamo sempre un weekend più bello dell’altro e la voglia di sentire la sveglia delle sei la mattina seguente non c’era mai. Anche se, con un’amica come lei non si poteva pretendere di avere sempre piacevoli sorprese dai fine settimana che si organizzavano. Ricordavo ancora quella volta in cui…
 
- Dai Eli! E’ tanto carino quel posticino e io non ho avuto ancora occasione di provarlo. Fammi compagnia, ti prego!-
Odiavo quando sfoderava la sua espressione da cane bastonato e congiungeva le mani cercando di rendere più efficace la sua preghiera. Di solito era in grado di farmi accettare qualsiasi cosa, o quasi senza che me ne rendessi conto. Questa volta però non ero intenzionata a lasciarmi incantare.
- No, non verrò con te a quello stupido ristorante messicano! Sai bene quanto poco io tolleri i cibi piccanti e non ho intenzione di stare male tutta la notte per un tuo ennesimo capriccio!-
- Non puoi farmi questo! Non mi faresti mai del male, lo so. Ti prego, Eli. Ti prego, ti prego, ti prego!-
- Odio il messicano! E se mi si corrode lo stomaco per colpa del tuo stupido peperoncino? Mi avrai sulla coscienza! Sai anche questo?-
- Grazie, tesoro! Sapevo che mi avresti detto di sì! Ora sbrighiamoci, dobbiamo prepararci…-
Alla fine mi ero ritrovata a cedere, come sempre d’altronde.
Arrivate a metà serata, dovetti persino ricredermi: era tutto squisito e la mia compagna di avventure non smetteva di propormi nuove pietanze da assaggiare. Sarebbe stata una cena fantastica, se fosse continuata e finita sulla stessa linea. Peccato che ad un tratto Micaela non avesse dovuto chiamare il 118 e che mi avesse dovuta accompagnare nella folle corsa all’ospedale perché il mio palato sembrava essere sul punto di offrire uno spettacolo pirotecnico a sole mie spese e tutto perché lei aveva voluto farmi assaggiare delle polpette “non molto piccanti, lo giuro!”
Con Micaela era così, non sapevi mai cosa aspettarti.

 
Comunque le lezioni di quel lunedì erano state ancor più devastanti. Questo soprattutto a causa dello sguardo familiare che avevo incrociato quella mattina, lo stesso sguardo che mi mancava da morire da più di sei mesi e che mai avrei pensato di poter rincontrare all’interno di quel negozio. Purtroppo però la mia codardia e il mio senso di colpa nei confronti della mia migliore amica mi avevano impedito di raccontarle tutto, tenendo come mio solito tutto dentro e fingendo indifferenza di fronte a ciò che sapevo mi avrebbe lentamente logorata per l’ennesima volta.
Non le avevo mai raccontato precisamente neanche quello che era successo nella mia famiglia. Forse perché il senso di colpa era così incatenato al mio cervello da impedirmi di liberare la coscienza. Mi ero ostinata a voler proseguire i miei studi lì, in quel maledetto liceo, e tutto ciò che avevo ottenuto era stata la separazione dei miei genitori. Avevano preteso di far valere le loro ragioni l’uno sopra quelle dell’altro per me. Avevano accantonato il bisogno di proteggersi l’un con l’altro a causa mia. Mia madre, una persona dotata di grande sicurezza e testardaggine, voleva difendere a tutti costi il mio diritto allo studio senza continue pressioni da parte di mio padre; mio padre dal canto suo, amareggiato dal mio rendimento e orgoglioso di natura, sembrava ormai rassegnato al mio ennesimo fallimento e non faceva altro che cercare di spronarmi a fare meglio o a cambiare scuola.
- Coffee Dream? Stamattina siamo schizzate via subito e non sono riuscita a vedere se ci fosse l’uomo del mistero. Tutto per colpa del tuo diario virtuale! -
- Se ti decidessi ad andare a parlargli, Michi, forse potreste darvi appuntamento senza paura di arrivare qualche minuto dopo e non incrociarlo -
- Sì sì, io prendo il nostro tavolino. Tu continua pure a dormire all’entrata, tartaruga! -
- Ehi, non cambiare discorso… Non vale! - Perché sprecavo parole con lei? Come sempre, Micaela mi aveva fregata. Era scappata verso la saletta del locale e aveva già preso posto al tavolo nell’angolo a sinistra del locale, quello che affacciava sulla strada.
Chi si sedeva per ultima pagava il caffè. Era così da due anni ormai ed io non avevo ancora imparato a non farmi distrarre dalla parlantina della mia amica, riuscendo così raramente a farmi offrire un caffè da lei. Per fortuna, si faceva sempre perdonare con uno dei suoi manicaretti a cena dal momento che in cucina non ero per niente ferrata.
Non appena mi avvicinai al bancone, fui colpita in pieno viso dall’aroma di caffè. Quanto avevo agognato quel momento!
- Scusi, potrebbe prepararmi un caffè macchiato e un espresso? Grazie. -
- Li preparo al bancone oppure li por…- Le parole sembrarono morirgli in gola, costringendomi ad alzare lo sguardo fino a poco prima posato sul portafogli aperto.
C’è un momento della vita in cui credi di aver toccato il fondo. Ci si chiede se ancora qualcosa possa sorprendere qualcuno arrivato ormai al limite. La risposta è .
Bocca spalancata poco elegantemente, gambe molli, occhi fuori dalle orbite. Un pesce lesso, ecco cosa sembravo. Era possibile incontrare due volte nell’arco di otto ore la stessa persona? Ancora una volta, la risposta era .
Christopher era proprio di fronte a me e mi guardava più o meno con la stessa espressione stupida che io avevo dipinta sul volto. Non avevo idea di come comportarmi. La parte ben poco razionale di me voleva rivolgere la parola al mio ex migliore amico per chiedergli come stesse; la parte dotata d’intelligenza propria non permetteva ai miei piedi di scollarsi dalla piastrella su cui stazionavo da ormai più di tre minuti. Alla fine mi limitai a rispondere con quel poco fiato che avevo in gola - Al bancone, grazie. -
Poteva una giornata cominciata male, concludersi ancor peggio?  Naturalmente, .
 

><><><>< 

 
Ad un certo punto, mentre tornavamo a casa, vidi Micaela sbracciarsi verso l’altro lato della strada. Decisi di seguire il suo sguardo, fino ad incontrare quello di Andrea, nostro vecchio compagno di liceo. Ero per caso finita in una puntata di C’è posta per te?
La nostra vecchia conoscenza ci raggiunse sul marciapiede opposto e si sporse ad abbracciare prima la mia amica, poi me.
- Che mi raccontate di bello? E’ una vita che non ci si vede! - aveva esordito Andrea, ricordandomi perché c’erano momenti in cui l’avrei volentieri preso a per il collo. Aveva una dote innata per urlare in faccia a persone che si trovavano ad un palmo dal suo naso.
- In realtà sono solo due mesi che non ci vediamo. Per la precisione dalla… -
Avevo cominciato a parlare velocemente, imitando il suo tono sostenuto di voce; ma l’occhiataccia della mia amica, che da sempre aveva una particolare simpatiaper quella scimmia urlatrice, mi fece desistere dal continuare.
- Elisa voleva dire che sono due mesi che non ci vediamo, ma che sembra essere passata una vita. Giusto, Eli? - Mi avrebbe uccisa se avessi risposto che quella era la sua libera interpretazione? Ovviamente, .
- Proprio così! - ma la voce mi uscì un’ottava sopra il credibile, facendomi guadagnare un’altra occhiataccia da Micaela e una risata smorzata da Andrea.
- Ecco! Comunque, noi stavamo tornando a casa. Ti va di prendere un caffè da noi, così ci raccontiamo qualcosa di questi mesi? - propose entusiasta lei.
- Non potrei mai rifiutare! Se per Elisa non è un problema, naturalmente… -
- Oh… Beh, veram… - ma non feci in tempo a finire quel mezzo farfuglio che la mia amica s’intromise.
- Figurati! La mia Eli è sempre contenta di avere ospiti in casa - chiuse così la questione.
E così ci avviammo verso due ore di profonda tortura, mentre quei due cominciavano già a raccontarsi i primi dettagli di due noiosissimi mesi. Mi chiedevo cosa si sarebbero detti una volta arrivati davanti a questo famoso caffè, vista la monotonia della nostra routine quotidiana.
Imparai però che non c’è mai limite al peggio. Infatti, mentre Micaela appoggiava il vassoio con i caffè sul tavolino, Andrea disse: - Sai chi è arrivato in città una settimana fa? Chri… Ahia! -
Ops, forse avevo esagerato conficcandogli un tacco nel piede. Beh, la prossima volta sarebbe stato più attento a ciò che diceva.
- Che hai combinato? - chiese un’allarmata quanto confusa Micaela.
Il mio compagno di liceo mi lanciò uno sguardo carico di domande, a cui risposi con uno fulminante che lo spinse a rispondere subito - Niente, ho solo sbattuto contro il tavolino. - E sfoggiò un sorriso piuttosto convincente.
Certo, fosse stato per la mia amica, avrebbe creduto a qualsiasi cosa le avesse detto dal momento che pendeva letteralmente dalle sue labbra. Chissà che ci trovava d’interessante.
- Oh, mi dispiace - s’incupì per un istante. - Comunque, dicevi? Chi è arrivato in città? -
- Chri… Cristiano! -
Per poco non mi strozzai con la ciambellina che mi stavo gustando. Cristiano? Chi era Cristiano?
 - Chi è Cristiano? - Sapevo che Micaela non si sarebbe lasciata sfuggire quel piccolo, insignificante dettaglio. Christopher, era quello il vero nome. Ma io non volevo che la mia amica sapesse che si trovava in città, non ancora perlomeno. Ecco perché avevo reagito così quando Andrea era sul punto di rivelarglielo.
- Ma come, non te lo ricordi? Il secchione che al secondo anno di liceo perseguitava Elisa per un appuntamento al museo delle cere! -
Come era quella parola? Sì, proprio quella che inizia per S… Ah, stronzo.
- Certo! Come dimenticarlo? Anche se credevo si chiamasse Giacomo…- E non aveva torto.
Quel ragazzino mi aveva tormentata per un anno perché si era preso una cotta per me. Fortunatamente era poi arrivata una ragazza che aveva espresso il suo stesso desiderio di visitare quel museo e Giacomo si era dimenticato di me.
- Comunque, te lo ricordi anche tu, vero Eli? Hai minacciato di denunciarlo per stalking un centinaio di volte, prima che finalmente trovasse la sua anima gemella e ti lasciasse in pace! - riprese Micaela.
Sorrisi appena, evitando di conficcare un tacco nell’altro arto di Andrea solo per la sua bravura nell’improvvisare.
Verso le sei, con gran dispiacere della mia coinquilina, il nostro amico decise che era giunta l’ora di andare. Così preparammo la cena, scambiammo quattro chiacchiere sulla compagnia del pomeriggio e su Cristiano, che in realtà era Giacomo, e ci chiudemmo nelle nostre stanze.
Potevo dichiarare conclusa quella giornata, che di fine non sembrava mai averne? Finalmente, .

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Capitolo 2
*** Un tuffo nel passato ***




Capitolo DUE - Un tuffo nel passato


 

"Christopher. Questo cambiamento avrebbe portato il suo nome."
 

- Te lo dirò una volta sola. Rispetta la tua decisione, fingi di non conoscermi. Non voglio che tu mi offra un caffè perché ti senti in colpa per come ti sei comportato. Hai scelto chi meriti la tua compagnia? Perfetto, anche io. E tu non rientri nella categoria di queste persone da molti mesi ormai. -
Spietata. Le mie parole sarebbero suonate cattive a chiunque in quel bar probabilmente; ma lui sarebbe apparso altrettanto insensibile per il comportamento che mi aveva riservato dopo due anni di stretta amicizia. Potevamo considerarci quasi pari. Quasi.
Mi ero poi voltata con i due caffè in mano, attenta a non rovesciarli per il troppo nervosismo, e mi ero allontanata dal bancone ingoiando quel groppo alla gola che minacciava lacrime da un momento all’altro. Quella giornata era cominciata male.
Mentre attraversavo la sala lasciavo scivolare l’attenzione su genitori apprensivi che controllavano che la loro piccola non combinasse disastri con quella brioche farcita di marmellata; coppiette felici che trascorrevano la colazione insieme, preferendo comunque ad un cappuccino il perdersi nello sguardo l’un dell’altro alla ricerca di quell’amore tangibile che li legava; o ancora anziani che battibeccavano per chi quella mattina sarebbe dovuto andare a prendere il nipotino a scuola, decidendo che la miglior cosa sarebbe stata andarlo a prendere insieme e scambiandosi infine un sorriso carico di tutta quella complicità propria solo di chi ha passato gli ultimi quarant’anni prendendosi cura del compagno o della compagna. Poi c’erano loro. Due ragazzi sedevano ad un tavolino in disparte e sorseggiavano distrattamente un caffè, probabilmente il più lungo della loro giovane vita. La loro attenzione sembrava essere concentrata su particolari insignificanti come le pieghe della tovaglia o il numero di bustine di zucchero presenti nel cestino. Una persona con qualche anno in più di esperienza però si sarebbe subito accorta della fugacità dei loro sguardi che cercavano di studiarsi a vicenda, abbassandosi poi non appena  l’imbarazzo affiorava sulle loro gote.
Distolsi immediatamente lo sguardo, terrorizzata all’idea che la genuinità di quel rapporto potesse intaccare il mio già precario equilibrio. A poco valsero i miei sforzi però.
Solo pochi minuti prima avevo dovuto affrontare Christopher, quello che ancora faticavo a considerare parte del mio passato. Il mio affetto nei suoi confronti non era ancora svanito, piuttosto affievolito di quel poco sufficiente a lasciar spazio alla delusione. Avevo permesso che entrasse a far parte della mia vita senza neanche accorgermene, illusa che una persona difficile non dovesse essere obbligatoriamente pericolosa per il muro che mi ero costruita intorno. Non potevo ancora sapere quanto mi sbagliavo.
 
- Ehi, ce l’hai fatta! - mi accolse Micaela non appena le porsi il suo caffè.
- Scusa, c’era coda al bancone - le mentii.
Non sopportavo raccontare bugie alla mia migliore amica, ma sapevo che se fosse venuta a conoscenza del fatto che Christopher lavorasse al Coffee Dream non avrebbe esitato a trovare un altro bar preferito. E io, da brava masochista quale ero, non sopportavo l’idea di dovermi allontanare di nuovo da lui. Certo, quella mattina gli avevo imposto di fingere di non conoscermi quando lui mi aveva chiesto come stessi. Non ero pronta però a sentire il mio nome completo pronunciato dalle sue labbra, le stesse che fino a qualche mese prima s’imprimevano sulla mia fronte quando avevo bisogno di conforto. Perché lui sapeva sempre quando io avevo bisogno di lui. E allo stesso modo lui, sin da primo giorno, aveva deciso di aver bisogno di me. Da quel momento avevamo abbandonato le nostre corazze per costruirne una sola, insieme.
Probabilmente erano questi stessi pensieri che mi avevano svegliata la notte precedente, costringendomi ad accendere il computer e scrivere del nostro primo incontro…

 
- Possibile che tu debba sempre farmi salire quelle maledettissime scale? Ti ostini a farti considerare una ragazza quasi adulta, ma non rinunci mai a dei stupidi capricci per uscire dal letto la mattina!-
Serena, questo era il nome della donna appena comparsa nella mia stanza. Questo era il nome di mia madre.
- Mmm-
Elisa, questo era invece il nome della ragazza che aveva appena mugugnato, scatenando la reazione poco pacata della madre. Questo era il mio nome.
- Possibile che quella ragazzina non sia capace di portare rispetto a chi si sacrifica per lei? L’hai viziata troppo!-
Ed ecco riaffiorare le critiche poco velate che mia madre era solita rivolgere a mio padre nei momenti di esasperazione. Le stesse critiche che a breve avrebbero portato quell’uomo a risponderle, dando inizio alla solita diatriba che caratterizzava le nostre giornate.
- Che novità! Quando qualcosa non ti va a genio, la colpa non può che essere la mia! Peccato non si tratti solo di mia figlia e che le colpe siano imputabili ad entrambi. Forse te lo sei dimenticata tra un colpo di spazzola e l’altro!-
- Io almeno posso spazzolarmeli i capelli.-
Non c’era nulla da fare. Quelle frecciatine demenziali sarebbero terminate solo con l’uscita trionfale di mia madre che sbatteva la porta di casa dietro sé e mio padre che mi portava a scuola in auto senza proferire parola. Sapevo quanto a entrambe pesasse dover discutere sempre a causa mia, ma nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso. Per quanto potessero arrabbiarsi con me, io sarei rimasta sempre la loro piccola Lisi.
Così anche quella mattina giunsi all’istituto d’arte che frequentavo attorniata da un silenzio pesante come una zavorra.
- Grazie. Buon lavoro, papà- sussurrai uscendo dalla vettura.
-Ciao.-
Per quel giorno sapevo di dovermi far bastare quel saluto tirato. Avevo di nuovo rotto la quiete familiare.

><><><>< 

 
Non appena varcai la soglia della classe, fui assalita da una Micaela frizzante e gioiosa come poche volte. E dire che Micaela era una ragazza tutt’altro che spenta e asociale.
- Eli, finalmente sei arrivata! - mi urlò in un orecchio, sfiorandomi con un bacio la guancia per il consueto saluto. Inutile dire quanto poco il mio cervello gradì tutto quell’entusiasmo. Se c’era una cosa che non tolleravo di prima mattina erano le chiacchiere, ancor più se queste non rientrassero nella categoria ‘sussurri’.
-Beh, sai quel detto? Chi non muore, si rivede…- sputai acida per l’esclamazione di molte ottave sopra la normalità.
- Ah. Ah. Ah. Mi chiedo sempre perché ti abbiano chiamata Elisa. Limone sarebbe stato decisamente più adatto.-
- L’originalità delle tue dimostrazioni di affetto è sempre stata un mistero, per me!-
Il nostro rapporto si basava su punzecchiamenti quotidiani e chiacchierate che potevano protrarsi per ore senza che noi ce ne rendessimo conto. La verità era che Micaela era la migliore amica che avevo sempre desiderato, la persona da cui correvo quando l’aria di casa diventava irrespirabile. Era il mio tutto e questo lei lo avrebbe sempre saputo.
Dopo aver sbuffato, quel vulcano di vitalità riprese a parlare.
- Passando a cose più serie, devo assolutamente farti conoscere una persona!-
- E tu avresti disturbato la mia quiete mattutina per delle stupide presentazioni?! Ti prego, ricordami ancora una volta perché quel giorno ho deciso di darti confidenza! -
- Eri in astinenza da caffè, tesoro. Non avresti mai potuto rifiutare una mano amica, soprattutto se teneva in pugno le sorti della tua stressante giornata - rispose lei con affabilità. Se c’era una cosa che le riempisse il cuore di immensa gioia era ricordarmi quanto io le fossi debitrice. Naturalmente si trattava dell’ennesimo gioco implicito nel quale ci dilettavamo. Ci eravamo incontrate una mattina per caso, davanti al distributore automatico che non voleva funzionare. Micaela mi aveva offerto il suo aiuto e, qualche spintarella dopo, il caffè era finalmente sceso. Comunque avevo riscattato quel debito aprendole il mio cuore e lei non aveva dubitato nel fare lo stesso; quindi quel caffè era diventato semplicemente il simbolo di quella meravigliosa amicizia che ogni giorno celebravamo con qualche sorso di caffeina per l’appunto.
- Ancora rimpiango di essermi scordata caffettiera e fornelletto elettrico a casa!-
- Farò finta di non aver sentito. Comunque, è tornato in Italia! Ancora non riesco a crederci…- e la sua voce andò via via affievolendosi, persa in qualche ricordo.
- Dovrei sapere di cosa o chi parli?- le chiesi inarcando un sopracciglio.
Micaela era fatta così; urlava la sua felicità al mondo intero, ma senza mai darne una spiegazione. La differenza tra me e il resto del mondo stava proprio in questo. Io avrei sempre ottenuto la risposta che altri non avrebbero mai conosciuto. Anche in quel caso la soluzione al dilemma non tardò ad arrivare. Col senno di poi però, quella motivazione credo sarebbe stato meglio tacerla.
Mi disse brevemente che un suo vecchio amico d’infanzia era appena tornato dalla Francia, dove si era trasferito quando avevano solo nove anni, e che presto me lo avrebbe fatto conoscere. Poi il discorso morì lì. Nessuna delle due sapeva che presto quello sarebbe diventato il discorso più gettonato delle nostre giornate.
Le ore di lezione trascorsero lente, come sempre d’altronde. Latino, italiano, matematica, inglese e ancora una volta italiano. Giunti alla fine della terza ora cominciammo a chiedere in giro se qualcuno avesse una corda a portata di mano; il lunedì era la giornata più pesante in assoluto e spesso ci eravamo chiesti quale ottuso professore avesse potuto programmarlo così. Inutile dire che il responsabile fosse il professor Giannetti, meglio conosciuto come ‘S’ Man. Il significato di questo nome era piuttosto banale: ‘S’ come ‘stupid’. Mai soprannome fu più adatto al mio professore di letteratura inglese. Comunque, nonostante il desiderio collettivo di alzarci nel bel mezzo della lezione di italiano e scappare fuori dall’aula, arrivammo indenni all’intervallo.
Micaela mi trascinò immediatamente fuori dall’uscita di emergenza, dove era solita accendersi una sigaretta. Al contrario, io non avevo mai provato il desiderio di fare anche solo un tiro; quindi mi limitavo a farle compagnia spettegolando sulla gente che frequentava la nostra scuola o insultando qualche professore per un test a sorpresa. Quel giorno però qualcosa cambiò.
- Eccolo!- esclamò ad un tratto la mia amica.
- Anche questa volta dovrei sapere di chi parli?- le chiesi sarcastica.
- Il ragazzo di cui ti parlavo. Vieni, te lo presento!-
Non so quante volte mi diedi della stupida negli anni a venire. Ma al tempo ancora non potevo sapere quanto quegli occhi di ghiaccio potessero essere nocivi.
-  Chris! Chris!- urlò Micaela sbracciandosi e facendo girare quasi tutti quelli che si trovavano in cortile come noi. Tra quei volti ne riconobbi uno più curioso sul quale si poggiò lo sguardo della mia amica. Lui doveva essere Chris. Lui sarebbe stato la mia rovina.
- I vizi sono duri a morire, eh Michi? Mi sembra strano che quei due vecchietti non si siano girati per vederti correre e sbraitare come una gallina nel pollaio- le disse quello stesso ragazzo non appena fummo più vicine. A quel punto temetti che Micaela lo prendesse a schiaffi; ma con mia grande sorpresa si aprì in un sorriso radioso.
- E tu resti sempre il solito gentiluomo, eh Chris?- gli rispose al contrario ironicamente lei mentre i suoi occhi sembravano assumere una sfumatura diversa. Evidentemente questo Chris aveva dovuto contar molto nell’infanzia della mia migliore amica; non avrei saputo spiegare altrimenti la confidenza che avevano l’uno con l’altra.
- Mi mancavano i tuoi complimenti- ribatté lui subito dopo. Fu in quel momento che si accorse di me; la sua espressione mutò impercettibilmente. Sembrava quasi che il suo sguardo si stesse pietrificando, assumendo le sembianze di un iceberg. Ancora a quel tempo non ne potevo capire il motivo, ma ben presto mi sarei ritrovata a cercare con smania quegl’occhi di ghiaccio.
Anche Micaela sembrò ricordare che ci fossi anch’io con lei e che il motivo per cui mi aveva trascinata lì era proprio fare le presentazioni ufficiali.
- Comunque, Elisa lui è Christopher. Christopher lei è Elisa, la mia migliore amica.-
- Piacere- dissi titubante allungando la mano educatamente. Ma tutto ciò che lui si limitò a dire fu un ‘ciao’ strascicato e senza avere il coraggio di guardarmi negli occhi mentre lo pronunciava.
Fu a quel punto che la mia migliore amica cominciò a ridacchiare, fino a che la sua smorfia non si trasformò sempre più in una vera e propria risata. Dovetti sostenerla per un braccio, perché non sembrava in grado di reggersi in piedi tanto forti erano gli spasmi.
- Michi? Ti senti bene?- tentai di chiederle, mentre la sua ilarità non sembrava diminuire.
- Sì, sì! E’ che…- Ma non riuscì a terminare la frase perché un’altra scossa di risa convulse la sorprese. In quell’istante, per la prima volta, io e Christopher incrociammo il nostro sguardo. Anzi, lo incatenammo l’uno a quello dell’altra. Nessuno mi avvertì in tempo, quindi mi ritrovai a maledire quel giorno per lungo tempo successivamente.
Al suono della campanella che annunciava la fine dell’intervallo, Micaela sembrava essere tornata in sé; ma non ci volle spiegare il motivo della sua reazione. Solo qualche anno dopo ne scoprì la causa.
- Forse sarebbe meglio rientrare. ‘S’ Man non tollera i ritardi e noi abbiamo già avuto due richiami- azzardai nel vedere tutti gli studenti rientrare nelle proprie classi.
- Hai ragione, Eli. Ci vediamo presto, Chris!- E di sfuggita notai l’occhiolino che gli fece.
Fortunatamente il professore di letteratura inglese non era ancora arrivato e noi raggiungemmo appena in tempo le nostre postazioni. Non ci fu più una parola circa l’incontro di quella mattina, almeno non finché lo incontrammo quello stesso pomeriggio durante una battuta di shopping.

><><><>< 

Dopo scuola, avevo salutato Micaela all’incrocio che separava le nostre due vie e mi ero diretta a casa. Quando entrai, osservai uno strano silenzio. Non potevo immaginare che quella fosse solo la calma prima della tempesta.
Appesi la giacca sull’appendi abiti e mi trascinai in salotto, dove trovai mia madre immersa nella visione di uno sceneggiato di chissà quale nazionalità. Ad ogni modo, non appena mi notò, si aprì in un sorriso e mi invitò a precederla in cucina dove mi attendeva il pranzo.
- Come è andata a scuola, tesoro?-
- Come al solito- risposi glaciale.
Non è che non volessi bene alla donna che mi aveva messa al mondo, assolutamente. Il fatto è che oramai il nostro rapporto si era congelato; non esistevano progressi né regressi, ma era come se lei non se ne accorgesse. E io ero stanca di girarle vorticosamente intorno come una trottola nella speranza che si accorgesse nuovamente di me. I miei avevano deciso di seguire la politica della resistenza passiva da poco più di un anno, sopportando la presenza l’uno dell’altra a stento ma non sempre in grado di farlo in silenzio. Così mi ero spesso ritrovata a mediare tra di loro, spesso facendone le spese. Probabilmente fu per questo motivo che mi rintanai nella mia stanza solitaria subito dopo aver afferrato un tramezzino, abitudine che ormai avevo da qualche mese. Non avrei sopportato quel peso ancora per molto. Stavo per esplodere e nessuno poteva contenere i danni di quella che si sarebbe rivelata una catastrofe. Nessuno, tranne me.

><><><>< 

 
Qualche ora dopo fui svegliata da un suono insistente, un ronzio fastidioso che sembrava perforarmi il timpano. Ci misi qualche secondo di troppo a realizzare si trattasse del mio cellulare, tanto che quando riuscì ad afferrarlo smise di vibrare. A quel punto c’erano due possibilità: la prima è che non avrebbe più dato segni di vita per qualche altra ora permettendomi di dormire ancora un po’; la seconda, più probabile, era che il cellulare si animasse nuovamente fino a che non avessi risposto. Questo avrebbe potuto voler dire solo una cosa: Micaela.
E, come previsto…
- Spero sia urgente perché hai appena interrotto il mio sonnellino rigenerante.-
- Shopping. Mezzora. Casa tua. Puntuale!- furono le uniche parole che sentii prima del classico ‘tututu’.  Sapeva benissimo che non avrei mai accettato. Necessitavo di almeno un’ora e mezza di preavviso per poter essere pronta in quasi orario. Dovevo appuntarmi di attaccarle un post-it sulla fronte con le ‘Regole della buona convivenza’ riguardo le mie abitudini. Magari non passava ore davanti all’armadio per trovare qualcosa di decente da mettere come me, ma non rinunciava di sicuro ad un’occhiatina allo specchio prima di uscire. Lo avrei fatto, prima o poi.
Mezzora e un quarto d’ora di ritardo dopo stavo scendendo di corsa le scale per andare incontro a una Micaela palesemente scocciata.
- Un orologio, ecco cosa ti regalerò alla prossima ricorrenza! -
- Perché non un tappeto volante? Visto che sei in vena di richieste impossibili… ‘Mezzora. Puntuale! ‘ Come puoi anche solo pensare che mi basti un preavviso di mezzora?-
- Solitamente le persone normali ce la fanno!-
- Quindi mi consideri una persona normale? Sprechi così l’unica occasione che hai per  non ritenermi tale? Quel giorno mi eri sembrata più assennata…-
- Eri accecata dal bisogno impellente di caffeina-
E, dopo avermi fatto l’occhiolino, si era concentrata sulla guida. Con lei era sempre così facile smettere di pensare al resto del mondo, a quella vita forse un po’ troppo piena per sole diciotto candeline.
- Michi?-
- Dimmi tesoro-
- Ma…-
Avrei voluto chiederle se  pensava che, distributore automatico o meno, credeva fossimo destinate a diventare amiche dal momento che ci eravamo già incontrate, o meglio scontrate, qualche volta nei corridoi. Ma qualcosa attirò la mia attenzione.
- …quello non è il tuo amico francese?-
- Dove?- mi chiese aprendosi in un sorriso spontaneo. - Oh, sì! Chris!- cominciò a urlare abbassando il finestrino e suonando il clacson. Sempre la solita, eh?
Fu in quel momento che i nostri occhi si incrociarono per la seconda volta. Maledetta seconda volta! Quello fu un pensiero che mi accompagnò per molti mesi e che, forse, tuttora sembra tornare a momenti. Non avrei dovuto far notare a Micaela la presenza di quel ragazzo a poche decine di metri da noi. Avrei dovuto far finta di niente. Mi sarei stretta la mano da sola per i giorni a venire.
- Micaela Balzanti, avrei dovuto insegnarti il significato di ‘discrezione’ anni fa! -
- Sei sempre un amore, Chris!-
Non volevo interrompere la loro chiacchierata. Sapevo che non si vedevano da così tanto tempo che probabilmente un mese intero per recuperare non sarebbe bastato. Così avevo deciso di avviarmi verso la libreria che si trovava proprio di fronte alla piazza nella quale avevamo incontrato Christopher, quando fui fermata da una voce poco familiare.
- Elisa?-
Mi voltai per capire chi mi avesse chiamata e quasi non mi cadde la mascella a terra.
- Sì?-
- Devi aiutarmi.-
Niente mezzi termini, lo avrei imparato col tempo. Christopher Dillemi non avrebbe mai utilizzato mezzi termini. Neanche quando ne avrei avuto più bisogno.
- Devo? So a mala pena come ti chiami e devo aiutarti? Hai le idee molto chiare da quanto ho capito.-
- Voglio fare un regalo a Micaela, ma sono passati tanti anni. Troppi. E so cosa prenderle.-
Sbuffai. Aveva palesemente ignorato la mia critica velata. Ma cosa avrei dovuto fare? Avevamo quel piccolo dettaglio in comune: Lei.
- D’accordo, forse so come aiutarti. Prima però ho bisogno di qualche informazione- azzardai.
- Cioè?-
- Come vi siete conosciuti? Che tipo di rapporto avevate? Siete rimasti in contatto in questi anni?-
- E tu, per un regalo, hai bisogno di tutti questi dettagli privati?-
- Vuoi che ti aiuti?- e lo vidi annuire.
- Bene, questi sono i patti.-
Tentennò. Voleva davvero colpire positivamente Micaela con un regalo ad effetto; allo stesso tempo però non voleva rendersi vulnerabile di fronte a me. Ma questa fu una delle tante constatazioni che riuscì a fare dopo averlo visto andar via da me per sempre. O quasi.
- D’accordo- accettò, non potendo farne a meno.
Seppi che si erano conosciuti quando avevano poco più che tre anni, alla scuola materna dove avevano frequentato la stessa sezione. L’affetto che li legava era cresciuto con gli anni, intervallato da qualche pollice rovesciato a indicare un’interruzione momentanea dell’amicizia che non avrebbe mai visto la parola ‘fine’. All’età di cinque anni avevano persino reclutato un compagno che celebrò la funzione matrimoniale che avrebbe dovuto unirli finché morte non li avrebbe separati. Peccato che Micaela fosse la bambina più realista mai esistita e che informò Christopher ‘di non provare nulla per lui se non un grande affetto pari a quello per il fratello che lei non aveva mai avuto’. Fortuna volle che il piccolo Chri-Chri, come era solita chiamarlo lei, la pensasse allo stesso modo.
- Quindi, non è stato facile separarsi da lei…-
La mia non era una domanda. Avevo visto nello sguardo sfuggevole di Christopher il trasporto con il quale parlava di quella bambina piena di vita che aveva riempito i suoi giorni in quei sette anni di amicizia incondizionata.
- Mia madre mi disse che ci saremmo trasferiti la settimana successiva. Avremmo vissuto a Marsiglia, in Francia. A nove anni sei sufficientemente grande per capire, ma non abbastanza da poter imporre le tue idee. Così non mi restò altro da fare se non salutare Micaela e prometterle che un giorno sarei tornato. Le promisi che il giorno del suo diploma sarei stato con lei; le promisi che avrebbe condiviso la felicità per la laurea ottenuta con me; sarei stato il suo testimone di nozze e il padrino dei suoi bambini. A nove anni può sembrare inverosimile un discorso del genere, ma stando con Micaela imparai subito a diventare ‘grande’. Naturalmente sapere che solo io avrei seguito mia madre in questo trasferimento mi aiutò a crescere più in fretta, ma lei non lo seppe fino a qualche anno dopo.-
- Ne deduco siate rimasti in contatto- fu la mia ovvia osservazione.
- Per qualche anno, assiduamente. Un sabato lei chiamava me, il sabato successivo sarebbe stato il mio turno. Giunti all’età di tredici anni le nostre chiamate si ridussero agli auguri di Natale e buon compleanno, anche se in quelle occasioni facevamo il pieno e ci raccontavamo mesi di vita sconosciuta l’uno all’altra. Erano quasi dieci anni che non la vedevo e, nonostante ciò, abbracciarla è stata la cosa più spontanea che mi sia venuta da fare.-
Terminò la frase scuotendo il capo, come se non si capacitasse della naturalezza di quel suo stesso gesto. Ma entrambi sapevamo la risposta a quell’inaspettato slancio di affetto: Micaela.  
Quel pomeriggio cominciai per la prima volta a far parte del difficile mondo di Christopher, un ragazzo che portava sulle spalle un peso più grande di lui, quello di aver lasciato il suo papà a soli nove anni per trasferirsi a centinaia di chilometri di distanza e quello di un dolore di cui ne avrei conosciuto l’origine solo qualche mese dopo.
Dopo poco più di un’ora ritornammo in piazza con i nostri sacchetti in mano, ritrovando Micaela e gli altri ragazzi.
- Eccovi finalmente! Ma che fine avevate fatto?- esordì la nostra amica.
- Che impicciona! E io che credevo di dovermi impegnare per conoscere una nuova Micaela al mio ritorno!-
Non facevano altro che provocarsi e dovevo ammettere che non ridere dei loro battibecchi era quasi impossibile.
- Ci siamo avvicinati a una vetrina e abbiamo deciso di entrare. Abbiamo fatto qualche acquisto, tutto qui- decisi di intervenire io prima che Micaela ribattesse.
- Mmm, per questa volta vi perdono. Rimandiamo il pomeriggio di shopping a domani, Eli? Ormai si è fatto tardi.-
- Per me va bene- le sorrisi.
- E tu cerca di non rapirmi la mia amica un’altra volta!- minacciò poi Micaela con il dito puntato contro Christopher.
- Ci proverò-
Quello sarebbe dovuto essere il primo campanello d’allarme, ma io ero troppo impegnata a cercare il significato di quella improvvisa sfacciataggine. Capii solo successivamente che anche lui era stato rinchiuso nel suo guscio per troppo tempo e vedeva in me l’ultima persona che avrebbe potuto farlo soffrire di nuovo. Eravamo così simili, entrambi nascosti dietro una parvenza di freddezza incapaci di affrontare quel mondo che ci aveva feriti troppe volte.
Quello che nessuno poteva immaginare era il legame che si sarebbe instaurato tra di noi. Nessuno tranne Micaela che con quella risata aveva lasciato intendere molte cose.
Cose che appresi solo qualche anno dopo.




Buonasera a tutti.
Lo so, ho pubblicato il primo capitolo di questa storia più di un mese fa ormai. Poi sono sparita.
Il fatto è che la scuola mi ruba un sacco di tempo e io sono ossessivamente perfezionista quindi non mi faccio mai piacere quel che scrivo. Neanche questo capitolo mi convince, a dirla tutta. Comunque ho pensato di dovervelo, dopo aver letto le recensioni e dopo aver visto crescere il numero di persone che la seguivano.
Cercherò di essere più costante d'ora in poi; magari una volta pubblicato questo, comincerò a scrivere il terzo per cui ho già qualche idea.
In questo capitolo ho lasciato più spazio al diario di Elisa perchè mi sembrava doveroso spiegare almeno come si fossero incontrati lei e Christopher. Capiterà ogni tanto che io adotti questa tecnica, ma la gran parte dei capitoli dovrebbe essere al presente, salvo poi interrompersi per dare spazio a qualche flashback utile a ricostruire la storia.
Prima di aggiornare però, mi è sembrato doveroso correggere il primo capitolo perchè temevo di non aver spiegato bene alcuni passaggi [e perchè ho notato con orrore alcuni errori di ortografia!]. Quindi spero risulti tutto più comprensibile ora; in caso contrario esprimete pure i vostri dubbi e io cercherò di rispondere a tutto.
Non mi resta quindi che ringraziare chi ha dato fiducia a questa storia sin dal primo capitolo e darvi appuntamento al prossimo capitol
o!

Un bacio.
Sara

 
 

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Capitolo 3
*** I colori del Natale ***


Capitolo TRE - I colori del Natale

 

Erano trascorse tre settimane da quando avevo scoperto che Christopher lavorava al Coffee Dream e, inutile dirlo, da quel giorno avevo cercato di evitare quel posto il più possibile convincendo la mia coinquilina a scegliere un altro locale prediletto. Il caffè era troppo corto e i costi troppo elevati era l’unica stupida scusa che avevo trovato. E lei aveva finto di crederci, come sempre.
Nel frattempo Micaela aveva cominciato a frequentare Andrea, il nostro vecchio compagno di liceo, e io avevo finalmente più tempo per restare in compagnia del mio computer senza che nessuno mi facesse sentire patetica. I ricordi in quegli ultimi giorni erano riaffiorati senza bisogno che rovistassi nella memoria e non sapevo se considerare questo un bene o un male. Tutto ciò di cui ero certa era che Christopher era una ferita ancora aperta e che non sarebbe bastato il solito tempo di circostanza per farla guarire. Lui era stato molto per me, il mio tutto eccezion fatta per quella parte occupata da Micaela. I rapporti con i miei genitori si erano raffreddati e mia sorella stava affrontando quella fase nella quale si conosce il vero significato della parola ‘indipendenza’.
Così ci avvicinavamo al Natale. La corsa sfrenata per l’acquisto dei regali era già cominciata, la città era già uno sfavillio di luci che metteva il buon umore e le poste impazzivano per la gran quantità di letterine indirizzate al sig. Babbo Natale.
E io di quale categoria facevo parte? Probabilmente di nessuna. Aspettavo il venticinque Dicembre come molti, ma senza la preoccupazione di quale pacchetto scartare per primo. Sapevo già che gli unici regali che avrei ricevuto sarebbero stati una busta con dei soldi dai miei parenti e un intimo rosso dalla mia migliore amica. Insomma, doni piuttosto tradizionali anche se non me ne lamentavo di certo. L’unica differenza in quel Natale era la sua assenza.
L’anno precedente ci eravamo raccolti tutti intorno a una tavolata e avevamo mangiato fino a star male, tanto che il passo successivo era stato quello di addormentarci chi sul divano, chi sulla poltrona, chi sul letto in camera. Io mi ero accoccolata di fianco al mio migliore amico, convinta di non assopirmi come gli altri, ma avevo finito per addormentarmi su quel divano scomodo cullata dal suo respiro. In quei due anni passati a stretto contatto era successo così tante volte da non poter nemmeno immaginare come sarebbe stato diversamente. Eppure da sette mesi convivevo con quel senso di solitudine che pensavo di aver sconfitto per sempre.
Quel giorno però avevo promesso alla mia migliore amica che avrei abbandonato sulla scrivania il mio diario virtuale e che le avrei dedicato le mie attenzioni: aveva bisogno di un vestito nuovo per un appuntamento un po’ più galante del solito con quello che ormai io definivo il suo ragazzo, ma che lei non avrebbe considerato tale finché lui non glielo avesse chiesto ufficialmente.
- Allora, quanto elegante deve essere questo abito? -
- Sinceramente non ne ho idea. Andrea è stato piuttosto vago. Si è limitato a dirmi “Indosserò uno smoking, quindi valuta tu. Io non ci so fare con tutte le paranoie di voi donne.” Mi ha sorriso e mi ha chiesto se mi piacesse la sciarpa di Calvin Klein esposta in una delle vetrine. L’avrei preso a calci! -
- Mmm, fossi in te penserei solo a stenderlo con un vestito da favola. Nessuno starà a guardare se sarai troppo elegante, fidati! -
- Ti ho mai detto quanto sono contenta di avere una migliore amica come te? Se non stessi già frequentando Andrea, credo che ti avrei chiesto un appuntamento. Quanto tempo ho perso in questi anni… - Micaela sfoderò uno dei suoi splendidi sorrisi per poi stritolarmi in un abbraccio.
- Chi ti dice che avrei accettato? - soffiai ancora stretta nella sua morsa, stando al gioco.
- Beh, in tal caso ti saresti ritrovata senza cuoca e saresti morta avvelenata per una di quelle che tu ti ostini a definire ‘pietanze innovative’ -
- Non si gioca sporco… - farfugliai indispettita, mentre sfoderavo una linguaccia degna di una bambina di tre anni. Continuammo a pizzicarci lungo tutto il tragitto, finché non giungemmo al nostro negozio di fiducia.
- Drew, tesoro! - esclamammo entrando.
Nei momenti peggiori, quando eravamo alla disperata ricerca di abbigliamento formale per qualche serata di gala o un cocktail party, Drew era il nostro mentore. Aveva aperto quel negozio all’inizio di una delle tante vie che portava in Piazza Duomo qualche anno prima, quando ancora noi frequentavamo il liceo, ed aveva fatto una gran fortuna. Avevamo notato quella vetrina per caso, passeggiando i primi giorni per quelle stradine, e da allora correvamo lì non appena necessitavamo di qualcosa di un po’ diverso da quello che solitamente ospitava il nostro guardaroba.
- Dolcezze! E’ un po’ che non ci si vede - esclamò Drew mentre ci lasciava due leggeri baci sulle guance. Altro piccolo particolare: il nostro paladino della moda era omosessuale. E questo non aveva fatto altro che aiutare il già fantastico rapporto che avevamo instaurato con lui. Uscire con lui la sera era uno spasso e i consigli che sapeva darci anche circa l’abbinamento tra pantalone della tuta e felpa erano fantastici.
- Abbiamo bisogno del tuo aiuto - piagnucolò Micaela.
- Ehi, frena! Tu hai bisogno del suo aiuto. Io oggi sono qui in veste di aiutante di Drew - esclamai soddisfatta.
- Ehm… - sfoderò un’espressione supplichevole che non mi piaceva per nulla.
- Perché quando sbatti spasmodicamente le palpebre un brivido di paura mi percorre da cima a fondo? -
- Andrea ha invitato anche te a venire. C’è un suo amico, sai…-
- Non ci posso credere! Un appuntamento a quattro, ecco cosa mi avete combinato! L’ho sempre detto io che non mi piaceva quel ragazzo. In coppia con una pazza come te poi. Non mi dovevo fidare, lo s…-
- Per favore, Elisa. Nessuno ti sta chiedendo di convolare a nozze con lui domani. Mi farebbe piacere che tu mi accompagnassi e che fingessi per qualche ora di star bene in nostra compagnia. -
- Tesoro, sai che non è la tua compagnia a disturbarmi. Ma se si tratta solo di qualche ora, senza pericolo di inganno, posso farcela- le sorrisi bonaria. Ancora una volta l’aveva vinta lei, ma ero contenta di poter far parte della sua vita. Lei c’era sempre stata per me quando Christopher mi aveva allontanata; ora toccava a me fare la migliore amica. Micaela se lo meritava.
Dopo un paio d’ore stavamo uscendo dal negozio con i nostri nuovi acquisti quando ci imbattemmo in una situazione inaspettata. Christopher si era fermato proprio di fronte a quella vetrina, probabilmente intenzionato ad entrare da dove noi stavamo uscendo.
Istintivamente spostai lo sguardo su Micaela che se ne stava immobile sull’ultimo gradino senza trovare la forza di andarsene o di fermarsi a salutarlo. Decisi allora di prenderle la mano. Sapevo di fronte a quale bivio si trovasse e non volevo certamente condizionare la sua scelta. L’avevo già fatto una volta, quando il mio dolore l’aveva spinta ad allontanare la fonte di tale sofferenza.
- Michi, più tardi ho bisogno di parlarti. Ora però credo faresti bene a dedicare un po’ del tuo tempo a lui. Ti aspetto a casa- le sorrisi cercando di trasmetterle un po’ della tranquillità che fingevo di avere.
- Non c’è bisogno, davvero. Io non credo…-
- Ti aspetto a casa, non accetto repliche- Questa volta sorrisi più apertamente.
Sapevo quante cose avevano da raccontarsi, quanti discorsi avrebbero dovuto affrontare. Perché neanche lei l’aveva presa molto bene. Perché neanche lei si aspettava un simile comportamento nei miei confronti da parte del suo migliore amico.
- Grazie-
Non fu Micaela a pronunciare quelle poche sillabe. Fu Christopher.
Non risposi. Semplicemente mi voltai e mi incamminai verso casa, dove sapevo che il mio cuscino avrebbe accolto le mie lacrime senza bisogno di altre spiegazioni.

><><><><


- LeeLee - lo sentii sussurrare tra sé.
- Cosa hai detto? -
- Niente - scosse la folta chioma castana. Sembrava in imbarazzo perché avevo sentito il suo farfuglio e non aveva alcuna intenzione di rendermi partecipe dei suoi pensieri.
Non era strano che Christopher si chiudesse in se stesso. L’aveva fatto spesso, per ultimo l’avrebbe fatto quando se ne sarebbe andato senza un valido motivo. Certamente però non avevo mai visto quel ragazzo arrossire violentemente e ciò portò con sé non poche domande.
Passarono i giorni, la primavera sbocciò in poco tempo e io mi godevo quei timidi raggi di sole che sarebbero presto diventati pericolosi per la mia pelle troppo chiara. Fu durante una di quelle giornate, mentre sedevo nel parco su di una coperta ormai consunta per i troppi lavaggi, che Christopher interruppe la mia lettura con lo stesso sussurro.
- Chris, mi spieghi che stai farneticando? Se non mi rispondi neanche oggi, la prossima volta non sarò così diplomatica! Uomo avvisato…- lasciai cadere la frase sapendo che lui avrebbe inteso la minaccia poco velata. Ero una ragazza piuttosto curiosa e il suo ‘gettare il sasso e nascondere la mano’ mi stava innervosendo. Volevo capire cosa gli passasse per la testa in quei giorni.
- D’accordo, te lo dico. Però non accetto repliche. -
- Non so di che parli, ma va bene. Ti ascolto - dissi soddisfatta del risultato ottenuto.
- Ci pensavo da qualche settimana ormai. Insomma, tutti usano quel banale diminutivo e io non volevo far parte della ‘massa’. Così mi sono impegnato a trovare qualcosa di diverso. -
- Sai che non ho…-
- Se mi lasci finire, forse capirai. Qualche giorno fa, mentre eravamo al parco, ho avuto l’illuminazione - si soffermò a guardarmi. Così lo invitai a continuare.
- LeeLee. Semplice, tutto sommato anche carino e nessuno ti ha mai chiamata così. Niente a che vedere con i vezzeggiativi di Micaela o con il ‘Lisi’ di tua madre. Forse non sono riuscito a trovare qualcosa di poco banale, ma posso dirmi soddisfatto. Da oggi sarai la mia LeeLee. -
Non so dire perché lo feci. Quell’abbraccio nacque così spontaneo da spaventarmi, perché sapevo di essere dipendente da lui e da quei momenti in cui potevo dirmi finalmente serena.
Christopher rimase per un attimo sorpreso. Non ero una persona molto espansiva, quindi i miei slanci d’affetto erano molto rari. Poi però, con una naturalezza che non avrei mai detto sua, mi cinse con un braccio le spalle e con l’altro la vita stringendomi a sé quasi a sancire quel muto patto fatto ormai tanto tempo prima. Lui il mio Chris, io la sua LeeLee. Per sempre.
O almeno così credevo.


Fu mentre battevo sulla tastiera quelle ultime lettere che sentii le chiavi girare nella toppa e lasciare che la porta di casa si aprisse. Poco dopo infatti Micaela mi raggiunse in camera.
- Ehi - mi si avvicinò. - Sapevo di trovarti davanti al PC. -
- Già. Avevo bisogno di scrivere - accennai un sorriso.
- Ti va di parlare un po’ con me adesso? -
- Certo - Ci accomodammo sul mio letto, l’una di fronte all’altra.
- Quando l’hai saputo? - Sapevo a cosa si riferiva. Avevo sperato inutilmente che non le dicesse nulla, ma non sarebbe stato da lui. Mi aveva spezzato il cuore, no? Era quel tipo di persona.
- Qualche settimana fa. Passando di fronte alla solita vetrina mentre andavamo a scuola, l’ho intravisto all’interno del negozio. Poi mi ha servito i due caffè che avevo ordinato, quello stesso pomeriggio - sospirai. - Te lo dovevo dire, lo so. E mi dispiace. Però non vedo per quale motivo si sia sentito in dovere di raccontarti tutto. Le mie scelte non lo riguardano. Non credevo arrivasse a questo punto, non credevo potesse… -
- Non è stato lui. O meglio, non volontariamente - Micaela prese un bel respiro e continuò.
- Mi ha detto che aveva preso posto in un bar non molto distante dall’università. Così gli ho chiesto quale e lui mi ha risposto che faceva il cameriere al Coffee Dream. Non potevo non averlo incontrato in tutte quelle settimane; non potevamo non averlo incontrato. Così ho cominciato a capire per quale motivo il caffè fosse improvvisamente troppo costoso. -
- Oh - fu tutto ciò che riuscii a dire in quel momento.
- Ha sbagliato, ne è consapevole anche lui. Quello che non capisce è che continua a sbagliare non volendo ammettere per quale motivo ti ha allontanata dalla sua vita. -
- Ne parli come se ne sapessi il perché -
- Forse. Forse un giorno lo capirai anche tu. Forse un giorno si deciderà a dirtelo. Non posso fare niente fino a che non sarà lui a decidere di porre fine a questa assurda situazione. - E con quello voleva solo poter dire che non mi avrebbe esposto la sua teoria.
- Ora però c’è una questione che mi preme molto più sistemare - E, nel dirlo, fissò il suo sguardo nel mio. Sapevo quel cosa voleva.
- Mi hai vista star male così spesso da volerti risparmiare l’ennesima nottata in bianco a parlare di ciò che il ritorno di Christopher nella mia vita avesse riportato a galla. Sei la mia migliore amica, è vero. Ma sei anche un essere umano e gli esseri umani prima o poi si stancano di sentir ripetere sempre le stesse cose - feci una pausa prima di continuare. Rischiavo di crollare e non volevo che succedesse. Non potevo permettere di nuovo a qualcuno di avere un ascendente così potente su di me.
- I miei genitori hanno deciso di separarsi perché non facevano altro che ripetere sempre le stesse cose senza mai ascoltarsi davvero. Lui si è stancato di me, di sentirmi dire quanto avessi paura di perdere quel poco equilibrio che avevo trovato. Si è stancato di ascoltare quanto il mio equilibrio dipendesse da lui, anche se non gliel’ho mai detto veramente. La gente si stanca di me -
Per quanto mi fossi impegnata, scoppiare a piangere fu inevitabile. E Micaela ancora una volta fu lì per me. Mi accolse tra le sue braccia e mi cullò per qualche minuto senza dire nulla.
- Sai tesoro, non mi hai mai raccontato molto sulla separazione dei tuoi e io non ti ho mai chiesto nulla perché credo giusto lasciarti decidere se sia il caso o meno. Però posso dirti quel che penso io sul comportamento che hai avuto con me. Non è servito a nulla tenermi nascosto l’arrivo di Chris in città, perché sapevi benissimo che non avresti potuto mentire ancora per molto. Ma non sono arrabbiata per questo. Ti voglio bene, sarà sempre così. Non m’interessa quante volte mi ripeterai la stessa cosa, quanti fazzoletti dovrò passarti ancora prima di vederti sorridere ricordando i tuoi genitori o il tuo vecchio migliore amico. E non m’interessa se per stare con te ho dovuto rinunciare all’amicizia di Christopher. Per me l’importante è sapere che stai bene, sapere che conti anche sulla nostra amicizia oltre che su te stessa. Quindi niente più colpi di testa, chiaro? -
Annuii, sussurrando un - Grazie - tra le lacrime che non accennavano a rallentare.
- Bene, ora che abbiamo chiarito questo punto passiamo ad altro. Stasera…-
- Mmm - mugugnai contrariata. Non avevo per niente voglia di presenziare a una festa in grande stile con gli occhi gonfi e rossi, le labbra martoriate dopo uno scontro impari con i miei denti e la mente poco lucida.
- Ho scoperto chi sarà l’amico che Andrea porterà con sé. -
Se possibile in quel momento mugugnai ancor più disperata. L’unica persona che potevano avere in comune Andrea e Micaela in quel momento era una. E Micaela lo aveva incontrato proprio quel pomeriggio.
- Christopher - piagnucolai.
- Non ti chiederei mai di fare coppia con lui questa sera. Quindi adesso chiamo Andrea e gli dico che abbiamo avuto un imprevisto. Non ti lascio, né ora né mai. Ok? - mi sorrise.
- No - dissi alzando la testa. - Non se ne parla proprio! Noi stasera andremo a quella festa, chiunque siano i nostri accompagnatori. Non gli permetterò ancora una volta di influenzare le mie scelte. -
- Sei sicura, Eli? Non serve, davvero -
- Serve a me. Voglio vedere fino a che punto è capace di sopportare la vergogna di convivere con sé stesso. Ora conduco io il gioco - E finalmente mi lasciai andare a uno di quei sorrisi che non sfoggiavo da anni. Mi sentivo pronta. Non avevo bisogno di persone false che mi circondassero per essere felice. Quindi non avevo bisogno di Christopher. Certo, sarebbe stato più facile a dirsi che a farsi, ma sapevo di poter contare sulla mia Michi e questo per il momento era più che sufficiente per permettermi di alzarmi trascinandola con me in bagno, dove avremmo cominciato a prepararci.

><><><><


Qualche polverina, spazzolata e ora più tardi eravamo in auto dirette al locale dove si sarebbe tenuta la festa di Natale dell’azienda di Andrea. Ogni dipendente aveva diritto a quattro inviti. Per cui il primo era stato dato inevitabilmente a Micaela, mentre i restanti avevano deciso di dividerseli uno a testa con possibilità di scelta del destinatario. Fu così che, scendendo dal taxi, io e la mia migliore amica trovammo Andrea e Christopher ad attenderci davanti all’ingresso.
Fu una stilettata al cuore. Perché Madre Natura gli aveva donato quell’eleganza, quella compostezza, quella dannata bellezza? Ma soprattutto mi chiedo perché non fuggii a gambe levate in quel preciso istante. Avrei dovuto capire che continuando con quella farsa non avrei fatto altro che firmare la mia condanna a morte. Invece ricambiai il suo sguardo, comprando il tanto desiderato biglietto aereo. Destinazione? Inferno.
- Potrò sembrare maleducato non salutandovi prima, ma lasciatemelo dire: siete due splendori! Vero, Chris? -
- Già - confermò lui non lasciando i miei occhi un solo istante.
- Spero solo di non aver esagerato. Sai, non mi hai dato alcun indizio! - s’intromise Micaela smorzando l’atmosfera piuttosto tesa. Riuscii finalmente a distogliere lo sguardo, sorridendo alla mia amica in segno di ringraziamento.
- Entriamo? Comincio ad avere freddo - E mi avvicinai alla porta a vetri.
La sala adibita alla serata era un tripudio di luci e colori. I cocktail serviti al bancone rispecchiavano le tonalità del Natale. Bianco, verde e rosso dominavano la scena. Anche il mio vestito, color magenta, sotto i riflettori assumeva una sfumatura rossiccia, mentre l’abito argenteo di Micaela splendeva ancor più. Quello sfarzo e quel pizzico di allegria dettato dall’atmosfera natalizia mi mise di buon umore a tal punto da prendere Christopher a braccetto e guidarlo verso l’ala bar.
- Mmm, io prendo quello rosso - dissi al barman.
- Arriva subito. Lei? - si rivolse a Christopher.
- Niente, grazie. -
Dopo poco mi arrivò il drink. Avevo bisogno di alcol altrimenti non avrei retto per tutta la serata senza ucciderlo o, peggio ancora, scoppiargli a piangere davanti.
- Allora, Christopher, ti sei goduto la vita in questi mesi? - Perfetto, mi sarebbero serviti fiumi di alcolici per tenere a freno l’acidità. Fortunatamente lui ignorò il mio sarcasmo.
- Ho frequentato l’università i primi tempi, ma mi sono accorto che non era ciò che volevo fare. Così ho cercato lavoro fino ad approdare qui -
- Che fortuna…- sussurrai più a me stessa che a lui.
- Balliamo? -
- Eh? - Sconvolta, ero assolutamente sconvolta. Per un attimo pensai anche di aver bevuto altri tre o quattro bicchieri di quel liquido rossastro senza ricordarlo. Poi Christopher ripeté la domanda a voce più alta, credendo forse non lo avessi sentito. O semplicemente, prendendosi gioco di me.
- E da quando tu…- non mi lasciò finire la frase. Chissà perché erano poche le volte che qualcuno mi permetteva di terminare ciò che stavo dicendo.
Mi prese per mano e mi trascinò sulla pista da ballo dove, tra molte altre coppie, volteggiavano elegantemente anche Andrea e Micaela. Proprio quest’ultima, vedendomi tra le braccia di Chris, mi sorrise ignara del fatto che mi ci avesse portata senza che avessi realmente accettato.
- E’ la tua nuova tattica di abbordaggio? Prima facevi lo stronzo e tutte ti cadevano ai piedi. Adesso hai raffinato la tecnica? Fai lo stronzo e poi le porti a ballare? Funziona quando la mattina successiva non ti trovano di fianco a loro? - Domande senza senso. Tante, troppe domande.
Molte persone al di fuori avrebbero potuto pensare che tanta rabbia fosse dettata dalla gelosia. In realtà ero furiosa perché Christopher mi trattava come se nulla fosse successo qualche mese prima, come se non mi avesse lasciata da sola in mezzo a quel prato in balia degli sguardi divertiti degli altri che lo aspettavano. Come se quelle lacrime non fossero state colpa sua.
- Elisa…-
- Sai Chris, credevo davvero di aver trovato qualcuno di cui fidarmi di nuovo. Ti ho raccontato qualsiasi cosa senza bisogno che tu chiedessi. Non ti ho mai chiesto nulla in cambio, se non di non tradirmi come erano soliti fare tutti. Me lo avevi promesso, come io avevo promesso a te di non ferirti e di non lasciarti solo. Avevi una paura tremenda della solitudine - Feci una piccola pausa per asciugare le poche lacrime che non ero riuscita a trattenere. Inutile dire quanto inutili fossero stati i tentativi di passare comunque una bella serata. Non mi sarei dovuta illudere di poter reggere quella situazione anche solo per qualche minuto.
- Eppure sei stato capace di infrangere quell’unica promessa fatta - Ormai singhiozzavo e non sapevo come smettere. Nessuno comunque se ne accorse, tranne noi.
Scappai verso l’uscita, non sopportando più l’aria opprimente che c’era lì dentro. A quel punto per Micaela fu impossibile non notare che qualcosa non andava, ma le feci intendere che non serviva mi seguisse. A quello ci stava già pensando Christopher.
- Ho sbagliato. Mi dispiace, non avrei dovuto reagire così -
- Reagire a cosa?! Maledizione, non sei stato ancora capace di spiegarmi quale fosse il problema! -
- Non posso, LeeLee -
- Eh, no! Non ci provare, sai? Dimentica quello stupido soprannome, non meriti un simile privilegio. Mi chiedo ancora perché mi ostino a parlare con te! Non sei cambiato di una virgola -
- Ti prego - Quell’esordio mi lasciò alquanto perplessa facendomi morire tutte le imprecazioni in gola. Non era da lui chiedere un favore, tanto meno pregare una persona. Lui si prendeva sempre ciò che voleva, senza mezzi termini.
- Ho bisogno di tempo. E del tuo aiuto. Non ti chiedo di sacrificare la tua vita, ma vorrei chiederti se sei disposta a insegnarmi di nuovo ad essere tuo amico. Devi aiutarmi a tornare a quel giorno al parco e… -
E in quel momento tornai da sola a quel pomeriggio di metà Maggio.

- Chris - chiamai intimorita.
- Che c’è? Non lo vedi che sono impegnato? - La sua freddezza mi colpì come uno schiaffo.
- Ho bisogno di parlarti. Qualche minuto, per favore… -
Christopher mi lanciò un breve sguardo che non riuscii a decifrare, poi si rivolse ai suoi amici.
- Arrivo subito, ragazzi - E si allontanò con me.
- Allora, che devi dirmi di così urgente? -
- Perché mi eviti? Non riesco a capire dove ho sbagliato… - stavo già cominciando a piangere. La lontananza del mio migliore amico era diventata insopportabile, anche se era passata solo una settimana da quando aveva smesso di chiamarmi o essere reperibile.
- Non ti sto evitando. -
- Lo sappiamo tutti e due che non è vero. Quello che vorrei sapere è perché. Da quella sera in cui…- M’interruppe con una tale brutalità da farmi quasi paura. Non era da lui. Lui non era il mio migliore amico.
- Senti, perché non mi lasci in pace eh? -
- Perché mi manchi! - dissi ostentando sicurezza. Volevo capisse davvero l’importanza del ruolo che ormai ricopriva nella mia vita e che non si limitasse a chiudere i compartimenti stagni del suo cuore, rinunciando per sempre alla nostra amicizia.
- Devo andare Elisa, gli altri mi aspettano - fu tutto ciò che mi rispose. Poi si voltò e cominciò a camminare in direzione del cancello d’entrata.
Rimasi lì, senza parole. Ero stata abbandonata, di nuovo. Come quando i miei genitori avevano deciso che vivere tutti sotto lo stesso tetto non fosse più una buona idea. Dopo loro, gli unici in cui avevo riposto tanta fiducia e a cui avevo donato tanto affetto erano lui e Micaela. In quel momento, però, a uno dei due non sembrava importare più nulla di me dal momento che mi aveva liquidata con noncuranza chiamandomi persino Elisa.


Fu lo stesso Christopher a strapparmi da quei ricordi. Ciò che più mi colpì però fu il modo in cui lo fece. Si avvicinò lentamente a me, quasi temesse di spaventarmi. Pensai allora che non dovevo avere un bell’aspetto se avevo costretto una persona come lui ad usare la delicatezza. Poi mi avvolse tra le sue braccia. Inizialmente si limitò ad un leggero contatto; poi qualcosa che reputai essere il senso di colpa lo spinse a stringere l’abbraccio e a posare il mento sulla mia testa.
- Lunedì il mio turno finisce alle cinque. Se ti va, passa che ti offro un caffè -
Poi, come se non fosse già abbastanza per me da sopportare, stampò un veloce bacio tra i miei capelli e mi sussurrò - Mi manchi, LeeLee -.
Con il cuore in gola e le lacrime pronte ad essere versate per l’ennesima volta in quella giornata senza fine, compresi che era ora di andare.
- Avvisa tu Micaela, per favore - E salii sul primo taxi disponibile.
L’unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era il mio migliore amico. Il mio diario.


Eccoci qui, al terzo capitolo di 'Alle Cinque in Punto' dove ho preferito lasciare maggiore spazio ai dialoghi e fare un pò più di luce sui rapporti che ci sono tra i personaggi.
Finalmente vediamo Christopher all'azione, protagonista che finora avevamo conosciuto per lo più attraverso i ricordi di Elisa. Ora, che succederà?
Elisa si presenterà al Coffee Dream alle cinque? Cosa sarà successo durante quella sera di cui parla la nostra protagonista nell'ultimo ricordo? Pian pianino risponderò a tutto, promesso!
Ora passerei ai ringraziamenti. Grazie a tutte quelle persone che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate. Grazie per le bellissime parole che scrivete nelle recensioni, perchè è davvero importante sapere cosa pensa chi legge i propri scritti. Un grazie particolare a mia sorella che legge in anteprima i capitoli e mi dà l'ok per la pubblicazione. Grazie a tutti, davvero!
Per finire, questo è l'ultimo aggiornamento dell'anno e probabilmente anche per i primi dell'anno nuovo dal momento che domani parto [me ne vado al freddo della Germania con il mio ragazzo... Brr!] e tornerò il 2 Gennaio.
Tanti auguri di Buon anno e a presto!

Un bacio.
Sara

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Capitolo 4
*** Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio ***





Capitolo QUATTRO - Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio

 

“Non accetto…” Staccai l’ennesimo petalo e rimasi a fissare quella margherita immaginaria. Mancava un solo petalo, ma non sapevo prendere la mia decisione: avrei dovuto staccarlo e pronunciare la fatidica parolina, oppure fingere che non fosse accaduto niente quella sera e sperare di non rivedere Christopher per i prossimi tre decenni?
Mi ero girata e rigirata nel letto per ore, senza giungere ad una conclusione. Così si erano fatte le quattro, ma la mia mente sembrava non voler assolutamente cedere il passo al sonno.
Ascoltare la testa o il cuore? Razionale o sentimentale? Sembrava uno di quei quiz alla televisione, dove hai il cinquanta percento di possibilità che la risposta sia errata.
Ormai stanca anche di arrotolarmi nelle lenzuola, mi alzai e andai in cucina con l’intenzione di prendere una tazza di tè caldo. Se non dovevo dormire, volevo farlo per bene!
Quello che non avevo previsto era che Micaela si svegliasse e mi raggiungesse, affacciando il suo visino assonnato dalla mia spalla e piantandomi gli occhioni pigri addosso.
 
“Ah!” Balzai all’indietro, lasciando la presa sulla tazza che si frantumò per terra versando l’acqua calda pronta a trasformarsi nella mia bevanda preferita.
 
“Ehi, potrei offendermi sai?” Micaela si avvicinò al lavello per prendere il panno umido e asciugare l’acqua.
 
“Non sei un bello spettacolo appena sveglia, dovresti saperlo. Non se ti avvicini di soppiatto come i piccioni in Piazza Duomo!”
Una volta raccolti tutti i cocci, rinunciai al desiderio di sorseggiare una bevanda calda per distendere i nervi e mi avviai in camera augurando di nuovo a Micaela una buonanotte.
 
“Eli?” Mi fermò.
 
“Mmm…”
 
“Ti va di raccontarmi cosa è successo?”
Sospirai, sconfitta. I pensieri non mi davano tregua ed io ero un’illusa se pensavo di poter aggirare la mia migliore amica. Lei che mi leggeva dentro come fossi la sua copia sgualcita di Cime Tempestose.
Annuii semplicemente, facendole cenno di seguirmi.
 
“Lui non ti ha detto niente?” Mi informai per sapere da che punto partire.
 
“Più o meno. Si è limitato ad accennare di averti chiesto una seconda possibilità e che spera davvero tu gliela conceda. Per quanto riguarda i precedenti, buio totale.”
 
“Dall’inizio, allora. D’accordo…” Gonfiai le guance come i criceti, per poi lasciarmi andare ad un sonoro sbuffo. E da lì, a ruota libera.
Parlammo per un tempo indefinito, analizzando qualsiasi gesto o parola avesse potuto tradire le sue buone intenzioni. Non volevo darmi per vinta, anche se ormai le palpebre si chiudevano da sole e spesso blateravo frasi senza senso. E se avessi sottovalutato qualche aspetto importante? Non me lo sarei mai perdonato. Prima ancora di non perdonare a lui qualsiasi passo falso.
 
“Quindi, cosa farai lunedì? Anche se ormai potrei dire domani” Mi chiese a bruciapelo Micaela.
 
“Ehm, preferisci la risposta sincera o la bugia?”
 
“Pensandoci bene, credo che il mio sistema nervoso dopo essere stato sottoposto a ben…”, Controllò la sveglia, “…due ore di analisi grammaticale - che odio dalle elementari, per inciso - apprezzerebbe molto la bugia. Poi però, chi mi assicura che non ti si allunghi il naso?”
 
“A volte vorrei avere il tuo spiccato senso dell’umorismo, Lim” Sorrisi, perfida.
 
“Mi mancava quel soprannome” Rispose lei con un occhiolino.
L’avevo ribattezzata ‘Limone’, Lim per gli amici, data la sua notevole acidità in certe situazioni. Non l’aveva presa bene inizialmente. Poi ci si era abituata, fino a sentirlo proprio.
Era Micaela. Non poteva mettere il broncio per più di cinque minuti.
 
“Comunque non cambiare discorso, altrimenti al prossimo Carnevale ti costringerò a vestirti da arancia. Saremmo proprio una bella coppia” Si perse un attimo nei suoi pensieri, per poi tornare alla carica. “Allora, questa risposta?”
 
“Sinceramente, non lo so. Ho paura, una tremenda paura che mi allontani di nuovo…”
 
“Oppure potrebbe diventare il nostro mandarino” Ammiccò.
 
“Possibile che tu non sia capace di restare seria per più di sessanta secondi?” La fulminai.
 
“Sì. La risposta è sì.”
 
“A me non sembra…” La guardai dubbiosa.
 
“Cosa hai capito, Ran? Sì, lunedì devi presentarti all’appuntamento” Mi fissò di rimando, esasperata.
 
“C…come mi hai chiamata?”
Non avevo risposto di proposito alla sua affermazione. Continuavo a non esserne sicura, perché sapevo con certezza che Christopher mi avrebbe lasciata da sola ancora.
Lui non era in grado di mantenere saldo un rapporto, neanche con sé stesso. Nonostante ciò, continuavo a sperare in un segno divino, qualcosa che mi lasciasse intendere di potermi fidare ancora di lui. Mi mancava terribilmente il mio migliore amico, avevo bisogno di lui come lui credevo non avesse bisogno di me. Forse peccavo di presunzione; forse mi sarei dovuta limitare ad accettare i fatti come mi si presentavano agli occhi senza scavare alla cieca nell’animo di Chris.
Eppure era inevitabile, perché ero una donna ferita.
 
“Arancia, per gli amici Ran. Non ti piace?” Micaela mi riportò alla realtà con quell’assurda illuminazione. Non bastava un ex migliore amico stronzo? Anche l’amica fuori di testa dovevo avere!
Rassegnata, mi limitai ad annuire. “Comunque, credo che seguirò il tuo consiglio e domani accetterò quel caffè. Però Michi, ricordati che sei in parte responsabile anche tu di questa follia. Se dovesse spezzarmi nuovamente il cuore, dovrai aiutarmi a raccogliere i cocci.”
 
“E io che pensavo che le arance avessero solo semi!” Finse un’espressione spaesata. “Come sempre, Eli. Non ti abbandono, puoi starne certa” Aggiunse tornando seria.

><><><>< 

 
Trascorsi gran parte della giornata recuperando il sonno perso durante la notte, svegliandomi riposata e di buon umore intorno alle quattro del pomeriggio.
Impiegai circa mezzora per trovare la forza di alzarmi comunque, e per cause di forze maggiore: avevo bisogno del bagno e di mettere qualcosa nello stomaco.
Quando arrivai di fronte al frigorifero, trovai un post-it che diceva
 
‘Mi ha chiamata Andrea, chiedendomi se volessi andare al cinema e poi a mangiare una pizza. Non ti ho svegliata perché mi sembravi piuttosto felice di startene sotto alle coperte. Se dovessi avere bisogno, non esitare a chiamare! Corro subito ;)
Un bacione,
Michi’
 
Non avevo alcuna intenzione di guastare il romantico appuntamento di Micaela, anche perché mi sentivo pronta ad affrontare una serata in compagnia di gelato e film. Naturalmente non prima di aver consumato una sostanziosa cena, visto il continuo brontolio del mio stomaco.
Così cucinai due uova e lavai un po’ di insalata, disposi il tutto su un piatto e divorai con voracità l’intero pasto.
Dopo aver riordinato la cucina, recuperai dall’armadio un plaid e un cuscino, una vaschetta di gelato alla stracciatella dal congelatore e un DVD dalla nostra videoteca personale. Ci vollero meno di due secondi per il tuffo sul divano e per premere il pulsante ‘play’ del videoregistratore.
Avevo scelto una commedia romantica, Come farsi lasciare in 10 giorni, che avevo già visto un più volte ma di cui non mi stancavo mai. Avrei potuto ripetere le battute a memoria, eppure mi emozionava sempre e mi aiutava a sorridere anche nei momenti più tristi.
 
Proprio mentre faceva la sua prima apparizione la felce dell’amore, un suono catturò la mia attenzione. Mi alzai riluttante e mi spinsi fino al mobile di mogano che avevamo comprato per l’ingresso - Micaela non faceva altro che lodare quella scelta, ma io ero alquanto scettica a riguardo -, dove avevo lasciato il cellulare.
Sul display lampeggiava una busta e, poco sotto, il nome del mittente del messaggio: Chris.
Mi prese il panico. Forse aveva appena annullato l’appuntamento del giorno dopo? Oppure aveva solo sbagliato destinatario.
Negli ultimi mesi avevo addirittura pensato avesse cancellato il mio numero di telefono; quindi quello fu proprio una svolta inaspettata.
Decisi comunque che fosse il caso di aprire quella bustina, così da togliermi ogni dubbio.
 
Ciao, Elisa. Spero di non disturbare; volevo chiederti cosa avessi deciso per domani… Sai, sono un po’ in ansia a dire il vero. Strano detto da me, vero? Probabilmente non ci crederai, però è così. Ora la smetto di scrivere frasi sconnesse e ti lascio alla tua serata. Chris
Ps: fammi sapere, ci tengo…
 
Sentii il mio cuore annegare in un mare di confusione.
Era davvero cambiato? Così sembrava. Mi avrebbe delusa di nuovo? Probabilmente.
Non riuscivo proprio a convincermi del contrario, nonostante ci provassi con tutte le forze. Sapevo che sarebbe stato in grado di farsi perdonare, con quegli atteggiamenti schivi ma sempre carichi di significato. Nonostante ciò, ero altrettanto sicura del fatto che non si sarebbe dovuto scusare una sola volta perché Christopher era il re delle cazzate e non si sarebbe risparmiato nemmeno questa volta, seppur involontariamente.
 
Decisi comunque di rispondere educatamente, senza lasciar trasparire troppo lo stato confusionale di donna ferita quale ero.
 
Ciao anche a te, Christopher. Se devo essere sincera, sto ancora riflettendo sulla possibilità o meno di accettare quel caffè. Quindi mi spiace, ma temo scoprirai la mia decisione solo alle cinque di domani pomeriggio. Ti auguro una buona serata. Elisa
 
Dovevo perdere il sonno solo io per questo appuntamento inaspettato? Assolutamente no.
 

><><><>< 

 
Erano le quattro e mezza. Era lunedì pomeriggio.
Avevo trascorso la mattina all’università; dopodiché Micaela mi aveva trascinata a fare compere. Non che ce ne fosse realmente bisogno, ma quella ragazza non si accontentava mai e le sue manie comprendevano sempre una folle compagna che l’assecondasse.
Così le permettevo di vestirmi come se fossi la sua Barbie, delineando i confini della sua creatività quando si rivelava necessario.
Per questo motivo mi trovavo di fronte al Coffee Dream con un paio di jeans grigio perla, una maglietta bianca con qualche strass, una di quelle che andavano di moda in quel periodo, e un paio di scarpe da ginnastica nere. E l’immancabile cappotto con sciarpa annessa, naturalmente.
Ed ero in anticipo di mezzora.
Sembravo una ragazzina alle prime armi, non una ragazza di ventuno anni al primo incontro dopo che il suo migliore amico l’aveva scaricata per chissà quale motivo.
Ero ferma davanti alla porta d’ingresso senza saper bene cosa fare, guardando quel ragazzo muoversi velocemente al bancone tra un caffè e un cappuccino.
Ero incantata a fissarlo, quando sentii il cellulare emettere un trillo. Due, tre, quattro. Maledetta borsa!
Ero sempre stata disordinata, mia mamma me lo ripeteva ogni giorno. Eppure mai come da quando avevo lasciato la casa dei miei genitori me ne ero accorta. E la borsa non era di certo immune a quel caos poco organizzato.
Finalmente riuscii ad acciuffare il telefono che suonava imperterrito, scorgendo sul display il nome di mia sorella.
 
“Ehi pulcino! Come stai?”
 
“Pizza. Stasera. Mamma. Papà” Esordii senza farmi capire di cosa stesse parlando.
 
“Peggiori con gli anni, Fra. Saresti così gentile da ripetere in un linguaggio comprensivo quello che stavi cercando di dirmi?”
 
“Mamma e papà hanno convocato per stasera una riunione di famiglia di fronte ad una pizza, preparata rigorosamente da mamma che è ai fornelli da stamattina.”
 
“Aspetta, aspetta! Da quando mamma e papà si parlano?” L’ultima volta che mia madre avesse preso il telefono in mano per chiamare mio padre, si erano insultati così pesantemente da farmi temere che lei prendesse la macchina e la caricasse di piatti da tirargli dietro.
 
“Se devo essere sincera, non ne ho la minima idea Eli. So solo che hanno detto che è molto importante, che dobbiamo esserci entrambe e che non accettano rifiuti. Ci hanno incastrate in poche parole!” Sbuffò esasperata Francesca, la mia sorellina minore.
Ne avevamo passate così tante in quegli anni, da evitare accuratamente l’accostamento di ‘mamma’ e ‘papà’ nella stessa frase.
 
“D’accordo, ci sarò. Non ti preoccupare, Franci, non potrà andare peggio del solito e ormai noi sappiamo gestire la situazione. Ci vediamo più tardi, ok pulcino?”
 
“A dopo, Eli” E riagganciò.
 
Ero così concentrata su quella telefonata, da non essermi accorta di una presenza alle mie spalle.
 
“Come sta?”
 
“Come l’ultima volta che l’hai vista, sette mesi fa” Risposi voltandomi in direzione di quella voce. “Crescere non è mai stato facile per nessuno, no? In questo caso, per lei è ancora più difficile. Non ha due figure stabili come i nostri genitori affianco, nonostante loro facciano del loro meglio, e affronta un periodo che è comunemente chiamato ribellione adolescenziale. Quindi per il momento è così, una sorpresa ogni giorno.” Mi fermai a riflettere un attimo, indecisa sul confidarmi o meno. “Un po’ come mia madre e mio padre che…”
 
“Che?”
 
“Niente, pensavo ad alta voce” La diffidenza aveva avuto la meglio, alla fine.
 
Christopher era di fronte a me, a pochi centimetri di distanza, e si stava accendendo una sigaretta.
 
“Non hai ancora perso il vizio, eh?”
 
“Già” Alzò lo sguardo su di me.
Era imbarazzante, era strano, era bello. Stranamente familiare, come un dejà vu…

 
“Non ci provare” Mi ammonì severo.
Non avevo mai capito perché la gente provasse tanto gusto nel rovinarsi la salute. Per cosa poi? Apparire di uno o due anni più grande della propria età, ribellarsi ai genitori, sfogare il nervosismo - questa poi! - oppure occupare i cinque minuti della pausa pranzo o intervallo che fosse.

“Mi ringrazierai, un giorno” E la sua sigaretta era sfuggita alle sue labbra.

“Non sai in che guaio ti sei messa, Elisa” Era arrabbiato, lo si capiva dal tono duro e poco confidenziale che aveva usato per riprendermi.
Io però avevo un motivo valido per fare quello che avevo fatto. Io tenevo alla sua salute perché tenevo a lui, al suo sorriso, alla sua voce, al suo sguardo. Lo volevo vicino perché ne avevo bisogno, perché ero egoista e sapevo di non poter sopravvivere se l’ennesima persona se ne fosse andata. Era il mio migliore amico e, seppure non si sprecasse mai in parole dolci e affettuose, lui mi capiva come io capivo lui. Ci eravamo trovati in un periodo per niente facile della nostra vita, quando avevamo più bisogno di qualcuno che si prendesse cura di noi, e non ci saremmo più separati.
L’avevo promesso, me lo aveva promesso.

“Lo rifarei, se fosse necessario Chris. L’ho già fatto altre volte e non ci vedo niente di sbagliato. L’unico che sbaglia qui, sei tu” Avevo risposto guardandolo negli occhi. E puntualmente lui era fuggito con lo sguardo, perdendosi nella contemplazione del libro di fisica  come sempre quando il discorso cadeva su quanto grande fosse il nostro affetto reciproco.
Era come se fosse allergico ai sentimenti, però non era in grado di non provarne. Ce la metteva tutta, allontanava chiunque ma per un motivo o per l’altro arrivava una persona capace di far breccia in quel muro di ghiaccio che era il suo cuore.
C’era riuscita Micaela, c’ero riuscita io forse anche meglio di quella ragazza tutta pepe che era la mia migliore amica.

“Non sono cose che ti riguardano.” Ed eccola, la barriera che si rialzava durante l’attacco nemico.

“Tu mi riguardi, Chris.”
Il discorso si era chiuso così, senza che nessuno dei due proferisse parola. Christopher preferiva i gesti alle parole; forse fu per questo che, quando uno dei suoi amici gli chiese una sigaretta, lui gli regalò il pacchetto che ne conteneva ancora cinque. Ne avrebbe comprato un altro più tardi sicuramente, ma questo era il suo modo per dirmi “Anche tu mi riguardi, LeeLee”.

 
“Era sempre così con te. Che tu fossi sola o meno, il mondo si fermava quando lasciavi vagare la mente tra i tuoi pensieri. Mi sono sempre chiesto come ci riuscissi, avrei voluto essere capace anch’io di isolarmi” Le parole di Christopher mi riscossero dai ricordi.
Mi emozionava il fatto che si ricordasse certi particolari del passato o che avesse prestato loro attenzione quando ancora eravamo amici, però non volevo darlo a vedere. Non potevo mostrarmi vulnerabile di fronte a lui che mi aveva ferita così profondamente; mi limitai quindi ad una alzata di spalle.
“Non è difficile, Christopher. Basta avere tante cose a cui pensare ed un compagno silenzioso che ti permetta di farlo e il gioco è fatto. Sono stata molto fortunata, in entrambi i casi.”
Poi mi voltai dirigendomi verso il locale senza aspettarlo.
 
“Non ho ancora finito la sigaretta” Richiamò allora la mia attenzione.
Ruotai la testa e gli risposi: “Buttala.” E ripresi a camminare, sorprendendomi di trovarlo affianco a me in pochi secondi. Anche questa volta, io lo riguardavo.
 
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Avrei potuto dire molte cose di quell’incontro, parlare per ore di quali argomenti popolarono i nostri discorsi e di quali furono tacitamente definiti tabù. Avrei potuto dire che mi ero sentita a casa mentre gli raccontavo degli ultimi mesi trascorsi, proprio come alla festa di Natale quando mi aveva stretta tra le sue braccia dopo sette mesi di lontananza forzata.
Avevo persino ritrovato il sorriso sincero che regalavo raramente alle persone che mi circondavano e che probabilmente conoscevano solo i miei genitori, mia sorella e i miei due migliori amici. O quello che ne restava.
La verità era che di quel pomeriggio ricordavo solo una cosa, il rumore sordo del mio cuore che si fermava mentre la confusione dilagava nella mia testa.
Era piombata lì dal nulla, senza preavviso, e mi aveva colta impreparata a subire uno squarcio tanto grande nel petto. Forse perché era stato lui a chiedermi di dargli una seconda possibilità, forse perché mi aveva chiesto lui di insegnargli a recuperare il tempo perduto e a non lasciarsene più sfuggire altro, forse perché mi aveva detto che gli mancavo ed avevo sperato che quella nostalgia fosse almeno la metà di quella che mi aveva chiusa nel mio guscio sotto chili di coperte e un cuscino ormai salato.
Mi ero ripromessa di non fidarmi facilmente di lui, non di nuovo, perché quel detto non poteva non avere un fondo di verità. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Non capivo cosa mi avesse scossa maggiormente, se il fatto che avessimo parlato per così tanto tempo e lui avesse omesso spontaneamente il fatto oppure che io fossi davvero stata così stupida da non capire che Christopher non sarebbe mai cambiato.
Oppure fu in quel momento che capii qualcosa di molto più importante, come il fatto che l’ingarbugliarsi dello stomaco in quel modo non potesse essere dovuto solo ad un moto di irritazione per la brusca interruzione del nostro primo pomeriggio di recupero.
Doveva esserci qualcos’altro dietro, ma avevo troppa paura di approfondire da sola quel dubbio insano tanto da scrivere un sms a Micaela.
 
Se non hai altri impegni, stasera ordiniamo cinese  e divoriamo gelato alla nocciola davanti ad un film horror? Tanti baci, a più tardi! Eli
 
Il gelato alla nocciola era come un messaggio in codice per noi, voleva dire che qualcosa non andava e che c’era bisogno di una seduta da migliori amiche. Insomma, preferivamo il gelato alla nocciola alla classica bottiglia a cui tutti si attaccano ‘per dimenticare’.
Perché io volevo dimenticare. Volevo dimenticare quella ragazzina di qualche anno più piccola di me, una cascata bionda di riccioli e con un fisico da modella che si era fiondata su Christopher appropriandosi delle sue labbra.
 
“Chris, tesoro, sono ore che ti cerchiamo!” Si era poi voltata a guardarmi, chiedendogli: “E questa chi è?”

Già, io chi ero?
“Una ragazza interessata al posto di lavoro.”



Dunque, dunque... Che ne pensate?
Mi scuso per il tremendo ritardo, ma sono stata risucchiata da un sacco di impegni e dall'inizio della scuola, naturalmente - che avrei evitato volentieri! -
Comunque, in questo capitolo scopriamo qualche cosa in più sul carattere di Christopher ma anche sulla famiglia di Elisa, che fino ad ora è rimasta fuori dalla storia se non per l'introduzione. Nel prossimo capitolo entreremo nel vivo della situazione familiare della nostra protagonista; conosceremo mamma, papà e Francesca. E quando scopriremo chi sono le ospiti indesiderate di questo pomeriggio al Coffee Dream? Non mi uccidete, per favore! Tutto sarà spiegato, a tempo debito ;)

Vi lascio con il link ad una OS che ho scritto in un momento di riflessione e 'debolezza' per così dire - e che non ha riferimenti alla storia -, nella speranza che possa piacervi!

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=920428&i=1
Grazie a tutte le persone che seguono, recensiscono e danno sostegno a questa storia. Magari, se avete qualche minuto, lasciatemi un piccolissimo parere giusto per sapere se qualcosa non va o se la storia merita attenzione. Altrimenti, sono comunque felice di sapere che la leggiate silenziosamente!

Un bacio,
Sara

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