La scelta giusta per Alice

di fri rapace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Troppo innamorato per lasciar perdere ***
Capitolo 2: *** Ed io... ***



Capitolo 1
*** Troppo innamorato per lasciar perdere ***


La scleta giusta per Alice cap1 Troppo innamorato per lasciar perdere

“Tu lo ami?”
Alice lo fissò sorpresa e turbata, poi, con un certo impaccio, distolse lo sguardo.
“Vi ho visti, sai!” proseguì Frank, con foga crescente. “Le vostre mani si toccavano, mentre…”
“Mentre lui ascoltava le mie chiacchiere? Che cosa spregevole da fare, vero? Vedi oscuri complotti ogni volta che riservo un po’ d’attenzione a chiunque non sia tu,” osservò scherzosamente lei, senza tuttavia riuscire a scacciare del tutto il rossore che le aveva acceso le guance tonde. “E basta fare due parole con tua madre per capire il perché del tuo egocentrismo, però… ”
Lo prese alla sprovvista storcendo il viso in una smorfia buffa, ma era troppo arrabbiato per lasciarsi intenerire: la battuta su sua madre non era stata una bella mossa, se la sua intenzione era quella di ammansirlo.
“Non mi hai risposto!” recriminò a denti stretti.
Alice allargò le braccia, come se mostrarsi vulnerabile potesse renderla meno colpevole ai suoi occhi.
“Si è preso una cotta per me,” ammise con una dolcezza che non gli piacque affatto.
“Remus ha quasi vent’anni!” esplose. “L’età per le cotte l’ha passata da un bel pezzo. Per Merlino, è un uomo!”
Non sapeva neppure lui se la stava mettendo in guardia o accusando nuovamente.
Se solo aveva osato sfiorarla…
“Frank…”
La mano di Alice gli accarezzò il braccio.
Quello è un licantropo…”
“A me non importa. E neanche a te importa.”
Frank scrollò via rudemente la sua carezza: non aveva bisogno del suo aiuto per ricordare chi era e su quali ideali aveva costruito la propria vita.
“No. Certo che non m’importa.”
“Tu lo sai perché si è innamorato di me, vero?”
Nella mente di Frank turbinarono decine di risposte: perché era un’Auror di successo, una donna forte, intelligente, addirittura eroica. Al suo fianco aveva sfidato Voldemort per ben tre volte, riuscendo a sfuggirgli quasi illesa. Riflettendoci, era strano che non fossero tutti innamorati di lei.
“È perché non può avermi, Frank. Mi ama per questo e persino per…”
Lui non la stava ascoltando, troppo preso da se stesso, reso sordo dall’egocentrismo e dalla gelosia.
“Frank? Mi dai retta, per favore?”
Alice pretendeva che affrontasse la situazione con lucidità, e la cosa lo feriva profondamente. Non stavano pianificando una missione per l’Ordine, né per il Ministero: la logica non trovava spazio in amore, l’amore era solo pazzia.
Se non lo capiva, c’era una sola spiegazione: lei non lo amava affatto.
“Sto facendo del mio meglio,” si difese, addolorato dalla sua mancanza di comprensione. Gli stava sbattendo in faccia l’amore che un altro provava per lei, e con tutta l’aria di averlo accolto e gradito!
“Mi ama perché non può avermi, e per questo,” insisté lei, come se il suo precedente tentativo di spiegarsi non fosse stato ignorato, ma invece di finire la frase allungò goffamente una mano, rovesciando il vistoso vaso di fiori che occupava il centrotavola.
Fissò il disastro con uno strano sorrisetto, poi guardò per aria, come se avesse scordato qualcosa.
“Allora?” la incitò, riparando immediatamente il vaso con un incantesimo.
“Sai che dimentico sempre le cose,” rispose, sorridendo di nuovo.
Frank ebbe un moto di fastidio: gli succedeva ogni volta che la vecchia goffaggine di sua moglie tornava a far capolino, come la ricaduta di una malattia difficile da estirpare. Si era innamorato dell’Alice conosciuta al corso per Auror - sicura di sé, sveglia, coraggiosa - non della maldestra ragazzina di Grifondoro che non faceva altro che combinare pasticci, fin dal suo imbarazzante Smistamento.
Allora aveva riso assieme all’intera Sala Grande nel vedere quella buffa bambina, il Cappello Parlante calato sugli occhi, che all’annuncio della Casa a cui era stata assegnata si era alzata con uno strillo di gioia e cercato subito dopo di tornare a sedersi, mancando comicamente lo sgabello. Quella finita col sedere per terra non era il genere di compagna che voleva al proprio fianco.
Pur disprezzandosi per questo, temeva che quando avessero avuto un figlio, questi potesse ereditare da lei quella goffaggine che tanto lo infastidiva e metteva in imbarazzo, soprattutto davanti a sua madre: lo spaventava l’idea che lei la potesse considerare non alla sua altezza.
“Tu sei mia moglie,” le disse amandola disperatamente, ed era sincero: non amava tutto di lei, ma quello che non gli andava era nulla in confronto al resto.
“Sposarti era quello che volevo, ma forse non quello di cui avevo bisogno,” sussurrò lei mordendosi le labbra, le mani con cui si era afferrata i gomiti che tremavano.
Frank, ancora troppo concentrato su di sé, l’aggredì impulsivamente, senza darsi il tempo di comprendere le sue parole:
“Lo hai fatto apposta a rovesciare il vaso e a dirmi che non ricordi le cose, perché sai che non lo sopporto! Vuoi allontanarmi, non è così? E se il nostro matrimonio deve finire, vuoi che sia per una mia decisione!”
Alice si alzò all’improvviso dalla sedia, rovesciandola non per fingere un altro pasticcio, ma per rabbia.
“Fuori!” gli urlò, diventando rossa fino alla radice dei corti capelli biondi.
“Cosa?”
“Ho detto fuori! Non mi stai neanche a sentire!”
Frank prese la Pluffa al balzo.
“Invece il lupo mannaro ti ascolta, vero? Non è vero?!”
Un attimo dopo si stava sbattendo la porta alle spalle.
La luce che lo accolse in strada lo colpì: malgrado l’ora tarda, il cielo era chiaro e la via illuminata a giorno.
“Luna piena,” comprese.

***

Non sapeva ancora bene cosa fare. Semplicemente, non voleva fermarsi.
“Ehi, Frank, entra!”
Diede un’occhiata veloce dietro le spalle di un allegro James Potter: Peter e Sirius lo stavano salutando dal tavolo del salotto, improvvisando un brindisi con delle bottiglie di Burrobirra.
“Remus?” chiese, fingendo di non avere notato la luna piena. Il ragazzo traslocava sempre più spesso e aveva perso il filo dei suoi spostamenti.
Quella sera doveva per forza essere a casa: sapeva che per evitare di ammazzare qualcuno si rinchiudeva apponendo ogni genere di incantesimo di protezione al locale scelto per la trasformazione.
“A casa,” gli rispose tranquillamente James.
“E dove…?”
“Al solito posto. Al contrario delle scale di Hogwarts, né a lui né alla casa piace cambiare. Capito, no?” gli strizzò l’occhio da dietro gli occhiali storti. “È una battuta sul suo ‘Piccolo Problema Peloso’,” chiarì, un po’ deluso di non vederlo sorridere.
“Mi puoi dire dove vive, ora?” tagliò corto Frank, troppo turbato per preoccuparsi di essere cortese.
“Sono ben cinque mesi che si è accampato nell’East End e tu non lo sai?!” sbottò James, sbigottito dal fatto che a qualcuno potesse non importare quanto a lui di sapere tutto di uno dei suoi migliori amici.
Frank si fece dare l’indirizzo esatto e, senza dare alcuna spiegazione, si Smaterializzò, pensando che vedere quello che si nascondeva dentro a Remus lo avrebbe fatto sentire migliore di lui, la scelta giusta per Alice.
Avrebbe messo a tacere quella vocina nella testa che gli sussurrava che era meglio lasciarla andare, che senza la paura di essere se stessa che lui le incuteva sarebbe potuta essere più felice.
Non seppe perché, malgrado le circostanze, bussò alla porta dello squallido appartamento del ragazzo, ma quando lui gli aprì nella sua forma umana quasi gli venne un colpo.
Remus lo accolse con un enorme sbadiglio rivolto al cielo, una parodia dell’ululato di un… no, dovette ammettere che somigliava a tutto tranne che a un lupo. Non c’era nulla di feroce in lui.
“Oh…” biascicò, interpretando correttamente il suo sconcerto. Indicò la luna con gli occhi gonfi e lucidi. “Sembra piena, ma non lo è. Domani è il grande giorno. Cioè… grannotte…”
Frank si diede dello stupido, era stata una leggerezza dare per scontato che fosse il plenilunio, avrebbe dovuto controllare! Era un Auror, conosceva bene le fasi lunari e quanto fossero ingannevoli agli occhi di un umano.
“Quindi…” iniziò, irritato per la brutta figura e per il fastidio di doverlo affrontare così: quello che aveva davanti era un suo compagno, un membro dell’Ordine della Fenice e, purtroppo, un ragazzo molto più giovane e inesperto di lui. Fosse stato in forma di lupo, avrebbe potuto almeno sperare in un confronto ad armi pari. Non poteva attaccarlo in quelle condizioni, come mago era tanto superiore a lui che avrebbe vissuto lo scontro come un atto di bullismo.
“Sì?” lo incalzò Remus, comprensibilmente perplesso.
“Tu sei umano.”
“Sembri sorpreso.”
Pensò di averlo offeso, ma il suo tono era allegro e… stanco.
Rimasero sulla porta per parecchi minuti, in silenzio, prima che si decidesse a farlo entrare.
“Non è bello, qui,” si scusò. “Per questo non faccio mai venire nessuno.”
“Neppure Alice?”
Frank aveva quasi urlato, prendendo di sorpresa persino se stesso.
Non sentiva più la rabbia per il tradimento, era diventato rabbia e si ascoltava parlare dall’esterno, come fosse un fantasma.
Remus, che gli stava offrendo una sedia sgangherata, si immobilizzò, ed era chiaro che stava riflettendo molto velocemente.
“Stavo male, ma non mi serviva aiuto. Come adesso,” e lo sfidò con un’espressione che diceva a chiare lettere: ‘Non ho bisogno della pietà di nessuno!’
Solo il muscolo contratto della mascella suggeriva imbarazzo o senso di colpa, ma il morso al nulla durò solo un secondo, poi i suoi denti presero a battere e si fece ancora più pallido.
Pensava forse di poter usare il suo malessere per fregarlo? Aveva idea di quanti interrogatori aveva svolto con successo, facendo capitolare Mangiamorte che avevano il doppio o persino il triplo dei suoi anni?
“Quindi incolpi Alice?” sbraitò furente. Non si doveva permettere di mettere in discussione il desiderio di Alice di essergli fedele. Se aveva sbagliato, la colpa doveva essere solo di Remus!
“Sì…”
Frank, dimentico delle remore che si era fatto per la disparità di forze, si lanciò contro di lui, inchiodandolo alla parete scrostata con l’avambraccio premuto sulla gola.
“…se l’accusa è quella di avermi aiutato a mettermi a letto e preparato qualcosa di caldo da mandar giù,” concluse con la voce leggermente strozzata a causa della sua stretta.
“Smettila di dire cazzate!” gli sbraitò in faccia. “Non fingere di non sapere di cosa sto parlando, tu sai perché sono qui!”
Remus cercò di deglutire e Frank, rendendosi conto di stare sul serio soffocandolo, allentò la presa.
“Cosa vuoi che ti dica?” riuscì a soffiare quando ebbe ripreso un po’ di fiato.
“Non devi dirmi quello che voglio sentirmi dire!” gli urlò pieno di risentimento, perché invece era proprio di quello, che aveva bisogno. “Dimmi la verità!”
L’altro non rispose, ma i suoi occhi parlavano per lui: sapeva quello che stava pensando, era come se fossero stati a lungo grandi amici e Frank, al contrario di lui, si fosse scordato tutto.
Era quello che aveva attratto Alice? La consapevolezza di essere capita senza dover lottare per farsi ascoltare? Comodo, certo, anche per lui: a causa della licantropia doveva essere costretto ad amare in silenzio, di nascosto. Quello che Alice probabilmente aveva interpretato come generosità era, al contrario, solo egoismo.
“Lei ti ama?” gli chiese con la voce che andava scemando. Perché alla fine, era tutto lì quello che davvero importava. Lei.
“Scusa,” mormorò Remus, e tremava, mentre lo diceva. “Non voglio che mi tocchi.”
Si liberò definitivamente dalla sua presa con una spinta, lasciandogli la sensazione che avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento.
Lo osservò senza muovere un dito scivolare a terra con le spalle al muro, la luce della luna che tagliava in due la parete appena sopra la sua testa, come una ghigliottina pronta a calare sulla sua gola livida.
“È la luna… è la luna che non vuoi che ti tocchi? O…”
Non riuscì a pronunciare il suo nome, ma le parole di lei gli tornarono nitide nella mente, e lui le ascoltò per la prima volta:
‘Mi ama perché non può avermi.’
Frank provò pena per lui e si sentì molto fortunato: Alice era sua e avrebbe lottato per riconquistare anche il suo cuore, non con proclami urlati e usando i muscoli, ma dandole quello di cui aveva realmente bisogno.

***

Arrivò a casa, a piedi, guidato dalla luce della luna, e Alice lo accolse in lacrime.
L’ascoltò singhiozzare mentre l’abbracciava: piangeva come chi sa di aver perso qualcosa di insostituibile. Frank la contraddisse, ascoltando senza alcun rancore quelle lacrime che non erano per lui.
Ascoltando lei.







Questo primo capitolo (sono solo due) è ispirato alla canzone: "Fix you" dei Coldplay. Il titoletto è una citazione della canzone.

NDA:

Riguardo la caratterizzazione, so come Frank e Alice vengono di solito rappresentati nelle ff, e io li vedo diversamente. Alice assomiglia fisicamente a suo figlio Neville e, secondo me, anche caratterialmente. Frank, invece, sempre messo sul piedistallo dalla madre nei libri della Rowling, lo vedo più come una specie di James Potter. Ulteriore conferma alla mia teoria: la bacchetta di Frank non è adatta a Neville, infatti il ragazzo avrà notevole giovamento quando finalmente potrà averne una davvero sua.
Ho comunque dato a Frank delle insicurezze (teme il giudizio della madre, malgrado sia un adulto) e una lealtà degna di un Tassorosso: quando si trova davanti Remus, invece di attaccarlo subito (cosa che sarebbe stata comprensibilissima!), si fa dei problemi perché si ritiene molto più forte di lui.
La scelta di Remus come “amante” è dovuta al fatto che devo ficcarcelo ovunque (ehehe…), no, scherzo, al fatto che caratterizzando Alice mi sono resa conto delle analogie con Tonks.
Oh, ormai è diventato un cliché mettere Alice e Frank nella stessa annata dei Malandrini, ma questo non è possibile: loro due erano Auror già affermati (o addirittura famosi) durante la Prima Guerra Magica, e i Malandrini avevano 21 anni quando è finita. Considerando che si diventa Auror proprio a 21 anni, ho calcolato che i Paciock avessero almeno cinque, sei anni più di Remus.



Seconda classificata

La scelta giusta per Alice
Totale: 43,50/45

Grammatica e sintassi: 10/10
Perfetta. Nessun errore da farti notare, tutto meravigliosamente scritto giusto, senza nessun errore particolare.

Lessico e stile: 10/10
Anche qui mi ritrovo costretta – volentieri, ovviamente – a darti punteggio pieno. Ho trovato tutte le scelte lessicali molto buone e adatte a ciò che scrivevi, senza ripetizioni o quant’altro; le parole non cadono mai nel banale né sono troppo particolari o di poco uso. Una buona varietà molto apprezzabile.
Per quanto riguarda lo stile, stesso discorso. Semplice, diretto. Mi è piaciuto tantissimo perché si legge veramente bene e senza problemi; lettura scorrevole e liscia, fluida. Ogni movimento è descritto davvero bene ed ogni pensiero con altrettanta efficacia. Complimenti, sul serio, uno stile ammirevole.

Caratterizzazione personaggi: 9/10
Mi è piaciuto vedere Frank e Alice caratterizzati in modo diverso dal solito.
Alice riporta le goffaggini del figlio, e questo è un particolare che ho davvero molto apprezzato. Anche il fatto che Frank speri con tutto il cuore che suo figlio non riporti quel “difetto” della moglie mi è piaciuto particolarmente, perché fa vedere che proprio queste particolarità si sono tramandate, anche quelle che non si vorrebbe mai che il proprio figlio guadagnasse.
Invece mi ha un po’ lasciata perplessa la caratterizzazione di Frank; ho capito dove volevi andare a parare – che sua madre lo mette in un piedistallo che non merita così tanto, a tuo parere – ma così è un po’ troppo… Uhm, fuori da Neville? Nel senso, non sembra che abbia qualità che ricordano suo figlio. Per quanto la situazione sia credibile, su questo la caratterizzazione di Frank pecca un po’, non molto comunque.
Remus, Sirius, James che son di sotto fondo sono i soliti di sempre. Soprattutto Remus, e su questo non ci piove.

Originalità: 10/10
Ecco, anche qui non ho nulla da dire. In realtà Frank e Alice non si vedono molto, specialmente in queste situazioni, quindi come si potrebbe dire che questa One-Shot non è originale? Lo è eccome. Già a partire dall’insolita caratterizzazione dei personaggi, per sfociare in uno “pseudo-tradimento” con Remus è chiara l’originalità di questa storia. Mi piace anche perché hai paragonato Alice a Tonks, un’idea che ti rende onore su questo punto di vista: sei riuscita a ricollegare un amore di un personaggio facendolo trasformare in un interesse verso un’altra persona.
Bravissima, complimenti.

Gradimento personale: 4,5/5
Devo dire che la cosa che mi ha lasciata più soddisfatta di questa fanfic è stata senza dubbio la frase: “La logica non trovava spazio in amore, l’amore era solo pazzia” che ho letteralmente adorato. Hai scritto una cosa originale, ben scelta, con dei punti veramente unici e all’apice della bellezza. Sì, mi è piaciuta molto, ma il finale mi ha lasciata un po’ insoddisfatta; avrei voluto sapere come finisce, come riusciranno a re-instaurare un rapporto d’amore Frank e Alice dopo tutto questo. Certo se è parte di un’altra storia era inevitabile che non fosse finita qui, quindi posso solo dirti che è meravigliosa, e di continuarla assolutamente.




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Capitolo 2
*** Ed io... ***


La scelta giusta per Alice cap2 Ed io…


“Remus!” chiamò forte Alice. “Non un passo! Sono stufa di inseguirti!”
Lui si fermò, sussultando imbarazzato. Cercò velocemente tra i visi dei membri dell’Ordine che affollavano il quartier generale, e quando trovò Frank fu chiaro senza che aprisse bocca che gli stava chiedendo il permesso di rivolgerle la parola.
Alice lo prese per un braccio, indirizzando un sorriso rassicurante al marito mentre lo trascinava in un angolo.
“Non serve a niente evitarmi, Remus,” iniziò, sforzandosi di mostrarsi più sicura di sé di quanto non fosse. “Dobbiamo parlare.”
Remus fece per scostarsi da lei, in maniera gentile ma con tutto l’aria di chi non ha alcuna intenzione di lasciarsi convincere.
“Frank è d’accordo,” aggiunse per convincerlo a rimanere. Sapeva che Remus non aveva paura di lui, ma di perdere definitivamente la possibilità di riconquistare la fiducia di una delle poche persone al mondo che, anche se non gli era amica, per lo meno gli rivolgeva la parola: una cosa non scontata per un lupo mannaro.
“Ho già parlato con Frank,” le rispose evasivo, con quel tono brusco che assumeva quando era nervoso o spaventato.
Era ancora così giovane, eppure già tanto incline a nascondere le proprie emozioni. Alice avrebbe voluto insegnargli quanto quel reprimersi gli facesse male – lei lo sapeva bene – ma era certa che non glielo avrebbe permesso.
“Non abbiamo fatto niente,” le sibilò, supplicandola con lo sguardo. “Tu non volevi, gli hai detto che tu non volevi? Crederti è quello che più desidera.”
“Remus…”
“Io neanche ti piaccio,” allargò le mani, sfidandola a contraddirlo.
“Remus, tu sai essere molto convincente, ma non puoi mentire a me! Io c’ero, so cosa c’è stato tra di noi!”
“Non c’è stato niente!” ribadì lui con foga, abbassando poi di colpo la voce. “Lo so, se ci tenevo così tanto a te e a Frank avrei dovuto pensarci prima, avrei dovuto allontanarti. Sapevo di sbagliare anche se cercavo di convincermi del contrario…” sospirò, stringendo aria nei pugni. “Ho sbagliato, e ora voglio solo che vi dimentichiate di quello che è successo, che tutto torni come prima.”
C’era un che di infantile nel suo tentativo di cancellare con tale facilità i suoi errori, come nel dare tanta importanza all’opinione che gli altri avevano di lui.
Alice sapeva bene come si sentiva.
“Remus, non è un obbligo cercare di piacere a tutti quelli che ti accettano malgrado il tuo problema, sai? Tu non devi loro niente,” si sentì un’ipocrita nel dirlo, visto che anche lei era fatta così, anche se stava cercando di cambiare. “Vedi?” chiese, attirando la sua attenzione sulla maglietta che indossava: era di un rosa acceso e della peggiore fattura Babbana. Acquistarla per pochi spiccioli in uno dei tanti mercatini londinesi era stata un’avventura, per una Purosangue come lei. “La portavo anche l’ultima volta che sono stata a trovare mia suocera,” le scappò un sorriso intenerito nel ricordare l’impaccio del marito. “Frank era terrorizzato, mi aveva detto che ero matta e che sua madre mi avrebbe criticata selvaggiamente fino a farmi piangere. Invece Augusta, dopo una rapida occhiata che non prometteva nulla di buono, si è rivolta a me con rispetto. Sapeva che ero certa che a lei non sarebbe piaciuto quello che indossavo ma, visto che piaceva a me, avevo fatto di testa mia, sfidandola come quasi nessuno dei suoi familiari osa fare. D’altronde, ho imparato proprio da lei a fregarmene di quello che pensano gli altri del mio aspetto: con quell’avvoltoio impagliato che porta sempre appollaiato sul cappello, lei sì che è una tipa veramente trasgressiva!”
Remus osservò in silenzio la maglietta per un po’, lo sguardo perso, e lei non resistette all’impulso di abbracciarlo. Sperò con tutta se stessa che se Frank li avesse scorti, non si sarebbe sentito troppo ferito dal suo gesto, interpretandolo per quello che era: un addio.
Lui la lasciò fare senza protestare e senza rispondere alla tenerezza, immobile e silenzioso.
Sapeva che si sarebbe accontentato di poco, che in realtà non voleva affatto essere lasciato, ma che per nulla al mondo le avrebbe espresso a parole i suoi bisogni.
Bisogni che comunque lei non poteva soddisfare, per quanto bene gli volesse.
C'era una sola cosa peggiore di un matrimonio senza amore: un matrimonio in cui c'era amore, ma da una parte sola e non era quello, che lei voleva.
Aveva scelto Frank ben prima di conoscere Remus, e non l’aveva certo fatto per un capriccio, o per il desiderio di sistemarsi.
“Frank non è cambiato affatto, sai,” gli confidò all’orecchio. “Le persone non cambiano, ma possono crescere. Ho scoperto che anche i miei sentimenti nei suoi confronti non sono cambiati, per questo lo aspetterò: questa storia ha fatto crescere anche me.”
Si erano perdonati a vicenda e erano sposati da abbastanza tempo da capire che il matrimonio, in fondo, non era che quello: un continuo scendere a compromessi.
“Lui ti ama,” ruppe il silenzio Remus. “Ti devi prendere cura di lui, non di me.”
“Lo so,” abbandonò il suo corpo, allontanandosi per poterlo vedere in viso. “E lui di me. Sta imparando a farlo nella maniera giusta e, beh, è stato costretto ad ammettere che in questo anche lui è un gran pasticcione!”
Scoppiò a ridere, arruffandogli i capelli e Remus si finse offeso per il suo gesto, che lo fece sentire quel ragazzino che temeva di sembrare a causa del corpo troppo magro, da adolescente. Quel corpo che si era rifiutato per molto tempo di farle toccare, accanto a cui poi era giaciuta. Che aveva accarezzato, baciato, spogliato e rivestito.
Avevano fatto l’amore in poche occasioni, di fretta, schiacciati dai sensi di colpa; godendo maggiormente, il più delle volte, nel farlo solo a parole, o con quei piccoli gesti.
“Non ti dimenticherò mai,” confessò. Aveva detto a Frank che Remus si era preso una cotta passeggera per lei, la verità era che anche lei si era presa una bella cotta per lui.
Remus scosse il capo.
“Bugiarda,” disse troppo bruscamente, pentendosene subito dopo alla vista della sua espressione ferita. Le fece un piccolo sorriso di scuse. “Non è necessario,” cercò di rimediare, tentando allo stesso tempo di svincolarla dal dover per forza rimanere ancorata a quella che avrebbe finito per ricordare solo come una colpa, un tradimento, la macchia nera che sporcava il suo matrimonio. “Basta che tu stia bene.”
A un’affermazione così genuina da essere disarmante, Alice non poté che rispondere con un sorriso dolce, commosso.
“Sei un tesoro,” mormorò, promettendogli che non avrebbe mai smesso di ripeterglielo.
“Questo mi sarà utile, credo,” ribatté lui, rilassandosi visibilmente.
“Il mio reiterato ‘tesoro’?”
Remus strinse le labbra, lo sguardo vivace.
“Tua suocera gira davvero con un pennuto morto in testa?”
“Sì,” stette al gioco lei. “E un’enorme borsetta rossa.”
“Utile. Me ne ricorderò.”
Glielo fece promettere, sapendo che in realtà le stava dicendo che non si sarebbe mai scordato di lei.

***

“Mi chiedevo solo se puoi dirci che genere di abiti porta di solito tua nonna.”
Neville era stupito, aveva appena detto al professor Lupin  che Piton era la cosa che gli faceva più paura al mondo e lui, invece di deriderlo o sgridarlo, se ne era uscito con quella domanda… e con tutta l’aria di sapere già la risposta!
Decise di non esporgli i propri dubbi, limitandosi ad accontentarlo.
Ancora non sapeva che grazie ai vestiti della nonna avrebbe ottenuto la sua prima, grande vittoria, una di quelle che fanno crescere.
Sarebbe diventato un eroe, un giorno, e non avrebbe mai smesso di chiedersi perché una delle persone che aveva permesso che quello accadesse, il primo al mondo che aveva riposto in lui la sua piena fiducia, avesse deciso di offrirgli il suo aiuto.






“Mi chiedevo solo se puoi dirci che genere di abiti porta di solito tua nonna.”
Citazione da “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”

"C'è una sola cosa peggiore di un matrimonio senza amore: un matrimonio in cui c'è amore, ma da una parte sola."
Oscar Wilde, Un marito ideale, 1895

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