Surgery: Twenty Minutes

di skiyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Prologo. ***
Capitolo 2: *** -Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** - Prologo. ***



Surgery: Twenty Minute
Prologo









Kim.


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C’era sempre qualcuna migliore di lei, era questo quello che pensava Kimberly Clarke ogni volta che si confrontava con qualcuno.
Qualunque cosa facesse, dal prendere un B in un compito di chimica al cimentarsi in qualche nuovo sport, era sempre seconda.
Iniziava realmente a dubitare di se stessa, insomma, cosa aveva di sbagliato?
Perche’ non aveva nessuna eccellenza?
Per non parlare della sua scarsa, se non minima, autostima.
Non era nulla di speciale, una ragazza qualsiasi, ecco cos’era.
Ma la cosa che più la infastidiva era quell’atmosfera di perfezionismo che le si incollava addosso quando accendeva la tv. Vedeva ragazze meravigliose, con capelli lucenti e con delle perfette forme, che sembrava che la deridessero per la sua scarsa seconda o per il suo buffo ciuffo che non riusciva mai a stare al suo posto; oppure ragazzi se non perfetti che le facevano ricordare quanto i suoi rapporti extra-scolastici fossero disastrati.
Kimbery, inoltre, non amava essere al centro dell’attenzione, infatti a scuola cercava di farsi notare il meno possibile, conquistandosi l’appellativo di “ragazza fantasma” attaccato come con una super colla al nome.
Kimberly Clarke non era felice.
E così, Lena Cooper, sua madre, aveva contattato uno psicologo: Per aiutare la figlia a uscire dal suo mondo grigio.
E se non sarebbe servito a nulla, almeno avrebbe potuto dire di averci provato.
D’altronde era risaputo che le Cooper erano coloro che amavano le sfide.




Jey.
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-L’avevano detto. Scooter ci aveva avvisati, per non parlare di Usher! Iddio, Justin!-. Una signora con dei capelli color cioccolato e decisamente bassetta, continuava a camminare davanti ad un ragazzo troppo indaffarato a smanettare il telefono che aveva in mano.
-Justin! Diamine, mi stai ascoltando?-. Sbottò lei, fermandosi di colpo, con una faccia assai furente.
Il ragazzo sembrò sbuffare. –Sì, mamma. Prometto che smetterò. Ora posso andare?-.
-No che non puoi!-. Inveì lei, alzando la voce di un’ottava.
Justin incrociò le braccia al petto, spostando lo sguardo verso oltre qualcosa le spalle di Pattie.
-Mi dispiace, okay? Smetterò, te lo prometto.- Ripete’ finalmente, spostando lo sguardo negli occhi delusi della madre.
La donna desiderava ardentemente credergli, ma preferì prendere dei provvedimenti.
-Ho parlato con Karin e Scooter poco fa-. Sussurrò lei. –Prepara le valigie, sta sera si parte-.
-Cosa?-. Domandò il ragazzo furente, balzando su dal divanetto dove era spaparanzato poco prima.
-Hai capito bene Justin-. Pattie fece per andarsene, ma suo figlio la fermò.
-E’ una punizione? Perche’ se lo è, è tutto inutile. Non ho cinque anni, ne ho diciotto, cazzo! So che ho sbagliato, e ne sono consapevole, ma d’altronde tutti fanno degli errori, no? E mi dispiace! Mi dispiace, ancora e ancora! Ho capito la lezione, giuro che non lo farò mai più. Lasciami stare qui…ti prego-.
Il volto del ragazzo era rosso e paonazzo.
Sua madre lo guardò indecisa, turbata dalle condizioni del figlio.
Ma la sua decisione era la migliore, si disse.
– Mi dispiace Justin, ma lo faccio per il tuo bene…-.
Il ragazzo scoppiò. –Il mio bene? Da quando farmi andare da qualche parte nel mondo senza dirmi nulla sarebbe “fare per il mio bene”?-.
La donna gli rispose per le rime: -Da quando mio figlio ha iniziato a drogarsi! Ecco da quando!-.
Il ragazzo tacque, mordendosi una guancia, furente.
Non sapeva cosa risponderle.
Aveva ragione, la droga lo aveva ammaliato e lui ci era cascato come un cretino.
Non si ricordava nemmeno quando aveva iniziato, probabilmente cinque mesi da quella parte, a qualche after-party mal riuscito.
Era stato C-Jay, gli aveva assicurato che tutti i suoi problemi o tutti quegli stress che lo assillavano sarebbe spariti magicamente, poof, come per magia.
E lui da bravo imbecille ci era cascato.
Si maledisse mentalmente.
-Vedi Justin? Lo vedi? Sei diventato completamente succube dalla droga! Ne sei dipendente-.
Il ragazzo non resse. –Questo non è vero! Come ti ho detto prima posso anche subito smettere-.
-Ah si? Sai, me l’hai detto anche un mese fa-. La donnetta sospirò. –Justin, per favore, voglio aiutarti. Permettimi di farlo-.
Il ragazzo ingoiò il rospo.
Lo trattava come un malato grave e ciò non gli piaceva affatto.
Aveva compiuto da poco diciannove anni, era diventato un adulto grande e vaccinato.
Sapeva cos’era giusto per lui e, al contrario, cosa era sbagliato.
-No. Te lo ripeto, posso smettere-.
Pattie scosse la testa, rassegnata. –Prepara le valige. Ho chiamato uno dei migliori psicologi d’America. Vedrai, il Dott. Bennett ti aiuterà-.
E detto questo uscì dalla porta.
Justin, dal canto suo, provò un tale rabbia soffocò un urlo quasi disperato, limitandosi a dare un veloce pugno alla parete, per poi accasciarsi al pavimento dolorante e scoppiare in lacrime.
Aveva diciannov’anni e nonostante tutto non aveva il controllo sulle sue azioni, non gli fregavano le conseguenze del drogarsi. Gli piaceva, quando respirava quella magica polverina si sentiva bene, leggero e senza ansie da portasi appresso.
E comunque volveva affrontare la cosa da solo, se stava sbagliando andando per quella strada erano affari suoi, non voleva che sua madre o il suo manager si immischiassero.
Voleva essere indipendente, artefice delle proprie scelte.
Non desiderava aiuti, aveva l'intenzione di sbagliare, sbagliare, e sbagliare, per poi riuscire da solo a trovare una soluzione.
Voleva essere libero.
Libero davvero.






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Ciau belesime. (-:
Spero che questo piccolo prologo vi sia piaciuto!
Fatemi sapere, ne sarei felicissima.

ahah, un bacione!

@afgkidrauhl


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Capitolo 2
*** -Capitolo 1 ***




Surgery: Twenty Minute
Primo capitolo 

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Era un ambulatorio abbastanza appartato; nascosto dietro alcuni tristi edifici di banche.
Nulla di esagerato, Kimberly ne rimase quasi delusa, d’altronde quello psicologo era uno dei più famosi di Los Angeles, doveva assolutamente essere ben pagato.
Rimase ad osservare sgomentata quella strana austerità del posto.
Alcune persone, con facce non decisamente amichevoli, l’osservavano divertita, facendola sentire un pesce fuor d’acqua.
-Su, tesoro. Muoviti-.
Lena diede una leggera spinta alla figlia, esortandola a camminare.
La ragazza, ubbidiente, seguì la strada lungo il vialetto, fermandosi davanti ad un piccolo edificio bianco lindo.
Sua madre suonò il campanello, e dal citofono una voce femminile gracchiò: -Si?-.
-Cooper-. Aggiunse la bionda.
Ci fu un attimo di silenzio, poi il portone si aprì e Kim, spingendolo, entrò nell’atrio.
Una donna con dei capelli corvini le venne incontro, tendendole la mano:
-Tu dovresti essere Kimberly, piacere!-.
Era abbastanza alta, leggermente in carne, con dei piccoli occhietti azzurri inquietantemente vicini.
Di bene in meglio, pensò la ragazza, stringendo la mano di questa.
Sua madre si schiarì la voce, -Siamo un po’ in anticipo-.
La donna sorrise a Lena, -Non si preoccupi-. Si voltò facendo strada. –Seguitemi-.

Justin se ne stava comodamente spaparanzato su una poltrona arancione, il cappuccio tirato sopra gli occhi, lo sguardo basso e le braccia incrociate, facendo il più sostenuto possibile.
Era da più di dieci minuti che aspettava, da solo, in quella stupida stanzetta dalle pareti pateticamente bianche a pois fucsia, di incontrare il fantomatico Dottor Bennett, il suo, a quanto pare, salvatore.
Sua madre gli aveva detto che era un uomo molto indaffarato e che era stato molto difficile fissare un appuntamento con lui con così poco preavviso, ma a Justin questo non importava, d’altronde non aveva chiesto lui andarci.
Infatti era da più di una settimana che non faceva uso di stupefacenti, era soddisfatto di se stesso.
Ma forse era anche un po' merito di C-Jay, il ragazzo era sparito nel nulla poco dopo che la madre aveva scoperto che il biondo comprava sostanze da lui.
-Accomodatevi qui-. Megan, la segretaria che aveva tormentato Justin per tutto quel poco tempo in cui era rimasto seduto li, entrò nella stanza, con alle spalle due persone, interrompendo quelle, forse vane, riflessioni.
Il canadese, ancora con il cappuccio tirato giù il più possibile a coprirgli la faccia, scrutò le due.
Una, quella a destra, probailmente una signora, era abbastanza bassetta e molto magra, i capelli raccolti in uno chignon erano di un biondo scuro. Indossava un cardigan blu, dei pantaloni color cachi e una Gucci probabilmente originale.
Quella a sinistra, al contrario dell’altra, aveva si e no la sua età, o forse qualche anno in meno, dei lunghi capelli castani, leggermente mossi, le incorniciavano il volto leggermente abbronzato, gli occhi di un castano scuro erano un po’ più grandi della norma, ma la cosa che notò di più delle altre era la smorfia che aveva in faccia.
Justin sorrise, divertito. Si vedeva che la ragazza era felice quanto lui di essere capitata in un posto del genere.
-Signora Cooper, se non le dispiace, potrebbe seguirmi? Dovrebbe firmare alcuni moduli sulla privacy…-. Incominciò la segretaria.
La donna annuì, seguendo Megan, e riferita alla figlia, indicando una poltrona con un cenno della mano, disse:
-Rilassati, torno tra un po’-.
Kimberly annuì, e quando la madre fu scomparsa, si gettò a peso morto sulla poltrona adiacente al ragazzo.
Ci fu qualche istante di silenzio, il biondo osservava la ragazza di sottecchi, stando attento a non farsi beccare; mentre la mora tirava fuori dalla borsetta, che aveva appresso, un libro di cui Justin fece fatica a leggere il titolo.
Il ragazzo era leggermente infastidito per il comportamento della ragazza, possibile che non l’avesse riconosciuto? E che comunque non si fosse mostrata incuriosita riguardo di lui? D'altronde non era normale che un tipo stesse incappucciato, come un terrorista, come lui.
Così, preso dalla noia e dalla frustrazione, inziò a far scoccare la lingua sul palato, con disappunto.
La ragazza, dal canto suo, smise di leggere, scocciata, e fulminando quello strano individuo, almeno secondo lei, ribattè piccata: -Ti dispiace? Sto cercando di leggere…-.
Il biondo, sorpreso per tanta acidità, ammutolì preso in contropiede.
-Grazie-. Ribattè la ragazza, riprendendo a leggere.
Justin si tirò un po’ su il cappuccio, e si protese verso la ragazza, appoggiando i gomiti sulle gambe: -Che leggi?-.
Kimberly, irritata da tanta confidenza, fece un respiro profono. –Un libro-.
-Lo vedo-. Aggiunse il ragazzo alzando impercettibilmente un sopracciglio. –Come si chiama? Il titolo, intendo, qual è?-.
La mora alzò gli occhi al cielo, sapeva quello che intendeva il ragazzo, ma non aveva assolutamente voglia di fare conversazione con un impiccione incappucciato.
-Te lo dico se ti togli quel cappuccio-. Aggiunse questa, infatti.
Justin, colpito da tanta perspicacia, ridacchiò pregustandosi già in quel momento la possibile reazione della ragazza. –E va bene, ma per favore, non urlare..-. E così dicendo si sfilò il copricapo, non staccando gli occhi da quelli di Kimberly.
La ragazza, rimase impassibile, sotto lo sguardo confuso del canadese, perchè avrebbe dovuto urlare, si chiese.
Che non sapesse chi fosse?
Justin scosse la testa, cercando di eliminare quel pensiero dalla mente, era impossibile, anzi: impensabile! Tutti: bambini, adulti, anziani, lo conoscevano.
-Romeo e Giulietta-. Assentì la ragazza, pochi istanti dopo.
Il biondo la guardò confuso, così questa ripetè scandendo meglio le parole,: -Sto leggendo Romeo e Giulietta-.
Bieber si diede dell’imbecille. Stava facendo la figura dell’handicappato, così si diede uno schiaffo mentalmente, cercando di svegliare la pop star dentro di lui. -E’ il mio libro preferito-. Cercò di aggiungere con un certo charme.
La ragazza lo guardò impassibile e il ragazzo si sentì in soggezione, era la prima volta che succedeva, JB era abituato ad avere le attenzioni puntate su di se tutti i giorni, non era normale sentirsi denudato in quella maniera.
-Mi fa piacere-. Rispose questa non sapendo che altro dire.
Kimberly Cooper odiava parlare con gli estranei, soprattutto con quelli impertinenti come lui. Anche se doveva ammettere che aveva qualcosa di familiare, un certo non so che di conosciuto.
-Non sei una di molte parole, eh?-. Le chiese lui, stravaccandosi meglio nella poltroncina, con un cipiglio divertito.
La mora dovette richiamare a se tutto l’autocontrollo per non mandarlo a quel paese.
-Non parlo con gli sconosciuti-. Asserì, cercando di concludere quello strano colloquio col ragazzo.
Il biondo accusò il colpo, divertito per il temperamento della ragazza.
-Allora piacere, io sono Justin Bieber-.
Quel nome risvegliò in Kimberly un ricordo assopito, ecco perché aveva un che di famigliare, era il cantante di cui parlava sempre Dana, si diede della stupida, come aveva fatto a non capirlo?
Ciò nonostante la mora assottigliò lo sguardo: -Kimberly, Kimberly Cooper-.
Il ragazzo le sorrise, e la ragazza notò una schiera di denti perfettamente bianchi.
-Quindi è per questo che sei qui?-.
Lei lo guardò interrogativa, non capendo.
-Dico, sei qui perché non riesci a dare confidenza agli estranei?-.
La ragazza ridacchiò. –No, affatto. Sinceramente non lo so nemmeno io perché sono qui-. Fece spallucce. –Tu invece?-.
Justin ammutolì, non voleva dirle della sua dipendenza, si sentiva troppo vulnerabile.
-Sono un po’ stressato..-. La buttò sul vago.
La ragazza annuì, anche se un po’ perplessa.-Comunque io..-.
Non fece in tempo a concludere il periodo che sua madre l’interruppe. –Kim, tesoro, vieni qui. Ci serve una tua firma-.
La ragazza annuì, alzandosi di malavoglia da quella comoda poltroncina.
-Ci si vede Justin-. I suoi occhi incrociarono i suoi -In bocca al lupo per la tua ansia-. Aggiunse, salutandolo con un cenno.
Il ragazzo annuì, anche se un po’ dispiaciuto per non aver approfondito quella amicizia.
Kimberly era strana, nel senso buono ovviamente.
E l’aveva colpito.
Non fece in tempo ad aggiungere altro, però, che la ragazza era sparita e lui era rimasto di nuovo solo in quella stanza troppo allegra e colorata per i suoi gusti.
Si rimise il cappuccio, infastidito per quel silenzio, in testa, e mentre stava per chiudere gli occhi, per fare un sonnellino visto la lentezza dell'attesa, notò un libretto per terra, ai piedi della poltrona su cui era stata seduta la ragazza.
Si allungò e lo prese tra le mani, stando attento a non sgualcirlo.
Era abbastanza vecchio, un’edizione dell’ 83 di Romeo e Giulietta.
Lo aprì con cura alla prima pagina, in centro c’era scritta una piccola dedica in penna blu:


Non smettere mai di credere che le cose, un giorno, possano cambiare.
Per tutti c’è un lieto fine, ricordatelo usignolo mio.

Con amore,

papà.

Justin si sentì un impiccione, era come violare la privacy della ragazza. Ma non cedette all’impulso di chiudere il libro e lasciarlo dove l’aveva trovato.
Voltò pagina, ed ecco che prima della citazione dell'autore, in una calligrafia disordinata c’era scritto un piccolo indirizzo: Bayberry Lane- San Lorenzo- Kimberly Cooper.
Bingo, si disse.
La fortuna gli aveva concesso l’occasione di rivedere la ragazza fuori da un contesto bizzarro come quello, e lui, come d’altronde era giusto che fosse, non se la sarebbe lasci
ata scappare.





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Holaa. :3
Questo capitolo fa proprio schifo, seriamente. D:
Spero con il prossimo di riscattarmi!
Ringrazio tutte quelle che hanno recensito, in particolare Neverlethimgo, grazie per quella recensione, ti stimo molto come scrittrice e per me è un onore avere tuoi pareri! (:
Anyway:
Dio mio, tra un po’ si potranno acquistare i biglietti per il concerto, spero che l’Italia sia compresa nel tuor, altrimenti organizzo un rapimento e lo porto qui io di forza. .éé
Spero che almeno a voi un pochino questo capitolo vi sia piaciuto. –çç
Fatemi sapere, ne sarei molto molto contenta.
Un bacione!





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