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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Pace? No, grazie! *** Capitolo 2: *** Quando piove e guardi il cielo *** Capitolo 3: *** Nessun luogo è sicuro! *** Capitolo 4: *** La verità! *** Capitolo 5: *** Un vero Shinobi, una vera Kunoichi *** Capitolo 6: *** Vivere o morire ***
Prima
di lasciarvi alla lettura, mi sembra doveroso spendere due parole riguardo al
contest indetto da una grande autrice: ellacowgirl in Madame_Butterfly (se non
avete letto le sue opere, anche se ne dubito, vi consiglio vivamente di darci
un’occhiata).
Ognuno
dei partecipanti, raggruppati in team, ha scelto un personaggio dell’anime di Naruto e non ha la possibilità di cambiarlo
durante il contest, anzi, dovrà essere il protagonista principale delle
one-shot, affiancato da un personaggio secondario. Il contest
si svolgerà a turni e metterà alla prova la rapidità e la bravura degli
scrittori nel rientrare e sfruttare i criteri del pacchetto, che varia di turno
in turno, inviato dalla fondatrice del concorso. Ad ogni turno, ci verrà comunicato il punteggio secondo una griglia stabilita,
che pubblicheremo insieme alla storia nel caso volessimo postarla.
Ho
voluto informarvi del funzionamento generico del contest per farvi capire più o meno cosa state per leggere, ma se volete capire di
più leggete nel Forum alla sezione “Concorsi a turni” il contest “Le Dodici
Stanze-Chi la dura la vince”.
In
più, oltre a dare le informazioni per quanto riguarda
il turno (così capirete su cosa ci siamo basati per scrivere i nostri lavori),
le do anche per quanto riguarda la fanfiction (per comodità vostra).
Spero
di non avervi annoiato, buona lettura e grazie dell’attenzione!
Contest _ Turno 1
Team Estate
Stanza: 7-Isole
Personaggio base: Naruto
Personaggio aggiuntivo: Sakura
Prompt pacchetto: Cocco
Luogo: Spiaggia
FanFiction
Genere: (apparentemente) drammatico, comico
Rating: Verde
Avvertimenti: nessun avvertimento, tranne che
sto facendo il possibile!
Naruto sfida le Dodici
Stanze:
Pace? No, grazie!
C’era pace, una pace infinita. Una di quelle così rare da trovare, così
effimere e facili da perdere in un mondo caotico come lo era quello
ninja. In tale mondo, la pace e la tranquillità sembravano nascondersi ogni
volta che li si cercava, ma lì era diverso…
Lì, dove il sole era alto
nel cielo e splendente come non mai, i caldi raggi avvolgevano tutto lo spazio
circostante, riscaldandolo e illuminandolo, rendendolo quasi surreale, mai
visto prima.
Lì regnava il silenzio,
interrotto solo dal fruscio delle foglie al vento leggero e dall’infrangersi
delle onde sugli scogli e sul bagnasciuga.
Lì si era immersi nella
natura, così vasta ed imponente, così verde e rigogliosa, pullulante di ogni creatura vivente, che ogni giorno si esibiva nel
grande miracolo della vita.
Lì il cielo limpido e terso,
sorvolato di tanto in tanto da qualche gabbiano, si confondeva all’orizzonte
con l’intenso azzurro del mare e delle sue onde, che scintillavano in
lontananza colpite dai raggi solari.
Lì erano liberi di correre a
piedi nudi sulla sabbia,sentendola insinuarsi tra le dita, di respirare a pieni polmoni
il profumo di salsedine, di sentirsi parte del mondo.
Era lì che la pace regnava
incontrastata, assoluta, presentandosi in ogni sua forma.
C’era
pace. Infinita, incontrastata, assoluta… C’era troppa pace! Una pace opprimente e troppo forte
da combattere perfino per lui, che in genere riusciva sempre a rovinare
qualsiasi momento tranquillo con le sue stupidaggini. Questa volta,
quella pace insopportabile e surreale lo aveva sconfitto.
E
poi ci si metteva quel dannato silenzio… Era tutto troppo dettato dalla natura,
aveva cominciato ad odiare i gabbiani e il brontolio del suo stomaco non era
sufficiente a sovrastare la natura, benché fosse abbastanza forte e insistente.
Gli mancavano terribilmente lo sfrecciare dei kunai, la carica che si sentiva
in corpo quando era a un passo dal perfezionare una
tecnica e… il suo tanto amato ramen di Ichiraku! Il solo pensiero di quel
prelibato piatto gli fece venire l’acquolina in bocca, e di certo il fattore
non era d’aiuto dato che quel desiderio non avrebbe in alcun modo trovato
soddisfazione.
Faceva
troppo caldo per fare qualsiasi cosa, la sabbia era
rovente di giorno e ghiacciata di notte e quegli stramaledetti insetti non la
smettevano di pizzicarlo.
Sciaf!
«
Ah, ti sta bene! », esclamò il biondino dandosi una pacca sul braccio con
l’intento di far fuori uno di quegli odiosi moscerini.
Fortuna che Shino non era con loro, o avrebbe fatto fare
a Naruto la stessa fine!
Sospirò
per l’ennesima volta a causa del caldo, della noia e della fame che ormai era
diventata un’abitudine quotidiana.
Seduto
ai piedi di una palma, proprio dove la vegetazione lasciava il posto alla
spiaggia, cercava di ripararsi dal caldo sfruttando quella poca ombra che quell’albero riusciva a procurare. Arrossato per la
temperatura e per le precedenti esposizioni al sole, indossava come solo indumento i pantaloni della tuta arancione tirati su fino al
ginocchio, e l’acqua del mare era l’unico modo che aveva di rinfrescarsi.
Sospirò
nuovamente proprio quando una testolina rosa scompigliata,
quasi trascinando i piedi, era arrivata accanto a lui, all’ombra della palma.
«
Siamo rovinati », constatò.
« Che è successo? », chiese il biondo, talmente stanco da far
sembrare apatico il suo tono di voce.
«
Non ho trovato niente. Niente,
capisci? Non un animale che potesse diventare la nostra cena.
Non c’è più niente su quest’isola, solo miserabili noci di cocco », anche il
tono di Sakura era stanco, sfinito. Stanco di tutta quella situazione che si
era creata e che non riusciva più a gestire.
«
Oddio, non facciamo che mangiare cocco da giorni ormai. Non ho
più la forza di spaccarne un’altra, mi rifiuto psicologicamente! », si
lamentò Naruto appoggiando la testa sul tronco e chiudendo gli occhi.
La
ragazza sospirò, abbassando lo sguardo sulle ginocchia che aveva portato al
petto. Era stato così stupido da parte loro accettare di finire lì… Se solo avesse potuto tornare indietro, avrebbe detto mille volte
“no”. Se al suo posto ci fosse stata Ino sarebbe già impazzita, anche se doveva ammettere che anche lei non era molto lontana dal
perdere la ragione. Non trovavano cibo se non qualche bacca e noci di cocco,
era spettinata, sciupata e non faceva né un pasto né
una doccia decenti da giorni! Era stufa del caldo e degli insetti e non poteva
fare a meno di pentirsi.
«
C’è un gabbiano », disse Naruto, con un tono che dall’apatia tendeva alla
disperazione, accennando a qualcosa sul bagnasciuga.
« Cosa? Ma sei matto? Puzza di
putrefazione, e poi non lo sai che i gabbiano volano
in mare aperto solo quando stanno per morire? Non mangerei quel coso neanche se tu mi pagassi oro! »,
obiettò Sakura, che forse aveva riacquistato momentaneamente un po’ di vitalità
nel riprendere Naruto.
«
Ok, ok, non agitarti… Risparmia le energie per la Tecnica della Depurazione »,
suggerì il biondo.
«
Non dirmi che hai già finito l’acqua potabile! »,
sperò lei, portandosi una mano sulla fronte.
«
Non so se l’hai notato, ma siamo su una dannata isola deserta, sotto il sole
cocente per dieci ore al giorno… Che altro dovrei
bere? », si agitò il biondo. Già era una cosa abbastanza spiacevole essere lì,
poi dover essere anche ripreso per usufruire del minimo indispensabile alla
sopravvivenza… No, eh!
« E perché devo farlo io? Diamine! »
« Perché il caro vecchio spaventapasseri l’ha insegnata solo a te
quella tecnica », disse Naruto, pensando che quel pazzo aveva almeno avuto il buon cuore di insegnar loro come
depurare l’acqua del mare. Senza quella tecnica non sarebbero durati due
giorni!
«
Sii rispettoso nei confronti di Kakashi-sensei! », si alterò la rosa,
guardandolo male.
« Ma fammi il favore! Non negare che anche tu in questo
momento vorresti farlo fuori! », esclamò. « Anzi, fammelo veramente, un favore: la prossima volta che
Kakashi parla di una vacanza su un’isola tropicale, prima di accettare,
accertati che sia veramente una
vacanza e non una missione di sopravvivenza! », disse, ricordandosi del momento
in cui l’uomo mascherato, con un sorriso che in realtà era tutt’altro che
cordiale, aveva proposto loro quella meritata
vacanza, così aveva detto, senza proferire nulla a proposito dell’allenamento
per la sopravvivenza in luoghi ostili. Però Naruto
doveva ammettere di essere stato uno stupido a pensare di poter passare un po’
di tempo in tranquillità con la sua Sakura. O almeno
non era quello il modo che intendeva lui!
Era
normale che i due compagni di team litigassero, lo
avrebbero fatto anche a Konoha, e a quell’ultima esclamazione, seguita da una
pessima imitazione del suo tono di voce nell’accettazione della proposta, Sakura
non ci vide più dalla rabbia. Prese la testa del biondo coprendogli il volto
con il palmo della mano e lo spinse forte all’indietro, facendogliela sbattere
violentemente contro la palma, che in tutta risposta tremò e lasciò che una
noce di cocco cadesse sulla testa di Naruto.
«
Ahia! », gridò il povero malcapitato, tenendosi la testa per il dolore, gemendo
e trattenendo a stento tra i denti qualche imprecazione più volgare del solito.
La
rosa prese il frutto, che si era rotto perfettamente a metà, e cominciò a farne
piccoli pezzi per poterne mangiare. Un sorriso vittorioso le illuminò il volto
arricciandole le labbra.
«Vedi
che hai ancora la forza per rompere una noce di cocco? »
Note dell’autrice
Ok, spero che la one-shot non vi
abbia disgustato e che continuerete a leggere questa raccolta, anche perché gli
aggiornamenti saranno abbastanza regolari (ogni due settimane circa, una volta
ricevuto il punteggio) quindi non dovrete attendere molto.
Infine, ma non meno importante, ringrazio tutti quelli che
hanno letto e che commenteranno, e soprattutto ringrazio ellacowgirl, perché con questo suo contest
mi sta ridando la voglia di scrivere e l’ispirazione che avevo perso. Mi hai
dato la spinta giusta per riprendere, perché con
questo concorso mi ritrovo “costretta” a scrivere rispettando certe scadenze,
senza contare che mi sto divertendo un sacco nonostante prima fossi un po’
intimorita. Lo devo a te!;)
Avvertimenti:Alternative Universe, forse
leggermente OOC in quanto i protagonisti sono bambini e il loro carattere non è
ancora pienamente formato
Naruto sfida le Dodici Stanze:
Quando piove e guardi il cielo
Era una giornata grigia, come lo erano quasi tutte
quelle che si trascorrevano lì dentro. Il cielo plumbeo preannunciava pioggia,
forse un bel temporale, ma era ormai certo di essersi abituato ai tuoni e non
chiamava più Suor Shizune per rassicurarlo, da quando gli
aveva raccontato quella storia.
Suor Shizune era una donna molto giovane che si
occupava dei bambini che avevano un’età che andava fino ai cinque anni. Il suo
viso dolce e i suoi modi sempre gentili e comprensivi erano un fattore
fondamentale nel suo lavoro di istruzione dei bambini,
infatti si occupava di orientarli già da quella tenera età ad un primo
approccio a nostro Signore, alle prime preghiere e all’amore verso il prossimo.
Insegnava ad essere buoni
e gentili, così dicevano i bambini.
Naruto, in particolare, aveva preso in simpatia la
giovane donna, anche se non lo si poteva definire un
bambino modello: era una piccola peste che appena poteva faceva le sue
marachelle, come rubare una fetta di torta in più dal vassoio delle merende
pomeridiane, nascondere i pochi giocattoli che i compagni di dormitorio potevano
tenere, sporcare la divisa un po’ troppo spesso e altre piccole e innocenti
birichinate, punite con qualche preghiera in più.
Ma quel giorno no, non aveva
tempo di fermarsi a fare il monello, doveva correre. Finito l’orario di
catechismo, che per lo più consisteva in una piccola lettura e nella consegna
di un disegno, era scappato di nascosto e tornato al
dormitorio per vedere il nuovo arrivato.
Quella mattina, Kiba, un altro bambino che in quanto
a bricconate faceva concorrenza al piccolo Naruto, gli aveva detto
che c’era un nuovo arrivato ma che nessuno aveva ancora parlato con lui e aveva
sentito che i suoi genitori erano andati via da poco, come avevano fatto i
genitori di tutti i bambini che si trovavano lì.
Ma Naruto era fin troppo curioso per
aspettare ancora per conoscerlo. Corse a perdifiato lungo il corridoio
grigio e cupo dell’edificio, raggiungendo l’ala adibita a dormitorio maschile
dei bambini dell’asilo, al secondo piano, e vi entrò
di fretta.
Diede una rapida occhiata alla stanza, dalle mura
grigie e cupe quanto il corridoio ma vivacizzata dal colore di qualche
copriletto. Due file di sei lettini occupavano la stanza rettangolare e lunga
ed erano disposti perpendicolarmente alle pareti più lunghe, di cui una era
adiacente a quella del corridoio, mentre l’altra dava direttamente sul giardino
dell’orfanotrofio. Tre ampie finestre facevano sì che entrasse luce a
sufficienza per illuminare la stanza, anche se quel giorno le nuvole sembravano
non voler far vedere il sole, coprendolo insistentemente già da quella stessa
mattina.
Non fu difficile notarlo, quel bambino che aveva la
sua stessa età era perfettamente in sintonia con quella camera: era cupo e
dallo sguardo spento e triste. Stava seduto sul bordo del letto, con le mani
sulle ginocchia, le gambe penzoloni e il viso abbassato, perso in chissà quali
tristi pensieri.
Il piccolo Naruto si fece
coraggio e fece qualche passo verso di lui, notando con gioia che gli avevano
assegnato il letto proprio vicino al suo, sotto la stessa finestra.
« Ciao », sussurrò il biondo, avvicinandosi di più e
notando che, nonostante il nuovo arrivato lo avesse visto e squadrato per un
breve attimo, non sembrava interessargli affatto la
sua presenza. « Io sono Naruto Uzumaki, ho… »,
continuò, osservandosi per un breve istante la mano per ricordare. « cinque
anni. E tu come ti chiami? », gli domandò, sperando
che questa volta lo notasse e gli prestasse più attenzione.
Dal canto suo, il moretto non
voleva affatto interloquire con quel buffo bambino che gli era piombato
di fronte, né tanto meno gli interessava ricordarsi come si chiamava, ma quando
Naruto gli si fece più vicino, squadrandolo in viso per capire cosa non andava,
l’imbarazzo fu più forte di lui e lo spinse a scostare lo sguardo per non
incontrare i suoi occhi azzurri.
« Ehi, mi hai sentito? Ti hanno mangiato la lingua?
»,si lamentò
allora il piccolo Uzumaki, dondolando sui piedi e nascondendo le mani dietro la
schiena.
« Mi chiamo Sasuke Uchiha, ho cinque anni e non ho
voglia di parlare con te! », disse il moretto tutto d’un
fiato, seccato.
« Calmati, non ti devi arrabbiare… », esclamò
Naruto, preso in contropiede da una reazione tanto esagerata, alzando le mani
come per difendersi. Successivamente si sedette sul
proprio letto, accanto a quello di Sasuke, proprio nello stesso identico modo
del moro, in modo da averlo di fronte.
« Ti hanno dato il letto di Rock Lee », disse poi,
dopo qualche istante di silenzio. Non si voleva arrendere, si era promesso che
sarebbe diventato amico di quel bambino e lo avrebbe fatto, ma il ricordo del
suo amico che ormai non vedeva più da qualche settimana lo spinse ad abbassare
lo sguardo.
Notò tuttavia un accenno di curiosità nello sguardo
di Sasuke, forse era riuscito a catturare la sua attenzione, e questo lo spronò
a continuare.
« Era il bambino che era qui prima
di te. Lo hanno adottato. Dicono così quando arrivano una nuova mamma e un nuovo papà e ti
portano via. Io però una famiglia non l’ho mai vista. Tu sai com’è? », chiese,
quasi speranzoso, alzando lo sguardo verso l’Uchiha e rimembrando che ogni suo
più remoto ricordo, tutto ciò che aveva in mente fino ad
allora, era ambientato tra quelle mura.
« Io… Io una famiglia ce l’avevo
»,
cominciò. « Poi una notte è bruciato tutto e mi hanno
mandato qui, neanche la nonna mi può tenere. Ma io non
ci voglio stare qui! Voglio la mia mamma e il mio papà
», si lamentò il piccolo Sasuke, trattenendo a stento le lacrime, perché
sentiva dentro di lui di non avere più voglia di piangere, per quel giorno.
« Te li ricordi? La tua mamma e il tuo papà, te li ricordi? »
« Sì », sospirò. « Mi ricordo la mamma
quando mi raccontava la favola prima di dormire e il mio papà che mi
tirava su le coperte e mi diceva che poi quando tornava da lavoro giocavamo. Il
profumo della mamma quando mi abbracciava e mio fratello più grande che si
arrabbiava perché gli rubavo i giocattoli… », ricordò il piccolo, che non
riusciva a nascondere la tristezza nonostante si sforzasse di non stringersi
sempre di più nelle spalle.
Naruto ascoltò attentamente, invidiandolo un po’.
« Tu perché sei qua? », gli
domandò poi il moretto, mentre vide Naruto scendere dal letto dopo averlo
ascoltato e dirigersi verso la finestra tra i loro letti, aprendo i vetri e
facendo entrare una folata d’aria fredda, che, pungente, colpì le guance dei
due.
« Io una famiglia non ce l’ho.
Non me la ricordo. E non so perché non ce l’ho, ma una
volta ho sentito che dicevano che uno ubriaco li ha investiti. Io non so che
cosa vuol dire ubriaco, e quando l’ho
chiesto a Suor Shizune mi ha solo detto che è una cosa
brutta. Io non so come mai si diventa così, ma da grande non voglio esserlo.
Mai ».
Anche Sasuke lo ascoltò con
attenzione. Nemmeno lui aveva idea di cosa fosse un
ubriaco, e non sapeva che cos’altro dire se non chiedergli cosa stesse facendo,
mentre lo guardava affacciarsi alla finestra, guardando più in alto che poteva.
« Tu lo guardi, il cielo? », gli chiese allora
Naruto.
« Cosa? Perché
devo guardarlo? », domandò il moro di rimando, sorpreso da quella domanda.
Il biondo lo guardò di rimando, come se attendesse
una risposta concreta, che fosse o positiva o negativa.
« No, non lo guardo il cielo… », ammise il moro.
« Invece devi », obiettò
Naruto. « Perché la nostra mamma e il nostro papà non
sono andati via per sempre, sono lassù in cielo. Qua ci dicono così. Io li
guardo sempre prima di dormire, proprio da questa finestra, e prima lo faceva anche Rock Lee. Non so che faccia avevano,
però io racconto a loro la mia giornata, racconto tutto. Loro sono là e
vogliono farci stare bene e farci sentire amati,
quindi noi non dobbiamo piangere per loro ed essere tristi. Suor Shizune dice
così, che tutti i nostri cari finiscono là, in alto in alto ».
Ascoltate le parole del piccolo Naruto, Sasuke scese
dal letto e si affacciò alla finestra proprio come aveva
fatto il suo nuovo compagno, anche se a fatica, poiché era un po’ troppo
alta per entrambi. Era una grande finestra sulla quale
erano state montate zanzariera e inferriate per evitare che qualche bambino
potesse fare qualche gioco pericoloso, ma nonostante il fitto reticolato e le
sbarre spesse e un po’ larghe, il cielo era ben visibile. Grigio, cupo, triste.
Il piccolo Sasuke si chiese allora come mai, se i suoi genitori e suo fratello erano finiti lassù, e lo amavano, il cielo era
così triste. Poi, all’improvviso, un lampo illuminò il cielo di un innaturale
colore e lo fece trasalire e rabbrividire di freddo, un brivido che gli era salito lungo tutta la schiena e lo aveva fatto gemere,
quasi squittire.
« Hai paura dei temporali? », gli chiese Naruto, comprensivo,
una volta vista la sua reazione.
« Mi dà fastidio il rumore dei tuoni…», ammise
ancora il piccolo Sasuke. Quel biondino stava riuscendo a fargli dire cose che
probabilmente non avrebbe mai confidato a nessuno, lì
dentro. Forse Naruto aveva qualcosa di speciale, e questa sua insistenza nel
cercare un dialogo con lui avrebbe facilmente portato i suoi
frutti prima o poi.
« Una volta avevo paura dei tuoni e dei temporali e
Suor Shizune mi ha detto che invece non dovevo »,
cominciò a raccontare, con lo sguardo perso nel cielo più infinito, come se
riuscisse ad arrivare al di là delle nuvole, come se potesse attraversarle, e
vedere il sereno che quelle celavano. « Perché quando
guardiamo il cielo guardiamo i nostri genitori, e loro guardano sempre noi, e
sono felici se noi siamo bravi e buoni. E quando il
cielo piange è perché un bambino ha smesso di guardare i suoi genitori, e loro
sono tristi e soffrono, e allora piove e ci sono i tuoni. Però,
se guardi il cielo, poi non piove più, o almeno sai che non è colpa tua se
piove ».
Sasuke rimase come ipnotizzato da quelle parole. Quindi i suoi genitori e suo fratello erano tristi perché
lui… Non stava guardando il cielo? Perché era triste
per loro? Allora lo fissò, si chiese come fosse possibile, ma poi si convinse
che fosse così. Fissò il cielo intensamente, voleva che il suo sguardo
raggiungesse i suoi cari e che potesse trasmettere
loro le sue scuse e il suo amore per loro. Si voltò poi verso Naruto e con un
leggero movimento delle labbra, accennò ad un sorriso, che il biondo a sua
volta ricambiò sfoderando un largo sorriso, tipico della sua indole. Aveva
fatto del bene ad una persona, anche se forse non se ne rendeva pienamente
conto.
Si diedero la mano e insieme uscirono
dal dormitorio, lasciando la finestra aperta, mentre uno spiffero d’aria più
calda della precedente li raggiunse entrambi.
Forse Sasuke ci avrebbe messo ancora un po’ ad
abituarsi a non avere paura dei temporali, ma certo era
che quel giorno non sarebbe piovuto. *
* Ci tengo a precisare che,
trattandosi di bambini di circa cinque anni, ho utilizzato volontariamente un
linguaggio semplice e povero, infantile, per i loro dialoghi. Mi sembrava che
rendesse la vicenda più veritiera, tempi verbali non proprio corretti e
ripetizioni sono tipiche dei bambini. Volevo solo che
si sapesse che è una cosa voluta, e
che in quanto a sintassi e grammatica spero di essermi
rifatta con il resto della fic.
Note dell’autrice
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, sperando che vi sia piaciuta e che
vi abbia trasmesso qualcosa. Se leggerla vi ha
commosso anche solo un pochino, lasciate un commentino, che così mi commuovo
io? =P
Ringrazio anche chi ha letto
il precedente capitolo, specialmente synoa, che, gentilissima, l’ha commentato. Mi piacerebbe
poter ringraziare anche altri allo stesso modo, ma a quanto pare la fic scarseggia di recensori e fans, e
dubito che con questo capitolo le cose cambieranno molto.
Un applauso va aellacowgirl,
che svolge il suo lavoro di giudice in maniera ottimale e che con quel suo
“complimenti, dolcissima!” mi ha quasi fatta piangere.
Ecco la griglia di
valutazione, come da regolamento:
SCHEMA VALUTAZIONE
Grammatica e sintassi: 9/10
Stile: 5/5
Prompt pacchetto: 5/5
Personaggio Base: 5/5
Personaggio Aggiuntivo: 5/5
Luogo: 2/2
Attinenza alla stanza: 5/5
Originalità: 3/3
Gradimento Personale: 5/5
Tot: 44/45
(ora
è presente anche il punteggio della voce “personaggio base”)
… e auguro a tutte le partecipanti un grandissimo in bocca al lupo! =)
(Comparse: Sasuke, Sakura, Neji,
Ten Ten, Shikamaru, Ino)
Fan Fiction
Raiting: Giallo/Arancione
Avvertimenti: AlternativeUniverse, Pov Naruto.
[Non ho mai scritto questo genere di cose!]
Naruto sfida
le Dodici Stanze:
Nessun luogo è sicuro!
Era
da tempo che bramavo quel momento, e ora ero lì, con lei, e ci trovavamo finalmente
soli.
Avevamo
capito a nostre spese quanto fosse difficile trovare
un po’ di intimità. A casa di lei, il padre non si allontanava di più di tre
metri dalla sua camera da letto, e sicuramente, se mi avesse trovato anche solo
ad abbracciarla, mi avrebbe spedito sulla Luna! Era
già tanto per lui l’aver accettato la nostra relazione da mesi. A casa mia… beh,
la mia adorata madre era troppo
sbadata per uscire dal proprio alloggio senza dovervi
rientrare come minimo tre volte per aver scordato qualcosa. D’accordo, so da chi ho preso!
Ma
restava il fatto che nessun luogo fosse sicuro per la
nostra intimità, perché finivamo per essere sempre interrotti. Nessun luogo
tranne quello in cui ci trovavamo ora.
Era piena estate, e, insieme agli amici di sempre, decidemmo di trascorrere qualche
giorno in una località marittima. Avevamo trovato quasi per caso un piccolo
alberghetto vicino alla spiaggia, molto bello e raffinato, con personale
accogliente e stanze ampie, pulite e ben arredate. Sembrava impossibile pensare
di alloggiare veramente in un posto simile, o forse lo era più per me, che viaggiavo poco.
Eravamo
quattro coppie, per un totale di quattro camere
doppie, ma avevamo deciso di dividerci le camere non come tali, ma come maschi
e femmine, dopo un dibattito delle ragazze che protestarono all’idea di dormire
ufficialmente con i rispettivi fidanzati. Tuttavia, giunta la sera, finivamo
tutti per trovarsi nella camera di qualcuno a fare chiacchiere e battute, e,
passate un paio d’ore, quasi nessuno tornava nella propria stanza: ogni
coppietta finiva da sola in una delle camere dell’albergo, o almeno così era
per le coppie di più vecchia data.
Infatti, io, sfrattato dalla mia camera grazie alla presenza di Sakura
e alle minacce di Sasuke, mi era ritrovato a dover condividere la camera di
Neji, che mi teneva volentieri sotto controllo. Ten Ten, invece, dormiva al posto di Sakura nella camera
di Hinata, perché una certa biondina tutto pepe aveva deciso di portarsi dietro
la sua ananas personale.
Ma
quella sera non sarebbe finita così, avevo deciso di non farmi mettere i piedi
in testa un’altra volta, anche perché era l’ultima notte che avremmo passato
lì. Così, mentre gli altri si radunavano nella stanza di Neji e Shikamaru, io
scesi al piano inferiore, diretto alla camera dell’unica persona della quale mi interessasse veramente.
Bussai
alla porta in legno scuro, leggermente titubante,
guardandomi attorno per accertarmi che nessuno mi avesse visto, specialmente i
miei amici. Pochi attimi dopo la porta si aprì, lasciando intravedere nella
penombra una figura femminile dal candido viso d’angelo, vestita di una larga
maglia nera e un paio di corti pantaloncini in jeans.
«
Naruto », sussurrò la ragazza, mentre un sorriso si fece spontaneamente largo
sul suo viso non appena mi vide.
Era
bella da mozzare il fiato e le sorrisi a mia volta, e senza troppi complimenti
feci un passo verso di lei, avvicinandomi quanto bastava per poterle
accarezzare il viso e stamparle un leggero bacio sulle labbra rosee e carnose. La feci indietreggiare appena, in modo da poter entrare e
chiudermi la porta alle spalle con la mano ancora libera.
« Mi
mancava stare un po’ da solo con te », ammisi con un filo di voce, mentre le
sorridevo e guardavo le sue guance accendersi. Adoravo
metterla un po’ in imbarazzo con questo tipo di frasi, era così tenera.
La
vidi abbassare lo sguardo e sorridere, sapevo quanto la stessa cosa valesse per lei, ma sapevo anche che la sua timidezza
costituiva ancora un piccolo ostacolo, nonostante non fosse più così insicura
come quando ci eravamo conosciuti. Tuttavia, l’amavo
anche per la sua timidezza, e la capivo. Sapevo che non avrebbe mai ammesso ad
alta voce che le ero mancato, ma l’avrei amata altre mille volte, non
m’importava quanto potesse essere timida.
La
abbracciai, la tenni stretta a me, facendo scivolare
una mano sui suoi lunghi capelli scuri e inebriandomi del loro profumo di
lavanda. La sentii circondarmi con le braccia e appoggiare la testa al mio
petto, e non riuscii più a controllare i battiti accelerati del mio cuore.
Feci
qualche lungo respiro, ma la tentazione era troppa, e la voglia di sentire le
sue labbra cresceva sempre di più. Dopo qualche attimo, mi divincolai
leggermente dall’abbraccio, lasciai una mano sulla sua schiena e spostai
l’altra dai capelli alla nuca, attirandola a me, e la baciai.
Dapprima si trattò solo di far incontrare le nostre labbra in un dolce
contatto, poi anche le nostre lingue cominciarono ad incontrarsi e a danzare…
Resi quei baci sempre più lunghi ed intensi, più profondi. La passione stava crescendo.
Sentii Hinata premersi contro il mio corpo, quasi come vi si stesse
disperatamente aggrappando, e ciò mi fece sentire indispensabile per lei.
Sentivo i suoi seni contro il petto, così invitanti e sodi da non poter evitare
che mi eccitassi al solo pensiero di poterli avere tra le mani. Quell’immagine
si fece largo nella mia mente, e non appena la sentii gemere e inarcare la
schiena, la voglia che sentivo dentro crebbe ancora di più.
Smisi
per un attimo di baciarla e aprii gli occhi. Non mi ero reso conto che la
stanza era illuminata solo dai deboli e candidi raggi lunari che entravano
dalla finestra. Tutto sommato, era uno scenario abbastanza romantico vedere la
luna piena e il cielo stellato al di là delle tende
sottili.
Ansimante
quanto lei, cercai con lo sguardo il letto e la feci
indietreggiare verso di esso, lottando contro i brividi che mi provocavano i
baci sul collo che aveva cominciato a darmi in mancanza delle mie labbra.
La feci sdraiare sulle morbide e fresche lenzuola, mi misi a cavalcioni su di
lei e questa volta fu il mio turno di baciarle il collo candido e il lembo di
pelle che la maglietta lasciava scoperto. La sua pelle era così calda e
profumata che non avrei mai smesso di baciarla. Con una mano mi appoggiai al
letto, con l’altra invece cominciai ad accarezzarle il fianco e la coscia, e la
sentii fremere appena mentre accarezzava la mia
schiena e affondava le dita nei miei capelli. Sentii
l’eccitazione crescere, e, ancora una volta, smisi di baciarla.
«
Hinata… T-Te la senti? », balbettai ansimante.
In
quell’istante i miei occhi sprofondarono nei suoi, e mi resi conto che non
avrei potuto leggervi un amore più grande.
« Sì, Naruto… Per-Perché… Perché ti amo »,
disse, posando una mano sulla mia guancia e fissando i suoi occhi nei miei, per
farmi capire che era ciò che veramente voleva. Piegò di più le gambe,
lasciandomi più spazio…
Le sorrisi riconoscente, piegandomi nuovamente su di lei e sussurrando «
Anch’io ti amo », vicino al suo orecchio, sapendo quanto si sarebbe imbarazzata.
Poi le mie labbra tornarono ad incontrare le sue in baci più passionali, mentre
le mie mani cominciarono a frugare dietro la sua schiena in maniera forse poco
sensuale.
Gemette
appena, fermandosi e guardandomi. « Che stai facendo?
», mi chiese con un sorriso divertito.
«
Sto cercando di slacciare il reggiseno », ammisi, imbarazzato di non essere
riuscito discretamente nella mia impresa.
Sorrise
maliziosa e, avvicinatasi al mio orecchio mi sussurrò « Non porto il reggiseno
», e si tolse la maglietta scura.
Mi
si mozzò il fiato alla vista del suo seno perfetto e pieno, non avrei voluto sembrare troppo avventato, ma fu più forte di
me. La baciai ancora sulle labbra e con una mano cominciai ad accarezzarle uno
dei seni, sentendola lasciarsi sfuggire un gemito e fremere.
Mi
ero controllato fino a quel momento, nonostante mi avesse detto di essere pronta, ma non ero sicuro di poterci riuscire
ancora. Sentii l’eco lontana di un rumore fastidioso, ma non ci feci troppo
caso. Avevo Hinata a cui pensare…
Ma,
per la prima volta, fu lei a fermarsi e io sentii ancora quel rumore. Qualcuno
stava bussando alla porta. Chi poteva essere? Non avevamo disturbato nessuno!
Mi sentii bollire di rabbia, scesi dal letto e mi
diressi verso la porta. Prima di aprirla diedi un’occhiata
ad Hinata, che si era già infilata la maglietta e sistemava le pieghe delle
lenzuola di un letto già sfatto.
«
Chi è? », chiesi, aprendo finalmente la porta scura al misterioso visitatore,
che si rivelò essere, con mio grande dispiacere,
Sasuke. « Si può sapere che vuoi? », gli domandai, non proprio gentile, uscendo
dalla stanza e lasciando la porta socchiusa. « Ci hai interrotti!
», aggiunsi.
Mi
guardò un po’ storto, in fondo i miei abiti erano sgualciti e io ero sudato e spettinato.
«
Senti, non userò mezze misure, mi serve un preservativo. La settimana scorsa te
ne ho prestato uno, mi devi un favore », disse,
lapidario.
Cazzo!
«
Come? Ma… Non ne ho… O meglio, ho ancora lo stesso che
mi hai prestato tu, perché sinceramente… Ero sul punto di usarlo stasera! »,
risposi stizzito, estraendo dalla tasca la piccola confezione di plastica.
«
Beh, spero tu l’abbia conservato bene nel frattempo!
», disse, strappandomelo di mano e facendo per tornare indietro.
«
Ehi! », mi lamentai.
«
Non fare storie, verginello… Avrai altre occasioni,
noi abbiamo la priorità! », e detto questo, sparì,
salendo le scale.
No,
non poteva essere vero… Tornai in camera con arai
atterrita, trovando Hinata seduta sul bordo del letto ad aspettarmi. Mi sedetti
accanto a lei, sbuffando.
« Che succede? », chiese, con voce un po’ preoccupata.
«
Succede che siamo senza protezioni… », dissi, scoraggiato.
La
vidi sorridere e ridacchiare intenerita, probabilmente perché la mia
espressione somigliava a quella di un cucciolo bastonato, poi mi accarezzò il volto
e mi diede un bacio su una guancia.
«
Non importa. Quello che conta è che ci amiamo e non è
indispensabile fare l’amore per dimostrarlo a noi stessi ».
Quanto
aveva ragione… Mi persi ancora una volta nei suoi occhi, poi l’abbracciai e la
baciai sulle labbra.
Quella
notte finimmo per addormentarci abbracciati l’uno all’altra e mi ricordai di quanto fossi fortunato ad avere per me la
creatura più bella di questo mondo.
Angolo dell’autrice
Ok, lo so, è oscena… non sono davvero riuscita a fare di
meglio, soprattutto perché l’ho dovuta scrivere molto in fretta per stare entro
i termini di consegna, il che mi è costato errori che avrei potuto benissimo
evitare se l’avessi riletta. Infatti…
In ogni caso, spero vi sia piaciuta e spero
commenterete. Mi scuso per il ritardo nell’aggiornamento, ma bisogna ammettere
che non sia stato un gran male!xD
Alla prossima! E tanti auguri di Buon Natale a tutti quanti!!^^
Aprii gli occhi. Vidi solo un
ammasso di colori freddi e statici, sfumature di
grigio, nero e blu che non riuscivo a collegare e che non sapevo attribuire ad
un’immagine. Non sapevo che senso avessero,
distribuiti in quel modo. Era tutto sfocato, sentii il
mio sguardo spostarsi vorticosamente, unire tutti i colori in uno solo e vedere
solo il buio.
Mi sentii
crollare, probabilmente avevo perso i sensi appena un attimo dopo aver
cercato di riacquistarli. Ma questa volta, dopo
qualche attimo, riaprii gli occhi nuovamente e mi decisi a non farmi sopraffare
dal senso di stanchezza e dai capogiri.
Non riconobbi affatto il luogo in cui mi trovavo. Le pareti erano grigie, lisce e lucenti, come fossero fatte di una lamiera che ad un primo
sguardo pareva indistruttibile. Mi resi conto di essere seduto a terra e di
percepire una fonte di calore alle mie spalle, contro la mia
schiena. Mi guardai attorno, desideroso di capire cosa stesse
succedendo, e notai l’insolita forma della stanza. Era
semicircolare, mai in vita mia avevo visto un posto simile!
Tentai di voltarmi per
vedere cosa ci fosse alle mie spalle e l’unica cosa
che riconobbi fu una folta chioma nera.
« Ti sei svegliato,
finalmente! », esclamò il ragazzo rivolto a me, con tono allegro.
« Rock Lee? Ma… Che sta succedendo? », chiesi, e mi stupii della mia
voce roca.
« Davvero non ricordi? », mi
domandò, cercando di voltarsi di me quanto più poteva per potermi
almeno vedere in viso. Solo allora mi resi conto che eravamo legati, schiena
contro schiena, abbandonati su un pavimento gelido e
contro una parete altrettanto gelida ed anonima.
« Che
cosa dovrei ricordare? Spiegati, non ci sto capendo nulla! », sbuffai. Avrei fatto bene a restarmene privo di sensi, almeno avrei
dormito!
« Ci hanno rapiti », esordì lui, senza tanti giri di parole. « Diamine,
credevo che questo genere di cose capitasse in America, non in Giappone! »
« Ma
chi? », chiesi allora, spazientito, insistendo con un tono di voce che non ammetteva
altre risposte poco esaustive.
« Gli alieni. Siamo su una
loro navicella ».
Inizialmente seppi se
mettermi a piangere o scoppiare a ridere, ma mi resi presto conto di quale
delle due opzioni avrei dovuto fare a meno. Ok, io e
Rock Lee spesso facevamo gli scemi, ma sapevo riconoscere dal suo tono di voce quando era serio o meno. E questa volta, mio malgrado,
dovetti riconoscere quanto fosse grave la situazione.
Non feci in tempo ad
obiettare, tentando invano di indurmi a credere che non fosse vero e che fosse
uno scherzo, che una porta, che non avevo assolutamente notato, si aprì con uno
strano rumore, scorrendo, in un modo che ricorda le
porte degli ascensori.
Ne uscirono tre uomini
altissimi, molto più alti di un normale essere umano, dai visi pallidi, rigidi
e dalle mascelle serrate, dalle teste calve e con addosso
enormi giacche nere che arrivavano quasi fino ai loro piedi. Quei visi e
le loro espressioni mi misero paura, sembravano scolpiti nel marmo.
Ci guardavano, ci
osservavano e inclinavano leggermente la testa, come se ci stessero valutando e
studiando, come se avessero potuto sentire ogni battito accelerato del nostro
cuore e ogni respiro che cercavamo di trattenere e si prendessero gioco di noi.
Avevo una paura matta che stessero per ucciderci e la stessa paura, lo sapevo, ce
l’aveva anche Rock Lee.
« Non abbiate paura », disse
uno dei tre uomini, se così si potevano chiamare. « Non
vogliamo farvi del male ».
In quell’istante nei suoi
occhi comparve una scintilla, l’avevo vista, e pareva voler aggiungere a quella
frase un “per
ora”. Un brivido mi percorse la schiena,
ma mi decisi a mantenere la calma.
« Siamo qui per studiare voi
umani. O meglio, siamo qui per essere sicuri che non
siate una minaccia. Distruggere la Terra non ci interessa
», disse, facendo una breve pausa. « Il nostro scopo è quello di riprendercela.
E voi, che lo vogliate o no, ci aiuterete ».
Rimasi a bocca aperta, senza
fiato.
« Riprendervela? », un
sussurro incredulo sfuggì a Rock Lee, che era sconvolto e spaventato quanto me.
« Un tempo, molto prima che
compariste voi inutili esseri umani, eravamo noi gli abitanti della Terra.
Tuttavia, la nostra popolazione è andata via via
disperdendosi nello spazio, molti se ne sono andati, ma alcuni sono rimasti,
altri sono tornati… Molti vivono tuttora tra voi », spiegò.
Non credetti
alle mie orecchie.
« Ora vogliamo riprendere il
controllo della Terra e voi… Voi ci aiuterete. Stiamo selezionando gli umani
prescelti per poter continuare la loro esistenza insieme a
noi. Tutti gli altri… Verranno sterminati. A breve
invaderemo totalmente il pianeta e, allora, per gran parte del genere umano
sarà la fine ».
Ci guardò. Ci fissò a lungo,
i suoi occhi sembravano quelli di un rapace che stava per scendere in picchiata
e avventarsi sulla propria preda.
Ci guardò. Ci fissò e
sorrise. O meglio, si sforzò di farlo, o imitò uno dei
sorrisi che aveva visto da noi umani e che aveva imparato a fare. Le labbra si
erano leggermente curvate verso l’alto, increspando gli angoli della bocca e le
guance, che sembravano essere rivestite da un sottilissimo strato di pelle, e a
prima vista sarebbe potuto sembrare un sorriso
gentile. Ma il suo sguardo maligno e la sua faccia tirata non mi ingannavano, quel sorriso sembrava un annuncio di morte
certa.
Lo guardai, e mi resi conto
che anche gli altri due avevano assunto la stessa espressione agghiacciante.
« Pensate bene a ciò che
volete fare della vostra misera vita », disse, ed infine si voltò per uscire da
dove era entrato, seguito dagli altri due, che non avevano aperto bocca se non
per sorridere. Sia io che Rock Lee sapevamo quanto quella frase non aveva senso. Non avremmo mai potuto scegliere.
« Non… non è possibile! »,
sentii esclamare Rock Lee, una volta soli.
« Rock Lee, dimmi che è un brutto scherzo! », lo pregai.
« Mi piacerebbe davvero
tanto! Naruto, ma è spaventoso! Ci stanno studiando, vogliono
riprendersi la Terra e ucciderci tutti! Per di più hanno sempre vissuto tra
noi… Siamo sempre stati invasi e circondati dagli extraterrestri e non ce ne
siamo mai accorti! ».
« Dio… E’ orribile! »,
riuscii solo a commentare. Nel giro di trenta secondi mi era caduto il mondo
addosso. « Ci stanno studiando, lo hanno sempre fatto… Se penso a tutti quelli
che hanno testimoniato di aver visto UFO e di essere stati rapiti e che poi
sono stati giudicati pazzi… », mi vennero i brividi.
« Naruto, dobbiamo
fare qualcosa… Scappare, avvisare tutti, metterli in guardia… oddio non
possiamo fare finta di niente! »
« Certo, perché pensi che ci
crederanno anche, vero? », risposi sarcastico. Lo sentii dimenarsi, e non so
come, si liberò dalle corde che ci tenevano legati. Si alzò i piedi e allora mi
alzai anche io, barcollando leggermente.
« Ma
che vuoi fare? ».
« Ci saranno
altri di noi su questa navicella, dobbiamo fare qualcosa ed andarcene! »
« Ma
ti rendi conto di quello che dici? Siamo su una navicella chissà dove nello
spazio! », dissi, spaventato che Rock Lee potesse fare un’idiozia e cacciarsi
in un guaio più grande di quello in cui già ci trovavamo.
Non appena il mio amico si
avvicinò alla porta, quella si aprì nuovamente, mostrandoci gli stessi tre
uomini che erano comparsi da lì qualche attimo prima.
« E così non apprezzate il
nostro invito a collaborare alla distruzione del vostro pianeta. Fortunatamente, siete individui idonei », disse, sorridendo ancora in
quel modo agghiacciante. « Quindi dovremmo
costringervi! », esclamò poco prima di mostrare i denti e scaraventarsi addosso
a noi.
Tutto si fece
buio, sentii un dolore lancinante provenire dalla base del collo e
propagarsi in tutto il corpo e credetti di morire.
Aprii
gli occhi e saltai su immediatamente. Ero sudato, ansimante e incredulo. Mi
guardai attorno e riconobbi la mia camera da letto, nella penombra, nel suo
cronico disordine. Sospirai per il sollievo e mi presi la testa tra le mani.
Grazie al cielo era solo un sogno! La prossima volta che Rock Lee propone film come Knowing
e Il quarto tipo mi devo ricordare di
mandarlo a quel paese, pensai. Sorrisi, quel sogno era stato davvero troppo da
reggere, ma per fortuna era finito.
Feci
per coricarmi di nuovo e dormire, ma l’attenzione mi cadde su qualcosa
appoggiato sul mio comodino, qualcosa che non ricordavo di averci messo io.
Qualcosa che lì per lì non riconobbi. Lo presi tra le
mani e lo osservai. Era un sassolino nero e liscio, che forse, però, ora che ci
pensavo bene, avevo visto più volte negli ultimi giorni, sempre più
frequentemente, ma non ricordavo esattamente dove.
Un
brivido freddo mi percorse la schiena e mi scosse,
come un lampo, e nella mia mente riemerse, e vi restò impressa, l’agghiacciante
immagine del sorriso di quell’uomo.
Angolo dell’autrice
Flop dei flop…
Peggio di così non potevo proprio fare!! La stanza mi
aveva dato un’idea fin dall’inizio, poi però il personaggio e il prompt hanno cambiato tutto e ho dovuto inventarmi qualcosa,
qualcosa che però ha avuto ben poca attinenza al pacchetto… Se l’avessi buttata
sul comico avrei fatto molto meglio.
SCHEMA DI VALUTAZIONE
Grammatica e sintassi: 9/10
Stile: 5/6
Prompt pacchetto: 5/7
Personaggio Aggiuntivo: 4/7
Luogo: 4/5
Attinenza alla stanza: 5/5
Originalità: 3/5
Gradimento Personale: 8/10
Dialoghi/racconto: 4/5
Tot: 47/60 (che corrisponde a 35/45)
Faccio i miei più vivi complimenti a
chiunque sia arrivato a leggerla fino alla fine. Avete tutta la mia
stima. Speriamo che il prossimo turno vada meglio!
Capitolo 5 *** Un vero Shinobi, una vera Kunoichi ***
Stanza: Il covo del nemico
Contest _ Turno 4
Team Estate
Autore.
Wolf’sEyes
Stanza: Il covo
del nemico
Personaggio Base:
Naruto
Personaggio
Aggiuntivo: Hinata
Luogo: Foresta
Prompt: Lama
(Comparsa: nemico
sconosciuto)
Fan Fiction
Genere: Azione?
Raiting: Verde
Avvertimenti: realizzata
prendendo spunto da una mia vecchia fic, l’azione lascia a desiderare
Contesto: Naruto Shippuden
Naruto Sfida le Dodici Stanze:
Un
vero shinobi, una vera kunoichi
Correva.
Correva più che poteva, ad una velocità spaventosa e con la furia nello sguardo.
Era
buio e la vegetazione era abbastanza fitta, ma ciò non gli impediva di riuscire
ad individuare ed inseguire la figura che correva davanti a lui, balzando da un
ramo all’altro con la sua stessa velocità.
Sapeva
solo che avrebbe dovuto seguirlo se voleva salvare Hinata e che se si fosse
fermato a pensare si sarebbe reso conto di non avere quasi più fiato per poter
continuare a correre in quella maniera, inoltre si sarebbe anche accorto che la
ferita alla gamba aveva cominciato a sanguinare più del dovuto. Ma la volontà
di salvare l’amica era molto più forte della stanchezza fisica e del rischio
che avrebbe corso battendosi da solo contro quel ninja forse fin troppo potente.
Sbuffò
digrignando i denti al pensiero di quanto quella missione si fosse rivelata
pericolosa per il loro gruppo. Kiba e Akamaru, benché fossero riusciti a
danneggiare notevolmente la sua base, erano stati messi in breve tempo fuori
gioco dall’uomo che ora Naruto stava inseguendo e che, come se non bastasse, si
stava portando via Hinata.
“Dannazione!”,
pensò Naruto, in preda alla rabbia. « Fermati! Mi hai sentito, codardo? Fermati
e combatti! », gli gridò, buttando fuori d’un fiato
l’enorme quantità d’aria che era riuscito ad inspirare nonostante l’incessante
corsa.
L’uomo
si voltò e, continuando a correre all’indietro senza barcollare una sola volta
sui rami, fece sì che un ghigno sinistro gli si dipingesse sul volto segnato da
alcune cicatrici ed incorniciato da capelli scuri. «
Se è veramente quello che vuoi, accomodati! »
L’immagine
dell’uomo sparì in un attimo e Naruto dovette fermarsi per guardarsi attorno in
sua ricerca. Gli alberi di quella foresta erano a dir poco enormi e la loro
folta chioma lo era altrettanto, per di più il buio della notte non agevolava
la ricerca ad occhio nudo ed il cielo stellato e la luna piena non erano
sufficienti a schiarire l’oscurità, tra tutti quei rami. Digrignò ancora una
volta i denti. “Che rabbia!”
«
Quaggiù ».
Una
voce roca lo colse alla sprovvista, guidandolo però in una direzione. Spostò lo
sguardo verso il basso e vide l’uomo che lo attendeva in uno spiazzo verde, più
illuminato dai raggi lunari rispetto al resto della foresta eclissata dai fitti
rami. Hinata era ancora priva di sensi, caricata su una spalla dalla presa
salda del ninja. Naruto scese immediatamente dall’albero e minacciò il nukenin con
una voce che non ammetteva repliche. Se solo il suo sguardo furioso fosse stato
visibile nella notte, quell’uomo si sarebbe spaventato alla prima e semplice
occhiata.
«
Lascia subito la ragazza », il tono di voce era gelido e carico di una rabbia
celata che, presto, sarebbe esplosa in una furia incontenibile.
«
Come desideri. Mi basterà fare fuori te e poi verrà
anche il turno di questa bella creatura », esclamò lui, con un ghigno sinistro
ed uno scintillio famelico nello sguardo. Con il braccio libero afferrò la
ragazza per la vita e la fece scivolare giù dalla spalla, lentamente,
reggendola successivamente con entrambe le braccia. Un attimo dopo, come un
lampo, un’idea gli balenò nella mente, un’idea che gli avrebbe garantito un bel
vantaggio sull’avversario.
Diversi
metri li dividevano, ma ciò non gli impedì di fare la sua mossa. Una volta
afferrata saldamente la ragazza ancora svenuta per avere una presa migliore, la
lanciò verso Naruto, metri più avanti. Aveva capito quanto tenesse a quella
ragazza dal modo in cui lo aveva inseguito, che si trattasse o
meno di dovere. Non avrebbe mai permesso che cadesse o che si ferisse e
questo lo avrebbe portato ad avvicinarsi, era palese.
Fu
ciò che, infatti, accadde. Naruto non fece in tempo a posizionare le mani per un
Kage Bunshin. Il gesto dell’avversario lo aveva preso totalmente alla
sprovvista ed il suo corpo si mosse ancora prima che potesse pensare a come
reagire per difendersi dato l’inevitabile avvicinamento al nemico.
Il
nukenin sorrise. Era andato tutto secondo il suo piano e mentre vide Naruto
fare uno scatto verso la ragazza, compose degli strani sigilli ed allargò le
braccia.
«
Tecnica della pioggia di lame! », gridò.
Una
fitta pioggia di lame sottili quanto aghi si diffuse
dalle sue braccia con una velocità sorprendente e Naruto fece appena in tempo
ad afferrare Hinata e a voltarsi.
Il
ninja guardò compiaciuto il verificarsi del suo piano, ma rimase interdetto
quando si rese conto di non aver colpito nessuno. Davanti a lui non scorse la
figura dell’avversario e digrignò i denti, adirato.
«
Non ti pare una mossa vile, quella di attaccare così slealmente un avversario,
benché sia tuo nemico? »
Una
voce sopraggiunse dall’alto ed il nukenin individuò la figura di Naruto su di
un ramo, visibile solo grazie ai flebili raggi lunari che ne rischiaravano
appena i contorni. La ragazza, invece, giaceva seduta sul ramo, con la schiena
appoggiata al tronco. Questa volta Naruto ebbe modo di posizionare le mani e
permettersi di guadagnare tempo a sufficienza per pensare alle condizioni della
compagna.
«
Kage Bunshin no Jutsu », gridò. Una folla di copie armate di kunai e shuriken
invase lo spiazzo e circondò il nukenin, che almeno per qualche minuto avrebbe
avuto altro da fare piuttosto che preoccuparsi del vero Genin.
«
N-Naruto… », sussurrò una flebile voce alle spalle di Naruto.
Il
biondino si voltò immediatamente, inginocchiandosi di fronte ad Hinata, che si
era appena ripresa ma che era ancora visibilmente disorientata.
«
Va tutto bene, Hinata. Resta qui e pensa soltanto a ristabilirti del tutto, me
la vedrò io con quel ninja », le disse il compagno con tono rassicurante,
sorridendole.
« M-Ma è pericoloso… e tu sei ferito », disse lei, notando il
rivolo di sangue lungo la guancia di Naruto, evidentemente colpito in
precedenza da una di quelle molteplici lame. « Voglio aiutarti », protestò la
ragazza, tentando di alzarsi e venendo immediatamente bloccata da una fitta di
dolore alla spalla.
«
Resta qui e non ti muovere », ribadì Naruto, alzandosi e dandole le spalle,
mentre sotto di loro infuriava la battaglia contro il nukenin ed il suono della
collisione di lame e kunai spezzava il silenzio della notte.
Il
ragazzo si voltò nuovamente verso di lei, mostrandole un largo sorriso.
«
Che ninja sarei se non facessi di tutto per aiutare i compagni in difficoltà?
», disse, facendole l’occhiolino e scendendo dal ramo con un balzo per poi
finire di fronte al nemico, che aveva appena fatto dissolvere in una nuvola di
fumo l’ultima delle copie.
«
Ed ora a noi due! », esclamò Naruto, un attimo prima
di partire alla carica impugnando un kunai.
Lo
scontro entrò immediatamente nel vivo, mosse d’attacco e di difesa si
susseguivano senza tregua nel campo di battaglia. I due erano velocissimi,
tanto da essere talvolta a malapena visibili. L’oscurità era senz’altro un
fattore che giocava sia a vantaggio sia a svantaggio di entrambi i combattenti,
ma le ferite riportate da Naruto, purtroppo maggiori rispetto a quelle
riportate dal nemico, cominciavano a farsi sentire. Il biondino cominciò a
perdere colpi. Muoversi sembrava essere diventato molto più difficile di prima,
si sentiva inspiegabilmente più pesante e rischiò più volte di essere ferito
senza riuscire a schivare i colpi con la facilità di qualche minuto prima.
Aveva il fiato corto e a poco a poco che il combattimento procedeva i suoi
riflessi si facevano sempre più lenti.
«
E così il ninja di Konoha non fa più lo spaccone! », commentò il nukenin con un
sorriso compiaciuto, notando quella che ormai era la tragica situazione di
Naruto.
«
Maledetto, ti fermerò a qualsiasi costo, quali che siano le mie condizioni! »,
rispose lui, determinato più che mai.
«
Vedo che però non hai perso il tuo umorismo nemmeno in una situazione come questa!
», disse, sorridendo nuovamente. « Mi basterà davvero poco per finirti, credimi
», esclamò, dando a Naruto una serie di calci e pugni che lo colpirono in
pieno. « Di’ le tue ultime preghiere! », disse, trionfante, estraendo dalla
manica tre lame sottili e lanciandole verso il ninja di Konoha, ancora provato
e disorientato dai precedenti colpi incassati.
Quando
si rese conto di quello che stava succedendo, Naruto si rese anche conto che
purtroppo non avrebbe avuto il tempo materiale per difendersi. Quelle tre lame
lo avrebbero colpito e lui non avrebbe potuto fare niente per fermarle. Si
sentì sconfitto, si sentì una delusione per i compagni, si sentì perso. Attese
solo che le lame lo raggiungessero.
Un
rumore rimbombò nell’aria, un rumore metallico, forte, improvviso. Un kunai
aveva fermato le tre lame, salvandogli la vita.
I due ninja si voltarono immediatamente verso
la direzione dalla quale proveniva l’arma, restando a bocca aperta.
Hinata
era in piedi, a pochi metri dai due duellanti, con la guardia alzata, il Byakugan
attivato ed il braccio destro ancora teso.
«
Hinata! », esclamò Naruto, stupefatto, senza però riuscire a trattenere un
sorriso.
La
ragazza gli sorrise, rischiarata dalla bianca luce
della luna. « Che ninja sarei se non facessi di tutto
per aiutare i miei compagni? », disse Hinata,
ripetendo la frase che poco prima lo stesso Naruto le aveva proferito. « Mai
lasciare un compagno in difficoltà, me l’hai insegnato tu, Naruto ».
Il
biondino le sorrise, consapevole di quanto quella ragazza avesse fatto
affidamento su di lui in passato e di quanto ora
facessero affidamento l’uno sull’altra.
Spostò
lo sguardo verso il nukenin, interdetto dall’intervento della ragazza in aiuto
del compagno, e non poté fare a meno che lasciarsi sfuggire una
smorfia quasi di compassione nei suoi confronti.
«
Forza, Hinata. Insieme lo batteremo! »
Angolo dell’autrice
Salve a tutti cari (e pochi) lettori!
Ok, vi dovrei un mare di scuse dal momento che non aggiorno
da due anni questa storia nonostante effettivamente sia terminata, ma posso
giurarvi che ero convinta di aver già pubblicato tutto…
Lo so, non è un granché, ma con il limite di tre pagine non
potevo dilungarmi troppo sull’azione come avrei dovuto, ho piuttosto preferito
dare spazio al sentimentale, per così dire…
SCHEMA VALUTAZIONE
Grammatica e sintassi: 9/10
Stile: 4/5
Prompt pacchetto: 4/5
Personaggio base: 5/5
Personaggio aggiuntivo: 5/5
Luogo; 2/2
Attinenza alla stanza: 5/5
Originalità: 1/3
Gradimento personale: 5/5
Tot: 40/45
Beh, vista la mia prolungata assenza, non posso che
ringraziare quelle pazienti e matte (sì, lo siete) che hanno letto e che forse
leggeranno questi ultimi capitoli (da più di 200 che eravate ne è rimasto un
centinaio, ma va beh…) e infine (ma non meno importante) un ringraziamento
speciale va a synoa,
che al tempo partecipò con me e che è stata la sola a recensire (se ci sei
batti un colpo!).
Inoltre, per non lasciare indietro nessuno, non posso certo
dimenticarmi di ellacowgirl,senza la quale non
avrei partecipato!
Il prossimo sarà l’ultimo capitolo, che provvederò a
pubblicare non appena avrò ritrovato il corrispondente schema di valutazione,
che non so perché non ho salvato…-.-“
Ognuno di noi, una volta giunto lì, si chiedeva se
non fosse giunto alle porte dell’Inferno. E mentre questo quesito sarebbe
rimasto senza risposta, noi eravamo consapevoli che nessuno di noi sarebbe
uscito vivo dal Colosseo. Qui, tutti, avremo trovato la nostra fine.
Eravamo prigionieri di guerra, poveri che non
avevano pagato le tasse, nullatenenti. Persone abbastanza forti da non essere
vendute come schiavi o uccise sul momento ma
condannate ad una sorte ben peggiore: combattere nell’arena del Colosseo.
Si trattava di puro e semplice “vivere o morire”.
Equipaggiati con armi ed armature, o almeno così accadeva ai più fortunati, o
meritevoli ad avviso delle guardie, avremo dovuto lottare fino a che non
avessimo avuto fiato in corpo. Uno contro l’altro, all’ultimo sangue,
all’ultimo respiro, finché non avessimo prosciugato l’ultima briciola di forza,
mossi da coraggio o follia.
Ogni mezzo era lecito, non c’erano né regole né
limitazioni per uccidere. Era solo la legge del più forte a dettare regole
naturali che avremmo, tutti, inconsciamente seguito, senza che ne fossimo a
conoscenza.
Il pubblico godeva nel vederci mentre lottavamo
ammazzandoci nei modi più crudi ed atroci possibili, mentre l’istinto di
sopravvivenza prendeva il pieno controllo di noi, offuscando la nostra ragione
ed annullandone tutti gli impulsi razionali. Non c’era più alcuna dignità per
lo sconfitto, nessun onore per il vincitore. Non eravamo uomini, eravamo
bestie, belve che una volta giunte in arena si sarebbero azzannate e sbranate,
senza esclusione di colpi, fino alla morte. Tutto per vivere di quell’orrenda
vita.
Al buio, in quella grande prigione sotterranea, tra
noi detenuti albergava la morte. Silenziosa e sorridente di un ghigno malefico,
si sarebbe alzata in piedi e ci avrebbe scelto. Ad uno ad uno,
prima o poi, saremo risaliti dalle tenebre, in arena, e vi saremo
ricaduti, una volta sola, restandovi per sempre.
Insieme alla morte viveva nei nostri cuori la
disperata paura di dover combattere, di essere scelti. Un terrore palpabile,
che sentivi scorrere nelle vene e invadere tutto il tuo corpo, come fosse un
veleno mortale, più mortale del combattimento stesso, perché logorava la mente.
Quel giorno la paura dentro di me era più forte. Seduto
con la schiena appoggiata alla parete fredda ed umida, mi sentii tremare. Chi
sopravviveva tornava quaggiù e raccontava, raccontava che quando stanno per
chiamarti senti la paura dentro crescere a dismisura, che quando ti trovi lassù
ti convinci a lasciarti morire per l’insostenibilità di questa vita e che poi,
nonostante questi buoni propositi, finisci per uccidere. Da vittima della paura
diventi carnefice per mano dell’istinto di sopravvivenza. Così dicevano,
finendo per odiarsi per ciò che avevano fatto e facendo del non guardare negli
occhi l’avversario morente una regola di vita.
Ripensando a quelle parole, mi resi conto che
sentivo dentro di me che mi avrebbero chiamato, e fu ciò che accadde. Avevo una
paura terribile di morire. Benché la mia vita prima di finire lì dentro fosse
quella misera di uno schiavo fatto poi prigioniero, avrei
voluto continuare ugualmente a vivere.
Salii una rampa di scalini di pietra ripidi e non
appena abbandonai del tutto le tenebre una luce troppo forte per i miei occhi,
che non ne erano più avvezzi, mi costrinse a chiuderli e a ripararli con un
braccio. Sbirciai e notai che le tribune erano gremite di persone che
applaudivano e chiamavano i combattenti, che volevano la prossima battaglia, il
prossimo spettacolo. Eravamo un intrattenimento, ecco cosa significavamo per
loro.
Mi avevano infilato una leggera armatura sopra gli
stracci che indossavo e mi avevano fornito una spada dalla lama segnata e
rovinata. Solo i veri gladiatori combattevano con vere armi ed armature, noi
eravamo l’antipasto del pubblico prima del vero spettacolo. L’armatura era
lacera e macchiata di sangue vecchio ed incrostato, sarebbe servita solo ad
impedirmi di morire ai primi colpi subiti. Guardai la spada che reggevo senza
quasi rendermene conto, talmente ero inebetito da ciò che stavo per fare,
chiedendomi quante persone avesse mai trafitto.
Il mio avversario, al mio fianco, era equipaggiato
come me.
Lo riconoscevo. Era arrivato da poco qui e
probabilmente avevano voluto metterlo subito alla prova. Da dove venisse non avrei
saputo dirlo, ma mi impressionò la sua pallida carnagione quando lo vidi per la
prima volta, in netto contrasto con i capelli scurissimi e lo sguardo vuoto e
cupo. Sembrava morto ancor prima di combattere, impassibile, mentre io tremavo
di brividi che a stento mi lasciavano respirare. Mi si formò un groppo in gola
al ricordo della nostra prima ed unica conversazione, quella mattina.
« Ehi tu, biondino. Come mai
tremi tanto? Sei malato, forse? »
« Io? », domandai titubante,
non sicuro del fatto che si fosse rivolto a me. « No, non sono malato. Ho
paura. Come tutti, qui dentro », ammisi.
« Paura per cosa? », mi
domandò, quasi con naturalezza.
Mi chiesi se sapesse in
quale luogo fosse finito. « Per cosa, mi chiedi? Ho paura di morire, ho paura
di andare a combattere! », mi alterai, rispondendo.
Lui non mi rispose, non
disse nulla, semplicemente abbassò lo sguardo. Lo osservai e mi domandai se
avesse compreso le mie parole. Il suo sguardo era inespressivo, lontano, come
se gli avessi detto che ci avrebbero dato zuppa e non un pezzo di pane, per
pranzo. Più parlavo con lui più mi stupivo e non mi capacitavo del fatto che
esistesse una persona simile. Mi dava i nervi.
« E tu non hai nessuna paura? Qui devi ammazzare la gente se non vuoi morire!
», dissi.
« No, non ho paura. Non so
che cosa sia. L’ho mai provata? Chissà? », disse, apatico.
« Se non hai paura né di morire né di uccidere, allora non hai idea di
che cosa voglia dire vivere! », esclamai, prima di allontanarmi da lui.
Mi riscossi da quei pensieri quando il boato delle
grida del pubblico si fece più forte, ricordandomi di trovarmi in un’arena
arida ed enorme, e sentii una mano premere al centro della schiena e spingermi
a fare passi in avanti che non avrei mai fatto di mia volontà. Una voce ci
disse di combattere e ci incitò a aggiungere il centro dell’arena, mentre il
pubblico, nel vederci finalmente comparire alla luce, ci accolse con altri
applausi e grida che mi facevano rivoltare lo stomaco. Stavamo per morire e
loro gioivano.
Ciò che stavo per fare andava contro ogni mia etica
morale. Mi recai al centro dell’arena insieme a quel ragazzo apatico che, sì,
odiavo, ma che mai avrei ammazzato. I piedi sembravano pesare come macigni e,
quando mi voltai verso il mio avversario, mi parve di vedere un’emozione
riflettersi nel suo sguardo apatico. Che fosse la paura che ora aveva
totalmente invaso me? Forse era stata solo una mia impressione…
Ci fermammo l’uno di fronte all’altro, fissandoci.
Sentii una voce omaggiare un imperatore del quale non mi sarebbe mai importato
nulla e dare il via al nostro combattimento. Sarei rimasto ancora immobile ed
inebetito a fissare i segni delle precedenti a numerose battaglie in
quell’arena se non avessi visto il mio avversario caricare contro di me brandendo
la spada. Di istinto mi difesi, parando il colpo. Allora era vero. L’istinto di
sopravvivenza aveva mosso il mio braccio per proteggermi. Io da solo, sconvolto
com’ero, non ci sarei mai riuscito.
Combattemmo a lungo, ferendoci a vicenda. Eravamo agguerriti,
o meglio, lui era agguerrito, io mi difendevo. Avrei giurato di vedere una
sempre crescente emozione nei suoi occhi. Forse ora anche lui stava provando la
paura di morire, facendola trasparire solo nello sguardo e non nelle azioni.
Non cedevo e questo lo spiazzava, facendo vacillare le sue sicurezze.
Fu quando riuscì a ferirmi ad una gamba,
atterrandomi, che una paura ancora più forte mi colpì in pieno petto come un
pugno. Una paura terribile, devastante, che mi toglieva il respiro e bloccava
ogni pensiero della mia mente, lasciando che su soltanto uno potessi
focalizzare la mia attenzione. La consapevolezza che mi avrebbe ucciso, che
sarei sprofondato nelle tenebre eterne e che non avrei potuto più fare niente
per salvarmi.
Ma qualcosa scattò in me, come se non fossi stato io
a decidere di muovermi ma fosse stato il mio corpo a farlo autonomamente.
Schivai il suo colpo mortale, alzandomi in piedi con una forza che credevo di
non avere più, e per un attimo incrociai il suo sguardo. Non era più apatico.
Aveva paura. E la consapevolezza di essere senza speranza che un istante prima
lui aveva fatto mia, io l’avevo appena fatta sua.
Afferrai saldamente la spada e la brandii con una
forza che non mi riconoscevo, sentendo la lama incontrare un ostacolo e trapassarlo.
Il cuore mi batteva a mille, sentii i rumori della
folla allontanarsi e diventare confusi. Sentivo solo il martellare continuo nel
mio petto, un martellare che non avrei dovuto sentire più.
Lasciai la presa sulla spada e chiusi gli occhi.
Sapevo cos’avevo appena fatto. Cosa il mio inutile istinto mi aveva portato a
fare. Restai immobile ed attesi per secondi che sembravano eterni.
Poi lo sentii. Il tonfo sordo di un corpo esanime,
il rumore metallico di una spada che cadeva.
Mi lasciai cadere in ginocchio, prendendomi la testa
tra le mani e ricominciando a sentire le voci della folla, mentre il sangue
pulsava nelle vene e una sensazione di disgusto mi salì allo stomaco.
Ora, la mia paura non era più quella di morire, ma
quella di dover continuare a vivere con dentro il peso dell’assassinio di un
innocente.
Angolo dell’autrice
Va bene, va bene, ero certa di
aver finito, invece no >_>’
Ad ogni modo, dato che mi
dimentico sempre di cercare questo benedetto schema di valutazione, ho deciso
di pubblicare ugualmente, dando finalmente un termine a questa “cosa”, quando
lo ritroverò provvederò ad inserirlo. Tanto ricordo di essere stata penosa,
quindi il mio punteggio ha poca rilevanza… (il pacchetto mi aveva messo non
poco in difficoltà)
Beh, che altro dire… Un grazie
a tutti coloro che hanno letto questa raccolta e che (?) la leggeranno in
futuro. Un ringraziamento speciale ad ellacowgirl
per il bel contest a cui ho avuto l’onore di partecipare e, non meno
importanti, a tutte le persone che hanno partecipato insieme a me.
Singolarmente, mi classificai
terza, mentre insieme al mio Team Estate (comprendente chi aveva scelto come
personaggi Kankuro e Hidan) salii sul podio.
Se qualcuno che ha partecipato
al contest si imbatte in questa cosa, oltre a synoa, non esitate a
comunicarmelo: inserirò i vostri nomi nei ringraziamenti!