Naruto Sfida Le Dodici Stanze

di WolfEyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pace? No, grazie! ***
Capitolo 2: *** Quando piove e guardi il cielo ***
Capitolo 3: *** Nessun luogo è sicuro! ***
Capitolo 4: *** La verità! ***
Capitolo 5: *** Un vero Shinobi, una vera Kunoichi ***
Capitolo 6: *** Vivere o morire ***



Capitolo 1
*** Pace? No, grazie! ***


Premessa

Premessa

Prima di lasciarvi alla lettura, mi sembra doveroso spendere due parole riguardo al contest indetto da una grande autrice: ellacowgirl in Madame_Butterfly (se non avete letto le sue opere, anche se ne dubito, vi consiglio vivamente di darci un’occhiata).

Ognuno dei partecipanti, raggruppati in team, ha scelto un personaggio dell’anime di Naruto e non ha la possibilità di cambiarlo durante il contest, anzi, dovrà essere il protagonista principale delle one-shot, affiancato da un personaggio secondario. Il contest si svolgerà a turni e metterà alla prova la rapidità e la bravura degli scrittori nel rientrare e sfruttare i criteri del pacchetto, che varia di turno in turno, inviato dalla fondatrice del concorso. Ad ogni turno, ci verrà comunicato il punteggio secondo una griglia stabilita, che pubblicheremo insieme alla storia nel caso volessimo postarla.

Ho voluto informarvi del funzionamento generico del contest per farvi capire più o meno cosa state per leggere, ma se volete capire di più leggete nel Forum alla sezione “Concorsi a turni” il contest “Le Dodici Stanze-Chi la dura la vince”.

In più, oltre a dare le informazioni per quanto riguarda il turno (così capirete su cosa ci siamo basati per scrivere i nostri lavori), le do anche per quanto riguarda la fanfiction (per comodità vostra).

Spero di non avervi annoiato, buona lettura e grazie dell’attenzione!

 

Contest _ Turno 1

Team Estate

Stanza: 7-Isole

Personaggio base: Naruto

Personaggio aggiuntivo: Sakura

Prompt pacchetto: Cocco

Luogo: Spiaggia

 

FanFiction

Genere: (apparentemente) drammatico, comico

Rating: Verde

Avvertimenti: nessun avvertimento, tranne che sto facendo il possibile!

 

 

Naruto sfida le Dodici Stanze:

Pace? No, grazie!

 

 

C’era pace, una pace infinita. Una di quelle così rare da trovare, così effimere e facili da perdere in un mondo caotico come lo era quello ninja. In tale mondo, la pace e la tranquillità sembravano nascondersi ogni volta che li si cercava, ma lì era diverso…

Lì, dove il sole era alto nel cielo e splendente come non mai, i caldi raggi avvolgevano tutto lo spazio circostante, riscaldandolo e illuminandolo, rendendolo quasi surreale, mai visto prima.

Lì regnava il silenzio, interrotto solo dal fruscio delle foglie al vento leggero e dall’infrangersi delle onde sugli scogli e sul bagnasciuga.

Lì si era immersi nella natura, così vasta ed imponente, così verde e rigogliosa, pullulante di ogni creatura vivente, che ogni giorno si esibiva nel grande miracolo della vita.

Lì il cielo limpido e terso, sorvolato di tanto in tanto da qualche gabbiano, si confondeva all’orizzonte con l’intenso azzurro del mare e delle sue onde, che scintillavano in lontananza colpite dai raggi solari.

Lì erano liberi di correre a piedi nudi sulla sabbia,  sentendola insinuarsi tra le dita, di respirare a pieni polmoni il profumo di salsedine, di sentirsi parte del mondo.

Era lì che la pace regnava incontrastata, assoluta, presentandosi in ogni sua forma.

 

 

C’era pace. Infinita, incontrastata, assoluta… C’era troppa pace! Una pace opprimente e troppo forte da combattere perfino per lui, che in genere riusciva sempre a rovinare qualsiasi momento tranquillo con le sue stupidaggini. Questa volta, quella pace insopportabile e surreale lo aveva sconfitto.

E poi ci si metteva quel dannato silenzio… Era tutto troppo dettato dalla natura, aveva cominciato ad odiare i gabbiani e il brontolio del suo stomaco non era sufficiente a sovrastare la natura, benché fosse abbastanza forte e insistente. Gli mancavano terribilmente lo sfrecciare dei kunai, la carica che si sentiva in corpo quando era a un passo dal perfezionare una tecnica e… il suo tanto amato ramen di Ichiraku! Il solo pensiero di quel prelibato piatto gli fece venire l’acquolina in bocca, e di certo il fattore non era d’aiuto dato che quel desiderio non avrebbe in alcun modo trovato soddisfazione.

Faceva troppo caldo per fare qualsiasi cosa, la sabbia era rovente di giorno e ghiacciata di notte e quegli stramaledetti insetti non la smettevano di pizzicarlo.

Sciaf!

« Ah, ti sta bene! », esclamò il biondino dandosi una pacca sul braccio con l’intento di far fuori uno di quegli odiosi moscerini. Fortuna che Shino non era con loro, o avrebbe fatto fare a Naruto la stessa fine!

Sospirò per l’ennesima volta a causa del caldo, della noia e della fame che ormai era diventata un’abitudine quotidiana.

Seduto ai piedi di una palma, proprio dove la vegetazione lasciava il posto alla spiaggia, cercava di ripararsi dal caldo sfruttando quella poca ombra che quell’albero riusciva a procurare. Arrossato per la temperatura e per le precedenti esposizioni al sole, indossava come solo indumento i pantaloni della tuta arancione tirati su fino al ginocchio, e l’acqua del mare era l’unico modo che aveva di rinfrescarsi.

Sospirò nuovamente proprio quando una testolina rosa scompigliata, quasi trascinando i piedi, era arrivata accanto a lui, all’ombra della palma.

« Siamo rovinati », constatò.

« Che è successo? », chiese il biondo, talmente stanco da far sembrare apatico il suo tono di voce.

« Non ho trovato niente. Niente, capisci? Non un animale che potesse diventare la nostra cena. Non c’è più niente su quest’isola, solo miserabili noci di cocco », anche il tono di Sakura era stanco, sfinito. Stanco di tutta quella situazione che si era creata e che non riusciva più a gestire.

« Oddio, non facciamo che mangiare cocco da giorni ormai. Non ho più la forza di spaccarne un’altra, mi rifiuto psicologicamente! », si lamentò Naruto appoggiando la testa sul tronco e chiudendo gli occhi.

La ragazza sospirò, abbassando lo sguardo sulle ginocchia che aveva portato al petto. Era stato così stupido da parte loro accettare di finire lì… Se solo avesse potuto tornare indietro, avrebbe detto mille volte “no”. Se al suo posto ci fosse stata Ino sarebbe già impazzita, anche se doveva ammettere che anche lei non era molto lontana dal perdere la ragione. Non trovavano cibo se non qualche bacca e noci di cocco, era spettinata, sciupata e non faceva né un pasto né una doccia decenti da giorni! Era stufa del caldo e degli insetti e non poteva fare a meno di pentirsi.

« C’è un gabbiano », disse Naruto, con un tono che dall’apatia tendeva alla disperazione, accennando a qualcosa sul bagnasciuga.

« Cosa? Ma sei matto? Puzza di putrefazione, e poi non lo sai che i gabbiano volano in mare aperto solo quando stanno per morire? Non mangerei quel coso neanche se tu mi pagassi oro! », obiettò Sakura, che forse aveva riacquistato momentaneamente un po’ di vitalità nel riprendere Naruto.

« Ok, ok, non agitarti… Risparmia le energie per la Tecnica della Depurazione », suggerì il biondo.

« Non dirmi che hai già finito l’acqua potabile! », sperò lei, portandosi una mano sulla fronte.

« Non so se l’hai notato, ma siamo su una dannata isola deserta, sotto il sole cocente per dieci ore al giorno… Che altro dovrei bere? », si agitò il biondo. Già era una cosa abbastanza spiacevole essere lì, poi dover essere anche ripreso per usufruire del minimo indispensabile alla sopravvivenza… No, eh!

« E perché devo farlo io? Diamine! »

« Perché il caro vecchio spaventapasseri l’ha insegnata solo a te quella tecnica », disse Naruto, pensando che quel pazzo aveva almeno avuto il buon cuore di insegnar loro come depurare l’acqua del mare. Senza quella tecnica non sarebbero durati due giorni!

« Sii rispettoso nei confronti di Kakashi-sensei! », si alterò la rosa, guardandolo male.

« Ma fammi il favore! Non negare che anche tu in questo momento vorresti farlo fuori! », esclamò. « Anzi, fammelo veramente, un favore: la prossima volta che Kakashi parla di una vacanza su un’isola tropicale, prima di accettare, accertati che sia veramente una vacanza e non una missione di sopravvivenza! », disse, ricordandosi del momento in cui l’uomo mascherato, con un sorriso che in realtà era tutt’altro che cordiale, aveva proposto loro quella meritata vacanza, così aveva detto, senza proferire nulla a proposito dell’allenamento per la sopravvivenza in luoghi ostili. Però Naruto doveva ammettere di essere stato uno stupido a pensare di poter passare un po’ di tempo in tranquillità con la sua Sakura. O almeno non era quello il modo che intendeva lui!

Era normale che i due compagni di team litigassero, lo avrebbero fatto anche a Konoha, e a quell’ultima esclamazione, seguita da una pessima imitazione del suo tono di voce nell’accettazione della proposta, Sakura non ci vide più dalla rabbia. Prese la testa del biondo coprendogli il volto con il palmo della mano e lo spinse forte all’indietro, facendogliela sbattere violentemente contro la palma, che in tutta risposta tremò e lasciò che una noce di cocco cadesse sulla testa di Naruto.

« Ahia! », gridò il povero malcapitato, tenendosi la testa per il dolore, gemendo e trattenendo a stento tra i denti qualche imprecazione più volgare del solito.

La rosa prese il frutto, che si era rotto perfettamente a metà, e cominciò a farne piccoli pezzi per poterne mangiare. Un sorriso vittorioso le illuminò il volto arricciandole le labbra.

«Vedi che hai ancora la forza per rompere una noce di cocco? »

 

Note dell’autrice

Ok, spero che la one-shot non vi abbia disgustato e che continuerete a leggere questa raccolta, anche perché gli aggiornamenti saranno abbastanza regolari (ogni due settimane circa, una volta ricevuto il punteggio) quindi non dovrete attendere molto.

Infine, ma non meno importante, ringrazio tutti quelli che hanno letto e che commenteranno, e soprattutto ringrazio ellacowgirl, perché con questo suo contest mi sta ridando la voglia di scrivere e l’ispirazione che avevo perso. Mi hai dato la spinta giusta per riprendere, perché con questo concorso mi ritrovo “costretta” a scrivere rispettando certe scadenze, senza contare che mi sto divertendo un sacco nonostante prima fossi un po’ intimorita. Lo devo a te!;)

Grazie ancora a tutti!

 

SCHEMA VALUTAZIONE

Grammatica e sintassi: 10/10

Stile: 5/5

Prompt pacchetto: 5/5

Pers. Aggiuntivo: 5/5

Luogo: 2/2

Attinenza alla stanza: 5/5

Originalità: 2/3

Gradimento Personale: 5/5

Tot: 39/40

 

 

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Capitolo 2
*** Quando piove e guardi il cielo ***


Contest _ Turno 2

Contest _ Turno 2

Team Estate

Autrice: Wolf’sEyes

Stanza: 2-Asilo delle suorine

Personaggio Base: Naruto

Personaggio Aggiunto: Sasuke

Prompt Pacchetto: finestra

Luogo: dormitorio

 

Fan Fiction

Genere:Triste, Malinconico

Rating:Verde

Avvertimenti:Alternative Universe, forse leggermente OOC in quanto i protagonisti sono bambini e il loro carattere non è ancora pienamente formato

 

Naruto sfida le Dodici Stanze:

Quando piove e guardi il cielo

 

Era una giornata grigia, come lo erano quasi tutte quelle che si trascorrevano lì dentro. Il cielo plumbeo preannunciava pioggia, forse un bel temporale, ma era ormai certo di essersi abituato ai tuoni e non chiamava più Suor Shizune per rassicurarlo, da quando gli aveva raccontato quella storia.

Suor Shizune era una donna molto giovane che si occupava dei bambini che avevano un’età che andava fino ai cinque anni. Il suo viso dolce e i suoi modi sempre gentili e comprensivi erano un fattore fondamentale nel suo lavoro di istruzione dei bambini, infatti si occupava di orientarli già da quella tenera età ad un primo approccio a nostro Signore, alle prime preghiere e all’amore verso il prossimo. Insegnava ad essere buoni e gentili, così dicevano i bambini.

Naruto, in particolare, aveva preso in simpatia la giovane donna, anche se non lo si poteva definire un bambino modello: era una piccola peste che appena poteva faceva le sue marachelle, come rubare una fetta di torta in più dal vassoio delle merende pomeridiane, nascondere i pochi giocattoli che i compagni di dormitorio potevano tenere, sporcare la divisa un po’ troppo spesso e altre piccole e innocenti birichinate, punite con qualche preghiera in più.

Ma quel giorno no, non aveva tempo di fermarsi a fare il monello, doveva correre. Finito l’orario di catechismo, che per lo più consisteva in una piccola lettura e nella consegna di un disegno, era scappato di nascosto e tornato al dormitorio per vedere il nuovo arrivato.

Quella mattina, Kiba, un altro bambino che in quanto a bricconate faceva concorrenza al piccolo Naruto, gli aveva detto che c’era un nuovo arrivato ma che nessuno aveva ancora parlato con lui e aveva sentito che i suoi genitori erano andati via da poco, come avevano fatto i genitori di tutti i bambini che si trovavano lì.

Ma Naruto era fin troppo curioso per aspettare ancora per conoscerlo. Corse a perdifiato lungo il corridoio grigio e cupo dell’edificio, raggiungendo l’ala adibita a dormitorio maschile dei bambini dell’asilo, al secondo piano, e vi entrò di fretta.

Diede una rapida occhiata alla stanza, dalle mura grigie e cupe quanto il corridoio ma vivacizzata dal colore di qualche copriletto. Due file di sei lettini occupavano la stanza rettangolare e lunga ed erano disposti perpendicolarmente alle pareti più lunghe, di cui una era adiacente a quella del corridoio, mentre l’altra dava direttamente sul giardino dell’orfanotrofio. Tre ampie finestre facevano sì che entrasse luce a sufficienza per illuminare la stanza, anche se quel giorno le nuvole sembravano non voler far vedere il sole, coprendolo insistentemente già da quella stessa mattina.

Non fu difficile notarlo, quel bambino che aveva la sua stessa età era perfettamente in sintonia con quella camera: era cupo e dallo sguardo spento e triste. Stava seduto sul bordo del letto, con le mani sulle ginocchia, le gambe penzoloni e il viso abbassato, perso in chissà quali tristi pensieri.

Il piccolo Naruto si fece coraggio e fece qualche passo verso di lui, notando con gioia che gli avevano assegnato il letto proprio vicino al suo, sotto la stessa finestra.

« Ciao », sussurrò il biondo, avvicinandosi di più e notando che, nonostante il nuovo arrivato lo avesse visto e squadrato per un breve attimo, non sembrava interessargli affatto la sua presenza. « Io sono Naruto Uzumaki, ho… », continuò, osservandosi per un breve istante la mano per ricordare. « cinque anni. E tu come ti chiami? », gli domandò, sperando che questa volta lo notasse e gli prestasse più attenzione.

Dal canto suo, il moretto non voleva affatto interloquire con quel buffo bambino che gli era piombato di fronte, né tanto meno gli interessava ricordarsi come si chiamava, ma quando Naruto gli si fece più vicino, squadrandolo in viso per capire cosa non andava, l’imbarazzo fu più forte di lui e lo spinse a scostare lo sguardo per non incontrare i suoi occhi azzurri.

« Ehi, mi hai sentito? Ti hanno mangiato la lingua? »,  si lamentò allora il piccolo Uzumaki, dondolando sui piedi e nascondendo le mani dietro la schiena.

« Mi chiamo Sasuke Uchiha, ho cinque anni e non ho voglia di parlare con te! », disse il moretto tutto d’un fiato, seccato.

« Calmati, non ti devi arrabbiare… », esclamò Naruto, preso in contropiede da una reazione tanto esagerata, alzando le mani come per difendersi. Successivamente si sedette sul proprio letto, accanto a quello di Sasuke, proprio nello stesso identico modo del moro, in modo da averlo di fronte.

« Ti hanno dato il letto di Rock Lee », disse poi, dopo qualche istante di silenzio. Non si voleva arrendere, si era promesso che sarebbe diventato amico di quel bambino e lo avrebbe fatto, ma il ricordo del suo amico che ormai non vedeva più da qualche settimana lo spinse ad abbassare lo sguardo.

Notò tuttavia un accenno di curiosità nello sguardo di Sasuke, forse era riuscito a catturare la sua attenzione, e questo lo spronò a continuare.

« Era il bambino che era qui prima di te. Lo hanno adottato. Dicono così quando arrivano una nuova mamma e un nuovo papà e ti portano via. Io però una famiglia non l’ho mai vista. Tu sai com’è? », chiese, quasi speranzoso, alzando lo sguardo verso l’Uchiha e rimembrando che ogni suo più remoto ricordo, tutto ciò che aveva in mente fino ad allora, era ambientato tra quelle mura.

« Io… Io una famiglia ce l’avevo », cominciò. « Poi una notte è bruciato tutto e mi hanno mandato qui, neanche la nonna mi può tenere. Ma io non ci voglio stare qui! Voglio la mia mamma e il mio papà », si lamentò il piccolo Sasuke, trattenendo a stento le lacrime, perché sentiva dentro di lui di non avere più voglia di piangere, per quel giorno.

« Te li ricordi? La tua mamma e il tuo papà, te li ricordi? »

« Sì », sospirò. « Mi ricordo la mamma quando mi raccontava la favola prima di dormire e il mio papà che mi tirava su le coperte e mi diceva che poi quando tornava da lavoro giocavamo. Il profumo della mamma quando mi abbracciava e mio fratello più grande che si arrabbiava perché gli rubavo i giocattoli… », ricordò il piccolo, che non riusciva a nascondere la tristezza nonostante si sforzasse di non stringersi sempre di più nelle spalle.

Naruto ascoltò attentamente, invidiandolo un po’.

« Tu perché sei qua? », gli domandò poi il moretto, mentre vide Naruto scendere dal letto dopo averlo ascoltato e dirigersi verso la finestra tra i loro letti, aprendo i vetri e facendo entrare una folata d’aria fredda, che, pungente, colpì le guance dei due.

« Io una famiglia non ce l’ho. Non me la ricordo. E non so perché non ce l’ho, ma una volta ho sentito che dicevano che uno ubriaco li ha investiti. Io non so che cosa vuol dire ubriaco, e quando l’ho chiesto a Suor Shizune mi ha solo detto che è una cosa brutta. Io non so come mai si diventa così, ma da grande non voglio esserlo. Mai ».

Anche Sasuke lo ascoltò con attenzione. Nemmeno lui aveva idea di cosa fosse un ubriaco, e non sapeva che cos’altro dire se non chiedergli cosa stesse facendo, mentre lo guardava affacciarsi alla finestra, guardando più in alto che poteva.

« Tu lo guardi, il cielo? », gli chiese allora Naruto.

« Cosa? Perché devo guardarlo? », domandò il moro di rimando, sorpreso da quella domanda.

Il biondo lo guardò di rimando, come se attendesse una risposta concreta, che fosse o positiva o negativa.

« No, non lo guardo il cielo… », ammise il moro.

« Invece devi », obiettò Naruto. « Perché la nostra mamma e il nostro papà non sono andati via per sempre, sono lassù in cielo. Qua ci dicono così. Io li guardo sempre prima di dormire, proprio da questa finestra, e prima lo faceva anche Rock Lee. Non so che faccia avevano, però io racconto a loro la mia giornata, racconto tutto. Loro sono là e vogliono farci stare bene e farci sentire amati, quindi noi non dobbiamo piangere per loro ed essere tristi. Suor Shizune dice così, che tutti i nostri cari finiscono là, in alto in alto ».

Ascoltate le parole del piccolo Naruto, Sasuke scese dal letto e si affacciò alla finestra proprio come aveva fatto il suo nuovo compagno, anche se a fatica, poiché era un po’ troppo alta per entrambi. Era una grande finestra sulla quale erano state montate zanzariera e inferriate per evitare che qualche bambino potesse fare qualche gioco pericoloso, ma nonostante il fitto reticolato e le sbarre spesse e un po’ larghe, il cielo era ben visibile. Grigio, cupo, triste. Il piccolo Sasuke si chiese allora come mai, se i suoi genitori e suo fratello erano finiti lassù, e lo amavano, il cielo era così triste. Poi, all’improvviso, un lampo illuminò il cielo di un innaturale colore e lo fece trasalire e rabbrividire di freddo, un brivido che gli era salito lungo tutta la schiena e lo aveva fatto gemere, quasi squittire.

« Hai paura dei temporali? », gli chiese Naruto, comprensivo, una volta vista la sua reazione.

« Mi dà fastidio il rumore dei tuoni…», ammise ancora il piccolo Sasuke. Quel biondino stava riuscendo a fargli dire cose che probabilmente non avrebbe mai confidato a nessuno, lì dentro. Forse Naruto aveva qualcosa di speciale, e questa sua insistenza nel cercare un dialogo con lui avrebbe facilmente portato i suoi frutti prima o poi.

« Una volta avevo paura dei tuoni e dei temporali e Suor Shizune mi ha detto che invece non dovevo », cominciò a raccontare, con lo sguardo perso nel cielo più infinito, come se riuscisse ad arrivare al di là delle nuvole, come se potesse attraversarle, e vedere il sereno che quelle celavano. « Perché quando guardiamo il cielo guardiamo i nostri genitori, e loro guardano sempre noi, e sono felici se noi siamo bravi e buoni. E quando il cielo piange è perché un bambino ha smesso di guardare i suoi genitori, e loro sono tristi e soffrono, e allora piove e ci sono i tuoni. Però, se guardi il cielo, poi non piove più, o almeno sai che non è colpa tua se piove ».

Sasuke rimase come ipnotizzato da quelle parole. Quindi i suoi genitori e suo fratello erano tristi perché lui… Non stava guardando il cielo? Perché era triste per loro? Allora lo fissò, si chiese come fosse possibile, ma poi si convinse che fosse così. Fissò il cielo intensamente, voleva che il suo sguardo raggiungesse i suoi cari e che potesse trasmettere loro le sue scuse e il suo amore per loro. Si voltò poi verso Naruto e con un leggero movimento delle labbra, accennò ad un sorriso, che il biondo a sua volta ricambiò sfoderando un largo sorriso, tipico della sua indole. Aveva fatto del bene ad una persona, anche se forse non se ne rendeva pienamente conto.

Si diedero la mano e insieme uscirono dal dormitorio, lasciando la finestra aperta, mentre uno spiffero d’aria più calda della precedente li raggiunse entrambi.

Forse Sasuke ci avrebbe messo ancora un po’ ad abituarsi a non avere paura dei temporali, ma certo era che quel giorno non sarebbe piovuto. *

 

 

 

* Ci tengo a precisare che, trattandosi di bambini di circa cinque anni, ho utilizzato volontariamente un linguaggio semplice e povero, infantile, per i loro dialoghi. Mi sembrava che rendesse la vicenda più veritiera, tempi verbali non proprio corretti e ripetizioni sono tipiche dei bambini. Volevo solo che si sapesse che è una cosa voluta, e che in quanto a sintassi e grammatica spero di essermi rifatta con il resto della fic.

 

Note dell’autrice

Ringrazio tutti coloro che hanno letto, sperando che vi sia piaciuta e che vi abbia trasmesso qualcosa. Se leggerla vi ha commosso anche solo un pochino, lasciate un commentino, che così mi commuovo io? =P

Ringrazio anche chi ha letto il precedente capitolo, specialmente synoa, che, gentilissima, l’ha commentato. Mi piacerebbe poter ringraziare anche altri allo stesso modo, ma a quanto pare la fic scarseggia di recensori e fans, e dubito che con questo capitolo le cose cambieranno molto.

Un applauso va a ellacowgirl, che svolge il suo lavoro di giudice in maniera ottimale e che con quel suo “complimenti, dolcissima!” mi ha quasi fatta piangere.

Ecco la griglia di valutazione, come da regolamento:

 

SCHEMA VALUTAZIONE

Grammatica e sintassi: 9/10
Stile: 5/5
Prompt pacchetto: 5/5
Personaggio Base: 5/5
Personaggio Aggiuntivo: 5/5
Luogo: 2/2
Attinenza alla stanza: 5/5
Originalità: 3/3
Gradimento Personale: 5/5
Tot: 44/45

 

(ora è presente anche il punteggio della voce “personaggio base”)

 

… e auguro a tutte le partecipanti un grandissimo in bocca al lupo! =)

Alla prossima!

WolfEyes

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Capitolo 3
*** Nessun luogo è sicuro! ***


Contest _ Turno 3 _ Turno Sfida

Contest _ Turno Sfida

Team Estate

Autrice: Wolf’sEyes

Stanza: Hotel/Albergo

Personaggio Base: Naruto

Prompt: Sesso

Personaggio Aggiuntivo: Hinata

Luogo: Camera da letto

(Comparse: Sasuke, Sakura, Neji, Ten Ten, Shikamaru, Ino)

 

Fan Fiction

Raiting: Giallo/Arancione

Avvertimenti: Alternative Universe, Pov Naruto.

[Non ho mai scritto questo genere di cose!]

 

Naruto sfida le Dodici Stanze:

 

Nessun luogo è sicuro!

 

Era da tempo che bramavo quel momento, e ora ero lì, con lei, e ci trovavamo finalmente soli.

Avevamo capito a nostre spese quanto fosse difficile trovare un po’ di intimità. A casa di lei, il padre non si allontanava di più di tre metri dalla sua camera da letto, e sicuramente, se mi avesse trovato anche solo ad abbracciarla, mi avrebbe spedito sulla Luna! Era già tanto per lui l’aver accettato la nostra relazione da mesi. A casa mia… beh, la mia adorata madre era troppo sbadata per uscire dal proprio alloggio senza dovervi rientrare come minimo tre volte per aver scordato qualcosa. D’accordo, so da chi ho preso!

Ma restava il fatto che nessun luogo fosse sicuro per la nostra intimità, perché finivamo per essere sempre interrotti. Nessun luogo tranne quello in cui ci trovavamo ora.

Era piena estate, e, insieme agli amici di sempre, decidemmo di trascorrere qualche giorno in una località marittima. Avevamo trovato quasi per caso un piccolo alberghetto vicino alla spiaggia, molto bello e raffinato, con personale accogliente e stanze ampie, pulite e ben arredate. Sembrava impossibile pensare di alloggiare veramente in un posto simile, o forse lo era più per me, che viaggiavo poco.

Eravamo quattro coppie, per un totale di quattro camere doppie, ma avevamo deciso di dividerci le camere non come tali, ma come maschi e femmine, dopo un dibattito delle ragazze che protestarono all’idea di dormire ufficialmente con i rispettivi fidanzati. Tuttavia, giunta la sera, finivamo tutti per trovarsi nella camera di qualcuno a fare chiacchiere e battute, e, passate un paio d’ore, quasi nessuno tornava nella propria stanza: ogni coppietta finiva da sola in una delle camere dell’albergo, o almeno così era per le coppie di più vecchia data.

Infatti, io, sfrattato dalla mia camera grazie alla presenza di Sakura e alle minacce di Sasuke, mi era ritrovato a dover condividere la camera di Neji, che mi teneva volentieri sotto controllo. Ten Ten, invece, dormiva al posto di Sakura nella camera di Hinata, perché una certa biondina tutto pepe aveva deciso di portarsi dietro la sua ananas personale.

Ma quella sera non sarebbe finita così, avevo deciso di non farmi mettere i piedi in testa un’altra volta, anche perché era l’ultima notte che avremmo passato lì. Così, mentre gli altri si radunavano nella stanza di Neji e Shikamaru, io scesi al piano inferiore, diretto alla camera dell’unica persona della quale mi interessasse veramente.

Bussai alla porta in legno scuro, leggermente titubante, guardandomi attorno per accertarmi che nessuno mi avesse visto, specialmente i miei amici. Pochi attimi dopo la porta si aprì, lasciando intravedere nella penombra una figura femminile dal candido viso d’angelo, vestita di una larga maglia nera e un paio di corti pantaloncini in jeans.

« Naruto », sussurrò la ragazza, mentre un sorriso si fece spontaneamente largo sul suo viso non appena mi vide.

Era bella da mozzare il fiato e le sorrisi a mia volta, e senza troppi complimenti feci un passo verso di lei, avvicinandomi quanto bastava per poterle accarezzare il viso e stamparle un leggero bacio sulle labbra rosee e carnose. La feci indietreggiare appena, in modo da poter entrare e chiudermi la porta alle spalle con la mano ancora libera.

« Mi mancava stare un po’ da solo con te », ammisi con un filo di voce, mentre le sorridevo e guardavo le sue guance accendersi. Adoravo metterla un po’ in imbarazzo con questo tipo di frasi, era così tenera.

La vidi abbassare lo sguardo e sorridere, sapevo quanto la stessa cosa valesse per lei, ma sapevo anche che la sua timidezza costituiva ancora un piccolo ostacolo, nonostante non fosse più così insicura come quando ci eravamo conosciuti. Tuttavia, l’amavo anche per la sua timidezza, e la capivo. Sapevo che non avrebbe mai ammesso ad alta voce che le ero mancato, ma l’avrei amata altre mille volte, non m’importava quanto potesse essere timida.

La abbracciai, la tenni stretta a me, facendo scivolare una mano sui suoi lunghi capelli scuri e inebriandomi del loro profumo di lavanda. La sentii circondarmi con le braccia e appoggiare la testa al mio petto, e non riuscii più a controllare i battiti accelerati del mio cuore.

Feci qualche lungo respiro, ma la tentazione era troppa, e la voglia di sentire le sue labbra cresceva sempre di più. Dopo qualche attimo, mi divincolai leggermente dall’abbraccio, lasciai una mano sulla sua schiena e spostai l’altra dai capelli alla nuca, attirandola a me, e la baciai. Dapprima si trattò solo di far incontrare le nostre labbra in un dolce contatto, poi anche le nostre lingue cominciarono ad incontrarsi e a danzare…

Resi quei baci sempre più lunghi ed intensi, più profondi. La passione stava crescendo. Sentii Hinata premersi contro il mio corpo, quasi come vi si stesse disperatamente aggrappando, e ciò mi fece sentire indispensabile per lei. Sentivo i suoi seni contro il petto, così invitanti e sodi da non poter evitare che mi eccitassi al solo pensiero di poterli avere tra le mani. Quell’immagine si fece largo nella mia mente, e non appena la sentii gemere e inarcare la schiena, la voglia che sentivo dentro crebbe ancora di più.

Smisi per un attimo di baciarla e aprii gli occhi. Non mi ero reso conto che la stanza era illuminata solo dai deboli e candidi raggi lunari che entravano dalla finestra. Tutto sommato, era uno scenario abbastanza romantico vedere la luna piena e il cielo stellato al di là delle tende sottili.

Ansimante quanto lei, cercai con lo sguardo il letto e la feci indietreggiare verso di esso, lottando contro i brividi che mi provocavano i baci sul collo che aveva cominciato a darmi in mancanza delle mie labbra.

La feci sdraiare sulle morbide e fresche lenzuola, mi misi a cavalcioni su di lei e questa volta fu il mio turno di baciarle il collo candido e il lembo di pelle che la maglietta lasciava scoperto. La sua pelle era così calda e profumata che non avrei mai smesso di baciarla. Con una mano mi appoggiai al letto, con l’altra invece cominciai ad accarezzarle il fianco e la coscia, e la sentii fremere appena mentre accarezzava la mia schiena e affondava le dita nei miei capelli. Sentii l’eccitazione crescere, e, ancora una volta, smisi di baciarla.

« Hinata… T-Te la senti? », balbettai ansimante.

In quell’istante i miei occhi sprofondarono nei suoi, e mi resi conto che non avrei potuto leggervi un amore più grande.

« Sì, Naruto… Per-Perché… Perché ti amo », disse, posando una mano sulla mia guancia e fissando i suoi occhi nei miei, per farmi capire che era ciò che veramente voleva. Piegò di più le gambe, lasciandomi più spazio…

Le sorrisi riconoscente, piegandomi nuovamente su di lei e sussurrando « Anch’io ti amo », vicino al suo orecchio, sapendo quanto si sarebbe imbarazzata. Poi le mie labbra tornarono ad incontrare le sue in baci più passionali, mentre le mie mani cominciarono a frugare dietro la sua schiena in maniera forse poco sensuale.

Gemette appena, fermandosi e guardandomi. « Che stai facendo? », mi chiese con un sorriso divertito.

« Sto cercando di slacciare il reggiseno », ammisi, imbarazzato di non essere riuscito discretamente nella mia impresa.

Sorrise maliziosa e, avvicinatasi al mio orecchio mi sussurrò « Non porto il reggiseno », e si tolse la maglietta scura.

Mi si mozzò il fiato alla vista del suo seno perfetto e pieno, non avrei voluto sembrare troppo avventato, ma fu più forte di me. La baciai ancora sulle labbra e con una mano cominciai ad accarezzarle uno dei seni, sentendola lasciarsi sfuggire un gemito e fremere.

Mi ero controllato fino a quel momento, nonostante mi avesse detto di essere pronta, ma non ero sicuro di poterci riuscire ancora. Sentii l’eco lontana di un rumore fastidioso, ma non ci feci troppo caso. Avevo Hinata a cui pensare…

Ma, per la prima volta, fu lei a fermarsi e io sentii ancora quel rumore. Qualcuno stava bussando alla porta. Chi poteva essere? Non avevamo disturbato nessuno! Mi sentii bollire di rabbia, scesi dal letto e mi diressi verso la porta. Prima di aprirla diedi un’occhiata ad Hinata, che si era già infilata la maglietta e sistemava le pieghe delle lenzuola di un letto già sfatto.

« Chi è? », chiesi, aprendo finalmente la porta scura al misterioso visitatore, che si rivelò essere, con mio grande dispiacere, Sasuke. « Si può sapere che vuoi? », gli domandai, non proprio gentile, uscendo dalla stanza e lasciando la porta socchiusa. « Ci hai interrotti! », aggiunsi.

Mi guardò un po’ storto, in fondo i miei abiti erano sgualciti e io ero sudato e spettinato.

« Senti, non userò mezze misure, mi serve un preservativo. La settimana scorsa te ne ho prestato uno, mi devi un favore », disse, lapidario.

Cazzo!

« Come? Ma… Non ne ho… O meglio, ho ancora lo stesso che mi hai prestato tu, perché sinceramente… Ero sul punto di usarlo stasera! », risposi stizzito, estraendo dalla tasca la piccola confezione di plastica.

« Beh, spero tu l’abbia conservato bene nel frattempo! », disse, strappandomelo di mano e facendo per tornare indietro.

« Ehi! », mi lamentai.

« Non fare storie, verginello… Avrai altre occasioni, noi abbiamo la priorità! », e detto questo, sparì, salendo le scale.

No, non poteva essere vero… Tornai in camera con arai atterrita, trovando Hinata seduta sul bordo del letto ad aspettarmi. Mi sedetti accanto a lei, sbuffando.

« Che succede? », chiese, con voce un po’ preoccupata.

« Succede che siamo senza protezioni… », dissi, scoraggiato.

La vidi sorridere e ridacchiare intenerita, probabilmente perché la mia espressione somigliava a quella di un cucciolo bastonato, poi mi accarezzò il volto e mi diede un bacio su una guancia.

« Non importa. Quello che conta è che ci amiamo e non è indispensabile fare l’amore per dimostrarlo a noi stessi ».

Quanto aveva ragione… Mi persi ancora una volta nei suoi occhi, poi l’abbracciai e la baciai sulle labbra.

Quella notte finimmo per addormentarci abbracciati l’uno all’altra e mi ricordai di quanto fossi fortunato ad avere per me la creatura più bella di questo mondo.

 

Angolo dell’autrice

Ok, lo so, è oscena… non sono davvero riuscita a fare di meglio, soprattutto perché l’ho dovuta scrivere molto in fretta per stare entro i termini di consegna, il che mi è costato errori che avrei potuto benissimo evitare se l’avessi riletta. Infatti…

SCHEMA DI VALUTAZIONE

Grammatica e sintassi: 7/10
Stile: 4/5
Prompt pacchetto: 5/5
Personaggio Base: 5/5
Luogo: 2/2
Originalità: 3/3
Gradimento Personale: 5/5
Tot: 31/35

… ecco il mio misero punteggio!-.-”

Ma la cosa degenera col turno successivo!

In ogni caso, spero vi sia piaciuta e spero commenterete. Mi scuso per il ritardo nell’aggiornamento, ma bisogna ammettere che non sia stato un gran male!xD

Alla prossima! E tanti auguri di Buon Natale a tutti quanti!!^^

Wolf’sEyes

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Capitolo 4
*** La verità! ***


Stanza: Invasione UFO

Contest _ Turno 3

Team Estate

Autrice: Wolf’sEyes

Stanza: Invasione UFO

Personaggio Base: Naruto

Personaggio Aggiuntivo: Rock Lee

Prompt pacchetto: Sorriso

Luogo: Nave/Navicella

 

Fan Fiction

Genere: Drammatico, Sovrannaturale

Raiting: Verde

Avvertimenti: Alternative Universe

 

Naruto sfida le Dodici Stanze:

La Verità

 

Aprii gli occhi. Vidi solo un ammasso di colori freddi e statici, sfumature di grigio, nero e blu che non riuscivo a collegare e che non sapevo attribuire ad un’immagine. Non sapevo che senso avessero, distribuiti in quel modo. Era tutto sfocato, sentii il mio sguardo spostarsi vorticosamente, unire tutti i colori in uno solo e vedere solo il buio.

Mi sentii crollare, probabilmente avevo perso i sensi appena un attimo dopo aver cercato di riacquistarli. Ma questa volta, dopo qualche attimo, riaprii gli occhi nuovamente e mi decisi a non farmi sopraffare dal senso di stanchezza e dai capogiri.

Non riconobbi affatto il luogo in cui mi trovavo. Le pareti erano grigie, lisce e lucenti, come fossero fatte di una lamiera che ad un primo sguardo pareva indistruttibile. Mi resi conto di essere seduto a terra e di percepire una fonte di calore alle mie spalle, contro la mia schiena. Mi guardai attorno, desideroso di capire cosa stesse succedendo, e notai l’insolita forma della stanza. Era semicircolare, mai in vita mia avevo visto un posto simile!

Tentai di voltarmi per vedere cosa ci fosse alle mie spalle e l’unica cosa che riconobbi fu una folta chioma nera.

« Ti sei svegliato, finalmente! », esclamò il ragazzo rivolto a me, con tono allegro.

« Rock Lee? Ma… Che sta succedendo? », chiesi, e mi stupii della mia voce roca.

« Davvero non ricordi? », mi domandò, cercando di voltarsi di me quanto più poteva per potermi almeno vedere in viso. Solo allora mi resi conto che eravamo legati, schiena contro schiena, abbandonati su un pavimento gelido e contro una parete altrettanto gelida ed anonima.

« Che cosa dovrei ricordare? Spiegati, non ci sto capendo nulla! », sbuffai. Avrei fatto bene a restarmene privo di sensi, almeno avrei dormito!

« Ci hanno rapiti », esordì lui, senza tanti giri di parole. « Diamine, credevo che questo genere di cose capitasse in America, non in Giappone! »

« Ma chi? », chiesi allora, spazientito, insistendo con un tono di voce che non ammetteva altre risposte poco esaustive.

« Gli alieni. Siamo su una loro navicella ».

Inizialmente seppi se mettermi a piangere o scoppiare a ridere, ma mi resi presto conto di quale delle due opzioni avrei dovuto fare a meno. Ok, io e Rock Lee spesso facevamo gli scemi, ma sapevo riconoscere dal suo tono di voce quando era serio o meno. E questa volta, mio malgrado, dovetti riconoscere quanto fosse grave la situazione.

Non feci in tempo ad obiettare, tentando invano di indurmi a credere che non fosse vero e che fosse uno scherzo, che una porta, che non avevo assolutamente notato, si aprì con uno strano rumore, scorrendo, in un modo che ricorda le porte degli ascensori.

Ne uscirono tre uomini altissimi, molto più alti di un normale essere umano, dai visi pallidi, rigidi e dalle mascelle serrate, dalle teste calve e con addosso enormi giacche nere che arrivavano quasi fino ai loro piedi. Quei visi e le loro espressioni mi misero paura, sembravano scolpiti nel marmo.

Ci guardavano, ci osservavano e inclinavano leggermente la testa, come se ci stessero valutando e studiando, come se avessero potuto sentire ogni battito accelerato del nostro cuore e ogni respiro che cercavamo di trattenere e si prendessero gioco di noi.

Avevo una paura matta che stessero per ucciderci e la stessa paura, lo sapevo, ce l’aveva anche Rock Lee.

« Non abbiate paura », disse uno dei tre uomini, se così si potevano chiamare. « Non vogliamo farvi del male ».

In quell’istante nei suoi occhi comparve una scintilla, l’avevo vista, e pareva voler aggiungere a quella frase un “per ora”. Un brivido mi percorse la schiena, ma mi decisi a mantenere la calma.

« Siamo qui per studiare voi umani. O meglio, siamo qui per essere sicuri che non siate una minaccia. Distruggere la Terra non ci interessa », disse, facendo una breve pausa. « Il nostro scopo è quello di riprendercela. E voi, che lo vogliate o no, ci aiuterete ».

Rimasi a bocca aperta, senza fiato.

« Riprendervela? », un sussurro incredulo sfuggì a Rock Lee, che era sconvolto e spaventato quanto me.

« Un tempo, molto prima che compariste voi inutili esseri umani, eravamo noi gli abitanti della Terra. Tuttavia, la nostra popolazione è andata via via disperdendosi nello spazio, molti se ne sono andati, ma alcuni sono rimasti, altri sono tornati… Molti vivono tuttora tra voi », spiegò.

Non credetti alle mie orecchie.

« Ora vogliamo riprendere il controllo della Terra e voi… Voi ci aiuterete. Stiamo selezionando gli umani prescelti per poter continuare la loro esistenza insieme a noi. Tutti gli altri… Verranno sterminati. A breve invaderemo totalmente il pianeta e, allora, per gran parte del genere umano sarà la fine ».

Ci guardò. Ci fissò a lungo, i suoi occhi sembravano quelli di un rapace che stava per scendere in picchiata e avventarsi sulla propria preda.

Ci guardò. Ci fissò e sorrise. O meglio, si sforzò di farlo, o imitò uno dei sorrisi che aveva visto da noi umani e che aveva imparato a fare. Le labbra si erano leggermente curvate verso l’alto, increspando gli angoli della bocca e le guance, che sembravano essere rivestite da un sottilissimo strato di pelle, e a prima vista sarebbe potuto sembrare un sorriso gentile. Ma il suo sguardo maligno e la sua faccia tirata non mi ingannavano, quel sorriso sembrava un annuncio di morte certa.

Lo guardai, e mi resi conto che anche gli altri due avevano assunto la stessa espressione agghiacciante.

« Pensate bene a ciò che volete fare della vostra misera vita », disse, ed infine si voltò per uscire da dove era entrato, seguito dagli altri due, che non avevano aperto bocca se non per sorridere. Sia io che Rock Lee sapevamo quanto quella frase non aveva senso. Non avremmo mai potuto scegliere.

« Non… non è possibile! », sentii esclamare Rock Lee, una volta soli.

« Rock Lee, dimmi che è un brutto scherzo! », lo pregai.

« Mi piacerebbe davvero tanto! Naruto, ma è spaventoso! Ci stanno studiando, vogliono riprendersi la Terra e ucciderci tutti! Per di più hanno sempre vissuto tra noi… Siamo sempre stati invasi e circondati dagli extraterrestri e non ce ne siamo mai accorti! ».

« Dio… E’ orribile! », riuscii solo a commentare. Nel giro di trenta secondi mi era caduto il mondo addosso. « Ci stanno studiando, lo hanno sempre fatto… Se penso a tutti quelli che hanno testimoniato di aver visto UFO e di essere stati rapiti e che poi sono stati giudicati pazzi… », mi vennero i brividi.

« Naruto, dobbiamo fare qualcosa… Scappare, avvisare tutti, metterli in guardia… oddio non possiamo fare finta di niente! »

« Certo, perché pensi che ci crederanno anche, vero? », risposi sarcastico. Lo sentii dimenarsi, e non so come, si liberò dalle corde che ci tenevano legati. Si alzò i piedi e allora mi alzai anche io, barcollando leggermente.

« Ma che vuoi fare? ».

« Ci saranno altri di noi su questa navicella, dobbiamo fare qualcosa ed andarcene! »

« Ma ti rendi conto di quello che dici? Siamo su una navicella chissà dove nello spazio! », dissi, spaventato che Rock Lee potesse fare un’idiozia e cacciarsi in un guaio più grande di quello in cui già ci trovavamo.

Non appena il mio amico si avvicinò alla porta, quella si aprì nuovamente, mostrandoci gli stessi tre uomini che erano comparsi da lì qualche attimo prima.

« E così non apprezzate il nostro invito a collaborare alla distruzione del vostro pianeta. Fortunatamente, siete individui idonei », disse, sorridendo ancora in quel modo agghiacciante. « Quindi dovremmo costringervi! », esclamò poco prima di mostrare i denti e scaraventarsi addosso a noi.

Tutto si fece buio, sentii un dolore lancinante provenire dalla base del collo e propagarsi in tutto il corpo e credetti di morire.

 

Aprii gli occhi e saltai su immediatamente. Ero sudato, ansimante e incredulo. Mi guardai attorno e riconobbi la mia camera da letto, nella penombra, nel suo cronico disordine. Sospirai per il sollievo e mi presi la testa tra le mani. Grazie al cielo era solo un sogno! La prossima volta che Rock Lee propone film come Knowing e Il quarto tipo mi devo ricordare di mandarlo a quel paese, pensai. Sorrisi, quel sogno era stato davvero troppo da reggere, ma per fortuna era finito.

Feci per coricarmi di nuovo e dormire, ma l’attenzione mi cadde su qualcosa appoggiato sul mio comodino, qualcosa che non ricordavo di averci messo io. Qualcosa che lì per lì non riconobbi. Lo presi tra le mani e lo osservai. Era un sassolino nero e liscio, che forse, però, ora che ci pensavo bene, avevo visto più volte negli ultimi giorni, sempre più frequentemente, ma non ricordavo esattamente dove.

Un brivido freddo mi percorse la schiena e mi scosse, come un lampo, e nella mia mente riemerse, e vi restò impressa, l’agghiacciante immagine del sorriso di quell’uomo.

 

Angolo dell’autrice

Flop dei flop… Peggio di così non potevo proprio fare!! La stanza mi aveva dato un’idea fin dall’inizio, poi però il personaggio e il prompt hanno cambiato tutto e ho dovuto inventarmi qualcosa, qualcosa che però ha avuto ben poca attinenza al pacchetto… Se l’avessi buttata sul comico avrei fatto molto meglio.

SCHEMA DI VALUTAZIONE

Grammatica e sintassi: 9/10
Stile: 5/6
Prompt pacchetto: 5/7
Personaggio Aggiuntivo: 4/7
Luogo: 4/5
Attinenza alla stanza: 5/5
Originalità: 3/5
Gradimento Personale: 8/10
Dialoghi/racconto: 4/5
Tot: 47/60 (che corrisponde a 35/45)

 

Faccio i miei più vivi complimenti a chiunque sia arrivato a leggerla fino alla fine. Avete tutta la mia stima. Speriamo che il prossimo turno vada meglio!

Wolf’sEyes

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Capitolo 5
*** Un vero Shinobi, una vera Kunoichi ***


Stanza: Il covo del nemico

Contest _ Turno 4

Team Estate

Autore. Wolf’sEyes

Stanza: Il covo del nemico

Personaggio Base: Naruto

Personaggio Aggiuntivo: Hinata

Luogo: Foresta

Prompt: Lama

(Comparsa: nemico sconosciuto)

Fan Fiction

Genere: Azione?

Raiting: Verde

Avvertimenti: realizzata prendendo spunto da una mia vecchia fic, l’azione lascia a desiderare

Contesto: Naruto Shippuden

 

Naruto Sfida le Dodici Stanze:

Un vero shinobi, una vera kunoichi

 

Correva. Correva più che poteva, ad una velocità spaventosa e con la furia nello sguardo.

Era buio e la vegetazione era abbastanza fitta, ma ciò non gli impediva di riuscire ad individuare ed inseguire la figura che correva davanti a lui, balzando da un ramo all’altro con la sua stessa velocità.

Sapeva solo che avrebbe dovuto seguirlo se voleva salvare Hinata e che se si fosse fermato a pensare si sarebbe reso conto di non avere quasi più fiato per poter continuare a correre in quella maniera, inoltre si sarebbe anche accorto che la ferita alla gamba aveva cominciato a sanguinare più del dovuto. Ma la volontà di salvare l’amica era molto più forte della stanchezza fisica e del rischio che avrebbe corso battendosi da solo contro quel ninja forse fin troppo potente.

Sbuffò digrignando i denti al pensiero di quanto quella missione si fosse rivelata pericolosa per il loro gruppo. Kiba e Akamaru, benché fossero riusciti a danneggiare notevolmente la sua base, erano stati messi in breve tempo fuori gioco dall’uomo che ora Naruto stava inseguendo e che, come se non bastasse, si stava portando via Hinata.

“Dannazione!”, pensò Naruto, in preda alla rabbia. « Fermati! Mi hai sentito, codardo? Fermati e combatti! », gli gridò, buttando fuori d’un fiato l’enorme quantità d’aria che era riuscito ad inspirare nonostante l’incessante corsa.

L’uomo si voltò e, continuando a correre all’indietro senza barcollare una sola volta sui rami, fece sì che un ghigno sinistro gli si dipingesse sul volto segnato da alcune cicatrici ed incorniciato da capelli scuri. « Se è veramente quello che vuoi, accomodati! »

L’immagine dell’uomo sparì in un attimo e Naruto dovette fermarsi per guardarsi attorno in sua ricerca. Gli alberi di quella foresta erano a dir poco enormi e la loro folta chioma lo era altrettanto, per di più il buio della notte non agevolava la ricerca ad occhio nudo ed il cielo stellato e la luna piena non erano sufficienti a schiarire l’oscurità, tra tutti quei rami. Digrignò ancora una volta i denti. “Che rabbia!”

« Quaggiù ».

Una voce roca lo colse alla sprovvista, guidandolo però in una direzione. Spostò lo sguardo verso il basso e vide l’uomo che lo attendeva in uno spiazzo verde, più illuminato dai raggi lunari rispetto al resto della foresta eclissata dai fitti rami. Hinata era ancora priva di sensi, caricata su una spalla dalla presa salda del ninja. Naruto scese immediatamente dall’albero e minacciò il nukenin con una voce che non ammetteva repliche. Se solo il suo sguardo furioso fosse stato visibile nella notte, quell’uomo si sarebbe spaventato alla prima e semplice occhiata.

« Lascia subito la ragazza », il tono di voce era gelido e carico di una rabbia celata che, presto, sarebbe esplosa in una furia incontenibile.

« Come desideri. Mi basterà fare fuori te e poi verrà anche il turno di questa bella creatura », esclamò lui, con un ghigno sinistro ed uno scintillio famelico nello sguardo. Con il braccio libero afferrò la ragazza per la vita e la fece scivolare giù dalla spalla, lentamente, reggendola successivamente con entrambe le braccia. Un attimo dopo, come un lampo, un’idea gli balenò nella mente, un’idea che gli avrebbe garantito un bel vantaggio sull’avversario.

Diversi metri li dividevano, ma ciò non gli impedì di fare la sua mossa. Una volta afferrata saldamente la ragazza ancora svenuta per avere una presa migliore, la lanciò verso Naruto, metri più avanti. Aveva capito quanto tenesse a quella ragazza dal modo in cui lo aveva inseguito, che si trattasse o meno di dovere. Non avrebbe mai permesso che cadesse o che si ferisse e questo lo avrebbe portato ad avvicinarsi, era palese.

Fu ciò che, infatti, accadde. Naruto non fece in tempo a posizionare le mani per un Kage Bunshin. Il gesto dell’avversario lo aveva preso totalmente alla sprovvista ed il suo corpo si mosse ancora prima che potesse pensare a come reagire per difendersi dato l’inevitabile avvicinamento al nemico.

Il nukenin sorrise. Era andato tutto secondo il suo piano e mentre vide Naruto fare uno scatto verso la ragazza, compose degli strani sigilli ed allargò le braccia.

« Tecnica della pioggia di lame! », gridò.

Una fitta pioggia di lame sottili quanto aghi si diffuse dalle sue braccia con una velocità sorprendente e Naruto fece appena in tempo ad afferrare Hinata e a voltarsi.

Il ninja guardò compiaciuto il verificarsi del suo piano, ma rimase interdetto quando si rese conto di non aver colpito nessuno. Davanti a lui non scorse la figura dell’avversario e digrignò i denti, adirato.

« Non ti pare una mossa vile, quella di attaccare così slealmente un avversario, benché sia tuo nemico? »

Una voce sopraggiunse dall’alto ed il nukenin individuò la figura di Naruto su di un ramo, visibile solo grazie ai flebili raggi lunari che ne rischiaravano appena i contorni. La ragazza, invece, giaceva seduta sul ramo, con la schiena appoggiata al tronco. Questa volta Naruto ebbe modo di posizionare le mani e permettersi di guadagnare tempo a sufficienza per pensare alle condizioni della compagna.

« Kage Bunshin no Jutsu », gridò. Una folla di copie armate di kunai e shuriken invase lo spiazzo e circondò il nukenin, che almeno per qualche minuto avrebbe avuto altro da fare piuttosto che preoccuparsi del vero Genin.

« N-Naruto… », sussurrò una flebile voce alle spalle di Naruto.

Il biondino si voltò immediatamente, inginocchiandosi di fronte ad Hinata, che si era appena ripresa ma che era ancora visibilmente disorientata.

« Va tutto bene, Hinata. Resta qui e pensa soltanto a ristabilirti del tutto, me la vedrò io con quel ninja », le disse il compagno con tono rassicurante, sorridendole.

« M-Ma è pericoloso… e tu sei ferito », disse lei, notando il rivolo di sangue lungo la guancia di Naruto, evidentemente colpito in precedenza da una di quelle molteplici lame. « Voglio aiutarti », protestò la ragazza, tentando di alzarsi e venendo immediatamente bloccata da una fitta di dolore alla spalla.

« Resta qui e non ti muovere », ribadì Naruto, alzandosi e dandole le spalle, mentre sotto di loro infuriava la battaglia contro il nukenin ed il suono della collisione di lame e kunai spezzava il silenzio della notte.

Il ragazzo si voltò nuovamente verso di lei, mostrandole un largo sorriso.

« Che ninja sarei se non facessi di tutto per aiutare i compagni in difficoltà? », disse, facendole l’occhiolino e scendendo dal ramo con un balzo per poi finire di fronte al nemico, che aveva appena fatto dissolvere in una nuvola di fumo l’ultima delle copie.

« Ed ora a noi due! », esclamò Naruto, un attimo prima di partire alla carica impugnando un kunai.

Lo scontro entrò immediatamente nel vivo, mosse d’attacco e di difesa si susseguivano senza tregua nel campo di battaglia. I due erano velocissimi, tanto da essere talvolta a malapena visibili. L’oscurità era senz’altro un fattore che giocava sia a vantaggio sia a svantaggio di entrambi i combattenti, ma le ferite riportate da Naruto, purtroppo maggiori rispetto a quelle riportate dal nemico, cominciavano a farsi sentire. Il biondino cominciò a perdere colpi. Muoversi sembrava essere diventato molto più difficile di prima, si sentiva inspiegabilmente più pesante e rischiò più volte di essere ferito senza riuscire a schivare i colpi con la facilità di qualche minuto prima. Aveva il fiato corto e a poco a poco che il combattimento procedeva i suoi riflessi si facevano sempre più lenti.

« E così il ninja di Konoha non fa più lo spaccone! », commentò il nukenin con un sorriso compiaciuto, notando quella che ormai era la tragica situazione di Naruto.

« Maledetto, ti fermerò a qualsiasi costo, quali che siano le mie condizioni! », rispose lui, determinato più che mai.

« Vedo che però non hai perso il tuo umorismo nemmeno in una situazione come questa! », disse, sorridendo nuovamente. « Mi basterà davvero poco per finirti, credimi », esclamò, dando a Naruto una serie di calci e pugni che lo colpirono in pieno. « Di’ le tue ultime preghiere! », disse, trionfante, estraendo dalla manica tre lame sottili e lanciandole verso il ninja di Konoha, ancora provato e disorientato dai precedenti colpi incassati.

Quando si rese conto di quello che stava succedendo, Naruto si rese anche conto che purtroppo non avrebbe avuto il tempo materiale per difendersi. Quelle tre lame lo avrebbero colpito e lui non avrebbe potuto fare niente per fermarle. Si sentì sconfitto, si sentì una delusione per i compagni, si sentì perso. Attese solo che le lame lo raggiungessero.

Un rumore rimbombò nell’aria, un rumore metallico, forte, improvviso. Un kunai aveva fermato le tre lame, salvandogli la vita.

 I due ninja si voltarono immediatamente verso la direzione dalla quale proveniva l’arma, restando a bocca aperta.

Hinata era in piedi, a pochi metri dai due duellanti, con la guardia alzata, il Byakugan attivato ed il braccio destro ancora teso.

« Hinata! », esclamò Naruto, stupefatto, senza però riuscire a trattenere un sorriso.

La ragazza gli sorrise, rischiarata dalla bianca luce della luna. « Che ninja sarei se non facessi di tutto per aiutare i miei compagni? », disse Hinata, ripetendo la frase che poco prima lo stesso Naruto le aveva proferito. « Mai lasciare un compagno in difficoltà, me l’hai insegnato tu, Naruto ».

Il biondino le sorrise, consapevole di quanto quella ragazza avesse fatto affidamento su di lui in passato e di quanto ora facessero affidamento l’uno sull’altra.

Spostò lo sguardo verso il nukenin, interdetto dall’intervento della ragazza in aiuto del compagno, e non poté fare a meno che lasciarsi sfuggire una smorfia quasi di compassione nei suoi confronti.

« Forza, Hinata. Insieme lo batteremo! »

 

 

 

Angolo dell’autrice

Salve a tutti cari (e pochi) lettori!

Ok, vi dovrei un mare di scuse dal momento che non aggiorno da due anni questa storia nonostante effettivamente sia terminata, ma posso giurarvi che ero convinta di aver già pubblicato tutto…

Lo so, non è un granché, ma con il limite di tre pagine non potevo dilungarmi troppo sull’azione come avrei dovuto, ho piuttosto preferito dare spazio al sentimentale, per così dire…

 

SCHEMA VALUTAZIONE

Grammatica e sintassi: 9/10

Stile: 4/5

Prompt pacchetto: 4/5

Personaggio base: 5/5

Personaggio aggiuntivo: 5/5

Luogo; 2/2

Attinenza alla stanza: 5/5

Originalità: 1/3

Gradimento personale: 5/5

Tot: 40/45

 

Beh, vista la mia prolungata assenza, non posso che ringraziare quelle pazienti e matte (sì, lo siete) che hanno letto e che forse leggeranno questi ultimi capitoli (da più di 200 che eravate ne è rimasto un centinaio, ma va beh…) e infine (ma non meno importante) un ringraziamento speciale va a synoa, che al tempo partecipò con me e che è stata la sola a recensire (se ci sei batti un colpo!).

Inoltre, per non lasciare indietro nessuno, non posso certo dimenticarmi di ellacowgirl,  senza la quale non avrei partecipato!

Il prossimo sarà l’ultimo capitolo, che provvederò a pubblicare non appena avrò ritrovato il corrispondente schema di valutazione, che non so perché non ho salvato…-.-“

Alla prossima!

WolfEyes

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Capitolo 6
*** Vivere o morire ***


Team Estate

Contest _ Turno 5

Team Estate

Autrice: Wolf’sEyes

Stanza: Impero Romano

Personaggio base: Naruto

Personaggio aggiuntivo: Sai

Prompt: Paura

Luogo: Arena

 

Fan Fiction

Genere:Drammatico

Raiting: Arancione

Avvertimenti:Alternative Universe, POV Naruto, (OOC)

 

Naruto Sfida le Dodici Stanze:

Vivere o morire

 

Ognuno di noi, una volta giunto lì, si chiedeva se non fosse giunto alle porte dell’Inferno. E mentre questo quesito sarebbe rimasto senza risposta, noi eravamo consapevoli che nessuno di noi sarebbe uscito vivo dal Colosseo. Qui, tutti, avremo trovato la nostra fine.

Eravamo prigionieri di guerra, poveri che non avevano pagato le tasse, nullatenenti. Persone abbastanza forti da non essere vendute come schiavi o uccise sul momento ma condannate ad una sorte ben peggiore: combattere nell’arena del Colosseo.

Si trattava di puro e semplice “vivere o morire”. Equipaggiati con armi ed armature, o almeno così accadeva ai più fortunati, o meritevoli ad avviso delle guardie, avremo dovuto lottare fino a che non avessimo avuto fiato in corpo. Uno contro l’altro, all’ultimo sangue, all’ultimo respiro, finché non avessimo prosciugato l’ultima briciola di forza, mossi da coraggio o follia.

Ogni mezzo era lecito, non c’erano né regole né limitazioni per uccidere. Era solo la legge del più forte a dettare regole naturali che avremmo, tutti, inconsciamente seguito, senza che ne fossimo a conoscenza.

Il pubblico godeva nel vederci mentre lottavamo ammazzandoci nei modi più crudi ed atroci possibili, mentre l’istinto di sopravvivenza prendeva il pieno controllo di noi, offuscando la nostra ragione ed annullandone tutti gli impulsi razionali. Non c’era più alcuna dignità per lo sconfitto, nessun onore per il vincitore. Non eravamo uomini, eravamo bestie, belve che una volta giunte in arena si sarebbero azzannate e sbranate, senza esclusione di colpi, fino alla morte. Tutto per vivere di quell’orrenda vita.

Al buio, in quella grande prigione sotterranea, tra noi detenuti albergava la morte. Silenziosa e sorridente di un ghigno malefico, si sarebbe alzata in piedi e ci avrebbe scelto. Ad uno ad uno, prima o poi, saremo risaliti dalle tenebre, in arena, e vi saremo ricaduti, una volta sola, restandovi per sempre.

Insieme alla morte viveva nei nostri cuori la disperata paura di dover combattere, di essere scelti. Un terrore palpabile, che sentivi scorrere nelle vene e invadere tutto il tuo corpo, come fosse un veleno mortale, più mortale del combattimento stesso, perché logorava la mente.

Quel giorno la paura dentro di me era più forte. Seduto con la schiena appoggiata alla parete fredda ed umida, mi sentii tremare. Chi sopravviveva tornava quaggiù e raccontava, raccontava che quando stanno per chiamarti senti la paura dentro crescere a dismisura, che quando ti trovi lassù ti convinci a lasciarti morire per l’insostenibilità di questa vita e che poi, nonostante questi buoni propositi, finisci per uccidere. Da vittima della paura diventi carnefice per mano dell’istinto di sopravvivenza. Così dicevano, finendo per odiarsi per ciò che avevano fatto e facendo del non guardare negli occhi l’avversario morente una regola di vita.

Ripensando a quelle parole, mi resi conto che sentivo dentro di me che mi avrebbero chiamato, e fu ciò che accadde. Avevo una paura terribile di morire. Benché la mia vita prima di finire lì dentro fosse quella misera di uno schiavo fatto poi prigioniero, avrei voluto continuare ugualmente a vivere.

Salii una rampa di scalini di pietra ripidi e non appena abbandonai del tutto le tenebre una luce troppo forte per i miei occhi, che non ne erano più avvezzi, mi costrinse a chiuderli e a ripararli con un braccio. Sbirciai e notai che le tribune erano gremite di persone che applaudivano e chiamavano i combattenti, che volevano la prossima battaglia, il prossimo spettacolo. Eravamo un intrattenimento, ecco cosa significavamo per loro.

Mi avevano infilato una leggera armatura sopra gli stracci che indossavo e mi avevano fornito una spada dalla lama segnata e rovinata. Solo i veri gladiatori combattevano con vere armi ed armature, noi eravamo l’antipasto del pubblico prima del vero spettacolo. L’armatura era lacera e macchiata di sangue vecchio ed incrostato, sarebbe servita solo ad impedirmi di morire ai primi colpi subiti. Guardai la spada che reggevo senza quasi rendermene conto, talmente ero inebetito da ciò che stavo per fare, chiedendomi quante persone avesse mai trafitto.

Il mio avversario, al mio fianco, era equipaggiato come me.

Lo riconoscevo. Era arrivato da poco qui e probabilmente avevano voluto metterlo subito alla prova. Da dove venisse non avrei saputo dirlo, ma mi impressionò la sua pallida carnagione quando lo vidi per la prima volta, in netto contrasto con i capelli scurissimi e lo sguardo vuoto e cupo. Sembrava morto ancor prima di combattere, impassibile, mentre io tremavo di brividi che a stento mi lasciavano respirare. Mi si formò un groppo in gola al ricordo della nostra prima ed unica conversazione, quella mattina.

« Ehi tu, biondino. Come mai tremi tanto? Sei malato, forse? »

« Io? », domandai titubante, non sicuro del fatto che si fosse rivolto a me. « No, non sono malato. Ho paura. Come tutti, qui dentro », ammisi.

« Paura per cosa? », mi domandò, quasi con naturalezza.

Mi chiesi se sapesse in quale luogo fosse finito. « Per cosa, mi chiedi? Ho paura di morire, ho paura di andare a combattere! », mi alterai, rispondendo.

Lui non mi rispose, non disse nulla, semplicemente abbassò lo sguardo. Lo osservai e mi domandai se avesse compreso le mie parole. Il suo sguardo era inespressivo, lontano, come se gli avessi detto che ci avrebbero dato zuppa e non un pezzo di pane, per pranzo. Più parlavo con lui più mi stupivo e non mi capacitavo del fatto che esistesse una persona simile. Mi dava i nervi.

« E tu non hai nessuna paura? Qui devi ammazzare la gente se non vuoi morire! », dissi.

« No, non ho paura. Non so che cosa sia. L’ho mai provata? Chissà? », disse, apatico.

« Se non hai paura né di morire né di uccidere, allora non hai idea di che cosa voglia dire vivere! », esclamai, prima di allontanarmi da lui.

 

Mi riscossi da quei pensieri quando il boato delle grida del pubblico si fece più forte, ricordandomi di trovarmi in un’arena arida ed enorme, e sentii una mano premere al centro della schiena e spingermi a fare passi in avanti che non avrei mai fatto di mia volontà. Una voce ci disse di combattere e ci incitò a aggiungere il centro dell’arena, mentre il pubblico, nel vederci finalmente comparire alla luce, ci accolse con altri applausi e grida che mi facevano rivoltare lo stomaco. Stavamo per morire e loro gioivano.

Ciò che stavo per fare andava contro ogni mia etica morale. Mi recai al centro dell’arena insieme a quel ragazzo apatico che, sì, odiavo, ma che mai avrei ammazzato. I piedi sembravano pesare come macigni e, quando mi voltai verso il mio avversario, mi parve di vedere un’emozione riflettersi nel suo sguardo apatico. Che fosse la paura che ora aveva totalmente invaso me? Forse era stata solo una mia impressione…

Ci fermammo l’uno di fronte all’altro, fissandoci. Sentii una voce omaggiare un imperatore del quale non mi sarebbe mai importato nulla e dare il via al nostro combattimento. Sarei rimasto ancora immobile ed inebetito a fissare i segni delle precedenti a numerose battaglie in quell’arena se non avessi visto il mio avversario caricare contro di me brandendo la spada. Di istinto mi difesi, parando il colpo. Allora era vero. L’istinto di sopravvivenza aveva mosso il mio braccio per proteggermi. Io da solo, sconvolto com’ero, non ci sarei mai riuscito.

Combattemmo a lungo, ferendoci a vicenda. Eravamo agguerriti, o meglio, lui era agguerrito, io mi difendevo. Avrei giurato di vedere una sempre crescente emozione nei suoi occhi. Forse ora anche lui stava provando la paura di morire, facendola trasparire solo nello sguardo e non nelle azioni. Non cedevo e questo lo spiazzava, facendo vacillare le sue sicurezze.

Fu quando riuscì a ferirmi ad una gamba, atterrandomi, che una paura ancora più forte mi colpì in pieno petto come un pugno. Una paura terribile, devastante, che mi toglieva il respiro e bloccava ogni pensiero della mia mente, lasciando che su soltanto uno potessi focalizzare la mia attenzione. La consapevolezza che mi avrebbe ucciso, che sarei sprofondato nelle tenebre eterne e che non avrei potuto più fare niente per salvarmi.

Ma qualcosa scattò in me, come se non fossi stato io a decidere di muovermi ma fosse stato il mio corpo a farlo autonomamente. Schivai il suo colpo mortale, alzandomi in piedi con una forza che credevo di non avere più, e per un attimo incrociai il suo sguardo. Non era più apatico. Aveva paura. E la consapevolezza di essere senza speranza che un istante prima lui aveva fatto mia, io l’avevo appena fatta sua.

Afferrai saldamente la spada e la brandii con una forza che non mi riconoscevo, sentendo la lama incontrare un ostacolo e trapassarlo.

Il cuore mi batteva a mille, sentii i rumori della folla allontanarsi e diventare confusi. Sentivo solo il martellare continuo nel mio petto, un martellare che non avrei dovuto sentire più.

Lasciai la presa sulla spada e chiusi gli occhi. Sapevo cos’avevo appena fatto. Cosa il mio inutile istinto mi aveva portato a fare. Restai immobile ed attesi per secondi che sembravano eterni.

Poi lo sentii. Il tonfo sordo di un corpo esanime, il rumore metallico di una spada che cadeva.

Mi lasciai cadere in ginocchio, prendendomi la testa tra le mani e ricominciando a sentire le voci della folla, mentre il sangue pulsava nelle vene e una sensazione di disgusto mi salì allo stomaco.

Ora, la mia paura non era più quella di morire, ma quella di dover continuare a vivere con dentro il peso dell’assassinio di un innocente.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Va bene, va bene, ero certa di aver finito, invece no >_>

Ad ogni modo, dato che mi dimentico sempre di cercare questo benedetto schema di valutazione, ho deciso di pubblicare ugualmente, dando finalmente un termine a questa “cosa”, quando lo ritroverò provvederò ad inserirlo. Tanto ricordo di essere stata penosa, quindi il mio punteggio ha poca rilevanza… (il pacchetto mi aveva messo non poco in difficoltà)

Beh, che altro dire… Un grazie a tutti coloro che hanno letto questa raccolta e che (?) la leggeranno in futuro. Un ringraziamento speciale ad ellacowgirl per il bel contest a cui ho avuto l’onore di partecipare e, non meno importanti, a tutte le persone che hanno partecipato insieme a me.

Singolarmente, mi classificai terza, mentre insieme al mio Team Estate (comprendente chi aveva scelto come personaggi Kankuro e Hidan) salii sul podio.

Se qualcuno che ha partecipato al contest si imbatte in questa cosa, oltre a synoa, non esitate a comunicarmelo: inserirò i vostri nomi nei ringraziamenti!

Grazie di cuore a tutti!

WolfEyes

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