Dancer In The Dark

di Lily White Matricide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scene I: The Dancer ***
Capitolo 2: *** Scene II: Enjoy The Silence ***
Capitolo 3: *** Scene III: The Miracle And The Sleeper ***
Capitolo 4: *** Scene IV: Silhouette Of A Dancer ***
Capitolo 5: *** Scene V: Across The Universe ***
Capitolo 6: *** Scene VI: The Ghost You Gave To Me ***
Capitolo 7: *** Scene VII: Dreaming Light ***
Capitolo 8: *** Scene VIII: She Did It Again ***
Capitolo 9: *** Scene IX: The Spirit Carries On ***



Capitolo 1
*** Scene I: The Dancer ***


Dancer In The Dark

They say it's the last song. They don't know us, you see. It's the only last song if we let it be.
Dancer In The Dark
*

Perché di noi sopravvivono delle foto, dei ritratti, delle semplici lettere, scritte su pergamena?

Noi diventiamo solo linee nella sabbia. Così fragili e granulose. La prima onda ci porta via, cancellandoci dalla faccia della terra.

Perché di noi rimane solo una pallida traccia, tanti segmenti neri che si susseguono senza sosta, fino a quando non si mette un bel pallino nero – un punto – alla fine della pergamena?

Rimangono le parole, solo le parole.

La tua scrittura, è il tesoro più prezioso che ho, in questo istante. Mi sembra di sapere tutto di te, di sapere con certezza come tenevi tra le mani la tua penna scura, intrisa d’inchiostro; so come tenevi ferma con la mano sinistra la pergamena, per consentirti di scrivere agevolmente. Posso sfiorare con una mano il tuo viso, posso contare le rughe che ti si formavano sulla fronte durante la scrittura. Mi sembra di starti davanti, nella penombra, con il candelabro appena sufficiente ad illuminare la tua scrivania. Tutto il resto è nero, oscurità.

Queste tracce nelle mani sbagliate rischierebbero di svanire – e di te rimarrebbe ben poco.

Ma mi è anche stato insegnato che chi vuole davvero che una vita venga cancellata, alla fine lascia che venga per sempre erosa dal tempo edace.

Loro – i miei genitori, i miei fratelli ed il resto della mia sconfinata famiglia - non sanno quello che sto provando e vivendo nell’immersione quotidiana nella tua scrittura. Non conoscono me e te, quello che siamo diventati, assieme.

Laddove hai lasciato una parola interrotta, io finirò di scriverla.

Dove avrai lasciato una frase in sospeso, lascia che io la completi. E ci metta un punto, fermandola nello spazio e nel tempo.

Le tue parole non sono fatte per rimanere sempre nell'oscurità, nella quale ti sei sempre nascosto, per amore di chi ha dato il sangue per mio padre - mia nonna Lily. Le riporterò alla luce, le assaporerò, permetterò che mi dissetino, perché rimane in me una sete insaziabile di sapere molto più di te. Però, nel caso in cui tu non te la sentissi proprio di uscire alla luce con me, allora farò volare nel vento le tue parole, la tua storia, affinché una melodia pacata possa riecheggiare nelle raffiche di vento. Conoscendoti, scommetto che preferiresti che la tua storia volasse nel vento freddo, quello che fa brontolare tanto mio padre, Harry. E so che faresti in modo che il vento freddo possa fargli battere ancora di più i denti, ne saresti ancora in grado. Perché fondamentalmente, non so dove tu possa essere finito, ma dentro di me, un frammento di anima di me, mi dice che non sei morto.

Quel frammento di me collega il passato – mia nonna Lily – ed il presente, che sarei io, Lily Luna. Talvolta, sento una bella voce parlarmi, proveniente anch’essa dall’oscurità del mio essere ed è una voce familiare, di donna. Mi dice di te, mi suggerisce di andare avanti, di non avere paura, nel caso in cui ti dovessi mai ritrovare per strada, perché quella voce sa non mi faresti mai del male. Al massimo, tireresti fuori il tuo intramontabile sarcasmo, ma non mi feriresti mai.

Ma io so come tenere testa al tuo sarcasmo, me l’ha insegnato mia nonna Lily, tramite la sua voce soave.

* *

Ancora una volta, Lily Luna Potter provò a scrivere una pergamena, indirizzata proprio a lui, l’autore di quel fascicolo di pergamene, di diari fitti di annotazioni, perlopiù dedicate alle Pozioni, che lei conservava gelosamente in una scatola sotto il letto: Severus Piton.

Come fosse arrivata a possedere dei manoscritti dell’austero professore di Hogwarts, non era una questione molto importante. Banalmente, rischiavano di fare la muffa nella blasonata scuola di Magia e Stregoneria.  Un giorno, Lily Luna onorò la sua discendenza da uno dei quattro Malandrini e s’impossessò di quelle carte e di quei volumetti fitti di scrittura elegante e sottile, rischiando le canoniche punizioni e i soliti punti levati a Grifondoro.

Era curioso però cercare di capire il motivo per cui avesse voluto possedere degli oggetti appartenenti ad una persona che conosceva solo per il consueto sentito dire, unicamente tramite i racconti dei genitori e dei parenti più stretti. Un individuo che sicuramente non possedeva il physique du role per essere un eroe a tutti gli effetti.

Erano racconti di guerra, con la loro dose di eroismo, con la giusta quantità di tragedia e di sollievo. Se tanti nomi le erano sfuggiti, se la trama intricata della seconda guerra magica a Lily Luna era parsa un po’ complicata, non le era sfuggito quel nome – Severus Piton – pronunciato con un certo rispetto, con quell’ammirazione postuma che si riserva a chi probabilmente non sembrava degno di meritarsela in vita.

La ragazzina aveva sentito dentro di sé qualcosa accendersi, esattamente come quando si rinfocola un debole fuoco che arde nel camino. Difatti, non era una sensazione nuova. Aveva quella vaga sensazione di averla provata in un’altra vita. Quell’emozione si era accresciuta, da quando aveva sentito quel nome per la prima volta – aveva suppergiù otto o nove anni – fino ad arrivare a sopraffarla, nell’età mutevole turbolenta dell’adolescenza. In quegli anni era stata presa da un’insaziabile curiosità ed in ogni modo aveva radunato piccole foto magiche, ritratti, manoscritti, articoli che parlavano di lui. Tutto quel materiale era stato amorevolmente riposto in una scatola di cui solo lei – e lei sola – sapeva la collocazione, a casa, sotto il letto, ben nascosta in mezzo ad altre cianfrusaglie. Mentre era ad Hogwarts, si limitava a tenere nascosti i manoscritti del professore, in una borsa in velluto. Di notte, quando tutte le sue compagne di stanza dormivano, ritirava fuori dall’oscurità quelle pergamene fitte di appunti. Le leggeva, le accarezzava come si può accarezzare con affetto il viso di una persona assopita.

Le pareva di conoscerlo, in quel modo, viaggiando lenta nell’oscurità di quell’inchiostro, nel nero dei suoi abiti, dei suoi occhi, dei capelli. In quel vago profumo di legno, garbato e mai invadente. Aveva visto i ritratti e si era memorizzata ogni singolo tratto somatico di quell’uomo. Ed anche i lineamenti del volto non le parvero affatto nuovi, le sembrò che la sua memoria necessitasse unicamente di una rinfrescata. Dapprima, questa situazione le provocava un profondo disagio, poi se ne fece una ragione ed accettò quella bizzarra teoria che voleva che in lei ci fossero tracce di una vita passata, anche più di una vita passata.

In lei riaffiorava la vita di sua nonna, n’era sempre più certa. Lily Luna si era ritrovata il duplice compito di tenere in vita la memoria dell’illustre nonna e di riportare alla luce la vita del professore di Pozioni. Tuttavia, se di sua nonna era nota la triste fine, rimaneva un grosso interrogativo circa il destino di quell’uomo tanto particolare.

Che fine avesse fatto Severus Piton, questo era ignorato da tutti. Suo padre Harry non lo sapeva, sua madre Ginny, neppure. Era sparito nel nulla. Chi sosteneva che fosse morto da qualche parte nell’Europa continentale, chi diceva che fosse morto e basta.

La ragazzina dai fiammanti capelli rossi si era chiesta perché nessuno avesse accarezzato l’ipotesi che potesse essere ancora in vita. Perché tutti piangevano i cari persi in guerra, in quella sporca e lurida guerra, chiamandoli indietro nei momenti di strazio e mestizia? Perché invece lui doveva essere irrimediabilmente morto e basta? Nessuno lo rimpiangeva, nessuno lo rivoleva indietro.

Lei non ci credeva, non riusciva a concepire la scomparsa di Severus. Allora, da quando aveva circa undici anni, aveva iniziato a sfruttare seriamente il dono che possedeva, quello della scrittura: aveva fatto piangere sua madre dalla gioia, con la prima lettera proveniente da Hogwarts. La piccola si era espressa in un linguaggio insolitamente poetico, ricco di dettagli e di descrizioni minuziose. Non era decisamente un modo di scrivere infantile. Allora, aveva iniziato a scrivere decine di lettere indirizzate a Severus. Gli raccontava qualsiasi cosa che fosse degna di nota, gli aveva descritto la sua famiglia, gli aveva parlato sommariamente dei fratelli James ed Albus Severus, gli raccontava come fosse cambiato il mondo magico dalla caduta del Signore Oscuro. Perché dentro di sé era certa che un giorno gli avrebbe potuto dare quelle lettere, anche a costo di passare per matta. Perché lei credeva che fosse ancora vivo, da qualche parte.

Lily era diventato lo sguardo di Severus nel mondo. Filtrava tutto con i suoi occhi grandi e curiosi. Non aveva gli occhi verdi, come quelli di nonna Lily: quegl’occhi che l’uomo aveva tanto amato, perché Lilù – come la chiamavano affettuosamente i genitori – sapeva dell’amore di Severus per Lily Evans. Ma era qualcosa di talmente intimo e riservato, che si era limitata a tenerselo per sé, a non parlarne mai, a contemplarlo come un quadro che toglie il fiato allo spettatore. Avrebbe custodito quel sentimento rimasto imperfetto, come una statua incompleta, con le forme appena accennate, nel profondo del suo cuore.

In quelle lettere non ancora consegnate, la piccola Lily Luna ci metteva tutto l’affetto che poteva, la massima cura possibile. E tanto amore ingenuo, ancora tutto da plasmare, nella speranza ardente di ritrovare Severus e di farlo uscire dall’oscurità.  A volte, però, la speranza diveniva una certezza indiscutibile. E Lily Luna scriveva ancora di più di quanto non scrivesse già di solito, con una strana euforia a guidarle la mano.

We all need that person who can be true to you
I left her when I found her
And now I wish I'd stayed
’Cause I'm lonely and I'm tired
I'm missing you again, oh no
Once again

Some search, never finding a way
Before long, they waste away
I found you, something told me to stay
I gave in, to selfish ways
And how I miss someone to hold
when hope begins to fade...

A lonely road, crossed another cold state line
Miles away from those I love, purpose hard to find…
* * *

Questa sarà una piccola long-fiction, per una coppia che avevo solo nella mia testa, in potenza, ma, che grazie a due persone che non posso far altro che ringraziare, è uscita dall’oscurità, in tutta la sua struggente bellezza. Severus e Lily Luna, chi l’avrebbe mai detto?

Dira Real, e m m e, grazie di cuore. Questa è tutta per voi. Ed è ovviamente per chi apprezzerà il Repayement e questo pairing. Siete avvertiti già da prima, è particolare. Vi urta? Esistono altre migliaia di cose scritte che vi possono piacere di più.

La citazione è stata presa da un film che adoro (anche per l’attrice/cantante protagonista, Björk), Dancer In The Dark. Lily Luna scrive, per potersi rifugiare nel mondo di Sev, dandogli uno sguardo del mondo e di come sia cambiato da quando è finita la guerra. La scrittura è un rifugio, ma è un modo per garantirsi un futuro tra i posteri… Ma è un modo per agganciare passato, presente e futuro.

La canzone conclusiva del primo capitolo è “Dear God” degli Avenged Sevenfold. La trovo molto bella e ben si aggancia al prossimo capitolo.

Spero con tutto il cuore che vi piaccia.

Un abbraccio,

Alessandra

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Capitolo 2
*** Scene II: Enjoy The Silence ***


Enjoy The Silence

“Vows are spoken 

To be broken 

Feelings are intense 

Words are trivial 

Pleasures remain 

So does the pain 

Word are meaningless 

And forgettable”

 

Depeche Mode - Enjoy The Silence

 

 

Severus era libero.

Libero come non era mai stato, dopo l’eliminazione del Signore Oscuro. Era riuscito a scampare ad una morte certa - aveva ingannato per anni Lord Voldemort, ingannarlo nel momento supremo, dove il padrone avrebbe dovuto sbarazzarsi dello schiavo fedele, era stato piuttosto semplice, per lui. Si smaterializzò, finendo in una foresta abbastanza distante da Hogwarts, lontano da quella battaglia che si avviava verso una felice conclusione, per i ragazzi che l’avevano combattuta valorosamente.

Lui non aveva più niente da fare, lì. Il suo compito era terminato. 

Non aveva più niente da perdere, tantomeno da guadagnare, in quella scuola.

Quando si trovò nella radura, buia, poiché nel cielo c’erano ancora nubi e grigiore, si sentì strano.

 

Non sapeva dove andare.

Non aveva più una direzione obbligatoria da percorrere.

Nessuno gli avrebbe più ordinato cosa fare, dove andare, cosa dire.

 

Un prigioniero al posto suo avrebbe fatto i salti di gioia, correndo a destra e a manca, ma lui, l’inflessibile Severus Piton, si sentì stranamente a disagio. Ironicamente, dopo una vita condotta in maniera pressoché irreprensibile, al servizio di due padroni, nel momento in cui le catene si sciolgono, finendo a terra in un clangore pesante, lui si sentiva smarrito.

Si appoggiò ad un tronco di un pino, intanto che gli echi della battaglia finale giungevano fino a lì, e chiuse gli occhi. Quel frastuono gli parve distante chilometri, anni luce. Non si sentiva più pienamente appartenente a quel mondo di frastuono, di chiacchiericci, di parole.

 

Le parole

 

Severus aveva imparato ad usarle molto bene: così come un fabbro imparava ad affilare la spada, al fine di renderla perfettamente tagliente, lui aveva imparato a promettere, giurare, dare il proprio assenso o diniego, ingannare, affabulare, spiegare, urlare, arrabbiarsi, indignarsi. Avevano giocato un ruolo molto importante in quella guerra ed il maestro nell’usare il linguaggio come se fosse una materia duttile era stato Albus Silente. Severus, dal canto suo non si era mai sentito un individuo particolarmente abile nel modellare il linguaggio a suo piacimento. Era una disciplina che aveva imparato con molta fatica.

Però, le parole erano sempre svanite, quando si trattava di esprimere un dolore lancinante, che non aveva mai smesso di provare. Dolore inespresso, che gli pungeva il petto, impedendogli di parlare dell’amore mai sopito per la sua Lily.

Ma d’altronde, chi avrebbe mai voluto ascoltare la storia di quell’amore finito male? Nessuno. Ed al professore stava bene così. Soffriva ed avvertiva la mancanza della donna che aveva amato, le parole non avrebbero mai reso giustizia al suo patire.

Aveva provato a scrivere qualcosa al riguardo, in qualche pergamena privata e ben nascosta, immaginando che la sua amata perduta potesse leggere quelle sue parole, ma si era sentito un autentico idiota praticamente sin da subito. I suoi tentativi goffi erano direttamente finiti nel fuoco, dispersi nell’aria. 

Era stato uno stupido ad affidarsi alle parole, che fossero dette, o scritte su carta. 

 

Con un certo stupore e brivido, riaprì gli occhi. Non avrebbe mai più dovuto sprecare fiato con qualcuno. Non avrebbe più dovuto scrivere alcunché in vita sua. Non aveva più obblighi in tal senso. Non avrebbe più dovuto rendere nessuno partecipe dei suoi movimenti, delle parole dette da questa o quell’altra persona.

Avrebbe potuto anche vivere di silenzio e basta. A tu per tu con i propri pensieri, con qualche libro in tasca da leggere, e il canto perpetuo della natura: un fiume che scorre, un albero che scuote le proprie chiome ricche di foglie, il vento sibilante e freddo. Lui avrebbe potuto ascoltare e basta, la facoltà in cui eccelleva. 

 

Severus si era dunque messo in viaggio: voleva capire che cosa volesse dire poter scegliere una meta qualunque, andarci in qualsiasi momento, senza restrizioni. Poterci passare tutto il tempo necessario, poter passare le ore a vedere il mare, le onde infrangersi con la stessa monotona ciclicità sulla battigia. Potersi sedere su uno scoglio senza paura di essere riconosciuto da qualcuno.

Poteva tornare ad essere un perfetto sconosciuto ed un uomo invisibile. Che non parlava con le persone e non scriveva più a nessuno, giacché non sembrava che interessasse a qualcuno la sua sorte. Osservava e basta, tenendo tutto nella sua mente, l’elemento più prezioso che riteneva di possedere. E tanto gli bastava poter allenare la memoria, poter immagazzinare tutto quello che vedeva in ogni viaggio, in ogni tappa significativa. Ogni tanto, faceva qualche incantesimo ad una pianta, ad un’onda, giusto per tenersi in allenamento. Viveva molto semplicemente ed aveva uno stile di vita frugale: non desiderava altro, dopo tutti quegli anni passati a prendere ordini da Silente e dal Signore Oscuro.

 

Il boato delle onde era incredibile, presso quella piccola isola di Belle-Île-en-Mer: a nord-ovest del piccolo villaggio di Sauzon si stava scatenando una furiosa e pittoresca mareggiata, investendo il Phare des Poulains. Severus era rimasto totalmente affascinato da quel posto, selvaggio, che non pareva conoscere la frenesia della modernità Babbane, nonostante si fosse entrati nel nuovo millennio da qualche tempo. Il vecchio faro, una volta abitato, era stato fatto cadere in disuso, e poco distante era stato costruito un faro automatico, che era infinitamente più triste ed impersonale di quelle mura candide piene di salsedine. Certo, aveva una sua utilità per le enormi navi che solcavano l’Oceano Atlantico, ma l’uomo non se ne faceva nulla di un mostro di ferro, pannelli fotovoltaici e cemento.

Il vecchio faro era rimasto, comunque. Severus vi entrò e rimase impressionato dall’ambiente rimasto intimo ed accogliente. L’odore di legno mescolato alla salsedine delle onde era penetrante, ma non dava fastidio all’uomo. Il cigolio del legno era musica per le sue orecchie. Sembrava alquanto divertito nel camminare sopra le assi con studiata lentezza, per udirle cigolare. Quelle stesse assi sembravano lamentarsi di quell’ospite improvviso ed inatteso, emettendo suoni acuti ed irritanti, non alle orecchie sensibili di quell’uomo.

Era un posto meraviglioso, quello sull’isola francese che dava sull’Oceano Atlantico. Solitario, come piaceva a lui, con una sinfonia di suoni naturali, estremamente gradevoli ed intensi. Dal rumore dell’Oceano, in burrasca od in quiete, all’ululare del vento, alle strilla - o forse si chiamava garrito, quel loro suono stridulo - dei gabbiani. 

Lo schianto di un’onda, o meglio, degli schizzi che erano i resti dell’onda smorzata dal muro di pietre che le si era parato davanti, spaventò per un attimo il Serpeverde. Le gocce colpivano i vetri, il tetto, con forza, come se fosse scoppiato un improvviso temporale. Ed in effetti, le nubi nerissime si stagliavano all’orizzonte, direttamente provenienti dall’Atlantico. Promettevano un lungo pomeriggio di precipitazioni, di percussioni forsennate sopra di lui.

“Devo vedere che non ci siano infiltrazioni d’acqua” disse ad alta voce, dopo tantissimo tempo dacché aveva più fatto vibrare le proprie corde vocali. E aveva detto una frase qualunque, ma la sua voce per qualche breve istante, gli parve assordante. Ed estremamente sgradevole in quella perfetta alchimia di suoni.

Soffocò la sua voce ancora una volta, relegandola al silenzio, come si era liberamente imposto dalla fine della seconda battaglia di Hogwarts.

 

Quel silenzio ostinato ed orgoglioso venne interrotto una sera d’autunno di qualche mese dopo, sempre a Les Poulains. Severus aveva deciso di trascorrere qualche tempo più lontano possibile dall’Inghilterra, in modo tale che molti riuscissero a darlo per morto. Voleva che la comunità magica lo dimenticasse, che smettesse di pronunciare il suo nome con timore reverenziale, o con ammirazione, insomma, che non venisse mai più pronunciato, facendolo piombare nella quiete totale.

Era seduto a godersi il mare d’autunno al tramonto, dalle immense finestre che aveva rimesso a posto. Qualche candela era sufficiente ad illuminare la stanza, adibita a grazioso salotto, grazie all’aiuto della magia. E sempre grazie alla magia, aveva provveduto a proteggere quel suo meraviglioso rifugio, dall’insopportabile curiosità dei turisti Babbani. Non che fosse un luogo estremamente gettonato, ma preferiva difendere la sua privacy a priori,

Reggeva un libro tra le mani ed il mare era piuttosto quieto, così come il vento, che emetteva sibili irregolari ed a volte impercettibili. Il cielo verso ovest si faceva sempre più fiammeggiante, e l’oceano era pronto ad inghiottire il sole sempre più rosso ed ardente. Le nuvole non erano più grigie, ma assumevano colorazioni intense, dal rosso, al giallo, passando per l’arancio e persino il rosa. Era uno spettacolo di breve durata, mutevole, capriccioso, di una fragilità immensa. Ed ogni sera, quel cielo avrebbe offerto uno spettacolo diverso dalla sera precedente, uno spettro di colori più vasto, o più limitato, a seconda dell’umore della natura.

Severus staccò lo sguardo dal magnifico tramonto, una volta che il disco solare scomparve dall’orizzonte. Si voltò per riaccomodarsi sul divano, quando vide che era occupato.

Merlino, forse era uno scherzo di pessimo gusto, pensò l’uomo, guardando la figura femminile seduta sul divano.

Forse era tutto dovuto a quel silenzio in cui si era rinchiuso, probabilmente era la mancanza di un vero contatto con la gente da tantissimi mesi che gli provocò quella visione.

Non la rivedeva da anni, quella donna. Come poteva essersela dimenticata? Ogni nuvola rossa gli ricordava i suoi capelli, ogni filo d’erba verde, teneramente inumidito dall’acqua salata, lo rimandava ai suoi occhi. Il pallore delle mura del faro gli ricordavano la sua pelle.

“Lily” sussurrò appena l’uomo, rimanendo immobile, letteralmente impalato. Si vergognò della sua voce, della sua debolezza che l’aveva spinto ad infrangere nuovamente quel divieto che gli immobilizzava voce e mani.

La donna sembrava in carne ed ossa ed aveva in volto un bellissimo sorriso. Annuì con il capo, rispondendo al nome appena sussurrato.

Com’era possibile che lei fosse lì davanti a lui? Lily, la sua Lily, era morta da tanto tempo. Non aveva mai perso il conto, da quel 31 Ottobre 1981: quell’anno sarebbero stati ventisei anni dalla morte della donna che aveva sempre amato in maniera incondizionata.

Ed era lì, davanti a lui, che lo guardava con il suo solito sorrisetto furbo e solare allo stesso tempo. Per lei il tempo non era affatto passato, mentre per lui, il passare del tempo aveva chiesto il conto. Avvicinandosi ai cinquant’anni, i capelli non erano più perfettamente neri, ed erano stati rigati da qualche filo bianco, visibile solo a distanza ravvicinata. Era il peso di anni di prigionia. Il volto di Lily era senz’altro fresco e pulito, mentre Severus aveva qualche ruga, che neanche infinite notti di riposo avrebbero mai potuto cancellare.

Si avvicinò, abbastanza sicuro che, dopo qualche passo, sarebbe svanita. Non era niente di strano.

Invece, Lily rimase lì e, anzi, gli tese la mano.

Questo gesto paralizzò Severus. Stava combattendo con la voglia di stringerla forte, sebbene fosse una dolce visione, e con la voglia di tirarsi una testata, per tornare alla sua perfetta routine solitaria, oramai consolidata e collaudata.

Ma perché invece non approfittare di questa situazione, di starsene con quel fantasma anche per qualche breve istante? 

Tese incerto la mano e toccò quella di Lily. 

Era incredibilmente calda pensò, mentre la stringeva forte.

Era calda come una qualsiasi altra mano, ma si era scordato della temperatura media di una mano umana.

Il mondo scivolò via, iniziò a diventare sfocato, senza una forma precisa, nel momento in cui Lily si alzò in piedi e lo abbracciò forte.

Quel calore così famigliare lo sciolse, lo riportò indietro di decenni, quando erano appena ragazzini, quando stavano così vicini per così tante ore al giorno e Severus era un ragazzino più felice.

Perché non abbracciarla in quel momento, per poter ottenere nuovamente uno squarcio di quella felicità perduta?

Non era cambiata, in nulla. Era sempre lei, inconfondibile.

Era sempre lei, mentre sfiorò le labbra di Severus, giocosa, causando un forte brivido nell’uomo.

Quel bacio che si erano dati timorosamente da ragazzi, ora diveniva qualcosa di molto più profondo, andava oltre il gioco di due adolescenti.

Perché non lasciarsi andare, sogno o realtà che fosse, tra le braccia di Lily? Immergersi nei suoi occhi verdi che ardevano di una passione sincera, toccare finalmente la sua pelle chiara senza vestiti od impedimenti, poterla baciare più e più volte, ovunque, era stato un semplice sogno di molte notti solitarie. Perché non approfittarne e farlo diventare realtà, ingannando qualsiasi legge fisica e naturale?

Sapeva che sarebbe stato solo per una volta. Ma che importava, stava invecchiando. Era più fragile, meno inflessibile, quando si trattava di Lily. Si lasciava andare alle emozioni più facilmente.

Stava invecchiando, era ben conscio che forse quell’incontro non sarebbe mai più avvenuto, sapeva che con gli anni avrebbe visto con più indifferenza l’alternarsi delle stagioni, ma avrebbe tolto dal grande conto degli anni della sua vita, un altro mese, un’altra settimana, un altro giorno che lo separavano dal termine della sua esistenza.

La veste bianca di Lily era semplice. Le stava bene, risaltava bene la sua figura minuta e delicata. La donna se la tolse con un semplice gesto, rivelando un corpo assolutamente umano, come quello di Severus.

L’uomo smise di chiedersi se fosse follia o realtà, non gli importava più se fosse possibile poter amare un fantasma o potersi unire allo spettro di Lily in maniera del tutto naturale e semplice. Era lì, così viva e piena di trasporto.

Lily in tutta quella notte non parlò mai. Lasciò che gli occhi verdi comunicassero tutto il suo amore ed il suo affetto per l’uomo che l’accarezzava  delicatamente, come se fosse un’opera d’arte troppo bella da toccare.

Severus non parlò mai, si limitò ad amarla in silenzio con tenerezza ed ardore, temendo allo stesso tempo che potesse sparire da un momento all’altro. 

* * *

Smetto di piangere come una fontanella e mi riprendo.

Sono incorreggibile, ci ho fischiato dentro l’altra mia malattia nei pairing di HP: Snevans a manetta! Ma fa niente, poco importa, ha un suo senso ed un suo perché (e vedrete il prossimo capitolo). Spero vi possa piacere davvero.

Questa storia verrà fuori in maniera molto particolare, ma mi piace come si sta dispiegando.

 

Il luogo che ho scelto per Severus è un luogo dalla bellezza allucinante ed l’ho conosciuto tramite una gigantografia che ho a casa: è il Phare des Poulains, in Francia, su un isoletta chiamata Belle-Île-en-Mer, che dà sull’Atlantico. Questo faro bianchissimo è proprio a ridosso della scogliera e si prende di quelle onde selvagge! Ecco, la foto che ho a casa, ferma proprio l’istante selvaggio del mare che salta via direttamente la scogliera e si butta su questo faro...

 

La canzone è la celeberrima “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode, anche se non vado pazza per questo gruppo, amo molto le cover fatte da Tori Amos, ma soprattutto la cover dei Lacuna Coil. Direi che si addice molto a Severus. E vedrete, questo suo blocco nel parlare e nello scrivere sarà ben sciolto da un’altra rossa... E non dico altro :D

 

Vi lascio anche la mia pagina Facebook, per chi volesse aggiungermi!

 

Un abbraccio, 

Alessandra

 

P.S A domenica con Irish Rain, per chi la segue :D (per chi non la segue ancora: è la mia long fiction What If su Severus e Lily Evans :D)

 

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Capitolo 3
*** Scene III: The Miracle And The Sleeper ***


The Miracle and The Sleeper

“I was told there's a miracle for each day that I try

I was told there's a new love that's born for each one that has died

I was told there'd be no one to call on when I feel alone and afraid

I was told if you dream of the next world

You'll find yourself swimming in a lake of fire”

 

“As a child, I thought I could live without pain without sorrow

But as a man I've found it's all caught up with me

I'm asleep yet I'm so afraid”

Dream Theater - Metropolis Pt.I: The Miracle and The Sleeper

 

 

Come ogni notte propizia e ricca d’ispirazione, Lily Luna armeggiò nel suo baule, prendendo la borsetta dove teneva tutti gli scritti di Severus e la propria pergamena intonsa, e la propria piuma d’oca usata e sbeccata. Nonostante i suoi genitori le avessero ricomprato delle nuove piume per scrivere in buona quantità, la giovane Lily Luna si era affezionata a quella vecchia e rovinata, che le causava sbavature sulla superficie giallastra un po’ più spesso, ma poco le importava. Amava l’imperfezione di una sbavatura vaga, in mezzo a quel fiume di parole.

 

Prese il grosso libro di Storia della Magia e lo appoggiò sul materasso morbido e confortevole del suo letto. Ordinatamente, vi appoggiò sopra la pergamena, stendendola bene senza spiegazzature. Non volle arrischiarsi ad appoggiare il calamaio colmo d’inchiostro nero sulle coperte, quindi quello venne appoggiato sul comodino della Grifondoro. Avrebbe dovuto destreggiarsi un po’, nel caso la piuma avesse avuto bisogno di inchiostro nuovo per scrivere, ma oramai era diventata un’abitudine. 

Si puntellò con i gomiti, tenendoli i più fermi e vicini possibili al tomo voluminoso.

Appoggiò la mano sinistra sulla pergamena e la punta della penna toccò la superficie, con un impercettibile scricchiolio. Lily risollevò la punta per qualche attimo. Gli occhi color nocciola, pur nella fioca luce di una candela, erano luminosi, ricchi di pensieri e di parole, alle quali dare una forma concreta e coerente. Quello era il momento più sublime, l’attimo in cui osservava la massa intricata dei suoi pensieri passare attraverso un processo complicato fatto di scelte, di scremature. Era un momento di notevole sforzo mentale, ma si sentiva così viva quando dava una forma ed un senso a ciascuna parola. Le frasi prendevano vita ed erano così libere di prendere il volo: paradossale, per dei periodi relegati a rimanere per l’eternità su dei frammenti di pergamena.

 

Quella sera il suo cuore traboccava di emozioni forti ed impetuose. 

Aveva avuto ancora quel sogno ricorrente. Un sogno angosciante all’inizio, che poi diventava un’estasi confusa, di onde, di salsedine e di luce. La tormentava da tempo immemore, da che aveva preso coscienza di poter pensare, ricordare, sognare

Nei primi anni di vita, non era mai riuscita ad andare oltre alla visione delle fiamme, di quel lago di fuoco nel quale si sentiva intrappolata. Si svegliava, piangendo, cercando conforto tra le braccia di mamma e papà, che le consentivano - rigorosamente di tanto in tanto, solo perché era ancora piuttosto piccola - di poter dormire con loro, nel letto matrimoniale grande ed accogliente. Harry e Ginny avevano pensato ai soliti capricci dei bambini. Ma Lily Luna non piangeva in maniera stridula e scomposta, non si agitava e dimenava come una bambina lagnosa e capricciosa.

Le lacrime le colavano giù dagli occhi grandi e brillanti. Non capiva la visione, non capiva quel fuoco che la lambiva. Non lo capiva, non lo conosceva. Quindi lo combatteva.

Quando si avvicinò ai sette anni, con il primo manifestarsi dei suoi poteri magici, andò oltre quelle fiamme, oltre quel calore che pareva strapparle via la carne di dosso. Nuotò - era possibile ciò? - per uscire di lì. E si ritrovò in un mare furioso, come non l’aveva mai visto in vista sua. Quei cavalloni enormi non parvero farle del male. In sogno cercò sempre di ricordarsi quei pochi rudimenti che le avevano dato in alcune lezioni di nuoto estive, proprio quel tipo di lezioni sommarie e per nulla rassicuranti fornite da un pigro bagnino che non ha la minima voglia di assistere ai marmocchi natanti. 

A che le serviva tutto quel controllo, quella disciplina in un sogno ricorrente? Nuotava come se quell’oceano fosse il suo ambiente naturale. Non temeva la violenza delle onde, i mulinelli improvvisi che si potevano formare, aveva una fiducia incrollabile in quell’elemento più furioso che mai. Si beava in quel baccano, in quella buriana dove le orecchie sembravano non patire lo schiocco secco dell’acqua e l’ululare del vento.

 

Ed era arrivata ai quattordici, quindici anni ad avere ancora quel sogno, lo aspettava, oramai, nelle notti di sonno profondo: andava oltre la spiaggia rocciosa, vestita di bianco, asciutta e presentabile, come d’incanto.

Doveva continuare a sondare il proprio inconscio, per andare verso la sua meta in quel mondo onirico. Con fatica e lentezza ci stava arrivando. Doveva continuare a scrivere quella visione, anche se ci aveva speso tantissime parole, svariate pergamene. Le parole erano la sua cura, erano il miele più dolce che riusciva ad estrarre dall’intricato favo del suo animo. E quello stesso miele sentiva che avrebbe dovuto addolcire qualcuno, qualcosa, perso ancora nelle nebbie del tempo.

 

Severus,

 

Questa settimana quel sogno si è ripresentato tre volte. Tre volte. Non mi era mai capitato e non so se esserne felice o triste. O preoccupata.

Quella scena, quella visione che sta emergendo dalla memoria, m’inquieta e mi rassicura allo stesso tempo. E’ una scena nuova.

 

Eppure, quel momento mi pare che valga più di qualsiasi altra parola ed è quella scena che devo descrivere. Faccio ancora fatica a farlo, ma non posso tirarmi indietro, perché...

 

...Perché credo che sia tu, assieme a me, nei miei sogni. Quanti anni ci ho messo a mettere assieme ogni frammento della mia memoria? Quindici anni? Quanto tempo ho aspettato di vederti in questo sogno, non mi pare vero. 

 

Eppure, nulla in quel sogno mi pare nuovo. Mi pare di aver solcato quel vialetto verso il faro bianco decine e decine di volte. Mi sembra di aver toccato quelle mura così candide, con gli aloni di salsedine, innumerevoli volte. Conosco ogni singola irregolarità di quelle pareti.

Riconosco il suono di ogni asse del pavimento, lo scricchiolio ora secco ed ora tenue del legno provato dal passare del tempo. Saprei dove dirigermi anche ad occhi chiusi, senza paura di sbattere la faccia contro gli scalini a chiocciola che portano su al faro vero e proprio. So dove dirigermi. Verso l’ala dell’edificio che dà verso il mare.

 

Io so che a te piace vedere la tempesta infuriare là fuori. So che apprezzi la furia del maestrale, perché la punta estrema di quell’isola si offre al soffio freddo di nord-ovest. Ti consente di fronteggiare apertamente quel vento, come se fosse un nemico nuovo, che finalmente puoi affrontare senza fingere. Tu ed il vento. Senza codardia.

 

Non ti arrabbiare, queste cose non me le ha mai dette nessuno. E non ti do del codardo, ci mancherebbe. 

Ma io so, perché la voce di nonna Lily, che non mi ha mai abbandonato, mi ha detto delle cose. Mi ha condotto ai tuoi ricordi, ai tuoi manoscritti, ai tuoi appunti di Pozioni. E’ lei che mi ha fatto scoprire il lato migliore di te.

Ed è questo lato migliore che chiamo a me, perché io ti possa vedere e conoscere.

 

Ed è il tuo lato più luminoso e caldo, che mi accoglie nel soggiorno spartano e pieno di deliziosi mobili di legno, che non sono più secchi e sofferenti per la mancanza di cure. Sono lucidi, smaltati, ben curati. Stracolmi di libri, di bussole, rose del vento, anemometri in bronzo. Su una parete, c’è addirittura una rete da pesca appesa. Non la usi, ma è puramente una decorazione. So che tu sei lì, sdraiato sulla chaise longue. Leggi, intanto che dall’Oceano arrivano nubi sempre più nere ed il mare si riempie di piccole chiazze bianche spumose. Non è più un libro di Pozioni. E’ un libro sul mare. Sembra che tu abbia totalmente abbandonato la magia, quella fatta di incantesimi, di bacchette magiche, di trasfigurazioni.

Ti stai addentrando dentro una magia ben più grande, quella del mare, che è in grado di aprirti il cuore, se ti lasci andare nel dolce movimento ciclico delle onde. 

 

Mi guardo allo specchio e so che il corpo che ho nel sogno, non è quello che avrò da grande, magari potrò solo ricordarlo vagamente. Questo corpo ha già beneficiato del suo breve lasso di tempo sulla terra, esso ha amato una persona per la quale aveva provato tanto affetto, ma non è mai riuscito ad unirsi alla persona che amava, segretamente, fino all’ultimo istante.

Dovevo portarti l’amore mai fiorito e perito nella disgrazia di mia nonna Lily, e mi sono sentita di portarti anche il mio, tenero ed innocente.

Che strana cosa. Mi sento totalmente amata da te e non so se potrai mai leggere queste mie parole. Io... Non so bene cosa provo nei tuoi confronti, forse amore è eccessivo. Ma è come se ti conoscessi da sempre, è come se tu fossi una presenza benevola nei miei giorni. Potrei anche amarti, se ti avessi davanti, se solo ti conoscessi di persona e passassi del tempo con te. 

 

Quello che ho potuto provare e vedere dopo, temo di non essere tanto in grado di descriverlo. Perché in realtà, non ne so molto, di quello che succede tra un uomo ed una donna. Per fortuna nonna Lily mi ha guidato. Ed è stato bello così.

 

Lilù si fermò, ritraendo la mano che stringeva la piuma. Avvertiva le gote imporporate, provando imbarazzo a ripensare a quella struggente visione. A quell’amore che era esploso, come i tuoni ed i lampi che circondavano quella casa sulla scogliera. Alle onde che si sgretolavano contro la barriera di pietra, soffocando, con il proprio ticchettio, i timidi e sommessi gemiti dei due amanti, che mai erano riusciti ad esprimere il loro desiderio. 

Lily Evans era lì per Severus, per una notte sola. Era tornata sulla terra, per uno strano miracolo ad opera di un Demiurgo toccato da così tanto amore. Era tornata in carne ed ossa per brevissimo tempo, sbaragliando qualsiasi legge fisica. Il Demiurgo che regge il destino dell’umanità - Babbani e Maghi, che siano - però non le avrebbe concesso quel lusso senza pretendere nulla in cambio. Lily Evans sarebbe stata parte di una nuova, tenera anima, quella di sua nipote, che se ne stava rifugiata nel grembo di Ginny, moglie di suo figlio Harry. Avrebbe ricominciato a vivere dentro il corpo di una ragazzina, ma avrebbe dovuto dimenticare tutta la sua vita precedente: gli amori, gli errori, le battaglie, la sofferenza, la sua breve esistenza fragile e tormentata. Lily Luna avrebbe scelto liberamente se prendere coscienza della presenza di una vita precedente, o se di rigettarla nel fiume dell’oblio. Stava a lei e lei sola, in quanto nuova creatura piena di possibilità scegliere se vivere prendendo coscienza dell’amore che portava dentro di sé e di farlo crescere in maniera totalmente autonoma e personale, giacché Lilù era tutt’altro che una ragazza debole e priva di personalità, oppure di cancellare tutto e di riscrivere la propria storia da zero. 

 

Lily Luna era un’avida lettrice di libri, di letteratura Babbana. E sapeva che ciascun libro moderno aveva avuto una base precedente, vecchia anche di secoli. E un libro prendeva forma solo se queste due componenti, seppure con un enorme differenza di tempo, riuscivano ad accettarsi e convivere pacificamente. Il passato si fondeva nel presente, per dar vita futuro dalla forma unica ed irripetibile. Lily Luna aveva preso volentieri il testimone di sua nonna, un’enorme pergamena scritta, con un punto che fermava la sua storia al 31 Ottobre 1981. Ora la ragazza, diligentemente, nutrita da una curiosità spaventosa e senza limiti, aveva afferrato la sua pergamena ed ci aveva riversato fiumi di inchiostro nero, prendendo qualche parola dalla testimonianza di vita della sua illustre omonima, ma aggiungendo parti originali e frutto della sua personale esperienza.

 

Aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai intromessa nell’amore di Lily Evans e Severus Piton. Ma quella notte da sogno, che sogno non era per nessuna delle persone coinvolte, la donna dai capelli rossi aveva passato il testimone ad una neonata dai ciuffi di capelli dello stesso identico colore, che proprio in quella notte avrebbe visto la luce, lontano da Les Poulains. In Inghilterra non infuriava nessuna tempesta in quella notte di fine autunno, il 13 Dicembre 2007. Splendeva una luna bianca e perfetta. La stessa che aveva illuminato l’Oceano Atlantico nuovamente calmo e tranquillo nell’isolotto francese. E proprio quel satellite che aveva rischiarato la pelle diafana di Lily Evans, che guardava per l’ultima volta, con i suoi occhi verdi vivi più che mai Severus Piton. Svanì, mentre lui dormiva in pace con se stesso, dopo tanti anni, per andare in quel corpicino piccolo e fragile, ma così pieno di vitalità e di anni felici davanti a sé.

 

A Lilù tremava ancora la piccola mano affusolata. L’emozione di rivivere ancora una volta quel sogno d’amore e di prendere coscienza del suo ruolo in quel mondo, l’avevano sopraffatta. Aveva gli occhi lucidi. Non erano occhi verdi, se lo ripeteva sempre, ma si sentiva perfetta così com’era. 

 

Appoggiò nuovamente la penna sulla pergamena. Tutte quelle sensazioni fortissime, ancora troppo intense per la sua fragilità di quindicenne, non le avrebbe ancora messe per iscritto. Forse non le avrebbe mai scritte. Le avrebbe dette direttamente a Severus Piton di persona, il giorno che l’avrebbe avuto davanti. Ma doveva salutarlo, concludere educatamente quella lettera, come le buone maniere di mamma Ginny le avevano insegnato. La sua scrittura era appena più tremolante, lievemente meno comprensibile del solito, quando completò quel breve saluto, quella preghiera piena di speranza.

 

Non riesco a scrivere oltre, Severus. Non riesco a dire quello che provo e che penso...

 

Torna in Inghilterra, torna ad Hogwarts, torna a casa, vienimi a trovare. Ti chiedo solo questo. Vorrei tanto incontrarti. Per favore.

 

Lily Luna

 

Forse gli avrebbe mandato via gufo quelle ultime righe scritte in maniera disordinata. Forse era giunto il momento di riportarlo a casa.


* * * 

Santo cielo. Che cosa ho scritto?

Sto piangendo emozionata un’altra volta (non che sia la prima volta che mi capiti, tra Irish Rain e questa ho buttato via un monte di fazzoletti).

 

Vi do un consiglio per l’ascolto, se volete leggere questo capitolo con il sottofondo che ho adoperato io: Ludovico Einaudi (sto imparando a suonarlo da sola, con il mio annetto e qualcosa di pianoforte, non ridete di me, lo adoro e non ci posso fare nulla se voglio suonare già cose difficili per me, che sono una principiante) e la sua splendida “In Un’Altra Vita” (eseguita alla Royal Albert Hall <3). Sembrava fatto apposta per questo capitolo, non trovate?

 

Spero vi sia piaciuto e che vi emozioni come sta emozionando me. E’ un onore per me scrivere questa storia e scrivere di questo pairing inconsueto.

 

La mia pagina Facebook è qua

 

Un abbraccio,

Alessandra

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Capitolo 4
*** Scene IV: Silhouette Of A Dancer ***


Silhouette Of A Dancer


My skin still burns
At all the places you've touched
So aware
You leave no place for hiding
Not last night
Not this time”

“I close my eyes, so the world can't see me
And draw the silhouette of a dancer in my head
I can't look through your eyes
But my mind betrays mine
Should I starve unmarked?
Or confess to my blindness”

 

Delain – Silhouette Of A Dancer

 

 

Aveva ceduto a quelle semplici due righe di Lilù – Merlino, ma ad Hogwarts le controllavano la grafia? Era illeggibile. 

Severus Piton aveva acconsentito a lasciare, seppur temporaneamente, Les Poulains. Avrebbe abbandonato per un breve periodo il suo adorato faro e l’amico Oceano, divenuto una presenza oramai irrinunciabile. Arricchiva il suo silenzio ogni giorno. I due si facevano compagnia senza dover parlare l’uno all’altro. Non si cercavano ossessivamente, Severus si era sempre limitato a sedere sulla riva in parte sabbiosa ed in parte ciottolosa della spiaggia poco distante. Non si era mai immerso nella vastità dell’Oceano Atlantico: solo due volte aveva immerso i piedi in quell’acqua straordinariamente pulita e fredda.

Come avrebbe fatto senza il gorgogliare dell’acqua attorno alla sua casa? Dovette ammettere a se stesso che quel posto gli sarebbe mancato terribilmente, poiché era lontano da qualsiasi contatto umano, da qualsiasi costrizione a dover comunicare con qualcuno.

Parlare.

Di fronte a Lily Luna e soprattutto di fronte al padre, avrebbe dovuto ben usare le parole: giusto lo stretto indispensabile per non apparire uno scostumato ed uno zotico. Era decisamente molto tempo che non vedeva Harry Potter, l’odiato eroe del mondo magico, in fondo anche apprezzato e protetto all’inverosimile, per amore di Lily.

Si era persino dimenticato il suono della propria voce. Non che l’amasse come i narcisisti amano ogni parte del proprio corpo. Gli era sempre parso faticoso e abbastanza inutile doverla usare.

Eppure aveva ceduto a quel richiamo, come se una sirena lo stesse chiamando a buttarsi in un mare agitato e pericoloso. E sembrava non vedesse l’ora di gettarsi in quelle onde tentatrici. 

Era certo che si sarebbe trattenuto per poco, come aveva sempre fatto in qualsiasi tipo di impegno sociale. Giusto lo stretto necessario per accontentare i presenti.

Vista la ragazza che tanto voleva vederlo, salutato il padre oramai divenuto uomo, sarebbe potuto tornare alla pace ed alla tranquillità del suo faro, dei suoi libri dedicati al mare e basta. Avrebbe salutato una volta per tutte anche quel legame con l’Inghilterra, sperando che non l’avrebbero più importunato.

Avvertiva un’insolita tensione nell’allontanarsi da quell’isolotto francese. O forse, avvertiva un certo disagio nel rivedere quel ragazzo, che ragazzo non era più. Era diventato uomo, con moglie e figli. Tre. Harry aveva cercato di rimettersi in contatto con l’ex-professore negli anni. Ed essendo un Auror, non gli ci era voluto molto per ottenere l’indirizzo della nuova residenza dell’uomo. Dal canto suo, Severus non si era mai preso la briga di rispondergli. Non voleva rovinare ulteriormente la vita serena e pacifica dell’ex-prodigio del mondo magico.

Sopra ogni cosa, temeva l’incontro con quella bambina, che Harry prontamente aveva paragonato al suo amore dagli occhi verdi. Era inevitabile che quel nome sulla pergamena, Lily Luna,  potesse fargli riaffiorare ricordi legati alla sua Lily. Era inevitabile che i suoi pensieri avessero plasmato un’immagine di Lilù più vicina all’illustre nonna. Si era trovato a pensare a quella ragazzina, come potesse essere caratterialmente: forse era in preda alla demenza senile precoce. Due righe erano state in grado di risvegliare la sua inguaribile curiosità verso il mondo, le cose sconosciute. Ma… Una ragazzina sconosciuta? Non riusciva a spiegarselo.

Poco male, si disse, una volta vista, quella lieve tensione, si sarebbe sciolta e sarebbe andata via in un istante. Sperava di poter fare più in fretta possibile, di potersi sbrigare in poco tempo.

Era pronto per partire all’istante con la Metropolvere, seguendo l’indirizzo riportato sul frammento di pergamena di Lilù. Sarebbe arrivato in una tranquilla e discreta locanda situata nelle stradine del quartiere medievale di Norwich, nel Norfolk. I Potter avevano scelto l’Inghilterra dell’est come residenza.

Continuava a riguardare quella scrittura poco chiara, Lily Luna sembrava tanto nervosa. Emozionata. Tuttavia, non faceva altro che ripetersi che quella ragazza avrebbe dovuto migliorare la sua grafia. I tempi stavano decisamente cambiando, da quando gli avevano insegnato a scrivere.

Prima di svanire tra le fiamme della Metropolvere, ne approfittò per guardare la sua casa un’ultima volta. Era il suo luogo dove aveva potuto ricominciare daccapo, in maniera assolutamente anonima. Ma non poteva scappare di fronte a quel dovere, che in realtà, non era così categorico. Poteva sempre rifiutare quella richiesta, poteva fare finta – come aveva sempre fatto con quelle di Potter - che la pergamena fosse andata persa per sempre nell’aria. Eppure, si era trovato ad acconsentire a quell’accorato invito.

Doveva usare la voce, per far funzionare quel magico mezzo di trasporto, se lo stava quasi dimenticando, come un principiante, un novello alle prime armi.

The Maids Head, Norwich, Norfolk, Inghilterra” disse, a voce bassa, come se temesse che la sua voce potesse deturpare la bellezza del suo faro silenzioso, lasciato in balia dell’Oceano, ancora una volta.

 

La Riverside Road della cittadina inglese era piena di decorazioni natalizie. Diamine. L’uomo si era scordato che cosa volesse dire il periodo delle feste di Natale in un centro abitato. Negli ultimi anni, l’anno era diventato assolutamente uniforme, il tempo era relativo. Esisteva solo il tempo di leggere un libro sulla chaise longue, esisteva il tempo di una lunga passeggiata fino a Sauzon. Esisteva il tempo del temporale pomeridiano, del vento che cambiava, da maestrale a libeccio, a mezzogiorno, per poi tornare ad essere freddo e secco. 

Non c’era spazio per Natale, per l’anno nuovo, per il proprio compleanno o per altre futili ricorrenze. Il Tempo era divenuto relativo. Un giorno si sarebbe persino dimenticato la propria età.

Ma quella strada lo riportava al mese di Dicembre, del 2022, come segnalato da un enorme orologio digitale sopra la sua testa.

E quella strada era troppo piena di bambini schiamazzanti ed urlanti per i suoi gusti. La strada pullulava di gente che camminava veloce, senza nemmeno guardare chi avesse davanti a sé. 

Due volte diamine, chiedere permesso o rallentare il passo non era più di moda.

Severus provò un enorme fastidio nel farsi strada su quel marciapiede straripante di gente. Le luci multicolore e sfarfallanti delle decorazioni natalizie erano un pugno nell’occhio sulle mura degli edifici molto semplici ed eleganti di quella strada.

A giudicare dall’eleganza delle villette a schiera, l’ex-professore constatò che Potter di carriera ne doveva aver fatta, per potersi permettere una di quelle case. Camminò a fatica, cercando il numero 13 di Riverside Road, nel freddo pungente e nel pomeriggio buio di Norwich. Il cielo era lievemente rannuvolato, scuro, ma con un vago colorito arancione. Si ricordava bene di quel cielo dal colore inquietante ed insolito, soprattutto quando si trovava ad Hogwarts. Indicava l’arrivo della neve. 

Neve.

Non vedeva un fiocco di neve cadere sopra di lui da anni. Non provava il freddo dicembrino vero, da tempo immemore. Forse l’ultima volta era stata quando si era ritrovato in un paesino tedesco durante un freddo Capodanno. Si era ritrovato da solo in una strada colma di soffice neve, totalmente deserta, mentre la voglia di festeggiare rimaneva chiusa al caldo delle numerose birrerie. 

Man mano che si avvicinava al numero civico, si sentì sempre meno sicuro di voler irrompere di punto in bianco in quella casa. Non che avesse paura. E’ che si sentiva troppo teso, ancora impreparato, a rivedere Potter e la sua schiamazzante e numerosa famiglia. Aveva quella dannata e spiacevole sensazione di essere di troppo.

I suoi pensieri continuavano ad aggrovigliarsi nella sua mente, confusi ed incerti. Aveva quella brutta sensazione di essere regredito, tornando ad essere impacciato e goffo come il Severus bambino che se ne stava dietro i cespugli a spiare le due bambine, quelle due bambine.

Si sentiva un idiota, ecco cos’era. Un idiota ad essersi recato fino a Norwich, fino al suo paese natale che aveva quasi dimenticato, per cosa? Per soddisfare una curiosità infantile e del tutto inutile. Per far contenta una bambina di quindici anni che si sarebbe rivelata viziata come tutta la nuova generazione di ragazzi, a giudicare da come andavano in giro conciati quegli adolescenti, a prescindere che fossero Babbani o maghi: avevano le loro testoline chine su degli affari luminosi, che si illuminavano non appena uno di loro li toccava con un dito. Ed avevano delle strane cuffiette nelle orecchie, che mandavano ronzii stranissimi ed assordanti. Forse era musica, ma non n’era certo.

Rimpiangeva il poter ascoltare la musica – rigorosamente jazz e classica – attraverso il suo piatto per vinili a Les Poulains. Insomma, era anche Mezzosangue, un certo interesse ad alcuni generi musicali Babbani l’aveva sviluppato. Era l’unico vizio che si concedeva, un piccolo capriccio personale innocuo.

Rimase a debita distanza da quel numero 13: osservò le luci accese di quello che doveva essere il salotto e cercò del movimento dietro le tende della cucina. Al piano di sopra, le luci delle stanze si accendevano e spegnevano freneticamente, sicuramente qualcuno dei ragazzi stava cercando qualcosa, o stava bellamente importunando gli altri due.

Si stava tranquillizzando, quando alle sue spalle, esattamente al numero 11, si Materializzarono due maghi. Sobbalzò dallo spavento e con una mano, andò a cercare la bacchetta magica, accuratamente riposta nella tasca.

Le due persone, un uomo ed una donna, scomparvero dietro la porta dell’edificio. Evidentemente, i Potter non erano gli unici maghi di Riverside Road. Poco male, dunque Severus Piton non avrebbe spaventato eventuali Babbani perbene residenti in quella zona. 

Fece ancora qualche passo in avanti, con la propria coscienza in preda al conflitto, all’indecisione più totale. Andare o non andare?

Si fermò nei pressi di uno dei tanti lampioni a bordo strada. Ne guardò la luce fredda e luminosa, intravvedendo qualche impercettibile fiocco di neve cadere verso terra, appena illuminato dalla luce artificiale.

In quel momento desiderava buttarsi dentro qualche pub per soli maghi, al massimo qualche locale Babbano con musica jazz e dimenticare quell’assurda follia. Magari poter bere o del vino rosso francese o del whiskey di ottima maturazione. I tempi della Burrobirra e del Whiskey Incendiario erano passati, con gli anni esse gli sembravano bevande un po’ dozzinali. Da quel punto di vista, stava diventando assolutamente raffinato e selettivo. 

Quel desiderio di voler dimenticare tutto, di volersi nuovamente rinchiudere tra le mura candide della sua fortezza solitaria, svanirono, quando vide davanti a sé un miraggio, una visione.

Una donna adulta, dai capelli rossi ben pettinati ed acconciati, stava camminando verso il numero 13 di Riverside Road. Camminava velocemente, portando delle borse voluminose. Uno dei manici di una borsa si ruppe, facendola cascare a terra e riversando parte del contenuto sul marciapiede, che iniziava ad avere delle impercettibili lastre ghiacciate qua e là.

“Mamma! Aspetta, ti aiuto io!” esclamò la figura dietro la donna. Dietro la figura che l’ex-professore riconobbe come Ginny Weasley, sbucò dall’oscurità una ragazzina. Piuttosto bassa e minuta, aveva dei lunghissimi capelli rossi, parzialmente coperti da un cappello in lana, o così all’uomo parve di vedere. Rossi come quelli della madre, avrebbero constatato le persone normali, ma non Severus, che sentì il cuore agitarsi ed aumentare il numero di battiti. Serrò le mani in due pugni freddi, provati dal gelo che stava calando su quella strada.

L’uomo istintivamente si tolse dall’alone di luce del lampione, per rimanere nel buio e si avvicinò, inconsapevolmente ad un cespuglio.

Si accorse di quel gesto e si vergognò di se stesso: come poteva tornare a fare degli stupidi giochetti da bambini insicuri? Merlino, non aveva più dieci anni, ne aveva sessantadue.

Rimase comunque fermo immobile ad osservare la ragazza chinarsi a terra, sfilarsi i guanti che le coprivano le mani, e raccogliere dei piccoli pacchetti, riponendoli con cura nel sacchetto dal manico rotto. 

“Lily… Merlino, potevo anche usare la magia, per una volta…” osservò Ginny a voce un po’ alta, ringraziando la figlia per quel gesto gentile. Lily Luna prese il sacchetto rotto e si avviò verso l’ingresso di casa, pronta ad entrare nella propria abitazione. 

Sorrise alla madre, dicendo qualcosa di poco comprensibile. E svanì dietro la porta, con quel suo delizioso cappottino grigio - perché era grigio, l’uomo n’era certo. E gli stivaletti neri, e le calze pesanti. E la gonna lunga fino alle ginocchia.

Aveva già visto molto di lei, forse troppo. Ed a malapena si ricordava quello che portava Ginny, la madre. Quel nome, quelle quattro lettere semplici, l’avevano fatto agitare come un ragazzetto in preda alle prime cotte.

Severus aveva bisogno di sentire ancora quella voce cristallina riecheggiare per l’aria pungente. Aveva squarciato le tenebre con la sua figura minuta e ben proporzionata, doveva rompere il silenzio con quella voce che sin da subito gli era parsa melodiosa, ma non svenevole, come quelle delle ragazzine incrociate poco prima per strada.

Era turbato, profondamente turbato. Aveva intravisto Lily Luna Potter ed aveva già parecchie informazioni su di lei.

Aveva potuto vedere per qualche attimo la figura di colei che l’aveva richiamato dall’oscurità e dal silenzio, con due righe semplicissime, nel contempo piene di emozioni.

Che stupido che sei Severus. E’ una ragazzina, che cosa mai può volere da te se non vederti per qualche minuto?

Per il suo bene, avrebbe dovuto fare una sola cosa: lasciarla in pace. Non farsi vedere più del necessario. Giusto darle quel contentino e finirla lì.

Per oggi gli era bastato così. Lui l’aveva vista, lei nemmeno si era accorta della sua presenza, talmente si era immerso nell’oscurità. Poi, le due sembravano avere abbastanza fretta.

Ma l’aveva vista, benché non lo volesse davvero, e quel viso gli si era già impresso nella memoria, perché in realtà, alcuni lineamenti di quel grazioso viso non se n’erano mai andati dai suoi dolorosi ricordi, che preferiva tenere chiusi in un cassetto.

Si allontanò più in fretta che poté da quella casa, cercando un rifugio in uno dei numerosi pub di Norwich. Era l’unico modo per dimenticare quell’incontro, ma qualcosa gli suggerì che non se lo sarebbe mai scordato. Mai. 

* * * 

Quanto amo la canzone dei Delain - Silhouette Of A Dancer <3 Purtroppo non lo trovo in versioni decenti su YouTube, quindi dovreste cercarla voi XD

E amo questo imbranatone di Severus, indeciso, diviso in due... E questo accenno della silhouette di Lilù e lui che rimane folgorato <3 tanto amore a tutte voi che seguite e recensite, siete tutte molto amate <3 

Speriamo che il nostro Sev sia meno imbranato.

 

Vi rimando alla mia pagina Facebook.

 

Con tanto affetto,
la vostra Alessandra.

 

(Adesso vado a ballare la macarena sul nuovo singolo dei Nightwish - Storytime. Nun me piace neanche un po’, salvo solo la parte strumentale)

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Capitolo 5
*** Scene V: Across The Universe ***


Across The Universe

“Words are flowing out like
endless rain into a paper cup
They slither while they pass
They slip away across the universe
Pools of sorrow waves of joy
are drifting through my open mind
Possessing and caressing me”

“Nothing's gonna change my world”

“Images of broken light which
dance before me like a million eyes
They call me on and on across the universe
Thoughts meander like a
restless wind inside a letter box
they tumble blindly as
they make their way across the universe”

The Beatles - Across The Universe

“Norwegian Wood” *. Così recitava l’insegna scavata nel legno, con dei neon bianchi abbaglianti a dare forma al nome del caffè.
Quel posto era pieno di ragazzini ciarlieri e allegri, che assaporavano le loro bevande calde ed i loro dolci con studiata lentezza, intanto che fuori il freddo spingeva i temerari pedoni a camminare con passo veloce e sbrigativo, carichi di sacchetti ricolmi di doni natalizi.
Tutti tranne Severus Piton, intabarrato nel suo lungo cappotto nero di lana. Aveva deciso di essere un minimo presentabile agli occhi dei Potter. Non si era ancora presentato alla famiglia, né tantomeno a Lily Luna, che era riuscito ad intravedere quattro giorni prima. Cercava di passare per un comune Babbano per quelle strade ordinarie e caotiche. Era passato un po’ di tempo da quando aveva cercato di ostentare il suo orgoglio di essere mago. Era ancora orgoglioso, ma non più in maniera così viscerale. Aveva avuto l’occasione di poter ricominciare da capo, in maniera sobria e decorosa, non voleva lasciarsi sfuggire quell’occasione per vivere nella maniera a lui più congeniale.

Lui ed il mare. E basta.

Alcuni passanti lo guardavano con sguardo interrogativo, chiedendosi che cosa avesse da stare impalato di fronte alla vetrina di quel bar frequentato per lo più da adolescenti e giovani. Ma lui sapeva il perché di quel gesto; a momenti stava appoggiando, naturalmente senza volerlo, alla vetrina. Era talmente vicino che poteva vedere la condensa ammassarsi su quel vetro, all’altezza della sua bocca e delle narici.

Era certo di averla vista, Lilù, seduta ad un tavolo facilmente visibile dal vetro, che era in parte coperto di spray decorativo bianco, per le festività. Il suo cappotto, lo stesso che indossava la sera del primo incontro, era appoggiato su un altro mucchio di indumenti in lana e non: cappotti, giacconi imbottiti, sciarpe variopinte, guanti che nel marasma sarebbero rimasti spaiati. Era altre tre persone al tavolo, con i lunghi capelli rossi e mossi parzialmente coperti da quel cappello tipico che forse - non n’era sicuro - si chiamava basco. Le stava bene, pensò, la rendeva unica e diversa da tutti gli altri.

Severus osservava la maniera particolare con cui la ragazza beveva il suo tè. Continuava a far ruotare la tazza, cambiando la mano d’impugnatura. Ora destra, giù la tazza, qualche risata e qualche parola scambiata con uno dei ragazzi, di cui uno sembrava essere suo fratello, giacché aveva quegli occhi verdi indimenticabili e dei tratti tipici dei Potter, e poi Lilù faceva ruotare nuovamente la tazza, afferrandola con la mano sinistra, e portandosela alle labbra. Continuava a soffiare sulla superficie della sua bevanda calda, malgrado mamma Ginny le ripetesse che non c’era bisogno di soffiare per raffreddare il tè, ad un certo punto. E soprattutto, non era molto elegante continuare a soffiarci sopra.

In un attimo, Severus decise, così d’impulso, di entrare dentro il locale. Non era certo che sarebbe riuscito a presentarsi a lei: non avrebbe voluto spaventarla con tutti gli amici ed il fratello presente. L’avrebbe osservata, da lontano, dall’altra parte del locale, ordinando un caffè irlandese e leggendosi tranquillo il quotidiano disponibile al Norwegian Wood. Entrò nel locale con passo frettoloso, lasciandosi avvolgere dal calore degli arredi di legno chiaro e legno scuro, che si combinavano in maniera deliziosa, disegnando interminabili linee geometriche sul pavimento. Al muro, vi erano dei poster perlopiù dei The Beatles. Con nostalgia, pensò quanto Lily, la sua Lily, amasse i Fab4, propinandoglieli in tutte le salse, quando erano ancora amici ed era il benvenuto a casa Evans. Non gli dispiacevano, ma con gli anni aveva sviluppato un’enorme passione per il jazz, in tutte le salse, meglio se con calde voci vellutate ad accompagnare le evoluzioni dei musicisti. Amava molto le interpretazioni di brani classici, di autori come Bach o Satie, in chiave jazz da parte di Jacques Loussier ed il suo bassista e percussionista. Certamente, i The Beatles erano mille volte meglio della musica indegna che ascoltavano i giovani, fatta di donne discinte, di parole volgari, di assoluta banalità. Da quel punto di vista era categorico ed irremovibile. Venne accolto da una ragazza giovane, bionda con le ciocche blu, ed indossava la divisa del locale, con un paio di jeans sdruciti e le scarpe, basse e piatte, di due colori diversi.

Buonasera! Vuole accomodarsi o vuole ordinare qualcosa al banco?” gli chiese educatamente e gentilmente. Allora, non tutti i giovani erano da buttare per la loro irriverenza e maleducazione.

Severus, come sorpreso da quell’apparizione improvvisa, sobbalzò, guardando la giovane un po’ spaventato.
“Al banc...” si fermò subito, riflettendo che al banco sarebbe stato facilmente visto da Lily Luna e dal fratello, che sicuramente conosceva pure lui l’ex-insegnante. “Meglio al tavolo”. Aguzzò la vista, esaminando il locale con occhi poco amichevoli, come se potesse far alzare la gente dal tavolo con una sola occhiataccia. Una volta, quando insegnava, n’era perfettamente in grado: nessuno degli alunni avrebbe vinto quello sguardo granitico ed irremovibile, neanche Potter. Avrebbe potuto riprovarci in quell’istante, ma vedeva che tutti erano chini sui loro telefoni cellulari, aveva imparato il nome di quei piccoli affari luminosi che suonavano senza sosta. Oppure, avevano dei grossi affari con uno schermo luminoso e colorato, dotati di tastiera, laminati di nero o di bianco, con un logo strano, un frutto addentato. Quelli erano dei computer. Il ticchettio delle tastiere era piuttosto silenzioso e si mescolava alla musica ed al chiacchiericcio. Il Norwegian Wood era abbastanza pieno, quel pomeriggio.
Severus trovò un posto a sedere esattamente dall’altra parte del caffè. Si accomodò, tirando fuori dalla tasca interna del cappotto il libro che stava leggendo. “Le Silence de la Mer”* di Vercors. Un libro che stava tentando di leggere goffamente in francese, lingua che stava imparando da autodidatta. Non che sentisse il bisogno di comunicare con gli abitanti di Les Poulains, lo stava apprendendo per mera necessità, nel caso in cui si fosse trovato in seria difficoltà, in una tempesta, o avesse avuto bisogno di cure per improvvisi malesseri che non era in grado di curarsi da solo tramite le sue pozioni. Quel libro lo trovava sublime: parlava dell’ostinato silenzio di un vecchio francese e della giovane nipote, del quale l’ufficiale tedesco s’invaghisce. Tramite dei monologhi fallimentari, il tedesco cercava di inculcare nelle teste di chi l’ospitava l’unità e la fratellanza dei popoli, con un amore sconfinato per la cultura e la letteratura francese. Il silenzio era l’unica forma di risposta e di ostilità nei confronti del tedesco da parte degli ospitanti; la resistenza attiva veniva descritta tramite la pacatezza del mare, che, silenziosamente gorgogliava, illuminato dal sole, ma erodeva le pietre che tentavano di aggrapparsi al fondale del mare, evitando di essere erose. 

Quel silenzio parlava di lui, della sua resistenza al mondo, agli altri. Ma il suo cuore era in tempesta, da quando era arrivato a Norwich, nel Norfolk. E non voleva tutta quella resistenza nei confronti dei Potter. Era duro da ammettere a se stessi, ma Piton non voleva essere totalmente ostile ad Harry ed a sua moglie, figli compresi. D’altronde, era figlio della donna che amava di più. L’unica per la quale avesse fatto qualsiasi cosa, e così era stato. Severus ordinò borbottando il suo Irish Coffee, chiedendo con voce ferma di non metterci troppo whisky e troppa panna. Parlava nella stessa maniera in cui ad Hogwarts chiedeva di creare la pozione perfetta ed equilibrata in tutte le sue componenti. Il caffè elaborato era un piacere da gustare e da assaporare nella maniera più alta e raffinata. Aveva sviluppato un certo amore per il caffè ed il vino rosso, non facendosi mai mancare caffè italiano e vino rosso italiano e francese a Les Poulains. Sì, si stava togliendo dei lussi che prima non poteva concedersi: adesso poteva brindare alla sua libertà senza rimpianti e poteva gustarsi l’eccellente miscela italiana. I galeoni non gli mancavano affatto per concedersi quale vizio innocente.

Finse di alzare il libro all’altezza del naso, di leggerlo con attenzione come se avesse problemi di vista. Essendo un mago, a sessantadue anni gli si era imbiancato solo qualche sparuto capello, ma il suo organismo invecchiava molto lentamente. Era una tattica, mimetizzarsi in quel caffè Babbano, comportandosi come un Babbano in tutto e per tutto. Quindi, a sessantadue anni doveva avere difficoltà a leggere da lontano le parole di Vercors, come ogni uomo normale che si rispetti. Il locale semi-buio non aiutava, d’altro canto. Rimase sullo stesso paragrafo per minuti interminabili. Guardava Lily Luna ridere, sporcarsi di schiuma le labbra, stringere affettuosamente la mano del fratello, che a quanto pare le stava dicendo qualcosa di importante, dato che gli buttò le braccia al collo e lo strinse, con un sorriso enorme in volto. Che fossette che le si formavano sulle guance lisce e lievemente arrossate per il freddo. Le sue piccole rughe d’espressione erano piene di ingenuità e di innocenza. Era una ragazza molto carina, senza ombra di dubbio, ma a volte i suoi occhi castani si facevano incredibilmente seri e vagavano per il locale, cercando, afferrando avidamente qualcosa che gli altri non potevano evidentemente cogliere. Severus notò che aveva un’agenda nera appoggiata sul tavolo. Di tanto in tanto, la giovane l’afferrava e con una penna Babbana, giacché gli amici del Norfolk erano per lo più Babbani, si metteva a scrivere molto velocemente, con una grafia forse nervosa ed ancora più illeggibile rispetto alle poche pergamene che la piccola Lily Luna gli aveva mandato. E poi, stranamente era solita scrivere con la mano sinistra. Severus aveva dato un’occhiata attenta alla sua grafia ed avrebbe giurato che Lilù fosse destrorsa. Ebbe molto in fretta la risposta: la ragazza fermò il momento di sacra ispirazione e cambiò la mano di scrittura ed uno dei ragazzi presenti rimase molto colpito. Era ambidestra. Anche l’ex-professore la guardò strabiliato. Chissà in base a cosa decide di utilizzare una mano, piuttosto che un’altra, pensò incuriosito. Gliel’avrebbe voluto chiedere ben volentieri, se mai avesse avuto il coraggio di farsi avanti. 

La gentile cameriera bionda gli servì con un movimento leggero ed aggraziato il suo caffè irlandese, la cui schiuma presentava un buono spessore. La tazza in vetro non tremò, come capitava ai ragazzi alle prime armi, e la schiuma non colò giù nel piattino. E la ragazza non appoggiò la tazza facendo un macello incredibile, ma riuscì a farle fare un semplice tintinnio. La bevanda calda era accompagnata da alcuni biscottini con il ripieno di marmellata all’albicocca, o da biscottini dalla forma grezza ed irregolare, ricoperti di granella di zucchero. Severus pagò la ragazza, mentre assaggiava con curiosità il proprio caffè, mentre la cameriera aspettava un responso da parte sua. 
“Davvero ottimo, mi complimento. Di rado mi capita di assaggiare un Irish Coffee fatto con tanta cura” disse Severus, allungando una piccola mancia alla ragazza, che arrossì lievemente ed accettò il suo piccolo premio. 
“Grazie, signore, l’ho fatto io, così come i biscottini” rispose con un gran sorriso la bionda, che sulla placchetta di legno tutta decorata, che portava sulla camicia blu elettrico, Severus vi lesse il nome di Amanda. Se si fosse mai recato nuovamente in quel locale, avrebbe cercato lei e lei sola, per i suoi soliti Irish Coffee. E per i biscottini, per quanto Severus Piton non amasse troppo i dolci. Sev sorseggiò il suo caffè con gusto, apprezzandone ogni singolo sorso caldo, guardando Lily Luna, di tanto in tanto. Ad un certo punto, la ragazza dai fluenti capelli rossi si alzò dal tavolo, dirigendosi su un piccolo palco dietro il tavolo dove si erano accomodati. Lilù armeggiò con una grossa e scura consolle, agganciandovi un microfono. Gli amici applaudirono, urlando il nome di “Lilù, Lilù, Lilù”. Severus la guardò perplesso, mentre se ne stava in piedi su quel piccolo palco, con le casse dell’impianto fischianti e rumoreggianti. 
Amanda passò accanto a lui in quell’esatto istante, e lui la chiamò con voce pacata e ferma. “Signorina Amanda, posso chiederle una cosa?”
La ragazza servì dei Frappuccini al tavolo accanto all’ex-professore e poi gli rispose con un cenno affermativo. Stava usando molto la sua voce, rispetto ai suoi ultimi standard. Ammirevole. Sapeva ancora modularla bene.
Mi dica, quella ragazza cosa sta per fare?”
"Oh, Lilù Potter sta per cantare. Ha una gran voce e molto spesso viene qua a cantare. E’ veramente brava, quando può prende lezioni da una cantante di musica leggera popolare nel Norfolk”.
Severus con un cenno congedò la cameriera, borbottando un ringraziamento.
"Grazie mille” esordì Lilù, reggendo con mano sicura il microfono. Severus si chinò verso il tavolo, appoggiando il petto al bordo del tavolino. Si era messo in ascolto. Aveva una voce gentile e delicata, timida, quando parlava.
I suoi amici schiamazzavano e applaudivano, pestando sonoramente i piedi a terra. Che comportamento maleducato nei confronti della cantante, pensò Severus, con disprezzo. 
“Norwegian Wood, dei The Beatles... Vediamo che viene fuori” disse con un sorriso caldo, e premette un pulsante sulla consolle, facendo partire la base. Il sitar si fondeva alla perfezione con la chitarra, dando un ritmo dolce e non troppo veloce. 

I once had a girl, 
or should I say,
she once had me”

La voce era ferma, limpida, senza incertezze. Quella canzone lo riportò indietro di decenni, quando Lily Evans la canticchiava sommessamente mentre rimanevano nel silenzio più assoluto. Il suo timbro caldo non era educato, al contrario di quello della nipote, ma entrambi avevano un fascino incredibile. Sentiva qualcosa pizzicargli gli occhi ed inumidirglieli.

Non poteva mettersi a piangere come un moccioso. Non in quel momento. Tutta la mancanza di un vero contatto con le persone ed il desiderio di avvicinarsi a quella piccola ragazza, fragile, graziosa, lo stavano facendo crollare. Gli mancava Lily, la sua Lily, che oramai era troppo tempo che se n’era andata, sepolta sotto qualche metro di terra da lunghissimi anni.

La ragazza continuò a cantare imperterrita sul suo palco, fino alla fine. Severus in quel momento pensò di alzarsi, fare un rumore d’inferno con la sedia, strusciandola a terra senza contegno. Afferrò il cappotto, rimettendoselo addosso, lasciandolo sbottonato, e tenne in mano il libro, che non si accorse nemmeno che, mentre usciva, gli scivolò dalle mani e cadde a terra. Nel trambusto, non se ne accorse.

Fece qualche passo, godendosi nuovamente l’aria fredda e pungente della sera dicembrina. Finalmente il suo respirò tornò regolare. Si portò una mano sul petto, ripetendosi che non poteva più comportarsi come un adolescente. E non aveva chissà quali intenzioni verso Lily Luna. Rimase fuori dal locale per qualche attimo, guardando la strada spopolarsi di gente, pronta a tornare a casa per cena. Anche il “Norwegian Wood” si stava lentamente svuotando. La gente usciva ridendo e sazia della lauta merenda. Lo scampanellare del ciondolo appeso alla porta si faceva sempre più insistente. Quel rumore allegro lo stava irritando pesantemente, fino a quando quella voce lo riportò sulla terra. L’aveva colpito alle spalle, sorprendendolo in pieno.

Mi scusi! Credo che lei abbia perso questo libro là dentro...” fece Lilù, mentre Severus si voltò verso di lei, guardandola con un’espressione indecifrabile.

Ora o mai più, si disse mentalmente. Non poteva più scappare da ciò che era ineluttabile. 

Tese una mano alla giovane, squadrandola nella maniera più fredda possibile, e le afferrò il libro piuttosto in fretta. Lei lo squadrava a sua volta, con gli occhi che si domandavano se avesse già visto da qualche parte quel signore vestito di nero, dallo sguardo piuttosto cupo. Spalancò la bocca dalla sorpresa. Le aveva dato retta. Aveva acconsentito a farsi vedere a Norwich. Lilù era giubilante.
Signor Piton! E’ lei?! Allora mi è venuto a trovare!” esclamò radiosa Lily, avvicinandosi, tenendogli la mano educatamente. Severus non era solito a stringere le mani alle persone, ma per Lilù fece un’eccezione, ripromettendosi che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe mai fatto un’eccezione per lei.

Sono io, signorina Potter” disse con un’inflessione alquanto neutra e piatta. In realtà, si sentiva in un totale stato di confusione.


* * * 

Buonasera a tutte ed a tutti! 

Meraviglia delle meraviglie, sono malata e neppure poco. Maledizione.

Spero vi piaccia davvero questo capitolo, desideravo ARDENTEMENTE scriverlo e pubblicarlo stasera. 

In breve, le canzoni: 

Across The Universe

Norwegian Wood

Toccata e Fuga di Bach, reinterpretata da Loussier. 

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Un abbraccio, 

Alessandra

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Capitolo 6
*** Scene VI: The Ghost You Gave To Me ***


The Ghost You Gave To Me

For how could one express in words these emotions of the body? Express that emptiness there? It was one’s body feeling, not one’s mind. The physical sensations that went with the bare look of the steps had become suddenly extremely unpleasant. To want and not to have, sent all up her body a hardness, a hollowness, a strain. And then to want and not to have – to want and want – how that wrung the heart, and wrung again and again!”

Virginia Woolf - To The Lighthouse

 

E’ una vittoria strana, dal sapore di Irish Coffee, quella che ho appena portato a casa. Ha i capelli neri, con qualche capello bianco qua e là, ed è sempre vestita di nero.

Ha lo sguardo impenetrabile e parla molto di rado. Si nutre di silenzio per dare silenzio in cambio. Non che mi aspettassi una persona amichevole e socievole, ma tant’è. Il tempo non cambia mai le persone, nemmeno di fronte agli eventi più catastrofici. Il tempo aggiusta qualcosa dentro di noi, ne rompe qualcun altra, per raccoglierne i cocci e costruire un oggetto nuovo, ma sempre fatto della stessa materia. Ci trasformiamo, nulla più. In fondo, rimarremo sempre irascibili, volubili, affettuosi, insensibili... La nostra personalità non muterà mai forma. E a me, va benissimo così. E’ inutile lottare contro una realtà incontestabile ed immutabile. Né tantomeno mi aspetto di farti cambiare, né mi esalto, sognando che tu possa venire qua nel Norkfolk per abitare vicino a noi. Ho quindici anni, ma so come funzionano gli adulti. Lo vedo nei miei genitori e lo vedo in zia Hermione e zio Ron. 

Sono delle teste dure: inconsciamente sperano sempre che l’altro cambi in meglio, secondo le proprie aspettative, lasciando da parte gli aspetti considerati negativi. Non succede mai così, si piange, si soffre e si maledice l’altro che non vuole cambiare. E’ così semplice non farsi delle aspettative di questo tipo, la vita diventa molto più facile e non hai inutili litigi o pianti o sceneggiate che io, personalmente, sopporto molto poco.

Suppongo che ti sia costato molto venire qua da noi. Ti è costato già molto sopportare un Potter, ovvero mio padre, a suo tempo. Figurarsi se puoi sostenere la compagnia di cinque Potter messi assieme sotto uno stesso tetto. Ti chiedo di perdonare le gaffe involontarie di mio papà. E’ rimasto il ragazzo goffo ed imbranato di sempre. So che sarai molto tentato di togliere una cospicua quantità di punti a Grifondoro, in memoria dei vecchi tempi, ma ti prego, cerca di capirlo. 

Tuttavia, non rimpiango affatto di averti portato subito da mio papà. Ci teneva tanto a rivederti. Non si è mai perso d’animo e ti ha sempre scritto qualcosa, in tutti questi anni, nella speranza che tu potessi venirci a trovare.

Non rimpiango di averti presentato a mio fratello Albus Severus, profondamente emozionato nel poter fare la tua conoscenza. Abbiamo parlato molto spesso di te, anche a causa dei racconti dei nostri genitori e dei parenti. E’ molto felice di averti parlato e di averti raccontato qualcosa del suo corso avanzato di Pozioni. 

Quanto a me... Vorrei solo rivederti.  Perché ho solo un pensiero nella testa: poterti tirare fuori da quel silenzio che ti circonda, perché la tua voce possa lasciare una traccia indelebile, guidata dalla mia mano sulla pergamena. 

Perché ci sono storie che non andrebbero mai raccontate ed altre che si meritano la memoria eterna.

Perché ci sono storie che si tenta di annegare nell’oscurità rassicurante del silenzio, quando a loro spetta di brillare per sempre.

Perché la tua storia si merita una seconda possibilità.

Riuscirò a trattenerti qua nel Norfolk, quanto basta per riuscire a darti queste lettere che ho accumulato in una scatola, negli ultimi anni. Non ho mai avuto il coraggio di spedirtele, certa che sarebbero finite in mare. Riuscirò a tenerti qua quanto basta per scrivere tutto di te. Litigheremo, discuteremo, non mi vorrai più vedere per un po’. Poco importa. Io ci voglio provare, fosse l’ultima cosa che faccio, anche a costo di scatenare un putiferio.

Lily Luna

Severus lesse la lettera più volte. Sprofondò nella poltroncina del pub poco distante dalla locanda dove aveva preso una camera per quel periodo. Rimase sconcertato da quelle parole.

Erano scritte sorprendentemente in bella grafia. Ma dove aveva imparato quella ragazzina ad essere così profonda e matura nello scrivere? 

Forse era l’effetto del Whisky che aveva ordinato e che aveva bevuto parecchio in fretta, leggendo la pergamena con la mente sempre meno lucida. Forse era tutta una piacevole illusione e si stava sognando tutto.

C’era solo una persona così testarda che l’aveva accettato, anni prima; aveva accettato la sua amicizia ed aveva capito il suo amore, ed aveva provato a comprendere la sua natura fino in fondo, fino all’estrema conseguenza. Dopo di lei, aveva scelto di barricarsi nella sua torre d’ossidiana, per diventare imperscrutabile ed impenetrabile.

Lei, Lily Evans, ci aveva provato fino a sbattere la testa contro la differenza inconciliabile delle loro essenze. L’aveva amata, ammettendolo quand’era troppo tardi, quell’essenza dalle tinte scure come la notte, quell’essenza sfuggente. Voleva afferrarla tra le sue dita piccole e candide, ma l’era sempre sfuggita dalla presa, malgrado lui desiderasse che lei lo afferrasse per mai più lasciarlo andare.

Una volta, ed era stata l’unica volta in cui aveva cercato conforto nel libro di qualche autore babbano, aveva letto che non tutti gli innamorati, non tutte le anime gemelle, erano destinate a mettersi assieme e vivere felici.

E forse, quella frase lapidaria, aveva risposto ad anni di sofferenza. Da lì, aveva smesso di chiedersi perché la vita gli avesse negato Lily. Aveva piuttosto continuato a ricordarla in maniera discreta, cercando ricordi belli della loro lunga amicizia. Una candela nel giorno della sua morte, per rischiarare il momento più scuro prima dell’alba di un nuovo anno senza di lei.

E Lily Luna era ancora più temeraria dell’illustre nonna, più incosciente e scavezzacollo. Era stata una folle ad aver infilato la lettera a tradimento nella tasca del cappotto nero dell’ex-professore, poco prima che venisse accompagnato da Harry fino alla locanda. Avrebbero potuto parlare a quattr’occhi - o meglio, Harry avrebbe parlato per tutto il tragitto, mentre Severus si sarebbe limitato ad annuire o a borbottare qualcosa.

Ma ciò che l’aveva letteralmente sconvolto era il fatto che Lilù, a casa, chiamasse Albus Severus... Sev. Era rimasto pietrificato, pensando che Lilù si stesse rivolgendo a lui, in quella maniera che solo i ragazzini impudenti e maleducati usavano verso gli adulti. Per qualche attimo non rispose alla domanda che gli aveva posto Harry, lanciando un’occhiata di fuoco alla ragazzina dai capelli rossi, la quale ignorò bellamente quella saettata, dedicandosi al fratello, abbracciandolo forte mentre parlava.

Lily Luna e Albus Severus erano molto affezionati e legati, più di quanto fossero legati a James Sirius, vero e proprio terremoto di casa Potter. Non che non gli volessero bene, ma era palese che i due fratelli più piccoli avessero un legame molto più forte tra di loro. O almeno, così pareva all’ex-professore di Hogwarts, che ripensava ai gesti affettuosi, agli sguardi splendenti e raggianti dei due adolescenti, mentre sorseggiava un altro bicchiere di whisky, questa volta combinato a limone e soda.

Tra le altre cose, Albus Severus, Al per il resto della famiglia e Sev per Lilù,  aveva due occhi verdi, di un verde incredibile ed a lui fin troppo noto. Non riusciva a guardarlo direttamente in faccia. Quegli occhi erano dardi, che gli avrebbero trafitto il petto, e da quelle ferite sarebbero usciti solo fantasmi del passato, che aveva rinunciato ad inseguire da molto tempo. E che non voleva più inseguire, perché sarebbe stato solamente vano. Si era limitato a guardarlo di sfuggita nel buio, prima di presentarsi a casa Potter. Era stato un incontro strano e bizzarro: Ginny Weasley - o forse avrebbe dovuto chiamarla Ginny Potter? - era stata estremamente ospitale e gentile con Severus, come se non si vedessero da appena qualche giorno; Harry era rimasto scioccato, come se si fosse trovato davanti un fantasma, od un redivivo. Per fortuna, una gomitata ben assestata della moglie l’avevano riportato alla realtà, in modo che potesse far accomodare il professore. 

La goffa stretta di mano ed il silenzio imbarazzato di Harry non avevano stranamente innervosito l’uomo, che si era preso il suo tempo per osservare con minuzia il salotto: l’arredamento, i colori scelti, le numerose foto magiche che non si perdevano nemmeno un attimo della crescita dei tre figli della coppia, le dimensioni della libreria... Provava un certo sadico divertimento nel vedere il suo ex-studente goffo ed impacciato, come se gli anni non fossero mai passati. Severus si sentì compiaciuto solo per averlo intimorito, per averlo tenuto in silenzio come a lezione. Era un sentimento che non si sarebbe mai sopito, era più forte di lui. E chi era lui per trattenerlo e mostrarsi clemente con l’ex-Ragazzo-Che-Era-Sopravvissuto? Severus Piton non si era affatto addolcito con gli anni, anzi. Che Harry si aspettasse una persona totalmente in pace con se stessa, tranquilla e serena, dopo la seconda guerra magica? Non sarebbe mai andato a vivere lontano dall’Inghilterra. Non avrebbe quasi perso l’uso della voce. Non si sarebbe ritrovato a disagio in mezzo alla folla del centro di Norwich. Non avrebbe certamente provato l’immediato desiderio di tornarsene a Les Poulains.

Le guerre non portano unicamente la pace. Non esistono solamente gli eroi, quelli che ne escono indenni e senza un graffio. Vi sono i morti da seppellire, i feriti da curare. Quelli feriti fisicamente e quelli tramortiti nello spirito. Vi sono coloro che si porteranno sempre dietro le immagini orrende e cruente di una guerra senza pietà. La guerra lascia uno strascico dietro di sé, fatto d’ombra, di un fondo di inquietudine perenne, che non abbandona mai gli sventurati rimasti intrappolati in quell’oscurità. Severus non aveva trovato la pace, aveva solo trovato dei palliativi in tutti quegli anni e si era accontentato di quelli. Era uno dei tanti che si stava dimenando ancora nell’oscurità, in quel buio profondo che avvolge la volta celeste poco prima dell’alba.

Severus reggeva in una mano il bicchiere pieno di liquore, e nell’altra stringeva la pergamena di quella ragazzina temeraria, che nell’incontro a casa si era dimostrata la più rilassata, assieme al fratello ed alla madre. Come se lo conoscesse da sempre, come se fosse un amico di vecchia data. Vedeva la luce brillante nei suoi occhi nocciola, il suo agio nel parlare, la sua attenzione in quelle poche volte che Severus aveva aperto bocca. L’aveva vista sorridere quando Ginny aveva proposto a Severus di rimanere per cena. L’aveva vista rattristarsi quando lui aveva gentilmente declinato l’invito. Doveva capirlo, era come una creatura che doveva riabituarsi alla luce, dopo esser stata costretta a rimanere nell’oscurità a lungo. 

Osservando i giochi di luce del liquore e del bicchiere, nella scarsa luce del pub, ammise che in fondo, poteva provarci, a raccontare qualcosa del suo passato a Lilù, dato che nutriva quel desiderio profondo ed ostinato. Poteva sempre tentare, non era obbligato a riuscirci fino in fondo e non garantiva il successo. Perché no?

Severus vuotò il bicchiere, scuotendo la testa mentre lo riappoggiava con decisione sul tavolo. Forse stava invecchiando ed era più sensibile ai bisogni di una ragazzina che aveva avuto la fortuna - o la sfortuna - di avere i capelli rossi ed il nome della donna che aveva amato con tutto se stesso. Una bambina dall’animo adulto, molto più adulto di molte persone avanti con l’età, che aveva la sfortuna di avere un padre impacciato ed imbranato, ma leggendario nel mondo dei maghi. 

Lilù era una poetessa, un animo sensibile e delicato, raro più che mai. Ma aveva qualcosa in più nel suo spirito ad incuriosirlo. Non aveva paura di niente, non si fermava di fronte ad alcuna difficoltà. E sapeva ascoltare, aspetto che forse era mancato nel momento decisivo alla nonna. Aveva una gentilezza nello sguardo che di rado aveva trovato nelle persone. Ed era splendente e viva come quegli squarci di rosso, di rosa, di arancio che si vedono nel cielo, poco prima del sorgere del sole. 

Uscì dal pub, camminando distrattamente nella notte e nel freddo, rileggendo quella pergamena più e più volte, illuminata dalle insegne e dalle luci natalizie, affascinato dal modo di scrivere di Lily Luna. E si diede del folle, dieci, cento, mille volte.

* * * 

Non c’è Irish Rain, ma vi regalo un nuovo capitolo di Dancer In The Dark. Insomma, qua viene filtrato l’incontro con i Potter, dalla prospettiva di Severus, che riflette... Insomma è finito in un bel ciclone XD E Lilù è un ciclone, ma è una ragazzetta iper-sensibile <3 Lo saprà sbloccare. Insomma, mi piace questo capitolo!

La canzone è di un gruppo figo progressive rock, i 3 (o Three), e si intitola “The Ghost You Gave To Me”. Purtroppo non ci sono registrazioni decenti :(

Il prossimo aggiornamento è assolutamente Irish Rain! :D Non perdetevelo!

La mia pagina Facebook :D

Un abbraccio, 

Alessandra

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Capitolo 7
*** Scene VII: Dreaming Light ***


Dreaming Light

 

I feel you but I don't really know you

I dreamed of you from the moment I saw you

And I've seen the sunrise in your eyes

The sky... The sea... The light

 

So live your dream beneath the northern horizon

Be at peace, set your heart in flight again

For the light is truth...

The light is you...

 

Anathema - Dreaming Light

 

 

Folle. Folle. Folle”.

Severus se lo ripeté senza sosta, mentre sedeva su quella panchina di Norwich, in un parco quieto e tranquillo, poco distante dal suo locale di musica jazz preferito. Teneva le mani in tasca, nel suo solito cappotto scuro. Sbuffò nervosamente, tirando fuori la mano sinistra e controllando l’ora sul suo orologio da polso. A dire il vero, era l’unica cosa che gli fosse rimasta di suo padre, e che apprezzava vagamente. Un semplicissimo orologio da polso con il cinturino nero e le ore scritte in numeri romani. 

Era alle solite. Aveva brontolato tra sé e sé, rifiutandosi ostinatamente di recarsi a casa Potter, per i giorni seguenti alla lettera di Lilù. Ma per un motivo o per quell’altro, lo invitavano lì per pranzo, per cena, per fare quattro semplici chiacchiere, attività che veniva prontamente lasciata ai componenti della famiglia Potter. Si perdeva in quel groviglio di parole, di fatti e fatterelli di poca importanza ai suoi occhi, vagando per la casa con lo sguardo. Non si sentiva a disagio dentro quelle quattro mura, tutt’altro. Sentiva i suoi muscoli contratti distendersi inconsapevolmente, la schiena affondava con agio nel comodo e largo divano. Anche lo sguardo si faceva meno impenetrabile ed ostile. Era un evento del tutto inaspettato e non controllabile, e si crucciava di non poterlo fermare o controllare. Figurarsi se poi Albus Severus - e ci teneva particolarmente a scandire chiaramente il nome completo del secondo figlio di Potter - si metteva al pianoforte a strimpellare qualche nota. Era molto dotato ed aveva una predilezione piuttosto netta per il jazz e lo swing, cosa che chiaramente folgorò l’ex-professore, anche perché, data la famiglia, non pensava che quel ragazzo potesse sviluppare un gusto così raffinato, con una bravura cristallina.

E appena sentiva un’interpretazione di “Midnight Mood” di Bill Evans, o la  “Sarabanda” di Handel nella versione di Loussier da parte del giovane , un sorrisetto compiaciuto spuntava sulle sue labbra.

E non era neppure in grado di domare quel nervosismo quel pomeriggio, era così differente dal solito. Gli era ignoto, o meglio, credeva di averlo messo da parte tanto tempo fa, quando aveva lasciato che il cuore affondasse nelle profondità di un mare nero creato dalla malvagità di un uomo di nome Lord Voldemort. Era il nervosismo dell’amore, della piacevolezza di avere la compagnia di qualcuno di speciale. Era una sensazione estremamente positiva che si stava impossessando di lui.

E quando Lilù gli apparve davanti, mentre era assorto nei suoi pensieri, quasi si spaventò. Il sole era già basso, si nascondeva tra i rami nudi degli alberi del parco. Qualche raggio colpiva la chioma rossa di Lilù, che appariva ancora più fiammeggiante. Aveva un sorriso radioso e gioioso sulle labbra. Gli occhi erano brillanti e felici di vederlo. Erano di un nocciola splendido, dovette ammettere a se stesso, per quanto cercasse di non guardarla negli occhi.

Ma quei capelli erano fuoco vivo, fin troppo per la sua vista. Aveva abbastanza coraggio per avvicinarsi a lei, ed ascoltare quello che aveva da dirgli? Aveva abbastanza coraggio per ridarle indietro le sue bellissime pergamene, che lei aveva continuato a ficcargli nella tasca del cappotto, imperterrita, dopo ogni visita dell’uomo alla spensierata famigliola? Certo che no. Si diceva che le avrebbe gettate nel camino, le avrebbe polverizzate, perché non se la sentiva più di correre il rischio di cedere a qualcosa di troppo forte ed intenso, che andava oltre l’affetto per una ragazzina che poteva essere sua nipote. Era Lily Luna, dannazione. Ed era troppo brava a scrivere perché le sue lettere così particolari venissero date in pasto alle fiamme.

Le aveva lette. E rilette. E rilette, fino a consumare i bordi delle pergamene. Rimaneva a bocca aperta di fronte a quante immagini riusciva ad evocare, quella ragazzina. E le teneva lì, tutte assieme nella tasca del cappotto. Ma non gliele avrebbe più date indietro, poiché erano entrate a far parte del suo quotidiano. Era geloso di quelle lettere, di quelle frasi che gli avevano fatto battere nuovamente il cuore. Lilù aveva smosso le acque, ancora una volta.

“Signor Piton! Siete venuto, alla fine. Avevo paura che non veniste più” esclama allegra ed accelera il passo.

Severus la vide camminare veloce verso la loro panchina, levandosi dalle orecchie delle cuffiette chiare, che l’uomo aveva imparato a conoscere, dato che tutti i coetanei della ragazza le possedevano. La osservò sedersi, mantenendo una giusta distanza tra loro e poi vide aprire la grossa borsa blu scuro ed iniziò a frugarvi, fino a quando non estrasse un piccolo fascicolo di pergamene, una boccetta colma d’inchiostro e una penna già usata, a giudicare dalla punta macchiata d’inchiostro.

Severus la guardò profondamente perplesso. Che cosa aveva intenzione di fare? Non aveva detto di avere voglia di parlare un po’ a tu per tu con lui? S’irrigidì lievemente, aggrottando la fronte. Quella minima voglia che poteva avere, era semplicemente sparita, divorata dal sospetto, per un gesto al di fuori del suo controllo.

“Voglio solo parlare, signor Piton. E sono abituata a scrivere intanto che qualcuno mi parla” lo rassicurò candidamente. Era una bugia, o perlomeno, lo era in parte. Era vero che era solita appuntarsi qualcosa mentre qualcuno le parlava, ma non era vero che volesse solo parlare con lui. 

In quel pomeriggio prossimo al Natale, in quel tramonto fiammeggiante e spettacolare, lei era decisa a portarlo alla luce, nella stessa maniera in cui si cerca di riabituare un ferito a camminare nuovamente. E credeva nella magia delle parole, che trasformavano l’oscurità in luce perenne e duratura. Voleva scrivere qualcosa di significativo su quel mago così particolare, così pieno di sfaccettature, sebbene avesse cercato di tenere tutto nell’ombra per tantissimi anni. Voleva fissare nello spazio e nel tempo la sua vita, riportandola su pergamena, perché una vita simile andava raccontata al mondo intero. Era il desiderio più forte che possedeva nel cuore, a volte era talmente intenso che non riusciva a spiegarselo.  

Rimasero in silenzio, a godersi il crescente silenzio attorno a loro. Faceva molto freddo, pertanto la gente non si tratteneva molto fuori, gli unici temerari erano loro due. Cercavano un minimo di calore e conforto nei morenti raggi di sole, che si facevano sempre più scuri. Lilù pensò bene di affrettarsi a cercare di far parlare un po’ l’uomo, non aveva molta luce a disposizione, pertanto afferrò la penna con la mano destra e si voltò verso Severus.

“Quando si è sentito veramente... Felice?” gli chiese in maniera diretta, sperando di ottenere in cambio una risposta adeguata.

Nell’ordine, l’ex-professore e Mangiamorte pensò di non rispondere, poi di arrampicarsi sui vetri, come terza cosa di saltare in piedi e di dirle che non rispondeva a domande così futili... E come quarta cosa si mise a pensare attentamente. Gli era impossibile cercare di comportarsi come sempre, come il Severus Piton che incuteva timore, che era sempre al limite di perdere il controllo e di dare in escandescenze.

“Signorina Potter” l’apostrofò, incrociando le braccia. Le sue mani soffrivano particolarmente il freddo e si diede dello sciocco per non essersi portato dietro dei guanti.

“Sa che questa è una domanda indiscreta e potrei anche non rispondere?”.

Lily piegò la bocca da un lato, in una smorfia che esprimeva una certa irriverenza. Non che la ragazzina fosse una maleducata, anzi, Ginny Weasley aveva fatto un ottimo lavoro per quanto riguardava l’educazione dei figli, ma in un certo senso si aspettava una reazione simile da parte dell’uomo.

“Si ricordi che le domande non sono mai indiscrete. Sono le risposte che possono essere imbarazzanti”.

Colpito ed affondato.

Severus sbuffò. “Allora, signorina, sarò breve. Come lei ben sa, perché sicuramente il suo caro papà glielo avrà detto... Io...” s’interruppe. Non riusciva ad articolare una frase compiuta per poter spiegare che ciò che l’aveva reso felice era un sogno d’amore. O forse era stato realtà e non se n’era mai reso conto. Come fare a spiegare alla figlia di quel ragazzo amato ed odiato allo stesso tempo, che di felicità ne aveva avuta ben poca in vita sua? E soprattutto, perché si preoccupava di raccontare i fatti suoi ad una sconosciuta? Forse perché non era del tutto sconosciuta al suo cuore.

Lilù lo guardava con occhi luminosi e carichi di speranza. La mano tremava appena nel reggere la penna. Si era sfilata il guanto per scrivere meglio e Severus pensò che si sarebbe congelata quelle piccole dita, se l’avesse fatta attendere troppo. 

“...Io non sono una persona che ama raccontare fatti della sua vita... A... Chiunque. Preferisco tenerli per me” borbottò, scrollando le spalle.

“Quindi, signore, non mi vuole rispondere?” chiese calma la ragazza, con un sorriso sereno sul volto. Sembrava quasi aspettarselo e questo dava sui nervi all’uomo. Pareva un libro aperto ai suoi occhi e questo lo indisponeva.

“No”.

“No?” azzardò nuovamente la giovane.

“No vuol dire no, a meno che questa parola non abbia mutato di significato, in questi anni di lontananza dalla comunità da parte del sottoscritto”.

Aveva detto troppo: Lilù iniziò a subissarlo di domande. Gli chiese se si sentisse felice nella sua solitudine, nel suo essere a tu per tu con il mare, lontano da Hogwarts e dal mondo magico. La giovane voleva disperatamente iniziare a scrivere la storia di Severus partendo dal ricordo più felice, poiché provava una repulsione sincera per la tristezza. E voleva capire se quel sogno ricorrente, dove lei aveva sempre visto Severus chiaramente e in maniera distinta, l’avesse fatto pure lui. Cercava un nesso importante, vitale, che aveva sempre solo supposto ed immaginato. Aveva bisogno di quella prova, per sentirsi in pace con se stessa, per essere sicura di non aver sbagliato a capire il senso della sua esistenza. 

Non rispondeva Severus, o lo faceva alla sua maniera, come sempre: prima, poneva una strenua resistenza, preferendo il silenzio. Poi, le parole prendevano una forma ed uscivano spontaneamente, libere da catene e da limiti. A Lilù quel timbro di voce piaceva, le sembrava familiare. Un suono che l’accompagnava da una vita, sin da quando era in fasce. Tutto questo parve incredibile a Severus. Stava parlando di sé, o meglio, stava cercando di rimettere assieme le sue memorie. I suoi ricordi più piacevoli, eludendo ancora quel ricordo di una bellezza indescrivibile. Non si sentiva ancora sicuro di raccontare una memoria così intima ad un’adolescente, per quanto sentisse in maniera istintiva di potersi fidare di lei. 

Stava imparando, ancora una volta, a rincorrere la luce. Si sentiva in un certo senso pronto ad abbandonare l’oscurità, pronto ad aggrapparsi alla luminosa Lilù, che l’avrebbe portato verso orizzonti splendidi e sereni. Si era forse dimenticato come si potesse desiderare la purezza di un raggio di luce, ma la ragazza era ben pronta ad insegnarglielo nuovamente. 

E la penna scriveva e scricchiolava piacevolmente sulla pergamena e Severus non seppe trovare un altro gesto così bello e spontaneo, in quel pomeriggio dicembrino, dove il sole, oramai basso, infuocava il parco di Norwich.

Poco prima di separarsi, prima che lei tornasse a casa dalla propria famiglia, e prima che Severus s’infilasse nel suo locale preferito, Lilù non poté fare a meno di cacciargli un bigliettino tra le mani. La solita lettera era già stata infilata nella tasca del cappotto nero, a tradimento. Era imprendibile ed inafferrabile, pensò Severus: non riusciva mai a bloccarla, nemmeno quando se la ritrovava davanti ai propri occhi.

Quando scomparve dalla sua vista, con i capelli rossi che ondeggiavano nella folla, l’uomo si decise a leggere il bigliettino. Con le mani ghiacciate, lo aprì lentamente.

Buon Natale, signor Piton.

Lilù

* * *

Have yourself a Merry Little Christmas!

Blankette, aka Alessandra <3

P.s Non manca molto alla fine di Dancer <3 Mi mancherà da morire 'sta storia. <3

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Capitolo 8
*** Scene VIII: She Did It Again ***


She Did It Again!

 

Quando la vita mi prende in giro e mi schiaffeggia, non faccio che porgere l'altra guancia. E quando lo schiaffo mi ha colpito, chiudo gli occhi, perché non li voglio più riaprire di fronte alla realtà crudele.
E immagino di tornare indietro nel tempo, di decenni. Negli anni '30 o '40 del secolo scorso. Di vivere in un locale poco illuminato, pieno di candele, di bicchieri colmi di champagne. Di avere un palco tutto per me, le scarpe con il tacco per fare rumore mentre canto e ballo. 


Sogno tutto in bianco e nero, come in quei film d'epoca, che mi ha fatto conoscere Albus Severus - lo so, non vuoi che io lo chiami Sev in tua presenza. Ricordo quando ci nascondevamo in camera di mamma e papà a vedere quei vecchi film alla televisione, quando loro erano fuori con gli zii e ci tenevamo per mano, fantasticando e canticchiando parole senza senso. E dopo, quando i nostri genitori facevano ritorno dalla loro serata fuori, ci trovavano a ballare sul loro letto, o al pianoforte giù in soggiorno. Al ha un orecchio spaventoso, tutto quello che sente riesce a suonarlo al pianoforte. Ed ora sta diventando un jazzista incredibile, e di tanto in tanto si esibisce in quel locale che sappiamo che frequenti anche tu. So che non ti è dispiaciuto l’altra sera, quando ha partecipato alla serata di tributo a Bill Evans.

“Dancing In The Dark” ti è piaciuta parecchio, da quel che mi è stato detto da mio fratello. 

Perché alla fine, non ti sembra che stiamo ballando, ancora un po’ incerti, all’ombra di alberi ghiacciati? Hai ancora un po’ di timore a scoprirti, ma la mia penna scorre veloce sulla pergamena, afferrando le tue parole prima che tu possa rimangiartele. Stanno diventando parecchi fogli, e tra poco terminerò quella che è la tua storia, la tua testimonianza. Certo, so bene che te l’ho un po’ strappata di bocca, ma dallo sguardo ho potuto percepire una certa fiducia nelle mie capacità e questo mi rende davvero felice.

Non imparerai mai ad aprirti completamente, ma questo lo so, non pretendo che tu arrivi a così tanto. Perché quello che mi dai è sufficiente. Perché riesco ugualmente ad afferrarti, a portarti un po’ sotto i raggi solari di questo sole invernale. Eppure, sotto il sole vedo che sei diverso, vedo che siamo più distanti, più insicuri. Abbiamo forse più paura della luce, perché ci si scopre più facilmente, si è più esposti e giudicati con maggiore immediatezza.

Io ti ho fatto apprezzare il sole, mentre io ho imparato ad amare un po’ di ombra e di oscurità. Sono diventata molto più silenziosa, più attenta a parlare con tutti, forse contagiata da te. Ho ripreso a rintanarmi nel rassicurante bianco e nero di quei film che avevo accantonato una volta diventata un po’ più grande, presa da Hogwarts e da altri pensieri.

Ho imparato nuovamente ad immergermi in un mondo migliore, forse più spensierato, idealizzato, magico a modo suo, pieno di musica e di balli oramai vecchi. Ma capisco anche che questo non è il modo migliore per affrontare il mondo.

La realtà a volte è più strana dell'immaginazione. E a volte preferisco dormire e sognare.

Sogno te.

Severus era rimasto sconvolto di fronte alle ultime due parole. 

Aveva combinato un pasticcio, un guaio irreparabile nel lasciarsi andare così, nell’accettare di essere travolto da quell’entusiasmo giovanile di cercare testimonianze di superstiti di guerra, quale lui era. Soprattutto, se la giovane ricercatrice e scrittrice era Lily Luna Potter.

Ma perché non se n’era andato subito, non appena si era sentito tutto sommato vagamente contento di essere preso in considerazione da qualcuno, a prescindere che fosse la figlia dell’eroe del mondo magico - e per inciso, figlio della donna che aveva amato una vita intera? Non si era mai stancato di definirlo con quel giro assurdo di parole? Non si era mai stufato di riportare in luce quell’amore al quale si era aggrappato per tanti anni, come unica speranza di sopravvivenza?

Quante volte aveva richiamato alla luce quel dolce ricordo, nei momenti di sconforto? Quante volte aveva ricercato le labbra della madre di Harry, quante volte aveva sperato di ritrovare la figura vestita di bianco, appoggiata alla finestra, proprio come quando l’aveva appoggiata al vetro quella notte, per farle vedere il mare in tempesta, per lasciarla senza fiato, intanto che cercava di scioglierle il semplice laccio del vestito.

In quei pochi giorni, quella ragazzina era riuscita a distruggere anni di barriere accuratamente costruite. O forse si era lasciato conquistare da quei capelli rossi - e da quegli occhi nocciola e da quella gentilezza che gli ricordava l’unica persona che gliel’avesse mai data, da ragazzo?

In quei giorni, brevi, intensi, dove aveva vissuto più che negli ultimi decenni, si era reso conto che l’amore, o comunque qualsiasi legame, era fatto non di incontri casuali, ma di eterni ritorni. 

Con qualche debita e doverosa differenza.

Lily non gli aveva mai scritto uno straccio di pergamena che fosse una.

Lilù era un fiume in piena, una grafomane. 

Lily non aveva avuto quella capacità di ascoltare, non aveva avuto quella pazienza nel cogliere il mare di sfumature che esistevano tra il nero ed il bianco. Aveva preferito limitare il suo spettro di colori e di tonalità, semplificandosi la vita. Gettando nella disperazione l’uomo che l’avrebbe trattata come una regina, e lui, accecato da tanta luce sprezzante, l’aveva buttata tra le braccia di colui che non vedeva l’ora di rimandarla nel buio.

Lilù sapeva ascoltare, sapeva cogliere tutte le sfumature, senza farsene sfuggire una. Era un arcobaleno, era complessa, era di una schiettezza e semplicità disarmante.

Lily non c’era più. E l’ultimo ricordo che aveva di lei era quel suo sguardo pieno di rancore, di disprezzo per quel “Sangue Sporco” che non avrebbe mai dovuto dire.

Lilù era viva. E cantava, rideva, ascoltava la musica con quelle sue strane cuffie. E cercava la sua compagnia, noncurante dell’opinione altrui.

Lily aveva dato retta ad opinioni e voci sbagliate, così come lui si era fatto irretire da sirene sbagliate ed ingannevoli.

Ora aveva la vita davanti. Un secondo giro sulla giostra della vita, con qualche bella soddisfazione, forse, ancora tutta da ottenere. E aveva davanti una singolare ragazzina che sembrava essere la sua ricompensa. Ma poteva meritarsi la compagnia e l’affetto da parte di una ragazza simile, dopo tutti gli sforzi fatti per isolarsi dal resto del mondo?

Lanciò qualche maledizione al fratello di Lilù, che era prontamente corso a dire alla ragazza della presenza dell’ex-professore a quella serata tributo. Albus Severus si era aggirato per il pubblico dopo la sua esibizione ed aveva trovato praticamente subito l’uomo, seduto ad un tavolino appartato con un calice di vino rosso. Senza troppi complimenti, si era accomodato da lui, parlando, sorseggiando un poco del suo vino, raccogliendo qualche complimento, a dire il vero più simili a dei borbottii. In realtà, a Severus era piaciuta parecchio l’esibizione del ragazzo, ma non l’avrebbe mai ammesso pubblicamente, per il timore che Al potesse montarsi troppo la testa e non continuare a migliorare quell’immenso potenziale che aveva tra le mani.

Ci era cascato, un’altra volta. Aveva persino smesso di resistere, di esitare, di perdersi in giri di elucubrazioni inutili. Era da poco passato Natale, ed aveva accettato di vedere nuovamente Lilù. Si era rifiutato di passare la festività in mezzo alla mandria di Weasley e di Potter messi assieme sotto uno stesso tetto, avrebbe messo a dura prova la sua soglia di sopportazione. Questa volta però il luogo d’incontro sarebbe stato diverso. E soprattutto, di sera, presso il suo locale preferito. Impudenza? Necessità di trovare un luogo caldo, anziché starsene fuori al gelo? Forse Severus aveva smesso di farci caso. E comunque, non voleva trovarsi Potter nella stanza della locanda a sbraitare perché la sua unica figlia femmina aveva preso l’influenza - grave malattia incurabile per un padre con una sola figlia femmina, peraltro la più piccola dei tre - pertanto accettò di vedere la ragazza presso il Blue Moon Swing.

Quando entrò, la cercò con lo sguardo, senza trovarla. Diede un’occhiata all’orologio appeso alla parete e scosse la testa. Lily Luna non era mai in ritardo, anzi, di solito arrivava sempre con qualche minuto d’anticipo. Nell’attesa, avrebbe cercato un tavolo al quale accomodarsi, magari il suo solito. Era abbastanza restio a cambiarlo, dato anche che aveva un’ottima visuale del palco poco distante. Con sguardo attento, si premurò di controllare che il suo posto fosse libero, nell’attesa dell’arrivo della piccola Potter. E con suo sommo stupore, vide che era occupato proprio dai Potter, non esattamente al gran completo. Ginny, Harry e James Sirius - il figlio maggiore dei tre, quello che aveva conosciuto di meno, dato che era sempre via per gli allenamenti per la Nazionale inglese di Quidditch. E dati i nomi, non ci teneva particolarmente a conoscerlo bene - erano seduti al suo tavolo. Harry individuò subito il suo ex-professore e con un sorriso lo invitò ad accomodarsi lì con loro.

Riluttante, Severus li raggiunse. Che cosa poteva fare? Di certo, non voltarsi ed andarsene, andava contro i suoi ferrei principi di galanteria e di cavalleria. Anche se una parte di sé, per una vita intera, gli aveva sempre urlato di voltarsi e fuggire lontano da tutti.

Si sedette salutando Ginny, James Sirius ed Harry nell’ordine e poi rimase in silenzio, interrogandosi dove fossero finiti gli altri due ragazzi.

“Buonasera, signor Piton” disse Ginny calorosa “E’ venuto a vedere  l’esibizione dei nostri due ragazzi? Mi fa molto piacere, Al era così contento l’altra sera di trovarla qui!”

Severus maledisse due volte Albus Severus e la sua lingua lunga ed accettò più volentieri il calice di vino rosso che gli veniva offerto. Merlino, almeno Harry aveva imparato un minimo di buon gusto nel scegliere il vino. Con tutta probabilità, però, poteva essere stata una scelta di Ginny. Severus non aveva nulla in contrario contro la sua ex-allieva, anzi, era sempre stata una brava studentessa molto tranquilla e diligente. Pensò che, dopotutto, dovesse essere una santa donna nel sopportare quell’uomo e la sua goffaggine clamorosa, che non era affatto sparita negli anni, ma si era solamente ridimensionata.

Ci mise un po’ a capire che Lily Luna si sarebbe esibita con il fratello.

Lì, su quel palco, davanti a lui.

“Chiedo scusa, ma l’assenza da queste parti negli ultimi anni mi costringe a porvi una domanda... Ma Lily Luna non è forse troppo giovane per esibirsi in un locale?” chiese, aggrottando la fronte. Ci mancava solo che Potter mettesse in mostra i talenti dei propri figli come se fossero dei fenomeni da baraccone.

“Certo che no” rispose Harry, mettendosi a suo agio sulla poltroncina “Voglio dire, Al è maggiorenne e ha deciso lui di suonare per questo locale, in tutta autonomia. D’altronde, il proprietario conosce me e Ginny da anni, anche se ultimamente non l’abbiamo frequentato molto. Con l’età si diventa più pigri...”.

Severus non amava di certo quel perdersi in giri di parole da parte di Harry. Era un vizio che non aveva mai perso. Lo invitò a continuare, arrivando al nodo della questione.

“Per quanto riguarda Lilù, è stato Al ad insistere per averla sul palco, ma solo per due canzoni. Direi che  è una richiesta tutto sommato innocua. Avrei avuto più da ridire se avesse voluto partecipare ad un concorso di bellezza”.

“Già, papà, perché saresti stato geloso di ogni ragazzo che le avrebbe messo gli occhi addosso” disse ridendo James, rubandogli da sotto il naso il calice di vino.

“James! Solo un sorso di vino, per Merlino! Sei ancora piccolo per bere!” esclamò Harry, allungando una mano per riprendersi il bicchiere.

“Per tutti i Boccini, sono maggiorenne pure io!” sbuffò James, che ridiede al padre il calice, dopo aver bevuto un sorso esatto.

“Questo non ti autorizza a diventare un alcolizzato! E poi, devi mantenerti in forma per la Nazionale di Quidditch” disse con sguardo bonario Harry. James Sirius roteò gli occhi e rivolse lo sguardo al palco.

“Ma che chioccia che è diventato Potter” pensò sarcastico Severus. Con una certa apprensione, si chiese che cosa potesse pensare del fatto che la propria figliola si vedesse con il suo ex-professore. Insomma, con una persona che poteva essere benissimo suo nonno. E’ vero, però, che da parte sua non c’era stato nessun gesto che potesse far pensare a strane relazioni. Lei, dal canto suo, si era dimostrata molto amichevole e gentile, con una genuina curiosità nei suoi confronti.

Ma non poteva sapere gli alti e bassi di un’adolescente. Non poteva sapere fino in fondo che cosa passasse per la testa di una ragazza così piena di creatività e di gioia. Non poteva sapere tutto di lei, così come Lilù non avrebbe mai conosciuto fino in fondo quell’uomo misterioso.

Le luci si fecero molto più soffuse e il palco rivelò un meraviglioso pianoforte a coda nero, ed altri strumenti, quali chitarre, acustiche ed elettriche, batteria e basso.

Un fiume di applausi accolse i musicisti, ma soprattutto Albus Severus Potter, l’ultimo ad arrivare. S’inchinò e sorrise alla platea, prima di sedersi e sistemarsi l’altezza del seggiolino del pianoforte. I suoi compagni avevano già iniziato a suonare qualcosa, in attesa che lui attaccasse con il primo brano.

L’inizio era uno di quelli sorprendenti, anche per i genitori stessi, che erano rimasti volutamente all’oscuro del materiale preparato dal ragazzo, che pareva divertirsi davvero tanto sul palco, a giudicare dalla brillantezza  dalla gaiezza degli occhi verdi.

Dato che i genitori erano intenti ad osservare il figlio, James Sirius, con espressione un po’ persa - non amava particolarmente il jazz e quel genere di musica - si voltò verso Severus e gli chiese qualcosa.

“Mi scusi, lei da quel che ho capito se ne intende di questa musica. Che canzone è?”.

“E’ un brano di Michel Petrucciani, ragazzo, “She Did It Again”” rispose lui asciutto. 

“Carino, ma non me ne intendo di questa roba. Troppo raffinata e complessa per me” esclamò con un sorriso. Ringraziò Severus per l’informazione e si voltò nuovamente a vedere il fratello all’opera. Come poteva chiamarla roba, quella musica? Che ragazzo rude.

A lato del palco, coperta da parte del sipario, Severus intravide Lilù, intenta ad osservare rapita suo fratello. Lo ammirava e gli voleva veramente molto bene. Era chiaramente emozionata, fremeva per salire sul palco con lui.

Ed in un attimo, il tempo volò, nell’attesa di rivedere quella ragazza, di poterla ammirare nella sua vivacità. Ad un certo punto, Al prese in mano il microfono ed annunciò un’ospite speciale, solo per due brani. 

Lilù entrò in scena con passo un po’ incerto all’inizio, facendosi via via sempre più sicura. Sistemò il microfono in modo tale che mentre cantava potesse vedere il fratello. I due fratelli si sorrisero e Lilù con un cenno del capo fece segno ad Albus di iniziare.

Iniziò con una rassicurante ed immortale “Fly Me To The Moon”, rivisitata per renderla più adatta allo stile della ragazza. Merlino, se era brava ed espressiva, pensò Severus. Rimaneva ancora un po’ aggrappata all’asta del microfono, ma piano piano sciolse la tensione ed iniziò a gesticolare ed a guardare un po’ tutta la platea, cercando di coinvolgerla. Harry era visibilmente commosso, e mentre si avvicinava a Ginny per dirle qualcosa, Severus intercettò un “Ma quant’è brava la mia bambina”.

Severus ascoltava compiaciuto e soddisfatto. Era indubbiamente brava ed aveva un sorriso dolce e raggiante, quando si voltava a guardare suo fratello, che mentre suonava le mandava sorrisi incoraggianti.

Uno scroscio di applausi accolse i musicisti, che prontamente attaccarono con il secondo pezzo, presentando “Murder, He Says” senza troppi giri di parole. Era decisamente un brano più movimentato e swing e Lilù accennò a qualche passo di danza, visibilmente divertita.

Durante la prima strofa, Lilù guardò intensamente Severus, turbandolo profondamente. Che fosse lui il sospirato compagno “almost completely divine”? Merlino, sperava proprio di no, sperava solo si trattasse una coincidenza. 

Sembrava essere lui, l’uomo maldestro con le parole della canzone. Per la prima volta in anni, sentì le guance calde, come se si stesse parlando proprio di lui. Si augurò di non rovinare seriamente la vita a quella ragazza, data la sua scarsa dote comunicativa. La osservava muoversi e cantare con più spensieratezza, era proprio una ventata di allegria, come la brezza pestifera che scombinava i capelli alle ragazze di Les Poulains, quando andavano in giro per il paesino ben abbigliate e pettinate.

Si rese conto di non avere altro che la sua storia da raccontarle, perché non aveva più niente di nuovo, di grandioso e di straordinario da darle. Non le poteva dare balli scatenati di altre epoche, nessun film glorioso in bianco e nero degli anni ’30 o ’40. Lei, che sarebbe stata bellissima, la diva, in uno di quei film d’epoca. Lui aveva fatto il suo tempo, ora era solo il momento di terminare anche quella fase tranquilla della sua vita. Le sarebbe bastato? Non sapeva più cosa volesse dire relazionarsi fino nel profondo con un’altra persona. Si sentiva vecchio, ed arrugginito, benché la buona condizione fisica smentisse quella sua percezione. 

Aveva dovuto aspettare tanto tempo per avere la sua ricompensa, per poter vedere finalmente qualcosa fiorire dentro di sé. 

Si rese conto di essersi completamente isolato, di aver ignorato il resto dell’esibizione di Lilù, che aveva riscosso molto successo e favore da parte del pubblico molto selettivo ed esigente. Non si rese conto che stava fissando il proprio calice vuoto, con un vago rimasuglio di vino in fondo. Iniziava a fare un caldo insopportabile in quel locale e si decise ad alzarsi e prendere una boccata d’aria. Fuori.

Harry parve leggerlo nel pensiero e lo seguì fuori. 

Santo cielo, non Potter, non ORA” pensò al colmo dell’imbarazzo, temendo che potesse fargli qualche domanda scomoda ed impietosa, vedendolo in quello stato.

Uscirono dal Blue Moon Swing, per ritrovarsi nel buio e nel freddo di Norwich. Avevano lasciato i cappotti dentro, dato che si trattava solo di una boccata d’aria. Nel frattempo, le note di “September Second” riecheggiavano in lontananza, ovattate.

“E’ brava la mia Lilù” disse tutt’a un tratto Harry, non cercando un parere di Severus, limitandosi ad affermare una realtà evidente.

Severus annuì, assorto nei suoi pensieri.

“E’ una ragazza molto sensibile, vive in un mondo tutto suo ed ha una curiosità senza limiti” proseguì l’uomo serenamente, non era più un adolescente cocciuto e duro come il muro. Aveva raggiunto un certo grado di maturità e di saggezza. Severus lo guardò con occhi diversi proprio in quel momento, mentre si trovavano a tu per tu, senza altre persone attorno.

“A volte speri che i bambini non possano crescere mai, che possano sempre essere al tuo fianco, pronti per essere coccolati e viziati in qualsiasi disgustosa maniera. Invece, condividono con te solo parte del cammino, per poi scegliere ognuno la propria strada. Ed eventualmente, portano avanti quello che hai iniziato tu, quando non hai più la forza di farlo tu stesso”. Alzò lo sguardo e lo rivolse a Severus, dato che fino a quel momento aveva contemplato la strada ghiacciata. 

Quegli occhi verdi lucidi non gli diedero fastidio, anzi, gli strinsero il cuore. Le ferite rimarginate non si chiudono per sempre, e qualche goccia di sangue spillò ancora una volta, ricordando un passato oramai remoto. 

La memoria andava preservata, custodita da qualche parte. E andava soprattutto rimandata.

Severus non aveva avuto figli, o meglio, non che lui sapesse, dato che aveva avuto qualche donna negli anni; non aveva avuto nessuno da crescere, nessuno da arricchire, nessuno da seguire giorno per giorno, nessuno a cui insegnare quello che aveva appreso in anni ed anni.

E si rese conto in quell’esatto istante, che non stava facendo altro che arricchire Lily Luna, raccontandole della sua vita, del suo passato. La sua vita non sarebbe stata vana, vissuta nell’espiazione di una colpa che oramai era troppo distante nel tempo. Aveva qualcuno a cui indicare la via da seguire, qualcuno a cui affidare il proprio bagaglio di esperienze, e questo qualcuno era ben felice di portarlo sulle proprie spalle. 

Non era troppo tardi per ricominciare.

“Signor Piton, io rientro. Lei rimarrà ancora un po’ fuori, immagino” disse Harry.

Severus non parlò ancora, si limitò nuovamente ad annuire.

“Bene. Grazie per questa conversazione” aggiunse con un sorriso Harry. Severus sorrise, con quel suo solito sorriso sarcastico. Non aveva detto assolutamente nulla ad Harry: voleva fare un po’ di ironia, ora che sapeva che non gli avrebbe potuto togliere punti od infliggere punizioni? 

“Solo una cosa: stia attento a non ferire Lily Luna. Ci tiene tanto a lei. La prego di fare attenzione solo a questo. Si ricordi che è la mia bambina e-” si fermò un istante, prima di riaprire la porta del locale “E che non ho dimenticato come si lancia una Maledizione Cruciatus”.

Severus guardò sgomento Harry rientrare, il quale aveva un sorriso sereno e soddisfatto, come quello di colui che si sente tranquillo dopo un discorso di estrema importanza.

Si girò nuovamente, per calmarsi ed osservare nuovamente la strada deserta e si ritrovò Lily Luna davanti.

Aveva addosso il suo cappotto grigio, la sua sciarpa viola, abbinata a quel buffo basco che portava in testa, ed una borsa scura a tracolla.

“Signor Piton! Le sono piaciuta, allora?” chiese con un sorriso la ragazza, avvicinandosi a lui.

“E’ decisamente brava, signorina Potter. Ha una bella voce” disse in poche parole, capendo che quello non era il punto del discorso. La ragazza era raggiante, ma gli occhi avevano un lucore malinconico.

“A-ascolti. Io... Lei... Io ho finito di appuntarmi la sua storia... Sulle pergamene” disse Lilù, stringendo con nervosismo la tracolla. “Devo solo r-riscriverla in bella grafia... Ma abbiamo finito. Penso. Credo”.

Lilù sentiva le lacrime pungerle gli occhi e per la prima volta in vita sua, aveva difficoltà a parlare in maniera chiara e ben articolata. Voleva dirgli che si era trovata bene, che era stato un onore ed un piacere poterlo conoscere. Ma non voleva farlo uscire dalla sua vita una volta per tutte. Non così, non l’avrebbe più mandato via in questo modo.

“Con questo vuole dirmi che posso tornare a... Casa?” chiese lui, cercando di non farsi travolgere dalle emozioni, dalla malinconia che l’avrebbe preso nei primi giorni, perché tutto sommato, era stato bello avere qualcuno con cui parlare, con cui aprirsi, seppur non totalmente.

“S-sì, cioè. No. C’è dell’altro” disse lei, balbettando, soffocando i singhiozzi. Si rese conto che gli sarebbe mancato terribilmente. La loro panchina, i loro silenzi, le pergamene sparse sulle sue ginocchia e su quelle di Severus, che brontolava per quel disordine. I loro punti di vista diversi, ma complementari, Severus che brontolava di qualsiasi cosa accadesse: della sua grafia, del tempo troppo freddo, dei ragazzini maleducati, di suo padre che era una frana in Pozioni. Quante cose era stato in grado di darle in pochi giorni? Le aveva regalato un mondo, una nuova gamma di sfumature e prospettive.

“Io volevo... R-ringraziarla. Per quello che mi ha dato in questi giorni” disse lei, mentre una lacrima le rigava il viso. Severus si sentiva impacciato. Voleva abbracciarla e rassicurarla, non voleva vederla piangere. Non voleva essere lui la causa del suo pianto. Semmai, era lui a dover ringraziare Lilù.

“Però, mi prometta che non sparirà dalla mia vita, non un’altra volta!” esclamò la ragazza, senza poter lasciare possibilità di replica all’uomo.

In un attimo Lilù si avvicinò, troppo pericolosamente, e cinse la vita di Severus in un abbraccio, appoggiando la testa sul suo petto, nascondendolo nel maglione nero e piangendo sommessamente. Severus si era sentito paralizzato nei primi istanti, non più abituato a gesti simili.

Abbracciò Lily Luna e una mano si appoggiò sul cappello viola della ragazza, togliendoglielo dalla testa. Quella stessa mano passò sui capelli della giovane, che parve tranquillizzarsi all’istante. Lilù si aggrappò più forte all’uomo ed osò alzare la testa, trovando uno sguardo non ostile, non felice e raggiante, perché non era da lui, ma rassicurante e toccato da quelle lacrime.

“Non me ne andrò, se è questo quello che vuole, signorina Potter” disse, mentre quella mano si spostava dai capelli alla guancia della ragazza. “Ma la avverto: non ho molto altro da darle, se non quello che le ho già dato”.

La ragazza s’illuminò di un sorriso raggiante.

“Non sono, e non sarò mai, uno che si perde in molte chiacchiere. Amo l’ordine, per cui deve imparare ad essere ordinata in casa mia e deve imparare a scrivere bene una volta per tutte, per Merlino. Il mare va contemplato in silenzio, soprattutto quando è in tempesta. E va rispettato, non voglio correre a salvarla perché lei agisce in maniera sconsiderata e sciocca. La mia bacchetta magica potrebbe essere casualmente riposta in un cassetto, in tal caso. E niente passeggiate romantiche al tramonto mano nella mano e niente stellate da guardare con sospiri zuccherosi, perché...”.

“Perché potrebbe vomitare?” lo canzonò lei, interrompendolo di botto. Severus rimase interdetto per qualche attimo, colse la citazione e si lasciò sfuggire una risatina.

“Esattamente” rispose. La strinse ancora più affettuosamente a sé. I gesti tradivano l’asprezza delle sue parole. “Queste sono le mie condizioni”.

Lilù si prese qualche attimo per riflettere, e a sorpresa si alzò in punta di piedi per raggiungere la guancia di Severus, schioccandogli un fragoroso bacio sulla guancia. Per un attimo, gli sfuggì una sorta di sorriso compiaciuto. O più semplicemente, il volto si distese, rilassato.

“E niente smancerie di questo genere” brontolò lui, mentre Lilù gli baciò nuovamente la guancia, ridendo sbarazzina. 

* * *

Ok, sto seriamente ridendopiangendo. Ridendo perché è proprio carino questo capitolo, perché Lilù è matta come un cavallo, piangendo, perché... Ahimé. Everything must come to an end, I guess.

E il prossimo capitolo sarà l’ultimo, o forse il penultimo, dipende da cosa deciderò, purtroppo devo farmi guidare dalla fantasia e dalla storia.

(Ma se volete dire la vostra a tal proposito, ditemi pure, vi ascolto sempre volentieri).

Per le canzoni vi rimando a questi link, meravigliosi.

Fly Me To The Moon

She Did It Again!

Murder, He Says.

Vi ricordo la mia Pagina Facebook e il mio Contest su Harry Potter / Tori Amos.

Grazie infinite per il supporto e l’amore che avete dato sinora anche a Dancer In The Dark <3

Buon anno!

Alessandra <3

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Capitolo 9
*** Scene IX: The Spirit Carries On ***


The Spirit Carries On

But could there be more
Have I lived before
Or could this be all that we`ve got?

I used to be frightened of dying
I used to think death was the end
But that was before
I`m not scared anymore
I know that my soul will transcend

I finally feel
At peace with the girl in my dreams
And now that I`m here
It`s perfectly clear
I found out what all of this means

If I die tomorrow
I`d be alright
Because I believe
That after we`re gone
The spirit carries on

Dream Theater – The Spirit Carries On

Lilù aveva smesso di scrivere lunghe e dettagliate pergamene a Severus, non appena aveva messo piede a Les Poulains, poco dopo aver ottenuto i suoi M.A.G.O. ad Hogwarts. Incredibile come in quegli anni non avesse cambiato idea, circa la sua intenzione di andare da Severus, di vivere con lui in una casa bianca con un faro, su un isola relativamente sperduta in Francia.

Severus aveva tentato di persuaderla più di una volta, di pensarci bene, perché la sua storia era già stata scritta – proprio da Lilù! -, il grosso della sua vita era già passato, e temeva di non offrirle molto di più. Forse la ragazza voleva andare a vivere da lui, presa dalla paura di perderlo, pensò più volte l’uomo: ma Lilù liquidava tutto con una risata e una sana scrollata di capo, non smuovendosi dalla sua posizione di un millimetro. Voleva la sua compagnia, desiderava continuare a mantenere vivo quel legame e lo faceva anche per tenerlo legato a questo mondo.

E lo faceva per vedere con i suoi occhi il luogo che parte della sua anima – alla quale aveva dato un nome, un’identità precisa già da tempo, ritrovando pace e tranquillità dentro di sé dopo anni di dubbi ed incertezze – aveva visitato, aveva toccato. Quella parte di sé era stata sdraiata su quel letto, aveva contemplato il mare in tempesta, appoggiata all’enorme vetro del salotto. Aveva amato quell’uomo che Lilù aveva inseguito per così tanto tempo.

Severus, dopo quel Natale bizzarro a Norwich, aveva fatto ritorno a Les Poulains ed era tornato molto di rado in Inghilterra, giusto per far visita ai Potter ed a Lily Luna. I loro pomeriggi venivano immancabilmente passati su quella panchina che avevano fatto loro. Non cambiava molto attorno a loro, le generazioni crescevano, Lilù si faceva una ragazza decisamente più adulta, una cantante di tutto rispetto, sebbene avesse deciso di coltivare solamente la scrittura a livello professionale. Le avevano offerto posti di lavoro come giornalista in questo o quel quotidiano del mondo magico, ma aveva sempre rifiutato con educazione e garbo.

Lilù non aveva più bisogno di scrivere a Severus – e lui dovette ammettere che gli mancavano di tanto in tanto le tasche dei cappotti o del maglioni piene di pergamene scritte da lei. Non aveva più il bisogno di raccontargli alcunché, dato che avrebbe passato con lui più tempo possibile, da quel giorno in avanti. Era giunto il momento di aprire il proprio sguardo verso il mondo esterno, di portare i suoi racconti ad altre persone, magari sconosciute, semplicemente bisognose di qualche parola incoraggiante. Voleva dare loro conforto, con qualche semplice racconto od aneddoto.

E le pergamene iniziarono ad arrivare indirizzate a lei. Fiumi di parole di gente a lei grata, per le risate, per le lacrime, per le riflessioni che aveva saputo suscitare loro. Severus non sapeva dove metterle quelle vagonate di carta proveniente da ogni angolo del globo. Di tanto in tanto, Lilù si assentava da quella casa bianca, per poter andare a presentare i suoi libri, e tornava con qualche pensiero, qualche ricordo da conservare per i tempi futuri. L’uomo si chiedeva perché lei non scrivesse dei diari dei suoi viaggi. Lui non la seguiva, non amava e non aveva mai amato le luci della ribalta; la gente, poi, nel vedere una ragazza così bella e gentile con un uomo molto più grande di lei, si sarebbe dedicata ad una delle attività più antiche dell’universo, ovvero lo spettegolare allegramente e senza riguardo. Crearle ulteriori problemi era proprio l’ultimo dei suoi pensieri: già quel rapporto e quella convivenza erano bizzarri abbastanza agli occhi di qualsiasi persona sana di mente, si era detto innumerevoli volte, figurarsi se avesse iniziato ad seguirla nella sua vita di personaggio pubblico.

Più volte aveva ripensato al loro rapporto inconsueto, specie alla prima volta in cui la giovane aveva messo piede in casa sua su quell’isola. Camminava come se la conoscesse da sempre, sapeva dove mettere i piedi per non far scricchiolare troppo le assi di legno del pavimento, era sicura di sé. Si appoggiò al vetro del soggiorno con aria soddisfatta, con una luce trionfante nei suoi occhi nocciola – non verdi – ed aveva contemplato la meraviglia del mare in burrasca, in un pomeriggio soleggiato e primaverile – non era una notte invernale e non stava arrivando una tempesta devastante. Poi, si era voltata verso di lui, con un sorriso così fresco e limpido da sciogliere qualsiasi resistenza, ed aveva mormorato: “Finalmente sono a casa”.

Lei non gli aveva mai detto del sogno che le aveva rivelato la natura della sua anima, lui non si era mai sognato di tirare in ballo teorie assurde circa seconde vite, reincarnazioni, miti dell’eterno ritorno. Ma di libri, da lui definiti “paccottiglia”, ne aveva letti al riguardo, salvo poi nasconderli da qualche parte, o forse li aveva bruciati, non si ricordava bene. Non aveva mai smesso di pensarci, a dire il vero, al fatto che qualcosa di Lily fosse vivo più che mai in Lilù. Ma l’intelligenza ed il buon senso gli avevano sempre consigliato di lasciar vivere quella ragazza così buona e profonda. Eppure non aveva mai smesso di rifletterci su.

Lilù aveva smesso di avere quel sogno nel momento in cui aveva varcato la soglia di quel meraviglioso faro. Tutto era tornato in ordine nella sua mente, aveva seguito quel richiamo obbediente e con viva curiosità. Ed aveva sentito lo stomaco aggrovigliarsi, man mano che si avvicinava a quel vetro, a quella chaise longue. Le mani le tremavano leggermente, mentre le appoggiava sulla superficie trasparente, senza curarsi del fatto che avrebbe potuto lasciarvi delle macchie. Aveva fatto esattamente come una bambina che vede un panorama mozzafiato per la prima volta in vita sua, pensò divertita, ma per lei non era assolutamente la prima volta. La differenza tra sogno e realtà, rifletté, era comunque piuttosto evidente.

Aveva smesso di vivere momenti in cui l’anima era talmente in fermento e subbuglio senza apparente motivo, da toglierle il respiro. Aveva smesso di aver paura di non essere padrona della sua vita, a causa della pesante eredità che portava, quei capelli rossi che a volte aveva desiderato di tagliarsi o di tingersi. Quella paura era rimasta inconfessata, per mostrare al mondo solamente il lato solare di sé. Era una ragazza con insicurezze e paure, come tutte: aveva scelto però di scacciarle da sola, con i propri mezzi e propri doni. Aveva smesso di remare contro quei momenti in cui le sue emozioni parevano fuori controllo, guidate da qualcun altro: aveva imparato a lasciarsi andare, a raccoglierle, analizzarle con occhio attento, per poi descriverle con attenzione.

E quando varcò il faro di Les Poulains, lasciò libera nell’aria di mare quell’anima complessa e multicolore. La lasciò libera una volta per tutte. Per sé e per nonna Lily. Lasciò andare una volta per tutte la Lilù ragazzina, per entrare lì dentro come donna. Si disse che la Lilù donna avrebbe dovuto parlare con Severus di quel sogno ricorrente. Per semplice questione di completezza e di rispetto nei confronti di chi aveva davanti. E poi, rimaneva sempre una donna: le donne precedenti nella vita di un uomo vengono viste sempre con un certo sospetto e con una punta di gelosia. Voleva capire se Severus vedesse unicamente nonna Lily in lei, o se la considerasse Lily Luna Potter, senza complicazioni.

* * *

Ci erano voluti anni per riuscire a far venire fuori quella domanda, la domanda più complicata di tutta la vita di Lilù. Si era fatta molto più silenziosa, ma più bisognosa di vicinanza, di gesti affettuosi,  che Severus saltuariamente non le faceva mancare.

Avevano i loro spazi, i loro momenti di solitudine. Ed il salotto, assieme alla cucina, era il loro punto di ritrovo. La ragazza di una volta, adesso completamente adulta, non aveva perso l’abitudine di sedersi ai piedi dell’uomo anziano, sebbene l’aspetto fisico fosse cambiato veramente poco negli anni, eccezione fatta per qualche ruga in più sul viso e sulle mani e qualche capello bianco in più di prima. Ultimamente, però, Lilù si sedeva accanto a lui, e non di rado cercava in Severus un abbraccio, una carezza sulla mano, od un buffetto sulle guance, gesto che l’uomo trovava eccessivamente zuccheroso, ma che con l’età, si capisce, aveva finito per concederglielo.

Le lunghe passeggiate lungo la spiaggia – perché alla fine avevano iniziato a farle assieme, e Severus si era conto di quanto fosse bello avere Lilù attorno in quei momenti, specie quando era intenta a rincorrere le onde ed a farsi rincorrere da esse – erano colme di silenzi, e Lilù si era tranquillizzata molto, apparendo molto più pensierosa del solito. Non che Severus amasse intromettersi nel flusso di coscienza della ragazza, ma si stava preoccupando di quell’improvviso cambio di umore e di atteggiamenti in lei. Camminava distrattamente, noncurante delle onde che lambivano le sue caviglie.

Non sapeva che Lilù, qualche giorno prima, nella soffitta della casa, aveva trovato delle cose appartenenti a sua nonna Lily. Una lettera scritta di suo pugno a Sirius Black, un frammento di foto, un ciondolo, una sciarpa meravigliosa verde chiaro, ancora in ottimo stato. Ed una veste di un bianco perlaceo di rara bellezza. Improvvisamente, venne assalita da una viva malinconia, facendola precipitare in un mutismo inconsueto. Per lui Lily era un fantasma costante, una presenza fissa nel suo cuore ed in quella casa. Non che avesse problemi a sopportare il peso del suo fantasma, ma ritrovare quegli oggetti, accuratamente conservati e ben riposti nel baule dopo anni, le avevano fatto specie. Perché non si trattava di un ricordo lontano.

E quella veste bianca, con un laccio appena sotto il seno, l’aveva fatta pensare. A lungo.

Lily era stata lì. Eccome, e le faceva male pensarci. Aveva scoperto tutto questo quando, ingenuamente, pensava di essere diventata lei la signora di quel luogo. Era un pensiero egoista, ma era la realtà dei fatti.

Lilù si fermò a guardare il mare placido e tranquillo. Il sole stava lentamente svanendo tra le onde del mare. I capelli ramati della ragazza erano più vivi che mai, baciati da quei raggi morenti. Sospirò, tenendosi le mani giunte in grembo.

Severus pensò bene che fosse giunto il momento di rompere quel silenzio, che tanto lui amava, ma che non trovava consono a Lilù. In quel momento era lei a trovarsi in difficoltà, persa nell’oscurità della malinconia e della tristezza. Lui non era la persona migliore ed ideale, non era la persona più solare dell’universo, ma le doveva un grosso favore. E poi, la luce era la dimensione di Lilù.

Si avvicinò, lasciando le proprie impronte laddove Lilù le aveva appena lasciate. In ogni caso, la marea le avrebbe presto cancellate. Il contatto con l’acqua fredda fece rabbrividire ed esitare per un attimo l’ex-professore, che si avvicinò alla ragazza, posandole una mano sulla spalla, appena coperta da una larga maglia con lo scollo a barchetta.

“Lily Luna” la chiamò, scandendo bene il suo nome. La ragazza si voltò e lo guardò negli occhi.

“Severus”. Oramai aveva preso l’abitudine a chiamarlo per nome. Non si davano più del lei da tempo, lasciando spazio ad un più pratico darsi del tu. C’era un limite a tutto, in quella inusuale convivenza, basata su un affetto profondissimo.

“Non amo farmi gli affari degli altri, men che meno i tuoi, ma è da qualche tempo che ti vedo turbata” constatò pacatamente, stringendole lievemente la stretta sulla spalla.

Lilù evitò per qualche attimo il suo sguardo, fissando l’acqua increspata che bagnava i loro piedi. Sollevò lo sguardo, e l’uomo poté scorgervi un certo sollievo, ed un’impellente urgenza di sfogarsi con lui.

“Ti chiedo scusa. Sono stata una sciocca” disse lei, tutt’a un tratto con un tono di voce malinconico. Tacque per un momento, per poi riprendere: “C’è una cosa che forse avrei dovuto dirti, tanto, tanto tempo fa”.

La ragazza andò un poco più al largo, con qualche passo lento arrivò ad avere l’acqua fino alle ginocchia. Severus brontolò, perché non poteva piegarsi più di tanto a risvoltare i pantaloni scuri, dato qualche dolore alla schiena, ma decise di seguirla comunque. Un colpo di bacchetta avrebbe risolto le macchie di salsedine sugli indumenti.

“Ebbene?” fece l’uomo, rimanendo sempre un passo indietro rispetto alla ragazza.

“Non prendermi per pazza – te ne prego. E’ qualcosa che mi porto dietro sin dalla mia nascita. Forse da qualche tempo prima. Non guardarmi male e ti prego di non giudicarmi”.

Merlino, pensò Severus, quella ragazza aveva superato i trent’anni, era prossima ai trentacinque il prossimo dicembre, era persino un’affermata scrittrice e stava tutt’a un tratto regredendo allo stadio di ragazzina timorosa ed incerta del giudizio altrui. Ed insicura sull’uso delle parole, lei che non aveva mai sbagliato nulla nella scrittura, o quasi, e che riusciva a scrivere subito in maniera efficace, sebbene chiedesse sempre una lettura attenta ed accurata da parte di Severus, prima di pubblicare definitivamente i propri scritti.

“Lily Luna, ricomponiti e calmati. Da quanto vivi su quest’isola sperduta con questo vecchio insopportabile?” cercò di tranquillizzarla l’uomo, mettendosi al suo fianco, per vedere il sole svanire tra le onde. Iniziava a fare decisamente più freddo.

Lilù accennò ad un sorriso. “I numeri non sono mai stati il mio forte, ma credo oramai diciotto anni, suppergiù”.

“Ti ho mai giudicato in qualche modo?” chiese serenamente l’uomo.

“No, certo che no! Anzi, tu-“.

“Lascia perdere me, concentrati su di te e su quello che mi devi dire, sciocca ragazza!” esclamò Severus, rispolverando per l’occasione il suo tono perentorio da professore. Peccato che non potesse più togliere punti alle casate, Lilù era ben cresciuta per essere una studentessa di Hogwarts.

Era così che si doveva sentire Lilù, all’inizio dei loro incontri, a Norwich. Tante volte aveva dovuto richiamarlo e convincerlo a dire un pugno di frasi che le consentissero di andare avanti con la stesura della sua storia, delle sue memorie. Ripensò per qualche attimo a quegli attimi oramai remoti nella memoria, ma mai dimenticati.

“Scusami. Io voglio solo sapere un’ultima cosa su di te” disse tutto d’un fiato la ragazza. Non avevano mai toccato l’argomento Lily Evans, come se bruciasse ancora a distanza di anni.

Severus sospirò. Non poteva fingersi in preda alla demenza senile, giacché la sua lucidità e la sua memoria di ferro erano rimaste pressoché intatte. E sapeva che prima o poi sarebbe saltato fuori l’argomento, volente o nolente. Ma oramai, era giunto ad un’età in cui i ricordi hanno la stessa tinta e lo stesso sapore e si sovrappongono l’uno sull’altro, per diventare un unico blocco massiccio d’esperienze e di vita vissuta.

“Prima o poi suppongo che qualcuno me l’avrebbe chiesto” mormorò l’uomo, incrociando le braccia sul petto. Lo sguardo di Lilù cadde sulle mani appena rugose dell’uomo. Avevano ancora una presa decisamente salda. Oramai Severus era pronto ad affrontare quel ricordo, osservandolo con un certo distacco, con la dovuta serenità.

“Tu hai amato Lily Evans. Io lo so… L’ho visto con i miei occhi. Era una notte di dicembre. Non so se in sogno o in realtà, ma è stata una visione che mi ha accompagnato per anni. Ho provato e sentito tutto”.

Severus osservò l’alone di raggi solari rimasto in cielo, mentre l’astro era già sparito dall’orizzonte da qualche minuto. Forse in quella paccottiglia di libri, c’era un fondo di verità, dovette ammettere tra sé e sé.

“I-io sono giunta alla conclusione che qualcosa di mia nonna viva in me. Ogni tanto sembra possedermi e risvegliarsi dentro di me… Per anni mi ha fatto vedere la tua casa, i tuoi mobili, tutti i tuoi oggetti… Mi ha richiamato a questa casa per tanto tempo. E le visioni hanno cessato di presentarsi quando ho varcato la soglia di casa tua”.

Severus si voltò per guardarla negli occhi. Non sembrava arrabbiato, semplicemente molto curioso nei confronti di Lilù e della sua confessione.

“Ti ha arrecato disturbo tutto questo?” chiese l’uomo.

“Intendi… Nonna Lily?” rispose lei “Non troppo. Ma…Mi ha fatto temere per anni di essere una sua replica sterile. Mi disturba – e ti prego, non arrabbiarti con me – il fatto di aver trovato dei suoi oggetti in soffitta, l’altro giorno”.

Si aspettava che Severus urlasse o facesse una sceneggiata delle sue, per quell’invasione in soffitta. Ma così non fu. Si chinò leggermente per immergere una mano nell’acqua schiumosa e l’estrasse nuovamente, per detergere l’altra mano. Gli piaceva il contatto con l’acqua fredda, sebbene facesse sempre fatica ad abituarsi, appena immerso.

“E’ normale che ciascuno di noi porti di sé tracce dei propri antenati. Ed è assolutamente normale che queste tracce si risveglino di tanto in tanto” iniziò, misurando accuratamente le parole. Stava scegliendo come risponderle, e sperava di risponderle nella maniera migliore possibile.

“Può darsi che Lily avesse voluto lasciarti un ricordo indelebile di quella notte, per farne memoria da scrivere e tramandare” osservò lui, calmo, con una certa emozione nella voce nel pronunciare il nome della nonna di Lilù.

“Quindi tu l’hai amata davvero, quella notte? Era in carne ed ossa?” chiese sorpresa la ragazza.

L’uomo annuì. “Contro ogni legge che governa questo mondo, presumo, ma sì: era lei. Era viva”. Tacque, pensando che fosse opportuno non indulgere ulteriormente nei dettagli, che voleva tenersi per sé, almeno quelli.

“Mi scuso se ti ha imbarazzato quella visione” aggiunse frettolosamente l’uomo. “Di solito sono fatti miei privati, ma date le circostanze eccezionali, non riesco a spiegarmi come questo possa essere potuto accadere”.

Lilù s’illuminò e sorrise. Era decisamente sollevata.

Rimasero in silenzio qualche attimo, perdendosi nello sciabordio delle onde. I gabbiani erano in procinto di appollaiarsi sulle scogliere circostanti; alcuni di loro si tuffavano verso il mare per procacciarsi del cibo, mentre altri si erano posati sulla superficie dell’acqua, lasciandosi cullare dal movimento ciclico delle onde.

“Ti aveva mai ricambiato Lily? Nella vita precedente, intendo” chiese Lilù, più coraggiosamente. Se il suo compito era scrivere anche quell’ultimo ricordo rimasto coperto dall’oscurità, voleva che fosse scritto alla perfezione.

Severus si limitò a scuotere la testa.

“O meglio, non che io sappia per certo. Forse quella notte ha voluto dirmi che mi amava, che a modo suo mi ha amato. E per quanto abbia apprezzato quello slancio pieno d’amore e di pentimento, rimane il fatto che era comunque troppo tardi, capisci? Perché poi se n’è andata al sorgere del sole, così come è arrivata” aggiunse malinconicamente.

Lilù raccolse quelle parole preziose e toccanti. Di rado Severus si apriva così tanto, e quando lo faceva, lui borbottava sempre che era colpa dell’età. Lilù pensò che nella vita, tante persone che si amano profondamente, non sempre erano destinate a stare assieme, a vivere assieme. E Lily e Severus n’erano la prova.

Il cielo si stava facendo scuro, spegnendo i colori accesi che avevano caratterizzato il tramonto. La ragazza con un piede alzò degli schizzi d’acqua, rivolti a nessuno in particolare. Tutto aveva acquisito una certa chiarezza, per quanto certi eventi potessero essere limitatamente chiari e con una buona dose di mistero che li avrebbe sempre caratterizzati. Aveva capito una volta per tutte che non aveva più tanto senso attaccarsi al passato come se fosse l’unica ancora di salvezza, ma di dare un giusto peso ai ricordi ed agli antenati. E che soprattutto, gli oggetti erano solo un modo come un altro per ricordare la presenza di chi non c’è più. Come le parole che vanno a comporre una biografia, un racconto di una vita. Erano importanti, ma non bisognava diventare dipendenti da essi.

“Tu mi vuoi al tuo fianco in quanto Lily Luna Potter, vero?” chiese infine la donna, sistemandosi i capelli agitati dalla brezza marina.

Severus la guardò, rispolverando il caro vecchio sguardo da professore disperato di fronte ad una domanda di una stupidità allucinante.

“Tu per me sei solo Lily Luna Potter, sciocca ragazza. Cantante, scrittrice, ottima studentessa ad Hogwarts e pessima cuoca. E la persona che mi ha re-insegnato a vivere, tenendo a distanza i fantasmi del passato” disse, con sguardo grato alla ragazza.

* * *

Severus e Lilù si erano seduti sul bagnasciuga, a contemplare il mare notturno e la stellata sopra di loro, sebbene fosse turbata da qualche sporadica nube.

Lilù aveva le ginocchia raccolte al petto, e le aveva circondate con le proprie braccia. I suoi piedi affondavano nella sabbia umidiccia e le loro dita non stavano mai ferme, continuando a scavare. Severus era lì, seduto accanto a lei, con le gambe ben distese, e non parve curarsi troppo della sabbia che la ragazza gli lanciava sui pantaloni. Le aveva affettuosamente accarezzato i capelli per gran parte del tempo, e le aveva cinto le spalle con un braccio.

“Severus?” chiamò Lilù ad un certo punto.

“Dimmi”.

“Noi siamo come le onde: come loro, ritorneremo nuovamente su questa riva. Magari non subito dopo la nostra morte. Però, penso che ci sarà data una possibilità di ricominciare daccapo, di incontrarsi ancora, di ridere ancora assieme, di innamorarsi di nuovo. Perché alla fine, non si muore mai davvero. La nostra anima andrà sempre avanti, oltre questa vita”.

Severus non disse nulla, ma sorrise tra sé e sé, in uno dei suoi rari sorrisi autentici che avesse mai fatto in tutta la sua vita. Era nascosto nell’oscurità, dimensione a lui congeniale, sin da quando era nato. Era bello ballare nell’oscurità del tempo, ignorando quanto potesse rimanere ancora da vivere a lui ed a Lilù.

Ma in cuor suo, pregò affinché quella danza di amore, di luce e buio potesse continuare, in un’altra vita e ancora in un’altra vita. All’infinito. Sempre.

 

* * *

Questa storia mi mancherà da morire. Davvero. Mi è piaciuta davvero tanto da scrivere e l’ho trovata molto particolare ed una bella sfida.

Io ora sono un po’ commossa, e spero che vi piaccia questo capitolo conclusivo. Ma tutti i miei grazie vanno alla pagina Repayment ITA, ad e m m e, a DiraReal, ad Unbreakable_Vow, al mio carissimo RaspberryLad, a kira91, ad Erodiade, a Iurin, a Cabiria Minerva, ad Eden Garden, a Morning Moon, a Glass Heart, a Lis2, a Chiara53, a Violet Acquarius, a MartinaSnape, a Lena Mayfleet, a duedicoppe… E mi scuso con chi posso aver dimenticato. Ma GRAZIE per l’affetto e supporto, immancabili per una scribacchina come me.

 

Ora tornerò all’opera con Irish Rain, ma non dimenticherò il divertimento nello scrivere questi capitoli di un pairing così particolare e speciale. Davvero, non pensavo neanche che sarebbe piaciuta così tanto.

E la canzone conclusiva non può che essere questa: The Spirit Carries On, dei miei amatissimi Dream Theater, che hanno ispirato tutta questa storia. (Solo ora mi accorgo che l’album cardine che mi ha aiutato a scrivere, “Metropolis Pt.II”, è composto da nove atti, come i nove capitoli di questa fan fiction).

Keep the dream alive!

Alessandra <3

P.s. La mia pagina Facebook, il mio contest, prima che me ne dimentichi.

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