Io, lui e gli altri

di Leitmotiv
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Furbizia ***
Capitolo 2: *** Ammirazione ***
Capitolo 3: *** Violenza ***
Capitolo 4: *** Accuse ***
Capitolo 5: *** Pelli ***
Capitolo 6: *** (dis)Sapori ***
Capitolo 7: *** Sabato ***
Capitolo 8: *** Penombra ***
Capitolo 9: *** Segreto! ***
Capitolo 10: *** Neve ***
Capitolo 11: *** Mass media ***
Capitolo 12: *** Prove ***
Capitolo 13: *** Famiglia ***
Capitolo 14: *** Lui, lei ***



Capitolo 1
*** Furbizia ***


Ooooops! Correggendo i capitoli ho invertito il capitolo 6 con il 7, e se non era per un'amica con il cavolo che me ne sarei resa conto!!Chiedo scusa a chi ha letto la storia sino a quel punto ed improvvisamente non ci ha capito un fico secco :D furbizia


               

                                                                                                     FURBIZIA





Come al solito pioveva.
 Dalla gonna grigia a pieghe della divisa, di una lana decisamente idrorepellente, scivolavano gocce che le andavano ad inumidire i calzettoni e i mocassini.  Camminava a passo spedito, arrabattandosi con l'ombrellino pieghevole che si ribaltava a causa di forti ed umide folate di vento; aveva un'aria decisamente infastidita, celata dai capelli chiari, lunghi e disordinati.
Pochi passi dietro di lei,  un ragazzo dall'espressione furba  aveva tutta l'aria di tampinarla; usava uno zaino di tela per ripararsi la testa, ed ogni volta che la ragazza girava l'angolo accorciava le distanze fra di loro con una breve corsa.
La ragazzina termino' la sua fuga una volta giunta davanti ad una della tante terraced house impilate lungo la strada. Frugo' nello zaino alla ricerca di un piccolo mazzo di chiavi,  abbandonando l'ombrello sulle scalette che sopraelevavano l'abitazione dal marciapiede, ed entro' , lasciando la porta aperta alle sue spalle.
Il ragazzo che la seguiva si fermo' davanti alla porta spalancata, osservando la ragazzina scalzare i mocassini, incerto se entrare o aspettare un invito.

- Entra. Mia madre tornera' fra meno di un'ora, e non ho voglia di spiegarle che ci fa un ragazzo sconosciuto  in casa sua.
- Ah...pensavo fosse anche casa tua...  - pronuncio' sarcastico, poggiando zaino e giacca su una lucidissima panca di legno.
- Tecnicamente una casa appartiene a chi l'ha pagata, no? Puoi lasciare le scarpe qui, vicino alle mie.
- Tecnicamente tu...usi troppo la parola "tecnicamente"...!

Lei alzo' le  spalle, con la sua solita, spesso involontaria,  aria scostante  - Non e' vero, uso un buon vocabolario linguistico, io.  
- Ogni tanto parli come una persona anziana, pero' - rilancio' lui, seguendola su per una rampa di scale - Mi ricordi una zia...
- Non mi conosci abbastanza per giudicarmi. Quante volte avremo parlato fino ad ora?
Sorrise - Sai, io mi faccio abbastanza alla svelta un'idea sulle persone con cui ho a che fare.
- E ci azzecchi sempre? Io non credo proprio.
- Vuoi mettermi alla prova?
- No, anche perche' sono sicura che il piu' delle volte t'informi in giro...potresti averlo fatto anche con me. Quindi non mi impressioneresti affatto se ti mettessi a snocciolare qualche dettaglio su di me o la mia famiglia.
- Non hai tutti i torti. Ma io mi sono fatto un'idea di te caratterialmente, non so quasi nulla di te all'infuori di questo...
- Mph! Sbrigati e togliti la camicia. Puoi sederti sulla sedia della scrivania, così riesco a fartelo meglio - gli indico' una banalissima sedia girevole di ecopelle nera, decisamente seriosa e forse poco adatta alla cameretta di un'adolescente - C'e' lo stereo, ma niente musica...ho bisogno di concentrarmi in silenzio.
Cain non aveva accennato a nessuno stereo, ma annuì, sbottonandosi la camicia bianca dal colletto inamidato, metodicamente stirato da mani casalinghe ed esperte - Non dice molto di te la tua camera - disse, osservando i pochi oggetti ordinatamente disposti  sulla mobilia.
Pile di libri dai generi senza un filo logico, una manciata di prodotti cosmetici dall'aria essenziale, una larga poltrona da lettura  antiquata, ed altri oggetti  che ci si aspetterebbe di trovare in una qualsiasi camera da letto. Tuttavia, una camera quasi priva di colore.

- Ho molti libri. Forse potrebbe piacermi la lettura - disse, infilandosi  un  paio di guanti in lattice - Ne ho altri sotto il letto e nell'armadio. La stanza non e' grande, non e' semplice disporli  senza ritrovarmeli fra i piedi.
- Non e' carino da dire..sembra quasi che li disprezzi, così! E poi... - sollevo' un paio di tomi che si trovavano sulla scrivania - non c'e' logica in quel che leggi. Ci sono titoli e generi che sembrano pescati a caso. E tu leggeresti  " Dal big-bang ai buchi neri" contemporaneamente a " Storia dell'araldica imperiale"..? -  le sventolo' i due libri davanti alla faccia - Sembra quasi che tu li abbia acquistati per dimostrare che sei intelligente. 
Pia avvicino' uno sgabello imbottiito alla sedia su cui sedeva il ragazzo, e poggio' un apparecchio compatto, dal'aria pesante, sul pavimento - li ho presi in prestito alla biblioteca, mi interessano le illustrazioni, non il contenuto.
- Se tu non avessi quell'espressione seria, penserei che stai scherzando...
- Senti...posa quei libri e alza il braccio, mi ci vorranno giorni per fartelo, altrimenti! La mia non e' una stanza interessante, quindi possiamo anche smettere di chiaccherarci sopra.

Alzo' la mano guantata, impugnando una specie di pennina alla cui estremita' partiva una lunga molla, ed avvicino' il viso al fianco del ragazzo - Il disegno e' ancora ben visibile, non hai fatto la doccia come ti avevo raccomandato. Ripassare il disegno ci avrebbe tolto dell'altro tempo.
- Di un po', ma siamo sicuri che quell'inchiostro non mi uccidera'? - chiese scettico, indicando un dispenser ammezzato in cui s'intravedeva dell'inchiostro nero.
- Secondo te rischierei il carcere minorile uccidendo coetanei con un inchiostro fuorilegge?
- Fai tatuaggi senza licenza.  Hai pure comprato l'attrezzatura su internet, lasciami il beneficio del dubbio... Ma e' un apparecchio di seconda mano, poi?
Pia si alzo' in piedi,  poggiandogli la punta della penna sotto il mento - Se provassi piacere nell' uccidere, sarebbe piu' divertente farlo ficcandoti questa nella carotide. Ma siccome sono una comune ragazzina che preferisce farsi pagare facendo tatuaggi,  gradisco di piu'  usarla per  lo scopo per cui e' stata creata - concluse, sedendosi nuovamente.

Cain si sfioro' appena la gola, muovendosi sulla sedia; le ruote scricchiolarono sul parquet - "Comune ragazzina" non fa pandant con "farsi pagare per fare tatuaggi".  Comunque non credo tu sia una sprovveduta. Sono seduto qui in camera tua, e ti ho gia' dato l'anticipo pattuito, non me ne andrei via solo per un ragionevole dubbio. Era solo per chiedere...
- Posso cominciare? - chiese lei, con una punta di sarcasmo.
Il ragazzo  rilasso' il braccio, per poi rialzarlo e sorreggerlo con l'altro arto, così da lasciarle campo libero sul proprio fianco - Suppongo che pero' fara' un po' male.
- Ci puoi scommettere...

La macchinetta ronzo' rumorosamente per una buona mezzora. Pia  aveva proceduto piuttosto lentamente, poiche' il ragazzo non riusciva a sopportare granche' l'ago sulla propria pelle; il tatuaggio era ancora ben lontano dall'essere finito. La ragazza alzo' lo sguardo al led dell'orologio che aveva sul comodino, sospirando.
- Non andiamo avanti oltre, per oggi. Mia madre stara' per rincasare - gli  disse, ponendo fine al ronzìo monotono dell'attrezzo - Penso che domani potresti venire dopo cena. I tuoi te lo permetterebbero?
- Mia madre e' una fanatica del bingo, e' difficile che rimanga a casa proprio il sabato. Verro' sicuramente - disse, mentre lei ricopriva il tatuaggio con un ritaglio di carta velina e dei cerotti trasparenti  - Ma  i tuoi staranno via molto?
Pia pose con delicatezza i cerotti, scorrendone la superficie con il pollice per farli aderire - Niente doccia anche stavolta, mi raccomando....- dissse, rialzandosi- Il sabato sera  di solito i miei escono a cena insieme, e poi vanno al cinema d'essai  o in qualche altro posto intellettualoide.
- E tu il sabato trasformi la casa in uno studio di tatoo? - sorrise.
- No di sicuro. Faccio quest'eccezione solo per gli studenti della nostra scuola.
Lui si riabbottono' la camicia, mentre la ragazza si era tolta i guanti e gli stava passando la cravatta della divisa - E perche' solo  noi?
- Perche' se dovesse succedere qualcosa saprei dove rintracciarvi...qualcosa di poco pulito, intendo - aggiunse,  ammiccando al letto.

Come ogni adolescente a cui si accenna di sesso, Cain sorrise - Ha senso quel che dici. Sei furba... - le si avvicino' d'un passo - pero' anche chi conosci potrebbe fare i suoi comodi e poi ricattarti in qualche modo .
Le afferro' il polso ed assunse un'espressione piuttosto seria, anche se nei suoi occhi chiari si poteva leggere un certo divertimento.
La ragazzina  serro' il pugno, ma non si mosse, razionalmente sapeva che sua madre sarebbe rincasata fra pochi minuti, inoltre il ragazzo che si trovava a fronteggiare  era poco piu' alto di lei e decisamente magrolino. Le sembro' possibile liberarsene, poteva immaginarsi correre lungo le scale ed uscire in salvo fuori della porta, quindi rimase concentrata, in attesa di una qualsiasi sua mossa.

Cain parlo' nuovamente - Sarebbe molto semplice ricattarti, tu che nascondi un segreto inammissibile per il  buonsenso degli adulti - e con adulti si  riferiva alla categoria "genitori, professori, polizia" -  A questo non avevi  pensato - affermo'.
Pia sbatte' le lunghe ciglia castane. Quel che gli stava dicendo non la sorprendeva, dopotutto - Certo che ci ho pensato.  Ma io ho gia' immaginato cosa farei, nel caso. 
- Avresti una scappatoia? - disse, allentando la presa, forse un po' spiazzato da quella risposta. Poi anche la sua bocca torno' a sorridere - Sarebbe?
Lei ne approfitto' per allontanare il braccio dalla presa di lui, e lo supero' di qualche passo, simulando una certa calma -Sarebbe stupido che io te lo rivelassi, non credi? Ora devi veramente andare.

Scalzi, i due ragazzi scesero al piano di sotto.  Il corridoio si era rabbuiato, se non per i fari delle macchine che proiettavano sprazzi di  luce dalle finestrelle laterali alla porta d'ingresso.
- Piove ancora, puoi prendere il mio ombrello, me lo renderai domani - gli disse, captando lo scrosciare della pioggia sul selciato - Ricordati che devi rimanere asciutto... - lo addito' - Domani sera vedro' di  finire il tatuaggio, ma tu devi impegnarti a rimanere piu' immobile possibile.
-  Avrei dovuto farmi tatuare da un'altra parte...non pensavo che il fianco fosse così' delicato - ammise, ravviandosi i capelli ancora umidi di pioggia - Mi spiace per il bagnato... - disse, accennando alla panca imperlata d'acqua, dove aveva lasciato zaino e giacca .
Lei alzo' le spalle - E' solo un po' d'acqua.
Lui rimase un attimo interdetto, come se avesse altro da dirle, ma non riuscisse a formulare una frase convincente. Sposto' lo sguardo dalle proprie scarpe bagnate alle gambe magre di lei - Io comunque... prima non volevo farti niente, lo avrai capito - disse, alzando lo sguardo verso quello della studentessa. Rise nervosamente, per poi aprire la porta di casa.
Pia annuì, ma non disse  nulla. Ma una volta che il ragazzo fu fuori dall'abitazione, chino sull'ombrello che lei aveva lasciato sulle scale, si sporse oltre la porta - Non ti scordare il resto dei soldi, domani-
Stavolta fu lui ad annuire, nascondendo la propria espressione dietro la circonferenza dell'ombrellino scozzese.







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Capitolo 2
*** Ammirazione ***


ammirazione


                                                                     AMMIRAZIONE








La classe di Cain era composta da una quarantina di elementi, ed era una delle classi piu' chiassose del liceo.
Le quattro mura, rallegrate da poster di natura didattica e qualche stampa artistica, ospitavano almeno una decina di stereotipi tipici di una classe.
C'era quello grasso e arrogante, il teppista brufoloso, la spia dallo sguardo nervoso, il lezzone con le unghie sporche, quello che riscuoteva successo fra le ragazze, i gemelli antipatici, il presunto "finocchio"e via discorrendo. Cain faceva parte della categoria "simpatico ma riservato", categoria a cui appartenevano tutti quei ragazzi che non avevano tanta voglia di avere a che fare con gli elementi piu' esuberanti della classe. E per esuberanza, s'intendeva "casino".

Cain era un ragazzo sveglio, bravino negli studi, considerato simpatico dai coetanei piu' agitati finche' si trattava di  ridere ai loro scherzi, spesso crudeli, non fare la spia e suggerire durante i compiti o le interrogazioni. Tre regole basilari che  Cain Turner, allora matricola,  non si era fatto sfuggire ai fini di sopravvivenza fin dai primi giorni di scuola.
Una delle sue presunte qualita' era quella di  saper  inquadrare le persone con poche occhiate critiche, ed era una di quelle attivita' quotidiane che lo gasavano moltissimo.

Per tutta la giornata scolastica Cain aveva lottato contro il prurito che la carta velina gli stava procurando al fianco, ed il pensiero che la realizzazione del suo tatuaggio fosse appena all'inizio, lo stava convincendo che forse non era stata poi un'idea grandiosa farsi fare un tatuaggio permanente da una ragazzina di quattordici anni, giusto per risparmiare una manciata di sterline. Gli studi di tatoo costavano un botto, troppo per le sue tasche.
- Se prude..cazzo! - aveva pensato piu' volte, stringendo il lapis fra le dita.
- Non hai un'aria molto rilassata, oggi - constato' il ragazzo che era solito sedersi nel posto alla sua sinistra, sporgendosi verso di lui. Jhonny Hans, un biondo slavato che dimostrava almeno cinque anni in piu' dei suoi coetanei - Dopo ce ne andiamo dietro l'emporio, ho una paio di sigarette artigianali che potrebbero fare al caso tuo.
Cain storse il naso - Non c'entra il nervosismo, e' che ho una cosa fastidiosa appiccicata al fianco - Jhonny era un ragazzo a posto, ma non voleva rivelargli che si stava facendo fare un tatuaggio da una del primo anno, perche' in verita' era un gran tirchio - E' un cerotto - aggiunse, prima che l'altro ci posasse le dita per controllare.
- E dove ti sei fatto male? Le hai prese?- chiese il biondino, sottovoce, tornando  con le braccia conserte.
- No... sono rimasto agganciato ad un...un coso sporgente nella rimessa della scuola.
- Eri andato lì per fumare?
Cain colse il suggerimento al volo, ed annuì, tornando con lo sguardo alla lavagna, dove il professore stava appuntando alcune note di biologia.

Dopo le lezioni il giovane Turner  uscì di fretta dalla classe, seminando Jhonny  ancor prima che questo finisse di riporre i libri nello zainetto.  Arrivo' alla propria abitazione, un isolato distante da quella di Pia, saluto' velocemente sua madre  che stava discutendo animatamente al telefono con sua zia su quale colore si adattase alle nuove piastrelle del bagno, e chiuse celermente la porta della propria camera.  Camicia e pantaloni volarono sul letto in meno di venti secondi.
Si posiziono' di fronte alla specchiera interna dell'armadio, circondata da una cornice di piccoli, stravaganti  ritagli di giornale - Stai a vedere che mi sono gia' beccato un'infezione... - penso',  togliendo delicatamente i cerotti .
La porzione di pelle su cui Pia aveva cominciato a puntinare l'inchiostro continuava ad essere arrossata come il giorno precedente, ma non aveva un'aria allarmante. Cain  avvicino' il fianco al vetro della portafinestra, che dava sul cortile, l'unica superficie fresca che la stanza gli offriva.  

- Anche se le creazioni di Pia che ho visto addosso agli altri studenti non sono affatto male,  e' pur sempre una cazzo di ragazzina...e' lenta, e mi chiedo quanta esperienza possa avere - Poggio' la fronte al vetro trasparente - L'altro giorno ho fatto lo splendido con lei, ma in fin dei conti non sono stato capace di dirle che forse dovevo pensarci un po', prima di ingaggiarla... Ma ormai le avevo gia' infilato lo schizzo da realizzare nello zaino. Non potevo fare la figura del coglioncello e  tirami indietro.
Il cellulare che aveva lasciato nei pantaloni vibro', fuoriuscendo dalla tasca sul piumone - Sul display apparve il nome  "Pia T", e la T stava per tatoo. Non che conoscesse altre ragazze con quel nome,  anche se aveva scoperto da una targhetta appesa al suo zaino, che il suo nome completo era Porthia Hunt, ma evidentemente la ragazza trovava piu' consono ed immediato l'abbreviazione in Pia.  Era una cosa da lei, aveva pensato immediatamente Cain.
Quest'ultimo lesse l'sms che gli era stato inviato, stavolta poggiando il fianco arrossato alla specchiera.
- Non scordarti i soldi. Non suonare il campanello, la vicina mi tiene d'occhio quando i miei non ci sono. Quando sei vicino casa fammi uno squillo, ti lascero' la porta aperta, entra subito. Non venire prima delle otto.

- Sembra un ordine da Scotland Yard.
Sospiro', digitando velocemente la risposta , ovviamente, di natura umoristica - Pensi che dovro' togliermi le scarpe gia' in strada e mettermi un passamontagna, o posso entrare come un cristiano qualunque?
La risposta arrivo' in un battibaleno - Non sono cristiana, non capisco quello che vuoi dire.
Cain non capì subito l'accento sarcastico di quelle parole, e comunque non fu del tutto certo che si trattasse veramente di  sarcasmo.


Alle otto e un quarto, Cain si trovava quasi davanti all'abitazione di Pia.
Immedesimato nello spirito di segretezza di quell'incontro, si nascose dietro  un furgone parcheggiato lungo il ciglio della strada, e fece uno squillo alla ragazza, tenedosi pronto allo sprint finale nella sua abitazione; spio' entrambe le case adiacenti a quelle di lei per individuare la vicina ficcanaso, ma nessuna delle due case sembrava illuminata.  Da sotto la luce debole dei lampioni, non poteva scorgere se la porta era stata aperta o meno, così, dopo qualche secondo di titubanza, si tolse veramente le sneackers che indossava, e balzo'scalzo verso casa Hunt.
Cain entro' e si richiuse la porta alle spalle, tutto teso nello sforzo di non far scattare rumorosamente la serratura.

Pia se lo ritrovo' addossato alla porta della propria abitazione, con le scarpe in mano ed il suo ombrellino scozzese sotto braccio.
- Ti sono diventati i calzini marroni - Osservo' placidamente, recuperando il suo ombrellino dalla stretta ascellare del ragazzo.
- .... - Cain avrebbe voluto sparare un qualche tipo di bestemmione, ma il pensiero della vicina appostata nel buio, con l'orecchio appiccicato alle mura, lo fece desistere immediatamente - Magari ora mi tolgo anche questi... - sussurro'.
- Te ne daro' un paio pulito, piu' tardi. Non avrei mai pensato che ti saresti tolto veramente le scarpe, avevo capito che stavi scherzando, e invece... - gli sorrise sorniona, da sopra la spalla - Ho gia' preparato tutto.
 Cain avrebbe voluto spiegargli che era stata lei, piuttosto, nell'sms di risposta di quel pomeriggio, ad essere stata decisamentete poco chiara, ma riuscì a partorire solo una breve domanda, che apparentemente  non  sembrava c'entrare nulla in quel frangente - Pia, sei cristiana?
La ragazza devio' in cucina, ed estrasse due tazze da una vetrina dal disegno moderno ed essenziale - No - rispose un po' sorpresa.
- Ah, ok - Cain si gratto' la tempia, e girello' per la stanza - Hai gia cenato? - chiese, sbirciando del pentolame sporco nel lavello a due vasche.
- Non si sente l'odore? - disse, indicando una pentola di ceramica bianca, adagiata sui fornelli spenti - E' zuppa - Si avvicino' ad un bollitore elettrico - Ho fatto una tisana, così almeno ti rilassi un po' mentre ti tatuo. Puoi bertela anche tutta, così sarai costretto a tenere una tazza in mano tutto il tempo ed eviterai di muoverti in maniera sconsiderata...
Il ragazzo aggrotto' le sopracciglia, ma i suoi occhi chiarissimi parevano sorridere come al solito.

I ragazzi si spostarono in camera. Pia poggio' sulla scrivania il vassoio con le tazze e l'infusore, facendo cenno al ragazzo di togliersi  cardigan e t-shirt. Stavolta prese gli abiti del ragazzo e li piego' sulla poltrona da lettura. Riconobbe il profumo che usava Cain, una fragranza fresca, appena riscaldata da lievi toni legnosi di sandalo ed un altro aroma che i suoi sensi non sapevano definire; lo aveva sentito anche la prima volta che si erano incontrati  nell'angusto ed umido deposito delle  attrezzature della piscina scolastica, ma non l'ultima volta che era venuto a casa sua.
Non gli aveva chiesto che profumo usava, anche se le piaceva davvero molto,  e probabilmente non avrebbe mai ammesso davanti al suo proprietario che lo trovava di suo gusto. Le sembrava un'inutile provocazione, un richiamo all'attrazione dei sessi, ed in cuor suo sapeva che Cain non avrebbe perso l'occasione per dire, maliziosamente, la sua.
- Versati da bere e siediti. Stavolta abbiamo un bel po' di tempo - disse, indossando i soliti guanti di lattice.
- I tuoi non tornano a casa, stanotte?
- Oh no. Torneranno, ma sono andati in un cinema con rassegna al seguito, fuori citta'. Non torneranno prima delle tre - si mise in posizione sullo sgabello, ed accese la macchinetta ronzante - Mio padre esagerera' sicuramente con l'alcol al rinfresco, e mia madre, che ha una guida molto prudente, ci mettera' il doppio del tempo a rifare lo stesso perscorso. Garantito.
- Ma senti un po'! - esclamo'  il ragazzo, colmando le tazze con una tisana semitrasparente ma profumatissima.

Un aroma di liquerizia, finocchio ed una pianta di cui Cain non si ricordava il nome, si diffuse per la stanza.
 Pia era gia' china e concentrata sul suo fianco sinistro, con l'ago in una mano, ed un panno per tamponare l'inchiostro nell'altra.  Con il passare dei minuti, avvolti nel silenzio e nell'aroma di tisana, la mano che stringeva il quadratino di cotone puntinato d'inchiostro, si era rilassata sull'anca del ragazzo; Cain sentiva  il contatto con il lattice del guanto, ed un lembo sfilacciato del panno solleticargli la pelle.  Rimase tuttavia concentrato sulla propria immobilta'.  Abbasso'  lo sguardo alla fronte di Pia, ai suoi capelli biondastri e la frangia lucida e scomposta. Era così lunga da impigliarsi nelle ciglia, e da nasconderle perfettamente le sopracciglia; Cain si chiese se erano piu' scure dei capelli, o  nordiche e chiarissime. Non se lo ricordava, non ci aveva mai fatto caso. Poi lo sguardo scese sul profilo ed oltre, e, siccome i suoi occhi erano pur sempre comandati da un cervello maschile, sbircio' la forma del suo seno, ma la felpa informe che  la ragazza indossava non gli suggeriva granche'.

Pia sollevo' un attimo lo sguardo, forse sentendosi osservata, ma Cain era gia' tornato a fissare gli intarsi della porta laccata di bianco che gli stava davanti.
Dopo un po' fu lui a rompere il silenzio.
- Senti Pia, ma la tua vicina non si chiedera' che cosa e' questo ronzio?
La ragazza si prese un attimo di pausa, sorseggiando un po' di tisana - La vecchietta  dorme al piano di sotto, perche' ha paura di fare le scale di notte, e da lì non puo' sentire cosa sto facendo in camera mia. Ma anche se stessimo al piano di sotto, non distinguerebbe le nostre voci dalla tv o questo ronzìo da un elettrodomestico... Io mi devo preoccupare solo del suono del campanello.
- Hai sempre una risposta per tutto.
- Piu' che altro ho orecchio - disse, afferrandosi un lobo.

Le ore passarono alternandosi fra una sorsata di tisana, ormai fredda, il rumore monotono del marchingegno che pompava  inchiostro, e delle brevi pause di entrambe i ragazzi, in cui Cain chiedeva a Pia la provenienza di  un qualsiasi, banalissimo oggetto della camera,  o  cercava d'introdurre una conversazione di tipo scolastico. E, sebbene i due ragazzi avessero molti piu' punti in comune di quanto si potesse pensare dall'esterno, Pia scoraggiava tutti i tentativi di Cain  senza  riservargli poi tanto garbo.

Piu' la ragazza schivava  i sorrisi  amichevoli, sempre un po' maliziosi, di lui  e piu' Cain si scervellava per catturare la sua attenzione.

A mezzanotte passata, Pia spense un attimo la macchina, con la preoccupazione che il suo prezioso acquisto potesse surriscaldarsi. Dette un'occhiata al led azzurro dell'orologio e  stiracchio' le membra.
- Ma i tuoi ti lasciano rincasare a che ora vuoi?- chiese al ragazzo.
Cain si era alzato, muovendosi in una serie di buffi piegamenti - Quando mia madre torna dal bingo, non passa mai da camera mia.  Io ho l'abitudine di chiudere a chiave la porta durante la notte, e se la sera esco di nascosto chiudo la stanza dall'esterno e lascio l'abat-jour accesa, così , vedendo la luce da sotto la porta, pensa che mi sono addormentato leggendo.
- E tu ogni volta fai così? E non  hanno mai sospettato nulla, i tuoi?
- Che vuoi che ti dica....non e' che io esca spesso di nascosto. Per ora ha sempre funzionato - disse, scrutando il panorama un po' scarno che s'intravedeva dalla finestra della camera: un albero da frutto,  un quadrato di giardino ed una sdraio di vimini.
- Anche io fino ad ora l'ho fatta franca. Ma ora risiediti, mi manca davvero poco. A proposito...ti piace come sta venendo?

Solo all'ora Cain si rese conto di essersi disinteressato dello scopo principale di quell'incontro clandestino. Sfioro' il fianco con le dita, sbattendo gli occhi, come ridestato da un sogno ad occhi aperti - Hai uno specchio?.
Pia aprì la porta di un piccolo ripostiglio, a cui era appeso uno specchio lungo e ovale. Cain intravide diverse pile di scatole da scarpe, e le invadenti torri di libri di cui la ragazza gli aveva parlato.
Solo a quel punto il moro si rese veramente conto di come il suo tatuaggio si era evoluto in un elaborato, seppur di piccole dimensioni,  incastro di geometrie morbide e fogliame antico. Pia era riuscito a sviluppare lo schizzo un po' maldestro che Cain gli aveva suggerito, in un blasone  avvolto da una serpe ed un intricato labirinto di foglie.
Il tatuaggio era privo di colore, ma ogni figura si stagliava gradevolmente, in un equilibrio che lascio' Cain privo di parole. Voleva complimentarsi, ma non gli venivano le parole giuste per farlo.

Pia sorrise appena, cogliendo lo stupore negli occhi del ragazzo.
- Lo vogliamo finire? - gli suggerì, riaccendendo l'apparecchio.

Cain annuì, fissando qualche attimo ancora la sua immagine riflessa nelllo specchio - E' incredibile - sussurro', infine. Poi torno' al suo posto.
- Pensavo che ti saresti innervosito perche' non e' identico al tuo disegno - dissse, puntando l'ago sulla carne.
- Non c'e' paragone con il mio disegno... Non so se era esattamente quello che avevo in mente, non sono riuscito ad esprimerlo nemmeno in quella schifezza che ti ho disegnato. Ma quello che hai fatto tu e' come se me lo avessi letto nel...nel subconscio. E' giusto parlare di subconscio? - Pia scosse il capo - Bhe, nemmeno io lo so, ma tu hai scovato una cosa che stava nascosta nella mia mente e l'hai disegnata sul mio fianco.
- Ho solo provato ad immaginare cosa fosse adatto a te, ed ho seguito l'armonia delle forme - affermo' lei, senza alzare lo sguardo dal lavoro certosino cui si stava applicando - Anche i sarti fanno lo stesso per  i loro clienti, no?
 -Sì...credo.


Quando Pia termino' il proprio lavoro,  aveva gli occhi un po' arrosati dalla stanchezza, ed il ronzìo della macchinetta le aveva saziato i timpani. Corrugo' la fronte, mentre avvertiva  un lieve mal di testa salirle dalla cervicale alle tempie.
- Mi puoi dare i soldi, prima di andare via?
Cain si era rivestito, non prima di aver ammirato diverse volte la creazione finita, sorridendo come uno scemo, e facendosi  applicare una nuova velina e dei  nuovi cerotti - Sì, certo... - estrasse alcune banconote dal portafoglio e gliele porse, disponendole a ventaglio - Sono tutti, no?
- Sì...- disse Pia, riponendoli nella tasca dei jeans.

Dunque non c'era molto altro da dirsi. Il tatuaggio era stato completato, ed  il pagamento era stato saldato. Entrambe i ragazzi rimasero alcuni attimi in silenzio,  e sulla faccia di tutti e due si capiva che avevano realizzato che non ci sarebbe stato un altro incontro. Le loro vite si erano gia' scrociate.
Si sarebbero salutati a scuola? Avrebbero scambiato ancora due parole, magari nel parco della scuola?  

Pia fu la prima a parlare - Scendiamo. Comincio ad avere sonno.

Cain uscì dall'abitazione con i propri calzini  infangati  in una busta di nylon, ai piedi ne aveva un paio pulito che gli aveva dato la ragazza, probabilmente appartenenti a suo padre.  Pia lo saluto' senza alzare gli occhi dal pavimento, ma Cain si fermo' ai piedi delle scale, quindi torno' sui propri passi e, chiandosi sul viso della ragazzina, sussurro' - Lunedì ti rendo i calzini. Ti mando un messaggio per metterci d'accordo.  Rispondimi, mi raccomando.














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Capitolo 3
*** Violenza ***


volenza

                                                                                                 



                                                                                                           VIOLENZA







La domenica era una di quelle giornate in cui  Pia cercava qualsiasi pretesto mentale per non annoiarsi.  Non cercava il riposo,  una giornata intera le sembrava davvero troppo per un'energica studentessa di quattordici anni, a cui non dispiaceva correre, prelidigeva un'alimentazione sana  e godeva di un'ottima, prorompente salute.
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Seduta in cucina,  con una tazza di  the nero fra le mani,  la televisione accesa con il volume così basso da essere appena  percettibile, Pia poggiava  tutto il peso della testa sul bordo della tazza,  stringendo la ceramica con le labbra.  Era dalle otto che fissava lo schermo della tv, mentalmente immersa nelle immagini che si susseguivano su un canale tematico, dedicato solo ai telegiornali e alla cronaca.  Mettersi nei panni altrui quando mandavano un servizio su un assassino,  o un  truce evento di cronaca nera,  era diventato uno dei suo strani hobby; era sicura che fossero davvero molte le persone che si perdevano in quel genere di fantasie, quegli eventi erano decisamente troppo strazianti per non stimolare  le  fantasie di altri, e questo pensiero  l'aiutava a sentirsi meno colpevole.
Quali erano gli impulsi che rendevano una persona normale un assasino?  

- Dieci secondi prima sei un normale impiegato di banca e dieci secondi dopo hai impugnato un fermacarte e sei diventato un assassino fraticida, con un'arma insanguinata fra le mani e tuo fratello disteso ai tuoi piedi, con il cranio ridotto in marmellata - sussurro',  puntellando i gomiti sul tavolo, riferita ad un fatto di cronaca risalente al giorno prima - Potrebbe succedere a chiunque in fin dei conti...legittima difesa, un attacco di rabbia, gelosia...o no?

Sentendo  sua madre uscire dal bagno,  Pia si alzo' per prepararle  il caffe'. Non era raro che la domenica  si alzasse prima dei suoi genitori e aiutasse con la colazione.
La signora  Hunt,  avvolta in una vestaglia di ciniglia blu, entro' in cucina e si chino' su Pia  per baciarle la nuca - Buongiorno piccola, tutto ok ieri sera? - chiese, gettando un'occhiata alla tavola gia' apparecchiata.
- Solite cose. Una tisana, un film, una decina di biscotti e a letto...
- Come sei schematica! - sorrise la donna, stropicciandosi gli occhi mal struccati - Non vuoi mai venire con noi...ma forse e' un bene. Troppa gente vecchia, troppi intellettuali...ci sono delle serate in cui ci annoiamo anche io e tuo padre.
- Allora come mai continuate a frequentera gli stessi ambienti? - chiese, mentre adagiava del bacon nella padella  - Ci sono genitori che vanno al bingo, e' meno impegnativo e piu' divertente.
- Ma noi ci divertiamo, non mi fraintendere! E' solo che ci sono alcune sere in cui non tutto va nel verso giusto... - disse, controllando la chiusura di un braccialettino d'oro che era solita indossare  - Ho il polso troppo fine, forse dovrei farlo stringere...
Pia  prese fra le dita il polso di sua madre - Lo dici sempre, pero' non lo fai mai.  Anche io diventero' magra come te,  da grande?
Hellen, questo il nome della donna, sorrise -  Sei gia' uno scricciolo, cosa vuoi dimagrire a fare? - le rispose,  dandole una pacca sul sedere - Io sono  sempre stata magra come un chiodo,  ma questa costituzione mi e' servita  per danzare.  Tua nonna mi pesava ogni giorno, non e' stato mica facile! Ma io non volevo fare la ballerina, e non gliela ho data vinta....

Porthia non era particolarmente attratta dalla magrezza, ma da un lato le sarebbe piaciuto avere l'aura  aggraziata di sua madre.
Lei quell'aura  l'aveva sempre attribuita alla sottigliezza dei polsi e delle caviglie, all'eleganza del collo e delle spalle dritte ma armoniose di sua madre. Tutte carattestiche che non rivedeva sul proprio corpo da adolescente; a volte si sentiva sgraziata, un po' come suo padre, che aveva l'aria disordinata  di uno scrittore, ma che faceva tutt'altro mestiere.  Pia infatti aveva i suoi medesimi capelli biondi, folti  e disordinati, il mento piccolo e molti microscopici  nei un po' su tutto il corpo; sua madre invece, malgrado alcune rughe che suggerivano l'eta',  aveva  lineamenti  ben definiti, forse un po' duri, ma dei capelli lisci e nerissimi: un aspetto sofisticato, secondo il giudizio di Pia.

- Papa' ha bevuto ieri sera?
Sua madre sorrise nel suo modo tutto particolare, mordendo graziosamente il labbro inferiore - Era appena un po' alticcio. Lui il  vino proprio non l'ha mai retto....
Anche Pia sorrise. Sporziono' la colazione dalla padella nei piatti ed aprì una confezione di pane in cassetta.
- Forse fra qualche anno vi seguiro' ai vostri party intellettuali.  A me il vino non dispiace, ma preferisco quello bianco.
- Bisogna vedere quanto reggi il vino, tesoro. E quanto reggi la presunzione di alcuni intellettuali - aggiunse Mrs. Hunt.
Il signor Hunt esordì in cucina sbadigliando vistosamente - Dannato vino di scarsa qualita'...era troppo acido.
- Non mi sembravi così conrariato  all'ottavo bicchiere, ieri sera - commento' la moglie, divertita.
Mr. Hunt  prese posto, chinandosi ad annusare quello che gli era stato servito nel piatto - Il buongiorno si vede dal mattino - disse, rivolgendo una tenera occhiata alla figlia - Hai fatto qualcosa d'interessante ieri sera? - chiese suo padre, urtando la forchetta che finì sotto il tavolo.
Pia fece spallucce  e lo guardo' negli occhi, poiche' non aveva mai avuto problemi a mentire- Niente di che - rispose, chinandosi a raccattare l'oggetto.
Raggiunta la forchetta, l'occhio le cadde sul piede di suo padre, inguainato in un calzino color mostarda , colore discutibile che non le era mai piaciuto,  ma prima di obbiettare sul dell'colore indumento,  noto'  alcune oblunghe macchie scure e rossastre proprio sopra questo - Ti sei fatto male al piede? - chiese, posando la forchetta sul tavolo. Rimase china, aspettando la risposta del genitore.

La signora Hunt  si lascio' sfuggire le posate nel piatto - Davvero? - disse, voltandosi verso il marito.
Mr. Hunt serro' lievemente le labbra, coprendosi il calzino macchiato con l'altro piede - Dev'essere il vino che mi sono versato sulle scarpe...ricordi? - Chiese alla moglie, recuperando le posate di lei dal piatto, e pulendole premurosamente con un tovagliolino di carta.
Hellen annuì , abbassando lo sguardo al proprio piatto - Non ci pensavo piu'!.

Porthia si alzo' lentamente, e si diresse verso il cassetto delle posate, recuperando una forchetta pulita per suo padre.
- Non sembra una macchia di vino - penso' - Pero' mi sembra  inopportuno insistere.
- L'avevo scambiata per una macchia di sange, papa' - disse al genitore, porgendogli la stoviglia argentata.
Si mise a sedere, alzando il volume del televisore, finendo la sua colazione in silenzio.


Dopo pranzo i genitori di Pia si misero nel salottino ad oziare, e la ragazza, una  volta infilatasi un paio di leggins ed una felpa, disse loro che usciva per una corsetta.
La domenica era solita andare a correre, quando non aveva da studiare molto.  Faceva quasi sempre il solito tragitto, ed aveva smesso di indossare l'I-pod da quando un paio di teppisti glielo avevano estorto, valutando poi che non fosse il caso di  mettersi in pericolo per un paio di auricolari ed una manciata di canzoni.

Corse lungo il viale che costeggiava la Madisons, una gigantesca fabbrica che per una trentina d'anni aveva dato lavoro alla maggior parte degli abitanti della zona, ma ora  fungeva da riparo per i piccioni e i senza tetto,  fino ad arrivare al campo di calcio dove si  allenava una delle squadre locali, quel giorno vuoto per via di una partita fuorisede. La squadra aveva molto seguito sia fra gli adulti che fra i ragazzi, così come il football in genere, e tutti quelli che non si potevano permettere di andare ogni domenica allo stadio per seguire le due squadre di casa, La Man City e la Man United,  si riversavano lungo gli spalti arrugginiti del campo per tifare quella squadra minore.
Pia non seguiva il calcio, anche se le chiacchere dei suoi compagni, o le locandine dei giornali la informavano ugualmente sui risultati calcistici.

Arrivata in una delle piazze principali, Pia si fermo' un attimo per riprendere fiato; si sedette su una panchina, alla pensilinea dove di solito i pulman che trasportavano i tifosi del Man City  caricavano e scaricavano i passeggeri. Un paio di pulman azzurri, recante lo stemma della squadra, si accostarono alla pensilinea proprio in quel momento.
La ragazza rimase un attimo ad osservare  i tifosi, perlopiu' giovani fra i venti ed i trent'anni, scendere dai pulman.  Dai commenti che facevano, capì che la partita non doveva essere andata bene. Un terzetto di ragazzi, in cui Pia riconobbe degli skinhead,  sputavano per terra, calciando i pali della pensilinea. Pia scatto' in piedi, sentendosi a disagio fra quella folla di tifosi innervositi, poiche' la loro tensione era palpabile nell'aria.
Attraverso' la strada, cominciando  a dirigersi verso una strada secondaria, coperta per parte da alcuni androni.
Ma una brutta sorpresa  scombino' i suoi piani di fuga.

Non troppo distante, una folla di tifosi  con sciarpe  e cappellini di una squadra di cui non riconobbe i colori sociali,  avanzo' attaccando a cantare un inno.
Porthia striscio' lungo il muro, e svolto' l'angolo, ritrovandosi di nuovo nella piazza dove si trovavano i tifosi in azzurro cielo,  che si erano accorti del coro avversario, e si erano riversati in piazza, con l'intenzione evidente di rispondere a quella provocazione.
- Il posto sbagliato nel momento sbagliato, complimenti!  - penso', schiacciandosi contro il muro.
Prima che potesse valutare  un'eventuale via di fuga, la squadra sconosciuta era arrivata in piazza; Pia vide sbucare da dietro il muro un ragazzo corpulento che si lisciava le nocche, ed un altro che le getto' un'occhiata, fortunatamente ignorandola,  che si rigirava fra le mani una bottiglia di birra vuota.
Le due tifoserie rimasero in silenzio per pochi secondi, ed anche Pia rimase in tensione, schiacciata contro una locandina stropicciata, con le unghie ficcate nei polsini della felpa.

I primi ad attaccare, intonando il proprio inno, furono quelli della  tifoseria avversaria. Pia vide volare un rettangolo di pietra, forse un mattone, verso i ragazzi in azzurro, in una parabola che le sembro' di vedere quasi al rallenty. Una voce maschile grido', ed il corpo di un uomo  in anfibi e bomber cadde a terra, coprendosi il viso con entrambe le mani.
Dì lì ad un secondo fu l'inferno.

Pia scatto' verso la  tifoseria di casa, e se non fosse stata così vergognosa com'era, avrebbe cominciato ad urlare "anche io tifo Man City! Sono una di voi!" , per assicurarsi di non essere scambiata per una degli avversari.  Per sua fortuna nessuno sembro' considerarla, la biondina attraverso' la folla inferocita come fosse stata trasparente ai loro occhi, passo' in mezzo ai due pulman parcheggiati , rischiando di finire bocconi sulla panchina dov'era seduta poco prima;  in ginocchio sul marciapiede, con le mani avvinghiate alla seduta in legno della panchina, scorse oltre il  plexigrass della pensilinea un minimarket. Aggiro' il divisorio trasparente e vi si fiondo' dentro.
Il proprietario si era affacciato, per recuperare la merce esposta fuori, per nulla sorpreso da quella confusione.
- Mai una volta che non sbuchi qualcuno  a creare casino...eppure la polizia lo sa! Ma quelli non fanno mai nulla...
- Ora la chiamo io! - commento' un donnone, probabilmente la moglie dell'uomo - Non se ne puo' piu'!
La ragazzina si avvicino' al frigo delle bibite, ed estrasse una bottiglietta da mezzo litro d'acqua. Porse i soldi alla donna dall'aria agitata, e questa poso' la cornetta del telefono per farle il resto.
- Ti ho vista correre in negozio.  Devi stare attenta la domenica a girare da queste parti - disse la donna, squadrandola in viso - Sei la figlia di  Marcel Hunt?
Pia  annuì,  bevendo una lunga sorsata d'acqua.  Quella donna doveva essere una cliente di suo padre, probabilmente l'aveva vista al magazzino dove ogni tanto andava ad aiutare  il padre.
- Io mi servo da voi - disse, indicando  un adesivo sulla cassa, recante il cognome di  famiglia della ragazzza e la partita iva. Marcel Hunt aveva un magazzino di ingrosso e distribuzione alimentare, da cui si servivano molti dei negozianti della zona  - Ma sotto Natale mi combinate sempre qualche casino!- brontolo' la donna.
Pia evito' di risponderle e si avvicino' alla vetrina per osservare a che punto stava la diatriba fra le due tifoserie.  
- Sta arrivando la polizia  - disse il proprietario, con le mani ai fianchi.

In meno di un minuto le forze dell'ordine erano scese dalle auto e brandivano i manganelli verso la folla. Parte della tifoseria in azzurro si era gia' dispersa. Pia riconobbe i tre skinhead  sfrecciare davanti alla vetrina,  ed arretro' inconsciamente. Vennero portate via non piu' di cinque persone, lievemente ferite, e la ragazza si chiese se valeva davvero la pena prenderle a sangue per difendere una squadra che, alla faccia dei tifosi, navigava negli agi e nell'oro. Non capiva certi uomini, proprio non ci arrivava.

Uscì dal negozio  senza salutare, la presenza della polizia la fece sentire piu' tranquilla. Tiro' a dritto deviando per una stradina secondaria, di lato al minimarket, e riprese a correre. Ma dopo una trentina di metri  la sua corsa fu interrotta da un individuo che era sbucata da dietro i cassonetti dell'immondizia. Pia  trasalì, temendo fortemente che fosse un esagitato della tifoseria avversaria. Riconobbe pero' un viso familiare.
- Cristo Jhona! - esclamo' la ragazza, passandosi una mano sul viso.
Il ragazzo sorrise con strafottenza e le mostro' le mani - Quelli stronzi sono arrivati all'improvviso, mi sono nascosto qui! - sputo' per terra, pulendosi la bocca con la manica.
- Quelli dell'altra squadra di tifosi..? - corrugo' la fronte, Pia.
- No! Gli sbirri! Che hai nel cervello?!
Il ragazzo le si avvicino',  mostrando i denti bianchissimi, e le strappo' la bottiglietta d'acqua dalle mani.

Pia lo spintono' leggermente, e lui rise - Sei uno di quegli animali che si divertiva a menare le mani...
- Tu non dirlo alla nonna. Non farai mica la stronza? - disse, rendendole la bottiglietta vuota.
La biondina scosse la testa, gettando la bottiglia nel cassonetto - Non ho parole...
- Allora?  - insistette lui .
- Sto sempre zitta - disse Pia, sorpassandolo - Non sono affari miei quel che fai.
Jhona sorrise- Sei una femmina saggia.

Jhona Tunninghton era l'unico nipote di Fiona Tunninghton, la vecchietta che abitava di fianco a casa Hunt, la stessa che "teneva sottocchio" chi entrava ed usciva di casa quando non c'erano i genitori di Pia.  Era un bel ragazzo atletico, ma aveva una faccia poco rassicurante,  e nessuno dei passatempi  o gli atteggiamenti che aveva, andava a genio alla sua giovane vicina.
Non frequentavano la stessa scuola, e non sempre si salutavano.  Jhona in casa faceva quel che gli pareva, e sua nonna, abituata all'indole ribelle e per nulla accomodate del ragazzo, aveva smesso di frapporsi fra lui ed i suoi desideri: si sentiva troppo vecchia e debole, e voleva rimanere viva il piu' a lungo possibile per non lasciare il nipote solo al mondo.

Pia riprese a correre, augurandosi che il ragazzo non la seguisse, ma di lì a poco se lo ritrovo' al fianco. Corsero silenziosamente fino a casa, fianco a fianco.





Notina:  Man City e Man United, se non si capisse, sono le abbreviazioni di  Machester City Football  Club e Manchester United  Football Club, rispettivamente i colori sociali sono l'azzurro cielo, ed il rosso, bianco e nero.





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Capitolo 4
*** Accuse ***


accuse


                                           

                       
                                                                                                          ACCUSE







Cain scosse l'ombrello imperlato di pioggia e tiro' su con il naso.  Una grande quercia lo riparava  dal cielo avverso; si appoggio' al tronco di questa ed annuso' l'aria profumata di terra, scrutando altri studenti che uscivano da lezione. Alcuni si riparavano con lo zaino, altri con un impermeabile leggero e colorato, di quelli che si appallottolano nel palmo di una mano pur non ingrinzendosi mai.
Il tatuaggio aveva smesso di prudergli, anche  se vi aveva applicato una pomata trasparente per via del rossore che ancora presentava.  Prima di entrare in classe aveva mandato un sms all'autrice del tatoo, in cui la invitava a raggiungerlo sotto la quercia che si affacciava sulla fontana della scuola.; la ragazza aveva risposto immediatamente, senza specificare particolari emozioni, con una risposta molto breve, ma aveva accettato.

Il moro controllo' l'ora sul display del cellulare, poi rivolse lo sguardo nuovamente all'uscita principale della scuola,  aspettandosi di vedere i capelli lunghi della ragazza e le calze di lana, tirate su fin sotto il ginocchio.  Di lì ad un minuto, Pia apparve dal portone imponente e severo, stavolta sprovvista di ombrello. Vide distintamente la ragazza guardare in direzione della quercia; senza far cenni di saluto, questa si mise a correre sotto la pioggia e lo raggiunse.

- Non e' un buon giorno per pascolare sotto gli alberi, Turner- commento' Pia,  tamponandosi il viso con la manica della giacca.
- Stamattina sembrava volesse smettere di piovere, quindi... Ma il tuo ombrello?
- Me l'hanno fregato durante l'ora di ginnastica - ammise.
- Nella mia classe portano via molto di piu' di un ombrello, se non si tengano gli occhi ben aperti - sorrise, storgendo la bocca leggermente di lato. Sembrava che non sapesse sorridere altrimenti, senza piegare i muscoletti intorno alle labbra a destra della propria faccia.
Pia sbatte' le ciglia castane - Tu sorridi storto.
-
In che senso?- chiese Cain, continuando a sorridere.
La ragazzina poggio' un indice a lato della bocca - Quando sorridi la tua bocca si sposta di lato. Ecco, come stai facendo ora.
- Ahhh, per quello! Pensavo mi stessi facendo notare  una cosa poco carina...del tipo che sorrido come un maniaco o una roba così! - esclamo', passandosi una mano fra i capelli.
Pia aggrotto' le sopracciglia - No... Pero' e' una cosa strana quella che fai.
- E che ci posso fare, mica lo faccio apposta! - rispose, aprendo l'obrello - Senti, ti volevo rendere i calzini,  pero' mi piacerebbe farlo in un posto meno umido. Hai da fare oggi pomeriggio?
La biondina piego' la testa di lato e lo scruto' da sotto la frangia, arruffata per la pioggia. Guardo' l'orologino da polso che indossava,  valutando qualche istante la propria risposta.
- Volevo offrirti qualcosa da bere..un the, per  ringraziarti del tatuaggio.- aggiunse Cain, con aria cortese.
Pia annuì - Va bene, ma andiamo a casa mia. Vorrei avere una tua opinione su una certa cosa.


A pochi metri dall'abitazione, Pia si fermo'  e Cain rimase a ripararle la testa con l'ombrello. Avevano camminato spalla a spalla, ma non avevano quasi parlato nel percorso dalla scuola alla strada dove abitava la ragazza, rigidi nelle loro giacchine blu marinaro e ben attenti a non sfiorare l'uno la spalla dell'altro con la propria.
- Perche' ti sei fermata?
- La vicina, ricordi? - disse, indicando il portone della donna.
Cain sospiro' - Quindi? Devo di nuovo intrufolarmi scalzo?
- Nessuno ti ha mai suggerito di farlo. Ora entro io, poi come l'altra volta, ti lascio la porta aperta ed entri tu. Quando passi davanti alle finestre della vecchietta, parati il viso con l'obrello, che non si sa mai.
- Come vuoi...Comunque la prima volta che sono entrato in casa tua,  ti faccio notare, non mi son dovuto nascondere da nessuna vecchietta ficcanaso! - disse, vagamente risentito della cosa.
Pia lo guardo' da sopra la spalla, superandolo - Quella volta la signora era all'ospedale per dei controlli.  Ho visto il pulmino del volontariato ospedaliero prelevarla da casa, prima di venire a scuola.
- Come sempre hai una risposta per tutto! - esclamo' il ragazzo, scuotendo la testa - Va bene, faccio come mi hai detto.
- Non parlare come se mi conoscessi da una vita! - obbietto' la ragazza, scattando verso la porta di casa.

Con la solita strategia collaudata, Cain entro' in casa degli Hunter, rimanendo scalzo nel corridoio. Quella casa non era assolutamente signorile, nessuna delle case in quella zona lo era, ma il pavimento e gli infissi presentavano un legno lucidissimo, quasi fossero nuovi, così come i mobili, tendenzialmente chiari.
- Non ci sono neanche oggi, i tuoi?- chiese, curiosando attorno. Alla sua desta c'era la cucina, poco piu' avanti un piccolo soggiorno molto luminoso; davanti a sé c'erano le scale, sotto queste una porta semiaperta, da cui s'intravedevano le piastrelle di un bagno, ed accanto al bagno una porta piu' snella delle altre, presumibilmente un ripostiglio, penso il ragazzo.
- Certo che no, lavorano il lunedì - Pia si diresse proprio verso la porticina che aveva notato il  ragazzo, rivelando una stanza lunga e stretta che fungeva da lavanderia  - Ora ti faccio vedere una cosa, voglio sapere che ne pensi.
Cain si avvicino' alla ragazza, notando che nella stanza c'era un'altra porta socchiusa, attraverso la quale riconobbe nel buio le scale della cantina.  Poi si volto' verso Pia, china a rovistare nel cesto della biancheria sporca - Devi farmi vedere qualcosa che sta nel cesto della biancheria? - ridacchio' il ragazzo.

Pia riemerse dal cesto stringendo un paio di calzini spaiati -  Non sono neppure questi... - sussurro',  osservando gli indumenti.
- A proposito di calzini... - Cain torno' verso il proprio zaino e recupero' i calzini che Pia gli aveva prestato sabato, di rimpiazzo ai suoi.- Puliti e stirati da mia madre. Lei non sbaglia mai un lavaggio.
- Non gli ha messi qui - disse la ragazza, guardandolo negli occhi con aria perplessa.
- Ma...esattamente cosa stai cercando?
Porthia si batte' la mano sulla coscia- Li avra' lasciati in camera. Magari sono finiti sotto il letto, in fondo se li e' tolti solo ieri - obbietto', correndo verso le scale.
Cain la seguì a ruota - Sì ma, che sai cercando?!

Quando Cain entro' in camera dei signori Hunter, Pia era ginocchioni sul pavimento,  scrutando l'ocurita' sotto il letto matrimoniale.
- Se mi dicesse che  sta cercando, l'aiuterei anche... - penso', avvicinandosi ad un comodino, sul quale troneggiava un'enorme foto di famiglia, incorniciata da un vetro molto spesso. In quello scatto, Pia avra' avuto si e no undici anni,  lo sguardo lontano ed un sorriso un po' tirato, denotavano  che non  doveva avuto molts  voglia di farsi fotografare, in quel frangente.  I suoi genitori invece sorridevano genuinamente, stretti intorno alla piccola di casa - Sua madre deve essere una bella donna - penso', chinandosi sulla foto. Poi la sua attenzione torno' alla ragazza, che intanto si era rialzata ed aveva preso a frugare, senza creare disordine,  nell'armadio dei suoi.

Cain si era messo in un angolo della stanza, osservadola in silenzio. La ricerca si rivelo' infruttuosa, e sul viso di Pia si dipinse lentamente una smorfia di disapprovazione.
-Quando fa quella faccia, ha proprio l'aria di una stronza completa - valuto' il ragazzo - Ed in effetti comincio a pensare che' lo sia veramente...
La giovane Hunter si avvicino' d'un palmo al viso di Cain, e questo s'irrigidì  - Onestamente, e non mi prendere per una pazza sclerotica, se tu trovassi un indumento insanguinato addosso ad uno dei tuoi genitori, cosa penseresti?

Turner si gratto' la tempia, cercando di capire dove la ragazzina volesse andare a parare, ma i pochi elementi che aveva in mano non gli suggerivano niente - Gli chiederei se si sono fatti male... Ah, aspetta, credi che uno dei tuoi genitori si sia fatto male  e te lo stia nascondendo? - chiese, ed i suoi occhi chiarissimi s'illuminarono.
- Ma no! - scosse la testa, la ragazza - Se tu valutassi che quella macchia non puo' appartenere ad uno dei due...ma fosse il sangue di una terza persona....
Cain deglutì, e si prese un attimo per pensare. Si avvicino' alla finestra, sfiorando le tendine color crema  - Mi stai chiedendo se io sarei capace di pensare che i miei genitori hanno fatto del male  a qualcuno? Magari...che l'hanno ammazzato?
Pia strinse le labbra, e per un attimo il suo sguardo si smarrì . "Ammazzato".  Nella sua mente quella parola risuono' lucida  e chiara: ammazzare, uccidere, privare della vita un'altra persona.  Era una parola che stonava fortemente con "famiglia" e con  "genitori". I suoi pensieri malevoli furono interrotti  dalla risata un po' forzata di Cain.
- Non puoi pensare che i tuoi abbiano per forza ucciso qualcuno, perche' c'e' una macchia di sangue sui loro vestiti! Avanti! - il ragazzo aggiro' il letto, avvvicinandosi alla fotografia che troneggiava su comodino - Questa non e' certo gente che ammazza, dai! Perche' hai pensato una cosa così?!

Pia non rispose. Si era un po' incupita. Cain non aveva visto quei cazini. Cain non aveva potuto notare il disagio sei suoi genitori, quella domenica mattina, quando la ragazza aveva  scoperto la macchia. Cain che ne poteva sapere di quelle strane,  inconfessabili sensazioni che avvertiva quando i suoi genitori tornavano la sera, bisbigliando in camera da letto lunghi discorsi e discussioni sibilate, mentre lei si alzava dal  letto nel buio, e si schiacciava contro la porta per cercare di  capire discorsi che forse non avevano proprio nulla di strano, discorsi per cui forse non valeva la pena d'impensierirsi.
Eppure lei era sicura di aver annusato qualcosa. Sentiva che non erano solo le fantasiose paranoie di una adolescente annoiata. 

La ragazzina uscì dalla camera, e s'incammino al piano di sotto, con  le spalle leggermente ricurve.
Cain noto' la sua aria delusa, come sconfitta.  Penso' che non essere creduti, ma anzi derisi fosse molto deprimente, ma non aveva potuto comportarsi altrimenti di fronte alle accuse della ragazza nei confronti della sua stessa famiglia.  Sentiva che nelle parole della ragazza mancavano diversi punti , altri eventi e concatenazioni che lei non aveva voluto rivelargli; ma si trattava solo di una sua sensazione, quella biondina, bugiarda dichiarata fra l'altro,  probabilmente si stava solo divertendo a creare scenari fantasiosi che la rendessero piu' interessante ai suoi occhi.

Porthia non era sua amica, in fin dei conti. Avrebbe voluto che lo fosse, avrebbe voluto molto di piu' da lei, ma quella volta decise di non darle spago. Decise di non crederle per non alimentare quello scenario fantasioso.. Gli sembravano fantasie un po' troppo pericolose, per i suoi gusti. Se voleva far colpo su di lui, avrebbe dovuto avvicinarsi  al suo viso e baciarlo, allora sì che gli avrebbe dato tutta la sua considerazione.

- Ascolta Porthia... - la chiamo', usando per la prima volta il suo nome di battesimo, sempre che ne avesse avuto uno.
Pia si volto' di scatto, sul suo viso si leggeva chiaramente l'interrogativo di come il ragazzo fosse venuto a sapere del suo nome, tuttavia non gli chiese spiegazioni. Si fermo' davanti alla cucina, fissando un punto indefinito dellla stanza.
Cain si armo' di pazienza, e si affianco' alla ragazza, indeciso se metterle una mano sulla spalla e parlarne fraternamente, o scuoterla per entrambe le spalle ed usare un approccio piu' energico. Evito' tutte e due le soluzioni, perche' in quel momento si sentì minacciato da una possibile reazione negativa da parte della biondina.  Si appoggio' allo stipite e le sorrise.
- Non so che cosa tu abbia visto esattamente, dato che non abbiamo trovato quell'oggetto, ma io prima di pensare che uno dei miei vecchi ha accoppato qualcuno, penserei che forse uno dei due si e' fatto coinvolgere in una rissa.... - s'inumidì le labbra -  Sei stata tu stessa a rivelarmi che tuo padre, il sabato sera, e' solito alzare un po' il gomito... Prima di pensare al peggio, pensa alla soluzione piu' plausibile.

Pia si volto' verso il ragazzo. Le sue parole erano sensate, anche se dal suo punto di vista era proprio il peggio  ad avvicinarsi alla realta'. Era pero' conscia che, se non si fosse impegnata nello spiegargli le sensazioni che aveva accumulato in tutto quel tempo, Cain non avrebbe potuto pensare altrimenti di come la pensava in quel momento. Inoltre gli aveva praticamente dimostrato che non si faceva remore a mentire, e quindi non poteva certo pensare che la credesse sulla sola parola.
Era il risvolto della medaglia. Se da un lato mentire a cuor leggero era il suo forte,  dall'altro la rendeva vulnerabile con chi conosceva questo strambo talento.

Porthia sospiro', decidendo che per il momento era meglio aspettare di aver qualcosa fra le mani di concreto, prima  di rivelargli altri particolari. Non era neppure sicura di volerglieli rivelare, a dire il vero. Cain Turner era un tipo particolare, ma coinvolgerlo nei suoi pensieri e le sue preoccupazioni era la cosa giusta da fare?
Entro' in cucina, scostando una sedia dalla tavola - Ti va di offrirmi un tè in casa mia?  
Cain sorrise, storto, molto  storto e si avvicino' al tavolo - Vogliamo proprio andare al risparmio, eh?









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Capitolo 5
*** Pelli ***


pelli Ho corretto il capitolo quattro, mi erano sfuggiti davvero tanti piccoli errori e me ne scuso...A cosa stavo pensando mentre rileggevo il capitolo?! Ma soprattutto...stavo pensando? o_o
Grazie ai lettori silenziosi e ad una piu'..."rumorosa".







                                                                                              
                                                                                     PELLI





Casa Turner aveva un'aria molto ordinata e molto dozzinale. Grossi mobili scuri, ereditati da anziani parenti, soprammobili e souvenir senza una storia ben precisa,  muri coperti da carta da parati e un perenne odore di detergente igienizzante che aleggiava in tutta le stanze.
La signora Turner era una casalinga scrupolosissima. Sebbene non ricevesse molte visite, si premurava ugualmente di tenere  ogni stanza in ordine,  tendine pulite e  tovaglie immacolate.
A Cain non andava a genio che ci fosse sempre quell'odore vagamente ospedaliero in bagno e in cucina, o che sua madre lo seguisse come la sua ombra armata di scopa, ogni volta che sgranocchiava un biscotto.  Gli dava sui nervi il nervosismo dei suo occhi, alla continua ricerca di briciole e polvere,  ed il continuo brontolio  nei suoi confronti  o in quelli di suo padre.  
Il giovane Turner aveva cominciato ad usare  profumi abbastanza costosi, perche' temeva che quell'odore d'ospedale gli potesse rimanere addosso, tanto il suo olfatto lo aveva memorizzato nel cervello.  Ogni volta che rientrava in casa, quel'aroma vagamente aspro lo assaliva e doveva sforzarsi di non pensarci per avere il coraggio di entrare in cucina  a salutare sua madre, sorridendo.
Anche quel giorno, fu così.

Cain poggio' lo zaino su una sedia, estraendo una circolare intestata a sua madre - Lunedì prossimo ci saranno i colloqui con i genitori, ci vieni?
Mrs. Turner  rimase china sulla tavola da stiro - Questa volta voglio che venga anche tuo padre - annuì la donna. In tre anni non si e' degnato di farsi vedere...sembra quasi che siamo una famiglia slegata!
Un'altra delle manie della signora Turner, era la considerazione degli altri.  Non si capiva, infatti, se la sua mania per la pulizia fosse una conseguenza del voler per forza  pretendere considerazione postiva dagli altri, o fosse la buona considerazione che in effetti gli altri avevano nei suoi confronti, a farle fare il possibile per apparire al meglio. Cio' che di Henrietta Turner tradiva l'eta', erano le mani rugose, per il resto aveva un'aspetto ancora giovanile, ed un look sportivo e disinvolto; indossava jeans e gonne sopra il ginocchio senza apparire ridicola. Ogni settimana ritoccava i capelli corvini, neri e lucidi, e due volte alla settimana frequentava una palestra vicino casa. La sera usciva spesso per giocare a bingo,  il sabato si metteva in gran spolvero, anche se si trattava solo di giocare in una triste sala da bingo.
- Non credo che papa' voglia venire... - commento', pensando alla figura di suo padre, seduto accanto alla sua inseparabile radio ad ascoltare dibattiti politici, con il quotidiano alzato fin sopra il naso. Non che fosse poi tanto importante la presenza di suo padre, poiche'  i professori erano ormai abituati  a ricevere la signora Turner ed i suoi biscotti all'anice fatti per l'occasione.
- Sarebbe capace di far finta di nulla  anche per la festa del tuo diploma... - sospiro' la donna, piegando un maglioncino d'un rosso acceso.
- Non te ne fare un problema, mamma. Se anche venisse, probabilmente si metterebbe ad inveire contro il sistema scolastico inglese e compagnia bella... - disse Cain, incrociando le baccia dietro la nuca - Se invece vieni tu, i professori si divorano i tuoi biscotti e tutto fila liscio.
La madre gli sorrise, pur rimanendo in silenzio. Entrambi sapevano che forse era meglio lasciare il signor Turner vicino a quella radio, con quel giornale in mano e la radio accesa.

Cain salì le scale ed entro' in camera. Si distese sul letto, con un pensiero volto al compito di matematica del giorno dopo, che non lo impensieriva, ma gli trasmetteva ugualmente un senso di spossatezza mentale. Il cellulare vibro' nella tasca.  Il ragazzo avvicino' il display al proprio viso: era un messaggio di Pia T.
Si tiro' sui gomiti, e lo lesse.
-So che ieri sono stata un po' strana. Scusami. Potrei chiederti di venire  a casa tua?

Cain scatto' a sedere sul bordo del letto. Non avrebbe mai pensato che quella ragazzina avrebbe ricercato così presto la sua compagnia. In cuor suo, penso' di aver fatto davvero colpo con le parole che gli aveva detto il giorno prima.  Non era un'ipotesi così ambiziosa, dopo tutto.
- Puoi venire anche subito! La mia casa si trova davanti all'asilo nido, ti aspetto seduto in cucina, così' ti vedro' arrivare. In casa c'e' anche mia madre, ma non e' un problema, se non lo e' per te...
Premette invio, correndo davanti allo specchio. Dette un'occhiata ai capelli, si annuso' la camicia della divisa e poi corse in bagno, acchiappando il cellulare, che s'illumino' in quel momento - No problem, se non ha il vizio di origliare. Sono lì fra venti minuti.

Quando Pia passo' davanti alla fienstra della cucina, Cain  si alzo' dalla sedia, facendo vibrare alcune stoviglie che sua madre stava asciugando.
- Ma e' la tua fidanzatina? - chiese sua madre, bloccando con le mani quel pericoloso tintinnìo.
Cain si volto' verso di lei, digrignando i denti in maniera buffa -Non dire niente di simile in sua presenza! - sibilo'.  
La signora Turner alzo' un sopracciglio, valutando l'idea di rimanere a sedere impegnata con le stoviglie della cucina, per non innervosire il figlio piu' di quanto lo fosse gia'.  Getto' un'occhiata alla cucina, ed annuso' l'aria. Era tutto in ordine, avrebbe potuto ricevere Sua Maesta' in persona, penso'.

Porthia entro' in casa, ed il primo impatto che ebbe con  casa Turner, fu di... penombra. La casa gli apparì scarsamente illuminata, ed in un secondo momento fu investita anche da un prorompente odore di pulito.
Cain l'accolse con un sorriso, vagamente meno disinvolto del solito, anche la sua aria furbasta  era un po' meno sfrontata del solito; penso' immediatamete che fosse dovuto alla presenza di sua madre, ma quando la afferro' per il polso per condurla davanti alla cucina, non fu poi così sicura del suo pensiero.
- Questa e' Hunt  mamma, viene a scuola con me - disse, introducendo la ragazza con il cognome di famiglia.
Mrs. Turner si alzo' asciugandosi le mani al grembiule inamidato, e le porse la mano - Io sono Henritetta, chiamami pure per nome, tesoro - le disse, con una confidenza ed un tono molto materno.
Mentre le stringeva la mano, Pia penso' che non tutte le mamme del mondo si assomigliavano. In quella donna non c'era niente di sua madre: dal tono morbido della voce, a quelle mani calde e ruvide. Sentì la fede nuziale, fredda, scivolarle sul palmo della mano - Piacere, signora - le rispose, mostrando un sorriso non proprio spontaneo.
- Magari scendo dopo a prendere qualcosa da bere - s'intromise Cain, dirigendosi verso le scale, trascinandosi dietro la biondina - tu finisci pure quello che devi fare, mamma.
La signora Turner si affaccio' dalla cucina - Aspetta! Abbiamo un ospite e non lo presenti a tuo padre?
Cain aprì la porta di camera, facendo entrare prima la ragazza - Magari piu' tardi, mamma!

Il giovane Turner scosse la testa, poi la sua attenzione torno' alla bionda che gli stava davanti. Pia aveva un'espressione perplessa, ed aveva poggiato le dita dell'altra mano sul polso del ragazzo, come a suggerirgli di allentare la presa dl proprio braccio.
 Con una sorta di carezza, la ragazza salì dal suo polso, coperto dal polsino di una camicia a quadretti, fino alla spalla - Sembri un po' teso.
-No e' che...mia madre mi mette sempre un certo nervosismo - le disse, lasciandola andare - E' che siamo troppo diversi...
- Avete lo stesso viso, pero' - obbietto' la ragazza - Forse anche lo stesso modo di sorridere. Tu poi non mi sembri il tipo che si mette ad urlare con i propri genitori, solo perche' si sente incompreso - gli disse, allontanadosi  da lui per  dare un'occhiata alla stanza - Sei troppo educato per farlo, Turner.
Cain fisso' le spalle della ragazza, i capelli biondi che le oscillavano sul parka blu, impigliandosi nel cappuccio di pelo. Non ribatte', sedendosi sul letto - Vuoi parlarmi di qualcosa in particolare? - la incalzo', senza preamboli, raddrizzando il collo snodabile di una lampada da tavolo. Se c'era un dunque a cui arrivare, era meglio arrivarci prima che sua madre potesse interromperli in qualche modo.

Porthia cammino' sino alla portafinestra della camera, sollevando uno spiraglio fra le veneziane grigie . Poi si tolse il giubbotto e lo appoggio' sul letto; premette la schiena contro l'armadio che stava di fronte al ragazzo e dette un'altra occhiata alla stanza, con l'espressione di chi volesse  fare un commento poco carino - Volevo vedere dove abitavi, a dire il vero - guardo' in faccia il ragazzo, per vederne la reazione - Non e' una cosa da maniaci trovare un pretesto per vedere casa tua, se penso che tu giudichi le persone osservando loro e l'ambiente dove vivono...
Cain accetto' la provocazione. Accavallo' le gambe e non rispose, aspettando di vedere dove la ragazza volesse andare a parare.
- Volevo capire questo tuo metodo, tutto qui - disse, sottolineando la parola "capire", come se si trattasse di un'azione che richiedeva un certo sforzo.
- E ti piace la mia camera? Che ti dice di me? - chiese il ragazzo, sfoggiando uno dei suoi sorrisi pendenti.
Pia abbasso' lo sguardo alla punta delle sneackers colorate che indossava - Sei un tipo ordinato, ma lo fai per tua madre, piu' che per te stesso. Sbaglio?- alzo' nuovamente lo sguardo in quello azzurro del ragazzo.

Cain avvertì un'aria profumata di gioco e provocazione. Un'aria che lo inebrìo' e lo stupì allo stesso tempo. C'era una certa tensione erotica in quel momento fra loro due; quella ragazza appoggiata al suo armadio, con i pollici infilati nella tasca anteriore dei jeans,  che lo sfidava  con la su stessa specialita'.. era eccitante. Si senti malizioso, si sentì in grado di avvicinarsi a lei e poggiare il palmo della mano vicino al suo viso, sulla parete fredda dell'armadio.  La guardo' con occhi lucidi , sfioro' il mento con le dita, tastando la disponibilita' di lei.
La sovrastava di pochi centimentri, ma in quel momento si sentì molto piu' alto, molto piu'  forte e fermo di altri ragazzi che conosceva.  Si abbasso' sulle labbra di Porhia, ormai sicuro del fatto suo. E' fatta! Gridarono tutti i suoi sensi.
 La ragazza fermo' delicatamente il suo viso, posando entrambi i pollici sulle labbra del ragazzo. Anche il suo sguardo era liquido e teso verso cio' che gli stava davanti - Se tua madre ora venisse.... - disse,  premendo i pollici su quella superficie lievemente screpolata per il freddo, labbra di ragazzo, asciutte e pallide.
Cain le bacio' le dita, sfiorandole con la propria saliva . Gli occhi nocciola della ragazza gli stavano promettendo davvero molto; quell'attesa era gustosa e crudele al tempo stesso - No che non entra... - le rispose con un filo di voce, sporgendosi ancora di piu' verso il suo viso.
Pia bacio' l'angolo della sua bocca, senza togliere i pollici dalla sua pelle tesa. Sentì il ragazzo sospirare lievemente, il suo profumo dalle note calde di sandalo, provenire dal collo palpitante - E se tua madre volesse presentarmi tuo padre, qui...ora?

Il  moro s'irrigidì per un attimo, ma fu solo un secondo, poi tutte le sue intenzioni tornarono volte alla bocca della ragazza. Sposto' le mani sulle spalle magre di lei, bloccandole all'armadio, deciso a prenderle quel bacio - Che vuoi che sia...mio padre non esiste. Mio padre e' morto.













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Capitolo 6
*** (dis)Sapori ***


Sapori

Mi sono premurata d'ingrandire un po' il carattere..chiedo scusa a chi ha perso la vista leggendo sino ad ora 'sti capitoli, potrete contattare il mio avvocato appena me ne regaleranno uno per Natale  :D
Un grazie sempre ai lettori silenziosi, e ad un paio di fanciulle che hanno abbandonato l'anonimato ;D






                                                               (dis)SAPORI



                                                                           



Un bacio a labbra inespressive, un bacio a labbra contratte, con le dita di lei premute sulle costole.  Cain avrebbe voluto sentire le campane, tutte quelle stronzate onomatopeiche e figurative che appartenevano primariamente a fantasie femminili, ma non avvenne niente.
Il giovane Turner si  allontano' lentamente dalle labbra della ragazza. Aprì gli occhi, incontrando le lunghe ciglia castane di  Pia, impigliate in una frangia ormai troppo lunga. Si sentiva di aver parlato troppo, se non le avesse detto di suo padre forse...forse.

Porthia si allontano' di un paio di passi, avvicinandosi al letto. Non aveva l'aria turbata, piuttosto stava ben riflettendo sulle sue prossime parole. Con la coda dell'occhio spio' il  disagio del ragazzo, la sua aria vagamente smarrita. Si mise a sedere sulle coperte.
- Turner?
- Mia madre non e' pazza - disse, dandole le spalle - E' solo sconvolta...
- Non volevo chiederti di tua madre. Se mi vuoi parlare di tuo padre e' ok, ma io non ti chiedero' niente. Ti puoi sedere? - gli chiese, tastando il posto vicino a lei.
Cain scosse il capo, e si mosse verso di lei, lasciandosi cadere di schiena sul letto. La camicia a quadri che indossava si sollevo' fin quasi all'ombelico, scoprendo la cicatrice di un'appendicectomia.
- Ce l'ho anche io - disse la ragazza, avendo notato la piccola curva rosa  sul basso addome del ragazzo. Sollevo' di qualche centimetro il suo cardigan blu',  mostrando una cicatrice identica a quella di lui - Avevo dieci anni, ed e' stato molto doloroso.  I primi giorni cercavo di nasconderlo ai professori e ai miei genitori, poi un giorno sono caduta dalle scale per il dolore ed ho battuto la testa... Mi hanno portata all'ospedale, così mi sono ritrovata con l'appendice asportata e un trauma cranico.
Turner la guardo' con aria perplessa, ma non disse nulla.  Passo' l'indice sulla piccola striatura  rosa  della biondina,  per poi aprire la mano sulla sua pancia.  Pia lascio' andare il lembo di  lana che reggeva, ma non scosto' quella mano maschile.  Si sentiva piuttosto a  suo agio, ed inoltre non voleva contrariare il ragazzo.

A Cain non passo' inosservata tutta quella sua disponibilita'.  Aveva il  dubbio che Pia non avesse provato un bel niente nel baciarlo, ed il notare la sua espressione rilassata malgrado gli avesse piantato una mano sotto i vestiti, rinforzo' quel pensiero.  
Sentì un sapore sgradevole in bocca,  come se avesse bevuto un  succo di frutta troppo aspro.  Associo' quell'attimo all'immagine di un polpelmo e trovo' che il frutto aveva un qualcosa di Pia; no, forse Pia somigliava di piu' ad una castagna...Ma non era un fatto di gusto, la spiegazione probabilmente stava nel colore degli occhi.  Pompelmo e castagne, che pensiero cretino!
Solo dopo qualche istante capì che si trattava di amarezza, e che i gusti e i colori non c'entravano niente.  Aveva baciato  una ragazza, ma questa non aveva provato nulla, e probabilmente non le importava un fico secco di lui o di suo padre; era venuta  a casa sua per altro, l'aveva sedotto mentendo con il suo corpo...doveva essere così. Ma cosa voleva da lui, allora?
- Perche' sei venuta qui? - chiese atono.

Pia osservo' la  mano del moro scivolare via da sotto i suoi vestiti,  ed infilarsi nella tasca dei pantaloni, interpretando il gesto come una  chiusura nei suoi confronti.
- Volevo scusarmi per ieri. Forse avremmo dovuto andare avanti a parlare.
- A parlare, o  a cercare gli elementi di un delitto, fammi capire... - chiese, con voce tutt'altro che collaborativa.
- Se io trovassi una prova  tu mi seguiresti?
-Ti seguirei dove?! - il ragazzo si tiro' su di scatto - Ma ascoltati quando parli! Ma sei veramente convinta di quel che vai decendo? Pensavo che quella esaurita fosse mia madre, ma tu...oh no...tu la superi alla stragrande! - disse, accendendo lo stereo per coprire la propria voce - Ti aspetti di trovare le mani di qualcuno sotterrate nel cortile dietro casa? Stai esagerando, Pia...Ho cercato di fartelo notare gentilmente, ma tu mi sembri proprio fissata - concluse, puntandole un dito contro.

La bionda rimase compostamente seduta, sgranando appena un po' gli occhi nocciola. Cain aveva bisogno di prove molto evidenti o non l'avrebbe mai creduta.
- Se non trovero' nessuna prova sarai libero di  togliermi il saluto e cancellarmi dalla tua vita.
- Cancellarti?! Ho il segno della tua esistenza tatuato sul fianco,  mi verresti ugualmene in mente ogni dannato giorno della mia vita! - esclamo', portandosi le mani ai capelli - Se solo tu non mi parlassi di queste stronzate sui delitti in famiglia, riuscirei anche a...a stimarti!  
Entrambi i ragazzi si soffermarono a riflettere su quell'ultima parola, ed entrambi pensarono che fosse una parola un tantino fuoriluogo per due adolescenti che si erano avvicinati per un tauaggio clandestino,  si erano baciati e poi avevano finito per discutere su  dei potenziali assassini. Come dire..la stima era roba per adulti.
Fu Cain a riprendere il discorso - E poi mi fai paura... Sei  fredda e calcolata, lo sei statadal primo momento in cui ti ho avvicinata per chiederti del tatuaggio.  Non capisco se sei così per l'ossessione verso i tuoi genitori...o lo sei proprio di natura!

Dalla radio esplose un pezzo metal, tutti e due i ragazzi sussultarono. Cain spense la radio con un gesto di stizza, e rimase fermo sull'oggetto, con le dita strette lungo i bordi. Infine sospiro',  rendendosi conto di essersi sfogato anziche' essere riuscito a metterle soggezione come avrebbe voluto. Si passo' una mano sul viso, raccogliendo le idee.
- Facciamo un patto. Pero' dovrai essere seria nel mantenerlo, niente bugie, niente farse e soprattutto non puoi  tirarti indietro - si volse verso Pia. I suoi occhi le comunicarono che aveva ritrovato sicurezza - Oppure chi non deve...sapra' del tuo hobby.
Porthia schiuse le labbra, ma non disse niente. Lascio' finire di parlare il  ragazzo.

- Non sono un cretino, anche se sono convinto che tu ti senta superiore a me - si piego' sulle ginocchia di lei, e vi poggio' le mani sopra, deciso ad incatenare il suo sguardo con il proprio - Io ti aiuto a cercare queste fantomatiche prove, ma se faremo cilecca, come io sono sinceramente convinto che succedera',  ti libererai di questa sciocca paranoia. E con cio' non voglio dire che dopo ce ne andremo ognuno per la propria strada... Oh no...Noi due ricominceremo tutto da capo.

Pia rimase ancora silenziosa ed immobile. Era così convinta del fatto suo, che i suoi presentimenti nascondessero un fondo di verita', tanto da non preoccuparsi minimamente  delle convinzioni di quel ragazzo che la guardava con sguardo severo. Lei sapeva, lei gli avrebbe mostrato la verita'.
Una sorta di euforia  si espanse per tutto il suo corpo. Un'euforia che la fece giurare senza esitazione .



Cain sposto' la lavatrice, non con poca difficolta'.
- Vedi qualcosa? - chiese, con voce sottosforzo.
Pia scosse il capo, chinandosi per raccogliere  un fermaglio che credeva ormai perso.  Mostro' l'oggetto al ragazzo,  alzando un sopracciglio - Niente.
- Hai preso in considerazione l'idea che potrebbero aver buttato via quel calzino nei cassonetti pubblici? - disse, spostando nuovamente il pesante elettrodomestico.
- Sì,  Oggi e' martedì, ormai sono passati due giorni, i netturbini avranno gia' svuotato i cassonetti...
Il moro mise le mani sui fianchi - Hai guardato in cantina?
- Ieri, quando sei andato via, ho dato una ripassata alla casa.  Domenica avrei dovuto rimanere in casa e spiare le mosse dei miei, invece sono andata  a correre. Che sciocca! Probabilmente non aspettavano altro che io uscissi di casa!
- Stai un po' esagerando, ora! Mi aspettavo che non avremmo trovato nulla... Tuattavia, per non averla vinta così alla svelta,  ti do un'altra occasione. Se ho ben intuito, tu pensi che i tuoi mietano vittime quando escano il sabato sera,  giusto?
- Io...non so se questo avviene ogni sabato sera - deglutì.
Cain la guardo' con  l'aria di chi aveva un gran bisogno di sfottere la sua vittima. Ogni minuto che passava la tesi della biondina si faceva sempre piu' debole - Capisco... Bhe, fa lo stesso. Aspettiamo di vedere che succede sabato sera, e poi  vedremo chi di noi due...
Pia lo interruppe -Seguiamoli!
- Loro hanno un auto, e non e' detto che si spostino in un luogo dove arrivano i mezzi pubblici! Come pensi di f... ?!!!

Con un gesto svelto ed impetuoso, Pia  aveva spinto il ragazzo contro il muro della lavanderia, tappandogli la bocca - Vai in cantina! - gli sussurro'.  Uscì chiudendosi la porta alle spalle,  e di lì ad un secondo sua madre entro' in casa.
Controllo' la propria espressione com'era solita fare, e sorrise alla donna.
- Com'e' andata oggi a scuola, tesoro? -  chiese Mrs. Hunt, sparendo in cucina - Sta per ricominciare a piovere, non smette proprio mai!
- Solite cose... Ci saranno i colloqui con i genitori fra poco, ti ho lasciato la circolare in camera.
- Davvero? Di nuovo di lunedì? Dovro' prendere una mattinata libera, nel caso.
- Sì, lunedì, ma nel pomeriggio - le rispose Pia,  cominciando a svuotare il sacco del minimarket che sua madre aveva poggiato sulla tavola - Sei uscita presto, oggi.
- Sono passata a ritirare delle analisi dal medico. Sai, ho paura che la tua giovanissima mamma sia vicino alla menopausa - disse, simulando una voce lamentosa - Ti aspettano grandi momenti di sopportazione, cerchero' di fare la brava, ma agli ormoni non si comanda.  Lo capirai anche tu, fra qualche anno - prese fra le mani il viso di  sua figlia, carezzandole gli zigomi con il pollice - Se vuoi averne un'assaggio, potresti cominciare a prendere la pillola anticoncezionale.  Un sacco di ragazzine cominciano alla tua eta'!.

Porthia si libero' gentilmente di quelle mani fredde e affusolate, e torno' a disporre gli alimenti nella dispensa - Non voglio esagerare con gli ormoni... Quelli dei ragazzi a scuola bastano ed avanzano, mi sorbisco gia' quelli mamma.
- E invece dovresti valutare la mia proposta! Quando avevo la tua eta' avevo gia' un ragazzo, ed avrei pagato oro affinche' tua nonna fosse stata comprensiva e me l'avesse fatta prescrivere!
- Saresti felice se io fossi sessualmente attiva? Non dire queste cose di fronte a tuo marito,  non voglio discussioni a cena... - sorrise la ragazza.
Mrs Hunt si tolse cappotto e maglione, rimanendo in reggiseno - Pensaci su, mia cara... - si avvio' verso la lavanderia, mettendo in allarme Pia.

La ragazza seguì con lo sguardo la bella signora, intenta  a disfarsi dei collant e della gonna di velluto a costine che indossava. Rimase sullo stipite della porta di cucina, gia' pronta con due scuse diverse nel caso Cain non avesse eseguito il suo ordine, invece di filarsela in cantina.
Quando Hellen  Hunt aprì la porta, Pia afferro' il legno bianco dello stipite, trattenendo il fiato.  

Come da programma,  la stretta stanzina era vuota, se non per la lavatrice spenta, il cesto della biancheria, ed uno stendiabiti  chiuso, appoggiato alla parete.
La madre della ragazza ficco' gli abiti nel cesto, e uscì, salendo al piano di sopra. Si giro' verso la figlia - Tesoro, mi porteresti la mia borsa in camera, per favore?
- Certo... - Pia eseguì, sforzandosi di non gettare occhiate alla porta della lavanderia.  Una volta che sua madre fosse entrata in doccia, avrebbe fatto uscire Cain.
Scese di nuovo in cucina,  concentrandosi sui rumori che provenivano dal piano di sopra.  Finalmente sentì la porta del bagno chiudersi, ed il cigolìo della cabina di vetro della doccia. Scatto' verso la lavanderia, ed aprì la cantina. Nel buio scorse la sagoma di Cain, seduto sull'ultimo scalino della rampa.
- Hai avuto paura? - gli chiese, ora decisamente piu' tranquilla.
Cain risalì le scale, tirandola verso di sè per un braccio - Hai un bel coraggio  a  prendere per il culo!
- Mi dispiace - gli sorrise, con un vago accenno di tenerezza - Pero' e' andata bene.
- Come no..- Il ragazzo si affaccio' dalla porta della lavanderia - Via libera?
- Sì. Chiudero' io la porta di casa, una volta fuori gira a sinistra pero'.
- Lo so, lo so...la vicina guardona.

Prima di uscire il ragazzo si fermo' un attimo, per guardarla bene negli occhi. Aveva ancora un'aria severa, voleva che quella sciocca biondina capisse bene con chi aveva a che fare - Ringraziami per oggi, quantomeno.
- Hai ragione. Grazie Turner, te lo devo.
- Il fatto che tu sia in debito con me... - la spinse verso il muro. Pia affondo' nella lana di un cappotto di suo padre,appeso all'attaccapanni da muro - E' eccitante - avrebbe voluto dirle,  mentre sfiorava le sue labbra con le proprie. La lana ruvida del cappotto,  un vago sentore di tabacco e colonia provenire da questo, poi il respiro caldo della ragazza ; spinse il bacio piu' a fondo,  e le resistenze di lei  cedettero a quel gesto  deciso ed improvviso.

Gli occhi azzurri di Cain  fissi  sulle palpebre chiuse della ragazza, leggermente tremolanti. Un bacio ad occhi aperti,  non poteva essere un bacio poi molto romantico.
Cain Turner lascio' la ragazza  avvolta dal cappotto, ed uscì.  Svolto' a sinistra, l'aria fredda gli pizzicava la pelle e gli asciugava le labbra umide di quel bacio.













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Capitolo 7
*** Sabato ***


Sabato




                                                                                                         SABATO






Mercoledì due compiti in classe, tanto studio ed una punta di noia.
Giovedì un' uscita al cinema. Cain pago' il biglietto per sè e per Pia.
Venerdì le prime decorazioni di Natale illuminavano la periferia di Manchester, il grande tradizionale abete nel parco della scuola fu addobbato di lucentezze d'oro ed amaranto.  
E poi giunse il sabato.

Al termine delle lezioni, Cain aspetto' Pia sotto la quercia nei pressi dell'ingresso scolastico.  La temperatura era drasticamente calata, la maggior parte degli studenti  indossava sciarpe e guanti, tuttavia il cielo non si era ancora  imbiancato minacciando neve.
Concordarono di andare a fare un giro al centro commerciale, prima di rientrare a casa. Mentre camminavano fianco a fianco, Porthia cercava di contenere un certo entusiasmo per il loro piano serale, anche se proprio di piano non si poteva parlare; per tutta la settimana aveva cercato garbatamente d'introdurre il discorso al ragazzo, cercando di non assillarlo, e con brevi frasi buttate la al momento giusto, era riuscita a lasciargli l'iniziativa su quell'argomento spinoso.
Cain aveva valutato poco fattibile il pedinamento dei coniugi Hunt, mentre invece aveva ritenuto piu' semplice, benche' non privo di rischi, aspettare il rientro dei due adulti per cercare tracce  sui loro abiti o nella vettura. A Pia non era sfuggito un particolare che Cain, contro ogni sua aspettativa, ritenne davvero sospetto: i signori Hunt il sabato sera parcheggiavano l'auto presso il magazzino di famiglia anziche' nei pressi dell'abitazione.
Fu proprio questo particolare a far accendere un barlume di fiducia nei confronti dei dubbi che la ragazza nutriva..

Prima degli abiti dei genitori, i ragazzi avrebbero dovuto controllare la vettura, questo implicava il procurarsi le chiavi del magazzino di suo padre. Se c'erano delle prove, potevano essere state dimenticate nell'abitacolo o nel bagagliaio, e prima avessero avuto l'occasione di dare un'occhiata, prima avrebbero potuto trovare delle tracce. La seconda mossa  sarebbe stata quella di passare al vaglio scarpe, borse e soprabiti, nonche' i famosi calzini che tanto avevano acceso  fantasie nella biondina. Per farlo, Cain avrebbe dovuto introdursi in casa di Pia quella sera stessa, affidandosi  alle proprie capacita' di agire in silenzio.

Cain non riusciva a scorgere nessun segno di nervosismo  nella ragazzina, ma non si stupì, conosceva la sua abilita' nel celare i suoi tumulti interiori.  Provava invece un certo imbarazzo per se stesso, e per la propria agitazione. Talvolta il cuore gli pungeva il petto, e sentiva un leggero sentore di nausea; spostava in continuazione lo zainetto da una spalla all'altra, e  sentiva un lieve velo di sudore salire dal collo alla fronte qualora i suoi pensieri si facevano pessimisti .  
Mentre guardavano le vetrine di un negozio di elettronica, Pia estrasse una mano dalle enormi tasche del parka, si tolse il guanto e  passo' le dita sul viso del ragazzo - Sei accaldato. E' per stasera?
Il moro rimase fisso sulla vetrina, scostando delicatamente la mano di lei - E' il cappotto che mi fa caldo - rispose evasivamente, sbottonandolo con mani nervose.
- Tu non hai molto talento nel mentire, Turner - disse, aiutandolo con l'ultimo bottone.
- Non elevare un tuo enorme difetto ad un talento... Ricordati che  prima o poi ci rimarrai fregata - le rispose lui, allontanandole la mano.
Pia squadro' il viso del ragazzo, e per la seconda volta provo' un senso di colpa nei suoi confronti. Forse Cain non era adatto a quel genere di cose,  non avrebbe dovuto coinvolgerlo. Doveva dirgli qualcosa in proposito,  prima che giungesse sera .
- Ascolta Turner. Non mi devi obbligatoriamente aiutare. Lo so che da sola ho meno possibilita' di procurarmi delle prove, ma non voglio che tu rimanga scottato per una questione che oltretutto  ritieni inesistente.  Al di la dei giuramenti, delle scommesse e dell'orgoglio, io...
Cain la fisso' con aria di rimprovero. Pianto' entrambe le mani sulle sue spalle, incontrando i suoi capelli disordinati - Lo faremo, stanne certa. Non puoi chiedermi il contrario! E poi voglio che tu dimentichi questa storia degli assassini. Piu' ti trascini questi dubbi nel cervello, e prima ti ritroverai come mia madre!

Gli occhi nocciola della ragazza, titubanti, si abbassarono al petto di lui. Rimasero concentrati sulle righe diagonali della cravatta, che spuntavano dal maglione infeltrito della divisa scolastica.  Ripenso' alle mani rugose di Mrs Turner, al contatto con la vera matrimoniale, fredda e lucente, al suo sguardo di vedova  tenero ed annebbiato. Poi comparvero gli occhi di sua madre, così  intelligenti e lucidi, quasi superbi. Come avrebbe potuto amarla ancora come  quando era piccola? Avrebbe continuato a desiderare di acquisire il suo fascino esteriore, se quella donna fosse stata davvero un'assassina?
Doveva pensare ad altro,  assolutamente.   Ripresecompostezza, scivolo' dalle mani del ragazzo e s'incammino' verso la scala mobile - Ho voglia di qualcosa di caldo.
Cain la raggiunse, ma rimase amareggiato dal suo comportamento. Pia continuava a sfuggirgli,  non c'era verso di riuscire a cogliere una sfumatura della sua mente, di  farsi spiegare un suo stato d'animo. Non c'era spontaneita' in quella ragazzina, era questo il vero problema.  

Entrarono in uno dei tanti caffe' del piano superiore,  sedendosi vicino ad uno squadrato cespuglio di  calicanto plastificato, che gli isolava dal resto dei clienti.
Una volta sedutosi, Cain prese il menu' fra le mani - Non sono un amante della cioccolata calda - disse, scorrendo la lista delle cioccolate.
Pia ignoro' quell'intervento. Non voleva pensare alla propria madre, ma a quel punto avrebbe dovuto chiedergli della sua - Tua madre e' rimasta sconvolta dalla morte di tuo padre, Turner? - gli chiese,  guardando le pagine patinate del menu'.  Con la coda dell'occhio vide che  il ragazzo si stava muovendo nervosamente sulla sedia, allentandosi la cravatta. Era diventato nuovamente paonazzo.
- Pensavo che l'avessi gia' capito l'altra volta, a casa mia - rispose, strofinando l'indice dietro l'orecchio.
- Sì ma...com'e' morto tuo padre? .
- Un incidente. E' successo piu' di un anno fa - schiuse le labbra, alzando lo sguardo sul viso della biondina. Questa allungo' una mano al centro del tavolo, invitandolo a mettere la mano sulla sua.  Cain  afferro' le sue dita, appena arrossate dal freddo. Sentì gli occhi inumidirsi e prese qualche secondo per incoraggiarsi a proseguire - No Pia, non e' vero che e' stato un incidente. Questo e' quello che la mia famiglia ha deciso di dire in giro, perche' in fin dei conti mio padre era un uomo rispettabile.

Pia scorse gli occhi umidi del ragazzo ed intreccio' le dita con le sue.  Una giovane cameriera in jeans e grembiule country,  spunto' da dietro la siepe, preparando il blocchetto per le ordinazioni.  La biondina scivolo' via dalla mano del ragazzo e gli fece un cenno con il capo, per avvertirlo della presenza della cameriera.
Fu Pia ad ordinare per tutti e due - Due te' al gelsomino, per favore. E poi una porzione di questi - disse, aprendo il menu' sulla pagina dei dolcetti.
La ragazza in grembiule segno' gli ordini, e strappo' la striscia relativa alla ricevuta, lasciandola sul tavolo;  per quei brevi istanti Cain volse la faccia verso la vetrina, che si affacciava su un babbo natale in polistirolo con tanto di renne e pacchi regalo.  Rimase assai sorpreso quando un ragazzo con i capelli cortissimi si avvicino' alla vetrina e vi appoggio' il pugno sopra, in direzione di Pia.

Porthia rivolse nuovamente l'attenzione verso Cain, e scoprì sul suo volto un'aria corrucciata. Solo allora si accorse dell'altro ragazzo, intento a bussare sulla superficie trasparente.
- Jhona! - esclamo' la ragazza,  urtando il  menu'.
- Chi e' questo? - chiese Cain, innervosito da quello sconosciuto. Il moro  passo' la manica del maglione sugli occhi ancora umidi, voltandosi dall'altra parte.
Il biondo dall'altro lato del vetro sorrise, accennando un saluto con la mano, ed indicando l'entrata della caffetteria.
Pia scosse il capo, come per dirgli di non  entrare, ma l'altro la ignoro' completamente.
- Allora? - aggiunse Cain, afferrandole il polsino della manica. E sul suo viso si leggeva chiaramente l' interrogativo "permetti che s'intrometta fra noi?!"
- E' il nipote della mia vicina di casa - spiego' Pia - Non accennare a stasera, non accennare minimamente al fatto che sei gia' venuto in casa mia e soprattutto  perche' mi conosci!
Turner la guardo' quasi con rabbia, ma con sforzo decise di controllarsi.

Jhona spunto'allegramente dalla siepe plastificata, sfilandosi il piumino sportivo e la sciarpa.  Sorrise alla biondina, gettando le proprie cose sul divanetto dove sedeva Cain e  guadagnandosi un'occhiata storta da quest'ultimo.
A Pia quell'occhiata non sfuggì; si passo' una mano sul viso, augurandosi che i modi provocatori del suo dannato vicino si limitassero al lancio del piumino.
- Allora, che si dice? - chiese Jhona, sostenendo un sorriso smagliante - Lui?
- Si dice che  non ti ho invitato ad entrare, Jhona.  Ma a parte questo, lui e' Turner, frequenta la mia scuola.  

Jhona passo' in rivista il moro, senza risparmiarsi uno sguardo sfrontato. Fu lieto di constatare che lo superava in stazza ed altezza; trovo'immediatamente insopportabili  i suoi occhi azzurri, furbi e perspicaci,  e la sua aria pulita da cocco di mamma. Nascose i denti  dietro un sorrisetto di superiorita' - Mi pareva che fossi ancora single, infatti - commento', rivolgendosi alla biondina.

Turner serro' le mascelle, spostando lo sguardo dal  tavolo alla felpa imbrattata di cibo che Jhona indossava, in un nervoso sbattere di palpebre.
Era fin troppo evidente che fra i due  ragazzi si era creata un'istintiva antipatia.  
La cameriera giunse con tazze e teiera, sorridendo al nuovo cliente. Jhona allargo' le braccia sulla spalliera del divanetto, sfiorando la nuca della sua vicina - Hey! Mi porteresti una coca con ghiaccio? Anche delle patatine con salse.
La ragazza in jeans aggiunse l'ordine alla ricevuta, ma specifico' che il locale non  serviva patatine fritte.
- Non importa, grazie... Gli porti solo la coca! - s'intromise Pia, prima che Jhona potesse aprire bocca; ques'ultimo fece spallucce, prendendo fra il pollice e l'indice una ciocca  dei  capelli lunghi e biondi di lei.
Cain avrebbe' voluto sbattere i pugni sul tavolo,  e ribaltare tutto cio' che vi stava sopra, ma  aggiunse pazienza  a quella che gia' aveva dimostrato di avere, e  si verso' del te', allontanando i biscotti dalla portata di quell'individuo indesiderato.

- Facevate shopping? - chiese Jhona, tirandole scherzosamente i capelli - Manca ancora un mese a Natale.
Senza troppa grazia, Pia  allontano' la sua mano - Facevamo un giro. Ma tu non ci vai piu' agli allenamenti di calcio? - disse,  virando l'argomento verso altri lidi.
Jhona rise - Mi hanno segato fuori!Scherzi?!
- Non c'e' cosa che tu non ti metta in testa di distruggere, eh? - rispose lei, sarcasticamente - Tua nonna ci teneva, lo sai. Che hai combinato?
Jhona s'inumidì le labbra,  piegandosi in avanti - Uno mi rompeva i coglioni, e io gli ho ficcato la testa nel cesso. Quello si e' agitato troppo e si  e' quasi soffocato con l'acqua del water - spiego' tranquillamente, per poi sfidare il moro con gli occhi - Se fosse rimasto tranquillo non sarebbe finita' così alla cazzo!
Pia rimase con la tazza sollevata a mezz'aria, frenata dal disappunto. Cain aveva la medesima espressione disgustata, e si sorprese di se stesso quando il disgusto lascio' il posto al divertimento;  la pomposa volgarita' di quel ragazzone  era quantomeno tragicomica, una volgarita' così fittizia e urlata  da parere uscita da un romanzo di Irvine Welsh. Fu grazie  a questo pensiero che accantono' la rabbia, riconquistando sicurezza. Quel Jhona era solo un pallone gonfiato.
- Si capisce, se ti agiti con la testa nel cesso, rischi di annegare - sorrise, versandosi dell'altro the .
Jhona lo guardo' con aria sospettosa, era come se gli fosse sfuggito qualcosa, come se nel suo commento ci fosse stata un'offesa velata.  Strinse fra le dita la coca che la cameriera gli aveva appena portato.

- E tua nonna lo sa gia' che ti hanno buttato fuori? - chiese la ragazza, estraendo il cellulare per controllare l'ora - Si e' fatto tardi - disse, sperando che Cain afferrasse il senso di quella frase. 
- Naaa...non c'e' bisogno che lei lo sappia. Dico bene, capellona? - rispose, mostrando nuovamente un largo sorriso strafottente. Afferro' nuovamente una ciocca dei lunghi capelli di Pia, tirandola leggermente. Rise, godendosi l'aria contrariata di entrambi i ragazzi, poi si alzo' per lasciar passare la biondina - Comunque sono sicuro che tu non glielo dirai - aggiunse, efferrando la ricevuta delle consumazioni, prima che potesse farlo Cain.
Pia sospiro' - Sei una piattola.
- Offro io...anche al tuo amico.


Ore tre del mattino.
Pia era rimasta con l'orecchio schiacciato alla porta della propria camera da letto per una buona mezzora, aspettando che i suoi genitori si coricassero. Uscì di camera e rimase immobile davanti alla loro stanza per qualche minuto,  allontanandosi solo quando percepì  il monotono russsare di suo padre.  Scalza, scese al piano di sotto, indossando il solito parka blu e delle scarpe da ginnastica.  
Facendosi luce con il display del cellulare, Pia estrasse da un cassetto della cucina una scatolina di cartone, in cui i suoi genitori tenevano le copie di diverse chiavi; la ragazza trattenne il fiato, completamente concentrata nell'estrarre una copia  del  mazzo relativo al magazzino e la chiave di riserva della macchina.  Nell'immobile silenzio della casa, qualsiasi microscopico rumore le sembrava amplificato.
Dalla finestra di cucina scorse la sagoma di Cain,  appoggiato alla ringhiera di un' abitazione di fronte casa sua..

Una volta in strada, Pia mostro' le chiavi al ragazzo - Il cancello  principale e' elettrico, ma fa un gran brutto rumore quando si apre. Dobbiamo passare da un cancello piu' piccolo che si trova nella parte opposta al magazzino.  Questa e' la chiave...mentre questa ci serve per aprire la saracinesca. Non possiamo usare l'uscita di emergenza, perche' non ha maniglie e nemmeno serrature all'esterno , anche se sarebbe l'ideale visto che  si tratta di una normalissima porta - spiego', mostrando  le due chiavi al ragazzo - Hai portato tutto?
Cain estrasse un sacchetto di cellophan dalla tasca del piumino smanicato. Questo conteneva due paia di guanti da giardinaggio, una pila da campeggio, ed una specie di lampada lunga e sottile, applicata su una sorta di pedana - La riconosci questa? - Pia scosse la testa - E' una lampada di Wood, serve  ad identificare tracce di  liquidi che ad occhio nudo non sarebbe possibile vedere.
- E' una lampada UV, insomma. L'hai rubata alla scientifica? - chiese scherzosamente la ragazza - Non dubito che ci servira'.
- Se dobbiamo fare questa cosa, facciamola per bene. E poi l'ho costruita io, mi e' bastato comprare la lampada dal ferramenta, ed  una batteria ricaricabile da campeggio.
- Suppongo che allora dovro' renderti i soldi di questo brillante acquisto...
-  Offro io, e' stato divertente ingegnarsi un po'.
 - Ci siamo - taglio' corto la biondina.  Lego' i capelli in un improvvisato chignon e comincio' a guardarsi d'intorno. La zona dov'era collocato il magazzino non era isolata, ed anche se c'erano poche case e molti magazzini,  alcuni commercianti avevano l'abitudine di abitare sopra il posto di lavoro.

Pia giro' la chiave nella serratura del cancelletto,  e con delicatezza lo aprì. Cain seguiva ogni sua mossa ed ogni suo gesto, come un fedele segugio.  
- Aiutami a sollevare la saracinesca - sussurro' al ragazzo, una volta tolto il lucchetto che bloccava la saracinesca all'asfalto - Ma piano e poco, ci basta tanto da poter strisciarci sotto.
Prima di entrare, Cain illumino' il percorso alla ragazza con la piletta da campeggio, poi la seguì, passandole l'oggetto.  
Il magazzino era pieno di pancali ed alti scaffali colmi di generi alimentari di svariato genere, imballati  o incellophanati. In fondo allo stanzone Cain scorse le celle frigorifere ed una porta di legno, forse l'ufficio di suo padre. C'era un forte odore di segatura, anche se sul pavimeno non ve n'era traccia.  Pia illumino' la parte alla loro destra,  rivelando la berlina scura e datata dei genitori, vettura che non usavano tutti i giorni.  
La macchina era priva di allarme, ma aveva delle ottime chiusure  ed i vetri rinforzati, per qualsiasi ladro sarebbe stato un problema profanarla, ma non per Pia che  l'aprì agilmente per merito della chiave.  Indosso' i guanti e si sporse sul cruscotto, premendo il tasto che apriva il bagagliaio.
- Tu dai un'occhiata dietro, io controllo qui davanti. Mi raccomando, se sposti qualcosa rimettila dov'era. - si raccomando' la ragazza, porgendogli la pila.
- Ok - Cain annuì, strinse fra i denti l'oggetto luminoso,  indossando anch'esso i guanti .

La biondina si sedette nel lato guidatore, ed inizio' a frugare prudentemente nel vano portaoggetti sotto il sedile.  Non noto'  immediatamente uno strano odore  provenire dall'abitacolo, ma dopo pochi secondi  colse un sentore acido familiare,  che le ricordo' immediamente lo sgrassatore industriale con cui suo padre puliva il pavimento del magazzino.
Fu  mentre realizzava cio' che sentì un urlo strozzato provenire dalle sue spalle.  Guardo' nello specchietto retrovisore, ma non vide la testa mora del ragazzo.

Cain si sbilancio' all'indietro, tappandosi la bocca per  reprimere un urlo che  gia' era sfuggito alle sue tonsille. Cadde con un tonfo sordo,  e la pila rotolo' fino ad un pancale di sacchi d'avena.  Porto' entrambe le mani alla bocca e chiamo' la ragazza, con voce simile ad un lamento - Pia...cazzo...non...cazzo...!
Porthia scatto' fuori dall'abitacolo e si getto' sulla pila da campeggio, poi si  chino' sul ragazzo - Che hai visto lì dentro?! - chiese,  scorgendo le pupille  del ragazzo dilatate come quelle di un gatto. Cain non era in grado di risponderle, lottava con dei forti conati di nausea; questo chino' il capo fra le gambe, ed una sottile scìa di saliva colo' dalle sue labbra.
Pia gli dette qualche secondo per riprendersi, posando una mano sulla sua schiena. Illumino'  il posteriore della macchina, ma da quella posizione non poteva scorgere l'interno del bagliaio. Ammise a se stessa di non avere il coraggio di avvicinarsi da sola alla vettura e rimase paralizzata, come se da un momento all'altro potesse spuntare una qualche creatura malefica. Sobbalzo' quando Cain le afferro' il polso, riportando la luce su di sè, come un bambino spaventato dal buio.  L'espressione di sofferenza che vide sul viso del ragazzo le mozzo' il respiro. Cadde in ginocchio, prima ancora che il ragazzo le parlasse.
- C'e'...e' lì...sono dei pezzi...loro...

Pia si appoggio' con tutto il suo peso al ragazzo, abbracciandolo.
Tutte le sue paure, i suoi dubbi e  l'amore sfumato per i suoi genitori se ne stava impacchettato in  spessi sacchi di plastica nera, ammassati nel bagagliaio.

Non c'erano piu' dei genitori. Ma esistevano degli assassini.











 





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Capitolo 8
*** Penombra ***


Soluzione Il tasto "T" del mio portatile mi sta abbandonando. Poverino e' un apparecchio anziano...sta pian piano entrando in eta' pensionabile. Le cose sono due:  o smetto di usare parole che implicano la lettera "t", o comincio a lanciare messaggi subliminari natalizi al mio amato pigmalione... *sigh*




                                                                             

                                                                     PENOMBRA


                                                                   



Un magazzino buio. Torri di alimenti destinati al consumo di tutto il quartiere. Due ragazzi seduti sul pavimento gelido. Una berlina illuminata. Un bagagliaio con  una cadavere fatto a pezzi.

Cain tossì, respingendo indietro un nuovo conato. Passo' la manica della felpa sulla propria fronte, per asciugare il sudore; aveva bisogno di riprendere aria senza che la nausea tornasse a tormentarlo.
 Pia non aveva piu' detto niente, lo aveva abbracciato ed aveva nascosto il viso nel suo piumino smanicato. Sicuramene stava piangendo,anche se non percepiva nessun singhiozzo.  Alzo' lo sguardo  alla berlina, un modello Rover di qualche anno fa. L'abitacolo era illuminato pallidamente dai faretti interni che  rendevano la vettura, se possibile,  ancora piu' macabra.  Cain scorse il lembo di uno dei sacchi neri, e riabbasso' immediatamente lo sguardo.  Passo' una mano nei capelli, gesto che compiva quando si sentiva sotto stress.
Sfioro' con le labbra l'orecchio della ragazza, per sussurrarle qualcosa di rassicurante, ma  non vi riuscì. Cosa mai poteva dire ad una ragazzina di quattordici anni, che aveva appena scoperto che i suoi genitori erano degli assassini? Chiuse gli occhi. Penso' che Pia forse non sarebbe piu' stata la stessa, forse sarebbe diventata come sua madre, o avrebbe tentato gesti folli.  Parole come "polizia", "ergastolo" e "affidamento" gli vorticarono in testa.

Se Pia invece avesse tenuto il segreto per sè, i suoi genitori avrebbero potuto ugualmente sospettare di lei, prima o poi.  Allora la ragazza sarebbe stata in pericolo. Lui stesso, d'altra parte,  non sarebbe riuscito a tacere per sempre.
Insomma, sembrava non esserci soluzione a quella cosa.  Quel cadavere stava davanti a loro, tangibile, scomposto in grossi sacchi di plastica. E chissa' quanti altri lo avevano preceduto.

Finalmente Pia si mosse, fermando dietro le orecchie alcune ciocche di capelli che erano sfuggite all'elastico.  Cain fu molto sorpreso dei suoi occhi asciutti, penso' che forse lo shock  le aveva bloccato ogni emozione. Tuttavia la freddezza di lei  gli stava risparmiando di dover prendere l'iniziativa e trascinarla fuori da quel maledetto magazzino, in lacrime.

La ragazza si rialzo',  illuminando prima la vettura e poi il giovane Turner.
-Alzati, dai - gli disse, in tono risoluto - Devo vedere con i miei occhi.
Cain rimase davvero colpito dalla sua determinazione. S'immagino' che le sue non fossero parole dettate dal coraggio, ed  il  vederla muoversi come un automa verso la berlina, rinforzo' la sua tesi. Si tiro' su,  deciso a seguire la ragazza, ma a non gettare nemmeno uno sguardo su quel cadavere deturpato.
Il solo pensare di aver sollevato un lembo di quei sacchi per vedere cosa contenevano,  gli  riscatenava la nausea.

Pia  conto' i pochissimi passi che la separavano dal bagagliaio. Si fermo' un attimo per vedere se il ragazzo la stava seguendo, poi si avvicino' al portellone e vi punto' la luce contro.
Non vide nessuna traccia di sangue,  ma distinse chiaramente almeno una decina di sacchi ammassati  l'uno sull'altro. Allungo' la mano, con la mente sgombra da qualsiasi pensiero, le orecchie  le fischiavano, ed il cuore aveva cominciato a batterle senza tregua.
La sua mano si mosse veloce. Scorse un arto reciso, un osso spuntava imbrattato di sangue dalla carne; non somigliava ai cadaveri di animali esposti nella macelleria del supermercato, e nemmeno alla carne che suo padre conservava nelle celle frigorifere.  Le sembro' che  quella  cosa  la stesse fissando inquisitoria. Guarda come mi hanno ridotto i tuoi genitori! Guarda che hanno fatto!

La figlia degli Hunt ricoprì quell'oggetto senza vita e chiuse il bagagliaio. S'inginocchio', stringendo il paraurti con le mani guantate. Cain le fu subito affianco, aspettandosi di vederla vomitare, o che venisse colta da una crisi isterica, ma invece la ragazza riuscì nuovamente a stupirlo.
- Ora guardiamo in ogni angolo di questo fottuto magazzino. Ci sono degli altri cadaveri da qualche parte.

Prima che Turner potesse farle notare che per quel giorno la visione di un cadavere fatto a pezzi avrebbe dovuto bastare per entrambi, una figura striscio' da sotto il bandone.
- Oh cazzo!! - esclamo' Cain, afferrando un braccio della ragazza.
Pia punto' immediatamente il fascio di luce su quell'intruso e pesto' i piedi a terra quando riconobbe i tratti fin troppo familiari di Jhona Tunninghton.
- Cosa cavolo ci fai qui?!! Ci hai seguiti?!! - ringhio' la biondina,  andandogli incontro a muso duro. Alzo' la mano per colpirlo con la pila, ma il ragazzo la blocco' facilmente.
- Hey blondie, calmati! Prima di entrare ho provato a chiamarti, ma poi mi son reso conto che dovevi aver tolto la suoneria al cellulare, così sono entrato... - si guardo' intorno, lasciando andare la ragazza - Rubi a tuo padre, ora? C'e' anche lui, vedo...Avete messo su un'associazione  a delinquere e non mi avete nemmeno invitato!

Stavolta i nervi di Cain sfuggirono alla sua proverbiale pazienza.  Scanso' Pia, e spinse il bulletto contro il muro.
- Dannata testa di cazzo, che ti e' venuto in mente di seguirci?!  Non potevi rimanertene a ficcare la testa degli altri nel water?!
Jhona non era certo tipo da evitare  una provocazione come quella. Afferro' Cain per il collo della felpa e lo travolse con il  proprio peso, atterrandolo sul pavimento - Non mi sei piaciuto dal primo momento che ti ho visto, dannata checca!! - gli urlo' contro, preparandosi a  rimodellargli la faccia a suon di pugni.
Cain  premette una mano in mezzo al suo viso con tutte le forze,  mentre con l'altra cercava a tentoni di femare il  braccio che lo stava per colpire.

Pia lascio' cadere la pila sul pavimento e si getto' sul vicino di casa, per impedirgli di fare ulteriore casino. Piu' che dell'incolumita' di Cain, era preoccupata  che i due potessero urtare qualcosa, creando confusione.  La situazione stava diventando sempre piu' paradossale: un cadavere nel bagagliaio e due deficenti che si azzuffavano al buio, come leoni in calore.
- Smettila Jhona!! - sibilo',  agganciandosi al collo con un braccio.
Il biondo cerco' di allentare il braccio della ragazzina, ma questa rinforzo' la presa con l'altro; sentendosi mancare il respiro, Jhona s'impanichì, mollando  l'altro ragazzo. Svelto, Cain si sottrasse al suo aguzzino, massaggiandosi la nuca che aveva battuto poco prima. Voleva aiutare Pia, ma la pila era rotolata lontano, e non riusciva piu' a distinguere chi dei due avesse davanti.

Jhona si lascio' cadere all'indietro, schiacciando Pia fra la sua muscolosa stazza ed il pavimento. Pia si lascio' sfuggire un gridolino,  ed allento' la presa sul ragazzo. Senza perder tempo, Jhona torno' padrone della situazione, si libero' delle braccia di lei,  rigirandosi per  bloccarla a terra con entrambe le mani.
- Ti farai male, ragazzina - le disse,  con  voce arrochita - E tu rimani dove sei - avvertì, rivolto a Cain.
- Non le fare male! - rispose il moro.
- Non la tocco, idiota!

Una volta sentitasi impotente, Pia sembro' calmarsi.  Tutti e tre i ragazzi ripresero fiato.  
Tunninghton  scivolo' con una mano al braccio di Pia, con l'intenzione di aiutarla ad alzarsi; quest'ultima  lo lascio' fare, ed una volta in piedi  si appoggio' a lui , ancora affannata.
- Sei pesante come un macigno - disse, portandosi una mano all'addome.
Jhona sorrise nel buio, ma Pia lo percepì lo stesso e stizzita si scosto' da lui.
Cain estrasse il cellulare ed illumino' il tragitto fino alla pila; raccatto' l'oggetto, puntando la luce su i due ragazzi.  Pia era piu' spettinata del solito, mentre a Jhona sanguinava una narice malgrado non avesse ricevuto nemmeno uno dei suoi pugni..

- Insomma, che diamine ci facevate qui  tu  e la checca? - chiese, tirando su con il naso. Una goccia di sangue ando' ad imbrattargli  il piumino grigio che indossava.
Svelta, Pia estrasse un fazzoletto dalla tasca del parka, e tampono' il naso del ragazzo prima che un'altra goccia potesse scivolare giu' - Cain! Punta la luce qui, guarda se ci sono macchie di sangue!
Il ragazzo eseguì, avvicinandosi - Non  ne vedo...
- Si puo' sapere che c'avete? - chiese Jhona, con aria di scherno - Siete davvero qui per fottere  roba al signor Hunt?! Ahahaha ma dai, proprio tu Pia?!
- Abbassa la voce - gli sussurro' -  Usciamo di qui, poi ti spiego. Turner, guarda un po' se e' tutto ok sul pavimento...Guarda lì, dove vi siete azzuffati.
- E' un po' deboluccia la tua checca - schernì il ragazzone, carezzando la piccola mano che le teneva il fazzoletto fermo sotto il naso.
- Tienitelo da solo ed usciamo.  C'e' niente, Turner?
- No, tutto pulito. Ah, Pia, la portiera della macchina.  
La luce nell'abitacolo si era spenta quando Pia aveva chiuso il bagagliaio,  ed entrambi avevano finito per dimenticarsi dello sportello.  La biondina chiuse la portiera e giro' la chiave nella serratura, chiudendola come l'avevano trovata.  


I tre ragazzi  tornarono in strada, Pia e Cain avevano un'aria pensierosa, e Jhona, spensierato come al solito, non riusciva a decifrare le loro espressioni: questo l'innervosiva. Spezzo' il silenzio creato dai due musoni con una risata.
- Ahahah! Vuoi vedere che vi stavo per beccare a  fare sesso nell'auto di Mrs. Turner?! La preziosissima, morigerata Porthia  che si da  alle perversioni...  - affianco' la ragazzina, spintonandola con il fianco.
Cain si volto' da un'altra parte per evitare d'incazzarsi nuovamente. Non aveva dimenticato il dolore che Pia probabilmente stava vivendo, anche se la ragazza dimostrava ancora un'inquietante lucidita' nello sguardo enelle parole. Tuttavia cerco' di rimanere tranquillo, proprio per rispetto nei suoi confronti.
La colorita provocazione di Jhona, costituì per la ragazza un buono spunto per imbastirgli una bugia.
- Capirai, tu avrai fatto sicuramente di peggio. Non c'e' niente di strano a farlo in macchina, tutti l'hanno provato...Te lo dimostrerei con una statistica, se potessi - lo rincalzo', assumendo un'aria piuttosto sicura di sè.
Per Cain, che non aveva mai visto Pia usare il suo presunto talentoin diretta e con una terza persona,  fu  una curiosa esperienza. Rimase in silenzio, valutando che quella situazione lo faceva passare comunque per quello che era riuscito a  farsi  la giovane Turner, alla faccia di quel tacchino volgarotto che le metteva le mani addosso in continuazione.

Jhona le mostro' un sorriso sporco, assai divertito dalla sua sfrontatezza - In effetti non siete stati  certo originali...
- Mi  aspetto che tu faccia il bravo e  tenga tutto per te. Direi che me lo devi, Jhona.
- Dhaaa.... Sarebbe  divertente vedere la faccia dei tuoi  mentre gli racconto scandalizzato le vostre gesta erotiche! Ma lo sanno almeno che frequenti quello? - chiese tranquillamente, come se Turner non fosse stato lì con loro.
- Non e' così male come credi - sorrise Pia.  Anche Cain sorrise, ma si volse dall'altra parte per non mostrarlo ai due.

Le tre sagome si fermarono a meta' della via dove abitavano Hunt e Tunninghton.  Pia avrebbe voluto parlare con Cain, c'era così da tanto da discutere, da decidere... Sentì una stanchezza mentale piombarle come un macigno sulle spalle; s'incurvo' leggermente, appoggiandosi al giovane Turner.  Questo la guardo' con preoccupazione, se aveva resistito fino ad ora, avrebbe fatto bene a fingere finche' quel Jhona non si fosse tolto dalle scatole.  
Pia guardo' il moro in viso, gli occhi di entrambi scintillarono nella penombra, carichi di  parole taciute.  
Cain scorse un accentuato pallore sul suo viso, le sfioro' la guancia con il palmo, per poi posarlo sulla sua spalla. La bionda sospiro'carica di rassegnazione e stanchezza. Si sporse verso di lui, baciandolo lievemente sulle labbra.
- Se svolti di qua farai prima - gli disse, indicando una traversa della strada - Grazie per stasera, e' stato... - ma la frase le morì sulle labbra. I suoi occhi nocciola vibrarono. Pia riuscì a frenare nuovamente le lacrime, almeno così sembro' al ragazzo.
- Domani magari ci vediamo - le disse - Ti  mando un messaggio.

Turner svolto' alla traversa,  scocciato dal doversi allontanare da Pia nel momento in cui avrebbe voluto abbracciarla e farle sentire la sua presenza. Ora che sapeva, non l'avrebbe abbandonata. L'avrebbe tenuta per mano, anche se quella sera aveva avuto la riprova che, se da un lato il pericolo lo attirava come una calamita, non era comunque tagliato per le visioni forti o per i combattimenti.  Si sarebbe sforzato, avrebbe forzato la sua natura per non lasciarla sola in quella situazione assurda.


Una volta davanti casa, Pia fisso' i tre alti scalini che la dividevano dal portone.  Sentì nuovamente un macigno opprimerle le membra. Tossì, poggiando le mani sulle ginocchia, come per riprendersi da una corsa affannosa. Forse era la nausea  per la visione di quell'orrore celato nei sacchetti, che cominciava a farle effetto, od un forte attacco d'ansia, fatto sta che stavolta anche Jhona si accorse del suo pallore.
Perplesso, le si avvicino', posandole una mano sulla nuca - Hey, che ti succede?
Pia si porto' una mano alla bocca, reprimendo i succhi gastrici che le pizzicavano in gola. Aveva cominciato a sudare, quasi le mancava il respiro. Tiro' giu' la zip del parka blu' ed umetto' le labbra pallide. Poteva ancora contenersi, ne era certa.  L'unica cosa che in quel momento la terrorizzava, era rientrare in casa di quelli che fino ad un'ora prima erano stati i suoi genitori, ma che ora avrebbe dovuto considerare solo degli assassini impuniti.  Allora il desiderio di rintanarsi in un posto dove nessuno le avrebbe fatto domande,  dove avrebbe potuto dimenticare la sua famiglia, comincio' a farsi strada prepotentemente in lei, anche se quel luogo semplicemente non poteva esistere.
L'impulso di correre via  e rimanere fuori casa almeno quella notte vibro' nel suo corpo, ma la ragione, senza  diritto di replica, le ordinava di rientrare in casa e  continuare a far finta di niente.

Almeno per quella sera decise di voler trovare una soluzione alla sua solitudine. Se non poteva fuggire, almeno voleva che vicino a lei ci fosse qualcuno che non le avrebbe mai parlato di quel cadavere, che avrebbe dormito al suo fianco senza indovinare il suo dolore, come se niente avesse mai scosso la sua banale vita da adolescente. Quella persona non poteva essere Cain, lui sapeva.
Si volse verso Tunninghton, cercando di sorridergli - Senti Jhona, non pensare male ma...ti andrebbe di dormire con me?
Il ragazzo la guardo' con aria interrogativa. Pia aveva appena alllontanato il suo presunto ragazzo, per chiedergli di dormire con lui? E non doveva pensare male...?
- Ci sono i tuoi, in casa.
- Non se ne accorgeranno.  La domenica mattina non mi rompono le scatole.
- E domattina dovrei calarmi dalla finestra come Romeo?
- Ti faro' uscire dalla lavanderia. I nostri cortili sono comunicanti.  Non ti chiedo molto...e' la tua specialia' rimanere fuori casa, la notte.
Jhona scruto' i suoi occhi nocciola, cerchiati dalla stanchezza. Guardo' l'orologio da polso, erano le quattro passate.
- A tuo rischio e pericolo, biondina.


Pia  era sprofondata in un pesante sonno privo di sogni. Al suo fianco Jhona dormiva con la faccia affondata fra il cuscino e la spalla di lei.  Per la stanza aleggiava un afrore morbido di letto e di pelli.

Porhtia si rese conto che suo padre stava bussando alla porta, solo dopo diversi istanti.  Scatto' a sedere sul letto, incespicando nel piumone e nei calzini che le si erano quasi sfilati del tutto. Alle sue spalle Jhona era balzato in piedi a torso nudo,  cercando di afferrare  scarpe, piumino e felpa; nella penombra della stanza, Pia gli indico' la porta del ripostiglio ed il ragazzo vi scatto' dentro, rischiando di urtare un'intera pila di libri.
- Pia, tesoro..? - chiese il genitore, dal corridoio.
La ragazza socchiuse la porta, stropicciandosi gli occhi, gia' pronta con una balla credibile - Non sto bene, ho le mie cose... Che ore sono?
- Le undici passate...Vuoi che ti porti un antidolorifico? - Suo padre allungo' la mano verso il suo viso,  Pia s'irrigidì, strizzando gli occhi. Non voleva essere toccata da quelle mani - Stai proprio male... - commento' suo padre, scambiando la sua espressione per  dolore fisico.
- L'ho gia' preso - taglio' corto lei - Magari e' una colica...ho bisogno di dormire. Se dormo mi passera' tutto, non e' la prima volta.
Mr. Hunt  aggroto' le sopracciglia - Dobbiamo passare da un'amica di tua madre,  piu' tardi...Ma non me la sento di lasciarti qui da sola, in questo stato.
-Vanno a disfarsi del cadavere, visto che ieri sera non l'hanno fatto - penso' immediatamente, stringendo la maniglia della porta - Non importa, figuriamoci! Me ne sto a letto e vedrai che mi passa, se ho bisogno vi chiamo con il cellulare.
- Capisco... Noi facciamo una colazione veloce  e poi andiamo.  Magari piu' tardi preparati un po' di latte caldo, non stare a stomaco vuoto, mi raccomando!
Pia annuì, congedandosi velocemente. Richiuse la porta alle sue spalle, scavalco' il letto ed aprì la porta del ripostiglio.  

Jhona si era accucciato fra la torre di libri e quella di scarpe, i suoi vestiti erano stati schiacciati in un angolo, su alcune vecchie, improbabili racchette da neve.
- Torniamo a letto. Mangiano un boccone e poi escano - disse, tirandosi la felpa sulle cosce nude - Puoi uscire piu' tardi in tutta calma dalla porta, Jhona.
Il ragazzo tiro' un sospiro di sollievo, recuperando le sue cose dal fondo del ripostiglio e riponendole sulla scrivania della ragazza.
- Porco mondo, mi sarei gettato dalla finestra! - esclamo' a voce bassa, seguendo la ragazza sotto le coperte.  
- Non ti saresti fatto granche' male - commento' assonnata, dandogli le spalle.
Jhona pose una mano sul fianco nudo di lei - Sembra proprio che non ti dispiacerebbe vedermi volare di sotto... - si chino' sui suoi capelli disordinati, alla ricerca  del collo.
Pia sospiro' leggermente,  scosandosi un poco - Non mi sembra il caso di eccitarsi per questo, Jhona.
Il ragazzo le afferro' il mento con l'intenzione di baciarla. Sfioro' la sua pelle con le labbra carnose, sentì il respiro tiepido di leisolleticargli la fronte; con la mano scivolo' sotto la felpa  che la ragazza indossava dalla sera prima, per afferarle un seno.  Il reggipetto gli procuro' una sensazione ruvida e bollente.

La biondina rimase sovrappensiero,  fissando il soffito di camera, lasciando che il ragazzo le baciasse le labbra  e la carezzasse.  Non sentì nessun senso di colpa nei confronti di Cain  e non sentì nessuna emozione nei confronti di Jhona, delle sue grandi mani sulle proprie forme.  Era una cosa che stava accadendo, ma  Pia viaggiava con la mente lontana, come se quel corpo non fosse stato  il suo. Rimase immobile ma rilassata, limitandosi a posare le mani sulla schiena del ragazzo.
Chiuse gli occhi, imparando a seguire i baci del vicino senza pero' parteciparvi  veramente
Sentì rumore di stoviglie in cucina, lo sfrigolìo del burro sulla padella, il brusìo del televisore. Le voci appena percettibili dei coniugi Hunt le arrivavano monotone, non riusciva ad  attribuirli un tono specifico.

Jhona si scosto' dalla ragazza per sbottonarsi i jeans, solo allora quest'ultima si tiro' su a sedere ponendo una mano fra i loro corpi.
- No senti Jhona...non l'ho mai fatto - gli spiego', tirando giu' la felpa - Non voglio farlo ora, scusami. Scusami davvero.
Il biondo rimase con le mani ferme sulle asole ed i bottoni,  un'espressione contrita sul volto nordico - Parli sul serio..?
La ragazza si alzo' dal letto, frugando nell'armadio alla ricerca di un paio di pantaloni da ginnastica che indosso'- Non avrei dovuto Jhona, non so come dirti che mi dispiace - poi s'inginocchio sul letto, prendendo una mano fra le sue - E' un periodo complicato per me. Mi dispiace di averti provocato.
Jhona rimase serio per qualche istante, effettivamente confuso dalle parole e le azioni della vicina - Non capisco che ti  frulli nella testa ma...non sono certo qui per violentarti - si lascio' cadere all'indietro, incrociando le braccia dietro la nuca - Ok. Torniamo a dormire. Anche se ora che "mi hai fatto effetto", sara' dura riprendere sonno...
- Non succedera' piu' Jhona, scusa ancora - aggiunse lei, scorgendo il cellulare sul comodino illuminarsi. Si sporse verso l'oggetto, afferrandolo. Non aveva reinserito la suoneria prima di cadere in un sonno catatonico.
- Per me puo' anche risuccedere...basta che non ci fermiamo, no? - sorrise, con aria da mascalzone. Jhona volse l'attenzione alla ragazza, al suo viso serissimo - Hey, che succede...?

Ventuno  chiamate perse e diciotto messaggi, tutti da parte di Cain.  





















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Capitolo 9
*** Segreto! ***


Segreto!








                                                                                    SEGRETO!








Ci fu un gran lampo, seguito da un rombo quasi terreno. Le finestre della casa vibrarono.

Pia osservo' i genitori allonanarsi in strada, con gli ombrelli piegati dal vento e dalla pioggia dispettosa.
- Sono andati? - chiese Jhona, affacciandosi dalla balaustra delle scale.
- Sì - rispose la ragazza, correndo in camera - Devo andare da Turner.
- Corri dalla tua signorina... - Jhona si avvicino' alla finestra, scostando le tendine - Ti prenderai un bel po' d'acqua. Oggi sono previsti diversi temporali.
La biondina scomparve in bagno portandosi dietro un cambio d'abiti pulito - E quando mai non piove, Jhona - gli urlo' dal bagno - Va da tua nonna, sara' preoccupata.
- Simpatica la ragazza...Indovina di chi e' la colpa se mia nonna si preoccupa, stavolta...?
- Oh ma per favore...!
- Vado, non ti preoccupare. Comunque mi e' rimasto un po' d'amaro in bocca per prima. Non dovresti far queste cose con un maschio.
Pia uscì asciugandosi il viso - Hai ragione - gli disse, rifilandogli l'asciugamano umido. Entro' in camera, allacciandosi un paio di stivaletti di cuoio sopra i jeans - Avrei dovuto riflettere prima di chiedertelo. Magari a te non freghera' niente, ma stanotte sei stato gentile ad assecondarmi.
Jhona sorrise, audace - Saresti stata altrettanto gentile se mi avessi assecondato tu, stamattina.
Porthia non aveva troppa voglia di ridere o far battute, tuttavia gli riservo' un sorriso. Indosso' il solito parka blu,  nascondendo i capelli dentro il cappuccio - Ti devo qualcosa da bere, uno di questi giorni - gli disse, anche se era conscia che i giorni a venire sarebbero stati  complicati da gestire.


Cain aspettava la ragazza seduto sugli scalini di casa, avvolto in un impermeabile cerato che gli lasciava i capelli scoperti. C'erano un'espressione grave ed i segni di una notte passata insonne, sul suo viso imperlato di pioggia.
Appena la ragazza apparve dal fondo della strada, Cain le corse incontro.  Le afferro' le spalle, spalancando gli occhi liquidi e azzurri, la pioggia colava sul suo profilo fin dentro il colletto del maglione.
- C'ho riflettuto tutta la notte Pia...ora sta a te credermi come io ho fatto con te!
Un lampo illumino' la strada, squarciando il cielo plumbeo e zolfino. Cain le apparì come folle, la sua non era la solita espressione, cosa mai aveva potuto turbarlo così, dopo che la notte prima aveva scoperto un cadavere rimanendo tuttavia padrone di sè?

Pia schiuse le labbra, afferrando le braccia magre di lui - Ti credero'.


Il negozio aveva l'insegna coperta da un sacco di plastica, tenuto fermo con dello scotch da pacchi marrone. Il portone era bloccato da un enorme lucchetto impolverato.  Sulle vetragi della porta erano state affisse alcune locandine relative a discoteche e concerti. Cain le strappo' con una certa rabbia, spiegando alla ragazza che quello era il negozio d'antiquariato di suo padre, e che nessuno vi era piu' entrato da diverso tempo.
- Per alcuni mesi e' rimasto sotto sequestro, ma quando ci e'stato restituito mia madre non ha voluto saperne di venderlo. Lo sai, una parte di lei le impedisce di ammettere che mio padre e' morto.
Pia annuì, posando una mano sul mosaico colorato della porta, coperto da un massiccio strato di polvere; vi lascio' una traccia con le mani umide di pioggia - Sembra un negozio molto antico.
- Appartiene alla mia famiglia dai primi del novecento - disse Cain, sbloccando il lucchetto ed entrandovi. Estrasse una torcia ed illumino' l'ambiente - Prima che mio nonno lo trasformasse in un negozio d'antichita',  era la libreria di un suo zio.
- E' un negozio enorme... - commento' Pia, scorgendo numerosi corridoi ed anfratti - Turner, come mai la polizia aveva sequestrato il negozio?
Il ragazzo sospiro', fermandosi  al centro della stanza. La risposta alla domanda della ragazza stava impressa sul pavimento sudicio.  
La sagoma in gesso di Mr. Turner  apparve scomposta sull'impiantito, rivelando che l'uomo era stato colpito a morte con un'arma che l'aveva fatto parzialmente a pezzi. Vecchie tracce di sangue annerito avevano macchiato indelebilmente il parquet ed un tappeto dagli intarsi persiani. Alle spalle della sagoma un paio di mensole erano crollate, portandosi dietro una collezione di piccoli soprammobili di ceramica raffiguranti personaggi del presepe, forse a causa di una colluttazione.

Pia guardo' il ragazzo con aria commossa. Non disse niente. La sua mente venne colta da dubbi e pensieri sgradevoli.  
- Volevano farlo a pezzi, ma sono scappati via prima di concludere...forse hanno sentito dei rumori...chissa' - parlo' il ragazzo, fissando  la linea bianca del gesso con occhi vacui.
La consapevolezza che il delitto di Mr. Turner fosse collegato ai suoi genitori, assalì la ragazza. Pia dovette appoggiarsi ad un tavolo lì vicino, perche' le ginocchia le stavano vacillando.  Ne ebbe la certezza quando il ragazzo la fisso' in volto,  con aria seria e indagatrice.  
Davanti allo sguardo del ragazzo Porthia si sentì enormemente  colpevole, riprovando la medesima sensazione che  l'aveva colta la notte prima, davanti al cadavere scempiato nascosto nel bagagliaio della Rover.  

Cain si asciugo' gli occhi umidi con la punta delle dita. Le gocce d'acqua che scivolavano dai capelli si confendevano con le sue lacrime salate.
Un forte senso di commozione assalì entrambi i ragazzi.

- Non so che dire - sussurro' la ragazza - Com'e' successo...? Voglio dire, cosa ha scoperto la polizia?
Turner  si ricompose e le fece cenno di seguirlo - Non molto. Non hanno trovato tracce o impronte utili. Hanno detto che probabilmente, chi ha ucciso mio padre, indossava una di quelle tute isolanti che si usano durante le disinfestazioni. Le poche tracce trovate si fermano al vicolo qui accanto...ma sono risultate  irrilevanti.
Il ragazzo si fermo' davanti ad una larga libreria, illuminando il bordo di questa. Sposto' una sorta di coccarda con i colori della bandiera britannica, rivelando un gancio di acciaio e legno, che evidentemente non serviva a reggere l'oggetto che vi era appeso.
- Aiutami a far scorrere la libreria - chiese alla ragazza.
I due ragazzi, con qualche difficolta', riuscirono a spostare la libreria; questa scorse almeno di novanta centimetri, rivelando un' uscio coperto da una tenda di velluto scuro. Alcuni ragnetti fuggirono verso il soffitto.
- E' molto buio qui sotto, usa anche la luce del tuo cellulare e fa attenzione - avvertì, scostando la tenda.
- Ho visto queste cose solo nei film - dichiaro' la ragazza, guardando oltre le spalle del moro, non riuscendo a scorgere la fine della scalinata.

Cain comincio' a scendere con prudenza. Prese per mano la ragazza, illuminando i gradini - Mio nonno l'ha costruito di nascosto per proteggere la famiglia e i beni  durante i bombardamenti tedeschi. Era in possesso di diversi importanti testi e documenti antichi, al tempo.
- Una bella eredita'...
- Non ci e' rimasto quasi piu' nulla, a dire il vero. Uno dei testi piu' antichi rimanenti e' stato portato via la notte in cui e'...e' successo, insomma - disse, riferendosi alla notte dell'omicidio.
- E di quel libro che ne e' stato?
- Non abbiamo potuto denunciarlo alla polizia. Mio padre non ha assolutamente mai voluto che si sapesse dell'esistenza di questo caveau, ne tantomeno dei testi e dei documenti rimasti. Si e' sempre sentito custode dei segreti di famiglia... Pero' vedi Pia...se penso che quel libro probabilmente e' stato il movente della sua uccisione, io...

Il ragazzo si blocco' sull'ultimo scalino, voltandosi verso la ragazza e inchiodandola con le spalle al muro; gli scalini scricchìolarono sotto il loro peso.
- Io non posso far finta di nulla, Pia. Devi deciderti a fare qualcosa, prima che lo faccia io.
Porthia rimase visibilmente scossa dal suo tono minaccioso.  Strinse il cellulare fra le dita. Aveva le idee troppo confuse per rispondergli con convinzione.


Jhona uscì dalla doccia con un asciugamano allacciato in vita.  Scese in cucina, dove sua nonna sedeva al tavolo sbucciando patate dolci, con una coperta sulle gambe semi inferme. La casa era bollente, poiche' in quasi ogni stanza ardeva una piccola stufa a gasolio; per questo motivo l'intonaco azzurro delle mura si era lievemente ingrigito, ed un odore di combustibile aveva impregnato mobili e tappezzeria.
- Alle quattro c'e' la partita nonna, inviterei Peter e Morgan a vederla invece di andare al pub. Così almeno non ti lascio sola, oggi.
L'anziana vedova Tunninghton calzo' un paio di occhiali tondi sul naso, per guardare ben in viso il nipote. Sotto le lenti graduate i suoi occhi grandi e verdi sembravano enormi.
- Ecco sì, sara' meglio - rispose in tono di rimprovero - Non voglio passare un altro giorno chiamandoti a vuoto su quell'aggeggio che ti porti dietro... Il Signore solo sa perche' non rispondi mai!
Jhona le dette le spalle, sorridendo - Allora li chiamo. Ordiniamo anche una pizza, ok?
Sua nonna lo guardo' severamente. Poi riprese patata e coltello fra le dita ricurve - Ci sono dei soldi nel carillon, usa quelli. Io non la voglio la pizza, non ho piu' denti per mangiarla.
- Grazie nonna - disse il ragazzo, stringendo fra l'indice ed il medio le banconote estratte dallo scrigno sonoro.

Il biondo risalì in camera, indossando dei vestiti puliti. Svuoto' le tasche del piumino alla ricerca del proprio telefono, ma senza trovarlo. Controllo' i jeans e la felpa, ma senza successo. Controllo' la stanza ed il gabinetto, arrivando alla conclusione che doveva aver lasciato il cellulare in camera di Pia. Avrebbe voluto chiamarla con il telefono di casa, ma si rese ben presto conto che non ricordava il suo numero personale. 
- Nonna, non e' che hai visto il mio cellulare?
- Ah bene. Lo hai perso di nuovo - commento' la donna, senza alzare lo sguardo dal proprio operato.
- Ma no...devo averlo lasciato a casa di qualcuno.
In quel preciso istante, vide la macchina degli Hunt parcheggiata dall'altro lato della strada. Avrebbe potuto dire ai genitori di Pia che all'ora di pranzo era passato da lei a riportarle una cosa, e che forse aveva lasciato inavvertitamente il cellulare in camera; una volta recuperato l'apparecchio avrebbe avvertito la ragazza per chiederle di reggergli il gioco.
Decise che era una buona idea.
- Nonna, esco un attimo - disse all'anziana, indossando un giaccone militare.
La donna osservo' il nipote uscire, e scosse il capo imbiancato dal tempo - Quel ragazzo non ha pace...non ha preso nemmeno l'ombrello!


Cain Turner lascio' andare la ragazza, celandole un'aria tuttavia  dispiaciuta. Era conscio che per quella ragazza ogni scelta sarebbe stata dolorosa, ma per quanto lo riguardava, ora che sentiva prepotentemente che i suoi genitori erano coinvolti nell'omicio di suo padre, non avrebbe lasciato che la passassero  liscia.
- Non mi hai chiesto di che genere di libro si trattava - le disse, estraendo da un cassetto alcune candele ed una sorta di lungo accendino da cucina.
Pia rimase al centro della stanza, fissando un pila di quadri impilati al muro. Prese la candela che il ragazzo aveva acceso.
- Non ho idea di cosa possa trattarsi, Turner.  In casa mia l'unica ad avere libri strani sono io.
- Dunque non li tengano in casa, quei libri.
- Taglia corto. Di che libri parli?! E perche' mai dovrebbero uccidere una persona per rubare un libro?!
Il moro estrasse una piccola chiave a cui era appesa una nappa color porpora, ed aprì il ripiano a scomparsa di un'antica scrivania. Una nebbiolina di polvere si alzo' dal mobile, depositandosi sull'impermeabile di lui.
- Libri di esoterismo, cavolate così - le rispose, porgedole alcuni tomi ingialliti.
Pia corrugo' la fronte.
- Sì, hai capito bene. Diavoli, sacrifici umani e puttanate demoniache.
La ragazza ritrasse la mano dai volumi che il ragazzo le stava mostrando - Non...non esiste. Stai andando fuori strada, come ti puo' saltare in mente una teoria tanto cretina?!  - alzo' la mano, schiaffeggiando i volumi. Cain li recupero' prontamente, stringendoli al petto.
I due ragazzi si scambiarono occhiate colme d'ira.  A terra, la torcia si spense.

- Sei una stronza! Io ti ho creduta, ti ho aiutata! Mi devi credere...me lo devi!
Pia serro' le labbra e si getto' contro di lui, strappandoli un libro dalle braccia. Avvicino' la candela al titolo e lesse ad alta voce - Sortilegi della malasorte?! Ma andiamo Turner, tuo padre e' morto, quella persona nel bagagliaio e' morta e tu...tu pensi a demoni e magia nera! Se penso che hai osato darmi della paranoica, io...
Cain lascio' cadere i volumi per terra, per afferrare la ragazza. Entrambi arretrarono contro il muro, mentre la candela si spense.  Pia attutì l'urto con l'intonaco grazie al parka e al cappuccio che ancora calzava. Nel buio sentì il fiato caldo del ragazzo sul viso.
- Se avessi saputo prima che eri così ottusa e falsa non credo ti avrei mai avvicinata! Tuttavia non maledico il giorno in cui ti ho chiesto di farmi il tatuaggio...perche' seguendo le tue folli idee forse sono riuscito ad arrivare agli assassini di mio padre!-sibilo' - Non e' incredibile come le cose accadano per caso?
Pia lo allontano' da sè, piantandoli le mani sul petto - Lasciami!

Cain intuì che la biondina voleva fuggire, e riuscì ad impedirglielo afferrandola nel buio. Pia scalcio', riuscendo solo a colpire dolorosamente la ringhiera delle scale. Cadde a terra, reggendosi al ragazzo.
- Sei un pazzo! - gli ringhio', reggendosi lo stinco ferito.
- Non sei da meno - rispose lui, tenendola ferma per le spalle - Non fuggire Pia, aiutami ed io aiutero' te. Se ora te ne vai e continui a far finta che non sia successo niente, vedrai che prima o poi i tuoi genitori ti coinvolgeranno! Sei brava a mentire, e' vero...chiamalo pure talento, ma non ti salverai quando la polizia sapra' che tu conoscevi cio' che hanno fatto i tuoi e te ne sei stata zitta! Io non staro' zitto...te lo dico fin da ora...
- Le tue teorie sui demoni sono sconcertanti - rispose.
- Non ci credo nemmeno io  a quella roba, cosa credi... - Cain cerco' il viso di lei, carezzandolo - Ti sei fatta molto male?
Pia lascio' che il ragazzo le riservasse quell'attenzione - Tu pensi che usino quei libri per fare...per fare delle specie di cerimonie?
Il buio celo' il disagio di entrambe i ragazzi. Dopo la scoperta del cadavere nella macchina, di tutto si sarebbero aspettati fuori  che ci fosse di mezzo l'esoterismo.
- Proprio non saprei. Fatto sta che in quel libro erano riportati dei cerimoniali.
- Hai detto che quel libro era antico, non sarebbe piu' normale pensare che l'abbiano rubato per rivenderlo e guadagnarci?
- Perche' dobbiamo pensare in modo normale, quando tutto in questa vicenda e' anormale..?!

Pia si alzo', arreggendosi allo scorrimano - Dobbiamo trovare quel libro. Dobbiamo scoprire se e' in casa, o se l'hanno nascosto nel magazzino. Magari e' nell'ufficio di mio padre.
- E' passato piu' di anno dalla morte di mio padre. Potrebbe essere ovunque...
- Non siamo dei poliziotti. Dobbiamo procedere come ci suggeriscono la logica e l'intuito.
- Voglio vedere quale di questi due userai tu!
- Smettiamola con le polemiche, Turner.  
- Pia, sinceramente trovo inutile cercare il libro... - Cain vago' nel buio fino alla torcia che era caduta per terra insieme ai libri; gli dette qualche colpetto e l'oggetto si riaccese. Punto' l'oggetto sulla ragazza, questa strizzo' gli occhi schermandosi con un braccio - I tuoi genitori agiscono il sabato sera, di questo ormai ne siamo sicuri... E di sicuro non lo fanno da soli. Non dico di esserne sicuro, ma e' probabile che a quelle cerimonie partecipino anche altre persone. Magari potremmo cominciare indagando sui loro amici...Tu ne conosci qualcuno?

Porthia incrocio' le braccia sul legno dello scorrimano - Sì, piu' o meno...Non ho mai dato troppa confidenza ai loro amici. In casa sono venuti raramente. Sono quasi tutti intellettuali, amanti del cinema d'autore o cose così. 
- Qualcuno di loro e' anche  cliente di tuo padre?
- Non credo che nessuno di loro lo sia. Lui rifornisce drogherie, ristoranti e piccoli supermercati, ed ho piu' o meno in mente le facce dei suoi clienti.
- Non ci resta che aspettare sabato, dunque. Sara' un bel problema seguirli...
Pia rimase sovrappensiero. Una settimana era troppo tempo, si stupì che il ragazzo avesse deciso di aspettare così tanto, dopo che l'aveva praticamente accusata di voler tacere, e che lui non avrebbe taciuto ancora per molto. Che la risoluzione di Turner si limitasse solo al parlar bene?
- Jhona sa guidare.
- Quello ha la mia eta'... - rispose il ragazzo dai capelli neri, sorridendo nella sua particolare maniera - E poi e' una testa calda, se lo coinvolgiamo chissa' cosa potrebbe combinare...
- Lui potrebbe farsi prestare una macchina e..
- Potrebbe rubarla quella macchina. Andiamo Pia, lo sai meglio di me che tipo e'!
- E' in gamba per queste cose, non sottovalutarlo.
- Dha...lo stai difendendo! E comunque e' piu' saggio se la cosa rimane fra noi due. Piuttosto, nel frattempo potremmo cercare di capire come fanno sparire i cadaveri...
- Se torniamo al magazzino stasera, forse riusciremo a trovare qualche traccia fresca.
- So che non e' tempo di riprendere fiato ma...io non ho chiuso occhio, ed anche tu sinceramente non e' che abbia un aspetto fantastico... - disse, piegando la bocca di lato.
- Non lo nego, Mr. Sorriso Storto - ripose, lievemente impermalosita.
- Comincio ad avere freddo con questa roba bagnata addosso. Riposiamoci qualche ora, piu' tardi ci metteremo d'accordo - Cain raggiunse la ragazza, cingendole le spalle - L'importante e' che noi due rimaniamo uniti. Io non abbandono te, e tu farai lo stesso.



Jhona suono' il campanello degli Hunt. Una folata di vento e pioggia gli penetro' nel collo del giaccone, facendolo rabbrividire. Gli sembro' di sentire le voci dei coniugi bisticciare, ma non poteva esserne sicuro dato che la pioggia copriva la maggior parte dei rumori. Vide la luce della cucina spengersi, e sentì dei passi avvicinarsi alla porta.
Mr. Hunt aprì la porta, con un'espressione indecifrabile sul volto. Indossava ancora il cappotto ed aveva gli occhiali da vista appannati. Finalmente l'uomo gli sorrise - Ciao Jhona - si tolse gli occhiali, pulendoli ad un lembo del cappotto umido - Entra pure, fuori c'e' un tempo da lupi.
Il ragazzo entro', salutando timidamente. Avrebbe dovuto imbastire loro una bugia, e a differerenza di Porthia non era abile nel mentire - Salve! Ecco, prima sono passato a portare una cosa a...
Mr. Hunt lo interruppe, sorridendo - Penso di avere qualcosa che ti appartiene. Aspetta. Tesoro! - disse, rivolto alla moglie - Jhona e' venuto a riprendere il suo cellulare.
Il ragazzo rimase un attimo sconcertato dal buio della casa, e lo fu ancora di piu' quando scorse la signora Hunt sull'uscio della cucina, con in mano il suo cellulare illuminato. La donna aveva i capelli fradici attaccati al volto diafano, i suoi occhi neri erano inespressivi come quelli di un pesce, fissi e di un colore innaturale a causa della lucina azzurra che proveniva dal display.
- Lo avevi dimenticato - Si limito' a constatare la donna, senza il cenno di un sorriso - Mi dispiace - aggiunse, con voce compassionevole.
Jhona aggrotto' la fronte. Lo schermo del cellulare si spense.

Fu un attimo. Jhona vide qualcosa luccicare verso il suo collo. Mr Hunt lo aveva afferrato da dietro, ficcandogli qualcosa nel muscolo. Reagì cercando di spostarsi verso la porta, trascinandosi dietro  il corpo dell'adulto; anche Mrs. Hunt gli fu addosso, premendogli qualcosa di morbido sulla faccia. Riuscì ad assestarle uno schiaffo, che fece ritrarre la donna, e con l'altra mano estrasse la siringa che l'uomo gli aveva ficcato nel collo.

Non riuscì nemmeno ad urlare. La donna ruggì come un animale premendoli parte di un cuscino in bocca. Jhona sentì scricchiolare le mascelle, spalanco' gli occhi sul viso dell'uomo, mentre le forze lo abbandonavano.
Il suo ultimo pensiero fu che non avrebbe mai piu' riaperto gli occhi, ne era freddamente consapevole. Nente pizza, niente partita, niente amici, niente nonna.
L'ultima cosa che vide fu lo zaino scolastico di Pia, appeso all'attaccapanni.
Non l'avrebbe mai piu' rivista.


























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Capitolo 10
*** Neve ***


morte Mancano pochi capitoli... °_°
Ringrazio i Soliti Ignoti che leggono silenziosamente questa storiella ed in particolar modo la sensibile, talentuosa "Carlissima".






                                                                               
                                                      NEVE





Hellen Hunt si alzo' stringendo il cuscino fra le mani. Mentre riprendeva fiato, rimase ad osservare il corpo immobile del ragazzo ai suoi piedi.
Nella penombra scorse l'orribile espressione impressa sul viso del giovane Tunninghton. Gli occhi gettati all'indietro, la bocca spalancata, il bel viso da adolescente con le guance  ancora rosee, malgrado in lui non abitasse piu' il soffio della vita.
- Non sara' facile sbarazzarsene - disse, guardando il marito con aria preoccupata.
Mr. Hunt strinse le labbra. Lascio' andare il corpo esanime del ragazzo e si tolse gli occhiali da vista - Intanto mettiamolo in cantina,  non abbiamo idea a che ora rientrera' Porthia. Dobbiamo toglierlo di qui - raccolse la siringa, recuperando il cappuccio dell'ago e tappandone l'estremita, per poi nasconderla nel cappoto.

Mrs. Hunt sapeva gia' come comportarsi. Ando' nella lavanderia per recuperare una di quelle grandi buste nere che usavano per riporre i cappotti negli armadi, per avvolgere il corpo del ragazzo - Non possiamo farlo sparire come gli altri. Penso che dovremmo fare in modo che la polizia lo trovi - si chino' sul ragazzo, spalancando il sacco e vi inserì i  grandi piedi coperti da un logoro paio di scarpe da ginnastica - Faremo in modo che pensino sia stato ucciso da un suo coetaneo. Ne conosceva di gente brutta, il poevro Jhona... - giro' bocconi il cadavere del ragazzo - Ti muovì?! - disse poi al marito, scuotendolo per un braccio.
L'uomo si tolse il cappoto, gettandolo sulla panca - Aspettiamo un paio di giorni, questa cosa va studiata nei dettagli.

I coniugi trasferirono il cadavere nell'enorme custodia. Trascinarono il fagotto sino alla rampa di scale che portava nella cantina, e lo trasportarono, non con poca fatica, in un angolo buio. Hellen coprì il sacco con alcuni vecchi cuscini sdruciti e vi poggio' sopra una pila di coperte impolverate.  
- Ora diamoci una sistemata - disse al marito, dandogli una leggera pacca sulle spalle - Quello sciocco...Sara' entrato nel magazzino per rubare della merce? E dire che quando era piccolo lo tenevo in collo...era carino e tranquillo. Peccato non lo sia rimasto.
L'uomo annuì - Non so se sia entrato a rubare, e' possibile. Frequentava della gran brutta gente, ultimamente. Non credo sospettasse qualcosa su di noi, ma le impronte sul paraurti devono essere state le sue. Io non ho toccato quel punto, ne sono sicuro... Non so come abbia fatto ad aprire il bagagliaio, pensavo avesse rubato la chiave di riserva, ma prima ho guardato ed era al suo solito posto.  
- Chissa' che diavoleria avra' usato per aprire l'auto - commento' la donna, disfacendosi degli abiti zuppi di pioggia direttamente nel cestello della lavatrice. Aiuto' il marito a spogliarsi - E' stata una fortuna trovare subito il suo cellulare.  Io credo che non abbia aperto il bagagliaio, tuttavia...
- Secondo me lo ha aperto, ha guardato cosa c'era dentro e per lo spavento deve aver fatto cadere il cellulare - obbietto' lui - Non e' che ti stai pentendo di averlo fatto fuori, mi auguro - aggiunse severo.
- Non avrei potuto dormire la notte, nel dubbio che Jhona avesse aperto o no quel bagagliaio!- ridacchio' la donna,  dimostrando una freddezza inaudita per quello che aveva appena fatto - E comunque ormai e' andata.
Mr. Hunt annuì, sfiorando i fianchi nudi della moglie. Si sporse per baciarla - Allora. ti spiace un po' per Porthia...?
Hellen fece spallucce - Mi chiedo solo come la prendera' quando ritroveranno il cadavere del suo vicino di casa, tutto qui.



Quando Porthia rientro' in casa,  su madre sedeva in cucina davanti alla tv, rammendando la manica di un cappotto. Aveva in testa un turbante di spugna, per raccogliere i capelli bagnati ed indossava una pesante vestaglia di lana.
- Ciao tesoro, hai visto che pioggia? - commento' allegramente sua madre - Ma come, sei uscita senza prendere un ombrello?
Pia si tolse gli stivaletti, addossandoli alla panca dell'ingresso. Preparo' una delle sue facce falsamente rilassate e rispose alla donna - Non e' che non l'ho preso, me l'hanno fregato al centro commerciale - mentì. Il centro commerciale era un buon mezzo per giustificare la sua assenza pomeridiana - E' una seccatura non poter andare a correre la domenica...
Mr. Hunt si affaccio' dal salottino, con in mano una rivista di motori - Allora ti sono passati i tuoi dolori, passerotto!. Hai pranzato?
- Ho preso un panino fuori. Mi faccio una doccia - disse, avviandosi in camera.
Fece una doccia veloce, asciugando i capelli alla meglio.

Non aveva troppa voglia di tornare al magazzino quella sera. Avrebbe voluto spengere il cellulare e nascondersi sotto le coperte. L'insistenza di Cain l'aveva innervosita, forse sarebbe stato meglio dirgli che era libero di andare alla polizia e denunciare pure quel delitto. Il piu' della fatica sarebbe toccata a lui.
Lei avrebbe potuto fingersi vittima dei fatti, avevano scoperto il cadavere solo la sera prima, nessuno l'avrebbe accusata di  favorire in qualche modo l'operato dei suoi genitori, e se anche l'avessero fatto poteva dare a bere alle istituzioni che si sentiva troppo spaventata per aprire bocca. Non aveva mai pianto a comando, ma era una cosa che avrebbe potuto apprendere. Fingere non la spaventata affatto, nei momenti piu' critici diventava la sua arma di difesa e ne era consapevole da un bel po' di tempo.

Si adagio' sul cuscino, sperando che Turner si addormentasse profondamente, dimenticandosi di chiamarla per fissare.
Non le pareva possibile che fino al giorno prima fosse stata lei quella con piu' entusiasmo per la questione. Ora non riusciva nemmeno a rendersi conto se aveva preso abbastanza bene la conferma che i suoi genitori erano degli assassini, o se ancora non era stata colta dalla consapevolezza della gravita' di quella situazione.

Il sonno l'avvolse e di nuovo i sogni l'abbandonarono nell'oblio della stanchezza.
Si dimentico' nuovamente di reinserire la suoneria.



Cain stringeva il telefonino fra le mani. Era fuorioso. Riusciva  a pensare solamente che la ragazza lo stesse ignorando di proposito.
Alla ventesima chiamata lancio' l'oggetto sul letto. Il telefono rimbalzo' silenziosamente, finendo sulla moquette grigia.  
Si prese la testa fra le mani - Che stronza! Che stronza...che stronza!
Penso' che il giorno dopo a scuola la biondina gli avrebbe rifilato una scusa, e questo alimento' il sangue amaro che gia' si era fatto da un'ora a quella parte.  Avrebbe dovuto correre alla polizia e denunciare tutto. Le avrebbe lasciato un messaggio sul cellulare in cui le diceva dei suoi propositi, così lei lo avrebbe richiamato subito, disperata.  
Cerco' di avere la meglio sulla smania che gli impediva di rimanere tranquillo, scalciando sotto le coperte.
Si addormento' solo dopo aver vagliato numerosi modi per farla pagare alla ragazza per il suo comportamento, cullato anche da sogni di vittoria e rivalsa nei confronti degli assassini di suo padre.



Oltrepassato il cancello della scuola, Porthia si fermo' per controllare il display del cellulare.
Quella mattina si era svegliata di soprassalto, lanciando le coperte  sul fondo del letto.  Non aveva sentito Cain quella notte, alla fine. Aveva afferrato il cellulare rendendosi immediatamente conto di non aver convalidato la suoneria; non si era nemmeno messa a contare i numerosi messaggi e le chiamate perse che il ragazzo le aveva lasciato.  Aveva  pero' deciso che non gli avrebbe mentito: era da stupidi scordarsi di rendersi reperibili ben sapendo di dover essere contattata, ma infondo così era andata.
Aveva mandato un messaggio al ragazzo, fissando un appuntamento mattutino sotto la solita quercia, ma questo non le aveva risposto.

Rimase ad aspettarlo anche oltre il suono della campanella, presentandosi in classe con una quarto d'ora di ritardo.
Il professore la redarguì, ordinandole di trascrivere alcune espressioni alla lavagna. Senza proferire parola, Pia si scuso' ed eseguì quello che le veniva chiesto meccanicamente; la matematica non la impensieriva, le riusciva piuttosto spontaneo districarsi fra  numeri e regole.
Mentre la classe annotava silenziosamente  frazioni  e parentesi  sui quaderni, Pia  spolvero' del gesso dalle mani. Le torno' in mente la sagoma del cadavere del signor Turner e la rabbia di suo figlio che dopo aver trovato un filo logico alla sua morte, reclamava vendetta, ma soprattutto di capire qualcosa in piu' su quell'omicidio.
C'erano un sacco di cose da fare, prima che i suoi genitori venissero denunciati alla polizia: cercare un libro, capire come avvenissero quei riti, chiarire se di riti si poteva parlare, cercare di scoprire come i coniugi Hunt facessero sparire i cadaveri.
Per certi versi le sembrava impossibile che due ragazzini come loro potessero destreggiarsi in operazioni tanto rischiose ed impegnative.
Forse la cosa giusta da fare, prima di impelagarsi in quei guai, sarebbe stata davvero quella di andare alla polizia e raccontare quello che sapeva.  Si sarebbero risparmiati la visione di altri cadaveri ed altre spiacevoli conseguenze.


Durante la pausa pranzo, a mensa,  Cain intravide la lunga chioma arruffata di Pia. La ragazza sedeva in uno dei tavoli centrali con altre ragazze della sua classe.  Malgrado l'allegro cicaleggio che la circondava, rimaneva con la testa china sul proprio pranzo; ogni tanto una compagna con i riccioli neri si voltava verso di lei, dandole di gomito e ridacchiando. Pia allora le sorrideva pallidamente.

- Insomma Cain, chi stai fissando a quel tavolo?
Jhonny, il compagno di classe con cui era solito pranzare,  riprese posto accanto al ragazzo, mettendoli davanti al naso un caffe' in lattina che aveva rimediato alle macchinette.
- Eh? - si volto' di scatto il moro, cadendo dalle nuvole.
- Non hai staccato gli occhi da quel tavolo, se ti chiedessi di cosa abbiamo parlato durante il pranzo sono sicuro che non mi sapresti rispondere. Quindi fammi capire un po' chi e' che tieni d'occhio - aprì la propria lattina, allontanandola dalla divisa immacolata che indossava - E' la moretta? Quella con i capelli lunghi o quella con il caschetto?
- Non...Oh insomma, non le stavo fissando per interesse!  - anche Cain aprì la sua lattina - Ero distratto. Non ho dormito bene in questi giorni.
Jhonny sorrise con aria sorniona - Avanti Cain... E' vero che mi sembri un po' stanco, ma si capisce che ne stavi fissando una in particolare. E poi dai, in questi ultimi giorni non sono riuscito piu' a beccarti per un'uscita! Se non c'e' una ragazza di mezzo, allora mi devo davvero preoccupare...

Jhonathan Hans era un gran bravo ragazzo, e s'interessava sempre del suo umore, ma lungi dal potergli solo accennare quello che lo stava corrodendo in quell'ultimo periodo. Di certo pero' non poteva nemmeno continuare a negargli l'evidenza: aveva messo gli occhi su una ragazza, era vero.
Cain sorseggio' la bevanda calda, reggendo la lattina con entrambe le mani - E' quella di spalle con i capelli lunghi. Smettiamola di fissare il tavolo ora, non siamo invisibili.
Jhonny  rimase abbastanza soddisfatto di quella risposta. S'immaginava ci fosse di piu', e la risposta lapidaria dell'amico confermava il suo pensiero, ma si sforzo' di accontentarsi.
- Ora so che almeno esci con una ragazza e non te ne stai tutto il pomeriggio chiuso in casa.  Pero' datti reperibile una di queste sere, "non ci sono solo le ragazze", mi sembrava che questo concetto me lo avessi puntualizzato tu, una volta...
Turner abbozzo' un sorriso. In quei giorni aveva perso di vista un sacco di cose, e gli amici erano una di queste. Si era fatto assorbire dai dubbie e le incertezze, perdendo un bel po' del suo solito smalto. Avrebbe voluto spiegare al suo amico che lo aspettavano momenti terribili,  e che per un po' non avrebbe potuto divertirsi con lui a cuor leggero. Aveva un tarlo dentro di sè, un insetto che lo rosicchiava ora dopo ora.
 Diede una  fraterna pacca sulle spalle del biondo - Magari sotto vigilia facciamo le solite compere di Natale. Non preoccuparti, non sparisco, Jhonny.



Porthia tiro' la sciarpa fin sotto il naso e si guardo' alle spalle. Fra gli studenti della sua scuola non intravide il viso di Cain.
Si convinse che fosse ancora troppo arrabbiato per cercarla, e probabilmente in quel momento la stava fissando da una delle finestre della scuola per assicurarsi che si allontanasse.
Sospiro'. Dopotutto se l'era cercata, non poteva negarlo.  
Quella mattina  si era svegliata fisicamente piu' riposata, ed il prendere un buon voto a matematica, malgrado il suo ritardo ed i rimproveri del professore, l'avevano lievemente rinfrancata.  Durante il pranzo, entrando in mensa, aveva incontrato lo sguardo di Cain, che stava prendendo posto con il vassoio ancora in mano; un ragazzo piuttosto alto lo aveva chiamato da un altro tavolo e Turner lo aveva raggiunto. Pia non aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a lui, anche se in un primo momento le era balenata l'idea. La presenza di quel biondino con il viso da adulto l'aveva fatta pero' desistere del tutto.

Il cielo si era imbiancato, da un momento all'altro avrebbe cominciato a spruzzare neve su tutta la citta'.  Per terra c'erano ancora molte pozze d'acqua, che si sarebbero sicuramente ghiacciate in poche ore.
Pia stava cominciando a valutare l'idea di proseguire da sola con i propositi che si erano prefissi, così che il moretto nel frattempo avrebbe potuto sbollire l'arrabbiatura.  
Avrebbe potuto valutare la disponibilita' di Jhona a farsi prestare una macchina per trasportarli nel luogo dove i suoi genitori si sarebbero recati sabato, o quantomeno farsi consigliare un autista che si facesse gli affari propri. Sicuramente Cain ne sarebbe stato contrariato,  ma a conti fatti non c'erano altri modi per stare alle calcagna degli Hunt senza dipendere dagli orari dei pulman notturni. Il ragazzo avrebbe dovuto arrendersi all'evidenza.

Cerco' il nome di Jhona sul proprio cellulare, ma il telefono di lui risultava spento o non raggiungibile. Jhona non frequentava la sua scuola, ma una molto vicina che non aveva l'obbligo della divisa e neppure quello di spengere i cellulari durante le lezioni. Le sembrava un po' strano che il ragazzo avesse il telefono spento, anche se magari si poteva essere scaricato.
Decise di suonare alla porta di casa Tunninghton.  
La vedova si affaccio' alla finestra di cucina avvertendo la ragazza che le avrebbe aperto la porta. Pia sentì le ruote della carrozzina scivolare sul pavimento sino alla porta. La nonnina la fece accomodare, scostandosi dall'entrata.
- Buonasera Mrs. Tunninghton - disse Pia, sorridendole in maniera composta - Mi chiedevo se Jhona fosse in casa.
L'anziana scosse il capo imbiancato con aria grave - Non e' tornato stanotte, e neppure stamattina  - si porto' una mano alla bocca, come se si fosse appena resa conto della gravita' delle proprie parole - Di solito torna in mattinata, anche se mi fa dannare tutta la notte...

Pia corrugo' la fronte. Domenica mattina il ragazzo, anche se lei non gli aveva chiesto nulla, le aveva detto che sarebbe rimasto in casa a riposarsi, perche' il pomeriggio avrebbe dovuto vedere una partita con gli amici. Ed anche se Jhona era solito starsene fuori tutta la notte senza dar cenni alla nonna malata, qualcosa la mise in apprensione.
- Hai provato anche tu a chiamarlo? Ieri pomeriggio non riusciva a trovare il suo telefono, ho pensato che sarebbe uscito a riprenderlo velocemente, ma non e' piu' tornato. E' uscito senza ombrello e sciarpa...che sconsiderato...
La giovane Hunt avrebbe voluto consolarla, ma non le veniva nessuna energica parola di conforto. Quella signora le faceva davvero compassione.
- Magari faccio un salto al pub che frequenta di solito e do un'occhiata - le disse, visto che la donna era impossibilitata ad uscire autonomamente.
- Sarebbe perfetto - rispose l'anziana, sgranando i grandi occhi verdi. Allungo' una mano ricurva sul braccio della ragazza - E digli di tornare immeditamente a casa, il Signore solo sa che succederebbe se l'assistente sociale passasse da casa senza trovarlo! Stamattina sicuramente non sara' nemmeno andato a scuola...Oh povera me!
Pia aveva incontrato qualche volta l'arcigno assistente sociale che si occupava di controllare il ragazzo, orfano di genitori e sotto le cure di una donna anziana e semi inferma. Non aveva un'aria comprensiva o amichevole, lo aveva sentito alzare la voce nei confronti di quella nonnina piu' di una volta.

Porthia saluto' la donna, e scese dagli scalini dell'abitazione. Piccoli fiocchi di neve avevano preso a scendere timidamente, inumidendo  il suo giaccone verde.  
Spalanco' la mano per accogliere qualche fiocco fra le dita. Erano otto mesi che non sentiva la sua friabile, umida consistenza.
Non c'era un filo logico fra la neve ed il ragazzo che quella notte non era tornato a casa, ma non poteva fare a meno di pensarci.
Sabato notte l'aveva chiamata con il cellulare, ma lei aveva tolto la suoneria per entrare nel magazzino di suo padre e non lo aveva sentito, quindi Jhona in quel momento aveva ancora il suo cellulare.
Poi la notte era rimasto con lei ed il mattino dopo se n'era tornato dritto a casa, Pia lo aveva visto entrare e lui le aveva accennato un saluto con la mano. Forse il telefono gli era caduto dai vestiti mentre li nascondeva nel ripostiglio, e poi si era scaricato.
Entro' nella casa vuota, andando dritta in camera. Frugo' in tutta la camera, tastando le coperte e lo spazio fra la testiera del letto ed il materasso. Sul pavimento non c'era, così come sui mobili.

Si fermo' al centro della camera, con l'idea agghiacciante che Jhona avesse potuto perdere il suo cellulare proprio nel magazzino.
Le torno' in mente la colluttazione fra Cain ed il ragazzo. Un minuto prima era strisciato sotto il bandone facendosi luce con l'apparecchio telefonico, e poi...E poi che fine aveva fatto? Lo aveva rimesso in tasca?
Porto' entrambe le mani alla bocca.  Non poteva trarre conclusioni affrettate, ma se i suoi genitori avevano trovato il telefono allora la scomparsa di Jhona avrebbe potuto non essere solo un caso.
Fa che non sia così! Non lui, Cristo!!


Cain salì gli scalini di casa scrollandosi la neve di dosso sull'uscio.
Sua madre gli venne subito incontro con un tappetino di plastica ed un asciugamano.
- Ma insomma, lo sapevi che oggi avrebbe potuto nevicare, perche' non hai preso l'ombrello?! - lo rimbrotto', posando lo zerbino a terra.
Il ragazzo si tolse il cappotto, appendendolo all'attaccapanni, ma sua madre lo tiro' via per metterlo vicino alla stufa. Si friziono' la testa con l'asciugamano, scalzando le scarpe.
- Hai ragione, 'ma - le disse, salendo in camera propria.
- Allora io esco per il colloquio con i professori. Mi devo aspettare brutte sorprese? - gli ammicco' la donna, aggiustandosi sui capelli un cappellino di feltro di un bel verde sottobosco - Con questa neve penso che prendero' un taxi...
- Macche' sorprese...vado alla grande, io - le rispose, affacciandosi dal pianerottolo del primo piano - Sì, chiama un taxi che e' meglio. La strada fra poco sara' ghiacciata.
Cain sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni grigi. Sul display apparve il nome di Pia - Io vado in camera, ci vediamo piu' tardi!- urlo' alla madre.

Turner soppeso' l'idea di continuare ad ignorala, ma se da un lato farle desiderare la sua presenza lo faceva sentire soddisfatto, non si era certo dimenticato che loro due avevano molte faccende gravi in sospeso.
Decise di risponderle con tono serio e volutamente scocciato - Pronto? Allora..?
Dall'altro capo del telefono sentì degli strani rumori, e visto che la ragazza non gli aveva risposto immediatamente, accantono' l'orgoglio e fu assalito dalla preoccupazione - Pia.? Che succede?!
Finalmente la ragazza gli rispose - Turner! Temo che Jhona abbia perso il suo cellulare nel magazzino, e che i miei lo abbiano trovato!
- Cosa?! - il ragazzo mise entrambe le mani sul telefonino - Ma come... E poi cos'erano quei rumori?
- Sto cercando una traccia...Sì, una traccia del cellulare di Jhona - gli spiego', rimanendo concentrata nella sua ricerca - Sto guardando nella pattumiera. Turner, Jhona e' scomparso, sua nonna e' da ieri pomeriggio che non lo vede, mi ha detto che Jhona non trovava il suo telefono e che probabilmente e' uscito a cercarlo...
Cain dovette sedersi un attimo per realizzare le parole della ragazza - Stai rovistando nella spazzautura? - anche se questo particolare l'aveva colpito, era sulla scomparsa di Jhona che stava riflettendo.
- Se i miei hanno trovato il cellulare... Lo sai cosa sono capaci di fare! Ascolta, io credo che lui sia passato da casa  a cercare il telefonino, ma io non c'ero in quel momento, gli devono aver aperto i miei...E' uscito senza la sciarpa e l'ombrello con quella pioggia! Non aveva intenzione di allontanarsi tanto da casa, non lo pensi anche tu?

Cain si massaggio' il collo, un po' confuso dalle veloci informazioni che la ragazza gli stava dando - Aspetta, aspetta...Come fai ad essere sicura che e' passato da casa tua se non c'eri? Non mi sembra il tipo che si porta appresso un ombrello perche' piove!
- Ma dai, con tutto quel venir giu' d'acqua!
- Anche noi non avevamo l'ombrello ieri pomeriggio, te ne sei dimenticata?
Per qualche secondo non sentì la voce della ragazza, ne il suo rovistare fra i rifiuti. Percepì un suo lungo sospiro.
- Io esco a cercarlo al pub in cui va di solito. Se nessuno lo ha visto allora dobbiamo cominciare a pensare al peggio! - gli disse, con risentimento.
- Non essere precipitosa! Aspettami, cerco di essere da te fra venti minuti! Non uscire senza di me, e' chiaro?!

Una volta infilatosi degli scarponcini da neve sopra i pantaloni della divisa, Cain corse giu' dalle scale, superando sua madre che si stava appuntando una spilla sul cappotto
- Ma dove corri, ora? - esclamo', sgranando gli occhi.
- Ho dimenticato di dare una cosa a... a Jhonny! - le rispose di fretta, infilandosi il cappotto umido ed un cappello di lana grigio.
- Ora?! Prendi l'ombrello! Aspetta Cain!
Mrs. Turner si sporse oltre l'uscio, ma ormai suo figlio si era gia' lanciato sul marciapiede opposto.



Porthia lo aspettava gia' in strada, nascosta dietro un camioncino della disinfestazione stradale. Vedendo arrivare il ragazzo uscì allo scoperto per chiamarlo.
Il giovane Turner dovette aggrapparsi alla ringhiera di una casa per non cadere. La via dove abitava Pia era piena di buche colme di acqua solidificata in ghiaccio.
- Per fortuna non te ne sei scappata via!
- Per fortuna non ti sei spiaccicato sull'asfalto... - gli rispose, strattonandolo per un braccio - Il pub e' qui vicino, andiamo.





















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Capitolo 11
*** Mass media ***


corpo






                                                                                MASS MEDIA







Il pub era pieno di clichè, un classico pub inglese dell'immaginario comune. Alti sgabelli ai banconi di legno, lunghi bicchieri colmi di birra, il pavimento di  faggio scricchìolante, la tv accesa in un punto ben visibile.

Pia rimase titubante sull'uscio, scrollandosi qualche fiocco di neve dalla frangia. Scruto' i clienti alla ricerca di visi noti.
Cain si tolse il berretto, stringendolo fra le mani.  Gli capitava di rado di entrare in un pub pieno di adulti come quello.
- Avviciniamoci al bancone e chiediamo - suggerì il ragazzo, chinandosi all'orecchio di lei.
- Non conosco nessuno, non di persona almeno - disse la biondina, avanzando.
L'uomo dietro al bancone accenno' loro un saluto con il mento, ed avvicino' una scodellina colma di noccioline.
Quel posto la metteva a disagio; avvicino' uno sgabello al compagno - Vuoi una coca?
Il moro annuì, prendendo anch'egli posto.
- Allora due coca? - disse l'uomo dietro al bancone, guardando lo schermo televisivo. Stavano trasmettendo una trasmissione sportiva.

Non c'erano molti avventori, e l'eta' media di questi oscillava fra la cinquantina e la settantina.  Un anziano stava combattendo fra il reprimere una fastidiosa tosse, ed il convincere il proprio interlocutore dei suoi credi sportivi; l'uomo davanti al vecchio rideva sotto i baffi, lisciandosi il mento barbuto. L'anziano sputo' qualcosa nel fazzoletto, riprendendo a parlare con voce arrochita.
A quel gesto, Pia abbasso' gli occhi infastidita.
- E' un anziano, dai! - obbieto' Cain, scorgendo il gesto della ragazza.
- E chi ha detto niente! - gli rispose lei.
Cain sorrise, con la sua smorfia abituale - Glielo devo chiedere io, a questo signore? - le disse, sussurrando - si sporse sul bancone, poggiando il mento sul palmo - Ogni tanto la tua grinta va a farsi benedire...
Pia riservo' al ragazzo un'occhiata di stizza; afferro' qualche nocciolina e le inghiottì di getto, reclinando il capo - Aspetto che ci serva da bere, prima.
Anche Cain allungo' la mano alle noccioline - Senti un po', com'e' che ieri sera non mi hai risposto?
- Avrei voluto spiegartelo stamattina, ma tu facevi l'offeso... Mi sono addormentata, né piu' né meno. Mi dispiace.

Malgrado le convinzioni ed i propositi che aveva covato nel letto la sera prima, Cain le credette con facilita'. Gli pesava  esser definito "permaloso", poiche' aveva la ragione dalla sua parte, ma dopo un attimo di silenzio evito' di farla lunga.  

Quando il proprietario si avvicino' con due tumblers di coca alla spina, colmi di ghiaccio, Pia ne approfitto' per attaccar discorso.
- Mi scusi... Lei conosce per caso Jhona Tunninghton?
L'uomo annuì, lasciando cadere in entrambi i bicchieri una fettina di limone ed una cannuccia colorata - Pero' e' un paio di giorni che non si fa vedere. Ma voi non siete della sua scuola - disse, indicando la divisa che i ragazzi indossavano - Lui frequenta la Curtis.
- Sono la sua vicina di casa - spiego' la ragazzina - Mi ha mandato sua nonna...Vede, stanotte non e' tornato a casa. E' molto preoccupata.
- Accidenti, non e' la prima volta... Quando Mrs Tunninghton non era costretta a casa, spesso veniva a ripescarlo qui. Gliel'ho sempre detto, io, di non farla preoccupare... Ma Jhona e' il tipo che ti risponde con un sorriso e poi continua  a fare come gli pare.
Pia sapeva bene com'era fatto il suo vicino, quell'uomo lo aveva perfettamente descritto con poche parole - Quindi proprio non l'ha visto? Non e' che magari qui c'e' qualcuno che lo conosce? Che l'ha visto ieri sera, ad esempio...
- Oh bhe... - il proprietario si guardo' intorno - Non ci sono i suoi amici ancora, pero' aspetta... - disse, sparendo dietro la porta a spinta della cucina.

Cain si sporse verso la spalla della ragazza - Ti dico la verita'. Non ho molta voglia di incontrare i suoi amici... Dobbiamo aspettarli?
- Tu non prendi sul serio questa cosa - disse, tirandogli la cravatta. Punto' gli occhi in quelli azzurri del ragazzo - Se i miei hanno trovato quel cellulare, lui...
L'uomo torno' accompagnato da un ragazzetto brufoloso con i capelli rasati a zero.
- Questo e' Mason. Lui vede spesso Jhona.
Il garzone si pulì le mani al grande grembiule da cucina che indossava, tirando su con il naso. Non aveva un'aria collaborativa, e nemmeno uno sguardo particolarmente intelligente. Squadro' i due ragazzi, soffermandosi sulle loro divise, poi volto' l'attenzione alla ragazzina.
- Tu sei quella che sta nella casa accanto a Jhona - proclamo' - E' da sabato sera che non lo vedo. Perche' lo cercate?
Pia non si sentì certo lusingata dall' esser stata riconosciuta da quell'individuo. Chissa' cosa diceva di lei Jhona ai suoi amici, e cosa questi pensavano di lei. Si chiese a quel punto se erano a conoscenza anche del modo in cui tirava su qualche quattrino, facendo tatuaggi senza licenza.

Cain prese parola - Non e' tornato a casa stanotte e nemmeno stamattina, sua nonna e' molto preoccupata.
Il ragazzetto corrugo' la fronte, avvicinandosi per fronteggiare il moro - Tu conosci Jhona?
Pia li interruppe, scendendo dallo sgabello - Ci ha mandato sua nonna. E' importante che Jhona torni a casa prima che si presenti l'assistente sociale.... Se non dovesse trovarlo durante il controllo, sia Jhona che sua nonna passerebbero dei guai.
Il garzone porto' le mani ai fianchi, fissando il viso della ragazza - Aspetta un po'. Sabato sera lui si e' allontanato dal gruppo per seguire te... Io ti ho vista, e c'era pure lui con te. Se non lo sapete voi dov'e' finito...
Pia e Cain si guardarono in faccia. Non era stata una buona idea investigare in quel pub.

La ragazza non si immaginava certo di esser così visibile, tanto da essere addirittura riconosciuta da un amico di Jhona che non aveva mai visto. Sorseggio' la coca, cercando di parere piu' innocente possibile - Sì ma si e' fermato solo un attimo a salutarmi - mentì - Non so che dire a sua nonna... Dove potrei trovarlo?
- Guarda che Jhona potrebbe rincasare stanotte. Lui e' fatto così! Non so dove potrebbe essere ora, potreste provare al campo da calcio, ma non si allena da quasi un mese - disse il butterato.
- Se dovesse passare di qui, gli diremo di tornarsene subito a casa - s'intromise il proprietario.



Finito il proprio drink, i due ragazzi tornarono in strada.
Cain alzo' il viso al cielo, incontrando i pacati, silenziosi fiocchi di neve - Vuoi andare a chiedere al campo? Secondo me dopo la pioggia di ieri sara' tutto ghiacciato...
- Il fatto e' che non so che dire alla nonna di Jhona - rispose lei, riparando le mani in tasca - Forse mi sto solo allarmando per nulla. Pero' lo sai Turner...quelli  forse sarebbero capaci uccidere anche Jhona. Siamo cresciuti insieme, io e lui.
- Prima ti fai prendere dall'agitazione, ora dalla malinconia. Di un po', e sii sincera... Ti piace Jhona? - le chiese Cain, senza guardarla in faccia.
Chiederle di dirgli la verita' era una domanda sciocca, aveva capito ormai che Pia diceva la verita' solo quando le faceva comodo; ma  non era il tipo, se n'era accorto solo in quell'ultimo periodo, capace di poter  controllare la propria gelosia, non almeno come Pia controllava le proprie emozioni.
Per un attimo si sentì solo. Erano in due a conoscere il segreto degli Hunt, ma quella biondina lo coinvolgeva e lo allontanava in continuazione. Poi c'era quel ragazzo, Jhona, che conosceva Pia da sempre. Lui probabilmente conosceva la vera Porhia Hunt, perche' non era possibile che quella ragazza fosse sempre stata come l'aveva conosciuta lui. Malgrado considerasse Jhona una sorta di troglodita, dovette ammetere che in questo stava un passo avanti a lui.
La gelosia gli fece luccicare gli occhi. Strinse i pugni in tasca, aspettando la risposta di lei.

- Di certo non mi e' indifferente - gli disse - Ma non lo amo.

Fra i due ragazzi si  creo' quell'atmosfera morbida ed intima, ma frizzante di aspettative, che prometteva grandi rivelazioni. Entrambe i ragazzi avevano annusato quell'aria almeno una volta nella vita, e quando la sentirono avvicinarsi nuovamente non poterono che esserne chi deliziato, chi spaventato. Chissa' se anche gli adulti potevano ancora provare quell'atmosfera...
Intorno a loro  case e  strade si erano ovattate sotto il lento scendere della neve. I rumori e la vita degli altri sembravano lontani, come un pallido ricordo.

Cain fermo' la ragazza per un braccio.
- Ti ho baciato piu' di una settimana fa. Fino ad ora mi sono chiesto se il tuo bacio era sincero. Tu non hai piu' detto niente...
Pia rimase a labbra serrate. Lo sapeva che prima o poi avrebbero dovuto affrontare quell'argomento.  Sfioro' con il pollice il mento del ragazzo, la pelle arrossata dal freddo, le labbra tremanti come quelle di una fanciulla di altri tempi, i suoi occhi azzurri ed eloquenti che aspettavano una risposta.
- Non c'e' niente che mi dispiaccia di te - Pia riporto' la mano in tasca. Stava per dirgli anche qualcosa di spiacevole, e non  poteva essere sicura che il ragazzo avrebbe preso le sue parole con filosofia - Pero' io non ci sto con i sentimenti, Cain - disse, chiamandolo per la prima volta senza usare il suo cognome - Per me e' difficile avvicinarmi a te in quel senso.

Per Cain aveva provato preoccupazione ed una sorta di affetto, ma quel bacio non le aveva suggerito nient'altro. Mentre si lasciava toccare da Jhona non c'era stato senso di colpa nei suoi confronti.  La cosa che piu' le lasciava l'amaro in bocca era che non riusciva lei stessa  ad afferrare i propri  veri pensieri ed a tramuarli in parole, e così stava succedendo anche ai suoi sentimenti.
Pia si stava perdendo. Pia stava perdendo se stessa.

Turner era rimasto confuso da quelle parole, che non erano un , ma neppure un no. Per l'ennesima volta era riuscita a disarmarlo di parole ed intenzioni.

Tutto rimaneva infinitamente immobile, la neve sembrava aver cristallizzato anche cio' che li circondava.

Cain non era sicuro delle parole che stava per dirle,  ma fece un piccolo sforzo per farle uscire dalla bocca.
- Forse dovremmo riparlarne quando tutto questo sara' finito. E' come se fossimo in tilt emozionale, non e' vero Pia? - le sorrise, curvando  le labbra in un gesto che la ragazza aveva notato fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti.
Anche Pia abbozzo' un sorriso, forse sfiorata da un alito di tenerezza - Sei saggio, allora. Forse sì, Turner, e' come dici tu.
- Non potresti continuare a chiamarmi Cain...?
- E' che non mi viene spontaneo!
- Mi intristisce un po' sentirti dire sempre il mio cognome... Tu pronunci la "c" in maniera carina, mi piacerebbe sentirlo piu' spesso.
- Io dico un sacco di parole con la "c", non ti bastano?
- Hai capito benissimo cosa intendevo!
- Vedremo un po', se mi verra' spontaneo allora non ci saranno problemi... - gli rispose con aria provocante.

Continuarono a camminare sotto la neve, senza rendersene conto avevano girato intorno a tutto l'isolato. Un camion aveva slittato vicino a loro, il suono delle gomme li aveva riportati alla realta, ai  problemi, i segreti e la vita degli altri.
La neve aveva continuato a scendere, ma nessuno dei due si sentiva piu' cullato dal silenzio di poco prima.

- Ho paura che Jhona non tornera' piu' a casa.
- Dici che stanotte sarebbe troppo rischioso andare al magazzino?
- Stanotte devo rimanere in casa. Devo pure sforzarmi di cenare con loro. Non voglio che possano  anche solo pensare che gli sto evitando, sarebbe pericoloso.
- Qualsiasi cosa decideremo di fare da ora in avanti, sara' pericoloso.
- Hai ragione. Ma se non vogliamo che finiscano per braccarci, devo continuare a fingere che tutto sia come prima. Magari se ti comporti in maniera strana con tua madre, lei pensera' che hai problemi da ragazzo, invece se io divento diversa dal solito, i miei  aguzzeranno i sensi per capire cosa mi sta succedendo. Se tu fossi un assassino impenitente proveresti paranoie per tutti quelli che conosci.
Cain irrigidì le mascelle. Pia avrebbe dovuto tornare nella tana del serpente. Tuttavia non conosceva i genitori di Pia:  avrebbero davvero fatto del male alla propria figlia se avessero scorto in lei il barlume del sospetto?

Una berlina illumino' le schiene dei ragazzi, per poi affiancarli.
Quando l'autista tiro' giu' il finestrino, Pia riconobbe l'inaspettato viso di suo padre. Non avrebbe fatto in tempo a far allontanare il ragazzo. I coniugi Hunt, sorridenti, spostarono la propria attenzione su Cain, riconoscendo la stessa divisa che indossava Porthia.
Quando mai avevano visto la propria dillettta figlia passeggiare con un ragazzo?
- Tesoro! - comincio' sua madre - Te ne stai così sotto la neve?!.
- Hey, da dove spuntate voi due? Niente lavoro, oggi? - chiese Pia, piegandosi sul finestrino. Cain rimase in silezio, intimamente scosso dall'avere a portata di mano i due assasini. Gli assassini di suo padre, probabilmente.
- Avevamo i colloqui con i professori, te ne sei scordata?
Pia si dette della stupida, non avrebbe dovuto dimenticare una cosa come quella, un evento che di solito portava apprensione negli studenti.
- Tutto bene, no? - chiese loro, fingendo preoccupazione.
- Se non te ne sei ricordata, direi proprio che non avevi motivi per essere in apprensione per i tuoi voti - sorrise sua madre -  Ed i genitori del tuo amico sono andati ai colloqui?

Gia', i genitori  di Cain. Solo in quel momento Pia realizzo' che se era vero che gli Hunt avevano ucciso il signor Turner, non era difficile che conoscessero anche il resto della famiglia.
Pure Cain sembro' realizzare quel pensiero, scostandosi dalla luce del lampione per sistemarsi meglio il berreto sugli occhi.

- Ma certo che sì - rispose la biondina, sorridendo a sua volta - Non frequento gente ignorante, io.
- Non la vuole una cioccolata calda, il tuo amico? - disse suo padre, accendendo la lucina davanti allo specchieto retrovisore.
- Siamo passati da Meson's, visto che nevicava  e ci e' sembrato carino prendere cioccolata in polvere e pasticcini! - esclamo' Hellen, mostrando una busta del negozio.
Mai Pia avrebbe messo allo stesso tavolo Cain ed i presunti assassini di suo padre. Non poteva chiedergli quello sforzo, era piu' di quanto innaturale potesse fare al ragazzo. Porthia si considerava bugiarda e forse un po' al di sopra degli altri, ma non era crudele.
Anche se durante i suoi pesanti pensieri si era considerata tale piu' di una volta, visto che per arrivare alla verita' stava sacrificando il cadavere di quel poveraccio che era finito in pezzi nel bagaglio della Rover e tutte le vittime che lo avevano preceduto.

- Mi stava riaccompagnando a casa, ma deve tornare dai suoi per sapere il responso del colloquio - spiego' la ragazza.
- Comunque grazie - aggiunse Cain, alzando la mano per accennare un saluto, con il viso immerso nel colletto del cappotto - Ci vediamo domattina, ok? - disse alla ragazza, allontanandosi e cercando di mantenere un passo rilassato.
- Allora dai, sali! - Hellen tiro' la manica della figlia - Vuoi fartela tutta  a piedi?



Il giorno dopo gli spalaneve avevano  sgombrato la carreggiata dalla neve, spargendovi del sale.  Per tutta la notte, nel buio delle loro stanze, Pia e Cain avevano udito il loro meccanico procedere per le strade.  Il sonno si era alternato ai soliti pensieri negativi, e al muoversi delle loro membra nervose sotto le lenzuola.
Cain si era consolato "con se stesso", in una pratica abituale da adolescente. Prepotente, l'immagine del viso di Pia si era alternata al corpo di certe donne piu' formose.  Arrivato all'apice, si era poi vergognato di quei pensieri, nascondendo il viso nel cuscino. Non c'era niente di perverso in quello che aveva appena fatto, ma l'imbarazzo era stato piu' forte della razionalita' e dell'educazione sessuale che gli insegnavano a scuola.
La giovane Hunt, ignara delle pratiche del ragazzo, aveva finito per prendere un blocco ed una matita, cercando di tirare giu' qualche schizzo per la sua scarsa clientela di futuri tatuati. Si era addormentata verso le quattro del mattino, con la matita in mano ed il blocco poggiato sulla pancia.

Le lezioni si erano susseguite pigramente. Erano stati annunciati gli ultimi compiti ed interrogazioni prima della vacanze estive.
Sia Turner che Hunt avevano rivolto un pensiero al giorno di Natale. Il moro avrebbe passato il venticinque Dicembre dai parenti, aprendo regali che nessuno azzeccava mai, zii, nonni e cugini sarebbero stati  alle prese con il problema mentale di sua madre, accondiscendenti come al solito.  Quell'anno pero', ne era sicuro, l'argomento principale sarebbe stato l'arresto dei coniugi Hunt. Avrebbero discusso dell'indagine che sicuramente sarebbe stata aperta su di loro, e probabilmente avrebbe dovuto sopportare le offese nei confronti di Pia e, a ragione, dei suoi genitori.
Chissa' se dopo lo scoppio della tempesta mediatica Pia si sarebbe trovata ancora in citta'?
Era facile immaginare un epilogo sereno, in cui i "cattivi" l'avrebbero pagata, e lui sarebbe riuscito a riprendere le redini del rapporto con la ragazza, ma in quel momento gli sembrava tutto decisamente irreale.

Sopra la classe del ragazzo, seduta nel banco di mezzo, Porthia  non aveva quasi pensato al Natale. Da qualche giorno si era arresa all'idea che per lei, quel giorno, non ci sarebbe stato nulla da festeggiare, così come durante il veglione di Capodanno.
Forse per le feste sarebbe stata gia' affidata a su zia, che abitava in una contea dove d'estate faceva il bagno nei laghi, nella grande casa di legno e carta da parati di lei.  O da suo zio Charles, che abitava in un minuscolo appartamento di Londra, impregnato di nicotina e lettiera di gatto. Sempre che anche loro non fossero in qualche modo implicati negli omicidi...

Qualunque fosse stato il Natale che li attendeva, si erano ripromessi di denunciare gli Hunt prima di quel giorno di festa.


Al termine delle lezioni Cain aveva rintracciato Pia vicino all'uscita.
Avevano parlato della sera prima, dell'incontro inaspettato con i genitori di lei, e Cain si era confidato, cercando di spiegarle la rabbia con cui aveva dovuto avere a che fare in quel momento.
Sul viso di entrambi si leggevano i segni di una nottataccia.

- Mi mancano le mie lunghe, pacifiche dormite - commento' il ragazzo, sbadigliando - Sta a vedere che fra poco riattacca a nevicare.
- Nevichera' spesso, fin dopo Natale. Perche' non provi con delle tisane?
- Con te hanno funzionato? - chiese Cain, alzando il sopracciglio.
- Direi di no, ma magari con te funzionano.
- Ne dubito... E' da pazzi dirlo, ma non vedo l'ora che arrivi sabato.
Pia volse la faccia da un'altra parte - Non dire cose di cui potresti pentirti.
- Tu...non ti sentirai piu' libera, dopo?
La bionda scosse il capo - Non lo so, non lo so proprio...
- Gia', sono uno stupido, scusa! La tua vita cambiera' radicalmente, non vale la pena assillarti gia' da ora... Scusami Pia.
Pia gli rivolse un impercettibile sorriso - Passera' tutto, non ti preoccupare.

Cain lascio' la ragazza in cima alla strada dove abitava,  guardando ogni macchina che si avvicinava. In cuor suo si augurava di non dover mai piu' avvicinare i due genitori della ragazza. Le disse che magari si sarebbero sentiti piu' tardi per pianificare qualche mossa, ma che prima avrebbe dovuto ripassare per il compito di fisica, materia che lo metteva alla prova. Lei gli aveva risposto che avrebbero dovuto continuare a studiare, e a non farsi scoprire troppo fuori casa, ma che comunque avrebbero potuto cenare insieme in qualche fast-food.
Pia cammino' sino all'abitazione, osservando le punte umide degli scarponcini che indossava per contrastare la scivolosita' dell'asfalto.  Se fosse nevicato invece di piovere, la domenica in cui Jhona era scomparso, non sarebbe stato così tanto assurdo provare a seguire le sue impronte sulla neve fresca; era un'idea che aveva dei risvolti cinematografici, lo sapeva, ma aveva anche imparato che proprio le teorie piu' assurde poevano rivelarsi le piu' veritiere.

Piu' si avvicinava a casa,  e piu' le macchine parcheggiate ai lati della strada aumentavano.  Era un traffico insolito.
L'apprensione le salì dallo stomaco alla gola, come una sorta di nausea senza conati. Aumento' il passo, leggendo esterrefatta sui furgoni e le camionette nomi di emittenti televisive, e, come un pugno nel ventre, la scritta in caratteri bianchi e cubitali della polizia.
Aggiro' un gruppo di giornalisti, cercando di scoprire davanti a quale casa stessero stazionando.

Se fosse stata casa sua, tutto sarebbe finito proprio quel giorno in cui si era lasciata tormentare dal suo futuro. Ce l'avrebbe fatta  a chiamare Cain? No, la prima cosa da fare era chiamare i suoi genitori.
Si allontano' dalla casa, nascondendosi dietro il camioncino di una radio locale. Esrtasse il cellulare con mano tremante, scorrendo sulla rubrica il numero di casa.
Il telefono risultava libero, ed infatti era improbabile che a quell'ora i suoi genitori fossero gia' tornati a casa. E poi perche' nessuno l'aveva avvertita  a scuola?

Poi finalmente capì.

Il telefono le squillo' fra le mani. L'apellativo "mamma" apparve sul display. Pia rispose, quasi balbettando.
Dall'altro capo del telefono sua madre aveva la voce nervosa; di sottofondo poteva sentire la sirena di un'ambulanza.
- Pia! E' successo una cosa terribile. Ora pero' stai tranquilla tesoro! Non tornare a casa, vai al magazzino di tuo padre!
La ragazza percepì diverse persone parlare a voce alta. Sua madre non era sola, ma non riusciva a capire dove diamine si trovasse.
- Cosa e' successo?! - quasi urlo', poggiando la schiena al furgoncino.
- Ascolta Pia. Non so come dirtelo ma...riguarda Jhona. Lui non c'e' piu'. Tu pero' ora devi rimanere tranquilla e andare al magazzino, capito? Io sto andando all'ospedale con la signora Tunninghton!

Un altro incubo aveva cominciato ad avvolgerla, dalle gambe alla testa, come la spira di un serpente. Lascio' scivolare il cellulare sulla neve, in un impatto umido e silenzioso. La voce di sua madre le arrivava lontana.
Sua madre. No quella donna non lo sarebbe mai piu' stata. La sua esistenza era imperdonabile, quello che aveva sicuramente fatto era imperdonabile.

Loro non esistevano piu'. Non avrebbe mai permesso che rientrassero nel suo cuore.






















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Capitolo 12
*** Prove ***


soluzione Questo capitolo e' uscito fuori ascoltando a ripetizione una canzone che avevo scaricato nel mio lettore mp3, ma che ho ignorato per mesi : "Silence" dei Delirium/Sarah Mc Lachland, gruppo che fra l'altro non conoscevo.  Non e' niente di sensazionale il capitolo, e nemmeno la canzone, ma visto che mi ha aiutata nel buttarlo giu' velocemente mi farebbe piacere che la ascoltaste.
La musica mi e' letteralmente fondamentale mentre scrivo. Vi evito tuttavia di farvi la lista delle canzoni ad ogni capitolo che pubblico...anche se ammetto che non mi dispiacerebbe segnalarvele, perche' sono sinceramente grata ad ognuna di loro.
Grazie al nutrito numero di lettori anonimi, a Carla e a Oddish <3 Auguri a tutti e ricordatevi che le Feste son  belle  anche perche' se magna! 










                                                                                 PROVE







Seduta su una pila di volantini Pia si fissava le mani gonfie per il freddo.
Il magazzino di famiglia si era fatto improvvisamente silenzioso. Il monotono rumore dei traspallet e lo strìdere della pellicola trasparente avvolta intorno ai bancali  era cessato; mr. Hunt aveva spedito a casa i due operai che lavoravano per lui part-time, ed aveva raccomandato a sua figlia di rimanere nell'ufficio finche' lui non fosse tornato a prenderla nel giro di un paio d'ore, poi era corso all'ospedale per "assistere" l'anziana signora Tunninghton.
La nausea non aveva potuto che aumentare una volta giunta la magazzino, e la falsa preoccupazione di quell'ipocrita di suo padre le aveva acceso in petto un'istintiva violenza. Quando suo padre aveva tentato di abbracciarla, Pia lo aveva scostato malamente senza guardarlo in faccia, rispondendogli che voleva stare sola.
Ora, seduta sui depliant relativi alle promozioni natalizie, stava discutendo a tu per tu con le proprie emozioni.

Una gonfia, rovente lacrima di rabbia le rigo' la guancia, andandole ad inumidire lo stemma della giacca scolastica.  Nella vorticosa confusione dei suoi pensieri, ammucchiati disordinatamente come i tasselli di un domino, Pia cercava di ritrovare il solito aplomb, quella calma razionale che fino a quel momento l'aveva tirata fuori dai guai, facendole perseguire uno schema.
Ma non era facile, non aveva mai provato in vita  sua quella rabbia feroce ed impotente che ora la scuoteva in tutta la sua interezza.

Con la mano scaccio' nervosamente un'altra lacrima. Per lei non era facile neppure ammettere che in quel momento sentiva il genuino bisogno di sciogliersi in lacrime, di lasciar traboccare tutta l'insicurezza che aveva fino ad allora sigillato dentro di sè. Strinse i denti, imponendosi di fare qualcosa. Avrebbe dovuto avvertire Cain, prendere il cellulare e scorrere il suo nome nella rubrica, tuttavia, alzando lo sguardo sulla porta dell'archivio davanti ai suoi occhi, una nuova priorita' le affioro' alla mente.
Quello che cercava non poteva che essere lì, ed in quel momento in cui una furia violenta le faceva pizzicare le dita, avrebbe ribaltato ogni mobile di quell'ufficio  per  trovare cio' che voleva, senza preoccuparsi delle spiegazioni che suo padre le avrebbe sicuramente chiesto. Non era nemmeno sicura, se avesse trovato quello che cercava, che avrebbe rivisto lui o sua madre, ed in una situazione del genere era inutile preoccuparsi di eventuali rimproveri.
Un assassino avrebbe mai potuto permettersi di rimproverarla, poi?

Si alzo' di scatto, lasciando che i volantini patinati si spargessero sul pavimento, ed uno ad uno rovisto' i cassetti della scrivania alla ricerca della chiave dell'archivio. Per la stanza svolazzarono documenti, post-it e ricevute; Porthia tasto' la scrivania in ogni angolo possibile immaginandosi che la chiave avrebbe potuto essere stata fermata con dello scotch in un posto non visibile, poi si accanì nel medesimo modo  contro la coppia di cassettiere accanto all'entrata, senza ottenere risultati.
Rimase al centro della stanza, con le mani fra i capelli, cercando di individuare con gli occhi il luogo in cui poteva essere stata nascosta, ma ogni secondo che passava la consapevolezza che mr. Hunt si fosse premurato di non lasciare la chiave lontana dalla propria persona, la convinse che avrebbe dovuto usare altri metodi.

Recupero' un lungo trincetto che gli operai usavano per aprire gli scatoloni, estraendone la lama ed inserendola fra la porta  e lo stipite, cercando di forzare la serratura; per qualche minuto rimase china e scarmigliata su quell'operazione, che le si stava rivelando tutt'altro che facile. In un momento di scarsa pazienza, Pia inclino' con troppa forza l'oggetto, e la lama si spezzo', schìzzando a pochi millimetri dal suo volto; la ragazza cadde a sedere sul pavimento, portandosi istintivamente una mano alla guancia.
Non c'era sangue sul proprio palmo, non era certo il caso di perdere la testa per un incidente  del genere, tuttavia e' proprio cio' che fece.

Prima calcio' la porta, lasciando che l'istinto avesse la meglio, poi recupero' un fermacarte di granito nero e lo lancio' contro il quadratino di vetro smerigliato al centro della superficie; nascose la mano nella manica del giaccone per ripararsi dai piccoli vetri aguzzi che non avevano ceduto all'urto e si sollevo' sulle punte dei piedi, cercando a tentoni la maniglia e la piccola sicura che, dall'interno, secondo i suoi ricordi era possibile sbloccare senza l'ausilio di una chiave.

I vetri scricchìolarono sotto i suoi  scarponcini di cuoio, alcuni microscopici frammenti le si impigliarono fra i capelli, smossi dal braccio che sfregava  contro la finestrella.
Le dita sfiorarono la piccola sicura, e Pia glorifico' la propria memoria per non aver fatto cilecca in un momento così delicato; la fece scattare, e premette la maniglia, ritirando il braccio.

All'interno dell'archivio non ebbe dubbi dove guardare, c'era solo un mobile che non avesse la forma di uno schedario. Sicura del fatto suo, ed altretanto sicurissima di trovarlo chiuso, Pia uscì fuori dall'ufficio per recuperare una delle pesanti zeppette di ferro con cui gli operai tenevano sollevati i bancali dal pavimento, trascinadola sin dentro l'archivio. Cerco' di sollevare il pesante oggetto a mezzaria, poggiandolo sulla propria spalla e facendo appello a tutta la rabbia che aveva in corpo per sferrare il colpo.
Le ci vollero almeno cinque minuti prima che il massiccio legno scuro del mobile si frantumasse sotto i suoi colpi, in una pioggia di schegge sottili.

Ansando, Pia lascio' cadere la zeppa dalle mani, scivolando in ginocchio. I capelli le erano ricaduti sul viso paonazzo, imperlato di sudore e microscopici pezzetti di legno. La ragazza introdusse entrambe le mani nella grossa fessura che aveva aperto nel mobile, ed inizio' ad estrarre con mani tremanti alcune buste trasparenti, di quelle con la chiusura ermetica che la sua famiglia usava per sigillare gli alimenti nel frigorifero. All'interno di queste vi erano decine di sim telefoniche, portafogli, e tutti quei piccoli oggetti che era facile trovare nelle tasche o nella borsetta di un cittadino qualunque.
Ogni bustina conteneva sommariamente la vita quotidiana di ognuna delle vittime che i coniugi Hunt avevano stroncato, tutti quei consueti, banali oggetti le parlarono di donne ed uomini innocenti, ed era come se dalla loro inanimata esistenza si innalzasse una vocina sottile sottile, un sussurro unanime che pronunciava "vendetta!".

Fu tra queste buste adagiate sulle proprie ginocchia che Pia ritrovo' oggetti  a lei familiari. Il portafoglio di Jhona e l'accendino su cui erano incise le iniziali del suo defunto padre, un oggetto che il ragazzo teneva con molta cura, tanto da aver l'abitudine di tastare in continuazione le tasche per assicurarsi che quello fosse  sempre al suo posto.

Non vi potevano essere piu' dubbi, non c'erano piu' un padre ed una madre nel suo futuro. Il suo cognome era improvvisamente diventato simbolo di vergogna, il fardello di essere nata figlia di due assassini.
In quel momento non c'erano piu' bei ricordi, un'infanzia serena, i volti di mr. e mrs. Hunt non avevano che la macabra parvenza di due creature depravate, come l'immagine di una locandina di un film horror in cui i carnefici apparivano grigi e innaturali, seppur con le fattezze di Marcel ed Hellen Hunt, quelli che una volta erano davvero stati i suoi genitori, ma che ora le risultava un fatto  impossibile da credere.

Lacrime bollenti piombarono dai suoi occhi sugli oggetti dei defunti, scivolando sulla superficie plastificata che li avvolgeva. Porthia comincio' a singhiozzare, schiudendo le labbra inermi.
La crisi era arrivata, la ragazza sapeva bene che prima o poi non sarebbe piu' riuscita a far finta che il suo cuore non la stesse covando, quello era l'apice del suo dolore: non c'era niente che potesse continuare ad aiutarla ad opporvisigli.

Il cellulare vibro' nella tasca, facendola trasalire. Sposto' con cura gli oggetti sul pavimento, come se si trattasse dei corpi dei loro  defunti proprietari, ed estrasse l'apparecchio dalla tasca. Fra le lacrime che le appannavano la vista, Pia lesse il nome sfocato di Cain.
Inghiottì un umido singhiozzo, e si sforzo' di parlargli con voce chiara.

- Pia, dove sei?! .
La voce del giovane Turner le squillo' nell'orecchio, scuotendola un po' dal torpore delle proprie lacrime.
- Sono al magazzino...
- Non sei a casa? Ah gia', immagino ci siano i giornalisti...Mia madre mi ha detto di un ragazzo al telegiornale che...bhe...e' vero che si tratta di Jhona?
La ragazza rimase qualche secondo in silenzio. I due ragazzi rimasero a contare i respiri l'uno dell'altra, amplificati attraverso i microfoni dei rispettivi cellulari.
- Pia...?
- Ho le prove qui con me. Sono stati loro. Ho tutti gli oggetti personali delle vittime.

Seduto sul letto nella sua stanza, Cain abbasso' un attimo il telefonino. Guardo' la propria immagine riflessa nello specchio dell'armadio, senza realmente vederla. Poi riporto' l'apparecchio alla guancia e prese a parlare con voce atona. Sapeva che in quel momento avrebbe dovuto dirle altro, ma non fu capace di trattenere quella domanda:
- E... mio padre...?
Dall'altro capo del telefono Pia sospiro', poi la sentì rovistare; un rumore come di plastica gli suggerì che gli oggetti dovevano essere stati riposti in dei sacchi. Il ricordo spiacevole del cadavere di quello sconosciuto, avvolto da anonima plastica nera gli torno' alla mente.
- Sono qui. Le sue cose sono qui - rispose la ragazza, trattenendo un singhiozzo.
Cain mise a fuoco il proprio volto nel riflesso dello specchio, i tratti che di suo padre avevano preso praticamente tutto. Non pianse. Inaspettatamente era come se si fosse tolto un peso, ora sapeva che avrebbe potuto sbattere in galera quei dannati assassini senza provare rimorsi nei confronti della ragazza; avrebbe avuto la sua vendetta e avrebbe aiutato Pia proteggendola, se ce ne fosse stato bisogno. Non l'avrebbe abbandonata nelle fauci dei media, o alla furia dei processi, si sentiva deciso e coraggioso. Era  come se ad un tratto fosse passato dall'essere un comune adolescente al diventare un uomo.
Si vide piu' alto e piu' forte, i tratti del viso meno dolci, gli occhi azzurri fermi ed imperscrutabili.
Vide il Cain Turner che desiderava diventare, ma che non aveva mai avuto la certezza sarebbe mai diventato.

- Vengo lì da te. Sei sola?
- Per ora sì. Gli operai sono stati mandati a casa e lui e' andato all'ospedale dalla nonna di Jhona...
- Faccio prima che posso, tu intanto riunisci tutte le prove. Pensi di farcela? - le disse, cercando d'infilarsi le scarpe con una sola mano.
Pia torno' vicino alla scrivania, guardandosi intorno alla ricerca del proprio zaino, trovandolo sommerso da alcune cartellette in cui mr. Hunt raccoglieva le fatture - Ho il mio zaino, cerco di farci stare tutto.
- Sicuramente torneranno a prendere le prove per farle sparire, ora che la polizia aprira' un'inchiesta. Dobbiamo far prima di loro e portarle alla polizia... - Cain s'interruppe, rendendosi conto di aver lasciato scivolare in secondo piano i sentimenti della ragazza - Pia, sei pronta per questo...?
- Non ho dubbi su quel che dobbiamo fare - gli rispose prontamente, ricacciando indietro altre lacrime - Cain...?Fa presto - aggiunse con voce strozzata.




Porthia aveva svuotato lo zainetto dai testi scolastici, e lo aveva riempito impilando con devozionale cura tutte le buste con le prove, lasciando per ultima quella di Jhona. La tentazione di tenere per sè, come ricordo, l'accendino a cui il ragazzo tanto teneva si fece forte in lei. Quell'oggetto avrebbe potuto finire nell'archivio prove della polizia, naturalmente dopo  essere stato usato come prova contro i suoi genitori, e lei non voleva che questo accadesse. In vita probabilmente il ragazzo non le avrebbe mai ceduto spontaneamente quell'accendino, ma Porthia non poteva ugualmente permettere che finisse ad ossidarsi in qualche buio cassetto, e poi doveva ammettere che avrebbe voluto tenere un qualcosa del ragazzo con sè, qualsiasi fosse stata la natura dell rapporto che aveva con lui instaurato.
Decise quindi di aprire la bustina e di recuperare l'accendino, che ripose nella tasca interna del giaccone.

Il telefonino che aveva poggiato sulla scrivania vibro', annunciandole che Turner era fuori i cancelli del magazzino.
Pia corse al videocitofono che mr. Hunt aveva installato vicino alla saracinesca, ma si accorse ben presto che i tasti di apertura dei cancelli esterni non funzionavano; un brivido  le annuncio' il grosso dubbio che probabilmente suo padre aveva cercato di bloccarla dentro il magazzino per tenerla sottocontrollo.
Anche il tasto del riavvolgimento automatico del bandone era fuori uso; si chino' cercando di alzare la saracinesca con le sue sole forze, sollevandola di pochi millimetri, e rendendosi immediatamente conto che all'esterno era stata bloccata con il lucchetto al terreno.
-Maledizione! - ringhio', facendo vibrare l'enorme pannello d'acciaio con un calcio.
Corse all'uscita d'emergenza, ma dovette disilludersi di scamparla quando oltre il vetro della porta scorse la fiancata di uno dei camioncini che serviva  a distribuire la merce ai clienti, parcheggiato a ridosso della porta; Pia provo' ugalmente a spingere il maniglione antipanico, ma la porta si aprì solo di un paio di centimetri. Poggio' la fronte sul vetro, portando il cellulare all'orecchio.
- Mi ha chiusa dentro. Ho lasciato che mi intrappolasse come una stupida.

Fuori, Cain afferro' una delle sbarre del cancello -  Cosa?! Devo farti uscire immediatamene di lì! Devo trovare qualcuno che ci aiuti!
- Non hai tempo di andare a chiamare qualcuno! Quello e' via da ormai due ore, mi ha detto che sarebbe tornato presto!
Turner scruto' il cortile del magazzino alla ricerca di un oggetto contundente con cui forzare il bandone, visto che scavalcare il cancello era un'operazione piuttosto semplice ed in quel momento lo avrebbe superato anche se si fosse trattato di un muro disseminato di vetri e filo spinato.
- Puoi provare a sollevare la saracinesca con il traspallet! - esclamo' la ragazza, notando che se all'interno del magazzino ce n'era solo uno guasto ormai da mesi, quello funzionante doveva trovarsi all'esterno.
Gli occhi di Cain si fermarono su quello che ai suoi occhi appariva come un buffo veicolo  con degli scì applicati sotto l'abitacolo, e realizzo' che la ragazza stava probabilmente parlando di quel coso.
- Quell'aggeggio ha le chiavi inserite?
- Sicuramene no, ma sono sicura che gli operai le abbiano riposte nell'ufficio - gli disse, correndo alla bacheca dove infatti erano appese due chiavi. Mancavano le chiavi dei due camioncini delle consegne, probabilmente suo padre se le era portate dietro per sicurezza, anche se gli era evidente che Pia non sapeva guidare, ma soprattutto che non avrebbe potuto uscire di lì anche solo per provarci - Ti passo le chiavi sotto la saracinesca, ce la fai a scavalcare il cancello?
-L'ho gia' fatto, se e' per questo - gli rispose il moro, bussando al bandone per far sentire la sua presenza.

Pia s'inginocchio' sul pavimento, sollevando per quel che poteva il pesante divisorio, e facendo scivolare la chiave verso le  dita del ragazzo spingendole con la punta del piede.
- Spero di riuscire ad usare quel coso...
- Ascolta, c'e' una leva accanto al volante; abbassala e pigia il  tasto verde, così le braccia del traspallet si abbasseranno al terreno. Poi spingi la leva in avanti per sollevare questo dannato lastrone!
- Sei sicura che riuscira' a sradicare il lucchetto..?
- No. Ma possiamo solo augurarci che lo faccia.

Cain non disse nulla, dirigendosi verso il traspallet. Inserì la chiave e prese posto sul sedile, scostando l'elmetto di sicurezza che usavano soliamente gli operai; il veicolo si accese, mentre Cain familiarizzava con il volante e la leva di cui Pia gli aveva parlato. Riuscì a procedere lentamente verso il bandone, abbasso' la leva, mentre un monotono  "bipbip" accompagnava quell'operazione, e riuscì a far scorrere le braccia del macchinario sotto il bandone, che Pia  teneva di poco sollevato con grande sforzo.
- Non ci tradire...- commento' il moro, facendo scorrere la leva in avanti.

Porthia si allontano' dalla saracinesca, sentendola scricchìolare per via della pressione che il traspallet imprimeva verso l'alto. Strinse lo zainetto fra le braccia, invocando un dio che non aveva mai pregato ed in cui le era difficile credere, ma dal quale in quel momento si aspettava un aiuto dopo tutti i dispiaceri che si erano susseguiti in quegli ultimi tempi.
- Fa che ceda...ti prego!

Cain sentì stridere tutti i meccanismi del veicoletto che stava guidando, augurandosi che non cedesse proprio in quel momento. Malgrado  il piede premuto sul freno, sentì le ruote come girare a vuoto sull'asfalto, ed il traspallet inclinarsi di qualche centimetro in avanti - Non ci abbandonare, cazzo! - esclamo', senza lasciare la propria postazione.
Finalmente l'anello che era cementato nel terreno si sradico', facendo schìzzare d'intorno il lucchetto e dei piccoli sassolini. Il traspallet riatterro'sull'asfalto, sballottando Cain all'interno dell'abitacolo; questo si addosso' al volante, stando ben attento a non mollare il freno.
- Ti tiro fuori in un minuto! - avvertì la ragazza, sollevando la saracinesca, stavolta,  senza nessuna difficolta'.

Pia uscì indossando lo zainetto, e lasciandosi andare ad un pianto quasi isterico, abbraccio' il ragazzo che non era ancora del tutto sceso dal mezzo.
Cain rimase non poco sorpreso da quello slancio, abbracciandola a sua volta e stringendola come fino ad ora non aveva mai ardito fare.
Con il cuore in subbuglio, i due ragazzi rimasero l'uno fra le braccia dell'altro per alcuni lunghi istanti, anche solo per raccogliere il coraggio di compiere quell'ultimo gesto che avrebbe segnato la fine dei delitti.

Turner scosto' la ragazza quel poco che gli bastava per guardarla negli occhi nocciola, incontrando le palpebre appesantite dal pianto ed un'aria affranta che gli strinse il cuore.  Prese le sue mani fredde fra le proprie guantate.
- Dobbiamo andare - le disse, mentre delicati fiocchi di neve avevano preso a cadere dal cielo adagiandosi tutt'intorno.



I due ragazzi si trovavano a poche decine di metri dalla stazione di polizia. Si erano seduti su una panchina della pensilinea dei bus, intenti a raccogliere le idee, ma soprattutto il modo in cui avrebbero introdotto le prove alla polizia, cercando di indovinare e preventivare le domande che questi avrebbero posto ad entrambi.
La neve aveva ricopero silenziosamente le loro spalle, ed entrambi si strinsero nel cappotto, con le mani in tasca e la faccia sprofondata nella sciarpa.
All'ennesima chiamata dei coniugi Hunt, Pia aveva spento il cellulare.
- Mi staranno cercando come due pazzi - disse, voltandosi verso il ragazzo.
- E' pericoloso rimanere ancora in giro - le rispose, alzandosi.
- Non sono sicura che anche tu debba entrare con me - disse, abbassando gli occhi al marciapiede - Forse e' meglio se rimani fuori da questa storia, per ora. Ora non lo metti a fuoco, ma per te potrebbe rivelarsi una grossa seccatura... I processi, i giornalisti, le chiacchere a scuola... Non ti conviene a conti fatti rimanere amico della figlia di due assassini pluriomicida.
Cain le si pianto' davanti, guardandola con aria di rimprovero - E' fuori discussione che arrivati a questo punto io ti lasci da sola. Sono spaventato come te dalle conseguenze di questa cosa, ma cio' che aspetta me  non e' niente in confronto a quello che dovrai affrontare tu, da sola.
- E' quello che pensi ora. Io per prima dico e mi metto in testa di fare un sacco di cose coraggiose quando mi sento spinta da sentimenti come quello di oggi...ma questa forza non dura sempre. E' difficile perseguire certi scopi, Tuner...e' la semplice verita'. E' proprio perche' dici queste belle cose e fai di tutto per aiutarmi che sei un bravo ragazzo, e per questo non voglio che tu ti debba ritrovare in situazioni ancora piu' deprimenti di quelle che hai dovuto passare fino ad ora.
- Quello che mi deprime veramente e' la mancanza di fiducia che hai in me! - le urlo', afferrandola per un braccio per farla alzare. Una donna seduta sulla panchina accanto alla loro si alzo', guardandoli male ed allontanandosi di qualche metro.

Cain sbircio' la donna con la coda dell'occhio, ed abbasso' immediatamente il tono.
Pia rimase in piedi di fronte a lui, aspettando che il ragazzo finisse il proprio sfogo.
- Ho deciso che ti rimarro' accanto,  non importa cosa tu faccia o dica per allontanarmi, non e' una questione di testardaggine e' una...la questione e' un'altra, ecco - concluse, arrossendo.
Anche Pia sentì l'impulso di arrossire, seppure il ragazzo non le aveva esplicitamente fatto una dichiarazione, trovo' quell'ultima frase estremamente imbarazzante. Non le sembrava di certo il momento per parlare di certe cose, a pochi metri dalla stazione di polizia con decine di prove nascoste nel suo zaino, quantomeno nel rispetto delle vittime, del signor Turner e di Jhona.

Torno' seduta, prendendo il ragazzo per la mano ed invitandolo a sedersi.
- Se mi vorrai stare vicino lo accetto. Ma in questo momento e' meglio se torni da tua madre, non so dirti esattamente di cosa si tratta...ma ho come una brutta sensazione. Non e' detto che quelli - disse, rivolgendosi ai suoi genitori - non conoscano tua madre, e che abbiano fatto anche finta di non conoscere te.
Cain sbatte' le palpebre, sorpreso dalle parole della ragazza - Mia madre...in pericolo?
- Certo, e' azzardato ma nel dubbio...corri da lei. Io me la cavero' benissimo, magari  poi potreste venire entrambi alla stazione di polizia, e' un luogo sicuro finche ci sono quei due a piede libero - Comunque sia chiama tua madre e dille di non aprire assolutamente a nessuno - disse, allungando la mano alla tasca del cappotto del ragazzo, ed estraendo il suo cellulare.
- Potrebbero venirti a cercare a casa mia...non ci avevo pensato - ammise il moro, portandosi una mano alla fronte - Io devo andare...pero' lasciarti da sola...
- Va da lei e tornate qui prima che potete. Io me la cavero', ne puoi star certo.
Turner annuì, chinandosi lievemente su di lei, ma quando fu abbastanza vicino per darle un bacio, desistette, sfiorandole appena il mento con le dita - Faccio presto - le disse, voltandosi verso la strada per fermare un taxi con un cenno del braccio.

Porthia lo vide salire sulla vettura, i suoi occhi azzurri oltre il finestrino fissi su di lei. Lascio' andare il fiato che aveva trattenuto nel momento in cui il ragazzo si era avvicinato al suo viso, l'aria gelida della nevicata le era entrata nei polmoni, facendola tossire; fu nel portare una mano alla bocca che Pia si rese conto di avere ancora in mano il cellulare di Cain.  
Alzo' gli occhi alla strada, e vide il taxi svoltare infondo al viale.
La neve copriva silenziosamente i segni dei pneumatici sulla strada.



Le campane della chiesa dietro casa Turner  rintoccarono le sette. Il tetto innevato del campanile si poteva scorgere a diversi isolati di distanza.
Da dietro il sedile dei passeggeri, Cain allungo' i soldi della corsa al taxista ed uscendo dalla vettura si guardo' intorno, alla ricerca della coppia che piu' temeva. Rimase qualche attimo con la mano appoggiata allo sportello aperto, mentre l'utista si chiedeva come mai quel ragazzo si fosse imbambolato tutto ad un tratto.
Cain si affaccio' nuovamente dentro l'abitacolo - Mi aspetti qui cinque minuti, per favore. Devo solo prelevare mia madre - gli spiego'.
L'uomo asserì, accendendo un po' di radio per farsi compagnia.

Il ragazzo si chiuse lo sportello alle spalle, ed aprì la porta di casa con il proprio mazzo di chiavi.  
Entro'sentendo che sua madre stava chiaccherando in salotto con la sua invisibile ossessione: il defunto marito. Cain sospiro' malinconicamente. Gli capitava spesso di sorprenderla a parlare con la poltrona vuota su cui suo padre una volta era solito sedere; ogni giorno mrs. Turner riponeva ordinatamente le pantofole di suo marito ai piedi della seduta, e lasciava il quotidiano sul bracciolo, abitudine che aveva fin dagli inizi del suo matrimonio. Era sempre stata una moglie meticolosa ed affettuosa.

La signora Turner si affaccio'dal salotto, scuotendo la testa - Avevo scommesso con tuo padre che nemmeno stavolta avresti preso l'ombrello. Per fortuna sei un ragazzo sano, non ti ammali facilmente.
Cain le sorrise con aria tirata. Non aveva potuto anticiparle niente in macchina, dato che aveva lasciato il cellulare fra le mani di Pia, ed ora si trovava a dover dare la notizia a sua madre, cercando di convincerla a salire sul taxi ed andare alla centrale di polizia.

La vedova si accorse dall'espressione incerta del figlio che qualcosa non andava. Gli si avvicino' per scrollargli qualche fiocco di neve dai capelli. guardandolo con occhi tremanti - Cos'e' questa faccia, Cain?
Il ragazzo poso' le manisulle spalle della genitrice, e chiuse gli occhi - Sai mamma, ho trovato gli assassini di papa' - disse, riaprendo gli occhi ed incontrando quelli smarriti di sua madre. Questa scosse lievemente il capo, continuando a scansare la neve dagli abiti del figlio, in un gesto che da materno era diventato nervoso.
Le piccole rughe ai lati della sua bocca si fecero piu' accentuate, le labbra tremarono incerte su cosa dire - Ma Cain...tuo padre e' in salotto.

Il moro si sentì improvvisamente stanco ed infastidito  da quell'atteggiamento che non poteva  giustificare in un momento d'emergenza come quello. Afferro' gli avambracci di sua madre e  punto' le iridi azzurre nelle sue - Ho detto che ho trovato gli assassini di papa'. Papa' e' morto, e tu non puoi abbandonarmi proprio ora che siamo ad un passo dalla verita'! Devi ascoltarmi mamma, lo devi fare!
Gli occhi di mrs Turner s'inumidirono, mentre con le dita aveva artigliato il cappotto del figlio - Com'e' possibile?
Il suo viso era come quello di una bambina a cui avevano raccontato una brutta storia. Cain non vide lucidita' nei suoi occhi, non trovo' la comprensione e la collaborazione che avrebbe voluto trovare in sua madre. Si passo' una mano sul volto stanco, impedendosi di scoppiare a piangere, appigliandosi all'immagine di quell'uomo che aveva scorto allo specchio di camera sua poche ore prima.

- Ho bisogno che tu ora venga con me, questo posto non e' sicuro al momento. C'e' un taxi qui fuori che ci aspetta - le disse, cercando di apparire risoluto - Mettiti le scarpe, io ti prendo il cappotto - le disse, spingendola dolcemente verso la scarpiera, accanto alla porta. Le mise fra le mani un paio di basse calosce per la neve - Fidati di me, mamma. Anche se ora ti sembra di non capire come stanno le cose, presto capirai.

Mrs. Turner si sedette lentamente su un panchettino imbottito, che serviva proprio per calzare le scarpe. Aveva un'aria ancora smarrita, come se nella sua testa i pensieri si rincorressero e le impedissero, dispettosi,  di farsi afferrare; apriva e chiudeva la bocca come per sussurrare qualcosa, e con la coda dell'occhio controllava i movimenti del figlio, come era solita fare quando lui era molto piccolo e raccattava qualsiasi oggetto dal pavimento.
Cain volse lo sguardo altrove, per non guardare sua madre che ora gli appariva come una pazza esaurita.
In quel momento voleva solo uscire da quella casa e tornare alla centrale di polizia, dalla ragazza.

Mentre aiutava sua madre ad alzarsi e ad infilarsi il cappotto, sentì l'accensione di un motore proprio davanti alla porta di casa; gli sembrava strano che il tassista si fosse gia' stufato di aspettarlo, ma per sicurezza aprì la porta di casa per dirgli di aspettare ancora un minuto.

Due sagome avevano appena preso a salire i tre scalini che rialzavano la casa dal marciapiede. Una donna con i capelli neri gli sorrise. Un sorriso freddo e asciutto come la lama di un coltello.












































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Capitolo 13
*** Famiglia ***


fuga
Penultimo capitolo...grazie a tutti <3








                                                                    FAMIGLIA







Con il cuore in gola, Cain richiuse la porta di casa con uno scatto violento ed inserì tutte le sicure che aveva a disposizione.
Dallo spioncino vide i coniugi Hunt guardarsi in faccia ed annuire l'uno all'altra.
Sicuramente non si trovavano lì per trattare con lui, e probabilmente lo avevano seguito una volta uscito dal taxi, convincendo poi con una  qualche scusa l'autista a ripartire. Si era fatto fregare. Quelle due persone erano davvero pericolose e pronte a tutto. Si chiese se avrebbe potuto davvero proteggere sua madre e sé stesso da loro, visto che non ci era  riuscito un ragazzone muscoloso come Jhona Tunninghton e chissa' quanti altri adulti piu' abili di lui.

- Che succede? - chiese sua madre, scionnandolo dai propri pensieri.
Rapido, Cain le tappo' la bocca e spense la luce del corridoio, trascinando letteralmente sua madre sino alle scale.
Mrs. Turner mugugno' stringendo il polso del figlio con entrambe le mani.
- Shhh! - le sussurro' nell'orecchio - Sono delle persone pericolose. Dobbiamo scappare di qui! - le spiego' quasi stesse parlando ad una bambina.

Due calde lacrime bagnarono le dita del ragazzo, e questo s'immagino' gli occhi terrorizzati di sua madre che lo osservavano  nel buio - Dobbiamo uscire vivi di qui, mamma, e non sara' facile - penso', cercando una soluzione rapida ed il piu' possibile silenziosa.

Madre e figlio rimasero con le orecchie tese ad ogni minino rumore. Il cuore di entrambi perse un battito, quando sentirono armeggiare le finestre di cucina che davano una sulla strada, e l'altra sul piccolo budello di cortile fra la loro abitazione e quella sfitta della casa accanto.
Cain arretro' nel sottoscala, e fece entrare sua madre nel ripostiglio - Ora ti lascio andare, ma e' assolutamente necessario che tu rimanga in silenzio e soprattutto nascosta qui, immobile.
- Chi sono quelle persone..? - chiese la donna, con voce tremante.
- Ce ne sbarazzeremo, mamma. Ma e' importante che tu rimanga qui, e qualsiasi cosa tu senta non uscire.
Cain cerco' a tentoni il mobile della biancheria per la casa che sua madre usava tenere lì. La fece accucciare nell'angolo in cui il soffitto si faceva piu' basso seguendo la silhouette delle scale e slitto' il mobile verso di lei, sino a nasconderla dagli occhi di quelli che avrebbero potuto aprire il ripostiglio.
- Mi raccomando, mamma - le sussurro', avendo come risposta un traballante "sì".

Cain richiuse la porta a chiave e nascose l'oggetto nella tasca dei pantaloni.
Strisciando contro il muro, arrivo' in salotto e dalla credenza recupero' un lungo coltello per sfilettare la carne. Doveva concentrarsi nell'uscire di lì indenne ed andare a chiamare aiuto prima che gli Hunt riuscissero a scovare lui o sua madre.

Intravide un'ombra dietro la tenda del salotto, e gattono' velocemente dietro la credenza.
- Hanno trovato le finestre della cucina chiuse. Ora proveranno ad entrare di qui - Penso', spiando le due sagome armeggiare con la sicura della finestra.
Prima di scoprire se davvero sua madre si era sventuratamente dimenticata di chiudere bene la finestra, Cain era gia' uscito dalla stanza, notando con fastidio che non c'era una chiave nella toppa e che non gli era possibile chiuderli dentro la stanza e guadagnare così del  tempo. Fu mentre realizzava cio' che sentì il parquet del salotto scricchìolare  sotto il peso di una persona.
Penso' che avrebbe potuto scattare verso la porta, ma non era sicuro di riuscire a togliere tutte le sicure in tempo, così decise di salire velocemente al piano di sopra; in qualche modo si sarebbe calato giu', e se avesse dovuto saltare l'impatto con la neve che si era ammucchiata in cortile avrebbe attutito la sua caduta.

I suoi piani vennero brutalmente interrotti da una presenza forte e adulta, che uscì improvvisamente dalla sua stanza da letto.
Il giovane Turner inchiodo'  sul petto di Marcel Hunt, spintonando di riflesso l'uomo verso il muro del corridoio. Il coltello gli scivolo' dalle mani, rotolando giu' per le scale. Possibile che proprio lui fosse stato così' sciocco da non chiudere bene la finestra della propria camera?

Cain torno' sui propri passi, ma la mano dell'uomo gli afferro' un lembo del cappotto costringendolo a ricadere dolorosamente sulla propria schiena, urtando così gli spigoli degli  scalini. Chiuse per qualche istante gli occhi, portandosi entrambe le mani alla nuca, e quando gli riaprì vide la sagoma del padre di Pia abbassarsi su di lui.
- Cazzo! - urlo', sferrando un pugno verso l'uomo. La lotta non era mai stata il suo forte, ed il colpo ovviamente ando' a vuoto, ma quella manciata di secondi in cui mr. Hunt si era ritirato indietro, e che non gli sarebbe di  certo bastata per rialzarsi, almeno gli dette il tempo di scivolare giu' dalle scale in modo rapido ma decisamente poco dignitoso.

Una volta atterrato al piano di sotto, Cain si rialzo', senza riuscire pero' a riafferrare il coltello, la cui lama era  trattenuta dalla pressione di una scarpette a ometto; nell'oscurita' vide brillare sia l'arma che la vernice nera delle scarpe.  Con lo sguardo risalì dalla caviglia sottile ai capelli corvini di Hellen Hunt. Il suo sorriso inquietante  e perfetto non aveva smesso di squarciare il buio.
- E' ora che tu te ne stia un po' tranquillo e ci ascolti - gli disse, abbassando la canna di una pistola al suo naso - Oppure un altro Turner si ritrovera'due metri sotto terra.
Marcel scese lentamente le scale e si piazzo' sugli ultimi scalini, alle spalle del ragazzo. Cain penso' a sua madre, che in quel momento si trovava esattamente sotto i piedi dell'uomo e prego' che i muri di casa fossero abbastanza spessi da impedirle di udire le loro voci.
- Che cosa...cosa volete da me? - chiese, cercando di prendere del tempo, anche se nella posizione in cui si trovava solo un miracolo avrebbe potuto salvarlo. E lui sapeva bene che i miracoli non accadevano mai alle persone comuni come lui; se i miracoli fossero davvero esistiti, allora suo padre quel giorno si sarebbe salvato, e i genitori di Pia non l'avrebbero passata liscia, e lui non si sarebbe ritrovato sul pavimento imprigionato fra due assassini impenitenti.

- Qualcosa mi dice che tu eri con Pia sino a poco tempo fa, e se ora lei non e' qui con te vuol dire che l'hai aiutata a nascondersi da qualche parte - scandì bene mrs. Hunt, solleticando con l'arma la punta del naso del ragazzo.
Cain trattenne il respiro, dilatando le narici sotto il freddo acciaio della pistola. Non aveva la sicurezza che Pia fosse davvero entrata nella stazione di polizia, tuttavia quella era l'unica carta che poteva giocarsi. Scaccio' il pensiero che se alla donna la sua risposta non fosse piaciuta si sarebbe ritrovato con un cratere in faccia, ma a quel punto che altro avrebbe potuto inventarsi?
- Vogliamo sapere dov'e'- aggiunse il padre della ragazza - Noi siamo i suoi genitori e sappiamo bene cosa e' piu' giusto per lei, mentre tu sei solo un orfano confuso che crede di sapere e di aver visto piu' cose di come stanno veramente i fatti.
- Allora? - rincaro' la donna - Vuoi che quella squilibrata di tua madre venga incolpata di aver sparato in faccia a suo figlio? - sibilo', velenosa e convincente come il serpente che aveva corrotto Eva nel famoso episodio biblico.

- Non credo che vi servira' architettare altri omicidi come avete fatto con Jhona... Ho accompagnato Pia dai poliziotti mezzora fa. Ha consegnato tutte le prove sotto i miei occhi - specifico', indietreggiando con il volto per sfuggire al giudizio dell'arma.

I due coniugi si guardarono in viso. Ma il sorriso di Hellen non sparì dalle sue labbra - E così la polizia, dopo aver saputo che tu e Pia siete i testimoni  piu' importanti, avrebbe trattenuto nostra figlia, ma avrebbe lasciato andare te?
- Porthia non ci denuncerebbe mai alla polizia. Credi che lei sia davvero capace di lasciarsi coinvolgere da te? Di darti retta...?! - disse mr. Hunt, afferrando il ragazzo per i capelli - Potevi restartene buono buono e continuare la tua vita da orfano, ma hai deciso di arrivare a nostra figlia per colpire noi...e questo a me, che sono suo padre, di certo non mi puo' stare bene, giovanotto!

Cain rimase a bocca spalancata. Davvero quegli assassini pensavano che fosse stata tutta una sua iniziativa?!
Assolutamente paradossale.

Se da un lato loro due avevano ingannato la propria figlioletta per tutti quegli anni, Porthia aveva riservato loro lo stesso trattamento.
Che lui sopravvivesse o no ai coniugi Hunt, Pia quella sera avrebbe avuto la meglio sui propri genitori: la sua sarebbe stata una vittoria pratica e morale.
Per un'anima semplice come Cain, quel rapporto di ignoranza fra genitori e figlia  apparì totalmente sbagliato. Nessuno di loro poteva affermare di conoscere l'altro come di solito succedeva nelle famiglie, e com'era successo anche nella sua, sino a poco tempo prima.

- Vi assicuro che vostra figlia si trova in compagnia della polizia. Non so cosa vogliate fare, ma non arriverete mai piu'  a lei. E d'altro canto non vi potete nemmeno immaginare quanto lei sia avanti rispetto a voi.
- Cosa intenderesti dire con questa frase...? - chiese Hellen, puntandogli l'arma sulla guancia.
Mr. Hunt lo costrinse ancora di piu' contro la pistola, tanto da fargli sentire la fredda canna  contro le gengive.
- Pia conosce da molto tempo le vostre manovre. Lei sa tutto ed io l'ho aiutata a cercare delle prove per incastrarvi.
- Porthia non poteva sapere...l'hai portata tu sulle nostre tracce! - lo accuso' la donna, e per un attimo Cain credette che avrebbe premuto il grilletto.

Quello che successe nei secondi a seguire lascio' tutti i presenti senza fiato.

Porthia apparve dal salotto, accendendo la luce del corriodio. Non disse nulla, sul suo viso aleggiava un'espressione indecifrabile. Quell' improvvisa illuminazione costrinse i tre nei pressi delle scale a socchiudere gli occhi; Cain si schermo' gli occhi con la mano e mise a fuoco l'oggetto che la ragazzina impugnava fra le mani.
- Porthia! - pronuncio' su madre, spalancando gli occhi.
Un colpo partì dalle mani della ragazza, la pallottola perforo' una delle gambe snelle ed atletiche della donna, schìzzando sangue d'intorno. Hellen urlo', rotolando sul pavimento. Anche Cain urlo', addossandosi quasi sui piedi dell'uomo alle sue spalle. Marcel ammutolì, indeciso se soccorrere la moglie o rimanere sotto il tiro della ragazza. Quest'ultimo continuo' a seguire i movimenti della figlia, come ipnotizzato.

Pia punto' i piedi a terra per evitare che il rinculo del colpo la spedisse a gambe all'aria; il rumore dello sparo gli aveva assordato i timpani, e le urla di sua madre le arrivavano come ovattate.
Torno' in posizione, pronta  a sparare un altro colpo se ce ne fosse stato bisogno.
- Cain, vieni qui - gli disse, avvicinandosi di un paio di passi.
Hellen Hunt alzo' il capo verso la figlia, guardandola con furore e stupore fra i capelli neri che le erano ricaduti sul volto. Malgrado il panico, ora le sembro' di capire esattamente cosa aveva voluto insinuare quel ragazzino, cosa intendesse con quel "e' piu' avanti di voi".

Nel ripostiglio, la signora Turner aveva preso ad urlare il nome di suo figlio, ed aveva fatto cadere il mobile della biancheria con un tonfo che aveva fatto trasalire tutti i presenti.
Pia guardo' il ragazzo negli occhi, facendo oscillare l'arma dalla traettoria  di suo padre a quella di sua madre - Maledizione Cain, falla uscire! - gli urlo' .

Marcel Hunt azzardo' un passo verso il pavimento e Pia si avvicino'ancora di piu' impugnando saldamente la propria arma, che aveva miracolosamente scoperto sin troppo facile da maneggiare, e quindi assai pericolosa nelle sue mani inesperte, ma pronte a reagire alla minima mossa falsa di quegli assassini.
- Cosa stai facendo..? Cosa stai facendo ai tuoi genitori?! - ringhio' sua madre, che solo in quel momento si ricordo' di essere armata almeno quanto la figlia. Il suo bel volto era contorto dal furore, un volto che era diventato come una maschera innaturale e spaventevole. La donna alzo' il braccio tremante e punto'l'arma verso la ragazzina.

Sorprendentemente, se Pia non aveva esitato a spararle, mrs. Hunt dubito' di poterlo davvero fare. Le parole di Cain le vorticavano in testa, confondendosi con i ricordi della sua bambina: la nascita prematura in ospedale, il primo giorno di scuola, le battute a tavola, i pic-nic in riva al lago.
Hellen Hunt premette il grilletto, digrignando i denti gli uni sugli altri. Il colpo ando' a forare il termosifone che si trovava a pochi centimetri dalla traettoria  della ragazza. Pia ebbe un attimo d'incertezza, fissando sua madre in modo accusatorio; abbasso' lievemente l'arma, il cuore le batteva all'impazzata, lo sentiva come incastrato fra le tonsille.

Cain aprì la porta e sua madre gli si getto' fra le braccia, prendendo il viso del figlio fra le dita come per controllare che fosse tutto intero. 
Mr. Hunt approfitto' della distrazione di sua figlia per soccorrere la moglie; gli tolse l'arma dalle mani e l'aiuto' a sollevarsi. Per lui era arrivato il momento di ragionare e di riuscire a portare via almeno Hellen, visto che Porthia sembrava ormai essersi schierata dalla parte del ragazzo.
- Non azzardatevi a muovervi di lì! - grido' Pia, pronta  a sparare un altro colpo, cercando di mirare al braccio armato di suo padre - Cain, uscite subito di qui, la polizia sara' qui a momenti...dall'altra parte della strada c'e' il taxi con cui sono arrivata...se non se l'e' data a gambe - aggiunse, senza staccare gli occhi dai coniugi.
Il ragazzo fece per dire qualcosa, ma prima di perdere altro tempo prezioso decise che era piu' saggio agire come diceva la ragazza.
Mrs. Turner guardo' in faccia tutti i presenti, cercando di afferrare che ruolo avessero nella sua vita e soprattutto in quella di suo figlio; Cain  la spintono' delicatamente sino alla porta, e per tutto il tragitto la vedova fisso' negli occhi i signori Hunt.
Era come se avesse fiutato sui loro visi l'ombra di una colpa e-n-o-r-m-e. Serro' le labbra: aveva capito chi erano quelle persone.

Il moro tolse tutte le sicure, e prima di uscire si volto' indietro. Era terrorizzato dal fatto che Pia potesse perdere il suo vantaggio, non voleva lasciarla da sola. Tuttavia penso' che la sua priorita' in quel momento era pensare a sua madre, tremante e terrorizzata come un cucciolo. Dall'altro lato del marciapiede, su cui si erano ammucchiati alcuni curiosi attirati dal rumore degli spari, vide il tassista fargli cenno di raggiungerli; l'uomo fece accomodare mrs. Turner sul sedile posteriore, e spinse dentro anche il ragazzo.
Cain si oppose, voleva tornare nella casa, ma sua madre lo afferro' per il colletto del cappotto, infrangendosi in lacrime.
- Non lasciarmi anche tu! - gli disse, singhiozzando forte come non aveva fatto nemmeno il giorno del funerale di suo marito.
Il moro deglutì. Era una decisione amara e difficile, ma decise di rimanere accanto a sua madre. Si sedette, lasciando che la donna posasse il capo sulla sua spalla.



Gli Hunt si ritrovarono così soli, faccia a faccia con le loro scomode verita'.

Marcel fu il primo a parlare. I suoi occhi nocciola, gli stessi di sua figlia, apparivano mansueti e riflessivi come quando leggeva il giornale davanti ad un caffe'.
- Dove hai trovato quell'arma, Porthia? - la interrogo', come se si trovasse nell'atto di rimproverarla per una marachella.
- Non la riconosci ? Eppure l'uomo che la possedeva lo avete ucciso voi - rispose, senza nascondere una punta di acidita' - L'ho trovata in una di quelle bustine che conservavate tanto gelosamente nell'ufficio del magazzino.
- Si puo' sapere che diavolo vi siete messi in mente tu e quel moccioso dei Turner?! - esordì sua madre, puntandole un dito contro. I suoi occhi neri erano furenti - Noi siamo i tuoi genitori, senza di me non saresti mai nata!
- Siete voi che avete tradito me! - scoppio' Pia, lasciando che le lacrime tornassero a rigarle il volto paonazzo - Perche' avete ucciso quelle persone?! Non vi bastava una normalissima vita...? Dovevate per forza distruggere la nostra famiglia?!

I coniugi Hunt ammutolirono. Tuttavia, se Hellen in quel momento sembrava aver perso molto del suo spietato sange freddo, Marcel si sentiva ancora lucido e razionale. Forse ormai da troppo tempo aveva perso il suo ruolo di padre, aveva ucciso troppe persone per perseguire uno scopo votato al Maligno per potersi permettere di amare una figlia; il giro in cui era entrato con sua moglie molti anni prima non gli aveva piu' dato scampo ed aveva accantonato la pieta' ed il giudizio umano, forse del tutto anche l'amore.

Era diventato un assassino prima per scelta e poi, quando era stato troppo tardi per pentirsi - almeno secondo il suo animo distorto - aveva continuato automaticamente e per obbligo.

- Spiegatemi cos'e' che vi ha spinto a sacrificare tutte quelle vite...devo davvero pensare che l'avete fatto p-per...per un demonio?! E' assurdo...e' allucinante...Queste cose non esistono!
Mr. Hunt alzo' l'arma con l'intenzione di sparare al petto della figlia; Hellen schiuse le labbra, ed alzo' un braccio ma non ebbe abbastanza coraggio per fermarlo, o forse semplicemente arrivati a quel punto si convinse che doveva succedere, punto e basta.
Aveva perso tutto nella sua vita, a che sarebbe servito lasciare in vita una figlia che aveva dei genitori simili?

Pia fu piu' rapida, sparo' praticamente senza pensare, svuotando la mente. Il colpo prese di striscio le nocche dell'uomo, che lascio' cadere l'arma per terra; Hellen si butto' sull'arma cercando di recuperala. Pia avanzo' di qualche passo, e con un'espressione di disgusto punto' dritta alla testa della donna, mentre mr. Hunt le lancio' un occhiata di puro terrore.
Stavolta il colpo non partì. Pia non aveva controllato quanti colpi aveva, semplicemente perche' non sapeva nemmeno come si faceva, e nei minuti che avevano preceduto la sua entrata in casa Turner il pensiero che l'arma potesse essere parzialmente scarica non l'aveva nemmeno sfiorata.

- Scappa! - realizzo' la sua mente. Lancio' la pistola contro suo padre, e corse al piano di sopra, saltando gli scalini due a due.
Immediatamente entrambe i coniugi gli furono alle calcagna.
Porthia scivolo' in avanti, arreggendosi allo stipite della porta della camera di mrs. Turner. Chiuse la porta, scorgendo l'uomo salire l'ultimo scalino. Giro' la sicura mentre sentiva il corpo dell'uomo atterrare con un tonfo sulla porta.
Pia decise di rinforzare le sue difese, visto che suo padre a forza di tirare spallate alla porta, avrebbe finito per buttarla giu'; spinse un pesante cassettone, lottando contro lo scivoloso, pulitissimo pavimento della camera e, sudata e trafelata,  si guardo' in giro alla ricerca di una scappatoia.
Si affaccio' alla finestra, il cortile era ricoperto di neve, se fosse saltata forse non si sarebbe spaccata una gamba rimanendo alla mercé dei suoi genitori.  Prego' che la polizia giungesse al piu' presto, forse stavano tardando per via delle strade ghiacciate?

Nella stanza accanto, arrancando e soffrendo, Hellen si era sporta dalla finestra ed aveva scorto sua figlia affacciata alla finestra nel tentativo di saltare giu', come si era immaginata.
- Porthia! - la chiamo' gracchiando. Le punto' nuovamente l'arma contro.
Pia, che si era gia' preparata a saltare, attero' all'indietro, spaventata da quell'apparizione improvvisa. Vide il proiettile passare davanti alla finestra, mentre le tendine di mussola svolazzavano d' intorno.
Si rialzo' immediatamente, con l'inquietante certezza di essere finita in trappola. Alzo' la testa e, in un agolo della stanza, vide la botola della soffita.

Sposto' un comodino sotto la sua unica fonte di salvezza, e salendoci sopra tiro' il cordino della botola; allungo' la scaletta e vi si arrampico', combattendo contro una nuvola di polvere. Chiuse gli occhi e salì alla cieca, atterrando sul pavimneto della soffitta di pancia.
Fuori della porta i suoi genitori  gridavano istruzioni l'uno contro l'altro; Marcel riuscì a sfondare la porta, e per lui fu relativamente semplice spostare la cassettiera con il peso del suo corpo.
Con gli occhi che le bruciavano per la polvere ed il pianto, Porthia tiro' su la scaletta prima che suo padre potesse afferrarla.  Si alzo', raggiungendo l'unica fonte di pallida luce nel posto in cui si trovava. Valuto' che il lucernario era abbastanza grande per passarvi con tutto il corpo. Ce l'avrebbe fatta.




Una volta sul tetto, Pia riconobbe che non era affatto semplice gattonare su un tetto in parte ghiacciato dalla neve.
Intravide le teste dei curiosi che si erano radunati sul marciapiede di fronte, e aspetto' ansiosamente di udire la sirena della polizia da un momento all'altro.
Ed infatti una sirena la udì, ma dovette disilludersi subito quando vide che il primo mezzo arrivato sul posto era un'ambulanza anziche' la polizia.
- Assurdo! - commento', azzardando ancora qualche passo. Il freddo le aveva tolto totalmente la sensibilita' alle mani, i suoi vestiti erano diventati umidi e pesanti; scivolo' di qualche centimetro verso la fine del tetto, le ginocchia graffiate e sanguinanti si erano addormetate a contatto con il freddo e quantomeno le risparmiarono di sentire dolore. I calzettoni  della divisa erano scesi alle caviglie, sparendo dentro gli stivaletti che indossava. Sentì la voce di suo padre rimbombare nella soffitta. In strada una donna indico' Pia, urlando.

Fu in quell'istante che finalmente la sirena della polizia irruppe dal fondo alla strada. Pia sospiro', e quasi sentì un mancamento per il sollievo. Si giro' sulla schiena e scivolo' sino alla fine della tettoia, puntando i piedi sul margine del tetto della casa accanto, e rimase seduta aspettando i soccorsi.
- Ditemi solo che e' finita... - sussurro', osservando lo stretto spazio fra la casa dei Turner e quella dei vicini, coperto di neve sporca e grigiastra.

Nella soffitta, suo padre si era affacciato al lucernario; Pia e l'uomo si scambiarono un'occhiata lunga e significativa, e per un'ultima volta furono padre e figlia.
Porthia distolse lo sguardo, sentendo un dolore asciutto bucargli il petto.
Hellen Hunt grido' al marito che dovevano scappare, che non era troppo tardi. Ma il marito le disse di tacere e la abbraccio'.
- Stavolta non c'e' niente da fare, Hellen.
La donna fece per urlare, ma non un solo suono le uscì dalla bocca. Sembro' improvvisamente tornare padrona di sé, il suo sguardo torno' lucido e preoccupato. Appoggio' la fronte al petto di lui, forse quella sarebbe stata l'ultima occasione per respitrare il profumo di suo marito, del suo uomo, del suo complice.

Un discreto gruppo di poliziotti irruppe nell'abitazione, i loro passi e le loro urla perentorie si sparsero in tutte le stanze.

Pia si distese sul tetto guardando la soffice, gelida ghiaia bianca che scendeva lenta e danzante dal cielo di Manchester.
Chiuse gli occhi e li riaprì, ma il dolore era ancora lì nel suo cuore come la neve sulla citta'.






























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Capitolo 14
*** Lui, lei ***


the end






                                                                                               





                                                                                             







                                                                                                        Lui, Lei














Bristol, nove mesi dopo l'arresto dei coniugi Hunt.




Il solleone di agosto aveva bruciato le piantine di basilico che mrs. Turner aveva cominciato a coltivare nel minuscolo cortile della nuova abitazione.  Cain finalmente era rimasto da solo a casa dopo mesi in cui non c'era stato giorno in cui non avesse visto il viso di sua madre, e, preso da quei giorni di pace, aveva finito per trascurare quelle piccole verdi forme di vita.
Il viso di sua madre. Un volto sciupato da quegli ultimi mesi di appelli in tribunale, la stampa accalcata alla sua porta, l'accettazione della morte di suo marito, i visi dei suoi due assassini.

Era invecchiata  in così poco tempo quella signora dal fare composto e lo sguardo smarrito. Sottili fili bianchi avevano cominciato a frastagliarsi fra i suoi capelli corvini, e la pelle intorno agli occhi si era sciupata a causa dei pianti che avevano accompagnato le sue testimonianze in tribunale, e soprattutto quelle di Cain.
Poi c'erano state le cure psichiatriche ed il trasferimento a Bristol, per sfuggire ai curiosi e ad una casa intrisa di troppi brutti ricordi. Il sangue della ferita alla gamba di Hellen Hunt non se n'era piu' andato dal parquet, e ad Henrietta Turner non era piu' bastato  coprirla con un tappeto e far finta che non fosse lì.

Il giovane Turner non poteva piu' sopportare di vederla vagare per casa con quell'espressione smorta  da depressa cronica. Sua madre avrebbe dovuto rialzarsi come aveva fatto lui. Così aveva preso l'iniziativa ed aveva convinto la donna a vendere casa e negozio ed a trasferirsi in una piccola villetta di nuova costruzione a Bristol, nello stesso quartiere di sua zia Danha, sorella minore di Henrietta.
 Gli ci erano voluti cinque mesi per strapparla ai demoni dei ricordi che, pur detestandola,  la tenevano prigioniera  di quella citta', ma alla fine mrs. Turner aveva ceduto, ammorbidita anche dalla terapia psichiatrica che aveva cominciato a giorni alterni.

Cain tiro' su con delle pinzette un ritaglio di giornale pieno di colla, e lo ripose con cura su una pagina bianca dell'album in cui aveva cominciato a raccogliere tutte le notizie relative al caso degli Hunt.
Quel giorno il quotidiano nazionale aveva riportato la sentenza della condanna di  Hans e Frederick Verhon, fulcro della setta occulta e mandanti nell'ombra della maggior parte degli omicidi.
Il caso si era dimostrato particolarmente controverso, e non c'era stata settimana in cui non fossero venuti a galla nuovi risvolti e nuove testimonianze. Gli avvocati degli accusati, purtroppo, avevano quelle che volgarmente venivano definite "due palle così", e malgrado l'evidente brutalita' degli omicidi - diventati lo scandalo nazionale degli ultimi dieci anni - non era stato semplice mettere i colpevoli all'angolo.

- La giustizia ha i tempi lunghi - sussurro' il ragazzo, sorridendo appena.
Pose una velina sulla pagina e richiuse l'album, riponendolo nell'unico cassetto della scrivania.
Il  cellulare vibro' nella tasca dei pantaloncini di cotone che indossava. Era un messaggio di Jhonathan, il suo vecchio amico di Manchester; Cain lo aveva invitato per alcuni giorni, sfruttando l'assenza di sua madre.

Indosso' un paio di sneackers da cui spuntavano dei corti calzini di cotone, inforco' gli wayfarer neri  e rispose velocemente al messaggio, incontrando l'accecante sole di mezzogiorno. La piazzetta residenziale era deserta, se non per un gatto pezzato che aveva puntato un grosso insetto ronzante.
Cammino' rapidamente sino alla stazione ferroviara di Temple Meads e controllo' gli arrivi sul tabellone. Con le mani in tasca, raggiunse il binario dove in lontanza sentì il fischio di arrivo del treno.

Il mezzo rallento' delicatamente, illuminato dai riflessi caldi del sole. Jhonny scese da uno dei vagoni mezzani, indossando un cappellino da baseball e sorrise all'amico.
- Viaggi leggero - commento' Cain, salutandolo nel modo informale degli adolescenti inglesi - Allora, come va ragazzo?!
- Gli uomini veri viaggiano con poco, lo sai! - gli rispose, porgendoli una busta colorata - Questi li manda mia madre: biscotti al burro e noci. Gli unici dolci che potevano sopravvivere a questo caldo...Si fa per dire che siamo piu' a nord, ho potuto constatare - disse, asciugandosi il sudore dalla fronte.
- Quando e' estate fa comunque caldo ovunque, lo dovresti sapere. Vuoi farti una doccia a casa? Non credo tu abbia voglia di visitare la citta' con il caldo anomalo di quest'anno...
- Proprio ovunque, no!  Diciamo che d'estate divento un tipo prettamente notturno - gli rispose sorridendo.

Jhonathan aveva fatto un altro dei suoi famosi balzi d'altezza, raggiungendo le vette di un giocatore di pallacanestro. Aveva lasciato che una sottile barba biondastra gli avvolgesse il mento, ed anche i capelli, rasati solo sotto la nuca, erano di qualche centimetro piu' lunghi di come Cain li ricordasse.
Aveva decisamente l'aspetto di un trentenne intrappolato in un abbigliamento forse un po' troppo sbarazzino per le sue fattezze da adulto. Ma aveva bei lineamenti e la vita sottile metteva in risalto le spalle larghe ed atletiche, le gambe muscolose da corridore si facevano notare dalle ragazze.
Turner si sentì piuttosto corto rispetto all'amico: lui aveva messo su sì e no un paio di centimetri, e la rada peluria che era cominciata a spuntargli sulle mascelle, così ridicola in confronto a quella di molti ragazzi della sua eta', veniva sistematicamente asportata dal suo rasoio elettrico ogni mattina.
Ma se il suo aspetto era poco mutato rispetto ai ragazzi che conosceva, dentro di lui erano invece cambiati diversi meccanismi.

- Sembra una bella citta', Bristol - commento' il biondo, scorgendo palazzi  e negozi fra i turisti affannati.
- Ci sono sicuramente piu' turisti che a Manchester, ma forse ne vedo di piu' perche' prima vivevo in periferia, mentre ora abito vicino al centro della citta'.
- Mi pare ci sia una bella atmosfera, molta gente giovane. Molte ragazze - sottolineo', squadrando un gruppo di adolescenti in succinti, colorati  prendisole di jersey e cotone.
- Mha, sai...Mi pare che qui i ragazzi siano un po' troppo fuori di testa.
- Pero' non ti trovi male nella nuova scuola, no?
Il moro fece spallucce - Ma no, diciamo che pero' mi sentivo piu' a mio agio prima, con voi, nella vecchia scuola.
- Mh. Ti fanno molto domande, qui?
- All'inizio sì, si capisce... Chiunque sarebbe stato incuriosito dal casino che e' successo. Ma dopo qualche settimana l'hanno abbozzata in parecchi. A parte quando esce qualche nuova notizia...praticamente ogni settimana. Allora qualcuno si dimostra ancora un po' insistente...
- Le hai mai prese...? - gli chiese l'amico, sistemandosi il cappellino sulla fronte.
- No che non le ho prese! Ma in quei momenti non faccio in tempo ad entrare a scuola che gia' mi fermano in strada con domande del cazzo... Almeno i professori mi lasciano stare, anche se gli leggo la curiosita' negli occhi.
- Capisco... E' una bella rottura di palle, amico.
- Oh, bhe...passera' anche questa.



Cain fece accomodare l'amico, indicandogli bagno ed asciugamani. Acchiappo' una bottiglia di soda dal frigo che ando' a miscelare nei bicchieri  con del vermouth e del ghiaccio, e recupero'sottaceti  e patatine.
Jhonathan uscì dalla doccia ciabattando sino al divano - Mi mancava l'odore di pulito di casa tua -  disse, portando le mani ai fianchi ed osservando la meticolosa pulizia di quella graziosa villetta - C'e' pure l'aria condizionata.
- E' stato un buon affare malgrado le stanze siano davvero piccole. Con i soldi ricavati dalla vendita del negozio ci piacerebbe comprare una casa vicino tipo ad un lago...in un luogo di villeggiatura. A mia madre farebbe molto bene.
A Jhonathan brillarono gli occhi - Un posto tipo quello dove abita ora Pia? - chiese, guardandolo con la faccia di chi la sapeva lunga.
Turner trattenne un sorriso, voltando lo sguardo al paesaggio oltre la finestra - Ma dai, ti pare che ora mi metta  a fare lo stalker...
- Non credo che nel tuo caso si possa parlare di persecuzione. Si capisce che fra voi due c'e' molto piu' di quello che dichiarate.
- Mi sembri uno dei miei nuovi compagni di scuola...
- Dai Cain, non ti volevo rompere le palle, ma ti conosco da una vita. Se davvero vi piacete e' giusto che stiate vicini. Se poi  ora non e' il momento per vari motivi...non e' comunque detto che dobbiate rimanere a distanza forzata l'uno dall'altro ogni giorno. Ve lo ha forse proibito il giudice? No! E allora fa quello che ti pare una volta tanto nella tua vita.

Il ragazzo moro rimase silenzioso e contemplativo per qualche istante; le dita bagnate dal suo drink, la caviglia poggiata sull'altro ginocchio. Sbatte' le palpebre, tornando a guardare l'amico.
- Pare che questa frase te la sia preparata da un po' di tempo. Te la sei studiata in treno?
- Diciamo che era un po' che volevo dirtelo, ma al telefono finiamo sempre per parlare di cazzate. Io non dico che lei sia la donna della tua vita, pero' dopo tutto questo casino potresti almeno andare da lei di persona e parlarci un po'. Non avete potuto parlare ai processi, eppure i vostri occhi erano incollati l'uno sulla figura dell'altro. Mi hai parlato di lei per nove mesi, delle sue e-mail e le sue  telefonate, seppur brevi,ti riempivano di gioia. Ma non ho potuto fare a meno di pensare a te come ad un puma in gabbia: ansioso, smanioso e consumato dal desiderio di vederla. E sai Cain, ora che ti ho qui davanti sei esattamente come ti avevo immaginato - concluse, indossando una t-shirt d'un verde militare.

Turner serro' le mascelle. Malgrado fossero passati nove mesi e le loro telefonate fossero quasi sempre state un elenco di gag ed aneddoti divertenti, si stupì di come Jhonathan fosse riuscito nuovamente a leggere nei suoi pensieri  e nelle sue intenzioni.  Era saggio come un apostolo, quel ragazzo. Ed era la prima persona nella sua vita con cui gli era necessario guardarsi negli occhi per trovare delle risposte a cui lui proprio non riusciva ad arrivare.
La seconda persona era Porthia. Forse lo era ancora. O almeno lo era stata.
Era davvero arrivato il momento di accantonare il timore reverenziale che la turbolenta vita mediatica ed i processi avevano scioccamente fatto nascere nei confronti di lei. Doveva tornare a guardarla negli occhi, e parlarle di loro due.

Cain si alzo' e raggiunse l'amico. Alzo' il bicchiere, invitandolo a fare lo stesso - Amico, un brindisi alle tue parole, ed un brindisi di buona fortuna a me.
- Un brindisi a noi, aggiungerei - disse, facendo coincidere il bicchiere con quello del ragazzo.





Agosto, Contea della Cumbria.




Oltre il perimetro della brughiera, il lago luccicava invitante sotto il sole estivo. Tutt'intorno cicale ed insetti rumoreggiavano in un fitto riverberare di vita. Non c'era niente di vagamente simile a Manchester.

Pia uscì dal sentiero battuto che dal lago portava a casa di sua zia, tagliando attraverso la bassa vegetazione per far prima. Le felci le solleticavano le gambe e le braccia scoperte, mentre alcuni piccoli boccioli di erica si erano impigliati sulle sue ruvide scarpe di cotone.
Attenta ai fruscìì fra le piante, intimorita dalle serpi, la ragazza corse sino alla strada asfaltata.
Non c'erano macchine in giro, se non il camper di un'appesantita famigliola tedesca,  accampata in un piccolo spiazzo per consumare il pranzo.

Svelta, salì i gradini che sopraelevavano la casa dal giardino. Sua zia ancora non era tornata dalla stazione dei pulman con l'ospite del giorno, ma l'emozione di rivedere Cain le aveva impedito di rilassarsi a lungo sotto il sole.
Fece una rapida doccia, tirando via dalla pelle abbronzata la sottile patina di protezione solare che le faceva luccicare le gambe scattanti. Con i capelli ancora umidi, schiariti dall'estate e dai bagni nel lago, Pia indosso' una sobria t-shirt bianca, che le tirava leggermente alle spalle per poi  scorciarla in vita con un nodo, così da scoprire la stoffa di una paio di corti bermuda scoloriti.

Il rumore delle gomme di un auto sulla ghìaia  la avvertì che sua zia era rientrata a casa.
Porthia corse alla finestra, scorgendo i capelli corvini di Cain, ed un borsone sportivo buttato sulla sua spalla. Vide il ragazzo guardare la facciata della casa, i suoi occhiali da sole neri riflettere la luce.


Cain entro' nell'abitazione, seguito dallo sguardo non proprio rilassato della sua accompagnatrice.
- E' una casa molto fresca - commento' il ragazzo, un po'  a disagio. Anche durante il breve viaggio in macchina i due si erano scambiati domande irrilevanti, ben attenti a non toccare certi argomenti, entrambi avvolti da una leggera ma educata  inquietudine.
- Sì, qui non fa mai troppo caldo - rispose lei, posando la borsetta sul tavolo del soggiorno - Vado a vedere se Pia e' rientrata dal lago - gli disse, avvicinandosi alle scale.
Fu allora che i due si accorsero della ragazza ferma in cima alle scale. Questa sorrise timidamente ad entrambi.



Nel giardino della casa, Turner tastava il legno umido  del tronco d'albero da cui era stata ricavata una rudimentale panca. D'intorno le cicale rumoreggiavano assordanti.
Pia uscì dalla casa trasportando una grossa caraffa di the freddo e qualche galletta al burro. Lascio' il vassoio sull'erba, e verso' da bere al suo ospite.
- Mi sembri davvero in forma.
- Vado a correre ogni sera prima del tramonto - rispose la ragazza - Mi aiuta molto.
- E ti rende piu' serena?- chiese il ragazzo, sorseggiando la bibita.
- No. Mi aiuta ad arrivare al giorno dopo senza arrovellarmi troppo il cervello. A dormire la notte... - Pia s'indurì in volto. Cerco' di rimediare immediatamente alla propria espressione - Non te la voglio mettere tragica, Turner. Qualsiasi cosa mi attanagli ora, prima o poi passera' - aggiunse, sorridendo da dietro il bicchiere.

Cain abbasso' lo sguardo alla bevanda che stringeva fra le dita. Cominciare un discorso, malgrado tutti i buoni propositi che si era  prefissato durante il viaggio, non era cosa semplice. Non riusciva a guardarla negli occhi per piu' di qualche secondo, sentendo il cuore martellargli nel petto. Si era accorto che anche la ragazza aveva delle reazione molto simili alle sue.
Era come se entrambi dovessero confidare l'uno all'altro una questione spinosa, ma nessuno dei due riusciva  a cogliere il momento per farlo.

Il moro poggio' il bicchiere fra l'erba, scacciando delle formiche dalle gallette dolci. Improvvisamente penso' che due giorni non sarebbero stati abbastanza per arrivare a spiegarle le sue emozioni.

- Sai Pia - comincio' il ragazzo - Alla fine non sono riuscito a dire a mia madre che sarei venuto da te, oggi. Forse certe cose non mi sono ancora così semplici da fare come avevo pensato.
- E dove gli hai detto che andavi?
- Oh bhe, semplicemente lei pensa che ora io sia a casa. E' andata in vacanza con mia zia, in Scozia.
- Mh. E la terapia come va? Mi avevi detto che aveva fatto molti progressi.
- Non parla piu' con i morti ed ha pure smesso di impilare detergenti come fossero trofei...direi che e' un bel passo avanti, no?
Pia sorrise, senza mostrare i denti. Strappo' alcuni fili d'erba, lasciandoli ricadere nel bicchiere ormai vuoto - Dai Turner, presto riavrai una madre nuova di zecca, potresti essere anche meno sarcastico.
- Non lo so Pia. Francamente non credo che riavro' mai la mamma di una volta. Forse pretendo troppo, ma lei era davvero speciale quando mio padre era vivo. Cioe', era una mamma qualunque per certi versi, pero' e' come mi faceva sentire che la rendeva speciale. Mi sentivo molto tranquillo, come fossi ancora nella sua placenta - disse, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

Porthia ripasso' mentalmente le parole del ragazzo. La prospettiva di sentirsi al sicuro come nella placenta della mamma gli suonava come nuova. Era una sensazione che nella sua infanzia aveva perso definitivamente, una volta fuori del pancione. Forse una recondita, silenziosa parte di lei aveva sempre vissuto nell'ansia pur vicino ai suoi genitori, gli orchi che s'immaginava da piccola e che abitavano i suoi incubi infantili erano stati solo un'avvisaglia di cio' che il suo intuito avrebbe poi percepito qualche anno dopo.
Era vero, dunque, che i bambini potevano captare il malessere dei genitori senza che questi aprissero bocca.

- Ma Turner, anche se lei tornasse come piaceva a te, tu ormai non sei piu' un bambino.
- Lo so, ma sapere che c'e' la "mamma di una volta" che mi aspetta a casa mi farebbe sentire meglio. E' un pensiero infantile...pero' e' così, che ci posso fare? - le sorrise di sghimbescio, massagggiandosi la nuca.
- Dai retta a me. Una volta, quando eri piccolo, era lei a vivere per te. Ora che sei cresciuto e che hai capito come funzionano certe cose, che i genitori non sono indistrittubili, puoi ricambiare quello che tua madre ha fatto per te. E' un ciclo, no? - gli disse, agitandogli l'indice davanti al naso.
Il ragazzo le afferro' la mano, stringendola lievemente. Il bicchiere  della ragazza rotolo' fino ai suoi piedi.
Cain schiuse le labbra, sporgendosi in avanti; Pia strinse le ginocchia, lasciandosi scivolare verso di lui.

- Pia, c'e' l'avvocato al telefono! - le urlo' sua zia, sporgendosi dall' ingresso posteriore dell'abitazione.
Cain ritiro' la mano, chinandosi per raccogliere una galletta al burro. Prese a sgranocchiare l'oggetto con un certo nervosismo.
La biondina si alzo', raccogliendo i bicchieri vuoti e raggiunse la donna. Quest'ultima rimase sull'uscio, lisciandosi le pieghe del grembiule da cucina, fiera ma al cintempo preoccupata dall'aver interrotto un momento evidentemente significativo per i due ragazzi.
- Ho preparato la camera per il tuo amico al piano inferiore, accanto alla lavanderia - le disse, come a sottointendere che non lo avrebbe mai fatto dormire nella camera degli ospiti accanto alla sua.
Pia penso' alla stanzetta del piano di sotto con la carta da parati scolorita, che sua zia usava per ricevere i ragazzini del posto quando dava ripetizioni di matematica, alla minuscola poltrona-letto adatta piu' che altro ad un bambino - Grazie zia - le rispose, prendendo la cornetta fra le  mani.

Porthia riceveva ogni giorno almeno una telefonata dal suo avvocato, e diverse volte la settimana pure dall'assistente sociale che  le era stata imposto in sede giudiziaria.  Non poteva permettersi il lusso di rifiutare le chiamate, anche se sempre piu' spesso non aveva voglia di ragionare e di scervellarsi sempre sui soliti argomenti e rispondere alle loro domande.
Non era semplice rilassarsi con questi adulti colmi di burocrazia alle calcagna.

Cain si alzo' dalla panca, recuperando il piatto delle gallette e rientro' in casa. Zia Hunt gli prese l'oggetto fra le mani.
- Grazie caro. A che ora hai il treno, domani mattina? - gli chiese, sforzandosi di apparirgli gentile - Sai, per calcolare a che ora dovremo svegliarci...
Che non fosse il benvenuto gli era ormai evidente. Quella donna che aveva davanti era la sorella di mr. Hunt, era evidente che questa fosse a disagio con lui e che, soprattutto, fosse in apprensione per la nipote. Chissa' quanti sensi di colpa stavano opprimendo quella signora dall'aria un po' disordinata, con quella gonna lunga a fiori e le scarpette bianche decisamente dèmodè. Una donnetta inglese qualunque, con un "non so che" di kitsch.

- Alle undici, mrs. Hunt - le rispose il ragazzo, poggiando le mani sullo schienale del divano.
- Ah, bene! Così potremo fare colazione con calma. Ah! Per stasera ho preparato il porridge, io ci metto le fragole d'estate. Potrebbe piacerti?
- Sì signora Hunt. Non si disturbi troppo, io mangio davvero tutto.
- Sei stato abituato bene, allora - aggiunse la donna, abbassando poi lo sguardo nervoso al pavimento. Accennare implicitamente alla famiglia di quel ragazzo le era sembrato in qualche modo irrispettoso.
Cain afferro' immediatamente la gaffe della donna, ma non disse nulla.
Una mosca ronzo' fra le gambe di Cain, posandosi  poi sul grembiule della donna; questa ne scosse un lembo, e l'insetto schizzo' verso la cucina.
- Vado a coprire il porridge...odio gli insetti!In questa stagione ne ho la casa piena... - aggiunse, defilandosi verso i fornelli.
Pia sfioro' il braccio del ragazzo - Ci verresti a correre con me? Lasciamo mia zia alla cucina.



Il corpo di Cain premeva la ragazza sull'erba.
I loro baci si erano fatti lenti ma insistenti, le labbra gonfie, i muscoli tesi gli uni verso gli altri. Due sapori  che non si erano mai spinti piu' in la dell'assaggio.
Le magliette umide di sudore, le schiene inarcate, gli abiti sgualciti a sfregare fra di loro.
Le mani di Pia scivolarono placidamente dalla schiena del ragazzo alla sua nuca; sfiorarono la cartilagine delle orecchie, poi i capelli corvini, inspessiti da invisibili gocce di sudore. La ragazza schiuse appena le gambe, per lasciare che lui si avvicinasse di piu'.
Per Cain quel genere di baci non era una novita', eppure quello era un corpo che non conosceva e che lo attirava e disorientava  al tempo stesso. Ora che Pia era sotto di lui, ed accettava con trasporto i suoi baci, ora che finalmente le sue azioni avevano parlato per lui sciogliendolo dall'imbarazzo, solo allora si lascio' andare come non faceva da molto tempo.

Nel lago un pesce guizzo', ed alcuni cerchi concentrici andarono ad adagiarsi e morire sulla riva.

Pia gemette, ed arrossì violentemente. Torno' a nascondersi nella bocca di lui, distraendolo dal proprio collo.
Come non avveniva da tempo la testa le era tornata leggera, ricordandole come una sensazione di svenimento, mentre le sue mani incontravano il corpo di Cain, le sue braccia magre ma virili, il buon profumo che non aveva smesso di usare, il nome di quel fiore, di quell'ingrediente che sempre le era sfuggito. Si stupì dell'urgenza che provava nel cercare le sue labbra. E si stupì dei "non pensieri"  che le sfuggivano alla mente.

Cain carezzo' il volto della ragazza con il dorso della mano. Avrebbero finito per fare l'amore lì, a poche centinaia di metri dal rifugio dove i turisti si rifocillavano di birre e sandwich. Poteva sentire le loro risate, il loro brusìo risuonare sulla superficie del lago.
- Hey... - sussurro', con voce arrochita dall'eccitazione. Schiuse le labbra della ragazza con il pollice.
Pia aprì lentamente gli occhi lucidi, posando mollemente le mani sulle spalle di lui - Siamo via da un po' - disse, anche se in quel momento non aveva proprio voglia anche solo di controllare l'ora sul display del cellulare. Ora che aveva scoperto cosa c'era d'irresistibile nel bacio, avrebbe potuto andare avanti per delle ore. Sentì la testa così leggera che dovette reclinarla all'indietro, incontrando le giovani radici di una sottile betulla.
Cain guardo' il quadrante dell'orologio che indossava - Hum. Sono quasi le sette - disse, facendo scivolare l'indice sulla giugulare della ragazza.
La biondina mugolo' contrariata - Noi ceniamo presto, qui.
Entrambi sospirano, imponendosi di alzarsi dal manto erboso.

Pia scosse i capelli disordinati, togliendo alcuni fiorellini rinsecchiti  da una ciocca. Rimase a fissare il lago per qualche istante, inebetita dai baci e dalla corsa quasi violenta che avevano fatto, sfidandosi, prima di lasciarsi cadere in mezzo all'erba.
Cain le carezzo' le ginocchia, su cui apparivano sottili cicatrici il cui biancore risaltava sulla sua pelle abbronzata. Penso' che dovevano risalire alla notte in cui era riuscita a sfuggire dai suoi genitori. Non si era mai fatto raccontare cos'era avvenuto esattamente una volta che l'aveva lasciata sola faccia a faccia con i coniugi Hunt, ma aveva comunque appreso molti particolari dagli innumerevoli articoli che avevano affollato i giornali e le trasmissioni televisive.
Poi il ragazzo si alzo', porgendole una mano. Quell'esplosione di intimita' lo aveva sbloccato dai suoi timori, e finalmente trovo' la via giusta per esternarle i suoi pensieri - Mi dispiace di  non essere venuto prima a trovarti, non ti nego che non ne avevo il coraggio - le confesso', con aria veramente seria.
Porthia s'inumidì le labbra, distogliendo lentamente lo sguardo dalla superficie del lago agli occhi azzurri del ragazzo. Gli afferro' la mano con aria comprensiva, e lascio' che l'aiutasse a rialzarsi - Anche io. Avevo paura persino di chiamarti al telefono. Ma temevo di piu' che non saresti mai venuto qui da me - le sue dita s'intrecciarono con quelle del ragazzo. I due s'incamminarono verso la strada asfaltata.

- Sai Turner - riprese a parlare la ragazza - Malgrado ci sentissimo ogni tanto, piu' andavano avanti le indagini e la situazione si faceva piu' difficile, piu' temevo che avresti seguito l'impulso di cancellarmi dalla tua vita. Ogni giorno pensavo sempre di piu' che sarebbe stato legittimo...che per te sarebbe stata la cosa migliore. Io ho perso i miei genitori perche' hanno voluto  rovinarsi con le proprie mani, ma tu hai perso tuo padre contro la volonta' di tutta la tua famiglia. Poi pensavo alle condizioni di tua madre e temevo anche per le tue. A volte ho pensato di non potercela fare con tutti questi sensi di colpa...mi vergogno così tanto della mia famiglia! - esclamo'; un brivido di rabbia e frustrazione le fece tremare le spalle.

Cain aprì la bocca per rassicurarla, ma non riuscì immediatamente a trovare le parole giuste per farlo, come invece si aspettava da se stesso.
Nella sua testa, era ben conscio che la ragazza non aveva nessuna colpa, ma che era stata una vittima degli eventi esattamente quanto lui, e benche' gli opinionisti spesso l'avessero accusata di omerta' alla stregua di un mafioso, non si era mai lasciato condizionare dai giudizi altrui.
Qualsiasi fosse stata prima la posizione di Pia rispetto ai suoi genitori, la sera in cui lei  lo aveva salvato con sua madre dalle grinfie dei suoi aguzzini, in quel preciso istante aveva sentito totalmente la ragazza dalla sua parte.
Da quel momento in poi non aveva  piu' avuto dubbi su di lei, e non importava quanto la stampa ed i curiosi le vomitassero contro accuse: per il suo giudizio entrambi erano stati due vittime di pari livello.

- Io non...- sospiro' il ragazzo, irritato dalla propria mancanza di tempismo - Dha! - esclamo', arruffandosi i capelli - Io voglio stare con te! Voglio che diventi la mia ragazza!
Pia si volto' di scatto verso di lui. Dopo la propria confidenza, onestamente, si sarebbe aspettata di certo frasi di rassicurazione da parte del ragazzo. Ma quella confessione l'aveva completamente spiazzata. Arrossì.
Anche Cain avvampo' sino alle orecchie. Si massaggio' la nuca, mentre con l'altra mano stringeva ancora quella della ragazza. Piego' la bocca nel suo particolare sorriso - Cioe'...forse dovevo dirti altro...questo era quello che avrei dovuto dirti dopo altre parole, ma ormai... - cerco' di giustificarsi, confuso.

Porthia torno' silenziosa, lo sguardo rivolto alla punta delle scarpe da ginnastica. Ora avrebbe dovuto dargli una risposta. Non poteva certo negare che non avesse mai pensato a loro due insieme. Molti mesi prima, quando abitavano ancora a Manchester,  Cain si era fatto piuttosto insistente su quel punto... 
Pia non aveva dimenticato i suoi occhi chiari che piu' volte gli avevano espresso il proprio sincero interesse. Il contatto fisico che spesso lui aveva cercato, azzardando e mai esagerando,  piu' di una volta l'aveva fatta tentennare.
Le torno' in mente il bacio sensuale che gli aveva strappato nel corridoido di casa sua, affondandola nel cappotto di suo padre.

Gli occhi nocciola della biondina risalirono dalle gambe di lui al fianco, dove la stoffa della t-shirt nascondeva il tatuaggio che lei stessa gli aveva fatto lo scorso inverno. Con la mano libera sollevo' la maglietta, riconobbe la cicatrice dell'appendicectomia, l'ombelico sfiorato da una sottile scìa di peluria, ed infine la piccola serpe al centro dello scudo, il gioco di foglie ad inseguire i contorni del blasone.
Cain l'avvicino' a sè, garbatamente - Te l'avevo detto che per colpa del tuo tatuaggio non avrei mai potuto dimenticarti.
- Forse questa situazione e' persino troppo romantica per una come me - gli disse, poggiando il palmo bollente sul suo fianco - Pero'...e' "sì".

Cain Turner le mostro' il suo sorriso obliquo e malandrino, per poi nasconderlo subito fra le labbra di Pia prima che questa potesse fargli notare per l'ennesima volta che il suo sorriso era proprio storto.




                                                                                                                                           -The end-






Mi scuso per aver pubblicato l'ultimo capitolo così tardi malgrado fosse gia' dichiaratamente pronto da un po' di tempo; l'intenzione era quella di metterlo online con il quindicesimo capitolo, esclusivamente dedicato a mr. e mrs Hunt, ed in cui sarebbero stati spiegati retroscena sui libri misteriosi, ma soprattutto sul movente degli omicidi, e cos'ha  portato due genitori a compierli, bisto nel corso di questi quattordici capitoli viene solo debolmente accennato.
Il capitolo verra' comunque pubblicato, ma singolarmente e mi auguro in tempi brevi. Non si trattera' di un capitolo auocelebrativo della storia, ma un concentrato di "dovute spiegazioni" ai lettori che hanno seguito la vicenda :D
Un grazie dovuto ma sincero va a Carla Volturi ed Oddish, lettrici e commentatrici <3









































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