Harry Potter e la soglia proibita

di Querthe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La stanza era buia.
Le pesanti tende alla finestra, posta sulla destra del grande letto matrimoniale a baldacchino, erano tirate, impedendo alla luce dei pochi lampioni funzionanti in Knockturn Alley di entrare e svegliare la proprietaria della casa.
La donna si stava voltando violentemente nel letto, in preda ad un incubo che per lei era ormai ricorrente. La fronte era imperlata di sudore, i denti stretti in un dolore che poteva provare solo nella sua mente, e come tale enorme, incommensurabile. Si voltò da una parte all’altra, ormai scoperta, le lenzuola cadute quasi totalmente dal letto, la sottoveste di seta grigia risalita pericolosamente dalle caviglie alle ginocchia, quindi urlò, svegliandosi.
Ansimava, gli occhi fissi, una parola non detta sulle sue labbra, mentre la testa ricadeva sul cuscino.
Inspirò, cercando di far rallentare il cuore impazzito.
- Hisser! – chiamò nel buio, mentre afferrava la bacchetta dal comodino.
Si udì un flebile crack mentre la punta di noce della bacchetta si muoveva nell’aria accendendo le varie lampade, vagamente somiglianti a torce medievali avvolte da un serpente.
- Sssì padrona? La padrona ha chiamato l’umile Hisssser? – si prostrò un elfo domestico dalla pelle verdastra tesa sullo scheletrico corpicino, gli occhi gialli e sporgenti, i pochi capelli bianchi appiccicati al cranio. Era coperto da un paio di pantaloni grigi, ricavati da un pezzo di stoffa adattato con spille da balia, che gli sfioravano le caviglie con i loro bordi sfilacciati e da un gilet di panno da tavolo da gioco verde scuro con finti bottoni apparentemente incollati, di ottone lucidato a specchio.
- No, ho starnutito. – rispose atona lei. – Certo che ti ho chiamato, stupido inutile elfo! – disse irata. – Tuo cugino Kreacher lavora sempre per… per…
- Sssì padrona. Kreacher lavora ancora per l’odiossso sssignore. Hisssser sssi punirà appena possibile perché ha come cugino un elfo cosssì ssstupido, padrona. Hissser accenderà il forno e sssi getterà dentro per punirsssi, padrona.
- Lascia perdere, Hisser. Poi dovrei scrostarlo e non ho voglia. Piuttosto. Nessuna novità? Non hai visto nulla, quando sei stato da lui, a trovarlo?
- No, no! Mia padrona, non ho potuto vedere nulla o ssscoprire nulla. L’odiossso sssignore non ha detto nulla a Kreacher mentre ero con Kreacher. Hisssser deve andare da sssuo cugino adesssso?
- No. Portami la tisana di foglie di Mentavuota. Voglio dormire tranquilla fino ad almeno la mattina. Andrò al ministero domani e chiederò direttamente a lui cosa ha intenzione di fare.
- Sssubito padrona. Hisssser sta già andando a preparare la tisssana. Hisssser sssta correndo…
Un piccolo crack, subito seguito da un altro che ne indicava il ritorno, e una tazza fumante ripiena di un liquido azzurrognolo fu posata sul comodino.
Con un veloce quanto impaurito inchino e un ennesimo scoppiettio Hisser tornò nel suo nascondiglio sotto il lavandino della casa.
La donna, che non mostrava più di trenta anni, si sedette sul bordo del letto e assaporò la tisana, con un penetrante profumo e sapore di miele, malva e menta piperita.
- Non sarò mai grata abbastanza a te Longbottom e alle tue "Tisane della Nonna".
Finì la bevanda, si risistemò a letto dopo aver legato i lunghi e ricci capelli bruni, quasi neri, con una fascia di seta verde scuro, e nel giro di pochi minuti cadde in un sonno profondo e senza nessun sogno o incubo.

La mattina seguente, Ellyson Witchmahoganye scese dalla sua camera in cucina per fare colazione ancora con la vestaglia, gli occhi cerchiati di scuro per la notte agitata.
Hisser aveva già preparato tutto quello che a lei poteva piacere per colazione, compresa la rosa nera al centro della tavola.
Lei si concesse un sorriso e mangiò un po’ di pane tostato con burro e marmellata di arance. Il caffè svolazzò borbottante dalla cuccuma alla sua tazza, dove due gocce di latte lo macchiarono e un cucchiaino di zucchero lo rese dolce come lei lo amava la mattina.
L’orologio segnava le otto di mattina meno qualche minuto.
Era in ritardo. Doveva essere al Ministero della Magia alle otto esatte se voleva riuscire a parlare con Potter.
Finì con un unico sorso il caffé e si alzò. Hisser avrebbe messo a posto dopo, quando lei fosse uscita.
Nel corridoio estrasse la bacchetta dalla tasca dalla vestaglia di seta.
- Morfovestum. – esclamò senza smettere di camminare.
La sua vestaglia venne sostituita dalla veste da maga, una raffinata creazione in velluto e seta nera, verde scuro e grigio, un richiamo smaccato alla sua appartenenza alla casa dei Slytherin, di cui andava orgogliosa, e a causa del quale aveva avuto non pochi diverbi e discussioni, che avevano a volte sfiorato il duello, con il Ministero, praticamente in mano ai Gryffindor dopo la caduta di Lord Voldemort.
Hisser comparve correndo, nelle mani tremanti il mantello, di pesante stoffa nera con cappuccio, della padrona, a cui lo porse per poi prostrarsi e strisciare all’indietro fino alla cucina.
Lei se lo fissò al collo con il fermaglio di argento e fu sul punto di uscire in strada, dirigendosi da Knocturn Alley alla Londra conosciuta, incurante degli sguardi divertiti, ammirati o solo stupiti dei babbani che incontrava, come faceva spesso. Lei era una maga, e come tale voleva apparire. Che la credessero pure pazza, o strana, o solo bizzarra. L’avevano tacciata di violare le leggi magiche, ma non l’avevano mai accusata ufficialmente. Era di certo meno bizzarra di tanti gruppi giovanili babbani, e non aveva mai mostrato la bacchetta o fatto magie in pubblico. Lei era fiera di essere diversa da loro, dalla loro orribile, pesante mediocrità di esseri che mormoravano in un brusio indistinto, tentando di sembrare ciò che non erano. Ne stimava alcuni, ma la maggioranza era per lei difficile da sopportare e impossibile da capire.
Ma quel giorno non poteva perdere tempo, quindi si diresse in salotto, di fronte ad un importante camino con alcuni ceppi pronti per essere bruciati.
- Incendio – enunciò. Lunghe lingue di fuoco scarlatto iniziarono a mordere la legna.
Una manciata di polvere. Le fiamme divennero di un bel verde acceso e con sicurezza lei si diresse dentro di loro.
- Ministero della Magia, ingresso. – esclamò con un tono di comando.
L’istante successivo Ellyson emerse da uno dei tanti camini presenti nel sottosuolo di Londra, sotto una cabina telefonica. Si sistemò il mantello, togliendo la poca fuliggine che si era depositato su di esso.
Conosceva la prassi.
Il funzionario le chiese la bacchetta, che lei gli porse senza indugio.
- Ellyson Witchmahoganye. Noce e sangue di Djinn, dodici pollici e tre quarti. Scopo della visita?
- Secondo livello, Ufficio applicazione della legge sulla magia, Quartier generale degli Auror, direzione generale, Potter, Harry.
- Grazie. – disse cortese, restituendole la bacchetta.
L’ascensore risalì lentamente, stipato di persone, elfi domestici e circolari interne che galleggiavano a mezz’aria.
Al secondo livello scese, ormai sola, e si diresse con passo sicuro lungo i corridoi fino ad una porta in pesante legno scuro.
- Capo degli Auror, H. J. Potter – lesse col pensiero l’incisione nella targa bronzea rivettata al legno, ancora coperta dall’olio di protezione. – Patetico.
Bussò e attese che lui la invitasse ad entrare.
Nessun rumore provenne dall’interno.
Bussò nuovamente.
Ancora nulla.
Afferrò la maniglia e la girò, spingendo la porta e aprendola.
L’ufficio, come sempre, sembrava più la stanza di un fanatico di Quidditch piuttosto che quella di un affermato Auror. Ovunque le pareti erano tappezzate d poster di giocatori che salutavano felici o di squadre che volteggiavano nell’aria sulle loro scope.
In un angolo, in una vetrinetta verticale, il primo modello di Firebolt sembrava osservare la confusione che regnava, in eguale misura prodotta dalle scartoffie sul tavolo e sugli schedari e dalle carte stagnole di cioccorane e altri dolciumi vari. L’unico punto sgombro, se si escludeva la poltrona del proprietario dell’ufficio, era una sedia di similcuoio, per gli ospiti. Ellyson appese il mantello ad un attaccapanni dopo avergli intimato di non muoversi se lei non glielo avesse permesso, sapendo che era un regalo di Ron Weasley all’amico. Uno di quegli oggetti normalissimi che qualche buontempone aveva incantato per potersi burlare dei babbani. Potter trovava alcuni di quegli oggetti divertenti.
La riprova che ciò che lei pensava di Potter era la pura verità.
Si sedette, accavallò le gambe sotto la veste da maga, mostrando solo un accenno dei morbidi stivali al polpaccio di cuoio scamosciato marrone scuro, e attese spazientita.
La porta si aprì nemmeno un minuto dopo.
- Scusa il ritardo, Ellyson. – disse in tono cordiale Potter, appoggiando il soprabito babbano e scaraventandosi sulla sua sedia. – Allora, è molto che aspetti?
Lei lo squadrò senza mostrare nessuna espressione.
- Troppo, direi. Vedo che usi sempre un Weasleys'Wildfire Whiz-bangs per pettinarti.
Lui rimase interdetto, quindi si sistemò gli occhiali sul naso e rise leggermente. La donna era sicura che non avesse capito la battuta.
- Mi spiace, ma sai, sono a capo degli Auror solo da pochi mesi, eppure ho già così tanti problemi da risolvere e cose da organizzare che spesso perdo il senso del tempo.
- Posso immaginare. Ma nessuno di noi ha tempo da perdere. Io più di te. Hai novità, Potter?
Lui si sistemò sulla sedia e sembrò per un paio di secondi più interessato a sistemare e mettere in ordine vari fogli sparsi sulla scrivania che a rispondere alla domanda della strega. Lei lo fissò, in particolare la cicatrice, nel centro della fronte. Sapeva che la cosa gli dava fastidio.
- Cosa stai guardando?
- Io nulla, Potter. Sto semplicemente attendendo una risposta.
- Novità, mi hai chiesto? Forse sì. Anche stamattina ho parlato con la preside di Hogwarts. Mi ha detto che ci sono degli sviluppi, ma che ancora doveva parlare con una persona. Sto aspettando una conferma nel giro di pochi minuti via gufo.
- Non mi è di molto aiuto questo. Sono giorni che mi dici la stessa cosa o quasi. Sto iniziando a credere che sto perdendo tempo con te. – gli disse, alzandosi e afferrando il mantello.
- Ellyson! – la bloccò lui, alzando la voce.
La donna ebbe un fremito nelle dita, mentre stringevano d’istinto la bacchetta.
- Ho un cognome, Potter. Usalo.
- Sono il capo degli Auror, Ellyson. – rispose lui con tono di sfida, rimarcando il nome della maga. – Se voglio chiamarti per nome, credo che posso permettermi di farlo.
- Credi in troppe cose, Potter. Due mesi su quella sedia, dietro quella scrivania ti hanno riempito il cervello di molto fumo. Quando inizierai a convincerti che potresti essere il degno successore di Shacklebolt?
- Cosa stai insinuando?
- Io nulla. Dico solo che nei due mesi che sei a capo degli Auror, e mi spiace dirlo parte della colpa è anche mia, sei riuscito senza che il Ministro sapesse nulla a distaccare al Ministero della Magia un plotone di Dementors per tuoi fini personali, a contattare segretamente la preside McGonagall e lanciarti in chissà quale strano gioco di cui io sono una pedina in parte inconsapevole, cosa che mi da estremo fastidio. Cosa ti prende? Hai paura che la tua fama stia scemando, Potter? Devi inventarti una qualche nuova avventura folle?
- Sei invidiosa? Forse perché tu al massimo potresti essere "Quella che è quasi fuggita da Azkaban" e non "Colui che ha ucciso Lord Voldemort"?
Ellyson sospirò a fondo. Sapeva che non si stavano simpatici, e che lui l’avrebbe preferita in una cella con dei Dementors che in quell’ufficio. Sotto la finta gentilezza di qualche minuto prima c’era il suo risentimento per dover chiedere aiuto ad una Slytherin, ad una donna che aveva preso in giro metà degli Auror di stanza ad Azkaban e che aveva schiantato il suo amichetto Ron prima di venir bloccata dal suo stesso avvocato. L’unica Gryffindor che stimasse, Hermione Granger Weasley.
- Io sono solo me stessa, e mi basta. Ora, prima che si finisca in un duello, di cui conosco il risultato finale visto che ci siamo praticamente già passati, salutiamoci quando ancora sei in piedi. Sai dove abito. Mandami un gufo quando saprai qualche cosa. Se saprai qualcosa.
Come se qualcuno lo avesse chiamato, un elegante barbagianni entrò dalla porta che si aprì da sola e si posò sulla scrivania, osservando la confusione come se ne fosse sorpreso e in parte disgustato.
Potter prese il messaggio dall’animale, che immediatamente si alzò in volo, facendo cadere vari fogli, e lesse la carta giallognola, su cui si vedeva chiaramente in rilievo il simbolo della Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.
- E’ la risposta che aspettavamo entrambi. – disse Potter, una strana luce negli occhi, qualcosa che Ellyson aveva visto a volte in un bambino davanti ad un giocattolo nuovo, a volte negli occhi da rettile del Signore Oscuro. Non le piacque per niente. - Questo pomeriggio alle cinque la preside McGonagall ti aspetta nel suo ufficio tramite metropolvere. Avevo previsto la situazione, e ho già provveduto a collegare casa tua con Hogwarts. Ti verrà spiegato tutto là.
- Ho tempo allora. Viaggio leggera. – mormorò lei, allacciandosi il mantello al collo e gettando il largo cappuccio sulla testa, nascondendo il viso. – Spero di vedere la tua cicatrice il più tardi possibile, Potter. – concluse uscendo.
Usando nuovamente la metropolvere, la donna ritornò nella sua casa, dove si rilassò su una poltrona. La notte in parte insonne e il nervoso che la sua visita da quello stolto di Potter le aveva lasciato ebbero la meglio sul suo corpo, e dopo alcuni minuti la testa di Ellyson ciondolò un paio di volte per poi appoggiarsi sulla spalliera, mentre lei scivolava nel sonno.
Un rumore la svegliò. C’era un leggero bisbiglio, una sorta di sordo mormorio che sembrava provenire dalle mura della casa.
- Hisser! – chiamò.
Non vi fu nessuno scoppiettio, nessuna sibilante scusa o squittio.
- Hisser! – ripeté arrabbiata.
Il brusio si era avvicinato ed era aumentato in volume. Era la voce di un uomo. Una voce pacata, senza espressione, una voce che lei avrebbe riconosciuto in mezzo a mille altre.
- Non… non è possibile. Tu sei morto. – gridò alzandosi, cercando la sua bacchetta che aveva lasciato appoggiata al piccolo e basso tavolino accanto alla poltrona.
Non c’era.
- Cerchi questa? – chiese la voce, maschile e calma. – Credi che sia così facile sconfiggermi? Che basti la tua bacchetta? – chiese con lo stesso tono che l’aveva fatta impazzire quando lo aveva sentito fin dalla prima volta. La bacchetta galleggiava a mezz’aria, come sospesa con un incantesimo. Qualcosa si stava formando dietro di essa. Una forma vaga, indistinta, fatta con nebbia e gelo.
- No. Scusa… E’ stato un riflesso condizionato. Non userei mai la magia su di te.
- Ne sono certo. – la voce ormai proveniva da un punto preciso, sopra la bacchetta, dove in una figura umana ci sarebbe stata la bocca. C’era solo nebbia chiara e in lento movimento. – Hai sempre la stessa bacchetta.
- Davvero sei qui con me? Davvero sei riuscito a sfuggire alla morte?
- Forse lei non mi ha voluto. Non sono mai stato simpatico a molta gente. Tu fai eccezione, Ellyson. Forse.
- Come forse? – chiese lei quasi urlando, avvicinandosi di un passo alla figura, che ancora rimaneva vaga ed indistinta. La bacchetta fu poggiata sul vicino mobile. – Come puoi dire una cosa del genere? Da quando ti ho conosciuto sei stato l’unica cosa per me. Ho abbandonato tutto. Famiglia, ideali, futuro, la mia stessa Casa, la tua Casa, per seguirti.
- Hai ragione. – c’era una nota di scherno nella sua voce. – Hai abbandonato proprio tutto. Anche me. Quella sera, durante la battaglia finale, hai abbandonato anche me…
- No! Non è vero! Non ti ho abbandonato!
- Ma tu sei viva, e io no. Tu non eri con me quando sono stato ucciso.
- La battaglia, ti ho perso nella battaglia… - gridò, per poi cadere in ginocchio, una lacrima a scendere lungo la guancia sinistra. – Ti ho perso.
- Mi hai perso. Hai ragione. Allora come ora… - sussurrò la voce, scemando come la sua figura abbozzata nella nebbia, che si disperse nella stanza come mossa da un vento invisibile.
- No! Ti prego! Non lasciarmi. Non lasciarmi ancora…
Una mano fredda e viscida le prese gentilmente la spalla sinistra, scuotendola.
Ellyson non vide nulla, ma iniziò a sentire un’altra voce, che sembrava chiamarla in lontananza.
- Padrona! Padrona!
La donna aprì gli occhi. Era ancora sulla poltrona, la fronte imperlata di sudore, la mano destra a stringere in maniera spasmodica la bacchetta, che stava emettendo piccole volute di fumo nero e scintille verdi che scomparivano con un crepitio nell’aria poco lontano dalla punta.
- Hisser.
- Sssì padrona. Hisssser sssono io. La padrona ha dormito troppo. Il pranzo della padrona è pronto da tempo. Hisssser ha tenuto in caldo il pranzo della padrona. Hisssser doveva sssvegliare prima la padrona. Hisssser è un cattivo elfo! – disse con uno sguardo folle l’essere, cercando di afferrare l’attizzatoio.
- Che ore… che ore sono?
L’elfo si fermò, le dita lunghe e fredde a stringere l’asta metallica, pronto a colpirsi violentemente.
- La lancetta piccola è sssul numero uno, la lancetta grande è sssul numero uno e due.
- La una. Ho dormito quasi quattro ore. Hai detto che il pranzo è pronto?
- Sssì padrona. Hisssser ora sssi punirà per averla sssvegliata in ritardo, poi ssservirà il pranzo.
- No. Ti punirai dopo, ma non con il mio attizzatoio. Non voglio sangue di elfo in giro per casa. Prima il pranzo. Devo assentarmi per un tempo imprecisato, Hisser. Parto questo pomeriggio alle cinque. Voglio che tu mantenga la casa in perfetto ordine, difendendola da qualsiasi tipo di nemico. Continua a sorvegliare Potter, e riferiscimi con il solito sistema. Hai capito?
- Sssì padrona. Hisssser ha capito e ubbidirà. Hisssser ama ubbidire agli ordini della padrona. La padrona è troppo gentile con Hisssser. La padrona gli permette di punirsssi come Hisssser vuole.
- Ma non l’attizzatoio, è chiaro?
- Sssì padrona. Non l’attizzatoio. Peccato. L’attizzatoio è caldo e fa molto male e Hisssser vuole farsssi molto male.
- Usalo, o usa qualsiasi cosa che faccia schizzare sangue, organi o altro di tuo sul pavimento o su un’altra parte della casa, e quanto torno ti libero. Sono stata chiara?
La paura di essere reso libero ebbe un effetto incredibile sull’elfo, che poggiò l’attizzatoio con cura, accarezzandolo, e retrocedendo con saltelli, balzelli e strisciate sulle ginocchia, guidò la padrona nella sala da pranzo, dove servì del raffinato cibo, per poi nascondersi sotto il lavabo come faceva quando non erano richiesti i suoi servigi.

Alle quattro Ellyson era in attesa davanti al camino. Aveva impacchettato tutto il necessario dentro la sua piccola valigia, lasciando i vestiti a casa, in quanto con l’incantesimo di Sostituzione poteva cambiarsi in qualsiasi momento, e Hisser avrebbe provveduto a pulirsi e rammendarli se necessario. Mentalmente stava perdendo tempo ripassando tutto quello che aveva infilato nella borsa soggetta ad incantesimo di Estensione Irriconoscibile, e allo stesso tempo ripensando all’orribile incubo che aveva avuto prima di pranzo. Era per forza collegato con l’altro, che aveva avuto quella notte.
Che fosse davvero possibile tornare dalla Morte? Che fosse possibile sfuggirle anche senza il Mantello dell’Invisibilità o senza Horcrux?
L’orologio a pendolo sulla parete accanto a quella del camino batté per cinque volte un suono lugubre e profondo. La polvere accese di verde le fiamme del camino.
- Hogwarts. – scandì chiaramente.
Hisser la stava salutando con in mano un grande fazzoletto sporco e sudicio come mai ne aveva visti, una piccola lacrimuccia sulla guancia scavata, appena sotto l’occhio tumefatto che si era procurato picchiandosi ripetutamente il volto contro il sifone del lavandino, con l’effetto collaterale di sturarlo.
La città di Londra, e poi la campagna scivolarono sotto di lei finché non vide la sagoma inconfondibile della sua vecchia scuola, dove venne risucchiata da uno dei camini principali.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


- Benvenuta alla Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, signorina Witchmahoganye. Ho temuto per un secondo che il collegamento con la metropolvere fosse errato. – disse affabile la signora McGonagall.
- Viaggio come sempre veloce ed eccellente, professoressa… Mi scuso, preside McGonagall. – rispose lei con un leggero inchino, calando il cappuccio sulla schiena e mostrando il suo volto.
- Dalle informazioni che mi ha fornito il signor Potter, lei è quella che si potrebbe definire una "testa calda". Un comportamento del genere, la avverto, non sarà tollerato tra queste mura.
- Preferisco definirmi uno spirito libero, e comprendo i suoi timori, considerando chi le ha dato informazioni sul mio conto. Sono comunque stata una allieva di questa scuola nella casa degli Slytherin per tutti e sette i canonici anni di corso, conseguendo ottimi O.W.L. e N.E.W.T.. Non sarò di alcun disturbo per lei, i professori o gli studenti.
- So anche questo, signorina Witchmahoganye, e sono sicura del suo comportamento, ma ho preferito essere chiara. Prima di accettare di aiutare il signor Potter, ho voluto controllare negli archivi della scuola, almeno quelli rimasti dopo la battaglia di dieci anni fa. Se ben ricordo, lei è fortunata che la quasi totalità delle informazioni del signor Filch sugli studenti sia andata perduta, o avrei avuto molto da leggere su di lei, vero?
La donna sorrise, arrossendo per un istante. Annuì.
- Credo comunque che quanto sia successo quasi venti anni fa non sia il motivo principale della sua visita presso Hogwarts. La prego, si sieda.
- Grazie.
Il suo sguardo vagò velocemente lungo le pareti, ai vari ritratti di presidi che adornavano le pareti. Phineas Nigellus Black, Armando Dippet, Albus Dumbledore e tutti gli altri erano apparentemente assopiti. Era stata nell’ufficio del preside solo una volta, quando aveva ghiacciato assieme ad un suo compagno tutte le tubature di Hogwarts con una dose eccessiva di Pozione Geloglacio. Quella volta mancavano due ritratti. Uno era quello del vecchio preside, con i suoi occhiali a mezzaluna, la lunga barba bianca e lo sguardo bonario. L’altro era del suo professore di Pozioni. L’occhio si soffermò sulla delicata rappresentazione di Severus Snape.
L’uomo nel ritratto aprì gli occhi, come se avesse sentito che qualcuno lo stava osservando, la guardò un istante, quindi le voltò le spalle e se ne andò, sparendo velocemente nello sfondo grigio verde.
La McGonagall sembrò averlo notato.
- Non si preoccupi. Fa così con tutti quelli che entrano. Sembra che non gradisca essere osservato. Anche se ammetto che non se ne era mai andato così alla svelta. Normalmente ricambia lo sguardo e poi si allontana a lato della cornice, o va a fare due chiacchiere con il quadro di Nigellus.
- Nessun… nessun problema. – rispose Ellyson. – Mi scuso se sono diretta, ma il motivo di questo viaggio presso la mia ex scuola mi è sconosciuto. Potter non mi ha illuminato molto, devo ammetterlo.
- Dall’astio nella sua voce. – sorrise debolmente la preside. – Direi che le differenze di vedute tra lei e il signor Potter non si limitino a Case diverse.
- Cosa le ha detto di preciso? - Ellyson glissò l’osservazione. - Preferisco giocare a carte scoperte. Se mi deve rimandare indietro, preferisco che lo faccia ora, non quando scoprirà quello che le interessa sapere su di me.
La McGonagall si irrigidì leggermente sulla poltrona. Non era abituata a una tale schiettezza da parte di una ex allieva. Si ricordava di lei, sebbene come Slytherin non avesse come principale materia di studio Trasfigurazione, ma si ricordava che lei era relativamente dotata. Certo il suo primo bottone aveva ancora le antenne, ma riuscì nella magia al primo colpo, al contrario di molti Gryffindor. Era schiva, riservata, con pochi amici anche nella sua Casa, e aveva fatto velocemente perdere le tracce dopo i N.E.W.T., lasciando la scuola con una promettente carriera di pozionista e una più che discreta abilità negli incantesimi. Aveva fatto delle ricerche anche oltre l’archivio di Hogwarts, e quello che aveva scoperto non le era particolarmente piaciuto.
- Mi ha detto che lei ha avuto alcuni guai con il Ministero, nulla di grave, e che aiutando gli Auror in questa operazione, le avrebbero… cancellato… la fedina magica. Mi ha detto che è estremamente intelligente e che sa il fatto suo, e che riuscirà a cavarsela egregiamente a Durmstrang.
Ellyson incassò la novità della sua destinazione senza mostrare la minima curiosità o reazione e sorrise. Un sorriso che fece immediatamente capire perché il Cappello l’aveva smistata a Slytherin.
- Potter ha decisamente una buona fantasia, o lei è stata estremamente gentile. I miei guai non gravi con il Ministero della Magia comprendono, tra l’altro, ricettazione e vendita di materiale magico illegale, pericoloso o maledetto, falsificazione di oggetti magici unici, tra cui una partita di spade di Godric Gryffindor che mi ha fruttato non pochi galeoni, due tentativi, sfortunatamente falliti, di penetrare alla Gringott, una mai dimostrata collusione con i Deatheater e un attacco a due Auror che mi ha garantito una condanna ad Azkaban, mai scontata perché ho tentato la fuga prima di essere rinchiusa.
La preside era interdetta, la bocca spalancata, il respiro come bloccato mentre la donna elencava i reati di cui si era resa colpevole.
- E… - disse finalmente dopo che Ellyson ebbe finito. – E come mai Potter vuole affidarle un incarico tanto delicato?
- Non so che cosa vuole che io faccia. Mi ha solo promesso la libertà se riesco. Credo un soggiorno forzato insieme a quei simpaticoni di Azkaban se fallisco.
- No, sono certa che la prigione sia un’ipotesi da non prendere in considerazione.
- Grazie! – esclamò con una punta di felicità e di orgoglio lei. – Sono felice che lei creda nelle mie capacità.
L’altra arrossì impercettibilmente prima di alzarsi e andare a guardare distrattamente la spada che riposava in una teca, dandole le spalle.
- La mia non è certezza nella riuscita della sua missione. L’alternativa alla vittoria in questo caso è la morte.
- Mi scusi?
- Potter quindi non le ha detto nulla? Ha organizzato tutto e non ha detto niente. Sotto alcuni aspetti assomiglia a Dumbledore. Teneva tutto per sé. Organizzava nei minimi dettagli tutto, ma non rendeva partecipi gli altri.
- Ha recepito bene gli insegnamenti del suo maestro, allora. L’uomo di Dumbledore, lo hanno definito. Uno di loro, aggiungo io. Lui non è stato l’unico.
- Già. Concordo.
- Sfortunatamente, Potter tende a far fare agli altri le cose, mentre Dumbledore alla fine ha dato la vita per il suo piano. Chissà se era esattamente così che il preside voleva il suo uomo… - pensò Ellyson.
Dumbledore ebbe un piccolo colpo di tosse, ma non aprì gli occhi.
- Comunque, signorina Witchmahoganye, la sua sarà una sorta di caccia al tesoro, in cui lei saprà cosa deve trovare, ma non come arrivarci.
- Sembra meglio del Torneo Tremaghi.
- Non scherzi. Non è il caso. La mia parte si esaurirà nel momento in cui le farò raggiungere la scuola di Durmstrang e le avrò fornito una falsa identità credibile. Una volta che me ne sarò andata, lei dovrà contare esclusivamente sulle sue forze.
- La seconda parte mi è congeniale, l’ho sempre fatto. Che altre informazioni mi può dare?
- Non molte, ma procediamo con ordine. – sospirò, tornando a sedersi e intrecciando le dita davanti a lei, appoggiate alla scrivania. – Il suo scopo nell’estremo Nord sarà di ritrovare l’Occhio di Odino, un potente artefatto magico che si dice essere stato creato dal dio omonimo per sostituire il suo occhio perso per ottenere la conoscenza delle rune e della magia. Quando e se lo avrà recuperato, sarà suo compito riportarlo in segreto al Ministero della Magia, dove le daranno la seconda parte della sua missione.
- E a cosa le serve questo Occhio di Odino?
- A me nulla. Il signor Potter ha uno scopo che mi ha taciuto, e che francamente non interessa né a me, né a Hogwarts. Abbiamo impiegato anni a ricostruire non solo l’edificio, ma anche la credibilità di questa scuola dopo quanto successo dieci anni fa. Quello che sto facendo potrebbe minare il nome della scuola nuovamente, e per sempre, se si venisse a sapere. - Il tono di voce si fece cupo e meditabondo. - Ho accettato di aiutare gli Auror solo perché a chiedermelo sono stati un mio carissimo amico e chi ha ucciso il nostro più grande nemico. A chiunque altro avrei riso in faccia alla sola proposta.
- Non si verrà a sapere nulla. Hogwarts è stata tutto per me. Non voglio che abbiate guai per colpa mia o di qualcun altro. Soprattutto di qualcun altro. - aggiunge dopo un secondo di riflessione, pensando al suo "datore di lavoro".
- Grazie.
- Quando partirò per Durmstrang?
- Domani mattina. Al momento il loro preside è in viaggio e non ha concesso l’autorizzazione finché lui non sarà tornato. Non useremo la metropolvere. Effettueremo una Smaterializzazione congiunta, poiché lei non sa dove si trova. Io la lascerò immediatamente, ma credo che potrà cavarsela.
- Certamente.
- Qui c’è la sua nuova identità. – disse greve, passandole un rotolo di pergamena. – Ho fatto preparare una stanza per gli ospiti. Il signor Filch la accompagnerà. Credo che non avrà problemi ad orientarsi. E stata qui per sette anni.
- Già. Le chiedo solo una cortesia. So che non posso avere una stanza nel dormitorio dei Slytherin, ma ci sono ancora le stanze nei sotterranei? Mi sentirei più a mio agio.
La McGonagall sorrise.
- Certamente. Gli elfi provvederanno a tutto in men che non si dica.

Per quanto ricostruita, Hogwarts era sempre la stessa.
Ellyson si muoveva sicura nei corridoi, guidata dal signor Filch che continuava a voltarsi e a squadrarla come se volesse carpirle i suoi segreti più intimi. O semplicemente, in fondo al suo strano cervello, si ricordava vagamente di lei. A seguirla, quasi a pedinarla o a controllare che lei non fuggisse, c’era una gatta, discendente di Mrs Norris, Mrs Meow, come la donna ebbe modo di scoprire quando il custode la chiamò vicino a sé.
- E’ la nipote. Ha pochi anni, ma ha preso la stessa grinta della madre e il fiuto della nonna. Non c’è studente. - si bloccò, guardandola di sottecchi. - O ex-studente che le scappi. Qualunque marachella, regola infranta o anche solo pensiero non conforme alle regole e lei lo sente e in qualche modo me lo riferisce.
Ridacchiò, come se fosse sicuro che la frase avesse spaventato Ellyson fin nel profondo.
- Ha preso dalla nonna anche l’amore per gli stuzzichini Catlicious?
- Non saprei. Perché? - chiese inquisitorio l’uomo, mentre arrivava davanti ad una pesante porta, alcuni livelli sotto il piano terra di Hogwarts, ed estraeva un pesante mazzo di chiavi in bronzo, cercando quella corretta.
- Nulla, nulla davvero. Erano i preferiti da Mrs Norris.
- Davvero? Come fate a saperlo?
- Li usavamo per evitare che lei corresse a chiamarla quando ci sorprendeva. - ridacchiò Ellyson, ben sapendo che la gatta non si sarebbe fatta corrompere per così poco. Ma non aveva resistito a prendere in giro ancora una volta il custode, burbero e sadico a volte, ma comunque un brav’uomo per essere uno Squib.
Filch borbottò qualcosa di poco carino e le aprì la porta della stanza.
- La chiave è sul tavolo. Funziona solo quella, la mia chiave e gli incantesimi dei professori.
- Grazie.
Lui non perse tempo a risponderle, interessato ai risolini strozzati di due studenti del quinto anno che si erano fatti beccare dietro un angolo a spiare la nuova venuta e che erano prontamente scappati appena Filch li aveva apostrofati in malo modo.
La donna chiuse la porta, posò la borsa sul tavolo in legno lucidato dagli anni e sistemò il mantello sulla sedia, per poi sedersi su una comoda poltrona foderata di velluto damascato verde scuro. La stanza, illuminata da un grande camino in pietra scura e da alcune candele alle pareti, sarebbe stata per molti tetra e sinistra, ma per lei era l’ideale. Le ricordava la sua casa, le ricordava i momenti felici passati con l’uomo che amava, le rare volte che potevano vedersi in privato, solo lei e lui, senza maschere, senza ruoli.
Il camino era decorato in maniera elegante, minimalista e decisa, con semplici intarsi nel basalto scuro e una piccola nicchia nella pietra dove l’attizzatoio riposava appeso ad un gancio a forma di testa di serpente.
La libreria alla sua sinistra, accanto alla piccola scrivania, era quasi totalmente vuota se non per libri facilmente reperibili come "Storia di Hogwarts" o "Le fiabe di Beda il Bardo", pieni di polvere.
Ellyson chiuse gli occhi, inspirando a pieni polmoni l’aria calda proveniente dal fuoco. Colse una nota caratteristica, qualcosa che non riuscì a mettere a fuoco immediatamente, ma che le fece accelerare il battito del cuore.
- Possibile? - si chiese, mormorando la parola alcune volte come una formula magica. Non osava aprire gli occhi, per paura di rompere il momento, ma doveva scoprire se era davvero la sua stanza. Il profumo era il suo.
Si alzò e sfiorò con le dita affusolate il legno della scrivania, come se il materiale potesse darle delle risposte. Non era in grado di compiere l’incantesimo "Ausculores", o avrebbe chiesto alla stanza stessa chi fosse stato il suo padrone nei tempi addietro.
Ma in cuor suo sapeva che era la sua. Sapeva che tempo addietro lui era stato in quella stanza, magari per lo stesso motivo per cui lei era là quel giorno. Come studente ormai mago, come qualcuno che cerca qualcosa per dare un senso alla sua vita, che sia lavoro o che sia un sogno che si deve realizzare. Anche lei, come lui, aveva un sogno impossibile, e anche lei, come lui, stava cercando di realizzare qualcosa di grande per dimenticare quello che non avrebbe mai potuto ottenere.
- Smettila di pensare a certe cose, o inizierai a farti delle paranoie come i Gryffindor. - si disse, distogliendo la mente dal profumo che permeava leggero le pareti e le cose anche dopo tutti quegli anni. - Hai la sera libera, usala in qualche modo utile.
Si sedette nuovamente in poltrona dopo aver afferrato la pergamena che le aveva consegnato la preside McGonagall. Il sigillo svanì in polvere impalpabile quando lo toccò, riconoscendola, e permettendo alla pergamena di srotolarsi, mentre parole scritte in una grafia sottile e inconfondibile, che aveva imparato a conoscere durante le lezioni di Trasfigurazione, comparivano come incendiate sulla superficie, sollevando tenui volute di fumo rosso e oro.
Gli occhi avevano già iniziato a scorrere e a mandare a memoria le informazioni. La McGonagall aveva trovato una Slytherin che aveva circa la sua età e che al momento e per un bel po’ di tempo sarebbe stata al San Mungo per una incredibile e stranissima malattia gentilmente concessa dal Ministero. Pustole e bolle sul volto e sulla lingua ne avrebbero impedito l’identificazione per almeno sei mesi, dandole tutto il tempo necessario per completare la sua missione a Durmstrang.
- Certo che Piperita Strongmint non è esattamente il miglior nome del mondo, ma dovrò accontentarmi. - sorrise leggendo la pergamena. - Sono specializzata in Pozioni e Difesa dalle arti oscure e ho ottenuto un posto nel programma si scambio culturale tra istituti di magia. Domani la McGonagall porterà me dal preside e un tale Olaf Krunkbonson verrà ad Hogwarts per una specializzazione in Erbologia. Avrò poco da studiare, decisamente, e vista la mia esperienza, più che Difesa dalle arti oscure, sono una specialista in Arti oscure. Beh, con un maestro come lui, non potevo che essere brava.
La maga continuò a leggere e ad imparare quello che doveva sapere su Piperita, mentre con la bacchetta fendeva dolcemente l’aria, muovendo la borsa vicino a lei e aprendola.
- Accio Ardemonio.
Una piccola bottiglietta di ossidiana lucida e nera come la notte si mosse veloce nella sua mano destra, che aveva appena posato la bacchetta. Stappandola con gentilezza, prese la pergamena e vi versò sopra una goccia, brillante come la lava, che si agitò nell’aria mentre cadeva, lanciando il foglio scritto in aria, contemporaneamente. Un piccolo avvoltoio di fiamme sembrò librarsi e divorare il materiale in un istante, per poi spegnersi nel nulla, non avendo trovato altro da bruciare.
Tappò nuovamente con cura la boccetta e la mise via.
Uno scalpiccio di studenti affamati e stanchi proveniente dal corridoio attirò la sua attenzione.
Era già ora di cena.

La sala grande era stata perfettamente ricostruita. Enormi, le quattro clessidre che indicavano i punti delle Case erano appese apparentemente nell’aria lungo uno dei lati lunghi del salone. I tavoli degli studenti erano disposti con regolarità, e si erano già riempiti di studenti dal primo al settimo anno. Il tavolo dei professori e della preside era ancora vuoto, ma Ellyson sapeva che a breve si sarebbero presentati per la cena. Il tavolo degli ospiti era in fondo alla sala, non in disparte, ma comunque abbastanza lontano da non essere una sorta di attrazione per gli altri studenti. Sarebbe stata l’unica quella sera, e non le piaceva essere in vista.
Si stava attardando a sedersi, indecisa se farlo o tornare nella sua camera e chiedere qualcosa agli elfi domestici. Sapeva come funzionava. Bastava chiamarli e loro rispondevano, obbedienti e servili.
Il fratello di Dumbledore si mostrò nella sala e si mise seduto. Aveva poco del vecchio preside. Hagrid lo seguì poco dopo, quindi tutti gli altri si sedettero, mentre gli ultimi studenti si affrettavano a prendere posto.
- Non sembri del settimo anno.
La voce maschile la colse leggermente di sorpresa, ma fu abbastanza rapida da non sussultare. Si voltò, trovandosi di fronte uno studente di Slytherin. Un prefetto, come aveva rischiato di esserlo lei anni addietro. Ma non amava le regole, e loro non amavano lei. Era biondo, quasi bianco di capelli, e aveva piccole labbra che sorridevano in modo gentile, sotto occhi neri e profondi.
- No. Credo di essere un po’ più anziana.
- Ma eri nella nostra Casa, vero? I colori, intendo.
- Fiera di esserlo stato e di esserlo anche ora e per sempre. Semper praecellentis.
- Semper praecellentis, su tutte le Case. – rispose lui, senza perdere il sottile sorriso. – Dovresti essere al tavolo degli ospiti, vero?
- Fai molte domande.
- Già. E’ la mia specialità. Mi chiamo Lucas Morquestion. Ti va di unirti alla tua vecchia Casa?
Lei sollevò un sopracciglio, soppesando la proposta.
- Non ho di meglio da fare, quindi accetto. Ma cosa dirà il responsabile?
- Chiediamoglielo. Sta arrivando.
Un uomo che Ellyson riconobbe come Slughorn si fece avanti, interessato alla nuova venuta come una falena è attratta dalla luce. Lei lo conosceva solo di fama, non lo aveva mai avuto come professore, ma il suo amore le aveva raccontato di quando era stato giovane, e di come Slughorn fosse un insegnante tanto capace quanto fosse un uomo alla perenne ricerca di potere. Una vera eminenza grigia, sia dentro che fuori Hogwarts.
- Lei deve essere la signorina che parteciperà allo scambio culturale, vero? – chiese con una vocina che le parve affettata e sgradevole quasi quanto quella di Kreacher.
- E lei sarebbe è il Professor Slughorn, immagino.
L’uomo sorrise.
- Lei mi conosce. Sono sorpreso e imbarazzato. Saprà sicuramente che oltre che professore di Pozioni, sono anche il responsabile della nobilissima Casa degli Slytherin, che ha avuto l’onore di annoverare tra i suoi allievi "Colui che non può essere nominato" e il preside Snape. Certo entrambi morti e in un caso, il fu Tom Riddle, decisamente potente e malvagio, ma comunque grandi personaggi.
- Mi manca niente per cruciarlo… - pensò disgustata. L’idea che quell’essere avesse citato il suo amore l’aveva resa molto nervosa.
- Sarei felice se accettasse di sedersi al nostro tavolo, signorina Strangemint.
- Strongmint. Mi spiace ma…
- Sarebbe davvero un piacere poter cenare con lei. – la interruppe Morquestion, sempre sorridendo. - Saremmo onorati di ascoltare qualche aneddoto. Lei ha conosciuto il preside Snape.
Si convinse. L’ammirazione che poteva leggere in quello studente era sincera e lei voleva alimentarla. Era giusta e dovuta. Si diresse alla lunga tavolata degli Slytherin, dove fortunatamente Slughorn dovette lasciarli per unirsi con gli altri professori. Fu accolta con uno scroscio di applausi dagli studenti, provocando sguardi torvi da parte dei Gryffindor e in misura minore dalle altre due Case.
La cena iniziò e si protrasse a lungo come Ellyson si ricordava, e già al secondo conosceva i nomi di metà degli studenti della sua casa, e tutti loro conoscevano il suo, sebbene falso.
Fu invitata, alla fine, anche nel dormitorio, ma con rammarico dovette rifiutare. L’aspettava una missione, e sapeva che avrebbe avuto bisogno di tutta la sua concentrazione fin dall’inizio. Stare alzata fino a tardi non sarebbe stato un buon inizio.
- Buonanotte, Piperita. Schiantali, quelli di Durmstrang.
- Promesso, Laureen, promesso. Semper praecellentis. – sorrise, salutando la giovane rossa di capelli del primo anno mentre stava per chiudere l’entrata del dormitorio.
- Semper praecellentis! – risposero in coro tutti gli studenti già all’interno, facendo quasi tremare le mura e facendo sussultare la donna.
- Amo questa Casa. – ridacchiò mentre si dirigeva verso la sua stanza.
Era quasi arrivata, quando si rese conto che il corridoio che stava percorrendo le era familiare. Quelle pareti, la porta sulla sinistra con la maniglia rovinata, l’armatura dove spesso Peeves si nascondeva per spaventare gli studenti. Riconosceva quel luogo, per sette anni lo aveva frequentato ogni giorno o quasi, che ci fosse lezione o meno. Sette anni in cui aveva conosciuto una persona che non poteva in nessun caso dimenticare. Una persona forse troppo piena di segreti. Uno certamente che ora poteva recuperare.
- Severus Snape.
Era sola nel corridoio. Sapeva dove andare. Forse era la sua unica occasione per farlo. Doveva farlo. L’aula di Pozioni era proprio dietro l’angolo. Ecco la porta. Era chiusa, ma nessuno, almeno per gli anni che aveva frequentato quella scuola, l’aveva chiusa a chiave.
Con trepidazione, guardandosi prima in giro alcune volte per evitare involontari testimoni, spinse leggermente la porta, che si aprì con il sinistro cigolio che le era tipico.
Dentro nulla era cambiato in tutti quegli anni.
I banchi da lavoro, con ognuno il suo calderone che veniva lucidato a perfezione alla fine della lezione, il profumo di fresco, di ingredienti e di lacrime versate su pozioni sbagliate la accolse come un saluto affettuoso. Dove le altre Case sentivano stantio e umido, lei avvertiva accoglienza e un dolce tepore che la avvolgeva ora come la aveva avvolta negli anni passati a studiare.
Il suo banco, il terzo da destra nella sesta fila, aveva ancora quella strana macchia a forma di mano. Si era sempre domandata chi l’aveva fatta, e come mai nessuno, con mezzi normali o magici, fosse mai riuscito a toglierla, a ripristinare il banco come nuovo. Passò la mano sul legno e fu tentata di sfiorare anche il calderone.
- Non sei qui per questo, Ellyson. Concentrati su ciò che devi fare. Sai dove si trova, lo hai visto, lo hai studiato e ti è servito più di una volta.
Si diresse verso un armadietto dove sapeva esserci il materiale di scorta. Senza problemi la aprì e cercò dietro un gruppo di bottigliette e di cucchiai di legno per rimestare le pozioni.
- Eccoli! – esclamò tra i denti alla vista di una piccola pila di libri di pozione.
Afferrò un libro che stava circa a metà altezza, dalla copertina consumata, e lo aprì.
Il suo sorriso si spense in un istante. Era nuovo. Solo la copertina era quella originale. Dentro era certo consumato, ma non c’erano gli appunti del Principe mezzosangue. Qualcuno lo aveva sostituito. Ma chi? Doveva conoscere le sue potenzialità, o non si sarebbe preso la briga di nascondere il suo furto.
Con il libro in mano, si sedette sulla prima sedia che trovò, iniziando a cercare una traccia, un indizio che potesse farle capire cosa era successo. Per la seconda volta nella stessa serata si odiò per non aver imparato l’incantesimo di psicometria.
Passarono i minuti, ma non trovò nulla.
Ormai aveva quasi rinunciato, e si era alzata per rimettere al suo posto, affranta, il libro, quando la porta dell’aula si aprì.
- Cosa ci fate qui? – tuonò la voce di Slughorn.
Ellyson alzò immediatamente gli occhi e in maniera automatica si alzò dalla sedia, che era quella dietro alla cattedra di Pozioni.
- Professor Slughorn?
- Esatto, signorina Strongmint. Sarei curioso di sapere come mai è entrata. Non si può accedere a questa aula al di fuori delle ore di lezione.
- Non si potrebbe. Altri prima di me lo hanno fatto.
- Questo non la autorizza a girovagare nelle aule incustodite, e ormai a sera tarda, signorina.
- Vero. Ma se mi permette, ho avuto nostalgia. Sono passata di qui per caso, è di strada per la mia stanza, e mi è venuta voglia di vedere la mia vecchia aula di Pozioni. Sono stata qui molto tempo fa, prima che arrivasse lei.
- Ne sono sicuro. Mi ricorderei di una studentessa come lei. Strongmint. Imparentata con gli Strongmind di Bluecastle?
- No, sfortunatamente. Mi servirebbero un po’ dei loro galeoni. – sorrise lei.
- Anche a me. – I suoi occhi si persero per un istante in chissà quali sogni. – Ma non avete davvero risposto alla mia domanda. La nostalgia per una Slytherin non è una delle migliori motivazioni. Cosa stava cercando qui?
Lei strinse il libro al petto, prendendo tempo muovendosi verso l’armadietto da cui lo aveva preso.
- Glielo ho già detto. Sa, stavo cercando il mio libro di incantesimi. L’avevo usato tanto tempo fa. Non avevo i soldi per prendermelo, e così uno di quelli della scuola è diventato mio per un anno. Questo, credo, ma me lo ricordavo fitto dei miei commenti e annotazioni.
Gli mostrò da lontano il libro, sperando di sviarlo e allo stesso tempo ottenere delle informazioni.
- Non posso ricordarmi tutti gli allievi che hanno dovuto usare un libro invece che comprarlo, ma di sicuro uno sì. Impossibile dimenticarselo. Il mio migliore allievo, a cui ho insegnato tutto, e devo ammettere, senza alcuni dei miei trucchi dubito sarebbe riuscito a diventare quello che è ora.
- Lei ha insegnato al Professor Snape?
Slughorn rise, avvicinandosi a lei e prendendole gentilmente il libro dalle mani.
- Sì ragazza mia. Ho insegnato anche a lui. Snape era un bravo pozionista, ma comunque non alla mia altezza. E’ stato un ottimo preside, ma non è stato il mio miglior allievo. Non stavo parlando di lui.
- Quindi il libro è appartenuto a qualcun altro dopo di me, tanto da farglielo ricordare così bene. Come si chiama questa persona? – chiese con un brillio negli occhi.
- Oh, sono sicuro che lo conosce anche lei, signorina. Lo conoscono tutti, qui dentro e in tutto il mondo magico. L’ultima persona che ha usato il libro e che ha avuto tutta la mia attenzione è stata il signor Potter.
La mascella di Ellyson si irrigidì, mentre le mani si stringevano a pugno.
- Ancora lui. – pensò. – Non può essere un caso.
- Qualcosa non va?
- No, no, Professor Slughorn. – sorrise lei angelica. – Sono solo rimasta stupefatta del proprietario. Una celebrità come Harry Potter che ha studiato sullo stesso libro su cui ho studiato io. Sa, non è una cosa che capita tutti i giorni. Oh, sono così stupefatta che davvero… - si mise il dorso della mano sulla fronte, piegando leggermente le gambe sotto la gonna della veste da strega. – Che strana sensazione. Troppe emozioni lo stesso giorno, probabilmente.
- Signorina. signorina, si sente bene?
- Credo che un po’ di acqua fresca e un po’ di riposo mi potranno servire. Sa, essere scelta per andare a Durmstrang e quella di aver potuto tenere tra le mani un oggetto tanto singolare come il libro. E conoscere il maestro di un tale personaggio.
- Certo, certo, ne sono certo. Ma la prego, la accompagno alla sua stanza.
- Grazie, credo che sia meglio.
Il professore chiuse accuratamente la porta e accompagnò la donna alla porta della sua stanza, accomiatandosi con un goffo quanto sgraziato inchino, che lei fece finta di apprezzare con dell’imbarazzo degno di una Gryffindor alle prime armi.
Entrata in camera e chiusa la porta, appoggiò le mani sulla scrivania e chiuse gli occhi.
- Potter. Un altro tassello al grande mosaico del mio odio verso di te.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La mattina arrivò veloce, e con essa gli ultimi preparativi per la partenza.
Ellyson controllò velocemente che niente si fosse rotto o rovesciato all’interno della borsa, quindi indossò il suo vestito da maga che durante la notte Hisser aveva provveduto a lavare e stirare accuratamente.
Uscì dalla stanza e si diresse alla sala grande, già apparecchiata ma vuota. Si sedette a capotavola della lunga tavolata della sua Casa e si servì di caffè e pane chiaro con burro e marmellata di arance. Sbocconcellò la fetta tostata al punto giusto, svogliata. Lo stomaco brontolò, ma lei non ci fece caso. Aveva fame, ma la Smaterializzazione le provocava una sensazione di essere schiacciata e rimescolata. Aveva fatto una pessima figura la prima volta che ci era realmente riuscita, rovinando la veste del suo professore e provocando le risate dei suoi compagni. Da quel giorno, si smaterializzava, se poteva, a stomaco vuoto.
Finì di sorseggiare il suo caffé, quindi si alzò e si diresse all’ufficio della preside.
La statua di pietra stava sonnecchiando tranquilla, e non la degnò di uno sguardo.
- Vorrei sapere se la preside è già arrivata.
- Scusa, e se anche lo fosse, perché dovrei dirtelo? – le rispose sbadigliando la statua.
- Ho un appuntamento importante con lei. Non mi ha detto la parola d’ordine, e quindi immagino che vi abbia detto qualche cosa al riguardo.
- Immagino che tu vorresti sapere se la professoressa è arrivata, e quando io ti dico che lei non si è ancora fatta vedere, scommetto che tu vorresti entrare nel suo studio per aspettarla, anche se non sai la parola d’ordine.
La donna tentò di non innervosirsi. Sapeva che era nella natura della statua essere in quel modo, ma la trovava comunque insopportabile. Certo era difficile insegnare le buone maniere a del granito, ma non la reputava comunque una scusa valida per essere maleducati.
- Sei rimasta senza parole, eh? Avevi pensato che io fossi solo una testa piena di sassi, una statua senza cervello, ma ti ho fregato. Scommetto che non te lo aspettavi.
- Scommetti e parli troppo. Sai, credo che la tua lingua starebbe bene come ciondolo. – sorrise estraendo la bacchetta.
- Non lo minacci, signorina Witchmahoganye. Fa solo il suo lavoro. – le disse la McGonagall posandole una mano sul braccio, all’altezza del polso. – E poi crede davvero che dopo averla ricostruita non le avessimo messo qualche protezione ulteriore in caso potesse succedere di nuovo una battaglia magica?
- Immaginavo. Non me lo ricordavo così petulante.
- Un difetto nella ricostruzione, immagino. Venga, credo che sia giunto per lei il momento di partire. – le sorrise cordialmente mentre si avvicinava al gargoyle.
- Parola d’ordine. Anche se lei è visivamente la preside, potrebbe essere un’altra persona che ha bevuto la pozione Polyjuice e quindi la sta impersonando.
- Stai scherzando? – sibilò la preside, fulminando la statua con lo sguardo.
Ellyson era certa che se non fosse stata già di pietra, lo sarebbe stata dopo quell’occhiata.
- Parola d’ordine.
- Ti avverto, potrei decidere di trasfigurarti in un allievo del primo anno.
Il passaggio all’ufficio si aprì di scatto, mentre il gargoyle si faceva da parte quasi piagnucolando.
- Ma non era inutile minacciarli? – chiese sorridendo Ellyson quando furono nell’ufficio della McGonagall.
- A volte anche i presidi fanno dei piccoli errori di valutazione. – rispose la donna.
Ellyson non potè fare a meno di seguire con lo sguardo dove gli occhi della anziana maga stavano puntando. I ritratti di Dumbledore, Snape e Black erano vuoti. Sembrava preoccupata, ma immediatamente si riprese, sfoderando un grande sorriso che però non rispecchiava la luce nei suoi occhi.
- Ho temporaneamente eliminato in questa stanza il blocco per l’incantesimo di Smaterializzazione. La porterò a destinazione e prenderò in custodia il signor Krunkbonson. Se ci fossero problemi inerenti allo studio, potrà avvertirmi via gufo, altrimenti ci rivedremo tra sei mesi esatti. Se scoprono che lei non è chi credono, Hogwarts manterrà una posizione di totale estraneità, e così il Ministero.
- Insomma se va bene abbiamo vinto e se va male ho perso.
- Non mi sarei espressa in una maniera più esauriente, anche se avrei magari usato termini diversi. Fondamentalmente, comunque, esatto. E’ pronta?
La maga annuì.
La preside mosse la bacchetta, e una sorta di piccolo fuoco d’artificio arancione si formò nella stanza e scomparve. Pochi secondi dopo un fuoco simile, ma verde, scoppiò vicino a loro con un tenue rumore.
- Anche il preside di Durmstrang ha rimosso la protezione dal suo ufficio. Andiamo.
Le loro mani sinistre si strinsero, e il mondo venne risucchiato nel buio di un tunnel gommoso e soffocante. Lo stomaco della giovane si strinse e si contorse, mentre il caffè faceva capolino, inacidito, nella sua gola, tentando di farla tossire. Chiuse gli occhi e si concentrò, ricacciandolo giù.
Si ritrovò al caldo, con i piedi su una superficie rigida. Erano arrivati.
Aprì gli occhi, incrociando immediatamente quelli del preside dell’istituto, posto davanti ad un grande camino, di pietra nera come le pareti spoglie, in cui un fuoco scoppiettante ruggiva a tratti, spinto dal vento che sicuramente soffiava oltre le mura.
- Preside Perstroychof, grazie per averci ricevuti.
- Preside Mcgonagall, grazie a lei per permettere a uno dei nostri allievi di poter studiare a fondo i segreti dell’Erbologia. Sono rari, ma fruttuosi, questi scambi culturali.
Il preside era una persona di mezza età, dai capelli neri e lunghi, legati dietro la schiena con un grande fiocco di seta rosso sangue, con una incipiente calvizie che rendeva ancora più pronunciato il suo naso aquilino. Le mani erano grosse e nodose, come se fossero abituate a lavori pesanti. Non indossava una veste da mago, ma semplicemente un completo nero, stivali al polpaccio in pelle scamosciata marrone scuro bordati di pelliccia bianca e un gilet rosso scuro. La pelliccia bianca era ripresa alle spalle e al collo del gilet.
Accanto a lui Ellyson vide quello che poteva essere solo Olaf Krunkbonson. Alto, allampanato, dai corti capelli biondo cenere e dalla faccia smunta e priva di espressione, come se fosse impaurito o non presente. Per un attimo gli ricordò le persone sotto Impero. Era vestito in modo simile al preside, ma il gilet era verde marcio e la pelliccia scura. Un mantello marrone cupo con cappuccio, in pesante lana cotta, era allacciato sotto il collo con un alamaro in bronzo.
- Sicuramente, preside. Le presento Piperita Strongmint. Ha ottenuto il privilegio di poter studiare presso di voi le tecniche avanzate di Difesa dalle arti oscure, di cui voi siete indubbi maestri. E’ inoltre una esperta pozionista, e credo che le sue idee sull’unione delle due materie siano molto promettenti.
- Ottimo, ottimo. Ora, se posso offrirvi qualche cosa…
La McGonagall alzò una mano immediatamente in segno di rifiuto cortese.
- Come accettato, preside Perstroychof, ma anche se è una scuola estremamente tranquilla, Hogwarts richiede sempre la presenza di un preside, onde evitare qualsiasi tipo di problema. Gradirei Smaterializzarmi il prima possibile e riprendere le mie quotidiane attività.
- Certo, certo. Sono certo che la sua presenza sia sempre necessaria, come è d'altronde la mia. Ammetto che qui, anche in caso di mancanza del preside, non ci sono mai stati attacchi e distruzioni dell’istituto da parte di ex-studenti. Ma abbiamo forse idee diverse relativamente alla disciplina.
La donna irrigidì la mascella, ma non disse nulla, dissimulando il suo furore per la battuta non poi troppo velata dietro ad un sorriso di cortesia.
Con forse troppa rudezza afferrò la mano di Olaf.
- Pronto per la Smaterializzazione?
- Certo, preside McGonagall.
- Bene. signorina Strongmint, faccia del suo meglio. Per lei, per gli Slytherin e per Hogwarts.
Ellyson rispose con un aggraziato inchino mentre i due si smaterializzavano.
Alcuni secondi dopo un piccolo fuoco di artificio verde scoppiettò nella stanza, ad indicare che erano giunti sani e salvi.
- Bene. E ora, torniamo alla normalità. – mormorò il preside, muovendo la bacchetta nell’aria. Ci fu uno strano suono nell’aria, come un portone pesante che veniva chiuso. – Niente più entrate o uscite improvvise da Durmstrang da adesso.
L’uomo si voltò verso di lei.
- Signorina Strungment.
- Strongmint, signor preside.
- Ah, sì. Strongmint. Lei per alcuni mesi sarà ospite presso la nostra scuola. Certo non sarà tenuta a rispettare fin da subito tutte le regole dell’istituto, ma sicuramente non potrà comportarsi come a Hogwarts. Qui abbiamo regole precise e orari ferrei, e chiunque deve adeguarsi. O andarsene.
- Capisco. Non vedo nessun problema al riguardo.
- Sarà meglio per lei. So che lei viene dalla casa di Slyteherin, e questo le ha permesso tra l’altro di ottenere l’accesso a questa struttura. Le altre case di Hogwarts sono troppo chiassose e indisciplinate per quello che mi riguarda.
L’uomo si sedette dietro la scrivania, intagliata in legno grezzo e lucidata solo dall’uso e dal tempo. Sopra di lui svettava lo stemma dell’istituto, uno scudo vichingo diviso in quattro sezioni, due nere, due gialle, con dentro i simboli delle Case. Dietro lo scudo le quattro armi degli dei a cui le Case erano dedicate, ovvero una lancia, una freccia, una spada e una torcia. Il motto dell’istituto era inciso sul bordo dello scudo. Ellyson notò che non vi era altro appeso alle pareti, se non una coppia di asce bipenni sopra la porta di entrata.
- Hic sunt manticorae. – sussurrò, traducendo lentamente dalle rune.
- Esatto, signorina. Qui vengono solo i migliori, e quando escono lo sono ancora di più. La sua prima lezione è tra un’ora circa, nell’aula rossa, al terzo piano, mentre la sua stanza è nell’angolo sud-est, vicino all’entrata del dormitorio femminile di Ullrarc. Un nano fuori dalla porta è a sua disposizione per accompagnarla. Arrivederci signorina.
Chinò il capo, afferrò una penna e iniziò a scrivere su una pergamena comparsa davanti a lui, non degnandola più di uno sguardo.
- Bell’inizio. Cordiale come un troll di montagna in trip da maionese. – pensò Ellyson mentre usciva dalla stanza.
Si ritrovò in un corridoio scuro e relativamente basso, senza finestre, malamente illuminato da pesanti torce alle pareti sostenute da metallo brunito e arrugginito. Ai lati della porta da cui era uscita c’erano due statue che rappresentavano due vichinghi, armati di ascia e protetti con elmo cornuto e una pesante cotta di anelli. Le statue la guardarono in cagnesco, girando lentamente la testa.
Sotto una delle torce, alla destra, quasi vicino ad una curva, c’era una sagoma scura e barbuta, che si mosse lenta, aprendo gli occhi, che erano gialli e acuti.
- La signorina Strongmint? – chiese con voce resa roca dal fumo e dall’alcol.
- Esatto. E tu saresti il nano che mi deve accompagnare alla mia stanza?
L’essere, alto poco più che un elfo domestico e molto massiccio, era vestito con dei pantaloni di pelle marrone tenuti assieme da pesanti cuciture e una camicia a maniche lunghe in lana pesante e colorata di verde scuro. I piedi erano coperti da delle fasce di stoffa infeltrita tenuti assieme con vari nodi. Una folta barba rossiccia si univa ai capelli, legati in una lunga treccia. In bocca teneva una tozza pipa spenta.
- Nok, per servirla. La pregherei di usare il mio nome e se le riesce anche di evitare di trattarmi come un elfo domestico. Non assomiglio a loro, non sono servile come loro e soprattutto non faccio magie come loro. Per sua informazione, noi nani siamo molto, e per molto intendo davvero mooolto refrattari alle magie. Non tenti niente a mio favore o contro di me. Ne rimarrei io offeso e lei moribonda. Ah. Non porto le valige. Non sono un facchino.
Lei sorrise inconsciamente.
- Mi trova divertente? - Chiese Nok astioso.
- No, al contrario. – rispose lei seria. – Mi piacciono le persone schiette e sincere. Avevo letto di voi nani nei libri di scuola, del vostro aspetto e del vostro carattere. Se può farmi strada, messer Nok.
Lui grugnì e le fece strada per il corridoio e poi giù, lungo le strette scale a chiocciola che la portarono al secondo piano, e poi ancora lungo i corridoi senza finestre fino alla sua stanza.
- Non ci sono studenti?
- Certo che ce ne sono, signorina Strongmint. Ma le lezioni sono già iniziate, e nessuno esce o entra. La prossima lezione è tra circa un’ora. Lei ha anche Difesa dalle arti oscure, vero?
- Così mi hanno detto. Quello e Pozioni, oltre a tanto, tanto studio.
- Stia attenta a Mortunef. E’ molto potente. E non ama particolarmente gli stranieri.
- Mortunef?
- Il suo insegnate di Arti oscure e Difesa dalle arti oscure. Arrivederci. – disse con un inchino accennato il nano, chiudendo la porta.
Ellyson appoggiò la borsa sul letto spartano, come il resto della stanza.
Una fiaccola magica, come le altre presenti nei corridoi, illuminava la stanza. Una candela era infilata in una bugia di terracotta, appoggiata sulla scrivania. Una sedia, un piccolo armadio e un finto camino erano tutto ciò che formava il suo alloggio.
- Ho un’ora per prepararmi. Speriamo che mi basti per scegliere il vestito adatto.

Quando uscì dalla sua stanza, mancavano ancora alcuni minuti all’inizio della lezione. Invece che dirigersi verso la scala che l’avrebbe portata al terzo piano, la donna andò verso la sua destra. Una porta recava dipinto sul legno un libro aperto blu con sopra un arco verde, racchiusi in un cerchio giallo. Una runa era stata incisa e colorata di bianco sotto il simbolo della Casa di Ullrarc.
- Se non erro, è quella per indicare le donne. Deve essere l’entrata del dormitorio, come mi ha detto il preside. Dal poco che ho letto di Durmstrang, l’istituto dovrebbe essere composto da una struttura centrale di quattro piani con torri agli angoli, una per ogni Casa, un paio di piani più alte del resto del castello. E’ molto piccola rispetto a Hogwarts, e non accetta mezzosangue o figli di babbani. Da quel punto di vista io sono tranquilla. Il nuovo preside è pulito, nessun contatto con i Deatheater, ma direi che come carattere non ha nulla da invidiare al predecessore.
Un suono lugubre, come di un corno suonato in lontananza, giunse alle sue orecchie.
- E’ ora di andare.
Velocemente si diresse al piano superiore, iniziando ad incrociare studenti di vari anni e apparentemente di varie Case, che però non la degnarono di uno sguardo, come lei non degnò loro di attenzione. La veste le frusciava leggera alle caviglie, una versione modificata, in seta e velluto, della sua uniforme di Hogwarts, con in evidenza il simbolo della sua Casa. Voleva evitare il mantello, lo trovava teatrale in quella situazione, ma l’istituto era decisamente freddo, per cui lo aveva allacciato al collo e se lo teneva ben stretto con le mani, chiuso da sotto il petto in giù.
La porta dell’aula rossa era davanti a lei, riconoscibile dalla tintura che ne decorava la superficie di legno. Alcune voci si potevano sentire dall’interno, e solo pochi secondi dopo che l’ebbe richiusa alle sue spalle il corno risuonò nuovamente.
Dentro c’erano una trentina di alunni del secondo anno o del terzo, tutti vestiti nello stesso modo. Completo nero e gilet con pelliccia bruna o rossastra al collo e alle spalle. Ciò che cambiava era solo il colore. Vide molti gilet grigi con bottoni gialli, vari gilet rossi con bottoni marroni, e pochi altri con gilet verdi o bianchi con bottoni blu o arancioni. Le quattro Case, molto probabilmente. Di fronte a loro un uomo, alto e magro, con un completo identico a quello indossato dal preside, se non per la pelliccia, nera con macchie bianche.
- La signorina Strongmint, presumo. – disse l’uomo, dai lunghi capelli sciolti sulle spalle, leggermente mossi.
- Sì, professore.
- E’ perfettamente in orario per l’inizio della lezione. Io sono il Professor Mortunef, il suo insegnante di Difesa dalle arti oscure, e se la riterrò adatta, anche in rudimenti di Arte oscura. Per potersi difendere da qualcosa, è meglio prima sapere come colpire con la stessa cosa. Ma so che voi a Hogwarts avete un’idea diversa.
- Posso chiederle come mai sono in una classe del secondo o del terzo al massimo? Credevo che avrei fatto lezione con allievi del sesto o del settimo anno.
Mortunef rise, in un modo che la donna odiò immediatamente. La sua mano tremò verso la bacchetta.
- Mia cara, per quello che ne so, le conoscenze che vi danno quando uscite dalla vostra scuola sono equivalenti a quelle che qui diamo agli allievi del terzo anno. Ma se lei crede di poter fare di meglio, possiamo sempre controllare se mi sbaglio.
Ellyson usò quanto aveva appreso sulla Legimanzia, ma non riuscì a cogliere in lui nulla. Decise di stuzzicarlo.
- Come vorrebbe procedere? Un duello?
Lui sembrò soppesare la proposta, per poi estrarre la bacchetta, lunga e nodosa.
Ancora il vuoto più totale. Aveva lo stesso cervello vuoto e nero di un Infero.
- L’idea mi attira. – si rivolse alla classe. – Signori e signore, vi prego di disporvi lungo i bordi della stanza. La signorina Strongmint e io stiamo per farvi assistere ad uno scambio di opinioni e di conoscenze sui metodi di insegnamento di due scuole diverse. Nessuna regola, se non la proibizione degli Avada Kedavra o di altri incantesimi che possono provocare la menomazione o la morte del nemico. Scopo del duello rendere inoffensivo definitivamente il nemico. Ogni minuto che lei reggerà i miei attacchi lo considererò un anno della nostra scuola. Le sta bene?
- Credo di sì. Non credo di poter reggere davvero sette minuti dei suoi attacchi, ma farò il possibile.
Gli studenti si incollarono alle pareti.
Ellyson e Blakus Mortunef si posero al centro della stanza, le loro bacchette strette in mano, schiena contro schiena, quindi iniziarono a contare dieci passi, al ritmo di un passo al secondo. Al decimo si voltarono.
- Stupeficium!
- Protego! – gridò lei, mentre il colpo di luce rossa venne deviato contro il soffitto. Quasi istantaneamente anche il professore eresse un incantesimo Scudo.
- Siamo ad un punto morto, signorina. Nessuno dei due può lanciare un incantesimo senza abbassare il suo Scudo.
- Ha ragione. Siamo ad un punto morto. Si ricomincia?
- No, direi di no. Non esiste una battaglia che finisce alla pari. Deve esserci sempre un vincitore.
L’uomo abbassò il suo sortilegio e si avvicinò a lei fino ad essere bloccato dalla sua magia.
- Sono inerme. Ha paura di me?
- No. Sono prudente. E poi sono io quella che si deve difendere, no? Il tempo scorre, e così gli anni.
Lui socchiuse gli occhi fino a farli divenire due fessure, quindi rise.
- Ha ragione. Lamawandum.
La sua bacchetta tremolò, si allungò e si trasformò in una lucida spada. La sorpresa che l’atto aveva creato nella donna le fece perdere la concentrazione necessaria.
La lama penetrò l’incantesimo come se fosse burro mentre Ellyson si tuffava a lato, evitando il colpo di punta. Rotolò a lato e si rialzò, gettando due Schiantesimi che vennero evitati.
- Vedo che avete perso la concentrazione alla vista di un’arma diversa da una semplice bacchetta. E credo che lo rifarete, se dovesse succedere ancora.
In un attimo la spada si ritrasformò in bacchetta.
- Petrificus totalus.
Ellyson sentì il suo piede diventare insensibile e pesante. Era riuscita a schivare l’attacco, ma non del tutto. Ora doveva contrattaccare.
- Ma come? – si domandò lanciando un altro Schiantesimo che sfiorò l’uomo. – Non posso usare nessun incantesimo abbastanza potente da renderlo inoffensivo senza che si capisca che non sono chi credono. Ma non voglio nemmeno mettermi a giocare con questi poppanti. Inutile rigiocare lo Scudo, se lo aspetta e mi prenderebbe in contropiede se lo facessi verbale.
- Sei sbalordita? O spaventata? – la prese in giro. – Per ora hai avuto fortuna e sei arrivata quasi al terzo anno, ma non vedrai di certo il quarto. Expelliarmus.
La bacchetta le tremò nelle mani, e dovette usarle entrambe per non farsela scappare.
- Petrificus totalus. – ne approfittò lui, sorridendo.
L’incantesimo la colpì in pieno, bloccandola e rendendola rigida come una statua di pietra, le braccia lungo il corpo e le gambe unite.
Gli studenti si misero ad applaudire e a ridere, indicandola con il dito. Era furiosa, ma non poteva muoversi, la sua bacchetta ancora imprigionata nelle sue mani.
- Ora le mostrerò un altro trucchetto che ho imparato nei miei studi. Le prometto che non le farò nulla di male, o che non le farò fare nulla di troppo imbarazzante. Impero.
Il suo corpo si sollevò da terra, libero dalla paralisi, ma sotto l’influsso della magia oscura. Ripose la bacchetta in una delle tasche della veste da maga, si sistemò la gonna, spazzolandola con le mani, quindi fece un inchino al professore, sorridendo, sebbene gli occhi fossero stretti nello sforzo di resistere ai comandi e la sua mente fosse imperlata di sudore.
- Io non voglio obbedire. Io non voglio obbedire. – continuava a pensare.
- E’ inutile che si sforzi, signorina Strongmint. Una studentessa di Hogwarts non potrà mai battere un professore di Durmstrang. O anche solo uno studente del nostro istituto. E’ nella vostra natura. Voi inglesi siete sempre stati convinti di essere i migliori, di essere coloro che dettavano e dettano le regole, ma se vi fa comodo vi nascondete dietro alle stesse e a tutta la vostra pomposità per scampare alla sconfitta. – la sua voce si era alzata, infervorata dalla collera. – Voi dovete sempre avere ragione. Voi dovete decidere della vita di tutte le persone. Ma voi fate i prepotenti solo per un motivo. Voi non volete accettare di essere tutti solo dei codardi.
- No! – gridò con tutte le sue forze la mente di Ellyson, e la sua bocca si mosse per emettere lo stesso urlo, spezzando l’incantesimo.
Cogliendo al volo lo sgomento di Mortunef, la donna estrasse nuovamente la bacchetta e la puntò contro di lui, con un sorriso che avrebbe fatto spegnere l’Ardemonio.
- Crucio!
L’uomo cadde a terra, lasciando la bacchetta, che rotolò lungo il pavimento fino ad essere fermata dal piede della maga. Il corpo del professore si contorse, come colpito da mille spilli nei nervi, la bocca spalancata in un muto urlo di dolore così forte che lo aveva lasciato senza fiato. Dopo alcuni secondi si raggomitolò in una posizione simile a quella fetale, le membra squassate ancora dall’incantesimo, gli occhi chiusi e lacrimosi, la bocca singhiozzante.
- Professor Mortunef! – gridarono gli studenti, chi di spavento, chi di sorpresa.
Un paio di ragazze erano in lacrime.
- Non avrà nessun danno permanente, tranquilli. – disse loro Ellyson, aiutando l’uomo a rialzarsi. – Questo è quello che capita con una Maledizione senza perdono. Non ne avevate mai vista una, vero?
Gli alunni negarono scuotendo la testa.
- Come si sente? Riesce a camminare? – chiese cordiale.
- Credo… credo di sì. Sono stato cruciato altre volte, ma lei ha un vero talento, signorina Strongmint. Un vero talento. – borbottò, reggendosi pesantemente a lei, le gambe tremanti.
Inspirò profondamente e si rimise dritto. Era pallido, ma si era ripreso abbastanza.
- Ringraziate la nostra ospite per una superba dimostrazione sia di Difesa che di Arti oscure.
- Grazie, signorina Strongmint. – risposero in coro i ragazzi.
- Non era nulla di personale, professore.
- Al contrario. - sorrise lui. – Lei voleva davvero farmi del male, o avrei al massimo avuto le vertigini. Devo averla punta sul vivo. Sarei curioso di sapere quale delle mie motivazioni l’hanno spinta a reagire al mio controllo.
- Lei lo ha fatto apposta?
- Certo. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che stuzzico uno studente. Volevo vedere fin dove poteva o voleva spingersi. Si da il meglio sotto tensione. Lei ha resistito quattro minuti, ma direi che, con la sua ottima esecuzione di una difficile maledizione, può passare a frequentare le lezioni del settimo anno. Credo le troverà estremamente interessanti.
- Sarò felice di seguire le sue lezioni, professore. – rispose sincera. Si era stupita di come quell’uomo l’avesse presa in giro. La sua Occlumanzia era notevole, se nemmeno lei aveva potuto penetrarvi prima dell’inizio del duello per capire cosa voleva da lei. – Sarà sicuramente istruttivo come corso di Difesa dalle arti oscure.
Lui la guardò sorridendo.
- Mi scuso, forse mi sono espresso male. Lei frequenterà anche le lezioni del settimo anno di Arti oscure.
Un mormorio di sorpresa si sollevò nell’aula, e fino alla fine della lezione gli occhi degli studenti erano tutti su di lei, che si pose in un angolo e ascoltò distrattamente i metodi migliori per addomesticare un lupo mannaro.

- Nessuna lezione fino a domani. Ho un po’ di tempo da dedicare alla mia missione per il caro signor Potter. – pensò, tornata nella sua stanza per rinfrescarsi.
Decise di esplorare quanto possibile il castello, per avere un’idea di dove si trovava e di come muoversi facilmente, oltre che per controllare le eventuali misure di sicurezza.
- Spero vivamente di non averne mai bisogno durante il mio soggiorno, ma meglio essere previdenti. – si disse, iniziando a scendere la scala a chiocciola più vicina che portava al piano terra.
La sala dove arrivò era ampia e illuminata in maniera migliore rispetto ai corridoi e alle stanze o alle aule. Aveva un soffitto relativamente basso, ben lontano dall’ampio cielo stellato di Hogwarts, ma a suo modo era affascinante, con una stupenda mini aurora boreale che si muoveva lentamente, cambiando il colore dal verde chiaro fino al rosa in lontananza, vicino al portone a due battenti dell’entrata, davanti a lei.
Quasi nessuno era in giro. Alcuni studenti del sesto o del settimo anno si mossero in gruppo da una porta ad un’altra, persi in un fitto chiacchierio relativo ad una materia di cui Ellyson non capì il nome. Quattro porte erano chiuse ai quattro angoli della grande stanza, ognuna con il simbolo di una delle quattro Case. Si avvicinò a quella che già conosceva, osservandola da vicino. Non c’era alcuna runa incisa o colorata.
Si avvicinò di più per vedere se per caso poteva entrare.
- Ha bisogno di qualche cosa? – chiese una voce profonda alle sue spalle.
Lei sussultò impercettibilmente e si voltò.
- Chi?
- Credo di averla spaventata e me ne rammarico, signorina Strongmint.
- Come fa a conoscere il mio nome?
L’uomo di fronte a lei, magro e alto, sorrise in maniera gentile. Era calvo, con occhi piccoli e scuri sotto folte sopracciglia brune spruzzate di bianco a causa dell’età.
Come tutti gli allievi e studenti di Durmstrang, indossava un completo nero, con stivali al polpaccio in cuoio stringati e un gilet abbottonato. Nel suo caso, verde con bottoni blu scuro, bordato di pelliccia maculata. Le mani erano curate, leggermente scure sui polpastrelli, come sporche di qualcosa di nero o di marrone cupo.
- Non è stato difficile. Lei è l’unica che non è vestita come tutti gli altri studenti, e che io sappia non ci sono altri scambi culturali. L’ultimo studente di Beauxbatons è stato qui un paio di anni fa. Io sono Hans Blauditof, Serragente dell’Orda di Ullrarc.
- Lieta. Io sono… beh, sa chi sono. Posso chiederle alcune informazioni, se non le è di troppo disturbo?
- Chieda pure.
- Lei ha appena detto due parole che non riesco a capire, o che perlomeno non sono sicura di aver capito correttamente. Serragente e Orda. Cosa sarebbero?
- Vedo che a Hogwarts non avete “Storia e costumi di Durmstrang”.
- Credo che lo abbiano, ma io beh… non amo la storia.
- Una più pratica che teorica, dunque. Eppure le piace applicarsi nello studio, o non sarebbe arrivata a fare quello che ha fatto al professore di Difesa dalle arti oscure.
Lei arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo.
- Le voci girano alla svelta. Qui soprattutto. Comunque, tornando alla sua domanda, i Serragente sono quello che voi chiamate Responsabili delle Case, che da noi si chiamano Orde, in onore dei nostri antenati, guerrieri ed esploratori armati. Siamo assieme responsabili e mascotte dei nostri studenti, un compito che ad Hogwarts è svolto dai fantasmi. Inoltre noi, come i Gargoyles di Beauxbatons, custodiamo le armi simbolo delle nostre Orde. Lei è una Slytherin, vero?
- Sì, lo ero quando frequentavo la scuola. E lo sono tutt’ora, almeno nello spirito.
- L’ho immaginato, dai colori che lei ha scelto. In qualche modo la sua Casa è molto simile a quella a noi vicina. – disse indicando con la mano una porta dietro di loro, con un simbolo apparentemente bianco e rossiccio. – Lokithryk, i Mutevoli.
- Lo ha detto con un tono strano. – esclamò lei, leggermente sulla difensiva. Si sentiva offesa.
- No, no. Assolutamente no. Noi Serragente siamo la quintessenza di ciò che rappresenta l’Orda. E’ ovvio che consideriamo la nostra la migliore e le altre un gradino almeno sotto di noi.
- A Hogwarts siamo tutti così, non solo i responsabili.
- Capirà quindi – continuò come se lei non avesse parlato, come un professore che espone la sua lezione indifferente ai brusii della classe. – che per degli studiosi e altruisti come noi avere nella stessa scuola persone in qualche modo egocentriche e profittatrici, oltre che dedite all’astuzia se non all’inganno per raggiungere i loro scopi non ci fa molto piacere.
- Concordo sull’astuzia, ma non sul profittatore. – si impuntò lei, sebbene in cuor suo sapeva che era praticamente la sua descrizione.
- Oh, ma mi riferivo ai Mutevoli, non ai membri della Casa di Slytherin. – subito precisò l’uomo. - Facciamo due passi, se non le dispiace. Ho ancora del tempo libero prima che arrivino gli studenti per il cambio delle lezioni, e la vita qui a volte è molto noiosa, senza un buon libro da leggere o qualcosa da imparare.
Lei annuì, camminando lentamente al suo fianco. Si diressero verso la porta che il Serragente aveva indicato prima, passando accanto alla scala da cui era scesa.
- Come vede ognuna delle quattro torri ha un ingresso nella sala comune, ovvero questa dove ci troviamo. Esso è l’unico ingresso che porta ad una sorta di salotto dove gli studenti possono chiacchierare o studiare senza che altri delle Orde rivali vengano a disturbarli. Per entrarvi bisogna essere dell’Orda, nessuna parola d’ordine o altro come ad Hogwarts. E’ la porta stessa che riconosce l’appartenenza in modi che noi non siamo tenuti a conoscere. Al piano superiore ci sono la sala da pranzo e la biblioteca. Al secondo piano aule e i dormitori femminili, al terzo ancora aule e i dormitori maschili, separati da quelli femminili e dove ho la mia stanza. All’ultimo ci sono le stanze degli insegnanti e del rettore.
- Sembra diviso in maniera lineare e molto semplice.
- E così deve essere. Siamo gente semplice, tutto deve essere semplice. Ma non scambi semplicità con stupidità. – la guardò come a cercare una sua reazione, che non avvenne. – Siamo da quasi un millennio in questa scuola, e siamo sempre rimasti padroni della stessa.
- Cosa che non si può dire di noi, eh? – scappò ad Ellyson.
- Effettivamente. Ma quello di negativo che è successo va al più studiato per evitare che riaccada, non recriminato. Non serve a nulla.
- Concordo.
- Ne ero sicuro. – sorrise cordiale lui.
- Lei ha citato due delle Case… mi scuso, Orde, di Durmstrang. Quali sono le altre due?
Lui si fermò.
Erano quasi di fronte alla porta di Lokithryk. Il simbolo era una volpe bianca che sembrava a suo agio su un letto di guizzanti fiamme arancione, create da una pira di legno dello stesso colore delle fiamme.
- Ah, già, le altre due nostre sorelle. Una è Tyrswurd, di cui hai già conosciuto un esimio rappresentante, il Professor Mortunef. Sono gente schietta, nati per la guerra e per l’azione. Temibili come nemici, si impara a stare attenti ad averli come alleati. A volte tendono un po’ ad essere trascinati dalla foga della battaglia. Devono avere del sangue di nano nelle vene.
- Sangue di nano?
- Scherzo, ovviamente. Nessun Mezzosangue può entrare a far parte di Durmstrang. Lei è una Sanguepuro?
- Ci sarebbero problemi se non lo fossi? – chiese lei dura.
- No, naturalmente no. Lei comunque non è un’allieva di Durmstrang, ma di un’altra scuola.
- Comunque, per cronaca, sono una discendente di una vecchia famiglia di maghi, da almeno una decina di generazioni.
- Ha quindi un elfo domestico? Uno di quegli esseri spregevoli, ma estremamente utili?
- Ne ho uno, ma non lo definirei spregevole. Non più di molti esseri umani che ho incontrato.
Lui rise, e ricominciarono a camminare.
- Il simbolo dei Berserk, come li chiamiamo, è una spada rossa incrociata con un’ascia a due lame marrone. Molto grezzo ed estremamente simile ad alcuni simboli babbani. Laggiù, all’estremità sinistra rispetto all’entrata, c’è la porta di accesso della loro Orda.
- Immagino quindi che l’ultima Orda abbia come simbolo un braccio grigio che regge pronto a scagliarla una lancia dorata?
- I Wotenspaar. I nostri nemici, se possiamo chiamarli così. Sono molto simili a noi nella ricerca della conoscenza e del potere derivante dalla magia, ma al contrario nostro essi lo cercano per poi usufruirne a loro uso personale.
- Simili quindi ai Lokithryk, se non ho capito male.
- No. Loro lo cercano per sfruttarlo senza guadagnarci direttamente, mentre loro vendono la loro conoscenza. Da quell’orda, i Mercenari, escono tutti i costruttori di bacchette. Conosce certamente Gregorovitch.
- Il famoso costruttore di bacchette? Certo, anche se solo di nome.
- E’ stato un eccellente allievo dell’orda di Wotenspaar. E’ stata una grande perdita per noi e per il mondo magico. Ora dobbiamo spesso rivolgerci a rivenditori di bacchette di altri paesi, e molte vengono dal vostro costruttore, Ollivander.
- Lo dice come se non approvasse.
Lui tossicchiò, prima di fermarsi e fissare il portone di ingresso.
- Diciamo che sono costruite in maniera diversa da quelle che creava lui. Più sottili, più leggere. Non sempre adatte per gli studenti di Tyrswurd, irruenti, soprattutto quando la usano come arma.
- Ho notato. Che incantesimo ha usato il Professor Mortunef per trasformare la bacchetta in un’arma? Non credo sia Trasfigurazione.
- Una sorta. Non conosco come facciano, è un potere che ottengono solo quelli dell’Orda rossa. Ognuno di noi ha un beneficio particolare, al contrario delle Case di Hogwarts.
- Interessante.
- Ma credo che sarà più interessante scoprire altre cose leggendo il libro sulla nostra storia che troverà in biblioteca. Anzi, farò in modo che il suo nano, Nok, gliene porti una copia nella stanza.
Il lugubre suono del corno risuonò nell’aria.
- E’ ora che io mi congedi da lei, signorina Strongmint. Se ha altre domande, non esiti a chiedere. Sarò sempre lieto di risponderle.
Lei accennò un inchino, rimanendo poi ferma vicino al muro, mentre vari studenti comparivano e si muovevano su e giù dalla scala, dentro e fuori le porte delle loro Orde. Nessuno la notò, se non per un’occhiata di sfuggita, e nessuno si diresse verso il portone di ingresso, sovrastato dallo stemma che aveva visto nell’ufficio del preside, molto più grande, come se fosse stato creato con armi reali e un enorme scudo vichingo.
Forse era il momento di fare un giro fuori per vedere i dintorni.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il vento soffiava forte e cattivo oltre il portone di ingresso di Durmstrang.
Era gelido, tagliente come vetri scheggiati, e penetrava nella pelle del viso come uno schiantesimo, ma più freddo e sinistro.
- Come lo sguardo dell’Oscuro Signore. – pensò Ellyson, calandosi il cappuccio meglio attorno alla testa. – Impervius.
Il freddo diminuì leggermente, diventando a malapena sopportabile.
Le pesanti ante del portone si richiusero dietro di lei, lasciandola sola in una sorta di inferno al contrario, bianco e abbagliante.
Un angolo della mente le suggerì il Cocito.
Era silenzioso, se si escludeva il sibilo del vento negli alberi della vicina foresta che sembrava avvolgere tutta attorno la scuola. Una strada era segnalata solo da un livello poco più basso dello spesso manto di neve che ricopriva qualsiasi cosa.
- Almeno non nevica, adesso. – si disse vedendo che l’orlo del suo mantello si era già colorato di macchie bianche mentre si muoveva di alcuni passi lungo la strada. Si voltò indietro. Le sue orme si stagliavano nitide, indicando chiaramente il percorso che aveva compiuto.
Sarebbe stato difficile nascondere le tracce.
- Forse un incantesimo di levitazione, ma sarebbe più sospetto che il contrario. Sto solo facendo un giro spinta dalla curiosità di scoprire cosa c’è attorno alla scuola di Durmstrang. Sono una studentessa appena giunta, no? – si disse.
Per prima cosa, con la neve che le lambiva metà del polpaccio ad ogni passo, la donna si era mossa verso il cancello di entrata, seguendo la strada, che si mostrava larga abbastanza da poter far passare una carrozza come quelle che sapeva esserci a Beauxbatons. Dietro la curva che piegava a destra, fiancheggiata da alti alberi, un muro apparve a cingere la tenuta, perdendosi nel bianco cosparso di verde cupo delle foglie dell’ambiente circostante.
Ellyson riusciva dalla sua posizione, proprio a metà della curva, ad intravedere un cancello massiccio, di metallo, creato con quelle che sembravano lance e altre armi metalliche, oltre che da travi e scudi rotondi. Era rosso, come se fosse stranamente arrugginito, ma qualcosa oltre che al colore attrasse la sua attenzione.
Attorno al cancello e su di esso la neve non si era posata, mostrando una piccola zona di terreno marrone. Decise di avvicinarsi, incuriosita. Ad una decina di metri capì che il cancello non era per niente trascurato o arrugginito. La tinta era data dall’intenso calore che emanava, e che lo aveva reso incandescente. Ovviamente si trattava di magia, ma non ne capiva lo scopo. Cosa poteva importare se un cancello si copriva di neve?
Una protezione per il metallo? Le pareva assolutamente improbabile. I babbani avevano trovato metodi molto validi anche senza la magia.
Un sistema di difesa? Ne aveva visti di migliori e di meno appariscenti.
Era perplessa. Decise di non avvicinarsi oltre. Gli gettò un’ultima occhiata in parte curiosa, in parte sospettosa e si voltò.
- Per i gioielli di…
- Espressione alquanto colorita. – osservò Nok. Era di fronte a lei, arrivato alle sue spalle senza fare il minimo rumore. – Cosa ci fa qui fuori? Non è una cosa salutare per lei.
- Nemmeno comparirmi all’improvviso alle spalle è salutare per il mio cuore.
- Ne avete uno voi maghi? Mi risulta una novità.
- E lei ha fatto un corso di umorismo inglese? Non mi risulta nelle capacità proprie dei nani.
Lui accennò un sorriso sotto la folta barba.
- Stia attenta al cancello.
- Ho visto. Scotta, eh?
- Decisamente. Ma non è certo il suo calore ad essere il suo pregio migliore.
- Ovvero?
- La curiosità non è materia di studio né a Durmstrang, né alla sua scuola, signorina Strongmint.
- Ma sfortunatamente è parte integrante del mio carattere.
- Capisco. Credo allora che troverà Durmstrang abbastanza stimolante per il suo carattere.
- Tipo il cancello?
- Anche quello, ma lascerò che si diverta a scoprire altro dello stesso senza il mio aiuto.
- Mi stava seguendo?
- Non proprio. Non l’ho trovata nella scuola, e ho pensato che fosse fuori a prendere una boccata d’aria. Non sapevo dove trovarla, ma ammetto che le tracce da lei lasciate sono difficilmente non notabili. Ho immaginato che a questo punto potrebbe gradire un giro… turistico.
- Come mai così gentile nei miei confronti? Non mi pare di ricordare che tra maghi e nani ci fossero così buoni rapporti.
- Verissimo. – rispose lui accendendosi una corta e tozza pipa che sbuffò un paio di volte un fumo quasi verdognolo e dall’odore pungente. Si voltò, ripercorrendo lentamente la scia nella neve che la donna aveva lasciato. Non stava lasciando segni ulteriori. Lei iniziò a seguirlo. – Ma mi è stato affidato il compito di prendermi cura di lei, ed evitare che venga uccisa dai cavalli nella stalla o che si perda nella proprietà fa parte dei miei compiti.
- Uccisa?
- Decisamente lei non si è documentata. E’ davvero sicura di essere una studentessa?
- Attualmente non lo sono. Lo ero. Sono stata studentessa per sette lunghi anni, e poi ho trovato un posto come ricercatrice di pozioni presso il Ministero della Magia. Non ho mai perso i contatti con Hogwarts, e quando hanno detto che potevo venire qui come studentessa e imparare qualcosa di nuovo, non ho potuto fare a meno di accettare.
Il nano annuì distratto. Erano tornati davanti al portone d’entrata.
- Andiamo verso le stalle.
- Avete molti cavalli?
- Nemmeno uno, signorina Strongmint.
- E quindi cosa tenete nella scuderia? Blast-Ended Skrewt?
- Ne ho sentito parlare, ma no. Abbiamo animali molto utili per muoversi nella neve, e decisamente meno rumorosi anche se altrettanto pericolosi. Voi avete i Thestral, che fanno una certa impressione sia vederli che non vederli mentre muovono una carrozza. Qui sarebbero massacrati in poco tempo. Troppa poca protezione sia dal freddo che sicuramente dagli animali che popolano la zona. Qui abbiamo dei Daymare.
- Daymare?
- Esattamente. Forse voi maghi li conoscete con il nome scientifico di Carnistraptus Octopedensis. Sono una sottorazza di quelli che vengono comunemente chiamati Nightmare, i Demonictamovens Tetrapedensis.
- Se sono solo parenti alla lontana dei Nightmare, direi che ho dei buoni motivi per stare alla larga dalla stalla. – sorrise, per poi aggiungere a bassa voce. - Ho già abbastanza problemi con i miei di incubi (Nota 1).
Lui la guardò.
- Possiede una scuderia?
- Non proprio. – brontolò.
Camminarono in silenzio per alcuni minuti alla destra dell’entrata, girando attorno alla facciata di quello che sembrava decisamente un grande mastio medievale. C’erano poche finestre, le mura erano massicce e ricoperte di neve e ghiaccio, che sembrava ormai fissato alla pietra da anni, se non da secoli. Ellyson aveva sfiorato la parete mentre camminava.
Era ghiacciata, e liscia come uno specchio. Sicuramente non poteva scalarla senza l’ausilio di magia, in caso di necessità, e se come immaginava, anche in Durmstrang c’erano le stesse protezioni che in Hogwarts, quella parete era un quasi perfetto sistema di difesa.
- Abbiamo creato Durmstrang con i maghi, secoli fa. Resisterà molto di più della vostra fragile scuola, non si preoccupi.
- Hogwarts non è esattamente quello che definirei fragile. Ha resistito in buona parte anche alla guerra con i Deatheater.
- Giochini tra bambini che credono di fare i grandi. – borbottò Nok, sbuffando del fumo puzzolente dalla pipa. – La vostra scuola è fragile, e senza uno scopo.
- Forma maghi in grado di gestire potenti magie. Direi che ha uno scopo. – rispose piccata lei, tentando di sembrare credibilmente stizzita. Stranamente non dovette fingere troppo.
- Come lei desidera. – concluse lui, accondiscendente, come un padre verso sua figlia piccola mentre dice una bugia innocente.
Girarono attorno all’angolo curvo formato dalla torre dei Tyrswurd, e furono colpiti dal freddo vento che calava dalle montagne in lontananza, soffiando ancora più forte che all’entrata, fischiando negli alberi del bosco che si stendeva dietro una bassa costruzione in parte costituita di legno, in parte di pietra, e ricoperta in più punti di neve e ghiaccio.
- La stalla è quella? – chiese lei.
- Esattamente.
Dall’interno, sebbene mitigati e modificati dall’ululo del vento, arrivavano alle sue orecchie degli strani versi e degli schiocchi che non piacquero assolutamente a Ellyson.
- Vuole entrare o preferisce stare fuori? Non è obbligatorio per il giro turistico, ma credo che troverà questi animali molto interessanti, e stia sicura che se rimarrà qui per un po’, li utilizzerà, se non altro per andare al vicino villaggio durante una delle poche giornate libere che Durmstrang concede.
- Una sorta di Hogsmeade, insomma.
- Mi scusi? – chiese lui, mentre poggiava una mano sulla maniglia di metallo scurito dal tempo. La porta di legno era massiccia, con pesanti cardini esterni.
- E’ una cittadina dove a volte gli studenti di Hogwarts vanno per svagarsi. Due dolcetti e una buona burrobirra sono l’ideale per distrarsi dopo mesi di studio.
- Allora è qualcosa di simile. Ma senza nessun mago. E’ una cittadina babbana, come la chiamate voi, ma comunque funge allo scopo di distrarre gli studenti. Entriamo? I Daymare sono innocui quando hanno mangiato.
Lei annuì, muovendo, senza volerlo, la mano alla bacchetta che riposava alla cintura quando la porta si aprì e il calore all’interno la colpì al volto assieme all’odore di sangue stantio ed escrementi di cavallo.
Il pavimento interno era ribassato, e per raggiungerlo dovette scendere cinque scalini di pietra, scivolosi e consumati dal tempo. Davanti a lei, poco distanti, c’erano i Daymare. Belli e terribili.
- Fortunatamente sono fuori dalla portata dei loro denti. – pensò mentre li osservava senza però soffermarsi su nessuno di loro in particolare, come a non attirare l’attenzione su di sé.
- Non si preoccupi. Come le ho detto, sono innocui dopo aver mangiato.
- E come è sicuro che siano sazi?
Lui la osservò un secondo, una strana smorfia nella barba, come un sorriso. Si chinò, afferrando un pezzo di osso spesso e pesante a cui era attaccata ancora della carne di cui non volle immaginare nemmeno la provenienza, e lo lanciò vicino ad uno degli animali, che voltò interessato il muso verso la carne sanguinolenta, mostrò la fila di denti aguzzi nella grande bocca equina, poi tornò ad interessarsi di un suo simile, probabilmente una femmina, leggermente più bassa e meno muscolosa.
- Ho dato da mangiare io stesso a questi simpatici animali.
- Simpatici non mi sembra il termine più adatto. – mormorò lei.
Erano apparentemente cavalli. Bianchi, dal pelo liscio e compatto, con il muso lungo e sottile, gli occhi scuri e molto intelligenti, la coda lunga e fluente. Erano le altre caratteristiche a rendere i Daymare molto particolari e decisamente non normali equini. La bocca era piena solo di canini, la lingua nera, lunga e scivolosa, come squamata, mentre le otto zampe dotate di artigli grattavano incessantemente la superficie di pietra ormai macchiata perennemente dal sangue dei loro pasti e dal marrone dei loro rifiuti.
Ellyson notò con orrore che poco lontano da lei, seminascosto dagli altri animali, un cadavere di Daymare mostrava chiari segni di cannibalismo.
- E lui?
- A volte capita. Esemplari deboli, o vecchi. Ci sono forti scontri tra i vari membri per decidere la gerarchia. Alcuni ci lasciano la pelle.
- E’ orribile.
- E’ la legge della natura. Sono nati millenni fa, e sono sopravvissuti fino ad ora non certo perché hanno vinto dei concorsi di bellezza.
Lei osservò il nano, non sapendo se apprezzarlo o odiarlo per la sua schiettezza e quel suo strano senso dell'umorismo.
- Non vedo selle o altri finimenti. – disse, cambiando argomento.
- Non li accettano. Sono animali orgogliosi. Altrimenti Odino non li avrebbe scelti come sua cavalcatura. Ognuno dei cavallerizzi ha il suo Daymare personale, a cui impone un nome, conquistando la fiducia dell’animale col tempo e con molta fatica. Per chi non può, per un motivo o per un altro, ci sono le slitte, a cui sono attaccati con magie speciali.
- Capisco. – mormorò distratta.
La puzza di sangue rappreso e stantio iniziava a darle alla testa. Respirava velocemente, piccoli singulti. Un conato di vomito iniziò a muoversi sul fondo dello stomaco.
- Possiamo uscire?
- Certamente. Mi aspetti fuori. Saluto un mio caro amico e arrivo.
- Scusi?
- Sleipnir il capobranco. Lo curo da anni. E’ il Daymare personale del preside. Se guarda in fondo, dopo quello che ha una piccola macchia nera sul dorso…
Ellyson non potè rimanere oltre, correndo fuori a respirare le fredde lame di ghiaccio che il vento portava con sé, benedicendole, benedicendone il dolore nei polmoni che portò via quell’odore che tanto le ricordava un altro troppo simile.
Fu raggiunta da Nok nemmeno un minuto dopo.
- Mi… mi scuso.
Lui alzò la mano, tranquillo.
- A volte succede. Vuole continuare o preferisce che la riporti alla sua stanza?
- No grazie. Posso continuare. Non amo l’odore del sangue, né la sua vista.
- Nessuno di noi lo ama. Non io, almeno. – Tirò una lunga boccata con la pipa, per poi far uscire il fumo dalla bocca in grossi anelli che si persero immediatamente nel vento. – Ora le mostrerò un posto che credo troverà più ameno, o perlomeno più famigliare. Se non erro avete un lago anche voi, a Hogwarts.
- Sì. E’ abitato da tritoni, sirene e da una piovra gigante. Ne avete anche voi?
- Troppo freddo per esseri di quel genere. Abbiamo alcune sirene, ma si vedono raramente. Preferiscono stare sul fondo, dove l’acqua è meno fredda.
- Credo bene. Ma quindi il lago è disabitato? A parte le poche sirene, intendo.
- Praticamente sì. Sebbene non sia esattamente un lago, quanto piuttosto un enorme pozzo. E’ collegato con il mare, a chilometri da qui.
- Un bel condotto, direi.
Già. – sbuffò lui, mentre ricominciavano a camminare, allontanandosi dalla scuola e dalla scuderia. Il vento si era rinforzato, e una leggera neve iniziava a cadere, portata dall’aria. – Brutto tempo. Sta peggiorando velocemente.
- Vedete spesso il sole da queste parti? – chiese la donna, domandandosi se il suo incantesimo di protezione fosse scomparso. Il gelo le penetrava nelle ossa dolorosamente.
- Non molto, ma siamo abituati. Non ama la neve?
- Mi piace, ma a piccole dosi. Credo che qui farò una scorta che mi basterà per tutta la vita.
- Se mi permette un consiglio, si trovi dei vestiti più pesanti, o impari alla svelta dei buoni incantesimi di protezione. Chieda al Professor Mortunef, nel caso non ne conosca di potenti. La potrà aiutare.
- Arte oscura per proteggersi?
- Se può fermare degli Schiantesimi, perché non il freddo? – domandò come se lei avesse fatto una domanda idiota.
- Prima proverò con alcune pozioni che conosco, e di cui ho gli ingredienti.
Lui annuì.
La neve aumentò in dimensioni e quantità. Il cielo era scuro, nuvole si muovevano veloci e dense, cariche di fiocchi e di lampi.
Un tuono ruppe il sibilo del vento per un secondo.
Nok si fermò, come se stesse ascoltando qualcosa. Ma c’era solo il vento.
- Devo interrompere il giro turistico, signorina Strongmint. La prego di ritornare al suo alloggio, dove troverà una copia della storia di Durmstrang. Non esca dalla scuola finché questa tempesta non sarà passata.
- Cosa è successo? Cosa…
- Rientri, la prego. – le disse, per poi correre via, inghiottito dalla tempesta che stava crescendo in intensità di secondo in secondo.




Nota 1: Incubo in inglese si dice Nightmare, per cui Nok, in caso come posso immaginarmi, parli in inglese con lei, quando sente Ellyson dire che ha già abbastanza incubi, lui intende i Nightmare. Scusate, gioco di parole idiota basato sulla lingua inglese...

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La donna rimase alcuni secondi ferma all’esterno, sotto la neve che cadeva sempre più intensa e il vento che superava la protezione dell’incantesimo Impervius.
Tremò mentre si stringeva il mantello attorno al corpo.
- Credo che seguirò il tuo consiglio, Nok. – disse al vento, dirigendosi verso il portone di ingresso della scuola. – Forse del tutto, forse solo in parte.
Già alcuni metri prima di giungere a toccare la pesante maniglia d’ottone sentì all’interno del trambusto, un brusio confuso, ma abbastanza forte da sovrastare il fischio cupo del vento.
Un tuono risuonò lontano, poi una altro, più vicino.
- Entro, entro. E’ inutile brontolare. - mormorò.
Aprì, richiudendolo velocemente con un tonfo attutito, il portone alle sue spalle.
Dentro il caldo la colpì quanto il freddo aveva fatto fuori appena un attimo prima. Le gote le si arrossarono. Si tolse il mantello, piegandolo sull’avambraccio sinistro dopo averlo scosso un istante. La poca neve che si staccò si sciolse immediatamente sul pavimento di pietra scura.
Tutti gli studenti in vista erano evidentemente in agitazione, correndo a destra e a sinistra, urlando parole sconnesse o borbottando tra di loro mentre le sfrecciavano accanto, lanciando a volte piccole grida come facevano i tifosi di Quidditch mentre si dirigevano alla partita più importante della stagione. La maggioranza delle persone sembrava convergere verso i piani superiori, accalcandosi e spintonandosi, senza distinzione di età o Orda.
Con calma studiata, come se lei fosse estranea a quanto le stava accadendo accanto, anche Ellyson si incamminò sulle stesse scale che aveva disceso prima di uscire, mentre decideva se godersi un bagno profumato nella sua stanza prima di riposare, oltre che leggere davvero, forse per la prima volta nella sua vita, un libro che parlasse di storia di una scuola di magia, o se scoprire il motivo di tanta agitazione in un’istituzione fino a pochi minuti prima così pacata e disciplinata.
Davanti alla sua porta si decise, aprendola e richiudendola immediatamente dopo essere entrata.
Appese il mantello all’attaccapanni sul muro di sinistra, poco prima dello stretto e corto tavolino che fungeva da scrittoio. Alcune gocce erano sospese sull’orlo inferiore dell’indumento come indecise se cadere o meno.
Un tomo scuro, la pelle della copertina e della costa lisa e a tratti lucidata dall’uso e dall’usura, era stato posato sulla scrivania, spostando la bugia.
La stanza era fredda, ma l’Impervius ancora presente su di lei era sufficiente.
Al resto, quella sera, avrebbero pensato le pesanti coperte che erano state sistemate sul letto.
Ellyson sfiorò il libro. In caratteri che ricordavano le rune, il titolo color panna recitava “Origini e storia dell’istituto di magia di Durmstrang”, seguito da un impronunciabile autore e da vari collaboratori ancora meno facili da leggere. Lo sfogliò distrattamente con la sinistra, mentre con l’altra mano muoveva la bacchetta, facendo asciugare il mantello, che emise un piccolissimo sbuffo di vapore.
Un’ultima stretta alla fascia che le legava i capelli ed era pronta ad uscire. Il trambusto non accennava a diminuire, come d'altronde la sua curiosità.
Appena lasciata la stanza fu immediatamente colpita da uno studente del primo, forse del secondo anno.
- Cerchi qualcosa? – chiese lei tentando di apparire gentile e tollerante, ma la sua voce giunse gelida, mentre l’adolescente, per allontanarsi da lei, aveva posato senza volerlo le mani sui suoi seni.
Lui arrossì e scosse la testa, ma le mani non si mossero.
- Hai un secondo, e poi un Avada sarà tutto ciò che desidererai. – gli sussurrò sorridendo.
Il giovane biondo, con i capelli a spazzola, dell’Orda di Tyrswurd, ritrasse le braccia dietro la schiena.
- Scusi.
Lei non si degnò di rispondergli, guardandolo con sufficienza. Alzò un sopracciglio.
- Dove state correndo tutti?
- Al piano di sopra, al terzo. – balbettò lui, visibilmente spaventato.
- Motivo.
- Scusi?
- Motivo. Perché? O ti devo fare uno schemino esemplificativo?
Lui scosse il capo, gli occhi sgranati.
- C’è un duello. Un vero duello, mica uno di quelli autorizzati. Tra due del sesto anno dei Saccenti. Non ne ho mai visti di veri.
- Un duello, eh? Sembra interessante. Vai.
Lui accennò un inchino e fuggì via.
- Saccenti? Saranno gli Ullrarc. Un duello di magia. Ne ho fatti un paio anche io a Hogwarts, ma qui sembra tutto più rude e pericoloso. Chissà come sarà?
Si mosse lungo i corridoi e le scale, seguendo e superando varie persone, tra cui alcuni professori, che parevano interessati o divertiti, ma sicuramente non seccati per il duello non autorizzato, finché il rumore e le urla furono tanto forti da farle capire di essere arrivata.
La porta della stanza era aperta, e il locale era stipato di persone, sebbene un ampio spazio al centro era vuoto, una sorta di arena improvvisata per i due contendenti.
- A che punto sono? Non vedo! – chiese una ragazza di Ullrarc vicino a lei, bassa di statura.
- Sono ancora alle scaramucce. Solo schiantesimi e poco altro. Si stanno studiando. E non sarebbe diversamente, con due professori a guardare.
- E loro non dicono nulla? –chiese Ellyson al ragazzo che aveva appena parlato.
- Non esattamente. – rispose lui. – E’ improvvisato, non autorizzato, come si dice in altre scuole. Come la tua. Sei quella di Hogwarts, esatto? Impara, qui si fa sul serio.
Lei irrigidì i muscoli della mascella.
- Esatto sono… quella… di Hogwarts.
- Già. Qui da noi se fai un duello non autorizzato, poi vieni punito, ma solo se rimani vivo. Normalmente sono all’ultimo sangue. Devi uccidere l’avversario, ma senza usare l’Avada. A volte, in casi particolarmente fortunati, per la bravura eviti anche la punizione, o ne fai davvero una lieve.
La donna era sconvolta da quello che aveva appena sentito, soprattutto dalla leggerezza con cui si era parlato di uccidere una persona.
- Che queste persone non sappiano cosa voglia dire il rispetto della vita umana e la sua importanza? – si chiese, fissando distrattamente il ragazzo davanti a lei, che si era voltato nuovamente ad osservare il duello, mentre altri studenti si stavano assiepando alle sue spalle, accalcati come se stessero per assistere alla finale mondiale di quiddich. – Le scuole di magia sono cadute così in basso da quando le ho frequentate io? Certo hanno ammesso Potter, e questo la dice lunga, ma qui…
Un urlo la distrasse dai suoi pensieri, costringendola a tornare a concentrarsi sul duello, o almeno su quello che riusciva a vedere, ovvero ben poco, se non sprazzi di movimenti tra braccia e corpi di vari studenti.
Doveva avvicinarsi.
Sorrise e sfiorò il braccio del giovane che stava facendo una sorta di cronaca di quello che accadeva grazie alla sua altezza.
- Credi che io possa riuscire ad avvicinarmi di più? Sarei interessata a vedere da vicino due studenti combattersi in un duello serio. Ho potuto osservare solo quelli della mia scuola.
- Sei davvero interessata?
Lei sorrise, sforzandosi di apparire quasi restia a rispondere, imbarazzata.
- Può essere pericoloso, sai?
- E se ci fosse qualcuno con me che mi proteggesse? – lo stuzzicò, appoggiando la mano sul petto del ragazzo, sperando che anche a Durmstrang gli studenti del sesto o del settimo anno come era quel moro ragionassero davanti ad una bella donna come quelli di Hogwards.
Fu fortunata.
- Non ci sono pericoli veri, se sei con chi sa come gestire queste cose. – Gonfiò il petto. – Vieni, basteranno pochi metri.
Mentre attorno a loro le grida di eccitazione e gli schianti degli incantesimi si mischiavano in una cacofonia che le stava dando una leggera emicrania, Ellyson venne presa per mano dallo studente di Wotenspaar e avanzò, fino a trovarsi in prima fila. Le braccia del ragazzo le cinsero la vita.
Lo lasciò fare, sopprimendo un moto di sorpresa e di disgusto.
- Per il momento. – pensò.
Si sentì osservata, e dopo una veloce ricerca, vide gli occhi piccoli e decisi di Nok su di lei. La stava guardando dalla parte opposta dell’improvvisata arena, le braccia incrociate. Accanto a lui altri due nani, più giovani apparentemente, con la barba più corta e molte meno rughe nel volto, seguivano i movimenti dei duellanti quasi senza battere gli occhi.
Scosse la testa, mentre il fumo della pipa si sollevava leggero in un filo che spariva appena sopra la sua testa.
Il contatto visivo fu interrotto quando uno dei due contendenti, un ragazzo dai capelli tendenti al rossiccio arretrò velocemente, parando con una serie di veloci Protego gli attacchi di luce azzurrina e rossastra che gli venivano lanciati dall’avversario, uno studente massiccio, muscoloso e decisamente arrabbiato, i lunghi capelli neri raccolti dietro la schiena con una fascia viola. Il nano era sparito, quando lo cercò ancora.
Accanto a lei una giovane donna stava singhiozzando disperata, borbottando frasi sconnesse.
- Se hai paura puoi sempre andartene. – le disse seria. – Non devi dimostrare nulla a nessuno.
- Non posso. – mormorò lei, quasi impercettibile nel rumore prodotto da uno schiantesimo andato a vuoto sulla protezione creata dal più magro dei due. – Noran è il mio ragazzo.
- Noran?
- Quello che non attacca. – spiegò lo studente che la stava abbracciando. – Ha deciso di sfidare Hulstaf, stufo delle insinuazioni e delle angherie del compagno di Orda. Entrambi amano Hilde, ma Hulstaf è tanto forte quanto poco educato. Come sia finito nei Saccenti e non nei Berserk è ancora un mistero.
- E quindi un duello era il modo migliore per dirimere la questione, eh? Ma perché non uno autorizzato?
- E’ da ragazzine alle prime armi fare un duello autorizzato. Ce ne sono pochi di duelli, molto pochi qui da noi, ma per questioni più che serie e sempre non autorizzati, sebbene a volte vengano annunciati con settimane di anticipo. Questo è un’eccezione. L’amore è una motivazione molto seria per un duello.
- Ma la morte è ancora più seria, direi. Noran non ha speranze.
- Vero.
Hilde scoppiò a piangere, coprendosi gli occhi con le mani.
- Non basterebbe rendere il nemico inoffensivo?
- Facile. Troppo facile, il difficile è uccidere senza l’uso dell’incantesimo dell’Avada. Il corpo viene poi preso in consegna dai docenti, che lo fanno sparire. Lo restituiranno alla famiglia, immagino.
- Niente Avada? Mi domando quale sia il problema. Lo uccidi e basta. Mi sembra una regola bizzarra. – mormorò uno del primo anno accanto a loro.
Il ragazzo fece spallucce.
Ellyson tentò di individuare i professori. Uno lo vide subito e lo riconobbe nello stesso tempo. Era Mortunef. L’altro, o meglio l’altra professoressa, era dalla parte opposta di Mortunef. Era bionda, con capelli lunghi e raccolti in una crocchia molto stretta e tenuta ferma con monili in argento scurito che contrastavano con le ampie ciocche bianche date dall’età avanzata. Indossava la tenuta dei professori, con la pelliccia, che ornava gli indumenti, bianca con pochissime macchie nere. Indossava guanti spessi di pelle marrone.
- Chi è quella donna là in fondo?
- La Professoressa Vauqirie, l’insegnante di Addomesticamento Creature magiche. – le disse il suo ormai manifesto spasimante, sussurrandoglielo nell’orecchio con voce suadente. – Se accetti un consiglio, non chiederle mai che cosa ha fatto alle mani per voler portare sempre i guanti. Non la prende bene.
- E che cosa ha fatto?
- Nessuno di noi lo sa. Girano varie storie, alcune leggende, altre un po’ più credibili. Nessuna ammetto da raccontarsi prima di un pranzo, o ti passa l’appetito. Personalmente credo che…
Si bloccò, gli occhi fissi, come Ellyson stessa e tutto il resto delle persone presenti alla scena che si stava presentando loro.
Noran era scivolato su uno strato di liquido giallognolo e viscido che l’avversario aveva creato senza farsi scoprire, tra uno schiantesimo e un tentativo di dar fuoco al gilet del giovane. Il ragazzo aveva battuto pesantemente la schiena, e la bacchetta era strisciata sul pavimento ad un paio di metri da lui.
Mentre tentava di raggiungerla, il fidanzato di Hilde continuò a scivolare e perdere l’equilibrio, finché non riuscì a stabilizzarsi a gattoni, ansimando vistosamente.
- Esattamente dove e come ti volevo, feccia. A quattro zampe come l’animale che sei. – ringhiò l’altro, avvicinandosi lentamente, un occhio sul suo avversario, uno sulla bacchetta lontana.
Ci fu uno sparuto applauso per la cattiva battuta da parte di alcuni studenti, subito zittiti da uno sguardo dei professori.
- Dovrai già subire una punizione per la morte di un tuo compagno, evita che questa venga ulteriormente appesantita dall’accusa di scherno. – gli disse la Professoressa Vauqirie.
Hulstaf non rispose, abbassando la testa in un abbozzato quanto veloce inchino.
- Petrificus. – esclamò puntando la bacchetta, nera come legno bruciato, sulla gamba destra di Noran.
Immediatamente questa si irrigidì, perdendo ogni movimento.
- Petrificus. – ripetè altre due volte, bloccando la gamba sinistra e il braccio destro.
- Poteva fare un Petrificus totalus.
- Non è il suo scopo, credo. – disse Ellyson al ragazzo sempre avvinghiato a lei. – Ha in mente qualcosa di diverso. Come credi che lo ucciderà?
- Può bruciarlo, o togliergli l’aria fino a farlo soffocare, o spostarlo fuori al freddo e lasciarlo morire mentre c’è in atto una Crucio. I modi sono tanti.
Hilde era in ginocchio, singhiozzante. Scuoteva la testa, mormorando frasi disconnesse.
Il suo fidanzato si voltò verso di lei per un istante e sorrise. Era un sorriso tirato, ma c’era tutta la voglia di farla stare tranquilla. E c’era il suo amore.
Quegli occhi, quel sorriso, lacerarono il cuore di Ellyson. Li avesse potuti avere lei, vederli sul volto del suo amore almeno per una volta.
Ma era ormai troppo tardi.
Serrò la mascella per non emettere un singulto, trasformandolo in un groppo alla gola.
Staccò lentamente, con fermezza, le braccia dello studente dalla sua vita.
Hulstaf rimosse il liquido scivoloso.
- Vediamo se riesci a recuperare la bacchetta, Noran.
Il ragazzo lo guardò spaventato, quindi si mosse, o meglio si trascinò con l’unico arto che funzionava sul pavimento, verso la sua unica difesa e arma.
L’avversario aspettò fino all’ultimo, quindi con un calcio la mosse lontano di un altro paio di metri.
- Ti do un altro tentativo, poi finirò questo inutile duello. – alzò lo sguardo, posandolo sulla ragazza in lacrime. – Smetti di piangere. Non voglio una fidanzata frignona, Hilde.
- Che il Fenrir ti prenda. – gridò lei isterica. – Piuttosto mi ammazzo.
- Potrei essere tentato di accontentarti, se continuerai a comportarti così. – rispose lui con un ghigno, per poi abbassare lo sguardo sulla mano che aveva quasi raggiunto la bacchetta. Gli schiacciò le dita con lo stivale, facendo emettere al giovane un urlo di dolore.
Tutti erano in silenzio, tutti erano in attesa della fine inevitabile.
La mano di Ellyson si mosse alla bacchetta senza che lei se ne accorgesse. Era così simile, così maledettamente simile.
- Non ti preoccupare, non soffrirai per molto.
Alzò la bacchetta al cielo, muovendola in modo particolare.
- Fantastico. E’ riuscito ad impararlo. – mormorò con un alito di voce uno del settimo anno accanto ad Ellyson.
- Putreficium. – sillabò puntando la bacchetta, dalla cui punta scaturì una sorta di nugolo di microscopici insetti neri e malvagi, verso il braccio di Noran.
Lo scroscio di applausi che seguì quella semplice parola fu impressionante.
Il giovane dai capelli neri si inchinò compito nelle direzioni dei professori, quindi un paio di volte alla folla e poi sparì, portato in trionfo dagli studenti.
Dopo nemmeno un minuto la stanza era vuota, tutti erano andati via. Rimanevano poche persone.
Ellyson, immobile.
Hilde, piangente.
I due professori, attenti a quello che succedeva al perdente.
Nok e i due nani, ricomparsi improvvisamente, come dal nulla, apparentemente disinteressati.
Noran, ormai libero dall’incantesimo che lo immobilizzava.
Si contorceva, osservandosi il braccio che stava lentamente, ma inesorabilmente, diventando nero e bluastro, come morto. In alcuni punti la pelle si era già putrefatta, crepandosi e aprendosi per mostrare i muscoli che stavano marcendo.
Il Professor Mortunef si avvicinò al giovane, si accovacciò per essere più vicino al pavimento e gli prese il viso con le mani.
- Guardami, guardami! Posso rendere la cosa facile per te, se vuoi.
Il ragazzo sembrava così dolorante da non riuscire ad articolare le parole, aprendo e chiudendo la bocca senza emettere nessun suono, finché non sembrò riuscire a riprendersi abbastanza per mormorare una frase.
- Come vuoi. L’ultimo desiderio di un condannato. Lady Vauqirie, lascio a lei la cosa.
Si rialzò.
- Signorina Strongmint, credo che non le interessi vedere come muore uno studente, ma credo che lei non abbia mai visto questa maledizione. Non è Arte oscura, ma è altrettanto terribile. Il Putreficium è conosciuto da alcuni come l’Incanto orribile. Uccide la carne, facendola marcire e facendo soffrire la persona colpita quasi come una Maledizione senza perdono.
- Non si può fermare?
- Sì, ma ci vuole una pozione apposita. E ci vogliono settimane per crearla.
Hilde scoppiò a piangere, alzandosi e correndo verso il suo ragazzo. Fu intercettata dal professore.
- No. Il suo desiderio è che tu non veda la sua fine. Vieni con me.
- No! No! Voglio stare con lui, voglio essere con lui fino in fondo.
- Cloformio. – mormorò lui spazientito.
La donna cadde immediatamente addormentata.
- Lei cosa fa, signorina Strongmint?
- Rimango, se non le spiace.
- Come preferisce.
Mentre il mago abbandonava la stanza con la studentessa sulle spalle, Ellyson si avvicinò alla professoressa, che stava tenendo la testa del ragazzo ferma con le mani guantate, evitando che si contorcesse troppo.
I due nani tenevano ferme le gambe.
Nok guardava, le braccia conserte.
Noran stava soffrendo moltissimo. La necrosi della carne era arrivata quasi alla spalla.
- Se si amputasse il braccio?
- Possibile, signorina Strongmint. Ma senza braccio dominante, un mago è meno di un babbano. Meglio la morte. – rispose la professoressa.
- Si possono far ricrescere le braccia.
- Vero, ma nessun incantesimo, o arma, permette un taglio netto in così breve tempo. E se inizia ad intaccare il corpo…
La donna estrasse la bacchetta.
- Cosa pensa di fare?
Non era tenuta a farlo.
Non doveva farlo.
Ma lo voleva fare, voleva fare ciò che non era riuscita a fare l’altra volta. Poteva cambiare le sorti di una battaglia, poteva rendere felice se non lei, un’altra persona.
Avrebbe probabilmente mandato all’aria la sua copertura, fatto saltare il piano di Potter. Si sarebbe messa nei guai.
Ma quelli erano la sua specialità.
Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.
- Sectusempra.
Il braccio si staccò di netto, con uno zampillo di sangue seguito da un urlo e dallo svenimento di Noran.
- Cosa ha fatto? E come lo ha fatto?
- A dopo le spiegazioni. – tagliò corto lei, avvicinando la mano alla ferita aperta e recitando mentalmente il controincantesimo. La ferita si chiuse, pelle fresca si rigenerò sulla menomazione, finché non si vide altro che un moncherino arrotondato.
- Può essere fatto ricrescere. Sono intervenuta in tempo. L’incanto orribile?
- Rimasto nel braccio staccato. Gli ha salvato la vita.
- Sono contenta. – disse sinceramente.
- Sa che dovrà dare molte spiegazioni?
Lei annuì.
La professoressa sorrise.
Le ricordò la McGonagall.
- Ma possono essere rimandate a quando Noran sarà guarito. – Si voltò verso il nano. – Nok, riaccompagna la studentessa ospite di Hogwarts nella sua stanza mentre io mi occupo di lui. E porta il Signor Wulfberson nell’ufficio del Preside. Deve rispondere di un duello clandestino. E di un incanto orribile mal riuscito, tanto che il suo avversario si è salvato.
- Certo, Professoressa Vauquirie. Signorina Strongmint, se vuole seguirmi…
Ellyson non disse nulla, accennando un assenso con la testa, e si fece guidare alla stanza, che Nok aprì con la sua chiave per farla entrare.
- Le avevo detto di rimanere nella sua camera fino alla fine della tempesta. E’ così che insegnano l’obbedienza alla vostra scuola? – chiese lui serio.
- Mi scuso, ma il trambusto e la mia curiosità mi hanno spinto a disobbedire. Questo provocherà dei problemi ad Hogwarts? – chiese lei tornando a giocare la parte della ex studentessa modello. – La colpa è solo mia, non della scuola che mi ha formato, Nok.
- Grazie agli dei lei non è ciò che dovrebbe essere, signorina Strongmint, o avremmo avuto un nuovo Infero. – sorrise lui sotto la barba, chiudendo la porta. – E legga il libro che le ho dato! – gridò da dietro di essa, allontanandosi.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Qualcuno che bussava insistentemente alla porta la svegliò dal suo sonno senza sogni.
Ellyson alzò di scatto la testa, una fitta al collo per la posizione scomoda e forzata in cui aveva dormito da non sapeva nemmeno lei quanto tempo.
La sua guancia era appoggiata alla pagina del libro che stava leggendo, poco oltre la metà. Non certo perché aveva letto tutte quelle pagine.
Alla porta bussarono un’altra volta.
- Avanti. - Biascicò lei, tentando di svegliarsi totalmente.
Si grattò poco elegantemente i capelli appena sopra la tempia destra.
Nok entrò aprendo lentamente la porta.
- Mi spiace disturbarla, signorina Strongmint, ma tra poco verrà servita la cena. Lei sarà ospite del preside e degli altri professori, al tavolo principale, se gradisce.
La donna si risistemò i capelli alla bene e meglio e si schiarì la gola, in parte secca per il sonno che ancora non l’aveva del tutto abbandonata.
- Certo. Certo, sarò presente sicuramente. Grazie Nok. Ora che ci penso, ma ho saltato il pranzo?
- Era credo impegnata così profondamente nella lettura della storia di Durmstrang che non si è accorta del tempo che passava.
Lei lo guardò, quindi rise di gusto.
- Grazie. Non mi ha fatto sentire una stupida nell’essermi addormentata leggendo. E ho fame. Molta. Ci sarà anche lei alla cena?
L’essere sorrise, quindi negò con il capo.
- Non mi è concesso. Come non è concesso agli altri nani. E così vogliamo noi. Ma la ringrazio per la sua domanda. La prego, se può essere pronta il prima possibile. E’ attesa nella sala da pranzo.
Lei annuì, alzandosi in piedi.
Il nano si voltò ed uscì, lasciandola sola nella stanza. Velocemente la donna usò la magia per rimettersi in ordine, e dopo appena due minuti uscì.
Aveva optato per un vestito praticamente uguale a quello che aveva fino a quel momento indossato, ma in stoffa più pesante, in modo da poter lasciare il mantello nella stanza. Lo spesso velluto e la seta doppiata erano perfetti, permettendole di non sentire freddo allo stesso modo di quando aveva su di sé l’incantesimo Impervius.

Velocemente arrivò alla sala da pranzo, l’unico luogo da cui provenivano brusii, stralci di conversazione e in cui vari studenti dei diversi anni stavano entrando dalla porta a due ante bloccata aperta.
Tutti prendevano velocemente posto ai rispettivi tavoli, divisi come ad Hogwarts nelle quattro Orde, cercando l'amico o il compagno di corso per scambiare due chiacchiere. Le lunghe assi coperte da tela grezza color avorio, decorata ai bordi con della passamaneria molto semplice, nei colori caratteristici delle quattro fazioni della scuola, erano disposte parallele tra loro, in modo che tutti gli occupanti, seduti su un lato solo, potessero, alzando la testa, vedere il tavolo dei professori, rialzato rispetto al piano della sala. La donna notò che anche al tavolo, come per i dormitori, vi era la sezione delle femmine e quella dei maschi, questi ultimi decisamente in maggioranza.
Il preside e gli altri insegnanti erano già seduti, e stavano chiacchierando tra di loro, pesanti boccali di peltro decorato accanto ai bicchieri di cristallo per l'acqua.
Un posto vuoto, tra il preside e il Professor Mortunef, aspettava inquietante la sua occupante.
Ellyson si fermò un istante prima di entrare nella sala, inspirando a fondo.
- Sembro una matricola alle prese con il suo primo esame, e non una ladra, mercenaria e truffatrice quale sono. - Sorrise tirata. - Eppure non mi piace l’idea di dover essere sotto l’occhio di tutti. Non mi è piaciuto poterlo essere a Hogwarts, e qui men che meno, non potendolo evitare. Troppe cose possono andare a storte, siamo solo al primo giorno e mi sono già messa in mostra troppo.
Inspirò di nuovo.
- Ellyson, piantala di sembrare una di Griffindor. - Si prese in giro. - Sei sfuggita a tutto in questi anni, non saranno certo un preside e qualche professore a spaventarti.
Entrò, dirigendosi con passo incerto, come sarebbe stato giusto da parte di Piperita, al tavolo.
Si accorse che la stavano osservando.
I professori quanto gli studenti. Rispose agli sguardi di alcuni di questi ultimi, quasi tutti di Ullrarc, facendo loro distogliere lo sguardo, che si fissò sul piatto vuoto davanti a loro.
Prese il posto a lei assegnato, sorridendo cordialmente sia a Mortunef che al preside, che non la degnarono di uno sguardo. Ellyson pose le mani in grembo, lo sguardo basso.
- Da brava studentessa… - pensò trattenendo una smorfia che poteva sembrare un sorriso.
Lo stomacò le brontolò leggermente.
Nessuno vicino a lei parve essersene accorto.
Perstroychof controllò che tutti fossero presenti con una veloce occhiata, quindi si alzò in piedi, ed immediatamente il già basso brusio della sala si acquietò in un rispettoso silenzio.
- Signore e signori, un altro giorno di duro lavoro sia per voi che per gli insegnanti è passato, un altro giorno che ha reso ancora più grande e potente la nostra scuola. Voi siete il futuro, voi dovrete raccogliere la sfida di chi vi ha preceduto, vincerla e gettarne una per le prossime generazioni, che dovranno fare altrettanto. Solo con la lotta si migliora, solo nella sfida vinta vi è la prova di ciò che si vale. - Sorrise, alzando le mani e allargandole. - Ma anche il miglior combattente necessita di riposo, e di cibo. Vi siete guadagnati entrambi. Buon appetito.
Si sedette di nuovo, mentre tutti batterono per alcuni secondi le mani e gli studenti più adulti sollevarono anche il boccale ripieno di birra chiara e leggera, dalla spuma bianca e scoppiettante.
Da una porta laterale entrarono decine di nani, ognuno con un suo piatto da portata in mano e le posate adatte per servire il cibo che trasportavano, iniziando a riempire i piatti davanti ad ogni studente a seconda di ciò che questi richiedeva.
Un gruppo di nani era dedicato al tavolo dei professori e del preside, che venne servito per primo.
Il cibo era invitante sia per aspetto che per profumo, sebbene assai diverso da quello di Hogwarts o da quello a cui si era abituata dopo anni di fedele servizio di Hisser, che l’aveva viziata con manicaretti provenienti dalla migliore cucina mediterranea, con una predilezione per quella italiana e spagnola.
Quasi a fine cena, consumata, anche da parte dei professori, in un silenzio che aveva del religioso, il preside depose nel piatto gli ultimi resti di una delle costine di agnello alla brace con salsa acida di yogurt di cui sembrava ghiotto, tracannò di un fiato mezzo boccale di birra, che nel suo caso e quello dei professori era scura e densa, quasi rossastra rispetto a quella degli studenti e di Ellyson, si pulì la bocca con il tovagliolo e si voltò verso di lei.
- Vedo che è sopravvissuta alla sua prima giornata.
- Grazie. Credo che io ci sia potuta riuscire solo perché sono stata fortunata.
- Ne sono certo. Lei è una di Hogwarts, dopo tutto. - Sorrise a denti stretti. - Mortunef, come se la è cavata nella tua lezione? A che anno è arrivata? Almeno al secondo anno? O come immagino mancano le basi?
Il professore lo guardò, finì senza fretta di masticare un boccone di stufato con delle strane verdure rosse dal sapore leggermente piccante e si pulì la bocca.
- Potrei sorprenderla, signor preside. La qui presente signorina Strongmint frequenterà le mie lezioni di Arti Oscure con gli alunni del settimo anno.
Il preside sgranò gli occhi, rimanendo senza fiato.
Ellyson sorrise, fingendo imbarazzo. Stava amando ogni istante della conversazione di cui era protagonista, soprattutto lo sbigottimento del preside. Quell’uomo stava velocemente scalando le posizioni della sua personale lista di gente da eliminare dal mondo, e quasi stava per tallonare Potter, ovviamente al primo posto.
- Non dirmi che le voci che mi sono giunte relativamente al fatto che ti ha cruciato sono vere? Stai scherzando, mi auguro.
- Non è nel mio stile, signor preside. - Si interruppe, mentre un nano toglieva il boccale quasi vuoto di birra ormai calda e senza schiuma e lo sostituiva con un boccale pieno e gelato. Vedendo che quello di Ellyson era intatto, scosse il capo sconsolato. - Grazie. - Disse distrattamente prima di bere un breve sorso della bevanda. - Raramente ho visto cruciare una persona con tanto ardore e tecnica. La signorina Strongmint ha un vero talento per le Arti Oscure, sebbene difetti proprio nella difesa contro le stesse. Una mosca bianca nel mare inglese di maghi. Un peccato non abbia frequentato la nostra scuola.
Perstroychof divenne rosso in volto, tanto da far temere alla ragazza che stesse per avere un accesso di collera o di qualcosa di altro non certo piacevole.
Scoppiò invece a ridere, battendo la pesante mano sul tavolo, e trangugiando sorsate di birra tra una risata e l’altra.
I vari professori si voltarono verso l’uomo, perdendo però immediatamente interesse a quanto videro.
- Cosa sta succedendo? - chiese, unico tra il gruppo di insegnanti, un uomo sulla sessantina, vestito di scuro, i pochi capelli rimasti incollati alla testa in un ridicolo tentativo di riporto. Aveva occhi piccoli e porcini, persi nella mole del volto arrossato e sudaticcio, decisamente soprappeso. - Cosa fa divertire tanto il nostro amato preside? – La voce era bassa, sgraziata, resa in parte roca e impastata dalla notevole quantità di birra che aveva ingurgitato durante la cena.
- La causa è la studentessa di Hogwarts, Ammanitoff. - rispose il professore di Arti Oscure. - Il preside la trova divertente.
- Ah, già… - iniziò lui con sufficienza. – L'inglese esperta di pozioni.
Ad Ellyson non piacque il tono in cui pronunciò la frase.
- Esattamente. Signorina Strongmint, il Professor Ammanitoff, docente di Pozioni alla nostra scuola di magia.
- Poisoneus Ammanitoff, per istruirla, signorina Strongmint. - Abbozzò un inchino lui, per poi tornare al suo posto, quasi all’estremità del tavolo, poco distante dalla Professoressa Vauqirie.
Notò che per quanto a tavola, la professoressa non aveva rinunciato a guanti spessi e pesanti, sebbene non di cuoio, ma di cotone finemente decorato sul dorso con quello che pareva un ricamo rosso rappresentante una spada alata.
La donna sollevò lo sguardo, la osservò e abbozzò un sorriso, per poi riprendere a tagliare con la forchetta una fetta di torta alla marmellata, che però abbandonò dopo pochi morsi.
Si alzò e si diresse vicino a Ellyson, ponendosi tra lei e Mortunef.
- Se ha finito, vorrei fare due chiacchiere con lei. - Le disse quasi all’orecchio.
- Problemi? - chiese l’uomo, mentre i suoi occhi erano fissi sulla figura del preside, perso a discutere con l’insegnante accanto a lui.
- No, Blakus, assolutamente no. Volevo solo essere sicura che si sentisse bene. Dopo che te ne sei andato, la signorina Strongmint ha avuto un mezzo malore, credo alla vista di ciò che l’incanto orribile venuto male ha fatto al povero signor Dennov. Come sai, gli studenti non della nostra scuola tendono ad avere delle reazioni a volte eccessive alla vista della cruda realtà della vita.
- Ah, sì, il braccio mozzato e ricresciuto male. Non la facevo uno stomaco delicato, signorina Strongmint.
Lei abbassò il capo, come imbarazzata.
- Può comprendere che per una persona cresciuta nella scuola di Hogwarts, vedere tali duelli è stata decisamente una cosa che mi ha scosso profondamente. E vedere quel povero braccio marcire e poi staccarsi mentre il sangue sgorgava copioso è stato troppo per il mio stomaco già messo a dura prova dalla smaterializzazione congiunta della mattinata.
- Venga, prendiamo una boccata d’aria. La tempesta è finita. Blakus…
- Brunjild… - rispose lui educato accennando di alzarsi dalla sedia come un galantuomo.
Le due donne uscirono dalla sala da pranzo e si diressero verso l’uscita, ma improvvisamente, poco prima di arrivare nella sala di ingresso, la professoressa le afferrò il braccio e la fermò.
- Da questa, parte, signorina Strongmint.
- Ma l’uscita non è sulla nostra destra?
- Certo, mia cara, ma non volevo certo portarla fuori al freddo, considerando che non ha avuto nessun malore, no?
- Quindi siamo dirette dove, se posso chiederlo?
- C’è una persona o due che vorrebbero parlarle a proposito di ciò che ha fatto stamattina.
- Eccolo. Lo sapevo che non dovevo. – si ritrovò a pensare, mentre seguiva controvoglia la donna lungo un corridoio che portava al piano inferiore. – Ma non potevi startene tranquilla e lasciarlo morire quello là, no, eh, Ellyson? Non salvi lui, ma salvi un perfetto sconosciuto. Brava, decisamente brava.
- Non si preoccupi, signorina Strongmint, non voglio certo portarla davanti a qualche tribunale o altro di pericoloso. Come le ho detto, ne riparleremo quando il signor Dennov sarà perfettamente ristabilito. Saranno necessari vari giorni, ma credo che si riprenderà perfettamente. Per allora, credo che io e il Professor Mortunef gradiremmo una spiegazione.
- Una spiegazione?
- Già. Possibilmente convincente. Vorrei evitare di dover andare dal preside per una cosa tanto banale come un duello clandestino. Capisce cosa intendo?
Lei annuì.
Si rese conto che erano nei sotterranei, in un corridoio molto illuminato da luci magiche fissate alle pareti di roccia bianca e perfettamente liscia.
- Opera di nani. Nemmeno la magia arriva a un tale livello di precisione, non nella roccia di questo genere.
- Dove siamo?
- Al primo piano sotterraneo dell'edificio. Credeva che Durmstrang fosse in grado di poter ospitare tutto il necessario per una scuola di magia in superficie, piccola come è? C'è molto che non si può vedere ma che esiste lo stesso. Siamo nella zona dell'infermeria e del deposito ingredienti per le pozioni. Credo che presto potrà vederlo, dopo aver seguito qualche lezione con il Professor Ammanitoff. Stia attenta, sembra cattivo e viscido, ma non è così in realtà.
- Non mi baso mai sulle apparenze. Spesso ingannano. – commentò lei seria, cercando di orientarsi nei vari corridoi che stavano attraversando.
- Davvero? Mi sembra un discorso strano per una studentessa che da anni lavora al Ministero.
- Parlavo in generale, ma in particolare sulle pozioni. Tante hanno lo stesso colore e aspetto, ma solo poche sono buone. Le altre sono pericolose. Vale ovunque si facciano, qui come al Ministero.
La professoressa rise.
- Vero, non ci avevo mai pensato sotto questo punto di vista. Allora direi che Ammanitoff è un perfetto esempio di pozione all'apparenza zuccherina, ma che in realtà è succo di atrocicuta, ma non dica che gliel'ho detto io.
Ellyson non poté fare a meno di sorridere alla battuta. Quella donna le piaceva. Un carattere schietto, libero. Lei era ciò che sembrava. Lei.
- Siamo arrivate. Qui la lascio, credo che possa farcela da sola contro loro due. Non si preoccupi, non c'è l'infermiera.
- Contro loro due?
- Vada, io l'aspetto qui, controllando che Elga, la nostra infermiera, non torni prima del previsto dalla cena.
La ragazza aprì la porta di legno scuro, che si mosse lenta e senza rumore sui cardini oliati.
La stanza era grande e ben illuminata, con una decina di letti di metallo vuoti, le lenzuola bianche tese e perfettamente stirate. Solo uno era occupato, e una leggera sedia di legno era vicina al capezzale del malato.
Appena Ellyson vide chi era seduta, capì tutto e sorrise, chiudendo la porta alle sue spalle e avanzando di un paio di passi.
- Come sta? – chiese quasi sottovoce, non sapendo se Noran stesse dormendo o meno.
Hilde alzò la testa dal piccolo libro che stava leggendo e sorrise, mentre gli occhi le si illuminarono.
Corse incontro alla maga piangendo di gioia.
- Calma, calma, mia cara. Come sta?
- Sta bene, sta bene. L'osso sta già ricrescendo, e nel giro di pochi giorni inizieranno a ricrescere il muscoli e il resto sotto la pelle. Grazie, grazie!
- E di cosa? E' stato quell'altro ad aver fatto un incantesimo male. – si mise sulla difensiva Ellyson.
La ragazza scosse il capo, continuando a singhiozzare.
- Noran mi ha detto tutto. Era in parte cosciente. Ha sentito e visto tutto, e mi ha detto cosa hai fatto.
- Cosa esattamente ti ha detto? – le chiese fissandola.
Le sue mani si misero sulle spalle della studentessa, staccandola da sé.
- Che tu hai mosso la bacchetta e che gli hai tagliato il braccio in un istante. Quando si è svegliato il moncherino era sano e doloroso, ma era vivo.
- Sicura che non stesse delirando? E' stato il Putreficium che non è stato correttamente realizzato. Me lo ha detto la Professoressa Vauqirie.
- Sono del sesto anno, ma non sono stupido. – borbottò ancora in parte sedato dalle medicine e dalle magie Noran, tentando di mettersi seduto, sebbene appoggiato alla testata del letto.
- Stai fermo, pazzo di un nordico! – quasi gridò Ellyson. – Ti hanno staccato per sbaglio un braccio da mezza giornata, hai rischiato di morire e ora tenti di alzarti. Stattene steso a dormire.
- Tu me lo hai staccato, Piperita. Non sono un genio della magia, lo si è visto, ma i miei occhi funzionano benissimo, come la mia memoria. Sei stata tu con un incantesimo che non ho mai visto, ma riconosco un incanto oscuro quando lo vedo. Non è roba da Hogwarts.
- Tu stai delirando.
- Non offendere la mia intelligenza. Capisco che hai i tuoi segreti, e li rispetto. Ti devo la vita, ti sarò per sempre debitore. La mia vita ti appartiene.
- E anche la mia. – esclamò Hilde, convinta.
- Tenetevele, per favore. – sorrise la donna, sedendosi elegantemente su bordo del letto, mentre la studentessa riprendeva posto sulla sedia. Si lisciò la gonna un paio di volte, come per prendere tempo. – Ho già abbastanza problemi con la mia, ci mancherebbe anche di dover gestirne altre due. L'importante è che entrambi stiate bene e che tu… - fissò Noran. – Tu dovrai darti da fare per difendere il tuo amore per lei. Farsi mettere i piedi in testa da uno così…
- E' più forte di me, è più grosso.
Ellyson scosse la testa.
- Siamo maghi, non babbani. Vince la bacchetta più veloce. Non vi siete sfidati ad un duello di pugilato.
- Ma lui è veloce, e la sua è davvero grossa.
La donna si sporse verso Hilde.
- Uomini. Riducono tutto a una questione di dimensioni. – le sussurrò nell'orecchio, facendola scoppiare a ridere. – Qui come in Inghilterra.
Rimasero a parlare ancora qualche minuto, poi un deciso bussare interruppe il loro chiacchiericcio.
- Sta tornando Elga. E' ora di andare, signorina Strongmint. – le disse la professoressa.
- Arrivo subito, Professoressa Vauqirie. – le rispose, per poi voltarsi nuovamente verso i due studenti. – Mi raccomando, voi due. Tornerò a trovarti, se posso.
- Grazie, mi farà sempre piacere.
- Grazie ancora Piperita.
- Smettila di dirmelo, Hilde, o la prossima volta ci penserò su due volte. – scherzò falsamente irata lei. – E mi raccomando, adesso sai cosa fare quando Hulstaf arriva a tiro delle tue gambe.
- Va bene.
- Ma non è femminile fare quello che le hai proposto.
- Sarà da veri uomini duri rischiare di farsi ammazzare senza speranza di vittoria, Noran. – sorrise Ellyson, sfiorando con l'indice il naso del ragazzo, che arrossì impercettibilmente.
- Piperita! – la chiamò nuovamente la professoressa con un urlo strozzato.
Ellyson corse fuori dalla stanza, e con la sua guida riprese velocemente il corridoio da cui erano arrivate, fino a ritornare al piano terra, poco lontane dall'entrata.
- Grazie.
- E di cosa, signorina Strongmint?
- Di tutto.
Lei la guardò divertita, e sorrise.
- Aspetti a ringraziarmi. Manca ancora la spiegazione a quello che ha fatto. Ma per ora credo che le interessi solo andare nella sua stanza a riposare. E' stata una lunga giornata, per tutti. Buonanotte, signorina Strongmint.
- Buonanotte, Professoressa Vauqirie. – rispose la ragazza, abbozzando un inchino sincero e dirigendosi verso la sua stanza.

Stanca, Ellyson si stiracchiò emettendo un mugolio indistinto mentre sentiva le ossa scricchiolare. Era relativamente presto, e domani aveva lezione solo al primo pomeriggio per due ore, poi per vari giorni non avrebbe avuto nessun impegno, secondo il calendario che scrupolosamente Nok le aveva messo nella stanza in sua assenza, probabilmente durante la cena o la visita all'infermeria.
- Morfovestum. – mormorò mentre il suo vestito cambiava nella sua amata camicia da notte, ai piedi delle comode pantofole di caldo panno nero ricamato con una vipera in verde e argento.
Sistemò i cuscini e si mise a letto, seduta, la schiena appoggiata alla testata, il libro sulla storia di Durmstrang vicino a lei, una luce magica creata senza quasi pensarci a galleggiare alla sua destra, appena sopra la spalla.
- Buonanotte, per stasera non ho più bisogno di te. – disse alla bacchetta, appoggiandola al piccolo comodino, delicatamente. – Vediamo dove ero arrivata con l'emozionante storia di queste quattro fredde mura.
"Fu solo nell'estate del 1257 secondo la vecchia datazione magica (corrispondente al 342 Avanti Cristo secondo la datazione dei babbani d'occidente, N.d.A.) che la struttura che ospitava il nucleo originario dei maghi di Durmstrang venne rasa al suolo da quella che le cronache riportano come un incantesimo malriuscito che ha portato alla creazione di una massa di ardemonio abbastanza grossa da bruciare tutto fino alle fondamenta e che ha reso necessario l'impegno di decine di maghi per giorni prima di spegnere le fiamme che avevano consumato la prima Durmstrang, la cui nascita si perde nella nebbia dei tempi, probabilmente agli albori della cosiddetta disciplina magica.
La seconda ed attuale Durmstrang venne costruita pochi anni dopo, grazie all'interessamento di un potente quanto riservato mago, di cui nulla si conosce se non il nome, Lanceus Monoclos, che mise a disposizione migliaia di galeoni per costruire una struttura resistente sia ai secoli che a qualsiasi incantesimo, coscientemente o meno lanciato sulla costruzione, onde evitare il ripetersi dell'increscioso incidente in cui perirono tra le altre cose centinaia di maghi.
Per poter arrivare a tale risultato egli, sebbene ancora nessuno sappia esattamente come, strinse un patto con una delle razze più strane quanto interessanti del mondo magico, i nani. Pur rimandando per ulteriori particolari alla trattazione specifica (vedasi in particolare Rubeus Agrimor, "Esseri bipedi di intelligenza media", ottava edizione, pagine 344-575, Lucilla Maltoltus, "Razze semiumane o vagamente umane di provenienza incredibile", seconda edizione, pagine 12-233 e tabelle 1-5, August Nonnatus, "Umani e semiumani: siamo parenti?", prima edizione, capitoli 2, 3 e 5), ricordiamo a beneficio del lettore che i nani sono una razza vagamente imparentata con gli gnomi, molto longeva, di intelligenza umana, molto resistenti se non refrattari alla magia di ogni tipo e amanti della birra, del buon cibo e della lavorazione dei metalli e della pietra. Proprio questa loro capacità, che trascende il limite dei maghi anche più potenti, di lavorare la pietra quasi come se fosse creta, ha permesso a Lanceus di creare una struttura robusta, estremamente compatta e praticamente eterna, in grado di reggere ad innumerevoli battaglie che si sono susseguite nei secoli, molte delle quali dovute alla credenza che i sotterranei della scuola fossero stracolmi di ogni tipo di oro, gioielli e artefatti magici."

- Quasi fosse la Gringott…
La donna, sbadigliando, sfogliò distrattamente il libro, saltando a piè pari parecchie pagine, per poi soffermarsi su un disegno del cancello che aveva visto la mattina.
"Disegno della fine dell'Ottocento secondo la datazione dei babbani d'occidente, rappresentante l'entrata alla scuola di Durmstrang in un giorno di fine estate." Recitava la didascalia, mentre poco prima il libro descriveva esattamente il cancello. "Tipico esempio di come si può creare qualcosa di estremamente caratteristico e in qualche modo elegante partendo da oggetti che nulla hanno di bello. Il cancello è stato creato, stando alle registrazioni della scuola, circa un secolo dopo l'inaugurazione dell'istituto, utilizzando le armi e le protezioni che un gruppo di assalitori, probabilmente nordici così rozzi da non essere stati colpiti dagli incantesimi di protezione, che come è risaputo agiscono sul cervello, e quindi sull'intelligenza delle persone, che sono stati sconfitti e di cui si è persa ogni traccia. E' alto quattro metri e quindici centimetri, largo dodici metri e settanta centimetri, a due ante poggiate ognuna su tre cardini magicamente fissati alla pietra del muro di cinta che corre lungo tutto il perimetro della scuola. La struttura è incantata per essere sempre incandescente, ad una temperatura poco lontana dal punto di fusione del normale ferro, un esempio unico nel suo genere e di cui non si capisce la natura, sebbene decine di maghi abbiano studiato a fondo come sia possibile che una magia possa rimanere attiva tanto a lungo dopo la morte del mago che l'ha gettata, poiché l'ipotesi più probabile sia che Lanceus Monoclos stesso abbia progettato e realizzato sia il cancello che la sua particolarità.
Nei secoli questa entrata è divenuta fonte di leggende che a tutt'oggi circolano tra gli studenti, alimentate dal passaparola e dall'istintiva necessità degli adolescenti nel ricercare l'ignoto e il pericoloso. Citiamo solo a titolo di esempio, la leggenda per cui a volte passando il cancello ci si ritrova all'interno della scuola, come smaterializzati, normalmente nel sottosuolo, vicino alle cucine dei nani, o quella per cui se si oltrepassa il cancello alla mezzanotte di una notte di luna piena si morirà tra atroci dolori entro la mattinata successiva, trasformandosi poi in un Infero a guardia del cancello stesso."

- Mi piace… - sbadigliò lei. – la seconda. Sai quanti farei passare a mezzanotte.
Sorrise, chiudendo il libro e mettendolo sul pavimento.
La luce si spense lentamente, mentre Ellyson prendeva sonno in un attimo.
Una mano callosa, poco dopo, raccolse il libro nel buio della stanza e con delicatezza lo posò sul tavolo, vicino alla candela nella bugia. Uno sbuffo di fumo quasi verdognolo e dall’odore pungente si sparse e scomparve veloce nell'aria della stanza.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


- Aprite il libro di pozioni, sezione cinque, veleni esotici. Oggi impareremo a creare il voodollo.
Silenziosamente, se non per il rumore di fogli voltati e rotoli di pergamena aperti sul tavolo, tutti gli studenti del quinto anno presenti fecero quanto richiesto dal Professor Ammanitoff.
Ellyson era in uno degli ultimi banchi, vicino al suo calderone che aveva appositamente portato da Londra. Non aveva voglia di usare uno di quelli della scuola, non sapeva cosa potessero esserci come residui di passati errori di studenti. Non aveva il libro, ma sapeva benissimo di che veleno si stava parlando, avendolo lei stessa usato alcune volte.
- Come potrete vedere dalle prime righe di spiegazione del libro, il voodollo è un potente allucinogeno, che solo con ampie dosi diviene mortale. Ciò non vuol comunque dire che non sia pericoloso, in quanto è annoverato tra i veleni mentali. – spiegò l’uomo, camminando lentamente, le mani dietro la schiena, gli occhi socchiusi come a meglio ricordare quanto stava dicendo, in realtà ad osservare ogni minima mossa dei vari ragazzi, che stavano diligentemente prendendo appunti o sulla pergamena, o direttamente sulla pagina del libro. – La preparazione, sebbene non complessa, presenta dei passaggi delicati, e il risultato finale può essere una bevanda maleodorante ma innocua, o un potente filtro che annulla la volontà della persona che la beve per varie ore, se non giorni, a seconda della potenza e della bravura del pozionista. Il primato spetta ad un illustre mago vissuto nelle isole a sud della Florida secoli fa, in grado di creare pozioni di voodollo che sedavano la volontà degli sfortunati per mesi.
- Leggenda questa priva di ogni fondamento. – pensò Ellyson, sapendo benissimo che la pozione, così come il suo corrispettivo incantesimo più vicino, l’Impero, dovevano essere mantenute attive ad intervalli regolari, non superiori alla settimana anche nel caso migliore. – Mi domando come mai dica loro certe sciocchezze, e soprattutto perché a degli studenti del quinto anno insegnino veleni del genere, che normalmente sono appannaggio di corsi di perfezionamento di Pozioni, finita la scuola. Comunque non credo che la cosa mi possa spiacere. Sono decisamente più brava in questo tipo di pozioni che non in quelle classiche. Più esperienza, credo.
- Signorina Strongmint? – la chiamo l’uomo, fermatosi poco lontano da lei.
Tutti gli occhi si mossero verso di lei. Il suo sguardo scattò verso il professore, come una studentessa scoperta a leggere la Gazzetta del Profeta in classe.
- Sì, Professor Ammanitoff?
- Ha già avuto modo di studiare o di realizzare tale composto?
- A volte, durante i miei corsi di perfezionamento. – mentì lei. – Ho avuto modo di preparare un po’ tutti i veleni, sebbene la mia specializzazione sia in pozioni il cui effetto simula un incantesimo.
- Ah, una branca poco seguita, ma estremamente interessante.
- Decisamente.
- Capisco, e sono molto curioso di domandarle svariate informazioni, ma potremo discuterne a lungo in separata sede. Ora, se come ha detto, ha già avuto modo di preparare tale pozione, e considerando che alcuni autori reputano questa una versione imperfetta di una delle Maledizioni senza Perdono, credo che lei possa tentare di spiegare ai miei allievi come prepararla.
- Io, professore?
- Non se la sente? Crede che per una pozionista del Ministero della magia inglese sia oltre le sue possibilità spiegare una semplice ricetta a degli alunni del quinto anno?
- No, credo di no, ma… - borbottò lei apparentemente imbarazzata, mentre nel suo cuore un tumulto di emozioni tra cui ira e ribrezzo si facevano strada.
- Sì o no, signorina Strongmint?
- Come preferisce, professore. Tenterò di fare del mio meglio.
L’uomo sorrise come avrebbe fatto un coccodrillo vicino ad una facile preda.
- Bene. Io mi siederò ad un banco libero, e creerò la pozione seguendo passo passo quello che lei dirà, per poi testarne il risultato solo alla fine. Tenga conto che tale prova sarà valida al fine della sua valutazione, e quindi andrà nella scheda che dovrà essere riconsegnata alla scuola di Hogwarts.
- Oh… - esclamò lei stupita, per poi mormorare qualcosa di inintelligibile e strofinarsi le mani come in preda al panico.
- Ti faccio vedere io cosa vuol dire Pozioni, palla di cattiveria. – pensò mentre spostava con la magia il suo calderone vicino alla cattedra. – Benissimo signore e signori, avete davanti a voi la ricetta della pozione. Iniziamo con i primi cinque passaggi, sono relativamente semplici e credo che non abbiate bisogno di spiegazioni. Quando inizierete a far sobbollire la radice, tagliata a piccole striscioline, di Mentavuota, venite qui alla cattedra. Nel frattempo avrò preparato le razioni di Fagiolo Sopoforoso, da cui dovrete estrarre il succo in maniera perfetta. L’efficacia della pozione risiede nell’esatto dosaggio di tale liquido, ma la Natura stessa ha provveduto. Tre fagioli sono il quantitativo perfetto.
Ellyson vide che il professore stava sogghignando.
- So cosa stai pensando, bello mio, e fidati, non sai quanto ti sbagli.
Il tempo passò, scandito dal lavorio incessante degli alunni e anche della giovane, che seppur distrattamente, guardava la pagina del libro di fronte a lei, gentile concessione del professore, che ne aveva preso uno dall’amadio dove si tenevano gli ingredienti più comuni. Non era una di quelle che faceva spesso, e sebbene fosse relativamente facile, per il momento esatto dell’aggiunta di un ingrediente o il tempo necessario alla pozione per assumere un certo colore o un certo odore, fu necessaria la ricetta.
Il primo studente, un alunno di Wotenspaar, si avvicinò alla cattedra.
- Ho completato i primi cinque passaggi, signorina di Hogwarts. Vorrei i Fagioli Sopoforosi necessari.
Lei lo guardò, più interessata al lento virare dal giallo al blu della pozione che alle sue parole, e quasi distrattamente gli mise nelle mani tre fagioli.
- Vai. E comunque mi chiamo Strongmint.
- Tre fagioli non sono sufficienti. Secondo il libro solo un quantitativo tra i quattro e i sei fagioli è quanto necessario per la buona realizzazione della pozione.
- Davvero? – gli disse lei con fare incredulo, fermandosi ad osservarlo.
Altri alunni e alunne si erano avvicinati alla cattedra, in attesa dei loro fagioli.
Anche il professore si mosse.
- Esattamente. Capitolo cinque, pagine ottantadue, capoverso sei. – Chiuse gli occhi, concentrato. – “Saranno necessari almeno quattro, cinque o sei fagioli in base alla bravura dell’esecutore e ai mezzi a sua disposizione per poter ottenere il succo di Fagiolo Sopoforoso minimo. La dose esatta sarà poi decisa dall’esecutore in base alla sua esperienza e a calcoli che tralasciamo, in quanto la loro trattazione è oggetto di un capitolo apposito.”
- Complimenti. – rispose sorridendo il più gentilmente possibile lei, mentre consegnava tre fagioli ad una ragazza, che abbozzò un inchino frettoloso e tornò al suo banco. – Hai imparato tutto a memoria o gli errori di ortografia li hai corretti mentre declamavi? - Lo sguardo e la voce si fecero duri, quasi taglienti. - Tre sono sufficienti. Ora vai.
Altri studenti ebbero qualcosa da ridire sulla quantità, ma dopo non convinte proteste tornarono diligenti, come il professore, al loro banco, iniziando a tagliare, schiacciare e tritare nei modi più incredibili per ottenere il succo necessario.
Anche Ammanitoff si stava dando da fare con una tecnica molto particolare che consisteva nel tagliare a fette piccolissime il fagiolo, cosa di per sé già difficile, e poi spremerlo con le dita e con il pomolo del suo coltello da pozionista, dalla lama incurvata e sottile.
- Così magari riuscirai ad estrarre il succo necessario, ma solo con un fagiolo in più, sicuramente non con quelli che ti ho dato io. – pensò lei.
Tranquillamente, gli occhi a girare lenti sulla classe, Ellyson estrasse il suo pugnale di argento dalla custodia di pelle foderata, ne osservò la superficie liscia, perfettamente lucida grazie a vari incantesimi di protezione e alla cura maniacale di Hisser, e lo adagiò di piatto sul primo fagiolo, che quasi accondiscendente si aprì e riversò moltissimo succo nella superficie concava della ciotola che lei aveva preparato.
Il secondo fagiolo fece altrettanto, sotto gli occhi interessati, sconcertati e sconvolti di chi si era fermato a vedere cosa stesse facendo quella strana studentessa, come avesse potuto ottenere una quantità di liquido giallognolo e vagamente colloso con pochi, semplici, quasi annoiati movimenti.
- Mi raccomando il movimento perfettamente circolare nel miscelare in senso orario la pozione per una clessidra media, non un granello di più, non un granello di meno. – disse fissando gli occhi sul professore, la cui mano arpionava l’impugnatura del coltello come volesse strozzarlo. La lama ricurva tremava impercettibilmente, mostrando allo stesso tempo il nervosismo e lo sforzo per mantenere la calma dell’uomo.
Gli occhi erano piccoli, due fessure nere perse in un volto rubicondo, quasi paonazzo, colore in parte dovuto al calore del vicino calderone, in parte alle emozioni che a stento erano trattenute.
Lei si concesse un sorriso appena abbozzato, quasi di cortesia, e riprese a lavorare, portando a compimento la pozione circa dieci minuti prima della fine della lezione.
- Bene. Se tutto è andato come ognuno di noi spera, dovremmo avere nelle nostre boccette un liquido quasi trasparente, vagamente profumato di vaniglia e cannella.
Il silenzio imbarazzato di tutti gli studenti fu una risposta molto eloquente.
Ellyson tossì per non ridere, mascherandosi la bocca con una mano.
- Ringraziate la signorina Strongmint per la lezione, ragazzi, quindi rimettete a posto gli ingredienti non utilizzati e pulite i calderoni per i prossimi studenti prima che suoni la fine dell’ora.
Gli alunni fecero come era stato loro detto, e diligentemente, appena il corno che indicava la fine delle lezioni suonò, uscirono in fila indiana dalla porta, parlottando tra di loro.
Il Professor Ammanitoff e Ellyson erano rimasti soli.
Lui accanto al suo calderone, lei alla cattedra, in piedi, in attesa di una azione da parte dell’uomo. Era passata tante volte in uno scontro da sapere che quella quiete forzata era solo portatrice di un attacco, e sapeva anche che poteva solo aspettare, sulla difensiva, attendendo le azioni del nemico, per studiarle e trovare una contromossa efficace.
- Una lezione decisamente interessante, signorina Strongmint.
- La ringrazio professore, ma credo sia dovuto solo alla fortuna di avere degli studenti tanto diligenti e alla facilità della pozione.
- Ne dubito. A parte lei e me, nessuno degli studenti è riuscito nell’intento. Causa la loro scarsa preparazione, sicuramente, e la loro mancanza di metodo nel punto cruciale della ricetta, l’estrazione del succo.
- Come dice lei, professore. Sono certa che sia la verità.
Lui sorrise a denti stretti, non muovendosi dal calderone, che si stava velocemente raffreddando.
- Ha altre lezioni?
- No, non oggi. Pensavo di fare un salto in biblioteca, per iniziare a controllare i testi che potevano essermi utili ed eventualmente iniziare a compilare i moduli per accedere alla sezione proibita.
- Ne avete una anche ad Hogwarts?
- Certo, anche se ho avuto poche opportunità di visitarla. Qui spero che, essendo Durmstrang più aperta alle arti oscure, anche i libri sull’argomento vadano oltre a quello che si può definire un insieme di leggende e luoghi comuni decisamente poco utili.
- Da quel punto di vista rimarrà soddisfatta. Mentre vedo che voi avete una sezione di erbologia decisamente ricca e di qualità superiore alla nostra.
- Ne dubito, Professor Ammanitoff.
Lui si spostò, avvicinandosi leggermente a lei. Sfiorò con un dito uno dei calderoni ripuliti, soffermandosi apparentemente interessatissimo a come lo studente avesse potuto togliere le croste di pozione nera e raggrumata che vi erano all’interno.
- Mi dica, signorina Strongmint…
- Eccolo che arriva. Protego pronti e prepararsi all’impatto! - pensò lei.
- Che metodo insegnano ad Hogwarts per l’estrazione del succo di Fagioli Sopoforosi? Quello che usa lei?
- No. Questo è un metodo che ho sviluppato io nel tempo tramite prove ed esperimenti vari al Ministero. Credo un po’ come quello che ha usato lei. Direi equivalenti, visti gli ottimi risultati ottenuti, no? Lei è stato l’unico a farcela, ma quello era scontato.
La tensione che si era formata tra di loro era palpabile. Ad Ellyson venne in mente quella che sentiva ogni volta che si trovava vicino a quell’idiota di Potter. Un odio a pelle come raramente se ne potevano trovare.
- Era scontato. Ovviamente.
Il silenzio calò tra le due figure immobili per alcuni secondi, poi il corno spezzò l’aria e ordinatamente, sebbene con un po’ di fretta, un gruppo di studenti del secondo anno iniziarono a sedersi ai banchi.
Ellyson abbozzò un inchino al professore prima di uscire, risalendo controcorrente quella marea di ragazzi.
- Lo scontro è solo rinviato, purtroppo. – pensò, allontanandosi a passo veloce dall’aula.

La biblioteca di Durmstrang era in tutto e per tutto simile a quella di Hogwarts, con la sola eccezione che era estremamente fredda. Non solo per la temperatura, ma anche per le sensazioni che dava.
Ellyson si ricordava una sorta di vago tepore provenire dalle sedie di legno scuro, dai tavoli lucidati dal tempo e dalle persone che li avevano usati, una sorta di sonnolento profumo che emanava dai libri, dalle loro costole di pelle lavorata in tutti i colori che si potevano immaginare, di tutte le dimensioni e forme.
Si ricordava ancora con un fondo di timore e di adolescenziale stupidità quando aprì la prima volta il suo libro sulla cura degli animali magici, le sfide che ogni tanto faceva con le sue compagne, ma più spesso con i suoi compagni, se fosse stata più veloce lei con la mano o il libro con i denti, mentre un altro lo teneva aperto come si fa con le fauci dei coccodrilli.
- Qui non c’è nulla di caldo, o anche solo di tiepido. – borbottò, osservando i lunghi tavoli di legno affiancati uno all’altro, con panche più simili a quelle che si potevano trovare in una locanda di infima classe che non in una scuola di magia. I libri, stipati in scaffali di legno addossati alle pareti, trasmettevano più l’idea di cadaveri in lenta putrefazione o di vecchi ormai in attesa solo della morte che non quella di cultura viva e in attesa di essere appresa. – Per la barba di Merlino.
Nessuno. Va bene avere lezione, ma non esserci un’anima viva…
- Lei è quella di Hogwarts? – chiese una voce maschile alle sue spalle, roca e sibilante.
La donna tremò per un istante prima di riprendere la calma e voltarsi, il respiro veloce.
- Sì. E lei, se posso permettermi?
- Il bibliotecario. – rispose l’uomo, vecchio oltre ogni possibilità per poter stimare un’età, dalle spalle incurvate e dalla veste logora e stinta. I lunghi capelli grigi e bianchi erano sparsi sulla schiena e in parte sul viso. – Cerca qualche cosa?
- Libri sulle pozioni.
- Non li avete ad Hogwarts? – chiese lui quasi infastidito, voltandosi e iniziando a camminare vicino agli scaffali, lanciando loro occhiatacce come se fossero stati soldati durante un’ispezione a sorpresa di un generale intransigente.
- Cerco qualche cosa di specialistico, soprattutto relativo ai veleni o a pozioni che simulano maledizioni e anatemi.
- Come se non ce ne fosse già abbastanza di incantesimi… - borbottò lui, fermandosi quasi sul fondo della sala. – Mi dia una mano. Terzo libro a destra, seconda fila, la costa verde in pelle di pitone.
- Una mano? – ripeté lei.
- Sì, per gli dei! Tiri fuori quella bacchetta che sicuramente tiene nascosta da qualche parte nella sua veste e faccia uno degli incantesimi più semplici del mondo. Conosce l’Accio o le devo fare un corso accelerato?
- Mi scusi, ma perché se è tanto bravo non se lo tira giù lei? – sbottò lei, innervosita dal tono saccente e brusco dell’uomo.
Il libro si mosse, tremolando lentamente, per poi alzarsi dallo scaffale e planare dolcemente sul tavolo vicino alla maga.
- Grazie, Tobeah, ci penso io.
- Come vuole, Professoressa Vauqirie – disse lui alla donna che aveva operato l’incantesimo, ferma davanti all’ingresso della biblioteca. Si volse verso Ellyson. – Giovani. Dovrebbero insegnare loro l’educazione come hanno fanno con noi, a bastonate.
Con passo tranquillo la professoressa si avvicinò ad Ellyson e si sedette sulla panca più vicina a lei, per poi farle segno di fare altrettanto.
- Ha fatto conoscenza anche con il nostro bibliotecario, Tobeah Ygoren. Un amore a prima vista, direi.
- Non scherzi, professoressa. Ammetto di aver esagerato, ma anche lui non ha un perfetto modo di comportarsi.
Lei sorrise.
- Ha una certa età, lo comprenda. Credo che lui sia uno dei pochi che abbia visto tutto di Durmstrang, quasi dalla sua prima pietra posata.
- E’ così vecchio?
Lei annuì.
- Già. E infatti il tempo lo ha colpito. E’ uno dei maghi più potenti del mondo, conosce tutto quello che vi è scritto in ogni singolo libro di questa biblioteca, e forse anche di altre, ma non sa fare nemmeno una Trasfigurazione, nemmeno una delle più semplici.
- Come mai, se posso chiederlo?
- Si è talmente convinto di essere uno Squib, che non sa usare più la magia, nemmeno se lo metti di fronte ad una situazione di pericolo. Non sia cattiva con lui, anche se è scontroso.
- Promesso. Posso farle un’altra domanda?
- Su Tobeah?
- Forse. E’ sempre così la biblioteca?
La professoressa si sistemò i guanti, tirandoli all’altezza del polso per farli meglio aderire alle mani, prima di accennare un sorriso triste.
- Spoglia, senza vita e fredda? Sì. Quasi tutti gli studenti hanno i loro libri personali e poche volte devono ricorrere a quelli che ci sono qui. Fanno eccezione gli studenti di Ullrarc, ma loro accedono alla sezione proibita senza passare da questa sala comune. Il loro privilegio.
- Posso accedere direttamente?
- Esatto. C’è una porta nella torre di Ullrarc che porta direttamente alle stanze sopra di noi. Vede quella piccola scala in fondo? - Ellyson spostò lo sguardo verso la direzione del dito della professoressa, e poi annuì. – Quella è l’entrata ufficiale, chiusa con una chiave che tiene al collo Tobeah. Pensa di dover consultare la sezione proibita?
- Credo di sì. Ero infatti venuta anche per i moduli di richiesta.
La Professoressa Vauqirie la guardò sgranando gli occhi, per poi scoppiare a ridere.
- Moduli? Non lo dica a Tobeah o inizierà ad insultarla. Se ha bisogno di accedere, gli chieda la chiave e gli prometta di ridargliela prima di sera, e il gioco è fatto, se lui acconsente, altrimenti ritenti il giorno dopo. Oppure diventi una studentessa di Ullrarc.
- Non mi prenda in giro.
- Non lo farei mai, signorina Strongmint. Non dopo quello che le ho visto fare. Ha già trovato una buona spiegazione?
Ellyson impallidì impercettibilmente.
- Quando chiederete ufficialmente spiegazioni?
- Direi tra cinque o sei giorni. Una cosa privata, le ripeto, molto probabilmente da me, per avere meno possibilità di essere interrotti o ascoltati. Ho già avvertito il Professor Mortunef. Un pomeriggio che lui non ha lezione. Se ci convincerà, la cosa finirà nel nulla, altrimenti credo che dovremo disturbare il preside. Ammetto che se si potesse evitare...
- Sarebbe meglio, già.
- Esattamente. La saluto, signorina Strongmint. – le disse alzandosi e lisciandosi la gonna.
- Professoressa. – abbozzò un inchino la ragazza.
Giunta sulla porta della biblioteca, la donna si voltò.
- Quasi mi dimenticavo il perché l’ho cercata. La signorina Nietova, Hilde per intenderci, voleva parlarle. Sta finendo lezione di Trasfigurazione. La dovrebbe trovare tra pochi minuti nella sala principale, prima che vada a lezione di Pozioni.
Ellyson la osservò uscire, guardò la copertina del libro che il bibliotecario le aveva per così dire consigliato e lo prese sottobraccio prima di uscire anche lei dalla sala, dirigendosi all’appuntamento con Hilde.

Sebbene gremita di gente, Hilde non ebbe difficoltà a riconoscere e a raggiungere Ellyson nella sala principale.
- Piperita, ho saputo di te e Ammanitoff.
- Qui avete un servizio di pettegolezzi incredibile. Sarà passata sì e no un’ora.
- Beh, sei di Hogwarts, e già questo basta per tenere informata tutta la scuola di ogni tua mossa. Se poi riesci a far sfigurare uno dei professori più amati di Durmstrang, tranquilla che non si parlerà d’altro per giorni e giorni.
- Che fortuna…
- Dai, non ti preoccupare. Aveva deciso di esserti nemico prima ancora che tu arrivassi. Anche se non facevi nulla ti avrebbe perseguitata.
- Grazie. Questo mi rende molto più tranquilla. – le disse Ellyson ironica. – La Professoressa Vauqirie mi ha detto che mi dovevi parlare. Come va Noran?
- Sta bene, sta bene. Si sta riprendendo molto velocemente. Sì, ti dovevo parlare. Ho una cosa per te, ma deve rimanere un segreto.
Prima che Ellyson potesse ribattere, Hilde le passò un pezzetto di pergamena piegata.
- Cosa…
- Lo scoprirai, e ti sarà molto utile. Ne ho parlato con Noran, è lui che me lo ha suggerito.
- Ma…
- Tranquilla, sono sicura che capirai. Ora devo andare.
La ragazza si perse nella marea umana, lasciando Ellyson inebetita ad osservare il pezzetto di carta piegato.
Si diresse velocemente alla sua stanza.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


I giorni seguenti videro Ellyson impegnata a tentare di decifrare lo strano simbolo in inchiostro verde che era l'unica cosa disegnata sulla pergamena che le aveva dato Hilde. Assomigliava vagamente ad una runa, ma su nessuno dei libri che aveva consultato in biblioteca era riuscita a trovare nulla che potesse aiutarla nel risolvere il mistero.
La giovane di Durmstrang, d'altra parte, si era chiusa in un mutismo invalicabile quando si trattava di quell'argomento.
Ma Ellyson non demordeva.
- Mi vuoi dire una buona volta che cosa significa quello sgorbio che mi hai consegnato? – le chiese per l'ennesima volta, dopo averla aspettata fuori dall'aula dove Hilde aveva lezione. – Guarda che ti crucio…
- Non se ne parla nemmeno. Ed evita di chiederlo a Noran, o di minacciarlo in maniera così poco convincente come stai facendo con me. Ha un debito verso di te, ma non ti dirà nulla. L'idea è stata sua, come ti ho detto, dopotutto.
- Non so più che fare, Hilde. – sbuffò sconsolata la maga. - Ho consultato tutti i libri, ho cercato ovunque…
- Forse non hai cercato nei punti giusti. Se fosse stato così facile non ci sarebbe stato divertimento, no?
- Sembri una Ravenclaw.
- Chi?
- Lascia perdere. - La donna sospirò, affranta. - Tenterò nuovamente. Questo pomeriggio. Mi farò dare finalmente la chiave da Tobeah, a costo di tramortirlo.
- Non avrai il coraggio di…
- Tu dici? Sono tre giorni che alla mia richiesta mi insulta con parole che credevo non esistessero, e si rifiuta anche solo di farmi avvicinare alla scala della sezione proibita. Oggi lo picchio con un libro di maledizioni, così fa più male.
- Non credo che con la violenza otterrà qualcosa. E comunque non questo pomeriggio, signorina Strongmint.
Le due si voltarono, avendo entrambe riconosciuto la voce del Professor Mortunef.
- Professore.
- Le ricordo che mi aveva chiesto un colloquio questo pomeriggio su una questione che le stava particolarmente a cuore. Credo relativa ad un possibile utilizzo di un incantesimo oscuro, o mi sbaglio? - Ellyson lo squadrò tentando di ricordare, e un piccolo bagliore le si accese nella mente, portando una sensazione di freddo e di paura. – Oggi non ho lezione, se lo ricordi. Alle tre.
- Certo Professor Mortunef. La ringrazio di avermelo ricordato. – Inchinò la testa la donna, non alzando lo sguardo fino a che non sentì i suoi passi allontanarsi.
- Stai studiando qualcosa in particolare? – chiese Hilde. – Mortunef deve essere davvero interessato ai tuoi studi per concederti un suo pomeriggio libero.
- Se te lo dico, mi sveli il segreto del disegno?
Lei rise, scosse la testa e se ne andò dopo averla salutata.
Il sorriso stampato sul volto della donna svanì immediatamente dopo che Hilde scomparve dietro la curva del corridoio.
Inspirò profondamente e scosse la testa. Doveva inventarsi qualcosa alla svelta.
- Ellyson. – pensò mentre usciva dalla porta di ingresso e si dirigeva quasi senza pensarci. – Sei una stupida. Vauqirie te lo aveva detto. E ora sei nello stesso guaio di quando lo hai creato, ma senza nessun passo avanti. – Rabbrividì. – Impervius.
Osservando i suoi piedi affondare nella neve soffice, la donna guidò i suoi passi nella direzione delle stalle, tenendosi però ben alla larga da quel covo di quasi cavalli totalmente carnivori, per poi piegare in direzione del bosco.
In modo quasi automatico si addentrò nella macchia di alberi, così come faceva quando era ad Hogwarts. Lo stare sola, lo stare con la natura, solo lei e le piante, le foglie mosse dal vento e il profumo del sottobosco che lentamente le permeava i sensi le aveva sempre permesso di concentrarsi totalmente fino a trovare la soluzione al suo problema.
Si sedette su una piccola pietra sul bordo di una radura che aveva trovato quasi per caso e chiuse gli occhi, senza rendersi conto del tempo che passava.
- Non questa volta. – pensò alla fine, affranta. – Forse funziona bene solo con la Foresta Proibita, e ammetto che il più delle volte il mio problema era lui e i miei sentimenti per lui.
- Benvenuta. Come mai non è venuta con il Professor Mortunef, signorina Strongmint? E come mai al mattino? Blakus ha avuto dei contrattempi?
Ellyson scattò in piedi, la bacchetta già in mano.
- Chi?
- Io. – rispose la Professoressa Vauqirie, un pesante mantello bianco ornato nella parte inferiore di disegni e rune rosse la proteggeva dal freddo, nascondendole in parte anche il volto con l'ampio cappuccio. Osservò la bacchetta per un istante, assolutamente non impaurita. – Cosa ci fa qui?
- Pensavo. Ho camminato dalla scuola.
- Immagino. Ma come mai da queste parti, mi sono domandata.
- E lei?
La donna sorrise sghemba.
- Io abito qui vicino. Questa è una delle mie… come potrei definirle… sale di ricreazione. Qui addestro i Daymare, o altri piccoli animali non eccessivamente pericolosi.
- Qui? Lei, professoressa?
- Non avete qualcosa di simile ad Hogwarts, signorina Strongmint?
- Sì, qualcosa del genere sì, ma il nostro insegnante era un po' fuori dagli schemi. Non addestrava. Diciamo che lui allevava e poi quello che capitava capitava.
- Una metodologia bizzarra, ma sicuramente con dei risvolti positivi, ne sono certa. – le voltò la schiena. – Posso offrirle una tazza di tè caldo? Non ne ho di inglese, ma credo che un infuso di lichene tibetano possa avvicinarsi al vostro Earl Grey, se pronta a sperimentare.
- Non voglio disturbarla.
- Insisto. Non vorrà che io sia di cattivo umore quando lei ci racconterà la sua spiegazione questo pomeriggio, vero?
- Accetto più che volentieri, in questo caso.
Le due donne si diressero nuovamente nel bosco, ma fecero poca strada prima che un'altra, più grande radura si aprì nella fitta vegetazione mostrando una casa a due piani interamente in pietra, con un ampio balcone e un tetto innevato che però lasciava trasparire le grandi lastre di pietra nera puntinate di licheni rossi e verdi.
- Ha trovato la risposta alla sua domanda?
- Mi scusi?
- Lei ha un problema, questo lo sappiamo benissimo, un problema che svanirà o si ingigantirà alle tre di questo pomeriggio. La camminata e la quiete della radura l'hanno aiutata?
- In parte sì. Ma come faceva a saperlo?
- Lo chiami intuito femminile. Lo faccio spesso anche io.
- E funziona?
La professoressa, che stava aprendo la pesante porta di legno dell'ingresso, si bloccò. Si osservò le mani guantate, stringendo le dita attorno alla maniglia di ferro lucidato dagli anni.
- No. – rispose secca entrando e indicandole una poltrona di pelle scura e morbida, che avvolse come un abbraccio la schiena e le spalle di Ellyson. Ingentilì la voce prima di continuare. – Non sempre.
- E' molto più grande di quello che sembrerebbe dal di fuori.
- Piccole magie di poco conto, ma molto utili. Non faccia caso al disordine, la prego. Non sono una casalinga, e qui i nani non entrano.
- Glielo impedisce lei? – Chiese senza pensarci. La donna non rispose, fissandola negli occhi. La maga ebbe un tremito di paura incrociandoli. – Mi scuso, non era una domanda da porle.
- No, non lo era. – Sorrise. - Ma diciamo che ha quasi avuto ragione.
Il silenzio cadde sulla casa e sulle due donne finché il fischio del bollitore non ruppe l'aria, e la professoressa non portò su un vassoio in argento cesellato di rune due tazze e la teiera, da cui si spandeva un lieve profumo di gelsomino, sebbene in qualche modo più forte, quasi piccante.
- E' molto particolare, ma piacevole.
- Lo immaginavo, signorina Strongmint. Ho cercato di ricreare quel sapore a voi inglesi tanto caro, ma rendendolo simile ai nostri gusti. Più schietti secondo alcuni, più grezzi secondo altri.
- Un ottimo lavoro direi.
- Detto da una pozionista come lei, mi rende felice.
- Non creda a tutto ciò che ha letto nel mio curriculum vitae.
- Stia tranquilla, non giudico mai un libro dalla copertina, si figuri una persona da ciò che sembra.
Il tempo passò in silenzio, interrotto solo da poche domande di cortesia da entrambe le parti, finché la pendola non indicò che era ora di pranzo.
- Devo andare, professoressa.
- Non vuole rimanere per pranzo? Blakus credo sia impegnato su un suo progetto, e salterà il pranzo. Ho visto che raccattava qualcosa per mangiare in aula. Ammetto che io non ho voglia di sentire il chiacchiericcio degli studenti e degli altro professori. Vorrebbe fermarsi da me?
- Disturbandola oltre quello che ho già fatto?
- Non dica sciocchezze. E poi comunque ci dovremmo rivedere a breve, per la sua spiegazione.
Ellyson si incupì immediatamente. Le era già nuovamente passata di mente.
- Io… - Sospirò – Io non…
La professoressa si alzò e si pose dietro lo schienale della poltrona su cui era seduta la maga, poggiandole le mani sulle spalle e stringendo delicatamente.
- Non si preoccupi, sono sicura che saremo alla fine tutti e tre molto felici di quello che ci dirà. Insisto perché lei sia mia ospite.

Il bussare alla porta di ingresso fece sollevare la testa ad entrambe le donne, una intenta da quasi un'ora nello studio di una trascrizione di un antico manoscritto egizio dove si insegnavano le basi per l'addomesticamento dei coccodrilli, l'altra persa nei ceselli di legno della cornice della porta di ingresso, un tazza ormai fredda di succonero in mano, la sua mente a vagare in mille pensieri.
- Deve essere Blakus. Apra lei, signorina Strongmint.
Ellyson si scosse improvvisamente e annuì lenta. Si alzò, appoggiando la tazza sul vassoio cesellato. La mano nervosa aveva tremato facendo cadere parte del liquido sull'argento.
- Brun… - iniziò il professore con un grande sorriso davanti alla porta aperta, per poi bloccarsi immediatamente. – Signorina Strongmint, è una sorpresa inaspettata trovarla qui. – le disse serio.
- Mi scuso di averla disturbata professore, facendole perdere del tempo prezioso.
- Nessun disturbo. Sono curioso di sapere alcune cose sull'episodio relativo al signor Dennov, e sono sicuro che anche lei sia entusiasta all'idea di raccontarle.
- Blakus, non essere più acido del dovuto. – rise la professoressa, arrivata dietro ad Ellyson.
- Impossibile. Io sono sempre al massimo della cattiveria. Ma posso entrare, o preferisce, signorina Strongmint, che l'interrogatorio venga fatto sulla porta della casa della professoressa Vauqirie?
Ellyson non rispose, spostandosi solo di lato e rendendosi conto che si trovava a disagio con loro due presenti. Si sentiva come il terzo incomodo, il che unito alla paura che in fondo al suo cuore le stava dicendo di scappare, poiché non avrebbero creduto ad una sola parola di quello che avrebbe detto, le aveva bloccato il succulento pranzo sullo stomaco.
Inspirò profondamente e chiuse la porta, dirigendosi nel salotto, dove lui si era già accomodato.
- Cosa gradisci? – chiese la professoressa, vicina a quella che sembrava una credenza.
- Firewhisky, senza ghiaccio.
- Ma è solo il primo pomeriggio!
- Hai ragione, potrebbe fare un po' di caldo. Lo prendo con il ghiaccio. – sorrise lui vedendo la faccia falsamente contrariata della professoressa. Voltò la testa verso Ellyson, che era rimasta in piedi sull'entrata della stanza. – Si sieda, signorina, si sieda. Non è un processo. Non ancora.
- Blakus!
- Scusa, Brunjild. Seriamente, signorina Strongmint, si sieda. Come le ho già detto in questi giorni e come sicuramente le ha ripetuto la professoressa Vauqirie, gradiremmo una spiegazione che non scricchioli troppo relativamente a quanto abbiamo visto nella sala il giorno del duello. Se la cosa ci soddisferà, tutto finirà nelle nebbie del tempo, altrimenti saremo nostro malgrado costretti a far intervenire il preside per ulteriori chiarimenti e provvedimenti.
- Capisco. E vi ringrazio. – mormorò la ragazza, seduta su una poltrona di fronte al divano su cui si erano accomodati i due professori. – Cosa volete sapere di preciso?
L'uomo sembrò pensieroso, mentre la fissava per un istante.
- Era un incantesimo oscuro quello che lei ha usato, vero?
- Esatto.
- Eppure io non lo conosco, e credo di essere uno degli esperti mondiali, se non l'esperto mondiale di incantesimi oscuri.
- Mi spiace contraddirla, professore, ma lei non lo è. Forse ora, ma non fino a qualche anno fa.
- In che senso?
Ellyson chiuse gli occhi, indecisa se dire ciò che si sentiva nel cuore o meno. Secondo una parte di lei, era l'unica soluzione possibile, ma sempre secondo un'altra parte di lei era la cosa più stupida da fare.
Inspirò lentamente, espirò e sorrise triste.
Era abituata a fare cose stupide.
- Più di venti anni fa un giovane divenne professore di Pozioni ad Hogwarts. Io frequentai la scuola poco dopo, e lo conobbi. Fu il mio professore. Uno dei migliori nel suo campo, ma le pozioni non erano il suo unico interesse. Amava la magia almeno quanto la magia amava lui, e fin da giovane, sebbene questo lo scoprii molto tempo dopo, si era dilettato nella creazione di nuovi incantesimi, pur non sapendo che alcuni di essi erano oscuri, finché non li ebbe creati.
- Come si fa a non sapere che cosa si sta creando?
- Lasciala continuare, Brunjild. Ha un senso quello che sta dicendo. E questo professore quindi aveva creato vari incantesimi?
- Credo proprio di sì. Molti normali, alcuni solo per gioco, poco più che mere manipolazioni, altri molto potenti, o pericolosi. Io dico che sono magia oscura, ma non ne sono così sicura. Certo è meglio che non siano divulgati, non lo nego.
- E lei come può conoscerli?
Ellyson sorrise nuovamente ripensando a come erano andate davvero le cose.
- Li ho trovati. Alcuni me li ha insegnati mentre lavorammo insieme, per un progetto comune molto importante per il Ministero, ma altri li ho… rubati, possiamo dire, da una sorta di diario che nemmeno si ricordava di avere.
- Interessante. E tra questi vi era anche quello che lei ha usato sul signor Dennov?
Lei annuì.
- E quanti altri sanno di questi incantesimi?
- Nessuno. Solo io.
- E il professore. – corresse la professoressa.
- Non più. Ho capito di chi sta parlando, e comprendo la sua ritrosia nel volerne parlare. Non fu certo una persona molto gradita all'epoca, e ancora oggi molti non sono convinti di ciò che fece, sebbene i fatti provino il contrario. Un uomo coraggioso.
- Il più coraggioso. Se penso per chi ha dato la vita … - mormorò Ellyson.
- Mi scusi, signorina Strongmint?
- Nulla, nulla. Mi scuso, mi sono lasciata trasportare da dei vecchi ricordi.
- E quindi l'incantesimo che ha usato è equiparabile a quelli oscuri. Ma lei ha potuto annullarne gli effetti, cosa che non è possibile fare normalmente.
- Se non si agisce con la giusta formula entro pochi secondi dall'effetto, è irreversibile come tutti gli incanti oscuri. Ma nel caso di Noran la formula e la controformula sono state pronunciate il più vicino possibile, con nessuna conseguenza per lui, spero.
- No, assolutamente no signorina Strongmint. Domani stesso riprenderà le lezioni regolarmente, al contrario del signor Wulfberson, ancora a lungo in punizione.
- A Hogwarts sanno che lei… - iniziò la donna.
- No! – scattò in piedi Ellyson. – E vi prego, qualsiasi cosa, ma lasciate Hogwarts fuori da questo guaio. Ha già subito troppo. La colpa è solo mia di quanto è successo.
- Capisco. – disse pensieroso l'uomo, facendo segno con gli occhi alla professoressa di dirigersi nella cucina, dove lui la seguì, lasciando sola la giovane maga dopo aver chiuso la porta alle sue spalle. – Ne dovremo discutere per un po', signorina Strongmint. Si metta comoda.
I secondi scanditi dal meccanico rumore della pendola persero significato per Ellyson, che si ritrovò seduta sulla poltrona con le mani intrecciate a tormentarsi una con l'altra, lo sguardo fisso sul vassoio sporco di succonero. Il liquido si era asciugato, lasciando una macchia che aveva messo in evidenza le cesellature finissime dell'intera superficie. Una in particolare continuava ad attirare l'attenzione della strega, ma nervosa quanto lo era in quel momento, non riusciva a capirne il motivo.
La porta della cucina si aprì, e i professori ritornarono a sedersi sul divano.
- Quando dovrò vedere il preside?
- Penso stasera, non più tardi delle sette.
- Bene. Avrò il tempo di fare le valige.
- E perché dovrebbe farle, signorina Strongmint?
Lei alzò lo sguardo, incredula.
- Professor Mortunef, non mi ha appena detto che dovrò incontrare il preside per discutere di ciò che ho fatto?
- No. Lei mi ha chiesto quando lo vedrà, e io le ho risposto. Come tutti gli studenti e i professori, stasera a cena, non oltre le sette. Stasera c'è la partita di Quidditch, nessuno se la vuole perdere, per cui ceneremo tutti un po' prima.
- Maschi. Chi li capisce è brava. O è un maschio. – rise la professoressa, appoggiando le mani guantate su quelle tese e dalle nocche esangui di Ellyson, che non si era ancora ripresa dalla notizia che avevano accettato la sua spiegazione. Con delicatezza intrecciò le sue dita con quelle della giovane. – Si rilassi. Le preparo una tisana, poi la riaccompagno alla sua stanza.
- Grazie, io…
- Non dica nulla. Oh, ma guarda come è sporco questo vassoio. Lo devo assolutamente lavare.
All'improvviso la maga si ricordò dove aveva già visto lo strano disegno, e bloccò la professoressa.
- La prego, le chiedo una gentilezza. Cosa significa questo simbolo?
- Non è un simbolo. – puntualizzò Mortunef, avvicinatosi e indicando parte della cesellatura del vassoio. – E' un glifo composito.
- Mi scusi?
- Un glifo composito è un insieme di due o più rune che vengono fuse tra di loro per due motivi: rendere il messaggio nascosto se non a chi è in grado di capire, e aumentare la potenza della magia che ogni runa possiede. Un glifo di due rune è più potente che le due rune scritte di seguito.
- Esattamente. Questo è un glifo che alcuni ricollegano a Ullr, che lo creò per scacciare il suo rivale Wotan dalle sue terre, impedendogli di rimetterci piede. Qui ovviamente è una versione artistica, priva di qualsiasi potere, e infatti come vede è parte di una sorta di scena incisa nell'argento, ma il glifo, quello vero, sarebbe decisamente non da incidere e mettere in bella mostra. – continuò la professoressa.
- Come mai è interessata proprio a quel disegno?
- Ne ho visto uno simile su un libro di rune che ho consultato giorni addietro, ma non capivo cosa fosse.
- Quale libro?
- Ammetto Professor Mortunef che non me lo ricordo. – mentì lei. – Se le interessa posso mettermi subito a cercarlo in biblioteca.
- No, no. Le rune e la magia legata ad esse è potente, ma non è la mia branca principale.
- Come darti torto, essendo tu un Berserk.
- Brunjild… - iniziò lui acido.
- Blakus… - lo prese in giro lei in tono di sfida.
- E' tardi, devo andare a studiare. – disse lei imbarazzata. - Professoressa, professore, sono in debito con voi. Grazie per l'offerta della tisana, come se l'avessi accettata.
- Si figuri. Ora sa la strada. Quando avrà voglia passi a trovarmi. Tra una settimana dovrebbero nascere dei puledri di Daymare. Le interesserebbe vederli?
- Cer… certamente, professoressa. Da lontano però.
La donna rise.
- Allora glieli mostrerò più che volentieri.
Ellyson si mosse verso la porta di ingresso.
- Signorina Strongmint.
Lei si voltò.
- Dica professore.
La mano guantata della professoressa stava stringendo visibilmente il braccio dell'uomo.
- No, nulla. Vada pure.
- Certo, professore. Professoressa, buona giornata.
Chiuse la porta e si incamminò verso la scuola.
Aveva molte cose a cui pensare, dal glifo al comportamento dei professori, oltre alla sua missione e a quel vago senso di viscido che le colpiva lo stomaco pensando ad Ammanitoff, ma decise di dedicare il pomeriggio in biblioteca, nella zona proibita, Tobeah o no.
- Prima cosa, Hilde. E per riuscirci, un salto nella mia stanza per prendere una pozione che mi potrebbe servire.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Tobeah russava rumorosamente sulla sedia leggermente imbottita dove si appollaiava quando non era in giro per la stanza a insultare gli studenti che si avventuravano nella biblioteca. Davanti a lui, sul tavolo consunto e lucidato dal tempo, un bicchiere quasi vuoto di vino rosso e una bottiglia dello stesso praticamente finita.
- Come immaginavo non ha resistito al richiamo di un buon Brunello di Montalcino. Grazie a Hisser per mantenere sempre così fornita la mia cantina e grazie a me per la bella dose di sonnifero che ho aggiunto, il mio caro bibliotecario dormirà per alcune ore. Il tempo necessario per trovare ciò che cerco. – sorrise Ellyson, la chiave della sezione proibita della biblioteca in mano.
Aperta la serratura, dopo aver salvato per un paio di volte le dita dagli acuminati denti di ottone del meccanismo che sembrava divertirsi a ringhiare e a mordere appena lei tentava di infilare la chiave, e salite le scale a chiocciola apparentemente infinite, si accorse che al contrario di quella di Hogwart, quella parte della biblioteca era immensa, decisamente più grande della parte pubblica, ed era disposta su vari piani, apparentemente molto più di quelli che poteva contenere Durmstrang.
- Sono all’ultimo, per cui potrei dover scendere, anche se spero di non doverlo fare. Sotto di me ci sono degli studenti di Ullrarc. Non so come potrebbero prendere la mia presenza in una zona che sembra essere di loro esclusivo utilizzo. – pensò iniziando a camminare lungo la balconata che si affacciava sui piani inferiori, disposti come i gironi infernali in cerchi concentrici sempre più piccoli.
Piccole scale di metallo brunito permettevano di salire o scendere, ma gli studenti sembravano preferire la levitazione, spesso mentre leggevano o prendevano appunti. Gettando occhiate alle centinaia di volumi di ogni forma, colore e dimensione alla sua sinistra sugli scaffali, di sfuggita vide titoli che era sicura non fossero presenti nella sua scuola, e alcuni la attrassero particolarmente.
- Se avrai tempo, la prossima volta. Ora concentrati su quello che devi fare. – si obbligò, fermandosi per capire come erano catalogati i libri. – Apparentemente sono in ordine alfabetico. Direi di iniziare con la G di glifi.
La parete davanti a lei tremolò, diventando per un istante indistinta, per poi tornare ad essere perfettamente visibile alla maga che aveva già estratto la bacchetta, pronta a colpire un eventuale nemico o a proteggersi. I libri erano cambiati, sia come disposizione che come numero, e anche lo scaffale non pareva lo stesso.
- Cosa?! - con un sussulto si accorse che accanto a lei, a circa un metro, uno studente del sesto o del settimo anno stava consultando un piccolo tomo verde da cui usciva un debole fumo rossiccio e nerastro. - Cosa…
Il ragazzo sollevò contrariato lo sguardo dal libro e la fissò negli occhi.
- Silenzio! - la esortò deciso ma educato. - Siamo in una biblioteca.
- Ma un istante fa…
- Mai stata in questa sezione della biblioteca?
Lei scosse la testa, rendendosi conto che si era anche spostata senza saperlo di alcuni gironi più in basso.
- Tu cercavi qualcosa di specifico, visto che come me stai guardando gli scaffali tematici. Gnomuncoli e omuncoli?
- No. Glifi.
Lui annuì.
- Sono lo scaffale davanti a te e quello alla sinistra. Tu sei la studentessa di Hogwarts. Come cercate il libri nella vostra biblioteca, se ti sei spaventata?
- In ordine alfabetico.
- E basta? La vostra è statica?
- Mi sa che mi sono persa qualcosa…
Lui chiuse il libro e sorrise come un padre sorride ad una bimba piccola. Ellyson non sapeva se arrabbiarsi o sentirsi una stupida. Decise di essere una stupida arrabbiata.
- Data l’enorme quantità di libri della sezione proibita, la biblioteca aiuta chi cerca modificandosi. Se cerchi in ordine alfabetico, la vedrai così. Se la cerchi per genere, o autore, o dimensione del libro, anche per carattere della copertina, la vedrai come ti serve. Poi ti sposti come vuoi, e la biblioteca sarà per te come ti serve. Non usare le scale, te lo consiglio. Le usa solo Tobeah, e credo che siano più vecchie di lui.
- Grazie del consiglio e della spiegazione.
- Prego. - rispose lui, riaprendo il libro e rigettandosi nella lettura come se lei non esistesse.
La maga si mise a cercare qualcosa che contenesse dei riferimenti al glifo che aveva visto stilizzato sul vassoio della Professoressa Vauqirie e che doveva avere un ben preciso significato, se Hilde si era presa la briga di darglielo di nascosto. Dopo alcune ore e innumerevoli libri, trovò un riferimento ad una vecchia leggenda che si rivelò esattamente una versione estesa di quello che Mortunef le aveva già detto. Però una nota dell’autore diceva che esisteva una seconda versione della leggenda che però era considerata non valida, ma fortunatamente citava il libro in cui si poteva trovare.
- Eccolo! - quasi gridò, strozzando la voce all’ultimo momento per evitare le occhiatacce degli altri studenti. Il suo tentativo non andò a buon fine. - Speriamo che ci sia la spiegazione di questo enigma.
Ma la gioia si trasformò in rabbia quando sedutasi ad uno dei tavoli disponibili, scoprì che il libro era scritto con le rune, e lei non sapeva leggerle se non dopo ore di utilizzo del dizionario e dei testi che comunque aveva a disposizione.
Incurante degli sguardi stupiti e in parte divertiti dei presenti, picchiò la fronte un paio di volte contro il legno del tavolo, quasi con violenza, quindi si lanciò in un mentale e meticoloso elenco delle ingiurie che conosceva, non trovandone però una adatta per essere espressa e che dimostrasse cosa provava in quel momento.
Era ad un punto morto. Non poteva certo portarsi via il libro per tradurlo, né farlo nella biblioteca.
- Potrei ricopiarlo per poi tradurlo con comodo. - si disse infine, e sfogliò la parte che le interessava per vedere di quanto si trattava. Alla terza pagina vide ben chiaro, stampato in inchiostro verde, il glifo composito di Hilde. La storia continuava per altre cinque pagine. - Troppe per copiarlo. Devo trovare un’altra soluzione.
Uno studente del secondo anno si sedette di fronte a lei, i capelli scarmigliati, il viso quasi sudato e gli occhi stanchi. Accanto a lui aveva posato almeno sei libri molto pesanti e aveva estratto un lungo rotolo di pergamena e una penna. Sbuffò risistemandosi gli occhiali quadrati sulla faccia brufolosa, quindi si rilassò per un secondo sulla sedia, slacciandosi il gilet che era parte della uniforme della scuola e che in una stanza come quella effettivamente era un po’ esagerato.
- Caldo, eh? - sorrise lei.
- Già. - rispose lui afferrando le due estremità del gilet e usandole come ventagli per raffrescarsi un po’.
Ellyson fissò un punto sulla giubba del ragazzo. I segni di qualcosa di ricamato sul lato interno del vestito, apparentemente dei rammendi a prima vista, ma la loro disposizione la colpirono.
Sfortunatamente prima che lei potesse osservarli meglio, il giovane si accorse che lei lo stava osservando, e immediatamente richiuse il gilet, per poi addirittura spostarsi ad un altro tavolo.
- Che sia? - si chiese lei, ma prima che potesse pensarci meglio, dalla balaustra più elevata venne la voce arrabbiata del bibliotecario che la chiamava a gran voce.

Ellyson chiuse la porta della sua stanza, di ritorno da una cena veloce e frugale. Dopo i primi giorni, fortunatamente i professori, ma soprattutto il preside, avevano perso interesse per lei, così che non trovò più un posto apparecchiato per lei al loro tavolo. Non dovette però ripiegare sul tavolo degli ospiti, chiaramente poco usato, in quanto Hilde e Noran le avevano sempre fatto trovare uno spazio libero accanto a loro, e lei ne aveva approfittato, come quella sera, citando un ben non meglio precisato dolore alla testa che le permise di defilarsi poco dopo il secondo.
- Tobeah si è calmato. Mi è costato un po’ in vino e acquavite, ma si è dimenticato l’accaduto. Sfortunatamente mi ha anche chiaramente e coloritamente confermato che non mi darà mai più la chiave per la biblioteca, sia da sveglio che da addormentato.
Rimuginando, la maga si svestì appoggiando i vari indumenti sul letto, estrasse dalla borsa una vasca da bagno in ghisa smaltata, la riempì di acqua tiepida e di sali profumati, quindi si immerse e chiuse gli occhi, sospirando.
La sua mente, per quanto lei cercasse di svuotarla e di farsi passare la noiosa fitta alle tempie che si era venuta a creare nelle ultime ore, tornava sempre a quei segni sulla giubba del giovane.
- Sono certa che fosse il glifo. Molto probabilmente lo ha dipinto o ricamato su un pezzo di stoffa che ha poi cucito all’interno. Più ci penso, e più quelle linee di cuciture sono simili a pezzi del glifo. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Perché proprio lui? E perché Hilde mi ha detto che doveva rimanere un segreto? Cosa potrebbe voler dire un glifo che impedisce a Wotan e ai suoi seguaci di entrare nel regno di Ull sulla giubba di uno studente?
Ringhiò sommessamente di rabbia repressa. Inarcando il corpo, fece cadere per terra l’asciugamano che aveva attorno ai capelli, e si immerse lentamente, come a volersi affogare, nella vasca, finché la schiuma non la ricoprì del tutto.
L’acqua rimase immobile durante quei lunghi secondi.
- Ma certo! - gridò lei tornando a galla e alzandosi in piedi, il corpo coperto sommariamente solo dalla densa e soffice schiuma, parte dell’acqua caduta sul pavimento, dove si stava raccogliendo in pozze più o meno ampie.
Incurante della cosa, la maga uscì dalla vasca e si diresse al tavolo, dove afferrò un pezzo di pergamena e una penna, scribacchiando qualcosa velocemente, un sorriso a labbra chiuse sul volto.
- Bene. Vediamo se domani mattina le mie intuizioni sono giuste.
Infilò il pezzo di pergamena piegato in quattro, insieme al glifo che Hilde le aveva consegnato, in una delle tante tasche nascoste della sua tunica, quindi si rivestì velocemente, bagnando gli abiti.
- Morfovestum. - disse, cambiandosi nel suo accappatoio.
Si asciugò e pettinò magicamente i capelli sorridendo, certa che la sua idea avrebbe funzionato, quindi andò a letto, addormentandosi quasi subito.

Una piccola lampadina rotta si illuminò debolmente sotto il lavello della cucina, svegliando un assonnato Hisser che si stiracchiò platealmente, emettendo una serie quasi infinita di piccoli rumori di ossa che scrocchiano e di mugolii di dolore, o di contentezza.
- La padrona ha cambiato gli abiti. La padrona vuole che Hisssser li lavi e li ssstiri per lei entro domani mattina, come sssempre. Sssì, sssì. E Hisssser è molto contento che la padrona lo faccia lavorare, cosssì Hisssser non diventa inutile più di quello che è, come dice sssempre la padrona. - si disse l’elfo, uscendo dal sottolavello e dirigendosi a balzelli, passi e inciampi alla camera da letto di Ellyson, dove aprì la porta dell’armadio ed estrasse con un lungo bastone le vesti che fino a pochi istanti prima erano sul corpo della donna.
Aveva notato la mancanza dell’accappatoio nel bagno, ed era sicuro che nel giro di poco sarebbe scomparsa la camicia da notte.
Richiuse l’armadio e si diresse nel locale dove aveva organizzato una piccola lavanderia e stireria, con un grande ferro da stiro a vapore e una piccola pressa. Non amava i marchingegni babbani, ma aveva ammesso che il ferro da stiro con la caldaia a vapore era una grande invenzione, molto meglio dell’incantesimo per tenere caldo il metallo del vecchio ferro a carbone che aveva usato fino ad un anno prima.
- Molto utile, molto bello, sssì, sssì. Hisssser o tiene caldo il ferro con la magia o si ssscotta per punirsssi. Con il ferro degli ssschifosssi babbani Hisssser può punirsssi a lungo e non preoccuparsssi del calore. Bello, bello. - in parte pensò, in parte biascicò mentre il metallo si arroventava e un piccolo getto di vapore iniziava ad uscire dai fori della piastra inox. - Ma prima il dovere, poi il piacere. Ora Hissser laverà le vesssti della padrona, poi le ssstirerà, e ssse sbaglierà qualcosssa, sssaprà come punirsssi. E Hisssser sssbaglia sssempre qualcosssa.
Con cura e reverenza che avevano quasi del religioso l’elfo controllò ogni singola tasca e particolare delle vesti, per essere sicuro del loro stato e che nulla fosse lavato per sbaglio. Mentre lo faceva, le sue ossute e perennemente tremanti mani trovarono il pezzetto di pergamena piegato.
- La padrona mi ha ssscritto un biglietto. E’ proprio per me, ha ssscritto il mo nome sssulla pergamena. - gongolò portandosi il biglietto al cuore e dondolandosi per qualche secondo come un bimbo piccolo che ha tra le mani un giocattolo nuovo. - Sssperiamo che la padrona mi abbia dato ordini difficili e tremendi, cosssì che Hisssser sssbagli e sssi possssa punire. Sssì, sssì, ordini difficili e tremendi come la mia padrona.
Aprì con timore il biglietto, facendo cadere il pezzetto di pergamena su cui era disegnato il glifo, e lesse il contenuto velocemente.
Si mise a piangere e singhiozzare.
- Non è giusssto, la padrona non è giusssta. La padrona mi da un ordine sssemplicissssimo da essseguire, e io non posssso sbagliare con un ordine tanto sssemplice. Hissser è arrabbiato con la padrona, lei non è buona. - Si fermò e raccolse il disegno. - Cattivo Hisssser, cattivo che dici che la padrona non è buona. Dovrai punirti per aver detto che la padrona non è buona e gentile. Hisssser dovrà punirsssi per quello che ha detto.
Sempre bofonchiando l’elfo si mise al lavoro, così che dopo un paio di ore aveva completato tutto quello richiesto dalla maga, e con gentilezza rimise il vestito lavato e stirato alla perfezione sull’appendino, richiuse la porta dell’armadio e si diresse nuovamente alla stireria, la mano sinistra tremante mentre la infilava sotto la pressa da piega e azionava il meccanismo di chiusura.

- Morfovestum. – mormorò, ancora in parte addormentata, la giovane.
Aveva lezione di Arti oscure e di Pozioni, e per quanto la prima fosse forse più pericolosa, l’idea di dover incontrare di nuovo Ammanitoff, quell’odioso pozionista da fiera di paese, le piaceva ogni secondo di meno.
- Vediamo se il mio elfetto ha fatto quanto richiesto. - si disse, sicura che Hisser avesse eseguito alla lettera i suoi comandi.
Trovò infatti nella tasca, dove lei aveva lasciato il biglietto, una piccola pergamena arrotolata e chiusa con un nastrino di seta verde macchiato in alcuni punti di sangue.
“Gentilissima e tremenda padrona, Hisser ha ricevuto il suo biglietto che lo ha riempito di terrore e di paura al pensiero dei suoi sempre orribili ordini degni di una padrona tremenda come è lei e che Hisser, umile e inutile servo nonché elfo domestico, non potrà mai eseguire correttamente. Con tremebonda umiltà Hisser si è quindi accinto ad eseguire i suoi terribili ordini, e come avrà la bontà di appurare quanto prima e comunque quando le aggraderà, Hisser ha riportato, tramite ricamo di seta verde, sulla sua sottoveste il disegno che lei ha così gentilmente permesso di far vedere a Hisser per riprodurlo. Magia, magia potente quel disegno. Hisser tremava tutto nel ricamarlo, così come tremava per aver avuto la possibilità di toccare la veste che sfiora la sua perfetta e terribile pelle di padrona tremenda. Hisser assicura che si è lavato molto le mani prima di toccarla, e che ha lavato la veste come mai prima dopo averla toccata e ricamata.
La tremenda padrona è stata così gentile da dare ad Hisser un altro ordine, che Hisser ha prontamente eseguito. Hisser è stato da suo cugino, l’elfo dell’odioso signore, e ha chiesto con sotterfugi e giri di parole, che Hisser non riporterà per non offendere le orecchie della tremenda padrona, cosa l’odioso signore sta facendo. Il cugino dell’inutile Hisser ha detto che l’odioso signore non si è mosso dal suo ufficio nel sottosuolo, ma che l’amico idiota dell’odioso signore è partito da poco per un viaggio con la sua signora nella città di Praga. L’odioso cugino di Hisser ha detto anche che con l’amico idiota e la signora sono andati anche alcuni servi pagati dal ministero, gli stessi che la tremenda signora si diverte tanto a colpire e a insultare, cosa che sicuramente è giusta e buona. L’odioso cugino dell’inutile Hisser non ha saputo dire quando il gruppo che sta sulle dita di una mano sarebbe tornato o che cosa dovevano fare. L’odio signore ha solo detto che era importante e che era eccitato dall’impresa.

Inutilmente suo per sempre e anche oltre
Hisser

P.S. Hisser si scusa per il sangue sul laccetto, ma Hisser si è ricordato che non si era punito molto negli ultimi tempi, così si è punito per non essersi punito abbastanza. Ora Hisser è felice di aver fatto il suo dovere di elfo domestico, cattivo e inutile.”

- A Praga. Per le mutande di Merlino, che cosa ci sono andati a fare quel sempliciotto di Weasley e sua moglie Hermione insieme a tre Auror a Praga? Che diavolo sta architettando quel mentecatto di Potter?
Ripose la pergamena nella sua borsa, quindi uscì per fare colazione e per assistere alle lezioni della giornata, che le avrebbero preso sia la mattina che il pomeriggio, lasciandole poco tempo per sperimentare se la sua intuizione era giusta.
- Potrò farlo solo nel tardo pomeriggio. Meglio non tentarci in mattinata appena dopo Mortunef, o rischio di arrivare in ritardo a Pozioni, e credo che sarebbe solo una perfetta occasione per quel professore per iniziare a redigere un rapporto negativo su di me ad Hogwarts - Sorrise triste camminando per i corridoi, incrociando gli studenti e i loro sguardi spesso incuriositi. Ormai però non era più la novità della scuola, e molti fortunatamente la ignoravano come se fosse una normale studentessa, cosa che non poteva che renderla felice. Era partita con il piede sbagliato in quella missione, e iniziare a recuperare il basso profilo che sperava fin dall’inizio era una piacevole sorpresa. - Non che la cosa mi dia fastidio, visto che non devo mica essere davvero giudicata dai professori o dalla McGonagall, ma mi darebbe assai fastidio essere la causa di una brutta figura ad Hogwarts. E’ stato il periodo migliore della mia vita, se escludiamo quello con lui, anche se non c’era una casa comune e nemmeno una nostra stanza.
Raggiunse l’aula di Arti oscure con alcuni minuti di anticipo, e si sedette in uno dei banchi sul fondo.
- Oppure no, una stanza nostra, una nostra casa c’era. La sua, con quella stupenda stanza in cui creavamo pozioni e studiavamo filtri, miscele e incantesimi, sebbene non per il più nobile degli scopi, apparentemente. Ma all’epoca ero solo una stupida ragazzina, e l’ho seguito solo per il mio piacere, non certo perché sapevo della sua vera missione.
Altri studenti, in numero sempre maggiore, stavano entrando e si stavano accomodando.
- E se lo avessi saputo prima di quel giorno, se fossi stata al corrente di ciò che stava facendo? Lo avrei aiutato? O lo avrei combattuto? O lo avrei tradito, non certo consciamente. Ma chi poteva resistere di fronte all’Oscuro Signore? - Sorrise, stavolta felice, al ricordo di un volto e di un sentimento mai del tutto sopito. - A parte lui, ovviamente. Eppure alla fine me lo disse, quel giorno, quel giorno in cui morì. Quel giorno in cui io lo abbandonai.
La voce del professore che iniziava la lezione la distrasse abbastanza dai suoi pensieri, ma non dal sentimento di vuoto che si era impadronito di lei come ogni volta che ripensava a quel giorno di nove anni prima.

- Trova il nostro cancello tanto interessante? Non starà per caso pensando di portarselo via? - chiese il nano arrivando alle spalle di Ellyson nella neve.
- Ah, Nok, è lei. – sorrise sincera. - Mi ha spaventato. Come ogni volta, d’altronde. Voi nani siete sempre così silenziosi nella neve?
- Se vogliamo sì.
- E come mai con me vuole essere silenzioso?
- A parte che è così assorta nei suoi pensieri che potrei arrivarle alle spalle con una banda al completo e non se ne accorgerebbe, mi piace vedere la sua faccia per un istante spaventata prima che il suo allenamento a non mostrare emozioni la nasconda.
- Non la capisco, mi spiace. - disse facendo finta di nulla la maga, che si era rimessa a guardare il cancello da un po' più vicino dell'altra volta.
Il freddo era intenso, ma grazie agli incantesimi e a una pesante cappa di lana cotta e di abiti invernali Ellyson si trovava al caldo e asciutta.
- Immagino. Come mai ancora qui davanti? Non credo che sia per la sua bellezza che lo sta osservando da più di mezz'ora.
- Mi sta spiando, Nok? – gli chiese guardinga, solo in parte falsamente irata.
- Non credo proprio. Ammetto di avere di meglio da fare che seguire una ragazzina che gioca a fare la studentessa in una scuola straniera. - Sbuffò un pesante fumo verdastro dalla sua pipa, dopo averlo fatto girare in bocca per alcuni secondi, quindi sembrò brontolare sommessamente dalla bocca chiusa, un rumore simile a dei sassi che rotolano in una valle profonda. - Ho semplicemente visto quanta neve è già caduta nelle sue impronte. Deduco che una mia eventuale ingerenza nei suoi affari le è sgradita.
- I miei unici affari, come li chiama lei, sono fare bella figura alla mia scuola e scoprire, se possibile delle pozioni, che simulino incantesimi oscuri. - rispose piatta lei. Non le piaceva la piega che stava prendendo la discussione. - Se si riferisce ad altro, non credo di capire a cosa sta alludendo.
- Nulla, nulla, non si preoccupi. – concluse lui col tono di un padre con una bimba piccola. - Mi può però togliere una curiosità?
- Se posso.
- Io so da quello che sento nella scuola che dividete gli incantesimi in incantesimi diciamo normali, e incantesimi oscuri. E che quelli oscuri sono pericolosi, perfidi e decisamente sgradevoli da subire.
- Vero, anche se ammetto che gli Stupeficium non sono esattamente una passeggiata, anche se non sono oscuri.
- Ah, quelli che usate per sbattere a terra altri maghi. Fanno un bel solletico sulla mia pelle, come credo su quella degli altri nani. Me ne sono arrivati un paio per sbaglio durante un duello non autorizzato. - ridacchiò mentre altro fumo usciva a piccole nuvolette dalla sua pipa. - Spero ad ogni duello di venir colpito ancora. Comunque, la mia curiosità è un'altra. Perchè trovare pozioni che riproducono incantesimi tanto orribili? Mi sembra stupido.
- Effettivamente sembrerebbe così. Se poi aggiunge che noi siamo maghi...
- Signorina Strongmint, lasci a me la parte del cinico nano. Lo sono, dopotutto.
- Cinico o nano? – non potè esimersi dal canzonarlo.
Lui la guardò senza parlare, sbuffando fumo quasi quanto l’Hogwarts Express.
- Come vuole. Lei sa qualcosa di veleni?
- Solo che sono pericolosi. Non ci sono molti animali velenosi qui, se esclude le vipere dei fiordi, ma sono tanto rare che nessuno le ha viste negli ultimi mille anni.
- Sa che esistono degli antidoti, vero?
- Sono un nano, non uno stupido.
- Non volevo offendere, solo essere sicura di essere capita. Ciò che forse non sa, e da cui deriva la sua domanda, è che ogni antidoto ad un veleno parte dal veleno stesso. Ciò che vorrei fare è creare una pozione che simuli gli effetti di un incantesimo oscuro, un veleno per così dire, per poi lavorare sulla pozione e creare una contropozione.
- E di conseguenza un antidoto all'incantesimo oscuro. - sbottò sgranando gli occhi il nano quando l’apparente contorto ragionamento arrivò al suo cervello. - Non vi facevo così furbi, voi maghi.
- Lo prendo come un complimento, soprattutto detto da lei.
Il nano non rispose, e si mise accanto a lei, interessato apparentemente alle nuvole che passavano veloci in cielo portando la neve che stava cadendo copiosa.
Il vento fischiò per vario tempo, prima che Ellyson voltasse la testa in direzione del nano.
- E' vera la leggenda?
- Quale? - chiese lui senza muoversi.
- Quella del cancello.
Nok ridacchiò.
- Sia un po' più precisa, ce ne saranno una decina, e se includiamo anche quelle inventate dagli studenti, arriviamo alla cinquantina.
- La sua creazione e i suoi poteri di smaterializzazione.
L'essere mormorò sommessamente per alcuni secondi prima di sbuffare ancora del fumo.
- Quello che ha trovato sul libro l'ha stuzzicata?
- Interessata quel tanto da farle altre domande, prima di cercare nei libri. Ho difficoltà a trovare le informazioni che mi servono. - Lui si mosse, guardandola con sguardo indagatorio. - Rune, voi e le vostre rune maledette.
Nok rise di gusto, piegandosi leggermente in avanti per riprendere fiato e ridere ancora.
- Dirò a Tobeah di recuperarle delle copie tradotte in inglese. Comunque per rispondere alla sua domanda, la creazione è avvenuta effettivamente con le armi e le protezioni di una banda di folli umani che cercavano questo luogo. Sulla seconda parte non sarei così sicuro, ma come potrà capire meglio lei di me, mai fidarsi di ciò che dice o fa un mago. Per cui potrebbe anche essere che porti ovunque e in nessun luogo.
- Lasci stare il bibliotecario. Io e lui non siamo in ottimi rapporti.
- Signorina Strongmint, è qualcosa in noi o in lei? Si è fatta parecchi nemici qui dentro in pochi giorni. - la prese bonariamente in giro Nok.
- Direi solo uno serio al momento, che tra parentesi dovrò incontrare tra poco. Devo ritornare nella scuola a mangiare un boccone prima di Pozioni.
- Non si preoccupi, signorina Strongmint, nel caso di Ammanitoff, se lei non è della sua cerchia di animaletti da compagnia nei Lokithryk è automaticamente una nullità da schiacciare per lui.
- Un commento duro e molto acido, considerando che l’ho sempre vista come qualcuno al di sopra delle beghe tra maghi. – gli disse con un sorriso e in tono ironico. – Quasi mi fa pensare che anche lei sia nell'elenco?
- Dopo aver fatto conoscenza con la mia "Vecchia Ghertrud", ci pensa su due volte prima di esprimere giudizi sui nani, anche se positivi. Comunque sì, sono anche io nell'elenco.
- Vecchia Ghertrud? Non è un bel nome per indicare sua moglie.
- Non è mia moglie. Magari un giorno potrebbe conoscerla anche lei, spero non infilata nella schiena o nel cranio. Buona giornata, signorina Strongmint.
Il nano si allontanò senza lasciare come al suo solito tracce nella neve nonostante il suo peso sicuramente considerevole. Pochi minuti dopo anche Ellyson si incamminò verso la scuola, mentre il suo stomaco brontolava gentilmente e la sua testa si lambiccava a trovare chi o cosa la "Vecchia Ghertrud" fosse.

- Via come un Boccino d'oro! - si disse appena il corno indicò che la lezione di Pozioni era finita.
Era stata una lezione teorica assolutamente inutile per lei, oltre che per gli studenti, considerando i grossolani errori con cui il professore infarciva il suo parlare atono e soporifero.
- E' già un miracolo se questi poveri studenti sanno preparare non una pozione, ma anche solo una salsa di pomodoro. - si disse mentre usciva dall'aula e si dirigeva alla sua stanza per darsi una rinfrescata e cambiarsi con la sua nuova sottoveste. - Non mi stupisce che chi esce da Durmstrang sia perennemente negli ultimi posti nelle graduatorie delle scuole di specializzazione dei pozionisti. E' già fortuna che non rifiutino loro l'esame di ammissione solo perchè vengono da questa scuola.
Mentre camminava spedita venne raggiunta da Hilde, che si affiancò a lei.
- Ciao Piperita, come va?
- Ciao. Bene, sopravvissuta a Pozioni un'altra volta.
- Ammanitoff è sempre peggio?
- Non direi. Non può peggiorare oltre. - ridacchiò, strappando una risatina strozzata anche all'amica, che tentò di coprirla con la mano sulla bocca.
- Sei tremenda.
- E' lui, non io.
- Come va con il mio regalo?
- Penso bene. Creo che se tutto va come penso, io e te potremo farci delle chiacchierate tranquillamente nella vostra sala, da stasera.
Hilde non rispose, ma gli occhi le si illuminarono.
- Ho visto delle compagne di corso. Ci vediamo stasera, allora, Piperita.
- Contaci! - le rispose lei osservandola allontanarsi.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Era davanti alla porta chiusa della sua stanza da quasi dieci minuti, e non accennava a volersi muovere.
La maga sapeva che sarebbe dovuta uscire, avrebbe dovuto controllare se la sua intuizione era corretta, ma aveva anche paura dell’eventuale fallimento.
Durante il pomeriggio aveva rimuginato su quello che era venuta a fare, e si era convinta che solo nella biblioteca proibita avrebbe trovato quello che cercava, almeno a livello di informazioni. E l’unico modo per riuscirci era poterci entrare ed uscire a piacimento.
- Potrei sfruttare Hilde, nel caso mi sbagliassi, ma non voglio coinvolgerla. E’ una brava ragazza, non voglio metterla nei guai, e soprattutto non voglio che altri oltre a me sappiano di quello che sto facendo. Sebbene, credo proprio che Nok abbia dei sospetti. La sua chiacchierata di stamattina mi ha messo davvero i brividi lungo la schiena. Mi sta salvando solo il fatto che per lui i maghi sono comunque gente strana, per cui finché non tocco lui, credo di essere al sicuro. Di certo non va a raccontarlo a nessuno.
Guardò nuovamente la porta e allungò la mano alla maniglia.
- Lo devi fare, non puoi aspettare come una matricola di Griffindor alla sua prima lezione.
Nel corridoio, si diresse lentamente verso la sala di ingresso, ormai deserta se non per sporadiche figure di studenti che si affrettavano alle entrate delle torri delle loro Orde. Alla fine solo due o tre persone rimasero, intente a discutere dell’ultimo acquisto dei Appleby Arrows, e non sembrarono volersene andare.
- Non mi stanno osservando, e quasi sicuramente non si sono accorti nemmeno di me. E’ il momento giusto per tentare. - si disse dirigendosi alla porta di Ullrarc.
Si fermò un istante davanti alla stessa, inspirò profondamente e afferrò al maniglia, girandola.
Il rumore della serratura che scattava e il lievissimo cigolio dei cardini mentre ruotavano le fecero accelerare il battito quasi quanto l’adrenalina le solleticò le radici dei capelli, come elettrizzandoglieli.
Come inseguita, si intrufolò nella porta semiaperta e richiuse la stessa alle sue spalle, chiudendo gli occhi e tentando di calmare la locomotiva a vapore che aveva preso posto nel suo petto.
- Sono dentro, sono dentro, sono dentro! - esultò mentalmente, inspirando a bocca aperta.
- Benvenuta. Pensavo non saresti più arrivata.
- Hilde! - esclamò lei spaventata. - Non farlo mai più. Mi hai fatto prendere un colpo.
- L’ho notato e mi spiace.
- Almeno lo ammetti… - sorrise lei attraversando il vuoto quanto ampio salone e sedendosi vicino a lei in una comoda poltrona. Davanti a loro un tavolino basso ospitava un vassoio con un infuso dal profumo fruttato e dei biscotti secchi dall’aspetto invitante.
- Effettivamente mi spiace che non riuscirò più a spaventarti come adesso.
- Cattiva.
- Dai, scherzo. Ho avuto davvero paura che non fossi riuscita a capire come funziona il glifo.
- Diciamo che ho capito cosa dovevo fare, ma ammetto che perché funzioni è ancora un mistero.
- Permettimi allora di spiegartelo brevemente. - sorrise la ragazza, afferrando una delle due tazze e sorseggiando lentamente la bevanda.
Ellyson la imitò, ma tenne solo la tazza in mano, senza bere.
- Grazie. Anche se così mi sembra di essere una stupida.
- Non lo sei, tranquilla. Ognuna delle quattro Orde ha un glifo, che viene periodicamente cambiato, e solo chi possiede il glifo giusto può entrare nella torre corrispondente, che altrimenti risulta impenetrabile. O le porte non si aprono, o se anche fossero aperte non si potrebbe entrare. Se hai indosso più di un glifo, questi si annullano a vicenda e quindi non puoi entrare da nessuna parte. Fa eccezione quello dei Serragente e quello del preside. Loro possono andare ovunque.
- Una sorta di passpartout, insomma.
- Cosa sarebbero, scusa?
- Delle chiavi universali. Le usano i fabbri e i ladri. Soprattutto questi ultimi. - le disse non potendo non pensare per un secondo che lei ne aveva una discreta collezione. - Quindi ora posso accedere come voglio alla torre?
- Esattamente, e dalla torre potrai andare e venire dalla sezione proibita della biblioteca senza scomodare Tobeah.
- Diciamo piuttosto senza incappare nelle sue ire. E gli altri studenti come prenderanno la cosa?
- Che cosa?
- Il fatto che io sia di Hogwarts. I miei abiti e i vostri non sono esattamente simili.
- Non ci avevo pensato. Effettivamente potrebbero nascere sospetti e dissapori, probabilmente. E se tu avessi un completo simile al nostro? Ci sono delle ragazze del settimo anno che hanno la tua taglia, potremo chiedere un vestito a loro.
- No, vorrebbe dire coinvolgere altra gente, ed è l’ultima cosa da fare. E di cucirne uno io non se ne parla. Sono troppo conosciuta come volto, e anche se mi, diciamo, travestissi da studentessa di Ullrarc, mi scoprirebbero subito, aggiungendo sospetti a sospetti. Bisogna trovare qualcosa di più semplice e che non dia nell’occhio.
- Più semplice del vestito? Non c’è nulla che possa coprire un vestito che non sia un altro vestito.
Gli occhi di Ellyson si illuminarono.
- Ottima idea, Hilde.
La giovane la guardò con fare stupito, non capendo il motivo dell’esultanza.
- Scusa?
- Un mantello o altro quando entro. Se per entrare da voi prima uscissi dal portone principale con un mantello, e poi rientrassi dopo poco, una figura ammantata proveniente dall’esterno che si dirige alle sue stanze senza toglierselo perché ancora intirizzita dal freddo sarebbe giustificato, e nessuno sospetterebbe nulla.
- Bellissima idea. Non ci avevo pensato. Sei un genio, una Ullrarc mancata, fidati.
- Grazie. – sorrise la giovane. Immaginò che quello che le aveva detto era il complimento più simile a quello che ad Hogwart davano paragonando qualcuno a un Ravenclaw. Sorseggiò, imitando l’amica, la tisana. - Stupenda. Mi dovrai dare la ricetta.
- Certamente. Allora, pensi che approfitterai della biblioteca?
- Oh, ci puoi scommettere tutte le cioccorane del mondo. Ho un paio di curiosità che mi voglio togliere, ma credo che prima di tutto dovrò fare un corso accelerato di rune, visto che molti libri sono scritti in quella maledetta lingua.
- Ti capisco, ma come pensi di fare? Non so ad Hogwarts, ma qui gli incantesimi di memorizzazione sono proibiti e bloccati dalle pareti della scuola stessa. Se ne tenti uno scatta una sorta di Caterwauling Charm e fidati, che tutta la scuola sappia che hai infranto le regole non te lo consiglio.
- Già fatto fin troppe volte, una in più non cambierebbe, ma non voglio che lo sappiano tutti. - pensò Ellyson, quindi sorrise. - Credo di avere quello che fa al caso mio.
- E come farai?
- Te lo farò vedere, e se ti interessa, te lo lascerò in regalo. Una sorta di scambio tra il tuo glifo e il mio sistema. Solo usalo con discrezione, è proibito nella mia scuola, come credo anche nella vostra.
- Se può servirmi per imparare meglio e più alla svelta, ben venga.
- Hilde, prima di continuare, non ti stai esponendo troppo? Prima il glifo, ora io che ti propongo stupidamente questo aiuto diciamo illegale. Se venissi scoperta, se io mi facessi beccare, finiresti nei guai.
- Non molto, tranquilla. Nel caso, direi che mi ha estorto le informazioni con la forza.
Il volto di Ellyson si fece duro.
- Le hai pensate proprio tutte, eh? - chiese falsamente irata.
- E’ il mio mestiere di studente pensarle tutte, e poi noi di Ullrarc siamo specialisti nel pensare.
- Sembrerebbe anche nel creare piani contorti. Non tutti, considerando il suo stupido spasimante, ma devo ricordarmi che per quanto simpatici, sono maghi di una scuola ben diversa dalla mia. – pensò in tono accigliato, senza però farlo vedere.
Le due giovani chiacchierarono a lungo, finché, al secondo sbadiglio di entrambe, si diedero la buonanotte, e si diressero ognuna alle rispettive stanze.
La maga cadde in un sonno profondo pochi minuti dopo essersi cambiata di abito magicamente, avendo controllato di inserire un piccolo biglietto, con scritto quello che Hisser doveva recuperare dalla soffitta e in fondo un semplice grazie.

Stava correndo. Era una corsa disperata, affannosa, eppure si rendeva conto di andare pianissimo, di essere poco più veloce di una lumaca.
Accanto a lei le urla della battaglia e gli strepiti degli incantesimi che colpivano i loro bersagli o venivano deviati le riempivano la testa di una cacofonia roboante che alla fine il suo cervello si era rifiutato di analizzare, divenendo solo un rumore di sottofondo indistinto eppure molto fastidioso, quasi nauseante.
Doveva raggiungere la Stamberga Strillante, doveva farlo prima di qualsiasi altra cosa. Era in gioco la sua vita. La sua e quella di tutti gli altri, e doveva farcela.
I suoi occhi registravano dei movimenti da tutte le parti, mentre correva per i corridoi di Hogwarts. Pezzi di pareti erano solo macerie lungo i lati, i drappi rotti penzolavano mossi dal freddo vento che si era levato, e luci e suoni degni di uno spettacolo di fuochi di artificio o di una famiglia di Petardi cinesi decisa a dar spettacolo illuminavano a giorno il cielo sopra la Foresta Proibita o i giardini dove Silente riposava tranquillo nel suo sonno senza risveglio.
Eppure lei sapeva che il nero, un nero profondo e freddo si stava avvicinando, stava consumando tutto, e piccoli lembi di tentacoli neri, striscianti e gelidi stavano lentamente, ma inesorabilmente, coprendo il mondo. Vide alcuni drappi neri iniziare ad intrufolarsi nelle pareti, sul pavimento.
Urlò mentre correva ancora più velocemente, mentre con un balzo superava il corpo accasciato di un compagno, un Deatheater dalla maschera rotta a causa dello schiantesimo che lo aveva colpito in piena faccia. Il suo piede emise un suono viscido e bagnato mentre attraversava una pozza di liquido rosso e caldo, proveniente da un cadavere poco lontano.
- Lupi mannari. - le disse la mente. - Almeno è morto per non soffrire in eterno.
Si stava avvicinando al nero, sentiva che era sempre più forte, sempre più presente. Le strade di Hogsmeade erano un campo di battaglia non meno che le aule di Hogwarts, e lei stava facendo di tutto per non doversi fermare a combattere, sebbene quasi senza accorgersene aveva schiantato chi le si parava davanti, amico o non amico che fosse. Ormai per lei c'era solo lui, e il morso gelido attorno al suo cuore nel momento in cui il Signore Oscuro aveva informato tutti mentalmente con un'immagine orribile.
- Non può essere vero, non ci posso credere. Fa che non sia vero, non ancora, fa che io possa fermare ciò che vuole fare. - pregò un dio sconosciuto che in fondo al cuore lei sapeva non l'avrebbe ascoltata. Il buio che aumentava ne era una riprova.
Rallentò, le gambe pesanti quanto il cuore, vedendo la locanda. Tutto era quiete attorno, tutto era troppo tranquillo.
La Stamberga trasudava morte.
Calde lacrime rigarono il volto sporco di polvere di Ellyson, lasciando due strisce chiare che la fecero assomigliare ad una straziante Pulcinella.
I suoi piedi si fermarono.
Singhiozzò una volte, poi un'altra e un'altra ancora.
Riprese a correre, così forte che il cuore la malediceva ogni volta che batteva contro le costole, come pronto ad uscire.
E lei pregava che fosse così, che la abbandonasse e con lui i sentimenti che stava provando. Era tardi, era troppo tardi.
Dal locale vide uscire correndo una figura che si allontanava velocemente dandole le spalle e che lei riconobbe immediatamente. Come non riconoscere quei capelli ribelli, quel cespuglio idiota che era uno dei tanti marchi di infamia di Potter.
Entrò nel locale e lo vide. A terra, esangue. Mille domande si affacciarono alla mente della donna, ma lei le cacciò correndo verso Snape, verso il suo corpo ancora caldo, il sangue, uscito dalla ferita al collo, ancora liquido sul pavimento.
Cadde in ginocchio mentre gli sollevava delicatamente la testa e se la poggiava in grembo, le mani ad accarezzargli la fronte e a sistemargli un ciuffo di capelli fuori posto.
- Odiavi quando te li scompigliavo... - rise piangendo. - Chissà come sarai arrabbiato quando ti sveglierai. Hanno rovinato la tua veste e tutto il resto. - gli disse sussurrando, dondolandosi lentamente come se stesse coccolando un bimbo.
L'ombra nera si fece sempre più densa, riempiendo tutta la sua visuale, finché non rimasero lei e lui, sospesi in un buio vuoto pieno di freddo nulla.
- Tardi.
Ellyson guardò il buio, cercando chi aveva parlato.
- Sei arrivata tardi.
- Non è vero. Ho fatto tutto quello che potevo. - rispose urlando alla voce che proveniva da attorno a lei.
- Non hai fatto nulla, e sei arrivata tardi. Guardati. Hai tradito i tuoi compagni, hai tradito me, che non ero solo un tuo compagno, ma il tuo amore, il tuo vero unico amore, dicesti una volta a te stessa. Eppure per il tuo amore non hai fatto nulla. E cosa potresti mai fare di buono nella tua vita allora?
- Sei ingiusto. Non è vero che ti ho tradito. Sono qui con te, accanto a te, al tuo corpo.
- Vero, ma un corpo vuoto, senza anima, spento.
- Non potevo fare altro.
- Forse.
- Perchè dici così?
- Io sono morto, tu no. Non dovevamo dividere tutto, nei tuoi fanciulleschi pensieri di studentessa innamorata prima e di maga innamorata poi?
Ellyson pianse, bagnando con le sue lacrime il viso pallido, composto nella morte come nella vita, di Snape.
- Rispondimi.
Lei ebbe solo la forza di annuire nel vuoto.
- Quindi perchè io non sono vivo o tu non sei morta?
- Severus, io... - singhiozzò.
il nero pulsò, facendosi più vicino. Lei si strinse ancora di più il cadavere tra le braccia.
- Mi hai tradita, hai perso la mia fiducia.
- La battaglia, nella battaglia io... io ti ho perso.
- Esatto, mi hai perso.
Il buio si contrasse.
Ellyson spalancò gli occhi, madida di sudore.
- Maledetti incubi. - mormorò tremante mentre calde lacrime si rifiutavano di rimanere nei suoi occhi.

La maga uscì dall’aula con i capelli madidi di sudore, come gli altri studenti del settimo anno, quasi tutti di Tyrswurd.
- Per la barba di Merlino, la prossima volta meglio mettersi contro un intero stormo di arpie che contro Mortunef. - borbottò un ragazzo asciugandosi la fronte con la manica.
- Davvero. Ha una padronanza degli incantesimi incredibile, oltre al fatto che è un guerriero provetto. Nessuno lo ha mai battuto in un duello né con la bacchetta che con l'arma bianca.
- Ma noi siamo sopravvissuti. - controbatté il ragazzo al suo compagno che gli aveva risposto.
- Certo, ma hai visto benissimo che lui si stava bloccando. E comunque direi che la sua idea di capire prima come difendersi e poi come usare un incantesimo non sia poi così sbagliata...
- Effettivamente. Credo che se tentassi di farlo io, prima di finire quell'incantesimo basato sul calore sarei già bruciato come una foglia secca nel lago del Fenrir.
Ellyson si allontanò perdendo il resto della conversazione, e si diresse alla sua stanza per un veloce cambio di abiti e una rinfrescata. Aveva usato il suo migliore incantesimo di difesa, eppure anche lei aveva sentito il calore provenire dal mago, e si era resa altresì conto che quello che aveva sentito non era che una piccola parte del potere dell'incantesimo, se lanciato intenzionalmente contro una persona.
- Ora ho del tempo libero, e credo che inizierò a riempirlo con dei buoni libri in biblioteca. Iniziando dalle cose facili. Io devo trovare l'Occhio di Odino, ma a parte sapere chi era Odino e che aveva un occhio solo perchè l'altro l'aveva venduto, non ne so molto. Direi di iniziare a prendere qualche informazione sul nostro amico orbo. - borbottò mentre si lavava la faccia nel catino di acqua fresca appena creata. – Storia della mitologia nordica magica e babbana non era in cima ai miei pensieri dopo essere uscita da Hogwarts.
Indossato il mantello, uscì nel cortile per un minuto, facendo alcuni passi verso le stalle dei daymare, di cui sentiva gli strani versi, simili ad un incrocio tra nitriti e scricchiolii di ossa, quindi tornò sui suoi passi e rientrò nella scuola, il mantello già puntinato di neve fredda e soffice, e con passo sicuro si diresse nella torre degli Ullrarc, liberandosi però del mantello solo su uno degli appendiabiti lignei che stavano all'ingresso della sezione proibita.
All'interno, vari studenti stavano studiando o ricopiando pezzi di libri, e nessuno fece caso a lei mentre si aggirava un attimo in uno dei gironi intermedi della stanza.
- Odino. - pensò fissando uno dei libri, un trattato di veleni.
Il mondo vorticò attorno a lei per un istante, quindi si fermò, provocandole un leggero conato di vomito simile ad una Smaterializzazione, e lo scaffale davanti a lei mostrò in ordine alfabetico tutta una serie di libri sul re degli dei secondo la mitologia nordica.
Leggendone velocemente i titoli, capì che aveva commesso un piccolo errore, e sorrise con una smorfia.
- Testa di Potter, Ellyson. Sei nella biblioteca proibita, come pensi di poter trovare qualcosa di generale su Odino? A meno che non intendi come generale come invocarlo, oppure come fare il suo stesso percorso iniziatico per ottenere la piena consapevolezza della magia. Interessante, ma non credo che starei bene con una benda sull'occhio.
Sospirando tornò sui suoi passi verso l'uscita e rientrò nella biblioteca dall'entrata normale, immediatamente guardata di traverso dal bibliotecario, forse per quello che le aveva fatto, forse per il fatto che, unica studentessa presente, lo aveva svegliato dal suo riposo, la testa a ciondolare sul petto a pochi centimetri dal piano della sua scrivania.
- Prometto che non sono venuta per combinarle scherzi, Mastro Tobeah.
- Ah, disse Loky a suo fratello. - borbottò lui a braccia incrociate.
- No, davvero, sono venuta in pace. Anzi, se mi è concesso, le chiederei una gentilezza.
- Quale? - chiese lui iniziando a muoversi lentamente e con passo incerto verso di lei.
- Cerco qualcosa su Odino. Nulla di particolare. La sua vita, le sue imprese. Mi interessa sopratutto la storia di come ottenne la magia.
- Le rune. Lui ottenne la conoscenza, il potere delle rune, della scrittura, e poi quello della magia come derivato. Comunque, a patto che lei rimanga sempre in vista, le potrei anche dare una mano.
Chiuse gli occhi per un secondo, come addormentato, quindi borbottò qualcosa di inintelligibile.
- Mi perdoni, ma non ho capito.
- Terzo scaffale a destra, secondo ripiano, il sesto libro da destra. - disse irritato scandendo le parole. - Eventualmente anche il settimo e il nono del ripiano inferiore, ma da sinistra.
Senza aspettare una reazione da parte della maga, tornò alla sua sedia e chiuse di nuovo gli occhi, tornando a sonnecchiare tranquillamente.
Ellyson prese i libri che Tobeah le aveva indicato, e iniziò a leggere il primo, seduta poco lontano da lui, così da mostrare che era solo una diligente studentessa.
Non che, dal volume del russare del vecchio, dove si fosse seduta gli fosse potuto importare qualche cosa.
Fortunatamente i libri erano in inglese, una ottima traduzione dagli originali, sebbene in stile aulico, per cui la donna ebbe alcune difficoltà in certi passaggi, ma il significato era più che chiaro, e sebbene ci fossero leggere discordanze nelle differenti versioni, il quadro di insieme che se ne otteneva era ben chiaro e non stirdeva con il poco che si ricordava dalle scuole.
- Odino era un dio egualmente saggio e irruento, quasi a volte comandato dalle sue stesse passioni. – pensò cercando di farsi un riassunto mentale che le sarebbe stato eventualmente utile in futuro. – Un po’ come Zeus, di cui ha anche altri tratti, come il comandare il fulmine. Come lui anche Odino era padre di tutti gli dei, ma come discendenza diretta aveva solo i due figli Loky e Thor. Uno l'opposto dell'altro. Loky era una fonte inesauribile di astuzie e cattiverie, oltre che dio del fuoco, ma alla lunga sembrava quasi una sorta di pagliaccio, in quanto ogni volta il grande e potente Thor lo batteva o gli rovinava i piani, sempre osannato da Odino per quello che faceva. Insomma, i Gryffindor con Silente. Avevo iniziato a tifare segretamente per il dio del fuoco mentre leggevo di questo o quel fatto, anche se l’impressione che ho avuto è che tutti gli dei coinvolti nelle saghe qui non siano degli stinchi di santo. Sembrano invece l’estremizzazione di un lato del carattere umano. Forse è una cosa voluta. – si domandò riprendendo il filo dei suoi pensieri. – Comunque… le vicende di Odino si spostarono sulla sua ricerca della conoscenza, un desiderio simile ad un fuoco inesauribile che lo consumava perennemente come l'ardemonio, finché non giunse all'albero della conoscenza, dove ai suoi piedi tre megere filavano, tessevano e tagliavano i fili dell'esistenza del mondo. E qui di nuovo non posso ripensare come anche nella mitologia greca esistano le Parche. Chissà chi ha copiato da chi? – sorrise, chiudendo l’ultimo libro e chiudendo gli occhi per rilassarsi e concentrare la mente contemporaneamente. - A loro chiese consiglio, e loro le dissero che per un occhio gli avrebbero svelato il segreto per ottenere ciò che voleva. Egli acconsentì e stette per un tempo indefinito legato a testa in giù, al pari dell'appeso dei tarocchi babbani, finché non ebbe una sorta di rivelazione, e ancora più potente di prima, tornò ad Asgard, la casa degli dei.
A corollario di quello che aveva letto direttamente di lui, si ricordò che usava due corvi per sapere tutto del mondo, aveva una speciale lancia e uno strano cavallo, maledettamente simile ai daymare e il cui nome era identico al capobranco citato da Nok il giorno in cui era entrata con lui nella stalla.
- Quindi alla fine l'occhio di Odino è qualcosa legato davvero alla forma di occhio, visto che lui ne ha perso uno. Questo torna con le informazioni della McGonagall. Il problema adesso è capire dove può averlo messo, se lo ha riposto da qualche parte o se lo tiene con sè, e che dimensioni ha. Un dio che grandezza ha? E' minuscolo o enorme? Non vorrei che l'occhio sia una sfera grande come una montagna o piccola come un granello di sabbia... – pensò, incerta se iniziare a leggere attentamente un altro libro, che, a prima vista, sembrava citare se non ripetere le stesse fonti degli altri. Decise di evitare di stancare ulteriormente gli occhi, propensa a cercare invece qualcosa di totalmente differente come approccio, magari testi relativi più nello specifico al periodo passato appeso all’albero della conoscenza, ma i suoi intenti si scontrarono con un rumore che riconobbe immediatamente. La sua pancia aveva brontolato. La clessidra alle spalle del bibliotecario segnalava che era pomeriggio da alcune ore.
- Per Merlino, ho saltato il pranzo. E adesso? - si domandò guardandosi attorno per un istante. - Cosa?
Sulla scrivania di Tobeah c'erano i resti di un frugale pasto e un boccale di birra.
- Quindi la magia la sa ancora usare, il vecchietto. Altro che Squib. Quando gli serve se la ricorda. – sorrise, scuotendo la testa.
Prese i libri, li rimise al loro posto e uscì. Dirigendosi alla sua stanza, pregò che come nelle Case di Hogwarts, anche nelle torri delle Orde ci fossero sempre degli stuzzichini e altre schifezze simili che attentavano alla linea e all'integrità morale dello stomaco delle studentesse.
Ebbe fortuna, e fece smettere di brontolare la propria pancia, appena dopo essere entrata nella torre degli Ullrarc, con un congruo numero di crostrini e due boccali di quello che sembrava sidro di mele, osservata dallo studente a cui aveva salvato la vita.
- Per il Fenrir, eri decisamente affamata. Non ti ho visto a pranzo effettivamente.
- Troppo impegnata nello studio, Noren. E tu come stai? Tutto bene?
- Grazie a te sì. Il braccio è ormai perfetto, e ho ripeso le lezioni normalmente. Vedo che hai trovato il modo di sfruttare il nostro trucco delle Orde. Ne sono felice. Spero di vederti spesso.
- Lo spero anche io. Giuro, onde evitare di spazzolarvi ogni volta gli stuzzichini, se avessi bisogno di un po' di cibo, come funziona qui? Da noi ci sono gli elfi domestici, ma qui?
- Ah, non sai dove è la cucina, giusto. Se hai fame, vai alle cucine della scuola e chiedi quello che ti serve ad uno dei nani che ci sono là.
- Perfetto. Allora vado a cercarle.
- Se vuoi ti accompagno.
- Grazie, come se avessi accettato. Preferisco fare un giro da sola, e poi mica posso perdermi, no? Dimmi solo in che direzione rimangono.
- Sono un piano sotto l'infermeria. La scala che hai fatto per raggiungermi quando ero ancora convalescente, ma scendi ancora e poi giri a sinistra per i primi due corridoi che trovi, poi a destra e sei arrivata.
- Semplice. Sinistra, sinistra, destra al piano sotto l'infermeria. Perfetto. Grazie Noran.
Non era certo la fame a spingere la maga per i corridoi di Durmstrang, quanto la possibilità di scoprire da sola la scuola senza destare troppi sospetti. Se qualcuno le avesse chiesto qualcosa, stava cercando la cucina.
I piani superiori erano semplici, li aveva già memorizzati perfettamente. Le mancavano le torri, ma non aveva modo di penetrarvi se non in una, e sicuramente non tutti i livelli.
La scoperta dei sotterranei era per lei una nuova e interessante attività.
Soprattutto il lucchetto del deposito di ingredienti per il corso di Pozioni.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Erano passate ormai tre settimane da quando per la prima volta Ellyson era entrata nella torre degli Ullrark, e ormai conosceva ogni angolo di Durmstrang perfettamente, anche alcuni che in teoria non poteva raggiungere ufficialmente, grazie alla sua abilità di scassinatrice di lucchetti e serrature.
Certo, non era ancora arrivata a mettere mani alle serrature del preside o dei Serragente, lo trovava ancora troppo pericoloso, non avendo ancora individuato tutti gli incantesimi necessari per superare o annullare temporaneamente le protezioni magiche che vi erano state apposte, ma in quel momento non le interessava per la sua missione, ma solo per curiosità.
Uscita dalla stanza per dirigersi alla mensa per la colazione, vide che tutti erano leggermente agitati, come in attesa di qualcosa di estremamente importante e apparentemente divertente.
- Che succede? - chiese a Hilde mentre addentava una fetta di pane un po' troppo bruciacchiata ricoperta da un sottile strato di burro salato. - Come mai siete tutti così agitati?
- Tra pochi giorni è l'anniversario della fondazione della scuola, e come ogni anno organizzeremo una grande festa che culminerà nel pomeriggio con una visita al villaggio di Wuntervolf. I nani stanno già iniziando a strigliare i daymare e pulire le carrozze.
- Una festa? - chiese interessata lei. Amava la confusione provocata da quelle occasioni particolari. Poteva coprire buona parte delle azioni non esattamente legali che tanto era abituata a fare. - E cosa succede di solito?
- A parte il mal di testa del giorno dopo, visto che siamo abituati a ubriacarci al villaggio?
- Noran!
- Hilde, è inutile negarlo. Nessuno o quasi ci controlla, e quindi anche noi che non siamo legalmente adulti ci scoliamo un boccale o due di birra vera, non quella cosa che ci rifilano a pranzo e cena. Birra vera, come quella dei professori. Birra da uomini.
Hilde e la maga inglese si guardarono e sorrisero scuotendo la testa.
- Seriamente. A parte quello che combinano i veri uomini come Noran qui presente, prima della partenza per il villaggio c'è un lungo discorso del preside, quasi ogni anno lo stesso, se non per qualche frase che aggiunge e toglie a seconda di quanta birra si è bevuto prima di iniziare, poi i Serragente portano in parata i simboli delle Orde, quelli originali, dei primi maghi che hanno creato assieme a Monoclos la scuola.
- I simboli?
- Sì. - rispose Noran. - Le quattro armi originali. La spada, l'arco, anche se poi è una freccia, la lancia e la torcia. Le custodiscono gelosamente nelle loro stanze, e vengono esposte solo durante questo anniversario o in occasioni davvero speciali, come quando altri presidi vengono in visita o durante il Torneo Trimaghi.
- Ah, gli stessi che fanno parte dello stemma della vostra scuola.
- Esatto. Se ne vuoi un esempio esatto guarda lo stemma che c'è sopra l'entrata, nella sala d'ingresso. Sono copie perfette in forma, dimensione e colore.
- Me ne ricorderò. E io durante la celebrazione che cosa dovrei fare? Intendo, è il vostro anniversario.
- Non dire sciocchezze. E' una occasione di festa, punto e basta. Certo, magari tu non la sentirai quanto noi, ma puoi sempre partecipare divertendoti e festeggiando, magari facendo una bella gara di birra con me.
- Noran, non mi tentare. Ti ricordo che ho più anni di te, e sono inglese. Non siamo avvezzi a tutte le cose forti e potenti magari, ma la birra non è a noi sconosciuta.
- Anche quella rossa e densa?
- Abbiamo creato il Firewisky. - sorrise sorniona.
- Mai provato. E' davvero tanto forte?
- Hai presente l'Ardemonio?
Lui sgranò gli occhi con fare famelico.
- Noran. Fallo e ti lascio. Solo quando avrai una barba fatta e finita potrai berlo, lo sai.
- Hilde...
- Lascia perdere, Noran. Se pensi di riuscire a vincerla contro una donna, hai più speranze di smuovere una montagna senza bacchetta. E comunque non è poi questa grande cosa. E' forte, ma avrai tutto il tempo per rovinarti la lingua con il liquore. Io personalmente preferisco un buon vino.
- Qui è difficile, non abbiamo il clima adatto.
- Se pensi che in Inghilterra lo abbiamo, scordatelo. Io parlo di vino italiano, a volte francese. Per trovare le bottiglie giuste, lo cerco per settimane.
- A proposito di cercare, come vanno le tue ricerche?
- Penso bene, Hilde. Sto già ottenendo alcuni buoni risultati con delle pozioni contro l'incantesimo Impero, usando come base la pozione voodollo, con somma gioia di Ammanitoff, devo ammettere. - Aggiunse con un ghigno.
A momenti a Noran andò di traverso il boccone, tossendo poi per quasi un minuto, rosso in volto.
- Gli rode ancora la sua sconfitta alla prima lezione, Ellyson. Stai attenta. E' pericoloso.
- Anche io, se mi ci metto. Come tutte le donne...
- No, ha ragione lui. - le sussurrò apprensiva l'amica. - Non è solo vendicativo durante le sue lezioni, come hai potuto già constatare. Non è un lupo solitario. Ha un gruppo, gente fidata che usa come spie e come braccio delle sue macchinazioni.
- Inizia a farmi paura.
- E devi averne. Ammanitoff era il candidato preferito per il posto di preside, ma Perstroychof lo ha battuto durante la votazione per l'elezione. Maggiori contatti nelle sfere altolocate, oltre ad idee decisamente conservative, che qui hanno subito terreno fertile. Non che quelle di Ammanitoff fossero rivoluzionarie, ma la sua mania di accentrare e di portare la materia di Pozioni al vertice delle altre non lo hanno aiutato nello scontro. Perstroychof è la facciata di una oligarchia. Ammanitoff voleva rendere la cosa una tirannia. E lo hanno fatto tornare al suo posto. Ma sotto la cenere sta covando rabbia, vendetta e cattiveria.
- Di quelle ne ha da vendere. - aggiunse Noran. - ma per il resto direi che è meglio se ci sediamo nella nostra torre.
- Di cosa hai paura? - chiese apprensiva Ellyson.
Noran indicò con l'indice occhi e orecchie, e si alzò, avendo come le altre due finito la colazione e avendo ancora del tempo prima dell'inizio delle lezioni.
Solo quando furono dentro la torre di Ullrark si rilassò e si sedette in una comoda poltrona, subito imitato dalle due maghe.
- Hai notato che ognuna delle Orde ha una piccola particolarità?
- Forse. Voi potete accedere alla sezione proibita, i Tyrswurd hanno quello strano incantesimo, ma non capisco le altre due Orde che cosa abbiano.
- I Mercenari conoscono fin dal primo anno il segreto per creare le bacchette, e ogni anno migliorano o cambiano la loro creandosela da soli e raccogliendo soldi o favori creandole a chi le chiede loro. I Mutevoli sono i peggiori. Sono Animagus.
- Impossibile. Esiste un registro degli Animagus, e non credo che ce ne siano così tanti solo in Durmstrang. E' estremamente raro.
Hilde sorrise.
- Non lo sono davvero, ma grazie a una pozione che bevono la prima volta che entrano nella loro torre e che è poi mischiata in tutte le loro bevande dentro la torre, per continuare a mantenere il suo effetto.
- E voi come fate a saperlo?
- Abbiamo i nostri metodi, Piperita. Comunque quello che voleva dire originariamente Noran, è che Ammanitoff ha una sua sorta di compagnia segreta, un gruppo di ragazzi, normalmente Mutevoli, ma anche alcuni Berserk, che usa per i suoi scopi, il principale dei quali è il recuperare informazioni e sfruttarle a proprio vantaggio in una sua personale ed estremamente pericolosa guerra contro il preside. Ufficialmente non vi è nulla tra i due, e nessuno dei due si può scoprire, se non con le corrette prove, ma entrambi sono furbi e credo che la cosa continuerà a lungo come situazione di stallo. Quindi stai attenta a ciò che dici in giro, se hai solo il dubbio che un topo, un ragno o altro possano essere in ascolto. Potrebbero essere delle spie di Ammanitoff.
Ellyson rimase in silenzio.
Sentiva che si era infilata in un covo di basilischi senza saperlo, e non solo rischiava di farsi scoprire a causa dell'Occhio di Odino, ma anche a causa dei suoi segreti. Era finita, pedina inerme, e la cosa le dava maledettamente fastidio, in mezzo a varie guerre, nessuna delle quali le interessava. Potter, Ammanitoff, Perstroychof. Pesci in cerca di potere in uno stagno. E lei era il verme, anche se il paragone le faceva abbastanza schifo. Ma calzava.
Un motivo in più per muoversi a trovare ciò che cercava ed andarsene.
- Piperita?
- Scusa, Noran. Stavo... digerendo quello che mi avete detto. La cosa non mi piace. Io voglio fare solo il mio lavoro e andarmene tranquilla.
- Ti capisco. Ma a parte le pozioni, ho visto che ti stai interessando a Odino.
- Semplice curiosità. Ma ho trovato qualcosa in cui magari potreste aiutarmi.
- Dicci pure.
- Odino ha dato l'occhio per la conoscenza, quindi è rimasto orbo, giusto?
- Sì.
- Allora come mai in un libro che mi ha consigliato Tobeah si fa menzione di un oggetto chiamato L'occhio di Odino che si dice lui abbia creato per sostituire il suo? Come dio non poteva semplicemente farselo ricrescere?
I due la guardarono meravigliati, per poi mettersi a ridere.
- E' una questione di lealtà e di rispetto.
- Non ti capisco, Hilde.
- Odino poteva certamente farsi ricrescere l'occhio, ma poiché lo aveva dato in pegno per qualcosa di più grande, per una visione totale del mondo invece che solo di quella fisica datagli dai suoi occhi, rigenerarlo sarebbe stato un po' come barare. Ma nessuno gli impedì di creare i corvi che servirono da suoi occhi per il mondo, e di commissionare al fabbro di Asgard un nuovo occhio che gli permettesse di vedere qualsiasi cosa, anche la più nascosta e segreta, attraverso il tempo e lo spazio.
- Un po' come l'occhio di quell'Auror che aveva la Umbridge nel suo ufficio al ministero durante l'apice del Signore Oscuro. - pensò Ellyson.
- E quindi si fece fare una copia di un occhio?
- Esatto, ma dopo che lo provò la prima volta, si rese conto che era impossibile portarlo, visto che nulla poteva resistergli, e tutto gli era svelato.
- Era fantastico!
- Già. - rispose Noran. - Ma tutto assieme, visto che l'occhio nelle mani di un dio vedeva ovunque, in ogni tempo e ogni luogo, contemporaneamente. Troppo anche per lui, che così decise di disfarsene.
- Lo distrusse? - chiese la maga sperando di dissimulare abbastanza la sua apprensione.
- No, non poteva. Solo il fabbro, essendo sua creazione, lo avrebbe potuto fare, ma gli era troppo caro come oggetto, e pregò il padre degli dei di decidere diversamente. Così Odino decise di nasconderlo nel posto più sicuro del mondo, di tutta Asgard e Midgard. Vicino al Fenrir.
- Il lupo?
- Esatto, il lupo che attende la fine del Tempo per iniziare il Ragnarok, la caduta degli dei. Il lupo è su una piccola isola, in mezzo ad un lago senza fondo di sangue ribollente, ed egli ne beve enormi quantità per dissetarsi. Solo quando lo avrà prosciugato egli potrà andarsene e scatenare la sua furia. Ma fino ad allora siamo tranquilli, e l'occhio anche.
- E non si dice dove sia questo lago?
- Solo nelle favole per bambini.
- Ovvero? Mi piacciono le favole.
- Oltre un portale che può essere aperto solo da chi possiede astuzia, dopo una lotta degna di chi possiede coraggio e una prova che solo chi possiede saggezza può superare. Dove esattamente nessuno lo sa, ma è solo una leggenda per bambini.
I tre parlarono del più e del meno per un poco ancora, per poi separarsi.
Erano passate ormai tre settimane da quando per la prima volta Ellyson era entrata nella torre degli Ullrark, e ormai conosceva ogni angolo di Durmstrang perfettamente, anche alcuni che in teoria non poteva raggiungere ufficialmente, grazie alla sua abilità di scassinatrice di lucchetti e serrature.
Certo, non era ancora arrivata a mettere mani alle serrature del preside o dei Serragente, lo trovava ancora troppo pericoloso, non avendo ancora individuato tutti gli incantesimi necessari per superare o annullare temporaneamente le protezioni magiche che vi erano state apposte, ma in quel momento non le interessava per la sua missione, ma solo per curiosità.
Uscita dalla stanza per dirigersi alla mensa per la colazione, vide che tutti erano leggermente agitati, come in attesa di qualcosa di estremamente importante e apparentemente divertente.
- Che succede? - chiese a Hilde mentre addentava una fetta di pane un po' troppo bruciacchiata ricoperta da un sottile strato di burro salato. - Come mai siete tutti così agitati?
- Tra pochi giorni è l'anniversario della fondazione della scuola, e come ogni anno organizzeremo una grande festa che culminerà nel pomeriggio con una visita al villaggio di Wuntervolf. I nani stanno già iniziando a strigliare i daymare e pulire le carrozze.
- Una festa? - chiese interessata lei. Amava la confusione provocata da quelle occasioni particolari. Poteva coprire buona parte delle azioni non esattamente legali che tanto era abituata a fare. - E cosa succede di solito?
- A parte il mal di testa del giorno dopo visto che siamo abituati a ubriacarci al villaggio?
- Noren!
- Hilde, è inutile negarlo. Nessuno o quasi ci controlla, e quindi anche noi che non siamo legalmente adulti ci scoliamo un boccale o due di birra vera, non quella cosa che ci rifilano a pranzo e cena. Birra vera, come quella dei professori. Birra da uomini.
Hilde e la maga inglese si guardarono e sorrisero scuotendo la testa.
- Seriamente... A parte quello che combinano i veri uomini come Noren qui presente, prima della partenza per il villaggio c'è un lungo discorso del preside, quasi ogni anno lo stesso, se non per qualche frase che aggiunge e toglie a seconda di quanta birra si è scolato prima di iniziare, poi i Serragente portano in parata i simboli delle Orde, quelli originali, dei primi maghi che hanno creato assieme a Monoclos la scuola.
- I simboli?
- Sì. - rispose Noran. - Le quattro armi originali. La spada, l'arco, la lancia e la torcia. Le custodiscono gelosamente nelle loro stanze, e vengono esposte solo durante questo anniversario o in occasioni davvero speciali, come quando altri presidi vengono in visita o durante il Torneo Trimaghi.
- Ah, gli stessi che fanno parte dello stemma della vostra scuola.
- Esatto. Se ne vuoi un esempio esatto guarda lo stemma che c'è sopra l'entrata, nella sala d'ingresso. Sono copie perfette in forma, dimensione e colore.
- Me ne ricorderò. E io durante la celebrazione che cosa dovrei fare? Intendo, è il vostro anniversario.
- Non dire sciocchezze. E' una occasione di festa, punto e basta. Certo, magari tu non la sentirai quanto noi, ma puoi sempre partecipare divertendoti e festeggiando, magari facendo una bella gara di birra con me.
- Noran, non mi tentare. Ti ricordo che ho più anni di te, e sono inglese. Non siamo avvezzi a tutte le cose forti e potenti magari, ma la birra non è a noi sconosciuta.
- Anche quella rossa e densa?
- Abbiamo creato il Firewisky. - sorrise sorniona.
- Mai provato. E' davvero tanto forte?
- Hai presente l'Ardemonio?
Lui sgranò gli occhi con fare famelico.
- Noran. Fallo e ti lascio. Solo quando avrai una barba fatta e finita potrai berlo, lo sai.
- Hilde...
- Lascia perdere, Noran. Se pensi di riuscire a vincerla contro una donna, hai più speranze di smuovere una montagna senza bacchetta. E comunque non è poi questa grande cosa. E' forte, ma avrai tutto il tempo per rovinarti la lingua con il liquore. Io personalmente preferisco un buon vino.
- Qui è difficile, non abbiamo il clima adatto.
- Se pensi che in Inghilterra lo abbiamo, scordatelo. Io parlo di vino italiano, a volte francese. Per trovare le bottiglie giuste, lo cerco per settimane. – mentì in parte la donna. Non era lei, ma Hisser che cercava le bottiglie migliori. Aveva tanti difetti, era un elfo domestico dopotutto, ma aveva un palato e un olfatto degni dei migliori chef e sommelier.
- A proposito di cercare, come vanno le tue ricerche?
- Penso bene, Hilde. Sto già ottenendo alcuni buoni risultati con delle pozioni contro l'incantesimo Impero, usando come base la pozione voodollo, con somma gioia di Ammanitoff, devo ammettere. - Aggiunse con un ghigno.
A momenti a Noren andò di traverso il boccone, tossendo poi per quasi un minuto, rosso in volto.
- Gli rode ancora la sua sconfitta alla prima lezione, Ellyson. Stai attenta. E' pericoloso.
- Anche io, se mi ci metto. Come tutte le donne...
- No, ha ragione lui. - le sussurrò apprensiva l'amica. - Non è solo vendicativo durante le sue lezioni, come hai potuto già constatare. Non è isolato. Ha un gruppo, gente fidata che usa come spie e come braccio delle sue macchinazioni.
- Inizia a farmi paura.
- E devi averne. Ammanitoff era il candidato preferito per il posto di preside, ma Perstroychof lo ha battuto durante la votazione per l'elezione. Maggiori contatti nelle sfere altolocate, oltre ad idee decisamente conservative, che qui hanno subito terreno fertile. Non che quelle di Ammanitoff fossero rivoluzionarie, ma la sua mania di accentrare e di portare la materia di Pozioni al vertice delle altre non lo hanno aiutato nello scontro. Perstroychof è la facciata di una oligarchia. Ammanitoff voleva rendere la cosa una tirannia. E lo hanno fatto tornare al suo posto. Ma sotto la cenere sta covando rabbia, vendetta e cattiveria.
- Di quelle ne ha da vendere. - aggiunse Noren. - Ma per il resto direi che è meglio se ci sediamo nella nostra torre.
- Di cosa hai paura? - chiese apprensiva Ellyson.
Noren indicò con l'indice occhi e orecchie, e si alzò, avendo come le altre due finito la colazione e avendo ancora del tempo prima dell'inizio delle lezioni.
Solo quando furono dentro la torre di Ullrark si rilassò e si sedette in una comoda poltrona, subito imitato dalle due maghe.
- Hai notato che ognuna delle Orde ha una piccola particolarità?
- Forse. Voi potete accedere alla sezione proibita, i Tyrswurd hanno quello strano incantesimo, ma non capisco le altre due Orde che cosa abbiano.
- I Mercenari conoscono fin dal primo anno il segreto per creare le bacchette, e ogni anno migliorano o cambiano la loro creandosela da soli e raccogliendo soldi o favori creandole a chi le chiede loro. I Mutevoli sono i peggiori. Sono Animagus.
- Impossibile. Esiste un registro degli Animagus, e non credo che ce ne siano così tanti solo in Durmstrang. E' estremamente raro.
Hilde sorrise.
- Non lo sono davvero, ma grazie a una pozione che bevono la prima volta che entrano nella loro torre e che è poi mischiata in tutte le loro bevande dentro la torre, per continuare a mantenere il suo effetto.
- E voi come fate a saperlo?
- Abbiamo i nostri metodi, Piperita. Comunque quello che voleva dire originariamente Noran, è che Ammanitoff ha una sua sorta di compagnia segreta, un gruppo di ragazzi, normalmente Mutevoli, ma anche alcuni Berserk, che usa per i suoi scopi, il principale dei quali è il recuperare informazioni e sfruttarle a proprio vantaggio in una sua personale ed estremamente pericolosa guerra contro il preside. Ufficialmente non vi è nulla tra i due, e nessuno dei due si può scoprire, se non con le corrette prove, ma entrambi sono furbi e credo che la cosa continuerà a lungo come situazione di stallo. Quindi stai attenta a ciò che dici in giro, se hai solo il dubbio che un topo, un ragno o altro possano essere in ascolto. Potrebbero essere delle spie di Ammanitoff.
Ellyson rimase in silenzio. Sentiva che si era infilata in un covo di basilischi senza saperlo, e non solo rischiava di farsi scoprire a causa dell'Occhio di Odino, ma anche a causa dei suoi segreti. Era finita, pedina inerme, e la cosa le dava maledettamente fastidio, in mezzo a varie guerre, nessuna delle quali le interessava. Potter, Ammanitoff, Perstroychof. Pesci in cerca di potere in uno stagno. E lei era il verme, anche se il paragone le faceva abbastanza schifo. Ma per la barba di Merlino, calzava. Un motivo in più per muoversi a trovare ciò che cercava ed andarsene.
- Piperita?
- Scusa, Noren. Stavo... – sospirò, dando l’impressione della studentessa impaurita. Stavo digerendo quello che mi avete detto. La cosa non mi piace. Io voglio fare solo il mio lavoro e andarmene tranquilla.
- Ti capisco. Ma a parte le pozioni, ho visto che ti stai interessando a Odino.
- Semplice curiosità. Ma ho trovato qualcosa in cui magari potreste aiutarmi.
- Dicci pure.
- Odino ha dato l'occhio per la conoscenza, quindi è rimasto orbo, giusto?
- Sì.
- Allora come mai in un libro che mi ha consigliato Tobeah si fa menzione di un oggetto chiamato L'occhio di Odino che si dice lui abbia creato per sostituire il suo? Come dio non poteva semplicemente farselo ricrescere?
I due la guardarono meravigliati, per poi mettersi a ridere.
- E' una questione di lealtà e di rispetto.
- Non ti capisco, Hilde.
- Odino poteva certamente farsi ricrescere l'occhio, ma poiché lo aveva dato in pegno per qualcosa di più grande, per una visione totale del mondo invece che solo di quella fisica datagli dai suoi occhi, rigenerarlo sarebbe stato un po' come barare. Ma nessuno gli impedì di creare i corvi che servirono da suo occhi per il mondo, e di commissionare al fabbro di Asgard un nuovo occhio che gli permettesse di vedere qualsiasi cosa, anche la più nascosta e segreta, attraverso il tempo e lo spazio.
- Un po' come l'occhio di quell'Auror che aveva la Umbridge nel suo ufficio al ministero durante l'apice del Signore Oscuro. - pensò Ellyson.
- E quindi si fece fare una copia di un occhio?
- Esatto, ma dopo che lo provò la prima volta, si rese conto che era impossibile portarlo, visto che nulla poteva resistergli, e tutto gli era svelato.
- Era fantastico!
- Già. - rispose Noren. - Ma tutto assieme, visto che l'occhio vedeva ovunque, in ogni tempo e ogni luogo, contemporaneamente. Troppo anche per un dio, che così decise di disfarsene.
- Lo distrusse? - chiese la maga sperando di dissimulare abbastanza la sua apprensione.
- No, non poteva. Solo il fabbro, essendo una sua creazione, lo avrebbe potuto fare, ma gli era troppo caro come oggetto, e pregò il padre degli dei di decidere diversamente. Così Odino decise di nasconderlo nel posto più sicuro del mondo, di tutta Asgard e Midgard. Vicino al Fenrir.
- Il lupo?
- Esatto, il lupo che attende la fine del Tempo per iniziare il Ragnarok, la caduta degli dei. Il lupo è su una piccola isola, in mezzo ad un lago senza fondo di sangue ribollente, ed egli ne beve enormi quantità per dissetarsi. Solo quando lo avrà prosciugato egli potrà andarsene e scatenare la sua furia. Ma fino ad allora siamo tranquilli, e l'occhio anche.
- E non si dice dove sia questo lago?
- Solo nelle favole per bambini.
- Ovvero? Mi piacciono le favole.
- Oltre un portale che può essere aperto solo da chi possiede astuzia, dopo una lotta degna di chi possiede coraggio e una prova che solo chi possiede saggezza può superare. Dove è esattamente nessuno lo sa, ma come ho detto è solo una leggenda per bambini.
I tre parlarono del più e del meno per un poco ancora, per poi separarsi.
Ellyson si diresse fuori dalle porte di Durmstrang per riflettere su quello che aveva appreso. Sperava di poter togliere dei veli al suo mistero, ma ognuno che eliminava sembrava trascinarne al suo posto altri. Lupi mitologici, prove iniziatiche e laghi di sangue, il tutto condito da superstizione e leggende tipiche delle scuole piene di adolescenti. Senza quasi pensarci lanciò l’Impervius appena oltrepassato il portone e si calò sul capo e sul volto l’ampio cappuccio per proteggersi dal vento freddo che sembrava soffiare perenne. Camminò lentamente, osservando solo la neve ai suoi piedi, fino al cancello, fermandosi quando il calore si fece tepore e il vento non sembrò più così fastidioso.
- So che nascondi qualcosa, sei troppo strano per essere solo un semplice, bizzarro cancello creato da un mago strambo. – borbottò. Si voltò da una parte all’altra controllando se vi fosse qualcuno in giro, ma non seppe dire se lo faceva per paura di vedere spuntare Nok, o uno degli altri nani, o per le spie di Ammanitoff. Le passò per il cervello la diceria che aveva sentito anni addietro, sulle capacità giornalistiche della Skeeter dovute all’essere un Animagus, un insetto anche se non si ricordava esattamente cosa. Non era qualcosa di pubblico, forse l’aveva sentito in prigione, ma non ci aveva mai dato peso fino a quel momento, quando le tornò in mente.
- Effettivamente è comodo poter diventare un lupo, o un orso, ma anche un insetto. Sei piccolo, nessuno ti nota, sei la spia perfetta. – pensò, mentre gli occhi si perdevano sull’intreccio apparentemente omogeneo nel suo caos del cancello. – Eppure le conseguenze sono incredibili. Sapere che in ogni istante qualcuno può vederti, sentirti, spiarti senza alcuna possibilità di rifugio è… inquietante. Certo c’è il Muffliato, ma è comunque inquietante.
Sentì un rumore, come uno sbuffo alle sue spalle.
- Chi è là? – chiese senza voltarsi, ben sapendo la risposta.
- Sto invecchiando, non riesco più a prenderla di sorpresa.
- Da quello che ho letto, lei è già vecchio. – sorrise la donna, continuando a dare le spalle al nano. – Buongiorno, Nok. Scommetto che sapeva dove trovarmi.
- Non ci vuole di certo essere un genio per sapere dove è lei ormai: a lezione, o in biblioteca, o fuori ad osservare il cancello. Ci potrebbe arrivare anche un mago. E comunque non sono più vecchio di quanto già non lo sia.
Lei voltò la faccia per incontrare lo sguardo dell’umanoide, sorridendo.
- Un giorno mi dirà che cosa mette in quella pipa.
- Tabacco da nani. Una prelibatezza.
- Le mie narici hanno un’idea differente. – lo stuzzicò lei. Non fumava né le babbane sigarette né la pipa, ma non le dava fastidio il profumo di un buon tabacco. Quello usato da Nok, ma anche da altri nani, le poche volte che si era incrociata con uno di loro, era quasi piccante nelle narici, oltre allo strano colore verde del fumo, che le ricordava un lichene, o una aurora boreale. – Ma di certo non siete avvezzi agli aristocratici gusti dei maghi. - Il nano la osservò per alcuni secondi, gli occhi piccoli, due fessure nell’intrico di rughe del volto. Sbuffò due o tre possenti nuvolette di fumo, che si sperse immediatamente nel vento, poi tossì alcune volte, a dissimulare una risata. – Attenzione, messer Nok, potrebbe quasi ridere, e non so che cosa potrebbe succederle.
Lui emise un suono sordo, basso, che ricordò a Ellyson il rumore di certi animali selvaggi e sicuramente pericolosi che aveva avuto modo di vedere in gabbia presso dei ricettatori a Knockturn Alley, quindi si tolse la pipa di bocca e scoppiò in una roca, profonda risata che durò una decina di secondi.
- Tranne rari casi, odio i maghi. – disse dopo aver smesso di ridere, serio in volto, come se stesse parlando del tempo e non gli importasse. – Lei fa un’eccezione.
- Nel senso che non mi odia, o sono un’eccezione ai rari casi?
- Entrambi.
- Non la seguo.
- Non mi sta simpatica, ma solo perché non dice la verità. Non su tutto. Ma la stimo, è schietta quando parla, quando si dimentica per alcuni secondi di indossare la maschera che si è costruita.
- Continuo a non seguirla.
- Ovviamente. – annuì lui riprendendo a fumare. – Mi lasci essere franco con lei: non so perché sia qui, e non tenti di rifilarmi la frottola della studentessa. Se lei è una ex studentessa ora al Ministero della magia inglese, io sono uno gnomo da giardino di quelli babbani.
- Nok, non so se…
- Mi lasci finire, credo che sia il discorso più lungo che ho fatto con un mago senza insultarlo dai tempi di… beh, da troppo tempo. – la guardò lui senza rabbia negli occhi, ma solo determinazione. – Come le ho detto, non so il suo scopo, e per adesso credo che non voglia fare nulla contro la scuola. Me lo auguro per lei, sa, non vorrei che lei facesse conoscenza con la “Vecchia Ghertrud”.
- Io non…
- E quindi, per quello che mi riguarda, può fare ciò che vuole. Io, come i miei fratelli e sorelle, abbiamo un dovere verso la scuola e il suo costruttore, e per scuola intendo fisicamente le singole pietre che la compongono, non i suoi abitanti. – continuò come se lei non avesse nemmeno parlato. – Quindi per me può essere solo una ficcanaso di qualche rivista scandalistica come una spia segreta mandata da una scuola rivale per uccidere il preside. Non mi interessa assolutamente. Non tocchi la scuola, i nani e i Daymare e andremo sempre d’amore e d’accordo.
- Io…
- Ho finito. Spero di essere stato chiaro.
Lei annuì.
- Decisamente. Non saprei cosa la spinge a credere che io non sai quella che dico di essere, ma lascerò che lo creda, se la fa stare meglio. Spero solo che certe voci non arrivino ad altri, in particolare ad alcuni professori, altrimenti la cosa potrebbe rovinare il programma di scambio. E questo darebbe assai fastidio a me, e dolore a lei.
- Mi sta minacciando, signorina Strongmint? – chiese lui tra il sorpreso e i’incupito.
- Non minaccio mai, messer Nok. Al più prometto, o in alcuni casi, vaticino il futuro. La mia paura che ci siano orecchie indiscrete, in scuola come qui. E non mi preoccupo della mia reputazione, quella che mi è rimasta basta a malapena per essere definita briciola, ma di quella di Hogwarts. Chi la tocca, materialmente o metaforicamente, è un babbano, mago o essere in generale morto. – gli rispose alzando il tono della voce senza rendersene conto, caricandola di ira repressa e di orgoglio.
Nok la guardò nuovamente, per poi inchinarsi profondamente di fronte a lei.
- Signorina Strongmint, ha tutto il mio rispetto e la mia parola che nulla che io sto pensando arriverà alle orecchie di chicchessia. Come le ho detto, non so il motivo per cui è qui, ma a questo punto capirà che, se quello che lei vuole fare può creare problemi alla scuola nei termini che le ho già esposto, reagirei esattamente come farebbe lei. E se i suoi dubbi sono relativi a certe voci relative a strane capacità di alcuni figuri nella scuola, non si preoccupi.
- Come fa a sapere?
- Come fanno gli elfi domestici ad essere ciò che sono, essere ovunque, soddisfare i desideri prima quasi che li pensiate?
- Fa parte della loro natu… - si bloccò, sgranando gli occhi. – Capisco. Mi fido di lei, se lei si fiderà di me.
- L’ho fatto dicendole quanto le ho detto. E so che non mi dirà il motivo della sua venuta e quando intende andarsene.
- Sapendolo, glielo direi… - mormorò.
Lui annuì, muovendo alcuni passi verso il cancello.
- Sono certo che comunque l’osservare attentamente il cancello la potrà aiutare a cercare le risposte che necessita. E credo anche che la sua presenza a Wuntervulf sarebbe oltremodo sconveniente. Per lei, intendo. – Si voltò, dando le spalle al cancello, quindi si incamminò verso la scuola. – La saluto, signorina Strongmint. A volte le cose celate lo sono perché sotto gli occhi di tutti.
Lei non disse nulla, rimuginando su quello che le aveva appena detto.
- Al momento so che l’occhio si trova qui, o vicino a qui, ma non so dove, e so che c’è una porta per arrivarci, ma non so dove sia. E so che se la trovo devo affrontare delle prove. Mi servirebbe decisamente un aiuto…
Continuò a rimuginare sui suoi pensieri, mentre l’occhio si fissò su una spada incastrata tra due scudi, vicino al lato sinistro, e senza rendersene conto iniziò a vagare con lo sguardo da un oggetto all’altro senza un filo logico, attirata dalle forme e dall’intreccio perfetto delle varie parti, apparentemente posizionate casualmente.
Ad un tratto, quando ormai il sole era alto in cielo, Ellyson scoprì un particolare che la incuriosì.
- Possibile che…
Si alzò e si diresse il più vicino possibile al cancello, tenendo gli occhi fissi sulla grande piastra di ferro che conteneva i meccanismi della serratura.
Gli occhi le lacrimavano per il calore, ma si sforzò di resistere, finché non sorrise e si allontanò, per iniziare a camminare verso la scuola.
- Forse ho trovato quello che cercavo… - borbottò a bassa voce. - Non posso osservarlo meglio, troppo caldo e riverbero del sole sulla neve, ma credo che con la giusta pozione e senza sole potrei arrivare a capire esattamente se… - ridacchiò tra sé. - E’ così stupido e folle che potrebbe essere vero. Troppo semplice, troppo facile. E forse per quello così possibile. Come aveva detto qualcuno, “celato perché sotto gli occhi di tutti."

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