«Nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna luna.

di JudeNera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A way to get lost in You. ***
Capitolo 2: *** We're all living in Amerika, Amerika ist wunderbar ***
Capitolo 3: *** I'll be there when your heart stops beating ***
Capitolo 4: *** All You Need Is Love ***
Capitolo 5: *** You got a fast car and I got a plan to get us out of here. ***
Capitolo 6: *** I hope that someone gets my message in a bottle. ***
Capitolo 7: *** You're just a sad song with nothing to say ***
Capitolo 8: *** Don't even dare to say you ***
Capitolo 9: *** E intanto farò a pugni contro il muro per averti ancora qui. ***
Capitolo 10: *** Una spiaggia ai piedi del letto, una notte un po' concitata, una notte sbagliata. ***
Capitolo 11: *** That's what friends are for ***
Capitolo 12: *** Let 'em wonder how we got this far ***
Capitolo 13: *** Vengeance falls. ***
Capitolo 14: *** You will hate that I never gave more to you than half of my heart ***
Capitolo 15: *** Warmness on the Soul ***
Capitolo 16: *** My Second Heartbeat ***



Capitolo 1
*** A way to get lost in You. ***


 
 Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono, non intendo riprodurre fatti reali e questa fanfiction non è scritta a scopo di lucro.  
 

«Nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna luna.

Chapter One: A way to get lost in You.

Brian p.o.v.
-Heeey... - nulla, nemmeno un minimo movimento -Dormigliona!- le diedi un bacio sulla fronte e la fissai, lei cominciò a muoversi... per poi girarsi dall'altro lato
-Altri due minuti- sussurrò con la voce impastata dal sonno
-Non che mi dispiaccia la vista del tuo... ehm... della tua schiena!- la sentii sorridere e lo feci anche io -Ma sono le 9-
Lei si alzò e in un baleno me la ritrovai davanti -Vuoi dire che ho 10 minuti per vestirmi, fare colazione, lavarmi, truccarmi e quant'altro?-. Andava dannatamente in agitazione quando le si diceva che era tardi, ma era l'unica cosa che le avrebbe fatto lasciare quel letto così pieno di cuscini
-Già- dissi solamente mentre cercava qualcosa da mettersi 
-E non potevi svegliarmi prima?!?- prese la sua camicia e si diresse verso la scarpiera
-Se ti avessi svegliata prima mi avresti mandato a quel paese! E poi uffa... non ti accontenti mai...- misi il broncio
-Oh grazie mia prode sveglia umana- disse cercando di smorzare l'evidente ironia dandomi un bacio. Subito dopo si diresse verso il bagno
-La prossima volta che me lo chiedi non ti sveglio- finsi di essere arrabbiato. Lei si fermò un attimo prima di chiudere la porta -Ed io non ci vengo più a letto con te- cominciai a preparare la colazione, sorridendo al pensiero della notte prima. Sam aveva 18 anni, aveva da poco finito la scuola e subito la madre l'aveva messa a lavorare con lei. Sam voleva studiare, aveva grandi mire, ma si era arresa non appena un ragazzo di sua conoscenza, evidentemente meno bravo di lei, era entrato all'università e invece lei non ce l'aveva fatta. E così subito chiese di lavorare con la mamma, ma io sapevo che non era quello che voleva. La vedevo quasi tutte le sere col naso all'insù e con un foglietto fra le mani, scrivendo chissà quali formule matematiche. 
Con i soldi che aveva guadagnato in quei primi mesi decise di affittare un appartamento da sola, non perchè odiasse stare con la mamma, anzi, ma perchè non sopportava la presenza in casa di un altro uomo che non fosse suo padre.
Dopo poco uscì dal bagno -Faccio colazione in ufficio dai, non ti preoccupare-
-Ma come... ho preparato la colazione per te- dissi addentando un pancake
-Preferisco vivere per un altro po' di tempo- Sorrise mentre si infilava le decolletèe nere lucide
-Sempre simpaticissima...- le presi la mano e la trascinai verso di me
-A che ora vai dai ragazzi?- allungò le braccia fino a cingermi il collo
-Verso le 10, 10 e mezza, siamo abbastanza a corto di idee...- dissi sconsolato. La musica era la mia vita e trovarmi in un periodo in cui non riuscivo a comporre più mi faceva stare male
-Io so che prima o poi vi sbloccherete, siete un gruppo fantastico Bri, non ho mai visto ragazzi suonare con la vostra stessa emozione negli occhi- mi guardava e mi accarezzava le guance ruvide
-Lo spero davvero anche io- appoggiai la fronte alla sua e la baciai. Dopo pochissimo il suo orologio iniziò a suonare, indicandole che stava facendo dannatamente tardi, ma non avevo alcuna intenzione di lasciarla andare via. Lei guardò l'orologio -Sono in ritardo di 4 minuti e mezzo...-. Le tolsi i capelli dagli occhi -Perchè non li facciamo diventare 5?-



_____________
Prima mia fic, capitolo mooolto breve, diciamo che non mi presento così bene xD
Prometto però per chi mi leggerà che: 1° i capitoli saranno più corposi, 2° la storia prenderà una piega alquanto inaspettata (non mi piacciono le storielle romantiche tutte puccipucci bleah), quindi che dire... leggete e recensite? Ammetto anche critiche, eh u_u
{ Jude 

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Capitolo 2
*** We're all living in Amerika, Amerika ist wunderbar ***


Chapter Two: We're all living in Amerika, Amerika ist wunderbar.

...


Sam p.o.v.

Uscii presto dal lavoro e decisi di andare a trovare i ragazzi, non li vedevo da un po’. La sala di registrazione si trovava in una strada stretta delineata da due serie di alberi. Spinsi la prima grande porta insonorizzata e mi nascosi dietro un pilastro. Mi affacciai leggermente ma non appena vidi Jimmy guardare nella mia direzione, ritornai nella posizione iniziale. Dopo poco sentii dei passi venire verso di me e delle bacchette picchiettare fra di loro, non avevo dubbi su chi fosse. Vidi un braccio insinuarsi fra il muro ed il pilastro che io prontamente scansai, andando però ad urtare contro l’altro braccio che stava all’altra estremità del pilastro. Non feci in tempo a scappare che già la mano aveva afferrato i miei vestiti e iniziava a farmi il solletico sui fianchi, letale per me.
-Chiedi scusa per non esserti fatta sentire per tutti questi giorni!- disse il ragazzo con gli occhi azzurri cerchiati da quel poco di matita nera rimasta.
-Chiedo… scusa!... Perdono!- riuscii a biascicare fra le risate prima di buttarmi a terra cercando invano di fuggire da quelle manone forti. Riuscii a trascinarmi fino ad un angolo della stanza, seduta, in modo da osservare e cercare di anticipare le mosse del mio avversario. Jim si avvicinò a me, con un fazzoletto, reperito chissà dove, in mano.
-Bandiera bianca, vengo in pace- Gli sorrisi e mi aiutò ad alzarmi. Era impossibile non voler bene a quel gigante buono.
-Da quanto tempo è che non ci vediamo, eh?-
-Jim, ti ho già chiesto scusa…-
-Sotto tortura, non vale! Gates ti ha chiuso in casa- mi disse gesticolando mentre ci avviavamo nella sala in cui si trovavano tutti gli altri.
-Beh, diciamo che ci sto volentieri chiusa in casa con lui…- si aprì un sorrisetto lieve sulla mia faccia
-Non voglio saperlo! Dio, che brutta scenda davanti ai miei occhi! Gates nudo!- iniziò ad urlare, correndo in direzione dei suoi amici. Ad un certo punto si fermò e, cingendomi le spalle con un braccio, disse serio –Sono davvero dispiaciuto per te… vorrei fare qualcosa, vorrei salvarti da quelle visioni orribili ma il mio compito è salvare il mondo, non una persona alla volta…-
-Grazie lo stesso- dissi ridendo ormai come un’ebete
Una volta entrati nella sala Zacky urlò –Ah, che bella coppietta, la bella e la bestia!- tutti iniziarono a ridere.
Eravamo una famiglia allargata, li conoscevo da 4 anni ormai e non mi stancavo mai di stare in loro compagnia. Li avevo visti live molte volte ma ora era diverso, ora stavano cercando di incidere il loro primo cd e avrebbero spaccato i culi, me lo sentivo. Erano tutti migliori amici, ed era per questo che la musica che facevano era diversa… più sentita, più vissuta.
-Vi ho disturbato abbastanza ragazzi, non voglio essere incolpata di avervi distratto, per questo scappo!- li salutai tutti e, avvicinandomi a Brian, gli dissi che lo avrei aspettato a casa per pranzo.

 

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Brian p.o.v.

Lei non sentì i miei passi, probabilmente soffocati dal rumore delle pentole o dalla musica, lei adorava il signor Jackson… In generale non ascoltava quel genere ma lui era l’eccezione che confermava la regola; ci era cresciuta con la sua musica e le ricordava la sua infanzia in ogni sfumatura. Ricordo le notti passate a vedere i suoi video, e Sam che cercava di imitare i sui passi, anche con buoni risultati a volte; ricordo le mattinate passate a vedere lei che rassettava la casa con le note di Michael come sottofondo, e io ero felice perché lo era anche lei. L’abbracciai da dietro e iniziai a cantarle all’orecchio con la voce di MJ che mi guidava

 “Speechless, speechless, that’s how you make me feel
Thougt I’m with you I am far away and nothing is for real.
I’ll go anywhere and do anything just to touch your face,
There’s no mountain high I cannot climb.
I’m humbled in your face.” 


Lei si girò verso di me e continuò a cantare con il sorriso sulle labbra
 

 “Your love is magical, that’s how I feel
But in your presence I am lost for words
Words like “I love you” “ 


Sorrisi anch’io e la baciai.

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 Zacky p.o.v.

Camminavo per la strada con due cartoni delle pizze in mano, in cima un dvd ormai consumato e infilata in un braccio una busta con due birre. Era “quella”giornata, la giornata degli zombie. Una volta a settimana da ormai qualche anno, io e Sam ci riunivamo a casa di uno dei due per vedere un film splatter. Era diventato un rito, senza di esso la settimana non sarebbe andata per il verso giusto. Alzai il naso e guardai le stelle, quei corpi così grandi eppure così piccoli alla vista. Mi vennero in mente tutti i pomeriggi passati ad ascoltare “Sam e la formazione chimica delle sue stramaledettissime stelle”, poteva diventare tranquillamente il nome di un documentario scientifico. Era una ragazza che adorava imparare cose nuove, e non appena succedeva doveva condividerlo con tutte le persone che la circondavano. Suonai il campanello e mi venne ad aprire una Samantha in pigiama, con due ammassi di pelo ai piedi al posto delle pantofole. Si fiondò sulle pizze e mi disse di entrare solo dopo averne preso un pezzo. Ci sedemmo sul divano e mettemmo il dvd nel lettore. Dopo nemmeno un’ora, come sempre, ci addormentammo uno sulla spalla dell’altro, non riuscendo mai a vedere la fine di quell’orribile film. Mi svegliai e vidi che aveva i piedi non coperti, quindi cercando di fare meno rumore possibile mi alzai per aggiustarle la coperta. Non appena mi alzai dalla sua spalla però, Sam si svegliò.
-Non abbiamo visto la fine, di nuovo…- disse con la bocca impastata dal sonno
-E’ inutile, mi sa… questo film è proprio brutto, dovremmo prendere uno splatter migliore-
-Non si chiamano splatter a caso, Zack… sono tutti brutti!- disse allungandosi sul divano

-Stai sottovalutando il nostro genere preferito? Stai sottovalutando gli zombie? Potrei non parlarti più, sai?-
Sam cercò di alzarsi dal divano ma l’unica cosa che fece fu ricadere sulla mia spalla in una specie di coma vegetativo. Non riusciva proprio a rimanere sveglia non appena le veniva sonno, era capace di addormentarsi dovunque. Ormai, come mio solito, la presi in braccio e la portai nel letto della sua camera.


 

#
Sto ancora definendo i personaggi, fra un paio di capitoli però inizierà la storia vera e propria! Ringrazio anche qui Dominil che mi ha recensita :3

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Capitolo 3
*** I'll be there when your heart stops beating ***


Chapter three: I'll be there when your heart stops beating.


...

Zacky p.o.v.

Ci eravamo ritrovati, come nostro solito, nel garage di Matt per provare e buttare giù qualche idea decente. Il nostro sogno ci stava sotto il naso, eppure sembrava così lontano. Avevamo appena ricevuto una chiamata, la chiamata di un manager che era disposto a farci incidere il cd ad una condizione però, ci saremmo dovuti trasferire a circa 600 miglia da Huntington Beach, e allontanarci così dalla nostra adorata città e da tutti i nostri familiari e amici. Avremmo dovuto cominciare una vita nuova a 20 anni e questo ci sconvolgeva. Perché doveva essere tutto così dannatamente difficile?
Mentre eravamo tutti persi nei nostri pensieri Sam ci portò le birre con un sorriso smagliante, quasi come a doverle pubblicizzare. Dopo poco si spense, vedendoci così stralunati.
-Che succede ragazzi?- ci chiese preoccupata sedendosi vicino al suo ragazzo
-Ecco… forse non è il momento giusto…- iniziò Brian
-Cosa mi stai nascondendo?- sembrava quasi che gli occhi stessero per uscire dalle orbite, probabilmente in quel momento aveva pensato a tutte le cose più brutte che potevano essere successe.
-Noi… ecco… dovremmo partire- sulla faccia di Sam si allargò un grosso sorriso
-Partire? E dove andiamo?- ora Brian era proprio nei guai
-Sam… io e la band dobbiamo partire, abbiamo trovato un manager ma ha detto che dobbiamo spostarci se vogliamo incidere questo stramaledetto cd- abbassò la testa e iniziò a strapparsi le pellicine con i denti, lo faceva sempre quando era nervoso
-Io vengo con te- il suo tono non ammetteva repliche
-Non puoi, tu…- non lo lasciò nemmeno terminare la frase –
Io cosa? Sono maggiorenne e vaccinata, posso decidere da sola e io voglio partire con voi-
Brian la guardò per la prima volta negli occhi da quando era scesa in quel garage –Ma tu hai tutto qui-
-E voi no? Non ricominciate da zero lì?- Ci scrutò, aspettando una risposta affermativa, che arrivò flebile dalle nostre bocche.
Allora Johnny alzò la testa e disse a Gates –Magari la mia ragazza reagisse così! Se fossi in te sarei davvero felice-
-E lo sono, ma so anche che lei non vivrebbe senza la sua famiglia-
Sam gli prese le mani e disse –Dimmi che non hai mai sognato di andare via da questo paese, dimmi che non hai mai sognato di poter ricominciare una nuova vita con la persona che pensi possa essere la più importante, e io rinuncerò a venire con te…-
Brian le sorrise –Io non penso che tu possa essere la persona più importante, tu sei la persona più importante della mia vita-
E con un sottofondo di applausi, fischi e –Vai, Gates!- quei due piccioncini si baciarono.
Non avevamo calcolato però che tutto quel baccano avrebbe attirato Gena e Val, che si precipitarono giù a vedere cosa fosse successo. Io e Matt eravamo in guai seri.

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Sam p.o.v.

Ci eravamo trasferiti a Salt Lake City da qualche mese e tutto sembrava andare per il meglio. I ragazzi stavano sfornando dei pezzi magnifici e il loro manager era davvero una persona coi controcazzi. Valary era andata vivere con Matt in una casina poco distante dalla nostra mentre Jim, Johnny e Zack vivevano in un appartamento e ogni tanto le rispettive ragazze li andavano a far visita. Di certo non era la nostra adorata Huntington, ma non era nemmeno così male come città. Le temperature erano piuttosto simili, tranne per il fatto che  non c’era l’oceano. Ci mancava tanto il nostro gigante blu. A volte io e Zack passavamo interi pomeriggi a parlarne e a ricordare tutte le sensazioni che suscitava in noi quella distesa d’acqua così apparentemente calma. Quella che era in atto era proprio una di quelle giornate. Ci trovavamo in un bar in pieno centro, avevamo ordinato un paio di caffè ed era un giorno come gli altri.
-Aaaaah, sono proprio stanco…- Zacky si stiracchiò, allungando braccia e gambe
-Che hai fatto di così faticoso? Spalato cacca di elefante?- lo guardai con un sopracciglio all’insù
-Peggio, ho suonato!- un grande sorriso gli illuminò il viso
Dopo qualche minuto cominciai io
-E dai, dimmi qualcosa di nuovo! Non abbiamo parlato tanto ultimamente, voi siete sempre impegnati e l’unico che vedo di frequente è Brian solo perché abita con me… Beh, forse mi mancate un pochino…- abbassai il tono della voce per non far sentire l’ultima frase
-Cosa, cosa, cosa? Miss indipendent ha appena detto che le manchiamo?- si allungò sul tavolo
-Chi, io? Nah, forse hai sentito qualcun altro parlare- girai la faccia dall’altra parte, osservando le tende giallognole del bar
-E invece sei stata proprio tu a parlare!- sorrisi leggermente
-Che ne dici di fare una serata di zombie come ai vecchi tempi?- mi balenò in testa quell'idea. Mi mancava sul serio il mio migliore amico, anche se non l'avrei mai ammesso.
-Proposta accettata! Ma Gates dovrà farmi da schiavetto- ghignò all’idea
-Per quale assurdo motivo pensi che lui possa accettare una proposta del genere?-
-Perché io sono mr.Vengeance, baby- fece il suo solito sorriso da playboy.


#
Altro capitolo molto corto D: volevo allungare un po' il brodo e quindi ho diviso questo capitolo in due u_u Stay tuned che il prossimo capitolo sarà... non voglio svelarvi ancora nulla!
Grazie sempre a Dominil che continua a recensire *_*
Jude }

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Capitolo 4
*** All You Need Is Love ***


Chapter four: All You Need Is Love

Sam p.o.v.
-Oggi pomeriggio ho ancora prove…- mi informò Brian mentre eravamo seduti a tavola a mangiare un pranzo preso in chissà quale ristorante
-Come va?- lo guardai con le labbra leggermente arricciate all’insù
-In che senso “come va”?- domandò giocherellando con la sua forchetta
-Come va Bri, non mi dici più nulla. Entri in casa, mangi, dormi… non penso che questo cd ti stia facendo veramente bene- immediatamente puntò i suoi occhi nei miei
-Questo cd mi fa benissimo invece- si rese conto del tono troppo forte che stava usando, forse, quindi continuò, addolcendosi –probabilmente è solo il fatto che non riesco più a dormire bene-
-Lo so, non dovresti suonare anche di notte- ero davvero preoccupata per la sua salute. Guardandolo mi sembrava uno di quegli zombie di quei film da quattro soldi: occhi cerchiati di nero e viola, capelli scompigliati.
-Ne ho bisogno- disse alzandosi dalla sedia e buttando la vaschetta che prima conteneva del cibo nella spazzatura. –Tu sai che la musica è tutto per me… si trova solo un gradino sotto di te-
Intanto si era avvicinato a me. Sorrisi e gli tolsi una ciocca di capelli che gli copriva il viso. Mi prese di peso, tirandomi per il braccio, e mi portò nel salone, spostando il tavolino con un piede.
-Cosa vorresti fare?- gli chiesi con una smorfia felice disegnata sul volto
-Voglio ballare, non la senti la musica?- la sentiva anche lui? Sentiva anche lui il battito del mio cuore che poteva tranquillamente sembrare una grancassa? Ogni volta che mi si avvicinava mi faceva lo stesso effetto. Sembravo una stupida ragazzina alla sua prima cotta, quando osserva da lontano il capitano della squadra di football e fantastica sui nomi da dare ai loro futuri figli. In quel momento dovetti fare involontariamente una smorfia poiché vidi Bri che cercava di trattenere una fragorosa risata. Allungò il braccio e tenendomi sempre per mano mi fece girare. Provai anche io a farlo girare sotto il mio braccio ma lui inciampò in una pantofola lasciata lì per caso e cademmo entrambi a peso morto sul divano, ridendo come pazzi.
-Vuole fare il ballerino e poi non sa nemmeno girare!-
Immediatamente si mise a cavalcioni su di me –Sono bravo in altre cose, no?-
Lo baciai ridendo sulle sue labbra.
Gli tolsi la maglia ma mentre cercava di fare lo stesso con la mia si fermò. –Che c’è?-
-Dovevo essere alle prove già mezz’ora fa- disse fissando l’orologio a muro. Controvoglia si alzò dal divano e riprese la maglia che vi era volata dietro.
-Riprendiamo stasera? Non ti lascio mica scamparla così- mi sfiorò il naso con le labbra
-Va bene, spacca tutto Gates- mi sorrise prendendo le chiavi della sua macchina e uscendo dopo avermi dato un bacio. Non ero il tipo di persona che lasciava intravedere le sue emozioni, preferivo tenermele dentro, e oltretutto odiavo condizionare la vita altrui. Ero dell’opinione che ognuno nasce libero di fare qualunque cosa, nei limiti della convivenza civile, e soprattutto nessuno poteva dire all’altro cosa fare, cambiando così il suo modo di essere e le sue intenzioni. Ciò nonostante ci ero rimasta male non appena Brian si era alzato da quel divano. Lo avevo seguito con lo sguardo mentre cercava di aggiustarsi i capelli prima di uscire, e avevo continuato a seguirlo fino a che anche il suo odore era andato via da quella stanza.  
Passarono circa cinque minuti, e proprio quando stavo per iniziare a lavare i vetri sentii una suoneria fastidiosa. Non l’avevo mai sentita prima, e forse questo mi spinse a cercare la fonte di quel rumore. Guardai nelle tasche delle giacche e non c’era nulla, guardai nelle custodie delle chitarre e non c’era nulla. Ormai mi ero arresa ma proprio quando stavo per tornare alle mie faccende mi trovai fra i piedi la borsa in cui teneva tutti i cavi. Aprii la prima tasca e ci trovai finalmente quell’aggeggio infernale. “1 nuovo messaggio”. Io mi fidavo ciecamente di quel ragazzo ma probabilmente se avessi lasciato il telefono in quel modo avrebbe continuato a suonare, per questo decisi di leggerlo.

 Dove sei? Ti sto aspettando da un po’ ormai… La tua ragazza ha fatto storie? Rispondimi, ho freddo qui senza di te. Un bacio. Kim 

Probabilmente in quel momento diventai bianca cadavere e sprofondai nel divano. Il telefono mi scivolò da mano, cadendo a terra e separando la batteria dal resto. Non avevo mai pensato che mi sarebbe potuta succedere una cosa simile, non mi era mai passata nemmeno per la parte più remota del cervello. Io amavo Brian, avevo fatto tutto per lui, avevo lasciato la mia famiglia per seguirlo. Ma non era bastato. Non potevi imporre ad una persona di amarti, no? Eppure faceva male, perché per tutto quel tempo non aveva fatto altro che mentirmi, inventare scuse per vedersi con chissà quante altre ragazze. Sapevo com’era fatto, sapevo che per lui era difficile tenersi una ragazza, ma mi diceva sempre che era cambiato. Non era possibile, non mi ero mai accorta di nulla, dovevo avere proprio i prosciutti interi sugli occhi! Il lupo perde il pelo ma non il vizio, Samantha, dovresti saperlo. Un senso di nausea mi strinse la gola così tanto che dovetti correre in bagno a vomitare il nulla. Avrei preferito vomitare tutti quei “ti amo”, tutti quei “sei al di sopra di tutto” e dimenticarmi persino la faccia di quell’uomo. Presto l’incredulità si trasformò in rabbia, in odio. Nessuno poteva prendere in giro Samantha Williams.
Passarono ore, o forse minuti, poi lo vidi varcare quella porta.
-Amoooore- sfoderai un sorriso a trentadue denti e gli andai incontro baciandolo –Allora, com’è andato il pomeriggio con la tua AMANTE?- mentre proferii l’ultima parola gli diedi, con tutta la forza che avevo in corpo, un calcio nelle palle, aiutata anche dalla posizione perfetta in cui mi trovavo. Lui si piegò in due, cadendo sulle ginocchia.
Rispondimi, pezzo di merda!- Non pensavo nemmeno io di avere quella forza e quella voce, non avevo mai reagito in quel modo prima.
-Sam, io…-
Non lo lasciai continuare, presi una nostra foto che avevamo incorniciato nell’entrata e la lanciai per terra. Si coprì istintivamente gli occhi.
Ormai mi tremava la voce, sapevo che da un momento all’altro sarei scoppiata come una bomba ad orologeria e non volevo farmi vedere in quelle condizioni da lui, non gli avrei dato nessun altra soddisfazione.
Presi le chiavi dell’auto con gli occhi zuppi di lacrime e mi girai verso di lui –Sei la persona peggiore che io abbia mai incontrato, avrei voluto non farlo mai- sibilai prima di sbattere la porta e lasciarlo ancora in ginocchio e con gli occhi puntati sul pavimento.
Salii in macchina senza una direzione, volevo solo allontanarmi il più possibile da quella merda. Sentivo ancora il suo profumo sotto al naso e ciò mi dava la nausea. Piansi come non lo avevo mai fatto prima, non sapevo nemmeno di avere tutte quelle lacrime, e corsi fino a quando le luci del giorno cominciarono ad affievolirsi.
Una strada.
Le lacrime.
Due luci.
Un rumore.
Il buio.



#
Dopo tanto tempo sono tornata! [: la storia prende forma, spero... che cattivo ragazzo il nostro Brian u_u
Sono ancora indecisa su come proseguire, quindi chiedo scusa in anticipo se non aggiornerò così frequentemente
Spero sempre di ricevere le vostre recensioni :3
Baaaaai, Jude }

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Capitolo 5
*** You got a fast car and I got a plan to get us out of here. ***


Chapter Five: You Got A Fast Car And I Got A Plan To Get Us Out Of Here.
 

Matt p.o.v.

-Siamo dei grandi, ragazzi!- urlai uscendo dalla sala di registrazione dopo aver ascoltato la demo
-Già, è davvero forte- aggiunse Brian, seduto su uno sgabello e con in mano la sua amata chitarra. Non riusciva mai a stare fermo e anche in quel caso stava accarezzando le ultime corde, tenendo sul manico accordi impossibili da capire. Parlavamo tutti insieme, e dicevamo più o meno le stesse cose, quando un suono ruppe quel caos di parole. Ci guardammo tutti negli occhi, cercando di capire da quale cellulare provenisse quel suono, e dopo qualche secondo Zack si rese conto che era il suo. Si alzò a fatica, era un pigrone nato, e la chitarra che teneva sulle gambe di certo non lo rendeva più agile o più voglioso di alzarsi; dopo 5 o 6 squilli riuscì a rispondere, e noi ricominciammo a parlare, sarebbe stato da scostumati origliare una discussione. Dopo pochi secondi un tonfo ci fece smettere di parlare, per la seconda volta, in quei pochi minuti. Ci girammo tutti contemporaneamente e vedemmo la chitarra stesa per terra e Zacky immobile, che la fissava. Non era un comportamento normale, non per Zack! Chiunque sfiorasse la sua chitarra riceveva una valanga di insulti a raffica, e invece ora il suo strumento era steso per terra, buttato a terra senza delicatezza proprio da lui.
-Zack? Tutto ok?- furono le parole di Jim, evidentemente preoccupato come me. Lui non rispose, e girandosi di poco si accostò a Brian, guardandolo dall’alto in basso
Sam è in coma- disse a denti stretti. Il ragazzo coi capelli lunghi si rabbuiò e abbassò lo sguardo, non era più in grado di reggere su di sé quegli occhi rossi, ormai pieni di lacrime.
-Che cazzo le hai fatto, figlio di puttana!- il nostro secondo chitarrista urlava, ma rimase immobile, a un metro da Bri. Queste furono le ultime parole che sentii, in quel momento era come se un grosso macigno mi si fosse piazzato sullo stomaco, impedendo al mio corpo di muoversi. Probabilmente è quella la sensazione esplicata nella frase “mi è caduto il mondo addosso”. Un senso di intorpidimento mi prese, e sperai che davvero fosse tutto un sogno, un brutto incubo, tutti volevamo bene a Samantha.

Zacky p.o.v.

Non so come riuscii a prendere l’auto e a correre verso l’ospedale, l’aria nella sala di registrazione si era fatta davvero pesante, nessuno parlava e io imprecavo contro Brian. Quasi come un automa percorsi quella strada, con il piede piantato sull’acceleratore e la vista appannata. Quando finalmente arrivai nel parcheggio dell’ospedale ringraziai il cielo di essere ancora vivo, corsi verso l’entrata e spinsi la porta con tutta la forza che avevo in corpo, producendo un gran rumore e facendo girare tutti quelli che erano nella sala d’aspetto.
-Samantha Williams… dov’è?- dissi ormai con il fiatone all’infermiera che era seduta dietro la scrivania. Lei mi scrutò con i suoi occhietti piccoli da sopra gli occhiali che portava appoggiati sul naso e dopo poco abbassò lo sguardo per cercare nelle scartoffie che aveva davanti.
-Camera 46, terzo pian…- non la lasciai nemmeno finire la frase che ero già sulle scale, avendo anche premuto il pulsante dell’ascensore che però tardava ad arrivare. Percorsi le scale a due a due e arrivato al terzo piano mi fermai sul pianerottolo, due file di camere di scagliavano davanti a me, le pari a destra, le dispari a sinistra. C’era un odore insopportabile, medicina mista a dolore in quei corridoi bianchi; e i medici e gli infermieri entravano ed uscivano dalle camere semiaperte con una faccia apatica, chissà quante persone vedevano entrare ed uscire ogni giorno da quell’ospedale. Mi piegai a metà e appoggiai le mani sulle ginocchia, per riprendere fiato e forse anche per prendere coraggio. Mi alzai lentamente e feci piccoli passi, sfiorando con la mano destra tutte le porte candide, arrivando troppo presto alla 46. Aprii lentamente la porta, probabilmente perché il mio cuore avrebbe voluto che fosse tutto uno scherzo e che lei, in quel momento, stesse saltando sul letto; e allora io l’avrei guardata negli occhi marroni e avrei sorriso, perché tanta vitalità non poteva spegnersi così, da un momento all’altro. Purtroppo non fu così. Era distesa su quel letto con la pelle bianca, tendente quasi al giallo; era legata a diverse macchine e mi venne da rabbrividire, se si fosse svegliata in quel momento con tutti quegli aghi piantati nel corpo sarebbe andata fuori di testa, ne aveva la fobia. E invece era immobile, con gli occhi chiusi, ancora rigati di matita nera. Mi avvicinai, le presi la mano e mi ritrovai a pensare a come potesse suonare la chitarra con quella mano così piccola. Le riappoggiai la mano sul letto solo per qualche secondo, il tempo di prendere una sedia e di avvicinarla al letto. Le ripresi la mano e chiusi gi occhi.

-Sta zitta! Sei bravissima- le dissi mentre le facevo il solletico
-Ma che bravissima… io ora sto imparando a suonare la chitarra- riuscì a dire tra le risate
-Sei sicuramente più brava di Zack!- aggiunse Johnny serio prima che io smettessi di torturare Sam e cambiassi preda, lanciandomi alla cieca su di lui
-Cosa hai detto, brutto nanerottolo che non sei altro?- gli chiesi fermandogli le mani. Lui cercò di liberarsi ma fece un passo falso dicendo –Ma guarda chi parla, il gigante!-
Quindi mi lanciai sulle sue gambe, con un tuffo che sarebbe stato valutato 10 alle olimpiadi, e cominciammo a fare la lotta.
-Zack! Non voglio rimanere senza bassista- tuonò Matt
-E di me non ti importa?- misi il broncio, triste, mentre John dietro di me se la rideva
-Non per qualcosa, ma di chitarristi ce ne sono a bizzeffe, come te poi… Ecco, potrei prendere Sam al tuo posto- disse Matt ormai ridendo di gusto
-Nessuno mi ama perché sono troppo bravo! Siete tutti gelosi!- urlai, scatenando l’ilarità di tutti in quella stanza
-Hey… che succede qui?- fece la sua comparsa Brian con una birra in mano, appena presa dal frigo di sopra
-Bri, sempre il solito! Arrivi in ritardo e ti perdi gli show di questa scimmietta dai capelli viola- disse Sam ormai piegata in due dalle risate.


Non riuscivo più a stare seduto, era come se un miliardo di spine mi facessero male; mi misi quindi in ginocchio vicino al letto, tenendola ancora per mano. Cominciarono a passarmi in testa tutti i bei momenti passati insieme e mi sentivo dannatamente in colpa perché se ora lei si trovava in quel letto, immobile, lontana dalla famiglia, dalle amiche e dalla sua città, un po’ era anche colpa mia.

-Di cosa state parlando?- ci interruppe lei con 5 birre in mano, e dopo averle distribuite si sedette vicino a Brian
-Ehm… stavamo pensando a quante possibilità abbiamo di rimanere in questa città e continuare a fare musica, e penso che siano vicino allo zero-
-Non troviamo un cazzo di produttore… qui- aggiunse Jim, con le mani nei capelli. La passione di quel ragazzo per la musica gliela si vedeva negli occhi.
-Perché hai aggiunto qui? Avete trovato qualche produttore, quindi!- aggiunse Sam sorridendo
-Ecco… si. Ma vuole che ci spostiamo da questa città, ci ha promesso tante cose…- Brian era evidentemente sconvolto. Avevamo 19 anni, avevamo pensato tutti, almeno una volta nella vita di andare via da quella città troppo calda e chiusa ma, si sa, quando si presenta la possibilità di farlo sul serio si tentenna, il cambiamento fa paura.
-Se tu ti trasferisci io mi trasferisco con te- disse Sam decisa
-Non puoi, tu…-
-Io cosa? Sono maggiorenne, posso decidere ciò che voglio fare, e se partite io vengo con voi-
-Non sappiamo nemmeno dove andare, come fare per vivere e dove trovare i soldi per mangiare nei primi mesi, e tu vorresti venire con noi?- Brian era preoccupato, non avrebbe voluto sconvolgere la vita della sua ragazza, probabilmente
-Lo so che sei tragico e non ci sarà nulla che mi farà cambiare idea-
-Ma tu hai tutto qui…- il ragazzo non sapeva più che dire
-Perché, voi no? Voi non lasciate la vostra famiglia, la vostra casa, per inseguire un sogno?- la biondina domandò a tutti
Annuimmo debolmente, non sapendo da che parte tendere. Era vero che lasciavamo tutto lì, ma capivamo anche la preoccupazione di Bri, che era nostro amico.
-Io voglio vivere questo sogno con voi. Potrei partire anche io?-
Altra domanda a trabocchetto rivolta a tutti. E ora che dire? Dovevamo per forza screditare uno dei due, non c’era scampo. Fortunatamente Johnny mi tolse il compito ingrato di rispondere per primo
-Brian, io sarei felice se la mia ragazza mi dicesse che vuole partire con me-
Ecco, ti pareva, sempre il solito Johnny, era meglio se stava zitto, un po’ di tatto no, eh?
-E lo sono! Ma la conosco, so che non le farebbe bene stare lontana dalla sua famiglia-
Sam gli prese le mani e disse –Dimmi che non hai mai sognato di scappare via, dimmi che non hai mai sognato di poter ricominciare una nuova vita con la persona che pensi possa essere la più importante, e io ti lascerò andare da solo-
Brian sorrise –Io non penso che tu possa essere la persona più importante… tu sei la persona più importante per me-
Si baciarono fra i nostri fischi e le nostre urla. Fummo interrotti da Val, la fidanzata di Matt, che entrava nel nostro garage/sala-prove tutta sorridente
-Perché state urlando? Di che state parlando?-
Tutti ridemmo ancora più forte e io diedi una pacca sulla spalla al diretto interessato, sussurrando –Buona fortuna, M!-


Forse avrei potuto dire di no, avrei potuto dire a Sam che non era una buona idea venire con noi, che avrebbe dovuto lasciare quello stronzo del suo ragazzo e cercarsene uno migliore, uno che non la facesse piangere così tanto da schiantarsi in un’auto nella carreggiata opposta.

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Capitolo 6
*** I hope that someone gets my message in a bottle. ***


Chapter 6:
I Hope That Someone Gets My Message In A Bottle


Jimmy p.o.v.
Quando aprii la porta vidi Zacky con li occhi pieni di lacrime e inginocchiato vicino al letto. Appena mi vide cercò di asciugarsele, invano, ma non poteva lasciar trasparire la sua parte da debole, non era da lui.
Spostai gli occhi alla ringhiera d’acciaio del letto e dopo poco la vidi, con una mascherina per l’ossigeno sulla faccia, non sembrava nemmeno lei. Sam era una ragazzina vitale e quella stanza non le sarebbe piaciuta affatto se fosse stata capace di intendere e di volere. Ma perché stavo parlando al passato? Scacciai le brutte immagini che mi balenarono in testa senza un motivo in particolare e decisi di cambiare pensieri e parlare col ragazzo che si trovava nella stanza, quasi come per trovare la forza di pensare positivo. La prima cosa che mi venne in mente fu la discussione avuta qualche minuto prima con il primo chitarrista, e decisi di renderne partecipe anche lui.
«Zack, quando tu te ne sei andato, Brian ha cercato di spiegare come stavano realmente le cose… vuoi sentire cosa ha detto?»
Il moro non fece nessun segno, stette lì immobile, con la mano di Sam stretta nella sua. In un primo momento fui spiazzato, davvero non sapevo che fare, poi cominciai a raccontare quello che mi aveva detto il nostro primo chitarrista, quasi come a scusarsi per quello che era successo. Terminata la storia Zacky mi chiese
«Il signor Haner è qui fuori?» come se fosse la cosa più semplice e ovvia al mondo
«Si, ma…» non mi diede nemmeno il tempo di finire la frase, di domandargli il perché di quella domanda, che scattò in piedi come un toro furioso, facendo cadere anche la sedia dietro di lui.
«Zack, cazzo! Calmati!» mi impuntai con i piedi per terra e, tenendolo per un braccio, lo fermai prima che potesse aprire la porta e fare una strage.
«Calmarmi? CALMARMI? Deve solo provare ad entrare qui dentro che lo dovranno raccogliere con il cucchiaino!»
Lo presi per le spalle, adesso stava proprio esagerando. Aveva fatto tremare le pareti con le sue urla, e pensai che il messaggio fosse arrivato anche al diretto interessato.
«Siamo tutti sconvolti, ok? Reagendo così fai male non solo a te stesso, ma anche a lei» dissi indicando il letto d’ospedale «ora calmati, siediti. Vuoi che ti prenda qualcosa da mangiare? Una sigaretta?»
Lui mi guardò con i suoi occhioni azzurri, fissando prima un punto indeterminato sul mio petto e poi i miei occhi «Grazie Jim»
Si alzò dalla sedia, sfilò un pacco di Malboro e ne prese una, avvicinandosi alla finestra. Quella sigaretta finì davvero in due tiri, inizialmente pensai che l’avesse fatto per la paura di essere beccato mentre fumava in ospedale, solo dopo pensai che stavo parlando di Zacky, e lui se ne fregava altamente di ciò che dicevano gli altri. Fu in quel momento che capii che doveva stare proprio male.
Sapevamo tutti del rapporto di amicizia fra quei due pazzi, era stato proprio il ragazzo a portare Sam a una delle nostre prove

«Ragazzi» esordì Zack «Vi ho portato il pubblico!»
Da dietro la porta spuntò una ragazzina «Salve a tutti» disse massacrandosi le mani. I ragazzi fecero un grosso sorriso tranne Jimmy che sembrava preoccupato
«Come hai conosciuto questa testa di cazzo?» riferendosi al moro
«Hey! Testa di cazzo a chi?» Zack si tuffò su di lui che prontamente lo scansò facendolo quasi finire per terra.
Ridendo Sam rispose «Ci siamo conosciuti in punizione... Avevo dato della "prostituta", per dirlo gentilmente, alla figlia della preside»
Un vocione spezzò le risate soffocate dei presenti «E tu Zacky, che avevi combinato per stare lì in punizione?» Matt salvò quella ragazza che ormai era diventata color porpora per l'imbarazzo.
«Secondo te, Shads? Ho picchiato Morrison, aveva insultato me e la mia amante» rispose velocemente il ragazzo guardando con occhi sognanti la sua chitarra.

 
Forse era quello, si sentiva in colpa. Eppure non era una persona del genere, Zack era uno dei più positivi del gruppo, io e lui vedevamo sempre il bicchiere mezzo pieno, che era successo al mio amico?
Per tutto il mio viaggio mentale lui era rimasto fermo, immobile, con gli occhi, ormai grigi, puntati al pavimento.
«Si riprenderà» lo tranquillizzai con una pacca sulla spalla «Lo sappiamo che è forte, andrà tutto bene» dissi per convincere anche me


Gena p.o.v.
Ormai erano giorni che non sentivo più il mio ragazzo, non mi rispondeva nemmeno più al telefono, ed ero non poco preoccupata. Decisi di farmi coraggio, cercare il doppione della chiave del nuovo appartamento che aveva preso e di andare a controllare se andasse tutto bene. Parcheggiai la macchina in fretta e furia e mi precipitai sull’uscio di quella casetta bianca. Provai prima a bussare, ma ovviamente non mi rispose nessuno, allora presi le chiavi e feci fare uno scatto. Immediatamente mi inondò una sensazione di tristezza, di rabbia. Era tutto fuori posto, vestiti per terra, piatti montati l’uno sull’altro pronti a precipitare da un momento all’altro, vari pezzi di fogli sparsi dappertutto. Sperai di trovarlo lì, buttato per terra in un qualche angolino, ma notai molto presto che la casa era vuota e io non potevo far altro che aiutare il mio fidanzato sistemandogli quel tugurio. Non appena cominciai a prendere quei fogliettini sentii il rumore della serratura.
Mi girai per guardarlo in faccia, era pallidissimo ed aveva le guance scavate
«Amore, che ti sta succedendo?»
Corsi fra le sue braccia, quello non era il mio Zack.
«Che ci fai qui?»
Disse chiudendo l’abbraccio ma non stringendomi veramente
«Ero preoccupata per te… Sembra quasi tu sia malato! E poi non riesco più a parlarti, non riusciamo più a vederci…»
«Perché hai quel fogliettino in mano?»
Disse ignorando completamente quello che gli avevo detto. Mi sembrava di stare in un film, tipo quelli nei quali gli alieni rubano una persona e mandano un suo sosia privo però di emozioni, come se gli avessero aspirato tutta la linfa vitale.
«Volevo sistemare un po’ questa casa, mi sembra un porcile»
«Non è affatto un porcile, ok?!» disse alzando un po’ troppo la voce «E’ la mia casa, e questi sono i miei fogli, tu non devi toccarli.»
«Ma sono solo pezzi di car…» mentre parlavo abbassai gli occhi e diedi uno sguardo a ciò che c’era segnato sopra. Riuscii a distinguere solo alcune parole scritte velocemente, tipo “green” e “move” prima che lui me lo strappasse di mano, piegandolo ossessivamente
«…Mi fai paura Zacky»
Alzò gli occhi azzurri e mi fissò. Non avevo mai visto quello sguardo così vacuo e assente, quegli occhi ora più tendenti al vitreo che al loro normale verde acqua marina.
«Non c’è bisogno che tu metta a posto i miei fogli»
Cercavo di trattenere le lacrime, dovute a non so cosa in realtà. Mi faceva male vederlo ridotto così, un automa più che un uomo, che ormai passava più tempo chiuso in un ospedale che con me. Ecco, sì, forse era la gelosia che mi faceva piangere, quella brutta e malsana bestia nera annidata nella mia anima da sempre, a dir la verità. Avevo conosciuto Zack quando già lui e Sam erano migliori amici ed inizialmente avevo fatto molte domande per capire su cosa era basato il loro rapporto. Sapevo che si trattava di pura amicizia ma dire che non mi desse fastidio che ogni tanto si vedessero loro due soli sarebbe una bugia. E’ una cosa normale, no? La gelosia moderata è una cosa normale, fa capire all’altro che ci tieni veramente e che non lo lasceresti andare. Ora probabilmente però la bestia nera era cresciuta, si era nutrita delle mie insicurezze e dei suoi sguardi assenti ed era diventata un’enorme orso dagli occhi rossi, capace di sbranare chiunque gli si fosse piazzato davanti.
Qualche settimana fa il ragazzo che avevo di fronte, guardando i miei occhi pieni di lacrime, si sarebbe messo a fare lo scemo per farmi ridere e farmi distrarre mentre invece ora era più occupato a raddrizzare quel maledetto foglio invece di guardarmi.
«Dov’è finito il mio Zack?» dissi ormai non potendo più trattenere le lacrime calde, le quali rigavano il mio viso ed il mio makeup
«E’ rimasto in quell’ospedale, su quella sedia, in quella macchina…»
Farfugliò a denti stretti e con lo sguardo per terra.
Mi sentivo ferita, mi sentivo non capita, non amata, non presa più in considerazione ed uscì dalla mia bocca un «Sembra che Sam sia la tua ragazza, non io!»
«Scusami, ma non capisco cosa c’entri» corrugò la fronte «Solo le fidanzate si vanno a trovare quando stanno male? Sam è la mia migliore amica e ora è in coma ed io non riesco a pensare ad altro, onestamente. Mi sono accorto troppo bruscamente che la vita è effimera»
«Ma devi reagire! Sembra quasi che ci sia tu in coma!»
Ormai ero disperata, singhiozzavo e lui sembrava non comprendere la gravità della cosa
«Un pezzo di me è in coma con lei.»
Furono le sue ultime parole. Poi si girò e si chiuse in camera sua.
Io lo guardai come una mamma guarda il figlio che si accinge al patibolo, piena di compassione per quello che stava passando ma piena anche di odio per coloro che lo avevano ridotto così.
Non meritavo di soffrire così anche io, che non c’entravo nulla.




#

Quanto sarà passato dal mio ultimo aggiornamento? Anni? Beh, penso davvero un bel po'.
Questa storia mi teneva compagnia in un periodo un po' particolare e qualche tempo fa ho ritrovato il quadernino sul quale la scrivevo... e non ho potuto fare a meno di rileggerla e, perchè no, di condividerla.
Cercherò il più possibile di tenerla viva, poichè ci tengo davvero tanto, e spero che qualcuno la legga.
Jude }

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Capitolo 7
*** You're just a sad song with nothing to say ***


You're just a sad song with nothing to say.


Jimmy p.o.v.
«Questa è la tua fine, maledetto!» sguainai la spada lucente sotto il sole rosso del tramonto.
«Ahahahah davvero credi di potermi sconfiggere con quella?» l’enorme bestia verde mostrò di rimando i suoi denti aguzzi, pronti a far di me un sol boccone. Non avevo paura però, ero convinto che la mia spada magica non mi avrebbe lasciato solo nel momento del bisogno. Mi lanciai contro di lui, facendomi precedere dall’arma, feci un salto ed arrivai all’altezza del suo occhio, caricai il tiro e…
Dliiiin dloooon
«Aaaaaah!»
Aprii gli occhi e ci misi un po’ per mettere a fuoco. Mi trovavo ancora nella mia camera, seduto a metà del letto, tutto sudato e con un braccio alzato.
«Devo smetterla di giocare a quei giochi, mi mandano in pappa il cervello»
Dissi a bassa voce come se fosse un post scriptum da tenere a mente.
Dliiiiiin dloooon
“Il campanello? Che diavolo di ore sono?” pensai cercando la sveglia sul comodino. La girai verso di me e vidi quelle cifre in rosso “4:16”
“Saranno i ladri, o qualcuno che vuole fare uno scherzo”
Mi tirai le coperte e mi misi su di un lato
Dliiiiin dlooon
“Che ladri insistenti… ma gli altri non sentono nulla?”
Dliiin dlooon
“Che palle.”
Mi alzai controvoglia, presi la mazza da baseball dall’angolino -non si può mai sapere- e mi diressi verso la porta che quella sera sembrava animata.
Poggiai la mazza per terra a mo’ di bastone e guardai dallo spioncino. Riconobbi una figura familiare, i capelli neri scompigliati e gli occhi più rossi che azzurri. Aprii immediatamente la porta
«Che diavolo ci fai qui, Z?» dissi ancora con la bocca impastata dal sonno e con gli occhi socchiusi per la troppa luce della strada
«Ho lasciato Gena e non vogliono farmi entrare all’ospedale per vedere Sam!» non appena aprì bocca ne uscì un’olezzo di alcool e marlboro e contorsi il naso
«Aspetta aspetta aspetta, tu hai fatto cosa? Lasciato Gena? Da ubriaco?»
Cercai per un attimo di ignorare le paranoie di un alcolizzato e concentrarmi sul succo del discorso
«No! Prima! Non voleva che andassi più da Sam… è pazza!»
“No, tu, amico mio, sei pazzo a girare da solo per strada a quest’ora”
«Entra, su…» lo aiutai a mantenersi in piedi ed arrivare fino al divano, dove sprofondò e si addormentò quasi subito nella stessa posizione in cui era caduto.



Zack p.o.v.
Non so dire esattamente quanto passò, forse una settimana, o forse un anno… avevo perso completamente il senso del tempo. Dentro la mia testa si faceva sempre più largo l’idea di averla persa per sempre, di aver perso per sempre la mia migliore amica, e con chi avrei visto quegli orribili splatter che non piacciono nemmeno ai registi che li fanno? Con chi avrei riso fino alle lacrime per stronzate? Non riuscivo nemmeno a pensarci. Come può fermarsi una vita a 22 fottutissimi anni? In me c’era ancora quella piccola e debole speranza di rivedere i suoi occhi ed il suo sorriso, o forse era solo perché non volevo cedere all’evidenza. Sam stava male. Se si fosse risvegliata avrebbe potuto riportare traumi, la sua faccia era guarita ma ancora livida e gonfia, dati i frammenti che le erano finiti un po’ su tutto il corpo. La notte rimanevo sveglio a pensare, a rimuginare sulle cose che avevo fatto o che invece avrei potuto fare per cambiare quella situazione. Poi mi accorsi che ormai era passato, a meno che non avessi costruito una macchina del tempo non era possibile ritornare indietro e mi assalì un nuovo pensiero. In quelle ultime sere pensai di non averla abbracciata abbastanza, di non averle detto o dimostrato che le volevo bene, che per me era una persona importante, un cardine, insieme agli altri della band, soprattutto da quando ci eravamo trasferiti. Mi sentivo male ogni volta che ci pensavo perché, beh, se lei se ne fosse andata da questo mondo –non riesco ancora a dire quella parola- non l’avrebbe mai saputo.
Quell’ultima sera mi trovavo come sempre nella mia camera, con una piccola luce direzionata sulla mia scrivania. Avevo la testa appoggiata fra le mani e cercavo di trattenere le lacrime quando ad un certo punto mi girai e vidi lì di fianco a me un foglio di carta con una matita. Immediatamente iniziai a solcare la carta con la grafite con un tratto definito e pesante, e non appena ebbi finito presi quel foglio, lo piegai delicatamente e lo infilai nella tasca del primo cappotto che mi capitò a tiro, mettendomelo addosso. Aprii la porta di legno scuro e l’aria di novembre mi pizzicò il naso. Rimasi lì sul pianerottolo per qualche secondo con gli occhi chiusi e poi mi incamminai con la luce flebile dei lampioni a farmi compagnia.

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Capitolo 8
*** Don't even dare to say you ***


Chapter 8: Don't even dare to say you "hi", still swallowing the goodbye. 


Matt p.o.v.
Mi girai su di un fianco ed aprii gli occhi. Val probabilmente si era già alzata quindi raccolsi le mie forze e dopo un’intensa stiracchiata mi alzai dal letto, diretto in cucina. Lei era lì, che cucinava i suoi pancakes
«Buongiorno amore» disse intenta a non far bruciare tutto, forse aveva sentito i miei passi pesanti dietro di lei
«Buongiorno» dissi con una voce proveniente ancora dagli inferi.
La abbracciai da dietro e le diedi un bacio sulla guancia, la vidi sorridere.
«Quando non dovete suonare vai proprio in letargo» si girò verso di me con il suo solito sorriso perfetto e io ricambiai. Allungai la mano e rubai un pancake furtivamente, prima di incamminarmi verso il divano.
Lei dopo poco li prese tutti e li portò sul tavolino di fronte la tv, con un bicchiere di succo d’arancia.
«Io non so come farei senza di te» le dissi sinceramente
Stavamo insieme da 5 anni ormai, dopo esserci conosciuti non fummo più in grado di allontanarci l’uno dall’altro. Lei mi accompagnava dovunque, in ogni locale, ogni serata era la nostra fan numero 1 e io ero la persona più felice del mondo quando lei stava vicino a me.
«Saresti solo come un cane, avresti una casa disordinata e sporca e andresti a puttane tutte le sere!» incominciò a ridere
«Che brutto futuro» la seguii a ruota
Una volta finito di mangiare lei mi disse «Oggi pomeriggio perché non andiamo all'ospedale? E’ da un paio di giorni che non ci andiamo»
Val e Sam non erano state sempre amiche. Appena Zack portò Samantha alle prove quello che c’era fra le due ragazze era più odio che altro. Si sa come sono fatte le donne… Sam era entrata nella zona di Val, aveva conquistato gli amici di Val e la mia ragazza si sentiva minacciata –inutilmente, aggiungerei- ma le donne sono così! All’inizio erano tutte frecciatine fra le due e temevo che non fossero mai andate d’accordo. Quando poi decidemmo di partire e ci seguirono anche loro due il loro rapporto magicamente mutò. Iniziarono ad uscire insieme per fare shopping, a volte anche solo per fermarsi ad un bar per prendere un gelato. Probabilmente si erano trovate nella stessa situazione –lontane da casa e dalla famiglia- e quindi cominciarono a capirsi ed apprezzarsi. Fatto sta che fummo tutti molto felici di ciò, anche perché l’aria che si respirava alle prove quando c’erano entrambe non era più tesa come prima, e Valary aveva trovato finalmente una persona con cui confidarsi.
«Va ben…» fui interrotto dal mio cellulare che suonava e mi alzai a malavoglia dal divano
«Pronto?»
«Matt non so nemmeno perché ho chiamato te, forse perché sei il primo nella rubrica, si, forse ti ho chiamato per questo!» Disse la persona dall’altro capo del telefono tutto d’un fiato. Pensai che il proprietario di quella vocina fosse ubriaco ma poi guardai l’orologio a muro e vidi che erano le 11 di mattina, no, era troppo anche per lui.
«Johnny, che succede? E parla piano per l’amor di Dio»
Sentii un respiro profondo
«Sam si è svegliata»
«Non sono scherzi da fare, Christ» nella mia voce c’era però un barlume di speranza, speravo non fosse uno scherzo con tutto il cuore
«Ti pare?! Sono all’ospedale, venite»
Non appena riattaccò la cornetta corsi sul divano e nel mentre urlai alla mia ragazza «Vestiti! Sam è sveglia, dobbiamo correre in ospedale»
Lei mi guardo con gli occhi sgranati e lucidi, non poteva crederci nemmeno lei.

Zack p.o.v.
Mi tremavano le mani. Ero lì, vicino alla porta asettica da un’eternità e non avevo il coraggio di aprirla. E se fosse stato solo un discutibile scherzo? No, non era da Matt fare questi scherzi. Dieci minuti prima mi aveva telefonato –urlato per telefono sarebbe più giusto- di correre all’ospedale perché Sam era uscita dal coma. Tenni quel telefono in mano per un minuto, incredulo, poi realizzai e mi fiondai fuori casa.
Non so da dove presi la forza per aprire quella porta, che sembrava un macigno bianco. Lei era lì, e sorrideva a Jimmy. Dall’altra parte c’era Johnny che si mangiava frettolosamente un’unghia.
«Zacky!»
Si girò verso di me con due lacrime che le scendevano sulle guance. Non osai muovermi, ero come pietrificato. Avevo sognato tante volte quest’epilogo felice, e se questo fosse stato un sogno? E se facendo un passo mi fossi svegliato e ritrovato nella mia stanza buia, raggelato dalla consapevolezza della realtà? Nel frattempo la vidi rigirarsi verso la porta ed urlare «Matt! Val!» con le mani distese come a volerli abbracciare da così lontano. I due ragazzi scavalcarono Jimmy e si diressero fra le braccia della ragazza in lacrime.

Jimmy p.o.v.
Finalmente Zachy si sciolse in un sorriso. Era quello che le era stato più vicino durante tutta la sua permanenza in ospedale e temevo potesse avere un crollo, prima o poi. Improvvisamente, quasi come un robot che ha ricevuto un comando, si mosse ed andò ad abbracciare Sam.
Ad un tratto bussarono alla porta, feci un rapido conteggio delle persone presenti in camera e mi balenò in testa un’idea malsana su chi potesse essere… no, non poteva essere. Mentre ci pensavo la testa di Brian fece capolino, i suoi capelli corvino facevano a pugni con il bianco della camera… proprio chi sospettavo. Ci girammo tutti verso il diretto interessato, immobili, in silenzio e freddi. Brian era per metà all’interno, pronto probabilmente a scappare se le cose fossero andate male.
Non vedevamo il ragazzo dai tempi dell’incidente, non si fece sentire, non si fece vedere e a me in realtà un po’ dispiacque quel suo comportamento. Eravamo una band, ma come prima cosa eravamo tutti amici da tanto tempo, e se c’era qualche problema eravamo abituati a risolverlo insieme, parlando, a volte urlando, ma sempre insieme. E invece lui era scappato dalle sue responsabilità, chissà se si era sentito per lo meno un po’ in colpa per quello che era successo… perché non solo aveva ferito –spiritualmente e fisicamente- la sua ragazza, ma aveva ferito noi, aveva ferito me.
Avevo conosciuto Brian quando eravamo poco più che adolescenti, suonava in un locale di Huntington in cui capitai quasi per caso, assetato dalla calura estiva. Ascoltai la sua band riproporre sempre le solite cover e non appena finirono decisi di farmi forza e, siccome eravamo a corto di un primo chitarrista, chiedergli se volesse ricoprire quel ruolo. Dapprima sembrò contrariato, quasi come a farmi intendere di non aver tempo per noi, quando poi gli dissi che non suonavamo cover ma pezzi nostri vidi i suoi occhi che brillavano. Mi disse «ok», mi strinse il pugno e mi portò verso il suo petto per quel saluto che si addice più ai gangster di Detroit che ad un piccolo quindicenne californiano dai capelli neri.
Io odio la parola “migliore”, è una caratterizzazione che mette una cosa al di sopra di tutto, ma non puoi sapere se ciò è vero in assoluto e soprattutto se sarà vero per sempre. Io pensavo che Brian fosse il mio “migliore” amico, ma dopo quello che era successo non sapevo se potesse essere ancora così.

Zacky p.o.v.
Quasi come se fossi stato trasportato da una folata di vento mi mossi verso il letto con le braccia protese, arrivando finalmente ad abbracciare Sam piena di vita. La strinsi così forte che mi sembrò di romperla ma lei non disse niente e continuò ad accarezzarmi i capelli rasati. Le dissi «ti voglio bene» ma forse fu troppo flebile e troppo affogato nei suoi capelli perché lei potesse sentirlo. Ad un tratto sentii bussare alla porta e non ebbi nemmeno il tempo di riflettere su chi potesse essere, che mi ritrovai davanti Syn. Strinsi i pugni e le unghie lasciarono dei segni bianchi all’interno dei miei palmi. Non potevo prenderlo a pugni lì, fortunatamente il mio autocontrollo ebbe la meglio, e dopo un paio di respiri profondi riuscii anche ad aprire i pugni. Dopo qualche istante cominciò a parlare, ancora appoggiato allo stipite della porta
«Volevo scusarmi con tutti»
“CON TUTTI? BRUTTO PEZZO DI MERDA, HAI QUASI UCCISO SAM” urlai nella mia testa. Non so da dove presi tutto quell’autocontrollo, forse perché mi sembrava ancora tutto un sogno e non mi sarei mai voluto svegliare in camera mia mentre facevo la lotta con un povero cuscino.
«…e volevo parlare un attimo con Samantha»
“sicuro che lei voglia parlare con te?”. La vidi abbassare lo sguardo e guardarsi le mani bianche, per poi guardarmi negli occhi e sorridermi flebilmente. Gli altri si erano già allontanati dalla camera mentre io ero rimasto a guardare quegli occhi nocciola, i quali dopo poco mi rassicurarono e quindi mi convinsi a lasciare la stanza, con la mano di Matt sulla spalla.

Sam p.o.v.
«Cosa vuoi da me ora?» doveva rovinarmi anche quel bel momento per colpa del suo egocentrismo?
«Nulla Sam, voglio solo chiederti scusa dal profondo del mio cuore» “ce l’hai ancora un cuore?”
«Ho fatto tanti errori prima e anche dopo il tuo… incidente. A volte, quando ero sicuro di non incontrare nessun altro, ti venivo a trovare. Sono colpevole di ciò che è successo e la colpevolezza mi logora» girava in tondo nella camera con lo sguardo basso
«In realtà non sapevo di preciso che dirti, è più un flusso di coscienza»
«Ah, hai ancora una coscienza?» gli dissi acida, bruciandolo con lo sguardo
«So che non tornerà nulla come prima, ma ci tenevo a vederti e a chiederti scusa da… sveglia.»
«Hai finito?»
Lui accennò un sì con la testa
«Vai lì fuori, parla con i tuoi amici perché probabilmente sono più arrabbiati loro che io. Siete una grande famiglia e si vede negli occhi di ognuno di voi quanto vi volete bene, per questo loro ti perdoneranno e continuerete a spaccare i culi»
Lui sembrò stupito da queste mie parole, sembrò volermi chiedere “ma come lo sai che dopo l’incidente sono scappato e non ho voluto vedere più nessuno?”. Nulla di trascendentale. Ne avevo parlato con John prima che gli altri arrivassero. La mia prima domanda appena sveglia era stata “dov’è Brian?” e ciò fa intuire perché appena l’avevo visto non l’avevo cacciato fuori ma l’avevo lasciato parlare.
Dopo qualche secondo abbassò di nuovo la testa, quasi cancellando quello che avevo detto «Mi sento dannatamente in colpa nei tuoi confronti»
«E fai bene, perché l’unica cosa che mi dispiace è che non mi hai amata come ti ho amato io»
«Non è vero, ma me lo merito, mi merito tutte le tue cattiverie» si grattò la testa e si diresse verso la finestra «Se ti fosse successo qualcosa mi sarei ammazzato»
Era serio, e quando alzò gli occhi ne ebbi la conferma. Piangeva. Non l’avevo mai visto piangere prima. Si mise a fissare la finestra, per paura che io avessi potuto vedere altre lacrime e così si sarebbe distrutta la sua fama da bad boy. Avrei dovuto cacciarlo da quella stanza e invece, se ne fossi stata in grado, in quella situazione l’avrei abbracciato e gli avrei detto che era uno stronzo, ma non avrei potuto dimenticarmi di quella cosa magnifica che c’era stata tra di noi. Ero combattuta. Il mio orgoglio però ebbe il sopravvento
«Spero tu possa essere felice ora» dissi con un tocco di malinconia. Lui strizzò gli occhi e mi disse
«Stammi bene, Sam» incamminandosi verso la porta.
Era strano. Mi aveva tradita, mi aveva quasi ammazzato, eppure io non riuscivo ad odiarlo come avrei voluto. Avrei dovuto sputargli in faccia una marea di parolacce, di imprecazioni, e invece, dopo averlo visto piangere, il mio cuore si era spezzato in due. Prima di uscire dalla stanza mi rivolse un’occhiata di ringraziamento e io abbassai lo sguardo. Subito dopo entrò Val che con un sorriso stanco si avvicinò alla sedia posta vicino al mio letto
«Meglio che li lasci parlare da soli, se si vogliono ammazzare che lo facciano ad armi pari!» sorrisi alla mia amica
«Com’è andata?» incalzò, quasi come se fosse preoccupata
«Beh, mi ha chiesto scusa e io gli ho detto che forse erano più arrabbiate quelle belve lì fuori che io»
Valary mi guardò con uno sguardo materno, mi abbracciò e mi accarezzò i capelli, prima che io scoppiassi in un pianto liberatorio. Lei sapeva tutto senza che io le dicessi nulla. La strinsi fortissimo e lei riuscì a dirmi «Ora devi solo dimenticartelo»

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Capitolo 9
*** E intanto farò a pugni contro il muro per averti ancora qui. ***


Chapter 9: E intanto farò a pugni contro il muro per averti ancora qui.


Sam p.o.v.
Ero in un giardino immenso, curatissimo e pieno di piccole margheritine bianche, avevo un lungo vestito azzurro chiaro, il quale scendeva morbido sui miei fianchi e rasentava i freschi fili d’erba. Sentivo i piedi umidi, quindi probabilmente ero scalza, ma non ci feci tanto caso. Da lontano vidi una strana aura dorata, come un’alba, e mi ci avvicinai socchiudendo gli occhi. In lontananza, sempre più chiaramente, si distingueva la sagoma di un uomo, non molto alto, con i capelli neri e delle grandi mani. Quando fu da me distante qualche metro riuscì finalmente a riconoscerlo, ed immediatamente mi lanciai in quelle braccia leggermente raggrinzite. Dopo poco gli presi le grandi mani e misi la mia nella sua, quasi come a volerle paragonare, e notai che erano quasi il doppio delle mie. Poi le osservai per bene, e sorrisi nel trovare quell’unghia strana, quella del medio che da giovane si era stritolato in una catena di un motore mentre lo riparava. Finalmente trovai la forza di guardarlo negli occhi e mi accorsi di quanto fossero belli, un misto fra un color nocciola con delle pagliuzze oro e verdi all’interno. Mi sorrise con quella bocca grande e mi strinse di nuovo a sé. Dopo poco eravamo seduti sull’erba, a parlare del più e del meno, della mia vita, della musica. Solo allora mi resi conto che gli somigliavo così tanto… i capelli neri, gli occhi, la passione per la natura, per la musica, per i lavori manuali, l’attenzione, la cura per i più piccoli dettagli, avevo ereditato tutto questo da mio nonno. Si alzò con un’agilità da far invidia ad un ragazzino e mi aiutò ad alzarmi, tenendomi le mani. Mi portò lentamente verso un’altalena, lo guardai fisso negli occhi e mi accorsi in quel momento che sarebbe stata l’ultima volta che lo avrei visto. Mi spinse con delicatezza, per mettere in moto la giostra, e dopo poco mi ritrovai a sorvolare un paesaggio ghiacciato, un bosco. Poteva sembrare desolato, io invece anche da lassù riuscivo a distinguere tutti gli animali che vi abitavano… una volpe delle nevi che probabilmente aveva scovato un roditore ed era pronta a stanarlo, una possente alce con delle grandi corna che placidamente rosicchiava la poca erba presente e un lupo solitario con una folta pelliccia grigia che osservava tutti su un’estremità aguzza di una montagna. Quest’ultimo lentamente alzò lo sguardo verso di me e mi mostrò i suoi stupendi occhi gialli, prima di riabbassarli per guardare un piccolo scoiattolo che correva verso un albero per mettersi in salvo.
«A che pensi?» Zachy mi guardò preoccupato
«Nulla, ripensavo ad un sogno che ho fatto quando ero in coma, probabilmente…»
Subito il ragazzo smise di girare la chiave nella toppa e mi fissò con gli occhi sgranati
«Niente di che, non ti preoccupare! Allora? Mi vuoi far vedere questa casa o no?» dissi con un sorriso enorme.
Aveva trovato una bella casetta ad un prezzo ragionevole e aveva deciso di acquistarla, anche perché a detta sua “il russare di Johnny non si poteva più sopportare”
Sapevo che non era solo quella la motivazione.
Il mese successivo al mio risveglio, che avevo passato all’ospedale per i soliti accertamenti di routine mi era servito a rimettere i piedi a terra. Ogni giorno i ragazzi e Val, a turno, mi venivano a fare compagnia e mi aggiornavano su quello che stava succedendo alla nostra grande famiglia. Fui felice di sapere che poco dopo il mio risveglio una casa discografica, la Hopeless Records, aveva finalmente risposto ai tamponamenti della band e aveva ascoltato le loro prime canzoni, proponendogli un contratto e un relased del loro primo album, Sounding The Seventh Trumpet. Finalmente sentivo che la fortuna stava girando dalla loro parte, e se lo meritavano, quei pazzi.
«Tadaaaan!» esordì aprendo la porta, forse per avere la mia attenzione
La porta si apriva su un salone molto carino, pieno di mensole pienissime di oggettini –data la passione sfrenata di Zack di collezionare cose strane-, un divano con una televisione sulla sinistra mentre a destra c’era un piccolo muretto, come una penisola, che divideva il salone dalla cucina.
Da lontano vidi una bella cornice, tutta in legno intarsiato, poggiata su di un mobiletto di fianco il divano, e subito attirò la mia attenzione. Mi ci avvicinai e vidi che era una foto di qualche anno prima. C’eravamo io e Val al centro con un mega boccale di birra, sorretto da entrambe, e dietro i Sevenfold, tutti sorridenti. Dietro appena si scorgeva un tramonto, il tramonto di Huntington, e mi sentii assalire dalla malinconia per il posto in cui io, loro, tutti noi eravamo nati.
«Te la ricordi questa foto?» si era avvicinato anche lui a me
«Certo che me la ricordo, il compleanno di Val, sulla spiaggia…» il mio amico notò la nota di malinconia che traspariva dal mio tono
«Manca anche a me quel posto… ma un giorno ci torneremo, ne sono sicuro» disse leggendomi nel pensiero
Asserii e continuai a guardarmi intorno «Comunque è davvero molto carina la casa»
«Ah si ecco, proprio riguardante questo…» il moro mi guardò, quando faceva quello sguardo non c’era da stare tranquilli «ti vorrei fare una proposta!»
«Se mi vuoi sposare te lo dico, sono ancora troppo giovane» ridemmo entrambi
«No no, però pensavo che siccome non penso sia ancora giusto che tu stia da Matt e Val» mi fece uno sguardo come chi la sapeva lunga. E in effetti era vero, Valary mi aveva consigliato –ordinato- di andare a stare da loro, non appena mi avessero dimessa, ma effettivamente mi sentivo il terzo in comodo a volte. Non che non stessi bene da loro, ma dopo una settimana quei due piccioncini avevano anche bisogno di stare da soli, ecco! Dal canto mio stavo cercando un posto in cui trasferirmi ma gli affitti mi sembravano tutti troppo alti, e dopo essere stata licenziata le cose non andavano di certo meglio.
«…ecco, io suggerirei che potresti stare qui, una camera in più c’è»
Lui mi fece un sorriso sincero ma io non ero troppo convinta.
«Zee, da te? Cioè, hai fatto tanto per scappare da quei due cicloni e ora te ne metti un altro in casa?» lo guardai col sopracciglio alzato
«Vuoi paragonarti a quei due? E poi Christ russava, e so per certo che tu non russi» disse con la faccia soddisfatta
«Avrei ancora un’altra domanda» il ragazzo fece roteare gli occhi all’insù
«Gena?» lo vidi sbiancare. Frettolosamente mi rispose «Non è un problema, l’ho lasciata»
A quel punto sbiancai anche io, potevo fare una figura peggiore di quella? Stavo cercando le parole per scusarmi, per riprendere in mano la situazione quando il suo dito indice fece capolino davanti alla mia faccia, per zittirmi
«Dimmi solo si o no. Ma penso tu sappia che se mi dici no dovrai stare ancora da Matt, e non so quanto tempo riuscirà ancora a stare lontano dalla camera di Val…» disse quasi disgustato. Era stato esagerato ma aveva reso l’idea.
«Quindi non ho alternative» il ragazzo cominciò a sorridere «Esattamente»
«Va bene, ma glielo dici tu alla DiBenedetto» dissi tutto d’un fiato, sperando che mi dicesse si anche se non aveva bene inteso cosa avessi detto
«Io…cosa? Mi vuoi morto?» vidi il panico nei suoi occhi
«Dai, è una cosa che va anche a favore suo, alla fine…» speravo fosse così


Matt p.o.v.
«E’ fatta!» dissi sventolando il cd che avevo in mano e mostrandolo agli altri. La Hopeless ci aveva dato una possibilità, ci aveva finalmente fatto un contratto per un nuovo disco ed io ero soddisfatto del risultato. Avevamo messo in quel lavoro tutta la rabbia che avevamo accumulato nei mesi precedenti ed il suono era grezzo e sporco, proprio come piaceva a me. Finalmente in quell’attimo mi accorsi che ce la potevamo fare, che eravamo cinque ragazzi con una voglia folle di suonare e di far sentire la nostra musica al mondo e l’avremmo fatto, contro tutti i pronostici e contro tutte le condizioni avverse.
Gli altri ragazzi mi guardarono con gli occhi lucidi, non ci credevano nemmeno loro.
«E stasera si comincia con il mini-tour!» disse con tutta la forza che aveva in corpo il nostro batterista, sventolando il braccio

Sam p.o.v.
«Hai preso la chitarra?» dissi vedendo Zacky sedersi al posto del guidatore nella sua auto
«Ma cert… oh cazzo, la chitarra!» si precipitò in casa, quasi inciampando sul pianerottolo, uscendone trionfante qualche minuto dopo
«Non ridere» disse serio mentre metteva in moto
Riuscivo a stento a trattenere le lacrime
«Sam, ti lascio qua, e non sentirai nemmeno una canzone del nuovo album»
Diventava sempre più arrabbiato e io mi divertivo sempre di più
«Mi ero dimenticata di quanto fossi permaloso, Vengeance» gli dissi non appena mi ripresi, poggiando finalmente la schiena al seggiolino
«Fai così ogni volta che dovete esibirvi?» chiesi, rincarando la dose. Adoravo prendere in giro il mio amico
«Le prime volte ero anche peggio, dimenticavo di vestirmi»
Pensai a quella scena e scoppiai di nuovo a ridere come una matta
«Beh, non che ci sia tanta differenza fra i tuoi vestiti ed il tuo pigiama, Zee!»
«Nanerottola, sei salva solo perché sto guidando, ma non ti assicuro nulla non appena arriviamo» in realtà rideva anche lui


Johnny p.o.v.
Odio i cinque minuti prima di andare sul palco, ci si sente sempre spaesati, e l’ansia incomincia a prenderti. Sentivo già le dita fremermi e ripetevo le mie parti, avevo sempre il terrore di sbagliare tutto, ed ora era anche peggio. Prima suonavamo nei locali ed i malcapitati dovevano ascoltarci, a volte con piacere, a volte addirittura fuggivano non appena accordavamo gli strumenti. Invece ora cominciavamo ad avere anche il nostro primo gruppo di fan che ci acclamavano sotto il palco, e questo faceva ancora più paura ad un fifone come me. Cercando di trovare la mia tranquillità interiore chiusi gli occhi e feci un profondo respiro, ma naturalmente fui disturbato da Jim e dal suo scalpellotto
«Christ! Smettila di guardare il culo di Jason! Non voglio un bassista finocchio» fece la faccia seria mentre si accomodava su una sedia posta dietro le quinte, giocherellando con le bacchette. A volte invidiavo la tranquillità di quel ragazzo, era fatto per stare sul palco, come tutti gli altri, del resto. Mi ritrovai improvvisamente a pensare di essere davvero fortunato, potevo inseguire il mio sogno, suonare con altri ragazzi altrettanto talentuosi, e soprattutto suonare con degli amici. Secondo me era quella la differenza fra noi ed altre band, noi eravamo una famiglia.
«Come mai Matt ti ha già liberato? Gli avevo detto di non farti uscire dalla gabbia» risposi
«Perché lo so che non puoi stare senza di me, ma purtroppo devi arrenderti all’evidenza, io amo Syn!» alzò la voce per calcare l’ultima frase, in modo che il chitarrista lo sentisse.
Ritornando al fatto della famiglia, era proprio quello che volevo dire.
Qualche mese prima pensai che quelle ultime parole non sarebbero più potute uscire dalla bocca di Jim.

«Allora, cosa vogliamo fare?» tutti i Sevenfold si erano riuniti a casa di Matt, per discutere sul futuro della band.
«A me sinceramente non va di mandare tutto a puttane, è un nostro progetto e abbiamo giurato, all’inizio, che l’avremmo portato a termine» rincarò Shads
«Ma come si fa, M… guardalo con che noncuranza ha saltato anche questa riunione! E sapeva che avremmo dovuto parlare della sua permanenza nella band» disse sconsolato Zack
Non appena ebbe finito si udì un suono sommesso alla porta, prima che qualcuno bussasse. Da dietro di essa ne uscì un Brian affaticato, forse aveva corso, con un foglio in mano.
Si avvicinò cautamente alla tavola dove erano seduti tutti, con gli occhi puntati addosso e disse
«Se non volete perdonarmi non ve ne faccio una colpa, ma nel vostro prossimo album dovete mettere questa» e poggiò il foglio sul tavolo
Tutti si affacciarono per vedere cosa c’era scritto e un titolo, in alto, fece capolino
“Second Heartbeat”
Dopo averla letta gli altri ragazzi si guardarono, poi Jim fece coraggio e chiese
«Se hai pensato anche alla parte strumentale dovrai per forza esserci anche tu in questo prossimo album» un sorriso si fece spazio sulla faccia del batterista, che presto contagiò tutti


Noi ragazzi eravamo così, potevamo litigare, ma la nostra passione ci avrebbe sempre riunito. Non fu facile all’inizio, ovvio, anche perché le frecciatine tra i due chitarristi non mancavano, ma ben presto anche quell’ostilità si trasformò in voglia di fare, e noi eravamo ancora gli Avenged Sevenfold.

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Capitolo 10
*** Una spiaggia ai piedi del letto, una notte un po' concitata, una notte sbagliata. ***


Nb: in questo capitolo sono presenti parolacce ed imprecazioni, quindi per non urtare la sensibilità di nessuno ho deciso di avvisare :)


Chapter 10: Una spiaggia ai piedi del letto, una notte un po' concitata, una notte sbagliata.



Brian p.o.v.
Era da tanto che noi Sevenfold non andavamo ad una festa e quella sera il nostro produttore ebbe la bella idea di organizzarne una nella sua enorme villa con piscina a Los Angeles per l’uscita di Waking The Fallen. Ero felice, perché avevo ricominciato a suonare, avevamo inciso un cd con i controcazzi e soprattutto perché gli altri mi avevano perdonato. L’unica persona con la quale non avevo più parlato da quel maggio di 2 anni prima era Samantha. Non che non ce ne fosse stata l’occasione, molto spesso veniva ai nostri live e ci acclamava insieme a Val da dietro le quinte, ma anche in quella situazione mi rivolgeva poco più di qualche occhiata.
Era molto raro vederla ai festini, cosa che pochi anni prima non si sarebbe mai lasciata scappare, eppure adesso era lì, seduta su una sdraio a bordo piscina, con un bicchiere verde in mano, intenta a girare la cannuccia mentre tutti gli altri erano dentro a fare baldoria. Anche io ero in casa ma mi era bastato guardarla di sgembo per essere trascinato nel suo mondo silenzioso, e ora tutto quel rumore di bicchieri che si scontravano, tutte quelle urla mi facevano bruciare le orecchie. Aprii la porta-finestra e mi appoggiai allo stipite, guardando la luna che era involontariamente dietro di lei e la illuminava rendendola ancora più pallida. Mi ritrovai a pensare che quella che avevo davanti non era più la Sam che conoscevo, nel bene e nel male. Era una sua controfigura più pacata, più matura.
Lei non si girò nemmeno per un secondo, ma sapevo che mi aveva visto o quantomeno aveva percepito la mia presenza a distanza di qualche metro. La guardai distrattamente e la vidi togliersi quelle scarpe nere dal tacco vertiginoso per poi allontanarsi da me ed avvicinarsi al bordo piscina, sedersi e buttare i piedi in acqua. Ora mi dava le spalle e non potevo più vedere la sua pelle candida. Fui distratto da quello che sembrava un rumore di bicchiere che si rompe e mi voltai quindi verso la casa. Appurato che non era nulla di grave dopo qualche secondo mi voltai verso la piscina ma non la vidi più. Mi sporsi ma non la vidi nemmeno lì intorno. Mi si raggelò il sangue nelle vene, la conoscevo bene e sapevo che non aveva mai imparato a nuotare, e così, senza pensarci due volte, completamente vestito mi lanciai in acqua. Sott’acqua aprii gli occhi e  mi girai su me stesso cercandola. Dopo aver fatto mezzo giro vidi tra le bollicine due gambe attaccate al bordo, ma non feci in tempo a pensare che già mi trovai in superficie. La fissai e lei era immersa in acqua ma appoggiata al bordo con entrambe le mani e mi guardava con un’espressione stanca, abbassando gli occhi di tanto in tanto. Girò la testa verso destra, pur avendomi dritto aventi a sé, e disse con voce flebile
«Volevo vedere se mi avresti lasciata morire di nuovo»
In quel momento sentii una moltitudine di coltelli trapassarmi lo stomaco e per un attimo mi mancò il respiro. Cercai di risponderla ma boccheggiai solamente, non emettendo alcun suono. Mi sembrava di sognare, di essere in uno di quei incubi in cui cerci di urlare o per lo meno di scappare ma rimani lì fermo e muto, ad aspettare che il mostro che ti insegue faccia di te il suo pranzo. Chiusi gli occhi, cercando di svegliarmi, ma quando li riaprii lei era ancora nella stessa posizione, con un braccio teso ed attaccato al bordo per non scivolare giù.
«Vuoi che ti aiuti a salire?» furono le uniche sciocche parole che mi uscirono dalla bocca. Lei ovviamente accennò un no con la testa, tentando di arrivare alla scaletta facendosi leva sul bordo. Dopo pochissimo vidi il suo braccio d’appoggio cedere e l’acqua la sotterrò. Per la seconda volta quella sera la paura prese il sopravvento e mise in moto le mie braccia che, con un paio di bracciate mi fecero arrivare nel posto in cui era scomparsa, tuffarmi e riportarla a galla. La vidi tossire appoggiata al mio collo e mi sbrigai ad arrivare alla scala, quasi con la paura che quell’acqua maledetta potesse riprendersela. La feci sedere sul gradino più alto e le tolsi i capelli bagnati dalla faccia mentre tossiva.
«Non ti avrei mai lasciata annegare, non lo pensare mai più»
La mia non era una ramanzina, volevo solo che sapesse che nonostante tutto le volevo bene. Avrei voluto dirle altre mille cose ora che eravamo faccia a faccia ma lei si girò e salì gli scalini. Seppur col trucco sciolto dall’acqua mi accorsi che piangeva e non appena mi vide risalire si girò e sparì nella folla.
Decisi di non pensarci più di tanto, mi rimisi la mia maschera da duro e mi tolsi la maglia fradicia per evitare di prendermi un raffreddore in piena estate, e così rientrai in casa.

Sam p.o.v.
Non sapevo perché l’avevo fatto, mi ero buttata volontariamente in piscina rischiando di annegare… forse volevo solo che l’acqua cancellasse quegli occhi inquisitori, quegli occhi che sembrava mi guardassero ancora con quella foga di 2 anni prima. No, non era possibile. Lui era quello che aveva preferito una scopata facile ai sentimenti e non sarebbe cambiato mai, e allora perché non riuscivo a convincermene?
Mi avvicinai al tavolo pieno zeppo di alcolici e mentre stavo per riempirmi l’ennesimo bicchiere sentii un respiro frammentato alle mie spalle. Sembra impossibile, ma lo avevo riconosciuto anche da quel piccolo indizio, anche prima che allungasse quella grande mano che riportava un tatuaggio sulle nocche con su scritto “marl” per prendere la bottiglia quasi intera di vodka liscia. Non ebbi il coraggio di girarmi, non poteva vedermi così fragile, indifesa e brilla. Lo sentii deglutire tante, troppe volte, e pensai che avesse finito l’intera bottiglia. Quando decisi di versarmi un po’ di rum nel bicchiere lui pensò di dover fare lo stesso, sfiorando il mio braccio e sfilandomi la bottiglia di mano. Con quell’azione mi costrinse a girarmi verso di lui e lo vidi con le labbra attaccate alla bottiglia e a torso nudo. Si avvicinò, l’odore di alcool e nicotina mi faceva girare la testa
«E’ così strano parlare con te dopo due anni»
I suoi occhi erano socchiusi e mi scrutavano
«Non ti chiederò scusa per non averti parlato, se è questo quello che vuo…»
L’ultima parola fu spezzata da quelle maledette lacrime, che l’alcool aveva solo aiutato a far uscire con più vigore. Allora lui mi prese per le spalle e mi fece girare dalla sua parte
«Dov’è la Sam che conosco? Quella dura? Quella che mi teneva testa? Smettila di piangere! Devi reagire!»
Intanto mi scuoteva e alzava sempre di più il tono, che fortunatamente era mascherato dalla musica alta, ma io a quella distanza ravvicinata lo sentivo bene
«Su! Picchiami!»
Allargò le braccia gonfiando i muscoli, preparandosi ai miei colpi. Ma io ero cambiata, o forse ero sempre stata così. Mi nascondevo sotto l’aspetto di una dura e le borchie, il nero, aiutavano solo a costruire il mio personaggio.
«Sei solo ubriaco fradicio, Bri»
Gli dissi asciugandomi le lacrime. Di rimando lui mi scostò i capelli dal collo e cominciò a baciarlo, sapeva benissimo che quello era il mio punto debole.
Non poteva farmi una cosa del genere, non avrebbe dovuto. La rabbia cominciò a farmi bollire la testa, probabilmente diventai paonazza prima di urlare
«Fottuto figlio di puttana!»
Lo lanciai via e il risultato fu soltanto di spostarlo di una decina di centimetri, che annullò di nuovo avvicinandosi con un passo. Allora cominciai a prenderlo a pugni pieni di ira in pieno petto mentre lui mi incitava
«Maledetto» dicevo fra i singhiozzi e le lacrime. Le nocche mi bruciavano e vidi che anche il suo torso era diventato rosso
«Più forte!»
«Bastardo!»
Dopo poco mi bloccò stingendomi a sé
«Lasciami andare! Lasciami!»
Le mie parole si sentivano a malapena, data la posizione in cui mi trovavo, comunque lui fece finta di non sentirmi e non si spostò di un millimetro. Mi prese la faccia fra le mani, per impedire che evitassi il suo sguardo e a qualche centimetro di distanza dal mio naso mi disse
«Mi sei mancata»
Mi lasciò quasi immediatamente, per calibrare la mia reazione. Io lo fissai con una tale rabbia che l’avrei incenerito, se avessi potuto. Annullai di nuovo quello spazio fra noi due e lo stinsi, affogando la testa nel suo petto. Chiusi gli occhi. Stavo sbagliando tutto, in quei pochi istanti diedi la colpa al fatto di essere brilla, ma io comandavo il mio corpo, io lo avevo abbracciato. Il suo odore era sempre lo stesso e mi stupii di ricordarlo ancora. Finalmente dopo poco la mia parte razionale decise di venirmi in soccorso, facendomi sciogliere quell’abbraccio prima di combinare casini inutili.
Cosa mi era successo? Ero ancora così dannatamente assoggettata a quell’uomo? No. Non poteva essere. Io non ero mai stata assoggettata a nessuno, al massimo il contrario. In quel momento capii quanto in realtà amassi ancora la persona che mi stava di fronte. Non c’erano altre giustificazioni, altre scuse. L’avevo abbracciato per fargli capire che dopo tutto mi era mancato anche lui, ma non potevo far tornare tutto a com’era anni prima. Avevo voluto però stringerlo di nuovo, forse per l’ultima volta. Un “sono stata bene con te e non lo dimentico, ma ora siamo cambiati e non potrebbe funzionare di nuovo fra noi due” sottinteso in un abbraccio.
All’inizio rimase anche lui un po’ spiazzato ma poi sembrò leggermi nella mente e la fronte, da corrugata che era, si distese.
«Posso per lo meno farti un cocktail decente? Fino ad ora hai solo mischiato alcool a caso» disse sorridendo mentre io mi appoggiavo al tavolo ancora frastornata.

Zack p.o.v.
Quella sera toccava a me riportare tutti sani e salvi a casa, ergo “Zack non puoi bere”. Cosa diavolo è un festino senza poter bere? Una noia totale, ecco. Vedi solo persone ubriache che ti travolgono e distruggono la casa. Decisi quindi di andare fuori, in giardino, ma l’unica uscita era dall’altro lato della stanza. Impresa titanica della giornata: passare attraverso una folla di ubriachi cercando di non farsi male. Presi quindi la mia birra dal tavolo, insieme a tanta pazienza e mi preparai a diventare un giocatore di rugby. Arrivai indenne a circa metà della stanza, dopo che una mi aveva scambiato per un certo Jacob ed un altro mi aveva quasi versato il suo cocktail sulla maglia. Mi guardai un po’ intorno e l’unica faccia conosciuta sembrò essere Brian che si muoveva scoordinatamente accanto ad una chioma bruna. “Come fa a farsene per lo meno una a sera?” pensai. Non ero geloso del mio chitarrista, solo che non capivo quale tecnica adottasse, dato che le mie non funzionavano mai. Quando mi rigirai dalla sua parte vidi che la ragazza indossava un vestito sopra al ginocchio nero con una cintura di borchie che le stringeva la vita.
Sam.
Rimasi lì shockato, prendendomi anche alcune spallate dai vari ubriachi che ballavano. Com’era possibile? Iniziai a sentire i battiti accelerati ma cercai di calmarmi, respirando. Che fossero entrambi ubriachi fradici non lo mettevo in dubbio ma che Sam avesse perso la testa e l’orgoglio così facilmente no, non potevo pensarci. Prima che me ne rendessi realmente conto lei si girò nella mia direzione solo per qualche secondo con due occhi vuoti, vacui. Un brivido mi percorse la schiena, sembrava quasi un’altra persona, impossessata dall’alcool.
Subito dopo vidi Brian tirarla verso di sé, con una foga spaventosa e baciarla.
Avrei dovuto girarmi e andarmene.
Avrei dovuto lasciare che quei due se la vedessero tra di loro.
Però sapevo che se Sam fosse stata lucida non ci si sarebbe nemmeno avvicinata, non era così autolesionista. Mi ricordai della promessa che avevo fatto a me stesso nel caso in cui la mia migliore amica fosse uscita dal coma. L’avrei protetta da tutto e da tutti, specialmente da chi le aveva fatto del male. Ogni passo che facevo nella loro direzione faceva crescere la mia rabbia. Chissà che le aveva dato per ridurla così, per non farle capire nemmeno chi aveva di fronte. Mi interposi fra i due, girandomi verso il ragazzo. Ero paonazzo e caricai il sinistro per assestargli finalmente un pugno in piena faccia ma sentii un rumore alle mie spalle. Mi girai e vidi Samantha in ginocchio, probabilmente era caduta, e mi guardava con due occhi pieni di lacrime. Mi si strinse il cuore. Decisi di lasciare il ragazzo che era così ubriaco da non provare nemmeno a difendersi dalla mia carica e prendere lei in braccio, per allontanarla da quel caos.


La portai in braccio fino alla macchina parcheggiata nell’immenso giardino e per prendere le chiavi dovetti lasciarla, facendo si che rabbrividisse al contatto fra i piedi nudi e l’erba umida.
«Entra in macchina»
Dissi alla ragazza distrattamente. Lei sembrava non ascoltarmi e guardava ossessivamente la porta d’ingresso da cui usciva quella musica così alta.
«Sam? Entra in macchina che torniamo a casa»
Lei si girò nella mia direzione e mi chiese
«Posso ritornare dentro?»
«No Sam, entra in macchina» voleva tornare dentro? Cioè io avevo quasi preso a pugni il mio chitarrista e invece lei era consenziente?
«Ma…»
«Entra in quella macchina subito! O vuoi tornare a limonare con il tuo ex? Eh? Ti ricordi? Quello che ti ha tradita e ti ha fatto schiantare contro un’altra auto!»
Ero esploso. Non avrei nemmeno voluto dirle quelle cose ma erano venute fuori come veleno ed avevano colpito in pieno la ragazza.
Si coprì il volto con le mani e cominciò a singhiozzare. A quell’immagine non resistetti e cercai di avvicinarmi
«Mi dispiace, non volevo…»
Lei si girò dall’altro lato e corse dietro un cespuglio. La sentii tossire e vomitare.
Non mi diede nemmeno il tempo di pensare che mi si piazzò davanti
«Torniamo a casa»
Aveva gli occhi arrossati per il pianto, il trucco nero tutto sciolto intorno agli occhi ed i piedi nudi. Mi guardò dritto negli occhi e mi sembrò quasi un ordine quello che uscì dalla sua bocca ma non ci feci troppo caso, per lo meno aveva capito che non era il caso di rimanere ulteriormente lì.


Presi le chiavi di casa e mi diressi verso il pianerottolo. Avevo appena svegliato Sam che si era addormentata non appena aveva messo piede nell’auto, e la vidi seguirmi dopo qualche secondo.
«Buongiorno, ben svegliata»
Cercai di ironizzare mentre giravo la chiave nella serratura. Lei di rimando non mi guardò nemmeno, continuò a fissare la porta, assente, e non appena la aprii ci si fiondò oltre. Non voleva parlarmi, era evidente, ma sapevo che l’indomani, se si fosse ricordata qualcosa, avrebbe capito le mie azioni.
Tirai la porta alle mie spalle e la chiusi con due scatti. La vidi appoggiata con le spalle al muro, nel corridoio che portava alla sua stanza, mentre fissava un punto indeterminato sul tetto. Non la riconoscevo, non sapevo come comportarmi e questo mi provocava non poca ansia, che cercai di scaricare passo dopo passo dirigendomi verso di lei. Non appena fui abbastanza vicino vidi che piangeva, e la testa era tirata su solo per impedire alle lacrime di scendere troppo velocemente.
Mi fermai lì, ad un metro da lei, cercando di capirla. Lei non mosse gli occhi ma dopo poco iniziò a parlare
«Sono una brutta persona?»
Non sapevo se era una domanda retorica, se erano ancora i deliri di un’ubriaca ma di certo non le avrei lasciato buttarsi giù
«No, affatto» le risposi convinto, avvicinandomi ancora di qualche centimetro
Adesso potevo vedere le mani che tremavano mentre si avvicinavano alle guance, per asciugarsi le lacrime
«Non trovo altre motivazioni allora» la lasciai parlare mentre mi posizionavo di fronte a lei
«Perché tutti mi lasciano, Zack?»
Quegli occhi marroni erano diventati grigi. Mi guardò per la seconda volta in quella serata, ma non come prima, questa volta mi sembrava… distrutta.
Le presi la testa fra le mani e le asciugai le lacrime con i pollici. Lei poggiò le sue mani ghiacciate sulle mie, facendomi rabbrividire.
Cosa avrei potuto risponderle? In quegli anni l’avevo vista forte, sicura di sé, non aveva mai dato un segno di cedimento, io a volte l’avevo addirittura invidiata per il suo modo di fare sempre distaccato e cinico. Ed ora era lì, poggiata ad un muro, debole, a pezzi. Se avessi saputo che si teneva tutto quel dolore dentro gliel’avrei tirato fuori a mani nude. Pensavo fosse una super eroina e invece era solo la ragazza che pochi anni prima ci aveva seguito nella nostra folle impresa, lasciando tutto e tutti alle spalle, senza un ripensamento, ma con il cuore in frantumi.
Lei era quella che ascoltava ogni mio delirio, ogni mio sfogo, ogni mio pianto. Ed io? Io non ero riuscito nemmeno a capire che stava precipitando in un pozzo senza fondo, buio e freddo.
«Non pensare a quelli che se ne vanno, pensa a quelli che restano»
Era un’ovvietà, la prima cosa che mi era passata per la testa in quel momento, per non lasciare che quella domanda aleggiasse ancora nell’aria, ma era la realtà.
I miei, come i suoi, erano dei pluralis maiestatis. Non l’avevano lasciata ’tutti’, ma una persona che per lei era stato tutto, due anni prima. Adesso avevo capito il perché del suo comportamento, dei suoi sbalzi d’umore, delle sue reazioni.
Feci scivolare le mani dietro la sua testa e la strinsi, la strinsi più che potevo. Io non l’avrei lasciata. Io sarei rimasto sempre lì per lei. Doveva sapere che se non riusciva ad essere forte si sarebbe sempre potuta appoggiare su di me.
«Grazie» mi disse ancora premuta sul mio petto.
L’aveva rifatto. Mi aveva letto nel pensiero come faceva quando eravamo ancora due ragazzini ubriachi nel centro di Huntington, e mi bastava guardarla per farle dire «Ok, andiamo a prenderci un’altra birra»
«Ti voglio bene Samantha»
«Ti voglio bene anche io, Zee»

Brian p.o.v.
Alzai la testa dal divano non appena sentii il campanello e con la velocità di un bradipo mi avvicinai alla porta. I postumi si facevano ancora sentire, forse avevo davvero esagerato quella volta.
Non appena aprii la porta mi immobilizzai. Mi sarei aspettato tutti, ma non la persona che in quel momento era di fronte a me. Mi portai una mano fra i capelli scompigliati e mi grattai la testa, forse era solo un sogno.
«Siccome ci dovremmo vedere ai concerti e alle varie serate e non possiamo mica evitarci, ti propongo una cosa… fai finta che io non esista, sono trasparente per te»
La ragazza mi fissava dritto negli occhi, mi stava quasi incenerendo con quello sguardo cupo e serio
«Vuoi entrare? Ne parliamo dentr…»
«No. Hai capito Syn?»
Non mi lasciò nemmeno finire la frase, subito mi rispose irrigidendosi ulteriormente. Non reggevo più quello sguardo inquisitore, così abbassai la testa e mi diedi a morsi il labbro inferiore. Lei rimase immobile sull’uscio, aspettava la mia risposta, ma io avevo altre cose da dirle. 
«Mi dispiace per ieri sera, Sam»
Non riuscivo più a guardarla, era come se un grosso masso mi si fosse piazzato in testa impedendomi di alzare lo sguardo
«Non basta»
Mi sembrava finta. Muoveva solo la bocca, aveva le braccia immobili che le scivolavano lungo i fianchi e gli occhi spalancati, che ogni tanto chiudeva per poi riaprirli più infuocati di prima.
Sentii di non poter più reggere quella situazione, sentii di non poter più reggere la situazione che avevo alle spalle. Cosa ero diventato? Forse ero diventato quello che volevo essere, e quello che meritavo di essere. Chi mi conosceva bene sapeva che la mia maschera da duro era solo una facciata che usavo molto spesso per spiazzare le persone, mi divertivo a mostrarmi cattivo al primo approccio. Ma ora il mio alter ego, Synyster Gates, stava divorando dall’interno Brian Haner, scendendo lungo i condotti nasali ed arrivando ai polmoni, dove scoppiava e infettava tutti gli altri organi, compreso il cuore.
Chiusi gli occhi arrossati e li sentii ardere sotto le palpebre, allora mi girai e mi diressi in cucina dove presi una sedia, mi sedei e poggiai la testa fra le mani per fermare la bestia nera che stava lambendo il cervello.

Sam p.o.v.
Non mi aveva risposto e non me ne sarei andata da quella casa senza il suo assenso.
«Mi dispiace per ieri sera, Sam»
In realtà non ricordavo quasi nulla della sera prima, ma dopo aver insistito a lungo cavai quelle parole che non avrei mai voluto sentire dalla bocca di Zack. Poi come un fulmine mi diressi a casa del diretto interessato.
«Non basta»
Ovvio che non bastava. Pensava di potermi trattare in quel modo? Di potermi prendere e rigirare come voleva?
Deglutii. Come potevo essere innamorata di una persona simile? Di uno a cui non importava quello che mi aveva fatto, non gli importava come stavo io, sapeva fare solo quella maledettissima faccia da cane bastonato che gli permetteva di cavarsela sempre. Non se la sarebbe cavata quella volta. Quell’espressione poteva attecchire su Sam innamorata di Brian, ma ora di fronte a me non c’era Brian, c’era un ragazzo dai capelli neri spettinati, la faccia bianca e un po’ troppa furbizia.
Si girò, quasi ignorandomi e sparì dietro lo stipite, lasciandomi lì sull’uscio.
Non poteva sempre evitare i problemi e le discussioni, questa volta avrebbe dovuto affrontarle per mettere finalmente un bel punto a quella storia.
Lo seguii e vidi ciò che mai avrei voluto vedere.
La cucina era un porcile, c’erano bottiglie vuote dappertutto, pezzi di vetro per terra, eppure la cosa più distrutta in quella stanza mi sembrava il ragazzo che ora aveva la testa poggiata fra le mani. Di fronte a lui una bustina bianca.
Ero furiosa. Mi avvicinai e gli tirai via un braccio prendendolo dal polso e lui fece quasi cadere la testa sul tavolo
«Perché?»
Ora mi guardava spaesato. Poco dopo mosse quelle labbra bianche
«Perché è l’unica cosa che in questo periodo può farmi sentire vivo»
Non mi guardava più, faceva di tutto per evitare il mio sguardo
Iniziai a rovistare nella mia borsa sempre piena di roba e sfoderai finalmente quello che cercavo. Aprii il mio specchietto e glielo puntai contro
«Questa ti sembra una persona viva?»
Dissi indicandogli la figura nello specchio. Solo allora mi resi conto delle occhiaie viola, del naso rosso e degli occhi iniettati di sangue. Lui si guardò per qualche secondo e poi distolse lo sguardo, fissando un punto indeterminato per terra.
«Ne diventerai dipendente, se non lo sei già, e non posso permettertelo…»
Lui alzò lo sguardo e mi guardò con gli occhi socchiusi
«… fai pur sempre parte della famiglia»
Lo vidi inarcare verso l’alto i lati della bocca in un sorriso che sembrò più un ghigno. Forse pensò “finalmente qualcuno mi aiuterà” oppure “che vuole? Non sono fatti suoi questi” ma in qualunque caso non gli avrei permesso di autodistruggersi.
Quello era il mio miglior pregio e la mia peggior condanna. Se volevo bene ad una persona non riuscivo a trattarla male, anche se l’altra non aveva fatto lo stesso con me. Tutta la rabbia l’avevo lasciata sull’uscio varcando la soglia di casa sua ed ora quello che provavo era solo compassione.
«Non dirlo agli altri, per favore»
Mi chiese pacatamente, seppur con una vena di ansia che si intravedeva nel suo tono
«Ti prometto che non lo dirò agli altri solo se tu ti farai vedere da qualcuno che ti aiuterà ad uscirne»
Alzò la testa ed annuì convinto.
«Giuramelo»
«Te lo giuro su Georgia» disse indicando la sua amata chitarra.
Allora presi la bustina che aveva di fronte, la aprii e mi avvicinai al lavandino, versandoci dentro il contenuto. Lui scattò dalla sedia ma mi guardò compiere quell’azione, non cercò di fermarmi.
«Ho letto che è molto buona per sturare i lavandini questa roba»
Sorrisi e lo fece anche lui.




- Il mio computer aveva deciso di non aprire più la pagina di efp, quindi mi scuso per il ritardo u.u
  Poi vorrei ringraziare Sux Fans per avermi recensita ed anche tutti quelli che mi seguono, hanno messo la mia storia   fra le preferite o le seguite, vi ringrazio di cuore. 
{ Jude

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Capitolo 11
*** That's what friends are for ***


Chapter 11: That's what friends are for


Sam p.o.v
Ero ritornata prima a casa quel pomeriggio, il mio datore di lavoro mi disse che mi sarei dovuta prendere qualche ora di pausa poiché facevo anche i turni extra. La realtà era che finalmente avevo trovato un lavoro che mi soddisfaceva e quindi facevo tutto con passione. Lavoravo in un negozio di cd e libri, sempre fornitissimo, e in quel modo sentivo anche una promoter ufficiale dei miei Sevenfold. Scesi dall’auto e presi le chiavi di casa, le girai nella toppa e richiusi la porta alle mie spalle. Erano circa le 2 del pomeriggio e sicuramente nemmeno Zacky aveva pranzato, occupato com’era con gli altri. In quel periodo si chiudevano ore ed ore nello studio del manager a discutere chissà di cosa, non ero riuscita ancora a farli parlare. Così decisi di mettermi ai fornelli e di preparare una bistecca per lui ed un’insalata per me. Ripensai al fatto che mia mamma sarebbe stata fiera di me, non avevo imparato a mangiare la carne ma per lo meno la cucinavo e non correvo in bagno a vomitare non appena sentivo solo la puzza. Sorrisi nel ripensare alla mia famiglia, che sentivo quasi tutti i giorni ma che non vedevo da anni.
Ero così soprappensiero che sobbalzai sentendo una vocina stridula che diceva
«Ciao!»
Mi girai confusa, mi sembrava una voce di donna, ma non la riconoscevo. Mi sporsi dalla cucina, con uno strofinaccio tra le mani. Vidi una ragazza molto bella, con i capelli corti biondo platino, due occhioni azzurri e un grande sorriso scintillante. Mi salutava con la mano alzata.
«Ciao, ma…»
Non finii la mia frase che vidi Zacky tutto scompigliato avvicinarsi a lei, correndo frettolosamente, mentre si infilava una maglia, al contrario. Lei lo guardò avvicinarsi, salutò anche lui come aveva fatto con me e sparì oltre la porta.
Scoppiai a ridere non appena vidi l’espressione di Zee, che era un misto fra l’imbarazzato e lo stupito.
«Devi dirmi qualcosa?»
Lo guardai mentre cercava di svignarsela
«Io? No, non mi pare… ho tante cose da fare in camera mia!»
Disse sorridendo e voltandosi, cercando di scappare
«Zachary James Baker, torna qui!» lo raggiunsi e mi ci piazzai davanti «Era la tua ragazza quella?» dissi con gli occhi spalancati
«Sei troppo curiosa, Samantha Adrianne Williams»
Aggrottai la fronte
«Primo, sai che non devi chiamarmi col mio nome completo, lo odio»
«L’hai fatto anche tu prima, siamo pari» mi fece un sorriso sornione
«Touchè… e comunque sai che sono curiosa! Dimmelo!» gli piantai le mie piccole dita nei fianchi, per fargli il solletico. Lui incominciò a contorcersi per scappare alla mia presa e si fermò solo quando riuscì a bloccarmi entrambe le mani
«Si chiama Jennifer» disse ancora tra le risate, mentre mi guardava cercare di liberarmi dalla sua presa, anche addentando le sue grandi mani. Non appena ebbi la risposta che desideravo lo fissai sorridente.
«Dove vi siete conosciuti? Da quanto mi tieni tutto nascosto? Lo sai che è proprio bella?»
Ero troppo felice per il mio amico, non lo vedevo ridere così da molto tempo. Non nego che a volte avevo cercato anche di organizzargli uscite varie con le mie colleghe di lavoro, tutte mandate all’aria spesso dal loro comportamento da fangirl.
«Basta domande, ti prego» disse accorgendosi che avevo preparato da mangiare, e dirigendosi quindi verso il suo pranzo
«E’ quello il bello di avere una migliore amica»
Lo guardai con aria da saccente
«Dopo aver mangiato ti prometto che ti racconto tutto, ma ora ho troppa fame»
Apparecchiò la tavola e vi ci sedette. Soddisfatta della risposta, presi la mia insalata e cominciai a mangiare.


 
Zack p.o.v.
«Un brindisi a noi!»
Il vocione di Matt rimbombò per tutto il locale. Tutti alzammo il nostro calice di birra al cielo, facendoli toccare e urlando ormai parole sconnesse.
Mi ritrovai a guardare Sam che sedeva alla mia destra, sorridente, intenta a parlare con Jim che si trovava dall’altra parte della grande tavolata. Da qualche settimana non riuscivo più a parlare come facevo una volta con quella ragazza, forse anche per colpa dei comportamenti di Jen, che in quel momento era seduta sulle mie gambe, guardandomi con quegli occhioni azzurri, leggermente socchiusi
«Cosa c’è?» mi girai immediatamente verso di lei
«Niente…» iniziò a strusciare il suo naso sulle mie guance, dandomi dei piccoli morsi. Le cinsi i fianchi e le diedi un bacio fino a quando non sentii la voce di Johnny
«E’ arrivata l’ora!» disse il nanetto alzandosi in piedi e guardando l’orologio che aveva al polso
«…Si!» rincalzò il cantante «Allora ragazze, dobbiamo dirvi una cosa importante» fissò Val dritto negli occhi «Ci hanno scritturato per un tour!»
Mi girai involontariamente alla mia destra, vedendo la bruna sorridere e per un secondo incrociare il mio sguardo. Subito si rigirò, guardando anche lei alla sua destra, evitandomi.

(...)
Mi avvicinai al pianerottolo di casa mia, sentendo non pochi rumori provenire dall’interno. Non ci feci caso più di tanto, forse Sam aveva deciso di fare le pulizie e stava spostando i mobili. Non appena entrai fui inondato da grida di due donne, che riconobbi subito essere della mia migliore amica e della mia ragazza. Mi fiondai nel punto in cui provenivano quegli schiamazzi, la camera di Sam, e vidi quest’ultima urlare «Chi cazzo ti credi di essere, brutta gallina?»
La vidi subito dopo rigirarsi verso di me, abbassando gli occhi. Jennifer corse via, con le mani sulla faccia, scontrandosi contro la mia spalla e dirigendosi verso il bagno
«Samantha…» rimasi fermo sull’uscio guardando la ragazza che stava seduta sul letto, rammaricato
«Ascolta Zack, non è colpa mia! Sono stata zitta fino ad ora, mi accusava di cose insensate!»
«Ti ho già detto che non devi esagerare» cercai con lo sguardo la bionda, se la conoscevo abbastanza bene dovevo lasciarle quei cinque minuti per riprendersi, gli stessi cinque minuti che mi sarebbero serviti per rimproverare la mia amica
«L’hai detto a me ma non a lei» si girò sul lato, mordendosi il labbro
«Io ho sentito te urlare cose che non mi sono piaciute, quindi sì, lo dico a te» a volte mi sembrava di parlare con una bambina
«Oh certo, basta che te la da ed ha sempre ragione lei, vero?»
Guardai quegli occhi un po’ troppo infuocati per i miei gusti, mi avvicinai a lei e la presi per il polso. Lei istintivamente si girò sul lato, evitando di guardarmi
«Il mondo non gira intorno a te, Samantha, qualche volta dovresti anche provare ad ascoltarli, gli altri. Quando fai così sei così simile a Brian…»
Dopo le mie ultime parole mi guardò, tirò via il braccio, alzandosi ed andando via.


Dall’ultimo incidente il nome “Brian” era diventato un tabù, e non so come né perché l’avevo nominato in un momento così particolare, quel momento dal quale gli occhi della mia migliore amica avevano cambiato aspetto, diventando cattivi come quelli che riservava solo al primo chitarrista. Vivevamo ancora nella stessa casa, ma era come se si fosse alzato un muro tra di noi, ed ero sicuro di scoppiare, prima o poi.
«Quando partirete?»
La voce di Leana mi fece tornare alla realtà. Ci guardammo tutti negli occhi, forse un po’ impauriti, ma prima che potessimo pensare a come rendere più digeribile la questione un Johnny un po’ troppo ubriaco disse
«Stanotte!»
Le ragazze sembrarono spaesate, Jennifer mi guardò fisso negli occhi, spostandomi la mano che continuava ad accarezzargli i fianchi
«Quando avevi intenzione di dirmelo?» sibilò
«Era una sorpresa, non sei contenta?» cercai  di fare la mia solita faccia dolce, sperando che attecchisse anche stavolta
«Zack! Partirai per un tour di chissà quanti mesi e me lo dici poche ore prima?» la ragazza stava quasi per cedere alle lacrime, quando la vidi alzarsi e dirigersi verso il bagno. Riuscii a fermarla in tempo, tenendola per il braccio, ma non appena cercai di aprire bocca Shads prese di nuovo la parola, alzandosi
«Valary DiBenedetto, spero che mi aspetterai, perché io tornato da questo tour voglio passare il resto della mia vita con te. Tu… mi vuoi sposare?» vidi il ragazzo mettersi in ginocchio con una scatolina di velluto nero in mano mentre Val si portò le mani sul volto. Sentii la voce familiare di Sam incitare l’amica, che era rimasta ovviamente senza parole. Dopo qualche secondo di apnea per Matt la sua ragazza rispose con un sonoro «Ovvio che ti voglio sposare!» buttandosi tra le enormi braccia del ragazzo. Partirono gli applausi e i fischi per la coppia e non appena unii le mani anche io per fare baccano Jen sfilò via, rifugiandosi nel bagno.

Sam p.o.v.
«Muoviti Val, digli di si!»
La mia amica era rimasta senza parole dopo la proposta del fidanzato mentre lui aveva trattenuto il respiro per tutto il tempo, e temevo sarebbe potuto svenire.
«Ovvio che ti voglio sposare!» finalmente Val gli aveva risposto. Subito dopo che Matt le mise l’anello, saltai letteralmente in braccio alla ragazza, congratulandomi con i due futuri sposini. Da quella posizione intravidi Zack seguire Jennifer che furente si dirigeva verso il bagno del locale. Scossi la testa e cercai di concentrarmi sulla felicità che sprizzavano da tutti i pori le due figure davanti a me. Accarezzai i capelli biondi della mia amica, abbracciandola più che potevo. Appena si staccò da me ricadde nelle braccia del futuro marito, baciandolo con passione
«Oh mio dio, non esagerate! Non vogliamo dei piccoli Mattary prima del matrimonio»
Jimmy si alzò in piedi con un dito alzato, rimproverando i due novelli sposini
«Matt… cosa?» La ragazza si allontanò dal cantante, sorridendo, e guardò il batterista, ormai troppo ubriaco
«Si! Mattary! Tanti piccoli bambini con la faccia di Matt e i capelli di Val» rispose serio, mettendosi poi le mani in volto e spalancando gli occhi, come se avesse visto un fantasma. «Vi immaginate che tragedia? Cioè se avranno la voce del padre dovremmo solo scappare!» disse poi a voce più bassa, provocando l’ilarità di tutti i presenti.
Involontariamente, mentre ridevo, mi sporsi all’indietro e vidi Jennifer con la schiena aderente al muro e Zacky poggiato allo stesso muro grazie ad un pugno che gli faceva tenere l’equilibrio, disposto di fronte a lei. La ragazza dimenava le braccia e lui la guardava di tanto in tanto, cercando probabilmente di controbattere. Immediatamente il mio sorriso si spense, e tornando nella posizione iniziale guardai Val, la quale alzò un sopracciglio. Mi aveva letto nel pensiero, lo sapevo.


«Sam…» vidi Zacky avvicinarsi a me, mentre io ero poggiata alla macchina di Johnny, intenta a parlare con il conducente e la sua ragazza. Mi girai con noncuranza, ritrovandomelo tutto spettinato e affannato di fronte
«Ti dispiace farti accompagnare da qualcuno a casa?» mi chiese frettolosamente, guardandosi alle spalle. Io lo guardai interdetta, senza proferire parola e prima che l’aria si facesse pesante Christ pensò bene di rispondere «La riaccompagnamo noi, non ti preoccupare, V…»
«Grazie mille» disse prima di ritornare sui suoi passi. A mezza strada si girò, chiedendomi distrattamente «Ce le hai le chiavi?»
Accennai un flebile sì con la testa, non guardandolo mai. Lui non si porse tante domande e tornò verso la sua auto, dove probabilmente lo stava aspettando la sua ragazza.
Salii sul sedile posteriore dell’auto e appena fummo partiti mi sporsi per vedere il bellissimo cielo stellato che si presentava quella sera.
Perché mi stavo comportando in quel modo? Non lo sapevo. Sapevo solo che avevo fatto di tutto per essere amica di quella Jennifer e lei aveva ricambiato tutto questo con pura diffidenza e cattiveria, non perdendo mai l’occasione di farmi sembrare ridicola agli occhi del mio migliore amico e di tutti gli altri.
Lei, sempre con quegli occhi perfetti, quell’abbigliamento perfetto, quei denti perfetti, riusciva a passare come la santa della situazione, quando sapevo che sputava costantemente veleno sul mio conto. Ma questo Zack non lo sapeva e non lo avrebbe mai saputo perché dopotutto lei lo faceva stare bene, e io non ero nessuno per togliergli il sorriso.
In quel momento passò alla radio una canzone che avevo sentito così tante volte...

“I am a one way motorway.
I'm the one that drives away
then follows you back home.
I am a street light shining.
I'm a wild light blinding bright
burning off alone.
It's times like these you learn to live again.
It's times like these you give and give again.
It's times like these you learn to love again.
It's times like these time and time again”

 
La storia della mia vita, insomma. Non riuscii a trattenere una lacrima, che ormai aveva già attraversato la mia guancia.


___
Bien, questo è il nuovo capitolo cortino. vorrei ricordare che le parti in corsivo sono quelle che si riferiscono ai ricordi, così magari risulta meno confusa la cosa. 
Ah poi la canzone è Times Like This dei Foo Fighters che adoro <3
Buona lettura a tutti :3
Jude } 

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Capitolo 12
*** Let 'em wonder how we got this far ***


Let 'em wonder how we got this far
 

Sam p.o.v.
«Hey... che fai?» una voce stranamente dolce inondò la camera. Non avevo nemmeno sentito i passi e quindi sussultai, distogliendomi per un attimo dai vestiti che stavo piegando
«Ehm… ti sto facendo la valigia, ti sei dimenticato un sacco di cose…»
Non alzai la testa dal letto. Zacky si avvicinò, mettendosi al mio fianco e scrutandomi di lato. Prima che la situazione potesse innervosirmi iniziai a parlare
«Ti ho messo anche le camicie, il papillon, i vari caricabatteria qui, e qui invece le scarpe» dissi indicando tutto. All’improvviso sentii una mano lambirmi il fianco ed il ragazzo mi trascinò verso di lui, abbracciandomi. Dapprima rimasi ferma, con le braccia piegate sul mio corpo, ma dopo poco mi rilassai e strinsi le braccia dietro la sua nuca. Speravo davvero che quella situazione si sciogliesse, non sarei riuscita a tenergli il muso ancora per molto tempo… infondo era il mio migliore amico. Era un cazzone e la sua fidanzata era una stronza, ma ci volevamo bene da troppo tempo e sentimenti del genere sono difficili da eliminare.
Sciolse l’abbraccio e mi guardò con quegli occhi cerulei
«Sai che giorno è oggi?»
«Mercoledì 29 agosto 2004» dissi con la mia solita e innata aria da saccente
Lui si girò e tirò fuori un dvd dalla tasca posteriore dei suoi jeans
«Mercoledì-zombie!» disse sventolando la custodia su cui facevano capolino tre zombie intorno ad un tavolo con sopra un piatto contenente un cervello.
Distolsi lo sguardo e lo puntai sull’orologio della cucina, che appena si intravedeva grazie ai raggi della luna che lo illuminavano
«Ma sono le 3.15 di notte!» gli sorrisi
«Vorrai per caso rompere la tradizione e rischiare che la sciagura ci perseguiti per sempre?» disse con tono teatrale, poi abbassò un po’ la voce, mettendosi la mano al lato della bocca, come per non farsi sentire da nessun altro «io non farei arrabbiare gli zombie…»
Mi strappò un sorriso, di quelli sinceri che ormai non gli rivolgevo più da tempo e decisi di assecondarlo. Presi una busta di nachos e due birre e le misi sul tavolino di fronte alla tv, mentre lui era in ginocchio davanti al lettore dvd. Tornai sui miei passi e mi sedei sul divano, incrociando le gambe ed aspettando che lui facesse lo stesso.
«Tra quanto partirete?» gli chiesi continuando a guardare la tv ed avvicinandomi un nachos alla bocca. Proprio in quel momento apparve sullo schermo uno zombie che staccava vari pezzi da una carcassa informe e feci una smorfia di disgusto. Lo vidi sorridere a quella scena prima di rispondermi
«Un paio d’ore»
«Dovresti dormire»
«Avrò tutto il tempo per dormire sul tourbus, adesso volevo passare un po’ di tempo con te»
Continuai a fissare l’aggeggio luminoso fisso davanti a me.
Non gli avrei mai chiesto il perché di quelle sue parole, il perché volesse passare del tempo con me invece di dormire beato, il perché era tornato così presto a casa quando pensavo che avrebbe trascorso la notte intera a casa di Jennifer.
Ero fatta strana. Ero abitudinaria e chiusa in me stessa. Quando sapevo che c’era anche la più remota possibilità che ad una domanda ci sarebbe stata una risposta non troppo congeniale a me, io non la porgevo proprio.
Questi comportamenti dapprima potevano sembrare schivi, strani, potevo sembrare una che se la tirava ed invece ero solo molto timida.
Iniziai a socchiudere gli occhi, ero davvero molto stanca e la giornata non era ancora finita. Cercai con tutte le mie forze di rimanere sveglia ma non appena sentii il contatto della mia guancia con la sua spalla cedetti alle avances di Morfeo.
 
 
 
Un rumore mi destò dal sonno e spalancai gli occhi per vedere da dove proveniva. Mi ritrovai appoggiata al bracciolo del divano con le mani una sopra all’altra messe sotto la testa, a mo’ di cuscino. Mi girai verso il corridoio e vidi la luce accesa in camera di Zack, così decisi di alzarmi ed avvicinarmi. Mi appoggiai con tutto il lato destro allo stipite della porta e lui si girò all’istante
«Sei già sveglia?» disse sorridendomi
Accennai un sì con la testa e gli occhi chiusi. In realtà ero ancora in catalessi.
Una risata mi arrivò squillante al cervello ed aprii gli occhi, per poi passarmi la mano su tutta la faccia, come per svegliarmi. Dopo qualche minuto ero finalmente tornata nel mondo dei vivi e vidi il mio amico di fronte a me, mentre cercava invano di trattenere un’altra risata
«Faccio così ridere?» dissi acida, socchiudendo gli occhi
«Appena sveglia si, mi ricordavi uno di quegli zombie di qualche ora fa» e scoppiò di nuovo a ridere.
Lo guardai finire a sistemare le sue cose e chiudere la valigia, per metterla ai piedi del letto.
Si girò e si avvicinò ed io lo strinsi in un abbraccio. Rimanemmo così per un po’, poi si allontanò un poco e mi disse «Tre raccomandazioni»
«Sentiamo» mi misi le mani sui fianchi
«Numero uno: non mi distruggere la casa, numero due: non invitare nessuno che non conosco qui e numero tre: non mi far preoccupare, non fare stronzate»
Lo guardai per qualche secondo, poi risposi tutto d’un fiato «Numero uno: se avessi voluto te l’avrei già distrutta la casa, numero due: le uniche persone che conosco qui sono quelle che lavorano con me, Jen e Val, quindi dubito che potrei invitare qualcun altro e numero tre: no papà, promesso»
Sembrò soddisfatto delle risposte e mi sorrise. Io lo abbracciai e lui mi diede un bacio sulla fronte e rimanendo in quella posizione mi disse «Mi mancherai»
«Tu no» mentii, ridendo
Si staccò immediatamente e fece la faccia indignata che lo faceva assomigliare più ad un cartone animato che ad una persona vera. Alzò i due indici ai lati della faccia, inclinò la testa in avanti e fece una faccia compiaciuta e prima che potessi capire cosa gli frullava per la testa quelle due dita si piantarono nei miei fianchi, facendomi il solletico
«Io non ti mancherò, eh?»
«No ahahah non ahahah mi mancherai ahahahah affatto ahahah»
Cercavo di divincolarmi ma dopo quelle parole cominciò a farmi il solletico con tutte le dita, facendomi accasciare a terra per le risate.
Riuscii a scappare dalla sua morsa, gattonando via e rialzandomi, per poter correre più velocemente. Lo vidi scattare alle mie spalle, ancora con gli indici alzati, come se tenesse in pugno un’arma. Presa da quell’immagine esilarante non mi resi conto che stavo correndo verso il corridoio, quindi alla fine di esso non avrei avuto più via d’uscita. Mi arresi al mio destino, buttai le spalle contro il muro ed alzai le mani in segno di resa, prendendo fiato.
Lo vidi correre verso di me sempre con le mani in avanti e mi chiusi a riccio, mettendomi le mani sulla faccia, per cercare di evitare il peggio. Quando riaprii gli occhi Zacky era di fronte a me, col fiatone, e mi aveva intrappolato fra il muro ed il suo corpo.
«Bandiera bianca» cercai di cavarmela, riconoscendo di essere in una posizione di svantaggio in quel momento
«Te la vuoi svignare così facilmente?»
«Mi hai già torturata!»
«Ma tu non mi vuoi bene! Te lo meriti!» fece la faccia triste
«Chi ti dice che non ti voglia bene, porchetta?»
«Mi tratti sempre male… ecco! Mi chiami anche porchetta ora» inarcò ancora di più il labbro inferiore, facendo finta di essere sul punto di piangere.
Alzai il braccio, poggiando la mano sulla sua guancia per accarezzarlo
«Potrebbe mai non mancarmi il mio migliore amico? Il mio compagno di pazzie, di cazzate, quello che mi ha salvato la vita più di una volta, quello che qualunque cosa io faccia so che starà sempre dalla mia parte? E… forse non te l’ho mai detto ma ti voglio bene Zack, per tutto quello che fai per me. Scusami se sono una vecchia burbera e antipatica che non dimostra mai nulla agli altri»
Mi guardò con una faccia comprensiva «Ti conosco da anni e so come sei fatta e mi sta bene così» mi diede un bacio sulla punta del naso per poi appoggiare la propria fronte contro la mia. In quel momento mi sentii percorrere da una scossa, probabilmente eravamo troppo vicini e quella situazione era sbagliata, tutta quella storia era sbagliata. Vidi i suoi gomiti piegarsi un po’ in più e le sue labbra stamparsi sulle mie. Quando poi la sua lingua chiese prepotentemente di poter entrare nella mia bocca io mi sciolsi, stringendo i suoi capelli fra le dita e la mia mente si oscurò completamente. Passarono ore o forse secondi e un suono mi fece aprire gli occhi trovandomelo ancora a pochi centimetri di distanza
«Vai ad aprire prima che ti tirino giù la porta» riuscii a dire. Lui mi guardò per un poco, analizzando prima le mie labbra e poi gli occhi e quando vide che voltai lo sguardo si scostò, facendo ciò che io gli avevo consigliato.
Cosa ci stava accadendo? Non avevo mai pensato che tra me e Zack potesse esserci nulla del genere, soprattutto dopo che lui si era fidanzato e sembrava felice con Jennifer. Non appena sentii la voce di Johnny decisi di muovermi e prendere la valigia al moro, portandola verso il salotto.
Quando il bassista mi vide mi fece un cenno con la mano ed io mi avvicinai per abbracciarlo.
«Buttate giù quei palchi, ok?» mi assicurai, passandogli una mano sulla schiena
«Lo faremo, faremo vedere a tutti chi sono gli Avenged Sevenfold» mi rassicurò il ragazzo con la cresta alla moicana.
Subito dopo mi girai verso il ragazzo con gli occhi azzurri, i quale mi fece un mezzo sorriso forzato. Allora mi avvicinai per lasciargli fra le mani la sua valigia ma lui mi strinse un polso e mi sussurrò «Sam…»
«Non è successo nulla» lo rassicurai. In nessun modo avrei voluto che il mio amico si trovasse in una situazione spiacevole e avrei dimenticato cosa era accaduto qualche minuto prima, se lui avesse voluto questo. Lui mi strinse con un po’ meno vigore e io non riuscii a ricambiare, così presto sciolse l’abbraccio e si diresse con l’amico verso la porta. Io li salutai entrambi con un cenno della mano e feci lo stesso con Matt e Brian che si trovavano già ai propri posti all’interno del tourbus. All’appello mancava uno che vidi sbucare sul vialetto di casa e, prima che me ne rendessi conto, prendermi in braccio come una bambina
«Dovete tornare con un milione di fan in più, ok Jim?» dissi sulla sua spalla
«Faremo del nostro meglio» lo sentì sorridere
Mi lasciò scendere e gli diedi un bacio sulla guancia
«Sta attenta»
«Questa casa ha più allarmi che camere, non ti preoccupare per me. E poi vi chiamerò tutti i giorni, per farti stare più tranquillo»
Mi diede un bacio sulla fronte e si congedò dopo avermi scrutata per un poco, sparendo nel tourbus con gli altri.
L’ultima cosa che vidi prima che sparissero all’orizzonte furono due occhi azzurri più vivi che mai fissarmi dal finestrino posteriore. Richiusi la porta alle mie spalle e ci scivolai contro, cercando di fare ordine nel mio cervello.


_____
E dopo capitoli e capitoli... Tadaaaan, colpo di scena!
Cosa sarà successo a Zack? Perchè ha avuto questa reazione? lo scopriremo nelle prossime puntate (mi sento tanto una voce che spiega quello che avviene in quelle soap opera da strapazzo) xD
Ringrazio tutti quelli che leggono :3

See u soon <3
Jude }

 

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Capitolo 13
*** Vengeance falls. ***


Vengeance falls.



Zacky p.o.v.
Una nuvoletta gialla apparve nell’angolo destro del mio computer ed immediatamente vi ci puntai gli occhi, come se mi fossi ridestato da un sogno ad occhi aperti

“Posso…?”
Samanthik sta scrivendo…
“Certo :)”


Mi trovai a ripensare a quel nomignolo divertente che aveva su Skype e a quando mi spiegò il perché della sua scelta

«Certo che sei proprio strana…»
«Non capisci niente! E’ un nomignolo stupendo perché fa tanto “cattiva”»
«Non c’è bisogno di un nomignolo del genere per farti sembrare cattiva» la guardai con un mezzo sorriso mentre lei si perdeva nelle sue fantasie. Dopo qualche minuto la vidi rinsavire e guardarmi con quei suoi occhioni nocciola
«Così forse prima o poi Diabolik si accorgerà che io e lui siamo fatti l’uno per l’altra e lascerà finalmente quella biondona di Eva…»
«Quante volte ti ho detto che non devi più leggere quegli stupidi fumetti italiani? Prendi qualcuno dei miei… Spiderman, Hulk! Quelli sì che sono fumetti»
Lei mi guardò con la bocca spalancata
«Ribadisco… non ci capisci proprio niente!»


Una voce squillante mi fece saltare dal sediolino e voltare repentinamente verso lo schermo
«Hey! Cos’è quella faccia da ebete?»
La vidi sorridere fra i pixel sgranati
«Niente, ripensavo a quanto sei scema» e prima che mi potesse rispondere si precipitarono alle mie spalle Johnny e Jim, pronti per salutare la ragazza
«Samanthaaaaaa coooome staaaai?»
«Nanetto ti sento, è inutile che scandisci piano le parole. Comunque io sto bene, voi?»
Jim prese la parola con un sorriso stampato in faccia
«Stiamo bene, stasera Cleveland, speriamo non vengano solo mucche e pecore al nostro live»
Il batterista si girò verso la strada e fece voltare anche me. Le uniche cose che vedevamo da chilometri erano enormi distese di erba e campi, qualche fattoria qua e là e tanti ruminanti, le paure del ragazzo non erano poi così infondate.
«Che fai invece tu?» rincalzò il bassita
«Penso che uscirò un po’ con Val, andremo ad un pub e cercherò di non ucciderla mentre, anche da ubriaca, si lamenterà di quanto le manca il suo futuro marito»
La ragazza si strinse la mano intorno al collo, roteò gli occhi al cielo e cacciò fuori la lingua, come a rappresentare una morte per soffocamento. Era buffa ed io e i ragazzi scoppiammo a ridere.
Dopo poco, come se fosse resuscitata aggiunse
«Ah, informate il vostro cantante che deve subito chiamare la signorina DiBenedetto, vuole sapere di che colore deve ordinare i fiori»
Al che Matt, che stava guidando ma che aveva ascoltato tutta la discussione, disse, tenendo gli occhi fissi sulla strada
«Sam, dille che per me è uguale… di certo non mi cambia la vita il colore dei fiori»
Improvvisamente un’altra figura apparì nell’inquadratura della webcam, una piccola ragazzina con i capelli biondi, gli occhi grandi e una vocina stridula al limite della sopportazione denotava che era tesa più di una corda di violino
«Matthew Charles Sanders, o mi chiami subito e mi dici di che colore vuoi i fiori o ti lascio da solo sull’altare!»
Il ragazzo che guidava si girò per un secondo verso lo schermo rendendosi conto che quella che aveva appena parlato era la sua futura moglie agli albori di una crisi nervosa, così immediatamente prese il suo telefono dal cruscotto del tourbus e si infilò gli auricolari, digitando il numero a memoria.
Io, i ragazzi e Sam che osservò la scena via web scoppiammo immediatamente a ridere mentre Val sparì dall’inquadratura non appena si poggiò il telefono all’orecchio.
«Povera Sam» riuscii a dire fra le risate
«Puoi dirlo forte! La adoro, è la mia migliore amica, ma è perfezionista e questo la porta a volte ad essere una rompipalle di prima categoria» rivolse un sorrisone verso la sua destra, dove poco prima era sparita la bionda.  
«A parte il fatto che sei diventata la sua wedding planner, qualche altra novità?»
«Si Zack, ho dato fuoco alla cucina…»
Strabuzzai gli occhi ed il mio sorriso si spense ma immediatamente la vidi ridere a crepapelle e tenersi lo stomaco con la mano
«Ahahahaha avresti dovuto vedere la tua faccia Zee! Meno male che ti ho fatto uno stamp ahahah»
«Ah ah ah molto divertente»
«La tua faccia era davvero qualcosa di memorabile» incalzò Johnny cercando di trattenere una risata
«Sam, appena puoi mandami lo stamp, ne farò un cartellone e me lo piazzerò in camera» disse Jim, tenendosi lo stomaco come la ragazza
«Lo so che fai pensieri sconci su di me Sullivan ma non pensavo arrivassi a questo! Un mio poster in camera!» tirai uno scalpellotto al mio amico e cominciai a ridere anche io
Jim e Johnny sembrarono scambiarsi un’occhiata seria un’istante prima che quest’ultimo dicesse «Sam, noi dobbiamo andare, ci sentiamo, ok?»
Il sorriso dei due ragazzi contagiò Samantha che salutò con la mano i due.
Decisi comunque di prendere il pc e spostarmi nella mia cuccetta, così da parlare un po’ più tranquillamente. Che i miei amici avessero capito che aspettavo di parlare da solo con lei?
«Allora.. come stai?» cominciai con un po’ di imbarazzo
«Te l’ho detto, sto bene» sorrise «e non ti preoccupare, nessuno sa niente» si rabbuiò improvvisamente
«Nemmeno Val?»
«Nemmeno Val» si girò a guardare l’amica che era troppo impegnata a parlare a telefono per sentirla
«Samantha, io…»
«E’ stato un incidente»
Non è quello che avrei voluto dirle. No, non era stato un incidente perché in quel momento sembrava così giusto, eppure non lo era. Ero in completa confusione e quindi decisi di assecondarla
«Si, mi dispiace»

Sam p.o.v.
«E’ stato un incidente»
Aspettavo che mi dicesse che non era così, che forse c’era un motivo e che niente succede per caso e invece lo sentii rispondere
«Si, mi dispiace»
Una coltellata. Non sapevo nemmeno io cosa mi aspettassi dalla discussione ma di certo c’erano troppi punti interrogativi che con quella risposta risultavano ancora più luminosi.
Dal canto mio ci avevo pensato giorno e notte. Zacky per me era stato sempre un faro, la spalla su cui piangere e l’amico che ti ritrovi quando sei troppo ubriaco per tornare a casa. Quello che era anche Brian a suo tempo. Non avrei mai voluto fare parallelismi ma la mia mente ormai andava da sé ed aveva deciso che quella coltellata non bastava, ne dovevo ricevere altre centro dritte nello stomaco.
Pensai al fatto che stavo diventando la persona che più odiavo, come quella che mi aveva tirato via dalle braccia Brian, e questa cosa non sarebbe mai potuta succedere. Spensi quindi il cervello, mi imposi di dimenticare quello che era successo e mi diedi della stupida per aver pensato, anche solo per un nanosecondo, che lui mi avesse risposto in maniera diversa, dicendo che no, non era un errore perché quel bacio l’aveva voluto.
E poi scherziamo? Al giorno d’oggi ancora diamo peso ad un bacio? Cercavo di autoconvincermene.
Ci furono secondi di imbarazzante silenzio in cui si sentivano solo i rumori dei nostri pensieri, anche a distanza di chilometri.
«Cosa dovrei dire adesso?» sorrisi amara, per stemperare la tensione
«Che le cose non cambieranno, penso»
«Lo sai che è così, sono un’abitudinaria»
«… Forse siamo arrivati, ci sentiamo domani, va bene?»
«Va bene, spaccate tutto!» strinsi il pugno per dargli forza. Lui mi guardò con quegli occhioni socchiusi e mi salutò con la mano.
E dopo tutte le notti che avevo pensato a cosa dire quando si sarebbe presentata questa discussione non avevo detto in realtà nulla.

Zacky p.o.v.
Non li reggevo più quegli occhi indagatori, vedevo che voleva sapere il perché di quei miei gesti ma non ero pronto e forse non lo sarò mai.
L’avevo salutata con una scusa banale perché il mio cervello mi diceva che era la cosa giusta da fare, salvandomi così da una catastrofe.
Non appena ebbi staccato la videochiamata vidi il display del mio cellulare lampeggiare ed un nome far capolino
“Jennifer”
Sapete quando pensi che tutto il mondo sia contro di te, che chiunque sia lì su a guardarci abbia deciso che in quel giorno si sarebbe dovuto divertire con la tua vita? Ecco, mi sentivo così.
Presi il cellulare, lo lanciai sotto il cuscino e corsi a prendermi una birra.

__________
Semplice, breve, coinciso e brutto.
Un capitolo di transizione però dovevo scriverlo perchè i miei due protagonisti non hanno ancora ben capito cosa gli sta succedendo (e in relatà nemmeno io ahahah)
Spero di aggiornare presto u.u
Grazie sempre a chi legge, e lasciatemi recensioni se volete, non mangio :3
Jude }

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Capitolo 14
*** You will hate that I never gave more to you than half of my heart ***


Chapter 14:
You will hate that I never gave more to you t
han half of my heart.




Zacky p.o.v.

 
 
I was born in the arms of imaginary friends 
Free to roam, made a home out of everywhere i've been 
Then you come on in crashing in, like the realest thing 
Tried my best to understand, all that your love can bring
 
 
Le note di una chitarra mi inondarono non appena aprii delicatamente la porta d’ingresso. Mi avvicinai lentamente, cercando di fare meno rumore possibile, ed in lontananza vidi Sam in pantaloncino e canotta di spalle, intenta a cucinare chissà cosa mentre cantava a squarciagola.
 
 
Half of my heart has a grip on the situation. 
Half of my heart takes time. 
Half of my hearts got a right mind to tell you that I can't keep loving you 
Oh, with half of my heart 
 
 
Mi fermai immeditamente, come se di fronte a me ci fosse stato un alto muro trasparente. Quella canzone era spaventosamente adatta alla situazione e ciò mi fece sussultare. Non appena riportai gli occhi verso la cucina la figura della ragazza era sparita, lasciando spazio ad una pentola che emanava vapore incessantemente. Decisi quindi di muovermi in quella direzione e cercare Sam che pochi istanti prima era proprio davanti ai miei occhi. Misi un piede nella cucina e sentii un urlo
«AAAAAAAAAH»
La mia faccia si ritrovò a cinque centimetri da una padella che Samantha teneva ben salda con entrambe le mani e le gambe piegate, pronta a sferrare un attacco
«Ma che diavolo… »
Subito la sua faccia si distese, e con la sua anche la mia, permettendomi di stringerla per non farla cadere dopo che lei mi si era tuffata in braccio
«Ma… che ci fai qui? Stavo per ammazzarti»
Disse sorridente ancora poggiata sulla mia spalla
«Volevo semplicemente farti una sorpresa, il tour è finito qualche giorno prima» le dissi sinceramente
«Tu sei pazzo, mi hai fatto prendere paura! Ho sentito dei rumori e pensavo fosse un ladro» disse guardandomi negli occhi
«Dai, dimmi la verità, non mi offendo se mi dici che volevi ammazzarmi volontariamente…» dissi con una faccia che doveva essere seria. Lei mi scrutò, si allontanò un poco e poi scoppiò a ridere, trascinando nella sua risata anche me.
«Sono felice che tu sia tornato» mi si strinse di nuovo intorno al collo
«Così non dovrai più sorbirti Valary da sola…» dissi sorridendo per stemperare la tensione. In quel momento il mio cuore sfiorava i 200 bpm*, forse perché avevo temuto per la mia incolumità qualche minuto prima o forse perché quella situazione la aspettavo da un po’, ritornare a casa e ritornare da lei. Non che il tour non mi fosse piaciuto, io adoravo portare in giro la nostra musica e vedere tutte quelle persone che ti acclamano, urlano e respirano con te in quelle ore del live. Il problema era quando tornavo nel tourbus e viaggiavamo per ore lasciandomi così tempo per pensare e puntualmente la mia testa andava a finire ad Huntington quando eravamo ancora dei ragazzini in crisi con il mondo pronti a distruggere chiunque ci si mettesse davanti, o a Salt Lake City dove ormai vivevamo da anni ed avevamo passato i momenti migliori e peggiori fino a quel momento. Ripensavo al nostro sogno di diventare dei grandi artisti che finalmente si stava avverando, a quante cose erano cambiate e quante cose ero stato obbligato a perdere. Tipo uno di quei patti con il diavolo, uno scambio poco equo ma sensato in quell’istante.
A qualunque cosa stessi pensando la ragazza davanti a me non avrebbe dovuto saperlo, e sarei stato più tranquillo se avessi saputo che lei non era capace di leggermi nel pensiero in quasi ogni situazione.
«Solo per questo sono felice!» la ragazza mi sorrise, forse l’avevo scampata
«Lo so, sei prevedibile»
«Mai quanto te, Vengeance»
«Mi erano mancati i nostri battibecchi, devo dire la verità. A telefono e via skype sembravi stranamente gentile ogni volta»
«Non ti preoccupare, ora che sei tornato sarà tutto come prima. Io che ti sgriderò per aver messo in disordine qualcosa e tu che mi sgriderai per aver fatto l’acida con Jennifer»
Ahi. Colpito e affondato. Lei cominciò a ridere ma si fermò quasi subito guardando la mia faccia
«Cosa c’è?» mi chiese preoccupata
«Niente» sforzai un sorriso finto
«Non me la racconti giusta…» mi guardò interrogativa
«Pensavo che potremmo seppellire l’ascia di guerra per un po’ grazie a questo» cercai di divincolarmi portando l’attenzione su qualcos’altro.
Tirai fuori dalla tasca del mio jeans un fazzoletto accuratamente ripiegato e glielo porsi, aspettando che lo disfacesse.
Lei curiosa com’era lo aprii subito e si ritrovò tra le mani una piccola stella marina accuratamente essiccata
«Il pomeriggio della data a Long Beach, mentre camminavo su quella sabbia bruna, ho trovato a riva questa ed ho pensato a te, così ho deciso di portartela»
Lei mi ascoltò con attenzione con quegli occhioni spalancati e non appena finii mi fece un sorriso a trentadue denti, prima di stringere le mani intorno alla mia nuca, tenendo qualche ciocca di capelli fra le dita. Il suo odore di talco mi entrò nelle narici e la strinsi forte, accarezzandole le scapole.
Poi guardò attentamente la stella, girandosela fra le mani, e poco dopo mi allungò la mano con il mignolo alzato e tutte le altre dita chiuse a pugno dichiarando
«Ok, pace a lungo termine» come se fosse una bambina che ha appena perdonato il suo amico che gli ha tirato i capelli per sbaglio.
Io le strinsi il mignolo col mio, incrociandoli, facendole quella promessa.
«Adesso ti siedi e mi racconti tutto, anche i più piccoli dettagli di queste date»
Acconsentii con la testa
«Ma prima devi prepararmi qualcosa di sano»
Si girò di scatto con la bocca spalancata
«Cosa? Il “Carnivoro e Mangiatore di Cibo Spazzatura Baker” vuole qualcosa di sano? Il mondo sta finendo»
«In questi mesi non ho fatto altro che mangiare schifezze» confessai
«Non avevo dubbi e oltretutto si vede» mi disse indicando la pancia. Io prontamente la coprii con le braccia
«Sono incinto, non insultare il mio bambino!» feci l’offeso
«Il tuo bambino oggi si nutrirà solo di insalata» rise vedendo la mia fronte aggrottarsi
«Yeee caesar salad!» provai nel vano tentativo di convincerla
«Ma che caesar salad, sono per lo meno 300 calorie a porzione! Oggi insalata, olio, limone e stop» disse correndo verso la cucina prima che io potessi fermarla
«Quella se la mangiano gli erbivori! Le mucche!» dissi alzando il tono
«Non ti farà di certo male, e poi l’hai detto tu di voler mangiare sano» ormai era intenta a tagliare l’insalata, avevo già perso
«Intendevo un bel piatto di pasta con quel bel sugo italiano che fai tu…» mi avvicinai a lei e le mostrai i miei grandi occhi da cucciolo, sbattendo velocemente le palpebre e tirando fuori il labbro inferiore.
Lei si girò verso di me e per un secondo pensai che avrebbe ceduto alla mia faccia da cane bastonato, ed invece mi mise una mano sulla faccia, come se volesse coprirmi, e continuò, ridendo, a tagliare l’insalata.
Era difficile da ammettere, soprattutto a me stesso, ma
Dio quanto mi era mancata.





*200 bpm=200 battiti per minuto. E' un tempo, spesso usato in musica, di circa 3 battiti al secondo









_______
In dannatissimo ritardo, come sempre. Diciamo che cercherò di scrivere il più possibile in questi giorni poichè questa ff è quasi al termine, prevedo un altro paio di capitoli e finalmente porremo fine a questo strazio ahahah
Sono già all'opera con un'altra ff però, più sudicia... ma non voglio svelarvi nulla!
Grazie a tutti quelli che continuano a leggermi <3
 Jude }

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Capitolo 15
*** Warmness on the Soul ***


Chapter 15: Warmness on the Soul

 


Zacky p.o.v.
«Samantha muoviti!» le dissi dall’altra stanza mentre cercavo invano di farmi il nodo al papillon. Era sempre stata un’impresa per me, ancora di più del nodo alla cravatta.
«Sono quasi pronta» mi disse flebilmente dall’altra stanza. Se la conoscevo abbastanza bene quel tono non portava a nulla di buono, era come un “mi ci vogliono altre due ore minimo per prepararmi ma non voglio dirtelo”.
Con mia enorme sorpresa sentii dopo poco dei passi alle mie spalle e mi girai immediatamente. La vidi sorridente con un lungo vestito color pesca che le lasciava intravedere solo le punte delle scarpe vertiginosamente alte, i capelli legati con qualche ciocca lasciata libera ed un trucco molto naturale che metteva in risalto i suoi grandi occhioni nocciola.
Probabilmente rimasi a bocca aperta mentre guardavo ogni dettaglio della sua figura, siccome lei ad un certo punto mi disse
«Cosa c’è? Non ti piace? Forse mi sono sporcata da qualche parte…» mentre si guardava agitata il vestito
«No… sei… solo bellissima»
Alzò lo sguardo e cominciò a torturarsi le mani e io diventai rosso peperone per non aver saputo tenere a freno la lingua
«…Grazie» mi disse mentre si guardava le unghie, abbinate anche loro al vestito «Vuoi che ti aiuti col papillon?»
«Mi faresti un grande favore!»
Si avvicinò e in pochissimo mi fece il nodo
«Ecco, ora sei bello anche tu» disse fissando un punto indefinito sulla mia giacca e cercando di togliere della polvere inesistente con la mano
«Andiamo damigella d’onore?» le porsi il braccio
«Certo testimone» mi sorrise e ci avviammo verso l’auto


Sam p.o.v.
«Ecco la damigella più bella del mondo!» disse James non appena arrivammo davanti alla navata della chiesa
I suoi occhi azzurri illuminavano un vestito semplice, nero con la camicia bianca, che indossavano tutti i Sevenfold quella mattina
«Ed ecco il testimone più leccaculo del mondo!» dissi salendo le scale e correndo ad abbracciarlo. Anche con un tacco 13 risultavo più bassa di Jimmy, il quale mi abbracciò e mi sollevò da terra.
«No, sei bellissima davvero» disse rifacendomi poggiare i piedi a terra e facendomi fare un giro su me stessa.
«Grazie milord» feci un inchino ottocentesco e lui scoppiò a ridere
«Ti ci vedo come principessina rompipalle» riuscì a dire fra le risate. Io di tutta risposta gli diedi un pugno sul braccio
«Ok, scherzavo… una lady Oscar rompipalle!» disse contagiando me e gli altri presenti con la sua risata.
Salutai gli altri e vidi Zack che mi chiamava, così mi avvicinai 
«Sam, questi sono i genitori di Matthew… signori, lei è Samantha»
di tutta risposta due enormi sorrisi mi travolsero e capì da chi aveva preso il figlio. Mi porsero la mano e ne strinsi una alla volta
«Probabilmente tra poco Matty sverrà» disse la mamma preoccupata, affacciandosi a guardare il figlio già posizionato davanti alla navata, intento a torturarsi le mani.
Proprio in quel momento il mio telefono cominciò a squillare ed il nome di Valary comparì sullo schermo. Risposi immediatamente senza però dire il nome, altrimenti avrei potuto far erroneamente allarmare i genitori del futuro marito
«Cosa c’è?»
«Corri qui, ho bisogno di un tuo consiglio» mi disse preoccupata
«Sono già lì» le dissi prima di chiedere le chiavi dell’auto a Zacky
«E’ tutto ok?» cominciò a preoccuparsi
«Tutto ok» gli sorrisi
«Vuoi che ti accompagni?»
«Non ti preoccupare, non te la distruggo l’auto» gli sorrisi, presi le chiavi, salutai i genitori di Matt, mi tolsi le scarpe per evitare di cadere e mi fiondai dalla mia amica.






























Arrivata a casa di Val mi lanciai verso la porta, facendo il più presto possibile. Mi venne ad aprire Michelle, sua sorella
«Hey Mich, tutto bene?»
Aveva il mio stesso vestito, solo che lei era per lo meno 20 centimetri più alta di me
«Si, se non fosse per il fatto che mia sorella si sta facendo venire crisi inutili»
Mi feci portare da lei nell’altra stanza e la vidi seduta, con lo sguardo perso nel vuoto mentre la mamma le aggiustava i capelli ramati
«Val?» dissi flebilmente. Lei sembrò svegliarsi immediatamente
«Sam! Guarda questo trucco, non ti sembra esagerato?»
Si diresse verso di me, socchiudendole palpebre per farmi vedere meglio. Aveva uno smokie-eyes che si intonava benissimo al colore dei suoi capelli, una base perfetta ed un rossetto nude che le dava un tocco sofisticato
«Vuoi dirmi che mi hai fatto correre fin qui per questo? Sei la ragazza più bella che abbia mai visto, Val, e questo trucco ti esalta in tutto e per tutto»
Sul viso della ragazza si aprì un grosso sorriso, quasi paragonabile a quello del marito, e mi strinse forte
«E poi diavolo ragazza! Questo vestito è uno splendore, non sembrava così su quel manichino» le dissi sinceramente
«Sei di parte, sei la mia migliore amica! Comunque grazie Sam»
«Di nulla, è la verità. Adesso muoviti o tuo marito si consumerà le mani mentre ti aspetta»
La sua faccia passò dal rilassato al preoccupato in un secondo, prese il vestito fra le mani, alzandolo, e si diresse verso l’auto che la stava aspettando
«Val aspetta!» fu fermata dalla sorella
«Che c’è?»
«Vorresti andare al tuo matrimonio senza scarpe?» disse tenendo in mano delle bellissime scarpe piene di brillantini argentati e con una fascia nera che finiva in un fiocchetto sulla punta.


Zacky p.o.v.
Eravamo già tutti pronti da qualche minuto e di Sam, Val e Mich nemmeno l’ombra. Mi guardai intorno e vidi il mio amico Matt mentre guardava il pavimento sconsolato, quasi come se temesse che ci potesse essere una remota possibilità che la futura moglie non si sarebbe presentata. Io sapevo benissimo che non era così, loro due stavano insieme da anni ed erano la coppia più felice che avessi mai visto, quel matrimonio sarebbe stato solo la coronazione del loro sogno.
E mentre pensavo a tutto ciò vidi entrare dalla navata principale Samantha e Michelle con non poco fiatone, le quali si andarono a posizionare sul lato sinistro
«Cosa è successo?» mimai a Sam non appena si riprese
«Niente, sta arrivando» disse muovendo le labbra, rassicurando così anche Matt
























«… Vi dichiaro marito e moglie. Signore, può baciare la signora Sanders»
Cominciai ad applaudire mentre il fotografo scattava foto su foto. Non appena i due attraversarono la navata arrivò Sam con un cestino tra le mani pieno di sacchettini, li distribuì a tutti i presenti e ci posizionammo fuori la chiesa. In pura tradizione italiana cominciammo a lanciare riso sugli sposi che corsero alla macchina per salvarsi dalle manciate lanciategli non troppo gentilmente da noi Sevenfold. Mi girai finalmente verso la mia amica e la vidi con le mani sulla bocca mentre continuava ad osservare la macchina in lontananza.
Scossi la testa, come a chiederle cosa non andava
«Sono la coppia più bella del mondo» mi disse semplicemente lei, emozionata.


Sam p.o.v.
I due sposi avevano deciso che non ci sarebbe stato nessun ricevimento dopo il loro matrimonio, bensì invitarono tutti a casa dei genitori di Matt e fecero venire un catering, senza troppi fronzoli. Ci dissero anche di andarci a cambiare e metterci comodi e allora io mi misi un vestitino blu e delle ballerine, mentre i ragazzi erano quasi tutti in bermuda e maglia a mezze maniche.
Io in quel momento mi trovavo su una sdraio a bordo piscina con un bicchiere ormai vuoto di birra fra le mani
«Non si dovrebbe mai lasciare una ragazza con un bicchiere vuoto» disse Zack sorridente, avvicinandosi tenendo due bicchieri colmi di birra in una mano. Mi misi a sedere, facendogli spazio
«Grazie»
«Di nulla. Hai mangiato qualcosa?»
«Quelle pizzette stanno diventando la mia droga» dissi indicando il piatto ormai vuoto
«Lo dici a me?» sorrise facendo uscire da chissà dove un piatto pieno di quelle pizzette. Lo mise in mezzo e iniziammo a scrutarle entrambi, cercando quella più bella o magari quella con più mozzarella. Ci tuffammo simultaneamente sulla stessa
«E’ mia Zack, l’ho vista prima io»
«Ma cosa dici, sei stata lentissima, l’ho toccata prima di te»
«Non dire cretinate»
«Non dirle tu!»
Si girò verso destra, interrompendo il nostro battibecco e cercando di estrarre il cellulare dalla tasca. Io approfittai di questa situazione per prendere la pizzetta e dargli un morso. Lui quasi sembrò non accorgersene, intento a guardare lo schermo del cellulare che lampeggiava. Rimase in quella posizione per un po’, poi si alzò furente e si allontanò da tutto quel baccano. Non era la prima volta che succedeva una cosa del genere: da quando era tornato, non appena squillava quel maledetto cellulare, diventava come uno zombie, si isolava ed il suo umore diventava nero per il resto della giornata, contagiando chiunque gli stesse intorno. Avevo provato più volte a farlo parlare per farlo sfogare ma lui aveva sempre risposto che era tutto ok, che non era nulla di importante e che gli sarebbe passato presto. Invece dopo una telefonata si chiudeva in una stanza e suonava ininterrottamente, fermandosi solo quando andavo a chiamarlo per cenare o pranzare.
Infondo era il mio migliore amico, non riuscivo a vederlo in quelle condizioni, soprattutto quel giorno che sarebbe dovuto essere un giorno felice per tutti.
Mi avvicinai al tavolo della carne dove Jimmy stava facendo razzie e attirai la sua attenzione
«Jim…»
«Shi?» disse con la bocca piena e le labbra impiastricciate con chissà quale salsa
«Potresti farmi un favore?»
Fece sì con la testa, leccandosi contemporaneamente le dita.
Mi venne da ridere pensando al fatto che avevano quasi 28 anni e si comportavano ancora come bambini, sporcandosi e facendo a botte fra di loro, ma forse era proprio quello il segreto della loro eterna amicizia.
«Zacky ha qualcosa ma non vuole dirmelo, vedi se riesci a farlo ragionare prima che si rovini la festa…»
Prese immediatamente un fazzoletto, si pulì sommariamente e si fece dire in che direzione era andato. Zack poteva anche non parlare con me, ma nascondere qualcosa al signor Sullivan voleva dire farselo nemico e questo lo sapeva bene.


Jimmy p.o.v.
Mi avvicinai all’angolino del giardino nel quale si era rifugiato Baker e lo vidi staccare la chiamata non appena mi avvicinai, posare il telefono ed accendersi una sigaretta
«Allora?» gli dissi senza troppi giri di parole
Lo vidi un po’ tentennare per poi socchiudere gli occhi ed aspirare il fumo che sembrò distendergli i nervi.
«Non so che fare Jim…»
«Con Jennifer?» la buttai lì ma ero quasi sicuro che fosse quello il motivo.
Lui strabuzzò gli occhi, forse chiedendosi come facessi a saperlo
«…Già»
«Parli da solo o te le devo cavare da bocca le parole?»
«Mi ha tradito mentre eravamo in tour» si avvicinò di nuovo la sigaretta alla bocca, facendo cadere la cenere in eccesso
«e la cosa più preoccupante sai qual è?
»
Accennai un no con la testa
«Quando un’amica in comune me l’ha detto, eh già, lei non ha avuto nemmeno il coraggio di dirmelo, non posso dire di esserci rimasto male. Sì, sono rimasto deluso ma ho quasi fatto un respiro di sollievo…» si girò verso la direzione dalla quale ero venuto, facendo l’ultimo tiro e spegnendo la sigaretta in un bicchiere lasciato lì per caso
«Vai da lei»
Mi guardò interrogativo ma sapevo che aveva capito perfettamente a chi mi riferivo
«Vai dalla ragazza che ami e dille cosa provi» dissi serio
Si girò di nuovo nella stessa direzione dicendo solamente un fioco «Non posso Jim»
«E perché mai non puoi?»
«Perché se mi dicesse che lei non prova quello che provo io non so come reagirei»
«Preferisci vivere col dubbio?»
«Penso di si, per lo meno so di poterle stare vicino così»
«Beh, fa quello che vuoi» dissi arreso «ma sappi che è preoccupata, quindi ora fai un bel sorriso, non importa se vero o finto, e le dici che è tutto ok»
Conoscevo il mio amico e sapevo che se non l’avessi preso di petto sarebbe stato capace di rattristire tutti i presenti e non potevo permetterglielo, non in una giornata così gioiosa. Mi fece un mezzo sorriso amaro, guardando l’erba sotto i suoi piedi.
Feci per girarmi e tornare alla festa quando mi venne in mente un’ultima cosa «Sembri un fottuto malato d’amore»
«Non dire stronzate, Sullivan!» rise, mandandomi a quel paese «Grazie» mi disse sincero, guardandomi negli occhi
«Per averti preso a parole?» sogghignai
«Anche, tanto lo so che lo fai solo per spronarmi»
«…Il che non serve a nulla perché sei una testa di coccio»
«La tua testa di coccio preferita!» rise sinceramente, cercando di saltarmi sulla schiena
«Vengeance pesi una tonnellata, scendi!»
«Pff, da quanto sei così serio?» disse ormai a cavalcioni sulla mia povera schiena. Di tutta risposta cominciai a correre verso la piscina, non mi fermai nemmeno quando lui tirò un urlo e cercò di scendere, ormai la mia vendetta doveva essere portata a termine. Arrivai al bordo e mi resi conto di non poter lanciare in acqua solo lui, così feci un salto e in pochi secondi vidi tutti gli altri ragazzi fare lo stesso
«Sei uno stronzo Jim» disse il mio amico quando riuscì a riaffiorare a galla, guardandosi intorno e ridendo mentre tutti ormai si schizzavano, compresi i due novelli sposini. Io quasi non lo ascoltai e gli feci segno alle mie spalle, dove c’era un esserino seduto con le gambe incrociate su una sdraio, vestito di blu. Lui mi sorrise e seguì finalmente le mie indicazioni, salendo le scalette e dirigendosi verso di lei.


Sam p.o.v.
Incominciai a ridere vedendo Valary che dapprima bestemmiava contro suo marito perché l’aveva buttata in acqua non curandosi del vestito, ma non appena egli le prese il volto tra le mani e la baciò la mia amica non poté più trattenere quella faccia imbronciata, e i due cominciarono a schizzarsi come due bambini.
Poi seguii Zacky con gli occhi, vedendolo avvicinarsi mentre cercava di togliere dai capelli l’acqua in eccesso con una mano.
«Cosa c’è?» chiesi con un sorriso quando lui si sedette ai piedi della sdraio. Quel sorrisino malefico lo conoscevo e non lasciava presagire nulla di buono
«In realtà volevo buttarti in acqua ma poi mi sono ricordato che hai paura…»
«Ecco, appunto» dissi mantenendomi alla sdraio, non ero ancora tranquilla
 Lui sembrò ignorare quello che avevo detto, si girò con nonchalance e prese dal tavolo una bottiglia d’acqua piena. Prima che potessi rendermene conto mi ritrovai a scappare da uno Zack assatanato, intenzionato a bagnarmi ad ogni costo. Facemmo due o tre giri intorno all’enorme giardino e poi lo vidi fermarsi con il fiatone, così mi fermai anche io.
«Bandiera bianca!» mi urlò a distanza di qualche metro
«Non ti credo, getta la bottiglia!» non mi mossi
Lui posizionò la bottiglia su di un lato ed alzò le mani, facendomi segno di avvicinarmi. Non ebbi nemmeno il tempo di pensarci che lo vidi scattare verso di me, stringermi con un braccio e svuotarmi la bottiglia in testa
«Me la pagherai» dissi ancora troppo vicina a lui
Così sciolse l’abbraccio ed incrociò le braccia, alzando il mento, come a dire “vediamo cosa sai fare”
«La vendetta è un piatto che va servito freddo, Vengeance» gli sorrisi, girandomi.


Zacky p.o.v.
Passammo tutti una bella giornata, fra risate, birra e buona musica. Ad un certo punto, non so come, io, Brian, Jimmy e Johnny eravamo finiti addirittura a cantare Dear God in piedi su un tavolo per i novelli sposini, suscitando le risate di tutti presenti. Chissà quante altre cose ridicole avevo fatto dopo l’ennesima birra di troppo, senza che me ne rendessi conto. Entrammo in casa e feci roteare la testa per cercare di evitare il torcicollo l’indomani. Samantha invece si tolse le ballerine, le prese con due dita di una mano e si avvicinò a piedi scalzi
«Vado a dormire, sono stanchissima» disse con gli occhi già socchiusi
«Va bene, buonanotte» le diedi un bacio sulla fronte
«Notte» la vidi ondeggiare verso la camera da letto





























































«Samantha…»
«Hey» la voce era metallica e sembrava stanca da morire. Non avrei mai voluto svegliarla ma non riuscivo proprio a dormire quella notte, avevo un bisogno impellente di parlarle
«Ma… perché mi chiami se sei nella stanza di fianco?» sentii subito la sua voce farsi preoccupata «E’ successo qualcosa?»
«No, no, stai tranquilla» i miei occhi finirono sulla sveglia, segnava le 5.16
Sentii un rumore di coperte che si muovevano e la immaginai mentre si metteva a gambe incrociate al centro del letto, ovviamente ancora non era tranquilla.  
«Allora che c’è?»
«Dovevo dirti una cosa» deglutii
«Sei impossibile, sei ancora ubriaco con quelle tre birrette che ti sei bevuto?» la sentii finalmente sorridere
«Erano una decina, e comunque no, non sono ubriaco» precisai, sperando mi prendesse sul serio
«E allora sentiamo cosa mi deve dire il signor Baker alle…» la sentii muoversi «…5.18 del mattino»
Feci un profondo respiro e mi alzai dal letto, mettendo un cd nel lettore ed alzando il volume per fare in modo che lei sentisse dall’altra stanza. Immediatamente le note di quella canzone riempirono la casa e la sentii avvicinarsi al muro che ci separava

 
“Your hazel green tint eyes watching every move I make
and that feeling of doubt it’s erased”


Cominciò a cantare la voce registrata di Matt. La sentii canticchiare, tenendo il tempo con il piede
«Sai chi l’ha scritta?» le domandai tenendo il telefono vicino all’orecchio
«Non ne ho idea»


 
“I’ll never feel alone again with you by my side”


«L’ho scritta io» le confessai
«Davvero?»
«Si, l’ho scritta il 26 Novembre 2000»
Potei sentire anche attraverso il telefono che si irrigidì, respirando quasi a fatica.
«Una settimana…» si fermò, non ce la faceva a continuare
«Una settimana prima del tuo risveglio, sì» continuai io


 
“And we have gone through good and bad times”


«Sono stato bravo a nascondertelo, eh?» dissi più che altro per stemperare la tensione
«Quindi posso dirlo anche solo a te che è sempre stata la mia canzone preferita» sentivo il suo respiro pesante. Sapevo che non doveva essere facile per lei ricordare quei momenti ma se non fosse stato necessario non l’avrei mai fatto, lei lo sapeva.


 
“You’ve been there from the start for me”


«Ne sono davvero felice» ammisi. Potevo solo immaginare la sua espressione in quel momento, eppure mi sembrava di vederla lì, con gli angoli della bocca inclinati in un sorriso stanco e gli occhi lucidi.



 
“I give my heart to you”





«Sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho vista fra quei banchi di scuola, Sam» appoggiai la mano e la testa al muro, quasi come se quel gesto potesse darmi forza

 
“I give my heart, ‘cause nothing can compare in this world to you.”


Inaspettatamente furono proprio le mie parole cantate da Matt a darmi la forza di continuare
«Non te l’ho mai detto, sono stato sempre nell’ombra ad aspettare che qualcosa potesse mutare. Sono riuscito a cambiare mentalità solo quando ho provato sulla mia pelle che il tempo è tiranno, non puoi mai sapere cosa ti aspetta e che è meglio vivere istante per istante»
Avrei giurato di sentire un singhiozzo dall’altra parte del telefono ma cercai di mantenere il mio autocontrollo, se il mio cuore si fosse reso conto che lei piangeva sarei stato capace di buttare quel muro giù a mani nude.
«Paradossalmente però credevo anche nel destino, quello che ci aveva fatto incontrare, che ci aveva fatto diventare amici e che si era fermato lì, deridendomi, o forse aspettandosi che un tipo come me avesse avuto le palle di ribaltare la storia che lui aveva già scritto»
Sorrisi, riscoprendomi più debole di quanto avessi voluto
«Beh, forse ora è troppo tardi, ma non potevo continuare a far finta di nulla, a cercare di silenziare il mio cuore ogni volta che ti avvicini, ad evitare i tuoi occhi sperando che così tu non potessi leggermi dentro»
La canzone finì e io misi in pausa il cd, cercando di ritrovare la forza per finire e non sprofondare giù
«Non pretendo che tu provi lo stesso ma avevo bisogno di dirtelo, senza doppi fini, prendila come una confessione»
Sorrisi e la sentii fare lo stesso, questo mi fece sentire molto meglio, per lo meno non piangeva più.
Sospirai
«Posso ingannare tutti ma non il mio cuore, e lui mi dice di dirti che ti amo, Sam»
Sentii un rumore ovattato, come se avesse gettato il telefono sul cuscino e poco dopo la sentii correre verso la mia stanza. Mi sarei aspettato di tutto in quel momento; che fosse scappata via, che non volesse più vedermi, e invece rimase lì sulla porta di camera mia, immobile, fissandomi con quegli occhioni nocciola che mi facevano impazzire.









___________
Luuuuungo capitolo e penultimo, finalmente!
Forse mi mancherà un po' scrivere questa ff, cominciata tanti anni fa e che racchiude un po' tutti quelli che per me sono i sentimenti fondamentali, quelli senza i quali non potrei vivere, l'amore e l'amicizia.
A questo punto quale prevarrà fra i due? Lo scopriremo nel prossimo chap!
Volevo concludere questa specie di ringraziamenti citando la mia band preferita, quelli che il 19 Giugno, giovedì scorso, ho visto live per la seconda volta, quegli schifosi che ogni volta mi trasmettono delle emozioni indescrivibili, lasciandomi qui, un sabato sera a mezzanotte, a scrivere su di loro.

Grazie Avenged Sevenfold.

Jude }

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Capitolo 16
*** My Second Heartbeat ***


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Chapter 16:

My Second Heartbeat




Val p.o.v.
«Bambini attenti, non correte!» disse preoccupata la mia amica mentre quelle due piccole pesti giravano intorno alla piscina. Io mi riposizionai gli occhiali da sole e mi girai verso mio marito, il quale aveva preso i due bambini in braccio come se fossero piume e li aveva posizionati sul gradino più alto della piscina, curandosi di mettergli i braccioli.
Guardai River e poi guardai Matt. La somiglianza era spaventosa, chiunque li avesse visti insieme avrebbe detto che erano padre e figlio. Il piccolo River aveva solamente i capelli più chiari, biondi, quasi dorati, ma gli occhi, le labbra e le fossette ai lati della bocca erano quelli del padre. Ogni volta che li guardavo giocare mi si stringeva lo stomaco e cominciavo a fare quel sorriso da ebete che mi ricordava quanto ero innamorata dei miei due uomini.
Non appena il padre gli mise i braccioli lui si buttò di petto in acqua. Io, apprensiva com’ero, feci un balzo in avanti ma mi calmai subito quando vidi che Matt aveva la situazione sotto controllo e si era già lanciato in acqua insieme al figlio. I miei occhi si spostarono quindi verso l’altro esserino che era rimasto invece seduto su quei gradini con due grandi braccioli rosa a contornarle il piccolo corpo. Alzò lo sguardo che prima era fisso sui suoi piedini che si muovevano veloci schizzando l’acqua ed incastonò quei suoi due occhioni azzurri nei miei.
«Vieni piccola, ti lego i capelli» la chiamò la madre che era posizionata sulla sdraio di fianco alla mia.
La bambina si alzò facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli castani, dirigendosi verso Sam. Cominciò ad intrecciarle i capelli in una grande treccia ma non appena arrivò a metà la bambina si mosse, inquieta
«Papà! Papà!» corse verso il cancello che separava la casa dalla strada, lasciando che i suoi capelli si sciogliessero. Il padre si inginocchiò permettendo alla bambina di saltargli al collo. Dopo poco si rialzò, stampando un grande bacio sulla guancia di Opaline e dirigendosi verso di noi.


 
"Eravamo in sala d’attesa e io non stavo più nella pelle. Avevo lasciato il piccolo River a casa col padre e non appena avevo saputo mi ero precipitata in ospedale.
Mi girai un po’ e vidi Zack con la testa fra le mani, teso come una corda di violino
«Hey Zacky…»
lui si girò piano, come se nel caso in cui l’avesse fatto velocemente si sarebbe potuto rompere e mi fissò
«Non ti preoccupare» continuai
«Avrei dovuto starle vicino» disse ritornando nella posizione iniziale
«Io penso che lei ti conosca e conosca benissimo anche le tue fobie, non devi vergognarti se non ce l’hai fatta a rimanere lì dentro» rassicurai il mio amico, sinceramente
«Si ma…» la sua frase fu interrotta dal medico che uscì dalla porta bianca di fronte a noi ed annunciò
«Zackary Baker?»
Il ragazzo annuì convinto
«Prego, si accomodi» gli fece segno di entrare
Lentamente mi alzai anche io, temendo di essere di troppo in quella situazione. Zack non se lo fece ripetere due volte invece, si alzò velocemente e quasi buttò giù quella porta che lo separava da Sam.
Non appena si avvicinò la mia amica porse la bambina al padre che aveva quasi paura di toccarla. Vedevo anche stando sullo stipite della porta che tremava come una foglia, emozionato dalla situazione.
Con una mano teneva forte la bambina e l’altra la teneva a mezz’aria, incerto se accarezzarla o meno, probabilmente.
Poi si profilò davanti ai miei occhi la scena più bella che abbia mai visto. Quel piccolo batuffolino protese le braccia in avanti, come se volesse portare verso di sé la grande mano e con una delicatezza assurda Zack la abbassò, facendo scivolare l’indice lungo il piccolo naso a patata sussurrando «Opaline…»
A primo impatto non capì ma riuscii a mettere tutti i tasselli al loro posto quando la mamma la riprese fra le braccia e mi disse di avvicinarmi.
Abbassai lo sguardo e a stento riuscii a vederla, incastrata com’era all’interno di quelle coperte bianche. Dapprima teneva gli occhi chiusi e mi concentrai sulle piccole labbra a cuore e sui tanti capelli che già erano presenti sulla testa della bambina, poi il padre le sfiorò una guancia e lei aprì gli occhi.
In quel momento pensai di non aver mai visto degli occhi così belli e ripensai a quello che poco prima aveva sussurrato Zacky.
I suoi grandi occhi sembravano davvero due opale, andavano dall’azzurro al blu oceano ed erano screziati con piccole macchie di verde. Socchiuse gli occhi e riuscii ad intravedere altri piccoli filamenti marrone chiaro, quasi ocra, che rendevano quello sguardo magnetico.
Lui guardò Samantha stremata sul letto e le sorrise, a quei due bastava un’occhiata per capirsi e leggersi dentro
«Si chiamerà Opaline» sentenziò quindi la mia amica sorridendo e contagiando anche noi"




«Sei tornato finalmente» Samantha si tolse gli occhiali e si protese verso il ragazzo in quale le lasciò un bacio a stampo sulle labbra
«Brian non voleva più lasciarmi andare…» rispose sconsolato il ragazzo sedendosi di fronte a Sam e poggiando la bambina sulle sue gambe
«Zack…» tolsi gli occhiali anche io per sfoderare la mia espressione da cane bastonato al meglio «non ci dici nessuna anticipazione sul nuovo cd? Qualche traccia, qualche testo… anche solo una nota»
La mia faccia fu copiata anche dalla mia amica, la quale accentuò anche il labbro inferiore, come se stesse in procinto di piangere
«Lo sapete ragazze, non posso dirvi nulla» si voltò verso il cantante che si era immobilizzato non appena aveva sentito di cosa parlavamo, cercando di incenerire il chitarrista con lo sguardo. Lui, dal canto suo, lo salutò rilassato con la mano, girandosi poi verso di noi e sussurrando
«…Matt e gli altri mi farebbero a fettine!» usando la figlia come scudo per non farsi leggere il labiale da Shadows
«Ti ho sentito Vengeance!» urlò il ragazzo dalla piscina
«Non ho detto nulla!» si arrese con le mani in alto
Subito mio marito fece una risata sorniona e ci guardò soddisfatto
«Sei senza cuore! Ti odio» gli dissi, per farlo sentire in colpa
«Ti amo anche io amore mio» mi rispose, lanciandomi un bacio con la mano
«Bene, prima che finisca male io vado a mettermi il costume» esordì Vee, lasciando la bambina
«Quindi dopo fai ciack ciack nell’acqua con me?» chiese quel piccolo esserino con gli occhi sgranati
«Certo tesoro mio, vengo subito» disse lasciando un bacio sulla fronte alla figlia e dirigendosi dentro casa
«Davvero, non so più che armi usare per farmi dire qualcosa» disse la mia amica
«Mi sa che dovremmo arrenderci…» dissi sconsolata, riponendo gli occhiali sul mio viso.


Zacky p.o.v.
Appena uscii la mia bambina si diresse verso di me a passi grandi, raggiungendomi ed alzando la mano, in modo che potessi stringerla. Ci dirigemmo così verso le grandi scale della piscina e lasciai che lei si immergesse prima di me
«Papà tuffo!» mi incitò la piccola con gli enormi braccioli rosa
«Vuoi che papà faccia un grande tuffo?»
Opy mi fece sì con la testa, muovendo i piedini per rimanere a galla
Prima che potesse accorgersene mi tuffai creando delle increspature sulla superficie dell’acqua e risalendo la presi in braccio, facendole il solletico sulla pancia con la bocca. Lei si dimenava e mi abbracciava e io le tolsi i capelli bagnati dal viso guardandola come se fosse l’unica cosa di importante al mondo. Ed era così, la mia bambina e la sua mamma erano le cose che mi facevano alzare dal letto ogni mattina, sorridere alla vita ed andare avanti.
Mi accostai al bordo, tenendo in un braccio Opaline e facendomi leva con l’altro
«Perché non vieni in acqua con noi?» chiesi a Samantha che era sotto l’ombrellone, attenta come sempre a non scottarsi la pelle
Lei non fece troppa resistenza e lentamente si sedette sul bordo, mettendo i piedi in acqua
«Opy vieni a giocare con la palla?» River chiamava la sua amica, dall’altra parte della piscina
«Papà io vado a giocare, dopo ritorno però» mi disse la mia bambina, premurosamente
«Certo piccola, non ti preoccupare» le sorrisi e le stampai un bacio sulla guancia prima di vederla nuotare verso River e Matt, il quale li teneva sotto controllo.
Mi girai verso Sam che era ancora nella stessa posizione e muoveva leggermente i piedi in acqua. Le posai qualche leggero bacio sul ginocchio che era fuori dall’acqua e poi la guardai. Lei mi fece un sorriso sincero e mi passò un indice sul volto, per accarezzarmi
«Dai, vieni in acqua» sapevo benissimo che aveva paura ma non avrei lasciato che questo la ostacolasse
«Ehm…» mi rispose lei poco convinta, stringendo le mani sul bordo
«Ti tengo io, e poi qui si tocca» dissi per rassicurarla
Lei sembrò convincersi e si lasciò scivolare lungo il bordo, guardandomi sempre negli occhi.
Quel suo sguardo mi faceva impazzire e lei lo sapeva bene, così quando toccò il fondo della piscina la incastrai fra il mio corpo ed il bordo, cominciandola a baciare dolcemente. Appena ci staccammo lei cominciò a far sfiorare i nostri nasi, sorridendo, per darmi infine un bacio sulla punta.
In quei momenti era come se tutto intorno a noi svanisse e io mi sentivo la persona più fortunata del mondo perché avevo al mio fianco la donna più bella e dolce della terra. Vidi le sue guance diventare rosee e le diedi un piccolo bacio a fior di labbra, sentendo dentro di me sensazioni che non avevo mai provato con nessun’altra. La gola secca, il nodo nello stomaco e le mani tremanti erano solo alcune delle cose che mi succedevano non appena lei si avvicinava a me, facendomi sentire felicissimo.
Quello era il momento perfetto.
Sciolsi l’abbraccio e abbassai lo sguardo verso l’acqua, facendo uscire dalla tasca del mio costume da surfer una bustina accuratamente sigillata per non far entrare nemmeno un goccio d’acqua. La portai fuori e la aprii, sempre sotto lo sguardo curioso di Sam. Da quella busta ne uscì un cofanetto di raso blu ed io cercai di bagnarlo il meno possibile, scuotendo le mani una alla volta. A questo punto vidi gli occhi della ragazza spalancarsi e le pupille dilatarsi, mentre io speravo di non fare pasticci e non emozionarmi troppo.
Aprii il cofanetto verso di lei
«E’ da giorni che cerco le situazione giusta per chiedertelo ma ho scoperto di non poter aspettare oltre, quindi…» feci un bel respiro
«Samantha Williams, mi vuoi sposare?»
La vidi portarsi le mani tremanti davanti alla bocca e guardarmi insistentemente.
In quel momento mi passarono per la testa tantissime cose, la prima era che forse era stato stupido chiederglielo in una piscina, avrei dovuto fare una cosa più seria o più romantica, o forse non avrei dovuto chiederglielo affatto, infondo già vivevamo insieme ed avevamo una figlia, quello era l’importante.
Lei mi distolse dai miei pensieri pessimisti dicendo, con le lacrime agli occhi
«Si… si certo che voglio sposarti!» prima di abbracciarmi facendomi quasi soffocare
Io le alzai il viso con l’indice della mano libera e la baciai, la baciai come la prima volta, nel corridoio, la notte prima che partissi per il tour, sentendo ancora quelle emozioni che mi facevano sorridere dentro.
Quando ci staccammo presi l’anello dal cofanetto e con attenzione glielo misi al dito. Lei alzò la mano, osservando con attenzione
«Un’opale…» sussurrò lei
Già, quella pietra per noi significava molto di più di una cascata di diamanti, era il segno tangibile del fatto che eravamo uniti, e lo saremmo stati per sempre.
Mi diede un ultimo bacio fugace, tenendomi la mano sulla guancia e poi mi guardò.
Mi guardò come non aveva mai fatto.
Quegli occhi erano comprensivi, caldi, innamorati. Nessuno dei due aveva un carattere facile ma quegli occhi erano di una donna che avrebbe dato tutto per starmi accanto, e lo stesso avrei fatto anche io.
«Il vostro cavaliere non vi lascerà mai» le sussurrai all’orecchio, stringendola. Lei mi strinse le mani nei capelli, forse ancora emozionata.



Val p.o.v.
«Valary!» urlò Sam, uscendo dalla piscina, sventolando le braccia al vento. Quando arrivò difronte a me mise un braccio lungo, nella mia direzione, e lo scrutai attentamente. Quando riuscì a vedere la novità poggiata sul suo dito tirai un piccolo urlo ed abbracciai la mia migliore amica
«Mi ha chiesto di sposarlo!» rincarò
«Ma… dove? Quando?» domandai confusa, staccandomi da lei
«Prima, nella piscina!» lei ancora saltellava, agitata
«Oh mio dio, che cosa fantastica» la strinsi di nuovo, ero davvero felice che Zack avesse fatto quel grande passo perché erano due persone fantastiche ed insieme si completavano. Non avrei potuto sperare niente di meglio per la mia migliore amica.
Improvvisamente alle spalle di Sam spuntò la figura del futuro marito
«Proprio te cercavo!» dissi indicandolo, stringendo ancora più forte la ragazza
Zack si avvicinò titubante «Si…?»
«Non farla soffrire, mai, altrimenti dovrai vedertela con me» dissi tenendo la mano alla mia amica, con l’altra ancora con l’indice proteso
«E con me» disse serio Matt, avvicinandosi con i due bambini in braccio
«Con tutto il rispetto Shads, temo più l’ira della tua donna che i tuoi pugni…»
disse il chitarrista passandosi una mano fra i capelli.
Bene, per lo meno aveva recepito il messaggio
«Mamma! Papà!» disse la bambina, lanciando le braccia in direzione dei genitori. Matt si avvicinò a loro e la lasciò fra le braccia della madre
«Vi sposate?» era una bambina così perspicace anche avendo solo 3 anni
«Si, mamma e papà si sposano, e tu sarai la nostra damigella» Samantha sorrise, trascinando anche noi in quel turbine di felicità
«Mamma lo sai che una volta anche River mi ha chiesto di sposarlo?» confessò la bambina ingenuamente
«Tra per lo meno 30 anni, piccola mia!» precisò il padre geloso, tenendo sott’occhio Matt e mio figlio
«Non ti preoccupare papà, tu sarai il mio damigello» sorrise euforica la bambina, facendoci scoppiare in una sonora e serena risata.
























______________
Bene, ultimo capitolo :3
Finalmente sono riuscita a finirla, dopo vari ripensamenti e cambiamenti ahahaha
Ho sempre pensato che però sarebbe finita in questo modo e devo dire che sono discretamente soddisfatta
E ora, via ai ringraziamenti!
Vorrei ringraziare quelli che mi hanno letto e mi hanno recensito, hanno messo la mia storia tra le preferite, le seguite o quelle da ricordare, chi ha dato un solo sguardo e chi invece ha letto i 16 capitoli, vi ringrazio di vero cuore, tutti.
Ringrazio poi la mia mente malata (ahahaha) che invece di studiare in questi giorni non fa altro che partorire idee su idee per nuove storie che spero possano appassionarvi anche più di questa.
E alla fine vorrei ringraziare gli Avenged Sevenfold perchè non solo sono i personaggi di una storia sgangherata come questa ma sono la band che in assoluto mi ha fatto versare più lacrime, mi ha fatto ridere, mi ha fatto sperare. C'è stato un periodo in cui credevo che ormai loro facessero parte del mio passato, che erano una band per ragazzine e che probabilmente non avrei mai più sentito nemmeno una loro canzone; e invece sono qui, a quasi 21 anni, a parlare ancora di loro, a cantare con loro, a difendere le loro scelte anche se non le concepisco a pieno. 

If you are part of the family, it's for life.


Auf Wiedersehen

Jude }

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