Viva la Vida!

di happylight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inghilterra ***
Capitolo 2: *** Prussia ***
Capitolo 3: *** Polonia ***
Capitolo 4: *** Russia ***
Capitolo 5: *** Germania ***
Capitolo 6: *** Francia ***
Capitolo 7: *** Roma Antica ***
Capitolo 8: *** Spagna ***
Capitolo 9: *** Danimarca ***



Capitolo 1
*** Inghilterra ***


I used to rule the world

Seas would rise when I gave the word

 

Inghilterra si stava ubriacando.

Seduto sul ponte di una nave, sotto un cielo stellato e una bottiglia di whiskey in mano.

Beveva per dimenticare quello che stava per fare; ma anche per non pensare al fatto che un maledetto U-boot tedesco avrebbe potuto silurarlo da un momento all’altro.

Dannati crucchi. Loro e i loro maledetti sommergibili che gli impedivano di circolare liberamente.

Ma in fondo era la guerra.

Ormai Inghilterra non era più il padrone incontrastato degli oceani.

Ah già, beveva per dimenticare anche quello. Ma non era certo un motivo nuovo.

Ogni volta che troppo alcool scendeva nella sua gola si ritrovava a farneticare sulle vecchie glorie, e a maledire coloro che gliele avevano sottratte, sbraitando e lanciando coloriti insulti inglesi, mentre le fatine (spesso) o i suoi sfortunati compagni di bevute (meno spesso) lo guardavano preoccupati e rassegnati.

Ah, i bei giorni da pirata!

Quando l’Impero Britannico era quello che dominava il mondo, dopo che aveva sottratto a Spagna l’egemonia dei mari!

Quando solcava gli oceani ritto sul ponte delle sue navi; lo sguardo risoluto e fiero, le piume sul suo tricorno che si muovevano alla brezza marina, una sciabola ed una pistola infilate nella cintura ed un sorriso sprezzante sul volto!

Quando affrontava tempeste e battaglie navali uscendone sempre vittorioso, quando il suo nome faceva tremare di paura chiunque si avventurasse in mare, e le sue colonie sparse ovunque nel mondo lo rispettavano e lo temevano!

 

For some reasons I can’t explain

Once you go there was never

Never an honest word

But that was when I ruled the world

 

Già, maledette colonie…

Quand’era che il suo potere aveva cominciato a sparire?

Oh, lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene.

E quello era il motivo per cui si ubriacava la maggior parte delle volte, compresa la presente.

Perché solo l’idea di andare ad implorare aiuto oltreoceano lo faceva sentire come se una mano di ferro gli stringesse lo stomaco, gelandogli i visceri.

Piuttosto che pregare America di scendere in guerra al suo fianco, Inghilterra avrebbe preferito mangiare per il resto della vita cibo francese.

Ma tant’è, quando navi ed aerei tedeschi minacciano di invadere la tua amata isola, non è che ti resti molta scelta.

Oh, che umiliazione, che umiliazione dover dipendere ancora una volta da quegli odiosi occhi turchesi!

Quegli stessi occhi che una volta lo avevano guardato dal basso con ammirazione, ora lo avrebbero squadrato dall’alto con pietà e disprezzo.

Sì, era stato proprio quel giorno maledetto di fango e pioggia, di lacrime e polvere da sparo che aveva segnato l’inizio della sua lenta discesa verso il declino.

Il declino dell’ Impero Britannico.

C’era stato un periodo in cui Inghilterra si era illuso di poter essere ancora il più forte, di potere ancora cavarsela da solo senza l’aiuto di nessuno. Si era chiuso in uno splendido isolamento.

Ma le cose splendide prima o poi si ricoprono di polvere e invecchiano.

E cominciano a sgretolarsi.

Ed ora Inghilterra era costretto ad inghiottire orgoglio e lacrime amare e a sperare con tutte le sue forze che America lo aiutasse. Deridendolo ed accusandolo di essere un vecchio relitto, certo, ma che almeno salvasse la sua amata isola dall’invasione dei crucchi.

 

Un altro sorso, altro alcool dritto nel suo stomaco prossimo alla congestione.

Raggi di sole che illuminano lo specchio del mare, sancendo l’inizio dell’alba.

Una nave all’orizzonte, dove America lo aspetta per discutere di guerra, sangue e morte.

Dove avrebbe affidato il suo futuro nelle mani di un ragazzino.

Dove l’Impero Britannico avrebbe esalato il suo ultimo respiro.

 

 

Axis Powers Hetalia ed i suoi personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.

La canzone “Viva la Vida!” appartiene ai Coldplay.

 

Postludio

Salve a tutti!

Due parole per spiegarvi la mia malsana idea per questa raccolta.

Come avrete già capito è ispirata alla canzone “Viva la Vida!” dei Coldplay. Se non la conoscete andate subito ad ascoltarla!

http://www.youtube.com/watch?v=dvgZkm1xWPE

Da quando seguo Hetalia spesso mi è capitato di associare questo o quel verso della canzone ad una nazione diversa e quindi si è accesa una lampadina nella mia mente: perché non scriverci una fan fiction?

Dato che la canzone parla di qualcuno che ha perso tutto, mi è venuta l’idea di associarla a quelle nazioni che hanno perso qualcosa, che sia il potere, l’indipendenza o qualcuno di caro.

Ed eccoci qua!

Piccole precisazioni riguardo il capitolo; è ambientato durante la seconda guerra mondiale, prima della scesa in campo degli Usa (circa all’inizio del 1941).

U-boot è un termine tedesco per indicare i sommergibili.

 

Spero che la fan fiction vi sia piaciuta e ringrazio in anticipo tutti quelli che la leggeranno, e spero che lasceranno un commentino!

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Prussia ***


Now in the morning I sleep alone

Sweep the streets I used to own

Alla fine aveva coperto lo specchio.

Aveva chiesto a Lituania, e lui gli aveva dato un grande lenzuolo bianco, insieme a un sorriso con un qualcosa che assomigliava alla compassione, e a delle parole blande e sussurrate, degli incoraggiamenti bisbigliati.

“Forza… Non è detto che sia finita…  Potrai sempre tornare…”

Ma lui era sordo ad ogni parola.

Ma lui aveva coperto lo specchio.

Perché è questo che si fa quando qualcuno muore, no?

Per evitare che l’anima si perda e finisca a vagare negli abissi capovolti di vetro e di metallo.

E lui era una nazione morta.

Cancellata dalle mappe geografiche, smembrata e suddivisa tra le altre nazioni vicine.

Eppure…

Eppure il suo corpo era sempre caldo, sentiva il cuore continuare a pompare sangue nelle arterie, muscoli contrarsi e tendersi quando camminava, l’aria gli gonfiava sempre i polmoni, i suoi occhi vedevano e le sue orecchie sentivano.

Era ancora vivo.

Perché lui non era uno stupido, insignificante essere umano che gioca a rincorrere la morte dal momento in cui è nato.

No, il suo corpo non era quello di un uomo, la sua carne era la sua terra, il suo sangue i suoi fiumi, il suo respiro e le sue lacrime il vento che attraversa i campi ricoperti di rugiada alle prime ore del mattino.

E la sua anima, oh no, di certo non poteva essere catturata da uno specchio.

La sua anima sono le migliaia e migliaia di persone che attraversano le strade delle sue città, coltivano e lavorano nelle sue fattorie fertili, nascono, vivono, amano e muoiono nella sua terra.

Ma chissà, forse un giorno si sarebbero scordate di essere state prussiane, e nelle strade sarebbe risuonato solo l’odioso suono della lingua russa.

Quelle non sarebbero state più le sue strade.

Non lo erano già più.

E allora forse il suo corpo si sarebbe semplicemente dissolto.

Una mattina, alzandosi, guardandosi allo specchio avrebbe visto la sua carne divenire cenere e volare via nel freddo vento della Prussia.

Forse è quello il motivo per cui ha coperto lo specchio.

Per non trasalire nel terrore di ogni piccolo cambiamento nel suo volto.

Terrore di scomparire e dissolversi nell’aria.

O speranza di porre fine a quella prigionia.

I used to roll the dice

Feel the fear in my enemy’s eyes

Oppure per non ricordare l’altro specchio.

Quello vecchio, fatto di argento, con la superficie che mandava un riflesso impreciso e sfocato.

Non netto e tagliente come quello dell’asettico specchio di adesso.

Alla fioca luce delle candele vedeva la sua figura riflessa nei bagliori metallici dell’armatura dei cavalieri teutonici, la croce nera sulla tunica bianca, la spada in una mano e lo scudo nell’altra.

Ora alla bianca luce del neon vede un uomo che non assomiglia a un uomo.

È avvolto in una divisa militare russa, e non ha più spada e scudo in mano.

Ma non è quella la differenza.

È negli occhi.

Lo sguardo è quello spento di chi si è rassegnato.

Di chi ha accettato di farsi trascinare dalla corrente, passivamente, senza cercare di nuotare, di accennare un movimento per raggiungere la riva.

Di chi ha deciso di affogare.

Di chi ha rinunciato per sempre alla speranza.

Per quello non sopporta lo specchio.

Perché gli ricorda lo sguardo che vedeva riflesso nello specchio d’argento.

Lo sguardo di chi non conosceva la paura o il pericolo, di chi correva cantando in battaglia incontro all’incertezza della morte, ma certo di andare verso la gloria.

Lo sguardo di chi è vivo.

Lo sguardo che non ha più.

 


***

Postludio

Ecco, dopo un bel po’ di tempo, il secondo capitolo, con protagonista il nostro caro Prussia!

È ambientato dopo la Seconda guerra mondiale, dopo l’ufficiale dissoluzione della Prussia, quando la parte est della Germania è sotto il controllo russo.

Voglio ringraziare tutte le persone che hanno letto il capitolo precedente, in particolare Kuro_Renkinjutsushi e LawlietF che hanno inserito la storia tra le storie seguite, Imperial Swan che l’ha inserita tra le ricordate e le seguite. Per Hullabaloos che ha inserito nelle seguite ed ha recensito un grazie in particolare!

Se questo capitolo vi è piaciuto lasciate una recensione anche piccola piccola e renderete felice l’autrice! (che altrimenti dovrà attaccarsi alla bottiglia per consolarsi… e voi non volete che accada, vero??)

Al prossimo capitolo, dedicato ad un personaggio un po’ bistrattato, ma che spero di far comparire sotto una luce nuova!

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Capitolo 3
*** Polonia ***


Listened as the crowd would sing

“Now the old king is dead! Long live the king!”

 

Lentamente rimuove il coperchio, piano, facendo attenzione a non far cadere gocce di colore sul pavimento.

Fa la stessa cosa con l’altro barattolo, poi l’afferra e si avvicina al secchio più grande pieno di vernice bianca.

Aggiunge un po’ di magenta e mescola.

Il bianco si tinge prima di scie rossastre, poi lentamente diventa di un tenero rosa.

Storce un po’ la bocca.

No, non va ancora bene.

Aggiunge un altro po’ di magenta e mischia canticchiando.

I suoi occhi smeraldo si posano sul muro bianco, corrono lungo la parete della stanza e tentano di immaginare come sarà una volta dipinta di rosa.

Un pensiero prepotente si infila nella sua mente, e lui tenta di scacciarlo scuotendo la testa, mentre afferra il pennello e lo intinge nel colore.

Occhi smeraldo sono apparsi nella sua testa, non brillanti di malizia e spensieratezza come i suoi, ma dardeggianti rabbia e furia. Quegli occhi sedevano sul divanetto di pelle, lì nella stanza che sta dipingendo, affiancati da un altro paio di occhi, azzurri ed increduli.

“Com’è possibile che tu non ti stia preparando? Cosa dobbiamo fare per farti ragionare?”

Scuote la testa, mentre il rosa lentamente tinge il bianco.

Inutile, inutile.

“Russia sta per invaderti! Devi fare qualcosa, qualche preparativo!”

Un’altra voce si infila nella sua testa, mentre uno schizzo di vernice per sbaglio colpisce il telefono.

Sospira.

Adesso dovrà dipingere anche quello di rosa.

Non che gli dispiaccia.

Sorride, pensando alla faccia preoccupata di Lituania dall’altra parte della cornetta, un tremito che gli scuote il corpo, gli occhi che dardeggiano a destra e a sinistra nel timore di essere scoperto.

Inutile, inutile.

Si mette a fischiettare, mentre il pennello corre veloce sulla parete.

E sorride ancora, pensando alla faccia delle tre nazioni, sconvolte ed incredule.

“Beh, stavo pensando di ridipingere la sala di rosa…”

Una goccia di vernice gli colpisce la guancia.

Nessun problema, ci penserà quella lacrima solitaria a lavarla via.

Germania. Russia.

Essere invaso, essere spartito, essere diviso, essere dominato.

Ha forse qualche importanza?

Fin da quando ha memoria è stato tiranneggiato.

Re salgono al trono e precipitano al suolo come foglie che cadono.

Cosa cambia adesso?

Non è forse la stessa cosa?

È stanco.

Stanco di vedere il proprio popolo versare sangue e soffrire in modo indicibile.

Stanco di vedere che chi ha il potere di portare bellezza e serenità lo usa per bruciare, spargere sangue e dolore, distruggere, annientare, dividere.

È stanco di combattere.

Si è rassegnato a lasciarsi scorrere tutto addosso.

Non si cura di ciò che dicono gli altri.

Compra pony invece di navi da guerra.

Dipinge i muri di rosa invece che schizzarli con il rosso del sangue.

Non chiude gli occhi, li tiene ben aperti.

Deve vedere bene.

Vede quanto il mondo sia un posto orribile.

Per questo tenta di rendere ogni cosa attorno a sé bella.

 

 

Postludio

Capitolo dedicato a Polonia! Spero di non averlo reso troppo OOC… Dietro la sua faccia svampita ci deve essere qualcos’altro secondo me… Fatemi sapere che ne pensate!

Gli occhi smeraldo e quelli azzurri sono rispettivamente di Inghilterra e Francia, in riferimento alla puntata in cui vanno a far visita a Polonia per avvertirlo.

Un grazie a tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite, cioè Hullabaloos, Imperial Swan, kumiko095, Kuro_Renkinjutsushi, LawlietF e marachel; Marmalade Girl che l’ha inserita tra le preferite.

Un grazie particolare a s_theinsanequeen che ha commentato!

Se non volete, o se volete, che Polonia arrivi in camera vostra a dipingere TUTTO di rosa, commentate in tanti!

Al prossimo capitolo, con un personaggio che molti di voi amano!

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Capitolo 4
*** Russia ***


One minute I held the key

Next the walls were closed on me

 

Alte fiamme si alzavano nel caminetto, lunghe lingue rosse e gialle che tentavano di spandere calore e scacciare il gelo dalla stanza.

La poltrona su cui sedeva era con lo schienale alto, rivestita di velluto.

Una bottiglia di vodka era poggiata lì accanto.

Russia fissava le ombre nette che si disegnavano sul pavimento, mentre fuori la tempesta di neve imperversava.

Non sentiva altro rumore, se non quello del vento che sbatte contro le finestre e il lieve silenzio dei fiocchi di neve che cadono.

Non voleva sentire altro.

Non voleva stare nella sua casa in città, e sentire salire dalle strade le voci delle persone affannate negli ultimi acquisti di Natale, discutere di cosa preparare per la cena della vigilia, di cosa regalare ai figli.

Meglio ascoltare lo scoppiettare del fuoco e il lieve gorgoglio della vodka versata nel bicchiere.

Stare davanti al camino acceso, con la faccia che brucia e la schiena che gela.

Non ricordarsi.

Non pensare al Natale dell’anno prima.

 

And I discovered that my castles stand

Upon pillars of salt, pillars of sand.


Non pensare a quando erano tutti riuniti attorno al fuoco.

Non si curava degli sguardi terrorizzati sui loro volti, del tremito evidente che scuoteva le spalle di Lituania, Estonia e Lettonia, del viso scavato e delle profonde occhiaie delle sue sorelle, dei lividi sul volto di Polonia e Prussia.

Quel giorno non gli importava di essere una nazione sull’orlo del baratro, non gli importava della minaccia dell’America.

Tutto svaniva di fronte a quei corpi caldi riuniti attorno a lui, al calore che emanavano e che sembrava volergli arrivare al cuore.

Si era sentito felice per un momento.

Si era illuso di poterli tenere legati a sé.

Tutto era crollato.

Tutti lo avevano abbandonato.

Era solo, adesso.

Ora il suo cuore era freddo.

Si avvicinò di più al focolare, come se le fiamme potessero penetrarlo e sciogliere quel blocco che sentiva sotto lo sterno.

Avrebbe voluto strapparselo dal petto e gettarlo tra i carboni ardenti.


 

Postludio

Capitolo ambientato dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Ringrazio  Hullabaloos per la recensione e chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate.

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Germania ***


There was a wicked and wild wind

Blew down the doors to let me in

Shattered windows and the sound of drums

 

Erano davanti a lui.

Erano in fila.

File da quattro persone, occhi bassi e passo veloce.

Una valigia in mano, un nome e un indirizzo scritto con la vernice bianca.

Una stella gialla cucita sul cappotto.

Attorno a loro vetri infranti e finestre vuote.

Case spogliate delle loro famiglie.

Soldati dallo sguardo duro.

Davanti a loro, il nulla.

 

People couldn’t believe what I’ve become

 

Italia gli poggia una mano sulla spalla.

Una muta supplica.

“Questo non sei tu.

Fermati.”

 

Non c’è risposta.



 

Postludio

Il capitolo dedicato a Germania è ambientato durante la seconda guerra mondiale, durante la deportazione e sterminio nei campi di concentramento di milioni di ebrei, zingari, oppositori politici, omosessuali, testimoni di Geova, persone disabili e con malattie mentali.

Ho fatto questa scelta perché secondo me il momento più nero della Germania è stato proprio questo: all’apice della sua potenza sono state commesse delle atrocità impensabili.

Questo argomento mi sta particolarmente a cuore perché quando ero al liceo ho partecipato al progetto “Il Treno della memoria”; ho visitato il campo di Auschwitz-Birkenau in Polonia e quelli della Risiera di San Sabba (Trieste) e di Fossoli (Carpi) in Italia.

Non dimenticherò mai quello che ho provato visitando questi luoghi: in piccola, minuscola parte mi sono sentita partecipe anche io di un immenso dolore.

Spero di non essere stata presuntuosa o superficiale nel trattare questo argomento in una fan fiction; se così vi è sembrato vi prego di dirmelo.

Quello che ho voluto scrivere sono state le sensazioni che ho provato tradotte utilizzando come spunto i personaggi di Hetalia; non voglio in alcun modo sminuire gli eventi storici o ridicolizzarli trasponendoli attraverso il punto di vista di Germania e Italia.

Se qualcuno si è sentito offeso o indignato da quello che ho scritto me lo faccia sapere per favore.

 

Ringrazio  Bazylyk19, Cosmopolita, Hullabaloos per le recensioni, e chi ha inserito la fic tra le preferite, seguite e ricordate.

Un grazie anche a chi ha semplicemente letto.

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Francia ***


Revolutionaries wait

For my head on a silver plate


Lo sai di cosa odora il sangue?

Mio caro Francia, lo sai?

Certo, hai già sentito l’odore tagliente del ferro, il freddo sentore metallico che impregna le narici.

Ma avevi mai odorato così tanto sangue francese, prima che arrivassi io?

Mio caro Francia, lo sai che suono ha il sangue?

Non quello potente e pulsante delle arterie. No, quello è della vita.

Ma ha il freddo fischio della lama che cala, il tonfo secco sul legno, lo spruzzo rosso che schizza il patibolo, e il lento fluire delle vene.

Oh, tutta Parigi è impregnata dell’odore e del suono del sangue.

Sei tu che l’hai voluto, mon chér.

Sei tu che hai chiamato me.


Just a puppet on a lonely string

Oh, who would ever want to be king?


Adesso io sono te.

Tu sei la Rivoluzione.

 

 

Postludio

Capitolo ambientato durante la rivoluzione francese.

Ringrazio  Bazylyk19, Cosmopolita e  Hullabaloos per le recensioni e chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite!

Un grazie anche a chi ha semplicemente letto!

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Roma Antica ***


I hear Jerusalem bells are ringing

Roman cavalry choirs are singing

 

Il vento scuote il pesante tessuto della tenda, fa ondeggiare leggere le frange dei tessuti, fa scricchiolare le carte sul tavolo.

Il fuoco proietta sulla stoffa le lunghe ombre dei soldati.

Roma sente le loro voci accompagnate dallo scoppiettio del focolare.

Seduto sul triclinio, fissa le loro schiene attraverso l’apertura della tenda.

Sente rassegnazione nelle loro parole.

Non c’è speranza.

Non c’è voglia di combattere.

Non c’è voglia di gloria.

 

Roma sta cadendo.

E nessuno la difenderà.

 

Pensa che potrebbe uscire, sedersi in mezzo agli uomini, gettare un ceppo più grosso in mezzo al fuoco, far girare il vino.

E parlare.

E dare coraggio.

E dare furia.

Desiderio di conquista.

Voglia di potere.

 

Ma non lo fa.

Non ci prova nemmeno.

Non ci crede neanche lui.

 

Roma sta cadendo.

E nessuno la salverà.

 

 

 

Postludio

Capitolo ambientato in un non ben precisato momento durante la caduta dell’Impero Romano.

Ringrazio  Bazylyk19 e Cosmopolita per le recensioni e chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite!

Un grazie anche a chi ha semplicemente letto!

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Spagna ***


Be my mirror, my sword, my shield

My missionaries in a foreign field


Cerca di concentrarsi sul ricciolo.

Sulle guance rosee e paffute, gonfiate per lo sdegno.

Sul piccolo broncio sulla piccola faccia.

Sugli occhi caldi e luminosi.

 

Dimenticare.

 

Non sentire il sale sulle ferite, la stoffa che sfrega sulla pelle viva, le catene che tagliano la carne dei polsi.

Il rollio di una nave che non può governare, le risate di scherno dei corsari che lo avevano ripescato dai relitti del suo galeone.

Gli stessi pirati che avevano affondato la sua flotta, in effetti.

E lo sguardo verde del capitano, luccicante di brama e di malizia.

Occhi elettrici, che tradiscono il desiderio di dominare e distruggere.

Occhi che lo guardano con malcelata soddisfazione.

 

Spagna chiude i suoi occhi verde oliva, così diversi da quelli del capitano inglese.

Dipinge all’interno delle palpebre il viso imbronciato del suo Romanito.

Si riempie le orecchie della voce lamentosa del bambino.

 

Dimenticare.

Sì, per dimenticare.

Di essere stato annientato.

 

 

Postludio

Capitolo ambientato dopo la sconfitta dell’Invincibile Armata.

Vi pareva possibile che non pubblicassi oggi che è uscito il nuovo album dei Coldplay?   *___*

Ringrazio  Bazylyk19 e Cosmopolita per le recensioni e chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite!

Un grazie anche a chi ha semplicemente letto!

Al prossimo capitolo, che sarà l’ultimo!

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Capitolo 9
*** Danimarca ***


 

For some reasons I can’t explain

I know St. Peter won’t call my name


Danimarca si sveglia.

Di soprassalto, si mette seduto sul materasso di piume.

Si guarda le mani, si tocca il torace.

Alza il capo, fissa il baldacchino rosso del letto.

È nel suo palazzo, nel suo regno.

 

La sensazione resta.

Non se ne va.

 

Si fissa i palmi.

Fino a un secondo prima erano intrisi di sangue.

Si tocca il costato.

Fino a un secondo prima era aperto e squarciato.

Sente il battito del cuore.

Fino a un secondo prima gli era stato strappato via.

 

Si alza.

Fino a un secondo prima, Svezia riemergeva dal lago rosso nella Stortorget, imbevuto, grondante sangue.

Fino a un secondo prima, debole e impotente, solo e sconfitto, vedeva Norvegia andare via, per sempre via da lui.

Fino a un secondo prima, Islanda gli voltava le spalle e lo abbandonava, vecchio e pazzo.

Fino a un secondo prima, era finito.

Fino a un secondo prima, stava sognando.

 

Si guarda le mani.

Non c’è modo di lavare via il sangue, lo sa.

Non c’è modo di lavare via le colpe.

 

Entra nella sua camera.

C’è solo freddo e solitudine.

Lui se ne è andato.

 

Danimarca si guarda le mani.

È ora di ricominciare a sognare.


Never an honest word,

but that was when I ruled the world.




Postludio

Capitolo ambientato dopo la dissoluzione dell’Unione di Kalmar, con particolare riferimento al “Bagno di sangue di Stoccolma” (7-10 novembre 1520). Stortorget è la piazza grande di Stoccolma, dove avvenne il massacro.

Con questo capitolo siamo arrivati alla fine della raccolta. Diciamo che ho riservato il primo e l’ultimo capitolo ai due personaggi che secondo me rappresentano meglio lo spirito di questa canzone; due re che hanno perso il proprio regno e ripensano ai giorni passati. Chi meglio di Inghilterra e Danimarca?

Questa raccolta ha significato tanto per me, perché è stata la prima fan fiction che abbia mai pubblicato; ci ha messo tanto ad arrivare alla fine, ma è stata una fantastica avventura. Quindi vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno sostenuto e incoraggiato con le loro recensioni, cioè:

Bazylyk19

Cosmopolita

Hullabaloos

 s_theinsanequeen

Purpuren Peperuda

Un grazie va a chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, e a chi ha semplicemente letto.

Un grazie speciale alla mia sorellina, che mi ha convinto ad uscire dal guscio e pubblicare le mie storie.

Infine un grazie va ai Coldplay, senza i quali niente di tutto questo sarebbe stato possibile.

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