Fiori di Primavera di Lyra Lancaster (/viewuser.php?uid=135590)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Schegge ***
Capitolo 2: *** Simile agli Dei ***
Capitolo 3: *** Know Yourself ***
Capitolo 4: *** Acqua ***
Capitolo 5: *** Ossessione ***
Capitolo 6: *** Fiori di Primavera ***
Capitolo 1 *** Schegge ***
Fiori di Primavera
FIORI DI PRIMAVERA
Per te, Reila, la mia Primavera.
- Capitolo 1 -
Schegge
Akiko
mi
guardava dall’alto, con i suoi espressivi occhi color
nocciola che passavano
sbigottiti e tristi dalla mia figura rannicchiata in un angolo del
soggiorno
alle schegge di vetro che coprivano parte del pavimento insieme al
Porto.
“Haru … cosa
hai fatto?” Mi chiese la ragazza gentilmente sedendosi vicino
a me.
Io non le
risposi semplicemente perché non ci riuscivo.
Cosa avevo fatto? Avevo sfogato
quasi un mese di sorrisi falsi e abbracci freddi gettando a terra il
bicchiere
di vino che tenevo in mano, dopo aver aperto la porta ad Akiko.
“Yuu?”
Domandò ancora, ignorando deliberatamente il mio silenzio.
Le annuii. Certo che
era lui il motivo.
Non sapevo esattamente il perchè ... ma da quando lui se
n'era
andato era diventato tutto più difficile e mi sembrava di
annegare nella mia solitudine.
Era passato quasi un mese, in cui avevo avuto tutto il tempo di
imparare a vivere senza di lui e invece si era rivelato impossibile.
E' un giorno nuovo e sono ancora qui, mi dicevo ogni mattina, alzandomi
con un sorriso trionfale stampato sul volto e andavo a lavorare come
guida turistica sul monte Fuji come gli altri giorni.
A volte avevo anche la percezione di averlo dimenticato.
Come sei stata brava!
Mi ripetevo come un mantra, sempre con il sorriso. Ormai non ti appare
più davanti agli occhi il suo sorriso.
Non come le prime volte, in cui solo la vista di un piercing, di una
chitarra, o, ovviamente, le canzoni che lui suonava date alla radio, mi
sbattevano davanti alle pupille le sue labbra dannatamente provocanti.
Poi avevo smesso di ascoltare la radio o di guardare la gente e avevo
quasi dimenticato.
Cos'era successo quell'assolato pomeriggio di novembre?
Non ci voleva un mago per indovinarlo: il suo fantasma si era fatto
strada tra i muri di piombo della mia memoria per sbucarmi davanti
all'improvviso.
Così non va
bene, Haru.
Il sangue mi era ribollito nelle vene, aveva pulsato nella mia testa e
mi sono ritrovata quasi accecata dall'ira verso me stessa,
perchè quella situazione era tutta colpa mia.
Avevo scagliato il bicchiere che avevo in mano contro il marmo bianco
del pavimento ed ero scoppiata a piangere in modo isterico.
Avevo preso finalmente coscienza del vuoto buio che era cresciuto
dentro di me ogni dannato giorno passato a cercare di sopprimere ogni
cosa lo riguardasse.
Ora era lui che sopprimeva me.
"Se n'è andato, Akiko! ... Per sempre"
"Non è proprio così ..."
"Non lo rivedrò mai più!" Singhiozzavo e urlavo,
cercando
disperatamente di sciogliere quel fastidioso nodo che mi attanagliava
la gola.
"Akiko, calmati ..."
"No che non mi calmo!" Le urlai in faccia, ficcando i miei occhi
appannati dalle lacrime nei suoi, che si abbassarono quasi offesi.
Una persona normale avrebbe alzato i tacchi, fatto dietrofront e
sbattuto la porta dell'appartamento lasciandola sola.
Akiko mi cinse le spalle con le braccia e mi attirò a
sè,
mi fece posare la testa sulla propria spalla e mi strinse.
Le lacrime continuarono a fluire ma i singhiozzi si fecero sempre
più radi.
"Tu lo ..." Iniziò Akiko.
"Sì. Penso proprio di sì."
Liberazione! Dopo tanto tempo il mio cuore fu libero da un macigno che
si era sedimentato sassolino per sassolino e la mia mente
volò a
qualche mese prima, a quella schifosissima domenica di fine aprile.
Note:
Buonsalve a chiunque abbia letto il primo delirante capitolo di questo
sclero nato il giorno che sono venuta a sapere che Aoi si era eliminato
da twitter.
Ci sono rimasta malissimo e ho scritto questa cosa per chi mi ha
fatto conoscere i Gaze, che sicuramente c'è rimasta peggio
di me xD.
Buon proseguimento di lettura a tutti. u.u
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Capitolo 2 *** Simile agli Dei ***
fiori di primavera 2
- Capitolo 2 -
Simile agli Dei
Conclusi il viaggio a bordo dello Shinkansen e scesi alla solita
fermata, quindi camminai attraverso la calca con passo svelto, cercando
di contrastare anche il forte vento che spirava da nord.
Ricordo che avevo freddo, nonostante mi fossi munita di giacca per
un'ispirazione giunta dal cielo. Infatti il giorno prima c'era stato un
sole che
spaccava le pietre e speravo che anche oggi ci sarebbe stato un clima
simile, quindi avevo preso la giacca solo per precauzione.
E invece tirava un vento che sembrava gennaio invece che fine aprile e
il cielo era di un minaccioso color ferro e ringraziai i Kami per
quell'ispirazione.
Strinsi la borsa che portavo a tracolla per cercare sollievo e
proseguii per la mia strada, crecando di arrivare al Tokyo Museum,
l'altra sede del mio lavoro oltre il Monte Fujiama, il più
in
fretta possibile.
Quindi schizzai alla macchinetta del caffè e presi un
espresso bollente.
"Haru ciao hai sentito che freddo che fa?"
Feci un salto e mi voltai: Akiko, mia collega e ottima amica, era
sbucata alle mie spalle e le sue lunghe dita affusolate cercarono
disperatamente il bottone della cioccolata.
"Ciao Akiko ... sì che ho sentito ... a momenti una folata
di vento non mi buttava sotto il treno."
"Mmm ..." Mugugnò lei sorseggiando la cioccolata e
guardandomi
con gli occhi crechiati da sfumature violacee, che facevano a pugni con
l'incarnato di alabastro.
"Brutta settimana, eh?" Il nostro lavoro, che viveva dell'ozio degli
altri, a volte aveva orari impossibili e la mia amica aveva stampato
sulla fronte straordinari-non-pagati a caratteri cubitali.
"Brutta? E' un eufemismo. Non vedo l'ora che arrivi domani mattina,
così posso dormire persino fino alle otto!"
Povera ragazza.
"Andiamo a berci qualcosa, dopo?" Ovvero un bicchiere d'acqua del
rubinetto per me e un'acqua tonica per lei. Ma solo quando ci
sbizzarrivamo, altrimenti una bottiglietta naturale del distributore
accanto alla macchinetta per il caffè bastava e avanzava.
"E' una buona idea ... ho bisogno urgente di chinino."
"Ahah! E io di acqua del rubinetto. Dai, io vado ... ci vediamo dopo."
Gettai il bicchiere di plastica nel cestino e mi incamminai verso
l'ufficio del direttore del reparto "Rembrandt".
"A dopo, Haru-chan." Mi salutò la giovane.
Quindi, verso le sei e mezza di sera, una volta conclusa una domenica
di lavoro intenso e pieno di famiglie più o meno
interessate,
raccolsi quello che rimaneva di Akiko e insieme ci dirigemmo al nostro
solito ed abitudinario bar per sederci ad un tavolo e ordinare secondo
le nostre usanze per svagarci.
Ma, indovinate? Tre quarti della conversazione era incentrata
sul nostro lavoro.
Non lo facevamo apposta, anzi, era un argomento che si cercava di
evitare ma amavamo davvero troppo l'ambiente in cui sputavamo anima e
sangue per gran parte della nostra giornata.
Quindi il cameriere aveva appena portato il nostro ordine quando si
presentò al nostro tavolo un nostro collega con un tizio
vestito
di nero con un piercing al labbro e una pettinatura decisamente
originale.
"Ciao ragazze, possiamo unirci alla vostra compagnia? Lui è
un mio amico d'infanzia, Shiroyama Yuu."
"Piacere di conoscerti, Yuu, io sono Kamiki Akiko." Lei si
alzò e si inchinò presentandosi, e lo stesso feci
io:
"Piacere, io sono Mishima Haru."
"Piacere di conoscervi." Si inchinò il giovane a sua volta
sorridendo gentilmente.
Rimasi subito affascinata dal suo modo di piegare l'angolo destro della
bocca verso l'alto e di accarezzare mestamente gli occhi
dell'interlocutore con i propri, tantochè sentii il cuore
sobbalzare nel petto, la lingua spezzarmisi tra le labbra, un leggero
fuoco passarmi sotto la pelle e intorno a me non c'era che lui, ormai
ogni cosa lo circondasse era sbiadita e nelle mie orecchie udivo solo
il rombo del sangue, non le risate degli altri avventori nel bar
nè il tintinnio dei bicchieri e dei piattini da aperitivo.
Fu Akiko a riportarmi alla realtà, posandmi una mano sulla
spalla.
Quindi mi sedetti in contemporanea alla nuova conoscenza e, sconvolta
dalla mia stessa reazione, cercai sia di evitare il suo sguardo
penetrante che di affondarvici i miei occhi, non capendo cosa mi stesse
succedendo.
Passammo circa una mezz'oretta in quel bar a conversare di ogni cosa
ma, quando stavamo per uscire, ci accorgemmo che aveva iniziato a
piovere a dirotto.
Io e la mia amica ci guardammo inorridite: avremmo dovuto correre sotto
l'acqua per un quarto d'ora senza ombrello per raggiungere il treno.
"Ragazze, voi dove avete l'auto? E' qui vicino?" Chiese allegramente il
nostro collega.
"Noi non guidiamo" Gli rispondemmo all'unisono.
"Ah. Allora vi accompagnamo noi alla stazione, vi va?"
"Ma che anima gentile e cortese, grazie ci salveresti la vita ... credo
che saremmo potute annegare, altrimenti."
"Akiko, per te mi butterei sotto un ponte."
"Bene. Che ci fai ancora qua?Ah, giusto, per farci da chaffeur."
"Ahahah! Sei simpatica come la pellagra. Allora, mia signora, aspettate
qua che vado a recuperare l'auto, così non vi bagnate.
Purtroppo."
Credo che se non fosse stato per il passaggio, Akiko l'avrebbe
soffocato con le sue mani in quel preciso istante, ma si
limitò
a lanciargli un'occhiata agghiacciante che bastò per far
aprire
l'ombrello al nostro amico e farlo sfrecciare verso l'autovettura.
Note:
Ecco il secondo sofferto capitolo. Eeeh ... la scuola è
iniziata
anche per me e per la scrittura è un periodo di magra.
Infatti sono i primi giorni, in cui bisogna studiare per portarsi
avanti senza tuttavia che ci siano interrogazioni, ergo, il tempo per
scrivere è limitato.
Motivo di grande sofferenza e lutto per me T_T.
Ma veniamo alla storia, il cui titolo va spiegato.
Infatti potrebbe indurre a pensare che si riferisca all'impressione che
Haru ha avuto di Aoi.
Ebbene no, errato.
Non so se nel capitolo avete riconosciuto una famosa poesia di Saffo,
ebbene il titolo è tratto dal suddetto carme ed è
semplicemente un indizio.
Una "strizzatina d'occhi" come direbbe la mia insegnante d'italiano.
Spero che vi sia piaciuto. **
Pregasi di commentare comunque, grazie, gentilissimi u.u
|
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Capitolo 3 *** Know Yourself ***
Fiori di primavera 3
- Capitolo 3 -
Know Yourself
Durante il viaggio in auto,
mentre il
mio collega cercava di far crollare Akiko ai suoi piedi e questa
cercava di essere più cortese di quanto avrebbe voluto,
scoprii
che la mia nuova conoscenza era un chitarrista piuttosto acclamato e
famoso.
"Suono nei The GazettE ... mai sentiti?"
"Uhm... qualcosa alla radio ma non mi sono mai soffermata
più di tanto."
"Fra pochi giorni uscirà il nostro tredicesimo singolo. Se
vuoi te ne regalo una copia."
"Grazie mille sarebbe interessante ampliare i miei orizzonti musicali."
Io sono sempre stata un'innamorata della musica in sé e mi
è sempre piaciuto provare ad ascoltare qualcosa di diverso,
sin
da quando ero una ragazzina.
"Che musica ascolti, principalmente?"
"Mah ... un po' tutto. Quando ero più giovane ero una fan
sfegatata degli X Japan, ma ora non ho molto tempo da dedicare alla
ricerca e scoperta dei gruppi emergenti"
Un'affermazione che stride con quella scritta poche righe sopra, vero?
Beh, era la verità. Mi piaceva ascoltare la radio ma il mio
lavoro non mi permetteva di dedicare molto tempo alla musica. Mentre
parlvo a Yuu del mio passato di rockettara mi comparivano nella mente
le ore passate a cantare a squarciagola stralci di "Kurenai" mentre
battevo il tempo con il piede o con le dita, i dischi in vinile che
occupavano un'intera mensola, ora confinati in un baule nel solaio, a
casa dei miei genitori, il mio primo concerto a diciotto anni, i poster
giganti di Hide.
"Gli X? E a chi non piacciono? Se ascoltavi loro ci sono delle
possibilità che ti possiamo piacere anche noi, Haru." Un
sorriso luminoso gli accese il volto, poi rovistò nelle sue
tasche e ne estrasse un piccolo taccuino, sfilò
irriverentemente
la penna dalla tasca del suo amico senza che questo se ne accorgesse e
vergò sopra la carta una serie di numeri, poi
strappò il
foglio e me lo porse: "Il mio numero di cellulare. Il tuo qual
è?"
Cosa? Un chitarrista di fama mondiale voleva il mio numero di
cellulare? O meglio, uno sconosciuto lo voleva.
Che ne sapevo io chi fosse? Poteva essere uno stalker, un pervertito o,
semplicemente, un uomo molto socievole.
Presi il foglietto, scrissi il mio numero in calce, lo strappai e
glielo tesi: "Ecco qua."
"Grazie mille. Spero di sentirti presto."
L'auto di fermò
davanti alla stazione e io ed Akiko ci fiondammo dentro la stazione ed
arrivammo giusto in tempo per stiparci nel treno affollato come tutti i
giorni e, quel giorno, anche particolarmente fradicio.
"Non ce la facevo più. La prossima volta non sarò
così gentile. Possibile che non abbia ancora capito che lui
non
mi interessa? Non me ne frega nulla di lui. Nulla! In che lingua glielo
devo dire? Finlandese? E' impossibile che sia così tardo
da...
Akiko tutto apposto?"
"Gli ho dato il mio numero di cellulare." Le parole si srotolarono
fuori dalle mie labbra senza espressione, esattamente come il mio volto
in quel momento. Non sapevo ancora a cosa pensare, se non al fatto che
c'era la probabilità che io avessi combinato un guaio
enorme. In
che situazione mi ero ficcata?
"Ah." Nemmeno lei seppe come commentare. "Beh ... sappi che io sono qui
con te." Si limitò a ribadirmi per l'ennesima volta, senza
rimprovero. Anche lei aveva mentalmente preso in considerazione
l'ipotesi che potesse essere un maniaco e voleva sottolineare che se mi
avesse infastidita lei lo avrebbe ridotto come un cappone natalizio.
Fu lui a telefonare, la sera stessa, mentre stavo controllando alcuni
miei appunti per la giornata di domani.
"Akiko-chan?"
"Yuu-kun!"
Se non avessi risposto, quella sera, i miei problemi non sarebbero mai
sbocciati e, invece, ero lì con tre fogli A4 nella sinistra
e il
telefonino nella destra a raccontargli di quanto il treno fosse
sovraffollato e la gente sembrasse uscita da un acquario e di quanto
fossi stanca.
Lui mi ascoltava e commentava con mugolii sommessi, per poi iniziare a
parlarmi della sua giornata, del suo lavoro e, alla fine, ci
trovammo a conversare di distorsori per chitarra.
"No no no ... domani ti faccio conoscere il mio collega, Kouyou! Lui
è un appassionato di distorsori e ti potrà dare
un quadro
più completo."
"Ahahah! Grazie, ma che gentile!" Stavo ridendo come una ragazzina,
spensierata e di cuore. Avevo persino abbandonato le mie carte sul
tavolo.
"Per che ora?"
"Mmm... non lo so... domani è il mio giorno libero quindi
potrebbe essere in qualunque momento."
"Il mattino devo un cappuccino al mio vocalist per aver perso una
scommessa, quindi significa che ci trascineremo per Harajuku tutta la
mattina... per pranzo ritorno a casa... verso le 15:00?"
"Dove?"
"Mmm... davanti al Tokyo Museum."
"Bene ... che scommessa?"
"Eeeh... io avevo scommesso che non saresi stato riconosciuto
da
nessun fan, se avessi assistito alla partita dei Gigants al Tokyo Dome,
domenica scorsa, mentre lui giurava di sì. Beh, non ho fatto
in
tempo a scendere dall'auto che sono stato investito da una cheerleader."
"Ahahahah! Questa è epica! Dai, te la sei cavata con un
cappuccino."
"Uno... gli devo tre mesi di cappuccini in centro a Shibuya. E questo
significa essere assaliti dai fan e firmare fogli di carta
finchè non mi verrà un tunnel carpale fulminante."
"Ahahah! Non riesco a smettere... di... ridere... Ahahah!"
"Ah beh, mi fa piacere che almeno qualcuno si diverta."
Puntualizzò lui con un tono da finto offeso.
"E' proprio sadico il tuo vocalist ... come hai detto che si chiama?"
"Matsumoto Takanori ... un metro e una lattina schiacciata di perfidia
machiavellica."
Da quanto era che non ridevo in modo così brutale?
L'incontro del giorno seguente feci il replay, così le volte
che ci incontrammo in seguito.
Lentamente lui diventò quasi una dipendenza per me, e io mi
accorgevo di esserlo per lui. Ci incontravamo tutti i giorni di umore
più o meno nero ma ci lasciavamo con il sorriso dell'altro
bruciato nelle nostre retine.
Note: Aaaah! Ci sono riuscita! Terzo capitolo, inizio vero e proprio
della storia dei protagonisti chiamato come la massima delfica che sta
alla base (secondo Socrate) dell'inizio di una relazione: conoscere se
stessi, per poi conoscere gli altri.
Mantra ripetuto più volte anche dallo stesso Ruki, inoltre
(13 stairs, Clever Monkey).
Bacione ai miei lettori.
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Capitolo 4 *** Acqua ***
Fiori di Primavera 4
-
Capitolo 4 -
Acqua
Quel pomeriggio io ed Akiko eravamo andate a fare una gita al mare con
Yuu e Takanori.
Ormai eravamo entrambe diventate amiche di tutti i componenti della
band, anche se io e Yuu continuavamo ad essere legati in modo
particolare.
Cosa eravamo? Buoni amici e basta?
Per me era così.
Adoravo ascoltarlo quando suonava le sue canzoni o ne improvvisava di
nuove, partendo da te accordi, magari arpeggiati con una chitarra
classica, oppure quando mi spiegava la teoria musicale pur sapendo che
io ero in grado di suonare solo il citofono.
Akiko stava insegnando a Takanori a giocare a beach volley con
risultati peggio che scarsi, mentre Yuu ed io li osservavamo divertiti
con le braccia conserte.
Lei alzava il pallone e glielo passava dritto, lui rispondeva inviando
la sfera o a destra o a sinistra.
Poi fu il suo turno di lanciare la palla e, miracolosamente, la
spedì dritta sulle mani della mia amica che, per l'emozione,
rispose storta.
Ora.
Mentre il cantante era riuscito a non beccare nessuno in circa un
quarto d'ora di lanci random, Akiko invece centrò in pieno
un
bambino che stava costruendo un castello di sabbia.
Quindi mentre io, Yuu e Takanori ci stavamo slogando le mascelle dalle
risate, lei ancò a cercare di calmare il piccolo, che urlava
mostrando di possere polmoni sviluppati come un cantante lirico, e a
scusarsi con la madre, per poi comprare un gelato ad entrambi.
Ma la cosa buffa fu che Takanori comprò un gelato ad Akiko
per
consolarla e Yuu, sulla scia filantropica dell'amico, prese un gelato
per me, il vocalist e se stesso.
"Haru devo parlarti di una cosa seria ..." Yuu iniziò
così il discorso, quella sera.
Erano circa le ventuno e ormai ciascuno era tornato a casa sua e, anche
se avevamo passato la giornata attaccati come scoglio e paguro, darci
la buonanotte era diventata da tempo un'abitudine.
Io già sapevo il contenuto del discorso che mi avrebbe fatto.
Sapevo che mi avrebbe chiesto di instaurare un rapposto più
profondo di una semplice amicizia, ma i non volevo, preferivo l'attuale
situazione.
La mia è una famiglia tradizionalista, mia madre
è stata una miko
e, semplicemente, il suo mondo non era il mio.
Inoltre chissà quanto sarebbe stato lontano da me per i
concerti senza che io avessi potuto seguirlo.
O meglio, avrei potuto, abbandonando il lavoro, ma l'idea fu ripudiata
ancora prima di essere concepita.
Io amo il mio lavoro, per me è l'unico modo onesto per
guadagnarsi da vivere e non l'avrei mai abbandonatto.
Nella mia mente trassi un profondo respiro, quindi, prima di
rispondergli con voce delicata: "Ti ascolto."
"Io ... credo di essere innamorato di te."
Non gli risposi. Un nodo in gola me lo impediva.
"Sono giorni che mi trascino in uno stato di angoscia fangosa,
dibattendomi tra il desiderio di parlartene e quello di tacere per
paura di una risposta negativa, che mi farebbe precipitare nel vuoto.
Tutt'ora io temo, ho terrore di questo baratro che si è
spalancato sotto di me nel momento stesso in cui ho digitato il tuo
numero. Ma è anche il brivido del volo, dello slancio verso
chissacosa ... verso te.
Akiko ... ora è il tuo turno. Spetta a te spiegare le mie
ali oppure tranciarle."
"Icaro, io non voglio bruciarti le ali ...".
Attaccai.
Non risposi ai successivi squilli disperati del mio cellulare anzi, lo
spensi e lo affogai nella mia borsa.
Poi mi feci un bagno per cercare di affogare il ricordo di lui.
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Capitolo 5 *** Ossessione ***
Fiori di Primavera 5
-
Capitolo 5 -
Ossessione
Sul pavimento del mio appartamento presi in mano un coccio dell'ex
bicchiere e sorrisi.
Sono stata così presa da ogni cosa da non essermi acorta
nemmeno di me stessa.
Ero diventata un guscio vuoto automatizzato che ha lasciato che il suo
mondo scorresse senza viverlo.
Akiko scolse l'abbraccio e si diresse in cucina per prendere scopa e
paletta e si mise a raccattare i frammentidi vetro mentre io asciugavo
la pozza di vino.
Per cena decidemmo invece di dirigerci in un ristorante italiano per
mangiare una pizza poichè nè una nè
l'altra
avevamo voglia di cucinare.
"Non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella che ho
mangiato a Milano."
Ad Akiko piaceva viaggiare e l'anno scorso era stata per due settimane
in Italia, rimanendo entusiasta soprattutto di Firenze, Milano e Roma.
"Probabilmente anche il ramen italiano ha un sapore irriconoscibile."
Risposi io.
"Paese che vai, cibo che trovi."
"Chissà se Yuu ha mai visitato l'Italia."
"Non lo so. Sai quando torna dal tour?"
Sospirai. No che non lo sapevo. Gli avevo sbattuto il telefono in
faccia. Sapevo che sarebbe partito ma non quando sarebbe tornato. E
stavo male per questo.
Passai le settimane successive ad ascoltare la sua musica.
Comprai ossessivamente i CD registrati dalla sua band e, pur non
distinguendo la sua chitarra da quella di Kyouyou, mi crogiolavo nella
consapevolezza di ascoltare il suono prodotto dalle sue dita eleganti.
Arrivai al punto di vagare per Shibuya nella speranza di incontrarlo,
cercando di accontentarmi dei manifesti che pubblicizzavano i "The
GazettE" e di ingoiare la sua figura con gli occhi.
A volte mi distraevo sul lavoro e durante preparazione di esso
poichè leggevo o pronunciavo parole che erano anche
contenute
nelle canzoni che suonava e mi chiedevo se mi volesse ancora, dopo il
mio rifiuto perentorio.
Mi rispondevo che se avesse provato realmente amore nei miei confronti
il suo sentimento non sarebbe mutato.
Ma prendevo in considerazione anche l'idea che la sua fosse solo amore
per il mio corpo, o una semplice infatuazione.
La situazione mi tormentava così tanto che giunsi
a
rispondere male ad un'allibita Akiko che già aveva i suoi
problemi a tenere a bada il nostro innamoratissimo collega.
Dove volevo arrivare conciata così?
Avevo ancora il suo numero e ogni tanto mi divertivo a far scorrere i
nomi della rubrica finchè il cursore non illuminava
l'ideogramma
del suo nome, ma non ho mai avuto il coraggio di cliccare il tasto
verde per telefonargli.
Per paura o per pigrizia?
Come mi aveva risposto un giorno Akiko, forse aspettavo che fossero gli
altri a cercarmi e quando toccava a me mettermi in gioco cercavo di
tirarmi indietro.
Mi chiudevo a riccio.
"Chiamalo. Digli almeno "ciao" e poi attacca... non lo so ... Haru. Tu
sai che dovresti essere tu a contattarlo."
Certo che lo sapevo.
Ma lo volevo?
Sì, ma era in tour e, anche se lo avessi chiamato, la
situazione non sarebbe cambiata di molto.
Lui era là e io ero qua.
Non avremmo potuto abbracciarci, non avrei potuto vedere il suo
sorriso, saremmo stati vicini solo con le nostre voci.
Ma la voce è solo fiato e le parole svaniscono come la
nebbia viene dissolta dal sole.
Dovevo trovarlo. Dovevo raggiungerlo. Dovevo accarezzargli il volto,
dirgli che sono stata cieca e sorda poichè non ho dato
ascolto a
ciò che il mio cuore diceva.
Che sono stata fredda.
Inaridita, prosciugata e inquadrata da un mondo in cui conta solo ciò che fai,
non chi sei.
Non conta se hai un'anima.
Persino nel mio lavoro in cui si sviscerano i sentimenti di altri
uomini, in realtà chi si occupa di questo è
più
una macchina.
Per seguirlo avrei dvuto abbandonare questo sistema-ragnatela.
Avrei seguito non solo lui, ma la musica.
La vera anima del mondo.
L'unico modo attraverso cui si palesa la verità contenuta in
ciascun individuo.
Avrei avuto pace.
Io desideravo vivere con lui.
Desideravo lui.
Posai i fogli sulla mia scrivania e guardai l'orologio: l'una meno
venti.
Avevo impiegato quattro ore per rivedere un discorso che avrebbe
necessitato metà del tempo.
Ma non importava, perchè ormai sapevo che direzione dare ai
miei passi.
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Capitolo 6 *** Fiori di Primavera ***
Fiori di Primavera 6
-Capitolo
6-
Fiori
di Primavera
Durante la lettura di questo capitolo consiglio l'ascolto del brano
"Closure" degli Arcana.
La candela sopra il comodino ardeva felice nell'oscurità
soffusa
e la sua fiamma color oro si allungava verso l'alto emanando ogni tanto
qualche sbuffo di fumo.
Yuu ci soffiò sopra e la spense.
Poi si distese al mio fianco sul letto e mi baciò con
avidità, quasi temesse che potessi scomparire.
Io risposi accarezzandogli il volto e affondando le dita fra i suoi
capelli di seta e lasciando che lui sfiorasse con le mani ogni
centimetro del mio volto, delle mie spalle, del mio seno, per poi
leccarmi le labbra e passare la lingua sulla mia giugulare pulsante e
posarvici sopra mille e cento baci.
Mi guardò e io gli sorrisi, capendo cosa volesse chiedermi
il bagliore lunare nei suoi occhi.
Sorrise a sua volta e mi levò il maglioncino di cotone,
prima di
impossessarsi nuovamente delle mie labbra e far scorrere i suoi
polpastrelli sulla mia pelle nuda, mentre io gli sbottonavo la camicia
lentamente.
Fui io, questa volta, ad interrompere il bacio per farlo stendere e
sedermi a cavalcioni sopra di lui; poi gli posai uno, due, dice, venti
piccoli marchi di fuoco sul suo torace, accompagnandoli con la mia mano
che serpeggiava sulle sue costole e sui suoi muscoli.
Una volta posato l'ultimo bacio sul ventre, mi ci vollero pochi
secondi, per slifare la sua cintura di cuoio e slacciare i
suoi
jeans. Quindi mi risedetti accanto a lui per dargli una mano a slifarli
del tutto.
Inclinai un poco la testa, mentre lui si posizionava tra le mie cosce e
mi liberava dei jeans, e attesi il momento in cui si chinò
sopra
di me e mi baciò il collo, per accarezzare il suo fisico
tonico.
Mi slacciò il reggiseno e fece scorrere il medio sopra il
mio petto.
Sorrise e vi posò sopra un bacio, vi passò sopra
la
lingua, fino alla mia clavicola, poi arpionò di nuovo le mie
labbra, mentre la sua mano si insinuava tra la mia biancheria intima;
quindi si scostò per levarmela.
Io colsi l'occasione per togliere i suoi boxer e passare le mie dita
sulla sua erezione.
Fu lui a gemere di piacere e a rituffarsi sopra di me per baciarmi il
ventre, il seno e le labbra.
Io allacciai le gambe ai suoi fianchi e lui entrò dentro di
me.
Il cuore mi batteva all'impazzata, sentivo solo il suo rombo unito ai
nostri ansimi.
Il sogno si concluse così.
Perchè certo era un sogno, dal momento che accanto a me non
c'era nessuno. Ormai erano tre notti che la sua immagine mi appariva in
sogno.
Stesi il braccio affianco a me e osservai la sua figura stagliarsi sul
copriletto bianco, creando un contrasto dimensionale, oltre che
cromatico.
L'alba stava sorgendo e un po' di luce filtrava dalla finestra del mio
appartamento mentre fuori gli uccelli già cantavano.
Aprile era arrivato striscando fra gli ultimi aliti di gelo di un
inverno tenace; i primi germogli avevano fatto caplino prepotentemente
e motli fiori atavano già sbocciando.
Recuperai il lenzuolo che era finito ai piedi del letto durante la
notte e me lo tirai sopra la testa ancora per pochi minuti,
finchè non suonò la sveglia.
Cominciava così una giornata come le altre, ma anche nuova.
Sorrisi allo specchio, che restituì la mia nuda immagine
longilinea, e mi diressi in bagno.
Quando uscii di casa il sole era ormai sorto e illuminava con i suoi
raggi le rade foglioline degli alberi, che sembravano piccoli cocci di
bottiglia.
Ci misi poco per raggiungere la stazione e il binario su cui stava per
arrivare il mio treno.
"Il treno diretto a
Tokyo è in arrivo sul binario 1. Si prega di allontanarsi
dalla linea gialla."
Avvisò lo speaker della stazione.
L'aria immobile era fresca e piena di profumi delicati ma non
stucchevoli. Semplicemente erano sottili e poco invasivi, si
insinuavano nelle narici con gentilezza, senza disturbare; e proprio
per questo erano sublimi.
La radio diede una delle sue
canzoni, nonchè una delle mie preferite, "Without a Trace",
e le note riempirono la stazione e le mie orecchie.
Poi lo vidi.
Era lui!
Sul treno, al binario opposto, quello diretto a Nagasaki.
Il mio cuore prese a galoppare all'impazzata, tanto da far male, e le
mie orecchie si otturarono.
Dopo tanto attendere lo rincontravo!
Cosa dovevo fare? Dovevo chiamarlo?
Provai ad urlare il suo nome, ma lui non si voltava.
Yuu, Yuu, YUU!
Ovvio che non mi sentiva, era dall'altra parte della stazione.
E il suo treno stava per partire. Se ne sarebbe andato e
chissà quando l'avrei rivisto.
Mi guardai intorno.
Nessuna traccia del mio treno. A volte capitava che fosse in ritardo e
quella sembrava essere una di quelle mattine.
Con un salto agile fui sui binari.
Lui non si era ancora girato. Continuava a guardare fisso davanti a
sè.
"Yuu!Yuu!" Urlai a squarciagola. Perchè non si voltava,
dannazione!
Poi sentii un fischio acuto, penetrante, quasi un rombo, che
riempì l'ambiente con il suo stridio assordante a cui si
accompagnava una luce accecante che occupava la mia visuale.
L'ultima cosa che sentii fu il profumo dei fiori di primavera.
Zeijakuna
ishiki wo hagare
Yukkuri to ashioto o tatezu ni
Hai ni nari konagona ni chiru
Soredake... soredake...
Without a trace
Lo sapevo che sarebbe
successa una cosa simile.
Non che si sarebbe
buttata sotto un treno, ma quasi.
Oggi, giorno del suo
funerale, poive a dirotto e io rifletto.
Penso al mutismo e alla
tristezza in cui era piombata da quando aveva scoperto ciò
che provava per Yuu.
Era diventata strana.
Avevo perso la
mia Haru.
Rimorso e malinconia
l'avevano fatta piombare nella depressione.
E la depressione,
malattia dell'anima, l'aveva condotta alla follia.
Schizofrenia, per la
precisione, come
diagnosticò una mia amica psicologa un po' di tempo fa,
quando
io non avrei potuto fare comunque più nulla, se non cercare
di
riportarla alla realtà coinvolgendola in qualsiasi altro
discorso che non fosse lui.
Ma non è
servito.
Lei non è mai
tornata.
The
End
Ebbene sì.
Niente lieto fine. u.u
E se leggendo le ultime due parole vi siete immaginati lo sparo che si
sente alla fine di "The End", sappiate che l'effetto è
voluto.
Se non l'avete sentito, dormirete comunque sonni tranquilli.
Ringraziamenti:
Coloro che mi hanno incoraggiata a continuare a scrivere
Coloro che hanno recensito
Coloro che hanno inserito questo delirio organizzato tra le
storie preferite/da ricordare
Coloro che hanno l'hanno semplicemente letto
Coloro che stanno sopportando i ringraziamenti
Reila per esserci (come disse Parmenide)
Alla prossima!
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