Note
Non pensavo, ma
questo capitolo è stato abbastanza difficile, quasi quanto il primo.
Enjoy the song...
;)
Capitolo
2
~
Dove...
carramba che sorpresa!
Le
occasioni di tensione, per Lenny, erano davvero rare. A parte i
soliti incubi e quegli sporadici attacchi di panico, solitamente la
sua vita scorreva su binari tranquilli. Forse proprio per bilanciare
il casino che aveva in testa, il karma l'aveva dotata di una pigrizia
ai limiti felini e di una flemma proverbiale: peculiarità che Dave
guardava da sempre con una certa insofferenza. Aggiungeteci una
consistente dose di imbranatezza, e si avrà come risultato una serie
di eventi ricorrenti, come ad esempio un alto tasso di compiti a
sorpresa (solo per lei, che dimenticava puntualmente di segnarsi la
data), un arcobaleno di lividi procurati andando a sbattere contro
spigoli non intercettati, e la propensione a dimenticare entro le
mura domestiche le chiavi di casa e il cellulare, annullando così la
loro utilità.
Ma
Lenny aveva, appunto, una personalità flemmatica. Per cui, una volta
arrivata davanti all'appartamento, quando non trovò né nella borsa
né nelle tasche le chiavi di casa, non perse certo il suo sangue
freddo. Si limitò a sbuffare e a bussare alla porta, sperando che
suo padre fosse già rincasato. In caso contrario, avrebbe sempre
potuto tornare dai Salzman e aspettare lì che venisse a prenderla.
Ma
quando sentì il chiavistello girare, Lenny perse immediatamente la
sua magica calma. Doveva essere suo padre, non poteva essere
altrimenti, giusto? Giusto. Così le diceva il cervello.
Ma
le streghe hanno quella specie di sesto senso, no? E così in qualche
modo lei sapeva che chi stava aprendo la porta non era Pas. Il
che era ridicolo, perché mica lei era uno di quei cani che
distinguono i passi del padrone dall'ingresso e cose così. E
comunque ne aveva prese così tante di cantonate dando ascolto a quel
suo “sesto senso”... tzè!
Fece
tutte queste logicissime considerazioni nel momento stesso in cui la
porta si apriva. E quando vide chi ci stava dietro, non solo capì
che per una volta il suo sesto senso l'aveva azzeccata, ma riuscì
anche raggiungere il record di apnea.
Perché
Lenny aveva sognato ad occhi aperti quel momento all'incirca un
milione di volte, ma nelle sue infantili e romanzate fantasie non
aveva mai contemplato la versione
“arrivo-a-casa-e-me-lo-trovo-davanti”. A quel punto Lenny poté
solo reagire – o, per meglio dire, non reagire –
pietrificandosi sulla soglia di casa.
~~~
E
pensare che Damon era andato da loro proprio per avere conferma dei
suoi sospetti. Ma un conto è fare un'ipotesi azzardata, ben altro è
vedersi sbattere in faccia che, sì, hai ragione su tutta la linea.
Be', avrebbe dovuto esserne soddisfatto, no? Appunto, avrebbe.
Eccolo
là, l'elemento che mancava nella foto del matrimonio di Alaric e
Jenna. Aveva cercato inconsciamente una Virtù Angelica con le
fattezze di una ragazzina rompipalle: avrebbe dovuto cercare una
neonata. Ma questo l'aveva saputo dopo.
Adesso
quella neonata aveva diciotto anni, era alta come un Puffo, aveva un
ginepraio rosso in testa, una spruzzata di lentiggini sul naso e due
occhi grandi grandi. Erano gli stessi che aveva incontrato per la
prima volta sulla soglia di un'altra casa, e al contempo erano
diversi. La creatura davanti a lui non era Nora, era un'altra
persona, nata e cresciuta in un ambiente diverso. Eppure aveva lo
stesso DNA.
Ed
era la sua anima. Un insignificante dettaglio che quegli
stronzi lassù si erano ben guardati dal riferirgli.
L'aura
ne era solo una pallida eco, ma sarebbe stato difficile per Damon non
riconoscere quel tum-tum. Ci stava dietro da diciotto anni,
santo Iddio, ne conosceva a memoria ogni sfumatura, avrebbe potuto
distinguerlo in mezzo ad altri sette miliardi.
Riconoscerla
gli fece sperimentare un paio d'infarti. Perché non è che capita
tutti i giorni d'incontrare faccia a faccia la persona a cui stai
custodendo l'anima. E non succede spesso che questa persona sia la
reincarnazione di quella rompipalle che nella tua vita precedente ti
ha visto tirare le cuoia. E Damon adesso aveva un corpo umano, debole
e fallibile, su cui riversare tutte quelle emozioni e non credeva che
ne sarebbe uscito vivo.
Ma
lei perché aveva quella faccia da triglia? Si ricordava di lui?
Certo che se ne ricordava, come faceva a non... o forse no? Ma sapeva
che cos'era adesso? Si può riconoscere il proprio angelo custode?
Dì
qualcosa, imbecille!
Inspirò
l'aria, che parve bruciargli i polmoni.
–
Ciao. –
Lei
batté le ciglia sugli occhi nocciola e se possibile li spalancò
ancora di più. Nel frattempo la mascella le cadeva in perfetto stile
Looney Toons. Il tutto corredato da un graduale rossore che la stava
trasformando in una specie di lampada di opalina. Era adorabilmente
comica e il lato idiota di Damon non poté non prendere il
sopravvento.
Alzò
le sopracciglia e sogghignò: – Sì, faccio spesso questo effetto.
–
Si
fece da parte e lei entrò, rigida come un manico di scopa, spandendo
tensione da tutti i pori. La vide
fermarsi in mezzo alla
stanza, saettando lo sguardo sull'ambiente. Stava cercando un oggetto
contundente per difendersi dall'intruso? Tutta quella situazione era
assurda e paradossale. Le faceva così paura?
Era proprio una schiappa come angelo custode se persino la sua
protetta lo schifava!
–
Chi sei? –
Damon
contrasse le sopracciglia. A giudicare dai tremolii convulsi
dell'aura, doveva aver fatto uno sforzo non indifferente per trovare
il coraggio di porgli quella domanda. Aveva paura e non sapeva
davvero chi era lui. Che cazzo stava succedendo?
–
Un amico di papà.
– inclinò la testa e la osservò, cercando di calcolare quanto ci
avrebbe impiegato a stramazzare al suolo – E tu chi sei? –
Lo
occhieggiò. Si morse un labbro e si accigliò. Tutto il sarcasmo di
Damon svanì, portando a galla un certo fastidio. Qualcosa che
conosceva. Provò a cercare un collegamento ma non lo trovò.
–
Lenore. –
Lo
disse come se fosse una cosa ovvia, come se pensasse che lui lo
dovesse già sapere. Ma forse era solo la sua immaginazione.
Un
rumore in cucina.
–
Papa? –
pigolò lei – Tu es là? – *
Gli
lanciò un ultimo sguardo e poi schizzò in quella direzione,
lasciandolo a macerare da solo nei suoi dubbi.
Quella
paura non era piacevole – per niente. Ma non era quello a
infastidirlo. Lei non sapeva chi era, era palese, ma già lo sentiva.
Insomma, non poteva non sentirlo, giusto?
–
Come faccio a
sentirti così bene? –
– Tu
sei una strega e io un angelo incarnato! –
Grugnì
tra sé. Parole di persone diverse, pronunciate in un'altra vita.
Qua
gli stavano nascondendo qualcosa e a Damon faceva parecchio incazzare
quando gli si nascondevano le cose.
~~~
–
Qui est
ce mec?! – **
Sua
figlia era intelligente e Pas l'adorava, si sarebbe strappato un
braccio per lei. Ma certe volte era anche troppo intelligente
per i suoi gusti. Come quanto a nove anni già aveva capito come
le funzionava tutto là sotto e aveva dovuto chiedere ad Elena di
spiegarle ogni cosa, suo malgrado, perché nove anni a parere di
Pas erano davvero troppo pochi per certi discorsi.
E
rieccoci al solito problema: come sviare i suoi legittimi
sospetti senza farla sentire una pazza?
–
È un vecchio
amico. – disse senza alzare gli occhi dalla cipolla che stava
finendo di affettare.
–
Papa...! –
sbottò in tono scandalizzato.
Pas
abbandonò il coltello e si pulì le mani sul grembiule.
–
Tanto lo conosce il
francese. – cantilenò versando la cipolla nella pentola.
Solo
in quel momento, sua figlia parve accorgersi che stava cucinando.
Guardò la pentola con aria truce e gli rivolse un broncio di tutto
rispetto.
–
L'hai invitato a
cena! – sibilò.
–
Sì. – affermò
seriamente, continuando a cucinare – E adesso andrai a tenergli
compagnia finché non è pronto. –
Tanto
il peggio era fatto.
–
Cosa?! No! –
La
tirava su da diciotto anni e, se teneva conto del fatto che non era
cambiata molto rispetto a una volta, in realtà la conosceva da un
secolo e mezzo, anno più anno meno. Per cui Pas avrebbe anche potuto
prevedere quella reazione. Il fatto è che era vecchio, davvero
troppo vecchio per fare il padre: non passava giorno che non se lo
ripetesse.
–
Lenore. –
La
fissò da sopra gli occhiali da sole – il tempo passava e
sopportava sempre meno la luce, anche quella artificiale –, ben
consapevole che i suoi sguardi intimidatori non erano più tali da
quando lei aveva cinque anni.
–
Tu andrai di là e
intratterrai il nostro ospite fino a che la cena non sarà pronta. –
scandì – Mi sono spiegato? –
–
Altrimenti? –
ribatté lei alzando il mento e incrociando le braccia al petto –
Mi mandi a letto senza cena? –
–
Altrimenti te lo
scordi di andare alla festa, signorinella. – concluse
tranquillamente.
Ecco,
e con quello era a posto. Adesso gli mancava solo di minacciare di
evirazione il primo ragazzo che si fosse presentato per uscire con
lei, e poteva dichiarare di essere il perfetto cliché del padre da
sit-com.
~~~
Pestare
i piedi non sarebbe servito a niente, ma sapeva quanto infastidiva
Pascal, quindi prima di lasciare la cucina Lenny si premurò di dare
una bella pestata al pavimento. Uscì da lì con un cipiglio da dama
oltraggiata, che morì quando si ritrovò nel territorio neutro del
soggiorno, alle prese con la dura realtà del momento.
Il
ragazzo – l'uomo? la... creatura? – si voltò verso di lei.
D'istinto Lenny si aggrappò alla borsa e allora si accorse di averla
ancora con sé. Così come indossava ancora il cappotto con cui era
uscita. Strinse le labbra: doveva apparire ridicola. Sentì le guance
andare in fiamme mentre si liberava di quelle cose e andava a sedersi
sul divano, rigida e impettita.
Lui
l'aveva guardata per tutto il tempo e Lenny era sicura che fosse una
cosa molto maleducata. Comunque era decisa a non parlare. Suo padre
le aveva detto di intrattenerlo, ma nessuno poteva obbligarla ad
aprire bocca. O a guardarlo.
Per
la verità, avrebbe tanto voluto guardarlo meglio. E parlarci, anche.
Sentire ancora la sua voce: era come se l'avesse sempre sentita, le
faceva emergere sprazzi di ricordi sepolti. E poi voleva fargli un
sacco di domande.
Come
ti chiami? Perché non porti nessun anello? Sei un vampiro o cosa?
Sei davvero il fratello di zio Stefan? Perché ti sogno da quando ho
memoria ma non so nemmeno il tuo nome?
Ma
non ce la faceva, ecco. Insomma, come si fa ad intavolare
un'amichevole chiacchierata con il tipo che popola la tua attività
onirica sin dall'infanzia? Aveva il terrore che da un momento
all'altro potesse leggerle tutto in faccia: i sogni, le sue stupide
fantasie, gli schizzi che faceva nell'album appena si svegliava per
imprimersi meglio in testa quei tratti sfuggenti. E adesso ce l'aveva
lì, tutto intero, davanti agli occhi!
–
E così... Lenore.
–
La
mano prese a giocherellare con un ciuffo di capelli, come faceva
sempre quando era nervosa. Quando si accorse che lui aveva notato
quel tic, smise improvvisamente e ficcò entrambe le mani sotto le
cosce.
–
La gente mi chiama
Lenny. – si sentì dire.
–
Lenny. –
ripeté lui, abbassando la testa e inarcando le sopracciglia in
un'espressione che aveva un che di familiare – Come... Lenny
Kravitz? –
Non
capiva proprio cosa ci fosse di strano nel suo soprannome. E poi di
chi diavolo stava parlando?
Arricciò
il naso: – “Lenny” chi? –
–
Oh, andiamo... –
sogghignò lui – si è fatto Nicole Kidman! –
Lenny
non riuscì a trattenersi: – Quella vecchia? –
Lui
si portò le mani a volto, mormorando “Gesù” e ridacchiando
sommessamente. E lei si sentì improvvisamente molto stupida.
–
Senti, ma come ti
chiami? – fece sostenuta.
Suo
padre stava sicuramente ascoltando tutto dalla cucina – facile, col
superudito da dampiro! – e altrettanto sicuramente non sarebbe
stato affatto contento di come si stava comportando. Ma
non è che in quel momento gliene fregasse granché.
Lui
virò gli occhi su di lei e la scrutò un momento. Lenny sostenne
quello sguardo indagatore sentendosi man mano sempre più nuda e
piccola, ma tenendo orgogliosamente la testa alta.
–
Damon. – le disse
semplicemente – Mi chiamo Damon Salvatore. –
Non
era strano che se l'aspettasse. Cioè, gliel'avevano già raccontata
la storia strappalacrime del fratello di zio Stefan. Solo che non
aveva per niente l'aria del secessionista morto in battaglia.
–
Perché mi sembra
di conoscerti? –
E
si morse la lingua.
Il
suo sguardo era diventato insopportabile, per cui con immensa
vergogna si decise a guardare altrove.
–
Perché è pieno di
foto sue al maniero. –
La
voce di suo padre parve stonare. Si voltò verso di lui e Lenny capì
che là dentro c'era qualcuno di troppo. Non ci voleva stare con loro
due insieme.
–
Dagherrotipi. –
lo corresse con fare petulante.
Se
c'era una materia in cui andava forte, quella era arte: storia e
applicazione. Avevano studiato la nascita della fotografia proprio
alla fine dell'anno scorso. Poi lei era sempre stata affascinata
dall'ottocento e divorava i libri che parlavano della vita ai tempi
vittoriani.
Loro
non erano i soli a sapere qualcosa e Lenny gliel'avrebbe fatto
vedere.
–
Sei il fratello di
zio Stefan, vero? – fece alzandosi dal divano con ostentata
naturalezza – Sarai nato verso la metà del diciannovesimo secolo.
All'epoca esistevano solo i dagherrotipi. –
Lui
– Damon – annuì e rivolse a suo padre una smorfia di
approvazione che aveva un che di sarcastico. Lei non ci si soffermò
troppo sopra: riconoscere tutte le sue espressioni la faceva sentire
strana.
–
Dove stai andando?
–
–
A scaricare le
mail. Posso? – ribatté, cercando in tutti i modi di non apparire
infantile come si sentiva.
–
La cena è quasi
pronta. – l'avvertì prima di rivolgesi di nuovo al loro ospite.
Lenny
guardò prima l'uno e poi l'altro, poi scrollò le spalle e se ne
andò in camera sua. Non aveva alcuna mail da scaricare: voleva solo
starsene un momento in pace per assimilare quella situazione. E se
avesse ritenuto che era “troppo”, be'... camera sua aveva una
finestra ed erano solo al secondo piano.
~~~
Pas
sembrava sul punto di esplodere, per cui Damon strozzò la risatina
che si stava facendo strada nella sua gola e si obbligò a mantenere
un certo contegno. E fallì. Insomma, aveva visto di tutto nella sua
lunga vita, ma Pascal Serrault che faceva il papino responsabile gli
mancava!
–
Immagino che
chiederti cosa ci sia da ridere peggiorerebbe solo la situazione. –
commentò il dampiro, accomodandosi sul divano.
La
risata scemò e Damon scosse la testa: non era lì per divertirsi.
–
Mi dici che diavolo
succede? –
Pas
si tolse gli occhiali da sole e si strofinò la faccia.
–
Non ci capisco
niente di queste cose, ma se ha fatto davvero quello che mi hanno
detto... – indicò verso la porta da cui era sparita Lenny, dalla
quale adesso si sentiva provenire della musica – l'ha fatto
davvero? –
–
Cosa ti hanno
raccontato? –
Damon
gli riassunse ciò che gli avevano detto Elena e Stefan. Il
sacrificio per salvare suo fratello, la perdita delle ali, la
rinascita... un sacco di belle cose, che però non spiegavano perché
lei non ricordasse niente della sua vita precedente.
Pas
restò impassibile, non accennò nemmeno un movimento mentre parlava.
–
Perché non si
ricorda nulla? – insisté – Se adesso io decidessi di perdere le
ali, so che prima o poi mi ricorderei. Tutto, dal principio ad oggi.
È una nostra prerogativa. –
Pas
lo guardò ironico: – Una “vostra” prerogativa? Ormai fai parte
del club, eh, mon ami? –
Damon
si aggrondò: – Non cambiare discorso. –
–
Non posso
parlartene qui. – si sporse verso di lui – Torna al maniero e
fatti dire tutto. Dì loro che hanno il mio permesso. –
–
Il tuo... – Damon
soffiò l'aria – oh, Cristo! Pas, ma che cazzo hai combinato? –
–
Non sono affari
tuoi, Damon. – si alzò e tornò in cucina.
Non
erano affari suoi, eh? Questa era davvero bella.
Lo
raggiunse e l'afferrò per un braccio.
–
Stefan ti ha
messaggiato cosa sono? – gli sibilò.
Pas
non si scompose. Si
liberò della presa senza sforzo e con due dita spinse gli occhiali sul naso.
–
Me ne ha accennato.
– disse composto.
A
Damon non la si faceva. Era a tanto così dal crollare e non avrebbe
mollato proprio adesso.
–
Lei è la mia
anima, Pascal. – rivelò, sentendosi strano al pronunciare ad alta
voce quella verità – Tutto quello che le succede è... –
–
La tua anima?! –
Il
ringhio fu accompagnato dal suono acuto di un mestolo scagliato con
violenza sulla cucina.
–
Non ho chiesto io
che mi venisse affidata. – si difese allargando le braccia –
Nemmeno sapevo che era lei, l'ho appena scoperto. –
Che
aveva poi da giustificarsi, non lo capiva. Qui se c'era qualcuno che
aveva fatto una cazzata non era certo lui.
–
Tu devi starle
lontano. – lo minacciò – Lei non è di nessuno, è libera.
Tornatene da dove sei venuto e lasciala in pace. –
Damon
ammutolì di fronte a tutta quella rabbia impotente. E nel frattempo la verità più lapalissiana si fece strada nella sua mente.
–
Hai chiesto a
Bonnie di cancellarle memoria. –
Il
petto di Pas si alzava e abbassava a ritmo veloce. La fronte
aggrondata sugli occhiali era imperlata di sudore. La sua aura si
stava addensando di senso di colpa e furia repressa.
–
E non ha funzionato
come doveva. – concluse Damon con un gemito doloroso.
Ma
era o non era un cacciatore di creature oscure ammanigliato con la
Chiesa da quasi tre secoli? Probabilmente ne sapeva più lui di un
semplice angelo custode come Damon.
–
Come hai potuto
anche solo pensare che poteva funzionare? – aggiunse
spietatamente – Tu le sai queste cose! Gli abracadabra non servono
a niente in questi casi! –
Pas
sferrò un pugno al tavolo, crepando il legno e ferendosi con le
schegge. Bestemmiò in francese, stringendo la mano offesa. Era uno
spettacolo deprimente. Damon avrebbe voluto aiutarlo, ma non poteva.
Era responsabile di Lenny – di Nora – non degli errori del suo
padre adottivo.
–
Cosa speravi di
ottenere? – gli chiese freddamente.
Pas
si morse la mano e sputò via una grossa scheggia.
–
Tu cosa ne pensi? –
grugnì, pulendosi dal sangue e fasciandosi con il primo straccio che
gli capitò sottomano.
Damon
ricordava anche troppo bene cosa aveva visto quella sera, nel bagno
del maniero, mentre s'introduceva a forza nella mente di Nora, spinto
da un impulso demoniaco che non riusciva a controllare. Scacciò il
disgusto per quello che le aveva fatto e si concentrò sui ricordi
che aveva evocato.
Era
chiaro: voleva risparmiarle tutto quell'orrore, darle la possibilità
di vivere una vita normale. Nobile proposito... peccato che la
faccenda non fosse così semplice da essere risolvibile con un
incantesimo fatto su due piedi da una qualsiasi strega della
Virginia.
–
Fammi indovinare. –
mormorò con un sapore acido un bocca – Incubi, allucinazioni, déjà
vu... –
Senza
guardarlo, Pas annuì, e gli parve che imprimesse in quel movimento
tutto il dolore del mondo.
–
Da quanto? –
volle sapere.
Il
dampiro deglutì: – Da sempre. –
Adesso
era il turno di Damon di fare fatica a respirare.
Il
tempo, lassù, era un concetto relativo, ma i sentimento no. Proprio
no. Quelli erano più che tangibili e quantificabili. E Damon aveva
ben incisi nel cuore tutti i momenti strazianti passati a cercare di
consolare quel tum-tum da un'angoscia immensa e innominabile.
E adesso sapeva da cosa era causata.
Se
quel dannato incantesimo non ci fosse stato, i ricordi sarebbero
confluiti gradualmente e con consapevolezza, senza causarle alcun
trauma. Non era ricordi piacevoli, proprio per un cazzo, ma era così
che doveva andare. Bloccarli come avevano fatto era solo un
palliativo: quelli avrebbero sempre cercato di tornare al loro posto.
Il risultato era sotto i loro occhi.
Avrebbe
voluto ucciderlo. No, avrebbe voluto fargli provare tutto ciò che
aveva provato lui in quegli anni e poi ucciderlo. Lentamente.
Era un pensiero poco angelico, ma sicuramente molto in linea con il
vecchio, caro Damon.
Poi
Pas parlò e lui si rese conto che la sua punizione la viveva
quotidianamente, da diciotto anni. E che era ben consapevole di
esserne il diretto responsabile.
~~~
–
Ieri notte, un
altro. – sussurrò, perso nei ricordi di mille altre notti.
Mille
altre grida d'angoscia e lacrime, che Pascal, nonostante tutto
l'amore che nutriva per lei, non era e non sarebbe mai stato in grado
di scacciare.
–
Le gocce
funzionavano una volta, adesso sono solo un placebo. – considerò
amaramente – Se la mando da un analista, mi dice di chiuderla in un
manicomio. –
E
cosa cambierebbe? – si chiese con sarcasmo – C'è già
rinchiusa.
–
Vorrei non aver
fatto quello che ho fatto. –
La
frase restò come in sospeso nell'aria satura di odori della cucina,
come per permettergli di assimilarla, di accettare l'idea che l'aveva
detto veramente, per una volta. L'aveva ammesso. Poi venne
risucchiata dalla cappa assieme ai vapori e fu come se non l'avesse
mai pronunciata.
–
Ma non si può
tornare indietro. – disse secco.
Ignorò
l'espressione dubbiosa di Damon e si mise a riordinare il casino che
aveva appena fatto.
–
Stai dicendo che
non farai niente? – lo sentì dire con sdegno – Che la lascerai a
macerarsi, credendosi pazza? –
–
Non si crede pazza.
– lo corresse mentre puliva con una spugna le macchie schizzate
sulle mattonelle – Una volta, forse, ma adesso... è intelligente,
sai? Lo è sempre stata. –
Sorrise
tra sé: qualcosa di buono, dopotutto, l'aveva fatto.
–
Ha capito tutto. –
concluse Damon.
–
Sta iniziando ad
intuire qualcosa. – precisò cauto.
Sospirò
mentre strizzava la spugna sotto il getto del lavello.
–
Ma lo sai cos'è
che più mi fa incazzare? – gli puntò la spugna contro, senza
guardarlo – Tu. –
Ignorò
il commento confuso di Damon e andò avanti nel suo patetico monologo
di autocommiserazione barra scaricamento delle responsabilità.
–
Un secolo di sensi
di colpa, poi lei fa una scelta azzardata e io mi dico “mon
dieu, questa è la mia occasione”. – disse a mezzabocca.
–
Me la brucio. –
concordò, scrollando le spalle con finta leggerezza – Appena ce
l'ho in mano, me la brucio. D'accordo. Mea culpa. –
–
Ma questo non
significa che non so prendermi cura di mia figlia. – aggiunse
stizzito, sfregando con eccessiva foga sulle mattonelle – E lassù
cosa pensano bene di fare? Di passare la palla a te. Eh, già. Pare
che Damon Salvatore, vampiro centenario di integerrima fama, sia
meglio di Pascal Serrault, fedele servitore della Sacra Romana Chiesa
da due secoli e mezzo. –
–
Quale palla? – lo
interruppe Damon – Ma di cosa stai parlando? –
Pas
si decise a guardarlo.
–
Ti hanno detto
perché ti hanno mandato qui? – gli chiese gettando la spugna nel
lavello e sciacquandosi le mani.
–
Ancora? – sbuffò
– No. E comunque che c'entra questo? –
–
C'entra. –
affermò severamente – Perché se c'è bisogno di te, siamo nella
merda. –
Damon
aprì la bocca per chiedere altre spiegazioni, ma Pas alzò la mano.
–
Non adesso. La cena
è pronta, ne parliamo dopo. Anzi, no. – si corresse – Ne
parliamo domani, al maniero. Serve una bella riunione generale, come
ai vecchi tempi. –
~~~
Quel
repentino cambiamento di umore non avrebbe dovuto spiazzare Damon:
conosceva Pas abbastanza bene da saperli prevedere. Ma aveva appena
assistito ad una confessione in piena regola e adesso se lo ritrovava
tranquillo e pacifico come prima.
Il
discorso, comunque, non era chiuso, e Pas ne era ben consapevole. Per
cui decise di fare finta di niente e accettò di andare a chiamare
Lenny mentre lui preparava la tavola, sapendo che quel
momento di solitudine sarebbe stato fondamentale per lui.
Quando
arrivò nella sua stanza – perché dubitava che la stanza di Pas
avesse poster di Mucha alle pareti, una nuvola di tulle bianco che
cadeva sopra letto e bambole di ceramica che lo guardavano da in ogni
angolo con i loro occhi di vetro – e la trovò vuota, con le tende
che si gonfiavano per l'aria fredda proveniente dalla finestra
aperta, si diede dell'idiota. Ma sopratutto diede dell'idiota a Pas,
visto che, cazzo, era sua figlia, possibile che non avesse previsto
una cosa del genere?
Si
sporse dalla finestra, rimpiangendo il suo superolfatto da vampiro.
Poi si ricordò di essere l'angelo custode della fuggiasca. Gli fu
sufficiente concentrarsi un momento, isolare i sensi umani
dall'ambiente e soffermarsi su quel blando ma costante richiamo. Sapeva trovarla:
doveva solo volerlo.
Un
attimo dopo, senza nemmeno sapere come diavolo aveva fatto, si era
materializzato ad un metro da lei.
Teletrasporto?
Fico! – ebbe appena il
tempo di pensare.
Seguì
un prevedibile strillo isterico. E Damon non trovò di meglio da fare
che agguantarla e tapparle la bocca, trascinandola nel buio di un
vicolo. Mentre lei gli scalciava addosso, rifletteva sarcasticamente
sul fatto che era perfetto, proprio perfetto: stava giusto
suggellando definitivamente il terrore ambiguo che aveva nei suoi
confronti.
–
Finiscila di
scalciare. E se provi a strillare ancora ti faccio la presa
vulcaniana. – l'ammonì secco.
Lei
si quietò, ma senza troppa fretta. Damon si azzardò a toglierle la
mano dalla bocca, ma non mollò certo la presa. La voltò, ma lei
aveva il viso nascosto dal cappuccio della felpa. Ansimava di terrore
e quelle sfumature nella sua aura erano come stilettate al cuore: era
orribile che avesse paura di lui. Si sentì una merda.
–
Smettila. – fece
cercando di non essere troppo brusco – L'hai capito chi sono, è
assurdo che hai paura di me. –
Lenny
trovò il coraggio di occhieggiarlo da sotto il cappuccio, poi
abbassò nuovamente la testa.
Damon
sospirò di frustrazione: – Andiamo a casa. –
Sentendo
che puntava i piedi, si voltò accigliato e restò in attesa.
–
Non ho paura di te.
– gli confessò con un filo di voce.
Era
la pura verità. Eppure aveva paura quando c'era lui: era qualcosa
che aveva a che fare lui e Damon non capiva cosa. Forse erano i ricordi che
non riuscivano a tornare a galla: nella vita precedente non è che
tra loro due fosse stata sempre rose e fiori. Forse era solo una
ragazzina impaurita da quella situazione: avere a che fare con un tizio
sconosciuto che si presentava come il suo angelo custode e la
bersagliava di sarcasmo. O forse era altro. Non era quello il momento
di approfondire – per nessuno dei due.
Damon
grugnì tra sé e la lasciò andare. Tanto l'avrebbe seguito. E
infatti prese a trotterellare dietro di lui mentre tornava verso casa
loro.
Restarono
in silenzio per tutto il tragitto.
~~~
Mystic
Falls, sempre 11 settembre 2028
Caro
diario,
Ti
ricordi quando ti ho detto che questa era una giornata di merda? Be',
mi correggo: questa è una ORRIBILE, DISGUSTOSA, SCHIFOSSIMA giornata
di merda. Ecco. Forse così ho reso un minimo l'idea.
Ti
chiederai il perché. Be', preparati, perché...
OGGI
L'HO INCONTRATO!!!
Non chiedermi di
descriverti com'è fatto: ti dico solo che è anche più figo di
com'è nei sogni, ma lo è in modo... diverso, ecco. Non so come
spiegartelo.
È il classico
tipo che se lo incontrassi per strada mi starebbe immediatamente sui
coglioni. Si atteggia a quello con la battuta pronta e la lingua
tagliente, sempre pronto a prenderti per il culo. Non sai quante volte m'è venuta voglia di prenderlo a schiaffi, te lo giuro! Peccato che, per
quanto le sue cazzate m'infastidissero, la sua voce mi piaceva
troppo.
Ma non ti ho
detto la parte più assurda! Tieniti forte, eh... perché questo
spiega un sacco di cose!
È IL MIO ANGELO
CUSTODE!
Non sto
scherzando e non sono impazzita del tutto. Ti ricordo che sono una
strega: noi le SENTIAMO certe cose. E io l'ho sentito subito, ma l'ho
capito solo dopo, quando mi ha trovata per strada.
Oddio... oddio,
non farmi ricordare quello! No, questo non te lo racconto adesso.
Devo ancora assimilare tutto.
A questo punto
ti chiederai come può essere stata una giornata di merda. Be', è
semplice: lui e mio padre. Insieme. Per una CENA INTERA.
So che mi ha
guardato l'aura e più di una volta. DAVANTI A PAPÀ! Merda, era
imbarazzante! Il nostro primo incontro è stato disastroso, sotto
ogni punto di vista! E io non posso più rimediare!
Lenny gettò via la
penna con insofferenza e si buttò sul letto.
Se lo sentiva da
sempre che prima o poi l'avrebbe incontrato, aspettava quel momento
da secoli, aveva cercato di prepararsi in tutti i modi, e poi...
PUFF! Era successo tutto una sera qualsiasi di un giorno qualsiasi ed
era già finito. L'avrebbe sicuramente rivisto, ma lui non avrebbe
mai pensato a quanto il loro incontro era stato perfetto e speciale.
Perché non lo era stato affatto.
Si rannicchiò in
posizione fetale, colta da un disagio estremo che le attanagliò lo
stomaco.
Lui era era nientemeno che un angelo e
lei non era degna nemmeno di dirgli “ciao”. Non avevano niente da
spartire, nessun segreto speciale da condividere. Aveva molto più in comune con suo
padre, benché fosse un dampiro...
Una lampadina le si
accese in testa. Saltò su dal letto e frugò tra le mensole alla
ricerca del libro. Quando lo trovò, le mani le tremavano: il primo
capitolo della saga di Elena. Tornò sul letto e ci si sistemò in ginocchio,
sfogliando febbrilmente le pagine. Quando arrivò al pezzo, perse un
battito – o forse due?
Richiuse il libro
con un rumore sordo e lo abbandonò sul comodino, occhieggiandolo
timorosa.
Elena aveva usato
degli pseudonimi, ovviamente, ma Lenny conosceva la storia a memoria.
Prima ancora che si mettesse a pubblicare best-seller, la sua prima
fan era stata lei, come amava ricordare in famiglia. Da quando le
avevano detto la verità su tutti loro, chiedeva continuamente di
raccontare le loro storie ed Elena era stata sempre quella più
disponibile. Poi si era stufata di ripeterle le stesse cose
all'infinito e le aveva messo in mano la bozza del suo primo
romanzo, e così Lenny aveva potuto leggere in anteprima mondiale
quello che già conosceva – anche se un po' romanzato ovviamente.
Riconobbe tutti i
personaggi nelle persone che le giravano intorno da quando era
bambina, e fu strano, molto strano, ma divertente. Tutti, li
riconobbe, persino quel tale vampiro Dylan Santacroce, fratello
maggiore di Sean, il fidanzato della protagonista, Emily. Lo descriveva esattamente come il tizio dei suoi sogni. E Lenny non conosceva nessuno così, nessuno che gli somigliasse seppur vagamente... tranne quel
ragazzo ritratto nei dagherrotipi del maniero Salvatore, di cui tutti
parlavano poco in famiglia, ma che Lenny aveva sempre saputo essere
il fratello maggiore di Stefan: Damon, morto tanti anni prima, ai
tempi della guerra di secessione. All'epoca non ci aveva fatto molto caso: si era detta che Elena per descrivere il suo Dylan doveva aver preso spunto quei dagherrotipi.
A lungo andare, quell'idea l'aveva assimilata lei stessa. Magari si sognava quel tizio perché le erano rimaste impresse le foto. Chi poteva saperlo?
Balle! Tutte balle! Gliele avevano sempre rifilate e lei ci si era adattata. Ma adesso
l'aveva conosciuto, questo Damon. E – sorpresa, sorpresa! – il
suo modo di fare era identico a quello del Dylan dei romanzi
di Elena. Per quanto la riguardava, non era servito a niente il
teatrino messo su da suo padre durante la cena: Damon non era una sua
conoscenza di un secolo e mezzo fa. I romanzi di Elena assumevano tutta un'altra ottica, adesso.
I pezzi del puzzle
andarono tutti al loro posto e Lenny si sentì come una novella
Sherlock Holmes.
Non c'era alcun
dubbio: la sua famiglia era colma di scheletri nell'armadio.
Scheletri che in qualche modo riguardavano anche lei. Se solo avesse
avuto più dimestichezza con la magia...! Ma l'unica strega che aveva
anche solo sentito nominare, era andata via da Mystic Falls quando
lei era una poppante e adesso viveva al di là dell'Atlantico. E dalle
chiacchiere origliate in famiglia non sembrava in procinto di tornare
a casa.
Ma ho i suoi
grimori.
Nonappena Lenny
aveva mostrato i primi, inequivocabili segnali possedere il Dono, Pas
le aveva dato accesso alla sua libreria. Sì, vabbè, non
completamente... ma qualche libro le concesse di consultarlo: i
vecchi grimori della famiglia Bennett, per la precisione. Tomi che
evidentemente suo padre, per una qualche colossale svista, non aveva
mai letto per bene. Perché Lenny vi aveva trovato delle cosette
molto interessanti, che le fornivano un punto di vista tutto nuovo
sulla sua situazione.
Lenny si alzò
piano dal letto e si avvicinò cauta alla sua scrivania. Facendo
attenzione a non fare rumore, aprì il cassetto e ne estrasse un
volume. Suo padre non si era nemmeno accorto che da mesi mancava
all'appello: l'aveva sottratto per poterlo studiare meglio. Sfogliò
le pagine antiche con delicatezza, fino a trovare quella su cui si
era concentrata tanto a lungo.
Un incantesimo di
memoria.
Le dita che
tenevano la copertina sbiancarono. Lenny non aveva la minima idea di
come fare, ma sapeva – sentiva – che aveva bisogno di un
controincantesimo. E che la soluzione era celata in quelle pagine.
Alzò lo sguardo
sul calendario belle époque appeso sopra la sua scrivania. La luna
piena per quel mese era già passata senza che lei avesse risolto
niente. Quella dopo cadeva nella stessa settimana del matrimonio: non
se parlava, troppi casini. Avrebbe dovuto aspettare fino al due
novembre.
Richiuse il
grimorio e lo nascose nuovamente nel cassetto. S'infilò nel letto e
spense l'abat-jour di vetro colorato. La stanza passò dalle luci
calde e multicolori al buio più totale.
Aveva un mese e
mezzo per trovare quel controincantesimo, rifletté accoccolandosi
per bene sotto le coperte.
Un mese e mezzo.
Con un matrimonio alle porte. E devo gestire anche lui.
Prima
addormentarsi, l'ultimo pensiero di Lenny andò a Damon.
– L'hai capito
chi sono, è assurdo che hai paura di me. –
– Non ho paura
di te. –
Ho paura di me.
*
– Papà? Sei in casa? –
**
– Chi è quel tipo?! –
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