Fear of Silence

di Horrorealumna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Quattro Anni Dopo ***
Capitolo 3: *** Un Dolce Risveglio ***
Capitolo 4: *** La Partenza ***
Capitolo 5: *** L'Album Da Disegno ***
Capitolo 6: *** L'Incidente ***
Capitolo 7: *** Benvenuti a Silent Hill ***
Capitolo 8: *** La Misteriosa Ragazza ***
Capitolo 9: *** Radio e Cenere ***
Capitolo 10: *** Levin Street ***
Capitolo 11: *** Realtà o Finzione? ***
Capitolo 12: *** Come Sole e Luna ***
Capitolo 13: *** Certezza Telefonica ***
Capitolo 14: *** Il Mostro Della Caldaia ***
Capitolo 15: *** La Donna ***
Capitolo 16: *** Visioni ***
Capitolo 17: *** Le Marionette Della Città ***
Capitolo 18: *** Il Diario Di Alessa ***
Capitolo 19: *** Lisa Garland ***
Capitolo 20: *** I Segreti Di Silent Hill ***
Capitolo 21: *** Priorità e Scelte ***
Capitolo 22: *** Complotti ***
Capitolo 23: *** Un Demone Tentatore ***
Capitolo 24: *** Tenebre In Cima Al Faro ***
Capitolo 25: *** Stallo Sul Carosello ***
Capitolo 26: *** Il Flauros ***
Capitolo 27: *** La Famiglia Riunita ***
Capitolo 28: *** Persi Nei Sogni ***
Capitolo 29: *** Una Promessa Da Mantenere ***
Capitolo 30: *** Mondo Di Ruggine ***
Capitolo 31: *** Il Pupazzo e Le Nuvole ***
Capitolo 32: *** Una Finestra Sul Passato ***
Capitolo 33: *** La Neonata ***
Capitolo 34: *** Un'Ambigua Parentela ***
Capitolo 35: *** Benvenuti nel Nowhere ***
Capitolo 36: *** Fino Alla Morte ***
Capitolo 37: *** Un'Anima Alla Chiamata ***
Capitolo 38: *** Lacrime D'Angelo ***
Capitolo 39: *** Senza Un Domani ***
Capitolo 40: *** Preludio Di Un'Orribile Maledizione ***
Capitolo 41: *** L'Incubo e l'Incubatrice ***
Capitolo 42: *** La Notte In Cui L'Eternità Ebbe Inizio ***
Capitolo 43: *** Un Mostro nei Suoi Occhi ***
Capitolo 44: *** Paese Natale ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Allora, premetto che questa è la mia prima fan-fiction e quindi non penso sia un granché. E’ incentrata su Silent Hill 1 della KONAMI (naturalmente tutti i diritti riservati, non intendo infrangere nessun copyright ecc.), un grande horror psicologico che adoro e ho voluto rivisitare in questa fan-fiction. Mi piacerebbe ricevere qualche commento giusto per capire se vado bene e posso andare avanti. Bando alle ciance allora!
 

 
PROLOGO
 

Rimanevo con lo sguardo fisso sulla strada. Stavamo tornando a casa, finalmente un po’ di relax dopo questa vacanza. In realtà non sembrava fossimo stati ad una bellissima vacanza. Volsi lo sguardo al sedile accanto: Jodie aveva lo sguardo perso nei campi d’autunno che si affacciavano attorno a noi; i suoi occhi erano spenti e vuoti e il sole che tramontava faceva luccicare le lacrime che, trattenute dai suoi occhi d’ebano, non ne volevano sapere di scendere. Aveva notato il mio sguardo ma non disse niente … era stato uno strazio per lei sapere di essere portatrice di quella piaga, quella malattia … mi fa male solo il pensiero di quello che potrebbe succederle se … no, non devo pensarci.
Intanto notai che il traffico si stava facendo sempre più intenso. Jodie sospirò.
- Che succede? - chiesi e lei con un filo di voce mi sussurrò - Va tutto bene, Harry - .
Poverina, sapevo che talvolta invadevo i suoi spazi e mi preoccupavo troppo ma lei era tutto quello che avevo e dovevo proteggerla come il più prezioso dei tesori. In questo periodo così difficile pensavo che la vacanza le avrebbe fatto bene, che le avrebbe fatto tornare il sorriso, ma avevo torto evidentemente. Da quando seppe che le era impossibile concepire a causa della malattia, non l’avevo più vista sorridere; anche il mio cuore ebbe un sussulto alla notizia del dottore. Perché non adottare? Bhè l’avremmo fatto volentieri, ma i soldi dov’erano? Talvolta di notte la sentivo piangere e pregare: chiedeva al Signore di portare un po’ di sollievo nella sua vita e Gli confidava il suo desiderio di essere mamma. Poi pregava per me … era una cosa che mi faceva rimanere sveglio tutta la notte: maledetto senso di colpa! Se solo avessi potuto darle di più. Jodie … io sarò sempre con te, in salute e in malattia finché morte non ci separi. Sembrava una frase così stupida quando la pronunciammo davanti all’altare e ora…

 
Tossì violentemente. La guardai e lei, supplicante, chiese di accostarci da qualche parte perché aveva bisogno di prendere una boccata d’aria. Accostai e scendemmo dalla vettura, dal duro asfalto autostradale finimmo in un campo di foglie secche che scricchiolavano teneramente schiacciate dai nostri piedi. Jodie respirò profondamente.
- Grazie Harry. Cosa farei senza di te, amore? Il modo in cui ti prendi cura di me … bhè … - . Timidamente volse lo sguardo all’orizzonte verso il sole quasi scomparso per nascondere le lacrime. 
-  Senti, visto che ormai siamo qui fuori, che ne dici di fare un giretto qua intorno? Dai vieni - le dissi. Non volevo farla sentire diversa o come un ostacolo per la mia vita o la mia libertà. Allora la presi per la mano e ci indirizzammo verso dei vecchi alberi ormai completamente secchi. I loro rami formavano disegni veramente strani. Lei mi osservò curiosa mentre si toglieva il maglioncino che indossava legandoselo alle spalle.
- Aspettami là – le dissi indicando i vecchi alberi – Arrivo subito con una sorpresa per te.
Lei annuì e io mi diressi verso una piccola macchia di margherite e altri fiori graziosi: le avrei fatto una piccola coroncina di fiori come quelle che mia madre mi insegnò quando ero piccolo. Ci misi qualche minuto …  e sarebbe stata pronta se un urlo non mi avesse fatto cadere dalle mani i fiorellini.  
-Harry!! Corri, presto! C’è … qualcosa qui!-
 Mi precipitai verso Jodie, era stata lei a gridare. Aveva una mano sul petto e respirava affannosamente con gli occhi sbarrati: fissava un cumulo di coperte sporche per terra e … si muovevano?
- Controlla Harry. Fa degli strani versi e … ho avuto paura! - Anche io ho un po’ di paura le avrei voluto dire ma non era il momento di fare il fifone. Mi avvicinai cautamente al fagotto mentre Jodie mi camminava accanto. Mi chinai e lo raccolsi: conteneva qualcosa di morbido, piccolo, innocuo, caldo e …  piangente? Mi scappò un mezzo sorriso mentre scostai il bordo della coperta più leggera che nascondeva … il più dolce visino che io abbia mai visto in vita mia. Appena i suoi occhi incrociarono i miei il pianto cessò.
Jodie incuriosita si fece avanti incredula: - Non ci posso credere! Harry! E’ un neonato.
- E’ stato abbandonato qua!? Meglio cercare la madre. Jodie, tienilo tu coraggio! – Lo passai controvoglia a mia moglie che, impreparata, lo accolse nelle sue braccia. Era stata davvero una bella sensazione tenere in braccio quel batuffolo rosa, lo avevo sentito così vicino al mio cuore in tutti i sensi! Ero sicuro che per Jodie sarebbe stato lo stesso.
Io mi allontanai da loro e cercai di scorgere qualcuno anche se la luce stava lentamente andando via. Mi era sembrato di scorgere l’orlo di un vestito dietro un cespuglio, ma forse me l’ero solo immaginato. Tornai di corsa dal neonato.
- E’ una bambina – disse Jodie mentre tornavo. – Ed è bellissima … -
- Non ho trovato nessuno qua vicino; chiunque l’abbia abbandonata sarà già lontano. Come si fa a lasciare sola una bambina come questa?!- dissi guardando quel dolce visino.
Jodie mi fissò e io ricambiai lo sguardo. Finalmente dopo tanto tempo la rividi sorridere, il sorriso bellissimo e radioso della donna di cui mi ero innamorato. Anche io sorrisi: avevo già capito tutto e ne ero entusiasta; Jodie strinse affettuosamente la bambina sopra il petto.
Tornammo in macchina, la piccola con mia moglie. Incrociai i loro sguardi: avevano tutte e due dei bellissimi occhi castani da mozzare il fiato. La piccoletta sorrise quando misi in moto la macchina.
Eravamo quasi arrivati quando sentì Jodie ridere mentre la coccolava, poi si rivolse a me:
- Cheryl, la chiameremo Cheryl.
- Benvenuta nei Mason – le sussurrai dolcemente.
Ora con la piccola e Jodie felice mi sentivo veramente l’uomo più fortunato del mondo.
 
Benvenuta piccola Cheryl!

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Capitolo 2
*** Quattro Anni Dopo ***


Quattro Anni Dopo
 

Lampo e …
Buuum!
Silenzio. Lampo e …
Buum!
Ancora silenzio, lampo e …
Buuuuum!
Quell’ulimo lampo illuminò completamente la stanza. Io ero a letto immobile: non riuscivo più ad addormentarmi. La tempesta sembrava voler continuare ancora per un bel po’. Non mi andava di alzarmi, mi sentivo debole come non lo ero mai stato. Guardai la sveglia. Che noia erano solo le tre di notte e non avevo voglia neanche di dormire. Mi passai una mano tra i capelli … da quanto tempo non curavo più il mio corpo? Da quanto tempo non avevo più voglia di fare niente? Da quanto tempo mi sentivo così spossato?
Quasi tre mesi … mormorai a me stesso.
Mi girai su un fianco; da quanto tempo il letto matrimoniale mi era sembrato sempre così incredibilemente vuoto? Da quanto tempo non uscivo più di casa?
Quasi tre mesi … dissi a me stesso.
Un improvviso senso di nausea mi avvolse, ma cosa avrei potuto vomitare? La bile?! Presi un lungo respiro e chiusi gli occhi.
Da quante notti ti sogno? Da quanto tempo non ti vedo più, Jodie?
-QUASI TRE MESI, gridai.
 
Perché te ne sei andata? Perché ora?! Tu, che hai sempre sognato una vita come quella delle favole, non meritavi di morire così giovane. Mi hai lasciato un vuoto enorme che non voglio colmare … per ora. No. Mai.   Eri la mia vita.
Ti avevo notata particolarmente pallida quei giorni maledetti; tu come una sciocca mi dicesti di non pensarci. Poi la corsa in ospedale. La malattia ha stroncato la tua fragile vita ma non potrà mai spezzare il sentimento che ancora provo per te, anche ora che sei in cielo: lo stesso sentimento che provai quando ti vidi per la prima volta a scuola, lo stesso sentimento che provavo quando ci sposammo …
 
Quella notte ti sono stato sempre vicino, fino al tuo ultimo respiro. Stringevo la tua mano incredibilmente fredda e priva di forze.
- Vai ora. Prenditi sempre cura di nostra figlia, Harry.  
Furono le tue ultimissime parole; parole che conservo, incise, nel mio cuore.
Eppure ho molto vacillato dopo quella notte. Non sono più uscito di casa dopo il funerale. Ho pianto giorni e notti per te. Molte volte ho perfino pensato di … suicidarmi … farla finita e rivederti, un po’ come Romeo e Giulietta. “Ecco l’uomo orribile che sono” ripetevo a me stesso quando, sul punto di lanciarmi da una finestra o ficcarmi un coltello in pieno petto, ricordavo le tue ultime parole. 
 
Ecco la luce e …
Buuuuuuuuuuuuuum!
 
- Papà …
Mi voltai di scatto. Era sull’uscio: i capelli neri corti e spettinati incorniciavano il suo bel visino innocente da bambina. Aveva il pigiama rosa addosso. Con la mano sinistra stringeva il suo orsacchiotto giallo con l’altra si strofinava un occhietto stanco.
- Dimmi piccola, qualcosa non va? – le dissi mettendomi a sedere.
I suoi occhietti neri si spalancarono completamente e iniziò a tirar su con il nasino:
- E che … e che io ho paurissima dei temporali.
Che dolce, si sentiva in colpa: forse pensava di avermi svegliato per questa banalità. Lei, contrariamente a me, aveva accettato passivamente la morte della mamma; inoltre non avevamo mai detto alla piccola che era stata adottata: pensava di essere nostra figlia naturale. Forse quando sarà abbastanza grande glielo dirò. Spero tanto che quando lo scoprirà e avrà una sua vita la non si allontanerà da me.
- Vuoi dormire insieme a papà, nel lettone? – le chiesi dolcemente
E lei non se lo fece ripetere due volte: si strofinò ancora gli occhi e si buttò sul lettone vicino a me, raggomitolandosi sotto le calde coperte. Chiuse gli occhi, strinse il suo orsacchiotto e poi sussurrò:
- Ecco qua! Ora con il mio papà non ho più paura di niente perché tu stai con me! Ah papà mi racconti la storiella di Cenerentola?
- D’accordo ma poi fai la nanna.
Iniziai il mio racconto, con la piccola che mi correggeva ogni minimo particolare, rimproverandomi in modo buffo e infantile
- Papà!! Ma come fai a non ricordarti della matrigna!
E ridevamo tanto.
 
Quando passavo del tempo piacevole con Cheryl il tempo volava e il suo faccino mi ricordava Jodie e la sua promessa.
 Poteva anche lei sentire il vuoto che sentivo io? Poteva sentire l’assenza di una madre? Chissà se la sua vera mamma era ancora viva …
Dopo il vissero tutti felici e contenti di Cenerentola, sprofondò in un sonno profondo.
Certe notti la piccola si alzava dal letto e iniziava a camminare verso la finestra o verso la porta, come se volesse scappare. Poi si svegliava e come se niente fosse tornava a dormire. Lei non mi diceva niente: avevo scoperto questa stranezza da solo e la prima volta, vedendola camminare decisa nel corridoio come fosse un fantasma, avevo avuto un tuffo al cuore per la paura. Forse questo sonnambulismo finirà quando sarà più grande. Se lo merita.
Cheryl è la bambina più dolce che abbia mai conosciuto (decisamente pochi). Ha un carattere così … non so bene come spiegarlo … bhè, sono cresciuto con l’idea che ognuno di noi ha una metà oscura e cattiva ed una buona e dolce. Credo che Cheryl sia sprovvista della prima metà! Sembra una cosa assurda ma lei non ha mai fatto capricci in vita sua, ha sempre ascoltato e obbedito a me e Jodie e non l’ho mai vista contrariata o col muso lungo! E’ sempre stata una cosa che mi ha sorpreso, oltre a darmi piacere come genitore. Cheryl non ha mai urlato, pianto per capricci o strillato … sembrava anche più grande dei suoi quattro anni.
Era proprio una brava bambina …
Cheryl, ti proteggerò sempre. Papà è qui per te.
 
 
 
In quello stesso istante, sotto la tempesta, c’era una bambina. Era coperta da un mantello e dall’ esterno guardava attraverso la finestra chiusa di casa Mason, quasi a voler spiare la gente che ci abitava:
 
- Ecco …
 
Un sussurro nel vento …
 
 

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Capitolo 3
*** Un Dolce Risveglio ***


Un Dolce Risveglio
 
- Contenta piccola? Tra un po’ tornerai a scuola; il secondo anno è ancora più impegnativo del primo, tesoro. E sono sicuro che sarai la prima del …
- Papà … io ho solo sette anni: ci sarà nell’istituto qualcuno più intelligente di me. E poi io odio la scuola.
Eravamo seduti vicini, la colazione appena finita. Cheryl mentre osservava la finestra con aria impaziente, sospirò e sussurrò:
- Però quest’anno niente vacanze …
Era vero: non avevo accumulato molto in quei mesi. E’ uno degli svantaggi nell’essere uno scrittore freelance; non sempre arrivano i soldi. Avrei tanto voluto portare Cheryl in qualche parco divertimenti o in qualche bella città, magari anche all’estero ma … lei mi capiva. Per me era ancora un periodaccio.
- Sai Cheryl, se i soldi crescessero sugli alberi ti avrei portata dappertutto – le dissi.
Poi si alzò e corse verso la finestra, come se avesse visto o sentito qualcosa. Le chiesi che c’era.
- Un gattino forse … era nel nostro giardino.
Poi piovve un silenzio davvero lungo e imbarazzante. Odio quando non si ha niente da dire, è più forte di me. Mi alzai e la raggiunsi. Com’era dolce, la mia piccina: aveva lo sguardo perso nel vuoto come se si fosse incantata e osservava il via vai delle automobili, un po’ sognante.
Le accarezzai i morbidi capelli neri ma lei era stranamente assente.
- Posso andare a dare l’acqua ai fiorellini, papà? – mi chiese.
Cheryl adorava il verde, la natura e soprattutto le farfalle. Adorava seguirle per ammirarne i bellissimi colori. Ah,Cheryl collezionava anche insetti . . . però solo quelli più belli. Ne aveva un bel po’ chiusi in una teca vicino al suo lettino.
Ricordo che Jodie odiava gli insetti; chissà cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che Cheryl portava degli scarafaggi nella sua stanzetta . . .
Ma più di ogni altra cosa Cheryl adorava, anzi amava disegnare. Per il suo quinto compleanno le avevo regalato un album da disegni che stava ancora ultimando; però la “streghetta” non voleva che li guardassi, diceva che era una sorpresa ed io avevo rispettato questa sua scelta. Cosa mi potrebbe nascondere una bambina di sette anni appena compiuti?!
- Certo che puoi andare in giardino, Cheryl ma copriti bene.
Era autosufficiente al massimo in fatto di vestiti, sarà un quinto senso prettamente femminile?
Scappò via con un sorriso sulle labbra.
Mi sedetti sul divano e accesi la TV mentre sentivo la porta principale chiudersi.
- E NON ATTRAVERSARE LA STRADA! – le gridai. Chissà se mi aveva sentito …
 

 
Come sono belli questi fiorellini. Quanto vorrei poterne sentire la delicatezza al tatto. Peccato che non posso.
 Sono circondata dal verde delle foglie. A casa mia non ci sono così tanti colori. Mammina non l’avrebbe mai accettato. Bhè posso godermi questi colori un altro po’. Guardo il cancello ora: quante auto! Davanti a casa mia non ne passavano così tante: questo sembra un fiume! Sfrecciano in continuazione e non si fermano più; quanta fretta! Non sono mai salita su un’ automobile, chissà com’è dall’interno …
Arriva una folata di vento abbastanza forte, l’autunno è quasi arrivato ma il sole è ancora forte e splendente.
Mi siedo per terra, immersa nei colori vivaci dei fiori. Si sta davvero bene.
Davanti al cancello passano due ragazzine vestite con pantaloni e camicetta davvero … scollata?! Se mi fossi vestita così nella mia città o, peggio, davanti a mia madre mi avrebbero fatto rinchiudere in qualche manicomio. Incrociammo i nostri sguardi, il mio timido e riservato e il loro alto e un po’ disprezzante. In quei pochi secondi mi squadrarono e ridacchiarono sotto i baffi, divertite forse per via del mio vestito un po’ consumato. So che è quasi una vita che lo indosso ma ha un significato particolare per me.
Bene, se ne sono andate, scomparse dietro una siepe. Non mi piace quando la gente mi fissa.
Mi alzo e mi stiracchio; mi avvicino al cancello e affaccio leggermente la testa fuori dal giardino quando …
WOOOUULFFF
- AAAAAaaaaaaahhhhh! – grido e mi ritrovo a terra.
Un muso lungo e nero, il muso di un cane! Mi era piombato davanti alla faccia e mi aveva parecchio spaventato: io ODIO i cani, è più forte di me.
Continua ad abbaiare, ma basta ora! Fermati! Il padrone lo prende, mi chiede scusa e porta via l’animale. I cani mi fanno paura e per di più non riesco nemmeno ad alzarmi per quanto sono scioccata. Ho questa fobia da un bel po’ di anni, lo ricordo ancora purtroppo. Dovevo avere sei anni e stavo tornando a casa dopo la scuola; una mia compagna di classe aveva legato al cancello il suo cane, un doberman nero e per niente amichevole. Mentre iniziai ad incamminarmi, lei aizzò il cane verso di me e slacciò il guinzaglio: il cane corse verso di me, ringhiando e abbaiando come un matto.; iniziai anche io la mia pazza corsa mentre le mie compagne di classe ridevano a crepapelle. Alla fine, stremata, mi arrampicai su un albero e il doberman dopo un po’ mi lasciò perdere. Bella classe, vero?!  Per fortuna che quei tempi sono finiti.
Mi rialzo e tolgo del terreno dal mio vestito. Guardo la finestra. Dov’è?
- Ehi ciao amichetta mia!- eccola dolce più che mai: Cheryl. La guardo: com’è … mi ricorda me stessa …
- Ciao Cheryl, ti aspettavo io …
- Ti piace il nostro giardino? Io e papà lo abbiamo curato insieme tutto l’anno. Tu hai un giardino in quella città, com’è che si chiama? Vabbè, hai capito!
- Come sei chiacchierona. Comunque no. Casa mia non ha un giardino bello come il tuo.
- Oh. Vuoi vedere i miei nuovi disegni?
- Va bene.
Non andavo spesso a farle visita. Solo pochissime volte l’anno altrimenti sarebbero stati guai.
Mi mostra il suo album: disegna davvero bene. Appena finito ci sediamo sul ciglio della strada. Cheryl è così intelligente, possibile che non abbia mai notato le tante cose che abbiamo in comune.
 
Ma il tempo era giunto. Dovevo farlo. Dovevo chiederglielo ancora o per me sarebbe stata la fine.
- Cheryl. Vengo sempre io a farti visita. Casa tua è davvero bella. Ma sai … a me farebbe davvero piacere se un giorno venissi tu a casa mia. Vieni a farmi visita, ti prego. A casa mia sarai come … come una … una regina!
I suoi occhi brillarono felici. Avevo sicuramente catturato la sua attenzione. Però un secondo dopo i suoi occhietti si chiusero e la sua bocca si aprì in un grande sbadiglio.
- Scusa – disse – stanotte ho avuto un incubo e poi non mi sono più addormentata.
Mi sorrise.
-Devo solo convincere papà. Però amichetta mia, non capisco: perché ogni volta che ci vediamo me lo ripeti. Sei così impaziente di mostrarmi casa tua? E se papà dice di no?!
- Tranquilla Cheryl. Cambierà idea questa volta. Lo sento.
Spalancò gli occhi:
- Anche tu qualche volta senti i sentimenti di qualcun altro, allora! Forse tu senti quelli di papà. Io invece credo di sentire un … dolore. Una paura. Un vuoto enorme. Mi succede qualche volta, soprattutto quando sono confusa o sono in silenzio. Sento sensazioni ed emozioni che non sono mie. E’ normale?
Era spaventata. Il tempo stava per scadere.
- Se vieni da me, troverai le tue risposte. Ora vai a casa, Cheryl. Ci rivedremo presto ma ora devo andare.
Bene. Tutto è pronto. Ora corre verso casa.
Io resto sul ciglio della strada ancora per un po’.
Dopo qualche minuto vedo un bambino venirmi incontro. Ha i capelli corti e biondi. Deve avere circa sette anni. Mi parla:
- Salve signorina. Ti ho visto prima mentre parlavi a Cheryl. Se la rivedi le puoi dire che io, Andy, voglio diventare suo amico o fidanzatino. Può decidere lei! Ma ti prego diglielo. Sono troppo timido per dirglielo di persona.
E questo chi è? Un suo spasimante!? Precoce il piccoletto! Tanto vale scoraggiarlo:
- Scusa Andy. Ma non parlerò più con Cheryl. Lasciala perdere, piccolo: tra qualche giorno andrà via e non farà mai più ritorno.
L’ho spaventato? Andy scoppia a piangere e corre via.
Perché piange?! Non l’ho mica offeso: tra un po’ Cheryl mi farà visita e …
- Amichetta!!
E’ lei, Cheryl! Perché è tornata indietro? Cosa vuole ora?
- Come si chiama la città in cui vivi?? Non mi ricordo il nome!
Le sorrido. Dovrebbe sapere bene dove abito. Cammino verso di lei:  è affacciata all’uscio della porta di casa. Appoggio le mie labbra sul suo orecchio e sussurro dolcemente:
- Silent Hill. 

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Capitolo 4
*** La Partenza ***


La Partenza
 
- Ho fatto delle ricerche: Silent Hill è presso il lago Toluca, potremmo andarci; c’è anche il luna-park “Lakeside” … scommetto che lì ti divertiresti un mondo.
- Sì, sì. Ok.
Era da un po’ di tempo che Cheryl mi chiedeva di andare a Silent Hill a trascorrere questi ultimi giorni d’estate. Nelle scorse settimane non parlava d’altro: Silent Hill di qua, Silent Hill di là, tanto che ogni volta lei mi supplicava di andarci dicendo che era importante per lei trascorrere là le vacanze, mi faceva venire il mal di testa.
Le avevo spiegato che avremmo potuto visitare qualche altro posto, più interessante, ma lei sembrava convinta della sua scelta. I primi tempi cercai di evitare quell’argomento e se lei lo avrebbe riproposto avevo la mia risposta:
No, tesoro. Magari un’altra volta. Potremmo andare da qualche altra parte e ti divertiresti di più.
Ma non funzionò mai: lei iniziava a piagnucolare, andava nella sua cameretta, incrociava braccia e gambe e metteva il broncio per tutta la giornata, forse pensando a qualche altro modo per convincermi. Non riuscivo a vederla così triste, era la prima volta, perché Cheryl è una bambina solare e vivace, sempre pronta a sorridermi. Ora la vedevo spenta, cambiata ed ero certo che anche lei si era accorta di questo cambiamento repentino della sua personalità … forse ne accusava i “primi sintomi”: si lamentava (oltre di Silent Hill) di una perpetua e forte emicrania, che la rendeva debole e stanca, gli incubi aumentavano e, cosa ancor più stana, sentiva dolore su tutto il corpo. Diceva che era come se una marea di pugnali infuocati la trafiggessero in continuazione; naturalmente l’avevo portata a far visitare ma il dottore aveva detto che era sana come un pesce e che erano solo fantasie infantili per attirare l’attenzione. Sarà … ma sembra soffrire davvero. Certe notti la sentivo soffocare il pianto affondando la testa nel cuscino.
Mi faceva davvero pena, così acconsentì alla sua richiesta: l’avrei portata in quella città, Silent Hill. Forse là si sarebbe sentita meglio …
Quando venne a sapere la mia risposta, non fu felice, né entusiasta: mi chiese quando saremmo partiti, sembrava avere fretta … troppa fretta. Non c’era niente di speciale là: qualche museo, il parco, il lago, il luna-park …
Avevo fatto delle ricerche e ho scoperto che era una meta molto famosa ma che dopo alcuni strani eventi era rimasta a corto di visitatori. Per esempio, si racconta che una nave che attraversava il lago Toluca si perse dentro una nebbia innaturale e l’imbarcazione con tutti i suoi passeggeri non fu mai più trovata. Era una città dalle origini molto antiche: era un territorio abitato dagli Indiani che dettero il nome al posto, ritenendolo un posto in cui umani e spiriti potevano incontrarsi. Davvero interessante! Poi all’epoca della “caccia alle streghe”, furono arsi vive molte persone accusate di stregoneria … insomma, ha una storia davvero ricca d’avvenimenti e vicende misteriose. Ma Cheryl non la sapeva, quindi perché fremeva tanto nel visitare quella città?!
 
- Papà. Toccami la fronte: credo di avere la febbre – sussurrò Cheryl.
Mi avvicinai a lei e poggiai la mia mano sulla sua fronte: ardeva!
- C-Cheryl, tu hai una febbre pazzesca! Forse è meglio annullare il viaggio e…
- NO PAPA’! Dobbiamo andarci! Tu me l’hai promesso!
Oh santo cielo:
- Tesoro, peggiorerai se andiamo via di casa!
- Ti prego, vedrai che la febbre si abbasserà. Andiamo a Silent Hill. Devo andarci!
Non voleva sentir ragione; ma non avrebbe potuto negare l’evidenza:
- Ora ti misuro la febbre, signorinella. Poi ne parleremo!
Fui là in un attimo, col termometro in mano. La convinsi ad alzare il braccio destro e le misi il termometro sotto l’ascella, come faceva Jodie quando voleva misurarle la temperatura.
Dopo il tempo necessario, tolsi l’arnese e l’osservai:
36,6 ° C.
No, impossibile! Era bollente fino a pochi minuti fa.
- Non ci credo. Qui dice che stai bene.
Le toccai la fronte: era gelida. Lei mi guardò sorridendo con aria furbetta:
- Ti avevo detto che la febbre si sarebbe abbassata. Adesso possiamo partire?
 
 
Quell’episodio mi aveva lasciato senza parole. Cheryl non era una bambina con gli anticorpi di ferro, si ammalava facilmente e quando succedeva restava a letto per qualche settimana come minimo. Quel colpo di febbre passato in pochi secondi non mi sembrava possibile da parte sua; ero sicuro che non aveva nemmeno simulato la malattia, non era da lei.
Sbalordito come non mai, decisi di accelerare i preparativi e di interrompere altre ricerche su quella città; preparai una piccola borsa con il cambio dei vestiti della piccola e in una piccola valigia misi il mio. Non avevo nemmeno previsto come e dove avremmo passato la notte; prenderemo un appartamento solo per pochi giorni o alloggeremo in un motel. Ancora non lo so.
Chiamai la piccola Cheryl:
- Cheryl! Tutto è pronto, ora andiamo!
Aveva addosso un grazioso vestitino celeste con due gattini ricamati sopra. Questo era sopra un caldo maglioncino rosa che copriva le piccole braccia. Aveva anche delle fresche e sottili calze bianche, che le sfioravano le ginocchia. Infine portava le sue scarpette nere, le sue preferite.
Tutto era pronto. Prima andiamo, prima torniamo.
 

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Capitolo 5
*** L'Album Da Disegno ***


Allora, premetto che questo capitolo sarà un po' più corto dei precedenti, ma il prossimo sarà un capitolo IMPORTANTISSIMO per lo svolgimento della storia (sicuramente i fan di SH avranno già capito tutto ;-) ) ma non voglio anticipare altro.
Forse avrete notato che aggiorno questa storia parallelamente ad un'altra della stessa serie "FEAR OF THE DARK"; probabilemente aggiornerò più frequente mente l'altra fino a che le due storia non si "incroceranno"...
Mi raccomento, fateMi sapere che ne pensate e
BUONA LETTURA!!


L'Album Da Disegno


Eravamo saliti a bordo della mia auto. Cheryl era sul sedile posteriore col suo fidato orsetto di peluche sulle gambe. Stava zitta, che guardava il vicinato dal finestrino, con aria malinconica.
- Non preoccuparti, Cheryl. Sono sicuro che ti divertirai un mondo a Silent Hill. Non sentirai affatto la mancanza di casa, vedrai.
Cheryl non era mai partita per una vacanza così lunga: raramente aveva lasciato il paese, e se si era allontanata da casa con me era solo per fare compere e commissioni. Aveva sempre dormito nel suo comodo lettino, nella sua stanzetta con tutte le sue cose; forse sarebbe stato un po’ difficile farla andare via di casa, una volta cresciuta. Ma io immaginavo per lei una bellissima e felicissima vita, con un uomo premuroso e bravo al suo fianco e tanti bambini. Una vita come quelle delle favole; Cheryl se la meritava assolutamente!
Mi voltai a guardarla: aveva lo sguardo fisso nel vuoto, incantata.
Schioccai le dita e Cheryl tornò alla realtà, con un lieve sussulto.
- Si papà. Anche Ricky vuole vedere Silent Hill – mi indicò il suo orsetto. Lo abbracciò e gli sussurrò qualcosa, come - ...e là sarò la regina...
Ah, come è bello essere bambini. Loro riescono con una facilità impressionante ad alterare la realtà a proprio piacimento solo volendolo, facendo diventare il mondo il loro personale luna-park dove poter giocare e far vivere le loro bambole.
Chissà che mondo vedeva Cheryl quando giocava con le sue... un mondo fiabesco forse, dove lei regnava.
- Ok, vostra maestà. Ma non crede di aver dimenticato qualcosa?
- Cosa?
Tirai fuori il suo album da disegni con alcuni colori a pastello, e glieli porsi.
- Che bello, papà! Grazie! Ora sarà più facile non annoiarsi durante il viaggio. Ti voglio tanto bene.
Cheryl adorava disegnare: disegnava ogni cosa le passasse per quella sua testa piena di idee. Le regalai io quell’album per il quinto compleanno e non l’aveva ancora ultimato. Però i suoi disegni, a volte, non erano molto chiari: disegnava animali immaginari, molto strani, bambini con occhi chiusi seduti ai banchi di scuola e, cosa ancora più strana, accanto a queste rappresentazioni ambigue disegnava sempre una bambina che sorrideva, quasi compiaciuta delle disgrazie e delle deformità altrui. Quando le chiedevo spiegazioni per quei disegni, lei mi rispondeva che quelle persone le vedeva negli suoi incubi e sogni, non sapeva neanche lei chi o cosa fossero.
Spero che durante il viaggio possa disegnare soggetti un po’ più normali e carini.
- Siamo pronti per partire, Cheryl!
- Andiamo! – disse lei entusiasta. Finalmente vidi di nuovo il sorriso sulle sue labbra. Misi in moto la vettura, tutto il necessario era nel porta bagagli.
In fin dei conti questa evasione dalla quotidianità e dal lavoro freelance avrebbero fatto bene a chiunque. Si parte.
- Sarà una bellissima vacanza – dissi a me stesso.
 
 
Eccoti Cheryl. Ci sei quasi.
Avevo detto che ti avrebbe portato a casa mia. Perché mi guardi così ora? Ci vedremo là. E non preoccuparti: il senso di vuoto e tristezza presto svanirà.
Mi sorridi, debole e stanca. Anche io ti sorrido.
 La tua esistenza ora sarà completa: torniamo a casa! Lei continua a fissarmi, quasi incantata. Poi afferri un peluche vicino a te e lo abbracci. Come sei tenera!
Volgi lo sguardo sull’uomo; parlate, sorridete. Che famiglia felice che formate. Avessi avuto anche io un papà come il tuo! Ti sta porgendo qualcosa. Sembra un blocco da disegno. Tu sorridi e lo afferri, insieme ad una manciata di variopinti colori a pastello. Il tuo sguardo ritorna verso di me: orgogliosa mi mostri i tuoi oggetti.
Anche a me piace molto disegnare.
Bbbbrrrruuum
Ha messo in moto l’auto.
Cheryl sorride, alza la sua piccola mano e accenna un saluto.
Perché mi saluti? Ci vedremo a casa mia, no?! E comunque io sono là accanto a te, non qui sul freddo asfalto di questa azzurra mattina!
 
 
Avevo già detto a Cheryl che il viaggio sarebbe stato davvero lungo, ma lei sembrava essersene dimenticata: continuava a chiedere quando saremmo arrivati e a lamentarsi per la fame.
Eravamo in cammino già da un bel po’ quando, arrivata l’ora di pranzo, scendemmo a sgranocchiare qualcosina in un paesino di campagna.
Il pomeriggio trascorse lento come non mai: la radio accesa, io concentrato sulla strada più facile e breve per Silent Hill e Cheryl che guardava fuori dal finestrino in silenzio.
- Perché non disegni qualcosa, Cheryl?
Lei distolse lo sguardo dai campi. Ci pensò un po’ su e poco dopo la vidi sgusciare e scivolare verso di me, accomodandosi sul sedile accanto a me. Mi guardò con aria furbetta e poi si allacciò la cintura di sicurezza; aveva in mano il suo album e i colori.
- Disegnerò tante cose ora. E non te le faccio vedere!
Rimasi spiazzato:
- Perché no?
- Perché le vedrai quando saremo arrivati nella città!
- Ah.
Si mise subito all’opera. La sua piccola mano inesperta che scorreva sul foglio bianco.
- Poi te li faccio vedere, papà.

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Capitolo 6
*** L'Incidente ***


L'Incidente

-Cheryl, non hai fame?
-No papà, sono a posto.
Era calato il buio, la luna brillava alta nel cielo e le stelle sembravano tante piccole lucciole. Cheryl era ancora con me, accoccolata sul sedile, al mio fianco.
Per tutto il  pomeriggio aveva continuato a disegnare sul suo album e non si era mai fermata; ma ora, con il buio che incombeva, aveva finalmente smesso. I colori ormai consumati erano nella sua tasca.
Gemette.
- Cos’hai? Non ti senti bene?!
Mi guardo sorridente:
- No papà. Voglio solo togliermi le scarpette: mi danno fastidio.
- Ah – risposi io – d’accordo, toglile.
Era stanca morta. Con gesti annoiati tolse le sue scarpe nere e le adagiò vicino al sedile. Poi, riprese il suo album e lo sfogliò, soddisfatta, contemplando le sue opere. Mancavano poche ore per Silent Hill, poi mi avrebbe mostrato i disegni. Cheryl manteneva sempre le sue promesse, non era una bambina che ingannava la gente, anzi...
- Ho tanto sonno, papà – mi disse sbadigliando e stropicciandosi gli occhietti.
In effetti, era un po’tardi per Cheryl; a quest’ora lei era già a dormire.
- E allora mettiti comoda, principessina. Al tuo risveglio saremo già in città.
Sorrise felice:
- E andremo al luna-park, al lago a pescare e a visitare i parchi! Non vedo l’ora papà. Grazie per avermi portata qui. Vedrai trascorreremo un ‘ottima vacanza. Una vacanza che non scorderemo mai.
Sospirò, sognante, e, abbracciato il suo album da disegno, chiuse gli occhi.
- Non vuoi proprio farmi vedere qui disegni, eh, Cheryl?!
- No. Ho detto che te li farò vedere a Silent Hill. Buonanotte papà.
- Sogni d’oro, Cheryl.
 
 
-Ring-a-ring-a-roses,
A pocket full of posies;
Ashes, ashes
We’re all fall down
.(1)
                                                                                                                                                         ... la tua flebile voce.
Aprii la porta, quella sporca e brutta porta, portale per il mondo che io non ho mai potuto varcare. Ma ora le cose sono cambiate. Posso passare attraverso questa porta ogni volta che voglio... ma anche no. Che eterna dannazione, che è la mia! Che misera esistenza! Che schifo.
Richiusi la porta alle mie spalle ed eccomi, nella mia stanza, nel mio universo. E tu eri là, seduta sul letto, lo sguardo perso rivolto ad una crepa del muro.
- Ti ho sentita! Stavi cantando. Con me non parli mai invece? Non sei felice se sei insieme a me?
Nessuna risposta, come sempre.
Andai verso di lei, mi sedetti vicino. Presi dal mantello un’elegante spazzola e, piano piano, afferrai una ciocca dei tuoi capelli, spazzolandola dolcemente. Le dissi:
- Io non ho paura di te, sai. Di medevi fidarti.
I suoi capelli scuri era morbidi come la seta al tatto. Lei aveva lo sguardo basso. Che stai pensando? Puoi pensare?!
- Ricordi cosa ti disse la tua mamma? Presto un ospite speciale verrà a farci visita.
Chiuse delicatamente i suoi bellissimi occhi azzurri e la sua mano destra si cinse attorno ad un ciondolo di forma sferica, appeso ad una catenina dorata sul suo collo, tutto dorato e decorato con strani ghirigori.
Non mi aspettavo una sua risposta. Lei iniziò a tremare.
- Io e te, dopotutto, sappiamo perfettamente chi sia questo ospite.
Il suo tremolio diventò sempre più violento.
- Non preoccuparti il mio piano sarà perfetto. Non sarà sua. E devi rassegnarti. Non sei altro che un pezzo di carne che si muove e parla! Tu sei il niente!  Tu, dentro,  hai il NIENTE!!
Piombò un terribile silenzio.
Lei ebbe qualche singhiozzo violento e poi scoppiò in un pianto disperato, con la testa fra le mani.
- Non dico altro che la realtà. Io voglio salvarmi. Io voglio salvarti. Io voglio salvare l’umanità!
Continuava a piangere disperata. E a non parlare.
 
 
Mezzanotte in punto.
Preso l’imbocco per Silent Hill avevo visto il traffico sparire. Ora mi concentravo sulla strada, libera da ogni ostacolo. Cheryl era ancora lì che dormiva profondamente. Non sembrava aver avuto incubi perché era rimasta immobile sin dall’inizio, calma e con la bocca leggermente aperta.
Dai, siamo quasi arrivati.
BBrrrrruuuuuuuuuuuuumm, bruuuuuum...
Guardai dallo specchietto retrovisore e non credetti ai miei occhi: una moto mi stava seguendo, c’era attaccata sopra un sirena della polizia (spenta, per fortuna) e il poliziotto che la guidava stava pesantemente accelerando. Si meriterebbe una bella multa, pensai.
Sembrava avesse molta fretta. Troppa.
Accelerava sempre di più, finché decise di superarmi. Si spostò sull’altra corsia e continuò ad avanzare.
Quando si trovò alla mia sinistra, girò lo sguardo su di me e io ricambiai. Era una donna: riuscì a guardare per qualche secondo il suo viso sereno. Poi fece un cenno con la mano e, col motore rombante, accelerò ancora di più fino a scomparire dall’orizzonte. Cosa voleva dire quel gesto? Che ci fosse un incidente? Sarò più cauto.
Il rombare di quella moto, intanto, aveva svegliato la piccola Cheryl.
Mi guardò sorridente, ancora un po’ assonnata:
- Quanto manca?
- Non molto. Sicuramente tra meno di un’ora saremo già a letto.
Fu sicuramente confortata dalla bella notizia perché, voltandosi, mi rivolse un bellissimo sorriso. Anche io le sorrisi:
- Ti divertirai moltissimo, ne sono certo.
- Ah, io penso che sarai tu quello che si divertirà di più in quella città.
- In che senso?
Non mi rispose. Si limitò a guardare fuori dal finestrino, incantata da qualcosa.
Percorsi pochi metri fin quando vidi, adagiata sull’altra corsia, sul nudo asfalto grigio, una moto.
Ehi, aspetta! E’ la stessa moto di quella poliziotta. E’ a terra rotta; lei non c’è. Spero non le sia capitato qualcosa di brutto!
 
Posso già scorgerla. E’ la casa di cui la mia amichetta parlava. Ma... ma... sta bruciando?! Vedo una nuvola di fumo sopra il tetto. Riesco a vedere anche le scintille per aria. No, non sarà casa sua. Papà, tu non la vedi?
 
- Brucia...
- Hai detto qualcosa, Cheryl?
- Brucia.
Accelera.
Cosa? Avevo come sentito una voce femminile nella testa! Sarà la stanchezza, Harry.
Accelera, accelera, accelera.
Ancora?
Ti ho detto accelera!
Fu come fosse un movimento involontario. Il mio piede che pressava sempre di più sul pedale. La macchina che acquistava velocità.
Sì, accelera.
Ma cosa mi pende? In non voglio accelerare!! Cos’è questa forza...
- Brucio – sussurrò Cheryl, ma dalla sua bocca non uscì la sua voce, bensì quella di una donna adulta.
Aveva gli occhi neri fissi davanti a lei.
- Cheryl! – cercai di richiamarla alla realtà.
Niente.
La radio accesa aveva smesso di trasmettere, si sentiva solo statico.
Accelera!
Andavo ad una velocità molto elevata. Cheryl sembrava non accorgersene, come impossessata. La mia mente che combatteva contro quella voce terribile!
Per fortuna la strada non ha molte curve! Sono su una collina, se sbandassi sarebbe la fine!
Sembrava impossibile opporsi, non riuscivo neanche a muovere lo sterzo! Cosa... cosa sta accadendo qui!?
Stavo perdendo il controllo dell’auto e del mio cervello?!!
 
Quando davanti a me vidi l’ultima cosa che mi sarei mai aspettato di vedere qui:
una figura umana ... una ragazza camminava in tutta tranquillità attraversando la strada. Sembrava non avermi notato.
Quei pochi secondi, tragici secondi, mi rimarranno impressi nella mente per sempre:
Cheryl si era “risvegliata” e piangeva, io sentivo la voce femminile nella mia testa che rideva, contenta; la ragazza aveva notato finalmente il pericolo a cui andava incontro e parò la faccia con le braccia urlando spaventata. All’improvviso ripresi coscienza del mio cervello ed ebbi la forza di girare il volante verso sinistra. Cheryl, notata la ragazza, gridò, anche lei molto spaventata.
- AAAhhhhhhhhhhhhhhhh, papà!!
Anche io urlai per il terrore.
No, non l’avrei uccisa.
Sbandai verso la notte...
 
Il buio.
 
Le grida di Cheryl, le urla di quella ragazzina, la radio fuori uso, lo sgommare dei pneumatici, la risata di quella donna... furono, forse, il sottofondo per fine di qualcosa. La fine della mia vita? O di qualcos’altro? Sento qualcos'altro... una sirena...
 
 

 
 
(1)     Quella canzoncina, è in realtà una filastrocca che i bambini cantavano e cantano tutt’ora, simile al nostro giro girotondo. Molti pensano che il suo significato si riferisca alla tragica peste bubbonica inglese, che uccise molta gente.
Eccone una veloce traduzione (non penso il primo verso sia corretto, comunque... XD):

Anello, un anello, rose
Una tasca piena di fiorellini,
Polvere, Polvere,
cadiamo tutti giù

 
 

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Capitolo 7
*** Benvenuti a Silent Hill ***


Allora, dedico questo capitoletto a syriana94  che è stata la prima da quando ho iniziato a pubblicare fanfic a recensire (grazie, grazie ^_^) e che segue questa con interesse.
A tutti, buona lettura!

___________________________________________________________________________________
 
"Benvenuti a Silent Hill"
 

Niente.
Vedo tutto bianco? O tutto nero?
 
Silenzio.
Non sento niente. Ho come le orecchie ovattate.
 
Male.
La testa mi gira. Non c’è una parte del mio corpo che non urli di dolore.
 
Cosa è successo?
Sembra un sogno.
Sono morto?
L’ultima cosa che ricordo era quella bambina attraversare; non l’ho messa sotto, spero.
Perché qui? Perché a me?
Non riesco a muovermi, ma sto riacquistando la sensibilità, credo.
Sento un freddo cane, percepisco l’umidità entrarmi fin dentro le ossa. Sento i lenti battiti del mio cuore. Devo svegliarmi! Ho la schiena poggiata contro il sedile, le braccia penzolanti, addormentate. Anche le dita lo sono, oltre che fredde come il ghiaccio. Non riesco a riprendermi completamente. Dove sono?
Delicatamente, le mie palpebre si schiusero: il panorama che si presentò fu un’immensa coltre bianca, come se fosse neve. Possibile? Non era mica inverno!
Sollevai il collo; sentivo il capo incredibilmente pesante. Per quanto tempo ero rimasto svenuto?!
Ogni muscolo pian piano si contraeva e provavo un’immensa stanchezza.
Gli occhi mi bruciavano e lacrimavano. Doleva parecchio anche la fronte; forse avevo urtato lo sterzo.
Respirai a pieni polmoni. Sembrava che ci fosse aria viziata. Possibile anche questo?!
Dolorante, mi presi la testa fra le mani e iniziai a massaggiarmi le tempie. Avevo anche un forte mal di testa.
Cosa mi è successo? Cosa ci è successo?
 
- Cheryl stai bene? – riesco a rantolare solo quello.
Tasto il sedile accanto a me; cerco il braccino del mio raggio di sole.
Si sarà fatta male? O peggio?!
Tasto, cerco, tasto, cerco... la cerco... Cheryl...
 
Non trovo niente, il mio braccio continua a muoversi a vuoto, la mia mano che la cerca.
No.
No.
Non è possibile.
 
Guardo alla mia destra. Volevo scorgere il tuo faccino.
 
 
 
Ma tu non c’eri.
 
Il mondo mi crollò letteralmente addosso. Sussultai alla vista del sedile vuoto, la portiera spalancata.
Il mio cuore sembrò fermarsi ma poi cominciò ad accelerare i suoi battiti paurosamente.
- Oddio, no, no.
Dalle mie labbra solo sussurri.
Sul suolo della vettura c’erano ancora le sue scarpette nere e fredde. Cheryl.
Il suo album da disegni era sparito, invece.
- O mio Dio! No!
Avevo gli occhi e la bocca spalancata. Non ci credevo. Perché? Cheryl!
Avevo perso Jodie e ora anche te?! Piccola mia!
Uscì dalla vettura con un po’di fatica. Tremavo tutto, il cuore sembrava esplodermi in mille pezzi. Ero letteralmente sotto shock.
La macchina era sbandata ed aveva sfondato un’enorme grata di ferro.
Era fuori uso.
Uscito fuori fui sommerso da un’inaspettata nebbia. Non riuscivo quasi a vedermi la punta del naso. Era tutto calmo. Troppo calmo.
Cheryl.
 
Istintivamente cominciai a correre, addentrandomi sempre di più in quella nebbia innaturale.
Dovevo trovarla.
Facevo lo scrittore, immaginavo spesso situazioni come questa, ma questo genere di cose deve rimanere frutto della fantasia.
Cheryl.
Se ne sentivano tutti i giorni: bambine e ragazzine che venivano rapite da maniaci e...
Cheryl era buona come il pane, avrebbe seguito chiunque l’avesse trattata gentilmente.
Lei, in un posto che non conosceva... forse sola...
Era una bambina anche intelligente, però...
No, Cheryl...
 
Continuai la mia corsa. Per orientarmi seguivo un guardrail, avevo paura di perdermi in tutta quella nebbia, così fitta, così densa.
Improvvisamente un cartello, sopra di me, fissato aldilà della strada, alla mia destra.
Era a sfondo blu con scritto sopra, a caratteri ben visibili:
 

WELCOME TO SILENT HILL

 
Eravamo arrivati, allora.
Cheryl, proprio come tu volevi.
Osservai ancora il grande cartello:
“Silent Hill”.
Qualcuno tra gli abitanti potrà dirmi cosa è successo.
 
Continuai la mia corsa.
Mi tenevo sempre all’estrema destra per avere qualche punto di riferimento.
Ero arrivato nella periferia. Accanto a me solo case.
Silenzio tombale.
Non c’era nessuno in giro.
Le finestre erano tutte chiuse.
Qualche porta invece era aperta.
Disperato ne spalancai una di un’umile casa.
- Aiutooo! Mi dovete aiutare, per favore. Mia figlia è sparita!
Lo gridai più forte che potevo.
Ma nessuno rispose. Sembrava non ci fosse nessuno. Tutto era in ordine.
Uscì fuori dall’abitazione e mi guardai attorno.
Tutto era calmo.
Tutto era tranquillo.
Non c’era nessuno. Non vedevo nessuno.
Non sentivo neanche gli uccellini cinguettare. Dopotutto era mattina, credevo. Il mio orologio da polso segnava... era rotto!
Il mio orologio da polso aveva il vetrino rotto e le lancette erano sparite.
 
Cosa succede qui?
Cosa è successo in questa città?!
 
Flip.
Flip.
Rumore di passi?
 
- Papà!
Una vocina. Ma non era quella di Cheryl. Era più matura, da ragazzina.
Corsi nella direzione del rumore.
- Cheryl! Cheryl! Aspettami! – gridai.
Sentivo che era lei.
Aguzzai la vista.
Eccola!!
 
Dall’altra parte dell’immensa strada, sul marciapiede, c’era Cheryl. Guardava davanti a se; muoveva il piedino sinistro, come se stesse ballando.
Non mi aveva sentito? Non rivolse lo sguardo su di me.
- Cheryl.
Ma l’importante era lei che lei stesse bene; il mio cuore ricominciò a riacquistare vigore.
Lei, alzò la testa lentamente.
- Cheryl? Sei tu, Cheryl.
Sapevo che era lei. Aveva gli stessi vestiti.
E poi io avrei riconosciuto tra mille bambine la mia Cheryl.
 
Ecco si voltava verso di me.
 
Incrociai il suo sguardo.
 
Cheryl?
La piccola sorrideva. Ma non sfoggiava il suo solito sorriso innocente.
Sorrideva... in modo... malvagio, intimidatorio e astuto.
Non aveva più la solita lucentezza che emanavano i suoi occhi. Era cambiata.
 



Only I felt terror so great.

 
 

 
 
Questo è un capitolo un po’ corto lo so ^_^
Ma il prossimo sarà davvero intenso!
Intanto fatemi sapere cosa ne pensate e recensite.
Alla prossima !

 

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Capitolo 8
*** La Misteriosa Ragazza ***


La Misteriosa Ragazza
 
Dov’era finita l’innocenza dei tuoi occhi neri, Cheryl? Ora questi trasmettevano solo astuzia e cattiveria.
Le tue labbra... quello strano sorriso intimidatorio. Non era la mia Cheryl?!
 
La bambina teneva le mani incrociate sul petto, quasi con fare addolorato.
Ma il suo viso... esprimeva tutt’altro.
Dopo pochi secondi, smise di fissarmi.
Dovevi essere la mia Cheryl! Eri tutto quello che avevo, ciò che più amavo! Non volevo perderti!
- Cheryl! Sei tu, Cheryl? – gridai verso di lei.
Pareva che non mi avesse sentito: guardava davanti a lei, nella nebbia più fitta che io avessi mai visto.
Ciondolò la testa a destra e a sinistra, annoiata, e iniziò a camminare, lenta e tranquilla.
Cosa stava facendo?
- Dove stai andando?!
Scattò: iniziò a correre veloce, nella foschia.
Anche io scattai verso di lei, sorpreso da quel suo gesto.
- Ehi, aspetta! Fermati!
Niente: Cheryl continuava a correre. La piccola non era molto veloce, l’avrei raggiunta in un attimo, ma adesso... sembrava diventata più veloce. Strano.
Ma perché scappava? Cheryl sapeva che doveva sempre stare insieme a me nei posti che non conoscevamo. Non era mai stata così disubbidiente.
La sua sagoma, dopo un po’, sparì nel bianco di quella lugubre nebbia. Cheryl era sparita. Non sentivo neanche il rumore dei suoi passi sull’asfalto.
Il silenzio. Un interminabile silenzio.
Cheryl? Perché? Perché a me? Perché scappi?
Sei o non sei la mia adorata figlia?
 
 
- Ehi, giochiamo a nascondino? Tu conti, io mi nascondo!
 
 
Cheryl?
 
No.
 
Non era la voce della mia piccola. Era la voce che continuava a ridere nella mia testa durante l’incidente. Non era un’infantile voce da bambina. Era la voce di una ragazza, una fanciulla.
- Dai vieni! Si comincia!
La rividi: Cheryl. Era davanti a me.
Appena cercai d’afferrarla, lei ricominciò a scappare.
- Torna qui! Cheryl!
La ripersi nella nebbia innaturale. Persino la città mi impediva di raggiungere Cheryl.
 
Dove stavo andando?
 
Cheryl...
- Sei già stanco? Vienimi a prendere se ci riesci!
Ancora quella ragazza.
Cheryl? Quella ragazza... ti ha... rapito? Allora perché non ti dimeni? Perché non scappi da lei?
 
Ricominciai la mia frenetica corsa verso la voce. Proveniva da una strada secondaria, molto più stretta delle altre.
- Però così non vale! Prima dovevi contare ad occhi chiusi mentre mi nascondevo!
Cheryl!
Papà sta arrivando!
- Vuoi proprio vincere, eh?
Sì, volevo la mia piccola con me! Volevo tornare a casa con lei.
- Torna qui! Maledetta voce...
- Io maledetta? Sei come gli altri, Harry Mason? Sei come gli altri? Loro hanno pagato per le loro scelte. Ma tu... cosa mi faresti? Cosa faresti alla”maledetta”? Mi uccideresti nel più macabro dei modi per quello che ti sto facendo?
Corsi come non mai.
- Questo gioco mi piace tanto! Non puoi battere la “maledetta”!
La risata. La sua risata. Nella mia testa.
 
Vidi Cheryl, nella nebbia, aprire un cancello di ferro arrugginito.
La seguii e quello che trovai davanti a me, aperto il cancello, fece raggelare il sangue nella mie vene e il mio cuore sembrò scoppiare.
Davanti a me... un ... animale... scuoiato.
Il sangue scarlatto ricopriva la terra e l’animale giaceva morto e ridotto a brandelli. Si intravedevano le ossa della creatura e uno sciame di scarafaggi si cibavano del corpo.
Cheryl?
Sentivo che tutto questo la riguardava. Dovevo trovarla!
 
Corsi, corsi e corsi per quella stretta stradina. Corsi col cuore in gola; a volte, per la troppa fretta, andavo a finire quasi spiaccicato sui muri.
- Cheryl, Cheryl. Resisti, piccola mia.
Dopo qualche metro mi ritrovai davanti un cancello.
- Sei davvero sicuro di andare fino in fondo? Il futuro potrebbe non piacerti, Harry.
Ignorando quell’eco maligno, aprii la porta di ferro.
- Io ti avevo avvertito. La curiosità può portare a brutte sorprese a volte; credimi lo so.
Zitta! Devo trovare Cheryl e torneremo a casa. C’è qualcosa in questa città.
- Sei ancora in tempo...
 
Mossi alcuni passi, successe qualcosa di veramente bizzarro.
La fitta nebbia sparì di colpo.
Il bianco del cielo sfumò, fino al nero più cupo.
Ogni residuo di luce svanì improvvisamente e ... una sirena, in lontananza.
Sembrava una sirena antica, quella che veniva usata nel periodo di guerra, per segnalare alla gente l’avvento dei bombardamenti aerei.
Il suono dalle orecchie sembrò arrivare dritto dritto nel cervello.
Una fitta pioggia iniziò a cadere, bagnando la strada, rendendo quasi impossibile distinguere i muri con l’oscurità.
Come mai era diventato tutto così buio, in così poco tempo?
Tirai fuori dai jeans un vecchio accendino e, dopo un po’ di fatica, riuscii ad illuminare qual tanto che mi bastava per guardare dove andavo.
L’oscurità sembrò portare un’aria macabra e lugubre intorno a me... un aria di morte.
- E tu non ne hai paura vero?
Sembrava che quella ragazza, quella voce, conoscesse le mie ansie, i miei pensieri e le mie paure.
- Io? Dai, adesso vieni a prendermi!
Sentii il repentino bisogno di correre verso il buio, illuminando i muri con l’ accendino.
Ma qualcosa stava mutando.
 
I muri... non erano più muri...
Erano... grate arrugginite. Dietro alle grate... il nulla.
 
Cheryl?
 
Sarai spaventata a morte? Mia piccola...
 
Il pavimento era totalmente invaso a brandelli di carne e sangue.
Corsi via.
 
Che tutto questo sia solo frutto della mia immaginazione?!
No. E’ tutto così reale.
 
- Corri, corri! Sono qui!
 
Trovai uno spiazzo, dopo una strettoia.
C’era una barella. Emanava un odore insopportabile. Il corpo era coperto da un lenzuolo ormai zuppo di sangue.
Il mio stomaco si rivoltò.
- Hai paura del sangue? Non sopporti la vista di quel prezioso e denso liquido? Eh?
Scappai.
- Ma cosa sta succedendo qui! – sussurrai disperato.
Il cuore sembrava impazzire e lo stomaco dava i primi segni di cedimento.
- Sai cosa penso io invece? Penso che la paura del sangue tendi a creare la paura della carne. E’ come se tu avessi paura del tuo corpo, di quello che c’è nel tuo corpo... il sangue.
 
Un lancinante mal di testa.
Cheryl, dove sei?
 
La corsa continuò ancora per qualche secondo, fino a quando mi ritrovai davanti ad un vicolo cieco, le grate come pareti e il sangue come pavimento.
C’era qualcosa appeso alla grata davanti a me.
Qualcuno.
Sbarrai gli occhi e iniziai a tremare.
- Visto come sono stata brava, Harry?!
Un uomo... scuoiato.
Quell’essere umano appeso alla grata. Gli occhi che gli uscivano dalle orbite e il sangue che gocciolava dappertutto. Il basso ventre era infilzato da un grosso uncino arrugginito. Dei lunghi capelli bruni ancora attaccati al cranio. Il viso era sfigurato
- Sono stata bravissima. Hai visto?Avrebbero bisogno ORA del loro Dio, non credi?
 
Terrorizzato corsi via, indietro. Mi feci largo tra le pozzanghere di sangue;  la pioggia che mi bagnava i capelli e la faccia era insopportabile, quando vidi davanti a me delle piccole figure.
Dei piccoli mostri.
 
Tre piccoli omini dalla pelle grigia e rugosa con dei coltellini in mano si avvicinavano minacciosi verso di me. Facevano strani versi, dai suoni acuti che davano alla testa.
Rimasi immobilizzato da quella visione.
Uno di loro si avvicinò velocemente e mi afferrò la gamba desta iniziandola a mordicchiare.
Il dolore che provai fu insopportabile. Sentivo gli aguzzi dentini della creatura entrare nel polpaccio.
Lo scollai a fatica di dosso e scappai, facendo il percorso inverso.
 
Se la mia piccolina era stata attaccata da quei mostri... io...
 
Con mio terrore arrivai alla conclusione che l’entrata doveva essersi tramutata in un’altra grata arrugginita, perché non trovavo vie di scampo.
Cercai di romperne una e scappare ma la ruggine rendeva tutto più difficile.
 
I mostriciattoli, intanto, mi seguirono. Quando mi raggiunsero si erano triplicati.
Si aggrapparono alle mie gambe, alle mie braccia e ridevano... ridevano... ridevano affondando le zanne e i coltelli nella mia carne.
Era la fine, Harry. La fine. Caddi a terra sfinito.
 
Cheryl.
 
Cheryl.
 
La sirena... lontana...
 
 
- Vieni con me, Cheryl.
Aveva un grosso taglio sulla guancia, per via dell’incidente. Era abbastanza frastornata e confusa.
Avevo forzato la portiera e i vetri si erano rotti.
- Amichetta mia! Siamo arrivati, visto?
-Sei arrivata.
- Perché? Papà non può venire con noi?
- Assolutamente no.
- Cosa?
- Adesso tu vieni con me! – la tirai violentemente per un braccio.
 Ma lei opponeva resistenza:
- No! NO! Voglio papà con noi!
- Ci raggiungerà dopo! Ora tu devi venire con me!
Cercò di svegliare suo padre:
- Papà! Papà, svegliati! Aiutami!
Aveva davvero la testa dura! Con un pezzo di vetro tagliai la cintura di sicurezza e, con uno strattone, la costrinsi ad uscire dalla vettura.
La piccola iniziò a piangere.
- Vedrai che ci divertiremo. Ricordi: tu qui sei la Regina.
 

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Capitolo 9
*** Radio e Cenere ***


Radio e Cenere

Un sussulto.
Aprii gli occhi, agitato più che mai.
La testa sembrava scoppiarmi. Sentivo dolore e... quindi non ero morto. Ma... quel vicolo...
Realizzai di essere sdraiato su una panca. Mi misi subito seduto. Dov’ero finito? Come ci ero arrivato qui?
Vedevo tutto doppio e ci misi qualche secondo a mettere a fuoco il posto: sembrava un bar. Alla mia sinistra c’era un tavolino, con sopra una bottiglia di ketchup e mostarda. C’erano altri tavolini e sedie attorno a me. Alla mia destra, invece, c’era una grande vetrata sulla strada.
In fondo al locale c’era il bancone. Ma non solo: c’era qualcuno che si muoveva verso di me. Era una donna. Aveva dei corti capelli biondi e gli occhi verdi, molto chiari. Aveva un largo sorriso sulle labbra e, con le braccia incrociate, mi guardava incuriosita. Indossava una camicia azzurra e degli attillati pantaloni neri.
- Come ti senti, eh? – mi chiese gentile.
Potevo fidarmi? Beh, perché no? Era così gentile.
- Ehm, prima mi sentivo come se fossi appena stato investito da un camion in corsa. Ma credo di stare meglio ora, grazie.
Si sedette su un’altra panca, davanti a me, continuando a fissarmi.
- Sono felice di sentirlo – mi rispose.
Sorrise. Le sorrisi anche io. Poi riprese:
- Ehi, sai per caso cosa sta succedendo a Silent Hill, in questa città, vero?
Cosa stava succedendo qui?
- Ehi, aspetta – le risposi – sono un turista, sono appena arrivato qui.
- Ah. Come ti chiami, comunque?
- Harry, Harry Mason.
- Cybil Benett. Vengo da Brahms, la città qui vicino.
Notai che aveva una pistola. E sulla camicia era cucito lo stemma della polizia di Brahms.
- Sei una poliziotta?
- Sì.
- Ti ho vista! Avevi la moto, vero?
Sembrò sorpresa, poi sgranò gli occhi e mi fissò:
- Tu sei quell’automobilista allora! Sì, sì sono venuta qui con la moto della polizia. Ma poi sono caduta e si è rotta. Sai, sembra che qui succedano cose abbastanza strane.
Si alzò; evidentemente era agitata.
- Le comunicazioni con Silent Hill si sono interrotte quasi da un anno. Hanno mandato me controllare e... - fissò con aria spaventata la strada – Tu vivi qui? Hai mai visto qualcosa del genere?
- No, io sono solo un turista. Comunque ... mai visto niente del genere.
Piombò il silenzio. Tutti e due guardavamo quella nebbia innaturale, strana e fitta. Nessuno era per la strada, neanche qualche animale. Le strade erano pulite.
Ma c’era qualcosa di nuovo adesso: dal bianco e compatto cielo sopra la città cadeva la neve. O qualcosa simile a quella.
Cheryl adorava la neve e... Cheryl!
Il panico riprese il controllo su di me. Tremando le dissi:
- Cybil, hai per caso visto una bambina qui intorno?
Ci pensò un po’ su e poi sospirò:
- No. Sei la prima persona che incontro da quando sono arrivata. Perché dovrei aver visto una bambina qui?
- E’ mia figlia. L’ho persa.
- Cosa?! – gridò lei.
- Bhe, in realtà è scappata... ma non ne sono sicuro! Forse è stata rapita!
Che tutto quello fosse stato solo un sogno? Un incubo? Comunque Cheryl non era con me. Era la sola cosa importante in quel momento. E poi, quella ragazza? Anche lei era frutto della mia immaginazione?
- Aspetta – dissi a lei – tu mi hai portato fino qui dal luogo dell’incidente?
Cybil inarcò le sopracciglia e rispose:
- No, Harry. Io ti ho trovato qui, addormentato sulla panchina?
Cosa? Non era possibile! Io, dopo l’incidente... quello era stato solo un sogno! O no?
- Ricordo quella ragazzina in mezzo alla strada. Dopo l’incidente non è successo nient’altro!
- Harry, devi essere confuso per tua figlia, e ti capisco. Ma ora cerca di calmarti e smettila di farfugliare. Spiegami: tua figlia era in mezzo alla strada?
- No! No, no. Cheryl era accanto a me, in macchina. C’era un’altra bambina in mezzo alla strada. Ma adesso-
Mi alzai e, mossi alcuni passi verso l’uscita del locale, sentì la donna alle mie spalle:
- Aspetta, aspetta! Dove credi di andare?
Ci mancava solo la poliziotta invadente!
- Mia figlia... devo trovarla! – le risposi.
Ma quella con uno scatto si alzò e si parò davanti a me:
- Sei impazzito? – disse con voce autoritaria e ferma – E’ troppo pericoloso! Ogni sorta di apparecchio elettronico, qui, non funziona. Prima vado fuori città a chiamare i soccorsi, poi loro ritroveranno tua figlia! Non devi preoccuparti, ci penseranno loro.
Cosa? No, era fuori discussione. Chissà com’era spaventata la mia piccola Cheryl. Non avrei aspettato nessuna squadra dei rinforzi per riabbracciare mia figlia.
Cercai invano di raggiungere l’uscita, da lei bloccata:
- Non capisci?! Devo assolutamente trovarla! Non posso andarmene senza di lei!
Silenzio.
Ci guardavamo negli occhi. Poi la poliziotta parlò:
- Tieni davvero molto alla tua piccola, si nota – questa volta parlò più dolcemente – Ma è pericoloso! Questa città... così strana, così deserta.
- Non mi importa – le dissi – farei di tutto per riavere la mia piccina.
Chissà cosa stava accadendo “dentro” quella poliziotta. Aveva cambiato atteggiamento e mi guardava con uno strano sguardo, come a volermi dire “quella bambina è fortunata ad avere te come padre”. Sembrava quasi che la sua morale, le sue emozioni e le sue paure stessero avendo la meglio sul suo distintivo.
- E va bene... hai una pistola? – mi chiese?
Una pistola? A dire la verità no, ma avevo usato un fucile da caccia quando ero ragazzo con mio padre durante una di quelle battute di caccia padre-figlio.
Come se mi avesse letto nel pensiero, sfilò dalla fondina la pistola d’ordinanza della polizia e me la porse. Ero negato nel riconoscere i vari tipi di arma e di pistole, così la presi senza troppe storie. Fu Cybil invece a parlare:
- Prendila e augurati di non doverla mai usare. Adesso ascoltami molto attentamente: nel caso la dovessi usare, prima di premere il grilletto, guarda bene a chi stai per sparare. Non farlo mai senza accertartene. Non vorrei che tu mi sparassi per sbaglio.
- D’accordo.
Wow. Era davvero pesantuccia, sicuramente carica; ma Cybil mi porse anche un piccolo borsellino, attaccato da una cintura, pieno di caricatori.
- Io vedrò di uscire dalla città e chiamare soccorsi. Harry, se ci riesci, resta qui... bè, vedi tu, insomma. Almeno cerca di restare nei paraggi. Tornerò il prima possibile.
Sospirò, mi sorrise abbastanza preoccupata, ed uscì.
Ok, Harry. Cosa fare, adesso?
Dovevo trovare Cheryl ma non volevo lasciare sola quella donna. 
Notai qualcosa appoggiato al bancone: una mappa della periferia di Silent Hill. Era abbastanza grande. Cercai, quindi, di piegarla più e più volte e, fatto questo, la infilai nel borsellino. Avevo ancora la pistola nella mano sinistra. Rigirai e osservai l’arma; la città era deserta, forse una pistola era davvero troppo.
Forse.
Una posto come questo, meta turistica per eccellenza, era diventato una città fantasma. Perché? E come era possibile?!
No, era impossibile. Qualcuno in città doveva pur esserci. Bastava solo trovarlo.
Mi diressi verso l’uscita, quando qualcosa attirò la mia attenzione:
un rumore fastidiosissimo proveniva dal fondo del locale. Il mio occhi cadde su una piccola radio rossa tascabile. Era poggiata su un tavolino e produceva quell’insopportabile rumore di statico.
- E ora cosa le prende a quella radio? – sussurrai a me stesso.
Il rumore mi stava spaccando i timpani. Mi girai e camminai verso l’oggetto, che non accennava a fermarsi.
- E basta, dai!
Mi chinai per raccoglierla e spegnerla ma qualcosa dietro di me si mosse.
Si ruppe.
Una delle vetrate del locale era in frantumi dietro di me. I pezzi di vetro erano dappertutto.
Chi poteva aver fatto una cosa del genere.
 
Non ebbi il tempo di pensare chi o cosa avesse rotto il vetro che, anche davanti a me, una delle vetrate – l’ultima – si spaccò. Ma non solo: in quel momento vidi benissimo cosa aveva provocato quel macello.
Dalla vetrata rotta, uscì fuori un uccello? No, non era un uccello. Sembrava un pterodattilo, uno di quei dinosauri oramai estinti da tempo. Dall’esterno aveva sfondato il vetro, entrando nel locale.
Aveva un’apertura alare pazzesca.
Ma la cosa che più mi impressionò dell’animale era la pelle. Non aveva squame o robe simili. Aveva la pelle. Era di un rosa molto scuro, come se una corazza fosse stata tolta al mostro, rivelando l’indifesa cute. Sì era un mostro per me. Non avevo mai visto nulla del genere.
In più il mostro gridava e gridava. I suoni che emetteva erano davvero acuti; sembravano grida di donne.

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Ma cosa stava succedendo qui?
 
La creatura aveva un lunghissimo becco affilato e lo rivolse verso di me, cercando di beccarmi la testa.
Per lo spavento caddi a terra mentre la creatura volava intorno a me e gridava ancora di più.
Ancora per terra, afferrai la pistola e puntai il mirino verso il mostro che non stava mai fermo.
Premetti il grilletto.
Bam.
Bam.
Bam.
Il terzo colpo finì dritto nel suo cranio e, con un ultimo e lungo grido, il mostro si accasciò a terra. Morto.
Avevo il fiatone e il cuore batteva a mille.
Questo non era un sogno!
Alla morte di quella creatura la radio aveva cessato di produrre quel fastidioso rumore statico.
Sentivo che mi sarebbe servita e la agganciai alla cintura – abbassando un po’ il volume.
Uscii di corsa dal locale, entrando nell’innaturale nebbia di Silent Hill.
Cheryl? Dove sei?
Credo di dover ricontrollare quel vicolo del mio sogno. Non fu difficile localizzarlo con la mappa.
Mi trovavo in Bacham Road. Dovevo solo svoltare a sinistra per Finney Street e imboccare il vicolo maledetto. La paura riprese il soppravvento e crebbe ogni secondo di più.
Ma mi misi in cammino speranzoso: non avevo mai fatto sogni premonitori e ... no, quello sarebbe stato un normalissimo vicolo, senza barelle o omini grigi.
 
La nebbia e quella neve rendeva tutto più difficile.
Ma ben presto mi accorsi che, quella che cadeva dal bianco cielo della città, non era neve: era cenere, o qualcosa di simile. Cadeva a fiotti bianca, ma una volta tenuta in mano lasciava il tipico alone nero e grigio.
Questo era davvero bizzarro. Quando mai si è sentito di cenere che cade dal cielo come se fosse pioggia o neve?!
- Questo posto ha qualche cosa che non va.
 
Arrivato all’imbocco del vicolo, non ebbi il più bello dei comitati di benvenuto: a fare la guardia al cancello c’erano tre cani. Ma non erano cani normali: erano cani senza pelle. Appena li scorsi, la radio iniziò ancora a trasmette quel fastidioso rumore.
Come il mostro precedente, questi erano privi del pelo ed esibivano questa cute rossastra e rugosa.
 
Per il resto sembravano cani normalissimi.
Uno di loro iniziò a ringhiare verso di me. Naturalmente a quello si unirono tutti gli altri.
Avevano dei ringhi spaventosi e i denti erano affilatissimi.
Image and video hosting by TinyPic Si paravano davanti a me bloccandomi la strada. Ma non sarebbero stati quei cani a fermarmi: cominciai a correre verso di loro, sperando che si spaventassero, ma invano. Iniziarono a correre anche loro, seguendomi e saltando, cercando di afferrarmi ma io fui il più veloce: col fiatone raggiunsi il cancello e glielo chiusi in faccia a quei mostri.
- Oddio. Ma che cosa sono questi animali?
Perché mi era così difficile calmarmi. Perché? Quegli animali non esistono!
 
Corsi ancora, sfruttando la precedente scarica di adrenalina.
Fortunatamente i muri non si tramutarono in grate e il cielo non si oscurò.
Verso il secondo cancello notai una piccola sedia a rotelle rossa, appoggiata alla parete, senza proprietario. Ma che stranezza era mai questa? Che ci faceva qui una sedia a rotelle. Una delle ruote continuava, lentamente a girare. Poi si fermò, davanti ai miei occhi.
Ma cosa poteva importare quella stupida sedia a rotelle? Dovevo trovare la mia piccola. Dovevo trovare delle risposte a tutto questo.
Il vicolo giunse al termine.
Per terra notai dei fogli bianchi. Un quaderno. Cheryl... l’album di disegni di Cheryl.
Sì, era proprio il suo adorato album che le regalai al suo compleanno.
Disegnerò tante cose ora. E non te le faccio vedere!
- Perché no?
Perché le vedrai quando saremo arrivati in città!
Cheryl, lo avevi promesso e – in un certo senso – avevi ragione: li avrei visti arrivato a Silent Hill.
Sulla copertina c’ero disegnato io. Ero davvero bruttino, però.
Sorrisi al pensiero di Cheryl che mi disegnava così stilizzato e sorridente.
Lo aprii: era vuoto, tranne per un foglio che recava scritto:


A SCUOLA


Era la sua scrittura.
Cheryl, sei a scuola.

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Capitolo 10
*** Levin Street ***


Levin Street


 
A SCUOLA.
 
A SCUOLA
 
Dov’era la scuola a Silent Hill?

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La trovai nell’angolino in basso a sinistra della mia mappa.
La scuola elementare “Midwich”, in Midwich Street, a ovest.
Se da Finney Street avessi svoltato a sinistra per Levin Street e poi per Matherson Street, sarei arrivato alla Midwich in pochi minuti.
Mi misi, quindi, subito in marcia. Ripercorsi il vicolo al contrario, tornando da dov’ero venuto.
Quei cani infernali erano ancora là: annusavano l’asfalto; forse mi stavano ancora cercando. Fui subito localizzato dagli animale, quando chiusi la porta del cancello di ferro.
Il più robusto iniziò ad abbaiare ai compagni, che si misero a ringhiarmi contro, minacciosi più che mai. Altri se ne stavano in disparte e, con uno di quei “Gridatori dell’Aria”, banchettava con una carcassa sul marciapiede.
Istintivamente scappai, ricordando il tragitto che, stampato nella mente, progettavo di compiere per arrivare alla scuola. Gli “animali”, però, non mi dettero tregua e si lanciarono all’inseguimento, cercando di sbranarmi. Corsi più veloce che potevo e cercai in tutti i modi di liberarmi da quei mostri così ostinati.
Pian piano, scomparvero dietro di me, nella fitta nebbia e nella cenere e, finalmente, ebbi il tempo di riposarmi e riprendere fiato.
Durante la corsa non avevo incontrato nessuno. Allora era un dato di fatto: questa città non aveva più abitanti. E se li aveva, che fine avevano fatto?
Non un filo di vento venuto a diramare questa nebbia, ne un segno della presenza di Cheryl.
Forse non era stata lei a lasciarmi nel vicolo il suo disegno. E se proprio fosse stata la mia piccola Cheryl, come faceva a sapere che sarei andato nel vicolo che avevo visto nel mio sogno?!
Tutto questo non quadrava.
Sicuramente, le cose non potevano andare peggio di così.
O forse sì.
Arrivato a Levin Street e superate quelle deliziose, ma oramai abbandonate, case avevo imboccato Matherson Street per dirigermi verso la Midwich, con mio grandissimo stupore ero venuto a conoscenza di un fatto, a dir poco, sbalorditivo e sconcertante: la strada finiva.
No, nessuna barricata della polizia o cose del genere. La strada finiva completamente. La strada sprofondava verso il vuoto, verso il basso, verso l’inferno. La strada era interrotta da un profondissimo burrone. Il fatto sorprendente era che l’asfalto che componeva la strada era perfettamente tagliatao verticalmente, si intravedevano persino le fognature, tranciate anch’esse a metà; ma, soprattutto, notai che l’innaturale nebbia di Silent Hill continuava...anche sottoterra, nel vuoto, nell’abisso che si presentava davanti ai miei occhi! Era una cosa senza logica! Com’era possibile; in effetti la stessa città sembrava non avere un senso d’esistenza, oramai.
Lasciai cadere un masso, calciandolo con piede, nel vuoto.
Sprofondò.
Ma non sentii nessun suono, nessun tonfo.
Dove portava quell’abisso? Sembrava un burrone che conduceva all’inferno più profondo.
Una cosa, però, era sicura: da Matherson Street per la Midwich non si passava.
In preda al panico, provai tutte le vie possibili ed immaginabili per arrivare alla scuola elementare, ma tutte si interrompevano bruscamente con quel precipizio infernale.
Ero senza speranze.
Sembrava che l’intera città fosse emarginata dal resto del mondo.
Oltre i precipizi, non c’era niente.
Solo nebbia.
 
Cheryl.
Dove sei?
 
Tutta Silent Hill sembrava isolata dal mondo.
E con essa, anche io lo ero.
 
Mi diressi verso il locale in cui avevo incontrato Cybil, quando notai per terra dei fogli bianchi, immobili.
I fogli dell’album!
Come avevo fatto a non notarli!?
Ce n’era un mucchio per terra, la maggior parte bianchi. Tranne due.
Li raccolsi e li osservai: uno recava scritto
 
LEVIN STREET
 
 
E l’altro:
 
CUCCIA DEL CANE
 
 
Levin Street?
L’avevo percorsa qualche minuto fa! E questa era la scrittura di Cheryl!
 
Senza perdere altro tempo, mi misi subito in cammino e, arrivato in quella strada, scrutai ogni casa, ogni marciapiede finché, eccola, la cuccia di un cane, davanti al 1206 di Levin Street.
Per fortuna, non c’erano cani o altri mostri nelle vicinanze; ebbi, così, tutto il tempo di esaminare attentamente la cuccia.
Sembrava un normalissima cuccia, anche se un po’ cadente e scolorita. Per di più, dall’interno, proveniva un nauseante odore di carne in putrefazione.
Notai però, su una delle pareti della cuccia, attaccata con del nastro adesivo, una piccola chiave.
La staccai con un po’ di fatica, dal putrido legno della casetta e la esaminai:
1206 Levin St.
Era la chiave di una di quelle case.
La cuccia si trovava proprio davanti a quell’indirizzo. Aprii la serratura con la piccola chiave e mi fiondai dentro l’abitazione.
Era davvero una bella e semplice casetta. L’ingresso era collegato ad una piccola sala da pranzo e ad una cucina. C’era una porta bloccato: doveva essere il bagno.
Ma perché Cheryl, o chiunque abbia fatto quei disegni, voleva che entrassi in questa costruzione?
Non c’era niente di speciale attorno.
Era una normalissima casa, senza più proprietari, deserta e polverosa.
Una porta si affacciava dall’altra parte della strada.
Mi avvicinai a quella porta di metallo e notai che sopra di essa c’erano dei disegni. Erano stati fatti, probabilmente, con un pennarello nero e ritraevano tre figure: un leone, uno spaventapasseri e, quello che sembrava, un uomo di metallo, o qualcosa del genere. Erano fatti davvero bene, ma quell’ultimo personaggio era davvero strano.
Il leone era seduto con gli occhi chiusi, lo spaventapasseri sembrava stesse danzando e quell’uomo aveva in mano un’accetta.
Per terra c’erano tre lucchetti, rotti. Forse un tempo bloccavano la porta.
Tre lucchetti.
Tre disegni.
Che strano.
 
Secondo la mappa, se avessi attraversato il giardino sul retro di quella casa e proseguito a sinistra, sarei arrivato alla scuola elementare in un batter d’occhio; dovevo solo proseguire per Midwich Street.
Chissà se anche Cybil era da queste parti.
Mi sentivo un po’ in colpa per non averla aspettata nel locale.
Ma dovevo trovare Cheryl.
 
Aprii, quindi, la strana porta e percorsi il giardino, quando, ad un tratto, il cielo si oscurò, come se fosse improvvisamente calata la notte. Una notte fredda e buia, senza luna, né stelle.
Anche la nebbia sparì, lasciandomi nel buio più totale.
Oh no!
Era come in quell’incubo?!
Eppure i muri erano ancora normali e non c’erano grate. Grazie a Dio.
La cenere che cadeva dal cielo, si trasformò in una leggera pioggerella.
 
Io ero nel buio più totale, fino a quando, sentii il petto stranamente pesante. Infatti, nel taschino sul petto della mia giacca era apparsa, dal nulla, una piccola torcia tascabile.
Si accese da sola, quasi a volermi indicare la via: una porticina per l’esterno.
Era tutto più difficile col buio che era sceso in città. Ogni quattro passi, uscito dal giardino, mi voltavo per assicurarmi che nessuno mi stesse seguendo.
Incontrai lungo la strada alcuni Gridatori del Cielo che non mi notarono – per fortuna.
Davanti ad un branco di cani, spensi la torcia e quelli non mi trovarono. Ma con la torcia spenta non riuscivo a vedere neanche la punta del mio naso.
 
Continuò così il mio viaggio verso la scuola, verso Cheryl.
Dopo pochi minuti, la vidi: un grande e bianco edificio in mezzo al verde di un piccolo parco, la Midwich Elementary School. Davanti era abbandonato un piccolo autobus giallo, con i vetri rotti e le gomme forate; era inutilizzabile. Ma non importava: avrei preso Cheryl e avrei fatto di tutto per tornare a casa, per uscire da questo incubo divenuto realtà.
Mi feci coraggio e varcai le doppie porte dell’ingresso.
Arrivo, Cheryl...
 
 
Si era convinta finalmente. Le tenevo la mano e non la lasciavo nemmeno per un secondo.
Era una sensazione così piacevole.
Tra quelle familiari vie, mi sentivo potente. Ero sicura che anche lei lo “sentiva”.
Ogni tanto gemeva o piagnucolava come un neonato, e io non le davo importanza. Tra un po’ mi avrebbe ringraziato per tutto quello che le stavo facendo.
Quella sensazione... quel mio essere incompleta, con lei, spariva.
Doveva stare con me. Aveva fatto un buon lavoro. Lui.
Ma ora mi riprendevo ciò che era mio.
Toccava a me adesso.
- Ti piace nuotare? – le chiesi.
Non mi rispose. Doveva rispondermi! Per tutta la vita, nessuno mi aveva mai risposto alle mie domande; ma adesso i tempi erano cambiati.
Ripresi:
- Bè, non importa! Che ti piaccia o no...
La portai verso il canale della città. Era stracolmo d’ acqua. Ci posizionammo al bordo di questo e fissammo l’acqua sotto di noi.
 
- Ma tu, ci tieni a me? – le chiesi più dolcemente.
Annuì piano, poi aggiunse:
- Tanto.
Era quello che volevo sentire. Senza paura mossi alcuni passi e, in men che non si dica, mi ritrovai nella fredda acqua del canale.
Sentii un tonfo.
Si era buttata anche lei.
Più veloce che potevo, riemersi e mi arrampicai raggiungendo l’asciutto dell’asfalto.
Lei era ancora sott’acqua.
Annaspò, dopo un po’, in superficie, chiamando aiuto.
Ma io con la mano destra la spinsi ancora più giù, facendole ritornare la testa sott’acqua.
Mi riprendevo ciò che era mio.
 
 
Toccava a me adesso.
Vidi quella donna: camminava decisa dall’altra parte della strada.
- Aiuto! Aiuto! Sta affogando una ragazza! – le gridai.
Lei mi fissò e, ai suoi occhi verdi, apparsi come una piccola e innocente bambina.
- Una ragazza sta affogando!
La ragazza, non io.
E tu non intralcerai i miei piani.
Qui non sei la benvenuta.
I miei “amici” non ti hanno ancora fatto fuori?
Bè,congratulazioni.
Sei entrata e non puoi più tornare.
Distruggerai te stessa.
E anche io lo farò ma prima... mi riprendo quello che era mio.

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Capitolo 11
*** Realtà o Finzione? ***


Realtà e Finzione?
 
Quel posto che, probabilmente, una volta era pieno zeppo di bambini e insegnanti, ora era deserto. Nessun suono. Solo silenzio, attorno a me, e uno spesso strato di polvere ricopriva tutto quanto. Tutto calmo. Troppo calmo.
Ma dov’erano finiti tutti quanti? Tutti uccisi da quelle strane creature? E quel buio improvviso che calava quando meno te lo aspettavi?! Sentivo che tutto questo aveva, in qualche modo, a che fare con Cheryl. Dovevo trovarla! E quei disegni parlavano chiaro: ero a scuola, un passo più vicino a Cheryl.
Probabilmente spaventata si sarà rifugiata qui. Lo speravo.
Prima di iniziare a dare un’occhiata nelle classi, mi diressi nella sala professori. Aperto un armadietto, tirai fuori la chiave del cortile e dei laboratori. Dovevo perlustrare tutta la struttura.
 
 
La donna aveva lo sguardo severo. Era subito corsa verso di me quando avevo iniziato a chiedere aiuto.
Era una poliziotta. Ma non di Silent Hill. Era forestiera.
Le avevo giocato davvero un bello scherzo. Come mi vedevi?
Sì, funziona.
Ai tuoi occhi apparivo una bambina di sette anni, dai capelli corti e neri e col vestitino azzurro.

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Ti stavo ingannando. Ma non potevi mica accorgertene!
Si avvicinò a me e posò la sua mano sulla mia spalla. Nell’altra reggeva una pistola.
- Cosa sta succedendo, bimba? Dimmelo! – mi sbraitò in faccia, agitata.
Poi si fermò e, come incantata, cominciò a fissarmi con occhi increduli; io le risposi, tranquilla:
- C’è una ragazza che sta affogando nel canale.

Cheryl? Forse non dovrei nemmeno chiamarti così. Stava per annegare; “sentivo” quel poco ossigeno che entrava nei suoi polmoni e l’acqua che riempiva il suo stomaco.
Non le rimaneva molto tempo.
E anche a me.
Era ora di finirla.
La poliziotta si sporse verso la torbida acqua, cercandola.
All’improvviso dall’acqua spuntò fuori un braccio, che tendeva la mano, in cerca di un appiglio, di un aiuto.
Sentivo l’energie di Cheryl quasi svanire.
L’agente, vista la mano in cerca d’aiuto, l’afferrò senza pensarci su due volte, tirò fuori il corpo della... ragazza e la spinse verso la superficie.

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Quando tirò fuori dall’acqua il leggero corpo delle ragazza, lo stese sull’asfalto, ai miei piedi. La donna era chinata su Cheryl.
Come vedevi la bambina?
Ah, lo so. Vedi al suo posto una ragazza molto più grande di Cheryl, dai lunghi capelli neri raccolti da un nastrino rosso. Indossa un grembiule della scuola, blu come la notte, col colletto bianco come il latte e al collo un fiocco sfilacciato rosso, come il sangue. Aveva gli occhi chiusi, ma respirava... lo sapevo.
Cheryl...
- Non preoccuparti! Andrà tutto bene! – disse la poliziotta rivolgendosi a me.
Io ero rimasta immobile e impassibile tutto il tempo, ad osservarla.
Lei aveva notato la mia freddezza, nessun accenno di spavento o paura, e continuò a fissarmi, incuriosita ma severa. Mi ricordava un po’ lo sguardo indagatore della mia mamma.
Cheryl si mosse. Il suo corpo iniziò a muoversi e dell’acqua iniziò a fuoriuscire dalla bocca semichiusa.
- Devi vedere una cosa, signorina! – sussurrai vicino a lei, con voce innocente.
Le indicai ancora il canale.
Mi seguì fino alla sporgenza e mi chiese:
- E cosa dovrei vedere, sentiamo! – sbuffò.
Fui dietro di lei in un attimo: una spinta e pluff!
Cadde anche lei in quell’acqua sporca e pesante, che cercava di tirarla giù. Combatté un po’ per ritornare in superficie per respirare, ma non poteva ancora cantare vittoria. Ebbe, però, il tempo di guardarmi in faccia.
Ora chi vedi al mio posto?
Vedi una ragazza dai capelli lunghi e neri raccolti con un nastrino? Porto addosso un grembiule blu come la notte, col colletto bianco come il latte e al collo un nastrino rosso come il sangue?
Io credo proprio di sì.
In un battere di ciglia, intanto, io e Cheryl eravamo chilometri lontane da lì.
Forse era meglio per te non essere entrata in città.
Dimmi...
Vedi la nebbia?
Ora vedi il buio?
Dipende da te, mia cara.
 
 
 
La situazione non poteva peggiorare. Forse sì.
Ero chiuso a chiave nel bagno delle ragazze. In verità, la serratura non era rotta, potevo benissimo uscire. Mi ero chiuso a chiave da solo. Ma c’era un motivo, naturalmente.
Dopo aver attraversato il cortile interno avevo fatto la conoscenza di nuove inquietanti creature. Sentii, infatti, nelle vicinanze un odore nauseabondo che proveniva da quegli omini che avevo visto nel mio incubo al locale. Erano spaventosi e orribili.
Scuola...omini...bambini. Erano bambini senza pelle, alcuni grigi, altri rossi. Nudi e con le unghie lunghe e affilate, spalancavano voraci la bocca provvista di tanti dentini aguzzi; altri, invece, avevano in mano dei coltellini o lame dei temperini.

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Quando li vidi la prima volta rimasi spiazzato, pensai di essere tornato nel mio incubo.
Erano anche intelligenti: uno di loro afferrava le gambe, immobilizzandole, gli altri si facevano sotto graffiando, mordendo e pugnalando. Stavo per cadere in questo tranello, in questa trappola.
Avevo girato tutte le classi al primo piano, seguito a ruota dai mostriciattoli che grugnivano e...ridevano, ma della piccola Cheryl nessuna traccia. Per di più la luce della torcia li attirava come api al miele, ma senza torcia era quasi impossibile vedere dove si stava andando. Era, quindi, un continuo accendi – spegni, che stava iniziando a stufarmi. Anche il rumore statico della radio li attirava; fui pertanto costretto a spegnerla.
Alla fine del “giro” delle classi, dietro di me c’erano una decina di quei bambini demoniaci, tutti agguerriti e affiatati. Dovevo riposarmi, non ce la facevo più.
Entrai nella prima stanza a disposizione e chiusi a chiave la porta, lasciando i mostri nel corridoio che graffiavano coi loro coltellini la pesante porta di legno.
Ed eccomi qua, a riprendere fiato. Come sarei uscito da lì?
Oh cielo!
Dopo qualche minuto, cominciarono a demordere e presto il rumore incessante delle lame sul legno finì.
 
Sarei uscito subito dal bagno se non avessi sentito qualcosa.
Un pianto. Vicino a me, un pianto.
Un pianto infantile; non era demoniaco.
Un pianto disperato.
- P-perché?! M-m-mamma! D-dove sei?
Una voce dolce e innocente.
La voce di una bambina.
Sembrava la voce di Cheryl! Ma...era possibile?
Chiamava la mamma! Cheryl, troppo piccola quando Jodie morì, non ne soffrì molto la scomparsa.
- F-fa m-ale! Lo-loro mi fanno m-m-male!
Tra singhiozzi e sussulti la bambina continuava a piangere.
La voce proveniva da dietro una delle porte per i gabinetti.
- F-falli sm-smet-tere! T-ti prego!
Il suo pianto diventò sempre più forte.
Sembrava ora, quasi un pianto isterico. Mi avvicinai piano alla fonte del rumore.
- P-perché? L-le mie pre-preghiere l-le se-senti?! V-vi ODIO! V-VI ODIO TUTTI QUANTI!
Il pianto si trasformò in una risata. Una risata isterica e malvagia.
Poteva una bambina dire quelle cose, pensare quelle cose?
Non avevo mai sentito una bambina urlare in quel modo, né dire tutte quelle cose brutte.
Dopo pochi secondi la risata si spense.
Riprese lieve il pianto.
- Sc-scusa! P-p-perd-onami! T-ti pre-go!
I singhiozzi continuarono incessanti, ma questa volta, più dolci e umani.
Col cuore che batteva a mille uscii dal bagno e corsi via, il più lontano possibile da quella stanza.
Mi diressi verso l’ultima stanza che non avevo ancora perlustrato al piano terra: la sala d’aspetto per i genitori. Entrai e, sorprendentemente, ci trovai alcune pallottole per la mia pistola.
Sarebbero servite forse, così le raccolsi.
In fretta mi incamminai verso le scale per il secondo piano, quando un suono catturò la mia attenzione.
Un altro pianto!
Era un pianto dolce ma allo stesso tempo triste.
Vidi la fonte del rumore davanti a me.
Accesi la torcia, che era rimasta spenta dopo la corsa con i mostri, e la puntai verso il muro. Per fortuna che quel corridoio era sgombro dai mostri. Osservai nella direzione della luce.
Delle ombre, sul muro, si muovevano da sole. Le ombre sembravano così vere, che parevano fatte di carne.
La più piccola delle ombre emetteva quel suono!
Sembra impossibile, ma era così! Il suono proveniva dall’ombra più piccola.
Accanto a lei c’erano altre ombre, più grandi e imponenti.
La più piccola stava piangendo e le altre la deridevano.
- Fa volare la falena! – diceva la più grande.
- Sì, falla volare nel cielo! – si unirono le altre.
Avevano voci femminili.
- Vi ho detto che non so farlo! – disse la più piccola.
- Non sai farlo? O non vuoi farlo?! – le urlavano in coro le altre.
La piccola ombra ricominciò a piangere:
- V-verrà il mostro della caldaia! E v-vi mangerà in un boccone se continuate a prendermi in giro! – disse cercando di intimidirle.
- Strega! Sei un mostro! – disse un’altra.
- Fa volare la falena morta e poi ti crederemo!
- Resuscitala! Forza!
- Mostro! Mostro! Mostro!
- Meriti di essere bruciata al rogo!
- Crepa!
- Non esiste nessun mostro della caldaia, sciocca!
- Ladra!
- Vattene, bugiarda!
Le ombre accerchiavano la più piccola che ricominciò a piangere sommessamente.
Mi faceva pena.
- I-invece esiste!Q-quando il sole d’oro e il sole d’argento si uniranno davanti alle porte del tempo verrà a mangiarvi!
Le altre scoppiarono a ridere e a spintonarla.
Poi le ombre svanirono.
Ma io sentivo ancora quei pianti...li sentivo nella mia testa, nell’anima.

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Capitolo 12
*** Come Sole e Luna ***


Come Sole e Luna
 

Il sole d’oro? Il sole d’argento?
Il sole e la luna. Il giorno e la notte. La luce e le tenebre. Cheryl e questa città... gli opposti.
Una città demoniaca che ingoia una bambina buonissima; come un ragno, che cattura la farfalla nella sua tela letale. Riuscivo a pensare solo a questo, dentro il laboratorio di scienze della scuola elementare, al secondo piano.
Era un’aula molto piccola, con un enorme tavolo ad occupare quasi tutto lo spazio. Sul tavolo erano poggiati ancora i quaderni e le matite dei bambini che, un tempo, là, seguivano la lezione. Era come se il tempo si fosse fermato: potevo ancora “vederli”, seduti intorno al tavolo, ad ascoltare l’insegnante.
Sulle pareti c’erano degli scaffali, colmi di provette e bottiglie strane.
Non c’era niente d’interessante in quella stanza.
Ma-
- Ma quello cos’è?
Sul tavolo, notai qualcosa di violaceo, dalla forma tondeggiate.
- Ehi! Ma... ma un attimo fa non c’era questa cosa! Ne sono sicuro!
Questo posto sembrava giocare con me. Era pazzesco!
Mi avvicinai, perplesso.
- Oddio!
Ora lo vedevo bene quell’oggetto. Era una mano.
Una mano?
Una mano umana! Dal colore violaceo... e circondata dal sangue oramai rappreso. Il mio stomaco si rivoltò. Era disgustoso! Sembrava in putrefazione ma... non lo era! Era orribile.
Prima distolsi lo sguardo ma, la curiosità mi spinse a darle un’altra occhiata.
Stringeva qualcosa! O meglio... era serrata attorno ad una specie di sfera.
La sfera era dorata.
Il sole d’oro.
Dovevo prendere quella sfera d’oro.
Fu come se in quel momento la mano non suscitasse in me nessuna paura. Non più.
Sentivo che tutto quello che stavo passando, tutto quello che mi stava succedendo, mi portava ogni volta sempre più vicino alla mia piccola Cheryl.
 
Senza paura mi ritrovai a combattere con quella mano per ottenere la sfera.
La mano teneva strettissima quell’oggetto e, anche avendo adoperato tutte le forze a mia disposizione, non riuscivo a far sciogliere la presa a quelle dita rinsecchite.
Niente da fare.
Mi guardai attorno; trovai un coltellino, lo conficcai sul dorso della mano... ma niente.
Non demordeva.
Poi, improvvisamente, un’illuminazione.
Ero in un laboratorio di scienze: avrei usato le mie conoscenze di scienze per vincere la presa della morte. Quella mano rinsecchita e scheletrica rappresentava, forse, la morte, una presa serrata intorno al sole, intorno alla vita.
La morte...
Se c’era un mondo, oltre la vita, in cui paure e tenebre si materializzano a degli innocenti... io c’ero già entrato.
Ed era in quest’inferno che dovevo trovare il mio angioletto.
Dovevo lei aveva bisogno di me.
 
Detti rapide e impazienti occhiate agli scaffali pieni di bottiglie e liquidi strani, finché una scritta rossa su una bottiglietta non catturò la mia attenzione: ACIDO CORROSIVO – MANEGGIARE CON CURA.
Faceva proprio al caso mio.
Presi la bottiglia e, stappata, con la massima attenzione, la versai sulla mano.
All’inizio non successe niente, ma dopo pochi secondi la mano iniziò a sciogliersi davanti ai miei occhi.
Era uno spettacolo terribile.
Dopo quasi un minuto, della mano erano rimasti solo piccoli brandelli di carne. Fortunatamente la sferetta dorata era perfettamente intatta. Con cautela la presi: era più leggera di quanto sembrasse. Su di essa c’era inciso: Sol.
 
 
- Quella ragazza era solo una guastafeste. Se lo meritava.
- Ma quando torno da papà?
- Presto...
- Papà sarà furioso...
- E cosa te ne importa? Con me non corri nessun pericolo! E poi, ti stai divertendo! Vero?
- ... ma, qui il sole non sorge mai?
- Sorgeva... tanto tempo fa, quando ero molto piccola.
- Deve essere triste vivere senza sole...
- Sì. E’ triste. Ma per me il sole ha smesso di brillare prima di quanto potessi mai immaginare, sai?
- Allora non pensare a quei giorni, amichetta.
- Solo tu sai cosa provo. Con te il sole splende ancora, dentro me.
 
 
Avevo la sfera d’oro nella tasca.
Mancava la luna, probabilmente, una sferetta d’argento.
Uscii subito dal laboratorio. Mi ritrovai nel corridoio, uguale a quello del piano inferiore. C’erano altre due stanze da esplorare. Le altre avevano la serratura rotta ed era impossibile aprirle.
La prima delle due aule era una stanza per gli armadietti: ce n’erano tantissimi e si snodavano per tutta la stanza. Esaminai gli armadietti, ma erano tutti chiusi. Tranne uno.
In fondo, da un armadietto posto abbastanza in basso, si sentivano strani rumori provenire dall’interno.
C’era qualcosa che si muoveva là dentro.
BAM!
Lo sportello dell’armadietto si spalancò con un tonfo metallico.
Ne uscì fuori una creatura... un animale.
Spaventato, puntai istintivamente la pistola contro la creatura ma, con un misto di vergogna e stupore, subito rilassai le braccia e abbassai l’arma; era solo un gatto.
Sì, davanti a me, un piccolo e peloso gatto nero, con gli occhi gialli.
Quel gatto, così terribilmente familiare e ordinario, mi dette un briciolo di speranza in più: allora, non tutti si sono trasformati in mostri in questa città maledetta.
Il gattino si era avvicinato e si strusciava contro i miei polpacci, felice.
Un secondo dopo, le rividi.
Rividi quelle ombre, quelle ombre fatte di carne. O almeno, lo sembravano.
Contro un pezzo di parete sgombro dagli armadietti, c’era la piccola ombra dalla vocina dolce e infantile.
Sembrava reggere qualcosa tra le braccia.
Poi, lei parlò:
- Ma come sei bella! Non ho mai visto una gatta così bello. Ma come sei entrata a scuola? Se lo sapessero le insegnanti...
- Miao
Aveva, nelle braccia, un gatto.
- Voglio adottarti. Sì, sì. Ma come posso chiamarti? Sei tutto nero, ma sei adorabile. Quindi... che ne dici di... “Liquirizia”? Ti piace, piccolina?
- Miao!
Era straordinario; sembrava che quell’ombra fosse in grado di parlare e capire il linguaggio degli animali. Bhe, del suo animale-ombra, in verità.
- Lo sapevo, lo sapevo che ti sarebbe piaciuto. Lo sai che i gatti sono il mio animale preferito. Anche se quella volta...
- Miaaao.
- Portarti a casa mia?! Non se ne parla! Mia madre... no, è fuori discussione.
Poi sussultò, insieme al suo animaletto.
- E’ ora di tornare a casa! Come posso fare con te, adesso? Facciamo così: nasconditi nel mio armadietto. Lì dentro c’è acqua e qualcosa da sgranocchiare, se non prediligi i topi dell’istituto.
Il gatto-ombra saltò fuori dal suo abbraccio e andò a rintanarsi nell’ombra che la mia torcia produceva sugli armadietti, fino a scomparire.
- Sì, brava Liquirizia – continuò la voce – domani ti prenderò e ti porterò da Claudia. Oggi non posso. Non preoccuparti, tornerò domani. Ciao, piccina. Ciao.
L’ombra della bambina svanì.
 
Era successo ancora.
Quel gatto...
Abbassai lo sguardo per osservare se, il gatto in carne ed ossa, mi stesse ancora facendo le fusa.
Ma... non c’era più. E non poteva aver lasciato la stanza: la porta era chiusa.
- Tutto questo non ha senso.
Eppure l’armadietto era ancora spalancato: non mi ero immaginato niente, era stato tutto vero, tutto reale.
 
Lascia tutto alle spalle. Cheryl era la priorità assoluta; non potevo lasciarla sola, in questa città fuori dal mondo, per inseguire ombre e cercare gatti neri.
L’ultima stanza, senza la serratura scassata, del secondo piano, era l’aula della musica.
Era grande e spaziosa, occupata da un grande pianoforte a coda e da una lavagna appesa alla parete.
Entrai, titubante: sembrava che la sfera d’argento non fosse lì, ma dovetti ricredermi.
La vidi, attaccata alla parete, sopra la lavagna, ad un’altezza impensabile.
- O cielo, e adesso come faccio?
C’era uno sgabello nella stanza ma non era sufficientemente alto.
In silenzio, studiavo un modo per arrivare a quell’oggetto, quando, tutto ad un tratto, sentii un pianto. Quello stesso pianto che avevo sentito al primo piano.
Il pianto che avevo sentito nel bagno.
Il pianto di quella bambina.
Proveniva dal pianoforte.
Piangeva e piangeva e piangeva.
Ma quella bambina... quell’ombra sapeva solo piangere e lamentarsi.
Cercai di parlarle:
- Ehm, senti... ehm, cerca di calmarti. Io... prima, nel bagno... ehm, non voglio farti niente...
Il pianto della bambina non si fermò.
- Ma dove sei? – le chiesi.
- ... qui... là... ovunque... – mi rispose con voce flebile – ora sono seduta al pianoforte...
- Senti: io devo prendere quella sfera d’argento. Sai dirmi come posso fare per... – sussurrai verso il pianoforte, cercando di immaginarmi un bambina seduta sullo sgabello.
- Perché la vuoi? Poi sveglierai il mostro della caldaia, che ti mangerà in un sol boccone – sussurrò.
- E’ per... devo trovare...
- Se proprio ci tieni... qualcuno deve suonare il pianoforte.
Non me ne intendevo molto di musica.
Mi avvicinai lentamente allo strumento musicale. I tasti erano macchiati di sangue.
- Posso suonare io al posto tuo... ma ad un prezzo – disse la voce.
- Cosa?
- Che, dopo aver svegliato il mostro della caldaia, te ne andrai via da Silent Hill.
- Sì, sì, certo – mentii.
Perché ora dovevo sottostare alle regole di un voce?!
Silenzio.
- Mi stai mentendo? – chiese dubbiosa.
- No, certo che no!
Silenzio.
L’avevo convinta.
I tasti iniziarono a muoversi, come se fossero spinti da dita invisibili.
 
Nella mia testa, la voce di una ragazza, una voce dura ma dolce allo stesso tempo, iniziò a cantare la melodia che il pianoforte produceva.
Poi  il mormorio della ragazza nella mia testa, divenne una poesia, una canzone.
La sentii cantare, con una voce melodiosa, molto diversa da quella che avevo “sentito” durante l’incidente in auto, quella risata...
Ora cantava:
 
First flew the greedy Pelican,
Eager for the reward,
White wings flailing.
 
Then came a silent Dove,
Flying beyond the Pelican,
As far as he could.
 
A Raven flies in,
Flying higher than the Dove,
Just to show that he can.
 
A Swan glides in,
To find a peaceful spot,
Next the another bird.
 
Finally out comes a Crow,
Coming quickly to a stop,
Yawning and then napping.
 
Who will show the way?
Who will be the key?
Who will lead to
The silver rewards?
 
 
 
Silenzio.
Silenzio.
Tutto, la voce e la musica... sparite... svanite.
Plim-plim-plimplim...
La sferetta d’argento era caduta dalla parete. Era per terra.
La raccolsi, prima che rotolasse via.
Il sole d’oro e il sole d’argento...
Davanti alle porte del tempo...
Un orologio?
Una torre? Torre?
Avevo visto una piccola torre dell’orologio nel cortile interno della scuola.
Corsi, ignorando i mostri, verso la meta e, proprio come pensavo, sotto la torre, c’era una piccola porta in legno, che entrava nella torre.
Ai lati della porta c’erano due rientranze circolari.
Infilai le due sferette negli spazi cavi e CLICK, la porta si era sbloccata.
Entrai dentro.
Cheryl...
 
 
- Non te la sei presa vero? Quando ti ho buttata nel canale?
- No, amichetta.
- Ah.
- Ma perché non gira nessuno in questa città?
- Non preoccuparti. La gente c’è; solo che non l’abbiamo ancora incrociata.
- Ma è notte?
- Non lo so. Non so più distinguere il giorno dalla notte. Non più oramai. Qui no.
- Peccato volevo vedere la luna.
- Mphm...
- Ehi, amichetta, cos’è questo suono?
- Qual- ah, questo suono! Ahah!
- Cos’è questo lamento?! Ho paura!
- Non preoccuparti, svanirà presto... credo. Ho un’idea: vieni a casa mia, ci divertiremo tanto! Che ne dici? Poi devo presentarti una persona speciale.
- E papà? Quando potrò vedere papà? Papà viene con noi.
- Oh, lui è già lì. Ci sta aspettando.
 

 

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Capitolo 13
*** Certezza Telefonica ***


Certezza Telefonica
 
Quella torre dell’orologio era davvero strana: non c’erano ingranaggi all’interno; solo un tunnel, scavato nella pietra. Com’era possibile? Chissà dove portava. Dovevo scoprirlo, comunque.
Solo una certezza mi accompagnava, carponi, in quel bassissimo cunicolo: Cheryl era in questa città; qualcosa o qualcuno l’aveva sicuramente portata via da me. Ricordavo così bene il suo faccino allegro quando le dissi che saremmo andati a Silent Hill, come lei voleva. Il suo sogno si era trasformato nel mio incubo. Sentivo che in questa scuola avrei trovato delle risposte. Dovevo solo stare al gioco di quella strana ombra, diventata, ora, l’ultimo dei miei pensieri.
Vedevo una porta alla fine del cunicolo, l’uscita era vicina. Chissà dove mi ritroverò adesso. Probabilmente all’esterno dell’edificio, nel piccolo spazio verde che circondava la struttura.
Ma ecco che, all’improvviso, un rumore assordante m’arrivò alle orecchie.
Un lamento lugubre e pietoso. Non era un lamento umano.
E continuava, continuava e continuava... quel suono così strano, così artificiale.
- Questa... è... una sirena! Una vecchia sirena anti-bombardamento?
Non era possibile! Quella sirena l’avevo già sentita!
L’avevo sentita... prima di svenire a causa dell’incidente, nell’auto! Era lo stesso e identico suono! Un suono continuo e assordante, che ti entrava dritto nel cervello.
L’avevo sentita... prima di svegliarmi, nel mio incubo su Cheryl e quel maledetto vicolo!
Ogni volta che ascoltavo questa sirena, era sempre durante fatti orribili, spaventosi o strani.
Cosa mi sarebbe capitato, questa volta?
Continuai a gattonare verso la porticina e, arrivato davanti, tesi la mano per aprirla.
Uscii fuori dal tunnel.
Ecco, ero fuori!
Fuori.
Fuori...
Fuori?
Davanti a me, vidi l’ultima cosa che potessi mai aspettarmi: il cortile interno della Midwich Elementary School.
Ancora?!
Risi. Una risata nervosa.
- Ok, tutto questo non ha senso! Com’è possibile?! Mi sono infilato in un cunicolo che dava all’esterno del cortile e ora! Perché mi trovo al punto di partenza?! Oddio! – sussurrai.
Era tutto ... era impossbile! Accanto alla Midwich non ci sono altri cortili con altre scuole identiche alla prima! C’era un piccolo spazio verde! Lo ricordo perfettamente!
La sirena stava lentamente cessando.
“ Sto diventando pazzo?! Tutto questo non era reale! Sono entrato in un incubo”.
Il cielo era nero, senza stelle o luna: non era una vera notte.
Neanche un alito di vento.
Il silenzio più totale, scese su di me.
Il silenzio non mi piaceva. Quel silenzio non mi piaceva.
Mossi alcuni passi in avanti.
Tutto era buio; la piccola torcia sul petto non riusciva ad illuminare l’intero cortile...
 
 
Illuminò qualcos’altro.
 
Qualcosa per terra.
 
Il silenzio fu rotto da una risata.
 
Non ero solo.
 
 
All’inizio pensai si trattasse di Cheryl. La voce sembrava quella di una bambina.
- Cheryl? – sussurrai speranzoso verso la fonte del rumore.
 
Sgranai gli occhi.
 
No.
Non era Cheryl.
 
La torcia illuminò la persona.
La ragazzina.
 
Una ragazzina, con un vestito blu, era chinata per terra, al centro dell’atrio.
I capelli erano bruni, legati con un nastrino rosso.
Ero alle sue spalle. Non sembrava essersi accorta della luce che la stava investendo.
 
Ridacchiava tra sé e sé.
Quella risata... l’avevo già sentita!
Tutto qui sembrava così familiare!
 
Non era una bambina. Sembrava più grande.
 
Non era sola.
Accanto a lei c’era qualcosa... o qualcuno... decisamente morto.
 
Un corpo scuoiato giaceva alla sua sinistra. Aveva il ventre squarciato, tagliato in due.
 
Rimasi immobile davanti a quella raccapricciante visione... era lo stesso cadavere appeso alla grata, nel mio “incubo”.
 
Ora stava sussurrando qualcosa.
Non parlava inglese.
Era una lingua strana, mai sentita e, per quello che mi pareva, molto simile al latino.
Bisbigliava senza prendere fiato.
Si mosse: allungò la mano destra verso il cadavere, inserendo la manina nel ventre aperto del cadavere.
Era orribile.
Frugava e frugava nel corpo e dopo pochi secondi tirò fuori la mano, bagnata completamente di sangue.
L’esaminò per un istante, affascinata; poi si chinò in avanti, muovendo la mano sporca e creando macabri disegni sul pavimento di pietra che, dalla mia posizione, erano coperti dalla sua ombra.
La ragazzina stava disegnando col sangue.
Smise, finita l’opera, di parlare da sola e, finalmente, si accorse della luce della mia torcia.
Sussultò per lo spavento e si girò verso di me, sorpresa.
 
Ebbi l’occasione di guardarla in faccia.
Il viso...
Era così bella.
Non avevo mai visto una ragazzina della sua età così.
La sua grazia “stonava” con tutto quello che era attorno a lei.
Aveva qualche schizzo di sangue sulle guance.
Gli occhi erano blu; il suo sguardo... sembrava quello ...
Era come se l’avessi già vista, da qualche parte.
Anche se aveva dei bellissimi occhi, comunque, nel suo sguardo non traspariva niente di grazioso, anzi.
Se riuscivo a scorgere bellezza e armonia nell’aspetto di quella ragazza, nel suo sguardo non scorgevo niente di positivo; vedevo solo... vedevo la furbizia e la maliziosità nel suo sguardo, così giovane...
Mi fissò, negli occhi e disse, con un filo di voce :
- Hic est venator qui necat monstrum!
 
Stava parlando in latino?!
Quella voce... l’avevo già sentita! Nella macchina! Prima dell’incidente!
No... non era possibile...
La cosa più importante adesso era portare via anche quella ragazza e magari cercare Cybil.
Quella ragazza era un’altra sopravvissuta.
Ma che le stava succedendo? Perché imbrattava di sangue il pavimento? Forse tutta Silent Hill con i suoi orrori, l’avevano scossa un po’: dopotutto era ancora una ragazzina.
Ma per sporcarsi così le mani col sangue di un cadavere... forse aveva problemi mentali... e perché parlava latino?! Cos’aveva detto?
Forse aveva visto Cheryl. Una cosa era certa: dovevo portarla via con me.
- Hic est venator qui necat monstrum!! – ripeté più forte di prima.
 
La luce della torcia l’accecava e mise la mano insanguinata davanti agli occhi per ripararseli.
Chinai il capo per spegnarla e per iniziare parlarle ma, sorprendentemente, quando rialzai la testa per guardarla, lei non c’era più.
Era sparita, e con lei anche il cadavere.
Riaccesi la torcia.
Avevo immaginato tutto o...?
Sul pavimento c’era qualcosa: il disegno di quella bella ragazza!
 
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Era strano.
Sembrava un simbolo, un marchio.
Era stato realizzato col sangue, ancora fresco in alcuni punti.
Aveva un non so che di religioso... ed era prefetto: i cerchi erano perfetti, sembravano fatti con un enorme compasso; il triangolo aveva i lati drittissimi.
I geroglifici ai lati non li conoscevo.
Questo simbolo, nel vecchio cortile, non c’era.
Qualcuno deve averlo disegnato... quella ragazza.
 
Cosa dovevo fare adesso? Sarei rientrato di nuovo nella scuola?! Solo l’idea iniziava a scoraggiarmi, ma cos’altro potevo fare?
Entrai nei familiari corridoi. Caspita! Tutto era cambiato nella Midwich! Il pavimento di piastrelle... al suo posto solo grate arrugginite. I muri erano sporchi di sangue e ...
Mi venne un colpo quando constatai che sotto i miei piedi, dietro la grata-pavimento, c’era il nulla. Tutto era buio. Sentivo, poi, un rumore simile a quello di una grande ventola di ferro che girava e girava inesorabile.
 
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Alla prima vista di quest’incubo il cuore mi saltò in gola. Lo stomaco si rivoltò e iniziai a sudare freddo. Avevo paura. Era come se questa città riuscisse a captare le tue paure e i tuoi incubi e a trasformarli in realtà.
Era spaventoso: come poteva una città sapere quello che ti spaventava di più?!
Cheryl... questo incubo ad occhi aperti... come sarai terrorizzata!
So che sei viva.
 
I corridoi erano pieni di quei mostri, incontrati anche nella scuola normale. Erano ancora più agguerriti, quindi mi rifugiai nelle classi. Si fa per dire, non avevano più l’aspetto di una classe: le grate arrugginite erano dappertutto e i mobili e tutti gli oggetti della Midwich erano spariti.
Solo in una classe trovai dei normali oggetti: una cattedra con tre grandi telefoni blu. All’inizio non ci feci molto caso, poi...
 
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Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin
 
Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin
 
Uno dei telefoni stava squillando. Com’era possibile?! Non erano collegati alla corrente!
- Oddio. So già che se uscirò vivo da questo posto cambierò totalmente il mio modo di pensare e di vedere le cose...
Tutto questo era assurdo, ma...
Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin
Era il secondo telefono a squillare.
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Alzai la cornetta e sussurrai:
- P-pronto?
Silenzio.
Poi qualcuno rispose:
- Papà?!
Un tuffo al cuore! Non c’era dubbio era la voce di Cheryl! Era lei!!
- Tesoro! Piccola mia! Cheryl! – risposi disperato, con le lacrime agli occhi.
Sentirla, avere la certezza che fosse viva... era una sensazione inspiegabile!
- Papà!! Aiutami!! Ti prego, aiutami! Papà, aiutami! Aaaaaaaaaaaah! Vieni ti preg-aaaaaaaaaah!
Stava urlando di dolore?!
- Cheryl!
 
Pin-pin-pin-pin
 
Aveva riattaccato, o era caduta la linea.
Cheryl...

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Capitolo 14
*** Il Mostro Della Caldaia ***


Il Mostro Della Caldaia

Il panico, durante la telefonata, aveva invaso il mio corpo. Anche dopo l’inconfondibile suono di linea staccata, tenevo la cornetta all’orecchio, speranzoso sapendo che era comunque inutile.
Come potevo trattenere le lacrime?
Cheryl aveva bisogno di me e quelle sue urla di dolore m’avevano trafitto il cuore; lei, bambina sempre sorridente, allegra e ingenua, non meritava ... chi l’aveva portata via da me l’avrebbe pagata! Lottavo contro quei mostri e questa città solo per riabbracciarla e tornare a casa. Lei si meritava QUESTO, si meritava il mio coraggio e si meritava di vivere.
Chissà quanto tempo rimasi lì... ad attendere qualcosa... o qualcuno...
Era viva, aveva bisogno di me; ecco perché dovevo darmi una mossa per uscire da quella scuola.
Rientrai nel corridoio infestato e voltai subito a destra e, dopo due porte senza serratura, mi rifugiai nella biblioteca. Anche qui c’erano scaffali e tavoli ancora intatti; inoltre, attaccati alle pareti c’era qualcosa di veramente inquietante: corpi adulti, scuoiati, erano appesi alle grate, con le braccia incrociate sul petto, come si vede in quei curiosi libri che illustrano le mummie degli antichi faraoni d’Egitto.
Il centro della stanza era occupato dal tavolo su cui erano poggiati diversi fogli appartenenti a diversi libri.
Li esaminai uno a uno. Erano strappati ma sopra la pagina era scritto quello che sembrava il titolo del paragrafo preso in considerazione.

 
MANIFESTAZIONE DI DELUSIONI
... fenomeni paranormali, come la telecinesi (Poltergeist) sono tra questi e si verificano con frequenza davanti ai nostri occhi. Emozioni negative come paura, preoccupazioni o stress si associano a questi fenomeni, diventando energia vitale con effetti psichici e fisici. Gli incubi in alcuni casi sembrano dimostrarlo, essendo episodi scatenanti molto efficaci. Comunque tali fenomeni non si manifestano in ciascuno di noi; non è chiaro perché soprattutto i bambini e gli adolescenti di sesso femminile siano più indirizzati a tali eventi.”
 
Un altro:
UN’ENTITA’ DIVISA IN DUE
Attraverso lo studio di questi casi, notiamo che il cervello delle vittime lotta per accettare il conflitto causato dall’abuso commesso da una persona amata. Spesso, la personalità del bambino abusato tende a separarsi in due entità distinte. Una personalità continua ad amare l’abusatore ed a ricercare la sua approvazione. L’altra, contiene la rabbia e l’odio dell’abusato e, in molti casi, diventa un riflesso dell’abusatore, cercando di infliggere le pene subite agli altri. Purtroppo, è quest’ultima metà che diviene dominante.”
 
Queste letture erano tutte inquietanti e strane! Cosa ci facevano in un scuola?!
 
REPRESSIONE E PROIEZIONE ASTRALE: IL PERFETTO ASSASSINO?
... noto ai servizi segreti: più una mente è controllata e tesa a censurarsi, più è semplice per un’influenza esterna prenderne il controllo  e mandare a monte questo tipo di programmazione mentale ed è per questo che ...”
 
Una grossa macchia di sangue copriva quasi tutto il resto del foglio. Solo una frase a fondo pagina era ancora leggibile:
 
“Tra le tribù che hanno sviluppato la capacità di controllare e focalizzare le loro proiezioni, ne esiste una temuta dall’intera comunità. Il loro sciamano afferma di avere l’abilità di uccidere solo col pensiero, proiettando il proprio desiderio di uccidere nel corpo della vittima.”
 
Davvero allegre come letture per bambini!
Rimase un libro da esaminare. Lessi ad alta voce, per opprimere quel dannato silenzio e per darmi coraggio.


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“Sentito ciò il cacciatore
Armato di arco disse:
Ucciderò la lucertola!
Ma dopo l’incontro col nemico:
indietreggiò dicendo:
Chi ha paura di un rettile?!
Quindi la lucertola sibilò:
Ti mangerò in un sol boccone
Allora il bestione attaccò
Aprendo le fauci
Aspettando questo gesto, l’uomo
Tese l’arco e schioccò
La freccia che colpì lo stomaco
Indifeso della lucertola
Che cadde morta”
 

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Nel leggere quel brano mi scappò un mezzo sorriso. La ricordavo molto bene quella storia: me la leggeva sempre la mamma prima di andare a dormire, quando ero piccolo, ed era la mia preferita. Era presa da un libro di fiabe e favole straniere ma non ricordo da dove prevenisse questa in particolare.
- Mamma... Papà...
Papà... non ci sentivamo spesso, ti avevo perso di vista insieme alla mamma.
Ricordo la paura che provai il giorno in cui, oramai maggiorenne e intenzionato a sposarmi con Jodie, mi trattaste con indifferenza, odiandola, e mi suggeriste di vivere lontano dalla nostra città natale.
Avevo Jodie con me, ma mi sentivo perso, senza una guida.
Cheryl doveva provare la stessa cosa... dovunque fosse.
 
All’improvviso la sentii.
No, non Cheryl.
Nemmeno quella strana ragazza che disegnava cerchi perfetti e simboli strani.
Non udii Cybil.
La sentivo crescere. Aumentare. Invadere lo spazio.
La sirena.
La sirena.
La sirena che entrava nel cervello e non usciva più.
Dovetti portare le mani alle tempie per non scoppiare a urlare. Morsi il labbro inferiore e avvertii la terra tremare violentemente.
Un terremoto?
La fine del mondo?
Cheryl?
- Come hai potuto!! Lo avevi promesso!
La vista cominciò ad annebbiarsi. Sentivo le energie svanire.
- Avevi detto che te ne saresti andato! Che saresti morto! Ora lo vedrai che succede ai bugiardi! BUGIARDO! BUGIARDO! BUGIARDO!
La voce... così familiare... così temuta... così... così...
- Ah, il mostro della caldaia! BUGIARDO!
Persi i sensi.
La terra che ancora tremava...
 
Mi svegliai dopo quella che sembrò un secondo. Ero steso su una grata.
Mi alzai perplesso, ritrovandomi la pistola nella mano destra.
Mi guardai attorno, col cuore che sembrava scoppiare per la frenesia dei suoi battiti.
Tutto era buio. La torcia non illuminava granché, così iniziai a camminare.
Constatai di essere su una... superficie... pavimento... fatto di grate, di forma rettangolare... sospeso nel nulla! Tutto era buio attorno a me. La grata, arrugginita, sembrava fluttuare nell’ aria oscura.
- Santo cielo! – esclamai quando, inevitabile, la mia situazione “precaria” si insinuò nella mia coscienza e nella mia mente – Questo posto ti porta alla follia!
 
Un boato.
Un boato grottesco e profondo giunse alle mie orecchie.
Proveniva dalle mie spalle.
Mi voltai, con lo sguardo sbarrato.
Una creatura spaventosa... davanti a me.
Un mostro altissimo e lunghissimo.
Sembrava un dinosauro.

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Non vedevo gli occhi, posti ai lati dell’enorme testa come un rettile, ma potevo benissimo scorgere le grandi fauci... ancora chiuse.
Grugnì e mi venne vicino.
Io indietreggiai spaventato sia per il mostro sia per la paura di cadere fuori dalla piattaforma, nel vuoto, quando qualcosa catturò la mia attenzione.
Al centro della piattaforma c’era qualcun altro.
Una persona.
Socchiusi gli occhi nel buio e la vidi: una sagoma piccolina e tremante rannicchiata a terra. Non riuscivo a distinguere il vestiario. Era una bambina.
- Cheryl? – sussurrai, incerto.
La bambina non mi sentì, o non volle sentirmi, e sembrò non curarsi né di me, né del mostro.
Si alzò in piedi, guardò in alto e, spalancati gli occhi, iniziò a gridare, a strillare, ad urlare d’agonia, ma i suoni sembravano ovattati e pacati in confronto al ruggito di quella lucertola gigante.
 

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Perché? Perché urlava?
La risposta si manifestò subito davanti ai miei occhi.
Dai piedi della bambina si creò una scintilla da cui subito scaturì una fiammella che, improvvisamente, avvolse il suo corpo assumendo sempre di più l’aspetto di un rogo. La piccola rimaneva là, immobile, e soffriva. Avrei voluto aiutarla ma, probabilmente, tutto questo, era un sogno o frutto della mia immaginazione.
 
Ritornai concentrato sulla mostruosa creatura che, con passo pesante, annusava l’aria, cercava le mie tracce.
La mano destra, chiusa attorno alla pistola, si alzò e puntò la gigantesca testa della creatura.
Cercai di mirare verso il punto della testa che doveva, probabilmente, ospitare una sorta di cervello.
Premetti il grilletto.
Bam!
Bam!
Bam!
Tutti i colpi sembravano fargli il solletico: scagliati contro le scaglie grigie rimbalzavano via, non procurandogli neanche un graffio.
Iniziai a sudare freddo.
 

 
“Ti mangerò in un sol boccone”
Allora il bestione attaccò
Aprendo le fauci
Aspettando questo gesto, l’uomo
Tese l’arco e schioccò
La freccia che colpì lo stomaco
Indifeso della lucertola
Che cadde morta
 
 
Quella fiaba...
Non era messa lì, per caso.
Forse... potevo uscire vivo da quella situazione.
La bestia si fece ancora più vicina, ancora più minacciosa e più possente.
Con uno strano suono spalancò le immense fauci.

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In una frazione di secondo, vidi la gigantesca bocca, un enorme buco nero, aprirsi verso di me. Si stava preparando a divorarmi in un sol boccone.
Sentii l’alito impregnato di morte del mostro su di me.
Fu allora che scattai: mentre stava balzando vorace su di me, premetti il grilletto.
 
Lo premetti con forza.
Con decisione.
Ma con gli occhi chiusi.
 
Bam!
 
Un gemito. Un ruggito di morte e dolore.
Aprii gli occhi.
La bestia era accasciata a terra, con la bocca spalancata. Morta.
La bambina in fiamme era scomparsa.
Mi sentii improvvisamente male.
Mi accasciai anche io a terra, con un mal di testa lancinante.
Prima di crollare però udii una voce femminile:
-  Hic est venator qui necat monstrum
 
 
Ripresi conoscenza, almeno credo, quando vidi davanti a me una ragazzina.
Oh, l’avevo già vista: era la ragazza che stava disegnando quel simbolo nel cortile della scuola, col sangue.
Ma adesso sembrava molto più umana e curata.
Era sempre bellissima.
Era poggiata su una parete. Stava facendo qualcosa alle unghie, perché osservava, particolarmente interessata, le sue mani.
Forse stavo ancora sognando? Quello di prima era stato un sogno?
Dopo qualche secondo la ragazza sembrò accorgersi di me.
Si girò verso di me e mi fissò.
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Finalmente, potevo squadrarla per benino.
 
 
I capelli neri e ondulati, raccolti in una coda di cavallo, erano di media lunghezza e le ricadevano sulla schiena. Erano raccolti con un piccolo nastrino rosso. Il viso era grazioso.
La sua pelle era bianca.
I suoi occhi erano luminosissimi, di un azzurro che non avevo mai visto in vita mia.
M’avevano incantato.
La bocca era piegata in un curioso e leggero sorriso.
Notai che portava piccolissimi orecchini dorati.
Osservai il suo corpo.
Non doveva avere più di quattordici anni.
Il seno e i fianchi erano ben proporzionati per la sua età. Era il corpo di una ragazzina che si stava ancora formando, una ragazzina che presto sarebbe diventata donna.
Indossava quello che sembrava un grembiule di scuola, blu, col colletto bianco e un fiocco rosso attorno al collo. Strano: il grembiule le arrivava a metà coscia, sembrava non adatto alla sua età e alla sua altezza, essendo lei abbastanza alta.
Era là, davanti a me, e mi fissava, curiosa.
Volevo parlare, volevo toccarla ma una forza strana dentro me mi impediva di muovermi.
Lei sbatté le palpebre e il suo sorriso sembrò allargarsi.
Poi, improvvisamente svanì.
Svanì come se fosse stata vapore. Sembrava si fosse dissolta nell’aria della stanza.
Sparì.
 
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- Ma... sto sognando?! Che sta succedendo?
Ero in una sala-caldaie.
Aprii la porta d’uscita e mi ritrovai... nella Midwich!
Ma non era demoniaca!
Era normalissima. Sembrava una scuola normalissima.
 
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Din don
Din don
Din don
- Cosa? Campane?! Qualcuno sta suonando le campane! Campane di una chiesa!!
Forse Cheryl?
Forse Cybil?
Qualcun altro?
Non m’importava!
Corsi verso l’uscita senza voltarmi.
Sentivo che questo era solo l’inizio.
Ma... chi era quella strana ragazza?

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Capitolo 15
*** La Donna ***


La Donna 

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Di nuovo per strada. L’oscurità che aveva avvolto la scuola era sparita, per lasciare posto alla densa e familiare nebbia che mi aveva accolto a Silent Hill. Che strano: mai vista una cosa del genere. Questo posto doveva essere maledetto!
Il suono di quelle campane, comunque, sembrava aver alleggerito quel fardello che portavo dentro di me da quando avevo realizzato che Cheryl era sparita: non ero solo. La città non aveva divorato proprio tutto. E se avrei trovato qualcuno originario di Silent Hill? Mi avrebbe aiutato a cercare Cheryl?
Quanti pensieri, quante domande nella mia testa...
Cheryl...
 
Din don
 
Din don
 
Corsi più veloce che potetti, verso la fonte dell’incessante rumore.
Mi sembrava di essere in uno di quei film in cui il protagonista, sopravvissuto ad un cataclisma o cose del genere, dopo tanti giorni di solitudine, avverte un segno umano, ritrova altri sopravvissuti e scappano insieme. Quei film, quelle situazioni che sembravano impossibili fino a qualche giorno fa, adesso, sembravano cosa da nulla, semplici finzioni cinematografiche.
Questa era la realtà.
Forse.
E se fosse stato solo un sogno? E se tutto fosse stato un incubo?
E se io stessi sognando tutto questo?
E se stessi dormendo, ancora a casa, con Cheryl al sicuro nella sua cameretta?
E allora perché non mi sveglio?!
Non meritavo questa tortura per il solo fatto di voler salvare mia figlia...
Cheryl...  se dovesse succederti qualcosa... io...
Volevo riabbracciarti, ora, e vederti sorridere, tenerti stretta e tornare a casa.
Mi sforzavo di pensare a tutto questo come una promessa, non come se fosse un’utopia.
 
Quando iniziai a perdere le forze ero in Bloch Street, a pochi isolati dalla chiesa, che la mappa indicava come “Balkan Church”. Mi fermai a riprendere fiato appoggiando la schiena contro il muro di un edificio; ricordai i disegni e gli indizi che mi aveva lasciato Cheryl in quel vicolo.
E se non fosse stata Cheryl?
Sicuramente i fogli erano i suoi, strappati dall’album che le avevo regalato io per il suo quinto compleanno, e i fogli recavano scritto “A SCUOLA”.
Ma in quel dannato edificio non avevo trovato la mia bambina!
Mi ero solo spaventato a morte davanti a piccoli bimbi demoniaci, a fantasmi piagnucoloni, a ragazze e simboli che evaporavano, a telefoni che squillavano per magia e a lucertoloni giganti!
Che stress! Indizi inutili!
Portai il polso sinistro all’altezza del viso e osservai l’orologio, per vedere che... ah, dimenticavo: era rotto da quando ero entrato in città. Mancavano le lancette, come se si fossero spezzate entrambe, e il vetrino era spaccato, colpito da qualcosa, probabilmente, durante l’incidente.
Avrei tanto voluto sapere da quanto tempo ero a Silent Hill.
Era proprio vero: la città sembrava tagliata via dal resto del mondo, sia in fatto di tempo –come l’orologio- , sia in fatto di spazio –come testimoniavano le strade d’uscita per la città, tutte quante che terminavano con un precipizio gigantesco e invalicabile. Chissà, allora, come aveva fatto Cybil a entrarci. Chissà come avevo fatto IO!
Sentii un ringhiare alla mia sinistra: due di quei cani spaventosi che invadevano le strade, stavano puntando proprio su di me.
Velocemente, abbandonati quei pensieri, presi a correre davanti a me per seminarli e per trovare la chiesa. Le bestie mi vennero dietro, abbaiando e ringhiando, attirando l’attenzione anche di quelle specie di pterodattili scuoiati che giravano sopra la mia testa, cercando il momento opportuno per scendere in picchiata e ferirmi.
Non volevo sprecare munizioni contro quei mostri, così lasciai la pistola in tasca.
Corri Harry, corri  continuavo a ripetermi, cercando di non voltarmi indietro.
Le campane avevano smesso di suonare appena era iniziato l’inseguimento ma oramai era fatta: davanti a me vidi un enorme edificio, costruito con grosse pietre che sembravano antichissime, che portava il cartello:
BALKAN CHURCH
 
Eccola la chiesa.
Tre gradini portavano all’immenso portone d’ingresso in legno e a fianco c’era una croce in marmo con qualcosa scritto in latino sopra; non ebbi il tempo per godermi il fascino antico della struttura essendo inseguito da flotte di mostri, sia in cielo che in terra.
Così, saltai abilmente i tre gradini e aprii il pesante portone più velocemente che potetti, fiondandomi all’interno; appena misi piede nell’edificio, mi voltai e, con la mano ancora poggiata sul legno consumato, chiusi in faccia ai cani e ai pterodattili il pesante portone.
Fu quasi una gioia sentire i loro brutti musi sbattere contro la porta; col fiatone, mi lasciai sfuggire una risata abbastanza inquietante immaginando i mostri spiaccicati contro il portone.
Ero in salvo.
Ero nella chiesa.
Ma non ero solo.
Ora potevo sapere chi stava suonando le campane.
Il cuore stava rallentando, quando mi voltai verso l’altare.
Era una chiesa cristiana, molto simile a quella che io e Cheryl eravamo soliti frequentare la domenica.
Sembrava che in quella chiesa si fosse fermati il tempo: composta da un’unica navata, aveva due file di banchi coperti da uno spesso strato di polvere; alle pareti c’erano diversi quadri e opere, tutte inerenti alla cristianità. L’altare era proprio davanti a me, in fondo alla navata e, sopra di esso, si trovava un enorme crocifisso, col Cristo in legno crocifisso sopra. Questo faceva quasi paura: sembrava che il sangue dipinto abilmente sul suo corpo fosse stato vero, per di più il suo sguardo esprimeva... dolore... un’agonia pazzesca. Era spaventoso ma molto suggestivo. Se Cheyl l’avesse visto, sarebbe scappata via per la paura.
 
Sussultai per la sorpresa.
Non ero solo.
Davanti all’altare c’era qulcuno.
Non era Cheryl, neppure quella strana ragazza col grembiule blu.
Era una donna.
Non era Cybil.
Ma chi... ?
Mi dava le spalle.
Iniziai a respirare affannosamente, col cuore in gola.
Forse la donna non mi aveva sentito arrivare.
Possibile?!
No, mi aveva sentito benissimo.
Restai immobile, scrutandola, quando all’improvviso la donna si voltò verso me, lentamente, con gesti quasi annoiati.
Potevo benissimo guardarla in faccia, anche se ci trovavamo agli estremi della chiesa.
Oddio.
Avrei tanto voluto non guardarla negli occhi.
Quegli occhi...
Una donna, dai tratti dolci, era davanti a me; o quasi: il viso era ben squadrato, come se avesse seriamente patito la fame. Le guance erano incavate.
Il naso era piccolo e dritto; le sopracciglia inarcate.
Gli occhi... gli occhi... quegli occhi li avevo già visti!
Era di un bellissimo azzurro, limpido e vivo. Sembravano capaci di incantare chiunque li avesse ammirati a lungo.
Quegli occhi li avevo già visti!
Ne ero rimasto quasi ammaliato.
La piccola bocca non esprimeva nessuno stato d’animo in particolare.
Se il viso poteva apparire quello di una donna di mezz’età, i capelli la dicevano diversamente: erano grigi, come se la donna fosse stata anziana. Guardandola senza prestare attenzione a tutti i particolari poteva dimostrare, sicuramente, molti più anni di quanti ne avesse veramente.
Osservai il resto del corpo.
Indossava una tunica bianca, coperta da una specie di vestito marrone, con i bordi finemente lavorati di color oro. Al collo portava un foulard, arrotolato, come se fosse una cravatta, a strisce rosse e nere. Sui capelli grigi portava un velo ricamato. Era scalza.
Un abbigliamento bizzarro.

 
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Ecco una sopravvissuta.
Feci alcuni passi verso di lei, salendo verso l’altare, guardandola negli occhi.
Lei mi guardava, forse, aspettando che dicessi qualcosa.
Stranamente, non sembrò emozionarsi troppo nel vedere un altro essere umano accanto a lei; che avesse incontrato un altro sopravvissuto? Che avesse visto Cheryl?
Alzai un braccio e parlai piano:
- Ehm... tu hai suonato quella campana?
Ruppi il ghiaccio così.
Dio, quanto mi era mancato parlare con una persona in carne e ossa!
Non mi rispose.
Era una cosa che mi faceva andare in bestia: una persona educata risponde alle domande che le vengono rivolte!
Comunque conoscevo già la risposta.
La bocca della donna si incurvò leggermente. Inquietante.
Poi parlò, con voce limpida e forte in confronto al mio sussurro:
- Ti stavo aspettando, sai?
Si mosse verso di me, alzandosi leggermente il vestito per non inciampare; poi continuò:
- Sapevo che saresti venuto. Tutto era scritto nel fato, col rito della Giromanzia.
Giromanzia?!
Ne avevo sentito parlare, quando, tanti anni fa, lessi un libro di riti antichissimi. La Giromanzia era una pratica divinatoria: un gruppo di persone camminava attorno ad una circonferenza su cui erano segnate simboli o lettere. A seconda dell’ordine dei simboli su cui le persone che giravano attorno cadevano sfinite, si traeva il presagio o il pronostico.
Ma che centrava con me?!
- Giro che?! – dissi fingendo di non capire, per avere giustificazioni più plausibili.
La donna sorrise, un sorriso furbo e astuto; gli occhi divennero fessure.
- Perché cerchi di ingannarmi? – disse.
Sussultai ancora una volta: come faceva a saperlo?!
Rimasi immobile, lo sguardo fisso per terra, abbastanza imbarazzato.
- Non cercare di ingannarmi, Harry – continuò, rilassata.
Come conosceva il mio nome?! Leggeva nel pensiero?
Riprese:
- Io vedo tutto. Sapevo saresti venuto in questa chiesa, ora. E sapevo che saresti venuto a Silent Hill... ma non da solo, giusto?
Quell’ultima frase mi costrinse a rivolgerle ancora lo sguardo, agitato ed emozionato come non mai.
Cheryl...
Osservata la mia improvvisa reazione, il sorriso della donna sembrò rasserenarsi e subito intervenne:
- Ahh... – sospirò compiaciuta, come se sapesse di aver toccato il punto dolente della conversazione, - stai cercando la bambina?
Ritornai a guardarla negli occhi:
- La bambina? Intendi dire Cheryl?! L’hai vista? È con te?
La donna, dopo aver esibito una strana faccia al nome CHERYL, restò zitta distogliendo lo sguardo per rivolgerlo al Crocifisso al suo fianco.
Io continuai disperato, quasi implorandola:
- Ti prego! Se sai qualcosa, dimmelo! Sono disperato! Ho bisogno di sapere!
Ma cosa ne poteva sapere quella donna della mia Cheryl...
Poteva leggere il pensiero, ma non era certo onnisciente!
Però...
Le corsi incontro; doveva dirmi qualcosa!
Ma lei, quasi intuito il mio strano e repentino gesto, mi rifilò un ceffone in piena guancia sinistra, facendomi indietreggiare.
- Ma cosa...! – le dissi, arrabbiato, con la mano sulla guancia dolorante – Sei impazzita?!
- No – rispose lei calma – tu avresti fatto lo stesso!
In effetti, se un estraneo si fosse fiondato su di me, intenzionato con la violenza a sapere qualcosa che non sapevo, l’avrei allontanato senza pensarci su.
Ahia!
Faceva malissimo!
- Smettila – intimò lei, imperterrita, fulminandomi con lo sguardo. Era impossibile non obbedire a tale fermezza.
- Se vuoi sapere... non avvicinarti! – continuò.
- Scusa.
- Tu ci servi. Come avevo detto, niente senza di te sarà portato a compimento.
Ecco, ricominciava.
- Dicevi... hai perso una bambina? – continuò – Frequente, da queste parti...
Frequente?
 Silent Hill: la città delle bambine scomparse?
- Se la vuoi definire così... sì – disse gelida, ai miei pensieri.
Il mio sangue sembrò gelarsi nella vene.
Sentii la tasca leggermente più pesante; ci frugai dentro e trovai... una foto di Cheryl!
Che ci faceva nella mia tasca?
 
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- Ecco, questa è mia figlia – dissi, ma senza avvicinarmi; fu lei che si avvicinò cauta.
Guardò la foto di Cheryl... sorrise, intenerita.
- Quanto è... bella – sussurrò, senza guardarmi, contemplando la foto.
- Già.
- Bella bambina, bella bambina, bella bambina... – sussurrò impercettibilmente a se stessa, o alla foto, in modo strano.
Ruppi l’incantesimo della donna, rimettendo la foto nella tasca da cui era venuta.
- L’hai vista? – chiesi speranzoso.
La donna tornò vicino all’altare:
- Si perdono molte cose in questa folta nebbia – disse calma – Anche io ero nella tua stessa situazione.
Cosa?
Aveva perso qualcosa anche lei?
- Devo trovarla! – dissi fermo.
- E come pensi di poterla trovare?! Nulla di ottiene dibattendosi nelle tenebre. Tu devi seguire il tuo destino, come feci io tanti anni fa. Devi seguire il destino dell’eremita, celato, agli occhi degli indegni, dal Flauros.
Eremita? Flauros?
Cosa?!
- Di cosa stai parlando? – dissi sincero.
Si voltò verso l’altare, dandomi le spalle, e prese qualcosa che mi mostrò.
Teneva nella mano uno strano oggetto: sembrava una piccola piramide, composta, a sua volta, da tante altre piccole piramidi.

 
flauros Pictures, Images and Photos
 
- Ecco il Flauros, la prigione dei silenzi – disse solenne, posando l’oggetto sull’altare.
Non capivo?
Quella piramide mi avrebbe aiutato?
A fare cosa? A trovare Cheryl?
- Tu – disse indicandomi – incontrerai un muro d’oscurità e di tenebre. Questo ti aiuterà. Ti indicherà la via per contrastare la collera del mondo degli inferi!
Il mondo degli inferi?
L’Inferno?!
- Vuoi delle risposte? Vai all’ospedale, presto! Prima che sia troppo tardi.
Si allontanò verso una porta posta dietro una piccola cappella.
Se ne stava andando via così?
Senza dirmi il suo nome?!
Cosa?!
- Ehi aspetta, torna indietro! Io... – le dissi, seguendola con lo sguardo.
 
Bam!
 
Sbatté la porta dietro di lei, con la stessa forza sorprendente che aveva adoperato per rifilarmi quello schiaffo.
Anche io mi diressi verso la porta: dovevo sapere!
Era chiusa dall’altro lato? Non si smuoveva!
- Apri! Dannazione!! – urlai.
Niente.
Cosa aveva detto? Ospedale?
Dov’era l’ospedale?
Sull’altare era posato il Flauros con una mappa del Distretto Nuovo di Silent Hill, in cui c’era un ospedale.
Dovevo fidarmi?
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Sì... e, comunque sia, cos’altro potevo fare?

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Visioni ***


Due capitoli in due giorni... cosa mi sta succedendo?! xD
Comunque, buona lettura... e ricordate: le recensioni fanno sempre piacere! :)



Visioni

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Per raggiungere l’ospedale “Alchemilla” dovevo entrare nel centro storico di Silent Hill; per mia fortuna Balkan Church non era molto lontana dal ponte levatoio che portava a quei quartieri, così mi misi subito in cammino, spaventato come non mai. Quella donna sapeva! Ma perché non parlava chiaramente?
E poi, perché proprio un ospedale?
Io odiavo gli ospedali: mi ricordavano quel via vai, che Jodie e io facevamo tanto tempo fa per la sua malattia; era una vera tortura, sia per lei che per me, che sparì il giorno in cui trovammo la piccola Cheryl e decidemmo di crescerla come nostra. Jodie aveva amato, sin dal primo istante, Cheryl; era stata lei a chiamarla così. Jodie sarebbe morta di crepacuore non vedendo più la piccola al suo fianco, persa a Silent Hill.
Avevo perso mia moglie.
Non volevo perdere anche Cheryl.
- Vai ora. Prenditi sempre cura di nostra figlia, Harry – mi sussurrò Jodie, prima di spirare; se resistevo, sia fisicamente che psicologicamente, in questa città era anche per lei, per esaudire il suo più grande desiderio.
Cheryl...
 
Quella donna, nella chiesa, aveva detto che l’avrei trovata nell’ospedale.
Significava che Cheryl era ferita?! Stava male? O peggio... no! Cheryl era viva!
Quella donna... sapeva il mio nome! Sapeva che ero arrivato a Silent Hill con mia figlia! Incredibile! Riusciva davvero a leggere nel pensiero, o praticava qualche strano rito, come la Giromanzia. Era grazie ai suoi poteri che conosceva dov’era mia figlia?
Quando le avevo fatto vedere la foto di Cheryl, s’era quasi incantata, osservando il suo viso, e aveva iniziato a sussurrare qualcosa.
 
Percorsa Crichton Street, voltai a destra per Koontz Street, ritrovandomi proprio davanti all’Alchemila Hospital.
 
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Era davvero un grande ospedale. Le mura esterne, bianchissime, si confondevano con la nebbia, e le finestre erano quasi tutte chiuse. Prima di raggiungere il portone d’ingresso bisognava attraversare un piccolo cortile, con al centro panchine, piccoli alberelli e un’ambulanza.
Mi avvicinai alla vettura e notai che le portiere erano spalancate, ma nessuno all’interno. Feci il giro, semplicemente curioso, per raggiungere il cubicolo per il malato dell’ambulanza, anch’esso aperto. Tutto sembrava in ordine, tranne per la barella che era davvero in pessime condizioni: le lenzuola, che dovevano essere state bianche, erano di una strana tonalità di rosso, di sangue. Il minuscolo cuscino era coperto di ... fuliggine e cenere?! Davvero strano!
Ma fu un particolare molto inquietante e disturbante ad attirare ancora di più la mia attenzione: il sangue e quella strana polvere nera-grigia avevano disegnato sulla barella una sagoma umana... era piccola, bassa, doveva essere abbastanza magra... era l’inconfondibile sagoma di un bambino.
Sentii lo stomaco rivoltarsi: non era mai un bello spettacolo vedere bambini in ospedali, figuriamoci nela pessime condizioni in cui doveva essersi trovato quella povera creatura fasciata lì, sulla barella. Chissà cosa li era successo...
Che la città avesse divorato anche lui, insieme al suo dolore?
Che fosse diventato uno di quei mostri?
 
M’allontanai dalla vettura, distogliendo lo sguardo dalla sagoma del bambino, cercando a non immaginarmi Cheryl in quella barella. A grandi passi andai verso il portone ed entrai nell’ospedale, avvertendo quella strana piramide sbatacchiare nella tasta della giacca. Era più pesante di quanto si possa pensare.
Il Flauros... la prigione dei silenzi, come aveva detto quella donna.
A prima vista sembrava tutto tranquillo e normale... ma questa città sembrava avermi insegnato di non giudicare mai prima del tempo, Silent Hill mi stava, pian piano, educando a seguire il mio istinto e a non fidarsi delle apparenze. Il bancone della sala d’aspetto era vuoto. Le poltrone e i tavolini erano coperti da tantissima polvere. Stranamente, era come se la nebbia dell’esterno fosse entrata nell’ospedale.
Ma poteva essere nebbia, allora?
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Tendendo l’orecchio, non sentii la presenza di nessuno, né della donna, né di Cheryl.
Ero stato ingannato ancora?!
Respirai profondamente e avvertii il pungente e aspro odore dell’alcool disinfettante nell’aria.
E ora?
Iniziai a camminare, seguendo il corridoio quando...
BAM!
Il suono di una pistola. Non ero solo!
Mi immobilizzai: il suono proveniva dalla stanza degli esami, alla mia destra.
Mi avvicinai sussurrando:
- Cybil? Sei tu? Cybil?
Aprii la porta, convinto di trovarmi davanti la poliziotta della città vicino, Cybil, ad aspettarmi.
Ma non fu così.
Trovai davanti a me un uomo.
Un altro sopravvissuto.
 
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Un uomo robusto dai capelli corti e scuri, davanti a me, puntava la sua pistola in mezzo ai miei occhi.
Il panico invase la mia mente: non doveva essere lucido.
Gli occhietti scuri erano puntati su di me, senza espressione.
Portai le braccia in alto, come se fossi stato sorpreso con le mani nel sacco, e indietreggiai di parecchi passi, quasi tornando nel corridoio, sorpassata la soglia appena varcata.
- Fermo!! Aspetta! Non sparare! – dissi ad alta voce all’uomo.
 
Bam!
 
Sparò un colpo che mi sfiorò la testa di pochi centimetri, andando ad intaccare il legno della porta.
Sussultai:
- Basta!! Ti prego! Calmati! Non ho cattive intenzioni, non sono un mostro!
Sembrò capirmi e, respirando affannosamente, abbassò l’arma; si voltò, stanco, e si adagiò su una sedia dietro di lui. Ai suoi piedi c’era uno di quei cani demoniaci morto per colpi d’arma da fuoco.
- Sì, sono stato io – disse l’uomo, notato il mio viso rivolto al cadavere.
Sbuffò, asciugandosi la fronte con la manica della giacca.
Mi mossi verso di lui, sempre tenendo sotto controllo l’arma ancora nella sua mano; l’uomo riprese, guardandomi e sorridendo nervoso:
- Grazie a Dio! Un altro essere umano! Iniziavo a perdere le speranze ma...
Poggiò il gomito contro il tavolo, puntellandosi e socchiudendo pigramente gli occhi.
- Tu lavori qui? – chiesi curioso.
- Sì – rispose, senza guardarmi – Sono il dottor Micheal Kaufmann, direttore dell’Alchemilla Hospital... o dovrei dire ex-direttore, oramai... e tu, chi sei?
- Mi chiamo Harry Mason. Sono venuto in città per una vacanza e-
Ma la mia frase fu interrotta dalla risata fragorosa del dottore, che pensava, divertito, che stessi raccontando bugie.
- Sul serio?! – disse, divertito.
- Ehm... si! Comunque, hai detto di lavorare qui, quindi puoi dirmi cosa sta succedendo in questa città!
Subito, ogni accenno di sorriso scomparse dal suo viso.
- Io... davvero non so nulla – disse serio – Ero venuto qui per prendermi una piccola pausa; mi sono addormentato, poi, nella stanza del personale e quando mi sono svegliato non c’era più nessuno e tutto è diventato strano. Questa nebbia... e sta nevicando fuori stagione! E’ tutta colpa di quei mostri! Hai mai sentito di tali creatura?! Queste mostruosità...! Sappiamo benissimo che cose del genere non esistono!!
L’uomo sembrava davvero ignaro della maledizione di Silent Hill, e sembrava sincero.
- Hai ragione – dissi, annuendo – Sembra di vivere un incubo.
- Allora vorrei svegliarmi! – rispose Kaufmann pestando un piede per terra, nervoso.
- Ehi, senti – ripresi – Hai per caso visto una piccola bambina? E’ mia figlia.
Frugai nella tasca alla ricerca della foto di Cheryl... era sparita, sentivo solo il freddo Flauros al tatto.
Il dottore ricominciò a fissarmi, perplesso; cercai di descriverla:
- Lei ha dei capelli neri e corti; gli occhi sono scuri. Ha solo sette anni.
- Si è persa?! – chiese velocemente.
Annuii.
- Sono spiacente. Ma comunque, con tutti questi mostri in giro è difficile che sia ancora viva.
Ebbi un brivido a quella frase.
- Oh, scusami... non volevo essere pessimista... solo razionale... – disse piano.
Non riuscivo ad accettare l’idea di Cheryl uccisa da quelle ripugnanti creature, per strada, sola...
Solo il pensiero del suo corpicino... mi dava la nausea.
- E tua moglie? E’ con te? – chiese Kaufmann.
Perché continuava a farmi star male?!
- Mia moglie è morta quasi quattro anni fa – risposi freddo – Adesso siamo solo io e mia figlia.
- Ah, capisco. Mi dispiace.
Si alzò, mi se la pistola in tasca e afferrò una piccola ventiquattrore nera che non avevo notato prima.
- Cosa... te ne vai anche tu?! – chiesi stupito.
- Cos’altro posso fare in questo ospedale? Ti rendi conto che possiamo essere gli unici in grado di scappare da Silent Hill. Dobbiamo salvarci. Cerca un modo per uscire da questa città. Io non posso rimanere qui in eterno!
Detto questo uscii dalla stanza sbattendomi la porta alle spalle.
“Cercare una via di fuga”? No, dovevo prima trovare Cheryl.
 
Uscii anche io dalla stanza degli esami.
Davanti a me notai alcuni fogli. Uno era la mappa dell’ospedale, l’altro era un avviso che avvertiva pazienti e personale che il secondo e terzo piano sono inaccessibili per lavori di ampliamento.
Le scale per il sotterraneo erano chiuse.
Rimaneva solo l’ascensore.
 
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Provai tutti i tasti: in effetti i piani superiori erano inaccessibili.
E ora.
Richiamai l’ascensore. Il primo piano l’avevo già visitato, il sotterraneo era chiuso...
Cosa potevo fare?
Sospirai: sarei uscito dall’ospedale, non c’era più motivo di rimanerci.
Mi avvicinai ai tasti per premere 1, quando un fatto bizzarro non mi fece venire il cuore in gola.
Era comparso un altro tasto:
 
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Impossibile.
Semplicemente impossibile: ricordavo la presenza di solo tre piani superiori!
Tutto questo non aveva senso.
 
Spinsi il nuovo pulsante.
Mi ritrovai al quarto piano. Un piano fantasma ma simile agli altri.
 
All’improvviso sentii un forte mal di testa. Il dolore diventò insopportabile.
Chiusi gli occhi... ma vedevo!
Era una visione?
Forse.
 
Una bambina correva nel buio, dandomi le spalle. Riuscii a scorgere il suo vestitino azzurro. Stava entrando in un negozio: “Il leone verde”.
 
Tornai alla realtà.
Sentii le gambe muoversi, quasi fossero autonome dal resto del corpo, davanti a me. Sentii la mano destra spalancare la porta.
Mi ritrovai in un corridoio d’ospedale, pieno di porte
Oh no!
La sirena!
Era tornata la sirena. La sentivo chiaramente.
 
Click
Qualcuno aveva chiuso la porta dietro di me.
Una risata.
Un suono dolce e infantile.
 
Mal di testa. Crollai.
 
Una bambina scendeva con passo sicuro le scale di un grande edificio. Ma all’improvviso lei alzò le braccia e iniziò a fluttuare nell’aria, con grazia e leggerezza. I capelli neri e lunghi svolazzavano e si agitavano attorno al suo tondo visino. Aveva gli occhi chiusi.
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Io conoscevo quella bambina?
La risata. La sirena.
 
Mentre fluttuava la bambina aprì gli occhi azzurri. Le pupille si dilatarono.
 
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Quegli occhi li avevo già visti?
La risata. La sirena.
 
La bambina volava... i gradini sotto di lei... sembrava stessero andando in putrefazione... sembrava stessero bruciando... sembrava si stessero decomponendo come carne...
 
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- Finalmente sei arrivato. Ora saprai quello che ho provato. Non temere: non manca molto. Ahahah! Ti sto aspettando... – la voce di una ragazza.
 
La visione finì.
Persi conoscenza.
Ma ricordo ancora quella scena... impressa nella mia mente...
 
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Capitolo 17
*** Le Marionette Della Città ***


Le Marionette Della Città
 

Quella ragazza stava per uscire dalla scuola elementare. Non demordeva! Eppure lei non era la benvenuta! L’uomo sì, ma la ragazza no! Nei mie piani lei era d’impiccio! Cosa voleva dopotutto? Aiutare l’uomo? Ah! Non ci sarebbe mai riuscita!
Era nella sala della musica.
Non era nella MIA dimensione, ma avrei comunque potuto giocare con lei!
Osservava il pianoforte curiosa, la pistola nella mano destra, attenta a cogliere ogni minimo movimento, ogni suono. Poi qualcosa la costrinse a voltarsi verso la porta della stanza... un pianto sommesso.
 
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- Tu?! – esclamò sorpresa.
Vide la bambina rannicchiata a piangere... o semplicemente credeva di vederla?
I suoi piccoli occhi erano sommersi dalle lacrime che, alla luce della torcia della poliziotta, sembravano brillare come perle.
- Tu sei la bambina che mi ha fatto cadere nel canale!! – gridò furiosa la donna.
La bambina scosse la testa e si alzò in piedi.
 
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- Capisco: forse eri spaventata, ma l’altra ragazza chi era? Quella ragazzina vestita di blu! La conosci.
Rimase in silenzio. Quanto era brava!
- Mi chiamo Cybil, sono una poliziotta. Ti porto via da questo posto.
Le tese la mano ma la bambina non la strinse. Continuava a scrutarla timorosa.
- Sai che il tuo papà è preoccupato a morte!? Ti sta cercando per tutta la città probabilmente! Corre il rischio di morire – continuò.
La bambina accennò un sorriso alla parola PAPA’ e cominciò a sbattere le palpebre, sognante:
- Pa-pà? – sussurrò sorridente.
- Sì, tuo padre. Tu sei Cheryl, allora! – disse la donna.
La bambina, sempre sorridente, scosse la testa.
- Cosa?! – esclamò Cybil – Dobbiamo andare da tuo padre! Non vede l’ora di rivederti! Non devi scappare!
La donna, pronunciata la frase, si voltò di scatto, attirata da un sinistro rumore alle sue spalle: il pianoforte aveva iniziato a suonare da solo.
- Ma che c- - disse sorpresa e quando si voltò, incredula verso la bambina, constatò che la piccola era svanita.
Quanto era bello giocare con i miei nuovi soldatini!!
 
 
Cosa mi stava succedendo?
Quelle visioni... non erano reali... o no?
Eppure quella bambina... era come se l’avessi vista in qualche sogno, o molto tempo fa. Anzi, mi sembrava di conoscerla da sempre, eppure la sola bambina da cercare e ricordare, adesso, era la piccola Cheryl.
Ma dov’ero adesso?
Era l’Ospedale Alchemilla?
- No! No, no, no!- sussurrai mettendomi in piedi.
 
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Era l’altra dimensione dell’ospedale! Proprio come era successo nella scuola, la sirena aveva suonato: l’inferno era arrivato. I muri erano incrostati di sangue rappreso e il pavimento, fatto di grate, intervallato da alcuni buchi oscuri.
Era colpa di quella donna! Mi stava facendo perdere tempo!!
La tensione e la paura che sentii erano le stesse di quando ero entrato nella Midwich demoniaca.
Era un incubo!
Tutto taceva e il mio profondo e irregolare respiro sembrava far aumentare la mia sensazione di impotenza davanti a quella dimensione distorta. Dovevo uscire da quel posto!
Cercai di tornare indietro ma e porte alle mie spalle non s’aprivano; davanti a me c’era una porticina marrone semi aperta, la mia unica via di scampo.
Varcai la piccola soglia e mi trovi davanti ad un corridoio molto simile a quello precedente con diverse porte; ogni porta portava un numero: dovevano essere le stanze dei pazienti.
E dove c’erano pazienti... dovevano esserci dottori e infermiere.
Cosa potevano essere diventati?
La città non aveva risparmiato quei bambini trasformandoli in orrendi mostri, figurarsi gli adulti!
Chissà dov’erano?
Sentii che l’avrei scoperto presto.
Mi mossi cauto nel corridoio esaminando le porte, una ad una; constatai che la maggior parte di esse erano bloccate e inaccessibili. Entrai in qualche camera dei pazienti: stesse pareti e pavimento, barelle che sembravano contenere brandelli di carne coperti da lunghi lenzuoli rosso-sangue, finestre fradice di quello che sembrava vomito e sangue; solo l’odore era capace di farti impazzire!
Non c’era niente di utile!
Esaminai la mappa: c’era la stanza del diretto re dell’Ospedale da visitare.
Fu facile trovare le scale d’emergenza che collegavano i piani; scesi al piano terra e, sorprendentemente, trovai la porta della direzione aperta. Ringraziando il cielo, entrai.
Sembrava un normalissimo ufficio, una scrivania, una sedia e un mucchio di libri e documenti.
Quell’uomo, Kaufmann era il direttore dell’Alchemilla, questo doveva, quindi, essere il suo ufficio; ma lui non c’era. Chissà se anche lui vedeva quella strana dimensione in cui mi trovavo...
Una cosa che però spiccava subito all’occhio, anche in quell’incubo, era l’estremo disordine dell’ufficio: i fogli erano sparpagliati per terra, alcuni strappati; le ante degli scaffali erano spalancati e il loro interno era riversato sul pavimento creando uno strano tappeto di libri e documenti.
Mi avvicinai alla scrivania, in fondo alla stanza e subito qualcosa di luccicante attirò la mia attenzione: lì, sotto la sedia, c’era uno strano liquido rosso che brillava alla luce della mia torcia. Mi chinai ad esaminarlo: emanava un odore gradevole, un odore di fiori appena sbocciati. Sarei stato là, a respirare quell’odore che i ricordava tanto casa mia, ma avevo cose più importanti da fare. Chissà che liquido era...
Sembrava gelatina fresca ma non osavo toccarla!
 

Vicino alla chiazza di liquido c’era quella che era rimasto di un bicchiere. Era rotto, come se fosse caduto dalla scrivania...anzi, no: sembrava che qualcuno l’avesse gettato a terra di proposito.
Essendo appassionato di gialli, sapevo riconoscere bene quasi quanto quei detective quando un bicchiere era rotto di proposito o no.
Sì, qualcuno l’aveva lasciato cadere intenzionalmente.
Chissà perché poi...
Bhè, questo giustificava il disordine dell’ufficio: probabilmente qualcuno aveva messo a ferro e fuoco la stanza per quel liquido rosso, per disfarsene. Il dottore? O qualcun altro?
Wow, sarei stato un bravissimo investigatore, non c’era dubbio!
Comunque, sentivo che quella strana gelatina rossa che profumava di fiori poteva essermi utile.
Il dove, il come e il perché erano ancora sconosciuti.
E’ come quando un presentimento ci pervade l’animo: sentivo di dover portare con me quella “cosa”.
Notai sulla scrivania una piccola bottiglietta d’acqua in plastica. Era piena, ancora.
A dire la verità avevo sete... ma meglio non fidarsi in una dimensione oscura: rovesciai il contenuto della bottiglia su un vecchio articolo di giornale e cercai di far entrare un po’ di quel liquido fresco nel contenitore. Fatto ciò, infilai la bottiglietta nella tasca della giacca, accanto al Flauros.
Fu strano: sembrava che il Flauros tremasse violentemente a contatto con la plastica della bottiglia... o forse era solo una mia impressione.
Probabilmente...
 
Uscii dalla stanza.
Il buio del corridoio mi circondò e un suono, un gorgoglio. Giunse alle mie orecchie.
Oddio, dovevano essere i mostri.
Percepii una voce femminile.
Un sospiro...
Il mio cuore sembrava capace di perforare il petto per la sua forza.
D’istinto spensi la torcia.
- Papà?
Cheryl!!
La riaccessi.
- Cheryl!!! – esclamai.
Ma davanti a me non c’era Cheryl.
Aveva i capelli biondo-cenere sormontati da una cuffietta da infermiera.
Ma non era una normale infermiera: aveva una gobba gigantesca, insanguinata.
Era orrenda. Si avvicinava con fare minaccioso.
Aveva in mano un bisturi.
 
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Tirai fuori la pistola e feci fuoco, beccandola in mezzo alla fronte; la donna-mostro crollò a terra, immobile.
Ma il rumore del proiettile ne stava chiamando a decine: infermiere e dottori con bisturi e siringhe, ingobbiti fino all’inverosimile, affioravano da ogni anfratto, sbucando come per magia da ogni zona in ombra.
I loro mugolii e i loro gridi erano spaventosi.
Io ero pietrificato dalla paura. Non avevo mai visto cose del genere... quei bambini non mi avevano turbato così...
Potevi scorgere ancore i visi, oramai sfregiati, di tutte quelle persone che ti veniva no addosso minacciose pronte ad ucciderti... era orribile! Sarebbe stato se avessero avuto una maschera...
Ogni loro particolare umano rimasto raccontava la loro storia, la loro vita... oramai terminata... quella non poteva considerarsi vita!
Erano marionette nelle mani di Silent Hill.
 
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Sentii le fredde mani sporche di sangue di un dottore-marionetta avvolgersi attorno al petto; poi urlò.
Fu come un richiamo per gli altri che si buttarono su di me, bloccato nella morsa del mostro.
Cercai di spingerli via con i piedi.
Molti finirono a terra, incapaci di alzarsi, ma altri mi vennero addosso con ogni arma a disposizione. Un dottore cercò di ficcarmi una siringa nel collo, senza riuscirci; un’infermiera bruna mi mancò di poco il cuore con il bisturi, limitandosi a strapparmi leggermente la maglietta; un’altra, invece, dal cardigan verde,tentò di infilzare il mio occhio destro, ma con il risultato di graffiarmi la guancia.
Li avevo attorno a me.
Non poteva finire così!
Con la mano sinistra cercai d’afferrare la pistola.
Quando ci riuscii sparai un colpo.
Spaventati dal rumore mi lasciarono un secondo di tregua.
Il dottore alle mie spalle mi lasciò.
Spensi la torcia.
Impressionante: appena spenta la luce i dottori e le infermiere restarono completamente immobili nelle loro strane pose, come se fossero statue.
Incredibile! Non emettevano suoni, né si agitavano!
La luce li attirava!
Ma senza torcia non vedevo niente!!
Mi mossi nel buio, facendo slalom tra quelle statue, per raggiungere la scala.
Non avevo esaminato il sotterraneo.
 
Scesi freneticamente quelle scale, quasi inciampando.
Ero stato ferito anche al ginocchio e la guancia sanguinava parecchio... di certo quegli arnesi non erano stati disinfettati o sterilizzati.
 
Il sotterraneo si presentò come un magazzino, pieno di farmaci e scatoloni.
Al centro del pavimento, però c’era una botola abbastanza grande.
Per fortuna che quel posto era sgombro dalle infermiere!
La botola portava ad un corridoio dalle pareti grigie, senza tracci di sangue.
In fondo al corridoio c’era una porta.
Entrai nella stanza e, improvvisamente, sentii uno strano ronzio nelle mie orecchie.
 
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Una stanza per un solo paziente, molto più bella di tutte le altre.
Era anche la più strana.
Potevo sentire una strana forza lì...
Potevo sentire vita in quella stanza vuota, occupata da un lettino, una strana macchina, una flebo, una foto e un libro.
Quella stanza... così strana... e così familiare.
Mi avvicinai alla strana macchina; faceva venire i brividi solo a vederla: sembrava una di quelle macchine che tengono in vita le persone in coma.
La flebo era piena di sangue; c’erano diversi aghi sul lettino, sporco di sangue.
Toccai le lenzuola: erano calde! Qualcuno era appena stato qui!
Sopra la macchina raccapricciante c’era quello che sembrava un diario e una foto.
 
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Sul bordo c’era scritto:
Alessa
 
 

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Capitolo 18
*** Il Diario Di Alessa ***


Il Diario Di Alessa
 
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La fotografia sembrava essere abbastanza vecchia. Era stata messa in una semplice cornice nera ed era poggiata sul macchinario, rivolta verso il lettino. L’afferrai delicatamente e osservai quel viso: una ragazza dai corti capelli scuri, sembrava stesse a guardarmi; un ciuffo di capelli le ricadeva sull’occhio destro; lo sguardo amareggiato era rivolto altrove, non all’obiettivo; le labbra erano piccole e carnose. La cosa che mi colpì di più fu il suo abbigliamento: indossava un’uniforme scolastica... identica a quella di quell’altra ragazza che si era dissolta nell’aria nella sala caldaia della Midwich! Erano la stessa persona quindi?!
La ragazza nella scuola, però, portava i capelli più lunghi; per di più la foto mostrava una bambina, non una ragazza!
La foto di una bambina... in un ospedale?
Subito affiorò nella mia mente l’immagine di quella barella all’esterno dell’ospedale.
Alessa... un nome strano.
- Ma se questa è una stanza per pazienti – mormorai a me stesso – perché si trova nel piano inferiore, sotto una botola?
In effetti, questa era l’unica stanza presente nel sotterraneo, oltre ai tanti magazzini di medicine.
 
Silenzio.
Eppure mi sembrava di udire un profondo respiro venire dal lettino.
 
Gli occhi di quella ragazza, Alessa, erano davvero meravigliosi: anche se la foto era priva di colori, potevi riconoscere nei suoi occhi dei lineamenti eleganti ma, allo stesso tempo, malinconici.
Era curioso: quella bambina somigliava moltissimo alla mia piccola Cheryl... ma non potevano essere la stessa persona! Sul retro della foto c’era scritto: 1976.
Quindi quella foto era stata scattata sette anni fa, quando Cheryl era ancora una neonata.
Eppure la somiglianza era a dir poco stupefacente.
Notai che il contorno della foto era nero e stropicciato, come se fosse stato bruciato.
Strano.
Posai la foto al suo posto, sempre osservandola, e afferrai il diario poggiato là accanto. Era rivestito di cuoio ma la copertina era sporca di sangue; sulla copertina, con una graziosa calligrafia, c’era scritto:

Diario di Alessa

Quindi era il diario della bambina nella foto.
Lo aprii: era pieno di strani disegni e simboli; le ultime pagine scritte erano macchiate di sangue.
Le lessi:
 
23 Marzo
Ho provato ancora. Ho ficcato l’arnese nella pancia per vedere se il dolore finiva, ma invece no... non ce la faccio più. Mamma e altri signori sono venuti; facevo finta di dormire e li ho sentiti avvicinarsi a me. Parlavano e parlavano... credo che gli adulti sappiano fare solo quello...
 
24 Marzo
Quando mi sono addormentata veramente mi hanno fatto qualcosa, ne sono certa. A volte mi chiedo il perché... si sono arrabbiati molto quando hanno visto le ferite sulla pancia. In effetti hanno ragione...
 
27 Marzo
Non posso scriverti sempre, diario: quelle donnacce, quando mi vedono, iniziano ad agitarsi e, delle volte, mi legano al lettino e mi mettono gli aghi nel braccio; dicono che vogliono vedermi dormire ma HO BISOGNO DI ARIA! Voglio vedere il cielo... tutto questo tempo... ho dimenticato quanto è accecante la luce del sole.
 
29 Marzo
... mamma ...
 
2 Aprile
Il mio angelo mi ha dato una buona notizia: presto potrò togliere le bende dalla faccia... il resto del corpo ancora no. Volevo sorriderle ma già scrivere sul diario si sta rivelando una tortura con tutte queste flebo e tutte queste bende... avrei tanto voluto continuare a dormire, come dicono quelle donne... credo che non si riferiscano al normale sonno... credo si riferiscano al coma...
 
11 Aprile
Saranno iniziate le belle giornate... no!
Vorrei giocare fuori come gli altri bambini... ma non a casa mia... a Silent Hill... no... la odio...
L’unica che ancora mi mantiene viva è l’amore del mio... ma chi voglio prendere in giro... non esiste!
 
13 Aprile
Credo che oggi sia una giornata importante per --------
Oggi pomeriggio il ciccione ha fatto uscire l’angelo dalla stanza... poi è arrivata mamma.
Credevano stessi dormendo ma sono brava a fingere.
Sussurravano velocemente qualcosa. Non ho capito tutto, ma parlavano di me.
 
16 Aprile
Stanno parlando ancora una volta. Con loro c’è anche il papà della mia sorellina. Come lo odio!
Sembrano agitati. Questa volta non parlano di me!
Dicono che qualcuno presto verrà a trovarmi!
Che bello!
 
17 Aprile
Mi hanno svegliata le urla di quelle infermiere. L’orologio segna le 03:30. Voglio dormire.
 
Sono spaventati. Si agitano.
 
Vorrei chiedere il perché ma credo di aver perso la voce durante “l’incidente”.
 
Parlano di morti che stanno tornando in vita.
 
Parlano di bambini deformi.
 
Parlano di esseri mostruosi.
 
Parlano di inferno, di apocalisse.
 
Parlano del cielo vuoto e della polvere che viene giù dalle nuvole.
 
Parlano di persone ridotte ad ammassi di schifezze.
 
Gridano e si lamentano.
 
Mi piace.
 
18 Aprile
Nessun suono. Posso riposare in pace. Tutto tace.
 
19 Giugno
Non ti ho scritto molto perché mi sono divertita moltissimo.
Lei mi ha fatto gli auguri: oggi è il mio -------------- compleanno.
E’ spietata ma gentile; le voglio bene.
Chissà come sta l’altra...
 
21 Giugno
Mamma sta male... non la vedo da molto...
 
22 Giugno
L’infermiera gentile sembra impazzire. Si guarda intorno come se non credesse ai suoi occhi. Si ostina a portarmi quella schifosa zuppa fredda. Non posso usare bene le mani... altrimenti l’avrei buttata a terra!
 
23 Giugno
Mamma si è ricordata del mio compleanno... dopo quattro giorni!
Mi ha regalato un ciondolo sferico che si può aprire: è completamente argentato e, appena userò le mani, ci metterò dentro qualcosa. Lo porto al collo adesso.
Mamma sembra scossa...
Dice che l’ospite arriverà presto...
 
24 Giugno
Io conosco l’ospite...
Lui non si ricorda di me, ma io lo ricordo benissimo.
Non potrei mai dimenticare il suo volto.
La mia ----- mi ha detto chi è... stavo per piangere dalla gioia!
 
25 Giugno
Tanti auguri a lei
Tanti auguri a lei
Tanti auguri felici
Giorni lieti per te!
E’ anche il mio compleanno! Solo io lo so!
 
26 Giugno
Riceverò l’ospite con il mio nuovo ciondolo. Vorrei guardami allo specchio... ma cosa ci vedrei dentro, riflesso?
30 Giugno
Presto arriverà.
Ho già un bel piano per accoglierlo calorosamente e felicemente. E’ un sogno che si realizza.
L’ultimo dei sogni...
Ah, avrei un altro desiderio: vedere la piccola Claudia... chissà come sarà cresciuta e diventata bella; io sono un mostro...
 
2 Luglio
Manca poco, lo so.
 
3 Luglio
Non ho detto a mamma che so chi è l’ospite.
Meglio non rivelarle ancora che... o forse lo sa?
 
4 Luglio
Il mio angelo diventa ogni giorno più strano.
Il mio fantasma diventa ogni giorno più forte.
 
5 Luglio
Chissà se LEI si ricorda di me... non credo: era un infante quando la tenevo in braccio e le cantavo la ninnananna.
 
18 Luglio
Manca poco, lo so.
 
22 Luglio
Sì li sento! Stanno arrivando!
La mia ----- dice che li accoglierà. E io devo prepararmi. Oggi lei mi ha persino pettinato i capelli. Erano secoli che non accadeva. Ho cercato di canticchiare ma dalla gola non esce alcun suono. Sono felice.
Si sta svegliando... la sento...
Sarò --------... finalmente!
Vorrei tanto incontrarlo di persona ma ci vorrà tempo...
 
PS: Ho già addosso il ciondolo!
 
23 Luglio
Mi sente...
La mia ----- è andata a trovarli.
 
24 Luglio
Sono partiti.
 
25 Luglio
Sono arrivati.
La città, adesso, è tutta SUA.
Il tempo si ferma...
Mi sveglio...
L’incubo sta per terminare!

 
 
Cos’era questo? Uno scherzo?
Il 25 Giugno era il compleanno... di Cheryl!
Io e Jodie la trovammo quel giorno e...
Il diario terminava lì...
Anzi no!
Mentre formulavo gli ultimi pensieri, vidi sbucare dalla pagina bianca una scritta rossa... sangue, sbucato come per magia a formare una frase:
 
Che buffo! Continua a fissare la mia foto e il mio diario sembra piacergli... peccato non possa ancora vedermi...
C’è ancora tempo per quello, in effetti...

 
Mi venne quasi un colpo leggendo quelle parole...
Qualcuno mi osservava... Alessa?
Posai il diario, aperto, al suo posto.
Respirai: in quella stanza era davvero impossibile farlo... mi sentivo soffocare.
- Allora vattene!
Una voce... oh no! Ancora no!
Prima di lasciare la stanza, mi voltai a dare un ultimo sguardo alla foto.
Mi chiedeva aiuto...
Ma io devo pensare a Cheryl...
Mi dispiace, Alessa...
 
Chiusi la porta.
 

Cheryl?
Povero illuso!
Se tu sapessi la verità, Harry Mason, daresti la vita per salvarmi.
Tanto, volente o nolente, sarai tu a strapparmi dall’incubo.

 
 

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Capitolo 19
*** Lisa Garland ***


Lisa Garland
 
Alessa...
Un nome mai sentito...
Ma la sua faccia... era come se la conoscessi da sempre.
E poi, somigliava moltissimo a Cheryl; poteva essere solo una semplice coincidenza?
Probabilmente sì.
Quella strana donna col velo mi aveva ingannato! In questo ospedale non c’era Cheryl. Che si fosse confusa anche lei con Alessa? Forse la conosceva...
Eppure in quella stanza avevo avvertito una strana energia, ne ero certo. Una strana forza, troppo grande per restare tutta contenuta in quelle quattro mura. Per di più, intorno a quella stanzetta, non c’era neanche un mostro!
Era davvero bizzarro.
 
Percorsi la strada a ritroso, lasciandomi alle spalle quella camera e il viso di Alessa. Arrivato alla botola, dovetti faticare un po’ per risalire ma, una volta salito in superficie, esausto, mi sedetti sul freddo pavimento sporco di sangue e ruggine ed esaminai le mie ferite.
Non avevo specchi.
A dir la verità, da quando ero arrivato a Silent Hill non avevo visto neanche l’ombra di uno specchio!
Avrei tanto voluto poter guardare la mia faccia.
Passai una mano sulla guancia ferita dal bisturi di una infermiera; la cicatrice non si era ancora formata e avevo del sangue rappreso attorno al taglio che bruciava ancora.
Quei mostri mi avevano ridotto proprio male: avevo tagli di unghie e di strani attrezzi sulle braccia e sul petto avevo un grande e profondo taglio che ancora sanguinava copiosamente.
- Dio solo se uscirò fuori da qui ancora tutto intero! – sospirai tra me e me.
Mi passai le mani tra i capelli bagnati di sudore e abbassai il capo, un po’ scoraggiato.
Silent Hill non era un piccolissima cittadina! Dove avrei trovato Cheryl?
La scuola sembrava una buona idea, ma l’ospedale... tra questi mostri, poi!
Il silenzio più cupo e inquietante alleggiava attorno a me.
Volevo andarmene!
Cheryl...
Dove sei?
Volevo rivederti!
Già sognavo il momento in cui ti avrei ritrovata, ti avrei stretta forte a me, ti avrei rassicurato e ti avrei portata a casa.
Era Cheryl, mia figlia, l’unica ragione che mi teneva ancora lucido e in vita a Silent Hill.
Altrimenti sarei già crollato fisicamente e psicologicamente.
 
Dovevo andarmene da questo ospedale, non c’era altro da fare qui.
Come potevo uscire dall’edificio?
 
Raggiunte le familiari scale di sicurezza, mi precipitai al piano terra e, dopo aver aggirato abilmente alcuni dottori-marionette, riuscii ad entrare nella sala d’aspetto.
Mi fiondai sulla porta principale, piena di ruggine, ma era bloccata.
- Oh, accidenti! – esclamai.
Questa era l’unica via di fuga da questa dimensione demoniaca, ed era chiusa?!
Era vero, questa città giocava con te e le tue paure, quasi fossi un pupazzo nelle sue mani.
Ma come poteva, in effetti, una città riuscire a controllare le menti umane?
E perché proprio me!?
Per fortuna, la sala d’aspetto era sgombra da quelle infermiere.
Camminai in tondo per un po’, chiedendomi come potessi uscire dall’Alchemilla, quando un debole suono catturò la mia attenzione.
 
Tik tik tik
 
Un suono così debole ma così inquietante.
Era il suono di tacchi, probabilmente di qualche infermiera. Ma qui tutto era tranquillo.
 
Tik tik
 
Proveniva dalla sala degli esami.
Ci entrai, cauto come non mia, con la pistola puntata verso il raggio di luce della torcia.
All’inizio sembrava non esserci nessuno.
Ma dovetti subito ricredermi.
La luce puntò una figura, rannicchiata sotto la scrivania.
Sembrava un’infermiera.
Mi preparai a sparare ma...
- No! Aspetta! Ti prego! Non farlo! – disse la donna.
Disse?
Quindi parlava! Non era un mostro!
- Sei umana! – esclamai.
Fino ad ora, nella realtà demoniaca non avevo incontrato un altro essere umano.
La donna gattonò lontana dal tavolo e mi venne addosso, abbracciandomi.
 
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Era un ragazza.
Fui colto di sorpresa.
-  Va tutto bene, calmati – sussurrai.
Dopo qualche secondo mi lasciò andare e mi rivolse un grandissimo e bellissimo sorriso.
 
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Aveva i capelli lunghi e biondi, sormontati da una cuffietta da infermiera, e gli occhi verdi.
Probabilmente lavorava qui perché indossava l’uniforme del personale con un cardigan rosso molto grazioso. In quell’inferno lei sembrava irradiare luce propria, sembrava un angelo.
- Finalmente! Un altro essere umano! – esclamò sorridente con voce melodiosa.
- Già – dissi io sorpreso.
-  Scusa per prima, ma... – continuò arrossendo.
- Oh, non preoccuparti.
- Ah, presentiamoci, no? Io mi chiamo Lisa Garland, infermiera. E tu?
- Harry, Harry Mason.
- Piacere di conoscerti, Harry.
Restammo a guardarci.
Era davvero bellissima.
- Ehm... Lisa, hai idea di cosa stia succedendo in questo posto?
- No, davvero non saprei. Volevo chiedertelo io, sai? Credo di aver perso i sensi per un attimo e quando mi sono risvegliata non c’era anima viva.
Notai che la sua voce aveva uno strano riverbero; era come se non uscisse dal suo corpo.
- Grandioso – dissi sarcastico – Anche io non capisco. E’ come se stessi assistendo ad un brutto sogno.
Sembrava che persino le mie parole non uscissero dalla mia bocca.
- Sì, un incubo ad occhi aperti – approvò Lisa.
- Lascia che ti chieda: hai visto una bambina girare da queste parti? Ha i capelli neri e corti. Ha solo sette anni.
- E’ tua figlia? – chiese curiosa.
- Sì.
- Una bambina di sette anni... non so che dirti. Non l’ho vista, ero priva di conoscenza.
- Ah, d’accordo – risposi deluso.
Era la risposta che mi aspettavo, ma continuai lo stesso a porle domande: dovevo sapere di più.
- Lisa, hai mai notato che nel sotterraneo dell’ospedale c’è una strana camera per i pazienti, sotto una botola?
- No, perché? C’è qualcosa che non va lì?
- Come fai  non saperlo?! Non lavoravi qui? – chiesi incredulo.
- Sì, ma a noi infermiere è severamente proibito andare nei magazzini sotterranei! – si difese Lisa.
Un leggero dolore attraversò la mia testa che iniziò a diventare più pesante.
- Strano, perché ho trovato la stanza di una bambina... si chiamava... ah!
Il dolore alla testa aumentò.
Sembrava che stesse per esplodere.
Mi accasciai a terra, gemendo.
- Harry?! – disse Lisa spaventata – Stai bene? Lascia che ti aiuti!
Furono le ultime parole che ascoltai.
Poi buio.
 
Nero.
 
Ero morto.
 
No! Non volevo morire. Dovevo trovare Cheryl!
 
Aprii gli occhi.
Ero nella sala degli esami dell’ospedale Alchemilla.
Ero uscito dalla dimensione demoniaca: le pareti erano grigie e il pavimento era tornato polveroso e sporco.
Ero nella stessa stanza in cui avevo incontrato il dottor Kaufmann.
Ero seduto su una barella.
- Stavo sognando? – mormorai.
Lisa? Le infermiere? Dov’erano andate?
Bam!
Qualcuno era entrato sbattendo la porta.
Alzai lo sguardo: davanti a me c’era la donna col velo che avevo incontrato in chiesa.

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- Tu!- esclamai vedendola.
- Sì, io! – disse la donna senza espressione – Dahlia Gillespie.
- Ti chiami così? – chiesi – Sapevi il mio nome fin dall’inizio, potevi anche presentarti!
La donna non disse niente; si limitò a fissarmi.
- Mi hai ingannato – dissi alzandomi – Qui non c’è Cheryl!
- Davvero? – chiese la donna sorpresa – Sei arrivato troppo tardi, allora.
- Cosa?! – esclamai incredulo - Devi dirmi tutto quello che sai su questa città e su Cheryl! Cosa sta-
- Oscurità e tenebre – disse.
La donna, con sguardo devoto, alzò gli occhi al soffitto come se stesse pregando:
- La forza deve superare il desiderio. Un sogno infantile ci parla.
- Di che stai parlando? Non capisco.
- Credi ai tuoi occhi!
Quindi dovevo iniziare a credere ai miei occhi...
Certo!
Sono nella situazione di credere a esseri mostruosi, a diari che si scrivono da soli, a infermiere che sembrano arrivare direttamente dall’Inferno e bambine che volavano.
Certo!!
- Altrimenti, non credere! – scoppiò la donna – Credi alla tua testa e al tuo cuore! Pensi che gli occhi ti stiano ingannando?
Silenzio.
Era davvero strana.
- C’è un’altra chiesa in questa città. Trovala, è la tua meta. Io non posso arrivarci ma tu... Abbiamo bisogno di te! Solo tu puoi far fermare tutto questo! Hai notato un simbolo strano in città, vero?
 
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- Sì, c’era uno strano simbolo nel cortile della scuola elementare. Cosa significa?
La donna sorrise:
- E’ il marchio di Samael.
Samael?
- E’ un simbolo oscuro e pericoloso. Solo tu puoi impedire che venga completato – continuò.
La donna si voltò e uscì dalla stanza, lasciandomi solo.
- Aspetta! Dahlia! – urali invano ma era già sparita.
L’altra chiesa?
Ma a Silent Hill c’era solo quella chiesa, secondo la mappa.
Ehi, aspetta!
Qualcuno aveva disegnato qualcosa sulla mia mappa. C’era una X rossa su un negozio d’antiquariato.
Dovevo andare lì?
 
 
 
Eri seduta sulla sedia.
Lei sul letto, sognante, la guardava con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
Io ero in piedi.
- Lasciami... ti prego – sussurrava la piccola.
Vidi i suoi grandi occhi riempirsi di lacrime.
Non poteva muoversi.
Anzi, tutt’e due non potevano muoversi molto.
Solo io potevo.
La piccola non poteva piangere! Era stata accontentata.
Non parlava a me. Parlava all’altra.
Non poteva vedermi.
L’altra era stesa sul suo lettino, coperta solo da un lenzuolo bianco.
- Lasciami andare – continuava a bisbigliare.
L’altra si puntellò sui gomiti e guardò negli occhi la piccola; poi cantò.
Allora sapeva parlare.
Eppure il suo canto era davvero spento e sembrava un sussurro:
 
-Now, be quiet little me.
Look into my real fear.
This fog will never fade away,
If you go far one day
 
Cold and dark town in my dreams
Cradle of death and screams
 
Forget the world
And play with me.
Out there, you know,
No lights to see.
My blood so red,
Oh love, don’t cry,
Unclean your bed
But don’t ask “Why?”
 
Let the shadows lull you,
They have done something wrong
You too
 
But now, it comes with the darkness,
No, not my madness
The nightmare becomes real.
 
The death is our eternal bless
And we deserved this,
Your abduction in the mist.
 
I still listen the cries
Burning tears form my eyes;
Flesh and blood, you and I
Until the end, until you die.
 
 
Conoscevo bene quella ninnananna.
Cheryl era crollata addormentata.
Proprio come mi aspettavo.
 

 

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Capitolo 20
*** I Segreti Di Silent Hill ***


I Segreti Di Silent Hill

 Il negozio d’antiquariato era proprio davanti a me, in Simmons Street.
Avevo percorso un bel po’ di strada prima di raggiungerlo e avevo cercato in tutti i modi di evitare scontri con i mostri che infestavano le strade e si nascondevano nella densa nebbia.
Il negozio era ridotto proprio male: le vetrine erano messe sottosopra e la porta era stata scardinata. L’insegna penzolava inutile sopra l’uscio: c’era scritto sopra “IL LEONE VERDE”.
Un nome bizzarro per un negozio di mobili antichi.
Entrai, con la pistola nella mano destra.
Ero pronto.
Il negozio si trovava dopo una lunga rampa di scale in discesa, nel sottosuolo, e dopo di essi si trovava un’altra porta, intatta questa volta.
La superai e subito la richiusi alle mie spalle.
Ero nel negozio.
 
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Anche dentro era tutto in disordine.
Ma la chiesa, di cui parlava Dahlia, dov’era? Io vedevo solo armadi, divani, lampade e altri mobili ricoperti di polvere.
- Se mi ha ingannato ancora... io... io... – sussurrai nervoso.
Avevo l’impressione che tutto questo girovagare per Silent Hill mi rendesse sempre più lontano da Cheryl e dalla salvezza. Non volevo rimanere a qui in eterno!
Detti un’occhiata qua e la, per trovare qualcosa d’interessante: raccolsi un coltello e lo infilai in tasca, che stava diventando davvero pesante intanto, ma il resto era solo cianfrusaglia.
- Harry?
Una voce familiare, finalmente.
Mi voltai e la vidi:
- Cybil! – esclamai entusiasta. Stava bene.
 
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- Stai bene, Harry? – disse Cybil avvicinandosi sorridente.
- Ehm... – esaminai le numerose ferite – Bhè, sono ancora vivo.
- Grazie al cielo. Sapevo che non avrei dovuto lasciarti solo. Mi avevi promesso di aspettare vicino al Bar dove ci siamo conosciuti.
I suoi occhi color del mare sembravano ardere.
- Lo so, ma – mi giustificai – avevo bisogno di risposte.
- E le hai, adesso?
- No – ammisi scoraggiato.
- Ho tentato di uscire dalla città per chiamare i rinforzi ma tutte le strade sono crollate, come se finisse lì il mondo. La situazione non mi piace. E’ da pazzi!
Notai che Cybil aveva i vestiti zuppi d’acqua, ma non le chiesi il motivo.
- Poi ti ho visto qui attorno – continuò Cybil, fissandomi – e ti ho seguito. Cos’altro posso fare? Le macchine non partono. I telefoni e le radio non funzionano. Così...
- Hai ragione, Cybil. E mia figlia? L’hai vista? – chiesi.
La donna sbuffò e rispose nervosa:
- Sì! Ho visto una bambina! E non una volta sola!
Il mio cuore iniziò a battere velocissimo.
- Ed era Cheryl, vero?
Cheryl...
- Una bambina... ma non era tua figlia. Non era come me l’avevi descritta. Sembrava più grande. E mi ha fatto davvero arrabbiare; quella mocciosa!!
Wow, sembrava davvero infuriata.
- Ma poi, credo d’averla vista. Sì, credo che quella fosse proprio Cheryl! – continuò calmandosi.
- Cosa? Dov’era? – chiesi agitandomi.
Preferivo fidarmi di Cybil e non di quella Dahlia.
- Era strano, Harry. Ho visto la sua figura, la sua ombra. Ma non stava... ecco, senza giri di parole: stava... camminando sulla superficie dell’acqua.
Iniziai a sudare parecchio per l’agitazione. Cheryl...?
- Come? – chiesi, confuso.
- Stava volando o qualcosa del genere. Stava camminando sul lago Toluca e rideva, rideva tanto. Sembrava... fuori di sé. Ma se può farti piacere... sapere che è viva...
- Perché non l’hai raggiunta?! – dissi incredulo. Era una poliziotta,diamine!
- E come facevo? Io non so camminare sull’acqua, genio! – rispose urlando.
- Ok, scusa – dissi piano.
E come faceva Cheryl a volare?!
Mi sembrava di impazzire.
- Ora parla tu! – disse Cybil, sedendosi su uno dei divani presenti nella sala e guardandomi.
- Allora, ho incontrato una strana donna, Dahlia Gillespie. La conosci?
- No. E poi?
- Parla di oscurità nella città; cretinate come questa. Hai idea di cosa voglia dire?
- Cosa c’è da capire, Harry? – rispose Cybil – Sarà sotto l’effetto di qualche droga!
Droga?
Cosa centrava la droga in questa faccenda?
- Non lo sai? La vendevano ai turisti che arrivavano a Silent Hill! Ha fatto molto scalpore questa cosa, tanto che il sindaco della città fece di tutto per fermare questa situazione. Anche se dopo lo trovarono morto in circostanze misteriose.
Certo che questa città ne aveva di scheletri nell’armadio.
Restai zitto; fu Cybil a parlare:
- E quel buco cos’è? – chiese indicando con un dito una minuscola apertura dietro di me che non avevo notato. Era abbastanza grande, però, da far entrare un uomo adulto in ginocchio.
- Ehi! Non l’avevo visto. Chissà dove conduce...
- Harry! Non pensarci neanche. Sono una poliziotta! Vado prima io! – insistette alzandosi e raggiungendomi.
- No, Cybil. Tu resta qua, e coprimi.
Sembrava esasperata. Evidentemente, voleva rivelarsi utile.
- D’accordo, Harry. Ma sbrigati! – sbuffò, accennando un sorrisetto nervoso.
- Torno subito – dissi, mettendomi a gattoni e iniziando a percorrere il tunnel che seguiva il buco.
Per fortuna non soffrivo di claustrofobia.
Dopo qualche minuto la galleria finì; mi rimisi in piedi e mi guardai attorno.
Ero davanti ad un altare!
 
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Quindi Dahlia non aveva tutti i torti... per sua fortuna!
 
Era una altare strano, però niente di speciale. Feci dietrofront per tornare da Cybil ma...
Bam!
 
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L’altare prese fuoco.
Rimasi pietrificato. Com’era accaduto?!
Mi voltai: il buco per uscire era scomparso. Mi sentivo in trappola.
Il caldo si fece insopportabile...
Cheryl...
 
Buio.
Nero.
 
- Harry? Harry?
Una voce angelica e dolce come il miele.
Lisa?
Dovevo aprire gli occhi.
Eccola, davanti a me. Ero steso su una barella... ero in ospedale?
Ancora?
O era stato un sogno? Un sogno dentro un sogno?
Che sensazione angosciante non sapere più quel’è la realtà!
- Lisa – sussurrai mettendomi a sedere– cosa è successo?
- Hai avuto un brutto sogno, credo.
Lisa era seduta su una piccola sedia  affianco a me. Teneva le mani sulle ginocchia.
 
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- E tu, Lisa? Non sembra stare molto bene.
- Va tutto bene, Harry, grazie.
- Se ne sei sicura... Lisa, conosci una donna chiamata Dahlia Gillespie.
Lisa era di Silent Hill, doveva averla almeno vista.
- Oh, sì. Quella pazza... è molto famosa qui in città.
- Davvero? – chiesi sbalordito.
- Ci sono storie strane sul suo conto. Dicono che un tempo fosse la ragazza più bella della città e che tutti i ragazzi l’amassero. Ma lei era strana...
Per quanto mi sforzassi non riuscivo ad immaginarmi Dahlia Gillespie da ragazza.
- Non si sposò mai e non conobbe mai uomo... ma ebbe una figlia. Oh, poverina – gemette Lisa.
- Cosa? Perché... ?
- Non ti sorprendere se vedi quella signora un po’ scossa e fuori di sé. Ha perso sua figlia sette anni fa in un incendio. E’ stato orribile per la città intera, figurati per lei!
Ecco... adesso capivo. Anche io non sarei stato più lo stesso se mia figlia fosse morta.
- Ha detto che la città sarà divorata dalle tenebre... – continuai.
- Non so, Harry, forse però...
Si fermò timorosa e abbassando lo sguardo continuò:
- Un tempo la città era una meta turistica molto famosa. Tutto era tranquillo. Ma certa gente seguiva una strana religione. Uno strano culto, una setta. Praticavano riti, magia nera e altre cose brutte. Molti giovani della città morirono inspiegabilmente e la gente pensava fosse una maledizione divina... suicidi, omicidi e sparizioni erano di routine a Silent Hill.
Quell’ultima frase mi fece particolarmente accapponare la pelle.
Routine?
Lisa continuò, abbassando la voce:
- Immagina, prima che diventasse una meta turistica tutto andava per il meglio. Credo. E invece adesso... a quel tempo pensavano che fosse quello strano culto a portare morte e disperazione tra i giovani di Silent Hill. Quel culto. Dio, l’ultima volta che ne sentii parlare furono... anni fa. Pensavano che le persone che facevano arte del culto stessero complottando per uccidere ogni bambino di Silent Hill, ma personalmente, non credo sia possibile. Gli incantesimi e le maledizioni non esistono.
Alzò lo sguardo, per cercare il mio ma poi aggiunse in fretta:
- Oh, devo averti spaventato Harry. Lo prometto, starò zitta!
 
Buio.
Nero.
 
 
Staro zitta!
Avevo la sua voce ancora nella testa.
Questa città era davvero maledetta?
Per quanto tempo ho dormito? Mi trovai nel negozio d’antiquariato, di nuovo, nella stanza dei mobili. Cybil non c’era. Era stato tutto un altro sogno? O forse stavo vivendo un sogno?
Non so più qual è la realtà... ma devo vivere!
Cybil aveva detto che Cheryl era vicino al lago Toluca, simbolo della città. Ma quella strada era bloccata!
Come potevo... ?
Aspetta, Lisa è originaria di Silent Hill! Conoscerà sicuramente un’altra via. Dovevo raggiungerla in ospedale, non potevo stare là a far niente!
 
Uscii dal negozio e mi ritrovai nella nebbia.
No! Non era la nebbia!
Ero entrato nella dimensione demoniaca.
 
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- Cosa? Perché adesso?! – esclamai davanti alle grate e ai muri sporchi di sangue.
Tutte le strade erano bloccate con filo spinato che gocciolava sangue senza tregua.
Mi sentivo un topo in gabbia.
L’unica via d’uscita da quel quartiere -privo di mostri, per fortuna- era passare attraverso un piccolo centro commerciale, “Gigastore”.
Entrato cercai subito l’uscita di sicurezza, pregando che fosse aperta.
Poi... luce.
All’ingresso c’erano diversi monitor che si erano accesi da soli.
 
- Papà?
Sullo schermo apparve Cheryl.
La mia piccola...
- Cheryl!
Corsi incontro ai monitor.
Volevo portarla via!
Perché Silent Hill mi torturava in questo modo?
Non riuscii a trattenere le lacrime. Sembrava passata un’eternità da quando avevo visto il suo ultimo sorriso sulle labbra.
- Cheryl... – sussurrai piano, accarezzando lo schermo come se la piccola avesse potuto sentire il mio gesto d’amore e affetto sulla sua guancia.
Cheryl... anche lei stava piangendo...
Non muoveva le braccia... solo la testa.
In pochi secondi la sua espressione mutò: la tristezza sul suo volto si trasformò in un ghigno di dolore.
La piccola iniziò ad urlare e l’immagine iniziò a sfocarsi.
 
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- No! Non andare! – implorai.
- Pa-pà! Aiutami! Dove sei? Vieni, ti prego! Aiutami!
Bam!
L’immagine di Cheryl svanì.
Al suo posto apparve l’immagine di quella foto che avevo trovato sotto la botola.
La rividi... Alessa.
Ma poi l’immagine cambiò ancora: sui monitor apparvero strani simboli, tra cui quello che avevo visto nel cortile della Midwich Elementary School.
 
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Dahlia lo aveva chiamato Marchio di Samael.
Voleva che lo fermassi... e come?
Bam!
Gli schermi si spensero.
Mi voltai e...
Tutti i muri alle mie spalle erano imbrattati di sangue... di disegni fatti col sangue...
Quel simbolo era scarabocchiato ovunque.
Quel marchio... sui muri, sulle vetrine, sulle scale mobili...
Il marchio di Samael.
 
 

 
 

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Capitolo 21
*** Priorità e Scelte ***


Priorità e Scelte
 
- Non ce la faccio più! – esclamai mentre uscivo dal centro commerciale – Mi sento di impazzire!
Tornato nelle pericolose strade demoniache, spensi la luce per evitare di essere visto dai mostri. Avevo notato, osservandoli a debita distanza, che la loro pelle era leggermente cambiata: sembrava sanguinassero copiosamente da ogni parte del corpo e la loro cute era diventata di un rosa-carne molto acceso. Questo particolare li rendeva ancora più brutti e spaventosi.
Ma, in quelle strade distorte, feci la conoscenza di un’altra creatura, più abominevole e inquietante delle altre.
Incontrai quel mostro pochi passi dopo il “Gigastore”: aveva quasi l’aspetto di un essere umano, gli arti erano ancora ben visibili e definiti. Completamente nudo, si aggirava per le strade come lo avrebbe fatto un gorilla particolarmente arrabbiato. La testa era un ammasso di carne, senza occhi, possedeva una bocca piena di quelli che sembravano vermi... o erano semplicemente tante piccole lingue.
 
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Emetteva grugniti molto simili a quelli di un uomo adulto.
Fui colto di sorpresa da quella creatura: mi stava osservando, nascosto, camminare per le strade e, in una frazione di secondo, mi fu addosso facendomi cadere supino. Il suo enorme peso mi schiacciava il petto. Quella creatura stava cercando di farmi qualcosa di strano: sopra di me, passava le sue enormi zampe su tutto il mio corpo, cercando di strapparmi i vestiti; le sue lingue cercavano di entrare nella mia bocca... insomma, sembrava qualcosa più di una semplice aggressione!
Rimasi travolto da quella forza disumana e dal suo aspetto ripugnante. Mentre era sopra di me, in una posizione davvero indecente, tastai con la mano la tasca per prendere la pistola e sparargli in pieno petto. Lo “Stalker”, con un ultimo grugnito spaventoso, si accasciò sul mio torace bagnandomi la maglietta di sangue puzzolente.
Dovevo uscire subito da quel quartiere!
Molti altri Stalker iniziarono a seguirmi, con movenze di scimmioni, ma nessuno mi raggiunse, per fortuna.
Ripercorse ancora quelle ormai familiari vie, arrivai di nuovo all’Alchemilla Hospital “alternativo”. Questa volta, però, ci entravo di mia spontanea volontà e non obbligato da una pazza.
Corsi subito dentro l’edificio, riaccesi la luce della torcia e rividi quei familiari e inquietanti muri insanguinati a darmi il benvenuto.
Pregando di non incontrare nessuna infermiera-marionetta, mi diressi subito nella sala degli esami, doveva avevo visto per l’ultima volta Lisa. Il suo viso angelico e la sua dolce voce erano il giusto rimedio per risollevarmi il morale.
Aprii delicatamente la porta per non spaventarla, e, come previsto, mi fu subito accanto.
- Oh, Harry – sussurrò Lisa.
Sembrava esausta ma, come un bambino, cambiò subito espressione, sorridendomi, forse per mascherare qualcosa.
- Lisa, sono felice di vederti – dissi io, accennando un sorriso.
- Grazie a Dio sei tornato indietro. Ero spaventata, tutta sola – continuò dirigendosi verso il centro della stanza, senza smettere di sorridere.
- Ci sono io adesso, non preoccuparti. Anche io ero in pensiero.
Lisa mia abbracciò gentilmente e delicatamente e, dopo pochissimi secondi, era già lontana da me.
La guardai negli occhi:
- Lisa, sai come arrivare al lago Toluca?
- Il lago? Prendi Bachman Road.
- La strada è bloccata.
Era quello che mi aveva detto Cybil, e mi fidavo di lei; ma non e la sentivo di raccontare a Lisa della poliziotta.
- Ah, ma è l’unica via per raggiungerlo... – riprese Lisa.
- Ne sei sicura? Non c’è un’altra via? – chiesi, con una lieve nota di disperazione nella voce.
Lisa poggiò le mani sui fianchi e restò qualche minuto in silenzio a pensare. Poi i suoi occhi si spalancarono ed esclamò:
- Aspetta! Ho ricordato qualcosa!
- Cosa? – chiesi sorpreso?
- Ricordo che davanti la mia scuola elementare, la Midwich, c’era l’entrata per le fognature!  E’ un tunnel che veniva usato per i controlli della città. Ricordo che il tunnel passa sotto il lago Toluca!
- Davvero?! Pensi che potrei arrivare al lago da lì?
- Non ti assicuro niente, non ci sono mai entrata – sussurrò timorosa di sbagliare.
- Ma se c’è una speranza... – dissi io.
Lisa mi venne ancora vicina e mi afferrò le mani, tenendole strette. Per un attimo sembrava stesse per scoppiare a piangere.
- Harry! Non andare via, ti prego! – implorò la ragazza – Non voglio restare sola di nuovo! E’ tutto così spaventoso! Non posso farcela da sola!
Questa stanza e un ospedale infestato.
I mostri avrebbero potuto, in qualsiasi momento, sfondare la porta e uccidere Lisa! In effetti lei non aveva tutti i torti: era fragile ed emotiva, come avrebbe potuto difendersi dai mostri, se l’avessero attaccata? Mi sarei sentito in colpa se fosse stata la mia assenza a decretare la sua condanna.
- Perché non vieni con me? – chiesi.
- Con te? – ripeté Lisa.
- Sì, perché no? – continuai – Questo posto non è molto sicuro. Ma se sarai con me, farò il mio meglio per proteggerti.
Lisa abbassò lo sguardo; forse conoscevo già la sua risposta.
- No... – disse piano – ... è come se in cuor mio, sapessi di no dover lasciare questo posto.
Dopotutto era un’infermiera; aveva visto, probabilmente, le sue colleghe trasformasi in bestie e forse non se la sentiva d’abbandonare quel luogo pieno di ricordi.
- Oh, Harry. Ho paura. Sento tanto freddo! – riprese alzando la voce.
Ero confuso come non mai.
Non potevo restare con lei, in eterno, in quell’ospedale; dovevo trovare mia Cheryl... ma non volevo lasciare Lisa sola e indifesa.
Cosa potevo fare? Non era una scelta da poco: c’erano in gioco delle vite!
Lisa era adulta; Cheryl era solo una bambina che non conosce il luogo.
La mia preoccupazione per Chery non poteva essere minimamente comparata a quella per Lisa!
Dopotutto... era mia figlia.
Ma come spiegarlo alla ragazza senza ferire i suoi sentimenti?
- Lisa, mi capisci: io non voglio lasciarti sola, ma in questo inferno c’è mia figlia. E’ ancora una bambina. Hai idea di quanto possa essere spaventata, tutta sola con quei mostri in circolazione? – dissi dolcemente, poggiando la mia mano sulla sua spalla destra.
Lisa restò zitta, guardando il pavimento.
- Ti chiedo solo di aspettare un pochino. Sarò presto di ritorno con mia figlia; porterò via da Silent Hill anche te, se...
Ma Lisa scosse il capo, impercettibilmente, con sguardo scosso.
Le mie parole dovevano essere state per lei come una doccia gelata. Ma non c’era altro che potessi fare per lei. Dovevo salvare mia figlia.
Uscii dalla stanza giusto in tempo per udire un sussurro di Lisa:
- ...Harry...
 
Abbandonai l’ospedale e mi diressi spedito verso la scuola elementare.
Trovai subito il tunnel fognario della sicurezza di Silent Hill ed entrai: rimasi in balia di acqua puzzolente e mostri per un bel po’ prima di scorgere l’uscita.
Ed eccomi: il quartiere più popolare della città, il quartiere tanto bello quanto misterioso affacciato sulle sponde del famoso lago Toluca.
Mi rincuorò guardare al terreno senza scorgere grate arrugginite. Tutto sembrava essere normale, tranne per il cielo color morte sopra di me. La nebbia era scomparsa... eppure non ero nella dimensione demoniaca.
 
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- Strano – dissi a me stesso – Dopo ogni incontro con Lisa, il mondo demoniaco sparisce. Dovrei vederla più spesso, allora...
Coincidenza.
 
Tutto taceva.
Gettai alcune occhiate verso il lago, come se mi aspettassi di vedere Cheryl  volare sull’acqua, ma niente di speciale catturava la mia attenzione.
Ma chi volevo prendere in giro: Cheryl non può volare!
Camminavo a passo spedito accanto all’Annie’s Bar, un piccolo locale, quando sentii provenire dall’interno un urlo sommesso.
Un urlo umano.
Ci entrai subito.
Lo vidi... Micheal Kaufmann, il dottore.
Era davanti a uno di quelli Stalker. Il mostro si stava lanciando verso l’uomo per atterrarlo.
 
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Ma io fui il più veloce: Bam!
Centrai il petto del mostro che cadde a mezz’aria per poi sbattere violentemente contro il pavimento. Kaufmann, che non mi aveva visto entrare, sussultò al rumore dello sparo, ma dopo tirò un profondo sospiro di sollievo.
- Ah, sei tu! – esclamò.
Mi aspettavo qualcosa come “Oh, grazie mi hai salvato la vita. Te ne sarò infinitamente grato”, ma non sembrava essere un tipo molto cortese. Eppure, anche un minimo ringraziamento sarebbe bastato.
- Va tutto bene? – chiesi.
- Sì, sono ancora tutto intero. Ma sono ferito – rispose l’uomo.
Io non vedevo nessuna ferita.
IO ero ferito e sporco di sangue... non lui.
Quell’uomo non mi stava molto simpatico, ma non potevo lasciarlo lì a morire.
- Hai trovato un modo per uscire da qui? – mi chiese.
- No. Sono stato... impegnato... tu?– dissi.
Non volevo raccontargli di Lisa; sentivo che me ne sarei pentito se l’avessi fatto.
- Lo stesso. Ma non possiamo arrenderci! – continuò Kaufmann – Questa situazione non può andare avanti in eterno! Credo che una squadra militare sarà presto in città... ci porteranno via!
Mi sembrava molto improbabile.
E poi io dovevo trovare Cheryl... non me ne sarei andato dalla città senza mia figlia.
L’uomo guardò speranzoso fuori dalla finestra, come se già vedesse la sua ancora di speranza, orde di militari con mitra e armi a salvare i superstiti.
- Lo spero – dissi.
- Quindi muoviamoci – sospirò l’uomo, aggiustandosi la cravatta e togliendo dai pantaloni della polvere.
Camminò veloce verso l’uscita.
Poi mi venne in mente... quella stanza.
La stanza di quella bambina, Alessa, così somigliante a mia figlia. Una stanza nascosta nelle viscere dell’Alchemilla.
Lui era il direttore: doveva sapere qualcosa.
Sapevo che era una semplice curiosità... ma c’era qualcosa...
- Ehm... aspetta – esclamai.
L’uomo si arrestò e mi guardò incuriosito.
- Che c’è? – disse scontroso.
- Conosci una bambina di nome Alessa? – chiesi.
Le mani del dottore iniziarono a tremare fuori controllo. Il suo viso sembrò gelarsi all’improvviso.
Con scatti, quasi non umani, aprì la porta d’uscita:
- No – disse secco, con una voce che non sembrava sua.
Corse fuori dal bar.
L’avevo turbato?
Nella fretta gli cadde una ricevuta da un negozio, “Indian Runner”. Sulla ricevuta c’erano scritti quattro numeri:     9715
Era diretto lì?
 
 
 
La donna camminava sicura nell’ospedale.
Lei non vedeva il buio e le tenebre non attanagliavano il suo cuore.
Era una semplice testimone.
Era di troppo, eppure poteva rivelarsi utile.
Stringeva nelle mani la sua pistola, un oggetto che toglie la vita, un oggetto del male.
Perché?
Sussurrava qualcosa, per rincuorarsi.
Poi arrivai io.
 
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Alla fine del corridoio, l’osservavo.
Lei si accorse di me.
- Tu! – esclamò.
Sì, mi aveva riconosciuta.
- Chi sei tu?
Poneva domande e domande. Perché? Io le servivo.
Il suo cuore mi piaceva; vedevo dentro di lei una grande forza e una grande purezza.
Era perfetta.
Doveva stare con me.
La mia mano sembrò risplendere. Una piccola sfera di luce era poggiata sul mio palmo.
 
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Non fa male... se desideri.
Solo se lo vuoi veramente...
La lanciai verso di lei... dritta in petto.
Ma lei la schivò.
Sorrisi.
- Tu non sei... umana! – esclamò la donna.
Un’altra...
Preparai un’altra sfera ma prima che potessi lanciarla fui colta di sorpresa.
Ero a terra.
Il mio viso a pochi centimetri da quello di Cybil Bennett.
Le sue mani... serrate attorno al mio collo.
 
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Stavo soffocando?
Cosa stava facendo la donna?
Non avevo visto tenebre nel suo cuore... e adesso?
Quanto è facile sbagliarsi sul conto di una persona!
Stava attaccando una ragazzina.
Questo posto da proprio alla testa, eh?
Rimasi tranquilla... ma non ferma.
Poggiai le mie mani sulle sue spalle e tentai in tutti i modi d’allontanarla da me.
Spingeva forte... io ricambiavo.
- Io volevo salvarti – sussurrai.
La mia voce fece breccia nell’anima della donna che mi lasciò andare.
- Eppure mi sbagliavo – continuai stesa per terra – Neanche tu... meriti...
Sparii.
 
 
 

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Capitolo 22
*** Complotti ***


Complotti
 
Quell’uomo nascondeva qualcosa, ne ero sicuro; era troppo vago e poi, quando gli avevo chiesto di Alessa, sembrava avesse appena visto un fantasma. Cosa gli avevo fatto? Era lecita una semplice curiosità in quell’Apocalisse? Poi era il direttore, santo cielo! Doveva essere a conoscenza di una stanza nel sotterraneo.
Però chissà dov’era adesso Alessa... probabilmente, per la sua giovane età, era diventata uno di quei piccoli mostriciattoli che avevo incontrato nella scuola; forse l’avevo persino uccisa...
Mi veniva il voltastomaco ogni volta che realizzavo che quelle creature mostruose potevano essere delle persone.
Non ero un assassino e non volevo diventarlo! Eppure... quell’idea continuava a presentarsi nella mia mente, tagliente come la lama di un coltello. Non dovevo pensarci! Dovevo rimanere concentrato sul mio obiettivo: trovare Cheryl.
Avevo tra le mani ancora lo scontrino: INDIAN RUNNER.
Era un locale, non molto distante da qui. Raggiungerlo non mi avrebbe cambiato la vita, quindi...
Spenta la luce della torcia, tornai per le strade, stranamente sgombre. Non abbassando la guardia, mi tenni a ridosso di alcuni cespugli e, dopo pochi minuti, ero già entrato nell’edificio.
 
Tutto era sottosopra, come se dei ladri avessero appena svaligiato il posto.
Mi avvicinai alla cassa, ancora chiusa.
C’erano alcuni fogli sparsi sul bancone, scritti a mano frettolosamente. Li lessi:
 
... è presente solo a Silent Hill e nelle zone circostanti. L’ingrediente base è chiamato WHITE CLAUDIA. E’ fatta qui, in città? Colui che la fa... la vende?
 
L’altro:
 
L’ufficiale Gucci T. è proprio morto. Sembra che la causa sia naturale, un infarto, ma le analisi hanno confermato che l’uomo non aveva problemi di cuore.
 
L’ultimo:
 
 
20 Agosto
E’ venuto ancora. Ha preso il pacco che la donna gli aveva lasciato.
 
12 Settembre
Si è fatto vedere. Non voglio essere coinvolto, eppure...
Mi sento male e ho paura come non mai. Credo che lasciare la città sia necessario, oramai. Ma se lo faccio cosa mi accadrà!?
 
 
Non capivo niente. Era tutto così confuso. Mai avevo trovato un messaggio chiaro e conciso da quando ero entrato in questi pasticci. Ma ero nel posto giusto?
Ricontrollai la ricevuta.
Sì, il posto era giusto.
Il numero... 9715?
Era una combinazione? Per cosa? Non c’erano porte blindate nelle vicinanze. A meno che...
Notai una piccola cassaforte accanto al mio piede destro. La illuminai. Aveva un lucchetto con dei numeri incisi sopra.
- Eccoti qua. Vediamo cosa nasconde quell’uomo – mormorai chinandomi verso l’aggeggio.
9...
7...
1...
... e... 5!
Click!
 
Fatto!
Aprii il lucchetto e spalancai la piccola porticina.
E...
- Cos’è questa cosa?! –esclamai, osservato il contenuto tanto protetto.
Dovevano essere cinque o sei sacchetti abbastanza grandi, poggiati gli uni sugli altri, a formare una piccola torretta. Erano tutti pieni della stessa sostanza: una finissima polvere bianca!
- Droga?! Cosa centra la droga?
La faccenda si faceva sempre più strana e complicata. Perché?
Da cercare mia figlia ero finito alla droga!
Io rimango lontano da quel genere di cose!
Chiuso lo sportello, mi allontani il più in fretta possibile dall’edificio ritornando vulnerabile, in balie di quelle pericolose e buie strade.
Kaufmann era immischiato in questo genere di cose?! Lui, il direttore dell’Alchemilla Hospital?!
Ma cosa stava succedendo?!
 
Perplesso, uscii da quel sudicio e oscuro posto.
Silent Hill... droga...?
Cheryl.
Ora basta.
Non dovevo cedere davanti alla curiosità.
Era finita.
Dovevo solo trovare Cheryl e andarmene!
 
Tornato, ancora, per quelle vie pericolose, corsi dritto, con la pistola alla mano, pronto a cogliere ogni movimento ed ogni suono.
 
Silenzio.
 
Poi...
 
Passi... passi pesanti.
 
E lo vidi, ancora una volta.
 
Micheal Kaufmann correva nelle buie e deserte strade di Silent Hill, con la sua inseparabile ventiquattrore nella mano; sembrava che l’uomo avesse fretta. Si stava dirigendo verso quello che sembrava un vecchio motel abbandonato.
Restai dov’ero e l’osservai: si girò intorno, guardando in ogni dove come per accertarsi di non essere inseguito, poi riprese ad avanzare sicuro; entrò in una stanza accessibile solo al personale ma non chiuse la porta alle sue spalle.
Cosa stava facendo in un motel?!
Non era lui che continuava a dire di trovare un modo per scappare dalla città e di non gingillarsi?!
Lo seguii, facendo attenzione a non fare troppo rumore ed entrai anche io in quella stanza.
 
Tutto a posto e dell’uomo neanche l’ombra.
Notai che sulla porta c’era scritto a caratteri ben visibili: ACCESSO NON AUTORIZZATO AI CONSUMATORI: RISERVATO ALLO STAFF.
E allora perché c’era entrato?
Ne ero certo: quell’uomo mi nascondeva qualcosa. Un qualcosa che forse riguardava anche mia figlia.
Poi quella droga!
La piccola stanzetta in cui mi trovavo era occupata solo da un registratore di cassa, un telefono, un tavolino e due porte.
Accanto al bancone dello staff c’era una pagina di diario e un piccolo articolo di giornale.
La pagina del diario recava:
10 Settembre
Ho preso il pacco e lo terrò per un po’.
Posso solamente obbedire adesso, anche se non vorrei che finissi nel “circolo”.
Tutto ha a che fare con la morte del sindaco e degli altri, perciò...
 
L’articolo:
Le morti sospette continuano. Gli spacciatori di PTV non si danno tregua. L’ultimo tragico caso è stato quello del nostro sindaco, coinvolto attivamente nel progetto anti-droga. E’ morto anche un ufficiale dello stesso gruppo, per infarto di origini sconosciute.
 
PTV? La droga che avevo visto prima?
- So che ogni città ha i propri segreti! – dissi a me stesso, incredulo – E so che alcuni sono molto più oscuri di altri... ma questo!
Era un vero e proprio complotto. Voleva dire che a Silent Hill non giravano molte persone dalla coscienza a posto! Kaufmann era immischiato in questa faccenda?
Caspita!
E sembrava un tipo a posto, all’inizio... strano ma con la testa sulle spalle. Era difficile non impazzire in questa città.
Volevo spiegazioni, ma come l’avrei affrontato?
Solo il pensiero di parlare ancora col dottore, con argomenti simili, mi dava il mal di testa.
Mi allontanai dalla cassa e aprii una delle sue porte presenti nella stanza.
Mi trovai in una specie di garage.
 
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Il dottore non c’era.
Era presente, invece, una grande moto; era una moto vecchio stile, grande e pesante, coperta da uno spesso strato di polvere. Se avessi trovato le chiavi del veicolo l’avrei utilizzato: era il mio sogno sin da quando ero bambino. Forse era solo una mia impressione ma c’era il serbatoio della moto pulito e lucidato, come nuovo. Il resto era arrugginito e pieno di polvere.
Che Kaufmann avesse maneggiato col serbatoio?
Per cosa poi?
Svitai il coperchio e guardai dentro.
Strano.
Il serbatoio era completamente smontato; si era formata una piccola apertura all’interno.
E dentro c’era qualcosa!
 
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Una piccola fiala rossa era poggiata nel piccolo buco. Era davvero minuscola; conteneva un liquido.
La afferrai e sentii un inteso profumo di fiori di primavera, quando l’avvicinai al viso per vederla meglio.
Ehi, quel profumo così soave e delicato l’avevo già sentito.
Sentii qualcosa muoversi nella mia tasca.
Cosa...?
Stavo per mettere una mano nella giacca per controllare quando una voce familiare mi costrinse a fermarmi di colpo:
- Dammela! Subito!
Mi voltai: Micheal Kaufmann era davanti a me, pallido e brutto; si fece vicino e mi strappò via la strana fiala rossa dalle mani.
- Ehi! – esclamai sorpreso da tanta forza.
Non opposi resistenza, comunque. Non volevo entrar nei suoi affari, però...
- Cos’è quella fiala? Cosa contiene? – chiesi vedendolo voltarmi le spalle.
- Non sono affari tuoi, ficcanaso! – urlò.
Era arrabbiato.
Era solo una stupida ampolla!
Cos’avrà mai di tanto speciale?!
- Invece di seguire la gente e fare casino qua intorno, perché non trovi una via d’uscita!? – continuò.
Ancora con questa storia!
- Io non me ne vado se prima non tro- - iniziai.
- Ancora con quella mocciosa?! Te l’ho detto: sarà già stecchita in qualche vicolo! – disse interrompendomi.
Il mio respiro si fece sempre più corto e irregolare. Mia figlia non era morta!
- Ma se proprio vuoi morire, accomodati! La città è tutta per te! – continuò Kaufmann sarcastico... credo.
Quell’uomo... non so cosa c’è in quella bottiglia e non mi importa.
Cheryl...
- Se non vuoi morire fatti gli affari tuoi, capito? E adesso smamma!! – urlò ancora, prima di andarsene con passo spedito.
Si era davvero infuriato, per una specie di profumo?
Si preoccupasse dei suoi affari da solo, allora!
- Sono stato uno stupido! – sussurrai, solo, nel buio del garage – Perché l’ho salvato nel bar?! Sarebbe stato meglio se fosse morto sbranato da quella bestia!
Stavo perdendo tempo.
Lasciai il motel.
 
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Mi restava da esplorare una zona sola, secondo la mappa: la via per il Lakeside Amusement Park.
Non ero molto lontano da lì e ci arrivai in pochi minuti, senza incontrare nemmeno un mostro.
Poi...
Dolore.
Gemetti. Ero in mezzo alla strada.
Mi accasciai a terra. La testa iniziò a bruciare come se andasse a fuoco.
Chiusi gli occhi.
E sentii tutto cambiare.
Le mie mani non sentirono più il fresco asfalto della città. Sentirono il ferro di grate arrugginite e il loro freddo mortale.
Pian piano salì inesorabile l’inconfondibile odore del sangue umano.
Buio. Non volevo vedere o non potevo vedere?
Sentii il suono di grandi ventole che giravano sotto di me, sotto le grate, senza mai fermarsi.
 
Aprii gli occhi.
Davanti a me... l’inferno...
 
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Capitolo 23
*** Un Demone Tentatore ***


Un Demone Tentatore
 
Il dolore alla testa stava sparendo, ma la mia paura e il mio terrore stavano aumentando a dismisura. Mi sentii quasi oppresso da quell’oscurità sovrannaturale, dal puzzo di marcio e sangue nell’aria e dal mio cuore che sembrava stesse per esplodere come una bomba ad orologeria.
- Questa volta è diverso. Lo sento – bisbigliai.
Un freddo innaturale mi spezzò il respiro. Un impetuoso vento gelato mi scompiglio i capelli bagnati dal sudore. Mi sentivo osservato, più che mai. Ma ero solo, per ora.
Stava iniziando a piovere.
Ma il cielo sembrava sparito. Solo nero ai miei occhi.
La pioggia era gelida.
Dovevo andarmene da questo posto.
I muri dei negozi e delle case erano scomparsi; al loro posto, solo del filo spinato, che divideva la strada con dall’oblio. Eppure, sulle grate arrugginite, per terra, c’era quel sigillo dal nome strano, che la donna voleva fermare. Il sigillo di Samael? Chi l’aveva scritto? Pochi minuti fa non c’era!
Era diverso... lo sentivo. Questa volta sì.
E dovevo trovare Cheryl, pria che fosse troppo tardi. Pria che questo inferno prenda totalmente per sempre il mio mondo. Un mondo pieno di vita e felicità... se c’era mia figlia con me.
Ecco perché dovevo portarla via di qui... per me, e per lei!
La terra fu scossa come da un piccolo terremoto; caddi ancora a terra. Mi graffiai le mani, umide di pioggia, sulle grate arrugginite, creando tagli, alcuni davvero profondi.
Gemetti.
Perché?
Il dolore era insopportabile. Avrei preso qualche malattia? Sarei diventato un mostro?
Mi rialzai, con non poca fatica, e cominciai a correre, prima che l’odore del sangue, portato dal forte vento, attirasse quelle bestie.
Intorno a me solo sigilli e sigilli.
Erano disegnati con precisione quasi maniacale. Scritti col sangue.
Sembrava un simbolo solenne e religioso.
Ma in quella circostanza aveva perso il suo significato.
Ero un uomo di fede. Frequentavo la Chiesa con Jodie e Cheryl. Ho sempre pregato che la mia piccola crescesse bella e forte, come sua madre. Ho pregato anche per mia moglie, soprattutto nel periodo peggiore della sua malattia.
Ma lì, tra sangue e ruggine, sapevo che Dio non c’era.
Ero nel Limbo.
Nel Purgatorio... eppure non avevo colpa... se non quella di amare mia figlia...
Ero nell’Inferno.
Ero in un altro-mondo.
E Cheryl forse c’era imprigionata...
Le tenebre avevano reso questa città, il più oscuro dei posti.
Per non parlare dei segreti che nasconde Silent Hill, nelle sue viscere.
Dovevo trovare Cheryl... prima della fine.
 
Correvo cercando di non badare alle ferite, quando uno sciame di quelli che sembravano scarafaggi con la testa da corvo mi fu addosso. Erano tantissimi e si attaccavano dappertutto strappandomi vestiti e ciocche di capelli, avidi e affamati.
Erano, come tutti gli insetti, attirati dalla luce; quindi, i bastò spegnere la torcia e scappare via a gambe levate per salvarmi. Combattere era inutile: erano a centinaia, avrei perso solo munizioni e tempo.
Mi tenni dalla parte del lago Toluca, cercando di scorgere qualcosa... o qualcuno.
Vidi una barca, ancorata ad una piccola passerella di legno, al molo, poco lontana da me. La luce interna era accesa. Mi ci fiondai subito. Per fortuna, la porta era aperta.
Un cadavere era appeso ad una delle pareti. Scuoiato e, sembrava, bruciato.
Raggiunsi immediatamente la cabina di comando, sperando...
Aprii la porta.
- Harry!
- Cybil!
La poliziotta bionda stava esaminando i comandi dell’imbarcazione ma, appena mi vide entrare,  lasciò perdere tutto e si fece vicina.
 
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Mi sorrise, radiosa. Finalmente, dopo l’incontro con Lisa, potevo vedere un sorriso familiare... e non quell’orribile ghigno del dottore.
- Come sei arrivata fino qui? – chiesi sorpreso, cercando di sorridere.
- Semplice: ti ho seguito, quando hai attraversato le fogne. Poi ti ho perso di vista – rispose.
- Bene. Ero in pensiero. Sono felice di vederti ancora intera – ripresi.
- E tu, Harry? Non sembra tu stia benone... – disse facendosi leggermente più vicina.
Osservò le ferite delle infermiere, i graffi sul viso e i tagli sulle mani.
- Sto... bene... ecco, resisto – mentii. In effetti non c’era una parte del mio corpo che sembrasse non andare in fiamme.
- Avevo visto, qui, da qualche parte una... – disse voltandosi e aprendo degli scatoloni per terra – Ah! Ecco: una scatola di pronto soccorso.
Non riuscii a trattenere un sorriso di soddisfazione.
C’erano bottigliette d’acqua, che io e Cybil bevemmo avidamente.
Non sapevo da quanto tempo... o giorni... ero a Silent Hill.
Il tempo sembrava essersi fermato, ma soffrivo lo stesso la fame e la sete.
Mi disinfettai le ferite più gravi e, aiutato da Cybil, mi fasciai i palmi delle mani e una brutta ferita al ginocchio.
- Grazie mille... per l’aiuto, per tutto... – rantolai, finito il medicamento.
- Non preoccuparti, Harry.
Si sedette sulla sedia del comandante, logorata dal tempo e chiese:
- Voglio ancora capire... cosa sta succedendo qui? Cosa sta accadendo a Silent Hill?
Tutte le stranezze che ho incontrato... tutte quelle mostruosità...
E la mia Cheryl... persa in quel mondo...
Guardai Cybil, dritto negli occhi e iniziai a parlare, spronato da una forza... che non sembrava mia:
- Ascoltami bene. Quello che sto per dirti potrebbe sembrarti strano; potrei sembrare matto. Ma devi credermi. Non sono pazzo. E non ti sto prendendo in giro. Te lo dico. All’inizio pensavo di aver perso il lume della ragione, con mostri e roba simile. Ma non è così! E’ la città! Non noi, capisci? La città! Silent Hill!
Cybil inarcò le sopracciglia.
Diglielo Harry. Lei è scettica, non crede. Ma tu sai... io te lo dico...
Una voce... nella testa. Una voce dolce ma decisa.
Fu come se le mie labbra si muovessero da sole... non controllate dalla mia volontà.
Come durante l’incidente...
Almeno penso...
La voce continuò ad uscire e le mie labbra articolarono le parole:
- E’ la città! E’ stata invasa da un altro – mondo. Un  mondo in cui la disperazione, il dolore e gli incubi di qualcuno diventano veri e concreti e cambiano la realtà. E pian piano, l’invasione dell’oscurità non lascerà alcun barlume di luce e speranza; la sirena suonerà per l’ultima volta. Ecco cosa sta succedendo.
- Harry! Sveglia! Ti senti bene!? – disse Cybil forte.
La pressione svanì.
Ma non la convinzione. Io avevo detto la verità.
- Guarda, non capisco nemmeno io – dissi semplicemente.
- Questo posto ti sta dando alla testa, Harry! Devi riposare! Tutto questo è più grande di noi...
- No, no. Non è così – dissi scuotendo il capo.
- Ma allora... perché?
Perché? I perché sono molti...
- Non so... ma so che Cheryl è “là”... – dissi piano.
- “Là”?
- Sì... dietro colui che ha creato questa oscurità. E io devo salvarla. E là. Ha bisogno di me...
Cybil fece uno strano sorriso:
- So quanto ci tieni e...
 
Ma qualcosa la interruppe.
Qualcun altro era entrato nella barca. Non era un mostro.
Dahlia? La pazza?
Entrò e subito mi fu accanto, guardando con gli occhi quasi fuori dalle orbite il soffitto.
- Il demone! Lo senti? Sta spiegando le sue immense ali! – esclamò.
- E lei chi è? – mi chiese Cybil.
- Dahlia Gillespie... – bisbigliai.
La donna incrociò il mio sguardo:
- E’ proprio come avevo detto! Lo vedo perfettamente, adesso.
Cybil sbuffò, evidentemente contrariata da quelle strane frasi enigmatiche.
- Il demone chiede sangue. Il demone chiede un perfetto e puro sacrificio – continuò.
Sacrificio?
 - Fai attenzione – disse indicandomi – perché il demone vuole inghiottire la terra. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma tu non stai adempiendo al tuo incarico, al tuo destino.
- Io? –chiesi.
- Ti avevo avvertito: ferma il sigillo, prima che si completi!
- E come potrei farlo! Fallo tu! – esclamai.
Quella donna mi faceva diventare pazzo.
- No, è scritto. Sei ancora in tempo, comunque: si sta completando uno poco lontano da qui. Sbrigati! Quel marchio ci condurrà nell’abisso! Se si completerà moriremo tutti e il mondo sarà perduto!
Cybil era letteralmente a bocca aperta.
- Anche durante il dì, le tenebre oscureranno il sole. La morte cammina tra noi, invisibile e tentatrice. Non fidatevi, perché ha assunto la forma di un innocente – continuò facendo qualche passo all’indietro.
- Innocente? – chiese Cybil.
- La sua purezza potrebbe attirarvi verso l’oblio. Potreste scambiare il demone con il più bello degli angeli. Non fidatevi dell’esteriorità. Cammina con noi e lascerà bruciare i puri e i martiri nelle più roventi fiamme dell’Inferno.
Le parole di quella donna mi stavano davvero turbando...
Stavo tremando:
- Allora... cosa posso fare? Devo salvare mia figlia.
Dahlia mi guardò negli occhi, sorridente:
- Fermalo. Ferma il demone e la riavrai. Il demone ti tenta. Crede di conoscere tutto, ma mente. E farà di tutto per entrare nella tua anima. Si presenterà bello e innocente ma non farti tentare. Il demone sa come farti impazzire, sai? Il demone ti parla e ti fa credere quello che lui preferisce; assumerà qualsiasi forma per averti con sé.
- Com’è questo demone? – chiese Cybil confusa.
- Ha l’aspetto di un innocente, di un bambino.
- Un bambino? – chiesi.
- Sì, pur di averti al suo cospetto potrebbe presentarsi sottoforma di un bambino. Non fidarti del guscio. La carne è debole e non è importante. Guarda l’anima, l’essenza.
Io e Cybil eravamo davvero spiazzati.
- Devi trovare la tua piccina, vero? – chiese Dahlia.
- Sì! – esclamai.
- Fa presto, Harry Mason. Ferma quel demone prima che tua figli diventi il sacrificio. Prima che sia troppo tardi. Fermalo! Fermalo!
- No! Dove devo andare? – urlai, agitato.
Mia figlia... sacrificio per un...
No...
- Il faro e il luna park. Il suo dominio si sta estendendo in questi posti, adesso. Fa presto. Sei la nostra unica speranza.
Si accarezzò il velo e spostò lo sguardo su Cybil:
- Tu... sai che corri un grosso pericolo? Attenta... la tua presenza non era attesa... – sussurrò a lei.
- Certo! – disse sarcastica la poliziotta – Harry, non capisco più niente. Demoni?! Ma per favore! Non dirmi che ti fai controllare così facilmente!
- Non ho altra scelta, hai sentito!? Il sacrificio... – dissi.
- Harry – bisbigliò – non deve essere in se. E’ pazza. Lasciamola perdere.
- Dai. Fidiamoci! Cos’altro possiamo fare? Dividiamoci: io l faro tu al luna park. Ci vediamo dopo, ok?
Cybil non sembrava molto entusiasta all’idea, ma accettò lo stesso.
- Buona fortuna – disse uscendo dalla barca.
Rimasi io con la strana donna.
- Il destino ti attende – sussurrò – e quello ti servirà?
- Cosa?
- Il Flauros...
Tirai fuori dalla tasca la strana piramide pesante.
- Questa? – chiesi.
- Esatto. Con quello lo fermerai.
Ma...
- Ma Cybil non lo ha! Altrimenti mi avrebbe capito prima. Come... – dissi piano.
Dahlia sorrise.
- Questo mi porterà da Cheryl, vero? Il mio unico obiettivo è salvarla.
- Ferma il demone e la riavrai – disse semplicemente.
Cybil stava rischiando la vita per il mio scopo, andando al parco divertimenti.
Bam!
Dahlia se ne era andata.
Io dovevo raggiungere il faro!
 

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Capitolo 24
*** Tenebre In Cima Al Faro ***


Tenebre In Cima Al Faro
 
Il faro, come previsto, non era molto lontano dal molo.
Ci sarei arrivato in pochi minuti; uscii dalla barca e mi misi subito in marcia, con la torcia spenta e la pistola nella mano: se dovevo incontrare un “demone” dovevo essere preparato! Come lo avrei trovato? Come lo avrei visto? Un uomo grosso e spaventoso, col forcone e le corna sul capo? Non ero pronto a questo.
- Forse mi sta solo ingannando... ancora. E io ci casco come un perfetto cretino! – sussurrai, appena formulati questi pensieri, su una passerella di legno.
Avrei visto Cheryl sul faro? L’avrei vista imprigionata da un campo di forze, o cose del genere?
E Cybil? Lei stava rischiando moltissimo solo per aiutarmi. Aiutare me!
Non volevo essere responsabile della morte di un innocente!
Il faro era davvero alto.
Le pareti esterne erano ricoperte da piante rampicanti. Non veniva curato molto, ma era davvero bello. Funzionava ancora... com’era possibile?
La porta d’entrata era aperta, così mi intrufolai dentro senza tante storie.
Era davvero strettissimo, un ambiente quasi claustrofobico. Il diametro doveva essere di quasi tre metri; ma era davvero altissimo. Il demone dov’era? Probabilmente in cima e, per arrivarci, dovevo salire una traballante e lunga scala a chiocciola, in ferro.
Non soffrivo di vertigini, ma sapevo mi sarebbe girata la testa.
 
Sentivo qualcosa di strano. Mi sentivo strano. Una strana energia sembrava invadere il mio corpo.
Ero a metà della salita, quando sentii un leggero ma incessante fischio nelle mie orecchie.
Un odore strano... un profumo soave ma quasi asfissiante mi raggiunse.
E poi un rumore lugubre e tetro... la sirena.
La sirena anti-bombardamento che mi aveva accolto in città.
Mi stavo avvicinando al demone... e alla mia piccola...
La città non mi avrebbe fermato stavolta... ero vicinissimo.
Già mi immaginavo la felicità di Cheryl.
“Papà! Andiamo via! Ti prego, ho tanta paura!” mi avrebbe detto, dopo esserci riabbracciati. E io l’avrei tranquillizzata, le avrei detto che era stato solo un brutto incubo e che preso si sarebbe svegliata nel suo comodo lettino.
Avrei portato via anche Lisa, naturalmente. Era così dolce e gentile. Non poteva restare a Silent Hill, non se lo meritava nemmeno.
Naturalmente anche Cybil sarebbe tornata a casa, nella città vicina, e avrebbe avvertito i colleghi delle stranezze che aveva incontrato.
Il dottor Kaufmann avrebbe aspettato sicuramente le sue fantomatiche “squadre militare di salvataggio”... l’aveva detto lui: io non dovevo entrare nei suoi affari!
Dahlia... aveva perso sua figlia a Silent Hill, ed era diventata matta per questo; forse era meglio lasciarla in città. Non potevo affermare di capire la sua perdita, ma al suo posto, sarei rimasto nel luogo in cui la bambina era morta, nella sua città natale.
Mi dispiaceva per lei, ma adesso era mia figlia ad aver bisogno di aiuto.
E io l’avrei salvata.
 
La sirena non si era ancora fermata, quando mi trovai agli ultimi tre gradini della salita.
- Ecco. Ci siamo...
Ricaricai la pistola e, preso un lungo e profondo respiro, mi feci coraggio e mi preparai a quella che si prospettava come una sorta di “battaglia finale”.
Io, uomo... contro un essere capace di ridurre un’intera città a un mondo di sangue e mostruosità ?
Wow...
Non era una prospettiva molto allettante.
Aprii la porta.
- Ecco...
Mi ritrovai in cima al faro. La visuale, un tempo, doveva essere mozzafiato; adesso riuscivi a vedere solo buio e oscurità, anche se si scorgeva leggermente la fioca luce della barca. Il forte rumore della sirena si era interrotto, per fortuna.
Lo strano odore indefinito continuava, e diventava sempre più forte.
Io non vedevo nessun demone. Sembrava tutto tranquillo.
Ma forse avevo parlato troppo presto.
Ai miei piedi brillava qualcosa.
Rimasi a bocca aperta.
Il pavimento di pietra del faro presentava un enorme disegno che risplendeva di una strana luce gialla.
- Cos’è questo...?
Non c’erano dubbi: era il Marchio di Samael.
 
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Era gigantesco.
Dahlia mia aveva avvertito. Aveva detto che io non dovevo lasciare si completasse, ma evidentemente era troppo tardi. L’avevo già visto, per la strada verso il faro, scritto col sangue per terra e sulle pareti, ma non ci avevo fatto molto caso.
Questo... invece, brillava!
Ma non ero solo.
Sentivo la voce di qualcun altro.
Un lieve mugolio, che si trasformò in una dolce melodia... l’avevo già sentita?
Mi guardai attorno e la rividi.
La stessa ragazzine, che stava scrivendo col sangue il Marchio nel cortile della scuola elementare, stava seduta sull’orlo del faro, con le gambe penzolanti nel vuoto.
Non mi aveva sentito, probabilmente.
Mossi alcuni passi verso di lei.
I capelli neri erano raccolti in un piccolo codino. Indossava un grembiule scolastico.
- Chi sei tu? – sussurrai.
La spaventai.
Si voltò sussultando con uno strano scatto e mi fissò, spaventata.
Com’erano lucenti i suoi occhi blu... erano spalancati e lucidi... come se avesse appena finito di piangere...
Era lei il “demone”?
La ragazza si era pietrificata.
- Non volevo spaventarti... – sussurrai, cercando tranquillizzarla.
Dio, quanto somigliava alla mia Cheryl. Eppure, era molto più grande di mia figlia. Ed era bellissima.
Non si era ancora calmata.
Si portò una mano all’altezza del cuore e respirò profondamente, tremando come una foglia.
Era semplicemente una sopravvissuta, come me. Ed era indifesa, aveva bisogno di protezione.
Ma che ci faceva sul faro?
Non era un demone.
- Allontanati... – bisbigliò la ragazzina.
Obbedii subito. Sentivo che dovevo farlo.
- Va tutto bene? Io sono Harry, ti porterò via da qui – dissi piano.
- Lo so.
- Cosa?
- Che ti chiami Harry. Vivi a Portland da quando ti sei sposato; tua moglie è morta anni fa e sei solo con tua figlia, adesso – bisbigliò con voce appena udibile.
Come... faceva a sapere tutte quelle cose su di me?!
Questa volta ero io ad essere pietrificato.
Il volto della ragazza si rilassò.
Iniziò a dondolare le gambe velocemente, nel buio.
Cosa... ?
- I genitori devono sempre dire la verità, Harry. Non devono far soffrire i propri bambini – continuò, guardandomi negli occhi.
Era come un incantesimo: il nostri sguardi non riuscivano ad interrompere quel magico contatto visivo.
- C-cosa vuoi d-dire? – sussurrai.
- Perché le hai mentito? Non credo lo meritasse...
Sorrise.
Cheryl...
Lei conosceva Cheryl!
- Io non le ho mai mentito! – risposi.
- Le bugie non portano mai a qualcosa di buono. Portano a qualcosa di più... – disse alzando la voce – Ad altre bugie... perché le hai raccontato bugie?
A cosa si riferiva?
- Sei un demone? – chiesi.
- Maleducato! – sussurrò, sorridendo – Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda!
- Dahlia aveva ragione allora... sei il demone... ma... – sussurrai alla notte.
- Oh, la conosci? Stai con lei, non è vero? Mi dispiace, impazzirai come lei.
- So cosa fai!
- Tu non sai ancora niente di me.
- Ma TU sai tutto di me! Com’è possibile?! IO non ti conosco! – urlai.
Quella discussione stava prendendo una brutta piega.
- Bugie... – si limitò a sussurrare, ancora guardandomi negli occhi.
- Basta! Dimmi dove...
- Sì.
- Cosa?!
La ragazza si alzò e si avvicinò a me. Non era molto alta, era un’adolescente.
- Sono stata io – bisbigliò cauta – Ho disegnato io il simbolo. Ti piace?
Volevo allontanarla da me, ma lei, come se avesse intercettato la mia mossa, si fece da parte ritornando, in pochi secondi, seduta sul ciglio del faro, col rischio di cadere giù e morire.
- Ma chi sei tu... ? – continuai a chiedere, sconvolto.
- Lo sai.
- Invece no! Dimmelo!
- Mi hai chiamato “Maledetta”, appena arrivato in città.
Lei era quella voce?
La voce dell’incidente.
- Tu mi hai portato qui? – dissi.
Non mi ripose.
- D’altronde, che differenza fa? – continuò – Io sono il nessuno, la feccia. Lo sono. Mi reputo ancora tale. Dopo una vita... chiunque ci farebbe l’abitudine.
Stava degenerando? Stava impazzendo?
- Sì, chiamami “demone” o mostro... oramai...
- Perché? Perché... tutto questo... ?
- Il mondo è più strano di quanto tu possa pensare, Harry.
Silenzio.
Riuscivo ad intravedere una certa tristezza nei suo grandi occhi. O era una mia impressione?
- Allora... devi dirmelo... devo trovare mia figlia...
Restò zitta.
- Dimmi dov’è! So che non sei normale! – continuai, avvicinandomi.
La ragazza sembrò sussultare ancora alle mie parole.
- Sei scomparsa proprio davanti a me, per due volte o anche più! – quasi urlai – Devi dirmi dov’è Cheryl, perché so che tu lo sai!
Ricominciò a dondolare con molta più forza.
- Dimmelo subito!
- Bugie e bugie, Harry. Solo bugie... e io... io... e io ti amo tanto Harry.
Cosa diavolo... ? Ti amo?!
Corsi verso di lei: dovevo sapere chi era, cosa voleva da me e cosa sapeva di mia figlia.
Ma lei fu più veloce.
A pochi centimetri da me, si lasciò cadere nel vuoto, giù dal faro.
Urlava.
Era caduta involontariamente o no?
La vidi precipitare ad una velocità altissima verso il basso.
Per miracolo non caddi anche io!
Cosa avevo fatto?
 
Aspetta...
Ma per terra non c’era nessun corpo.
Alzai il capo... ed eccola lì.
Volteggiava nell’aria, davanti a me, alla mia altezza. Sembrava una farfalla, col vestito e i capelli che svolazzavano nella notte.
Sorrideva.
Quel sorriso... così strano...
- Sbrigati, Harry – disse – Non resta molto tempo alla tua amichetta biondina.
Cosa...?
Cybil?
- Ti aspetto al parco divertimenti – sorrise.
Poi, come se fosse capace di camminare sul vuoto, oltre che restare sospesa a quell’altezza, corse via nelle tenebre ridendo.
Una risata malvagia e spietata.
Si voltò per un ultimo secondo verso di me, sempre in corsa, poi si dissolse nell’aria.
 
Si alzò un vento terribile.
Dovevo scendere dal faro.
Cybil!
 

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Capitolo 25
*** Stallo Sul Carosello ***


Stallo Sul Carosello

 
- Caspita... questa puzza è insopportabile!
La ragazza dai capelli biondi era entrata nelle fognature della città; si muoveva piano, con fare sospettoso, pronta a qualsiasi attacco. Reggeva nelle mani la pistola, carica. Era sola, lo sentivo.
- Perché? Perché a me? Io voglio aiutarlo, certo. Ma ora... la situazione sta davvero degenerando; mai viste cose del genere. E mai sentite tante stupidaggini in tutta la mia vita! Perché a me?
La donna voleva essere forte... ma non lo era.
Mi aveva quasi strangolata poche ore fa, e adesso? Andava ad aiutare lui... ma era bello giocare con lei!
Cybil Bennett...
Sua madre fu uccisa a freddo da un criminale, davanti ai suoi occhi, quando aveva solo cinque anni. Suo padre impazzì per questo e lei fu cresciuta dai nonni materni. Voleva diventare poliziotta e ci era riuscita, molto giovane, quasi in onore di sua mamma.
Peccato...
Ma lei non esisteva per me. Era solo la comparsa di uno spettacolo, una innocua e patetica commediante; ma la sua scena stava per finire.
Stava per svoltare un angolo; prima sbirciò e, quando pensò di essere al sicuro, si fece avanti e avanzò ancora di qualche passo... finché...
Arrivai io, dietro di lei. Silenziosa...
Fu un attimo, uno scatto: allungai le braccia che colpirono la sua schiena. Finì a terra, lunga distesa. Emise un piccolo gridolino e poi si voltò; spalancò gli occhi quando realizzò che ero stata io.
Iniziò a tremare.
- Cosa fai? – chiesi sarcastica – Stai lì immobile, adesso? Non mi vieni più addosso? Non cerchi più di ammazzarmi?
Non rispose. Continuava a fissarmi, tremante e impaurita.
- Nessuno. Nessuno. Nessuno me lo porterà via – sussurrai.
Un rivolo di sangue fuoriuscì da un angolo della sua bocca:
- Ma sei matta? Siete tutti pazzi qui! – esclamò alzando molto la voce.
- Tu non eri nei miei piani. E non ti intrometterai... ma puoi rivelarti ancora utile – dissi sorridendole – Io devo... finire quello che ho iniziato tanti anni fa. Devo dire “basta” a questo mondo di pianti e sofferenze. E tu... puoi aiutarmi.
Mi inginocchiai verso di lei e le toccai la testa, accarezzando i morbidi capelli biondi.
Lei sembrò pietrificarsi e, con lo sguardo privo di luce, fisso nel vuoto, accennò un debole sorriso.
- Tu mi sarai utile...
 
 
Chi era quella ragazza?! E come diamine aveva fatto a camminare nel vuoto?
Un demone, ovvio: chi altro avrebbe saputo volare?! Di certo, non una normale ragazzina!
Quando era sparita nel nero della città, aveva lasciato fluttuare nel vuoto una specie di alone biancastro che mi ero messo, prontamente, ad inseguire. Ero sceso dalla cima del faro e mi ero gettato, correndo come un matto, tra i mostri delle strade.
Cybil era in pericolo!
Ma perché? Era una sua tattica... o qualcosa di più?
Non capivo più niente: mi ero addentrato nella città per cercare mia figlia scomparsa, poi ho incontrato altre persone, che mi davano compiti o missioni varie, ho trovato pacchi di droghe e stanze di ospedale sotterranee, e adesso, per giunta, mi ritrovavo a combattere una bambina volante e a salvare una poliziotta che voleva aiutarmi!
E doveva essere una vacanza!
Per non parlare dei mostri!
A volte dimenticavo che era stata proprio Charyl a indicarmi Silent Hill come meta per le nostre vacanza.
E se... no!
Come faceva Cheryl a sapere di questo inferno!?
Era innocente... proprio come Lisa, che si ritrovava spaesata nell’ospedale in cui lavorava un tempo, e come Cybil che stava rischiando la vita solo per darmi gioia e trovare mia figlia.
Dahlia e Kaufmann... meglio non parlare di loro!
Mi facevano davvero...
 
Ero tornato al molo ed ero rientrato nella barca in cui avevo visto Cybil e Dahlia per l’ultima volta.
Era vuota.
Come sospettavo.
Corsi subito fuori l’imbarcazione e mi addentrai ancora nelle strade, alla ricerca di un segno. Ed arrivò: vidi una botola delle fognature aperta con un pesante gancio accanto. Cybil doveva essere passata per le fogne, nell’intento di raggiungere il luna-park. Seguii il suo stesso percorso, lasciandomi cadere nella profonda apertura.
Toccai terra troppo presto di quanto mi aspettassi e caddi per terra, scivolando nella schifosa fanghiglia che ricopriva il pavimento.
Fui colpito subito dal pungente odore del sangue... o era ruggine?
Corsi accendendo la torcia, e facendomi largo tra le pozzanghere.
Rincontrai i cari bambini-demoni che ospitavano la Midwich. Fu una spiacevole ma strana sorpresa sentire ancora le loro acute risatine e i loro artigli graffiare la pietra.
Bambini...
Ero nei pressi della scuola? Il luna-park era dall’altra parte della città!
Aspetta... !
Bambini... luna-park...
I bambini adorano le giostre e vanno matti per lo zucchero filato! E se qui, nelle fogne i piccoli demoni continuavano ad arrivare sempre più numerosi... allora ero vicino all’uscita!
Mettevo KO i mostri lanciando loro tutti gli oggetti che mi capitavano a tiro. Non utilizzai affatto la pistola.
 
Oh, Cheryl avrebbe adorato il Parco Divertimenti del Lago di Silent Hill.
Sarebbe stato tutto diverso con te al mio fianco, Cheryl.
Mio piccolo raggio di sole... persa in una città che sembrava inghiottire tutto quello che c’era.
 
EXIT
Una scritta... un barlume di speranza.
Il nauseate odore delle fogne era stato davvero insopportabile; non vedevo l’ora di uscire da quello squallido posto.
Di Cybil nessuna traccia. Forse mi stava aspettando direttamente là.
- Spero solo di essere arrivato in tempo – sussurrai mentre mi scrollavo dall’orlo dei jeans della strana poltiglia rossastra – Ti prego, fa’ che sia così...
Mi arrampicai su per la pericolante scaletta e... ritornai in superficie.
Eccolo... davanti a me la grossa inscrizione:
 
LAKESIDE AMUSEMENT PARK OF SILENT HILL
Have fun!
 
Rassicurante!
Entrai guardandomi sempre bene attorno, per scorgere Cybil.
Il parco divertimenti era stato cambiato, come il resto della città, dall’ OtherWorld. L’avevo chiamato così: quell’oscurità incombente e divoratrice di vita. Il mondo... l’altro mondo...
Ciononostante alcune giostre e attrazioni continuavano a funzionare perfettamente.
Mi colpì subito la gigantesca ruota panoramica.
Wow, era davvero enorme!
Sarebbe stato bellissimo farci un giro sopra.
- Quando la città doveva essere normale, chissà che emozionante spettacolo si poteva ammirare in cima alla giostra! – dissi, esterrefatto.
I distributori di popcorn e di zucchero filato erano chiusi; era un spettacolo davvero malinconico. Una volta questo posto pullulava di bambini.
Mi sembrava quasi di sentire le loro risate di gioia. Era più di una semplice impressione!
Sentivo davvero tante risate di bambini nella mia testa... o forse era solo suggestione?
 
Sorpassai la Casa Stregata e le Montagne Russe, la giostra della “Festa del Thè di Alice”, la “Casa delle Favole” e l’ “Indovina”; arrivato davanti al “Girotondo dei Cavalli” mi fermai e osservai l’attrazione.
 
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Era come se qualcosa mi... spronava... ad andare a controllare là!
Era una strana forza...
Io dovevo entrarci.
E lo feci. Mi sentivo quasi realizzato quando sorpassai i cancelli chiusi e mi appoggiai ad uno dei cavalli della giostra, ferma.
Era la classica giostra per bambini. I cavalli erano strani, però: tutti bianchi con redini e sella azzurri, borchiati d’oro, le criniere al vento, e lo sguardo... assatanato? La loro lingua era scoperta, e sembrava fatta da carne vera!
In più emanavano un odore sgradevole... di marcio e di putrido.
E adesso?
 
Bam!
Sussultai.
La giostra era in funzione. Girava acquistando sempre più velocità. I cavalli oscillavano e facevano su e giù senza sosta. Doveva fermarsi... prima o poi, no?
Poi mi resi conto di non essere solo sulla giostra.
Era lì! Eccola!
- Cybil! – esclamai.
La donna era seduta su quella che sembrava una sedia a rotelle. Aveva il capo chinato, come se stesse dormendo... o peggio! No, respirava, grazie al cielo!
Corsi subito verso di lei, tra i cavalli ondeggianti.
Si mosse.
 
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Io mi arrestai.
Si mise, molto lentamente in piedi, e aprì gli occhi.
Erano rossi!
 
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- Cosa... ? No! NO! – urlai.
Era troppo tardi!
Sembrava una zombie.
Si avvicinava sempre di più, lentissima, barcollando.
- Cybil! CYBIL! – chiamai.
Niente, nessuna sua rezione.
- Cybil! Cybil, sono io! Sono io, Harry! Cosa... ?
La donna non sbatteva le palpebre. Faceva davvero paura.
Alzò la mano... alzò la sua pistola... verso di me!
 
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Indietreggiai velocemente e mi nascosi dietro un cavallo, giusto in tempo per sentire lo sparo.
BUM!
Il proiettile colpì il ferro e rimbalzò via.
Sentii i suoi passi sul metallo. Si stava avvicinando.
- Ehi! – urlai tirando fuori la pistola, sempre nascosto – Ferma! CYBIL! Che ti succede?!
BUM!
La sbirciai. Sembrava muoversi a rallentatore. La chiamai ancora ed ancora, ma lei sembrava stregata. Uscii da mio nascondiglio per trovare una posizione più sicura, ma appena mi mossi...
BUM!
- Ahhhhhh!
Mi aveva colpito! Il proiettile era nella mia spalla destra. Il dolore era insopportabile.
- Cybil! Svegliati! – urlai, chinato a terra.
Non volevo spararle! Non dovevo porre resistenza. Sembrava impossessata; era davvero troppo tardi. Non era più Cybil. Quel corpo e quella mente appartenevano a qualcun altro... qualcuno che la costringeva a comportarsi così, perché sapevo che la vera Cybil non mi avrebbe mai fatto del male.
Quella bambina... era stata lei?!
- SVEGLIATI, DANNAZIONE! – urlai con tutte le mie forze – VINCILA!
Qualcosa, nella mia tasca, stava tremando furiosamente; non avevo il tempo per controllare.
Cybil esibì uno strano ghigno soddisfatto.
Non riuscivo a muovermi. Sembravo inchiodato al suolo.
- Cybil! Torna in TE!
La donna alzò ancora la pistola, mirando dritta contro la mia testa, pronta ad uccidermi.
- CYBIL! NO! TORNA IN TE!
Mi stava venendo da piangere! No! Non poteva finire così.
Cheryl...
Cybil...
Il suo dito... sul grilletto.
Forse i suoi occhi rossi sarebbero stati l’ultima cosa che avrei visto.
No! Non poteva finire...
Cybil...
 
Afferrai saldamente la mia pistola.
 
La puntai alla sua gola.
- Dio, no! Non voglio farlo...
Io...
 
Perché?
 
No...
 
- Perdonami...
 
 
 
 
 
BUM!
 
 
 
 
Ero vivo.
Ma ero all’Inferno.
Cybil giaceva a terra, coperta di sangue che sprizzava copioso dalla ferita.
 
La donna iniziò a mugolare e a lamentarsi.
I suoi rantolii diventarono gemiti pietosi.
Poi, con uno scatto spaventoso, urlò. Le sue mani afferrarono la faccia. Si spostarono sugli occhi e...
- NO!
- Ahhhhhhhhhhhhhhh!
Si strappò via gli occhi dalle orbite, lanciandoli in aria e tingendosi il volto di rosso.
- NO!

 
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Non si muoveva più.
Era morta.
Ed era colpa mia.
 
- Cosa ho fatto...
 
Strisciai verso il suo corpo.
- No... perché? Cosa...? Perché... è successo?
Piansi.
L’avevo condannata io a morte. Era morta per Cheryl... per me...
La tasca aveva smesso di vibrare.
 
La schiena di Cybil era coperta da uno strano liquido, ma non ci feci caso più di tanto.
 
Restai lì, a piangere... chissà per quanto tempo.
 
Poi tutto divenne buio.
 
La giostra si fermò.
 
Forse non per sempre.
 
 
 
 
 
NOTE D'AUTRICE
Questo è un capitolo abbastanza, se non decisamente forte. Abbiamo detto addio ad un'amica, ad una sopravvissuta che appoggiava il nostro protagonista e la sua ricerca. Adesso, però, entriamo davvero nel cuore del racconto. E' arrivato il momento delle risposte e il prossimo capitolo sarà davvero di fondamentale importanza per i risvolti della trama.
Anyway, ringrazio chi legge, segue e/o recensisce la storia ( rogflam  e  syriana94 :)) 

Alla prossima! 
Ciau ciau! :)

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Capitolo 26
*** Il Flauros ***


Il Flauros
 
- Papà! Papà, vieni qui. Presto!
Aprii gli occhi.
Non ero a Silent Hill: ero nel giardino di casa mia, pieno di fiori e piante, illuminato dal sole.
- Papà, cosa stai aspettando? Vieni qui!
Una voce angelica. Cheryl, davanti a me.
La mia bambina...
- Aiutami ad innaffiare i fiorellini, papà! – urlò sorridente, con un bicchiere in mano.
- Sì, arrivo! – risposi.
Corsi da lei, che mi guardava raggiante.
- Ero in pensiero, piccola mia. Dov’eri finta? – dissi mantenendomi calmo.
- Papà? Ma se sono sempre stata qui! – replicò – Ora aiutami.
- D’accordo...
Rovesciò il contenuto del bicchiere su una pianta; ma invece dell’acqua, dal recipiente usciva solo sangue che tinse di rosso le foglie.
Cheryl sembrava non essersi accorta di niente.
Si voltò verso di me e disse:
- Papà! Ti vedo agitato. Stai bene?
Ricambiai il suo sguardo... ma Cheryl era sparita; al suo posto c’era un’altra bambina, molto simile a lei, con lo sguardo malinconico. Portava i capelli molto corti e aveva gli occhi chiari.
Fui preso alla sprovvista! Dov’era mia figlia?
Il mondo attorno a noi stava mutando: il sole si spense e il cielo iniziò a tingersi di nero. Il pavimento brulicò di insetti e scarafaggi e ogni forma di vita attorno a noi sparì.
No! Non qui...
Cheryl...
 
 
Cybil...
Il suo corpo... il suo viso macchiato di scarlatto sangue fresco.
- Perdonami...
C’ero... ma non c’ero.
Un altro Harry Mason, identico a me, era chino sul cadavere della poliziotta e le parlava dolcemente:
- Devi perdonarmi... non so cosa mi è preso. Ma tu volevi uccidermi! Perché? Questo posto mi sta davvero dando alla testa?!
Avrei voluto avvicinarmi ma un suono lungo e penetrante mi costrinse a stare là, fermo, colto di sprovvista: la sirena anti-bombardamento.
Portai le mani alle tempie, doloranti per il fracasso. Richiusi gli occhi.
 
 
- Forse... sto davvero diventando pazzo.
 
Aprii ancora gli occhi.
Mi ero addormentato? Ero svenuto?
Ero seduto su qualcosa che si muoveva... lo sentivo.
Pensai subito ad un mostro ma mi resi conto di essere sopra un cavallo del carosello.
Su... e giù... ancora su... e poi giù...
Ero appoggiato alla criniera di legno, stranamente bollente; era davvero scomodo. Anche se la giostra si era fermata, i cavalli continuavano a muoversi. Come ci ero finito là sopra?!
Scesi, quasi cadendo sopra una sedia a rotelle abbandonata.
Sedia a rotelle... ?
Cybil!
Ora ricordavo tutto! Il corpo della ragazza era qui, dietro qualche cavallo, ma sapevo che solo la vista del cadavere mi avrebbe fatto uno strano e raccapricciante effetto; perciò decisi di scendere dalla giostra ostinandomi a non voltarmi indietro per scorgere anche qualche goccia di sangue.
Mi girava la testa e barcollavo.
Feci per aprire il cancello ed uscire ma...
- Oddio! Ah!
Una fitta dolorosissima alla mia spalla destra.
Cybil mi aveva sparato in quel punto e la pallottola era rimasta nella carne. La ferita sanguinava davvero tanto; avrebbe fatto sicuramente infezione e per di più non riuscivo nemmeno ad alzare il braccio.
- E adesso? – chiesi con le lacrime agli occhi per il dolore.
Lisa era infermiera, mi avrebbe tolto la pallottola... se solo l’avessi raggiunta, ma era dall’altra parte della città.
Mi fermai davanti alla ruota panoramica, immobile, e cercai di fermare il sangue, in qualche modo.
 
- Lascia che sia il tempo a far guarire la ferita...
Non c’erano dubbi: lei era lì.
Eccola: in piedi, lo sguardo fisso su di me, calma.
 
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Maledetta...
Si alzò un leggero venticello.
- Sei stata tu? Perché lo stai facendo? – chiesi, con tono piatto, una volta incrociati i suoi grandi occhi celesti.
La ragazza incominciò a camminare in cerchio, senza prestare attenzione alle mie parole.
Cosa... ?
- Vuoi rispondermi?! Una innocente è morta!
Si arrestò:
- L’hai uccisa tu – ribadì – Cosa ho fatto io?
- Sei un demone, vero? Sei tu che hai ridotto la città in questo stato! – urlai – Hai preso la mia bambina!
Non ne ero convinto, ma mi sembrava di intravedere qualcosa di scintillante scivolare sulla sua guancia.
- Piangi? – sussurrai.
- No, non sto piangendo – disse prima di singhiozzare rumorosamente, segno che presto non avrebbe più trattenuto le lacrime – Sono un demone, ricordi?
Si sedette sulle ormai familiari grate a pavimento e affondò la faccia nelle mani.
Cosa stava succedendo?
- Sto PIANGENDO! – urlò la ragazzina.
Mi aveva letto nel pensiero?
- Sì – disse lei piano.
Oh caspita!
- Dai, avanti! Prendimi in giro, umiliami, come facevano gli altri – continuò.
Perché? Chi era quella ragazzina?
Era la voce che mi aveva parlato nel vicolo, la voce dell’incidente che mi spronava ad accelerare?
Un momento...
Quella fisionomia... l’avevo già... no...
- Sì, Harry – disse con voce sorprendentemente pulita, senza il pianto che rompesse il suo discorso.
- Cosa? – chiesi confuso.
Riusciva a capire anche i pensieri che non avevo completamente formulato nella mia testa?
- Sono stata io a causarti l’incidente, appena arrivato a Silent Hill – disse sorridendo e mettendosi in piedi.
Fu come una doccia fredda.
- Il tuo destino, il tuo arrivo... tutto programmato – continuò.
Afferrai la pistola e la puntai in direzione del suo cuore:
- Tu... allora... hai Cheryl? – chiesi tremante.
Scosse il capo:
- Silent Hill ha quella bambina – rispose calma.
- Stupidaggini! – esclamai.
Sorrise ancora. Quella ragazzina mi nascondeva qualcosa.
Prese qualche ciocca di capelli ed iniziò ad esaminarli, annoiata.
- Sei il demone della città... – sussurrai, un po’ incerto di cosa stessi realmente dicendo – Ma non lo sembri...
- Sei proprio come tutti gli altri... – disse rassegnata lei.
- Gli altri? Chi?
Aprì le braccia e iniziò a girare su sé stessa:
- Gli abitanti di Silent Hill, ovvio.
- Quindi sei una sopravvissuta... o no? Chi sei?
Chiuse gli occhi e prese un lungo respiro:
- Io? Oh, io ho molti nomi – disse piano, guardandomi dritta negli occhi.
Rimasi a bocca aperta.
- Io sono la Ragazza, io sono il Demone, io sono il Mostro, io sono la Strega, io sono Silent Hill... visto, mi hanno dato tanti nomi... gente cattiva...  – continuò calmissima, con la voce velata di qualcosa di strano...
- Sei... ? – iniziai.
- Quasi non ricordo più il nome con cui venni alla luce... – ammise abbastanza sconsolata.
- Chi sei? – chiesi piano, avvicinandomi a lei di qualche passo.
Silenzio.
Ci guardammo negli occhi, per quella che sembrò un’eternità.
- Sono la paura del buio che ti tiene sveglio la notte, l’incubo che sembra non finire mai... – mormorò.
- No... il mio incubo senza fine... è ora! E la paura di non poter mai più rivedere Cheryl... – la interruppi.
- Credimi, so come ci si sente quando si perde un figlio, quando si perde una parte di te... – aggiunse, comprensiva, quasi come se capisse davvero la mia angoscia.
- No! Bugiarda! – esclamai.
Ero nervoso. Stavo parlando con un demone, diamine!!
- Sai volare, sai leggere nel pensiero! Non sei umana! – urlai.
- Neanche tu lo sei: hai ucciso un’innocente.
- Tu le avevi fatto già qualcosa!
- Cosa significa? Potevi lasciarla in vita!
Sapevo...
- Tu! Tu sul faro! Stavi disegnando quello strano simbolo!
- E’ un Sigillo! – mi corresse.
- Non mi importa!
- Dovrebbe... – aggiunse.
Quella ragazza... non era una ragazza! Era il mostro peggiore di tutti.
- Non credere a tutto quello che ti è stato raccontato – disse la ragazza.
- Quel Sigillo... è per un sacrificio vero?
Annuii.
- E mia figlia è la vittima! Lo so!
Gli occhi della ragazzina si spalancarono, grandi come enormi bolle di sapone:
- Dahlia! Come fai a credere a quello che ti ha raccontato?! – gridò.
- Conosci Dahlia? – chiesi.
Il volto della ragazza sembrò rabbuiarsi:
- Sì... molto bene – disse semplicemente.
Non riuscivo a capire niente! Come facevano a conoscersi?
Il vento aumentò; gli orli del suo grembiule scolastico svolazzavano velocemente.
- Come fai a conoscerla? – dissi sospettoso.
La ragazzina mosse le labbra ma non uscì alcun suono dalla sua bocca.
- Chi sei? – chiesi ad alta voce.
Lei aveva lo sguardo scioccato.
- Chi sei? – dissi ancora, più forte.
- Mi dispiace – sussurrò.
- Cosa... ?
Alzò il braccio destro, il palmo della mano rivolto verso di me:
- Sei sotto il suo controllo – continuò – Devo farlo.
- Ascoltami bene! Non saprò chi sei, né cosa vuoi ma ti chiedo solo una cosa: lascia andare Cheryl. Ha bisogno di me, sono suo padre. Ce ne andremo via da qui, in qualche maniera. Ma lasciala andare. Tu sai dov’è. E’ tutto ciò che ti chiedo, per piacere – dissi piano, cercando di non guardarla negli occhi.
Sentii una specie di forza, premere sul mio petto e spingermi indietro.
- Cosa... ? Cosa mi stai facendo?! – urlai.
Allungai le braccia... ma ero intrappolato, in una specie di campo di forze. Era stata quella ragazzina. Fui sbattuto all’indietro di quasi 30 metri, da quella mano invisibile e caddi a terra supino.
- Dannazione!
Era un poteri incredibile! Il potere di un demone! Una persona comune come me non aveva speranze contro di lei.
- Mi dispiace...
La ragazza era di spalle. Se ne stava andando, stava sparendo nell’oscurità.
- No! Ti prego!
- Mi dispiace...
Sentii ancora quella strana vibrazione nella tasca della giacca.
Esaminai e tirai fuori l’ampolla rossa. Era normale.
- Ma cosa... ?
 
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Il Flauros? Brillava!
Una luce bianchissima e accecante...
Dahlia aveva detto che questo oggetto sarebbe servito per combattere il demone; e una volta sconfitto, avrei riavuto indietro mia figlia!
- Sì – dissi quasi fuori di testa per l’emozione – Adesso sei spacciata!
La ragazzina si voltò e un’espressione di paura si dipinse sul suo volto:
- Cosa hai fatto?! – urlò fuori di se – Vuoi ucciderci tutti!?
Il Flauros, dalla mia mano, iniziò a fluttuare... e si aprì, si scompose in tante piccole piramidi.
Il pezzo più grande, dopo aver emesso uno strano rumore, emise un raggio di luce bianco che, inesorabile si diresse verso la ragazza, spiazzata dal terrore.
Avevo vinto.
- Ahhhhhh!
Fu un urlo agghiacciante, che mi fece davvero raggelare il sangue nelle vene. Mi sentivo un po’ in colpa ma...
Il raggio di luce la colpì; si parò la faccia con le braccia ma non servì a nulla.
Cadde a terra.
Oddio, sembrava morta.
No, mosse un braccio verso di me, come in una supplica. Poi crollò, la faccia a terra.
- Cos’hai fatto... – sussurrò debolmente.
 
 
 
 

 
 
 
 

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Capitolo 27
*** La Famiglia Riunita ***


La Famiglia Riunita
 

 
Ce l’avevo fatta? L’avevo sconfitta? Avrei riavuto, ora, la mia Cheryl?
La ragazzina era là che gemeva, sussurrando parole incomprensibili e scuotendo delicatamente la testa.
 
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Mi faceva un po’ pena, era come se fosse legata al suolo da corde invisibili, perché non si muoveva affatto; ma io dovevo riavere mia figlia! Non potevo preoccuparmi di ogni singolo essere umano presente a Silent Hill; il mio unico obiettivo era trovarla e scappare. E quella ragazzina sapeva dov’era.
Mi avvicinai al suo corpo inerme, un corpo d’adolescente.
Sentivo che dovevo, in un certo senso, aiutarla... ma io non volevo! Lei era la causa delle mie sofferenze; non aveva la minima idea di cosa mi aveva fatto passare!
Eppure continuai ad andarle vicina.
- Fermati! – urlò con voce sorprendentemente forte; vidi i suoi occhi sfrecciare su di me – Hai fatto abbastanza.
- Cosa vuoi dire? – le chiesi.
- Ci hai condannati tutti! Tutti! – riprese ancora più forte.
Era stata scaraventata a terra con una forza davvero impressionante, ma non presentava alcuna ferita, livido o graffio. Era davvero impressionante e impossibile.
- Ho cercato di tenerti lontano... da questa realtà... ma tu non mi hai ascoltata... e adesso? – gemette, abbassando lo sguardo.
- Ascoltami! – dissi deciso, facendo qualche altro passo in avanti, fino a quando il mio piede calciò un oggetto pesante posato sul pavimento: il Flauros.
- Sta’ indietro! – gridò.
Mi bloccai, contro la mia volontà.
Poi la vidi piangere... ancora.
- Sta arrivando, adesso che lo hai svegliato – sussurrò. Sembrò che la sua voce, seppure debole e fioca, risuonasse limpida e chiara nel mio cervello.
- Chi? Chi sta arrivando?!
Continuò a piangere. Forse dovevo allontanarmi; forse dovevo andare via da quel posto, dovevo lasciarla sola. Raccolsi il magico oggetto ai miei piedi e lei subito disse:
- Cosa fai ora?! Te lo riprendi?! Ma... adesso cosa importa? L’hai aperto...
- Perché? – dissi – L’ho aperto... ma all’interno cosa c’era? Quella donna aveva detto che serviva ad imprigionare il demone! Era una specie di prigione!
Singhiozzò.
Ero stato ingannato?
- E’ tardi ormai... – disse prima di battere violentemente la testa sulla grata/pavimento.
- Io non capisco.
- Hai firmato la tua condanna a morte. E non solo, Harry Mason.
- Ascoltami bene: non voglio ucciderti, né ferirti di più. Mi rendo conto che... questo posto ha qualcosa che non va. Anche io credo di stare impazzendo, ma... non tutto è perduto. Se riavrò mia figlia... prometto che ti porterò via da questa città.
Dovevo aver centrato il punto: la ragazzina alzò la testa e mi fisso con occhi che esprimevano solo sorpresa e incredulità.
- D-davvero? M-mi p-porterai via... ? – chiese accennando un sorriso.
L’assecondai, anche se non l’avrei mai salvata se si fosse rivelata essere un demone!
Annuii.
In fondo voleva solo andarsene...
Poi il suo sguardo si rabbuiò di nuovo:
- Voi adulti non mantenete mai le vostre promesse – sussurrò.
Ma ad un tratto, il suo corpo fu attraversato da un agghiacciante brivido, come se avesse ricevuto una scarica elettrica davvero elevata.
- Ci hai condannanti tutti... – ripeté piano.
 
Chi era quella ragazza?
 
Sentii un inconfondibile rumore di passi, non molto distanti da noi. Anche lei doveva averli sentiti perché trattenne il fiato e cominciò a tremare. Aveva paura? E di cosa?!
 
Chi stava arrivando?
 
Poi una voce.
E un’ombra.
- Eccoti...
Ma chi... ?
La ragazza iniziò a sussurrare qualcosa e abbassò il capo.
La donna...
 
- Dahlia Gillespie?! – urlai per la sorpresa di vedere quella donna avanzare dal buio del luna-park.
Dahlia non guardava me: tutta la sua attenzione era concentrata su quella ragazzina. Si avvicinava a lei a passo sicuro e deciso. Sembrava arrabbiata ma... aspetta! Si conoscevano?!
 
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La ragazzina si immobilizzò al suono della sua voce. Anche io ero fermo, attendevo che succedesse qualcosa.
 
La donna parlò:
 
- Alla fine ci incontriamo, Alessa.
 
Alessa?!
Dove avevo sentito questo nome? Ah, nel sotterraneo dell’ospedale Alchemilla.
Quella bambina dallo sguardo triste nella foto... no, non poteva essere lei.
Ecco spiegata la loro strana somiglianza!
Ma... Alessa era ricoverata là. E ora che ci faceva qui? Perché non si è trasformata anche lei?
 
No.
Ma Alessa era morta? O stava male? Avevo letto il suo diario!
 
- Non capisco... – mi ritrovai a sussurrare – Cosa sta succedendo?
 
 
Alessa, o quello che era, al suono del suo nome, sollevò il busto e disse con un filo di voce:
- Mamma...
 
No.
Non era possibile!
La figlia di Dahlia era morta in un incendio, come mi aveva detto Lisa.
 
- Sto impazzendo... è davvero lei?
 
Era davvero un demone?
Dahlia considerava sua figlia un demone?!
In quel momento la ragazzina sembrava indifesa e debole, tremava come una foglia tormentata dal vento.
 
Non riuscivo più a muovere un singolo muscolo.
Cheryl...
Cosa centrava la mia piccola Cheryl in questa faccenda?
Dovevo trovarla!
 
Dahlia rivolse ad Alessa uno strano sorriso:
- Alessa. E’ ora di smetterla. Questo tuo gioco deve finire.
Alessa stava là, a guardarla, muovendo le labbra ma non emettendo suono.
Cercai di farmi notare ma sembravano, entrambe, incantate.
 
- Sei stata proprio una dispettosa piccola peste, Alessa – disse con voce dura, in cui traspariva una note di scherno – Vero?
Forse si aspettava una risposta alla sua ramanzina, ma sua figlia restò a fissarla, zitta.
- Rispondimi! – urlò la donna.
Alessa rimase ferma e, per tutta risposta, la madre le assestò un calcio sul petto. La piccola fu leggermente sbalzata a sinistra, senza urla o gemiti di dolore.
Sembra insensibile a tutto... tranne che al Flauros che avevo prontamente rimesso in tasca all’arrivo di Dahlia.
- Ero davvero in pensiero – continuò – Davvero pensavi di poter scappare dal nostro incantesimo? Pensavi di scappare via da tua madre, dalla tua città?
Lisa non poteva avermi mentito! Era impossibile.
Ma allora, come faceva una ragazza morta sette anni fa a stare davanti ai miei occhi?!
 
E poi... incantesimi?! Ma di cosa diavolo stavano parlando?!
 
Dahlia si chinò e afferrò, con fare materno, la guancia della ragazzina:
- Mamma non sapeva che sei cresciuta così tanto... non sapevo che eri diventata così bella. Non avevo la minima idea di come tu fossi, fino ad ora. E non sapevo neanche di quanto fossi, al tempo stesso... piccola e ingenua.
Gli occhi di Alessa saettarono, per meno di un secondo, su di me.
- Ecco perché non potevo catturarti da sola.
 
Finalmente Dahlia mi vide, sorrise e disse:
- Ma che coincidenza, vero Alessa? Ora sei, solo per metà, in debito con questo uomo! Ci ha davvero aiutate.
Cosa?!
- Ehi! – urlai – Di che stai parlando?!
- Non lo capisci? – rispose la donna – Oltre le aspettative iniziali... mi hai riportato Alessa completamente!
Non capivo...
Lei mi aveva detto di usare il Flauros e l’ho fatto!
 
 Ci hai condannati tutti  aveva detto Alessa.
 
Aveva ragione... ero stato...
 
- Tua figlia non è più a portata di mano... ma che peccato! – esclamò prima di rivolgersi ancora ad Alessa.
 
Cheryl... ?
Cosa ho fatto...
 
- Ora, Alessa. Sai bene cosa voglio da te... – disse afferrandola per i polsi.
- No! – gridò la ragazza – Lasciami! Stammi lontana!
Bam!
Ricevette uno schiaffo in piena faccia.
- Ragazzaccia! – urlò Dahlia.
Alessa cominciò a lamentarsi e riprese a piangere.
 
Piangeva molto per essere una ragazza adolescente.
Doveva essere molto fragile... ed emotiva. Ma anche cocciuta.
 
La loro “stretta” iniziò a sprigionare luce, come se si stessero fondendo.
- Tutto è pronto – riprese Dahlia mentre la luce si faceva sempre più intensa – Andiamo a casa...
 
Un grido.
Alessa...
 
Poi svanirono.
 
- No! Mia figlia... devo sapere...
 
Mi sentii debole.
 
Stavo morendo... ancora?
 
Sì può sentirsi morire più volte?
 
Cheryl...
 
Non voglio perderti...
 
E Alessa...
 
 
Buio.
 
 

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Capitolo 28
*** Persi Nei Sogni ***


Persi Nei Sogni
 
Dahlia... aveva preso Alessa, figlia che doveva essere morta anni fa! Alessa sapeva dov’era la mia Cheryl. E Dahlia... aveva chiesto una cosa alla figlia... che lei subito aveva rifiutato di fare.
Ma cosa?
Non capivo: Alessa era o no il demone? Mi era sembrata così indifesa e spaventata di fronte alla madre. Perché? Perché tutto questo? E io cosa potevo fare?
Cheryl...
All’inizio pensavo ti stessi nascondendo... ora so che qualcuno o qualcosa ti nasconde.
Sì, Silent Hill ti tiene lontana da me.
Piccola mia...
E Alessa...
 
Tutto era nero.
Ero svenuto? Stavo sognando?
Oh, quanto sarebbe stato meraviglioso se tutto questo si fosse rivelato essere solo un incubo!
 
- Harry?
- Lisa!
Aprii gli occhi, invitato da quella dolce voce, così familiare, così gentile; eccola, Lisa, seduta su una sedia, accanto a me. Io sono sdraiato su una barella.
Era all’ospedale?
- Lisa... sei tu?
- Ancora incubi, Harry? – chiese preoccupata.
- No, Lisa! Non era un incubo, era la realtà – dissi mettendomi a sedere e cercando di incontrare il suo sguardo. La barella era sporca di sangue... del mio sangue. La spalla sanguinava ancora parecchio e avevo numerosi tagli anche sulle gambe; per non parlare delle mani, sfracellate e doloranti.
- Cosa è successo? – chiese lei.
- Dov’è Dahlia? E Alessa?
- Ascoltami Harry.
Assunse un tono quasi solenne. Dovetti interrompere le mie domande e ascoltarla: sembrava decisa a dirmi qualcosa e, dalla voce tremante, poteva essere solo qualcosa di agghiacciante o spaventoso.
- Qualcosa che mi hai detto prima mi ha davvero... scioccata – continuò Lisa – E non riesco a non pensarci!
- Cosa?
- Quindi sono andata nel sotterraneo dell’ospedale, anche se ero spaventata a morte. Come avevi detto tu, c’erano strane stanze e magazzini... ma niente di strano.
Niente di strano? Mi stava prendendo in giro?!
- Ma... – iniziai.
- Mentre ero lì, però, sentivo degli strani brividi... strane sensazioni. Come se... laggiù... io ci fossi già stata. Ma era proibito, Harry. A noi non è permesso scendere!
- Stai calma – la rassicurai.
Lisa si portò le mani alla testa:
- E’ successo qualcosa lì... ma cosa? Non riesco a ricordare. E come faccio a saperlo? Cosa è successo lì? Harry... aiutami... non ce la faccio. Ho paura.
Era davvero spaventata, terrorizzata da qualcosa... ma era semplicemente quello che provavo io. Lei non era abituata forse. Probabilmente non dovevo raccontarle della strana stanza di...
- Oddio... – sussurrai.
La stanza e il diario... di...
- HARRY! – urlò Lisa facendomi spaventare. Dovevo tranquillizzarla, altrimenti avrebbe combinato qualche sciocchezza e l’ultima cosa che volevo avere era un’altra morte sulla coscienza.
- E’... solo una cosa momentanea. Sei in shock per quello che hai visto e sentito laggiù. Non ti crucciare, col tempo ricorderai – dissi piano, allungando una mano per afferrare la sua.
Strano: una mano tremante che cerca un’altra ancora più scossa.
Lisa, però, appena vide la mia mano alzarsi, si alzò di scatto, rovesciando la sedia e guardandomi torva:
- NO! – gridò – TU NON CAPISCI! NESSUNO MI CAPISCE!
Corse verso la porta ed uscì dalla stanza, lasciandomi solo.
- Ah! – gemetti.
No, ancora l’opprimente mal di testa.
Alessa... Lisa... Cheryl...
Qualcosa le poteva accumunare?
Non ce la facevo... dovevo cedere al dolore...
Chiusi gli occhi.
 
 
Un brusio intorno a me... tante voci. Sconosciute.
- Pazza! Strega! Muori! Vattene!
Cosa sta succedendo?
Schiudo le palpebre e mi guardo intorno: sono in una scuola. Una scuola NORMALE.
Pareti bianche e pavimento lucido; tenui raggi solari filtrano da una finestra alla mia sinistra. Cosa ci faccio qui? Come ci sono arrivato?
Davanti a me c’è un gruppo di bambine; indossano grembiuli blu e un nastrino rosso è attorno ai loro colletti bianchi.
Stanno giocando in corridoio?
Mi avvicino un po’ di più.
Formano un cerchio... tranne una, che rimane al centro.
Sembra la più mingherlina e piccola di tutte. E’ di spalle, non riesco a vederla.
Porta i capelli corti, sembra quasi un maschietto. Sembra stonare insieme alle altre.
Ehi, ma... sta piangendo?
Le altre la spintonano. Perché... ?
- Strega! – urla una bambina dai capelli lunghi e bruni afferrandole l’orlo della gonna e strattonando la poveretta.
 
Aspetta! Ma...
 
- Ti abbiamo visto! Hai fatto volare farfalle che erano morte!
La piccola inizia a singhiozzare:
- Vole-vano vi-ve-re! – esclama tra i lamenti.
Le bambine scoppiano a ridere e riprendono a maltrattarla.
- Ferme! Fermatevi! Le fate male! – gridai.
Sembrarono non udirmi.
- Vai via!
- Muori, ladra!
- Lascia Silent Hill!
Silent Hill?! Cosa... ? Sono tornato indietro nel tempo o cosa? E’ solo un sogno... o un ricordo?
Finalmente la malcapitata si voltò e...
- Cheryl?!
- Piangi, strega?!
- Facci vedere la magia!
- Muori!
La bambina era... Cheryl? No, no, impossibile. Cheryl non ha frequentato la scuola a Silent Hill. Ma erano identiche... tranne per gli occhi.
Cheryl aveva gli occhi castani. Alla poverina erano blu!
Blu...
Ma per il resto... potevano essere gemelle.
Ma...
- Alessa?
Non c’erano dubbi. Quella bambina tremante con le lacrime agli occhi era la stessa della foto che avevo trovato nell’Alchemilla.
Quindi era la stessa bambina che aveva scritto quel diario.
Era la stessa bambina... tanto simile alla mia Cheryl.
Era la stessa bambina che, ora, era nelle mani della madre.
Il demone?
Quella bambina non poteva essere un demone. Bastava guardare negli occhi pieni di lacrime di quella bambina presa in giro dalle compagne di classe.
Per una frazione di secondo, mi parve di incrociare il suo sguardo... la sua supplica d’aiuto.
La loro somiglianza era impressionante...
 
Cheryl...
 
Tutto mutò.
Ero in un altro corridoio, molto più strano del precedente. Ero in una stanza che mi ricordava tanto l’Alchemilla Hospital nebbioso.
 
Dovevo trovarla.
Dovevo trovare Alessa.
Lei mi avrebbe condotto a Cheryl.
Mia piccina...
 
 
Eccola.
Cheryl! Cheryl!
- Piccola mia!
Era la realtà? O solo un sogno? Un incubo.
 
- Papà... – sussurrò lei.
Sei la mia Cheryl? O no?
Ma cosa... ?
Stringeva nella mano destra... quella che sembrava essere proprio una pistola.
 
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Non resistetti. Lasciai le lacrime cadere giù dai miei occhi a bagnarmi le guance. Cheryl...
La sua manina era sproporzionata alla solenne e nera pistola che stringeva insicura. Cosa potevo fare? Cosa aveva intenzione di fare? Era un incubo, Harry...
- Dammi quella pistola, Cheryl – dissi cercando di assumere un tono che sembrasse autoritario.
Aspetta un secondo! Quella è la mia pistola!
La mia mano sinistra sfiorò la tasca della giacca: c’era la strana bottiglia dal liquido profumato, il Flauros (molto più leggero), proiettili ma... mancava la pistola di Cybil.
La pistola che l’aveva uccisa.
Adesso ascoltami molto attentamente: nel caso la dovessi usare, prima di premere il grilletto, guarda bene a chi stai per sparare. Non farlo mai senza accertartene. Non vorrei che tu mi sparassi per sbaglio.
Erano state queste le parole che i aveva rivolto Cybil, porgendomi la sua pistola.
Come gira la ruota!
 
- Dammela – dissi ancora alla bambina. A questo punto non sapevo nemmeno come rivolgermi a lei.
Lei mi fissava senza battere occhio.
Ma poi rinunciai e sospirai:
- Scusa... papà non capisce, ma... Se hai intenzione di uccidermi, fallo adesso! Sono in agonia. Voglio finirla con questa storia e, piuttosto di una vita senza Cheryl, preferisco la morte. Tornerò con lei. Per sempre.
Le parole mi erano uscite dalla bocca senza rendermene conto.
Cheryl puntò la pistola verso di me, come a prendere la mira. Era davvero ridicola con quell’arma così pesante e mortale nelle sue mani!
 
- Dagliela, Cheryl.
Cosa?! Dahlia!
Sì, la strana donna si materializzò, come per magia, alle spalle di Cheryl. Mi venne lo strano impulso di prenderla a sprangate, peccato non avessi un’arma con me.
- Dahlia...
- Incredibile – sussurrò a me la donna – Sembra tu abbia fallito. Non sei riuscito a salvarla.
- No!
Cosa stava dicendo?
Dahlia afferrò le spalle di Cheryl che lasciò cadere la pistola a terra e indietreggiò di alcuni passi.
- E’ tua? – chiese la bambina.
Poi, Cheryl si aggrappò al vestito di Dahlia e mi fissò con uno sguardo spaventoso.
 
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- Ciao, papà – sussurrò Cheryl prima di svanire con la donna. Si erano dissolte nell’aria.
- No!
Cosa... ?
 
Sussultai.
Sono su una barella... ancora?! E’ stato un sogno, per fortuna.
Dio, voglio uscire da questo posto!
Pareti sporche di sangue... ah, sì: sono proprio tornato alla normalità.
 
 
No, Cheryl non piangere.
L’altra la stava accarezzando con una mano, ma la bambina sembrava spaventata dal suo tocco.
Quando la porta si aprì di scatto, sussultarono tutt’e due. Ci videro entrare e subito, l’altra ragazza cercò di mettersi in piedi, non riuscendoci e ricadendo sulle lenzuola sporche.
Cheryl aveva iniziato ad urlare alla nostra vista e invocava aiuto, chiamava suo padre.
Era finita.
Doveva essere finita a modo mio, però.
Adesso i nostri piani sono in fumo.
L’altra mi capisce.
Lei non può parlare. Ha dimenticato come si fa.
Riesce solo a sussurrare qualche strana parola. Sa gemere parecchio forte però.
La donna chiude a chiave la stanza.
Siamo in quattro.
E’ la fine.
Guardo Cheryl.
No, non piangere.
- Papà...
 
 
 
 

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Capitolo 29
*** Una Promessa Da Mantenere ***


NOTE D’ AUTRICE (all’inizio questa volta... un po’ lunghe) XD:
Oddio, quasi non ci credo che, capitolo dopo capitolo, ci stiamo avvicinando sempre di più alla conclusione di questa storia. Mi ci sono affezionata un pochino... no, tanto : )
So che sono passate quasi due settimane dallo scorso capitolo, cosa che non è da me, ma... ehi, a me piace complicarmi la vita XD
E poi in questo periodo sono impegnatissima (?) e il caldo inizia a darmi alla testa... ho cercato di aggiornare l’altra storia della serie che si trovava ad un “punto morto” e dopo aver... ehm, dato fuoco alle polveri (quasi nel vero senso della parola... a buon intenditor poche parole XD) eccomi qua.
Ringrazio, come sempre, chi segue, preferisce e recensisce ; )
Dato che ci stiamo davvero avvicinando alla fine, e dare i titoli a questo punto si sta rivelando un’impresa, ho pensato di dare ai prossimi capitoli il titolo di un brano della colonna sonora dei Silent Hill; potrei poi mettere il link della canzone, da ascoltare durante la lettura del capitolo...
So che è un’idea strana e mi piacerebbe sapere che ne pensate; fatemelo sapere nelle recensioni : )
Ah, lo “sclero finale” è opera di mia sorella che voleva “dare un contributo” alla storia... ora si crede una poetessa XD canticchiatela... trovate voi una melodia... stile ninnananna-horror, dice lei : )... sta a voi pensare chi mai potrebbe cantare una cosa del genere :)
Detto ciò... buona lettura!




Una Promessa Da Mantenere
 
Ma in che guaio ero andato a cacciarmi?!
Pensare che ero arrivato a Silent Hill intenzionato a passare un po’ di tempo con mia figlia, lontani da casa e dai problemi! E invece stavo vivendo un incubo. Il peggiore in assoluto.
Cheryl era sparita. Ero circondato da mostri. I sopravvissuti sembravano avercela con me.
E io iniziavo seriamente a confondere il sogno con la realtà.
E se avessi solo sognato quello che era accaduto pochi minuti fa?
E se fosse tutto vero? Se quell’ Alessa avesse ragione... ?
- No! E’ tutto frutto della mia immaginazione! – urlai ai muri.
Stavo perdendo me stesso. La città mi aveva preso.
E mancava poco... presto sarei diventato un essere ingobbito in cerca di sangue. O un mostro con unghie affilate e taglienti, affamato di carne umana.
E Cheryl... mia povera bambina...
Quel “sogno”...  sembrava così reale. Ma... Dahlia non conosce Cheryl.
- O... almeno... lo spero – sussurrai asciugandomi il sudore sulla fronte con la manica della giacca, sporca di sangue. Da quello che avevo visto, Dahlia era una donna che perdeva facilmente la pazienza e la calma; aveva picchiato la sua “presunta figlia” con una violenza mai vista.
Ed era sua madre!
Io e Jodie non avevamo mai picchiato Cheryl, naturalmente.
Era una bambina così buona e obbediente che era quasi impossibile vederla fare qualcosa che potesse farci arrabbiare.
Era... priva... di male. Non aveva mai raccontato bugie, ci aveva sempre ascoltati. La sua indole timida veniva un tantino rinfacciata dai maestri; davo per scontato che col tempo si sarebbe aperta di più. Per i suoi sette anni, poi, era estremamente intelligente e coscienziosa: sapeva benissimo cosa era giusto e cosa era sbagliato. E scappare con degli sconosciuti, lasciandomi solo in una città piena di mostri, era un comportamento estremamente sbagliato.
Allora... Cheryl aveva seguito qualcuno che conosceva.
O poteva essere stata ingannata.
Ma perché non... forse se avessi aspettato accanto alla macchina, sarebbe tornata indietro. Cosa alquanto improbabile: chissà per quanto tempo sono rimasto privo di sensi... ah, sì: qua il tempo sembrava non scorrere... o scorreva troppo lento? O troppo veloce...
Sapevo solo che questa città, tagliata via dal resto del mondo, aveva un bel po’ di scheletri nell’armadio.
Droga... magia nera... mostri...
Magia nera...
Un culto... una setta... ne aveva parlato Lisa.
Poteva essere stata... no! NO! Non volevo pensarci!
Era stata Dahlia?
E Alessa?
E il demone?
 
Mi misi seduto, contemplando il tanto familiare sangue coagulato sulle pareti dell’Ospedale. Era l’Otherworld, non c’era dubbio.
Lisa! Dovevo parlarle... prima che fosse stato troppo tardi.
Una volta in piedi, corsi verso la porta, l’unica via d’uscita della stanza-esami, ma...
- Chiusa?! – esclamai – Ma cosa... ?!
Inutile: non si smuoveva di un centimetro. Significava che ero bloccato lì dentro? E come aveva fatto Lisa ad uscire? Era stata lei a rinchiudermi?
- Starò zitta, lo giuro...
Una voce, alle mie spalle.
- Lisa?! – gridai sorpreso, girandomi di scatto.
No.
Non era Lisa.
- Cybil... – sussurrai scioccato.
La poliziotta di Brahms era davanti a me, come l’avevo lasciata sul carosello del luna-park: due grumi di sangue avevano preso il posto dei suoi occhi chiari; solo la fronte era priva di liquido scarlatto. Volsi lo sguardo ad un enorme apertura circolare sulla sua gola: era lì che l’avevo colpita.
Un colpo mortale... anche se la vera Cybil era già morta.
No... sono stato io! Perché?
Potevo salvarla, ma lei mi avrebbe ammazzato! Non avrebbe avuto pietà.
No! Sono un assassino!
Smettila!
Era una visione. Sapevo che quella non poteva essere la vera Cybil. Era colpa sua, colpa di Alessa!
Forse...
“Cybil” emise lo stesso rantolo che udii alla sua morte.
Mi portai le mani agli occhi, chiudendoli, e premendo le dita sulla faccia. Non volevo guardarla; sarebbe stato più facile se avesse avuto i suoi occhi. Vedendola in quello stato... mi sentivo un assassino, un condannato all’eterna visione dello scempio che aveva creato.
Non provai neanche e sbirciare: questa era vera e propria tortura psicologica. Quante volte mi ero chiesto se fossi realmente diventato pazzo?
Era proprio quello che volevo evitare... uccidere... esseri umani...
E quegli esseri mostruosi, allora?!
Non potevano essere umani!
Voleva aiutarmi a ritrovare Cheryl...
 
 
-Harry! Cosa è successo?
Chi mi chiamava?
Schiusi le palpebre e lasciai ciondolare giù le mani.
Non ero nella stanza ospedaliera...
- Il carosello? – dissi guardandomi attorno.
Cavalli di legno che facevano su e giù? Sì ero proprio lì.
Davanti a me... Harry e Cybil.
Harry?
- E allora chi sono io? Sarà una proiezione – sussurrai.
Cybil era per terra, priva di ferite e pulita.
Anche l’altro “Harry” era illeso, contrariamente a me. Era chinato sulla donna, prestandole cure.
La giostra cominciò a girare, lenta.
- Forza, alzati. Ho fatto il possibile... stai bene adesso? – disse Harry sorreggendola.
- Sì, credo di sì – rispose le mettendosi a sedete e massaggiandosi la tempia destra.
- Bene.
Mi avvicinai cauto a loro due, sicurissimo che non mi avrebbero visto. Questa non era la realtà dopotutto. E io ero reale!
- Harry... perché? Perché tua figlia? – riprese Cybil.
“Harry” sospirò rumorosamente e disse:
- Non lo so. Ho delle ipotesi, ma non ne sono pienamente sicuro. Sai... Cheryl... non è... davvero mia figlia. Non è mia figlia, in senso biologico; io... ancora non gliel’ho detto, è piccola. Probabilmente lo avrebbe saputo una volta cresciuta abbastanza. O forse lo sospetta.
Perché stava raccontando quelle cose?
Ipotesi?! Non avevo la più pallida idea di dove fosse finita Cheryl! Questa città era immensa! Per non parlare dell’OtherWorld.
“Cybil” restò zitta ad ascoltarmi... no, ascoltarlo. Io non stavo parlando! Dio, che confusione...
- E’ una bambina molto intelligente. Non so... fisicamente e caratterialmente non somiglia molto a me o a mia moglie – continuò.
- Tua moglie... ? – chiese lei.
Harry sospirò:
- Mia moglie era malata e non poteva avere figli. Quel giorno... oh, non lo dimenticherò mai. Era il 25 Giugno, di sette anni fa. In quel periodo organizzai una vacanza -pensavo l’avrei un po’ rallegrata, dopo quella brutta notizia del dottore- ma... si sentì male... e decidemmo di tornare a casa. Eravamo sull’autostrada; lei si sentiva terribilmente in colpa, ma di certo non me la prendevo troppo: non era colpa sua. Comunque... chiese di uscire dalla macchina, si sentiva mancare il fiato. Scesi, attraversammo un campo inaridito e... Jodie, lei, trovò Cheryl. Decidemmo di cercare la madre, ma non c’era anima viva oltre noi tre; nessuno sapeva da dove venisse quella neonata e non volevamo finisse in qualche orfanotrofio o istituto, così decidemmo di crescerla come nostra. Mia moglie sembrava non migliorare e... morii... quasi quattro anni fa. Le ho promesso, prima che spirasse, che mi sarei preso sempre cura di Cheryl, che non l’avrei mai lasciata sola. Che avrei fatto tutto il possibile. L’ho promesso!
- Oh... quindi... Harry?
- Cheryl è mia figlia e devo salvarla, non importa come! Non mi tiro indietro! Ho una promessa da mantenere! Per me... per Jodie... e per Cheryl. La mia famiglia.
 
 
Aveva ragione. Avevo ragione.
Dovevo restare lucido, pronto. Dovevo salvare Cheryl! Era come se avessi fato un paio di chiacchiere con la mia coscienza e la mia forza di volontà. Dovevo farlo!
Per la nostra famiglia e per il bene della mia piccina.
 
 
L’immagine sembrò sbiadirsi.
Ero in un vortice... ?
Ma cosa era successo?!
Era stato un sogno?
Non riuscivo a muovermi!
 
Sentii il familiare Flauros tremare senza sosta nella mia tasca. No, non avrei più toccato quello strano oggetto!
 
In un secondo, mi ritrovai in quello che doveva essere una stanza ospedaliera (tanto per cambiare).
Diversa.
C’era una TV accesa davanti a me. Scorsi un videoregistratore che inghiottiva una cassetta.
Ecco, la TV si animò, ma si vedeva solo statico. Quasi...
Anche l’audio era messo proprio male.
Riuscii a capire solo poche parole:
-  ... ancora... –bre alt-------------ni sono p----------------on capisc-------------ai vis------de--------nere--------------mi------aura------non--------avvicinare------------ma-------------misuro-------------------polso--------sente--------ale-------ma a malapena riesce a respirare--------la pelle è----------completamente-----interno----tatto-------quando camb--------ende--------esce-------sangue e p------continua! I suoi------------------------------------mai------------cosa--------------Perché?! Perché?! Cosa-------------mant-----------ita---- quest----------------------a----cosa!? Non----------------non---------------------ma-----------ti pre------------fatel---------ere-----------faccio ma----ma----------asta!
 
Lo schermo diventò nero.
- Cosa sta succedendo?
Vidi le pareti decomporsi come fossero carne morta; vidi i muri sanguinare copiosamente e risucchiarmi nei loro buchi neri.
E sentivo tante cose... bambini che ridevano, urla di dolore, l’agghiacciante suono di ferri arrugginiti che...
 
E una voce, limpida e chiara:
- Starò zitta, lo giuro.
 
 
Un canto...
Una bambina...
Non era Cheryl..
 

The night already down,
It’s time to kill now
Come closer to me,
I don’t set you free
You will fear the pain,
You won’t escape again
You will always lonely be,
Fear the Silence and let the world see…
 
It’s raining outside,
But you still somewhere hide
Show yourself to me,
You will see what I changed to be
Fire in your eyes,
Kill me and get the prize
You’re already dead,
In your dark and sickness head
 
Forward look for me,
There’s nothing you can see
I’m somewhere here,
Maybe there, maybe near
I will come for you,
You will die here too
Kill you with my mind,
From the pain you can’t hide
 

 
Buio.

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Capitolo 30
*** Mondo Di Ruggine ***


NOTE D’AUTRICE:
Eccomi , con un nuovo aggiornamento. Questo si può definire un “capitolo di passaggio”, ma davvero necessario. Quindi qui, niente azione. Entra in ballo l’istinto e l’intelligenza... capirete leggendo J
Ah, direi che posso iniziare anche il mio piccolo esperimento delle canzoni della soundtrack di Silent Hill!
Allora, mentre rivedevo il capitolo la canzone che mi teneva compagnia e che sembrava davvero adatta al contesto era questa qui:
  http://www.youtube.com/watch?v=_9s5uvhhSJk
E’ chiamata Witchcraft, di Silent Hill 5, ma il titolo non mi sembrava molto adatto... anche se la musica col capitolo si sposa perfettamente. Consiglio anche di sentirla più volte, davvero magica e dolce *_*
Un'altra traccia davvero adatta al capitolo è questa:
http://www.youtube.com/watch?v=IDI2XCek3RM
E’ da lì che ho preso il titolo del capitolo :D  E’ la canzone che trovo indicata per ... la fine ... capirete tutto leggendo XD... mette davvero i brividi. Ditemi cosa ne pensate e che effetto vi ha fatto ;) soprattutto la parte finale J
Ci sentiamo alla fine del capitolo: devo farvi una domandina!
: )

 
 

 
Mondo Di Ruggine
 
 
Chi aveva cantato?
 
Una luce. Schiusi le palpebre. Ero in un ufficio.
 
C’era gente.
 
Tenui raggi di sole filtravano dalla finestra.
 
Cosa sta succedendo qui?!
 
Ero tornato indietro nel tempo?
 
 
C’era un uomo seduto alla scrivania; sfogliava delle strane pratiche. Notai un distintivo appuntato al petto: era un poliziotto.

Silent Hill Police Department

Ero nella stazione di polizia di Silent Hill.
- Capo... – disse un agente, bussando alla porta della stanza.
L’uomo non rispose. Continuava a leggere.
Dov’ero? Cosa...
C’era un calendario appeso alla parete. Esaminai. Era l’8 Maggio 1974. Quasi nove anni fa...
- Signor Gucci... posso... ? – chiese l’agente timidamente.
- Santo cielo, entra! Dannazione! – esclamò l’uomo buttando a terra i fogli con un gesto quasi disperato.
Il poliziotto entrò chiudendosi la porta alle spalle e, notate le carte sul pavimento, disse:
- Ancora niente? Questa faccenda della droga tra i turisti si fa sempre più strana.
- Strana?! Perdo giorni e notti dietro queste scartoffie! Quando potrei essere sul campo e prendere i colpevoli! – disse Gucci.
- Ha delle idee, signore?
- Certo! Se solo...
- Hanno già cercato di ucciderla e ora va in giro con la scorta, signore. Sarebbe rischioso. Gli altri si stanno già attrezzando.
L’agente posò altri fogli sulla scrivania. Poi riprese:
- Crede che tutto questo sia collegato? Intendo... le sparizioni, le morti...
Gucci si misi in piedi, pensieroso, con lo sguardo rivolto in alto:
- Al culto. All’antico culto di Silent Hill – disse piano – Ti sei trasferito da poco. Non conosci la storia di Silent Hill quanto me. Ricordo che da bambini la storia della città ci veniva insegnata dai nostri nonni. A scuola si evitava sempre di parlare di questo culto. Tutt’ora le famiglie più antiche di Silent Hill fanno parte di questa fantomatica setta.
Il giovane agente deglutì sonoramente alle parole del capo:
- Cosa vuole dire, signore? – chiese.
Gucci afferrò un gessetto bianco e si avvicinò ad una lavagna alle sue spalle. Disegnò quello che aveva tutta l’aria di essere un fiore.
- Silent Hill è bagnata dal lago Toluca, luogo di strane storie e leggende. Attorno alle sponde cresce un prezioso e bellissimo fiore, molto simile alla comune peonia.
L’agente si sedette e annuì incoraggiante.
- E’ particolare come pianta: cresce solo qui. I suoi petali sono più bianchi della neve e le loro foglie sono estremamente urticanti. Cresce a Silent Hill sin dalla colonizzazione americana. La sua particolarità... è il profumo, che da una sensazione quasi... asfissiante. Mia nonna mi diceva sempre di stare lontano dal bel fiore se non volevo finire nei guai quando giocavo sulla spiaggia. Gli antichi la chiamavano questo fioreWhite Claudia. Il suo nome antico è pervenuto fino a noi.
Scrisse a caratteri grandi il nome del fiore.
- Ah, mia nonna mi diceva, però, che il fiore nascondeva anche il bene. Nei fiori c’è una parte chiamata “antera”, dov’è presente il polline. Bhè, la White Claudia non presenta il classico polline di colore giallo. E’ rosso. Mi veniva raccontato che gli antichi indiani, che dettero il nome al posto e al fiore, usavano prendere questo polline rosso e trasformarlo in uno strano liquido. Era un miscuglio di altre erbe, soprattutto medicinali. Il risultato era una poltiglia rossa, profumata di White Claudia... ti sembrerà strano... ma questo liquido veniva usato... per degli esorcismi.
L’agente quasi sussultò a quelle parole.
Gucci continuò:
- I petali... i petali sono il problema. La droga in questione è chiamata PTV, oppure direttamente White Claudia. Si ricava dalla corolla bianca del fiore. E i suoi effetti sono a dir poco devastanti per il fisico e per il cervello dell’uomo. Ecco perché, agente Gabriel Crawford, dobbiamo stanare i produttori. Secondo le mie ricerche potrebbero essere anche i consumatori stessi.
Crawford annuì vigorosamente.
- Silent Hill è un bellissimo posto in cui vivere. Dobbiamo fermare tutto questo e portare la città allo splendore che si merita. E’ tutto collegato. Allora... che mi porti? – sospirò Gucci mettendosi a sedere.
Afferrò i fogli e li esaminò.
- Altre sparizioni – disse il giovane poliziotto, riacquistando la voce.
- Come le altre?
- Sissignore. Come le altre. Cinque... più tutte le altre decine e decine di bambine e ragazzine sparite ne nulla in tutti questi anni, signore.
- Cinque bambine. Perché solo bambini... ? La fascia d’età delle scomparse va dai quattro ai diciotto anni. Qualcosa non quadra. Poverette. E’ da anni che va avanti questa storia. Quando è successo l’ultimo?
- Tra ieri e oggi, signore. Sembrano sparite nel nulla. Erano a scuola, sono state viste. Erano tranquille e all’uscita... i loro genitori non le hanno più trovate.
- Emily Summer, sei anni. Lucy Brown, otto anni. Le sorelle Diana e Nicole White, dodici anni. Lydia Findly, quindici anni. Avete contattato le famiglie?
- Sì.
- E... avete detto loro... che le possibilità di trovarle sono scarsissime?
- Purtroppo sì. E’ stato davvero un brutto colpo per tutti loro. Famiglie avvolte nel dolore. E senza un perché.
- Tra poco a Silent Hill rimarranno solo maschietti. Ormai l’arrivo di bambine in questa città non porta più la felicità di un tempo. Quando arriva una femminuccia in famiglia non si pensa più a come educarla: si pensa solo a tenerla al sicuro, nascosta. E’ una cosa inaccettabile. Tutto questo avrà fine, se ci crediamo davvero! Ecco perché bisogna agire. E’ tutto collegato!
Alla fermezza di queste parole, il giovane, spiazzato, disse con un sussurro:
- Ho una bambina anche io.  E ho paura. Ho paura che possa sparire da un giorno all’altro. Ho paura che qualcuno possa farle del male. Mia moglie non vuole mandarla a scuola. E lei non capisce. Vorrebbe uscire a giocare ma... ha ragione, signore! L’aiuterò io con le sue ricerche. Per il bene nostro e di tutta la città.
Gucci fissò il ragazzo e sorrise:
- Ben detto, figliolo.
Tese la mano; l’altro la strinse forte.
 
L’immagine si trasformò. O meglio, i personaggi mutarono. Ero nello stesso ufficio, nello stesso punto.
Gucci e l’agente avevano lasciato il posto a un ragazzino dai capelli biondi, seduto dove prima era accomodato il capo della polizia.
Leggeva il giornale.
E piangeva.
- Oddio, no! NO!
In prima pagina:

 
TRAGEDIA INSPIEGABILE A SILENT HILL: RITORNA IL TERRORE
Morti misteriosamente Thomas Gucci, Gabriel Crawford e le loro famiglie. Figlia scomparsa.

 

Avevo capito di essere solo un’ombra in quello che pareva essere il passato, così mi feci coraggio e mi avvicinai di più al giovane.
 
Erano morti?
Perché?
 
Lessi.

 
 
“Silent Hill, nota meta di turismo e di divertimento, continua a infangare il suo nome. Nota per il bellissimo e romantico Lago Toluca, per il Parco Divertimenti e per la sua storia affascinante, la cittadina e i suoi abitanti continuano a vivere tempi duri e oscuri. Infatti la graziosa meta turistica sembra si stia trasformando in un luogo di paura e morte, teatro di sparizioni e omicidi quasi giornalieri.
Misteriosi traffici clandestini e tragedie sembrano non bastare; in data 30 Maggio sono stati trovati morti, nei rispettivi appartamenti, i massimi esponenti della lotta contro la droga. Il capo della polizia Thomas Gucci , 47 anni, è stato trovato senza vita nel suo letto, scoperto dalla sorella che abita fuori città ed era andata da lui per consegnarli delle carte importanti. Lo shock della sorella è stato tale da far intervenire le autorità. Il signor Gucci, anche capo della polizia della città, non soffriva di alcun male.
I medici hanno dichiarato che sia morto nel sonno, per motivi naturali. Un’ipotesi abbastanza sospetta: anche sua moglie è stata trovata morta, accanto a lui. I loro due figli sono stati trovati accasciati sul pavimento, senza vita. La polizia esclude una fuoriuscita di gas.
Tutti i membri della famiglia, senza problemi di salute, morti per un arresto cardiaco?
Caso ancora più strano quello di Gabriel Crawford, 30 anni, trovato morto poche ore dopo dalla sua stessa squadra.
I medici hanno affermato che si trattava di una semplice coincidenza.
Morto per arresto cardiaco anche lui.
Possibile?
La moglie dell’agente, Anne Crawford, 28 anni, invece, è stata trovata smembrata lontana dal letto matrimoniale, nella stanza della loro figlioletta.
Esaminata in lungo e in largo l’intera casa, la bambina di soli sette anni, Samantha, non è stata trovata.
La finestra della sua stanzetta era spalancata. Si esclude l’ipotesi della sua fuga; la famiglia abita al quarto piano di un appartamento senza balconi.
Silent Hill ha perso i suoi difensori più forti.
I funerali degli agenti e delle loro famiglie verranno ufficiati oggi. Il nome della bambina scomparsa si va ad aggiungere alle altre spaventose e inquietanti sparizioni della città.
Questi tempi bui finiranno mai?”
 

 
Il giovane continuava a piangere, quando sentii il bisogno di chiudere gli occhi.
Chissà dove mi sarei svegliato questa volta...
 
Droga... ?
Quella strana bustina trovata in quello strano locale. E Kaufmann aveva la chiave...
Oh...
 
Tutto collegato?
 
Ecco.
Apro gli occhi. Ho bisogno di luce. Del sole...
 
Ma vedo solo ruggine e sangue.
Sono nella stanza degli esami, ancora.
Perché mi risveglio sempre qui.
 
Pezzi di carne sui muri.
 
E una porta.
Una innocente porta bianca. Cercai di aprirla ma era chiusa.
Sul legno immacolato e privo di sporcizia, c’erano otto piccole rientranze.
E un foglio era appeso sul muro incrostato di sangue.
 
Era una poesia. La parole andavano una sopra l’altra, come se l’autore o l’autrice avesse serie difficoltà nella scrittura. La lessi:
 

 
Potrei tornare a danzare con le soffici nuvole bianche
Se le mie braccia non fossero di buchi cariche.
 
E il cielo sarebbe azzurro tutto il dì
Non nero come quel maledetto venerdì.
 
Aspro è il sapore, arancio il colore
Di quel frutto proibito in questo tenore.
 
Potrò raccogliere ancora i verdi quadrifogli fortunati
Che muoiono, sul campo abbandonati?
 
Le vivaci violette nel giardino starebbero sbocciando
Se solo il fumo non le stesse ora soffocando.
 
I gialli dentidileone fiorirebbero sulla via di casa
Che solo di disperazione è purtroppo invasa.
 
Sarebbe meglio per me cadere nel nero fraterno,
Il sonno necessario di un uomo che continuerà in eterno.
 
E non vedrei più dal polso uscire tempera scarlatta
La mia mano sul coltello sarà soltanto protratta.
 
Qui c’è solo paura e terrore sempiterno
Liberami adesso...e abbraccia il tuo inferno.
 

 
 
- Un indovinello? – sussurrai.

 

 
NOTE:
Ehilà! Allora, che ne pensate della colonna sonora XD?
Fatemelo sapere nelle recensioni, mi raccomando.
Ho fatto di “Rust-World” il tema ufficiale della nostra poesia :D
Il nostro protagonista è davanti ad un rompicapo: una strana composizione poetica, una porta che non si apre e otto piccole rientranze. Peggio di una porta blindata XD
Volete aiutare il nostro Harry? Vediamo quanto siete bravi  : ) avete già un’idea di come possa risolvere l’indovinello.
Fatemelo sapere
A presto!!! : )

 
 

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Capitolo 31
*** Il Pupazzo e Le Nuvole ***


NOTE D’AUTRICE ;
Eccomi quaaa! Di ritorno dalle vacanze con un nuovo capitolone!
Non avete idea di cosa ronzi nella mia testolina riguardo questo indovinello, quindi ora e in futuro, aspettatevi di tutto. D’altra parte, trovare un tema della soundtrack di Silent Hill che accompagni bene questo capitolo si è rivelata un’impresa XD
Direi che Rust-World vada ancora bene, avendolo battezzato tema del mio indovinello e avendolo ascoltato a go go mentre pensavo ad un bel rompicapo per Harry
(http://www.youtube.com/watch?v=IDI2XCek3RM )
Pooooooi... penso che questa traccia sarebbe eccellente per quello che succede nel capitolo e credo sarà adatta anche agli altri capitoli. Si chiama Rain of Brass Petals (http://www.youtube.com/watch?v=QstGmiEB09k ), musica inquietante con parole inquietanti... cosa volete di più da Silent Hill?! XD Ma nienta paura... presto queste melodie oscure prenderanno il posto di melodie ben più dolci... ma niente spoiler :D
Fatemi sapere, mi raccomando.
Buon Capitoloooo!

 
 
Il Pupazzo e Le Nuvole
 
Oddio. E questo cos’era?!
Una porta con otto rientranze sopra e una poesia. In una stanza dalle pareti sporche di sangue; il contrasto tra l’immacolata porta e i muri sembrava stancare i miei occhi. Era... troppo bianca!
- Ma... questo è l’Otherworld? - sussurrai girando su me stesso. Sentivo che questa volta... era diverso. Era per via di quello che era successo nel parco divertimenti, con Alessa e Dahlia? Chissà dov’erano finite...
Nella stanza c’era un tavolo. E un pezzo di carta sopra.
Mi avvicinai e lo raccolsi, tenendo stretta, nella mano libera, la strana poesia di prima. Non avevo altra scelta, comunque: la porta bianca non si muoveva e non c’erano altre vie d’uscita.
Sul bigliettino, abbastanza logoro, c’era scritto:
 
SVEGLIAMOCI DA QUESTO INCUBO! INSIEME!
 
La frase era scritta, senza ombra di dubbio, col sangue. Il foglietto sembrava emanare calore proprio. Ora mi ritrovavo con due fogli in mano, ma senza la minima idea di come uscire da quella stanza.
Riesaminai la poesia.
La porta.
- E’ un indovinello - ripetei sempre meno convinto di quello che frullava nella mia testa - Questa. Questa poesia deve essere la chiave!
Rivolsi gli occhi alla porta, bianca e pura come quello strano fiore; chissà dove mi avrebbe condotto tutto questo. Otto rientranze. Una poesia da nove piccole strofe.
Ma cosa... !? No.
Non poteva essere.
Dovevo... riempire di qualcosa gli otto piccoli buchi? Probabilmente. Ma di cosa?
Rilessi la poesia.
- Questo indovinello mi porterà via un’eternità. Ma a TE va bene, vero? Chiunque-Tu-Sia?! Che mi torturi così! Che mi porti via Cheryl e la nascondi nella nebbia di questa MALEDETTA città! Preferisci farmi perdere così il tempo?!
BUM!
Il tavolo alle mie spalle si rovesciò.
All’improvviso rumore, reagii con un gigantesco balzo e il mio cuore accelerò i battiti.
- Ok, ok... - sussurrai tornando a leggere.
Questo posto era stregato. Certo... se solo un giorno fa mi sarebbe capitata una cosa del genere non avrei chiuso più occhio per settimane! Adesso, oltre lo spavento iniziale, mi sembrava quasi una cosa da nulla.
Ah!
Il foglio sgualcito! Ora reca scritto:
 
L’abitudine rende sopportabili anche le cose spaventose, non credi?
 
Aveva colto nel segno... chiunque fosse stato a far materializzare quelle parole sulla carta.
Tutto questo mi ricordava il diario di Alessa.
Alessa... avrei voluto sapere di più su quella ragazza. Perché non ho portato con me il suo diario?! Dovrei rileggerlo... e riconsiderare tutto ciò che ho visto e udito. In un certo senso, “sapevo” che lei conoscesse qualcosa su Cheryl. E Dahlia... la sua mamma, l’aveva considerata un demone!
Perché?
 
Per quanto mi sforzassi di restare calmo, ogni volta che il mio sguardo incrociava le otto rientranze, mi sentivo un nodo in gola, mi diventava difficile anche respirare.
Le rientranze andavano colmate, ovvio. Ma con cosa?
La poesia aveva nove strofe.
Nuvole bianche nella prima strofa e cielo sereno nella seconda.
Aspro il sapore e arancio il colore di quel frutto proibito... un’arancia? Ma... frutto proibito in questo tenore?
I quadrifogli verdi, le violette e i denti di leone...
Il nero fraterno? Il sonno necessario. La morte?
Per un attimo mi girò la testa. E se la porta esigesse un sacrificio per aprirsi? Cosa avrei fatto?
Tempera scarlatta che fuoriesce dai polsi. Sangue.
- “Liberami adesso... e abbraccia il tuo inferno”... cosa mi aspetta aldilà di questa porta? - dissi piano, continuando a riflettere sul da farsi. Avevo la pelle d’oca.
 
Nuvole.
Cielo.
Arancia.
Quadrifogli.
Violette.
Denti di leone.
Morte.
Sangue.
 
Otto.
 
Otto.
 
- Otto buchi... per otto elementi... - dissi dando libero sfogo al mio nuovo pensiero.
Il foglietto sembrò leggermente tremare nella mia mano; ora c’era scritto sopra:
 
Posso aiutarti. Devi solo chiedermelo, Harry.
 
Scrutata la scritta ambigua mi avviai verso la porta. Sfiorai la depressione più bassa e notai, inciso sul legno intaccato per l’indovinello, il numero 1.
- “Potrei tornare a danzare con le soffici nuvole bianche se le mie braccia non fossero di buchi cariche”. Qui... la nuvola.
Naturalmente sapevo perfettamente di non poter acciuffare una nuvola per incastrarla nella porta. Dovevo trovare qualcos’altro di bianco. Se ci fosse stato qualcos’altro nella stanza senza uscita, oltre il tavolo e me.
Me.
Me?
Perfetto!
Questo mi rendeva praticamente alla mercé di una porta e di un pezzo di carta!
- Oddio - sussurrai portandomi una mano tra i capelli - Ci mancava solo questa! Ti diverti proprio a giocare con me, eh?
Sentii un formicolio piuttosto strano sull’avambraccio sinistro. Scostai la manica della giacca e della camicia per esaminare cosa mi stese accadendo e, con mio terrore, notai delle enormi cicatrici. Com’era possibile? Nessuna creatura mi aveva lasciato quei segni che... ehi! Formavano una frase!
 
SEI IL MIO PUPAZZO
 
Passai parecchi minuti ad osservare il tutto.
- Questo non fa altro che convincermi di star diventando pazzo! - sussurrai.
Rimisi la camicia al suo posto e poi...
- Aspetta! - sbottai.
La camicia. La mia camicia era bianca!
Era bianca. Con tutto quello che avevo passato non brillava certo per la sua luminosità. In effetti andava sul grigio: colpa anche della cenere che scendeva dal cielo, il benvenuto che mi aveva riservato la città.
Come le nuvole: era bianca e soffice... quasi.
- Meglio di niente - borbottai. L’idea di portar via un pezzo di porta bianca per inserirlo nella rientranza non mi convinceva.
Ora... il problema era tagliare un pezzo di stoffa. Con le mani non ce la faceva: l’indumento non era ridotto così male. Rischiai di strapparmi via, invece, qualche dente a furia di morderla.
Se solo avessi qualcosa di tagliente...
 
Posso aiutarti. Devi solo chiedermelo.
 
Sentii la farsi leggermente più pesante. Sorrisi.
- Mantieni le promesse, a quanto vedo - sussurrai estraendo dalla giacca un coltellino. Era proprio quello che ci voleva. Strappai un pezzo di camicia e feci pochi passi verso la porta. Ecco. Il pezzo di stoffa era piazzato nella rientranza 1.
 
Una risata. Una dolcissima risata infantile.
Cheryl?
 
Quasi involontariamente mi voltai, quasi aspettandomi di vedere la mia bambina venirmi incontro.
Ma non c’era.
Ero solo.
Come sempre.
 
Il foglietto tremò; lo esaminai:
 
Ma lo sai che tutto ha un prezzo da pagare? Persino l’amore lo ha.
 

- Cosa... ?
Sentii il naso pizzicare e, un secondo dopo, ecco un rivolo di sangue colarmi giù a bagnarmi le labbra e a macchiarmi i vestiti. Subito portai una mano a fermare l’emorragia, lasciando cadere il foglietto per terra. Il sangue non accennava a fermarsi.
- Diamine! Ahh! - urlai.
Oltre al naso, adesso, anche la spalla cominciò a perdere sangue, dal punto preciso in cui Cybil mi aveva sparato sul carosello.
 
Poi tutto divenne buio.
No.
Tutto era bianco. E soffice.
Come le nuvole.
Le nuvole che una bambina stava osservando, proprio davanti a me. Le osservava e piangeva allo stesso tempo. Non riuscii a riconoscerla: era come se stessi dentro un sogno.
La bambina si voltò incuriosita, lasciando stare le nuvole, ma continuando a piangere.
Mi fissò.
I suoi occhi celesti erano colmi di lacrime.
Si portò le mani alla faccia e si... strappò via gli occhi dalle orbite, piangendo sangue.
Lanciò gli organi verso di me, e io li afferrai al volo.
I suoi preziosi occhi...
 
- Ah!
Era stato solo un sogno, per fortuna.
Ero nella tanto inquietante quanto familiare stanza dell’Otherworld dalla porta bianchissima. La stanza dell’indovinello.
Ero proprio dove ricordavo di essere prima di perdere i sensi: davanti alla porta lo sguardo rivolto verso la prima rientranza, colmata dallo straccio bianco.
Il sangue, sia dal naso che dalla spalla, aveva smesso di fiottare. Il coltellino era sparito: si era ripresa o ripreso ciò che era suo. E avevo pagato il prezzo.
Il foglietto era per terra e recava scritto:
 
Io sono la prima: un’ombra nel corridoio
 
Il senso di quella frase qual’era? Forse l’autore si sarebbe fatto vivo presto.
Ehi, aspetta.
Quel sogno... quell’incubo! La bambina che mi aveva tirato i suoi occhi! Ma...
Nella mia mano... due pietroline azzurre.
- Ringrazio il cielo: almeno non sono due orbite vere!!
Ma allora non era stato solo un semplice sogno?!
 
La porta. Mi aspetta.
La seconda rientranza: la seconda strofa.
- Il cielo sereno. Azzurro. Gli occhi...
Eccoli nella mia mana, gli occhi di quella bambina, azzurri come il cielo. Le due pietre.
 

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Capitolo 32
*** Una Finestra Sul Passato ***


Una Finestra Sul Passato
 
 
Posizionate le due luccicanti pietroline azzurre nel buco numero due, aspettai che succedesse qualcosa o che il foglietto cambiasse frase. Quasi mi dispiacque lasciare quegli “occhi” lì, in quel mondo pieno di sangue  e dolore; erano fuoriposto in questa dimensione, per tutta la luce che sembravano sprigionare. Mi ricordavano il cielo; il vero cielo... che io e Cheryl adoravamo fissare, anche senza un motivo preciso, cercando di dare alle piccole nuvole forme strane e divertenti. Un cielo allegro e gioioso... lontano da questo incubo.
Casa... chissà se ci sarei più tornato. Le possibilità di morire qui non erano da sottovalutare. Ma più pensavo a casa mia, più le speranze di tornarci con Cheryl diminuivano drasticamente.
Sentii il pezzo di carta ingiallita tramare: segno che la frase era mutata. Lo lessi:
 
Io sono la prima: un’ombra nel corridoio;
Faccio girare la mia giostra, le risate riecheggiano lontane.
Il mio dito sulle tue labbra... ti ho rubato qualcosa di prezioso.

 

- Cosa diavolo significa?! - dissi esasperato. Tutte queste frasi ad effetto ed enigmatiche fino allo stremo non facevano altro che confondermi le idee. E se... e se tutto questo fosse una specie di diversivo? E se tutto questo servisse a farmi perdere tempo? Tempo prezioso...
Cheryl... io dovevo trovarla. Sentivo che le risposte si trovavano dietro quella porta bianca.
Dovevo fare in fretta!
Cacciai il pezzo di carta in tasca, accartocciandolo. Poi chiusi gli occhi e pensai. Il prossimo colore, la prossima strofa.
L’arancio.
Io non possedevo niente di quel colore. Forse il Flauros sarebbe andato bene comunque, ma “sentivo” che quell’oggetto aveva procurato abbastanza guai ed ero deciso a non usarlo più.
Mi aveva promesso che m’avrebbe dato una mano. Dovevo solo chiederlo. Così, sussurrai, convinto che mi avrebbe sentito comunque:
- Ascolta... mi serve il tuo aiuto. Non ho... Mi servi... cosa vuoi in cambio?
Tutto aveva un prezzo. Cosa mi sarebbe successo?
Silenzio.
Mai, in tutta la mia vita, avevo avuto così paura del silenzio.
Tenevo ancora le palpebre sbarrate... quando sentii...
 
Voglio il tuo dolore.
 
No.
 
Apri gli occhi, Harry.
 
 
Ero...
- E se poi non dovessi...?
- Non dire così. Sono sicuro che ti adoreranno.
Quelle voci.
La mia voce!
Aprì gli occhi e la luce quasi mi accecò. Ero a casa mia!!
Bè, in effetti, era la mia vecchia casa: ci ero vissuto lì, da ragazzo, con i miei genitori. Tutto era come lo ricordavo: i mobili, i colori delle pareti...
Quella scena mi era familiare.
Ero lì, ad osservare un ricordo. Un vero ricordo. Il mio.
 
Ero davanti a me stesso! Ero davanti al “me” passato.
 
Più giovane, diciottenne. I capelli in una strana acconciatura alla moda di quei tempi. Una leggera camicia bianca e jeans. Brillavo. Sembravo essere qualcun altro: nessun segno di stanchezza sul volto, nessuno sguardo triste. Ero un ragazzino. E quel giorno... quel giorno... ah, sì, l’ultimo giorno di scuola!
Lo ricordo perfettamente.
 
Dietro il giovane Harry... c’era lei.
- No... - sussurrai. Vederla lì, così bella e radiosa mi faceva male al cuore.
 
La più bella ragazza che avessi mai incontrato.
I lunghi capelli neri e lisci erano legati con un delizioso nastrino. Gli occhi le splendevano: neri come quelli di Cheryl e pieni di timidezza. Il viso... come lo ricordavo. Stupendo. I lineamenti delicati. Il suo vestito color pesca. Restava sulla soglia, preoccupata.
Jodie...
 
Al dito le brillava qualcosa...
Glielo avevo consegnato quella mattina, appena usciti da scuola, davanti ai compagni e ai nostri ex-insegnanti. La sorpresi tanto che scoppiò in lacrime, ma avevo organizzato tutto e rifiutare le fu impossibile.
 
Quel giorno le chiesi di sposarmi.
E le offrì quell’anello.
 
Simbolo di pegno e d’amore eterno.
 
Eravamo fidanzati da due anni, ma cercavamo sempre di tenere la nostra relazione nascosta. Quel giorno dissi basta! E glielo chiesi.
 
Uno dei giorni più belli della mia vita. E della sua.
 
Vederla sana e serena davanti a me...
Scoppiai a piangere e lasciai tranquillamente affiorare fiotti e fiotti di lacrime.
 
Le sarebbe piaciuto tanto poter crescere Cheryl insieme a me. Quella malattia... l’aveva portata via da me, in una maniera orribile. Privò me di un’amica, di una compagna... della mia vita... e privò la piccola di una madre.
 
- Dai, non vuoi che ti spinga dentro con la forza?! - disse Harry, tirando delicatamente per una mano la ragazzina che scoppiò a ridere.
- Quella è l’ultima cosa che mi serve, so usarle le gambe. Se solo non tremassero così... - aggiunse lei liberandosi dalla presa.
- Davanti ai tuoi non tremavi così!
- Vabbè, quelli sono i miei genitori! - rise Jodie.
 
Dopo la proposta, io e Jodie, ci eravamo “fiondati” dai suoi genitori. Sua madre mi adorava e ogni volta che mi vedeva mi offriva biscotti, gelati e ogni sorta di prodotto alimentare. Suo padre e io rimanevamo seduti a parlare del più e del meno per molto tempo, e mi trovava simpatico; perciò dir loro che avevo intenzione di sposare Jodie, si rivelò un pretesto più che ottimo per festeggiare.
Mi invitarono a restare per pranzo e chiamarono quasi tutta la famiglia al completo. Furono dei momenti bellissimi. La loro accoglienza così calorosa mi faceva sentire, a pieno titolo, parte della loro famiglia.
Usciti da casa di Jodie, decidemmo di concederci una breve passeggiata per poi avvertire i miei parenti.
Ed eccoci lì.
Ogni volta che parlavo di Jodie, a casa, i miei genitori cercavano di cambiare argomento. Non la sopportavano.
Io ero figlio unico e volevano che scegliessi una ragazza migliore di lei. Jodie non era ricchissima e la sua famiglia non era importante. I miei non accettavano questo.
Sapevo che volevano il meglio per me, una brava ragazza e così via. Ma io amavo lei. Nessun’altra ragazza avrebbe mai preso il suo posto. Mai.
Come Jodie, anch’io ero preoccupato per la loro reazione ma non lo davo a vedere.
 
La convinsi, almeno, ad entrare in casa ed aspettare all’ingresso; io sarei andato a parlare con loro.
Accettò. Io mi diressi verso la sala da pranzo, dove mi aspettavano di solito.
 
Cosa dovevo fare?
 
Fissai la giovane Jodie.
Passeggiava avanti e indietro, evidentemente agitata per il “responso”. Fissò il grande orologio a pendolo che proprio in quel momento rintoccò le nove di sera.
 
Non riuscivo a smettere di piangere. Era così...
 
Le andai vicina, sicuro che non mi avrebbe visto: ero un estraneo in questo ricordo. Invisibile, mi venne quasi l’impulso di sfiorarle la rossa guancia.
Mi trattenni: sarei stato ancora più male.
 
Jodie rivolse lo sguardo verso di me. Come se... potesse... vedermi.
 
No, era impossibile.
 
Sempre fissandomi, inconsapevolmente, portò una mano ai suoi lunghi capelli scuri e con pochi gesti precisi ed eleganti li sciolse. Rigirò tra le dita il suo prezioso nastrino.
Il filo scorreva liscio e fluido tra le sue mani, quando notai... era arancione.
 
Cosa dovevo fare?
Dovevo rubarglielo?
 
- Sono qui, Jodie - annunciò l’altro Harry, avvicinandosi alla ragazza e prendendole le mani.
- Allora? Cosa... ? - chiese lei in ansia.
- C’è stato... un... problema... ecco...
- Cosa... ?
- I miei...
- Non sono d’accordo?
 
Restarono in silenzio. Mi avevano minacciato di non riconoscermi più loro figlio, se avessi sposato Jodie.
Mi avrebbero dimenticato. Non avrebbero più sentito parlare di me.
Sarei stato morto per loro.
Mi avrebbero perso.
 
Continuarono a fissarsi, consci di quello che stavano vivendo.
 
Gli occhi di Jodie cominciarono a riempirsi di lacrime.
- No, perché piangi? Non capisci?
Restò zitta.
- Non mi importa cosa pensano quei due. Io è con te che voglio stare! - disse Harry, convinto - Prendo i miei soldi e ce ne andiamo via da questo posto. Io e te. Non mi importa. Ci sposeremo.
Jodie accennò un sorriso e la tensione alle mani si allentò, lasciando cadere il nastro arancione.
 
Tutto cominciò a sfocarsi.
Avevo pagato il mio pegno: dolore.
Il nastrino giaceva ai miei piedi.
 
Lo raccolsi e lo avvicinai al naso, riconoscendo l’inconfondibile odore di Jodie.
 
Ma non potevo certo portarlo con me. Era da mettere nella porta.
Era per Cheryl.
 
E per la promessa che feci quattro anni fa, a mia moglie.
 
L’ultima sua volontà.
 
Proteggere nostra figlia.
 
 

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Capitolo 33
*** La Neonata ***


NOTE AUTRICE:
Fiuuu! Ce l'ho fatta XD La scuola mi sta uccidendo; ecco perchè solo ora ho il tempo di postare il capitolo. Sono già sommersa tra compiti e interrogazioni perciò credo che i capitoli arriveranno ma con leggeri ritardi rispetto al presvisto. Ma niente paura! ;)
Ah, questo è un bel capitolone, davvero importante.
La musica con cui ascoltarlo deve essere dolce e innocente questa volta; e ho per voi ben 3 track che DOVETE ascoltare :D :

http://www.youtube.com/watch?v=5KY60nP1RzM ( durante l'ennesima visione *_* )
http://www.youtube.com/watch?v=ulwVN4LkgaI&feature=related ( è considerato anche il Theme di Alessa e con lei ci sta a pennello :) )
http://www.youtube.com/watch?v=MVLZS-_Mh2U ( questo è non solo da ascoltare, ma anche da vedere; è il tema ufficialissimissimissimo di SILENT HILL, non chè tema anche della mia fic, quindi ;) questa musica in realtà andrebbe più verso la fine della nostra storia ;) )
Ed è tutto :)
Ah, devo consigliare due storie "interattive" a cui sto partecipando ma non centrano niente con Silent Hill; bensì, parlano di Hunger Games.
Le storie sono due:
Mirvan_Potter (che mi aveva chiesto di far girare la voce) con
  Noi siamo a Panem, e stanno iniziando i 59° Hunger Games 
e Elizha con  Fate il vostro gioco: che la 44esima edizione abbia inizio   
Sono due storie in cerca di tributi e, se siete interessati, potete prenderne parte.
Detto questo vi lascio alla lettura :)




La Neonata

 
Il nastrino arancione era al suo posto.
- Mai. Mai più - sussurrai, a nessuno in particolare. Presi il misterioso foglio e, quasi rivolgendomi a quell’oggetto “semi-animato”, continuai - Mai più questo genere di ricordi. Basta così.
Per tutta risposta il pezzo di carta tremò e le sue parole mutarono. Ora recava:

 
Io sono la seconda, sola tra gente senza un volto,
Una semplice umana catturata da un sogno senza colori...
Grido... per svegliarmi.
La mia voce affonda profonda sottoterra,
Ma solo la morte riesce a sentirmi e a vedermi.
 

Era strano ma quelle frasi mi ricordavano Cheryl in maniera straordinaria. La piccola semplice umana, afferrata da un sogno senza colori. Un incubo. Il nostro.
Lei era a Silent Hill, lontana da me. Ma nella stessa città! E la dimensione demoniaca.
Il pensiero di Cheryl inseguita da quelle infermiere, braccata da quelle scimmie o circondata da quei bambini mi faceva sentir male. E non era proprio il caso di arrendersi, non ora.
Altri cinque buchi da colmare e sarei uscito da quella maledetta stanza, che iniziava a sembrare sempre più piccola. O non era solo un’illusione?
Rilessi la poesia: il colore successivo era relativo ai quadrifogli. Il verde.
Verde. Verde. Verde.
Attorno a me vedevo solo sangue e ruggine. Non portavo addosso niente di quel colore. Ciò significava solo una cosa.
- No! Ti prego!
Portai le mani agli occhi, coprendomi la vista.
Sapevo perfettamente cosa mi aspettava se non avevo niente da offrire a quella porta. Quella voce... quelle scritte sanguinee mi avrebbero trascinato in una visione!
Sarebbe stato così facile? Cosa poteva prendere da me, in cambio? Non avevo niente con cui pagare... tranne il sangue, la vita o...
Cheryl?
 
No! Non dovevo aprire gli occhi! NO!
- Resisti - sussurrai - E’ solo un sogno.
 
Non potevo comunque ignorare quello stato di pesantezza e stanchezza che stava pian piano invadendo le mie membra e la mia mente. Dovevo restare lucido. Ce l’avrei fatta? Combattevo un nemico troppo forte, e lo sapevo; non avevo una minima speranza di sconfiggerlo.
Dovevo perdere i sensi, sentire la stanza vorticare. Ma non avvenne niente del genere.
Anzi, ad un tratto, quel senso di oppressione che mi affliggeva iniziò a dissolversi, riportandomi alla realtà. Ma dov’ero?
Fui costretto a sbirciare tra le dita ancora serrate.
La prima cosa che vidi fu... la luce. Luce vera! Luce naturale. Eppure, sapevo che non era affatto vera. Ero a Silent Hill, e lì il sole ha smesso di brillare.
Quindi... dove mi trovavo?
La luce aveva una meravigliosa sfumatura rosea: doveva essere l’alba.
Mi convinsi e lasciai cadere la mani lungo i fianchi e osservai per bene il posto in cui ero capitato. La luce quasi mi accecò all’inizio, ma quando misi a fuoco tutto notai di essere in prossimità di un piccolo boschetto. La terra attorno a me era viva e splendente. Terra! Erba!
Non ci pensai su due volte: mi piegai e cominciai a raccogliere quanti più fili d’erba possibili. Ne avevo le mani completamente piene quando qualcos’altro catturò il mio sguardo. Davanti a me era appena passato qualcuno.
Una persona sconosciuta, per fortuna.
Riuscii a vederla di spalle. Era di statura bassa. Troppo. Ah, era un bambino!
Identificata la figura, anche se abbastanza lontana da me, mi misi subito in piedi e la seguii: se la visione non era ancora finita voleva dire che dovevo fare ancora qualcosa. La piccola figura camminava lenta. Avvicinandomi ancora di più, la riconobbi come una piccola bambina, sola, che camminava verso la fine del boschetto, verso un campo d’erba aperto e soleggiato dai primi raggi della mattina.
Non c’era nessuno tranne lei.
Aveva i capelli lunghi e neri raccolti in una coda di cavallo e indossava...
- O mio dio! - sussurrai portandomi una mano alla fronte.
Quel grembiule azzurro! Quei capelli!
- Alessa?
Era lei? Davvero?! Ma... sembrava più piccola! Tutto questo doveva essere accaduto qualche anno fa!
Poteva anche non essere lei: quel grembiule era abbastanza comune, forse, tra i bambini di Silent Hill. E Alessa non era certo l’unica ragazza che usava raccogliere i propri capelli.
Dovevo guardarla in faccia e non avrei più avuto dubbi a riguardo.
Sembrava così piccola in confronto all’adolescente che avevo incontrato nella realtà. Doveva avere sei, sette anni al massimo.
 
Non si poteva negare che quella bambina/ragazza era abbastanza strana.
Alessa... la ragazza che mi tormentava. La ragazza dell’ospedale. La bambina presa in giro dalle compagne di scuola. La bambina tanto somigliante a Cheryl.
 
La raggiunsi dopo una breve corsetta e le fui subito accanto.
 
La prima cosa che feci fu guardarla negli occhi. Due grandi occhi blu e penetranti. Erano i suoi, non c’erano dubbi. Aveva un’espressione solenne ma calma: guardava davanti a sé con assoluta certezza; una certezza che è quasi impossibile ammirare su volti di bambini così piccoli. Sembrava determinata a fare qualcosa. E, oddio, assomigliava moltissimo alla mia Cheryl.
 
Mi bloccai, per poi sussultare.
 
Teneva qualcosa tra le braccia.
 
Qualcosa che si muoveva. E miagolava. Una specie di fagotto di vestiti sporchi.
 
La piccola Alessa, notati gli strani movimenti e suoni, scosse le braccia facendo tremare qualunque cosa stesse portando. Una cosa viva!
Poteva essere una animale.
 
Si dirigeva verso una specie di radura e io continuavo a seguirla.
 
I miagolii divennero sempre più insistenti; qualunque cosa fosse stava soffocando.
Dopo qualche passo, i suoni raggiunsero il culmine: scoppiò un pianto!
 
Un pianto dall’aria inequivocabile.
 
Alessa si fermò e sbrogliò la matassa di stracci per scoprire la causa di tutto quel trambusto.
 
Sapevo cosa stava trasportando; potevo anche non guardare.
 
Un neonato fece capolino tra le mani della bambina. Il piccolo continuava le sue lamentele mentre Alessa lo fissava, quasi con intensità. Appena i loro sguardi si incrociarono, il neonato smise di piangere per ricambiare l’insistenza di quegli occhi blu e profondi.
 
Era una visione quasi ridicola. Alessa, ancora bambina, che teneva tra le braccia un neonato, poco più grande di lei. Quasi non riusciva a tenerlo in braccio.
Ma...
Dove aveva preso quel bambino? Era suo fratello, o sua sorella? E dove lo stava portando?
 
- Sei triste? Sei triste perché sei lontana da casa? - sussurrò Alessa alla neonata.
Nessun  suono.
Riprese:
- Non ti preoccupare, piccina. Andrà tutto bene.
Ricominciò a camminare.
Il pianto si era spento del tutto; ora, la neonata, stringeva il pugno paffuto attorno al fiocco rosso che Alessa usava, già da piccola, portare al collo. La piccola non dimostrava più di poche ora, ma era davvero graziosa. Da dove diavolo l’aveva presa Alessa?!
 
Cominciai a fissare la neonata. Aveva dei bellissimi occhioni scuri, così in contrasto in confronto a quelli di Alessa e Dahlia Gillespie. Aveva occhi solo per la sua accompagnatrice, Alessa; chiudeva le palpebre raramente, tanto da sembrare incantata.
La bambina cercò di coprire la testa della piccola, circondandola con una coperta ma appena il contatto visivo della neonata cominciava ad offuscarsi ripartivano i lamenti; così, Alessa decise di circondarle solo il collo, giusto per ripararla da colpi di vento improvvisi. Poi, dolcemente, cominciò a canticchiare una affascinante melodia alla piccola che, in certi punti della canzone, ci metteva un piccolo strilletto d’approvazione e felicità.
Non potevo saperlo per certo, ma sembrava estate.
 
La marcia sembrava non essere ancora finita.
Mi fermai un secondo e aprii la mano... per ammirare i fili d’erba diventare secchi nel giro di pochi secondi.
Era una cosa possibile?
Mi voltai: tutto dietro di noi, aveva assunto una sfumatura grigia e...
Non potevo negare l’evidenza: la nebbia aveva invaso tutto quello che ci eravamo lasciati alle spalle.
- Oddio, com’è possibile?! E’...
Tutto quello che sprigionava vita era solo un cumulo d’erbacce o foglie secche. La foschia sembrava aver inghiottito tutto.
Il verde! Non avevo più niente di verde!!
 
Ritornai al fianco di Alessa. Sembrava lei! Era come se lei fosse in grado di eliminare ogni briciola di vita o colore a quello che la circondava. E sembrava trascinarsi quell’incombente nebbia, alle mie spalle.
Era merito suo?
O...
No, era solo un neonato. Chi, ancora non si sapeva.
 
Dopo qualche minuto, il loro cammino si interruppe. Erano arrivati in quella radura e, poco distanti da loro, si trovava l’autostrada. Davvero un posto insolito per due bambine sole.
Alessa allontanò dal petto la piccola e, stese le braccia di fronte ai suoi occhi, la tenne sospesa. La piccina iniziò a gemere, sentendo la mancanza del calore di Alessa. Poi... bam! Ricominciò a piangere e a strillare, più di prima.
Alessa la riavvicinò a sé e la baciò sulla fronte, sussurrandole:
- Non piangere, non piangere. Tornerò. Tornerai.
Ora era Alessa sul punto di scoppiare in lacrime. Le stava dicendo addio? E come aveva intenzione di... ?
No! Non poteva ucciderla!
- Shhhh - sibilò al suo orecchio - Torneremo insieme, vedrai. Insieme, presto! Non... non... non piangere. Torneremo a giocare insieme, lo giuro. Devi andare, piccola mia.
Le costava una fatica enorme. Non avevo mai visto così tanta sofferenza in una bambina, o in Alessa stessa, prima d’ora. Sembrava una madre che dice addio al proprio figlio. Una cosa impensabile, nel suo caso: Alessa non poteva essere madre a soli sette anni.
Forse era sua sorella, chissà.
La bambina tirò su col naso; stava per piangere. Strinse forte la piccola e, dopo un altro piccolo bacio, la coprì il volto con le coperte e la posò per terra.
La neonata ricominciò a piangere... e non era la sola, adesso.
 
Alessa corse via per qualche metro, poi si acquattò dietro un arbusto -sorprendentemente non ancora morto- e affondata la faccia tra le ginocchia, iniziò a singhiozzare violentemente.
 
Poi ci fu un lampo.
Una luce rossa avvolse la scena. Mi trovavo sempre nello stesso punto, ma qualcosa era cambiato: il cielo. Era tramonto.
Alessa era ancora dietro il cespuglio e teneva nelle mani quella che sembrava una coroncina di fiori.
Verde! Dovevo prendergliela.
 
Appena mi mossi verso di lei, ricordai. La neonata.
Oh, era ancora lì che piangeva con insistenza. I suoi lamenti sembravano strazianti; era sul punto di morire. La sua voce si era leggermente affievolita.
- Ah, ora! - sentii. Alessa si era messa in ginocchio e rivolgeva il suo sguardo verso la piccolina.
E verso qualcun altro. Una donna. Una donna che strillò e poi esclamò:
- Harry! Corri presto! C’è... qualcosa qui!
 
- No - sussurrai.
Era ancora lei, ancora Jodie. Questa volta più grande.
Vidi me stesso raggiungerla ed esaminare il fagottino di coperte.
 
- No... non può essere.
- Controlla Harry. Fa dei versi strani e... ho avuto paura! - disse Jodie.
 
Cheryl.
Quella neonata era Cheryl!
 
Il pianto cessò, al mio sguardo.
- E’ stato abbandonato qua? Meglio cercare la madre, potrebbe essere nei paraggi - disse l’altro Harry con in braccio la bambina.
Alessa si abbassò ancora. Sorrideva.
Era stata lei? Lei... sapeva?
 
- No... è impossibile.
 
- E’ una bambina, Harry. Ed è bellissima.
- Non ho trovato nessuno qua vicino; chiunque l’abbia abbandonata sarà già lontano. Come si fa a lasciare sola una bambina come questa?!

Si guardarono. Felici. Il loro sogno si era realizzato.
 
- Cheryl. La chiameremo Cheryl.
 
 
- No.
 
Qualcuno mi stava tirando il braccio: Alessa.
- Cercavi questa? - disse porgendomi, con un inquietante sorriso, la sua corona di fiori ancora freschi.
La raccolsi, ma la mia mente era altrove.
 
Alessa. Quella ragazza. E’ stata lei ad abbandonare Cheryl... perché sapeva che l’avrei trovata?!
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 34
*** Un'Ambigua Parentela ***


Un'Ambigua Parentela
  

Ero tornato nell’inquietante stanza; davanti a me vedevo però Jodie e me con la piccola Cheryl in braccio. Ancora. per quanto tempo quella visione avrebbe turbato i miei sogni?
 
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Come quando ci si risveglia dal peggiore degli incubi e ancora non si riesce a distinguere la realtà dalla finzione... ecco come mi sentivo in quel momento.
 
Era tutto sparito, attorno a me. Sebbene fossi certo di essere tornato ad essere solo, mi sentivo osservato come mai prima d’ora. Potevo quasi scorgere quello sguardo magnetico puntato su di me. Gli occhi di Alessa. La piccola Alessa.
- Come può essere... ? Alessa ha portato là Cheryl sette anni fa? No. No!
Ma allora cos’era? Chi era?!
Chi era Cheryl, a questo punto?
- Pensa... ci deve essere...
 
Rimuginai sulla visione. E su quello che sapevo di Alessa Gillespie.

 
Alessa.
L’avevo incontrata numerose volte in città e avevo avuto anche molte visioni su di lei. Si era salvata dall’OtherWorld, non era un mostro - anche se sua madre la definiva un “demone”. Aspetta, aspetta! Lei mi aveva guidato per Silent Hill, quindi...
Ah, l’avevo incontrata nella Midwich, che disegnava lo strano simbolo religioso sui muri e sul pavimento del cortile.

In una visione l’avevo vista alzarsi in volo da dei gradini.
 
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In un'altra l'avevo vista essere presa in giro dalle sue compagne di scuola.

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La chiamavano “strega”.
Doveva aver sofferto parecchio, per essere solo una bambina. Oh, somigliava così tanto alla mia Cheryl... se non fosse per i capelli lunghi...
 
Ma era stata lei a causarmi l’incidente d’auto, al nostro arrivo, e molto probabilmente era stata lei a portare via mia figlia. Era stata lei, fin dall’inizio!
Avevo trovato il suo diario e una sua fotografia nell’ospedale. Accidenti! Avrei dovuto raccoglierli! Comunque, ciò provava che era stata ricoverata lì, lontana da tutti in una stanza senza finestre e senza luce. E Kaufmann la conosceva. Perciò... conosceva anche Dahlia!
- Ma perché mi nascondono tutte queste cose?! Per chi mi hanno preso? Non voglio immischiarmi nei loro piani demoniaci ma non possono tenermi all’oscuro di tutto! - urlai alle pareti - Ho paura di tutte queste creature e della gente morta! Ma dovrei iniziare a preoccuparmi più per i vivi che ho incontrato qui.
Ricordai... appena arrivato in città, la vista di altro essere umano normale, come Cybil, fu capace di infondermi voglia di continuare e coraggio.
Ma Cybil era morta adesso. L’avevo uccisa io. E quella ragazzina.
 
Nell'ultima visione la strana coltre di nebbia sembrava seguirla, come un fedele segugio.
Riguardava lei?
Chi era per riuscire a fare tutto questo? Era davvero il demone di cui Dahlia parlava?

 
- Aspetta! Ricordo che Lisa mi raccontò la storia della città. Mi disse anche che... incredibile - sussurrai.
Ricordai le sue parole. Le avevo impresse nella mente.

 
 
"Non ti sorprendere se vedi quella signora un po’ scossa e fuori di sé. Ha perso sua figlia sette anni fa in un incendio. E’ stato orribile per la città intera, figurati per lei!"
 
Aveva perso sua figlia. Sua figlia era Alessa, no?
Sette anni fa. Sette. Sette anni fa trovai Cheryl in mezzo alla strada e la accolsi in famiglia insieme a mia moglie.
Era tutto collegato?
Un incendio? Ma Alessa era viva.

 
Alessa poteva essere la sorella di Cheryl.
Non sua madre, però.
 
A meno che...
 


"Davvero pensavi di poter scappare dal nostro incantesimo? Pensavi di scappare via da tua madre, dalla tua città?"
 

Dahlia...
Alessa cercava di scappare da Silent Hill.
 

"Mamma non sapeva che eri cresciuta così tanto... non sapevo che eri diventata così bella. Non avevo la minima idea di come tu fossi, fino ad ora. E non sapevo neanche di quanto fossi, al tempo stesso... piccola e ingenua".
 
Alessa cercava di salvare Cheryl? O salvare me?
Al tempo stesso... piccola e ingenua... come un bambino...
 

"Ma che coincidenza, vero Alessa? Ora sei, solo per metà, in debito con questo uomo!"
 
Dahlia...
Sapeva... che sua figlia era... ma se... ?
 
Solo per metà?
 
In debito con me?
Era... ?

 
Poteva essere? Alessa era la madre di Cheryl? La stava proteggendo?
Da cosa?
E come poteva essere sua madre!? L’avrebbe generata e partorita a sette anni?! Era una cosa disgustosa e perversa! Non riuscivo nemmeno ad immaginarmela per quanto mi facesse star male.
 
 
Uno strano calore pervase la mia mano sinistra. Il fogliettino recava:
 

Io sono la terza, il capo,
Una sentinella pronta per il Risveglio...
Come una fiaccola, terrò stretta la verità.
Le ombre mi scivoleranno addosso...
Un occhio rapido seguirà la catena dei miei pensieri,
Fin quando il silenzio finirà.

 

Quasi profetico, ma a quel punto la poesia non mi destava più il timore che avrebbe risvegliato in me una volta. Ora tutto si concentrava su Alessa.
Alessa... mi stava aiutando? O mi stava semplicemente facendo perdere tempo con tutti questi indovinelli; sapevo che era lei la causa di tutto. Solo che... non riuscivo a spiegarmelo. Ma ci sono cose in cui è meglio credere e basta. Questa era una di quelle.
 
La coroncina di fiori che stringevo nel pugno della mano destra erano ancora freschi... eppure era solo un’illusione. Una bellissima illusione.
 
Mi ricordavano casa... sempre più lontana.
E mi ricordavano Cheryl. Se Alessa era la sua vera madre, probabilmente, era in buone mani. Ma strapparmela così, senza preavviso e così violentemente, non faceva presagire nulla di buono.
 
Esaminai i fiorellini nel silenzio più totale.
Erba intrecciata, denti di leone e violette. Tre in uno.
Mi sentii sollevato. Questo non faceva altro che farmi risparmiare tempo... e visioni.
Ci misi un po’ a slegare tutti i nodi fatti presumibilmente dalla piccola Alessa quasi sette anni fa; una volta terminata l’opera li inserii rispettivamente nei buchi giusti.
La porta, inizialmente vuota e bianca, cominciava ad assumere uno strano colore con tutti quegli oggetti. O era solo una mia impressione?
 
Mancavano solo due caselle. Due.
Il nero fraterno del sonno eterno e necessario degli uomini: la morte.
Nero. E’ quello che aspetta davvero, dopo questa vita? Il nero?
Nero.
La notte in cui Cheryl fu strappata via da me... ricordo come nel cielo non fosse presente una sola stella. Tutto era nero. Mancava persino la luna.
Nero.
Dovevo trovare qualcosa di nero, per non cadere ancora schiavo di memorie mie o di altrui.
Nero, nero, nero... nero.
La mia pistola era nera, ma non avevo la minima intenzione di lasciarla.
Flauros... no. La strana bottiglia... no.
Avevo in tasca ancora la mappa della città. Mi sarebbe potuta tornare utile.
Sopra la camicia portavo una maglietta nera. Se fossi riuscito a strapparne via un pezzo sarebbe stato fantastico.
Non trovai il coltello, perciò optai per i denti e dopo qualche buon minuto riuscii a tirare via un bel po’ di stoffa e qualche goccia di sangue in bocca.
 
Nero. Fatto.
 
Adesso mancava la... tempera scarlatta dei polsi.
Sangue.
Questa era facile.
 
Un sacrificio.
 
Per fortuna ero già ferito. Avevo ancora un buco all’altezza delle spalle che talvolta mi provocava fitte allucinanti; era frutto della battaglia contro “Cybil” e la sua pallottola giaceva ancora tra la mia carne.
Chissà che infezione ne sarebbe uscita fuori...
 Avvicinai la ferita al buco e con la mano sinistra iniziai a spingere la carne fino a far scaturire una specie di “fontana” di quella tempera scarlatta.
Ad ogni goccia di sangue che perdevo e che si depositava nella rientranza, vedevo le mie speranze di scappare affievolirsi sempre più; non solo avrei avuto le idee su Alessa e Cheryl ancora più confuse di prima, ma mi sarei sentito anche più debole!
Avrei potuto utilizzare lo strano liquido profumato della bottiglia... ma il sangue sembrava più adatto.
 
Finito.
Avevo finito. Avevo terminato l’indovinello. Ce l’avevo fatta!
La rientranza era piena di sangue, che iniziò anche a gocciolare dal bordo di legno.
 
Fatto.
 
Posai la mano, ancora insanguinata, sulla maniglia. Avrei potuto uscire da quella maledetta stanza.
Sì.
 
Bam. Bam. Bam.
 
- Cosa?
La porta non si mosse.
Riprovai, più forte.
 
Niente.
Bam.
 
Sbatteva... ma non si apriva.
 
Era... stato tutto completamente inutile?
 
Presi a calciare il legno immacolato.
- APRITI! DANNAZIONE! FAMMI USCIRE! - gridai, raschiandomi la gola.
 
Ferma.
 
Sarei rimasto lì a morire dissanguato?
- Aiutami... per Cheryl... ha... bisogno...
 
Avrei desiderato ardentemente svenire e risvegliarmi da qualche altra parte... ma stranamente mi sentivo molto sveglio. Era la fine.
- Aiutami - sussurrai. Lasciai cadere il foglietto... non prestai neanche attenzione alle sue parole, che mutarono ancora:
 

 
Accendi le luci... e ti vedrò.
 
Fa’ un suono... e ti sentirò.
 
Se pensi sia spaventoso perderti... allora, aspetta solo che venga a prenderti.
 

 
- Ti prego...



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Capitolo 35
*** Benvenuti nel Nowhere ***


"Benvenuti Nel Nowhere"
 

- Ti prego... apriti.
Avevo pagato il mio tributo col sangue, il “liquido scarlatto che fuoriesce dai polsi”, ma allora perché la porta non aveva intenzione di aprirsi?
Era stato tutto inutile?!
La piccola rientranza era inzuppata del mio sangue. Mi sentivo la testa girare, mi sentivo male.
- Voglio mia figlia! E devo... entrare!
Parlare mi costava una forza incredibile, perciò decisi di sussurrare brevi frase, a volte senza senso, contro quel pezzo di legno e sperare che fosse solo questione di tempo. Feci mente locale e analizzai ogni buco per bene: i colori erano giusti, tutto combaciava.
 Il sangue! Il sangue!
Il sangue, no!
Sussurrare contro la porta, comunque, non mi avrebbe portato da nessuna parte. Mi sentivo intorpidito... ma dovevo rimanere sveglio!
Rosso.
Rosso.
Vuole il rosso.
Vuole il sangue.
E lo avrà.
Mi avvicinai barcollando alla serratura e mi inginocchiai, facendo in modo che la spalla ferita, che trasudava sangue, toccasse e imbrattasse la lucida maniglia di tempera rossa. Il pomello si tinse di rosso... ma ancora niente: la porta era immobile.
Ne voleva ancora?
Fu uno strazio rimettersi in piedi, ma ce la feci lo stesso. Digrignai i denti per il dolore e, con la testa che doleva ancora di più e la spalla che sanguinava copiosa senza sosta, poggiai le fresca ferita contro il legno immacolato, colorandolo di sangue. Dopo qualche minuto di estrema agonia e di puzza di ferro, riuscii a rendere la porta completamente rossa.
Ammirai, ansimante ma soddisfatto, il mio lavoro: la porta era irriconoscibile.
La ferita sulla spalla aveva assunto uno strano color nero. Mi ero procurato qualche bella infezione, sicuramente, e il proiettile era ancora nella carne.
Afferrai un lembo di pelle rossastro accanto al buco della spalla e cercai di fermare il sangue, che adesso creava rivoli giganteschi e mi stava sporcando tutti i vestiti; se qualche mostro avrebbe fiutato l’odore del mio sangue, ne avrei avuti addosso a centinaia, anche con la torcia spenta.
- Ah - mi lasciai sfuggire, gemendo, esaminata la ferita.
Lo facevo per Cheryl
Lo facevo per uscire da Silent Hill, per tornare a casa con mia figlia.
E per... per...
Cheryl... forse lei stava bene senza di me, con Alessa. Ma Alessa era con Dahlia, adesso. E non mi sentivo per niente sicuro nel lasciare mia figlia nelle mani di una donna del genere!
- Ora... devi ap... apriti... ti prego...
 
La porta.
Rossa del mio sangue.
 
- Ti...
 
Il pomello gocciolava tempera rossa.
 
- Prego...
 
Cheryl. E le risposte. Era là dietro.
 
- Ti...
 
E Alessa mi avrebbe portato a lei.
 
- Prego.
 
 
Click
 
A quel suono, alzai gli occhi al cielo e sussurrai:
- Grazie.
All’improvviso il dolore sparì. Ora ero solo io e ciò che si trovava aldilà di quella stanza.
Non esitai oltre: posata la mano sporca di rosso sulla maniglia scivolosa, mi feci coraggio e aprii quella maledetta porta, che tanto mi aveva fatto ricordare e soffrire.
Mi ritrovai in una stanza d’ospedale.
- Qui ci sono già stato.
La stanza d’ospedale dell’Alchemilla, quella sotterrane, difficile da raggiungere.
Riconobbi subito il macchinario, il diario, la foto, le coperte sporche e sbrindellate.
La stanza di Alessa Gillespie.
 
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- Ma cosa ci faccio qui? O meglio, cosa ci fa la stanza qui? Non sono all’Ospedale, no? - sussurrai muovendo qualche passo barcollante - Non sto impazzendo.
Era tutto come l’avevo lasciato. O no.
Non ricordavo pezzi di corda per terra e... un pastello azzurro sotto una sedia.
Barcollai là vicino e raccolsi il colore; non mi sarei sbagliato: quello era uno dei colori che avevo regalato a Cheryl per il suo quinto compleanno, insieme all’album da disegni. Era stata qui. Nella stanza di Alessa.
Ah, il suo diario. Era sulla sedia.
Lo raccolsi.
Ritrovai facilmente le pagine che avevo letto tempo prima, ma non m’interessavano più adesso.
Dovevo sapere... Cheryl...
 
 
12 Febbraio
Ho visto le pareti piangere sangue e mi sono sentita male; credo di avere ancora le visioni: mamma aveva detto che dovevano sparire con l’età, ma peggiorano soltanto. Ricordo che sette anni fa erano brutti come adesso: vuol dire che succederà qualcosa?
 
13 Febbraio
Dal soffitto arrivano strani rumori: non mi hanno portata in un manicomio? Sento urla e voci. E rumori metallici. Potrei giurare di aver visto, appena sveglia, un tizio incappucciato girare delle strane valvole e manopole. Ho paura, il buio mi terrorizza; ma nella mia stanza non ci sono finestre o luci. Peccato.
 
13 Febbraio, ancora
Ho sentito il letto tremare e mi sono svegliata. Mi fa molto male la pancia... ho trovato tracce di sangue fresco sulle lenzuola. Era mio sangue? Cosa succede? Mi era capitato anche qualche anno fa... ma ora...
 
20 Febbraio
Sto male. Stamattina ho vomitato bile. Credo che lei sappia. E’ andata a trovarla, stava uscendo da scuola con suo -----. Non ha potuto fare niente, l’ha solo vista. Ha detto che sembrava felice. Quando me l’ha detto sembrava davvero arrabbiata.
 

 

- Stava parlando di Cheryl? Ci teneva d’occhio? - sospirai, rileggendo le pagine - Meglio portarlo con me.
Mi avvicinai anche alla foto di Alessa. Identica a quella bambina della mia visione; non c’erano dubbi: era stata Alessa, sette anni fa, a portare via Cheryl da... da... Silent Hill?
Cheryl era nata qui?!
Sembrava una cosa quasi impossibile da immaginare. Ciò significava che sette anni fa, la città era normale! Setta anni fa... sette anni fa...
Setta anni fa, Alessa Gillespie fu creduta morta. Ma come poteva essere?! Aveva scritto quelle pagine di diario!
 
Ciò voleva dire che forse Alessa era la causa di tutto questo. O meglio... l’allontanamento di Cheryl poteva aver portato la città in quello stato.
Lisa aveva detto... detto... che
 
"Un tempo la città era una meta turistica molto famosa. Tutto era tranquillo. Ma certa gente seguiva una strana religione. Uno strano culto, una setta. Praticavano riti, magia nera e altre cose brutte. Molti giovani della città morirono inspiegabilmente e la gente pensava fosse una maledizione divina... suicidi, omicidi e sparizioni erano di routine a Silent Hill".
 
I giovani? I bambini?
Alessa aveva portato via Cheryl per quello. Per quella strana Setta, quasi satanica?
 
La stava proteggendo?
 
 
 
Fuuuu - fuuuuu-----
 
Sentii uno strano suono metallico ed ebbi quasi la sensazione che qualcosa sotto il pavimento... si stesse muovendo.
Tremava tutto!
 
 
Driiin!
 
Aspetta! Questo era il campanello di un...
- ... ascensore? - sussurrai.
 Messe in tasca la foto e il diario, mi diressi verso la porta; la aprii e rimasi a bocca aperta: davanti a me c’era un ascensore! Ero già dentro l’ascensore!!
- E’ il posto. E’ tutto questo... non sono io.
Entrai, lasciandomi alle spalle la stanza di Alessa.
La porte si chiusero in automatico e fui invaso da una strana luce artificiale. Era un comunissimo ascensore. Chissà dove mi avrebbe portato però!
Non c’erano pulsanti. Non potevo fare altro che aspettare succedesse qualcosa; come previsto, l’ascensore iniziò a muoversi ad una velocità un po’ troppo elevata verso il basso. Sembrava stesse precipitando. Afferrata una delle sbarre di ferro, mi ressi forte e chiusi gli occhi: mi veniva da vomitare!
 
Stavo perdendo me stesso.
Stavo perdendo la concezione della realtà.
Dove stavo andando a finire?
Dov’era Cheryl?
Perché Alessa cercava di aiutarla... ma aveva trasformato la città in un Inferno vivente?
 
Dove mi stava portando tutto questo?
 
Driiii
 
Aprii gli occhi. Le porte metalliche non si erano ancora spalancate ma notai qualcos’altro. Una scritta... fatta di sangue... davanti a me... sul metallo.
 
NOWHERE
 
Nowhere?
“Da nessuna parte”?
 
O Now Here?
“Ora qui”?
 
Non prometteva niente di buono. Ora ero nel cuore dell’Incubo... e avrei fatto di tutto per svegliarmi.
 
- Benvenuto nel Nowhere, Harry. Dove la logica non esiste... - sussurrai.
Le porte si spalancarono, nascondendo la scritta.
- ... e dove niente è quello che sembra.


NOTE AUTRICE:
Lo so, non ditemelo... sono in ritardo XD Sì la puntualità non è mai stata il mio forte. ma l'importante è esserci, no?! XD
Ecco un bel capitolo... che non trovava mai il tempo di essere postato e che mi ha fatto sudare un bel po'.
Enjoy it! :D

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Capitolo 36
*** Fino Alla Morte ***


Fino Alla Morte
 

Quando le porte metalliche si spalancarono automaticamente, cigolando e tremolando, rivelarono un folto strato di nebbia. La stessa nebbia che avevo incontrato tra le strade di Silent Hill.
- Questo è semplicemente impossibile - ridacchiai, alzando lo sguardo - Non posso essere tornato per strada.
Ero proprio da “Nessuna-Parte”.
Come se qualcuno mi avesse sentito, le porte si richiusero con un tonfo, mentre l’ascensore riprese la sua vertiginosa discesa verso l’Inferno.
La mia testa sembrava sul punto di scoppiare, sentivo male dappertutto... e forse soffrivo anche di allucinazioni. Sentivo... un leggero... profumo di fiori. Ah, forse era per via dello strano liquido rosso, imbottigliato all’ospedale, che avevo ancora in tasca. Tirai fuori la minuscola bottiglia e riesaminai il contenuto: la strana poltiglia purpurea era ancora lì ma sulla superficie si era creata una strana patina più scura, come se il liquido si stesse lentamente solidificando.
Presi ad agitare il liquido, fino a far ritornare tutto come prima.
Davanti a me la scritta “NOWHERE” aleggiava più misteriosa e pericolosa di prima.
Forse stavo solo impazzendo. O stavo diventando paranoico.
Cheryl... questa città ti stava chiamando sin dall’inizio. Ma ne eri consapevole?
 
Le porte si decisero a riaprirsi... ma l’ascensore era ancora in movimento.
Un fiotto d’aria gelata attraversò il cubicolo e mi colpì dritto in faccia per diversi minuti, fino a farmi sentire ancora più debole e indolenzito di quanto non fossi prima.
Poi... stop.
L’ascensore si arrestò. Ero arrivato?
 
Ero... in quello che sembrava un corridoio d’ospedale, perfettamente identico a quello dell’Alchemilla. Uno strano mugolio proveniva da dietro un angolo... e il rumore inconfondibile di tacchi a spillo riecheggiò dappertutto: infermiere!
- NO!
Non ero pronto ad una lotta, per di più non volevo sprecare proiettili. Cercai di chiudere con la forza le porte di ferro, ma erano irremovibili. Intanto il suono si faceva sempre più distinto e terribile.
- Ti prego! - sussurrai sudando freddo.
 

Quando quell’uomo... si trovava in difficoltà... o in pericolo...
Non potevo, era più forte di me! Io cercavo solo di salvarlo, e avrei fatto di tutto pur di non lasciarlo entrare in questo mio Regno di Sangue.
Ma ci sono cose che non posso controllare, anche con tutto il potere che sento fremere dentro di me.
La sua volontà. Non mi era concesso intromettermi.
Il suo amore. Tutto per sua figlia.
Dove può arrivare questo potente sentimento? E fin dove può arrivare un uomo per amore?
Quando... Harry... cercava aiuto... io, come suo custode, dovevo aiutarlo.
Come lui aveva cercato di proteggermi, io dovevo ricambiare il favore per dieci.
I suoi brividi erano i miei, le sue paure anche; ogni sua sensazione, io l’ho provata, seppur per brevissimo tempo. E lo sentivo, sempre, accanto a me.
Anche se non fisicamente presente, potevo salvarlo.
Fino alla morte. Quell’uomo avrebbe combattuto fino alla morte per sua figlia.

 
Silenzio.
Fu improvviso e inaspettato, ma quello che percepii dopo i miei vani tentativi di chiudere la porta, fu solo semplice silenzio. Nessun rumore riecheggiante, nessun lamento. Ero salvo, per ora.
Era strano: l’odore del mio sangue ne avrebbe attirati a centinaia... ma ora sembrava che la strada fosse sgombra. Ma appena misi un piede fuori dall’ascensore, quasi a dispetto, le porte si chiusero con uno scatto; per fortuna tirai indietro la gamba prima di ritrovarmi zoppo, appena in tempo per sentire il familiare suono di sfrigolio dell’ascensore in caduta libera.
La fermata successiva, e definitiva, avvenne ancora davanti al tetro paesaggio della cittadina nebbiosa. Ancora.
Probabilmente dovevo scendere, per davvero. Anche se era impossibile che mi trovassi in superficie, se l’ascensore, senza tasti o pulsanti, era soltanto sceso. Comunque...
Forse le infermiere erano un avvertimento. Per fortuna le strade sembrava prive di qualsiasi essere vivente.
- Chissà, poi, se è un bene o no... - sussurrai sparendo nella bianca coltre.
Non vedevo niente. Era impossibile anche riconoscere gli edifici, pallidi e lontanissimi da me.
Come avrei fatto... ferito e debole, ad uscire da quell’incubo?
Strani sussurri, lamenti indefiniti, parole di dolore... la città non era deserta, o non lo era stata mai del tutto. I mostri... sì, potevano essere loro. Ma c’era qualcos’altro. La sirena non aveva ancora suonato, buon segno.
Ma... un acre e strano odore mi colpì. Odore di carne bruciata. Sì.
Cercai di seguire la sgradevole scia, tenendo fuori dalla mente la visione di Cheryl nelle mani di...
Se le fosse successo qualcosa...
La puzza diventava sempre più nauseabonda.
Notai che passo dopo passo, il cielo grigio sembrasse tendere al nero... sempre... sempre di più, fino a quando fui costretto ad accendere la piccola torcia, tanto era buio l’ambiente. Non riuscivo, comunque, ad illuminare granché: non vedevo niente, se non l’asfalto polveroso su cui camminavo con passo sempre più incerto. E chissà dove sarei andato a finire!
Poi... lontana... un piccolo bagliore rossastro mi colpii... dovevo raggiungerlo, ma non riuscivo a correre con il corpo in preda a strani spasmi e dolori lancinanti. Mi limitai ad accelerare lievemente il passo, e ad aguzzare la vista per quella luce scarlatta sempre più grande e nitida.
Dopo qualche minuto, scoprii il fulcro di tutto quello... era una casa, in fiamme. Davanti ai miei occhi.
Ero da solo ma a debita distanza, davanti all’edificio che bruciava e cominciava a sgretolarsi come se fosse un castello di sabbia al vento. Non sentivo il calore emanato dalle fiamme. Forse...
Era uno spettacolo orribile ma affascinante allo stesso tempo.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dalle lingue di fuoco che stavano distruggendo la casa, la loro vista non mi feriva, anzi, sembrava dar pace ai miei occhi.
 
 

"Non ti sorprendere se vedi quella signora un po’ scossa e fuori di sé. Ha perso sua figlia sette anni fa in un incendio. E’ stato orribile per la città intera, figurati per lei!"
 
Ancora le parole di Lisa... e ancora Alessa. Era “morta” in questo incendio? Ero nella Silent Hill di sette anni fa? Ero in un ricordo... un suo ricordo?
 
Non soffiava il vento. Ma, attorno a me, la polvere e probabilmente la cenere sull’asfalto, si sollevò a mezz’aria e iniziò a vorticare sempre di più, come piccoli tornadi.
Io non sentivo niente: né il calore, né il loro suono... era come assistere ad una pellicola muta. Tutto taceva, sentivo solo i battiti del mio cuore e il mio respiro. Nient’altro.
La polvere, nel suo vorticare incessante, sembrò assumere delle strane forme... sempre più concrete, fino a quando si “incarnò” in quelli che sembravano uomini, in strane divise. Si muovevano a rallentatore, presi dalla situazione, eppure non erano reali. Notai che indossavano uniformi da vigile del fuoco.
Muovevano le labbra, muti alle mie orecchie, e avvicinandosi sempre di più alla casa in fiamme, muovevano le mani davanti al viso, come se davanti a loro ci fossero degli insetti particolarmente fastidiosi. Ma un altro vortice, più piccolo degli altri e anche più lontano, accanto alle fiamme, mi destò interesse: una figura umana, piccola e... completamente ustionata, giaceva immobile, proprio davanti alla porta.
Capii che i pompieri erano diretti alla figura, che poteva appartenere ad un bambino.
Senza capelli, gli occhi chiusi, la pelle nera, sangue e pus... ma il petto che ancora si gonfiava.
Che sia... ?
- Alessa... ? - mormorai.
 

Bam!
Tutto diventò bianco.
Accecante.
Strizzai gli occhi, la luce era davvero intensa.
Oddio, forse definirla luce non era corretto. Tutto attorno a me... era semplicemente bianco. Dal nero al bianco.
Fioccava cenere... la sentivo cadere sul mio naso, ma rimasi immobile con le mani premute sulle palpebre e i denti digrignati.
Mi sentivo più leggere. Qualcosa mancava dalle mie tasche!!
No, avevo la bottiglia, la pistola... radio e torcia erano con me... anche le mappe della città erano ripiegate mille volte su sé stesse per entrare nell’apertura della giacca.
Sembrava non mancasse niente...
Ah, il suo diario! Quel macigno era sparito, altrimenti avrei sentito lo spigolo urtarmi il fianco, sicuramente, ad ogni passo. Dov’era finito?
 
Mi convinsi finalmente ad aprire gli occhi, seppur a malincuore: avrei dato di tutto pur di tornare al buio... anche se in realtà lo ero ancora... Nowhere.
Ed eccomi ancora per le tetre strade della città più silenziosa, un vecchio luogo di preghiera, con mille segreti e mostri pronti a farti a brandelli e cibarsi del tuo cadavere. Il luogo che aveva portato via mia figlia. E che io dovevo subito ritrovare.
Tutte queste perdite di tempo erano semplicemente inutili, odiavo intrufolarmi nei ricordi... di chiunque essi fossero.
Comunque...
 
Mossi un passo, addentrandomi sempre di più nella nebbia lattiginosa, quando mi sentii tirare all’indietro. Qualcuno mi aveva afferrato la giacca!
Ma era una presa debole, lieve, leggera, facile da contrastare. Non di un mostro, né di un adulto. Forse fu per questo che io, semplicemente, non reagii: rimasi fermo.
Poteva essere la presa di un bambino.
O bambina.
 

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- Alessa? - chiamai calmo.
Nessuna risposta, solo un lieve singhiozzo.
- Sei... ?
Mi voltai. Chissà perché, ma per un istante vidi Cheryl... al suo posto. Poi svanì.
- Io non sono quella Alessa - sussurrò la figura con le guance bagnate - Non sono quella che hai incontrato al luna-park, nemmeno quella che ti ha fatto arrivare qui... sono uscita da quell’affare.
Indicò un libro, aperto per terra, con le pagine ingiallite rivolte verso l’alto: il diario che cercavo.
Rimasi zitto, perplesso.
- Sono solo un... ricordo? Riflesso? Come desideri chiamarmi? - continuò abbassando lo sguardo.
Era minuta, coi capelli raccolti con un nastrino e l’ormai familiare uniforme blu. Notai che portava anche dei semplici orecchini dorati. Ma non era reale, poteva essere anche solo il frutto della mia immaginazione.
- Posso mostrarti la verità, ma non ti piacerà - continuò con sguardo afflitto, cercando di non guardarmi negli occhi - Sono stata con Alessa, la conosco. Conosco te. E anche tua figlia.
Ansimai.
Sicuramente la vera Alessa avrebbe riso alla mia strana espressione. Quella bambina, sui sette anni, rimase invece impassibile.
- Parlami, allora - disse scandendo bene la prima parola con voce abbastanza roca.
 Rimase zitta.
- Dov’è quella ragazza? Dov’è Alessa? - continuai meno insistente.
- Dahlia... - sussurrò di rimando lei.
- E Cheryl?
La proiezione di quel diario, quella bambina, alzò il capo lentamente e disse calma ma minacciosa:
- Non ti è dato saperlo.
- DOV’E’ MIA FIGLIA?! - tuonai.
Non si era mossa o spaventata; semplicemente, sempre con lo stesso tono composto ma terribile:
- Preferisci, Harry... riabbracciare la tua piccola Cheryl ma continuare a vivere qui, con noi, a Silent Hill, nella nostra dimensione... o preferisci invece tornare a casa tua, alla tua vita di sempre, fuori da questo inferno... ma da solo?
 


ANGOLO D'AUTRICE
Super ritardo... come sempre D:
Sorry :) prometto che i prossimi arriveranno con sempre più frequenza :D
Grazie ancora a tutti quelli che recensiscono/seguono ecc. la storia. Grazie ragazzi :) ancora per tutto :D
Alla prossima!! :) 

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Capitolo 37
*** Un'Anima Alla Chiamata ***


MINI MINI MINI ANGOLINO XD
Ciauuu ragazzi!! :D
Sì, sì, ci vediamo a fine capitolo, come sempre, ma volevo solo consigliare la canzone che ritengo davvero adatta da ascoltare su questo capitolo IMPORTANTISSIMO XD Lo trovo adatto, siccome un po' deprimente, da ascoltare tipo quando la scrittura della storia cambia ;)

http://www.youtuberepeater.com/watch?v=93RT0VTIphI

Ecco qui... :D
Enjoy it! Ci sentiamo sotto XD



Un'Anima Alla Chiamata

 
- Quello che hai detto non ha senso! - sbottai, cercando di rimanere calmo - Mi stai dicendo che sono arrivato fino qui, che ho affrontato mostri e creature appena uscite dall’Inferno... per niente. Io devo...
La “proiezione” di quei ricordi sorrise, enigmatica, scuotendo lentamente la testa:
- Non voglio. Io sono, o meglio, siamo dalla tua parte.
- Cosa vuoi dire? Smettetela di nascondermi tutto! Ho bisogno di sapere cosa è successo anni fa a Silent Hill, perché Cheryl è qui, e qualcosa o qualcuno di questo posto ha combinato questo pasticcio! E’ legata a questa città, non è così?! - urlai.
Si bloccò, ma senza espressione questa volta; si limitò solo, innocente e silenziosa, a indicare un pezzo di giornale buttato a terra, ai miei piedi.
Lo raccolsi, senza esitazione... appena in tempo per vedere il cielo tingersi di nero, e la torcia del mio taschino accendersi. Ma non mi stupii, né mi fermai.
L’articolo, piccolo e dispersivo, trattava di un incendio, scoppiato alla periferia di Silent Hill... sette anni fa... ma questo già lo sapevo; la “bambina” intervenne:
- Leggi, ad alta voce!
E così feci; mancava la maggior parte delle parole e la testata, ma presi a leggere come mi aveva detto:
- “... scoppiato il fuoco, alla periferia della città. Sono state distrutte ben sei case con parecchie vittime. La più giovane... “
Mi fermai.
- CONTINUA! - insistette quella, alzando la voce.
Deglutii a fatica e continuai:
- “La più giovane delle vittime, Alessa Gillespie, aveva solo sette anni, trovata completamente ustionata e dichiarata morta sul posto. La-la polizia e gli investigatori hanno affermato che tutto ha avuto origine dal malfunzionamento della caldaia di casa Gillespie...
- Il giorno...
- L’incendio sembra essere avvenuto il giorno... 24... Giugno... 1976... lo stesso giorno, in cui io e Jodie trovammo Cheryl abbandonata per strada... il giorno del suo compleanno.
Ora aveva ripreso a sorridere:
- Ma qualcosa andò storto quella notte, Harry - sussurrò mielosa - L’hai vista... Alessa non è morta. E no, non è tornata dal mondo dei morti o cose del genere.
Sbarrai gli occhi:
- Lisa aveva detto che...
- E tu, presti ascolto a quella donna!? Lei non è nelle facoltà di risponderti! - replicò lei decisa, per poi prendere fiato e continuare - Alessa aveva sette anni... sette anni fa. Lei è quattordicenne, ora.
- Lo so, l’ho vista!
- Sbagliato. Tu non l’hai mai vista. Il suo corpo, riposa nelle viscere della città... ci sei andato molto vicino comunque. Riposa in una cella sotterranea dell’Ospedale. Sei entrato nella sua stanza. Eì lì che mi hai portato con te.
Il diario, certo, e la foto. Ma là dentro non c’era alcuna quattordicenne.
- Là, non c’era nessuno. Solo mostri...
- Sbagliato ancora.
Rimanemmo a fissarci immobili: io ero sicurissimo, che in quella stanzetta ero rimasto solo. Ero solo, lo ero sempre stato da quando Cybil era morta al luna-park.
- A quanto pare... - aggiunse - Non stiamo giocando allo stesso gioco... o almeno, tu stai giocando con Cheryl... non certo con il resto di Silent Hill.
Non aveva senso.
- Rileggi quell’articolo... meglio non fidarsi della apparenze - concluse indicando il pezzo di carta.
Ecco, dovevo immaginarlo: le scritte erano mutate perché nelle mie mani c’erano due rapporti di polizia. Il primo era abbastanza pasticciato e recava:
 
“ Sembra che l’incendio si sia propagato dal primo piano, e non dalla sala della caldaia. Con indagini più accurate si è arrivati alla conclusione: l’incendio è probabilmente d’origine dolosa.
 Sembra che l’incendio si sia propagato dal sotterraneo, dalla caldaia rotta di casa Gillespie. Probabilmente un incidente che ha dato origine al fuoco e ad una reazione a catena implacabile.
Testimoni affermano che la bambina, A. Gillespie (7), era ancora viva al momento del salvataggio, condotto non da pompieri, ma da un ragazzo. La piccola sarebbe stata portata via per cure.
Testimoni affermano che la bambina, A. Gillespie (7), non presentava segni di vita al momento del salvataggio.
Nonostante gli sforzi dei pompieri il fuoco ha colpito altre abitazioni e ha mietuto altre vittime.
Alessa Gillespie è stata dichiarata morta la notte del 24 Giugno 1976, dal medico M. Kaufmann presente sul posto. Il corpo è stato identificato dalla madre. Il certificato di morte e la relazione del coroner saranno presto pronti. “

 
- Incredibile... - mi ritrovai a sussurrare. Se quella... cosa... aveva ragione ed Alessa era sopravvissuta al fuoco... perché sua madre, Dahlia, quella pazza, l’aveva riconosciuta come deceduta?
E... Kaufmann?
Lui sapeva! Figlio di... l’aveva...
Lo sapevo che mi stava nascondendo qualcosa!
- Era viva. Quei “mostri” la dichiararono morta, si sentirono liberati da quella strega! L’avevano condannata - continuò “Alessa” con la luce della torcia che si rifletteva penetrante nei suoi occhi vitrei.
- Quindi è davvero viva. E quella ragazzi chi era?
Accigliò lo sguardo:
- Ancora non l’hai capito? Non è umana, è qualcosa di più.
Silenzio.
Forse conoscevo già la risposta:
- La sua... anima? - sussurrai - Ma se non è morta, come... ?
 
Buio. Le tenebre mi circondarono.
Sentii mille occhi su di me. Mille mani a toccarmi. Mille lacrime a bagnarmi.
La paura mi invase. Mi travolse. Ero solo.
Il silenzio ronzava nelle mie orecchie. Nero inchiostro mi circondava.
 
E quella proiezione mentale era vicina a me. Ne sentivo la presenza. E riuscivo a vederla, al mio fianco, con sguardo assente. Non era reale, forse era tutto un sogno... ma mi sembrò di sentire la risata di Cheryl.
E una bambina dai capelli corti e neri, correva nel vuoto, davanti a me.
Vestita di bianco e felice.
Identica alla mia Cheryl... ma anche no.
 
- Era una bambina felice, per quanto orribile fosse la sua vita e il suo destino.
Aveva parlato “Alessa”. La sentivo accanto a me.
 
- Solo che non si rese conto del male che la circondava... se non quando fu troppo tardi.
 
La bambina sparì nel buio, mentre il suo discorso continuava ad alleggiare nel mio cervello:
 
- Lisa ti ha parlato della strana religione di questo posto, eh? Bè, lascia che io faccia chiarezza. Ascoltami Harry. Secoli fa, i nativi arrivarono ad abitare questi territori. Ritenevano questo posto, un luogo sacro, dove l’uomo riusciva a congiungersi al mondo dell’aldilà. Un mondo ignoto.
 
Tutti i bambini della città avranno, almeno una volta nella loro vita, sentito raccontare l’antica storia di Silent Hill.
Gli indiani furono cacciati dagli inglesi che non tardarono a conquistare... quei posti magici, sacri e mistici. Molti coloni, interessatisi alla strana religione che i nativi seguivano, la presero ad esempio; un culto antico e rozzo, di divinità che avrebbero portato col dolore un regno di pace... un... Paradiso.
Donne e uomini, bambini e anziani.
Si riunivano ed adoravano il loro dio, che aspettavano arrivasse a purificare la gente.
Fu così che la strana religione, chiamata Ordine, assunse una brutta fama tra la popolazione; per strani rituali e per l’utilizzo di piante e droghe... le persone cominciarono a considerare i seguaci del Culto dei demoni e delle streghe. Iniziò la caccia.
Corpi che bruciavano tutti i giorni... presunte streghe arse vive davanti al popolo.
Jennifer Carroll. Era “sacerdotessa” dell’Ordine. Nel 1692 fu bruciata come eretica e strega a Silent Hill. Per il suo sacrificio, la Setta la considerò santa.
Ma l’Ordine era a conoscenza di antiche usanze. La magia.
La usarono per colpire i loro nemici... sparizioni di bambini, morti improvvise, carestie e maledizioni, peste e malattie...
La città era nel caos. Era il momento giusto per la venuta del loro dio, no?
Lo chiamavano, e lo fanno tuttora, Samael.
Un demone.
Una succube e un incubo, allo stesso tempo.
Succube, perché agli adepti si mostrava, in visioni dovute alla droga e a riti arcaici, come una ragazza dall’aspetto ribelle, dai capelli rossi, vestita di porpora.
Incubo... perché le donne e le sacerdotesse lo identificavano come un mostro spaventoso, un demonio, orribile alla vista, che di notte appariva sottoforma di incubi spaventosi nelle bambine e nelle adolescenti, causando anche gravidanze inaspettate e morti nel sonno.
L’Ordine lo aspettava come un dio e lo aspetta ancora sotto le sembianze di un bambino.
Un bambino nato da una Donna, una Santa Donna, una fanciulla prescelta sin dalla nascita.
La ragazza che secondo loro avrebbe partorito quella creatura sarebbe morta in atroci dolori durante il parto e avrebbe compiuto sacrifici umani per ingraziarsi la benevolenza del “feto”. Con mani insanguinate, quindi, avrebbe aperto le porte del Paradiso, dopo aver purificato il mondo con le fiamme.
Una creatura nata dall’odio e dal rancore.
Per secoli e secoli... la cercarono. Cercavano una ragazza, o meglio, una incubatrice per il feto.
 
Secoli...
Per secoli... sono rimasti nascosti nell’ombra, a praticare i loro giochetti demoniaci. A rapire bambine e ragazze, sperando di poter trovare quella giusta, la Donna.
 
E solo pochi anni fa, ci sono riusciti.
La Santa Donna fu identificata... in una neonata... una bambina...
Una bambina... una speciale bambina, dotata di un carattere fragile e schivo... ma provvista di poteri mentali e psichici oltre ogni immaginazione.
 

- Alessa? - sussurrai.
Mi stavo sentendo male.
 
Esatto.
Quale altra bambina, altrimenti?
Senza padre... ah, sì... non ha un padre. E non per quello che stai pensando.
La sua nascita è avvolta nel mistero.
E’ stata concepita grazie ad un rito... nel grembo di una sacerdotessa della setta... Dahlia.
Le somiglia molto vero, anche se non caratterialmente?
Nacque per essere sacrificata, insomma: già da piccola portava quel “seme” nascosto in grembo.
Comunque, immagina la sua vita... divisa tra Ordine e la gente che la considerava strana! La prendevano in giro per la sua famiglia, per la sua religione, per i suoi poteri... le hanno fatto passare le pene dell’Inferno...
Di solito, le presunte Sante Donne, rapite da orfanotrofi o prese dalla strada, venivano sottoposte alla prova del fuoco: quella che sopravviveva era la ragazza che la Setta cercava.
Sette anni fa, Alessa, piccolissima, venne bruciata viva in casa sua, come hai capito, proprio per questo.
No, non si è trattato di un incidente. Fu un rito. Un rito d’impregnazione e nascita...
Se un ragazzo non fosse venuta a salvarla dalle fiamme, quella bambina, completamente ustionata ed in punto di morte, avrebbe partorito Samael e determinato la fine del mondo.
Ma così non è stato, anche se il feto è diventato sempre più forte, nutrendosi della sua rabbia, del suo odio e delle sue paure.
Fu nascosta dai membri del culto. Tutti la considerarono morta; Dahlia invece non esitò a decretare nuovamente la morte della figlia, quando le annunciò che avrebbe fatto di tutto purché Samael fosse nato.
 
E allora... entri in scena tu.
 
E tua moglie.

 
Chiusi gli occhi.
Un momento... non poteva essere...
 
Non hai cresciuto un mostro.
Al contrario.

 
Ascolta...

 
Alessa, sola e spaventata, non aveva certo intenzione di morire partorendo un demone.
Ricorse alla magia... buona. Una magia potentissima quanto catastrofica.
Mentre Samael, forte e potente, dentro di lei, sdoppiò la realtà in cui Alessa viveva... lei... capì che non tutto era perduto.
Il demone non sarebbe potuto mai nascere... senza una parte di lei.
Realtà nebbiosa... realtà di sangue... non è stata Alessa a volerle. Lei ha sempre voluto tenersi... e tenerti al sicuro da questa doppia Silent Hill.
Sono dimensioni parallele ed eterne, in cui le persone assumono sembianze spaventose ed orribile agli occhi della gente a cui solo Alessa stessa può consentire l’ingresso in città. Il suo è un regno di sangue e terrore dove ogni anima è ammessa... e i malcapitati, come te, vedono la realtà in maniera distorta e mostruosa. Vedono mostri, non persone. Vedono le loro fobie o le loro paure concretizzarsi e prendere forma. Ecco, cosa è capace di fare quel grande potere nascosto nel suo grembo.
E con quel Sigillo che vedevi disegnato col sangue per le strade... lei cercava di tenere l’Oscurità lontana da te.
Ti ha protetto.
Non ha mai voluto ferirti.
 
Con quello stesso Sigillo, sette anni fa, nella stanza dell’ospedale dove giaceva impotente...
Lasciò che la sua anima si liberasse.
 Intendo... la ragazza che hai visto per la città, Harry, è quello che dal corpo si è staccato.
E non temere... il corpo vuoto, senz’anima, che si ritrova è immortale per la benedizione e la maledizione che l’accompagna e l’accompagnerà... fino alla Nascita.
E’ vuota, come se fosse una bambola.
 

Stavo tremando. Era orribile...
 
Per fere in modo che Samael nasca, l’anima completa deve essere nel corpo, come è giusto che sia.
Ma Alessa non ha lasciato niente al caso e, per evitare che Dahlia con un incantesimo la richiamasse facilmente nella sua “prigione carnale”, ...

 

- Non...
La vedevo.
Sì, Cheryl...
Alessa... due gocce d’acqua.
- No.
 
... Alessa decise di dividere a metà la sua anima: la parte piena d’odio sarebbe cresciuta e rimasta come regnante a Silent Hill. La seconda metà, la parte buona, pura, innocente e dolce della sua anima... si incarnò in una nuova neonata.
Il suo dolore creò vita.

 
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Una bellissima bambina, identica a come appariva Alessa alla sua età.
Lei la prese e la portò lontana da Silent Hill, lontana da quest’Inferno. La condusse dove splende il sole. Perché sapeva, che quel giorno, in quel momento... un uomo con sua moglie malata, senza bambini, sarebbero passati di lì. A prenderla. A prendere la bambina. A darle amore e una vita felice... quello che Alessa non aveva mai avuto. Era destinata a loro due, nessun’altro la vide... e qualcosa la spinse a mostrarsi a quella coppia.
I due la chiamarono Cheryl e la crebbero come fosse loro...
Cheryl è Alessa. E’ la sua parte innocente, che non conosce odio o rabbia... la parte dell’anima capace solo di amare.
Ti sei mai chiesto perché quella bambina che per sette anni hai cresciuto era diversa dagli altri? Piangeva poco, non si è mai lamentata, mai un capriccio...
Tranne uno... vero?
 

- NON E’ POSSIBILE! - urlai, col cuore pieno di dolore.
Cheryl... era Alessa? Oddio...
 
L’unico capriccio... fu quello di andare in vacanza a Silent Hill. Perché una ragazza l’andò a suggerirglielo.
Cheryl conosceva Alessa, si sentiva stranamente vicina a lei. Ma...
Quella bambina appartiene a Silent Hill e ad Alessa...
 

- E ALLORA COSA?! Se Alessa voleva amore, per Cheryl, perché l’ha chiamata a Silent Hill.- continuai a strillare con le lacrime agli occhi - COSA VUOLE DA LEI?
 
E’ sua figlia... è sua sorella... è sé stessa. E’ semplicemente tornata a casa. Nella sua città natale.
Silent Hill.
Ti sorprenderà, vero... ? Quando saprai il perché Alessa la rivoleva con sé?
 

- DIMMELO!
 
Suicidio.
Riunire le anime, tornare nel corpo e commettere suicidio.
Il suo inferno è durato troppo tempo. Ed è stanca.
 

- NO!
Suicidio... suicidio... suicidio...
Cheryl!
 
No.
Qualcosa è andato storto.
Ricordi quello che ti ho raccontato sulla ragazza destinata a partorire quel mostro?
Ecco... perché Dahlia la sta cercando...
Quindi, oltre al richiamo di Alessa su di lei, sottoforma di visioni e apparizioni, anche Dahlia l’ha chiamata a sé, in città, da ben sette anni. Ecco spiegati gli incubi frequenti e gli episodi di sonnambulismo della bambina, Harry.
 

- NO! NO! NO! Cheryl, no! Non ce l’ho fatta...
Suicidio o Samael... sarebbe morta lo stesso!
- No!
 
Ce la puoi ancora fare...
Cheryl non deve tornare dentro Alessa.
O la perderai.
Per sempre.

 
- Dimmi solo quello che posso... che devo fare!
 
Ora sai... ma mancano dei tasselli.
Lisa può aiutarti.
Vai.
Per Cheryl... fa che non si riunisca al corpo.
Ora... per la promessa... vai.

 

- Mia figlia...
 
No, non è tua figlia...
 

Tornò la luce.
La mia vista.
La ruggine.
Il sangue.
La paura.
Il silenzio.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
I'm here! Sììì XD
Ok, prometto di aggiornare prima la prossima volta. Perdonatemi, ma tra scuola ed impegni vari è quasi impossibile mantenersi puntuali.
Vi adoro lo sapete :) Grazie ancora e non smetterò mai di dirlo a syriana94 *__* che dal principio ha seguito la mia fic e che ha sempre recensito :D Graciiiass!
E anche naturalmente a tutti gli altri :3
Al prossimo capitolo! :D

 

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Capitolo 38
*** Lacrime D'Angelo ***


SPAZIETTO CANZONE:
http://www.youtube.com/watch?v=gh-CWoAXV8g
Consiglio d’ascoltarla... mhh, ma solo quando le cose si mettono male XD
Lo capirete leggendo!
:) Buona lettura... vado a prendere la scatola di fazzoletti! Ci sentiamo a fine capitolo.

 

 
Lacrime D'Angelo
 
Stavo male. Mi reggevo a malapena in piedi, sudavo e sanguinavo, tremavo con gli occhi persi nel vuoto. A pensare. A riflettere su quello che avevo appena scoperto.
Il diario era sparito.
Ero nel Nowhere.
Solo.
O non del tutto...
 
Tutto quello che avevo sempre creduto di sapere si era rivelata un’enorme bugia. Cheryl non era la bambina che avevo creduto di conoscere; era Alessa, e se sua madre la stava cercando per offrirla in sacrificio, probabilmente era troppo tardi.
 
Spensi la torcia e cominciai a camminare lento nel buio di quel corridoio in cui ero stato catapultato. C’erano diverse porte davanti a me, molte delle quali senza maniglia o impossibili da muovere.
Nella prima stanza che esaminai non c’erano mostri. Solo un tavolo macchiato di sangue, e delle strane bottigliette. Erano dei disinfettanti. Non so quanto potevo fidarmi di medicinali in un realtà demoniaca, ma indugiai troppo sul da farsi anche perché la ferita sulla spalla cominciava a mandare fitte dolorosissime. Non avevo gli arnesi giusti, comunque; mi versai piano il liquido sulla ferita stringendo i denti per il dolore.
Rimediai anche delle bende abbastanza pulite, per fortuna, e cercai di fasciarmi. Alla fine il dolore era decisamente diminuito.
La seconda porta aperta mi condusse in un magazzino pieno di infermiere e dottori. Uscii subito naturalmente e corsi verso la terza porta...
Ma un pianto sommesso e un rumore di tacchi mi costrinse a fermarmi e voltarmi in direzione di una porta ancora chiusa.
Tacchi...
E passi veloci... diversi da quelli delle infermiere demoniache.
 
Mi avvicinai, con l’orecchio teso e la pistola alla mano.
Bussai tre volte.
Ma...
- Ahhh! Via, vattene via! Non voglio più vederti! Ne ho abbastanza di te!
Una voce dall’interno. Una donna. E quella dolce voce...
- Lisa?! - esclamai mettendo a posto la pistola.
Un sollievo, era un angelo.
Vederla mi avrebbe fatto bene, anche per distrarmi un po’ dai pensieri che mi assillavano. Poi, dovevo farle alcune domande.
- Via! Non voglio più niente da te! Ho promesso, ma... - continuò a urlare.
La porta era bloccata; volevo vederla, ma come potevo fare?
- Lisa! Lisa! Sono io, Harry.
- ... Harry... ?
- Sì. Puoi aprire la porta dall’interno?
- S-sì... subito...
Non doveva stare bene. La voce le tremava più del solito... e cosa ci faceva nel Nowhere?
Alessa... la conosceva?
 
Click!
La porta si aprì... ma la stanza era vuota.
Lisa era sparita.
Mi guardai attorno, ma nessun segno, né un rumore... solo silenzio e buio.
Davanti a me c’era un’altra porta.
- Forse è entrata lì dentro... ma cosa sta facendo? Voglio salvarla...
Ma anche l’altra camera si rivelò vuota.
A parte uno strano bagliore che l’illuminava.
Mi feci vicino alla strana e abbagliante fonte di luce. Scaturiva da un oggetto... una stella. La raccolsi. Era piccola, non avrebbe occupato molto spazio nella mia tasca.
 
Immm
 
Sentii uno strano brivido al solo tocco di quell’oggettino luminoso, una forza innaturale.
 
La Stella di Salomone, dai due triangoli uniti per formare il sigillo con sei punte, collega l’uomo al divino donando la Verità all’essere umano dalla duplice natura.
 
E...
- Harry?
Una voce tremante, la stessa, alle mie spalle.
Lisa.
Mi voltai di scatto, infilando velocemente la stella accanto al Flauros e alla bottiglietta profumata.
La ragazza aveva un aspetto terribile: sembrava dimagrita molto dal nostro ultimo incontro, tremava molto, aveva il viso pallidissimo e scavato. Gli occhi sembravano sul punto di cadere dalle orbite ed erano lucidissimi. Le labbra, contorte in un’espressione di paura, era bianche e tremanti.
Cosa le stava succedendo?
- Lisa! - esclamai avvicinandomi un po’ e tendendole una mano gentilmente - Cosa... ?
Lisa chiuse gli occhi e abbassò il capo:
- Harry... - sussurrò piano.
- No - la fermai - Basta scuse, o spiegazioni. Andiamocene via da questo inferno. Hai bisogno di riposare. E di...
- Harry... - continuò, come in trance - Ricordi tutto quello che ti ho detto... ?
- Lisa!
- Dimmi di no! Te ne sei dimenticato. Dovevo stare zitta...
- LISA!
Finalmente riaprì gli occhi.
Le fui subito accanto, non stava bene, e le tenevo il braccio: era gelida.
Troppo fredda.
Con movimenti calmi e deboli si liberò dalla mia stretta e camminò verso la porta d’uscita, senza fiatare, con gli occhi sbarrati.
La raggiunsi:
- Lisa. Lisa! Ma cos’hai che non va? - gridai. Non era in sé. Non era la stessa infermiera dell’Alchemilla. Era il Nowhere a renderla così?
Sembrava pazza. No,forse distante, in un suo mondo. Era un pericolo portarla con me... ma non potevo lasciarla sola in queste condizioni.
Si voltò a guardarmi. Era sul punto di crollare, di piangere, a malapena si reggeva in piedi.
- Lisa... - dissi moderando la voce e guardandola dritta negli occhi.
Le sorrise:
- Harry! Quanto sei... caldo... no? Hai trovato la bambina che cercavi?
Non le risposi. Continuai a guardarla senza muovermi o parlare.
Ritornò seria:
- Non capisci? - mi chiese seria - Non ci sei ancora arrivato?
Ora mi allontanai io da lei. Cosa le stava accadendo?
Riprese immobile, continuandomi a fissare:
- Ti preoccupi per lei. Quanto pensi che possa riuscire una bambina di sette anni a sopravvivere in questo posto?
- E’ con una donna. Me l’hanno presa loro - risposi.
- Ah... ed è viva?! Preferisci andare alla ricerca di una morta, invece di preoccuparti della persona viva, che è qui, davanti ai tuoi occhi?! - disse prima di aprire la porta e correre via.
Ero pronto per fortuna.
Riuscii ad intrufolarmi velocemente anche io nella stanza che avevo esaminato precedentemente. Lisa era in piedi, ferma, lo sguardo basso e il viso bagnato di lacrime.
Non capivo...

- Hai capito... lo so che hai capito, Harry - disse Lisa vedendomi entrare di corsa; ora singhiozzava - Perdonami... se non ho saputo raccon...
- Lisa!
- Ho capito anche io... ma solo ora, Harry - continuò.
Mi guardò e riuscì a sorridermi, ancora...
- Perché... sarei qui. Cosa ho fatto? - si lamentò, ma senza smettere di sorridere - Tu sei vivo. Ma questo è un luogo di morte. Tu hai le tue ragioni per esserlo. Io? Ora so... perché io sono qui, viva, mentre tutti gli altri sono morti.
Di cosa stava parlando?
- Io... - sussurrò - Io sono... non sono una di voi che andate passeggiando in questo posto.  Perché io dovrei essere viva... se gli altri sono morti?
No...
- Io sono esattamente come loro - concluse Lisa - Sono una di quelle “cose”.
- Lisa...
- Sono morta - rise - Ma non me ne ero accorta!
 
Il mondo sembrò crollarmi addosso.
Avevo davanti a me una di quelle infermiere ingobbite, incapaci di parlare, e assetate di sangue.
Avevo paura.
E non potevo crederci.
- Lisa... - sussurrai.
Lisa intuì i miei timori ed urlò:
- Sta’ con me, Harry! Ti supplico... Harry! Ho così tanta paura! Non voglio! Aiutami, ti prego.
Tese le pallide braccia verso di me, supplicante.
Paura...
- HARRY! Tu non mi lascerai! Lo so! Salvami da quei mostri! Harry! Ti prego...
Mi afferro il braccio destro. Aveva una morsa d’acciaio, gli occhi erano iniettati di sangue e barcollava...
Non ce la feci...
Era davvero una di loro.
La spinsi via da me con una violenza troppo forte per lei... ancora. La mandai a sbattere contro il muro incrostato alle sue spalle.
Ora piangeva davvero.
- Scusa... - sussurrai.
 
Era immobile, con le mani premute contro il muro e lo sguardo perso.

 
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Poi ebbe uno spaventoso fremito. Sussultò lievemente.
Una goccia di sangue scese dalla cuffietta da infermiera, fino all’occhio sinistro che chiuse dolcemente al passaggio del liquido. Il sangue andò a bagnarle la guancia e continuò, giù per il collo fino al petto.

 
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Si staccò dal muro e barcollo verso di me.
 
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Dolcemente, cadde davanti a me.
Il sangue la stava divorando: la bocca e il naso ne erano pieni. Cominciò a sputarlo quando aprì la bocca per un’ultima supplica. Cadde ancora.
Invece delle lacrime, gli occhi piangevano sangue.
Anche il suo vestito era scarlatto... più di prima.
La puzza colpì il mio naso.
 

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Cadde ancora.
Il viso era rosso. Completamente.
Era uno spettacolo orribile.

 
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Tese supplicante le braccia verso di me, gorgogliando il mio nome e camminandomi incontro.
In preda al terrore corsi fuori dalla stanza.
La lasciai sola.
Bussò e bussò alla porta, piangendo e chiamandomi.
Feci di tutto per non farla uscire.
- Lisa...
Era andata... morta.
Era un mostro... per lei non ci sarebbe stato un domani.
 
Poi, dopo qualche secondo, i battiti e le grida cessarono.
Lisa aveva smesso di cercarmi.
 
- Io... io sono un mostro - sussurrai, riaprendo la porta, con le lacrime che scendevano verso la bocca. Avevo fatto una cosa orribile...
Lisa era sparita. Così come il sangue e la puzza.
Per terra... un biglietto. Un foglio del suo diario:
 

“Ho chiesto al dottore di darmi un altro paziente.
Sono stufa.
E’ strana.
E’ viva, ma le ferite non si rimarginano.
 
Ho chiesto al dottore di essere licenziata.
Non lavorerò mai più in un ospedale.
La stanza pullula di scarafaggi,
Anche con porte e finestre chiuse, riescono a raggiungermi.
 
L’Ospedale...
 
Sto’ male.
Devo vomitare.
Ma non esce niente.
Solo bile.
Pus e sangue esce dai rubinetti,
Ho cercato di fermarli, ma non si fermano.
 
Ho bisogno della droga...
 
Aiutami... “
 


NOTE D’AUTRICE
Eccomi qui! :D
Con questo capitolo triste... tristissimo T_T per fortuna che non abbandonerò la cara Lisa... tornerà, tornerà :) Vabè, basta spoiler...
Sicuramente la sua morte è una delle scene che più rimangono impresse. Ricordo che quando la vidi per la prima volta mi misi a piangere XD
Eccola qui:  
  http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=LJHP4MK9CtY
Povera...
Ok, fatemi sapere! Al prossimo capitolo... sperando che non sia deprimente come questo.
Continuo a piangere come una bambina di tre anni... alla prossima!! :D

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Capitolo 39
*** Senza Un Domani ***


Senza Un Domani
 
Cos’avevo fatto!? Perché l’avevo abbandonata?! Cosa mi stava succedendo?
Il suo pianto continuava a riecheggiarmi in testa, quando lasciai cadere il diario per terra. E realizzai che la droga che, probabilmente, avevo trovato nei quartieri di Silent Hill... la stessa di cui i poliziotti della città parlavano... la stessa che Kaufmann e forse Dahlia davano ai turisti... aveva portato quella giovane infermiera alla morte. Non riuscivo ad immaginarmi altro. E Lisa conosceva Alessa. L’assisteva.
Ma era perduta per sempre, ormai.
 
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Tornato nell’inquietante e buio corridoio puzzolente di sangue, esaminai le porte rimaste; rividi anche quelle chiuse, per sicurezza. E feci una scoperta.
Su tre diverse porte, vi erano incise delle parole, con tempera gialla.
La prima era “PHALEG”... poi “OPHIEL” e infine “HAGITH”.
Non avevo la minima idea di cosa quelle scritte significassero. Probabilmente avevo bisogno di tre chiavi per farmi strada; il problema era dove cercarle.
 
Come avrei fatto a trovare tre diverse chiavi prima che mia figlia venisse offerta in sacrificio a quel mostro?!
Accesi la torcia; avrei cominciato a perlustrare meglio le stanze già sbloccate. La ricerca fu comunque infruttuosa.
Per fortuna una rampa di scale conduceva ad un... piano superiore.
Ma ero pur sempre “Da Nessuna Parte”... chissà dove sarei capitato. E in effetti, arrivai in cima solo per trovarmi in un corridoio esattamente uguale a quello precedente.
Per fortuna, le stanze non erano le stesse, ma ad ogni mio ingresso, il sangue mi si raggelava nelle vene. Ogni porta conduceva in posti, stanze, luoghi... in cui ero già stato, non nel Nowhere... ma proprio a Silent Hill, in città.
La prima stanza, ad esempio, che esaminai era identico al negozio “Il Leone Verde” che avevo visitato insieme a Cybil. L’accesso era quasi impossibile, visto il numero di oggetti e cianfrusaglie buttate per terra, tra cui un gigantesco orologio a pendolo, fermo.
Una seconda stanza, invece, mi portò tra le tetre stanze ospedaliere dell’Alchemilla.
Stanze vuote, o piene di mostri o strani tentacoli a guardia di chiavi...
Il mondo... Silent Hill... questa dimensione era capace di far impazzire chiunque.
La stanza che però mi colpì più di qualunque altra si trovava al piano inferiore. Un’aula scolastica, simile a quella della Midwich, ma priva di cattedra e banchi... tranne uno, posizionato al centro della classe. Il legno della superficie era molto rovinato e notai scritte delle parole:

STREGA    BRUCIA    VATTENE VIA   CREPA  
 

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- Alessa... - sussurrai senza nemmeno rendermene conto.
La bambina che aveva fatto di tutto per proteggere Cheryl.
Dovevo trovarle.
 
I minuti seguenti alla scoperta della classe di Alessa furono un susseguirsi di scese e salite per le scale. Le chiavi non furono la motivazione: non avevo una mappa, era tutta una confusione di stanze e porte, aperte o bloccate; in più, cercavo di non farmi notare dai mostri e spesso mi ritrovavo a vagare nel buio più totale senza una meta precisa.
Trovai però due chiavi. Una, quella di Hagith, scoprii essere la lancetta dei minuti del grande orologio de “Il Leone Verde”, mentre quella di Ophiel in un deposito, dentro una confezione di caramelle gommose... quelle che Cheryl adorava.
La stanzetta a cui, quindi, ebbi accesso fu una piccola cella ospedaliera. Un letto, una sedia e un televisore. Per il resto nulla di strano... ma dovetti ricredermi quando sentii un oggetto squadrato muoversi in tasca.
La videocassetta!
Lo strano filmato di quella ragazza, dal dialogo incomprensibile!
Mi avvicinai a grandi passi agitati, ma poca speranza, al video-registratore e infilai la cassetta, tremando, e sedendomi sul lettino.
Con mio stupore, la TV prese colore dopo pochi secondi di statico
E il volto di Lisa riempì lo schermo.
Ebbi un sussulto alla sua visione. Era proprio lei, anche se con i capelli più corti e il viso più roseo. Sembrava un’adolescente; sul petto notai il cartellino di apprendistato di infermiera.
Chissà quanti anni fa era stato girato questo filmino...
Lisa prese la testa fra le mani e respirò profondamente prima di sussurrare alla telecamera.
 
- Cosa le succede? - rantolò disperata con lo sguardo basso - Ha ancora la febbre alta, è passato troppo tempo e ancora non capisco il perché! Sai, ho sentito le altri infermiere e hanno detto di non avvicinarmi a lei; giurano di aver visto quella bambina sana e in forma camminare per l’ospedale ma... i suoi occhi non si aprono. Riposa nel sotterraneo. Le misuro il polso ogni minuto. Sento il cuore... ma lei a malapena riesce a respirare! Poi, la sua pelle è completamente ustionata ma... gli organi interni non hanno subito lesioni, credo. Quando le cambio le bende, vedo sangue e pus... continuano ad uscire. Perché?! Cosa mantiene viva quella bambina?! Non ce la faccio più! Non lo dirò a nessuno, lo giuro. Fatemi tornare a casa.
 
Dovevo uscire da quella stanza! L’immagine si bloccò su di lei, mentre un fastidioso rumore coprì le sue ultime parole:
- Giuro - concluse - Starò zitta...
 
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L’avrei rivista nei miei incubi peggiori, lo sapevo.
Mi precipitai fuori dalla stanza, col fiatone.
Alessa non era stata una normale paziente, per via di quel mostro che aveva in grembo?
Sentivo il tempo incombere su di me, come il boia al condannato a morte.
 
Non c’erano dubbi: qualcuno mi stava rubando delle ultime mie briciole di coscienza. Mi sembrava di essere un qualcosa di inanimato e morto, vagante in un’eternità di sangue e paura.
Quando, aperta la porta Hagith, mi ritrovai davanti ad un ascensore. Con solo un tasto, un numero: 3.
Lo premetti, sospirando. Non avevo altre possibilità e qualunque cosa mi sarebbe apparsa davanti, l’avrei accettata.
Sentivo che Alessa era vicina. E quando le porte metalliche si aprirono lentamente su quello che sembrava un altare, il pensiero crebbe ancora di più dentro di me. Era un fantasma, quella bambina inginocchiata e con le mani giunte davanti a me?
La figura infantile sparì dopo un attimo, lasciando nella stanza un profumo di fiori, molto simile a quello che era contenuto nella bottiglietta nella mia tasca. L’altare era uno dei più rudimentali che avessi mai visto: un tavolo coperto da una tovaglia bianca, macchiata da una scia di sangue che formava la frase:
 
MI HANNO INGANNATA!
 
Inoltre sopra vi era un calice, bello ma inutile, e la chiave Phaleg. Tornai indietro col bottino nella mano destra, quando notai che sopra l’altare, sul muro spoglio e pulito, vi erano due piccoli dipinti. Il primo raffigurava una donna velata con le mani alzate verso l’alto, verso una luce divina, in segno di preghiera. L’altro invece mostrava la stessa ragazza di prima completamente nuda, appesa per i polsi al soffitto. Uno stuolo di creature mostruose la punzecchiava con arnesi affilati, mentre altri preparavano un rogo.
 
Il corridoio accessibile grazia alla chiave appena raccolta, mi condusse verso quattro diverse porte. Deci di andare per ordine, finalmente libero dall’incombenza dei mostri e dalle infermiere, visto che la mia radio non dava più segni di statico.
In quella che sembrava una cucina ospedaliera, trovai due strani artefatti luminosi, antichi simboli mitologici, come la stella a sei punte che avevo trovato prima della morte di Lisa.
 
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Il bastone di Asclepio, dio della medicina, col serpente, simbolo di vita rigeneratrice e di cambiamento, che punta verso il cielo, guida l’uomo verso la Verità nascosta e oscura.
 
Il secondo oggetto raffigurava un simbolo egiziano, che avevo visto molte volte sui libri di storia e riguardanti l’Egitto.
 
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La croce Ankh, rappresentazione della vita eterna e del grembo materno, porta l’uomo verso la Verità infinita e sicura, senza paura della morte e del dolore.
 
Avevo ancora tra le mani quei due... oggetti strani che tremavano al mio tocco, quando un rumore proveniente dal corridoio mi costrinse a fermarmi, inorridito.
Il suono di una barella che correva su una grata. Un vociare in arrivo.
Uscii dalla stanza appena in tempo per osservare un gruppo di uomini e donne vestiti di bianco spingere un lettino. Erano fatti della stessa materia di quella proiezione di Alessa davanti all’altare... ma in un certo senso sembravano più reali di lei.
La barella trasportava un corpo, completamente coperto da un lenzuolo che si alzava e si abbassava al ritmo di un respiro veloce e malato, disperato.
Una mano completamente ustionata sbucava fuori, da sotto il velo, cercando inutilmente di tirare via il lenzuolo che le impediva di respirare, dalla bocca.
 

ANGOLO AUTRICE:
I'm here! :D
Oddio, quasi non ci credo, siamo davvero agli sgoccioli. Ma è giusto che sia così. Il prossimo capitolo farà da preludio al il famigerato scontro finale, ma non voglio anticipare altro! ;)
Perciò... fatemi sapere che ne pensate. E al prossimo capitolo, preparatevi! Andiamo a liberare Cheryl!
Grazia a chi mi segue e recensice :3 Vi voglio bene!
Alla prossima!! :)

 

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Capitolo 40
*** Preludio Di Un'Orribile Maledizione ***


Preludio di un’Orribile Maledizione
 

Seguii la barella naturalmente. Non avevo altra scelta, dopotutto.
I rantoli e i sussurri dei dottori -stranamente umani- mi condussero nella stanza adiacente a quella precedente, che non avevo ancora esaminato. La camera ospedaliera d’Alessa.
Ed eccola, che giaceva sofferente sul letto, con le lenzuola macchiate che le coprivano l’esile corpo d’adolescente; il suo grave e angoscioso respiro riempiva la stanza di morte e di oppressione. I capelli le sfioravano a malapena le pallide guance, mentre un occhio era cerchiato di nero. Anche il resto della pelle aveva assunto quella strana colorazione, facendola sembrare molto più grande della sua età.
Accanto al suo letto, una Dahlia Gillespie, dai capelli ancora scuri e vestita normalmente, la scrutava silenziosa. Vicino a lei, poi, c’erano Kaufmann e due altri dottori.
Il macchinario accanto ad Alessa era spento, con la foto del suo volta da bambina.

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Dahlia si mosse lentamente in avanti:
- Tutto è andato secondo i piani - disse ai presenti - Si è già insediato nell’utero.
Ebbi un groppo in gola a quell’ultima affermazione. Stavano proprio parlando di “quello”? Il demone, sì. Un mucchio di pazzi... capaci di pensare cose del genere? Una madre che...
Kaufmann, giovane e senza accenni di stanchezza, rispose:
- Ma non abbiamo ancora finito, Dahlia. Metà dell’anima è perduta! Il seme è dormiente, ecco perché non si schiude!
Un dottore dai capelli lunghi e rossi si intromise:
- E la metà ancora presente... è dentro il corpo, nascosta nelle profondità del suo sub-conscio.
La donna alzò lo sguardo verso di lui, riluttante:
- Tu credi? - rise sarcastica - Non ne sarei sicura.
Silenzio.
Feci qualche passo in avanti, ad esaminare il corpo ustionato.
Alessa, più piccola di quella che mi aveva perseguitato a Silent Hill, stava probabilmente dormendo: aveva gli occhi chiusi e il respiro lento ma per niente regolare. Forse non aveva idea che, quel giorno, in quel momento, gli adulti attorno a lei stava parlando del suo destino e di Cheryl.
Solo lei poteva essere... la metà scomparsa. Mia figlia... la metà di un’altra.
E loro la cercavano. Così come colei che le aveva dato la vita.
Per scopi diversi, certo.
Kaufmann riprese:
- Quindi... stai dicendo che non ha funzionato?! - disse alzando la voce e frugando nella tasca - Che abbiamo fallito? Ancora?! Non era negli accordi!
- Non preoccuparti! - lo ammonì Dahlia, che sibilando aggiunse - Sono solo suoi giochetti. Giochetti per ritardare l’inevitabile. Ma se le diamo una mano... le daremo forza necessaria. Le promesse saranno mantenute.
- Ma, date le circostanze - cominciò l’altro dottore, un tipetto tarchiato con spessi occhiali da vista - L’energia che possiamo darle è quasi nulla, se non inesistente. Prima dobbiamo trovare la metà perduta.
- NON “perduta” - ribadì Dahlia, quasi fuori di sé - Useremo un incantesimo di richiamo. Lei avvertirà il suo dolore e la sua sofferenza... e sentirà il bisogno di tornare a casa! Riesco a sentirla. E sono sicura che arriverà.
Kaufmann si incamminò verso l’uscita, a passo indeciso, borbottando:
- Ci vorrà molto tempo.
Dahlia rivolse un ultimo sguardo ad Alessa; fece per andarsene e, quando passò vicina al dottore, gli sussurrò sorridente:
- Possiamo aspettare.
E svanirono, come fumo, davanti ai miei occhi.
Tutti tranne Alessa, che si mosse sotto le coperte, lenta e sofferente; vidi che aveva aperto gli occhi, sbarrati per il terrore... di ciò che aveva appena udito. La vidi piangere, ma non riuscivo a sentirla... o era lei a essere così silenziosa?
La vidi, poi, allungare le braccia, piene di piaghe, verso l’addome... ma abbandonò l’impresa facendole ricadere sul sudicio lenzuolo, sospirando d’angoscia e digrignando i denti per lo sforzo.
Perché quando assistevo a queste scene, così pietose, ero incapace di muovermi?
E sparì anche lei, lasciandomi solo nel regno dei suoi incubi, proprio come la madre. In polvere, salendo leggera e perdendosi nell’aria.
Qualcosa era poggiato sul cuscino della ragazzina.
 
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L’Ouroboros, il serpente che morde la sua stessa coda, un ciclo senza fine, l’immortalità, che porta all’immortalità e alla redenzione la vita di colui che non morirà mai.
 
Era di piccole dimensioni, e fu facile infilarlo nelle mie consumate tasche, insieme agli strani oggetti che avevo raccolto in precedenza.
Non avevo più niente da fare lì.
Fissai per pochi secondi la foto di Alessa, una bambina dallo sguardo malinconico e i capelli neri, per poi uscire dalla stanza d’ospedale. Appena misi un piede fuori, un grido straziante, riecheggiante per tutto l’oscuro e vuoto corridoio, gelò il sangue nelle mie vene.
Lo localizzai: proveniva da una stanza buia, ancora sconosciuta... o appena apparsa? Davanti a me, la porta semi-aperta, conduceva ad uno spazio buio e freddo.
Mi avvicinai, cauto, fermandomi sulla soglia.
Buio pesto.
Era impossibile...
 
E, all’improvviso, sentii qualcosa premere contro la mia schiena in modo violento. Quella... cosa... mi spinse nella stanza, facendomi cadere in avanti.
Qualcuno!
Sì, avevo sentito delle mani premere sulla giacca!
 
Ero nel buio.
Nero...
Ma non da solo.
Sentivo qualcuno accanto a me; allungai una mano, a carponi per terra, cercando di orientarmi... quando la porta si richiuse davanti a me, rendendomi cieco e sperduto.
 
Il cuore mi batteva a mille e il respiro andò via quando capii chi mi aveva spinto in quella stanza.
La sua risata... ormai inconfondibile...
- Ahahahah! Come va nel tuo “nuovo mondo”, Alessa?!
Lo stesso grido... orribile... accanto a me.
E un fruscio di vestiti, accompagnato da piccoli passi veloci e infantili.
- Vuoi uscire? - chiese ancora la voce - Sai qual è la condizione.
- No! - gridò la bambina - Mostri!
Ora la sentivo muoversi nervosa nelle tenebre; sentivo la sua angoscia.
- Non capisci... sei perfetta - continuò Dahlia dando una manata alla porta. Il colpo riecheggiò. Eravamo in un luogo chiuso, una porta e nessuna finestra, di dimensioni ridotte... e, anche se ci ero da pochi minuti, già mi mancava l’aria.
- Verranno a salvarmi! Verrà a salvarmi! - pianse Alessa, battendo sul legno con forza maggiore.
- Chi? - chiese la donna, ridendo.
- Papà!
Chiusi gli occhi.
Era sempre buio.
Ancora una risata. Il pianto dell’Alessa di sette anni si alzò, straziante, per troppo tempo.
Perché dovevo soffrire insieme a lei? Non era già abbastanza?
- Passi la notte là dentro, quindi? - chiese Dahlia - O vieni con me?
- Mai! - strillò.
- Allora prega...
 
- Basta - sussurrai.
La porta si aprì, ma non ebbi la forza di alzarmi: dalle palpebre serrate vidi la fioca luce proveniente dal corridoio e ci gattonai velocemente. Solo respirata l’aria di ruggine e sangue tornai a vedere. La torcia sembrava morta da quando ero entrato in quella specie di ripostiglio, e continuava a non accendersi. Sorprendentemente, trovai chiuso nella mia mano destra un altro oggetto: una specie di pugnale d’oro.
 
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Un’arma e un oggetto sacro, che porta l’ingenuo nella religione dell’empietà, delle corruzione, del sacrificio per il bene superiore e dell’immoralità della vita.
 
- Dove capiterò ora?
Un’ultima porta.
Quella era davvero la fine. Era ora di uscire una volta per tutte da questo incubo.
 
La mia mano, fredda quanto la maniglia arrugginita che stringevo, aprì la serratura.
E la stanza di un bambino, piccolissima, quasi claustrofobica, tanto diversa da quella aperta e solare di casa mia, si presentò davanti a me.
Semplice ma inquietante, poteva appartenere solo ad Alessa.

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Il lettino era disfatto e sopra di esso... c’era l’album da disegno di Cheryl insieme a qualche candela consumata. Per terra, oltre un piccolo tappeto, erano sparpagliate carte da gioco e la parete alla mia destra era occupata da uno scaffale pieno di libri religiosi e piccole bacheche con farfalle spillate sopra.
Cheryl adorava le farfalle...
Sulla minuscola scrivania c’erano due orsacchiotti di pezza, coperti di sangue e polvere. Le ante di un piccolo armadio erano spalancate, e rivelavano solo un vestito blu, simile al grembiule che l’Alessa quattordicenne indossava.
Altri libri, foto e fogli da disegno, raffiguranti mostri, bambine sotterrate e la stessa Alessa, coprivano un piccolo scaffale.
 
Ma... c’era un’altra porta alla fine della stanzetta, di fronte a me. Ci arrivai velocemente, con pochi e lunghi passi.
Una porta nera, con cinque rientranze.
Capii subito che erano destinate a riempirsi. E sapevo perfettamente con cosa.
 
Tutto andò alla perfezione.
Sentivo che ero arrivato al capolinea; l’incubo stava per finire e chissà se ne sarei uscito vivo. Ripensandoci, essere ancora qui, vivo e cosciente, era un qualcosa di straordinario, ma l’affrontare un’intera città sulla soglia dell’inferno mi aveva profondamente turbato.
Ma c’era veramente una via d’uscita?
Sarei tornato a casa?
E Cheryl?
Risentii, dentro di me, la sua voce, pura e angelica. Rividi il dolce sorriso e la tenerezza che mi provocava quell’immagine. E la felicità... di sette anni fa, quando la trovai insieme a mia moglie, piccola e sola. Ma ora... mi sembrava di non aver mai avuto una figlia.
Era difficile da concepire: chi era veramente? E cosa stavo cercando? A cosa stavo andando incontro.
 
Aprii la porta lentamente.
Ancora un ricordo... l’ultimo.
 
Dahlia e Alessa, flebili fantasmi del passato nel nero assoluto di uno stretto spazio, dalle pareti e il pavimento in legno.
La piccola era trascinata con la forza per le caviglie da sua madre, che le urlava di stare zitta. Spaventata e piangente, col viso macchiato di sporco e sangue, Alessa lottava per liberarsi:
- No! Non voglio farlo! - gridava.
- Perché? Perché ti rifiuti? E’ il tuo destino! - rispose l’altra - Tu verrai con me!
Cadde a terra, lontana e libera dalla donna.
- Qualche mese fa non avresti opposto resistenza e, da brava bambina, avresti dato ascolto alla mamma! - continuò Dahlia, guardandola minacciosa.
- Non capisci... - sussurrò.
- Una mamma capisce sempre ciò che vogliono i propri figli.
- Non è vero...
- Invece sì. Ti capisco; so che sei perfetta, e verrai con me.
Era in trappola: cercò di allontanarsi dalla donna, ma si fermò, tremante.
- Da quando sei entrata in quella scuola... non ti riconosco più! - sbraitò Dahlia - Ti hanno fatto venire in mente strane idee...
- Mi hanno fatto capire chi sono... chi credono che io sia!
- Ti avrei detto dei tuoi poteri una volta...
- Bugie!
Alessa sembrava alternare momenti di aggressività, come quello, a stati di quiete e passività.
Dahlia le tese la mano, vicina, e con fare più dolce sussurrò:
- Vieni con la mamma.
- No!
Scattò: si avvicinò ad Alessa e la calciò forte, sulla pancia, lasciandola senza respiro:
- Cattiva piccola peste!
- Ti voglio bene, mamma - mormorò Alessa, sorridendole.
- E te vorrò anche io... se mi seguirai al Rito! - urlò.
- Ma io resto qui - affermò la bambina.
- Sai perché lo faccio? Per proteggerti! Proteggerti da quell’eretico! - disse Dahlia, come se fosse una cosa ovvia e scontata. Era tornata, proprio come la figlia, calma e composta, e ora aveva la mano protesa ad accarezzare la guancia di Alessa.
- Tutte quelle bambine... - piagnucolò l’altra, chinando il capo.
- Vederle morire... deve averti provato.
- Non voglio ricordare.
- Se un giorno... se tutto questo non stesse per accadere... saresti diventata come me, una sacerdotessa...
- MAI!
- Ma non avrei mai immaginato che tu potessi essere così disubbidiente!
 
Era come assistere ad un film. Io ero solo un’innocente spettatore. Chissà se la pazza, parlando di quell’”eretico”, in realtà, si stava riferendo a me, anni fa...
 
- Io sono un mostro. Non sono perfetta - continuò Alessa, rannicchiandosi.
- Rifiuti il tuo destino?
- Sì!
Venne colpita, ora, in piena faccia.
- Vergogna! - abbaiò la sacerdotessa, con occhi di brace - Rifiuti il volere di Samael.
- Rifiuto il suo volere - ripeté lei.
- Strega! Blasfema! Peccatrice! E’ Metatron... dentro di te, che ti induce al peccato.
- Non c’entra. IO mi oppongo - ridacchiò.
Dahlia si fermò, pensierosa, davanti a lei, con lo sguardo vuoto:
- Avrei dovuto ucciderti subito, appena nascesti.
- Papà non avrebbe mai permesso una cosa del genere! - strillò Alessa, letteralmente in lacrime.
Dahlia rise:
- Vieni! Vieni con me!
- NO!
- Sai che voglio solo un briciolo del tuo grande potere!
- No! NO! Ho solo telecinesi! E’ una cosa comune... altre persone possono farlo!
- Cosa vuoi che me ne importi?!
Riprese a trascinarla violentemente, mentre la bambina piangeva:
- E’ per il tuo bene!
- Mamma! Ascoltami! - la supplicò, in ginocchio, cercando di rimanere immobile - Ascolta: andiamo via da Silent Hill. Andiamo via da questa città! Dimentichiamo l’Ordine, il fuoco e quelle bambine... ma andiamocene! Vivremo lontane da questo inferno! Solo io e te. Ti prego, capiscimi!
Era un visione straziante. Una figlia, inginocchiata, a mani giunte, che chiedeva di essere felice. Quanto dolore poteva aver provato la bambina di sette anni?
- Qui ci sei nata, Alessa. E qui ci morirai! - rise sua madre - E io sono stata una sprovveduta... a sacrificare tutte quella bambine... quando tu sei perfetta.
- Mamma...
Era impazzita.
- Eccolo! - esclamò - Eccolo il grembo della Santa Donna, che contiene il potere di creare la vita.
La riprese per le gambe, trascinando la figura urlante e in lacrime.
- Mamma! - la implorò Alessa - Papà...
- Tuo padre non c’è!
- Bugiarda!
- Tu un padre non ce l’hai!
Vidi Alessa smettere di combatterla, per fissarla con gli occhi sbarrati per l’orrore.
- Tutto un rito! Un rito! Finanziato da Kaufmann! - disse Dahlia, nella voce un accenno di pazzia - Tu sei mia e di nessun uomo. Non hai un papà. Lo scopo del rito, infatti, era quello di far nascere la perfetta Incubatrice, coi miei stessi poteri. Ed eccoti qua. Mia figlia. Nata grazie a me, e nessun altro. Umiliazioni e maledizioni per tutta la gravidanza... e per cosa? Per una figlia ingrata!
Era diventata una bambola. Una marionetta, priva di luce, nelle mani di quella donna. Si lasciò trascinare via, senza più lacrime.
 
E poi la vidi, per l’ultima volta come una bambina. Con il volto sporco e scheletrico, le gambe vacillanti e i capelli neri arruffati, abbracciare la madre e sussurrarle:
- Mamma! Scappiamo: al piano di sotto c’è un incendio!
Dahlia le accarezzava la schiena.
- Cosa devo fare? - pianse Alessa, presa dal panico.
La risposta della madre fu:
- Prega.
- Se restiamo qua dentro... moriremo, mamma - disse forte la piccola.
- Abbiamo vinto...
- Cosa... ? Dobbiamo scappare!
E la mano di Dahlia si alzò, lontana dalla vista della figlia, sopra di lei. Nel pugno un pugnale d’oro, che un secondo dopo era piantato nella schiena di Alessa. Cadde a terra con delicatezza, con la bocca spalancata e un urlo represso. Dahlia le rivolse un ultimo sorriso e si allontanò... lasciandola alle fiamme.
Sette anni fa...
 
Il freddo mi avvolse.
Ero in uno strano ambiente.
Come pavimento una grata arrugginita, abbastanza larga; le pareti o il soffitto non esistevano. Solo nero attorno a me.
E davanti a me tre figure.
Una donna col velo sul capo, che mi sorrideva, una ragazza ustionata sulla sedia a rotelle a l’anima di Alessa Gillespie, nel grembiule blu, che mi guardava supplicante.
- Quindi - disse la donna alla figlia e allo spirito - Hai usato il Sigillo di Metatron. Credevi davvero di riuscire a sconfiggerci?! Ma alla fine... la metà è tornata! Se avesse tardato, anche solo di poco, tutti i nostri tentaivi sarebbero stati vani. E' grazie a quell'uomo che sei qui. Dobbiamo ringraziarlo. Abbiamo fermato te e quella bambina... giusto in tempo. Ma lei è dovuta "andare". Che spreco...
- Dahlia! - urlai.
Questo incubo era arrivato al capolinea.

 
 

ANGOLO AUTRICE:
Sì... siamo praticamente alla frutta - sono due mesi che lo dico... ma ora lo siamo veramente XD
Quindi... la battaglia finale! Eccola, che ci aspetta... e... vedremo cosa ci riserberà... visto che ci sono ancora un mucchio di sorprese. Da qui non si esce più.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate e alla prossima, come sempre! :)
Byeee

 

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Capitolo 41
*** L'Incubo e l'Incubatrice ***


L’Incubo e l’Incubatrice
 

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- Bene, bene, bene. Chi l’avrebbe mai detto: sei arrivato fino qui!
Con queste parole mi accolse quella maledetta donna; mi sorrise, calma e senza accenno di sorpresa, costringendomi a digrignare i denti per la rabbia.
Per lei era finita.
“Pistola alla mano, Harry” pensai tirando fuori l’arma “Questa pazza potrebbe essere capace di tutto”. Puntai il mirino dritto verso il suo cuore, il dito già sul grilletto, pronto a scattare a farla addormentare per l’eternità, in questo inferno.
Posai gli occhi sul corpo adagiato sulla sedia a rotelle, incapace di muoversi e col viso coperto dai capelli scuri e sporchi, vestita solo di bende e di un medaglione al collo. Alessa, in ginocchio, aveva lo sguardo afflitto e rivolto verso il nero attorno a noi. Sembrava un posto dimenticato da Dio. Tutta la città lo era... ma ora sentivo di essere davvero, finalmente, solo in un posto lontano dal tempo e dalla logica.
Di una cosa ero certo, qualcuno non ne sarebbe uscito vivo.
- Dimmi dov’è Cheryl! - ringhiai.
Non rispose: alzò gli occhi verso il nulla e sospirò.
Strinsi ancora più forte l’arma, stanco, e ripetetti, più forte:
- DOV’E’ CHERYL!? Cosa le hai fatto?
Alessa prese a tremare silenziosa; le sue mani raggiunsero la grata arrugginita sotto di lei e il suo “corpo” fu attraversato da strani fremiti e brividi. Alzò gli occhi verso di me, sentii il suo sguardo... ma io ero concentrato solo su sua madre. Mi trattenni. Avevo bisogno di risposte.
- Dimmelo! - dissi ancora.
E lei rispose:
- Cosa mi chiedi, adesso? Della tua bambina, la mia, o cos’altro? - rise divertita, i suoi occhi e i miei legati e incapaci di sciogliere lo sguardo di rabbia - E perché me lo chiedi, poi? Cheryl... l’hai vista diverse volte per Silent Hill. Giusto?
Cheryl nella nebbia, nei miei incubi... ma quelli erano solo sogni; sogni e realtà... ? Non trovavo più differenze oramai tra quelle due parole, ma ero sicuro che la bambina e la ragazzina che avevo visto per la città, dallo strano carattere e dalla storia orribile, con poteri sovrannaturali era Alessa Gillespie. Ora, Chery era metà della sua anima... ma possedeva anche un corpo! Era pur sempre mia figlia. E anche di quella donna, per quanto mi costasse davvero tanto pensarlo.
- Nella sua forma reale - concluse abbassando leggermente la testa.
Cheryl.
Nella sua forma reale?
Era troppo... tardi?
I muscoli facciali si rilassarono, così come le braccia che tenevano la pistola.
Cheryl era tornata davvero Alessa? O mi stava semplicemente ingannato, proprio come per il Flauros?
- Basta giochetti - dissi piano, nemmeno convinto delle mie stesse parole.
- Non la vedi? - fece la donna avvicinandosi alla ragazza per terra - Eccola qui!
Alessa... o Cheryl... si trascinò via dalla madre per qualche insignificante centimetro, mentre cercava il mio sguardo.
Non sapevo che pensare. Ero spiazzato e il cuore sembrava aver mancato qualche battito. Il solo pensiero di avere vicino a me Cheryl, in effetti, mi avrebbe fatto sentire meglio. Ma quella figura patetica, sui quattordici anni non era mia figlia. O sì? L’avevo avuta al mio fianco fin da subito?
E cosa ne era stato della bambina dai capelli neri e corti, dagli occhi grandi e scuri e il vestitino celeste? Lei era Cheryl. Mia figlia! Alessa me l’aveva affidata...
Mi sentii la testa girare. Barcollai indietro, confuso, mentre l’anima di Alessa sussurrava una parola: “Papà”.
Era davvero tardi.
 
Il panico e il terrore crebbe come non mai.
Avevo fallito.
E Dahlia lo sapeva.
- E’ assurdo - sussurrai a me stesso passandomi una mano sulla fronte sudata. Sentii la pistola cadere per terra e allontanarsi di qualche metro. Che senso aveva opporsi? Non avevo forse perso Cheryl per sempre?
- Sei l’unico che la pensa così - disse la sacerdotessa allontanandosi da Cheryl-Alessa e dalla ragazzina ustionata.
- E’ impossibile... - continuai.
- Sette anni... - disse forte Dahlia, producendo uno strano eco attorno a noi - Sette lunghi anni! Sette interminabili anni... da quell’incidente, dall’ultimo dei nostri Riti.
Sentii l’aria farsi pesante; dalle parole della pazza e dalla strana voce con cui stava parlando, capii che probabilmente, proprio davanti a me, avrebbe dato luogo al loro Rito; forse anche il corpo di Alessa lo pensò o immaginò, perché allungò piano le braccia verso la sua stessa anima, ancora tremante e immobile, quasi in cerca di conforto.
Dahlia continuò, troppo presa dalle sue stesse parole per accorgersi di qualsiasi altro. Avrei potuto ucciderla, ma mi sentivo paralizzato:
- Sette anni da quel maledetto giorno! Alessa è rimasta in vita, soffrendo un destino peggiore della morte! Alessa è stata intrappolata in un incubo senza fine, da cui non ci si può svegliare. Ma “lui” si è nutrito dei suoi tormenti e dei suoi incubi, delle sue paure e della sua vita, in attesa del giorno in cui sarebbe nato! E quel giorno è finalmente arrivato. Presto il mondo verrà purificato col fuoco e rifatto. Tutti soffriranno immensi dolori e sofferenze me presto verranno liberati.
Era fuori... fuori di sé.
- Ecco la nostra salvezza! - riprese, più forte di prima, questa volta puntando gli occhi su di me - Questo è il giorno del Giudizio! Il giorno in cui tutti i nostri peccati verranno spazzati via. Il giorno in cui le porte del vero Paradiso, dopo la purificazione dell’umanità, si apriranno e i piaceri della terra svaniranno.  Che il Rito della Nascita abbia inizio!
Poi, con uno scatto velocissimo, prese la mano dell’Alessa ustionata, l’alzò al cielo insieme alla sua, come in preghiera, chiuse gli occhi ed esclamò, quasi in estasi:
- Mia figlia sarà la Madre di Dio!
 
Nell’esatto momento in cui finì di pronunciare quelle parole... accadde qualcosa di strano. Sua figlia alzò il viso, in un’espressione d’agonia intensa... mentre uno strano bagliore sembrava colpire il suo bassoventre. La luce, biancastra ma luminosissima, crebbe ogni secondo sempre di più, avvolgendo la sedia a rotelle e Alessa-Cheryl, fino a coprirle. Era così abbagliante che fui costretto a chiudere gli occhi per il dolore alla retina; nel nero delle mie palpebre serrate vedevo comunque una forte luce e strane stelline colorate inseguivano la mia pupilla dandomi la nausea.
Uno strano sibilo, poi, cominciò a fischiare noioso nelle mie orecchie.
Avevo paura di conoscere cosa probabilmente avevo davanti a me, ma raccolsi tutto il coraggio e la forza che mi era rimasti e aprì piano gli occhi, contro la luce che, per fortuna, si era affievolita.
  
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E proprio in quell’istante la luce sembrava offuscarsi sempre di più. La sedia a rotelle e le “due Alesse” erano sparite, per dare spazio ad una nuova ragazza. O era sempre la stessa?
La luce rivelò una ragazza dalle fattezze angeliche vestita di un lungo abito bianco, che sembrava irradiare luce propria, dal viso d’adolescente e i capelli lunghi e neri dietro le spalle. Era Alessa, non c’era dubbio; gli occhi chiusi e le braccia protese in segno di preghiera... e in evidente stato di gravidanza.
Dahlia si teneva a parecchi metri di distanza dalla nuova Alessa e mi sussurrò:
- Ecco, l’Incubatrice, che aprirà il Paradiso con...
 
BAM!
 
Vidi il sorriso della donna gelarsi di colpo e il suo corpo cadere a terra mentre un fiotto di sangue le bagnò la tunica, all’altezza dello stomaco.
- Basta con queste idiozie!
Mi voltai di scatto: il dottor Micheal Kaufmann e la sua inseparabile ventiquattr’ore erano dietro di me. La pistola dell’uomo era ancora puntata verso il punto in cui aveva ferito Dahlia.
- Kaufmann! - esclamai.
Non sapevo se essere felice di avere qualcuno accanto a me, seppur un sudicio verme assassino, o di ignorarlo; ma lui e Dahlia non erano dalla stessa parte?
Il dottore lanciò una rapida occhiata preoccupata all’Incubatrice, prima che Dahlia, ancora viva ma provata, urlasse accasciata a terra:
- Ahahahah! Guardala! Il tuo compito è finito, sciocco! Non ci servi più. Cosa credi di fare o di ottenere arrivando qui?!
Kaufmann la guardò di traverso, con un accenno di sorriso:
- Non ho chiesto tutto questo! E NESSUNO mi usa, chiaro?! Questa “cosa” non lascia questa dimensione!
Lo guardai, per la prima volta, con un briciolo di ammirazione; sapevo che era solo interessato alla droga che la donna gli forniva e ai soldi... ma in quel momento mi sentivo riconoscente nei suoi confronti. Se non fosse stato per Lisa, forse...
Dahlia rise ancora, col sangue alla bocca. Alessa rimaneva perfettamente immobile, come una statua, mentre la temperatura aumentava a dismisura.
Allora, il dottore dell’Alchemilla incrociò il mio sguardo preoccupato e con un rapido gesto frugò nella tasca della sua giacca grigia.
- Cara mia - disse mellifluamente l’uomo alla donna - Stiamo perdendo anche l’ultimo briciolo di sanità mentale qui? Vediamo se riderai ancora una volta stappata questa fiaschetta!
E tirò fuori una minuscola bottiglietta piena di liquido rosso che odorava di fiori freschi. Identica alla mia. La stessa bottiglia che lui mi aveva strappato al motel della città!
Gli occhi di Dahlia si spalancarono, terrorizzata, e gridò:
- Aglaophotis?! Credevo di essermene liberata!
Cosa?! Cosa era capace di fare quello strano liquido vermiglio? Ricordo quel flashback... con Gucci, il poliziotto, ma...
- Ne tenevo sempre un po’ con me, idiota! - gridò Kaufmann - In caso tu avresti deciso di tirarmi un brutto scherzo. Se la situazione degenerava. Infatti... eccola qui! Cosa c’è? Paura? Non è mica per te, anche se un buon esorcismo non ti farebbe affatto male!
- Esorcismo?
- Sì! - sbraitò verso di me il dottore - Credi davvero che quello che la ragazza porta addosso sia un buon dio? Chiamarlo demone non è poi tanto inopportuno, visto che la pazza ha deciso di purificarci tutti!
La stappò con un rapido gesto e alzò il braccio. Pronto.
- FERMO! - strillò la donna.
Ma era già troppo tardi: la bottiglietta di vetro era già in volo verso Alessa. Un secondo prima che l’oggetto la colpisse al petto, la ragazzina dalle fattezze angeliche, aprì gli occhi rivelando due immense iridi rosse. Aprì la bocca per la sorpresa, quando la fiaschetta si infranse sulla sua spalla destra e sul petto, macchiandole di rosso il candido vestito.

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Sembrava non essere ancora successo niente.
- Tieniti pronto - mi suggerì Kaufmann.
- Cosa... ? - feci io, prima che una specie di terremoto ci costrinse a cadere in ginocchio. L’aurea luminoso attorno ad Alessa sembrava sparita e lei rimaneva immobile, con l’espressione ancora sorpresa.
La grata-pavimento continuò a tremare ancora per un po’...
- No - sussurrò l’uomo accanto a me, con lo sguardo puntato verso la ragazza.
 
L’Incubatrice sembrava aver perso tutto ciò che di paradisiaco aveva in precedenza. Si dimenava senza freno, urlava e strillava, graffiandosi la pelle bagnata dall’Aglaophotis. Non era capace di molti movimenti, per via del suo stato, ma continuava ad agitarsi come colpita da una potente scossa elettrica.
Forse non aveva funzionato.
Ora mi sembrava di avere davanti due pazze: la figlia che si graffiata la schiena con fare animalesco in preda al dolore e la madre che rideva compiaciuta.
E forse fu quella la goccia che fece traboccare il vaso.
L’Incubatrice mosse qualche passo trascinato verso la madre e, sempre urlando, portò le mani al petto, sui pezzi di vetro infranto... e in quell’istante un boato ci assalì e una saetta, un fulmine, colpirono la donna, che si immobilizzò, folgorata e in preda alle fiamme, prima di spirare.
No, quell’essere non poteva essere Alessa...
 
Ritornò al centro dell’ambiente e si piegò rannicchiata.
Finì di urlare.
Chiuse gli occhi e si coprì il viso con le mani, mentre la schiena le si squarciava a metà. Il vestito si era quasi tinto completamente del suo stesso sangue...

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Una creatura, simile ad un bambino, uscì fuori dal suo corpo. No, era un essere orribile!
Un mostro.

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Samael.
La peggiore delle creature, venuta al mondo proprio nel punto in cui la bottiglietta d’Aglaophotis si era infranta.
Si alzò, non completamente formato...
Un mostro dalle fattezze ermafrodite, con il seno da donna ma senza ventre. La colonna vertebrale, coperta da un leggero strato di pelle, si collegava al bacino scheletrico e agli arti inferiori, simili alle zampe delle capre. Sembrava il diavolo che avevo visto raffigurato in alcuni libri.
Il muso d’animale, un paio di corna simili a quelle del toro o della capra, occhi piccoli e rossi, un paio di grandi ali e le braccia umane.
Spiegò le ali, possente e gigantesco, ed emise suoni striduli e animaleschi.
Alessa-Incubatrice era sparita.
- Andiamo via! - mi fece Kaufmann afferrandomi il gomito - Andiamo via! Via!
Mi voltai verso di lui:
- Non c’è via d’uscita.
- Continuiamo a correre verso il buio, saremo salvi.
Rimasi a guardare l’abominio appena nato, ancora prematuro dato l’esorcismo, per qualche secondo. L’aria spostata dalle sue enormi ali mi colpì in piena faccia, costringendomi ad arretrare.
Mi voltai e cominciai a correre.
Perplesso.
- Cosa sta succedendo? - urlai col fiatone - Cos’è questa cosa?
- Samael... Succube...  Incubus... non c’è molta differenza! - mi rispose l’altro.
Lo sentimmo ringhiare dietro di noi.
- Il loro “dio”... il diavolo per altri - continuò correndo a perdifiato.
- E Alessa?! - chiesi disperato - E Cheryl?
- Mai sentito parlare di “Incubi”, i maschi delle Succubi? Demoni che assaltano sessualmente donne e ragazze, impregnandole di incubi e brutti sogni. Dimenticala! Corri!
E invece mi fermai.
- Fa... cosa? - mormorai.
- Sbrigati! Cosa fai!? - mi urlò Micheal.
Ma io ero già tornato indietro. La paura che cresceva dentro di me. Tornai accanto al cadavere di Dahlia, raccolsi la pistola che avevo lasciato cadere prima e la puntai verso Incubus.
Alessa? Cheryl? Non mi importava.
Samael sembrò ridere di me.
 
Potevo farcela!

 
 

ANGOLO AUTRICE:
Se c’è una cosa che non sopporto, in un film o in telefilm, è quando la pellicola si conclude, magari in un punto cruciale, e lo spettatore deve aspettare qualche secolo per sapere cosa succede.
Non parliamo del finale.
Ecco perché mi sono data una mossa XD
Siamo alla fine. Forse siamo agli ultimi due/tre capitoli. La mia prima fic... che finisce XD Sono fiera di me stessa.
Sooooo... per lo stesso discorso di prima, allora, la prossima parte arriverà prestissimo. Siamo alla battaglia finale e di regola non avrei dovuto nemmeno fermarmi qua. Però, siccome Silent Hill mi rende sadica... XD
Alla prossima e, come sempre, fatemi sapere cosa ne è venuto fuori.
Ci prepareremo anche ai saluti nei prossimi aggiornamenti ;D
A presto belli :3
PS: E uno dopo un po' comincia chiedersi perchè le parole "INCUBO" e "INCUBATRICE" cominciano in modo uguale XD

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Capitolo 42
*** La Notte In Cui L'Eternità Ebbe Inizio ***


La Notte In Cui L'Eternità Ebbe Inzio

Avrei voluto tanto risparmiarmi tutto quello.
Lo scontro, le mie paure, l’Incubo... l’intera città, Silent Hill...
Ma se l’avessi davvero fatto, se avessi mollato tutto e fossi anche sopravvissuto, probabilmente, sarei rimasto  intrappolato in questa dimensione oscura per l’eternità. Nessuno mi avrebbe portato via; dovevo provvedere io a far terminare quell’inferno, con le mie forze.
 
Scaricai velocemente la prima cartuccia contro Samael che ancora si librava nell’aria, sopra di me, immobile e col muso rivolto verso di me. Colpii la testa, poi il petto e infine le gigantesche ali; sembrava però immune ai proiettili e anche quando lo beccai precisamente in fronte rimase impassibile e letale come sempre, senza nemmeno emettere un gemito o scomporsi. Notai che quel mostro non sanguinava.
Infilai la mano sinistra in tasca, in cerca di altre munizioni, quando sentii i piedi sollevarsi da terra e il mio corpo colpire il pavimento subito dopo: Incubus aveva sbattuto le ali con tanta forza e velocità da farmi cadere sulla ruggine sotto di me.
L’abominio alzò le braccia al cielo, agitandole con foga, e ruggì. Un suono animalesco misto ad urla uscì dalle sue fauci spalancate che nascondevano minuscoli ma numerosissimi denti, affilati e appuntiti. Gli occhi rossi più delle fiamme dell’inferno brillarono nell’oscurità, quasi accecandomi, mentre sentii il pavimento tremare e un boato arrivare dal buio e dal niente sopra di me.
E poi... la luce di un lampo mi colpì e una saetta incandescente mi sfiorò il fianco destro.
Fui velocissimo, per fortuna: mi alzai in fretta, inciampando qualche metro più avanti, proprio prima che un’altra saetta colpisse il punto esatto in cui ero caduto e seduto prima. Nella confusione avevo lasciato cadere la pistola a un po’ più in là.
Mi sentivo osservato. Da troppe persone. Persino gli azzurri occhi, spenti ma aperti, della carbonizzata Dahlia Gillespie sembravano vagare nelle tenebre, alla mia ricerca, pronti ad immobilizzarmi al suolo e consegnarmi alla morte. Ma non riguardava solo lei: sentivo mille paia di occhi su di me, su Kaufmann, che si era rannicchiata per terra, come un bambino impaurito, e il mostro volante.
Incubus ruggì, forse per la rabbia di non aver colpito il suo bersaglio, e prese ad agitare le ali, sferzando l’aria.
- Pistola... - sussurrai, aguzzando lo sguardo per terra, in cerca dell’arma, mentre la mano sinistra riprese a  vagare nelle consumate tasche della giacca marrone, sporca di cenere, ruggine, sangue e paura: la bottiglia con liquido rosso, la mappa, qualche foglio inutile... dov’erano le munizioni?!
Era tutto quello che avevo? Avevo consumato tutto?
Mi assalì, come un vortice, un’odiosa sensazione di impotenza. Cosa... ?!
Un boato... un’altra saetta.
Per quanto tempo ancora... ?
 
Lo sentii ringhiarmi contro, non appena ritrovai l’arma inutilizzabile. Sentitosi minacciato, spiegò completamente le ali, il muso rivolto verso di me aperto in uno spaventoso ghigno, e si preparò ad attaccarmi.
Stessa procedura: boato, saetta e balzo.
Mi voleva morto, era certo, ma non capivo: perché il dottor Kaufmann era stato completamente ignorato dal mostro? Che l’abominio l’avesse riconosciuto come suo “amico” e avesse deciso di risparmiarlo? O voleva prima finire me, per poi dedicarsi all’uomo?
In ogni caso, la mia “danza macabra” si sarebbe dovuta presto concludere.
 
Lo sentivo ridere di me. Vedevo la mia amata Cheryl nell’oscurità, prendersi gioco della mia situazione preannunciandomi l’imminente morte.
L’aria divenne improvvisamente pesante; respirai a pieni polmoni, assetato d’aria  e deciso a gustarmi tutti gli ultimi intensi secondi che mi rimanevano.
Harry Mason, l’uomo che morì cercando di salvare sua figlia, Cheryl, dalle spire di una città al confine dell’Inferno.
Sarebbe stato un’ottima storia da raccontare, magari davanti ad un bel falò, vicino al fuoco che consumò lo stesso protagonista, con gli amici, giusto per spaventare gli altri e animare un po’ la serata.
Ripensai, ancora, a tutto quello che mi era successo dal mio risveglio in auto, quando ancora speravo di trovarmi in un incubo, e alle mie peripezie. Pensai ai mostri e al terrore che mi suscitavano, a Dahlia che mi manipolò per i suoi interessi, a Lisa Garland, la dolce infermiera in rosso, che non sapeva di essere morta... a Cheryl, la bambina sonnambula che io e Jodie trovammo sul ciglio della strada sette anni fa, metà nascosta di Alessa Gillespie, una bambina maltrattata e tenuta nascosta per la realizzazione di un oscuro piano.
Se proprio il mio destino era morire in quel luogo, avrei tanto preferito farlo con l’immagine di mia figlia impressa nella mia mente, così concreta da sembrare persino presente in quel momento, al mio fianco.
 
- Cheryl... - sussurrai, ancora una volta a me stesso, schivando un altro fulmine.
Il mostro, l’Incubo, ancora più frustrato di prima, ruggì esasperato.
Poi, improvvisamente, si fermò, alzò il muso e ululò... di dolore.
Scintille dorate ricoprivano coprivano il petto da donna e la colonna vertebrale scoperta; le ali, fino a quel momento completamente aperte, si piegarono su loro stesse, portando l’immonda creatura più vicina al suolo.
Ruggì ancora, ma questa volta, insieme al suono animalesco e terribile, dalle fauci dentate, venne fuori anche un urlo da bambina. Gli occhi scarlatti si spalancarono, quasi sorpresi, mentre Incubus allungò le zampe anteriori fino alla testa, strofinandosi il viso, infuriato.
Qualunque cosa stesse succedendo, la creatura sembrava essere in difficoltà. E non avevo la più pallida idea di cosa fare.
L’ululato era così forte da farmi tramare le ginocchia, ma lo strillo femminile era ancora più orribile da ascoltare; poi, per quanto Incubus ci provasse, lanciandomi occhiatacce di fuoco, desiderandomi morto, non era più capace di evocare i fulmini.
La nostra lotta si poteva definire conclusa. Ora era nel bel mezzo di una battaglia intestina, e sentivo che stava cercando di vincere Alessa, l’Incubatrice, Cheryl... o chiunque sia...
Alla fine, dopo un’eternità, il vincitore ebbe la meglio.
O meglio, la vincitrice.
Il mostro strillò un’ultima straziante volta, perdendo il controllo, agitandosi come in preda a mille dolorose convulsioni. Le ali si immobilizzarono e il pesante corpo demoniaco precipitò, incapace di volare, davanti a me, causando un terremoto. Il colpo fu così potente che mi ritrovai a terra.
La caduta di Samael fu accompagnata dalle urla della ragazza e dalla stessa luce accecante che l’Incubatrice emanava prima dell’”esorcismo” di Kaufmann.
Vidi per l’ultima volta brillare quegli spaventosi occhi rossi, vicinissimi ai miei, e sentii l’alito bollente del mostro; cercò di afferrarmi, di prendermi a divorarmi... ma era troppo debole. Era confuso, malandato... per l’abuso dei suoi stessi poteri.
Sentii il dottor Kaufmann, dietro di me, gridare qualcosa, ma non ci feci molto caso.
La luce che Samael sembrava irradiare lo avvolse completamente, nascondendolo alla vista, lasciando dietro di sé solo il spaventoso ruggito.
Mi misi in piedi, dolorante e confuso.
Era la fine?
Ero vivo?
Era un sogno?
L’inferno e il paradiso non erano mai stati così vicini, l’uno all’altro, e mai così infinitamente lontani dall’uomo che aveva provocato l’uccisione dell’Incubo. Svuotato di tutto, privato di tutto e del tesoro più grande, Cheryl: ecco come mi sentivo. Come se mi fossi ancora svegliato nella mia macchina, alle porte della città di Silent Hill.
Ma quello poteva essere l’inizio di qualcosa, magari qualcosa di nuovo.
In ogni caso, non potevo saperlo e neppure immaginarlo quando, dalla luce paradisiaca, brillante e splendente davanti a me, si ricompose la fragile figura dell’Incubatrice.
Mi feci indietro, intimorito.
Era esattamente come appariva prima: bella, luminosa, letale e con la pancia rigonfia. Stranita, ora, intimorita e tremante, giaceva supina. Respirava pesantemente e si muoveva lentamente nel vestito bianco, sporco di Aglophotis e suo stesso sangue. Messasi lentamente a sedere, cominciò a guardarsi intorno.
Io continuai ad allontanarmi in silenzio, ma il lungo e doloroso sospiro dell’Incubatrice mi costrinse a fermarmi; la ragazzina avevo adocchiato il cadavere di sua madre, Dahlia, morta carbonizzata dal suo stesso fulmine. Lo contemplava con dolore, col respiro che si faceva sempre più veloce, corto e rumoroso. Arrivò ad ansimare e quasi mi venne un tuffo al cuore quando, dopo un gemito di dolore, cadde violentemente a terra, proprio dov’era stesa prima, con le mani al petto, quasi incapace di respirare.
“Vai Harry” pensai, muovendo passi incerti “E’ debole,  cosa potrebbe mai farti”.
E in effetti, una volta al suo fianco, lei mi sembrò tutto tranne che pericolosa. Aveva le pallide guance bagnate di lacrime e gli occhi le erano tornati dell’azzurro di sempre. Era tornata Alessa.
- Papà - sussurrò dolcemente quando riuscì a vedermi.
Era Cheryl.
Era Alessa.
Era mia figlia.
Allungò la mano verso di me, a toccarmi, ma fu un tentativo vano: debole e stanca, la mano le ricadde sulla grata con un tonfo. Allora, fui io a piegarmi accanto a lei. Non mi importava se la luce mi accecava. Stare insieme a lei era stare insieme alla mia cara figlioletta.
L’avevo perduta, ma era là.
Le presi delicatamente la mano, incredibilmente fredda al tatto, e la strofinai lentamente. Mi ringraziò sorridendomi e sussurrandomi:
- Papà... scusa... è... colpa mia... tutta...
Provavo pietà per Alessa: persino in quel momento, riusciva a prendersi su le colpe di un rapimento, del tentativo di nascondere la metà perduta della sua anima da sua madre. Per salvarsi aveva dovuto rovinare la mia vita. Forse non glielo avrei mai perdonato, ma in quel momento non potevo pensarci: stava morendo. Era stata lasciata sola per tutta la vita, senza affetto o un sorriso, e non potevo sopportare di vederla ancora ignorata nella morte. Aveva solo quattordici anni!
Inconsapevolmente l’avevo cresciuta, l’avevo amata, era figlia mia.
Sembrò ancora capace di leggermi nella mente in quel momento, perché mi sorrise di nuovo e mormorò, guardandomi negli occhi:
- Non chiedo il tuo perdono... sono stata orribile... solo... non dimenticarmi... per Cheryl... Papà...
Le sussurrai di stare in silenzio: per quanto parlasse a bassa voce, nell’oscurità di quel posto, le sue parole sembravano urlate; ma non si rassegnò: probabilmente non voleva andarsene sapendo di non essere stata ancora perdonata.
- Giuro - promise con la voce sempre più flebile - che ti farò felice, Papà. Per la bambina... che ti... ho... portato via... prometto...
Sorrise ancora, prima che la stessa luce bianca di cui brillava e che aveva portato via Samael in precedenza la nascondesse alla vista; tenevo ancora stretta la mano bianca, non più debole e inanimata come prima. Mi teneva stretto a lei.
“Giuro che ti farò felice”, poi? Cosa intendeva dire?
Chiusi gli occhi fino a quando la luce abbagliante cominciò ad affievolirsi. E quando ritornai a vedere, per poco, non persi i sensi: Alessa, abbandonata dall’aurea luminosa, si era messa a sedere e nella mano libera reggeva un neonato, una femminuccia. La poggiò delicatamente sulle gambe, distrutta, e, strappato un lembo della sua veste bianca, coprì il delicato corpicino della bambina. La guardò, con occhi dolci e lacrimosi per qualche secondo, per poi tornare a guardare me.
Le sue intenzioni erano chiare: lasciata la mia mano, riprese la neonata tra le braccia e dopo averle sussurrato qualcosa, la tese verso i me, con sguardo supplicante. Voleva che la prendessi.
Ero un tantino riluttante, ma alla fine l’accontentai.
 
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Il piccolissimo corpo della bambina era immobile, freddo e pallidissimo, ma irradiava la stessa luminescenza dell’Incubatrice . Gli occhi erano chiusi e non sembrava dare segni di vita. Era... morta? Non sembrava addormentata.
Alessa, intanto, prese a sfilarsi dal collo un medaglione dalla forma rotonda, in grado di essere aperto. Poi, mi disse di darle la bottiglia dal liquido rosso, che ancora portavo nella tasca; la poltiglia rossa fu versata all’interno del ciondolo e, il tutto, venne messo al collo della neonata.
- Scappate... - mi sussurrò sfinita.
Ero shockato. Cosa stava succedendo?
La quattordicenne alzò la mano tremante al cielo e, col suo gesto, sembrò richiamare una stella: era come trovarsi in un tunnel e riuscire a scorgere l’uscita. Ma qualcosa sembrava essere andato storto: dal cielo pioveva fuoco. Fuoco...
- Ti proteggo io, Papà... - ansimò - Vai... vai!
 
Mi misi in piedi, col fagottino tra le braccia, e mi voltai di scatto. Micheal Kaufmann aveva assistito a tutta la scena e guardava la neonata allo stesso modo in cui un bambino guarda sognante la vetrina di un negozio di dolciumi. Tese le mani verso di me, proponendomi di tenere la piccola... quando un paio di mani insanguinate lo presero per le spalle e lo trascinarono indietro.
I capelli biondi e sporchi, gli occhi azzurri, il viso sporco di sangue e la cuffietta da infermiera...
Lisa, l’infermiera, era dietro di lui, con lo sguardo da pazza e un orribile sorriso stampato sul viso. Sembrava essere uscita fuori da un buco del pavimento, mentre ora, si muoveva, snodata e veloce, verso il dottore.
Era quello che quel pazzo si meritava. L’aveva uccisa, le sue droghe avevano fatto il resto.
Lo vidi cadere insieme all’apprendista infermiera nell’Inferno, dalla crepa della grata, nel buio eterno.
 
- Addio...
Alessa continuava a sussurrarmi quella parola, con una dolcezza unica. Era finita per lei e lo sapeva: guardava il cadavere di sua madre e me, senza interrompere il silenzioso pianto e il lamento.
Sentivo che stava morendo per salvarmi.
Il fuoco che veniva giù dal cielo sembrava evitarmi e quella luce lontana si faceva sempre più vicina.
L’ultima visione che ebbi di Alessa Gillespie, fu quella della sua mano tesa verso la bambina e me, e del suo debole corpo. La vidi cadere, vidi i suoi occhi spegnersi e le lacrime cadere.
Poi spirò.
E tornai a dirigermi verso la salvezza, prima che quella “stella” sparisse. La neonata stretta al petto, con medaglione che ciondolava di qua e di là, e il fiatone...
Poi cadde cenere sopra di noi.
Mi ritrovai per le strade nebbiose della città; rividi Dahlia ridere di me:
- E’ perduta! Non esiste più!
Scorsi la povera Lisa piangere lacrime scarlatte:
- Avevi promesso! Mi avevi promesso che saresti venuto a prendermi, per portarmi via con te! - urlò.
E Cybil correre dietro di me, un fantasma:
- Harry! Harry! Dove credi di andare! Da qui non si esce!
Sentii crescere la paura.
- Sopravvivrò - urlai.
Mille mostri, cani sanguinanti e bambini deformi sembravano avermi preparato la via d’uscita. Mi lasciavano passare, ma solo per la bambina che tenevo con me. Mi ringhiavano contro, mi guardavano avanzare, ma non muovevano un muscolo: le infermiere erano immobili come fredde statue, i bimbi grigi piagnucolavano e tendevano le manine verso il fagottino, i cani senza pelle ululavano al cielo bianco, i mostri simili a grandi scimmie parevano quasi chinare il capo e cantare una strana canzone...
Corsi velocissimo e chiusi gli occhi appena vidi il cartello “ STATE LASCIANDO SILENT HILL “.
“Fa che sia così” pensai "Dio, fa che sia vero" ...
 
E...
L’aria gelida mi investì come un treno in corsa.
Aprii piano le palpebre: una strada dissestata, la mia macchina distrutta contro la collina, il sedile di Cheryl vuoto, alberi verdi...
Stringevo una bambina tra le braccia, una neonata che pareva morta.
- Non ci credo - sussurrai. A qualche metro da me scorsi una moto della polizia della città vicina, Brahams.
Ero fuori.
Alzai lo sguardo.
Una pallidissima luna piena, bianca come gli stracci che avvolgevano la neonata, sembrava osservarmi. La pazzia di un uomo, appena tornato dall’Inferno.
Avevo paura.
Cheryl...
- E’ persa... - sussurrai.
Persa.
Mossi qualche passo in avanti: dovevo tornare a casa.
Ma come?
- Persa... E’ persa! - gridai alla luna.
 
E quando arrivò l’alba, arrivò la vita.

ANGOLO AUTRICE:
Il bello è fatto, vero? Altri due capitolo e saluteremo Harry.
:) Tutte le cose hanno una fine, giusto? XD Cooomunque, grazie ancora a tutti quelli che mi seguono e recensiscono. Siete grandi ragazzi :') 
Nella puntata scopriremo di più su questa "bambina immobile".
Capitolo scritto ascoltanto "Hometown" di Joe Romersa a go-go, la song di Harry U__U. E la consiglio caldamente. Racchiude il succo dell'intera vicenda, ecco.
Alla prossima! Besosss :D


 

 
 
 
 

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Capitolo 43
*** Un Mostro nei Suoi Occhi ***


UN MOSTRO NEI SUOI OCCHI
 

Libero.
Camminai lungo la strada tortuosa e deserta per... Dio solo sa quanto tempo! E quando il cielo iniziò a schiarirsi per il sorgere del sole, cominciai ad inciampare nei miei stessi passi. Stringevo la neonata al petto, ma sembrava non aver ancor dato segni di vita: il petto era immobile, le labbra bianche e sottili e gli occhi chiusi. Fredda quasi quanto la neve, assorbiva inutilmente il mio calore corporeo.
La sentivo come un peso, ma non l’avrei mai abbandonata per strada.
Avevo il cuore che ancora sanguinava per la mia piccola Cheryl... come potevo sopportare la vista di quell’altra bambina?! Era un’estranea, proveniente da Alessa e da Silent Hill... nata morta... non potevo stare più male di così!
Avevo ancora nelle orecchie e nella mente, gli orribili ruggiti di Samael e il pianto della ragazzina... o forse li confondevo col rombare dei motori e dal fruscio delle foglie? Ero davvero tornato alla realtà? Anche con i vestiti sporchi di sangue e senza mia figlia?
Non si era ancora fatto giorno, quando, finalmente, scorsi una strada parecchio trafficata, che portava ad una città chiamata Shepherd’s Glenn. Ero in pendenza, in cima ad una piccola collina, e alla mia sinistra c’era una spettacolare vista sul lago Toluca. Ricordai che quella che dovevamo passare io e Cheryl avrebbe dovuto essere una vacanza... ma si era rivelata un incubo ad occhi aperti. Avrei giurato, su tutto quello che avevo... che ero davvero andato all’Inferno e uscito sano e salvo.
Chiusi gli occhi per un attimo, respirando a pieni polmoni; quando riaprii le palpebre, la figura di Alessa Gillespie, in abito blu e capelli raccolti, fece la sua apparizione al mio fianco.
- No - sussurrai a voce rauca, correndo via da quelle ombre.
Anche se ero sopravvissuto, anche se ce l’avevo fatta, ero marchiato per la vita. Non avrei certo dimenticato l’odore pungente del sangue e non avrei mai scordato il sorriso sadico di Dahlia, la sua risata e le sue intenzioni. O Kaufmann. O le lacrime di sangue di Lisa. O i consigli di Cybil.
Un reietto.
Un ex-detenuto che se ne torna a casa dopo anni di ingiusta prigionia.
Ecco, mi sentivo proprio così.
 
Dovetti sembrare spaventoso alla moltitudine di persone che, dai finestrini delle loro automobili, mi fissavano con diffidenza, sui miei vestiti sporchi e sulla mia faccia sconvolta. Notai molti bambini ridacchiare, anche per una frazione di secondo, e molte donne cercare di capire cosa tenevo tra le braccia.
La verità era che neanche io ne ero a conoscenza: potevo benissimo tenere in braccio l’anticristo in persona, e non me ne sarei nemmeno accorto.
Riuscii, quasi per miracolo, a scavalcare il guardrail insieme alla neonata e ad entrare nella spaziosa carreggiata. Non avevo idea di dove andare, né cosa fare. Mi limitai ad osservare ogni singola auto e camion di passaggio, indeciso sul da farsi, e con un pizzico di invidia.
Allora, mi sedetti, esausto sulla barriera di ferro alle mie spalle, con l’aria gelida che mi scompigliava i capelli sporchi, e fissai il fagottino che mi ero ritrovato a trasportare: un ciuffo di corti capelli neri le cadeva sulla fronte bianca, sfiorandole gli occhi. La scossi un po’, ma bastò solo a farle muovere in modo violento e inanimato la testa; avvicinai poi il mio orecchio al suo faccino, in cerca di un accenno di respiro.
Niente da fare.
La catenina del medaglione di Alessa le stava troppo largo, tanto che le circondava completamente le spalle, quasi cingendola. Lo aprii, colpito dalla curiosità: il liquido scarlatto, l’Agloaphotis, si era solidificato, assumendo le sembianze di un sassolino rosso. Non capivo a cosa mi sarebbe più servito. Certo, un esorcismo, per liberarmi dai fantasmi del passato e da quelli della “città silenziosa” mi avrebbe fatto comodo.
 
Ad ogni secondo che passava, mi sembrava di sentire il corpo della “figlia” di Alessa, diventare sempre più rigido e freddo. La ciocca di capelli scuri ondeggiava al vento , arricciandosi e agitandosi. Nient’altro di lei si muoveva.
Il fantasma della luna, nel cielo, era chiaro e quasi trasparente, segno che il sole era prossimo a sorgere. L’aria divenne ancora fredda, sebbene fosse pieno luglio.
Luglio.
Ero arrivato a Silent Hill il 16 Luglio... quindi, quella, era la mattina del 17 Luglio... 1983.
Volevo liberarmi di quella città... di qualunque cosa me la facesse tornare per la mente. La mia tremante mano destra si infilò nelle tasche della giacca, e gettò via tutto quello che vi trovò dentro...
La mappa scarabocchiata della città... alcuni schizzi dell’album di Cheryl... il resto delle bende che ancora mi fasciavano la spalla... un coltellino... la torcia... la bottiglia di plastica...
Fui però indeciso su cosa fare, quando mi ritrovai nella mano la rossa radiolina tascabile che trovai, una volta sveglio, nel cafè della Vecchia Silent Hill, dove il mio incubo ebbe inizio. Mi salvò dai pasticci e dai mostri innumerevoli volte. Strano, mi ci sentivo quasi affezionato. Eppure era vecchia, mezza scassata e la vernice rossa sembrava non dover durare ancora a lungo.
La rigirai tra le mani, un’altra volta, contento di non sentirla più emettere quel maledetto statico rumore, per poi rificcarla nella tasca vuota.
Non avrei saputo che farmene.
- Sei uno stupido - dissi a me stesso, lo sguardo ancora sulle vetture.
 
Non passò molto tempo da quella mia insignificante insinuazione, che un’auto decise di accostarsi proprio davanti a me. Scattai in piedi, ringraziando il cielo e stringendo più forte il cencio senza vita che tenevo tra le braccia.
L’auto era una piccola jeep nera, abbastanza simile alla mia macchina, per modello. Il conducente era un ragazzo sulla trentina, capelli rossi e vestito elegante, e mi guardava dritto negli occhi. Accanto a lui, c’era una ragazza dai capelli biondi ricci e lunghi, mi guardava con sincera curiosità e un grande sorriso.
Non avevo la più pallida idea di chi fossero.
- Va tutte bene? - mi chiese il ragazzo.
Scossi la testa, cercando di nascondere il volto della neonata morta. Avrebbero potuto pensare qualsiasi cosa... ma mi trovavo un cadavere tra le braccia!
Gli occhi della donna caddero sui miei vestiti sporchi e rimproverò l’amico:
- Non sta bene! Non vedi com’è conciato! - disse forte, per poi rivolgersi a me, dolcemente - Ho chiesto io di fermarci a controllare.
Lei indossava un largo vestito color panna... e notai un rigonfiamento all’altezza del ventre.
- Devo... tornare a casa... - dissi confuso. Era un’allucinazione o realtà?
- Dove sei diretto? - mi chiese l’uomo, gentilmente.
Casa, Harry! Casa!
- Casa... - risposi - Casa. Vivo a Portland...
La donna mi sorrise:
- Incredibile! Anche noi siamo diretti per Portland! - rise - Torniamo a casa dalla nostra vacanza.
- Già...- asserì l’uomo, con non molto entusiasmo.
- Ma ti è successo qualcosa? - continuò la donna, all’improvviso preoccupata - Non hai l’auto. Sali in macchina, così ci racconti cosa è successo.
Non sarebbe bastata un’intera enciclopedia per riferirle cosa aveva davvero passato. Comunque, le sorrisi e la ringraziai di cuore. Mi sembrava impossibile. Ero tornato alla realtà...
Non sapevo se era stata la fortuna a farmi incontrare quella coppia... o qualcos’altro. Sapevo solo che stavo davvero tornando a casa.
Portavano la fede, dovevano essere sposati da poco. Erano così giovani...
 
Silent Hill era oramai lontana, quando la donna, che si era presentata col nome di Juliet, mi chiese cosa ci facessi, sporco e solo, in mezzo alla strada.
- Incidente - le risposi attirando anche l’attenzione dell’uomo, Christian - Un terribile incidente.
- Sei sporco di sangue! - mi rimproverò, con aria addolcita - Sicuro di stare bene? Ci siamo spaventati quando ti abbiamo visto per la strada. Potevi farti ammazzare!
- Che incidente, Harry? - mi chiese l’uomo.
Posai la neonata sul sedile, coprendogli il volto. Dovevo inventare qualcosa... e subito!
- Ehm... incidente d’auto. Nei pressi di Silent Hill - risposi velocemente, senza troppo indugiare sul nome della maledetta città - Ero con... mia moglie. Ma...
Juliet prese a fissare il fagotto della neonata e lo indicò curiosa:
- Scusa la domanda, ma cos’è quello?
Aveva tutte le ragioni per chiedermelo: era sul sedile della sua macchina!
Christian la interruppe:
- Dov’è tua moglie? Eh?
- Lei? - sussurrai con dolore - Non ce l’ha fatta, no.
- Cazzo! - si lasciò sfuggire il ragazzo, strofinandosi il naso con la mano; il viso della sua ragazza si corrucciò in un’espressione di dolore, che quasi mi rese capace di rimangiare le parole dette. Ma non mollò l’osso facilmente.
Ancora concentrata sul fagottino, mi sussurrò:
- Cos’è quello, Harry?
Le feci un cenno col capo, impercettibile, ma che lei capì: afferrò l’ammasso di stoffa e lo aprì sulle sue ginocchia: scoprì il freddo volto della bambina, i suoi capelli scuri... esattamente come l’avevo lasciata.
Ma, stranamente, non sussultò. Disse, dolcemente:
- E’ bellissimo. Maschio o femmina?
- Femmina... - sussurrai sfinito, abbandonando la testa sul finestrino gelato quasi quanto la neonata.
- Tua figlia? E’ stupenda. Dorme... - continuò, ridandomela - Anche io aspetto una femmina. Spero sia carina come lei.
Come aveva fatto a non notare il pallore della bimba? Come aveva fatto a non sentirla respirare?
- Sì... - sussurrai, rimettendola con più delicatezza sul sedile accanto a me.
 
Seguivo le ombre del paesaggio, lasciando correre i pensieri. Nuovi propositi... nuove idee...
E quando il primo raggio di sole, ancora timido e freddo, nascosto dall’orizzonte, colpì i miei occhi, mi sentii rinascere. E percepii qualcosa sfiorarmi con delicatezza la gamba sinistra.
Non ci feci molto caso, all’inizio, ma quando il contatto si fece sempre più insistente decisi di voltarmi. E quasi non credetti alle mie orecchie quando un gemito sommesso mi regalò mille brividi lungo la schiena.
Il mucchio di stoffa bianca e rosa si muoveva con debolezza e lentezza.
Ed emetteva deboli gorgoglii.
Lo presi tra le braccia, allora, con gli occhi spalancati e il cuore che batteva a mille.
- Non può essere - sussurrai e scoprii il volto della bambina: era viva!
Il volto le era diventato roseo e le guance sembravano essersi riempite, rendendola ancora più attraente di prima. Il ciuffo nero continuava a caderle sulla fronte. La bocca era piegata in una smorfia, visto che sembrava prossima al pianto. Ma, non appena fu toccata dal sole, aprì gli occhi. Due immensi occhi color nocciola che, colpiti dai raggi del giorno, davano l’impressione di essere verdi.
Ci guardammo, in silenzio per qualche istante. La bocca socchiusa sembrò curvarsi in un debole sorrisetto.
- Cosa succede? - chiese Juliet - E’sveglia?
Ma non le stavo dando ascolto: la sua calda e paffuta manina era serrata attorno al mio dito e sembrava non avere alcuna intenzione di lasciarmi, mentre l’altra stringeva il medaglione che portava al collo.
Non era Cheryl... poteva essere Alessa?
Si era svegliata, sì.
Non riuscivo a lasciarla andare... né potevo interrompere il nostro sguardo.
Le toccai la gota destra, quasi solleticandola, e mi regalò un dolce sorriso.
Non era Cheryl...
Non era Cheryl...
- Cheryl - sussurrai  piangendo alla neonata, lasciando correre le lacrime sul mio viso - Cheryl...
 
 
Non era Cheryl.
Era tutto quello che mi bastava sapere.
Era stata dura ricominciare. Ricominciare tutto. Dall’inizio. Solo.
I mesi che seguirono furono i più devastanti della mia vita.
Avevo troncato i rapporti con tutti, ero solo. Mi sembrava di essere tornato a Silent Hill. Inutile, infatti, dire che le mie notti furonc costellate di incubi sin dal giorno dopo.
Non uscii più di casa. Proprio come quando Jodie morì.
La stanzetta di Cheryl, con tutte le sue cose non esistono più.
E la bambina che Alessa mi donò non ricevette tutto quello che una normale neonata dovrebbe ricevere. Fu difficile procurarsi una culla per tempo; infatti per i primi tempi l’avevo sistemata nell’armadio. Piangeva molto, dovevo ammetterlo.
Ora aveva il suo giaciglio. Poteva limitarsi a stare zitta!
Ma sembrava che la piccola soffrisse le notti quasi quanto me e farla addormentare era diventata una vera e propria impresa.
Quindi furono i nostri mesi peggiori mai passati. E nel caso della piccola, anche i primi.
Non riuscivo a giocarci o a sorriderci. Inoltre le presi il medaglione di Alessa.
Lei e quell’oggetto erano la prova che l’incubo era stato reale.
Lei era colei che mi aveva portato via la mia amata bambina, la mia piccola Cheryl.
Lei non era Cheryl” mi ritrovai a pensare davanti alla bianca culla dove la bambina riposava, finalmente tranquilla. Si era addormentata come al solito tra le mie braccia, cullata dal mio lento respiro. Ora sembrava dormire sogni tranquilli.
Sarebbe stata una visione perfetta... se non tenessi in mano un coltello.
La osservavo con insistenza, mentre l’aria si faceva sempre più calda e viziata dai nostri sospiri. La piccola mosse un pugno verso il morbido e sottile cuscino, e anche io mi mossi con lei, alzando l’arma nell’aria.
Ero pronto.
“Uccidila, uccidila, ora, ora. Lei è Alessa. Ti ha portato via tua figlia. Un colpo, un colpo, uccidila!”. Sentivo queste orrende parole vorticarmi nella mente, pronunciate dal mostro che affrontai nel Nowhere mesi fa. “Uccidila” continuava a ripetermi.
Triste, confuso e parecchio arrabbiato, posai il coltello sul comodino. Ucciderla a pugnalate sarebbe stato troppo... sporco, ecco.
Allora, avvicinai le mia mani al collo della bimba. Sì, sarebbe stato meglio per lei. E per me, che avrei avuto la certezza di vederla spirare.
Tremavo.
Non era Cheryl.
Le detti un’ultima occhiata: i capelli le erano cresciuti molto e le incorniciavano il visino di nero; gli occhi verdi erano chiusi, la bocca aperta. La tutina rosa le calzava a pennello.
Ancora un po’ e sarai libero”...
 

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Quando i miei indici toccarono l’indifeso e sottile collo della piccola, tremai così tanto da svegliarla. Sbattè le palpebre, confusa, e poi concentrò il suo sguardo su di me. Allungò le sue corte dita verso le mie mani, e le afferrò stringendole forte. E poi, scoppiò a ridere. Ingenua, radiosa, guardandomi e giocando con le mie dita tremanti.
- Ecco la persona orribile che sono - sussurrai, piangendo.
Non potevo riuscirci. La voce nella mia testa si acquetò regalandomi un po’ di pace. Ora l’unico suono era quello del mio pianto e quello della sua risata.
- Cosa sto... facendo? - piansi.
Lei continuava a ridere dolcemente, guardandomi intensamente.
Non era Cheryl.
E Alessa lo sapeva.
L’abbracciai forte, alzandola dalla culla, stringendola forte al petto come per paura che qualcuno potesse strapparmela via dalle braccia. Si calmò: restò zitta, agitando lentamente la testa per gioco, col viso contro il mio petto.
 

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La notte sembrò riempirsi di sangue e ruggine. Sentii suonare la sirena e mi sembrò di scorgere una ragazza sui quattordici anni al mio fianco. Mi guardava con amarezza. Ma nel suo sguardo potevo percepire anche la paura.
Sempre più vicina, sfiorò la neonata e poi mi prese la mano, guidandomi verso il grande specchio che si trovava nella mia camera da letto, proprio di fronte alla culla. La piccola cominciò a lamentarsi, ma io gli andavo sempre più vicino; l’adolescente spinse poi la mia mano verso la liscia e lucida superficie dell’oggetto.
In quel momento, vidi qualcuno riflesso al mio posto.
Una ragazza, sì, mai vista prima d’allora; un’adolescente che assomigliava parecchio sia a Cheryl che ad Alessa, se non fosse stato per i suoi corti capelli biondi. Era sdraiata su un lussuoso divano rosso scuro, vestita di un abito bianco, scalza, con occhi chiusi, e una mano sulla pancia. L’ambiente in cui si trovava era caldo, accogliente... potevo quasi sentirlo. Poi, un istante dopo, aprì gli occhi, rivelando due grandi iridi azzurre, che si puntarono su di me, con insistenza.
Durò solo un attimo, ma bastò a farmi raggelare il sangue nelle vene.
Mi allontanai dallo specchio, con la bambina che piangeva tra le mie braccia. Decisi di rimetterla velocemente nella culla... ma qualcosa catturò la mia attenzione.
Il coltello che avevo gettato sul comodino era svanito.
Al suo posto vi era una foto, in bianco e nero, consumata dal tempo e dalle intemperie. E raffigurava un volto... un volto che conoscevo bene.
Il volto malinconico di una giovane bambina.
E nei suoi occhi, che mi avrebbero ossessionato e perseguitato tutte le notti della mia vita, riconobbi la ragazza appena apparsa nello specchio.
 

 
ANGOLO AUTRICE:
Sì, perché quando voglio riesco ad aggiornare due volte nello stesso giorno. E sono fiera di me stessa. Questo doveva essere l’ultimo capitolo. Ma sentivo che sarebbe stato più bello lasciarci alla maniera di Silent Hill (sì, sto impazzendo... ma capirete tutto nel prossimo capitolo, l’epilogo ;) ).
Ma non voglio lascare questa fic :( ok, per ora meglio non pensarci. Devo anche prepararmi ai saluti :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e grazie per aver letto; fatemi sapere che ne pensate!
E alla prossima! Con l’epilogo.
:3
 

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Capitolo 44
*** Paese Natale ***


PAESE NATALE
 

Non nego di aver provato parecchie volte lo strano desiderio di scrivere un libro sul mio viaggio a Silent Hill. Ed era tutto pronto: idee, struttura, tempo... scrivere era il mio mestiere dopotutto.
Avrei potuto dimenticare, scriverlo e non pensarci più. Inoltre, chi mai avrebbe potuto sospettare qualcosa? Nessuno avrebbe mai saputo che il protagonista della storia fosse me, in realtà? Un libro del genere mi avrebbe portato in luce... sia come bravo scrittore, sia come persona afflitta da pesanti disturbi psicologici, che pensava a demoni, bambine arse vive e città fantasma, infermiere pronte a scuoiare chiunque capitasse sotto tiro, droghe e strane sette centenarie.
Promisi a me stesso di pensarci. E quando finalmente, dopo qualche anno dalla mia orribile avventura a Silent Hill, mi decisi a iniziare, per dimenticare una volta per tutte i fantasmi del passato, una chiamata mi costrinse ad abbandonare tutto e ad uscire velocemente di casa, afflitto da ben altri pensieri.
Le avevo raccomandato di stare buona, di non dare fastidio e di seguire le altre bambine, ma evidentemente qualcosa doveva esserle sfuggito.
La voce di una donna, dall’altra parte della cornetta, mi aveva “ordinato” di correre a portare via mia figlia, per un problema.
 
Quando accostai la vettura e spensi il motore la guardai negli occhi e le dissi piano, sorridendole:
- Pronta?
La bambina mi guardò confusa:
- E tu dove vai? - mi domandò.
- Papà - gli risposi distogliendo lo sguardo e battendo piano una mano sul volante - Deve andare...ho una riunione di lavoro. E non voglio che tu rimanga tutta sola a casa.
Vidi una strana coppietta passare davanti alla macchina; li seguii con lo sguardo, mentre lei mi rispose:
- Ma posso stare a casa! Tanto torni presto, vero?.
Scossi la testa, riprendendo a guardarla e staccandole la cintura di sicurezza:
- Ti ho iscritta a questa bella accademia di danza. Là farai amicizia: vedrai quante bambine ci saranno! Imparerai cose nuove e ti divertirai. Non voglio lasciarti a casa tutta sola.
Non sembrò parecchio entusiasta all’idea e mi squadrò sospettosa; la verità era questa: avevo davvero un piccolo contrattempo, questione di pochi minuti. Ma lei non poteva capire: era ora di farle conoscere il mondo, di farle lasciare le mura di casa, prima che iniziasse la scuola elementare. Era ostinata, come quasi tutte le bambine di cinque anni, come lei, ma riuscivo sempre a convincerla.
- Ma tu resti a guardare? -mi chiese una volta entrati nella struttura, quando la dolce musica di un pianoforte raggiunse le nostre orecchie.
Annuii debolmente, sapendo che non avrei mantenuto la promessa. La condussi verso la soglia dello spogliatoio femminile e le passai il vestitino bianco e le scarpette. Le dissi di indossarle e di entrare subito nella sala, dove la maestra di ballo la stava aspettando.
Ci mise un bel po’ ad uscire.
Sembrava stranita, fuori posto. Seguii le altre piccole ballerine e le loro madri.
Io sembravo essere l’unico uomo là dentro; forse era questo a far sentire la piccola a disagio. Feci qualche passo in avanti: la sala dove fu condotta dall’insegnante era fatta completamente di specchi. Mi lanciò uno sguardo, da dietro il vetro, e le risposi con un sorrisetto.
Poi uscii velocemente.
 
E cosa le era preso?
La lezione doveva durare quasi due ore. Come poteva non resistere nemmeno per una?
La scuola si trovava non molto distante da Portland, così fu uno scherzo raggiungerla. Durante il viaggio, uno strano ed oscuro presentimento si fissò nella mia mente: e se le fosse successo qualcosa? E se qualcuno... ?
No.
Parcheggiai velocemente e, purtroppo, i miei timori cominciarono a farsi più reali che mai: una donna, con una bambina in braccio, stava correndo fuori dall’accademia, cercando di tranquillizzare la figura in tutù piangente. E dopo di lei, tante altre uscirono, quasi travolgendomi nel mio cammino, insieme ai loro genitori. Gridavano e piangevano. Una di queste, alla richiesta di spiegazioni rispose alla madre, tra i singhiozzi, disse:
- Gli specchi si sono rotti. E’ s-stata una...
E una volta entrato, un insopportabile odore di alcool e sangue, assieme al pianto di altre bambine e dai soffici passi di alcune donne, mi investì.
La piccola era in piedi, davanti a me, in lacrime silenziose. Il tutù era sporco di acqua e... sangue? Le braccia erano coperte di graffi e schegge di vetro e i capelli scuri erano disordinati e bagnati. Si copriva il volto con le mani, cercando di nascondere le lacrime. Le fui subito accanto, scuotendola dolcemente e cercando di parlarle. Ma furono le sue insegnanti a spiegarmi ciò che era accaduto.
A quanto pare, Cheryl, dopo i primi cinque minuti di lezione si era rifiutata di guardare davanti a sé, di riflettersi allo specchio e di tenere dritta la testa. Interpretandolo come un banale capriccio, l’avevano “costretta” e lei era scappata in bagno, dove era rimasta per un po’. Fino a quando un urlo non aveva richiamato l’attenzione dell’addetta alle pulizie, che aveva cercato di entrare nel bagno femminile, trovando però la porta chiusa a chiave.
Solo una volta buttata giù la porta, scoprirono qualcosa di inimmaginabile: il bagno era vuoto, lo specchio sporco di sangue e strano liquido nero sgorgava dai rubinetti, mentre centinaia di scarafaggi vagano per i muri e sul soffitto, sporcando tutto ciò che le loro zampette toccavano. Contemporaneamente a tutto ciò, nella sala da ballo gli specchi si erano completamente incrinati e poi distrutti, insieme; Cheryl, che fino a qualche momento prima era stata ad urlare in bagno e sparita misteriosamente, si era trovata sui vetri infranti, in quella sala, in ginocchio, coperta di sangue, davanti alle sue compagne terrorizzate. Sembrava, a parer loro, apparsa dal nulla.
 
Non le rivolsi la parola per tutto il viaggio di ritorno. E lei sembrava aver pensato lo stesso, limitandosi a singhiozzare piano o a strofinarsi gli occhi. Se fino a quel momento avevo cercato di dimenticare, o almeno mettere da parte quella mia terrificante esperienza... mi sembrò di ritornare dentro l’incubo. Ebbi paura di quella bambina, quando ricordai cosa era veramente... chi era...
Chiamarla Cheryl era stato uno sbaglio. Come potevo solo pensare di sostituire la mia preziosa figlia con quel... ?!
Aveva le mani ancora macchiate di rosso.  Poi il silenzio si interruppe. L’attaccai io:
- Cosa c’è che non va in te? - chiesi, con tono duro.
- Posso spiegarti cosa mi è successo... - mi sussurrò lei, continuando a guardarsi le mani sporche - Stavo male... non riuscivo a...
Non l’ascoltai. Non l’ascoltai, perché mi sembrava di parlare con un mostro.
E una volta a casa, ormai sera, le ordinai di andare a farsi un bagno; a quella richiesta, mi guardò, immobile in soggiorno:
- Non mi aiuti? - chiese piano, già conoscendo la risposta. E quando scossi la testa, lei mi lasciò, finalmente, in pace. La sentii preparare tutto da sola, lenta, continuando a singhiozzare.
Non aveva una madre... e io mi rifiutavo di ascoltarla. Doveva essere stata dura per lei, forse, entrare in quel luogo, sentirsi improvvisamente sola, e aver pensato di essere stata abbandonata. Jodie probabilmente non mi avrebbe mai perdonato qualcosa di simile, ma quello non era proprio posto per me. Lei rimase chiusa in bagno per qualche ora e quando finì, coi capelli umidicci e ancora un po’ bagnati, mi annunciò che si sarebbe messa a dormire. Restai là, a guardarla andare via senza cena né altre parole. E io feci lo stesso, qualche minuto dopo.
Era piccola, fragile e scoppiava a piangere molto facilmente. Non si era mai veramente lavata da sola...
Era pur sempre un passo verso l’età adulta...
E farla crescere, più velocemente del solito... era sbagliato, ma mi faceva sentire meglio: la bambina non sarebbe diventata quello che ... che...
 
Ero distrutto.
Il giorno dopo, io e lei, avremmo fatto un bel discorsetto; così, raggiunta la fredda camera da letto, cercai di addormentarmi, ancora coi vestiti addosso, il più velocemente possibile, dimenticando ciò che era accaduto quel pomeriggio, solo per sognare Cheryl entrare in strani specchi coperta di sangue. O si trattava di quella ragazza, Alessa?
Sogni... o incubi...
- PAPA’! PAPA’!!
Non capii se si trattava di sogno o realtà, così ripresi a chiudere la mente e serrare ancora di più le palpebre. Fuori si stava scatenando un bel temporale estivo... forse erano stati i tuoni.
Lo sbattere forte di una finestra o di una porta mi fece sussultare come un bambino pauroso. Ma porta della mia stanza era chiusa, come sempre. Strano, sembrava così vicino.
- Papaà!
Ancora. Richiusi gli occhi, sentendo una strana angoscia in quella parola. I suoi soliti incubi... o solo tuoni.
E poi uno strillo acuto. Mi misi in piedi, quando, insieme a quell’urlo si aggiunsero potenti voci maschili. Provenienti dalla camera della bambina.
Corsi a vedere cosa stava succedendo... ma la serratura sembrava bloccata, la porta non si apriva.
- Cosa... ?! - sussurrai, scuotendo la maniglia.
Strani tonfi, rumori e voci...
Presi a pugni la porta, cercando di uscire... e allora provai con la finestra; stava succedendo qualcosa di strano. E, chissà perché, sentivo che tutto questo non poteva essere “normale”. Non quando sentii quelle grottesche voci maschili parlare in una strana lingua, simile al latino. Per fortuna, chiunque fosse entrato, aveva dimenticato di sigillare le finestre. Mi precipitai, col cuore in gola, sul balcone in comune, correndo verso la camera di Cheryl...
La finestra era completamente spalancata e lei non c’era più: il letto era rovesciato, le lenzuola per terra, tutto era sottosopra e ora una strana luce proveniva dal corridoio, continuando per la mia stanza e arrivando all’ingresso.
Non la sentivo più gridare...
Non so quante volte sussurrai cose senza senso durante la mia folle corsa... la porta d’ingresso era aperta... Cheryl e i suoi aggressori erano spariti...
- Harry! Harry! - sentii qualcuno chiamare il mio nome. Si rivelò essere la mia vicina di casa, una strana ma arzilla signora, molto affezionata a Cheryl; avevo il volto bagnato dalla pioggia, e mi venne incontro, notando il mio volto disperato - Ho sentito la bambina gridare. Cosa è successo?
- Non lo so - bisbigliai io, entrando di corsa in cucina e guardandomi attorno; l’avevano presa... l’avevano presa. Nascondevo la pistola di Silent Hill, quella che Cybil mi diede, in alto, sopra alcune mensole, ben nascosta. La ripresi, impugnandola e caricandola come un matto.
- Ho visto dei signori scappare con qualcosa prima - raccontò lei, vedendomi agitato - Forse loro lo sanno.
Mi lanciai fuori da casa mia, raccomandandole di chiamare la polizia, correndo nella pioggia, verso la fine della strada. Dovevano essere già lontani anni luce ma non mi importava: loro avevano Cheryl... e potevo anche immaginare il perché.
Silent Hill...
- Perché? - sussurrai senza fiato alla notte.
Probabilmente non si aspettavano che riuscissi ad evadere di casa, perché fu abbastanza facile localizzarli: uomini col cappuccio sul viso, in lunghi mantelli scuri, rintanati in uno strettissimo vicolo cieco, intenti a fare qualcosa... e la bambina era con loro, che si dimenava disperata.
- BASTARDI! - urlai, una volta localizzati, chini su Cheryl. E attirai la loro attenzione: uno di loro fece cenno di avvicinarsi, mentre un altro mi saltò addosso, armato di pugnale. Uno strano sigillo, familiare ai miei occhi, risplendette sul suo avambraccio, inciso nella carne, mentre cercò di accoltellarmi dritto in gola. La sentii ancora una volta gridare di terrore, invocando il mio nome; assestai una gomitata in viso a quell’uomo, che cadde a terra privo di sensi.
Le sue ultime parole prima di perdere i sensi sull’asfalto bagnato di pioggia e del suo sangue furono:
- Ci riprendiamo solo quello che è nostro...
La figura incappucciata più piccola e mingherlina alzò una mano verso di me, quasi implorandomi di smetterla, di lasciarli fare, ma fu fermata da un suo compagno, alto il triplo di lei, che cominciò a parlare in quella strana lingua, a me del tutto estranea.
Ripresi a correre verso di loro, sempre più vicino...
Loro continuavano la loro orribile nenia, che provocò strani tremori al corpo della bambina, che riprese ad urlare... ma di dolore.
E non capii più niente: alzai la pistola, senza fermarmi, e premetti il grilletto... col rischio di colpire mia figlia. Sì... lo sparo rimbombò, fino alla fine di quel vicolo... e al suono della pallottola sparata, la bambina aumentò l’intensità delle sue urla di terrore e dolore.
Dopo pochi secondi di silenzio, uno di loro si accasciò a terra, col cranio perforato dalla pallottola, mentre gli altri, compreso l’uomo che avevo picchiato prima sparirono come fumo, nell’aria greve.
 
Lasciai cadere l’arma e mi avvicinai a Cheryl, che era sdraiata su uno strano simbolo rosso sangue. Ora non strillava più, ma aveva gli occhi chiusi per la paura. La pioggia le aveva bagnato completamente il viso e i vestiti e respirava a strani scatti. L’aiutai a mettersi dritta, ma sembrava assente, pesante e priva di sensibilità. Io guardavo il cadavere di quell’uomo... poi presi tra le braccia la piccola, stringendola forte mentre mi sussurrava:
- E’ morto... Papà... E’... morto...
- Non guardare - le dissi io, premendole la testa contro il mio petto - Non guardare... mai più, mai più da sola, prometto.
Cheryl mosse piano le braccia, attorcigliandole attorno al mio collo. Aveva un graffio sul volto e una strana macchia rossa sul pigiama all’altezza del petto; continuò a singhiozzare piano:
- Cosa volevano, Papà... ?
- Non devi ascoltarli - le risposi, vicino all’orecchio. Avevo ucciso un uomo... tremavo come una foglia, e sembravo più spaventato di lei - Qualunque cosa ti abbiano detto dimenticala. Non devi mai dar loro ascolto, mai. Qualunque cosa...
Mi ritrovai anche io a piangere con lei; ero stato ad un passo dal perderla per sempre, di vederla tra le mani di uomini e donne senza scrupoli, nella città che tormentava le mie notti.
Ero stato maledetto.
Io non vedevo un uomo, in quella gigantesca pozza di sangue. Vedevo un mostro con un proiettile nel cranio... e sentii una strana foschia avvolgerci come a nasconderci dal resto del mondo. E il rumore di sirene mi entrò nel cervello... non ero sicuro che fossero quelle della polizia.
Era un suono dimenticato tanto tempo fa.
- Dobbiamo andarcene... non siamo al sicuro qui - le sussurrai per rassicurarla. Sarebbero tornati... a prenderla...
La vidi sospirare e continuare a piangere, prima di sussurrarmi:
- L’ho vista... lei...
La sirena si fece sempre più forte, e sempre più prepotentemente entrò anche nella sua testa.
Non pioveva più... nevicava cenere. Quella polvere grigiastra si posò sui nostri capelli e sulle nostre spalle, confondendoci le idee. Il mostro continuava a giacere morto mentre una ragazza, proprio davanti a noi, ci guardava con strana insistenza, completamente immobile, ma pulita dalla cenere. Vestiva di blu e aveva i capelli scuri. Dopo esserci fissati per pochi secondi, passò ad esaminare Cheryl.
Non avevo mai smesso... mai smesso di portarmi dietro quella nebbia... quella cenere... quella ragazza. Mi sentivo come lei... vivevo nella realtà, ma non mi ci sentivo parte: erano cinque anni che non vedevo il sole... cinque anni a Silent Hill... ma anche a casa mia...
Sarebbe stato meglio per me morire, là?
La sirena era diventata assordante.
La ragazza, guardando Cheryl, si toccò il petto per estrarre dal vestito uno strano ciondolo sferico. Ci giocherello un po’ e poi sparì.
Uno strano segnale stradale indicava l’ingresso ad una città.
La sua città natale.
 
C’è un posto abbandonato e dimenticato nel profondo del cuore di ogni essere umano, dove la realtà e la finzione sono un’unica cosa, dove la verità e la bugia non hanno alcun valore e la paura del silenzio non esiste, così come quella della morte.
E io ne ero completamente a conoscenza.
Il resto del mio cuore era accanto ad una bambina sui sette anni, dai capelli corti e neri, in una città lontana, chiamata Silent Hill.
 
 

Lui parlò di anime torturate,
Al prezzo così scandaloso.
Tu puoi perdere tutto quello che hai.
Ma lui rifiutò di arrendersi,
alla città che prende tutto.
 
Sopravvivi.
Devi davvero volerlo.
Ma questo favola non finirà nella maniera in cui speravamo,
Tutte le volte che lui griderà alla luna:
“Lei è perduta!”
E lo prese la paura...
Lui stava camminando il miglio... lui stava camminando solo.
 
E tanti uccelli morti
Sanguinavano dai loro nidi.
Ma non c’era tempo per ragionare,
Non avevano nulla di minaccioso.
 
Ora è troppo tardi, troppo tardi per me.
Questa città presto mi prenderà a sé.
Troppo tardi, troppo tardi per me:
Questa città vincerà.
 
“E da quella nebbia arrivarono
Creature oscure che cantavano un’orribile canzone.
Il resto del gruppo rise di lui
Solo io sentii la speranza svanire piano.
Lo trovarono morto proprio il giorno dopo,
li sentii dire.
Noi incolpiamo la sfortuna, per la sua fine.
Ma solo io sentii il terrore diventare più grande”.
 
Lei e lui sapranno
Che un giorno, tutto questo finirà.
Quella nebbiosa notte...
Quella triste luna...
La ricerca inutile per la sua cara.
Mentre gli angeli cantano, nell’oscurità senza fine,
La morta cerca i suoi peccati.
 
 

 
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ANGOLO AUTRICE - the last D: E RINGRAZIAMENTI :3
 
Come va, ragaZZuoli! :)
E la nostra avventura con le due storie, in quasi contemporaneità, si conclude qui. Ma non certo “Fear of...”! Perché, sicuramente, arriverà un terzo “capitolo”. Che vedrà i nostri personaggi preferiti tornare.
Questa è stata la mia prima vera storia, ci sono cresciuta praticamente insieme e ci sono molto affezionata; dato che nacque poco meno di due anni fa, in un pomeriggio uggioso e grigio, dopo aver finito il videogame di Silent Hill insieme a mia sorella, che mi è sempre stata vicina, e che si trova meglio a scrivere canzoni che a scrivere storie.
E grazie a voi che sono potuta arrivare alla fine. E’ stata una vera e propria impresa e confesso che, certe volte, ho avuto la strana idea di mollare tutto, cancellare la storia o peggio. Ma per fortuna ho avuto un po’ di sano self-control ed eccomi qua.
Si chiude una porta ma se ne apre un’altra, proprio come ho detto prima. Perciò, stay tuned... perché si potrebbe tornare a Silent Hill :D
E ora a voi, belli! Siete stati tutti grandi e ho intenzione di nominarvi tutti, ancora U_U Cioè... quasi novanta recensioni Y__Y Grazie!
Iniziamo: a Franny_chan e lucia1997 per aver messo la fic tra le preferite, e poi ancora loro due e syriana94 per le ricordate.
E naturalmente chi l’ha seguita: clif, Franny, Leo, Lizzie 96, rogfalm, savior e syriii :D Ma ringrazio anche chi ha letto silenziosamente...  comunque, sappiate che ho sguinzagliato il mio Pyramid Head u_u ...
E chi ha recensito... un grazie enorme quanto Silent Hill: la mappa continua ad espandersi, perciò non è cosa da poco u_u
Syriana... tu... tu... tu...
Graaaaaaazie! Perché tu sei stata colei che ha recensito la mia storia perché volevi capirci più del film - inutilmente, manco io lo capisco quel film... e intanto ne è uscito un altro. La mia prima storia. E mi mandasti, agli albori del 2012, la tua recensione. Fui, quando vidi il numero 1 sulla storia, una delle persone più felici di questa terra. E poi mi spronasti ad andare avanti... e io ti seguii durante il gioco di SHOrigins ;) e che quest’anno hai fatto gli esami. Fammi sapere come è andata! :)
E rogfalm... ahhhh, e i nostri pomeriggi a parlare di Silent Hill :3 Ciao carissima! Che sei sparita ma so che sei viva ;) prima o poi ti riacciufferò.
A savior e a Lizzie che anche se hanno recensito pochi capitoli mi hanno fatta felice :) e a Leo e clif con le nostre strane nuove teorie che possono far concorrenza a quelli del Team Silent xD
E’ a voi che dedico questo ultimo capitolo di Fear of Silence.
Per l’immagine ringraziate mia sorella, che ha pure sbagliato titolo, ma spero che nessuno se ne accorga... e lei era troppo pigra per aggiustarlo... proprio come me XD
Eee vi saluto...
Buona estate, ehm... buona vacanze? xD Dipende.
Per chi è interessato al seguito e vuole sapere quando lo pubblicherò, o qualunque altra domanda, basta farmelo sapere o chiedere ;)
A presto spero! Questo non è un addio ;)
Ancora grazie di cuore!
Ciao! A prestissimo! :3
 
 
 

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