Sul pianeta Vegeta

di lilly81
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte prima ***
Capitolo 2: *** parte seconda ***
Capitolo 3: *** parte terza ed ultima ***



Capitolo 1
*** parte prima ***


Questa è tra le prime ff da me scritte

Questa è tra le prime ff da me scritte. Risale al 2002.

Dello stesso anno è anche “Amore immolato”.

Al settembre 2003 appartiene “Calando la notte”, mentre “Salto nel vuoto” è del giugno 2005.

Nell’estate 2006 sono state scritte “Ritratto di signora”, “E fu il principio”, “E poi passione”, “Infine fu l’orgoglio”, “Scherzi del tempo”, “Funny games”, “Per la prima ed ultima volta”.

Per il momento, sono queste le storie che ho scritto.

 

Sul pianeta Vegeta     Parte I

 

 

Guardava continuamente l’orologio alla parete, camminando con nervosismo per l’ampio soggiorno. Lo percorreva in lungo e in largo, passando intorno ai divani e compiendo un movimento rotatorio intorno alla tavola apparecchiata per la cena.

Già da un’ora era calato il crepuscolo, già da un’ora percorreva instancabilmente quel monotono cammino, che si arrestava puntualmente dinanzi all’orologio alla parete e riprendeva dopo aver sbirciato la strada dall’ampia vetrata.

Era una sera fredda, di quelle che ispirano a restarsene a casa al caldo, davanti alla televisione, ad immergersi, dopo, in un bagno rilassante e potersi infilare in fine sotto le coperte accanto a lui…trovando calore tra le sue possenti braccia:

“Mi sentiranno quando ritornano!” brontolò Bulma rivolgendosi ad un fagottino che teneva tra le braccia, avvolto in uno scialle di lana, da dove a stento sbucava una minuta testolina:

“Tuo padre e tuo fratello se la prepareranno da soli la cena questa sera!” continuò cullando la creatura, a cui il percorso circolare compiuto dalla madre per tutto il soggiorno aveva conciliato il sonno.

Alla fine, anche lei stanca, si lasciò andare sulla poltrona.

Non era il consueto nervosismo che l’assaliva ogni volta che Vegeta e suo figlio ritardavano e non erano puntuali per la cena.

Era agitata quella sera, come intimorita da un presentimento, come se avesse il sentore che quella sera non avrebbe guardato la televisione, non si sarebbe immersa nella vasca, non si sarebbe riscaldata accanto al suo uomo.

Era un senso di inquietudine insinuatosi in lei alle prime luci dell’alba di quel giorno, quando il sole filtrato attraverso le tende, lasciate tirate la sera prima, l’avevano destata, ed era andato acuendosi sempre più con il calare delle tenebre.

Fu alcuni anni prima l’ultima volta che era stata in preda ad un’angoscia simile, il giorno del torneo Tenkaiki , quando ancora prima di giungere all’isola, aveva avuto il presentimento che quel giorno sarebbe stato lunghissimo e che qualcosa di terribile si sarebbe abbattuto su di lei e sulla Terra. Quel giorno il suo presentimento assunse le sembianze di un mostro rosa, pingue e buffo, che trasformava gli esseri umani in caramelle e cioccolatini.

Quella sera invece non aveva idea di cosa potesse accadere, era da tempo che la Terra conosceva un periodo di pace, non aveva neanche paura per Vegeta e suo figlio, che sapeva ormai sulla strada del ritorno, dopo un pomeriggio di allenamenti.

Era un senso indefinito di ansietà, accresciuto dal silenzio e dalla tranquillità inconsueta che regnava intorno alla sua casa quella sera.

Erano sole in casa, lei e la sua bambina. Da tempo i suoi genitori non vivevano più lì, da quando suo padre aveva deciso di lasciare a lei la Capsule Corp. e trasferirsi fuori città con la madre, per trascorrere in riposo il resto del tempo che la vita riservava loro.

Restare sola in casa era dunque divenuto frequente, eppure quella sera aveva il timore vago che potesse accaderle qualcosa mentre Vegeta e Trunks erano ancora fuori, che proprio nella sua casa, sempre così sicura ed accogliente potesse sopraggiungere qualcosa di terribile.

Era una di quelle volte in cui avrebbe desiderato avere una casa più piccola, come la Kame House magari, dove i rumori minimi non riecheggiavano come tonfi sonori e dove poteva tener tutto sotto controllo, senza il timore di percorre l’interminabile corridoio della Capsule corp. e imbattersi all’improvviso in uno sconosciuto introdottosi di soppiatto.

Era accaduto qualche mese prima di aver trovato due ladri nell’ala dei laboratori, ma Trunks non aveva avuto difficoltà alcuna a liberarsene, risparmiando loro la possibilità inesorabile di incontrare Vegeta, che con minore esitazione li avrebbe lasciati correre.

Forse era semplicemente questa la paura di quella sera, che qualcuno cioè, non necessariamente un essere mostruoso, potesse introdursi in casa mentre era sola e senza possibilità di difesa.

Forse era semplicemente per questo che aveva i sensi già tesi al massimo e la suggestione le stava giocando spiacevoli scherzi, facendole vedere e sentire ombre e rumori inesistenti.

Aveva cercato di dissuadere Vegeta e suo figlio da andarsi ad allenare quel pomeriggio fuori casa. Aveva mentito dicendo di non sentirsi bene e di non voler restare sola, ma non aveva più insistito quando aveva visto lo sguardo deluso di Trunks, che prontamente le aveva promesso che non avrebbero fatto tardi.

Sbirciò ancora una volta l’orologio, sobbalzando allo scricchiolio di un ceppo di legna che ardeva nel camino.

Pensò di accendere il televisore, perché almeno l’elettrodomestico le facesse un po’ compagnia, ma rinunciò vedendo che la bimba dormiva placidamente tra le sue braccia.

Era ancora piccola Bra, aveva solo un mese di vita ed era stata messa al mondo dopo una gravidanza travagliata, dalla quale la madre era riuscita a riprendersi solo da pochi giorni.

Poco alla volta, amorevolmente assistita, aveva ritrovato la forza di rialzarsi dal letto e dopo una lunga convalescenza, il suo viso aveva recuperato il colorito di sempre ed il corpo il vigore di un tempo.

Fu anche per questo che non riuscì a negare al figlio un pomeriggio fuori casa, dopo che  il ragazzino si era prodigato a lungo accanto a lei.

Si mise a guardarla con lo sguardo tenero di una madre e in quella boccuccia vermiglia e nelle guance paffute riuscì a trovare a poco a poco sollievo ed abbandono.

Stava anche lei chiudendo gli occhi e declinando il capo, quando un rumore assordante, come di un motore, ruppe il silenzio serafico di quella sera. Bulma si alzò si soprassalto e si precipitò a gettare un’occhiata dalla finestra.

Sembrava che una fila di tir stesse attraversando la strada, ma la via era deserta, e l’auto che la stava percorrendo non era sufficiente a generare un rumore tanto potente.

Forse era un aereo che sorvolava a bassa quota la città, ma non sentiva il suono calante, tipico di un mezzo che si allontana.

Stava ancora riflettendo sulla natura di quel rumore quando vide un’ombra avanzare nel giardino:

“Finalmente…” esclamò  riconoscendo Vegeta e muovendosi verso i fornelli per riscaldare la cena.

Non li avrebbe rimproverati, ma di certo non avrebbe acconsentito che si sedessero a tavola senza neanche aver fatto una doccia. Non aveva mai voluto transigere su questa faccenda.

Dovevano essere rigorosamente puliti quando si sedevano a tavola o si infilavano sotto le lenzuola e non era stato difficile abituarli, avendoli minacciati più volte di lasciarli a stomaco vuoto o di negare in particolare a Vegeta qualcos’altro...

Ma riuscì a compiere solo pochi passi, quando la porta alle sue spalle esplose con uno schianto inaudito.

Si gettò a terra per proteggere la bambina dai vetri della finestra che si frantumarono in una miriadi di schegge e dal divano che saltò in aria coinvolgendo nella caduta il televisore ed il vaso di fiori sul tavolino.

Poi il silenzio.

Bulma restò in quella posizione, immobile, a proteggere Bra che, bruscamente interrotta dal suo placido sonno,  aveva incominciato a piangere.

Sentì dei passi pesanti avvicinarsi lentamente verso di lei. Alzò il capo con lentezza, osservando prima le gambe possenti e robuste dei due individui fermi davanti a lei, il loro busto scolpito ed ampio, in fine il collo taurino di ciascuno su cui poggiava una testa dall’espressione per niente promettente. Ma più di tutto, ciò che le fece sgranare gli occhi fu osservare le armature di cui erano rivestiti. Le avrebbe riconosciute ovunque quelle placche metalliche che cingevano i fianchi e proteggevano le spalle, non poteva avere più dubbi quando scorse una coda attorcigliata intorno alla vita:

“Dov’è il principe Vegeta?” parlò uno dei due saiyan.

Bulma restò muta, mentre la bocca tremava nel tentativo di emettere un suono articolato.

“Non hai sentito?!”.

“Lui…sta per arrivare…”.

“Cosa?!” gridò più forte l’uomo per superare il rumore assordante proveniente ancora dall’esterno.

Bulma cercò allora di trovare la risposta più giusta, ma il silenzio che irruppe d’improvviso la trovò impreparata. Non riusciva ancora a capire cosa stesse accadendo, cosa dovesse badare prima, se affrontare quei due individui o trovare il modo per tenere buona la piccola che continuava a piangere.

Sentì poi il cuore alleggerirsi quando avvertì il passo inconfondibile di Vegeta che saliva le scale e vide la sua ombra, che avanzava, stagliarsi contro la parete.

Era così simile a lui l’uomo che varcò la porta e si arrestò davanti a loro.

Aveva il suo stesso portamento, quel tipico modo di fermarsi con le braccia conserte e con la testa alta. La sua fronte era ampia, il volto, ricoperto da una folta barba, aveva i suoi stessi tratti duri, gli occhi erano scuri e misteriosi quanto quelli di lui, ma avevano quella cattiveria che da tempo non intravedeva negli occhi di Vegeta:

“Dov’è mio figlio?” la voce del saiyan risuonò cavernosa nella stanza.

Bulma restò confusa, a guardare quell’uomo così somigliante a Vegeta, che posò su di lei un’espressione fredda e superba:

“Donna! Il re dalla potente stirpe dei saiyan ti ha posto una domanda, rispondigli!” disse con tono magniloquente uno dei saiyan che lo aveva preceduto.

Bulma credette di non aver sentito bene, ma i suoi occhi non potevano ingannarla: quell’uomo era identico a Vegeta ed era suo padre.

Vegeta non le aveva mai parlato di lui, erano ormai alcuni anni che sul suo passato era molto poco comunicativo, come se lo avesse accantonato intenzionalmente in qualche parte recondita della sua mente.

Ma lei sapeva per certo che Vegeta e Goku erano gli unici saiyan di razza pura esistenti e che suo padre non poteva essere sopravissuto all’immane deflagrazione del pianete Vegeta che lo spietato Freezer provocò moltissimi anni prima:

“Lui…sta per arrivare…” disse a fatica, sconcertata da quell’apparizione, come se fosse stato un fantasma.

Uno dei due saiyan entrati per primi si fece avanti e col capo riverentemente basso disse:

“Quando eravamo in viaggio verso la Terra ed abbiamo percepito l’aura di suo figlio provenire da qui, lei ci ha accordato il permesso di riposarci e così abbiamo lasciato che fosse la navicella a guidarci in questo punto. Sono mortificato, Altezza, che non lo abbiamo trovato. Se vuole…possiamo andargli incontro…”.

“Aspetteremo qui il suo ritorno…” annunciò con tono fermo “…ancora un altro po’ . Se non arriverà, nel frattempo faremo un giro di cognizione intorno a questo pianeta. Credo che guadagneremo molto dalla vendita di questo posto”.

Bulma apprese con sgomento le intenzioni inique di quei visitatori.

“Che cosa?! Ma siete impazziti? Goku e Vegeta non ve lo lasceranno fare! Non avete nessuna possibilità di potercela fare contro di loro! Rimpiangerete di essere venuti dall’oltretomba!” fu quello che la donna avrebbe voluto gridare, quello che la sua mente generava inconsciamente in risposta ai propositi infami di un mostruoso disegno già tracciato, ma riuscì solo a seguire con lo sguardo sconvolto l’uomo, che avanzò piano verso la tavola apparecchiata per la cena.

“Dico a te! Donna! Preparaci da mangiare!” Bulma sussultò, ritornando in se a quell’imperativo.

Restò per un istante immobile, guardando la bambina che aveva smesso di piangere. Si alzò barcollante, proprio come se fosse in un incubo ed i suoi movimenti venissero rallentati dalle proiezioni del cervello, ma decise che era meglio obbedire e, preso l’arrosto dal forno, lo mise sul tavolo.

Fissò quegli ospiti inattesi e sgraditi che prendevano a mangiare come animali voraci, divorando in pochi minuti le pietanze che aveva preparato per Vegeta e suo figlio.

Intuì che quello poteva essere il momento opportuno per scappare via. Occupati come erano ad ingozzarsi non avrebbero certo notato nulla, ma non voltò neanche la schiena che un sibilo luminoso la sfiorò e fulmineo si infranse sonoro contro la parete, perforandola:

“Non provare a dartela a gambe!” tuonò la voce del re dei saiyan, abbassando il braccio che aveva diretto contro di lei.

“Lasciatemi andare…a cosa serve che io resti?” ebbe il coraggio di chiedere, nonostante avesse sentito la morte rasentarle la spalla.

“Non sei nella posizione di esigere favori. Sarai tu a dare un messaggio a mio figlio, nel caso in cui non dovesse ritornare entro trenta minuti. Perciò…è il caso che obbedisci alla lettera e che non compia un passo. La prossima volta non devierò intenzionalmente il mio colpo!”.

Bulma per il momento si arrese, e chiusi gli occhi, pregò fervidamente che Vegeta e Trunks arrivassero il più presto e mettessero fine a quell’incubo dal quale incominciava a temere di non uscirne più viva.

La bambina si agitava inquieta tra le sue braccia, non sapeva per quanto ancora, cullandola, sarebbe riuscita a tenerla buona.

Fra un po’ avrebbe avuto fame e lei non era libera di muoversi come voleva.

Doveva sottostare alla volontà di quegli individui che erano irrotti in casa sua e che adesso facevano il loro comodo seduti alla sua tavola e consumando quello che lei aveva preparato con la dedizione di ogni sera per suo figlio ed il suo uomo.

Si appoggiò rassegnata con la schiena contro una parete, sbirciò l’orologio, ma ormai era già da un pezzo che Trunks e suo padre sarebbero dovuti essere a casa.

Se solo avesse potuto avvicinarsi al telefono e contattare Goku, ma per farlo avrebbe dovuto necessariamente passare accanto a loro, dove su un mobile vicino era poggiato l’apparecchio.

Non sarebbe riuscita ancora a reggere a lungo quella tensione, si sentiva così debole, del resto non si era ripresa ancora del tutto dalla difficile gravidanza, altri trenta minuti alla presenza di quegli individui sembrava essere uno sforzo immane al solo pensiero.

Scivolò piano con la schiena lungo la parete e si adagiò a terra.

Col la coda dell’occhio provò a gettare un’occhiata ai suoi sequestratori. Riusciva a sentire distintamente  il rumore delle loro mascelle che strappavano la carne e a vedere i loro volti. Erano così spaventosi gli occhi dei due saiyan che erano entrati per primi. Una cicatrice squarciava la palpebra calante di uno e simile a quello di un animale feroce quando abbranca la sua preda e la divora era lo sguardo dell’altro.

Il re dei saiyan invece, che con avidità trangugiò un bicchiere di vino rosso, mantenne per tutto il tempo uno sguardo indecifrabile e distaccato. Le ricordò per un istante Vegeta, quando la prima volta si sedette alla sua tavola e lei gli servì da mangiare:

“Cha hai da guardare?!” inveì il re, non gradendo di essere spiato.

Bulma spostò rapida gli occhi, trasalendo. Se fosse stata un’altra circostanza, avrebbe dovuto sorridere: anche Vegeta infatti le si rivolse con la stessa irritazione quella volta.

Ad un tratto uno dei tre guerrieri, quello con la cicatrice che gli squarciava la palpebra calante, si alzò con l’imponenza della sua mole. Si diresse verso i mobili della cucina e con furia inaspettata prese a svuotarli ad uno ad uno in cerca di altro cibo. Rovesciò i piatti, le pentole, tutto quanto gli capitasse sotto gli occhi, procurando un frastuono inaudito che fece scoppiare il lacrime non solo la piccola Bra ma anche la madre che, impotente, assisteva allo scempio della sua casa:

“Buona, Bra!” la scosse la donna, temendo che i tre guerrieri non avrebbero gradito il suo pianto quando il baccano fosse cessato.

Fu presa dal panico vedendo che la bambina non desisteva e si sentì ormai persa quando si accorse che il saiyan apriva il frigorifero e trovava ciò che cercava.

Poi, proprio ai piedi del divano ribaltato intravide il suo ciuccio, si allungò ma non riuscì ad afferrarlo. Allungandosi oltre, dopo essersi accertata velocemente che nessuno di loro la stesse tenendo sotto controllo e fraintendesse il suo movimento come un tentativo di fuga, lo prese tra le dita tremanti e lo diede da succhiare a Bra, che si calmò all’istante.

Trasse un respiro di sollievo, ma il suo viso era stravolto, la paura prendeva a lasciare spazio ad un sentimento più forte di rabbia e di ira. Era quella parte del suo carattere più aggressiva che incominciava a prendere il sopravvento, quella che sapeva affilarle bene la lingua e le faceva digrignare i denti. Del resto non era nella sua indole starsene silenziosa e subire passivamente la prepotenza altrui.

Si alzò e con occhi iniettati di rancore camminò verso i tre saiyan, fermandosi con la testa alta davanti a loro:

“Esigo che ve ne andiate subito da casa mia” scandì lentamente.

La sua voce non tremò, fu risoluta, decisa, enfatica:

“Vegeta non arriverà ed è bene per voi che ve ne andiate subito perché non gradirà quello che avete combinato in casa sua, né sarà lieto di ricevervi”.

Il saiyan dallo sguardo simile a quello di un animale feroce, sollevò il capo a fissarla, inghiottì un morso di mela e si alzò:

“Calmati, bellezza, quello sguardo minaccioso non ti si addice. Sei alla presenza del potente re dei saiyan, non te lo scordare”.

“Bellezza lo dici a tua madre e vi ricordo che siete voi a trovarvi in casa mia” fece di rimando.

Il re dei saiyan osservò la scena con sorriso beffardo, si alzò e procedette lento verso di lei:

“Un caratterino aggressivo…” commentò posando sulla donna il suo sguardo freddo.

Bulma non si sentì raggelare, molti anni prima aveva imparato a reggere quello di Vegeta:

“Mio figlio dovrebbe usare più accortezza quando sceglie le sue schiave”.

Lei restò come intontita, avvampando di rabbia quando capì l’errore in cui era incappato l’uomo:

“Io non sono la schiava di Vegeta! Sono sua moglie!”.

L’uomo la guardò interrogativo, corrugando la fronte:

“Un termine come un altro per indicare comunque una schiava, Altezza” gli venne in aiuto il saiyan dalla palpebra squarciata.

Poi Bulma indietreggiò, sul suo viso comparve un’espressione di panico, la paura si insinuò di nuovo, questa volta fin nelle ossa quando vide che il re dei saiyan adesso osservava con interesse e con cipiglio il fagottino che aveva tra le braccia. Sembrava che solo ora si fosse accorto di quella creatura che agitava le sue piccole gambe:

“No! No!” urlò sentendosela strappare dalle braccia.

Lo scialle di lana in cui era avvolta cadde a terra, svelando il tipico attributo della razza saiyan: una piccola coda che sbucava penzolante da un foro della tutina.

Bulma trattenne il respiro mentre vedeva che l’uomo fissava la sua bambina come un insetto ripugnante:

“Così Vegeta ha avuto una femmina…” osservò con disgusto “povero figlio mio…ricevere un’onta simile…”.

Bulma sentì la forza nella gambe venirle meno. Nessuna offesa poteva farle tanto male quanto quella rivolta ad una creatura innocente:

“Beh…vorrà dire che sarà uno di quegli scarti che manderemo a conquistare qualche pianeta lontano…”.

Non poté sopportare altro. Si avventò con la disperazione di una madre contro l’uomo, ma non riuscì neanche a raggiungerlo che una forza invisibile l’afferrò e con violenza la scagliò contro la parete.

La donna cadde a terra. Il suo corpo restò inerme mentre Bra piangeva e si dibatteva tra le mani rudi di quello sconosciuto, ignara che quello era solamente l’inizio di una spaventosa avventura.

 

* * *

 

Era bello sentire l’aria sferzare il viso, mentre si attraversavano le nuvole ed il brulichio della città sottostante si perdeva nel sibilo del vento.

Ma quella sera l’aria era gelida. A Trunks non piacque come tutte le altre volte quella sensazione che adesso gli paralizzava il viso e gli faceva lacrimare gli occhi.

Aveva una spalla ferita e faceva fatica a mantenersi in aria:

“Allora, ti muovi?!” gridò Vegeta che rallentava per stare al suo passo.

“Siamo già in ritardo. Tua madre sarà su tutte le furie e dopo sarò costretto io a sorbirmi il suo cruccio”.

“Lo so…ma sono stanchissimo”.

“Questo è il risultato di chi non vuole allenarsi ogni giorno” lo rimproverò.

“E’ vero…ma da quando è nata Bra anche tu ti sei allenato poco”.

“Sì, ma non appena potevo, un’oretta nella camera gravitazionale la trascorrevo. Tu hai sempre la scusa pronta per uscire ed andare dal figlio di Kaarot”.

Avevano trascorso un intero pomeriggio su un’isola sperduta nel mezzo dell’oceano. Si erano battuti l’uno contro l’altro tra le onde del mare ed i vortici di sabbia che si sollevavano al concentrarsi della loro potenza, perdendo addirittura la cognizione del tempo che trascorreva.

“Mi hai trovato parecchio peggiorato?” chiese al padre, avendo a cuore conoscere la sua risposta.

Si abbassarono di quota, posandosi con passo felpato nel giardino della Capsule Corp.

“Abbastanza” gli rispose “se mi è bastato un colpo solo per ferirti la spalla”.

Varcarono l’ingresso e salirono stancamente le scale.

Finalmente a casa…

Un bagno caldo…una cena corroborante e poi…sotto le coperte…era il pensiero che percorreva la mente di entrambi.

Trunks stava per dirgli che domani si sarebbe allenato volentieri nella camera gravitazionale insieme a lui, che era pronto a tutto pur di recuperare il tempo perduto, quando si accorse dell’espressione del padre divenuta rigida e pensierosa.

Tese anche lui i sensi, ma non riuscì a percepire niente che potesse aver messo sull’allarme il padre.

Solo quando vide la porta buttata giù comprese il motivo e ne valutò la gravità vedendo il volto dell’uomo diventare una maschera cerea.

Era avvilente lo scenario che si parò dinanzi a loro. Niente di quanto avessero visto, prima di uscire da quella casa, era più al suo posto. Il divano ribaltato, il tavolo ed i mobili della cucina rovesciati, le schegge di vetro che calpestarono sotto i piedi, erano il segno indissolubile che qualcosa di spaventoso si era consumato tra quelle mura.

Un alito gelido di vento attraversò la finestra frantumata, oltrepassò le tende e spense la cenere nel camino.

Restarono agghiacciati a guardare il disastro accaduto che si concluse con il tonfo metallico di una pentola che, in bilico, cadde a terra spezzando il silenzio nefasto che avvolgeva la stanza.

“Bulma!” nel grido di Vegeta trapelò una nota di tremore.

Il vetro scricchiolò sotto i passi dell’uomo, che avanzò lento, con il cuore in gola, scorgendo spuntare da dietro il divano il piede di un corpo inerme.

Con orrore aveva già riconosciuto la caviglia sottile che terminava in una pantofolina rossa, ma volle per un istante illudersi che non fosse il corpo di lei quello riverso a terra, prima di compiere un altro passo e riconoscere la familiarità di quelle gambe, di quei fianchi che dopo mesi avevano recuperato la loro sottigliezza ed il colore dei suoi capelli che, scompigliati, le coprivano il volto.

Trunks con un urlo si gettò dopo di lui verso il corpo della madre.

Un’espressione più distesa percorse il viso del principe dei saiyan quando sentì il battito regolare del suo polso. La prese tra le braccia, scuotendola perché si risvegliasse.

La donna emise solo un gemito di dolore, faticando ad aprire gli occhi:

“Cerca di svegliarla tu, io vedrò dov’è tua sorella” si rivolse al figlio notando che non distante da lei c’era a terra uno scialle di lana.

Lo prese tra le mani, guardandosi intorno alla disperata ricerca di cosa fosse accaduto e perché quello scialle si trovasse lì.

Si precipitò verso la sua camere da letto, dove si trovava la culla della bambina.

Fu una corsa delirante, dove la paura e l’apprensione  lo paralizzarono al punto tale da fargli apparire quel corridoio un tunnel interminabile.

Cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito a trovare Bra…per quale motivo il suo scialle non avvolgeva il suo corpicino…doveva essere accaduto qualcosa di terribile…aleggiava ancora intorno alla casa una mostruosa carica negativa.

Sorpassò la camera gravitazionale, le stanze degli ospiti, ma fu quando superò la camera di Trunks che le sue orecchie sensibili captarono un gemito provenire da lì.

Si arrestò all’istante, quel gemito si ripeté ancora, questa volta più prolungato: era il pianto di un neonato, era il pianto della sua Bra.

Aprì la porta. La bambina era stata gettata sul letto e adesso piangeva dibattendo le braccine e le gambe.

Vegeta la prese tra le sue braccia e sorrise soddisfatto quando la creatura, riconoscendo il suo abbraccio, smise di dimenarsi.

Stava ritornando indietro, dove aveva lasciato Bulma e Trunks, quando si accorse che il portafotografie, poggiato sul comodino accanto al letto, era stato fatto cadere.

Fissò impensierito la fotografia, poi si mosse per lasciare la stanza.

La foto, scattata un anno prima, che lo ritraeva tra Bulma e suo figlio sulla riva del mare, restò lì sul pavimento dove l’aveva gettata il re dei saiyan.

Trovò Trunks ancora intento a far riprendere la madre.

Bulma strizzò gli occhi, emise un gemito di dolore quando cercò di rialzarsi con la schiena, confusa si guardò intorno, riuscendo solo dopo qualche istante a riconoscere il ragazzo:

“Finalmente…” proruppe scoppiando in lacrime “finalmente siete arrivati…”.

Cercò di ricordare cosa fosse accaduto prima di sentire quella forza energumena che l’aveva scaraventata contro la parete:

“Bra…” mormorò riprendendo a respirare affannosamente.

“E’ qui” la tranquillizzò Vegeta.

Finalmente riuscì a vedere anche lui.

Gettò la testa contro la sua spalla, piangendo a dirotto per alcuni lunghi minuti.

“Cosa è accaduto mamma?”.

Riuscì a calmasi, ma volle che la bambina fosse tra le sue braccia quando avrebbe raccontato a Vegeta la sorprendente vicenda:

“Sono venuti dei saiyan…cercavano te e c’era anche tuo padre…devono essere andati via..” parlò confusamente.

“Ma cosa stai dicendo?” si alterò Vegeta “hai forse sognato?!”.

Ma lei scuoteva il capo, ancora troppo impaurita per poter essere più chiara.

“Hanno detto che avrebbero venduto questo pianeta…”.

“E’ impossibile! Non potevano essere saiyan!” la contraddisse alzandosi “non ne esistono più!”.

“Ti sbagli Vegeta!”.

L’uomo si bloccò.

Quella voce che gli parlò alle spalle…non l’aveva mai dimenticata…l’avrebbe riconosciuta ovunque…la voce di suo padre…

Non si voltò subito. Restò paralizzato nel sentirla e sorpreso nel percepire un’aura tanto potente quanto negativa.

Trunks strinse sua madre, che aveva ripreso a tremare rivedendo i tre guerrieri che erano ritornati prima di quanto credesse.

Vegeta si voltò piano e fu così che dopo anni tornò a riflettersi negli occhi d’ebano del re dei saiyan, il potente re del pianeta Vegeta, che per anni aveva esercitato un indiscusso potere in molte galassie.

Era difficile dire cosa attraversasse la mente di Vegeta in quegli istanti: non un muscolo del viso scompose la freddezza della sua espressione:

“Come è possibile?” domandò solamente.

Il re sorrise, conscio di aver generato in lui molto più stupore di quanto avesse cercato di non ostentare. Incrociò le braccia e si apprestò a parlare:

“Non c’è molto da sorprendersi e nulla che non possa essere spiegato. Siamo in carne ed ossa…come puoi vedere…e siamo venuti fin qui perché tu sapessi che la rinomata stirpe dei guerrieri saiyan è tornata alla potenza e alla gloria di un tempo”.

Un lampo balenò negli occhi di Vegeta, solo quello, solo quel movimento impercettibile del sopracciglio sinistro sconquassò il suo contegno.

Il re del pianeta Vegeta si apprestò a rivelare il significato delle sue arcane parole.

Molti anni or sono, il potente Freezer aveva recato terrore fino ai confini estremi dell’universo, assoggettando popoli e conquistando intere galassie.

Il popolo dei saiyan, potente razza guerriera e distruttrice, ne aveva riconosciuto il dominio, prendendo a mercanteggiare pianeti al suo servizio e vendendoli ai migliori offerenti sul mercato.

Continuando a fare uso della loro natura aggressiva, i saiyan erano cresciuti in potenza e in rinomanza. Incominciando a ritenerli una minaccia e suggestionato dalla leggendaria figura del super-saiyan, il malvagio Freezer tramava di annientare presto l’intera stirpe.

Nell’ombra si muoveva la figura altrettanto diabolica del re del pianeta Vegeta, che intuito il pericolo a cui sarebbero andati prima o poi incontro e consapevole di potere ben poco contro la potenza combattiva del tiranno, aveva già da tempo provveduto a trovare la soluzione perché la stirpe dei saiyan non andasse mai estinta.

Da ogni saiyan adulto e piccolo aveva fatto prelevare un campione di pelle.

Saputo che Freezer era ormai pronto a portare avanti il suo disegno di annientamento quando Burdack, padre di Goku, avuto il dono funesto della premonizione, si aggirava come un profeta forsennato negli ambienti del Palazzo per esortare tutti ad affrontare lo scontro, il re di Vegeta affidò le provette contenenti il prezioso materiale ad una schiava di fiducia, perché lontana dal pericolo provvedesse a ridare molto presto vita alla sua stirpe, sfruttando il dna prelevato da ogni donna e da ogni uomo.

Giunta costei ai limiti ultimi dell’universo conosciuto, a bordo di una navicella, alla ricerca di un pianeta evoluto tecnologicamente e scientificamente abbastanza da consentirle l’effettuazione dell’ ambizioso progetto del suo sovrano, dopo un lungo peregrinare, arrestò il suo cammino presso una civiltà aliena, tanto pacifica quanto altamente evoluta. Sottomessola in breve alla sua volontà, le cellule di dna trovarono fertile terreno nei sofisticati laboratori del pianeta, alle cui condizioni estreme di gravità, dovute ad un elevatissimo campo magnetico che circondava il pianeta, i corpi redivivi dei saiyan foggiarono la loro potenza ed acquisirono nuove capacità combattive, raggiungendo ciascun guerriero l’ambito livello del super-saiyan.

Erano ormai trascorsi tre anni dacché, rarefattosi il campo magnetico che impediva la loro partenza, i saiyan avevano ripreso a scorazzare tra le galassie, più forti ed aggressivi di un tempo.

Avevano scelto come propria sede il pianeta Aval, battezzato col nome di Vegeta. Si trattava dell’unico satellite naturale del pianeta Ulavac, terra vergine e disabitata, di dimensioni immani. Era qui che aspiravano ad istallarsi definitivamente e a cui avrebbero dato il nome di Neo-Vegeta:

“Sono lieto di vedere che anche tu, Vegeta, hai raggiunto in questi anni un elevato livello di combattimento. Adesso so che il mio cammino e la mia ansietà di ritrovarti non sono state vane” concluse alla fine suo padre.

Vegeta era rimasto muto, con lo sguardo perso nel vuoto, ad ascoltare il suo racconto.

Al suo progredire gli era sembrato di sentire in lontananza la sua voce, mentre su di essa prendevano il sopravvento i rumori di mille stermini compiuti in passato. Sentiva ancora i boati delle città distrutte, le urla disperate di popoli annientati e sottomessi, il colore vivo del sangue che gli schizzava sul volto e sull’uniforme.

Il suo passato, rivissuto in quel racconto, incominciò a fargli ribollire il sangue, accese nei suoi occhi una luce sinistra, disegnò sulla sua bocca un ghigno sottile.

A Bulma e a Trunks non sfuggì nulla del folle proposito portato avanti nell’arco di lunghi anni con dedizione e pazienza.

Trunks percepiva l’aura potente del re dei saiyan, si accorse che non era inferiore a quella di suo padre e neanche a quella di Goku o di Gohan.

Sarebbe stato uno scontro titanico un eventuale combattimento contro quegli individui ed era abbastanza sveglio e perspicace per capire che avrebbero dovuto affrontare un intero esercito.

Non ne sarebbero usciti vincitori mai…era la minaccia più terribile che potesse abbattersi sulla terra. Simili contro i propri simili…si sarebbero fronteggiati a pari armi…alla medesima potenza…con gli stessi punti deboli e le stesse capacità combattive…prese a sudare freddo pensando che non sarebbe mai dovuto essere negligente negli allenamenti.

Bulma si preoccupò invece di capire perché mai quei guerrieri fossero giunti fino alla sua casa ed il re avesse voluto ansiosamente avere quel colloquio col figlio.

Possibile mai che fossero venuti a riprenderselo?

Vegeta non sarebbe sceso ad alcun compromesso…ora lui apparteneva alla Terra….l’avrebbe difesa come aveva fatto tutte le altre volte….non aveva ombra di dubbio…

Il re parve che avesse letto le sue preoccupazioni nella tensione della sua espressione, perché:

“E’ tempo, Vegeta, che ritorni dal tuo popolo. I saiyan ti aspettano con trepidazione. Questo pianeta lo venderemo….ho già avuto modo di appurare che guadagneremo lautamente da questo posto”disse.

“Voi siete impazziti!” gridò Bulma. La presenza di Vegeta le infondeva sicurezza. Sarebbe stata capace di assalirli verbalmente senza remore e stava già per proseguire quando:

“Sta zitta!” gridò laconico Vegeta.

Bulma ammutolì, quasi umiliata che proprio lui le si rivolgesse così.

“Va bene. Verrò con voi” decise il principe, con freddezza e risoluzione, senza lasciar trapelare entusiasmo né contrarietà:

“Papà…!” intervenne Trunks balzando in avanti.

Ma Vegeta sembrò non averlo neanche ascoltato.

“Ma ad una condizione…” proseguì.

Il re attese, curioso di sapere su cosa intendesse patteggiare:

“Loro vengono con me” comunicò alla fine.

La reazione suscitata fu comune a tutti gli astanti: un’espressione trasecolata e stupita che alterò perfino l’inflessibilità della fronte e delle mascelle dell’uomo più anziano:

“Perché?” domandò osservando il ragazzino e la donna con la neonata.

“La terrestre è una scienziata. Potrà esserci di aiuto. Non mi sembra di ricordare che noi saiyan spicchiamo particolarmente in questo campo. Gli altri devono venire in quanto suoi figli. I terrestri sono esseri sentimentali…non si allontanerebbe mai senza di loro” spiegò sprezzante, con lo stesso disinteresse che avrebbe adoperato se si fosse riferito a degli sconosciuti:

“Vegeta…” mormorò Bulma in maniera quasi impercettibile, come se il suo nome si fosse spento sulla sua bocca.

Non era possibile che lui stesse parlando così di loro.

Il re dei saiyan osservò più a fondo Trunks:

“E’ anche lui tuo figlio?”.

Vegeta non lo negò.

“Sa combattere?”.

“Una femminuccia saprebbe fare di meglio. L’ho avuto con una terrestre…cosa ne sarebbe potuto venire fuori…?”.

Il ragazzino sentì come se una lama gli avesse lacerato la schiena. Forse neanche quella avrebbe fatto tanto male come quella parole. Le sue ginocchia si piegarono, Bulma, stretta a lui, dovette reggerlo perché non cadesse. Vide il suo viso impallidire, la mano stringersi al suo vestito, lo sguardo smarrirsi nel buio e nel baratro profondo che incominciava a profilarsi dinanzi ad esso. Si sentì trascinare anche lei, diritto lì nell’abisso dove stava precipitando suo figlio, quando la voce del re la riportò in una realtà altrettanto buia:

“Il satellite Aval, ovvero Vegeta, ha una gravità simile a quella terrestre, ma Ulavac, dove intendiamo stabilirci definitivamente in attesa che gli edifici siano agibili ed ultimati, ha una gravità troppo elevata per loro”.

Aggiunse inoltre che i lavori sarebbero stati ultimati solo entro pochi mesi.

“Quando sarà allora…si vedrà…” concluse spiccio il principe.

“Dunque…possiamo partire ora stesso” disse suo padre, col tono di un ordine piuttosto che quello di una proposta.

Vegeta non obiettò, guardò Bulma e perentoriamente ordinò loro di andare a prendere le proprie cose.

Lei, con gli occhi traboccanti di lacrime, corse verso la sua stanza, ma Trunks restò immobile, come se avesse già toccato il fondo del suo precipizio.

Bulma adagiò la neonata sul letto. Piangente, vagamente conscia di cosa stesse accadendo, prese quanto le capitò sotto le mai e lo ripose in una valigetta.

Bra intanto protestava affamata ed irritata dai trambusti di quella sera.

Cercò di capire cosa stesse dimenticando, ma non era nelle condizioni di ragionare, le parve di impazzire, come se tutto prendesse a girarle vorticosamente intorno.

Il saiyan la trovò seduta sul ciglio del letto, con le mani tra i capelli:

“Vegeta…” si alzò di scatto, ma non disse nient’altro, fissandolo solo con un’infinita tristezza e scuotendo il capo in segno di disapprovazione.

“Muoviti” fu l’unica cosa che pronunciò prima di voltarle la schiena e raggiungere suo padre nel corridoio.

Per un istante sembrò che avesse voluto dirle qualcosa, ma non lo fece.

Bulma li seguì e, trovato Trunks dove lo aveva lasciato, lo spinse a camminare.

L’aria pungente della sera travolse lei ed il fagottino che stringeva al suo petto. Percorrendo il giardino per voltare verso il retro, sentì di nuovo il rumore di quel motore potente che aveva percepito prima che i saiyan irrompessero in casa e finalmente ne scoprì la causa:

una navicella era sospesa a mezza aria ed era il mezzo con cui loro erano giunti.

“Principe…” gli si rivolse il guerriero dalla palpebra squarciata “non c’è posto anche per loro”.

Vegeta rifletté in breve:

“Staranno nella stiva” e si accinse a salire sul veicolo spaziale.

Bulma non protestò. Si accorse di non avere la forza per farlo. Quanto era accaduto quella sera e quanto le sarebbe dovuto capitare nei prossimi mesi, andava oltre qualsiasi presentimento vago…

 

* * *

Dovevano aver già lasciato alle proprie spalle la scia fluorescente che reca il nome di Via Lattea. Pur non essendoci oblò nella stiva, Bulma lo dedusse da un rapido calcolo, guardando il tempo scorrere sul proprio orologio ed ipotizzando la velocità a cui l’avevano percorsa.

Aveva sentito, prima di salire, che il viaggio sarebbe durato meno di quarantotto ore e ritornandoci a riflettere si sentì sollevata di sapere che non sarebbero dovuti stare a lungo rinchiusi in quello spazio ristretto e maleodorante.

Sfamata Bra ed addormentatala, aveva trascorso gran parte di quelle ore nel tentativo di trovare una risposta all’angoscia che le impediva di declinare il capo e concedere tregua ai suoi pensieri.

Vegeta…suo padre…i saiyan clonati…erano percorsi di cui la sua mente ne aveva smarrito la coerenza e la logicità già da molte ore.

Avrebbe accettato qualsiasi cosa, ma non di sapere che Vegeta fosse disposto a rinunciare a tutto quanto di bello avesse creato con lei sulla Terra per prendere parte al folle progetto portato avanti da un uomo che niente aveva mai rappresentato per lui.

Eppure lei sapeva bene che, nonostante lui avesse imparato a volerle bene e a comportarsi come un buon padre, non aveva mai dimenticato di essere un saiyan, che ogni volta che si ritrovava nella condizione di doverlo ricordare a qualcuno, c’era quella luce di orgoglio che gli si accendeva negli occhi e li faceva scintillare diabolicamente, e che anni prima aveva osato addirittura vendere la sua mente ad un mago malvagio perché potesse ritornare ad essere il principe spietato ed impietoso di un tempo.

Ma da allora erano passati alcuni anni e lei era convinta che lui si fosse reso conto di non essere più in grado di compiere del male gratuitamente e che avesse accettato di essersi conformato ad una nuova vita e di ciò ne fosse anche contento.

Era ancora vivo il ricordo in lei di alcune settimane prima, quando lui aveva preso tra le mani la sua bambina appena nata ed aveva visto i suoi occhi farsi più lucidi.

Non riusciva a credere che lui non desiderasse più vederla crescere…che non gli stesse più a cuore allenare l’altro figlio...che non volesse più fare l’amore con lei…

Osservò Trunks, accucciato in un angolo, con lo sguardo spento e quasi incosciente. Rabbrividì al pensiero che suo figlio non riuscisse più a risalire dal precipizio in cui le parole del padre lo avevano fatto cadere.

Suo padre era tutto per quel ragazzino, dire che lo adorasse era descrivere solo una parte della grande stima che aveva per lui, e lui aveva osato ferirlo su ciò che più gli era importante, sapere cioè che, nonostante lo rimproverasse di trascurare sovente gli allenamenti, lo ritenesse ad ogni modo un coraggioso e valoroso guerriero.

Anche Bulma aveva avuto modo di vedere come Vegeta in numerose occasioni fosse stato orgoglioso del figlio, fin da quando era piccolo ed aveva preso ad insegnargli con successo le arti marziali e a foggiare la natura di combattente che gli aveva trasmesso nel sangue.

“Trunks…” lo chiamò piano, ma il ragazzino la ignorò “…lo sai benissimo anche tu che tuo padre non diceva sul serio quando ti ha detto quelle cose…non puoi continuare a pensarci…io non intendo giustificarlo…forse è solo confuso…cerco soltanto di provare ad immaginare cosa stia avvenendo nel suo animo…”.

Ma Trunks chiuse gli occhi, come se volesse addormentarsi pur di non ascoltare nessuno.

Bulma poggiò il capo contro un sacco depositato nella stiva, riflettendo che era necessario riuscire a parlare con Vegeta il prima possibile…riuscire a capire cosa avesse in mente…

Pensò anche alla Terra, a Goku, e a tutti gli altri, e al mistero che avrebbe rappresentato la loro scomparsa.

Chichi sarebbe dovuta andarla a trovare proprio il giorno dopo…cosa avrebbe pensato trovando a soqquadro la sua casa…Goku senza dubbio si sarebbe preoccupato di non riuscire più a percepire l’aura di Vegeta e di Trunks.

Meditava ancora su cosa sarebbe accaduto alla Terra, quando si accorse che i sacchi lasciati all’interno della stiva erano colmi di riserve alimentari.

Non era riuscita a prendere nulla dalla sua cucina, se non del latte in polvere per Bra. Pensò che sarebbe stato il caso di riempire la valigia con un po’ di cibo e di mettere intanto qualcosa nello stomaco. Prese un barattolo di carne in scatola e lo porse a Trunks, ma lui chiuse di nuovo gli occhi e finse di non vederla.

La navicella continuò a viaggiare con velocità sostenuta.

Vegeta osservava il buio dello spazio davanti a sé. Digitò dei pulsanti sul quadrante alla sua destra, facendo bruciare più carburante nei motori:

“Vedo che sei ansioso di giungere a destinazione…” gli disse il padre seduto accanto: erano le prime parole che gli rivolgeva dopo molte ore di silenzio:

“Ansioso è il termine giusto…”.

“Vedrai…non hai neanche idea di cosa sono stato in grado di realizzare…”.

Vegeta si mosse inquieto sul sedile. Era evidente che qualcosa lo turbava e lo impensieriva. Il re non tardò a percepirlo.

Il principe si voltò a guardare gli altri due saiyan, adagiati a terra contro uno sportello di sicurezza.

Uno dei due aveva declinato il capo e respirava già rumorosamente. L’altro, quello con lo sguardo simile ad un animale feroce, era sul punto di fare lo stesso.

Vegeta osservò con attenzione lo sportello di sicurezza alle loro spalle. Qualcosa di malvagio elaborato nella mente gli fece atteggiare la bocca ad un ghigno diabolico.

Con circospezione tornò a guardare il quadrante alla sua destra e digitò alcuni tasti.

Un vortice di aria spaziale irruppe improvviso nella navicella. Lo sportello di sicurezza si aprì risucchiando i due saiyan. Il re si aggrappò al sedile imprecando e cercando di ricomporre il codice di chiusura sulla tastiera, mentre l’urlo di uno dei due saiyan si perdeva nell’abisso sconfinato dell’universo. Poi tutto tornò come prima:

“Ti sei bevuto il cervello?!” fece il padre ricadendo sul sedile, dove Vegeta aveva pensato bene di piantarsi allacciando la cintura.

Il volto di Vegeta sembrava adesso rilassato:

“Ero solamente preoccupato…quei due tipi hanno visto e sentito troppe cose…era necessario che me ne sbarazzassi…mi auguro che tu capisca, padre, che non voglio che si sappia che quei terrestri sono figli miei o che hanno qualche legame con me…”.

Il padre annuì, avendo già in mente di serbare il vergognoso segreto.

Bulma si svegliò di soprassalto, quando lo spigolo di uno scatolone le finì sulla caviglia, procurandole una fitta lancinante.

Protesse Bra quando vide che altri sacchi le stavano rotolando contro e la navicella subiva pesanti scossoni:

“Trunks!”.

Il ragazzino si svegliò di soprassalto, mentre veniva sballottato contro una parete:

“Siamo entrati nell’atmosfera del pianeta! Stiamo atterrando!” gridò la donna.

Il fragore dei motori crebbe al punto tale da sembrare che l’astronave fosse sul punto di disintegrarsi. Poi il silenzio.

Un silenzio troppo lungo…

“Ehi! Fateci uscire!” bussò Bulma contro le lamiere metalliche.

Lo sportello si aprì automaticamente: ne uscì prima il re, poi Vegeta.

Il principe si guardò intorno. Non riusciva a credere a quanto quell’ambiente gli fosse familiare. Ricordava tutte le volte che da ragazzino atterrava in quell’enorme deposito dove le navicelle venivano controllate e smistate per le varie destinazioni.

Quell’aria in particolare, dove erano atterrati loro, era riservata solo a lui e a suo padre ed era attigua al Palazzo.

“Sono lieto di rincontrarti…” gli si rivolse il saiyan incaricato di attendere il loro ritorno.

Vegeta alzò il capo e lo osservò:

“Il piacere è tutto mio…Napa…” fece in tono eloquente e beffardo. In realtà era molto sorpreso di aver trovato anche lui, il vecchio compagno di mille battaglie, che aveva impietosamente ucciso dopo la sua misera  e veloce sconfitta contro Kaarot.

C’erano al suo fianco altri due saiyan, di cui ignorava l’identità e che tenevano il capo riverentemente basso.

“Napa…” gli si rivolse il re “pensa tu a portare Vegeta nei suoi alloggi e ad illustrargli la situazione…io mi riposerò e partirò subito per Ulavac. Voglio rendermi conto quanto ancora dovrò aspettare perché Neo-Vegeta sia pronto ad essere abitato” e detto questo si voltò ed andò via.

I quattro saiyan mossero tutti lo sguardo verso la navicella quando sentirono un suono ripetersi:

“Apriteci!”.

Vegeta fece segno ad uno dei due saiyan di aprire lo sportello della stiva.

Uscirono una donna con un fagottino rosa tra le braccia, che strinse gli occhi accecati dalla luce artificiale che illuminava il deposito, ed un ragazzino con lo sguardo piantato a terra e l’espressione più spenta che mai avesse avuto:

“Chi sono?” domando Napa.

“Terrestri…la donna è una scienziata, l’ho condotta nel caso in cui ci serva aiuto” spiegò in breve.

 Bulma guardò verso Vegeta. L’uomo vide in lei la sofferenza ed il disagio subito per le condizioni del viaggio. Sembrava che in quella stiva il tempo fosse trascorso velocemente ed avesse segnato inesorabilmente il suo viso aggiungendo ad esso una manciata di anni.

La vide camminare verso di lui, faticando a piegare le ginocchia, che solo ora poteva finalmente distendere. Bulma si fermò poco distante:

“Vegeta…” mormorò, ma si accorse che i motori della navicella, lasciati ancora funzionanti, sopraffacevano il suo bisbiglio.

Si avvicinò ancora di più, fino ad essere ad un palmo dall’uomo:

“Ti prego…dobbiamo parlare…” gli disse implorante, per scoprirsi incapace a proseguire quando i motori si spensero.

“Vegeta…” riuscì solo a dire prima che uno dei due saiyan l’afferrasse per un braccio e la costringesse ad indietreggiare.

“Donna! Quando ti rivolgi al principe sei tenuta a stargli alla debita distanza!” fu redarguita.

Lei, che ogni notte dormiva al suo fianco ed amava stingersi al suo corpo, lei, che era la sua donna e la madre dei suoi figli, l’unica persona che più di tutti aveva il diritto di stargli vicino e di pretendere anche dell’altro, era già sul punto di reclamare la sua posizione, quando:

“Portali via” ordinò il principe.

“Dove, Signore? A che Ordine appartengono?”.

“Al Quarto Ordine” rispose senza esitazione.

“Sono schiavi dunque…”.

Schiavi?! Quella parola le devastò la mente e le fece vacillare le gambe. Trunks mosse impercettibilmente gli occhi, ma non palesò altro sgomento.

“Signore…gli schiavi vengono inviati su Ulavac ai lavori forzati. Lì sono addetti alla costruzione degli edifici, perché Neo-Vegeta sia il più presto abitabile. Se sono terrestri non possono sopravvivere alle condizioni gravitazionali del pianeta”.

“Infatti…” concordò “…voglio che restino a Palazzo in qualità di servitù”.

“No, Vegeta!! Non puoi farci questo!”urlò lei straziatamente mentre venivano condotti via.

“Per l’amore del cielo! Tu lo sai che non siamo schiavi! Vegeta non puoi abbandonarci! No! No!” cercò di divincolarsi in preda ad una crisi isterica, che era solo lo sfogo  del dolore e della grande incredulità che fino a quell’istante aveva cercato di respingere e di giustificare.

Le sue urla convulse si smarrirono lungo il corridoio che conduceva agli alloggi del Quarto Ordine. Poi calò il silenzio ed il suo suono fu ancora più agghiacciante.

 

* * *

Era incredibile come certi sogni a volte riuscissero a dare la sensazione di essere veramente vissuti, così tangibili e concreti nelle loro proiezioni mentali…pensò Bulma mentre faticava ad aprire gli occhi e rabbrividiva scoprendo sulla propria pelle il freddo rigido di quella mattina.

Allungò il braccio per cercare calore accanto a Vegeta, ma lo ritirò con disappunto trovando il letto già vuoto.

Possibile mai che si fosse andato ad allenare anche di domenica…borbottò tra sé e sé non accennando ancora ad aprire gli occhi…eppure da tempo era riuscita a convincerlo a concedersi riposo almeno in quel giorno della settimana e a restare insieme a lei a letto fino a tardi a crogiolarsi sotto il tepore delle coperte…almeno era così che le cose erano andate prima che Bra incominciasse a sconvolgere i loro orari e le loro abitudini.

Riuscì con flemma ad aprire gli occhi, che non riconobbero la familiarità della sua camera da letto

come ogni giorno, ma si persero nello squallore di una stanza piccola e scura:

“Trunks!” si alzò di scatto, restando a guardare con espressione interrogativa il figlio rannicchiato in un angolo, che teneva tra le braccia la sorellina.

“Sei svenuta mentre ci conducevano qui”.

Fu solo allora che si accorse che non era il suo letto il materasso gettato a terra su cui aveva dormito:

“Quanto…quanto ho dormito?” tossì per schiarire la gola che le doleva.

“Parecchio” riuscì a dire prima che Bra prendesse a scalciare e a gemere “Mamma…credo… che debba essere cambiata…”.

La donna si alzò solerte, adagiò sul materasso la bambina che si agitava in procinto di piangere e prese l’occorrente per il cambio.

Poi, terminato, si guardò intorno, osservò la borsa da cui aveva estratto il pannolino e scoppiò in un pianto dirotto:

“Moriremo in questo posto…” singhiozzò tra le lacrime, rendendosi conto che erano troppo poche le cose che era riuscita a portare via da casa.

C’erano solo alcuni ricambi per lei ed i suoi figli, troppo leggeri per riuscire a riscaldarli nel clima rigido del pianeta. A parte del latte in polvere per Bra, le scatole di cibo che aveva rubato dalla stiva della navicella sarebbero state sufficienti a sfamare Trunks per un giorno solo.

Pur volendo allattare Bra al suo seno, il suo latte non sarebbe bastato a saziare la voracità della piccola saiyan.

Maledicendosi, si rese conto che nella confusione mentale che aveva preceduto la partenza dalla Terra, non era praticamente riuscita a premunirsi del minimo che fosse indispensabile per sopravvivere, perfino del suo immancabile kit di capsule, dal quale sarebbe bastato estrarne una e lasciarla esplodere, per avere una piccola casa che rendesse il soggiorno quanto meno più vivibile.

Sarebbero morti per la fame, per il freddo, concluse tragicamente in pochi attimi di riflessione, vedendo che non c’erano finestre in quella misera cella e l’umidità scendeva sotto forma di stille di pioggia lungo il soffitto.

L’unica cosa che le riscaldò un po’ il cuore fu sapere che Trunks le aveva rivolto la parola e che il suo sguardo non era più spento ma solo infinitamente triste.

“Che ne sarà di noi?” continuò a lungo mantenendosi il grembo, piegata in avanti per il dolore, fino a quando lo scatto di una chiave nella serratura della porta la fece scattare in piedi.

Fu un barlume di luce che dall’esterno penetrò nella penombra della cella e riempì il suo cuore di una fioca fiamma di speranza. Forse erano venuti a portar loro del cibo, magari anche delle coperte, forse semplicemente non li avevano ancora abbandonati, non del tutto.

Era una vecchia ricurva la figura che comparve sulla porta, si reggeva ad un bastone ed aveva la coda. Spalancò completamente la porta, perché riuscisse ad inondare di luce le sagome dei terrestri stagliate nel buio.

Non aveva né cibo, né coperte, ma disse:

 “Seguitemi”.

E quel comando apparve anche più confortevole di qualsiasi altro agio.

Bulma non si preoccupò di chiedere chi fosse e dove intendesse condurli, volle solo uscire il prima possibile da quel marciume e, lanciata un’occhiata significativa al figlio, si decise ad obbedire. Percorsero una scalinata ed attraversarono un corridoio. I loro passi risuonarono  frettolosi e sonori lungo il corridoio deserto. C’erano delle porte lungo ambo i lati e a Bulma sembrò di captare un discorso animoso provenire da dietro una di quelle. Erano abitate, ognuna di quelle appartenevano a dei saiyan, non ebbe più dubbi quando si ritrovò addirittura a sentire i gemiti inconfondibili di una donna durante un selvaggio amplesso. Fu a quel punto che, intimorita, voleva sapere dove li stesse conducendo.

Sembrò però che anche la vecchia fosse spaventata, soprattutto che facesse attenzione a non imbattersi in nessuno, perché pure lei, percepiti i rumori provenire da una di quelle stanze, affrettò di più la cadenza claudicante del suo passo e si arrestò proprio presso una di quelle porte, accanto alla quale compose, su un quadrante, un codice, che fece scattare automaticamente l’uscio metallico.

Non era grande la stanza in cui furono fatti entrare, ma la parete ed il pavimento di mattoni grigi erano puliti. C’era un letto grande contro una parete e in un angolo, nascosti dietro una tendina rattoppata e lasciata tirata, gli accessori di un bagno: un gabinetto ed un lavandino.

Completava l’arredo un mobile di legno tarlato, ma quel buco era quasi una reggia paragonata alla putrida cella in cui pensavano di essere stati confinati per il resto dei loro giorni:

“Bada che quella mocciosa non pianga…in questo schifo di posto mancano solo i suoi schiamazzi!” gracchiò la vecchia riferendosi alla bambina.

Bulma si girò verso di lei, interrompendo l’ispezione visiva che frettolosamente aveva compiuto.

Solo allora poté guardare meglio il volto della donna e rabbrividire alla sua presenza spettrale, osservando il colorito cereo della pelle tempestata di pustole e di rughe profonde come cicatrici e due fanali neri, incavati in fosse profonde divise da un becco aquilino:

“Chi ti ha ordinato di condurci qui?” chiese la donna, curiosa di sapere se fosse stato Vegeta a decidere di mandarli in un posto più vivibile ed accogliente di un sotterraneo:

“Non sono tenuta a dirti nulla!”replicò la saiyan, senza smentire la razza cui apparteneva.

Stava andando via quando:

“Ti prego!” la fermò Bulma “abbiamo bisogno di cibo e di qualche coperta più pesante e…” non proseguì perché la vecchia uscì sbattendo con veemenza la porta.

 

* * *

 

Napa condusse il principe ai piani alti del Palazzo, riservati esclusivamente ai guerrieri di Primo Ordine.

Vegeta rifletteva assorto su come gli ritornasse alla memoria la familiarità di quei corridoi e delle lunghe rampe di scale. Nel percorrerli volle sapere quanto tempo fosse stato necessario per realizzare di nuovo il Palazzo ed apprese sorpreso che erano stati impiegati solo pochi anni:

“Ma a cosa è servito ricostruirlo se è su Ulavac che ci trasferiremo…”.

“Inizialmente avevamo scelto questo pianeta come sede. Ma è microscopico e tra dei secoli la nostra razza si sarà moltiplicata ed allora questo posto sarà troppo piccolo. Una spedizione ha scoperto che Ulavac non è il pianeta inospitale che pensavamo. E’ immane, la gravità è adeguata ad un popolo di guerrieri ed il sottosuolo è ricco d’acqua. Il terreno coltivato diventerà fertile in meno che non si dica, saremo ricchi e scorazzeremo nello spazio non più per mercanteggiare pianeti e guadagnare danaro, ma solo per il piacere mero di massacrare popoli e vedere il loro sangue schizzare sulle nostre uniformi”.

Il guerriero salì un’altra rampa di scale, si fermò sull’ultimo gradino, si voltò a guardare Vegeta, rimasto ancora in basso, e con un inchino teatrale:

“Vegeta, questo è Ulavac…” annunciò prima di scoprire un pesante panno che copriva una vetrata.

Il principe salì piano i gradini e restò a guardare, dall’alto della collina su cui sorgeva il Palazzo, la città sottostante, con il suo brulichio di saiyan, i suoi edifici realizzati in lega metallica, le sue navicelle che arrivavano e partivano con ritmo frenetico e continuo.

La sua gente…il suo popolo…il suo pianeta…solo ora si rendeva conto che non era tutto una farsa…un sogno…pensare che per tanto tempo aveva creduto che mai più avrebbe rivisto tutto quello…

“Alza gli occhi, Vegeta, quello è Ulavac”.

Un enorme pianeta si stagliava nel cielo purpureo. Era lì che si dirigevano le navicelle, era da lì che facevano il loro ritorno. Nonostante la spettacolarità dello scenario, Napa si accorse di non essere riuscito a sortire nessuna reazione emotiva in Vegeta.

“Non è cambiato affatto…” pensò.

“Ascolta, Napa, è ancora viva Fava?” si sentì chiedere ad un tratto.

Saputo che la donna in questione non era ancora morta, si voltò soddisfatto e proseguì verso i suoi appartamenti.

Vegeta non poteva immaginare che in quello stesso momento, anche Bulma, issatasi su di un tavolo, da una finestra alta, aveva fissato, da dietro le sbarre, lo stesso brulichio di persone, gli stessi edifici e lo stesso cielo infuocato.

Le era sembrato che ci fosse un incendio, che l’intera città stese ardendo e che le fiamme si sollevassero fino in cielo; ma i saiyan si muovevano come se nulla di catastrofico si stesse consumando ed il cielo restava sempre dello stesso intenso colore:

“Non vuoi venire a vedere, Trunks?” si rivolse al ragazzino rannicchiato sul letto, che si limitò a scuotere apaticamente il capo.

Scese dal tavolo e proprio allora ricomparve sulla porta la figura spettrale della vecchia, preceduta dallo scatto automatico dell’uscio.

Aveva un sacco di tela con se. Lo posò a terra, tirò fuori una coperta logora e delle scatole di cibo già aperte:

“Grazie” disse ugualmente Bulma, avendo pensato che non si sarebbe più fatta viva, quando qualche ora prima li aveva condotti lì:

“Come ti chiami?” provò a domandarle.

La vecchia le aveva già voltato le spalle, compose il codice sul quadrante per andare via. La porta scattò:

“Mi chiamo Fava” e poi scomparve.

 

* * *

 

Poco più di un mese…era quello il tempo trascorso.

Bulma aveva contato ogni giorno vissuto in quella prigione, ogni giorno sempre identico a quello precedente, dove non c’era il mattino e la notte, ma il cielo conosceva solo un identico colore, quello del sangue.

Riusciva a contare lo scandire del tempo solo suo orologio: se quello si fosse fermato, avrebbe perso ogni cognizione di esso.

Nonostante questo, il suo ritmo biologico si era assuefatto a quello del pianeta. Aveva imparato che quando Aval compiva la sua rotazione intorno ad Ulavac, di cui era l’unica luna, dalla finestra in alto alla sua cella riusciva a vedere, verso mezzogiorno, l’enorme pianeta tramontare all’orizzonte.

Era verso quell’ora che la vecchia Fava appariva alla porta, portando loro un piatto caldo, che solo Trunks aveva l’ardire di consumare fino in fondo, nonostante il sapore nauseante. La vecchia era di poche parole, più semplicemente sembrava che non avesse intenzione di interloquire con loro. Si muoveva con circospezione, quasi come se temesse che qualcuno si accorgesse delle visite che faceva ai terrestri e Bulma era riuscita a cavarle di bocca molto poco.

Eppure a poco a poco era riuscita a superare la reticenza iniziale ed aveva finito per soddisfare almeno una delle sue richieste. La donna era riuscita ad ottenere che le portasse una cesta di vimini, dove potesse adagiare Bra per farla dormire più comoda. Aveva insistito a lungo, si era sentita rispondere che c’era un letto abbastanza grande da poterlo condividere tre persone adulte, che la sua bambina era solo una piccola mocciosa che non aveva bisogno di simili accortezze, ma alla fine la cesta l’aveva ugualmente portata.

Era acida, maligna, una saiyan di razza pura, Bulma sentiva che di lei non c’era da fidarsi, ma era l’unico essere vivente che almeno una volta al giorno vedeva e lei aveva il disperato bisogno di comunicare con qualcuno, non importava se questo fosse una saiyan centenaria, dalla lingua tagliente e dai modi poco cordiali.

“Hai troppi vizi, per i miei gusti, terrestre…” le aveva detto Fava quando lei si era lamentata che non esistesse acqua calda “…quello è un privilegio solo dei piani alti, qui siamo nello schifo, siamo solo schiavi, apparteniamo al Quarto Ordine, su questo piano del Palazzo vivono gli scarti del sistema e tu sei una di noi anche se non hai la coda!”.

“Io non sono una schiava! Capito? Mettitelo bene in testa!” aveva sbottato Bulma.

Era uno di quei momenti in cui avrebbe avuto voglia di gridare che lei era la donna del loro principe, che nei suoi figli scorreva sangue reale, ma aveva reputato opportuno tenere per sé questo segreto e che rivelare la loro identità avrebbe potuto esporli a problemi maggiori.

Non aveva dimenticato l’intenzione del re di voler inviare Bra, come scarto, a conquistare un pianeta lontano, così aveva imparato a tenere la bocca chiusa quando la saiyan le rivolgeva uno dei suoi soliti insulti.

Poco più di un mese…

Non era trascorso un giorno in cui non aveva sperato che quella porta si aprisse e sull’uscio comparisse Vegeta.

Se solo fosse riuscita a parlare con lui da sola..a farlo ragionare…

Non poteva essere stato plagiato al punto tale da non volere neanche un confronto con lei, anche solo per dirle che non gli importava più di lei e dei loro figli, e che li avrebbe lasciati morire quando tutta la razza saiyan si sarebbe trasferita su Neo-Vegeta, dove loro non sarebbero mai potuti andare.

Anche se ormai era evidente che lui li aveva dimenticati già, aveva il bisogno di sentirlo con le sue orecchie e potergli poi gridare contro tutto il suo disprezzo e la sua rabbia.

Ma per il momento non sapeva quale fosse il modo per riuscire a parlare con lui.

Non sarebbe stato difficile uscire da quella porta, avrebbe potuto facilmente manomettere il codice di apertura dell’uscio, ma l’idea di ritrovarsi in un luogo sconosciuto, pullulante di belve feroci, quali erano i saiyan, non l’allettava particolarmente e lei era troppo indifesa per poter affrontare quella giungla. Inoltre era consapevole di non poter fare affidamento su Trunks, che sembrava ormai chiuso in un mondo tutto suo, dal quale ne veniva fuori solo di rado.

Toccò con un dito l’acqua raccolta nella bacinella, l’aveva riscaldata poggiandola sul pavimento che verso sera si faceva più caldo, quando alcune condutture sotterranee si surriscaldavano.

Spogliò Bra, la pulì piano ed effettuò il cambio. Si affrettò a coprirle la coda quando sentì l’uscio scattare e vide entrare Fava:

“Ti ho portati questi” disse gettando sul letto dei pannolini puliti. Era la prima volta che faceva visita a quell’ora.

Gettò un’occhiata a Trunks, che dormiva rannicchiato in un giaciglio del letto:

“Quel ragazzo è malato” sentenziò sprezzante “non fa altro che starsene su quel letto!”.

“Che altro potrebbe fare?” scrollò le spalle la madre “non mi sembra che in questo buco ci sia qualcosa da fare…”.

“Certo è meglio starsene in quello che tu chiami buco…che andare avanti ed indietro tutto il giorno come faccio io….”.

“Perché? …Tu cosa fai?” domandò Bulma con falsa noncuranza, convinta che quello era il momento opportuno per conoscere qualcosa di quella vecchia ed infrangere quella coltre di segretezza e di enigma che l’avvolgeva e sapeva che quando avrebbe risolto il mistero, forse sarebbe riuscita a sbloccare quella situazione statica ed immutabile da cui voleva venirne a tutti i costi fuori.

“Io ho l’immenso privilegio di essere la schiava personale del principe Vegeta, nonché la donna che lo ha allevato” disse con gli occhi che scintillavano fuori dalle orbite incavate.

Bulma che in quel momento stava adagiando la bambina nella cesta, poco non la fece cadere a terra quando sentì la vecchia pronunciare quel nome.

“E perché lo hai…allevato proprio tu?” le chiese, scoprendo che la sua voce aveva incominciato a tremare.

“Perché ero la schiava personale del re, prima di divenire la sua e l’ho cresciuto io prima che incominciasse ad andare nello spazio, come un vero saiyan”.

Sembrò andare in estasi mentre ricordava l’infanzia del suo principe ed il suo colorito terreo si infiammò alla consapevolezza di aver avuto un ruolo nella vita di lui.

Bulma non si accorse dell’esaltazione in cui era in preda la vecchia, voltata a sistemare la copertina di Bra, in modo tale da celare lo stupore e l’ansietà di dover sfruttare a meglio quella situazione.

Così era quella vecchia saiyan, scurrile quanto antipatica, ad occuparsi di Vegeta…del suo Vegeta…

“E spero di vivere ancora a lungo per vedere almeno nascere i suoi figli” soggiunse alla fine.

Bulma si voltò a guardarla, non badando questa volta ad occultare il pallore che la sorprese:

“Vegeta…ha…ha una compagna?” domandò in un sussurro impercettibile, ma la saiyan, per quanto vecchia, aveva l’udito ancora acuto e scattante.

“Compagna?” sollevò il sopracciglio folto, in espressione interrogativa.

“Beh…deve avere una…donna per avere dei figli…no?”.

La vecchia scoppiò in una risata, che risuonò malefica ed agghiacciante.

“Una donna?! Lui può avere quante donne vuole! Io non so voi che usanze abbiate sul quel microscopico pianeta che è la Terra, ma qui i saiyan non scelgono una sola compagna per tutta la vita. Qui una donna non appartiene a nessuno, può essere di tutti.

Quando sta con un uomo è tenuta alla fedeltà solo fino a quando non gli ha procreato un figlio, perché non sorgano dubbi sulla paternità, ma dopo non è più legata da alcun vincolo e può passare nel letto di un altro guerriero”.

Bulma scopriva con sua grande costernazione i costumi libertini dei saiyan, società spartana, divisa per Ordini sociali, e priva perfino di quella struttura che è la cellula di ogni società, prevalentemente ed indissolubilmente composta da nuclei familiari fin dall’origine dei tempi.

Ma Vegeta era vissuto sulla Terra tutti quegli anni ed aveva condiviso il suo letto solo con lei, non poteva aver accettato di conformarsi ad usanze tanto dissolute ed immorali.

La saiyan rivelò che per il momento il principe non aveva avuto il tempo di avere nessuna donna:

“Ma ci sono molte guerriere che farebbero a gara per infilarsi sotto le sue lenzuola…Vegeta è divenuto un uomo maturo, affascinante e seducente…prima o poi dovrà avere un erede…”.

Bulma la vide andare via. Per un pezzo di tempo lunghissimo restò seduta sul ciglio del letto, prima di coricarsi accanto a Trunks e spegnere la luce.

I suoi occhi erano rimasti aperti, era notte fonda, nonostante il cielo non mutasse il suo colore.  I rumori delle navicelle che si muovevano alla volta di Ulavac e di altre destinazioni lontane avevano rallentato il ritmo ed anche il corridoio, attraverso il quale era stata condotta in quella cella oltre un mese prima, era immerso nel silenzio placido del sonno, interrotto da radi passi.

I lamenti di una donna squarciarono la quiete. Erano dei gemiti ripetuti e costanti che da più notti

si ripetevano nella camera sopra la sua, insieme al cigolio di un letto e al respiro selvaggio di un uomo eccitato. Scoppiò in un pianto dirotto, non pensava di poter tenere dentro ancora tante lacrime dacché le aveva consumate nei primi periodi di prigionia, ma era difficile trattenerle quando ora era cosciente del fatto che esistevano donne su quel pianeta che nutrivano pensieri perversi e voluttuosi per il suo uomo, che avrebbero trovato il modo prima o poi di sdraiarsi nel suo letto, e che il seme del dubbio insinuava le malefiche radici nella sua mente, succhiandole qualsiasi certezza circa la fedeltà che l’uomo per tanti anni le aveva votato.

Era così gelido quel letto senza più il suo calore…silenzioso quanto una tomba senza più il suo respiro profondo e regolare. Aveva dimenticato quanto per lei fosse importante fare l’amore con lui, sentire la sua essenza mescolarsi con la sua e divenire una sola casa, lo aveva ormai dimenticato da parecchio, da quando nei primi mesi di gravidanza, scoprendo di essere a rischio, aveva voluto evitare qualsiasi movimento che fosse brusco per la creatura che portava in grembo.

Era allora che avevano smesso di fare l’amore e se quella sera non avessero ricevuto l’inaspettata visita dei saiyan, giacché era la prima volta in cui si sentiva effettivamente meglio dopo la difficile gravidanza, lo avrebbero fatto dopo mesi di astinenza e sarebbe stato indimenticabile…come sempre.

Pianse ancora a lungo, anche quando l’amplesso dei due inquilini al piano di sopra si era consumato in ultimo grido, più acuto di tutti gli altri.

 

Continua…

 

Lilly81

 

 

 

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Capitolo 2
*** parte seconda ***


Sul pianeta Vegeta Parte II

Sul pianeta Vegeta       Parte II

 

 

 

Qualcuno bussò alla porta.

Il guerriero si interruppe brusco dalle spinte animalesche che assestava alla donna sotto di lui.

Offrì lo sguardo più torvo e crudele di cui era capace all’individuo dalla lunga chioma che si parò sulla porta:

“Muoviti! Nostro padre mi ha appena comunicato che siamo stati convocati tutti dinanzi al re” annunciò Radish, incurante di aver interrotto qualcosa già terminato da un pezzo e prolungato solo per lascivia.

“Che diavolo avrà di così urgente? Se voleva congratularsi per l’esito della nostra ultima missione, poteva chiamarci quando siamo tornati  tre giorni fa…” disse il fratello alzandosi ed infilandosi i pantaloni, mentre la donna offriva disinibitamente la vista dei suoi seni a Radish, già assiduamente frequentato.

“Vedo che ti sei dato da fare…” commentò il guerriero dalla fluente chioma quando uscirono dalla sua stanza.

“Una sgualdrinella di Quarto Ordine…L’ho sbattuta per quattro soldi…” replicò triviale l’altro.

Il resto del percorso fu compiuto in silenzio, cadenzato da un’andatura rigida e marziale, che dai corridoi scarni del Terzo Ordine seguitò fino a quelli del Primo, rivestiti da pregiati tappeti di porpora.

Due guerrieri di guardia al vestibolo di un’ampia sala lasciarono passare senza riconoscimenti formali i due figli di Burdack. Nessuno dei numerosi astanti notò l’ingresso dei due insignificanti guerrieri di Terzo Ordine ed il brusio di voci continuò incomprensibile e sommesso ancora a lungo.

Radish scorse il padre tra la le prime file e fattosi spazio tra la folla lo raggiunse.

Il trono ancora vuoto palesava l’ intenzione del re di farsi attendere a lungo. L’atmosfera era intrisa di inquietudine ed i volti dei guerrieri presenti erano tesi in una maschera di perplessità e di paura.

Tutti erano coscienti che la convocazione di un seduta straordinaria nel cuore della notte era indice di insoddisfazione e malcontento da parte del sovrano e fonte di disgrazie per chiunque ne fosse stato la causa.

La folla si aprì dispiegandosi lungo i due portici di colonne che incorniciavano la sala.

Nessuno, col capo riverentemente basso, osò guardare l’imponente figura del sovrano, ora signore assoluto di tutte le galassie, che attraversò, con la fierezza del suo regale manto, la navata.

Lo seguiva suo figlio, il principe Vegeta, simile a lui nel portamento, ma superiore in efferatezza e sagacia, stando ad alcune mormorazioni tra gli ambienti del Palazzo.

Si fermò in piedi accanto al trono del padre. Il volto era solcato da un’insolita ombra di opacità e fastidio, qualcuno fra la folla avrebbe detto che era di superbia ed alterigia.

Nessuno sapeva che cosa il principe avesse fatto sulla Terra in quei lunghi anni di assenza, era tornato ed aveva ripreso la vita di un tempo, quella che a lungo fra i terrestri si era ritrovato a rimpiangere, quella fatta di spargimento di sangue, di distruzioni e vendette.

Anche Napa, il guerriero a lui più vicino, ignorava quale vita avesse condotto su quel piccolo pianeta, si era solo sparsa la voce che era ritornato da lì con degli schiavi: una donna con due mocciosi, di cui si era persa ogni traccia, dimenticati forse nelle segrete del Palazzo.

“Mi dispiace…” esordì il re “…trovarmi nella condizione di ricordarvi che è a me che dovete la vostra rinascita, inutili cloni. I lavori su Neo-Vegeta non sono ancora completi, le casse del Tesoro sono quasi vuote…esigo avere delle spiegazioni e che siano esaurienti!”.

La sua voce fu come lo scrosciare di un tuono che risuonò per l’ampia sala, i cuori dei saiyan, dei tamburi battenti sotto le pesanti armature:

“Avol!”.

Il guerriero si fece avanti, col capo chino e in atto di genuflessione:

“Mi sembra che sia a te che ho affidato la sovrintendenza dei lavori su Ulavac? Non è così?!”.

“Sì, Altezza…ma i motivi dei ritardi sono imputati al fatto che la gravità su Neo-Vegeta è alta, la maggior parte degli schiavi non riesce a lavorare a simili condizioni ed il ritmo viene rallentato…e per quanto riguarda le casse del Tesoro…quanto abbiamo guadagnato dall’ultimo pianeta conquistato è stato speso per comperare i pregiati tappeti che lei ha richiesto per l’ornamento della sala del trono”.

Vegeta non sembrò interessato alla prolissa discussione che fece seguito alle ringhiate e alle accuse, con la quale il tiranno stabilì l’occupazione del pianeta Fnaus, sito nella galassia del Sud, ed il prelevamento dell’intera popolazione, adattabile a condizioni estreme di gravità ed adoperabile ad infoltire le folte schiere dei prigionieri.

Guardava semplicemente i sudditi fermi davanti a lui, senza soffermarsi su alcuno in particolare, con la mente occupata da chissà quali pensieri, fino a quando una sagoma, ferma presso una delle colonne in fondo alla sala, quasi in disparte dal resto dell’assemblea, colse la sua attenzione.

Fu il suo cuore questa volta a tamburellare accelerato sotto la pesante armatura: quella sagoma…l’avrebbe riconosciuta ovunque…anche fra centinaia di guerrieri…era inconfondibile nella sua altezza, nella solidità dei suoi muscoli…nella sua tipica chioma…

“Burdack!” la voce del padre lo interruppe dal turbinio dei suoi pensieri.

Il guerriero, tra le prime file, fece un passo in avanti ed attese che l’ordine gli fosse ingiunto:

“Sono soddisfatto dell’operazione che tu ed i tuoi figli avete svolto presso le lontane lande della Galassia dell’Est. Voglio ora che tu e Radish partiate domani stesso. La missione che vi affido è di estrema facilità: occupare il piccolo pianeta Terra. Ciò che guadagnerò dalla vendita, lo investirò per riempire d’oro i fregi del mio Palazzo” impartì e nessuno rabbrividì alla superficialità dello sterile desiderio, neanche il figlio batté ciglio, catturato ancora dalla figura misteriosa in fondo alla sala.

Infine il sovrano si alzò e scomparve in un corridoio della navata laterale.

Vegeta invece si fece largo tra la folla, che si aprì al suo passaggio e si richiuse curiosa intorno a lui e all’insignificante guerriero davanti cui si era fermato:

“Mi fa piacere rivederti…” dichiarò Vegeta, con uno dei sorrisi che meglio gli riusciva, quello beffardo.

L’uomo più alto lo fissò interrogativo, sapendo di non essere mai stato così vicino al suo principe prima di quell’istante e sicuro che lo stesse confondendo con qualcun altro:

“…Uno di questi giorni combatterò contro di te” aggiunse sogghignando.

Burdack si fece largo tra la folla e raggiunse l’oggetto di attenzione degli astanti:

“Vuole combattere contro un guerriero di Terzo Ordine?” era stato il mormorio diffuso che aveva scosso il silenzio in cui era piombata la sala.

“Principe” proruppe mortificato l’anziano guerriero avvicinandosi “se mio figlio ha mancato verso di lei, mi conceda la possibilità che sia io stesso a punirlo”.

“Rilassati, Burdack, voglio soltanto potermi confrontare con lui…” lo chetò il principe senza togliere gli occhi dalla faccia costernata del fratello di Radish.

“Ma a che scopo, principe? Mio figlio non è un combattente del suo livello”.

“Vedremo…”e già assaporò il momento da sempre bramato di quel confronto, quello col rivale più detestato, che pur tanto gli aveva saputo insegnare.

 

* * *

 

Qualcosa non andava…era da troppo che piangeva…e la sua piccola fronte era accaldata all’inverosimile…

La inumidì con un panno bagnato…l’ennesimo gesto ripetuto nella speranza di placarle quel dolore che col pianto solo la piccola creatura poteva esprimere.

Bulma era distrutta, dall’impotenza di non poter far altro per curare il male che affliggeva la sua bambina, di non avere le sue medicine, nessuna persona a cui votarsi se non all’arcigna saiyan, che proprio quel giorno tardava a venire.

Avrebbe gridato…sì… avrebbe gridato fino a spezzare le corde melodiose e all’occorrenza anche stridule della sua voce pur di far sentire che aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno, e le sue urla avrebbero raggiunto Vegeta, a tormentare i suoi sogni beati di principe, perché sapesse che la creatura che dalle sue carezze e dai suoi baci era stata messa al mondo, adesso stava morendo…

Uno scatto nella porta…forse Fava…

“A quella mocciosa devi tappare la bocca, le sue grida si sentono fin nei sotterranei del Palazzo…è là che vi avrei dovuto far restare!”.

Era decisamente la sua, l’asprezza manifesta nell’intonazione.

“Fava, per favore, ho bisogno del tuo aiuto, Bra ha la febbre altissima!”.

Era la prima volta che la vecchia vedeva la disperazione di una madre e di cinismo puro fu la sua reazione:

“Io ho avuto solo il compito di farvi sopravvivere e di non farvi uscire da qui, non chiedermi nulla”.

“Ti supplico, se sei anche tu una madre…”.

“Qui non esistono madri, le donne sono solo genitrici e nulla più…dei bambini non si ha alcuna misericordia e quelli deboli vengono abbandonati al loro destino verso le rotte di pianeti lontani…”.

“Mia figlia non farà questa fine! Capito?!” l’assalì laconicamente.

Non c’erano più lacrime nei suo occhi, nessun tono implorante, solo dei balenii furenti ed accecanti di un rancore ed un avvilimento repressi ed ormai traboccati:

“Non senti come piange?! Griderò più forte di lei se è questo l’unico modo per attirare l’attenzione di qualcuno! Hai il compito di faci sopravvivere? Bene, mia figlia morirà se non le verranno prestate le cure più urgenti!”.

Fava lasciò che la sua collera esplodesse e scemasse a poco a poco riducendola a ricadere sul ciglio del letto con il volto tra le mani.

“Ad una condizione…” disse infine.

“Cosa… cosa vuoi?” domandò Bulma, ma la vecchia era uscita fuori dalla stanza, facendole cenno di attendere pochi minuti.

Bulma cercò lo sguardo di Trunks, per capire che anche lui ignorava cosa avesse elucubrato la saiyan, che entrò recando tra le mani una piccola vaschetta, fornita di un tubo e ripiena di un liquido sconosciuto:

“E’ una vasca di rianimazione, la usiamo per i bambini appena nati che hanno delle complicazioni. Il liquido in cui verrà immersa, servirà a curare il suo male”.

Bulma, confortata, si era già avvicinata a Bra, sbottonandole solerte la tutina, prima di accorgersi che stava per mostrare quell’attributo che aveva voluto gelosamente occultare per tutto quel tempo.

Fava vide il suo braccio tremare, la sua esitazione vibrare con esso:

“Cosa pensi?” sogghignò la vecchia “che sono così stupida da non essermi accorta che i tuoi figli sono dei saiyan?”.

Il braccio vacillò. Ricadendo lungo il fianco:

“E adesso che conosci la verità…” pronunciò la giovane tenendo gli occhi bassi “…cosa vuoi da me?”.

Fava strappò la tutina che copriva la creatura e con modi spicci la immerse nel liquido benefico:

“Ti ho aiutato terrestre, ma voglio sapere da te una cosa…” e pose la mascherina sulla boccuccia.

Terminata l’operazione si voltò e la fissò dalle cavità scavate dei suoi occhi caliginosi:

“Chi è il loro padre?”.

“Si chiamava Goku”.

Fu repentina quella risposta, fredda, incisiva, ardita, tanto da farla vacillare quando la ebbe pronunciata.

Trunks sollevò di scatto il capo.

Sapeva che sua madre non voleva si sapesse che il loro padre fosse Vegeta, che i rischi a cui sarebbero potuti andare incontro sarebbero stati maggiori, che se lui li aveva rinnegati forse una ragione c’era, ma ad un tratto si accorse che da quella ferita che aveva nell’animo aveva preso a sgorgare sangue di nuovo. Era indicibile la sensazione di sentire sua madre parlare di un altro uomo.

“Era un saiyan cresciuto sulla Terra…” continuò Bulma, sapendo che quella menzogna era la cosa più giusta da raccontarle “…è morto quando io era ancora incinta di Bra…in un combattimento…”.

Non era sicura delle sue capacità istrioniche, ma aveva fatto appello a tutto il suo autocontrollo e Fava la stava ascoltando senza batter ciglio:

“Un saiyan cresciuto sulla terra…” sibilò l’anziana, accrescendo la rugosità della fronte nel cipiglio di riflessione “…ricordo che poco prima della distruzione di Vegeta, il figlio di Burdack fu inviato sulla Terra…il suo nome era Kaarot…”.

“Esattamente…” confermò Bulma “…era quello il nome con cui Vegeta si riferiva a lui…”.

Fava tacque e quel silenzio incrementò la tensione di cui era satura la piccola stanza:

“Questa sì che è una grande coincidenza…” pensò diabolica la vecchia osservando il soffitto significativamente.

“E Vegeta…cosa ha che vedere con voi?” inquisì più incalzante.

Bulma misurò a passi lenti la stanza, stretta tra le sue braccia, apprestandosi ad infarcire ancora di più, con calma e serietà, la menzogna imbastita nell’accesso di fantasia a cui si era aggrappata a volo pochi attimi prima:

“Vegeta viveva semplicemente a casa nostra…mio marito lo ammirava molto sebbene la competizione e la rivalità che il principe sentiva nei suoi riguardi fosse molto forte. Se conosci bene Vegeta, sai certo che lui è un tipo poco socievole e comunicativo…in casa si vedeva molto poco…con lui ho avuto solo qualche breve colloquio in tutto questi anni…” e la voce tremò malinconica sapendo che era qualcosa di molto più profondo ed intenso quello che aveva condiviso con il suo uomo.

“E perché vi ha condotto qui?”.

“Non glielo hai ancora chiesto?” le offrì un sorriso ironico la giovane, che sperava di ricevere risposta.

“Gli schiavi non ardiscono tanto. Eseguono e basta”.

Un  suono intermittente annunciò il termine dell’operazione di rianimazione.

La saiyan trasse Bra dal liquido della vasca e la diede alla madre.

Bulma sorrise felice: la sua bambina era salva…

 

* * *

 

Oltre due mesi…era quello il tempo trascorso.

Trunks fissò l’eterno tramonto che dipingeva il cielo…quel colore cremisi che sul suo pianeta mai aveva visto neanche nei più spettacolari crepuscoli.

Di azzurro intenso doveva essere ora il cielo sulla Terra…pensò…quando il vento primaverile spazzava i foschi nembi dell’inverno e l’aria si riempiva di pollini profumati.

Era bello andare ad allenarsi con Goten tra le montagne in quel periodo…tuffarsi poi nei corsi d’acqua ancora freddi per il disgelo per lavare la povere ed il sudore dei loro combattimenti…sempre che il suo amico non insistesse per andare invece in città e lì fermare ad ogni passo le ragazzine più carine che vedeva.

Sorrise Trunks a quel pensiero e si rattristò voltandosi a guardare la madre, primavera sfiorita  dalla solitudine e dal dolore, inaridita dall’inconsapevolezza del domani, calpestata dall’indifferenza di chi credeva essere la sua stessa vita,  che inquieta camminava per la stanza.

Non era difficile indovinare il corso dei suoi pensieri, conosceva l’ostinazione della madre di voler a tutti i costi parlare con Vegeta, quanto fosse convinta dell’esito positivo che ne sarebbe derivato, ma lui non condivideva il suo ottimismo e tutte le volte che lei aveva provato a parlargli del padre, alla ricerca di una giustificazione della sua condotta o al modo di riuscire ad incontrarlo, sentiva solo il suono sdegnoso delle parole di scherno che quella sera il padre gli aveva detto contro.

“Come vuoi che combatta? L’ho avuto da una terrestre, una femminuccia saprebbe fare di meglio…”.

Era il suono di un ritornello fastidioso, di un andamento melodico funereo, di un preludio di sventura.

Già allora aveva intuito che quell’uomo li avrebbe abbandonati ad un destino che nessuno credeva scritto, ma che lui, nel suo intimo, doveva aver atteso.

Aveva trovato l’occasione finalmente di tornare ad essere quello di un tempo, non importava a che prezzo, considerato che in passato era stato capace di vendere perfino la sua stessa mente pur di ottenere quell’obiettivo.

Era riuscito ad accettare quella realtà cruda molto prima di sua madre, quelle parole avevano aperto una ferita insondabile nel suo animo ed il sangue che ne era sgorgato doveva aver lavato via ogni illusione ancor prima di domandarsi perché gli fosse stata inflitta.

Il dolore e la delusione avevano sottratto la fiducia che un tempo aveva riposto nel padre, gli avevano intorpidito le forze rendendolo stanco ed apatico, incapace di iniziative, anche solo quella di confortare sua madre.

La sentiva piangere la notte, stringersi al cuscino alla ricerca di quel calore che solo un amante può dare: lei amava ancora quell’uomo.

Trunks, invece, non sapeva cosa provasse più per lui, la delusione era tanta da averlo privato anche del pensiero.

Si adagiò sul letto e scivolò nel dolce mondo dell’oblio, quello a cui si era aggrappato fin dall’inizio per non soffrire. Non sentì la porta aprirsi e la vecchia entrare:

“Pensavo che oggi non saresti venuta…” l’accolse Bulma.

Posò sul tavolo il pentolone di brodaglia, la cena quotidiana a cui per fame era riuscita anche lei ad abituarsi.

“Ringrazia il cielo che sia venuta…con quello che oggi ho da fare…” si lamentò e la giovane ebbe l’impressione che volesse proseguire.

“Il re festeggia i suoi cinquanta anni di regno…vuole un banchetto fastoso, con decine e decine di invitati e a me tocca cucinare…”.

“Ti potrei aiutare io…” gettò lì Bulma, captando solo dopo qualche istante l’incredibile occasione che le si poteva presentare.

Vegeta sarebbe stato anche lui fra i commensali…

“Tu vorresti aiutarmi?”.

“Certo…potrei servire a tavola, portare le portate e…”.

“Non se ne discute” fece lapidaria “nessuno deve riconoscerti”.

“Allora potrei cucinare…starei comunque in disparte dal banchetto…nessuno mi vedrebbe” l’assicurò pianificando con sottigliezza il suo progetto “…so preparare dei piatti prelibati…potrai anche prendertene tu il merito…ma di certo faresti molta più figura che presentare una simile brodaglia. Se è così che cucini anche per il re…” indicò la pentola che aveva portato “ faresti passare la fame anche a dei saiyan!”.

La donna le ringhiò contro qualcosa, ma poi uscì dalla stanza facendole cenno di aspettarla.

Il cuore aveva preso a batterle all’impazzata…non poteva perdere un’occasione simile…forse non avrebbe visto Vegeta, ma avrebbe potuto preparare come prima portata il suo piatto preferito, quel risotto che le riusciva tanto bene, e lui non avrebbe non potuto accorgersene e ricordarsi di lei…che era ancora viva… e capire che quello era stato l’unico mezzo per comunicare con lui…

Con la trepidazione di un primo appuntamento corse a guardarsi allo specchio, e decisamente non le piacque l’immagine che vide riflessa: il pallore del volto e la mancanza di qualsiasi garbo nei capelli non la rendeva di certo presentabile nell’ipotesi vaga in cui il principe decidesse di incontrarla.

Fava rientrò. Aveva delle pesanti stoffe tra le mani:                                        

“Devi indossare queste se vuoi venire con me…” disse.

Aveva bisogno per quella sera delle doti culinarie di quella terrestre molto più di quanto volesse ammettere.

“Perché…cosa ha il mio abbigliamento che non va?”.

“Sei decisamente troppo scoperta…devi passare inosservata…non voglio avere grane se qualche saiyan dovesse accorgersi di te e gli venisse la voglia di scoparti…”.

Bulma zittì, non sapendo se essere lusingata per quel complimento o offesa per la volgarità dell’espressione.

“Spogliati, ti cucirò l’abito addosso”.

La giovane uscì dai suoi abiti, restando solo con l’intimo.

Fava fissò i lineamenti gentili delle sue spalle, che proseguivano morbidi verso il petto e declinavano flessuosi in direzione delle gambe.

Si avvicinò a lei, dietro le sue spalle, e prima di procedere alle misure volle toccare la sua pelle per sentirne la consistenza.

Bulma rabbrividì al contatto delle dita rugose, provando un senso di disagio per il modo in cui la stava ispezionando, che crebbe ulteriore quando:

“Togliti questo” le disse, riferendosi al reggiseno.

La donna si voltò scattante:

“Non vedo perché dovrei farlo” fece contrariata.

“Le donne saiyan non usano niente del genere…”.

“Io sono abituata a portarlo da quando ero una ragazzina e non credo che sotto i vestiti qualcuno noti se indosso o meno dell’intimo”.

Era ancora costernata per il modo in cui la vecchia non le toglieva gli occhi di dosso, era come se non avesse mai visto un corpo femminile prima di allora.

Ad un tratto le si insinuò il dubbio che sotto lo spessore di quelle rughe potesse celarsi una natura

tutt’altro che femminile: solo un uomo avrebbe potuto guardarla con simile curiosità ed attenzione quasi morbosa.

La verità era che Fava, in nessuna donna saiyan, aveva mai visto tanta bellezza.

Anche lei, nella freschezza dei suoi anni, non avrebbe mai potuto eguagliare una tale graziosità: le spalle più quadrate, le gambe più massicce, il petto quasi inesistente, erano le fattezze peculiari della razza guerriera cui apparteneva.

Bulma decise di non contraddirla oltre, non ora che aveva bisogno estremo di lei, accertatosi così che il figlio dormisse, si portò le mani dietro la schiena e si sfilò, non senza esitazione, l’indumento.

“Sono tutte così sul tuo pianeta?” le chiese l’anziana, dopo aver trattenuto la vista per qualche istante sui suoi seni rotondi.

“Non lo so” ribatté aspra “solitamente non ho mai chiesto a nessuna donna di spogliarsi davanti a me!”.

Fava cominciò a prendere le misure e, con l’ausilio di uno strumento, il tessuto scuro e pesante fu cucito rapidamente su di lei.

Non avrebbe mai pensato che potessero esistere dei corpi tanto attraenti, avrebbe potuto guadagnarci molto se l’avesse inserita nel bordello che gestiva su quello stesso piano…meditò diabolicamente…

Bulma si osservò allo specchio:

sembrava una monaca, agghindata con quella tunica senza forma, completata da un mantello che le aveva gettato sul capo e le lasciava scoperto solo parte del volto.

Neanche Vegeta avrebbe mai potuto riconoscerla.

“Ma come diavolo mi hai conciata?!”.

Fava non le diede adito di parlare:

“Non fare storie e seguimi” disse con la sua voce gracchiante.

Bulma svegliò Trunks, riuscì solo a spiegargli vagamente il motivo per cui si assentasse e gli raccomandò soprattutto di vegliare sulla sorellina.

Dopo oltre due mesi, varcò quella porta per la prima volta, per ritrovarsi a percorrere, timorosa e allo stesso tempo fiduciosa, i lunghi corridoi e le rampe di scale che conducevano ai vertici del Palazzo, imbattendosi in individui dall’andatura superba e dalla folta chioma, che oltrepassarono le due donne ignorandole.

La lunga tavola impiantata al centro di un’ampia sala era imbandita di piatti e bicchieri, che sfavillavano  alle luci dei candelabri e tintinnavano tra le dita dei commensali, traboccanti di vino pregiato.

In una cucina attigua, Bulma, tra il tramenio di servitori che si affaccendavano muovendosi da una sala all’altra, poteva sentire il brusio dei convitati crescere e smorzarsi al ritmo delle portate.

Aveva saputo che circa quaranta era il numero degli invitati:

“Sono tutti guerrieri di Primo Ordine?” chiese a Fava, che la teneva sott’occhio, mentre aggiungeva gli ultimi condimenti al suo risotto.

Non aveva mai preparato per tante persone, ma con un calcolo matematico  e conoscendo la fame dei saiyan, non le fu arduo quantificare il riso da preparare:

“Sì, sono tutti di Primo Ordine, donne comprese…” le rispose.

Mancò poco per riversare l’intero barattolo di sale su una porzione abbondante del suo risotto.

Donne…

Guerriere di rango superiore…magari le stesse di cui le aveva parlato un giorno la vecchia, che sbavavano alla vista del loro affascinante principe…e adesso sedevano alla sua stessa tavola…

Tagliuzzò con rabbia le ultime spezie che mancavano alla sua prelibata pietanza: se fosse stato veleno si sarebbe sentita di certo più soddisfatta.

Vegeta sedeva alla destra di suo padre, che tra sorrisi e alzate di calici, festeggiava il cinquantenario del suo regno.

Lui ascoltava, sorseggiando lentamente il vino rosso, i discorsi degli altri commensali, percependone solo frammenti e non prendendo parte a nessuno di essi, in particolare.

Il pianeta Fnaus era stato invaso come stabilito e gli abitanti, facilmente adattabili alle condizioni presenti su Neo-Vegeta, erano stati già sottomesi al duro giogo della schiavitù, riducendosi a soli due mesi l’atteso e definitivo trasferimento sul pianeta.

Nessuno sembrava invece ricordarsi di Burdack e Radish, che partiti da quasi oltre un mese, misteriosamente non avevano fatto ancora ritorno dalla Terra.

Sapeva che suo padre non era realmente interessato al pianeta, non avendo avuto modo di conoscere a fondo le incantevoli qualità del luogo, che era solo uno dei tanti puntini cerchiati di rosso sulla mappa stellare affissa alla parete della sua stanza.

Napa ascoltava distrattamente il racconto di una guerriera circa l’ultimo massacro compiuto su uno sperduto pianeta della Galassia del Nord, tenendosela sulle gambe e facendosi imboccare seducentemente da lei.

Vegeta sorseggiò ancora del gustoso vino, prima di accorgersi che una donna, non distante da lui, lo fissava con i suoi occhi a mandorla e gli abbozzava un malizioso e provocatorio sorriso con le labbra dipinte di rosso.

Chinò lo sguardo quando una nuova pietanza gli fu servita.

Il risotto era fumante e stimolò l’appetito di tutti i commensali, suscitando positivi commenti ai primi assaggi.

Il principe aveva riconosciuto quella pietanza, che già al primo morso seppe di ricordi…

di tante cene consumate alla Capsule Corp., quando affamato si sedeva a tavola con suo figlio, e Bulma preparava loro le porzioni, lamentandosi che non le venisse mai lasciato un po’…

Il suo sapore lasciava l’amaro in bocca…

Non procedette avanti ed alzatosi, senza dir nulla, andò via.

Non aveva ancora raggiunto la sua camera, quando sentì alle spalle l’inconfondibile voce di Napa:

“Qualcosa che non va, Vegeta? Ti sei alzato come se qualcosa ti avesse contrariato…”.

“Sono semplicemente stanco…e non devo dar conto a nessuno delle mie azioni…” precisò.

“Come desideri…” ma non accennò ad andarsene e gli stette dietro con il passo“…hai notato come Zana ti fissava languida? E’ la più bella in assoluto…non c’è che dire…forte nel combattimento quanto esperta sotto le lenzuola. Vuoi che la chiami e resti stanotte con te?”.

“Ora non ne ho voglia…un’altra volta magari…” e gli chiuse la porta diritto in faccia.

Si gettò stancamente sul letto, trovandovi sollievo per alcuni minuti, prima di decidere di alzarsi e trarre da un cassetto dei fogli ed una penna.

Gettò sulla carta alcune parole, quasi con meditazione, ma non sentendosi ispirato, appallottolò il foglio e con rinuncia lo incestinò.

Stava per andare  a coricarsi, quando dei battiti alla porta lo trattennero:

“Ma che diavolo vuole ancora quello scocciatore…” mugugnò, aprendo l’uscio e scoprendo che non si trattava di Napa.

Era un guerriero di statura più bassa, con l’aria decisamente meno minacciosa dell’altro.

Il suo viso sembrava sconvolto e la voce che si apprestò a proferire era trafelata e scossa:

“Chiedo scusa se sono venuto fin qui a disturbarla, principe, ma ho qualcosa da mostrarle nella sala dei computer e vorrei che mi seguisse. Credo sia qualcosa di grave, ma non ho voluto interrompere i festeggiamenti di suo padre, e sono subito corso da lei, quando ho saputo che si era già ritirato…” spiegò.

La sala suddetta era il cervello del Palazzo: qui si elaboravano dati di ogni genere, e si acquisivano informazioni sulle condizioni esterne al pianeta.

Il guerriero digitò rapidamente la tastiera e sulla schermata apparve la mappa spaziale di quella galassia: un puntino intermittente lampeggiava in direzione di Ulavac.

“Era da alcune settimane che tenevo sotto osservazione quel meteorite…” indicò zoomando sull’immagine “ speravo che potesse cambiare rotta o si disintegrasse con l’impatto su un altro pianeta…ma ormai è in direzione di Neo- Vegeta…non ho a riguardo alcun dubbio…l’impatto sarebbe micidiale…principe…il pianeta e quanto c’è sul suo suolo si annienterebbe all’istante…”.

Vegeta studiò con attenzione la mappa, qualcosa si mosse nel suo sguardo, ma era difficile da decifrare.

Non poteva dubitare della parola di quel guerriero, essendo costui l’unico scienziato di cui la sua razza disponesse:

“Tra quanto prevedi l’impatto?”.

“Tenendo conto della velocità a cui viaggia…direi poco più di un mese…” preconizzò senza esitazione “occorre mettere all’erta tutti…i lavori compiuti sarebbero stati solo uno spreco altrimenti…non sarebbe difficile inviare una spedizione nello spazio per disintegrare il meteorite…si tratta solo di riuscire ad organizzarsi in tempo e …”.

“Nessuno deve sapere niente” gli tolse la parola Vegeta.

“Cosa…?”.

Vegeta lo fissò glaciale, attorcigliando la sua lunga coda intorno ai fianchi, simile ad una serpe velenosa che, sinuosa, si torce lungo il fusto di un albero:

“Non dirai niente e per assicurarmi che tu tenga la bocca ben chiusa…io…” e posizionò il palmo della mano lungo la sua direzione “ti farò fuori…adesso”.

Il raggio inceneritore esplose ed il principe abbandonò soddisfatto il corpo esanime.

 

 

* * *

 

Per dieci lunghi giorni, Bulma si era tribolata sul perché Vegeta non avesse voluto mangiare il suo risotto. Fava le aveva detto che si era alzato e se ne era andato via:

“Se le reazioni da parte degli altri dovessero essere simili…ti ammazzo con le mie stesse mani…” le si era rivolta trucemente la saiyan.

“Che ti aspettavi?…Che lui venisse da te a ringraziarti?” era stato il dileggio del figlio.

Anche in quel rifiuto, in quel modo scattante con cui lui si era alzato da tavola, era insito l’effetto di una reazione suscitata.

La questione era penetrare più in profondità e capire cosa fosse riuscita a cagionargli con quella sorpresa.

Fava le aveva raccontato che negli ultimi giorni era strano e frenetico più del solito il suo modo di fare, che addirittura aveva fatto assoldare dei guerrieri mercenari che aiutassero gli schiavi a concludere i lavori su Ulavac.

Anche Bulma aveva ricevuto quel giorno un’insolita sorpresa.

Non pensava che in un intervallo di tempo così breve le si sarebbe presentata la possibilità di uscire una seconda volta dalla sua cella.

Fava le aveva fatto visita come ogni giorno, ma questa volta un guerriero l’accompagnava: si trattava di Napa.

Bulma aveva riconosciuto con facilità la sua imponente mole, ricordando di aver avuto modo di vederlo in televisione quando Vegeta era giunto la prima volta sulla Terra.

“Sei tu la scienziata che Vegeta ha portato come prigioniera dalla Terra?” le aveva domandato.

“C’è stato un guasto al computer centrale e nessuno è in grado di rimetterlo in sesto. Seguimi!” le aveva ordinato perentorio.

La donna aveva lasciato la stanza, lanciando un’occhiata al figlio, che si era ritrovato a stringere involontariamente Bra, quando la figura dell’energumeno aveva fatto irruzione.

Era uscita indossando ancora la tunica che le aveva cucito Fava, trovandola calda nonostante l’aspetto funereo che le conferiva. Aveva lasciato dentro il logoro mantello che quella sera la saiyan le aveva messo sul capo e neanche lei sembrò interessata a rammentarglielo questa volta.

Bulma trovò pane per i suoi denti: da tempo non si trastullava con gingilli meccanici e quella sala computerizzata era più sofisticata di quanto avesse pensato.

“Quest’affare è andato in catalessi” le spiegò brevemente Napa, che di scienza e dintorni ne sapeva almeno quanto un sonetto d’amore.

“Il vecchio Vanel era l’unico che ci potesse mettere le mani e da quando è crepato anche il suo computer è andato in tilt…” concluse.

Bulma si sedette e prese a digitare sapientemente la tastiera.

L’uomo osservò le sue sottili e delicate dita muoversi rapidamente sui tasti, i suoi occhi limpidi concentrarsi sulla schermata alla ricerca di dati e codici:

“Te la sai cavare…bellezza …” fu il giudizio che gli venne spontaneo.

“Lo puoi dire forte…” concordò lei a denti stretti, avendo già intuito e risolto il problema e decidendo, data l’ignoranza dei due astanti, di trattenersi ancora un po’ alla ricerca di qualsiasi informazione che sempre utile le sarebbe potuta tornare.

Fava fu alla fine lasciata sola con lei:

“Sei intelligente….” le disse interrompendola dalla sua intensa applicazione “mi chiedo che ne sarà di te quando ci saremo trasferiti tutti su Neo-Vegeta. Ormai il grande esodo è pronto…quasi tutti i saiyan entro stanotte si saranno trasferiti lì…” ed accennò un sorriso maligno quando vide il terrore che le aveva generato.

Che ne sarebbe stato di lei e dei suoi figli quando sarebbe sopraggiunta l’alba di quell’ intramontabile sole?

Ottenebrata dell’interminabile flusso di pensieri che le affluiva al cervello, si accorse solo dopo della luce intermittente che, sulla schermata, si dirigeva alla volta di Ulavac.

Fava vide il suo terrore crescere e alla fine prorompere nell’unica esclamazione che per tanto tempo aveva trattenuto:

“Devo vedere Vegeta!” gridò scattando in piedi “che aspetti? Portami immediatamente da lui!”.

“Non vedo perché dovrei ascoltarti…”.

“Perché è importante…ne va della vita sua e di voi tutti!”.

“Lo puoi riferire a Napa…” propose con insuccesso.

“Voglio parlare con una persona più intelligente!” l’apostrofò senza più alcuna remissività.

Alla fine la vecchia capì di non poter far altro che condurla da lui, che non intendeva combattere con l’ostinazione di quella bisbetica di cui ne aveva già fin troppo i capelli.

Che pensasse il principe a chetare quel suo caratterino viziato e fastidioso!

Lei aveva fatto già fin troppo e non voleva avere alcuna responsabilità se i timori disconnessi di quella terrestre si fossero mostrati fondati.

Sentì il suo cuore tumultuare sotto le pesanti stoffe quando la vecchia si accinse a condurla da lui.

Non poteva ancora credere che alla fine fosse bastato urlare un po’ di più perché l’unico desiderio che le era rimasto venisse accordato.

Percorse i restanti corridoi che la dividevano da lui con le gambe tremanti e l’animo gonfio di emozioni.

Lo avrebbe messo all’erta sul pericolo che incombeva su di lui e poi avrebbe potuto avere il confronto tanto agognato.

Si chiese come fosse diventato in quel tempo ed arrossì alla vergogna che lui la trovasse in condizioni tanto indecorose.

Vaneggiava ancora su quell’incontro, sui possibili risvolti che si sarebbero potuti generare, quando Fava si fermò all’angolo di uno stretto corridoio, coperto di un manto di porpora:

“Aspetta qui” le disse “tra un po’ giungerà la guardia e ti dirà lui se il principe può riceverti. Digli che sono io ad averti mandato” e le diede le spalle per andare via.

“Perché vai via ?” la fermò, accorgendosi che non le faceva piacere restare lì da sola, almeno non fino a quando avrebbe visto Vegeta.

“Perché ho da fare e non intendo perdere altro tempo con te. Se è impegnata, ci potrebbe volere un po’ perché arrivi la guardia che ti accorderà il permesso di accedere…”.

“Quanti convenevoli!” sbuffò Bulma “conducimi tu da lui…”.

Ma lei replicò di non avere il potere per farlo, che doveva già esserle grata di essere la prima schiava, a parte sé stessa, che giungeva fin ai suoi appartamenti, e che il principe non amava essere disturbato se non per le questioni di importanza estrema.

“Se il principe non è impegnato e tu farai alla guardia il mio nome, questa ti farà passare senza problemi e ti annuncerà a lui. E’ così che funziona”.

Bulma, accettando di dover prolungare oltre la sua agonia, la vide infine allontanarsi: non poteva immaginare che quella era l’ultima volta che avrebbe veduto quella vecchia, che nel bene o nel male, era stata l’unico essere su cui aveva potuto confidare.

Appoggiata alla parete e persa negli unici pensieri che in quel momento la sua mente avrebbe potuto connettere, non si accorse del guerriero che uscì da una porta e si arrestò vedendo lei:

“Chi sei?”.

Bulma trasalì: la guardia era giunta prima di quanto credesse.

“Ho urgenza di vedere il principe, è Fava che mi manda…” spiccicò in un miscuglio di timore e trepidazione.

L’uomo la studiò con attenzione:

“Non sei saiyan… il colore dei tuoi occhi e dei tuoi capelli non mentono di sicuro…scommetto che sei quella terrestre prigioniera di cui si è parlato per un pò…”.

“Esattamente…” tremò vedendolo avvicinarsi.

“Ti accontento solo se mi dai in cambio qualcosa…” e si abbassò fino a tenere la sua repellente faccia ad un palmo dalla sua.

Bulma cadde a ritroso, come se di uno schiaffo quelle parole losche, celanti di certo malevoli intenzioni, avessero avuto il suono.

In passato era scesa a compromessi, ma non aveva mai patteggiato con un guerriero di quella stazza che di certo non si sarebbe accontentato di vedere le sue mutandine…

Abbassò lo sguardo sapendo che se avesse accettato le condizioni inevitabili che le sarebbero state dettate, dopo non sarebbe stata più la stessa, e che, nell’ipotesi in cui se ne fosse andata via, di lei e dei suoi figli non sarebbe rimasto ugualmente niente.

“Fava mi ha rivelato una cosa…mi ha detto che sei stata tu a preparare quel famoso risotto…voglio che me ne prepari ancora…” e sorrise melenso, mostrandole la fila sconnessa e spaziosa dei suoi denti.

Lei annuì di stucco, traendo un lungo respiro di sollievo e incominciando a ridere di gioia quasi isterica quando la guardia le disse che sarebbe andato a verificare se il principe fosse impegnato o meno.

Si era messa già in piedi e ricomposta quando lui ritornò dall’ulteriore corridoio che l’aveva inghiottito:

“Mi dispiace…ma al momento è impegnato…”.

“Posso attendere…”.

“Potrebbe volerci molto… è con un’altra donna”.

“…cosa?” fu il soffio che emise, gelido come divenne il suo sangue.

“E’ con una donna. Devo forse spiegarti cosa stanno facendo?” e rise di nuovo con quel fare sciocco.

Di quali immonde perversioni si stavano lordando le sue lenzuola?

Al corpo lussurioso di quale femmina stava dispensando i suoi baci e le sue carezze?

Quali mani ardivano a toccarlo come solo a lei in tutto quel tempo era stato concesso?

E il pianto infine proruppe…irrefrenabile…cospargendo di lacrime, nella concitata corsa verso la sua cella, quei corridoi deserti che a ritroso furono solo di disperazione.

 

* * *

 

Trunks la vide sbattere la porta alle sue spalle:

“Dobbiamo andare via da qui…” disse senza fiato sua madre.

“Cosa ti è successo?” volle prima capire, vedendo il volto rigato dalle lacrime e lo sconvolgimento puro che l’avviliva.

Gli spiegò che i saiyan entro la notte si sarebbero trasferiti tutti su Ulavac, che quel posto sarebbe divenuta la loro tomba se non avessero pianificato al più presto un piano di fuga, gli parlò della scoperta fatta nella sala dei computer e del vano tentativo di mettere all’erta suo padre:

“E’ evidente ormai che di noi a lui non importa più nulla…sono stata solo una sciocca a volermi illudere…” continuò amaramente “…ma adesso dobbiamo pensare solo a noi. Si tratta di procurarci una navicella…” tirò su col naso, asciugandosi le lacrime che ancora uscivano, col dorso della mano “…io ho avuto modo di vedere dove atterrano tutte le lo capsule. E’ una costruzione antistante quella torre che dalla finestra è ben visibile. Per te non sarebbe difficile giungerci…ormai fuori è quasi deserto, potresti riuscire a muoverti indisturbato e…ma mi stai ascoltando?”.

Trunks teneva lo sguardo basso, quello di chi non intende obbedire.

Bulma non riusciva a comprendere cosa lui stesse pensando, perché l’idea di poter scappare e ritornare a casa lo lasciasse così basito:

“Figlio mio…” gli strinse le spalle, scuotendole teneramente “io lo so che tu hai sofferto tantissimo, che il comportamento di tuo padre è stata una ferita che non si è ancora riuscita a rimarginare…ma devi reagire…devi uscire da quel baratro in cui sei stato ingiustamente fatto cadere…lo devi fare per me e per tua sorella…”.

Ma Trunks non ebbe ancora la forza di risalire.

Era difficile accettare l’idea di aver avuto ragione, che fosse palese ormai che suo padre li aveva cancellati dalla propria esistenza, eppure quella fuga improvvisa, l’idea appena partorita di poter tornare di nuovo a casa senza più lui, era come ugualmente morire:

“Dannazione, Trunks!” urlò Bulma disperata e scappando via dalla cella.

Se la sarebbe cavata da sola…non era la prima volta che affrontava rischi simili…avrebbe recuperato lei una navicella.

Percorse il labirinto di quel Quarto Ordine, digitando codici che le aprirono nuovi accessi, coprendosi col mantello quando percepiva il rumore di passi, trovandosi più volte sul punto di partenza, raggiungendo infine i sotterranei in cui era stata la prima volta confinata e riuscendo a trovare l’ampio deposito in cui era atterrata allo sbarco su quel pianeta.

Non c’erano navicelle, ma ad ogni modo sarebbe stato opportuno raggiungere il magazzino che si era prefissata, dove un’astronave in meno non avrebbe dato nell’occhio.

Era gelida l’aria che la colse fuori e sapeva di metallo, nonostante non riuscisse a classificare quale questo fosse quando l’annusò.

Dopo tanti giorni era fuori, ma non restò a contemplare il tetro paesaggio imporporato, né l’enorme pianeta che si stagliava nel cielo, dove le ultime navicelle saiyan si dirigevano a trovarvi la morte.

Percorse l’irto pendio su cui sorgeva il Palazzo, incespicando più volte e altrettante rialzandosi, attingendo la forza da quell’unica fonte di rancore e disperazione a cui un uomo l’aveva costretta ad abbeverarsi.

Era più vicina la costruzione di quanto le fosse sembrato da dietro le sbarre della finestra: A32 c’era scritto sul portale metallico.

Non era certa che fosse proprio quello l’edificio che intendeva raggiungere, ma sbirciando da dietro i vetri poté vedere il deposito di cui aveva bisogno.

Sotto le sue mani esperte, l’ennesimo accesso le fu consentito.

Non le restava che l’imbarazzo della scelta, quelle navicelle sembravano essere state lasciate incustodite appositamente per lei.

Ne incapsulò una, complimentandosi per la veloce riuscita della prima parte della sua operazione, ma la felicità durò poco quando il portale si aprì e fu presa dal panico.

Non ci fu il tempo di nascondersi: le due donne che entrarono l’avevano veduta già.

“E tu chi saresti? Cosa ci fai qui?” le chiese una.

Non erano schiave come Fava. Indossavano delle armature ed i loro corpi erano agili e giovani.

Le cose incominciavano a mettersi male…

“Io…veramente sono stata mandata qui dalla vecchia Fava…” improvvisò balbettando incomprensibilmente.

La circondarono, abbozzando un sorrisetto che non prometteva nulla di cordiale e scrutandola dalla testa ai piedi.

“Tu vieni dalla Terra…non è così? Non sei forse quella prigioniera che il principe portò con se?” le si rivolse la stessa ragazza, col naso adunco ed una cicatrice sulla spalla.

“Era meglio che anche lui se ne restasse lì…” parlò una nuova voce, frattanto sopraggiunta.

Due occhi a mandorla…una bocca tinta di rosso…i capelli corvini e corti…due braccia conserte…

Sembrava che fosse la nuova venuta ad avere più autorità tra loro, lo si denotava dalla sua posa, dal modo brusco con cui si era frapposta alla domanda della compagna.

“Cosa c’è Zana? Qualcosa non è andato come speravi? Allora…non ci tenere sulle spine…com’è il nostro principe a letto?” le fu impunemente chiesto.

Bulma sussultò…

Era quella la femmina con cui stava Vegeta…lei che si era presa il suo uomo…che le aveva oscurato ogni barlume di fiducia…ma…cos’era quel risentimento che nutriva verso di lui…?

Era forse il caso di ascoltarla prima di avventarsi al suo collo, come le suggeriva l’istinto più indemoniato che potesse avere.

“Mi ha profondamente umiliata…” si accinse a raccontare, con le nocche delle mani sbiancate tanto erano serrate e con gli occhi che parevano voler lanciare dardi.

Raccontò di essere stata convocata dal principe in persona, il quale, accoltala nell’anticamera della sua stanza da letto, le aveva dato delle disposizioni circa l’esodo su Neo-Vegeta.

Voltatosi di spalle, le aveva detto al termine del breve colloquio di andarsene:

“Ma io non mi sono mossa…non mi si era mai presentata un’occasione simile…volevo averlo già da tempo…come giusto che fosse dato il rango superiore cui appartengo. Così ho preso a denudarmi…”.

Ma lui aveva continuato a tenergli le spalle, consapevole di quello che stesse facendo al rumore della pesante armatura che cadeva a terra.

“Rivestiti e vattene via!” mi ha detto.

“Voltati almeno…” le aveva detto lei suadente “vedi se vale la pena rifiutarmi…”.

“Non è necessario. Non mi interessi. Non sei bella abbastanza…le donne saiyan non potranno mai piacermi…” ha osato rivolgermi.

Bulma sentì qualcosa di infinitamente caldo e carezzevole avvolgerle l’animo e sciogliere il gelo che aveva dentro.

Non poteva ancora credere che lui avesse pronunziato simili parole, che al suo orecchio assumevano un’unica  ed inequivocabile interpretazione.

“Ma come è possibile? Mai un uomo ha osato rifiutarti…” affermò una delle due.

Zana si fece avanti, sembrava che solo ora si fosse accorta veramente di Bulma.

“Io penso che debba essergli accaduto qualcosa negli anni in cui ha vissuto sulla Terra…un maleficio forse…o semplicemente ha dimenticato così tanto la razza cui appartiene che gli sono finite per piacere le donne di quel pianeta…”.

Bulma la vide farsi spazio tra le due ed accostarsi a lei intimidatoria:

“Forse può spiegarci lei cosa sia potuto accadere a Vegeta…”.

“Quello che lui faceva sulla Terra non era affar mio” riuscì a dire la povera donna le cui gambe avevano preso a tremare.

“Cos’ hanno le femmine del tuo pianeta che io, guerriera di rango superiore, non abbia?” e la studiò con maggiore ispezione.

“Sono alquanto gracili e smilze, non ti pare Zana? Cosa potrebbe trovarci in un corpo simile?…”

“Eppure scommetto che, con questo visino innocente, eri proprio tu a portartelo a letto…” insinuò spingendola ad indietreggiare contro una delle navicelle depositate lì.

“Io…”.

“Da brava…sono curiosa di vedere cosa nascondi di tanto interessante sotto questi logori vestiti da schiava…sarei capace di recarmi appositamente sulla Terra per ridurre a brandelli la pelle di ognuna di voi. Sarebbe un vero divertimento incominciare proprio da te e mostrare la mia opera a  lui…” rise malvagia.

“No!! Lasciatemi in pace!” urlò lei, nell’ultimo tentativo di resistenza.

“Vediamo…potrei incominciare dal tuo faccino candido…” le mise il palmo della mano contro il naso, producendo una sfera di energia.

“Falla finita!”.

Una nuova voce…

Giunta in soccorso appena in tempo…tanto familiare e gradita…tanto grintosa e risoluta…

“Trunks…” mormorò la madre.

C’era qualcosa di così diverso nell’espressione dei suoi occhi cerulei, rimasti per tanto tempo nel buio della propria agonia.

Era una rabbia furente che stava per conflagrare in una furia indomita, troppo a lungo repressa.

Era giunto il suo momento…Trunks aveva risalito il precipizio in cui era caduto ed ora qualcuno avrebbe pagato caramente il prezzo del male che a loro era stato fatto. Niente più poteva fermarlo…

“E tu cosa vuoi…moccioso? Chi sei?” gli si era rivolta Zana.

Era intaccabile quell’aria seria e severa, insostenibile lo sguardo iracondo ed ostile. La guerriera non riuscì ad aggiungere altro.

Era identico a suo padre…pensò Bulma trasecolata, non avendolo mai veduto così.

“Sono il figlio di Vegeta” rivelò mentre una potenza sconosciuta gli faceva sollevare le ciocche di capelli e lampeggiare gli occhi “ed ero orgoglioso di esserloooooo!!!” urlò a squarciagola avvampando di luce indorata.

Zana ebbe solo il tempo di sgranare per la sorpresa  e per la paura gli occhi, prima che qualcosa di invisibile e scattante la sollevasse e la scagliasse contro una di quelle navicelle facendola saltare in aria.

Bulma, rifugiatasi in un angolo, assistette all’assalto rabbioso del figlio contro le tre guerriere.

Non avrebbe mai creduto che un ragazzino mite potesse riuscire a diventare per collera tanto impietoso e spietato. Il sangue di suo padre gli stava ribollendo nelle vene e non gli importò di continuare ad infierire anche quando la sua superiorità fu dimostrata.

Poco più tardi, qualcuno, attirato dalle esplosioni e dai terribili tumulti, mise piede in quello che restava dell’edificio A32.

Osservò le navicelle disintegrate ancora fumanti, ne calpestò i rottami, e vide i corpi uccisi di due guerriere:

“Zana…” si avvicino al terzo corpo che scorse poco distante.

“Napa…” sussurrò lei rigurgitando un rantolo di sangue.

“Ma cosa è accaduto? Chi vi ha ridotto così?” si inginocchiò accanto per sentirla.

Passò qualche istante prima che la saiyan prendesse il respiro per un’altra parola:

“Qu…quel mo…ccioso…terres…”.

“Cosa hai detto? Parla più chiaro…hai detto il terrestre? Il figlio di quella donna che Vegeta portò con se dalla Terra?”.

Lei annuì con una smorfia agonizzante. Le sue labbra insanguinate tremavano e nei suoi occhi c’era ancora orrore :

“Io…non…ho mai visto…” tossì ancora “nulla di simile…era…era una furia…scatenata…Napa…è un saiyan”.

Napa, scoperto quello, si avvicinò di più alla sua bocca per sentire l’ultima parola:

“E’ il figlio di…” e spirò.

 

 

* * *

 

Bulma osservava il figlio ancora con incredulità. Lui continuò a tenere l’espressione tesa ed irata anche quando fecero ritorno nella propria cella. Quasi ebbe timore di rivolgergli la parola:

“Sono riuscita a prendere questa navicella…” gli diede tra le mani la capsula “…conservala  tu”.

Se la rigirò a lungo tra le dita e riuscì solo ad infilarsela nella tasca, prima che la porta bruscamente si aprisse ed irrompesse Napa:

“Vieni con me!” ordinò al ragazzo.

“Dove intendi portarlo?” si fece avanti la madre, intuendo che la strage compiuta dal figlio già doveva essere stata scoperta.

“Non preoccuparti…donna…non intendo fargli del male” e con quella frase, che non aveva il sapore di nessuna promessa, lo portò via.

“E così tu saresti un guerriero?” domandò Napa al ragazzino con lo sguardo basso e con la bocca decisa a non aprirsi.

Si trovavano in un’ampia stanza, era vuota e la voce dell’uomo risuonò ancora più cavernosa.

Gli aveva già chiesto a chi fosse figlio, ma non aveva ottenuto risposta.

Alla fine decise che a dirglielo sarebbero state le sue capacità combattive:

“Sono curioso di vedere se sei quella furia scatenata che mi ha detto Zana…” e fatto cenno ad un uomo vicino ad un ingresso, furono fatti entrare sei ragazzini della sua stessa corporatura ed età.

“E’ una squadra di giovani guerrieri che io personalmente sto allenando. Intendo misurare la tua forza con la loro…anche se so già che ti ridurranno a brandelli…” lo sfidò.

“Uno contro sei? Non mi sembra giusto” furono le prime parole che pronunciò.

“Il nemico non è mai giusto…”.

Trunks guardò ad uno ad uno i suoi rivali, che sghignazzavano e lo insultavano.

Sentendo che il suo sangue ribolliva ancora e la sua sete di vendetta non era stata ancora placata accettò la sfida.

Il ghigno sulla bocca di Napa prese a ridursi ad una fessura di stupore ed una folla di curiosi si fece avanti per assistere agli assalti rapidi e decisi di un ragazzino dai capelli color glicine.

Due dei giovani guerrieri erano stati già messi al tappeto ed un terzo giaceva a terra con il torace dolorante. Combatteva accecato dalla rabbia, come ad un vero saiyan si addice. I suoi movimenti erano sincronizzati e scattanti, frutto di un insegnamento che solo da un esperto poteva essere stato impartito.

Fu bloccato alle spalle ed una raffica di pugni fu assestata nel suo stomaco, prima di urlare e raggiungere lo stadio di super-saiyan, che fece sbalzare in aria i suoi assalitori.

Questo gli concesse un minuto di tregua, che non fu sufficiente a smorzare il respiro ansante e a riprendere l’equilibrio.

Cadde a terra e solo per poco un colpo da parte di un altro avversario riuscì a schivare.

Il peso dei giorni trascorsi nell'inerzia, senza più allenamenti, senza più la luce del sole, senza più i sostanziosi piatti cui era abituato, cominciarono a gravare insostenibili sulle sue spalle.

Tuttavia trovò ancora l'energia di sferrare attacchi ulteriori, di resistere agli assalti, di asciugarsi il sangue che aveva preso ad uscire abbondante dal labbro inferiore, invigorito solo dal rancore e dalla rabbia che urlavano dentro, fino a quando Napa non li interruppe bruscamente.

Era giunto un uomo nella sala ed era accorso verso di lui.

Dall'andatura affrettata era chiaro che aveva qualcosa di importante da annunciare ed attirò l' attenzione dei presenti e di Trunks, che intanto recuperò fiato:

“Napa, il sovrano è tornato pochi minuti fa dal pianeta Lutron, che ha conquistato con successo, ed ora ha chiesto di te. Hanno fatto ritorno anche Burdack e Radish con un ricco bottino: la Terra è stata conquistata e la sua popolazione già sterminata”.

Un colpo di sferza...

Tale l' impatto micidiale di quelle parole che tolsero ogni vigore residuo nel corpo del ragazzo, che si piegò in due cadendo in ginocchio.

La Terra...Goku...Goten...tutti...la sua casa...possibile che più nulla fosse rimasto?

Un calcio violento lo scaraventò contro il muro.

Napa aveva fatto riprendere il combattimento e lui nemmeno se ne era accorto. Ormai, in balia dei suoi assalitori, precipitava di nuovo in quel baratro che già a lungo lo aveva tenuto inghiottito.

Napa lo vedeva rialzarsi a tentoni, vomitare sangue, ricadere di nuovo ai colpi micidiali degli avversari. Non poteva ammettere che fino a pochi minuti prima aveva combattuto con grinta e con infallibile tecnica, che quel mezzosangue, con allenamenti più ferrei e pasti più sostanziosi, sarebbe divenuto un impeccabile guerriero di Primo Ordine, feroce e spietato nella maniera debita.

Era un peccato che gettasse il suo ultimo sangue in quella sala, meritava di certo una morte più gloriosa:

“Adesso basta!” al suo imperativo i ragazzini arrestarono la sfera già pronta tra le mani e furono fatti ritirare.

Il ragazzo restò inerme a terra, ma Napa vedeva il suo corpo percosso ancora da fremiti, nel tentativo di rimettersi in piedi.

Si domandava ancora a chi potesse essere figlio. Indubbio che Vegeta l'aveva condotto con se, ma non poteva appartenere a lui...non c'erano ragioni del perché avesse dovuto nascondere la sua figliolanza...soprattutto quando ce n'era da essere orgogliosi...

Trunks intanto era riuscito a riassestare il proprio equilibrio. Nei suoi occhi, il fuoco della rabbia aveva consumato quello del dolore fisico arrecatogli, ancora tuttavia vivo sotto i tizzoni ardenti che ancora sentiva sulla pelle della spalla sanguinante.

Napa fissò bene lo sguardo di quel viso ansante, studiando con attenzione il profilo degli zigomi e delle sopracciglia  inarcate in un cipiglio di collera e di astio.

Era incredibile quanto somigliasse a...

No...non poteva essere...eppure era identico a Vegeta...

“Io non ho ancora finito” pronunciò Trunks, sentendo il sangue del labbro inferiore mescolarsi alla saliva.

“Intendo ancora combattere...”.

“E contro chi vorresti combattere?” Non vedi come sei ridotto?" rise Napa alla sua patetica ostinazione.

Trunks respirò forte, il sangue ancora si mescolò nella sua bocca:

“Voglio combattere con Vegeta” disse.

Il fragore di una risata generale inondò la sala. Napa fu l'unico a non lasciarsi coinvolgere:

“E perché vorresti combattere contro di lui?” chiese assalito da dubbi maggiori.

Ma il ragazzo non rispose.

“Sei solo un moccioso...ed i mocciosi non possono contendere con un guerriero del livello del nostro principe”.

“Voglio combattere contro di lui!” urlò a squarciagola mettendo a tacere l' ilarità degli astanti.

Ma lo sforzo fu eccessivo: Trunks ondeggiò per alcuni metri, prima di cadere a terra e restare privo di sensi.

 

* * *

 

“Esattamente…quel ragazzino è il figlio di Vegeta, insieme a quell’inutile essere che ha ancora solo pochi mesi di vita…” spiegò il re a Napa, mentre si liberava dell’armatura imbrattata dell’ultimo sangue che aveva fatto versare.

“Vegeta ha voluto tenere nascosta la vergogna di aver messo al mondo delle creature tanto deboli…”.

“Ma io ho visto combattere con i miei stessi occhi quel moccioso, ha ucciso tre delle nostre migliori guerriere e se si fosse allenato di più in questi ultimi mesi, avrebbe potuto compiere una strage di proporzioni ben più immani…” replicò Napa, suscitando sorpresa e stupore nel sovrano.

“E’ molto strano…” si grattò il mento barbuto “chiederò spiegazioni più chiare a mio figlio…”.

Perché aveva mentito nascondendo la sorprendente forza di quel moccioso?

Napa continuò ancora a parlare della tecnica precisa del giovane e della forza immane di cui era fornito:

“Io credo, Altezza, che dall’unione di un saiyan con una terrestre nasca un individuo dotato di forza anche superiore a quella di un purosangue”.

“Forse è così…” concordò il re, rimasto alquanto impressionato dal racconto dell’altro ed interessato alla questione.

“E’ un peccato che la razza umana sia stata sterminata, creando lì una colonia, sarebbe stato possibile fecondare molte di quelle femmine e realizzare una razza superiore a quella pura” immaginò Napa facendo volare la fantasia.

Il re sorrise, incrociando le braccia:

“Non è detto che nulla più sia possibile…c’è quella terrestre…quella prigioniera che Vegeta portò con se dalla Terra…qualche figlio sarà ancora in grado di metterlo al mondo e questi potrebbero venire clonati…” ed alzò un calice di vino per brindare all’ultima, blasfema idea che la sua mente perversa aveva generato.

Napa lasciò gli appartamenti del sovrano, seguitando ad elucubrare sul geniale proposito che aveva suggerito al re.

I pianti provenienti dal nido degli ultimi saiyan venuti alla luce gli segnalò di esser giunto a destinazione.

Sorrise soddisfatto, accorgendosi di non essersi sbagliato e di aver trovato proprio lì l’uomo che cercava.

Era fermo costui a guardare dietro un vetro i cuccioli saiyan che si dibattevano nel pianto o dormivano placidi, ancora ignari del destino di implacabili guerrieri che li attendeva.

“Ero sicuro di trovarti qui…” gli disse Napa poggiandogli una mano sulla spalla “tuo fratello Radish e tuo padre Burdack hanno fatto ritorno poche ore fa dalla Terra…”.

L’uomo non disse nulla, fissando tenebroso i neonati.

“Qual è il tuo? E’ nato oggi?”.

“Ha il livello più basso di combattimento di tutti glia altri. Zero…non vale neanche spedirlo sul pianeta più lontano che possa esserci. Fino ad ora ho avuto per discendenza solo spazzatura!” digrignò, sprezzante, i denti.

“Non prendertela…” rise Napa “anche tuo padre pensava la stessa cosa quando fosti generato. Ma qualche passo in avanti lo hai fatto anche tu…sebbene…sia chiaro…resti sempre un guerriero di infimo livello…”.

“E’ un marchio che incomincia a bruciare la pelle…” parlò il giovane con rabbia e sconforto “…neanche un figlio abbastanza forte da riscattare la mia condizione…”.

“Se tu lo volessi, potresti averne uno tale da superare anche la forza combattiva del sovrano…”.

Una terrestre nel Quarto Ordine…una prigioniera…un figlio mezzosangue…un fenomeno forse imbattibile…

L’uomo ascoltava con attenzione crescente quanto Napa gli stava offrendo:

“Perché proprio io?” volle sapere alla fine.

“Perché lei è una schiava ed io, guerriero di livello superiore, non intendo insudiciare le mie lenzuola. Ecco perché sono venuto da te. Tu puoi farlo…sbattertela per un po’ non ti farà male e non lederà di certo il tuo onore. Entro stanotte saremo tutti su Neo-Vegeta, ma lei resterà qui, appositamente per questo. Potrai ritornarci, se necessario, ma prima ti muoverai, prima la feconderai e meglio sarà…”.

Il giovane si trattenne ancora lì quando Napa si fu ritirato, poi, presa la sua decisione, diresse i passi verso il corridoio del Quarto Ordine.

 

Continua…

 

 

Lilly81

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** parte terza ed ultima ***


                                                       Sul pianeta Vegeta   Parte III                             

 

Come un animale in gabbia si aggirava nella sua cella, come una madre disperata si domandava cosa ne fosse stato di suo figlio…il suo povero figlio…che non era più un bambino ma ancora troppo giovane per essere definito uomo.

“Se gli è accaduto qualcosa, non te lo perdonerò mai Vegeta…” mormorò a denti stretti, gettando un’occhiata alla piccola che dormiva nel suo giaciglio di vimini.

Si voltò, sentendo dei passi sopraggiungere dal corridoio esterno. La cadenza mordente era quella inconfondibile di un guerriero. Ne aveva sentiti tanti nel suo periodo di prigionia, ma questa volta i passi si fermarono proprio dietro la sua porta e attesero qualche istante prima di…spalancarla.

La donna restò pietrificata all’apparizione dell’uomo, poi un ampio sorriso dopo tanto tempo sulle sue labbra rifiorì:

“Oh…Goku!” gridò gettandosi contro di lui, lasciando l’uomo allibito per una manciata di secondi.

“Contento dell’accoglimento…” fece l’altro staccandola da sé e chiudendo con un calcio la porta “…ma il mio nome non è Goku…mi chiamo Kaarot…”.

Ma Bulma non aveva intenzione di stare al suo gioco, perciò:

“Smettila di prendermi in giro, ne ho avuti fin troppi di colpi simili!” e continuava a sorridergli entusiasta e radiosa.

Nonostante ciò non tardò ad accorgersi che non c’erano nei suoi occhi la cordialità, la lealtà, e l’ingenuità che sempre vi aveva letto.

Non capiva perché lui la stesse fissando con tanto distacco ed avesse preso a scrutarla dalla testa ai piedi come se mai l’avesse vista prima d’ora.

Possibile che fosse solo un…

Il sorriso scomparve comprendendo che questa volta alcun aiuto da lui avrebbe ricevuto:

“Sei…sei…un…clone…” gli disse indietreggiando, quando fu arrivata alla sconcertante verità.

“Clone o no…che effetto ti fa rivedere il tuo maritino?” domandò beffardo.

Bulma non afferrò subito ciò che di terribile era insito nella sua domanda, come amaramente avrebbe rimpianto di aver alterato la verità detta alla vecchia.

“Fava mi ha raccontato tutto…di ciò che tu hai accennato alla vita che tu ed un altro me stesso conducevate sulla Terra”.

Non era ancora in grado di capire come la menzogna le stesse tornando ironicamente contro e perché lui fosse giunto lì, prima di vederlo sedersi sul ciglio del letto e prendere con comodo a togliersi gli stivali e l’armatura:

“Ma cosa…cosa…stai facendo?”.

“Mi sto preparando a scoparti…”.

“E’… meglio che tu vada via. Non sai…come veramente sono andate le cose…” pronunciò tremante nel tentativo di riparare il suo fallo e fermare le intenzioni ormai intuite dell’uomo.

“Ma so come vanno altre…non sei meno puttana di tutte le altre solo perché non hai la coda. Non mi dire che per tutto questo tempo di prigionia non hai avuto voglia di un po’ di compagnia…”.

Bulma inghiottì l’offesa come un medicinale amaro che doverosamente va preso, badando di più a trovare una via di scampo: la porta era vicina, ma non poteva fuggire senza aver preso la bambina.

“Allora? Non ti fa piacere che proprio una persona conosciuta ti sia venuta a far visita?” domandò mostrandosi irriverentemente in tutta la sua nudità.

Lei distolse lo sguardo, infastidita ed importunata:

“Sei…disgustoso! Vattene o incomincerò a gridare!”.

“Ormai questo piano del Palazzo è vuoto…sarebbe fiato sprecato”.

“Lasciami andare!” gli intimò quando si sentì afferrare il polso.

“Non sono mai stato con una femmina senza la coda, sono curioso di sapere cosa nascondi sotto quei vestiti…” e tentò ancora di fuggire dallo sguardo maniaco con cui già la spogliava.

“Io non voglio! Vattene, maiale!” si divincolò.

Un ceffone violento, assestatole sulla guancia e feritole parte del labbro superiore, le oscurò la vista alcuni istanti. Non vide neanche la mano di lui propendersi verso il suo collo e strapparle la tunica preparatale da Fava.

Quando aprì gli occhi vide solo quelli di lui che fissavano inebriati la nudità dei suoi seni:

“La cosa si fa più interessante di quanto mi fosse parso all’inizio…” commentò l’uomo “sarei dovuto venire qui quando Fava mi parlò di te. Non ho mai visto tanta bellezza in una femmina, peccato che tu sia l’unico esemplare ancora esistente…”.

Ma Bulma aveva preso a versare lacrime e la sonorità dello schiaffo che ancora sentiva sulla pelle le impedì di comprendere le ultime parole.

Con le mani sul viso, tentava di nascondere i seni tra le sue stesse braccia, mentre ancora le mutandine preservavano l’intimità racchiusa:

“Perché?…” domandava solamente.

“Perché agli ordini non si viene mai meno, soprattutto quando sono così graditi…”.

“Ordini?” chiese sconvolta “…da chi?”.

Ma Kaarot era già troppo eccitato per perdersi in prolisse spiegazioni.

“Non fare tante storie, sgualdrina…le tue lacrime non mi impietosiscono, possono accrescere sola la mia rabbia se non la fai finita”.

Bulma lo supplicò ancora di lasciarla stare, ma:

“Cosa ti fa paura? Avendomi già conosciuto, dovresti aver sperimentato a lungo quali fantasie un saiyan può avere a letto…” le disse, insinuandole terrore puro all’idea di cosa l’avrebbe attesa.

Urlò più forte quando fu gettata sul letto e lui le fu sopra.

Inutile fu tentare di graffiarlo giacché aveva limato tutte le unghie quando Bra era venuta alla luce, perché non lacerasse la sua tenera pelle al momento del cambio.

La coda di lui le si attorcigliò intorno ai fianchi: fu la sensazione di un animale repellente e peloso che le strisciava addosso. L’afferrò convinta di averlo colpito nel suo punto debole quando lui si arrestò:

“Cosa pensi di fare?” rise lui malvagio “toccandomela mi ecciti solo di più…” e la baciò sul collo con rinnovato vigore, mentre con una mano indugiava con pesanti carezze sul suo seno.

Bulma piangeva convulsamente e alle sue grida anche la piccola Bra fu destata dal sonno nella sua culletta di vimini.

Le percorse il solco dei seni con la punta della lingua, lì dove per strapparle la tunica le aveva lasciato l’impronta vivida di cinque dita.

Lei non riusciva ancora a credere che tutto questo stesse capitando proprio a lei, che quell’oltraggio le venisse compiuto da quelle mani che sempre le avevano dato aiuto e con quegli occhi che solo sguardi di ingenuità e lealtà le avevano offerto.

Avrebbe voluto morire…svenire per non ricordare più nulla al risveglio…le forze le venivano poco a poco meno…e lui intanto continuava a leccarle il petto…

“Vegeta…” mormorò solamente, come se il suo nome fosse uno scoglio cui aggrapparsi, un porto sicuro dove trovare l’ultimo istante di pace.

“Vegeta, hai detto?” si fermò lui “ti scopavi anche il principe, puttana?” le accarezzò la tempia “mi piaci ancora di più…è giusto che i saiyan dividano le loro donne…”.

Ormai la sua mano aveva afferrato l’elastico delle mutandine, un piccolo strappo ed anche l’ultimo baluardo sarebbe stato diroccato.

Qualcuno avanzò furtivo nei corridoi del Primo Ordine. Si era gettato sul capo un mantello scuro e si muoveva con circospezione per non essere veduto. Trovò via libera fino ai corridoi del Terzo, dove fu costretto a nascondersi da uno degli ultimi gruppi di uomini rimasti ancora su Aval.

La tensione del volto si smorzò quando raggiunse l’ultimo livello del Palazzo. Fu quasi attraversato da un sorriso, prima di sentire un urlo provenire da dietro la porta dinanzi alla quale si era arrestato.

Sfondata la porta senza difficoltà, fatta irruzione nella stanza, incontrò lo sguardo di un sorpreso ed imbarazzato Kaarot:

“Principe…” riuscì solo a tartagliare, liberando la donna dal peso che le gravava addosso.

Ugualmente sorpresa, nelle condizioni in cui era ridotta le sue labbra sanguinanti tremarono senza emettere suono.

Vegeta osservò l’eccitazione dell’uomo, automaticamente spostò gli occhi sulle mutandine ancora integre di lei: non era ancora stata violata.

“Togliti subito da quel letto” intimò all’uomo “non dovevi osare entrare qui…”.

Il guerriero cercò qualcosa di opportuno da dire, non capiva perché il principe fosse alterato dando per scontato che fosse a conoscenza di quanto Napa gli avesse proposto. Forse voleva semplicemente che quella donna venisse trattata con più riguardo:

“Non facevo nulla di male…” sorrise per scaricare la tensione “l’ho dovuta battere perché lei si rifiutava…volevo solo divertirmi un po’…infondo è una puttana qualunque…”.

Bulma scoppiò in lacrime, non potendo sopportare altre offese e vergognandosi che proprio Vegeta la vedesse ridotta in condizioni tanto umilianti. Afferrò un lembo del lenzuolo per coprire la nudità oltraggiata dei suoi seni, portando le ginocchia verso di essi e piangendovi contro.

“Tu aggiungi pure dell’altro…” scandì con lentezza Vegeta “…e non avrai più un angolo dell’universo dove nasconderti…”.

“Ma io non capisco…” frignò l’altro coprendosi e mettendosi in piedi.

“Ho sempre detto che la sua vera potenza nasceva dall’essere cresciuto sulla Terra, ma tu, di Kaarot non sei altro che un inutile clone!”.

Un balenio esplose dalla sua mano, sibilò nell’aria, sconquassò il torace del guerriero, sospingendolo contro il muro e lasciandolo cadere oltre.

Bulma sussultò, urlando e stringendosi più stretta alle gambe. Il silenzio che seguì, enfatizzò il tremore di cui era in preda il suo essere.

Vegeta si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno:

“Dov’è Trunks?” le chiese senza avvicinarsi.

Lei gli spiegò tra i singhiozzi che era stato portato via da Napa e alla fine lo sentì precipitarsi fuori.

 

* * *

 

Non era certa quanti minuti fossero trascorsi dacché Vegeta aveva lasciato la stanza. Aleggiava ancora un odore di bruciato e dalla breccia nel muro continuava a sollevarsi una coltre di fumo e polvere.

Era riuscita a trascinarsi giù dal letto, ad indossare una vestaglia e a riaddormentare Bra, agitando piano la cesta. Si era gettata dell’acqua fredda sullo zigomo sinistro nel tentativo di attenuare il gonfiore ed aveva tamponato con un fazzoletto inumidito il coagulo di sangue che si era formato sul labbro.

Quando Vegeta ritornò la trovò seduta sul letto, con lo sguardo basso ed il viso stancamente esangue. Gli parve una bambina indifesa che non alzò gli occhi a guardarlo, che non riuscì ad aprire neanche la bocca quando lui le disse che Trunks stava bene e che la vasca di rianimazione in cui lo aveva posto lo avrebbe fatto riprendere entro breve.

Un miscuglio di sentimenti annebbiati e confusi era il cuore di lei: Vegeta l’aveva salvata…aveva soccorso suo figlio ed ora era lì…ad aspettare che lei dicesse qualcosa a cui non era ancora con la mente arrivata, incerta da cosa fosse attraversato il cuore di lui, e quali spiegazioni dare al suo recente comportamento.

Non vide l’espressione intimidita dei suoi occhi neri, quella che si dipingeva tutte le volte che stava per dirle qualcosa che tremendamente lo imbarazzava:

“Mi sei mancata da morire…” pronunciò quasi in un soffio, che per lei si tradusse in un vento impetuoso e gagliardo da far sradicare alberi e gonfiare torrenti “…non so fino a quando riuscirò a  recitare questa parte…a fingere che di voi nulla mi importi…”.

Bulma alzò il capo e corse a nasconderlo tra le sue braccia, piangendo per un tempo interminabile e singhiozzando solamente:

“Ho sempre saputo che tu non potevi averci abbandonato…”.

Più arduo era capire quanto per lui fosse stato doveroso recitare la parte di compagno e padre cattivo, che mostrarsi disinteressato ed indifferente del loro futuro era l’unico modo per poterli salvare, che sconfinarli nella parte ultima del Palazzo era il solo mezzo perché nessuno scoprisse la forza latente nel figlio e la bellezza evidente della sua donna.

Proteggere Trunks, Bra e Bulma dalla violenza e dalla perversione di quel corrotto pianeta era divenuto un obiettivo prioritario ed irrinunciabile, da quando aveva ritenuto preferibile condurli con sé piuttosto che lasciarli sulla Terra.

Ed aveva visto bene, considerato che sul pianeta era rimasto solo polvere e fango.

Goku, Gohan, Junior e tutti gli altri avrebbero pensato a proteggere la Terra, mentre lui, lasciando credere che il tempo non avesse mutato la sua tempra malvagia e spietata, sarebbe penetrato fin nel covo dei serpenti, alla ricerca di una soluzione che sterminasse definitivamente la sua stirpe rediviva.

Aveva vegliato sulla sua famiglia giorno dopo giorno, fiducioso che avrebbero resistito alla precarietà a cui li aveva costretti, mille volte preferibile alla morte che non li avrebbe risparmiati sulla Terra.

Non molto aveva potuto fare per il pianeta, consapevole che se anche Goku fosse riuscito a sconfiggere suo padre e suo fratello, altri saiyan sarebbero sopraggiunti a completare un disegno ormai stabilito.

Ed invece Kaarot aveva perso…di lui forse più nulla era rimasto…eppure avrebbe potuto competere contro Burdack e Radish…non era possibile che avesse rinunciato a fronteggiarsi col suo stesso sangue…

E quando ormai aveva incominciato a credere che neanche per sé stesso e la sua famiglia ci fosse più nulla da fare, che non avrebbe potuto continuare in eterno ad essere il regista di quella farsa, un meteorite, materializzatosi dal nulla, viaggiava alla volta di Neo-Vegeta.

Un meteorite avrebbe annientato il suo popolo…non le mani di Freezer come fu un tempo.

E in quell’epico giorno, lui avrebbe fatto in modo che tutti i saiyan fossero presenti sul pianeta, che nessuno sfuggisse all’inglorioso destino.

Bulma lo sentì muoversi, staccarsi da lei ed avvicinarsi alla cesta.

La piccola dormiva, continuando a succhiare il ciuccio:

“E’ cresciuta tantissimo…” notò con incanto “…ed è incredibile quanto ti somigli…”.

Si guardò intorno, provando un incredibile compassione per le pene da loro patite. A casa loro, Bra avrebbe dormito in una culla morbida e confortevole, una coperta linda e calda avrebbe avvolto il suo corpicino e Bulma non avrebbe tremato in quella logora vestaglia, ma si sarebbe scaldata al fuoco del camino e poi sotto le coperte…insieme a lui…

“Non è più necessario che voi stiate qui, seguitemi” e si mosse versò l’uscita da lui abbattuta “…vi porto nelle mie stanze, lì starete al caldo”.

Bulma lo seguì lungo i corridoi, recando tra le braccia la cesta. Lui si accertava che gli stesse dietro, fino a quando:

“Perché ti sei fermata?”.

“”Hai…hai…la coda…” indicò fissando i suoi posteriori.

“Mio padre ha voluto che mi ricrescesse…” spiegò con noncuranza.

Dei drappi di porpora coprivano le finestre di quella stanza, il cui centro era ingombrato da un grande letto all’apparenza confortevole.

“Lì c’è un bagno” le indicò “fa pure con comodo, baderò io alla bambina” che intanto si era destata.

La prese in braccio, offrendo uno dei suoi rari sorrisi quando Bra alzò il suo sguardo azzurro verso di lui e lo fissò a lungo con la boccuccia interrogativa. Assaporando ogni attimo di quel momento, le accarezzò la guancia paffuta, scivolando col dito sul suo nasino e facendoselo acchiappare dalla sua piccola mano che si strinse vigorosa intorno ad esso.

La bambina sgambettava gioiosa, emettendo incomprensibili borboglii.

Restarono per un pezzo di tempo lunghissimo così…padre e figlia…fino a quando Bra non si riaddormentò.

Quando Bulma riaffiorò dal bagno, lui l’aveva già adagiata nella cesta.

“Va meglio?” le domandò.

Si era trattenuta a lungo nella vasca, godendo dopo tanto tempo della sensazione di pulito che  lasciava il sapone sulla pelle. Aveva strofinato, energicamente e con rabbia, la spugna lì dove Kaarot aveva passato la lingua. Più difficile era eliminare la sensazione delle sue mani che ancora le afferravano i seni e della sua coda che si attorcigliava intorno alle gambe. La conseguenza fu che quando uscì dal bagno, avvolta in una vestaglia di Vegeta, era pulita e in ordine, ma ancora visibilmente sconvolta.

Al saiyan non sfuggì di certo lo sguardo basso da lei tenuto e l’aspetto insolitamente silenzioso e cupo.

Si sedette sul letto accanto a lui:

“Piangi, se vuoi…” le disse.

Alla fine lei si coprì il volto e scoppiò in lacrime:

“E’ stato orribile…oh…se non fossi giunto tu…” si gettò contro il suo petto.

Al pensiero di quanto sarebbe potuto accadere, anche Vegeta rabbrividì, e al ricordo di quell’essere nudo che toccava la sua donna e godeva di lei, gli fece sorgere il dubbio di non essere stato abbastanza spietato contro di lui: una pena più lenta e tormentata sarebbe stata di certo più appagante.

“Non voglio che nessuno mi tocchi…nessuno…che non sia tu…” singhiozzò ancora.

Al contatto brusco con lui, i graffi, che Kaarot le aveva fatto lungo il collo ed il seno, si infiammarono sotto la vestaglia.

Altrettanto imprevedibilmente si staccò per il dolore dal saiyan, che si chiese se il tentativo di stringerla le avesse procurato fastidio.

Non tardò a notare l’impronta strisciante di cinque dita lasciatole sul collo.

Allungò piano la mano per scoprire fin dove arrivassero. Lei, irrigiditasi, non si mosse, ma rabbrividì impercettibilmente quando lui le scostò con lentezza la vestaglia ed appurò che i segni proseguivano fino al solco dei suoi seni:

“Maledetto…” imprecò “avrei dovuto torturarlo solo per quello che ha osato farti…questi graffi devono essere disinfettati al più presto…”.

Scomparì nel bagno, venendone fuori con un kit di pronto soccorso. La trovò così come l’aveva lasciata…immobile…col volto rigato dalle lacrime…impaurita e… con il petto scoperto, che si sollevò più affannosamente quando lui ritornò a sedersi accanto, non senza aver sentito una fitta al basso ventre dinanzi a quell’innocente esposizione.

Lo fissò mentre lui prendeva una garza e la imbeveva di liquido.

Il silenzio di lei, cui poco era abituato, e lo smarrimento nei suoi occhi lo misero a disagio, facendogli tremare la mano nel momento in cui si apprestò a toccarla.

“Brucerà un po’…” l’avvertì, incominciando a tamponare delicatamente i segni infuocati impressi sul collo.

Bulma gemette, chiudendo gli occhi ed addentandosi il labbro inferiore.

Lui sentì un fuoco divampargli dentro, essendo abituato a sentirla gemere in momenti molto diversi. Eppure l’aria intorno non era dissimile, fremente di quell’incontenibile passione che di lì a poco sarebbe inevitabilmente esplosa, per quanto si sforzasse di eseguire la medicazione con la medesima compostezza di un medico.

Riuscì a proseguire lungo la scia infuocata dei graffi, arrestandosi sul solco dei seni. Senza neanche averli sfiorati, vide che i suoi capezzoli erano già induriti.

Lei intanto non distoglieva lo sguardo da lui; nonostante le fiamme incominciassero a lambire tutto il suo corpo, lo fissava come se ancora non riuscisse a rendersi conto di essere di nuovo accanto a lui.

Ormai i lembi della vestaglia si erano completamente aperti, lui si ritrovò ad avere la voce roca quando le domandò:

“Ti…fa male…da qualche altra parte?” ed ispezionando personalmente, trattenne lo sguardo sul suo corpo oltre quanto fosse necessario.

Lei scosse il capo, come una bambina piccola ancora incapace di parlare, semplicemente come una donna provata a lungo dalla sofferenza e non ancora ripresasi del tutto.

Lui notò che il coagulo di sangue sul labbro inferiore aveva preso a sanguinare. Avvicinò la mano con l’intento di tamponarlo, ma la fermò incrociando il suo sguardo, così silenzioso, così assorto a contemplarlo, così significativo…

Non riuscì a resistere da avvicinare il suo volto a quello di lei, premere le labbra contro le sue, facendole sanguinare di più nell’impeto che adoperò.

“Scusami…” mormorò quando ebbe finito, succhiando con piccoli baci l’ultimo sangue che vi si era raccolto.

Lei sgranò gli occhi quando alla fine Vegeta, staccatosi da lei, soggiunse:

“Adesso devo andare…”.

“Perché?” si aggrappò alla sua mano.

“Voglio accertarmi che tutti siano partiti ed ho una questione urgente da risolvere con Napa…ormai sapranno già tutti la forza che possiede nostro figlio… dovete trascorrere un altro mese qui in attesa che Neo-Vegeta subisca l’impatto col meteorite…e voglio che nessuno vi infastidisca…solo un altro mese e poi…” avrebbe voluto dire che sarebbero poi partiti tutti insieme verso la Terra, ma il coraggio di rivelargli che più nulla esisteva venne meno.

Bulma non era interessata per il momento ai progetti da lui accuratamente predisposti:

“Ti prego…non te ne andare…resta un po’ con me…io…io…voglio fare l’amore con te…” gli disse lasciandolo di stucco.

“E’ passato così tanto tempo dall’ultima volta…” rimpianse ancora.

Come riuscire ad essere indifferenti ad una preghiera tanto supplichevole ed implorante…

Dove trovare la forza di resistere a quel corpo che lo reclamava con urgenza…negargli quel piacere di cui per tanti mesi si erano privati…

Vegeta si sedette sul ciglio del letto, prendendo a togliersi velocemente gli stivali.

Lei gemette, incapace di resistere a quell’attesa. Aveva la necessità impellente di sentire le loro pelli a contatto, sentire la sua bocca, la sua lingua sul suo corpo, per dimenticare quella sensazione di viscido che le aveva lasciato l’altro.

Vegeta affrettò l’operazione di svestimento quando la sentì fremere per il bisogno e vide che lei aveva lasciato scivolare definitivamente la vestaglia.

Alla fine, strettisi quasi convulsamente, si lasciarono cadere sul letto.

E per la prima volta le pareti del Palazzo videro consumare la fiamma di un amore vero, che ardeva negli sguardi vicendevolmente persi di entrambi.

Persero la cognizione di quanto fosse loro intorno. Sembrava di essere ritornati alla Capsule Corp.,quando facevano l’amore nella loro camera da letto, allo stridio dei grilli nelle notti d’estate, o al sibilo del vento nelle gelide sere invernali.

Delle lacrime calde percorsero il viso di Bulma quando l’uomo si rilassò tra le sue braccia. Gli baciò la fronte al pensiero che altro tempo senza di lui l’avrebbe condotta alla follia.

“Va meglio ora?…” le domandò con una punta di irriverenza.

“Mmmm…mi sei mancato da morire…” gli sussurrò, irrigidendosi ad un tratto, quando sentì qualcosa di peloso lisciarle la gamba.

L’aveva sentita per tutto il tempo del loro lungo amplesso, ma non aveva avuto la lucidità di capire bene cosa fosse.

“Ti dà fastidio?” le chiese Vegeta, in riferimento alla sua coda.

No, non le dava fastidio, sebbene fosse insolito vedere quell’attributo ondeggiare dietro la schiena di lui. Solo adesso rifletteva a riguardo e volle prenderla cautamente in una mano, accarezzando la morbida pelliccia e suscitando in lui una reazione che lo portò a poggiare la testa contro il suo seno e a gemere come un gatto che fa le fusa, mentre strofinava la guancia contro un capezzolo indurito.

“Scusami…” fece lei mollando la presa “…dimenticavo che la coda di un saiyan non può essere toccata…”.

“In passato era un punto debole…ma ora è semplicemente molto sensibile…” spiegò con la voce roca “…toccamela ancora…” le sussurrò risalendo con la coda lungo la gamba.

Lei tentò di farlo, ma smise di proseguire quando intuì ciò che ormai era nelle intenzioni del principe.

La punta di quel nuovo strumento di piacere prese ad accarezzarle le tenere pareti della sua entrata suscitandole dei gemiti morbidi che aumentarono quando si divertì a varcarla un po’ oltre:

“Vegeta…” sorrise lei, godendo al pensiero che si stesse materializzando una delle sue fantasie più nascoste.

“Per troppo tempo non ti ho avuta…”.

Solo i loro gemiti infransero il silenzio surreale che avvolgeva il pianeta. Le ultime navicelle avevano lasciato il suolo ed un vento sinistro ricopriva di coltre rossastra gli edifici ormai abbandonati:

“Questo silenzio mi mette i brividi…” tremò Bulma tra le braccia dell’uomo.

Eppure con lui accanto avrebbe potuto trascorrere una vita intera su quella landa deserta.

Vegeta le stava accennando alle difficoltà incontrate nell’essere tornato  a conformarsi alla vita dei saiyan:

“Avevo dimenticato quanto fosse dura…non mi sono potuto sottrarre a compiere massacri e stermini…”.

“Potremo magari far tornare tutto alla normalità con le sfere del drago…” lo rincuorò fiduciosa.

Ma lui distolse lo sguardo, consapevole che erano divenute solo dei comuni sassi sul suolo ormai arido della Terra.

“Dov’è finita la vestaglia?” si mosse lei “vorrei indossarla…incomincio ad avere freddo”.

Vegeta la costrinse a distendersi di nuovo, attirandola rudemente con la coda contro di sé:

“Lo sai che mi piace averti nuda a letto…” la strinse più forte.

Lei rise sommessamente:

“Nato in un clima tanto rigido…ora capisco perché tu non hai mai freddo…”.

“Forse sei tu a non avere abbastanza sangue nelle vene” replicò.

Bulma lo guardò diritto in faccia, quasi divertita a quell’insinuazione:

“Ah, sì?” avvicinò la bocca alle sue labbra “pensi davvero che non abbia calore nel mio corpo?” ed avvolse la lingua di lui con la propria.

“Dimmi un po’…nessuna donna saiyan ha tentato di sedurti?” gli domandò con aria sorniona al termine del bacio.

L’uomo si rivoltò, facendola ritornare sotto di lui:

“Come puoi pensare che mi possano anche solo  piacere…”.

“E perché?” gli sorrise, interessata ad indagare oltre “sono donne anche loro…”.

“Sì…” asserì lui spostandole una ciocca di capelli ed abbandonandosi ad un raro momento di romanticismo puro “ma le donne saiyan non hanno i tuoi capelli setosi, né la tua pelle profumata, preferiscono cospargersi di grasso per preservare il calore del corpo” l’annusò estasiato “…non hanno i tuoi lineamenti delicati…” le percorse con un dito le braccia, concentrando infine gli occhi sul suo petto “e non hanno…non hanno …tanta…” qualsiasi aggettivo stesse per adoperare si spense a contatto con uno dei suoi capezzoli che afferrò avidamente tra le labbra.

“Cosa c’è? Non vuoi addormentarti?” le domandò dopo, quando ebbero ulteriormente soddisfatta l’insaziabilità dei loro ventri.

“Non voglio che tu te ne vada mentre io sto dormendo…resta con me tutta la notte…”.

“Qui è sempre notte…” disse cupo.

“Ma tu resta ancora…ti scongiuro…” e alla fine chiuse gli occhi contro ogni sua volontà.

Vegeta decise di restare lì, percependo l’inquietudine del sonno di lei, che a tratti sobbalzava alla ricerca di trovare protezione accanto a lui.

Fu proprio lei a svegliarlo alle prime ore di quel mattino scandito dall’immutabile colore carminio, quando anche il saiyan si fu arreso al sonno.

Gli domandò quando Trunks sarebbe ritornato.

“Suppongo che si sia ripreso…andrò in ogni caso a verificare prima di partire per Neo-Vegeta” ed incominciò a rivestirsi.

“Mi raccomando…non dovete assolutamente muovervi da qui…”.

“Quando ti rivedrò?”.

“Mi auguro presto…comunque continuerò a comunicare con te tramite Fava come abbiamo fatto fino ad ora…”.

Vegeta si bloccò al cipiglio che si disegnò sulla fronte di lei:

“…fino ad ora?”.

“Sì…tutte le lettere che ti ho scritto in questo periodo…”.

Ma Bulma scosse il capo:

“Fava non mi ha mai dato nulla…”.

Vegeta indietreggiò. Spasmodicamente aveva preso a pulsargli la vena che gli solcava la tempia. Com’era possibile che lei non avesse mai ricevuto nulla? Cosa ne era stato di quelle lettere?

I piani dunque non stavano andando come da lui previsti, a questo punto c’era il rischio che non fossero mai proceduti nella direzione giusta fin dall’inizio, che il contenuto di quelle lettere, nelle quali nulla aveva tenuto nascosto, fosse irrimediabilmente trapelato:

“Fin dal primo giorno che vi ho condotti qui, ti scrissi svariate lettere per spiegare la mia situazione…le consegnavo a Fava, fidandomi ciecamente di lei e del fatto che non sapesse leggere…come è possibile che non ti siano mai state consegnate…che cosa hai allora pensato per tutto questo tempo?!”.

“Io ho provato solo a fidarmi di te…”.

“Maledizione! Devo trovare immediatamente quella dannata vecchia!” urlò scaraventandosi nei corridoi.

 

* * *

 

Era in ginocchio, ai piedi del letto, ad attendere che la porta si aprisse da un momento all’altro.

Non c’era pentimento dietro le orbite scavate dei suoi occhi impenetrabili, né rassegnazione per l’inevitabile destino di morte  cui l’avrebbe condotta la mano di quell’uomo che aveva tenuto in fasce. Credeva solo nella giustezza del suo agire, nella consapevolezza di aver tradito il suo principe solo per il bene di lui.

Così la trovò Vegeta, dopo aver bestemmiato come un indemoniato il suo nome mentre percorreva i corridoi che conducevano al Quarto Ordine. Fava era l’unica saiyan presente sul pianeta, avendo Vegeta decretato che per il servilismo dimostratogli si fosse guadagnata la vita.

“Io non so leggere…non conoscevo il contenuto di quelle lettere, ma fin dal primo giorno che arrivaste, bastò vedere l’interesse che dimostravate, principe, per quei terrestri, per capire che non eravate più la stessa persona che vidi per l’ultima volta anni or sono.

Serbai le lettere qui, accettando comunque di seguire gli ordini che mi impartivate, convinta che sulla Terra fosse stato vittima di sortilegi e che prima o poi vi rinsaniste.

A nessuno dissi delle lettere, né del vostro comportamento…mai avrei osato tradirvi fino a quando…”.

“Fino a quando…cosa?!” urlò l’uomo.

“Fino a quando non vi ho visto con quel ragazzino ferito…” spiegò lei tenendo lo sguardo basso ancora in segno di sottomissione “…ero nascosta dietro un muro quando vi ho visto percorrere la sala dove il terrestre era rimasto a terra moribondo…” e raccontando incominciò a piangere “vi siete piegato verso di lui…gli avete accarezzato il capo…ed addirittura sorriso quando lui ha mormorato papà…”.

“Adesso basta! Che ne hai fatto di quelle lettere?!”.

“Sono nelle mani di vostro padre…ha detto che le avrebbe lette con calma quando sarebbe giunto su Neo-Vegeta…”.

“Noo!” assestò un pugno contro un muro facendolo crollare.

Era ormai giunta la fine…

“Nonostante la saggezza della decisione…ugualmente vi ho tradito ed ora sto aspettando la morte per mano vostra. Uccidetemi, principe, perché possa capire di essermi sbagliata sul vostro conto…” si gettò ai suoi piedi “…che voi siete ancora il saiyan crudele ed impietoso che vidi crescere…concedetemi almeno questo…”.

Vegeta la fissò con la stessa glacialità di un tempo:

“Ti lascerò invece in vita…vecchia…se questa è l’unica sofferenza che posso infliggerti…” e la lasciò, ritornando a percorrere con disperazione i corridoi del Primo Ordine.

Era la fine…ma solo per lui…

Doveva mettere al più presto in salvo Bulma, Trunks e la bambina, spedirli verso qualche pianeta lontano, sicuro che Trunks avrebbe saputo prendersi cura di loro. Non importava se lui non fosse mai riuscito a raggiungerli:

“Bulma!”.

La sua camere da letto era vuota, neanche più la cesta di Bra era stata lasciata:

“Noo! Bulma!” continuò a gridare il suo nome districandosi nell’interminabile labirinto di corridoi.

Fu solo il pianto di una neonata ad attenuare i suoi funesti presentimenti.

La trovò nella sala dei computer, insieme alla madre:

“Stupida che non sei altro!” l’apostrofò “avevi intenzione di farmi venire un infarto?!”.

Aveva intenzione di proseguire con tutta la lista di epiteti che conosceva, se non fu che si accorse che la donna fissava la schermata del computer allo stesso modo se questo fosse stato un essere dalle sembianze mostruose.

“Cosa…cosa c’è…cosa hai scoperto?” le chiese in un confuso borbottio.

“E’ terribile…Ve-vegeta…” tartagliò lei senza distogliere lo sguardo dallo schermo “il meteorite…qualcosa deve averlo diviso in due…forse l’impatto con un asteroide più piccolo…”.

“Questo vuol dire che non sarà più sufficiente a disintegrare Neo-Vegeta?”.

“No, sarà ancora sufficiente a disintegrare Neo-Vegeta, ma l’altra parte viene diritto verso di noi…”.

Visibilmente impallidito, trovò la voce per chiederle entro quanto prevedeva l’impatto.

“Entrambe hanno incrementato la propria velocità…una si scaglierà contro il pianeta grande tra circa 58 minuti…e l’altra giungerà qui standole dietro solo di qualche minuto…” concluse con un rapido calcolo mentale.

Vegeta osservò il puntino lampeggiante sullo schermo. Era inaccettabile pensare di aver miseramente fallito e che la vita sua e della sua famiglia fosse legata alla volubilità di una roccia incandescente.

Ma un’ora sarebbe stata più che sufficiente per raggiungere la navicella che aveva lasciato proprio dietro la Torre di controllo. Per quanto piccola, avrebbe consentito di mettersi in salvo e di raggiungere il pianeta più vicino:

“Sono riuscita a prendere una navicella dall’edificio A32, Trunks possiede la capsula…” volle informarlo Bulma.

“A32 hai detto? Mi dispiace per la fatica…ma lì erano depositate le navicelle senza carburante…”.

“Vegeta…” gli prese lei la mano dopo alcuni istanti, guardandolo con occhi pieni di gratitudine.

“Non abbiamo tempo per simili smancerie…” si liberò lui, non senza essersi perso per un istante nell’azzurro dei suoi occhi “…dobbiamo raggiungere Trunks ed andarcene via da qui immediatamente!”.

Bulma aveva già afferrato la cesta di Bra:

“Quanta fretta, Vegeta, non è da saiyan darsela a gambe come è nelle tue intenzioni…” lo rimproverò suo padre, col tono che avrebbe rivolto ad un bambino cattivo.

Le figure energumene di Napa e del sovrano occuparono l’entrata.

Bulma si rifugiò dietro Vegeta, mentre la bambina, ignara della drammaticità della situazione, piangeva reclamando solo la sua pappa.

“Un bel piano quello che hai organizzato…devo ammetterlo…ma sei stato uno sciocco se hai pensato che io mi fidassi di te…”.

Ostile e torvo era lo sguardo del sovrano, quasi divertito quello di Napa.

“Fu sufficiente vedere una stupida fotografia, lì dove abitavi, per capire che ti era stato fatto il lavaggio del cervello…Ad ogni modo…” incrociò le braccia “volli credere di essermi sbagliato e confesso che per un momento ho creduto che nulla avesse scalfito la tua tempra malvagia…”.

Si mosse con lentezza prendendo a girargli intorno:

“Patetica la tua premura di salvare questi terrestri…sei la vergogna della nostra stirpe…” disse come se gli avesse sputato contro.

“Io non ho mai dimenticato di essere un saiyan!”.

“Allora uccidi quella puttana che si nasconde dietro di te e la mocciosa che le hai fatto concepire!”

fu quanto di più blasfemo gli si potesse ordinare.

Bulma si strinse al suo braccio, inorridita da cotanta malvagità.

Vegeta restò immobile, una goccia di sudore percorse lentamente la sua fronte, scivolando lungo la piega tesa del collo.

“Cosa c’è?” lo derise il padre “…ti manca il coraggio…forse?”.

“Di certo, non mi manca il coraggio di uccidere un cane come te…” disse per poi lanciarsi contro in un’esplosione di impeto e rabbia.

Impossibile anche solo sfiorarlo: Vegeta fu scaraventato all’indietro, riducendo in una miriade di frantumi e scosse elettriche la schermata del computer centrale.

“Bulma…” sibilò Vegeta ricadendo pesantemente sul pavimento “…cerca Trunks ed andatevene subito via da qui…”.

“Lei non va da nessuna parte!” le avvolse il braccio la mano rude e massiccia di Napa.

“Maledetto…” riuscì a rialzarsi a tentoni il principe, incredulo che fosse bastato poco per fargli perdere quasi completamente i sensi “…lasciala andare…”.

La donna tentò di divincolarsi, accrescendo solo il dolore procuratole dalle dita che affondavano nella carne.

“Faresti bene ad ascoltare ciò che ti ha ordinato mio padre!”.

Bulma e Vegeta riconobbero all’istante la voce del figlio giunto in tempo in loro soccorso.

“Ancora tu, moccioso?” lo riconobbe Napa, mollando la presa.

“Ho voglia di scontrarmi contro di te, testa pelata…” lo sfidò il ragazzo.

Vegeta si era ormai riassestato e la grinta del figlio aveva contagiato anche lui:

“Vai via” si rivolse alla moglie col tono di un ordine che non ammette dinieghi “io e Trunks vi raggiungeremo presto”.

Senza batter ciglio, il sovrano osservò Bulma allontanarsi di corsa, alla volta della navicella lasciata da Vegeta dietro la Torre di controllo:

“Se fossi in te non sarei molto convinto di riuscire a raggiungerla”  e con quell’ultima provocazione ebbe inizio lo scontro finale.

Il Palazzo fu la prima cosa che Bulma vide crollare da uno degli oblò della navicella che aveva già azionato.

Due dovevano essere i campi di battaglia, Napa e Trunks da una parte, Vegeta e suo padre da un’altra. Esplosioni e crolli di magazzini si susseguivano su due ampi fronti, anticipando la distruzione che di lì a poco avrebbe coinvolto l’intero pianeta.

Tra 34 minuti il primo frammento di asteroide avrebbe raggiunto Neo-Vegeta, l’altro lo seguiva a distanza di pochi minuti.

Bulma osservava impaziente l’orologio, mentre la piccola Bra era in preda ad una delle peggiori crisi di pianto di tutta la sua breve vita.

Aveva fame ed il pannolino sporco acuiva la sua insofferenza. Non poteva immaginare che suo padre era intento ad affrontare una delle peggiori battaglie mai affrontate prima e che per il momento l’esito di essa lo vedeva in sfavore.

Vegeta si risollevò dal cumulo di macerie che lo aveva seppellito. Sputò a terra e si asciugò col dorso della mano il rivolo di sangue che fuoriusciva dal labbro.

Non si meravigliava dell’incredibile forza di suo padre e sapeva che era ancora poco quello che gli stava mostrando. Eppure non si sentiva affatto sconfitto, da tempo i suoi muscoli non conoscevano simili contrazioni e per il momento l’esaltazione dello scontro gli trasmettevano l’energia sufficiente a respingere i suoi assalti e a rialzarsi da quelli sotto cui soccombeva.

Tornò a rigettarsi contro il clone, contro quell’uomo che nulla mai aveva rappresentato per lui, neanche quando era certo che fosse sangue del suo sangue.

Era ormai nel pieno di quel confronto corpo a corpo quando si sentì afferrare la coda:

“Non sei degno di portare quest’attributo, sei divenuto un terrestre ed i terrestri non hanno la coda!” disse strappandogliela con un colpo secco.

Vegeta emise un urlo simile ad un latrato, mentre la sua coda si ritorceva a terra nell’ultimo spasmo. Riuscì di nuovo a risollevarsi e a guardarlo con quel ghigno provocatorio che aveva assunto fin dall’inizio della battaglia:

“Cosa hai da ridere?”.

Il figlio scoppiò in una risata più fragorosa.

“Smettila! Adesso ti faccio vedere io se hai ancora tanta voglia di ridere!”.

Il sovrano raccolse tutta la sua potenza nell’energica ringhiata che eruttò dalla sua bocca. Di luce ulteriore avvampò la sua chioma e si irradiò il suo corpo teso.

“Finalmente…” sibilò a danti stretti Vegeta, osservando la trasformazione in super-saiyan ti terzo livello di suo padre.

“Non mi sembri molto sorpreso…” commentò il sovrano sfoggiando la sua nuova potenza.

Era ciò che Vegeta attendeva, il raggiungimento di quello stadio che già aveva avuto modo di osservare e studiare in Goku anni prima nell’indimenticabile scontro contro Majin-Bu.

Sapeva che quello stadio richiedeva un immane dispendio di energia e che riuscire a prolungare il combattimento sarebbe stato l’unico mezzo per ridurlo alla spossatezza e condurre l’esito della battaglia a suo favore. Il problema adesso era solo riuscire a resistere ai suoi attacchi, che inevitabilmente sarebbero divenuti micidiali.

“Trunks…Vegeta…muovetevi…vi scongiuro…” supplicò Bulma a voce alta. Ed era piena di disperazione la sua voce: sette minuti mancavano ormai all’impatto del primo meteorite su Neo-Vegeta.

Ma impegnati com’erano a combattere, nessuno dei quattro guerrieri si accorse del vento che sibilava sinistro, come preludio di un imminente catastrofe, né la terra che prendeva a tremare.

Solo un enorme boato interruppe il sovrano dall’assestare l’ennesimo colpo contro il figlio, forse quello di grazia.

Qualcosa esplose nel cielo purpureo, tempestandolo di una miriade si scintille che caddero al suolo come pioggia infuocata.

Dell’enorme pianeta che dall’origine dei tempi signoreggiava nella galassia restarono solo polvere e detriti roventi, spazzati via dal vento stellare insieme alla stirpe rediviva del glorioso popolo dei saiyan. Il sovrano assistette impotente alla distruzione del suo sommo impero e al naufragio dei suoi sogni di gloria.

Afferrò con violenza Vegeta per il collo:

“In quelle dannate lettere dicevi che sarebbe esploso tra un mese!”.

Lui rise ancora, con gli ultimi respiri che gli restavano:

“E lo spettacolo non è ancora finito, tra pochi minuti salterà in aria anche questo…”.

“Maledetto!” bestemmiò il padre lanciandolo contro un cumulo di macerie e correndo via, alla ricerca della sua navicella.

Vegeta tentò di risollevarsi, invano ricadde ancora a terra:

“Papà!” la voce di suo figlio lo raggiunse quando era sul punto di credere che mai più l’avrebbe ascoltata.

Il ragazzo tentò di soccorrerlo, ma:

“Lasciami stare!” gli intimò Vegeta rialzandosi a tentoni e sputando ancora sangue a terra.

“Dov’è Napa?”.

Trunks gli annunciò orgoglioso di averlo battuto.

“Allora…ascoltami…devi raggiungere subito tua madre e tua sorella e partire via da qui…non c’è tempo da perdere…”.

“Ma tu? Come farai a raggiungerci?” sembrava irremovibile ad andarsene senza di lui.

“Obbedisci Trunks!”.

“Aspetta…” si frugò tra le tasche, prendendo una capsula “…questa è la navicella che la mamma è riuscita a recuperare da un deposito…”.

Vegeta la prese in mano e se la nascose sotto l’armatura.

“Adesso muoviti…” gli disse infine.

Trunks corse via a mettere in salvo sé stesso e le donne della sua famiglia.

Vegeta intanto riuscì a scorgere il padre nell’affannata corsa verso l’unico mezzo di salvezza rimasto su tutto il pianeta.

Raccolse in una mano l’energia che era riuscito ancora a preservare:

“Non ti salverai…questo pianeta sarà la tomba per entrambi…” decise, lanciando la sfera e disintegrando l’astronave.

Questo avvenne a meno di tre minuti dall’impatto del secondo meteorite. Vegeta si apprestò a riprendere il round finale, rinvigorito dal vedere suo padre ormai affaticato dall’eccessivo dispendio di energia.

“Bastardo! Non dovevi distruggerla!”.

Quando gli urlò contro questo, la fluente chioma del super-saiyan di terzo livello aveva lasciato posto alla consueta capigliatura ed i suoi occhi erano divenuti neri come la morte più che imminente.

Vegeta lo raggiunse ad assestargli una serie rapida di pugni violenti nello stomaco ed il sangue che ne sgorgò gli andò diritto in faccia. Non sapeva a cosa sarebbe valso ucciderlo, consapevole che ormai la morte avrebbe preso anche lui. Eppure aveva ancora la speranza di riuscire a raggiungere Bulma ed i suoi figli prima che partissero. E fu con quell’intenzione che si mosse, quando il padre cadde al suolo privo dei sensi.

Forse non era ancora tutto perduto…

Distrutto nel fisico, con una gamba claudicante, una spalla sanguinante, rotolò giù per il pendio scosceso, trascinandosi verso la Torre di controllo, dove sperava si trovasse ancora la navicella.

Di nuovo il vento sollevò la coltre rossastra di polvere che gli accecò la vista e lo fece avanzare cieco per alcuni metri.

“Vi prego…aspettatemi…non mi abbandonate…” cadde ancora e si risollevò “…io…non voglio morire qui…”.

Ma la navicella si era già issata in volo, Trunks era partito come gli era stato perentoriamente ordinato.

Cadde in ginocchio, piegato dall’ingiusto destino di morte. Per la prima volta aveva paura. Non era pronto a morire, non era impavido come lo era sempre stato. Afferrò la polvere dell’arido suolo, dove una lacrima scivolò solitaria.

La terra sussultò sotto di lui, il vento divenne sferzante, il cielo si oscurò.

L’apocalisse era giunta, ma qualcosa di invisibile, come un fantasma, lo sottrasse ad essa…

 

* * *

 

La navicella era pronta. Sarebbe bastato premere un pulsante per lasciare l’atmosfera di quel pianeta condannato alla distruzione e salvarsi la pelle. Ma Vegeta e Trunks erano ancora lì e Bulma aveva già deciso cha sarebbe stata anche la sua tomba quel suolo arido, se loro due non l’avessero raggiunta. Non era la prima volta che combatteva contro lo scorrere inesorabile dei minuti su un pianeta sul punto di collassare, ma era la prima volta di certo che preferiva la morte ad una vita vissuta senza di loro.

“Mamma!”  la voce di Trunks la raggiunse in lontananza.

Vide il ragazzino entrare nella navicella, chiudere lo sportello e sedersi come un forsennato ai comandi.

Vegeta non era con lui. Bulma tentò per un istante di capire cosa questo significasse, ma Trunks aveva dato carburante ai motori e l’astronave decollò lasciandole a stento il tempo di urlare:

“Trunks! Cosa stai facendo?!”.

La navicella abbandonò l’atmosfera imporporata del pianeta, per incontrare quella buia e silenziosa dello spazio:

“Trunks…” lo chiamò piano la madre riprendendosi dal micidiale decollo “…perché…perché sei partito?” domandò tremula, come se fosse sul punto di piangere “…perché tuo padre non è con te?”.

“Tranquilla, mamma, vedrai che papà ci raggiungerà presto, gli ho dato la capsula della navicella che tu sei riuscita a recuperare…” le comunicò fiducioso che tutto sarebbe andato al meglio.

Ma Bulma non condivise quel suo ottimismo, quelle parole ebbero il sibilo di un dardo esploso all’altezza del cuore:

“No…” scoppiò a piangere “…quella navicella…” singhiozzò senza fiato “…mi ha detto che non aveva il carburante…”.

Trunks sentì un groppo formarsi nella gola.

E così suo padre gli aveva mentito solo per lasciarlo andare…

“Dobbiamo tornare indietro Trunks…” si aggrappò al figlio “ti supplico…dobbiamo salvare tuo padre…”.

“E’ tardi ormai…”.

Bulma vide dall’oblò la roccia incandescente dirigersi verso il pianeta:

“No…”.

Il figlio la strinse a sé, costringendola a nascondere il viso contro la spalla per non vedere:

“Non guardare mamma…papà ha fatto tutto questo solo per salvarci…”.

“Nooo!” urlò lei, straziante, quando un boato esplose nell’immensità dello spazio e fece sussultare la navicella ormai lontana.

“No, Vegeta!” si dibatté tra le braccia del figlio, crollando infine ai suoi piedi.

 

* * *

 

Sentiva ancora sulla pelle i baci che lui le aveva dispensato quella notte…l’ultima notte d’amore…l’ultimo ricordo che le aveva lasciato…ed ora di lui più nulla era rimasto…quel corpo che aveva amato era divenuto polvere spaziale…

Era stato così gentile quando le aveva medicato le ferite…non avrebbe dimenticato quel momento condiviso per il resto della vita…

Ma quale vita l’attendeva ora che la Terra era solo una landa deserta…

Apprendere quella sconcertante verità le aveva arso la gola in un urlo straziante.

Come esuli vagavano nello spazio, senza meta e senza più patria.

Trunks fissava il vuoto davanti a sé, non una lacrima aveva percorso il suo volto ancora glabro: suo padre non avrebbe tollerato che frignasse come una femminuccia.

Solo il pianto silenzioso di Bulma e quello più concitato di Bra interrompevano il silenzio che avvolgeva l’abitacolo.

Poi un pianeta azzurro all’orizzonte…

La Terra era ancora lì e dallo spazio sembrava che nulla di tremendo si fosse consumato sul suo suolo.

Bulma si alzò a guardare anche lei:

“Fermiamoci” disse “è il caso di vedere cos’è accaduto…”.

La navicella fu inghiottita nell’atmosfera celeste del pianeta, atterrando bruscamente in una zona deserta.

Era un pascolo erboso e a valle un gregge di pecore brucava l’erba all’ombra di solide querce.

In lontananza erano visibili i grattacieli delle metropoli ed un aereo percorse il cielo terso sopra di loro.

“Sembra che non sia mutato nulla…” esclamò la donna a bocca aperta.

Risalirono sulla navicella dirigendosi alla volta della Città dell’Ovest, decisi a scoprire fino in fondo se quello fosse solo un sogno meraviglioso.

Eppure nel sorvolare la città, era difficile non accorgersi del brulichio sottostante e della vita frenetica che non sembrava mai essersi arrestata.

Non potevano ancora sapere che il vecchio Burdack ed il figlio Radish erano stati clamorosamente sconfitti da Goku al termine di un’ avvincente battaglia e che, magnanimo come sempre, li aveva risparmiati lasciandoli partire.

Padre e figlio avevano fatto sosta su un pianeta per curare le ferite dello scontro, e ripresisi, avevano guadagnato un sostanzioso bottino conquistando altri pianeti e mentendo sulla provenienza del ricavato.

“Non posso crederci…” esclamò Trunks vedendo Goku, Gohan e Goten salutarli dal giardino della Capsule Corp.

“Finalmente siete arrivati!” li accolse Goku, quando scesero dall’astronave “…sapete…non è stato facile prendersi cura di Vegeta in queste lunghe ore. Quando sta poco bene…” si rivolse loro come se stesse facendo una confidenza “…è anche più insopportabile del solito…” ammiccò.

“Vegeta?…” si accigliò Bulma, portandosi una mano al petto.

“Ah, già…” cascò il saiyan dalle nuvole “sono riuscito a prenderlo all’ultimo momento e a teletrasportarlo qui…” spiegò, indicando un uomo fermo all’ingresso della casa, sorretto ad una stampella, con la fronte fasciata ed un braccio immobile.

“Papà!” Trunks e Bulma, con la piccola Bra tra le braccia, corsero verso di lui.

Vegeta restò indeciso sul da farsi, visibilmente imbarazzato dalla calorosa manifestazione d’affetto, riuscì solamente a dar loro le spalle…come sempre.

 

Fine

 

Lilly81

 

 

 

 

 

 

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