Follia

di Mina7Z
(/viewuser.php?uid=95194)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***



Capitolo 1
*** 1 ***



Follia

  
 


Ti  attiro a me con forza. Bruscamente, senza troppi preamboli.
Catturo il tuo capo con le mie mani, riduco la distanza tra i nostri corpi.
E così vicina la tua bocca alla mia adesso che mi sembra di percepirne il calore.
Lo sento, il tuo alito bollente, che fugge da queste labbra piene che trovo dischiuse e mi soffermo ad assaporarne l’essenza.
Lo voglio nella mia bocca, il tuo sapore, perché possa lenire ogni mio dolore.
Perché in te possa dimenticare tutto.
Perché possa dimenticare lei.
Il tuo viso contro il mio, sempre più vicino.
Mi perdo nel candore dei tuoi occhi che mi guardano sorpresi.
E sotto il mio tocco ti sento tremare. Fremere.
E io vacillo. Il desiderio di te mi riempie le carni, mi tormenta le viscere.
Mi guardi e io mi perdo sempre più nei tuoi occhi.
Con un dito percorro piano i contorni del tuo viso.
Fino a solcare le rotondità della tua bocca.
Ma le mie mani tremano. Per l’emozione. Per il desiderio.
Chiudo gli occhi e mi faccio sempre più vicino.
Voglio sentire il tuo respiro sulle mie labbra.
Voglio svelare i suoni che di te mi sono sconosciuti.
Voglio udire solo l’armonia dei nostri respiri trattenuti.
Poso la fronte sulle tua. Mi soffermo qualche istante e poi riprendo la mia corsa verso le tue labbra.
E inclino la testa per percorrere con il naso la tua guancia.
Il tuo profumo mi riempie le narici. Esalta i miei sensi.
E’ un odore di donna quello che sento.
Della mia donna.
Ma sei tu che adesso, impaziente, reclini il capo e cerchi di rubarmi un bacio.
Le tue labbra cercano le mie. Ma io ancora ti sfuggo.
Apro gli occhi e sorrido della tua audacia.
E incontro di nuovo i tuoi occhi di fuoco.
Vi leggo il desiderio. Vi leggo l’attesa.
Puoi sentire il battito del mio cuore?
Martella nel petto come impazzito e mi ricorda di essere vivo.
Vivo. Mai come ora.
Mi guardi sorpresa  e imbronciata  mentre sul mio viso è ancora dipinto un sorriso.
Non voglio ridere di te.
Rido perché da oggi la mia vita finalmente cambierà.
Rido del mio amore per te.
Rido sulle tue labbra tremanti.
Rido per troppa felicità.
E poi le bacio, le tue labbra, insinuandomi nel profondo con impazienza.
Catturo la tua lingua con la mia. 
E la terra sembra sgretolarsi  sotto i  miei piedi.
Mi aggrappo a te mentre mi sembra di cadere nel vuoto.
Intorno a me, gli oggetti si animano,  le fiamme del camino  sembrano avvolgere i nostri corpi.
Mi stacco dalle tue labbra per pronunciare il tuo nome.
Ansimo sul tuo viso. Perché non posso più  respirare se non sono nella tua bocca.
Alzi piano le mani e imprigioni i miei capelli tra le tue dita.
Mi attiri a te. Percepisco il desiderio che muove le tue azioni.
Sono di nuovo nella tua bocca. Sempre più a fondo, mi spingo in te.
Assaporo il tuo gusto.  
Bevo il tuo sapore.
Sei la mia donna.
E percorro il tuo corpo tremando.
Sotto le mie mani le tue vesti scivolano via.
Ti lasci spogliare e non distogli lo sguardo dia miei occhi.
Sei complice di questo folle gioco che questa sera muterà le nostre vite.
Sfilo piano i vestiti e li adagio senza cura ai nostri piedi.
Nuda, dinnanzi  a me. Nessun timore nei tuoi occhi.
Nessun pudore che possa svelare la tua paura.
E io resto immobile a osservare il tuo corpo.
La tua pelle assume  il calore rosso delle fiamme e si veste di  fuoco.
Sbatto le palpebre. Deglutisco. Sei un sogno?
Dio mio, dimmi che è vero.
Dimmi che è mia.
Ritorno da te e vacillo. Di nuovo.
Nella tua bocca ritrovo me stesso. Sulla tua pelle mi perdo e mi ritrovo ad ogni tocco.
Ad ogni carezza.
Percorro piano il tuo corpo. Le mie mani tremano.
Ansimi sotto le mie carezze e vedo i tuoi seni gonfiarsi ad ogni respiro.
Come puoi essere così bella?
Come puoi essere mia?
Reclini la testa all’indietro quando senti la mia lingua percorrere piano il tuo collo, assaporandone l’aroma.
Non freno la mia corsa e scendendo trovo i tuoi seni. Ne percorro i contorni, gioco con i capezzoli che si fanno sempre più turgidi ad ogni tocco.
Sto impazzendo.
E tu con me.
Ti sento vibrare. Ti sento tremare.
Continuo la discesa, fino al ventre.
Catturo di nuovo le tue labbra mentre  mi addentro tra le tue cosce.
Gemi sulla mia bocca e inarchi  la schiena.
Mi sollevo sul tuo viso e ti scopro con gli occhi chiusi.
Il seno si solleva impazzito, mosso dai battiti del cuore
Sei nuda sotto di me.
Sei indifesa. Eppur così donna.
La mia donna.
Mi attiri a te mentre con le mani cerchi di liberarmi dai vestiti.
Ti facilito il compito e mi sollevo togliendo velocemente ogni indumento.
Non ci sono più barriere tra di noi adesso.
Sei impaziente e mi attiri sul tuo corpo, allargando le gambe e accogliendomi su di te.
Mi spingo in te trattenendo il respiro.
Potrei morire in questo momento.
In questo esatto momento.
E tutto, allora, avrebbe avuto comunque un  senso.
Ogni respiro. Ogni sospiro.
Ogni lacrima. Ogni dolore.
Potrei dissolvermi nella tua carne come la nebbia alle prime luci del mattino.
E ingrazierei Dio per ogni attimo passato con te.
Mi fermo  un istante per vedere il tuo volto.
Sento le tue unghie impresse nella carne.
Sono come scie di fuoco che mi accendono i sensi.
“Andrè… non fermarti”.
E allora non mi fermo.
Continuo la mia corsa dentro di te.
Entro ed esco dal tuo corpo impazzendo ad ogni spinta.
Continuo ad amarti .
Continuo a vivere in te.
Finchè avrò vita.
E’ il tuo amore che mi ha salvato dall’oblio.
E’ il tuo coraggio che mi ha ricondotto alla  ragione.
Perché non c’è vita senza di te.
Assecondi ogni mio movimento con un’audacia che non conosco.
Siamo nati per amarci.
Ora lo so davvero.
Trattieni il mio corpo dentro di te.
Siamo una cosa sola. Lo siamo davvero.
E lo saremo per sempre.
Oh si…Sei la cura alla mia follia.







 
C’è una lei. E c’è una donna che sta  amando un uomo. Ma forse niente è come  sembra e tutto può  essere.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


Follia




Non dormirò questa notte.
Non lascerò che le tenebre mi portino via da te.
Che l’immagine del tuo corpo  svanisca dai miei occhi.
In questa stanza che mi è ancora estranea, il silenzio inghiotte ogni rumore.
Solo il tuo respiro compare, leggero e regolare, a spezzare la magia della notte.
E sento i battiti del tuo cuore, amore.
Dormi distesa accanto a me e io non riesco a distogliere lo sguardo da te.
Mi sazio del tuo corpo ancora nudo e il mio cuore non riesce a ritrovare il suo ritmo regolare.
Riparte, impazzito, ogni volta che le immagini della nostra notte insieme mi occupano la mente.
E vorrei fermare il tempo.
Fermare i battiti del mio cuore.
Vivere questa notte per tutto il resto dei nostri giorni.
Vivere dei tuoi respiri.
Vivere del tuo amore.
Con un dito percorro lentamente e senza toccarle quelle parti che di te mi sono più vicine. Non voglio destarti dalla profondità del tuo sonno.
Seguo piano i contorni della spalla, discendo fino al braccio adagiato sul mio torace e riprendo il cammino fino a lambire le tue natiche.
Poi ripercorro il tuo corpo, ancora una volta, sfioro il seno scoperto e arresto la mia corsa sulle tue labbra.
Le nostre gambe incrociate in una morsa, il lenzuolo a coprire solo parte dei nostri corpi.
Ti aggrappi a me come se temessi di vivere un sogno che al mattino sfuma evanescente.
Ti stringi a me per non lasciarmi andare.
Ma io non me ne andrò mai più da te.
Mai più.
Pazzo.
Come ho potuto credere di poter vivere senza di te?.
Folle  al punto di strapparmi il cuore dal petto e gettarlo nel fuoco.
Folle, perché non è vita senza di te.
Folle, nel mio  ostinato bisogno di  lei.
Inalo aria e trattengo il respiro mentre il mio cuore riparte impazzito.
Come  è cominciato tutto questo?

 
 

 
La mia vita con Oscar.
Il mio amore per lei.
E’ sorprendente come io riesca a ricordare il momento esatto in cui compresi chiaramente che il sentimento che mi legava a lei non era solo affetto, amicizia, complicità.
Ricordo con precisione l’istante nel quale una fitta al cuore e una morsa nelle viscere  scosse il mio corpo al punto di sentirmi sprofondare sotto il peso del mio cuore e, al contempo, tanto leggero da pensare di potermi alzare in volo.
Avevo dodici anni e lei undici e un pomeriggio ci ritrovammo a subire, insieme, le furie di un orribile  precettore.
Monsieur Husky era stato scelto dal Generale come nostro insegnante per la sua impareggiabile conoscenza del greco e del latino, nonostante le origini tedesche. Ricordo la sua faccia come se l’avessi di fronte in questo momento. Quel naso minuscolo, quegli occhi sporgenti, quel viso tanto grinzoso e flaccido da fargli assumere sembianze animalesche.
E noi, due ragazzini troppo annoiati da una vita fatta di regole perché potessimo perdere l’occasione di gettare su quel volto un po’ di ilarità.
Troppo ingenui per non prevedere le conseguenze di un gioco innocente.
“Uffa Andrè, tra dieci minuti arriva il precettore. Non ho proprio voglia di sorbirmi due ore di lezione. E poi oggi vuole spiegare il latino. Non lo sopporto proprio”.
“Già… e poi mi fa paura, se te la devo dire proprio tutta, non mi piace per niente”.
Nella stanza dello studio parlavamo di quel maestro che entrambi non sopportavamo.
“Si, in effetti fa un po’ paura. Sarà per quelle decine di  pieghe che si ritrova sulla faccia. Lo fanno assomigliare a una borsa… o ..no…sembra un cane, Andrè, non ti pare?”. Oscar aveva alzato la voce e rideva.
“Un cane, Andrè….del resto si chiama Husky…come avrebbe potuto chiamarsi diversamente!”. Rideva a crepapelle, Oscar.
“Anche se Shar pei sarebbe stato un cognome più consono, non ti pare?”.
Eravamo così impegnati a ridere, piegati su noi stessi,  e a tenerci le pance che dolevano per le troppe risate che non ci siamo accorti che Monsieur Husky era entrato nello studio e in silenzio aveva ascoltato le nostre idiozie sul suo conto.
Lo abbiamo sentito ruggire, improvvisamente e così forte, che siamo rimasti impietriti di fronte a lui.
“Oscar Frannçois, vi farò smettere io di ridere”.
L’ho visto afferrare Oscar per un braccio e trascinarla verso il divano rivestito di broccato prezioso.
L’ho visto brandire la bacchetta che usava per darsi un tono e vibrarla violentemente contro di lei, prima sulle sue mani e poi sulla schiena, dopo averla fatta stendere sopra le sue gambe.
Ma non ho sentito nemmeno un lamento venire dalla sua bocca. Nessuna lacrima è uscita dai suoi occhi celesti. E non ha implorato pietà, non ha chiesto perdono.
Ricordo di essere dapprima rimasto impietrito davanti a quella scena. Tremavo, mentre avrei solo voluto strapparla dalle braccia di quel mostro. Ma per un tempo che mi sembrò interminabile, non sono riuscito a muovere neanche un muscolo.
Avrei voluto che quei colpi fossero inferti al mio corpo. Avrei voluto fare mio il suo dolore.
Avrei voluto urlargli di non toccarla, ma la voce mi moriva in gola.
E poi, davanti a lei che stringeva gli occhi a ogni percossa, la voce finalmente è arrivata. E ho iniziato a gridare, di lasciarla, di non permettersi di toccarla più. E l’ho raggiunta e ho cercato di fermare quei colpi.
Monsieur Husky ha lasciato la presa e ha afferrato me, urlando che avrei avuto la stessa lezione di Oscar, però le frustate sarebbero state dieci volte di più, perché io non ero nobile, ero solo un servo, e meritavo una punizione esemplare.
E allora, mentre sentivo le frustate sulla carne, ho chiuso gli occhi e ho soffocato qualunque grido. Come aveva fatto lei.
E poi, dopo avere sferrato innumerevoli colpi, ha mollato la presa ed è corso a chiamare il Generale. Sentivamo in lontananza le sue grida agitate.
E per i pochi istanti che siamo rimasti soli nella stanza, ci siamo ritrovati vicini. Gli occhi di lei fieri e colmi di rabbia.”Mi dispiace Andrè. E’ stata  tutta colpa mia, dirò a mio padre che tu non centri, di non punire anche te”.
“No Oscar, non farlo. Se tu avrai una punizione è giusto che ce l’abbia anch’io, non ti pare?”.
L’ho guardata in viso. Ho osservato con emozione quei meraviglioso volto arrossato  e poi l’ho abbracciata forte. Sentivo i battiti del suo cuore riempirmi il petto.
Avrei voluto tenerla stretta per sempre.
“Non ho pianto, sono stata forte”.
“Già”
“Credo che ci separeranno per un po’. Faccia da cane chiederà vendetta”.
L’aveva detto ridendo e io non potei che stringerla più forte.
“E allora io ti penserò sempre Oscar”.
“Anch’io Andrè”.
 

Ci tennero lontani per dieci giorni. Un tempo interminabile, infinito.
Lei fu confinata in camera sua, con il divieto di suonare il pianoforte e con l’obbligo di studiare tutto il giorno.

Devo a Monsieur Husky  la scoperta del mio amore per Oscar. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 ***


Follia 


 

 

Io e Oscar.
Un servo e la padrona.
Un figlio del popolo e una nobile.
Due amici indissolubilmente legati da un affetto profondo.
Ma il mio amore per lei cresceva dentro di me. Cresceva, giorno dopo giorno, mentre vedevo il mio corpo  mutare, modificarsi, fino ad assumere le sembianze di un uomo.
Più le mie gambe si allungavano, più i muscoli scolpivano il mio corpo, più sentivo che quell’amore per lei stava invadendo ogni fibra del mio essere.
L’ho vista crescere, quella ragazzina bionda, l’ho vista diventare donna. Una  magnifica donna. Ricordo le prime  notti insonni trascorse pensando a lei, quando il mio amore  di bambino si andava trasformando in qualcosa di diverso, di sconvolgente.
Quando sognavo di posare piano le mie labbra sule sue, rapito dalla curiosità di conoscere il suo sapore.
Quando sognavo di stringerla a me, di accarezzarla dolcemente, di percorrere le linee del suo corpo con le mie mani che si facevano sempre più esigenti.
Arrivavo al punto di immaginare che anche lei ricambiasse il mio amore, che mi dicesse di volere rimanere con me, per sempre, perché non le importava che io non fossi nobile.
Sognavo di andare via con lei, di costruirci un futuro insieme. Avremmo riso, finalmente, liberi di volerci bene e di vivere una vita felice.
Sognavo ad occhi  aperti un futuro irrealizzabile.
E poi, al mattino, la incontravo e abbassavo gli occhi incrociando il suo sguardo, convinto che potesse leggere sul mio volto il desiderio che nutrivo per lei e che aveva accompagnato la mia notte. E ogni volta  mi sentivo sempre più in colpa, come se amarla e desiderarla fosse un po’ tradire la nostra amicizia.
Non credo che si sia mai resa conto di quanto fosse bella. A palazzo Jarjayes tutti sembravano impegnati ad assolvere lo strano compito assegnato dal Generale, a recitare le loro parti, per costruire una menzogna intorno a quel corpo di donna che doveva diventare l’erede del casato.
Quanta responsabilità data a una bambina bionda costretta a indossare i panni di un maschio. L’ho osservato mille volte quell’uomo cercando sul suo volto le ragioni di tanta follia.
Perché non può essere che pura follia costringere una donna a indossare una maschera per tutta la vita. Anche se, a pensarci bene, tutti prima o poi, chi più chi meno, indossiamo una maschera.
Follia negare a una bambina di giocare con una bambola.
Follia pensare di indurre una figlia a rinnegare la propria natura.
Può l’onore del casato spingere a tanto egoismo? Eppure sono convinto che in cuor suo il Generale voglia  bene ad Oscar, molto di più di quanto ne voglia alle altre figlie. Bene come forse solo ad un maschio lui può pensare di volerne.
Se un giorno dovessi avere dei figli, amerei maschi e femmine in egual modo. Li amerei  alla follia perché sarebbero figli dell’amore.
Poi, riflettendo sulla mia condizione, un giorno ho pensato che in fondo era solo merito del Generale che io fossi arrivato in quella casa come amico del figlio Oscar. Del resto. è stato solo  grazie a quel folle sogno di perpetrare un nome sull’araldica che quel bambino solo è potuto crescere, studiare, e soprattutto condividere la vita del figlio prediletto.
Cosa sarebbe stata la  mia vita lontano da quel palazzo. Lontano da Oscar?
 
 
“Ti aspetto in giardino, Andrè, vado a prendere le pistole per esercitarci un po, va bene?”.
“Si Oscar, finisco la colazione e arrivo subito da te”. La guardai e le sorrisi. Dio quanto era bella.
Ma non feci in tempo a sollevare la tazza di cioccolata che sentii sul mio braccio la stretta della mano di mia nonna.
“Andrè….ti devo parlare.”.
“….Certo nonna….dimmi”.
Si era fatta molto vicina a me e parlava guardandomi fisso negli occhi. La voce roca, le parole sussurrate con un filo di voce. Il viso adombrato.
“Tu sei in questa casa con il preciso compito di insegnare a madamigella Oscar come si comporta un uomo, come pensa e agisce un  vero uomo..”.
“Ma certo…io..”.
“Se qualcuno dovesse pensare che l’affetto che nutri per lei si stia trasformando in qualcos’altro, non esiterebbero a metterti alla porta in due minuti”.
Ero rimasto senza fiato.
“Non puoi permetterti di nutrire altri sentimenti che non siamo amicizia e rispetto per lei, Andrè, perché tutti i nostri sacrifici per avere una vita migliore sarebbero sprecati. E tu non avresti più un futuro roseo”.
“…Ma..ma….io.”.
“Non c’è un ma, Andrè…. io lo vedo come guardi madamigella. Non sono ancora così vecchia da non capire certe cose.  Io  comprendo che tu possa provare affetto per lei, ma ti scongiuro di cancellare immediatamente qualunque altro sentimento. Perché soffriresti inutilmente, ragazzo mio”.
Non riuscivo più a respirare.
“Senza contare che il tuo atteggiamento finirebbe per danneggiare anche lei.  E’ ancora così giovane, maneggia le armi con sicurezza ma è inesperta in questioni di..cuore..mi capisci vero? Io non vorrei mai che lei fosse  …compromessa.. in qualche modo a causa del vostro rapporto…della vostra vicinanza”.
Continuava a stringermi un braccio e io non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Fissavo, senza vederlo, il tavolo della cucina, mentre nella mia mente si facevano spazio i pensieri che avevano accompagnato la mia notte di immaginaria passione.
“E poi.. io credo che un giorno, fra qualche anno, il Generale cambierà idea sul conto di Oscar e finirà per darla in moglie a qualche nobile signore, come ha fatto con le  altre figlie.  Per i nobili  stingere alleanze con il vincolo matrimoniale  è fondamentale e credo che prima o poi il Generale si pentirà della scelta che ha fatto con Oscar. E allora dovrà sposarsi, non potrà disobbedire alla volontà del padre.”.
“…C..cosa?”.
Un tonfo al cuore, una morsa che legava lo stomaco e i denti stretti per impedirmi di urlare.
“Io ne sono convinta, Andrè”.
“Ma santo cielo…cos’è Oscar, una cosa di cui quell’uomo può disporre a piacimento…le nega una vita da donna, la costringe ad allenamenti massacranti…per poi….darla in sposa……chiederle di dimenticare tutta la sua infanzia, la sua educazione….ma come  potrebbe fare una cosa simile….”.
Mia nonna sospirava visibilmente emozionata, cercando mi mantenere il solito piglio severo.
“Non innamorarti di lei, tesoro, saresti destinato a soffrire, comunque. L’amore tra nobili e servi non è possibile, ragazzo mio, tu sei ancora troppo giovane per comprenderlo, ma devi fidarti del mio giudizio. Io sono vecchia e di queste cose ne ho viste per una vita intera”.
“Oh…nonna…”
“Quando troverai un brava ragazza e te ne innamorerai, ti renderai conto  che solo tra simili un futuro insieme è possibile e allora mi darai ragione. E un giorno, anche tu, potrai avere una famiglia tua….dei figli…e sarai felice”.
“….Io non voglio una brava ragazza…io non voglio  una qualunque…. “.
Con il viso di mia nonna a pochi centimetri dal mio, faticavo a trattenere il magone che sentivo stava per impadronirsi di me, soffocandomi piano piano. Cercai di trattenere il fiato più a lungo possibile, sperando che si allontanasse in fretta e mettesse fine a quella tortura.

“Andrè ma dove sei finito, ti aspetto da un quarto d’ora! Ma ti sbrighi?”.
Il viso impaziente di Oscar fece capolino oltre la porta della cucina, mentre il mio cuore batteva impazzito nel petto.
“…Oscar…”..Il suo nome  mi moriva in gola.
In giardino, con lei sorridente al mio fianco, non riuscivo a togliermi dalla testa le parole di mia nonna. Un giorno, forse, si sarebbe sposata davvero, e io non avrei più fatto parte della sua vita.
L’avrei vista lasciare quella casa, vestita da sposa, una meravigliosa creatura in abito bianco, data in moglie a un uomo qualunque, che non la conosceva, che non la amava, che avrebbe solo apprezzato la sua bellezza. Che  l’avrebbe trattata come un trofeo. Che le avrebbe dato degli ordini, negato la libertà. Che avrebbe posseduto il suo corpo innocente.
E mente sparavo e colpivo il bersaglio, teso e affranto, avevo la sensazione che quella bottiglia che avevo appena colpito e mandato in pezzi grazie alla precisione  millimetrica della mia mira, fosse esattamente come il mio cuore.
Infranto, andato in frantumi, spezzato, inerme, colpito da eventi superiori, incontrollabili, ineludibili.
Avrei forse potuto tentare di  smettere di amarla.
Avrei soffocato i miei sentimenti.
Non le avrei mai rivelato il mio amore.
Avrei fatto a brandelli il mio cuore a condizione che nessuno osasse portarla via da me.
 

 





Note:

Anche  in questo capitolo non si spiega l’enigma di chi sia o cosa sia la donna nel letto di Andrè – perché è di Andrè che si tratta, almeno di questo vi do conferma.
Ci sono forse altri indizi per spiegare cosa accadrà in seguito???
Mi ha fatto un piacere enorme vedervi interessate alla mia storia, le vostre interpretazioni mi hanno divertito tantissimo, avete una fantasia che va al di là
della mia….un abbraccio forte  a tutte.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 ***


Follia

 

Sorrido quando sento le tue labbra pronunciare parole che non comprendo.
Tendo il mio orecchio verso la bocca, mi avvicino e con la fronte corrucciata cerco di capire se l’insieme di quei suoni abbia davvero un senso.
“…..An…Andrè….An…”.
Ho un tonfo al cuore mentre le mie labbra si piegano nuovamente in un sorriso che questa sera non vuole proprio cessare.
E’ il mio nome quello che chiami nel sonno, che pronunci con un filo di voce.
E’ il mio volto quello che stai sognando in questa notte d’estate.
Mi sollevo un istante da te per afferrare il lenzuolo e coprire i nostri corpi ormai raffreddati.
Ma il tuo sonno è  diventato agitato, ti stringi a me ancora più forte mentre sento il tuo viso andare ad occupare l’incavo del mio collo, proprio  nello spazio tra il capo e il cuscino.
E allungo piano una mano raccogliendo poi il tuo corpo tra le mie braccia, senza più timore di svegliarti e subito sento che stretta a me, il tuo respiro ritorna a essere regolare.
“Amore mio”. Lo dico sottovoce e poi lo ripeto un po’ più forte e pronuncio il tuo nome.
 
 

 



 

  
“Incontrerai una brava ragazza…..potrai avere dei figli…essere felice..”. Le parole di mia nonna mi martellavano in testa come impazzite ogni volta che pensavo al mio futuro.
Stringevo i pugni con rabbia ma poi mi lasciavo prendere dall’aspetto più giocoso delle previsioni di Nanny e con una smorfia beffarda mi chiedevo quale delle donne che  mi circondavano sarebbe potuta essere, secondo lei, la donna adatta a me.
Una cameriera di casa Jarjayes? Sconveniente, pensavo.
Una cameriera di Versailles, ipotizzavo. No, i pettegolezzi a corte viaggiano veloci.
Una fioraia? Una libraia? Avrei mai potuto essere felce con una donna qualunque?
Ridevo all’idea di una improbabile unione con una di quelle fanciulle che incontravo ogni giorno. Ogni tanto mi soffermavo ad  osservarle divertito Avrei trovato l’amore tra le  braccia di una mora? Di una rossa forse? E come sarebbe stata la mia futura sposa, prosperosa e accogliente? Magra e slanciata? Spigliata ed estroversa o timida e riservata?
E mentre le osservavo sorridendo delle mie strampalate ipotesi, mi accorgevo degli sguardi compiaciuti e complici che spesso le ragazze mi rivolgevano, ricambiando con un sorriso più o meno audace.
E allora perché non capitolare tra le braccia di una giovane dai nobili natali? Non avrei certo avuto un futuro con lei, ma il mio orgoglio di servo sembrava trarre giovamento da tale fantasia.
Ma i pensieri duravano una frazione di secondo perché nell’istante in cui i miei occhi si posavano su Oscar, ogni altra donna al mondo svaniva miseramente, cancellata senza remore in una frazione di secondo.
Lei. Solo lei. Sempre lei.
E il mio cuore ripiombava in un baratro  senza fine dal quale non vedevo vie di uscita.

 
Spesso mi recavo a Parigi da solo, senza Oscar. Cavalcavo piano percorrendo le strette vie della città sempre affollate ad ogni ora del giorno.
Vedevo la vita scorrere davanti ai mie occhi. La povertà di una città stanca e sempre più affamata, gli odori nauseabondi che si facevano via via più acri avvicinandosi al centro, troppo affollato perché l’aria non risultasse impregnata degli effluvi di una fogna a cielo aperto. Non che l’odore che si respirava a corte fosse molto migliore, era semplicemente un puzzo più ordinato, più consono e rispettoso dell’ambiente circostante e dei nobili olfatti che popolavano il palazzo.
E quando calava la sera e si faceva ormai buio, spesso mi infilavo in una locanda a mangiare qualcosa e soprattutto a bere. Solo poche volte arrivavo al punto di ubriacarmi e lo facevo quando il pensiero di Oscar mi diventava insopportabile.
Volevo togliermi dalla testa i suoi occhi celesti, strapparmi dal cuore la sua risata cristallina. Volevo affogare  nel vino il mio amore impossibile.
Una sera, alla “ La Bonne Chance”, fissavo immobile il vino rosso riempire il bicchiere che stringevo tra le mani.
“Ehi, vuoi anche del pollo da affogare nel vino?”.
“Alzai lo sguardo e mi accorsi che la cameriera si stava rivolgendo proprio a me. La  guardai un po’ intontito.
“Del pollo, da mangiare con il vino…non puoi bere e basta, non ti pare? Non è caro….ed è buono, fidati”.
Le risposi distrattamente. “Si, va bene”.
“Non ti hanno insegnato a dire grazie? Eppure noi francesi siamo un popolo educato, dopo tutto, hai dimenticato le buone maniere?”.
“si, scusa…..grazie…”.
“Così va meglio…”.
Tornò velocemente dietro il bancone e poi si infilò in cucina.
Girai la schiena aspettando di vederla ricomparire nel locale.
Non riuscivo a ricordare bene neanche il colore dei suoi capelli.
Dopo un po’, quando ero ritornato a voltarmi verso il tavolo, vidi un piatto fumante posizionarsi proprio sotto il mio naso.
“Mangialo tutto, non si sta in piedi  solo con tutto quel vino in corpo”.
“Grazie”. Lo dissi con un filo di voce e questa volta alzando lo sguardo  mi soffermai a osservare la ragazza.
Profondi occhi blu illuminavano un bel viso incorniciato da folti capelli castani, parzialmente raccolti sulla nuca, mentre alcuni boccoli ricadevano sulle spalle. La fissai per alcuni secondi, senza sentirmi in dovere di distogliere lo sguardo da lei.
Mi sorrise e tornò  a servire altri clienti.

Passava da un tavolo all’altro con passo leggero, m ostrando un portamento molto grazioso. La sentivo ridere, di tanto in tanto e scherzare con alcuni clienti.
Finita la cena, mi soffermai di nuovo a osservarla, incuriosito dall’allegria che sembrava creare intorno a sé.
“Aurore….. vinei qui”. Sentii chiamarla dal locandiere che le passava altri calici di vino da portare ai tavoli.
Terminai di mangiare ma non me ne andai via subito come facevo di solito con il desiderio di rientrare a casa, furtivamente, sperando di non incontrare Oscar evitando di mostrarle quanto fossi sbronzo.
Anche perché quella sera, ubriaco non lo ero proprio.
Rimasi seduto a osservare incuriosito la ragazza della locanda.
“Posso farti compagnia?”, senza aspettare la mia risposta, la ragazza si sedette al mio tavolo.
“Allora…com’era il pollo?”. Mi guardò ridendo aspettando di ricevere dei complimenti.
“Commestibile..ma ne ho mangiati di meglio, per dire la verità”.
“Mnn….non sei molto gentile con la cuoca… non le farà piacere sapere che il giovanotto più affascinante del locale non ha apprezzato la sua cucina. Ma forse sei abituato a ben altro…tu”.
“Diciamo che sono abituato bene….ma direi che per il posto che è qui…era piuttosto buono …”.
“Mnn andiamo di male in peggio, ragazzo, non ti  é piaciuto il cibo, non ti piace il locale…c'é qualcosa che ti aggrada in questo misero luogo?”.
“Beh..direi che l’unica cosa per cui valga la pena essere qui sei tu….”. Feci una mezza smorfia passandomi un dito sotto il naso, sorpreso e imbarazzato dalla mia audacia. Ma forse era il vino a muovere le mie labbra.
“..Aurore… vero?” le chiesi sorridendo.
 “..Bene bene…vedo che nonostante tu abbia passato la serata a fissare un bicchiere di vino, qualcosa l’hai notato….. Aurore Isabelle Bourgeois”
“Io sono Andrè. Andrè Grandier”.
“Piacere Andrè Grandier, sei di Parigi?”.
“Vivo alle porte di Versailles, lavoro in una casa nobile”.
“Versailles.. non l’ho mai vista, sai? L’hai mai vista la Reggia, Andrè?”.
“Certo, più o meno tutti i giorni da diversi anni a questa parte”.
“Un giorno ci andrò e vedrò con i miei occhi quel palazzo fastoso costruito con il sudore dei francesi e mantenuto grazie alle tasse imposte al popolo”. Aveva parlato alzando la voce, senza  timore che qualcuno potesse considerare oltraggiose le sue parole. Rimasi in silenzio a scrutare  attentamente il suo volto.  Era indubbiamente molto bella e alternava momenti di ilarità a momenti di serietà, contribuendo a creare in me solo confusione.
“Lavori sempre qui?” le chiesi.
“Si, per ora, ma un giorno diventerò una scrittrice famosa”. Lo disse con un’espressione molto seria.
“Una scritttrice…….e cosa scrivi?”. La curiosità nei suoi confronti  stava aumentando.
“Racconti, poesie…….un po’ di tutto, mi mantengo anche così.
 
Le sorrisi di nuovo ma non le chiesi di più su di lei.
“Si è fatto tardi, è meglio che vada, anche se  questa sera tu non mi hai fatto bere e arriverò a casa velocemente” dissi alzandomi in piedi.
“Andrè…”.
Mi chiamò ridendo. “Domani cì  saranno le costolette d’agnello…..perchè non torni?”.
Le sorrisi di nuovo, senza rispondere, e me ne andai.
Non pensavo che  avrei davvero fatto ritorno in quella taverna.
 

  
 



Note:
 Allora, oggi ho fame e si vede…sarà il freddo, l’inverno…. Il buio, ma è tutto il giorno che sogno di mangiare, non agnello e pollo, ovviamente.
Quindi Andrè ha conosciuto una ragazza. L’ha incuriosito, ma non è convinto di tornare in quella locanda.
Grazie a tutte, come al solito e baci.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 ***


Follia 
 
 

 
Ti amo, e te lo ripeterò ogni giorno della mia vita.
Ti amo e il mio amore cresce ad ogni tuo respiro.

Ti amo e il cuore mi esplode nel petto.
Ti amo e quando ti desterai dal tuo sonno sarà il mio amore a farti compagnia, a cullarti dolcemente nel nostro letto, a riempire i tuoi giorni.
Svegliati amore perché possa vedere ancora i tuoi occhi.
Guarda il mio amore perchè in te possa trovare la pace.

 

 







 

 
Ho percorso lentamente la strada che mi conduceva verso casa. Il mio cavallo procedeva pigramente assecondando il ciondolare del mio corpo stanco.
Non avevo alcuna voglia di arrivare a palazzo Jarjayes e se avessi avuto un altro posto dove andare avrei deviato il mio percorso. Incontrarla, sostenere i suoi occhi indagatori che cercavano di scrutarmi nel profondo fissandomi, freddi e distaccati, sarebbe stata una nuova tortura.  Sapevo però che non mi avrebbe chiesto niente sulla mia serata solitaria e che il suo sguardo di ghiaccio su di me sarebbe durato un solo istante.
Ma la lentezza con cui mi indirizzavo verso casa, mal si conciliava con la fretta che avevo avuto nel lasciare la locanda. Qualcosa di indefinibile, una sensazione indecifrabile, mi aveva spinto a desiderare di allontanarmi, di andare via, più velocemente possibile, ma non riuscivo a cogliere il reale senso del mio comportamento. Di cosa avevo avuto timore?
Era stata una serata piacevole, dopo tutto e la compagnia di Aurore piuttosto gradevole.
Mi fermai davanti al cancello del palazzo e osservai il castello ormai inghiottito dall’oscurità. Entrai, ripetei gesti che compivo meccanicamente da diversi anni, lasciai il cavallo in scuderia e entrai in casa.
Non udivo alcun rumore provenire dal palazzo addormentato e mi affrettai a salire le scale che conducevano alla mia camera.
Passando vicino ad uno dei salotti privati, mi accorsi che una luce fioca illuminava ancora la stanza. Entrai e vidi Oscar addormentata su di una poltrona. E il mio cuore perse un battito. E poi un altro ancora.
Ogni giorno della mia misera vita, ogni volta che i miei occhi si posavano sul suo corpo, mi sentivo come risucchiato in un vortice di emozioni che non potevo controllare. Quel languore allo stomaco che attanaglia le viscere, quella sensazione di mancanza di ossigeno, quel senso di vertigine perenne che mi faceva vibrare.
Sotto i miei piedi il pavimento scricchiolava e ad ogni passo che mi portava da lei  avevo il timore di svegliarla. Le fiamme del camino erano ormai spente. Una bottiglia vuota lasciata sul tavolino accanto ad un bicchiere era stata la sua unica compagnia.
Scossi la testa, mi avvicinai ancora di più a lei e mi piegai sulle ginocchia, mettendomi al suo fianco.

“E’ per lui che hai bevuto Oscar? Un bottiglia per dimenticare il bel conte fuggito lontano dal suo amore impossibile?”.

Non eravamo poi molto diversi noi due. Io mi ubriacavo in una locanda di Parigi e lei si scolava da sola una bottiglia nel suo bel castello.

“Che follia l’amore, Oscar, …..che follia”.

Fissavo rapito il suo viso arrossato, posavo gli occhi sulle labbra, così piene e carnose, che di tanto in tanto si dischiudevano in un movimento impercettibile. Il capo abbandonato mollemente sulla poltrona e reclinato da un lato. Un braccio che ciondolava oltre la poltrona le faceva assumere una posizione scomposta.
Trattenendo il respiro, rimasi fermo ad osservarla saziandomi della sua immagine, cibandomi della sua bellezza. Percorrevo con lo sguardo ogni centimetro del suo corpo, partendo dal viso, perfetto e luminoso, per poi scendere lungo il torace, che vedevo sollevarsi ad ogni respiro, fino alle gambe allungate sul parquet. Osservavo la perfezione delle linee del suo corpo, ingordo nel desiderio di riempire i miei occhi di tanta perfezione.
Rimasi immobile e stordito accanto a lei per un tempo indefinibile, spaventato come se quella, per noi, fosse l’ultima notte possibile.
La amavo. La amavo così tanto che avrei rinunciato alla mia vita per avere, anche per un solo istante, il  suo amore.
La amavo, e più i miei occhi erano fissi su di lei, più la mia inquietudine aumentava.
Era un po’ mia, in fondo, quella notte,  come non lo era più da tempo.
E in un  momento di follia, mi feci più vicino al suo viso e accostai il mio volto al suo, tanto da sentire il calore della sua carne.
Chiusi gli occhi mentre percorrevo piano le linee delle guance, soffermandomi poi sopra le sue labbra, attento a non sfiorare la pelle, con il desiderio di perpetrare il mio tocco il più a lungo possibile.
E poi, riaprendo gli occhi, sollevai  lentamente una mano che vidi incerta e tremante sfiorare le linee del suo seno per posarsi su bordo merlato  della camicia bianca.
Sarebbe bastato ancora un istante perché nel mio folle percorso, arrivassi ad addentrarmi in quell’apertura che nascondeva appena il suo seno già libero alle fasce.
Deglutii più volte mentre il fiato mi moriva in gola.
E improvvisamente mi fermai, ritraendo bruscamente la mano e facendone un pugno serrato, come se avessi trovato il fuoco a bruciare la carne.
Il cuore di nuovo in subbuglio, il respiro sempre più affannoso.
Respirai profondamente per riportare in me la calma e dopo alcuni attimi la chiamai per destarla dal sonno.
Pronunciai piano il suo nome, alcune volte, finché vidi i suoi occhi su di me.

“Ti sei addormentata sulla poltrona, è ora di andare  a letto”.

Mi guardò con aria smarrita e poi mi sorrise mentre faticosamente si alzava in piedi.
Non le dissi altro e la vidi uscire dalla stanza e allontanarsi  con passo incerto mentre mi augurava la buona notte.
Rimasi ancora alcuni minuti in quella stanza.
Fissavo la mano con la quale stavo per lambire la sua pelle, terrorizzato dal mio comportamento scellerato.
E allora avrei voluto fuggire da lei, scappare il più lontano possibile, svanire nel nulla per difenderla dal mio amore folle.

L’amavo, si. Ma quell’amore mi stava conducendo alla follia.
Perché era pura pazzia pensare di toccarlo quel corpo.
Pazzia pensare che potesse essere mia.
Pazzia pensare che l’amore non fosse altro che una lunga e sofferta agonia.
 






Nota
Giusto per ricapitolare, la prima parte di questo capitolo la storia è nel presente..Andrè è con una donna….ma non si sa ancora chi sia ..nella seconda ricorda e racconta il passato, ovvero la storia che ci porterà a capire chi è la fortunata che alla fine sarà in quel bel lettone (che invidia).  
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6 ***


Follia



 
Dopo qualche giorno iniziò a nevicare così intensamente da rendere impossibile raggiungere Parigi per le mie bevute solitarie. Chiuso  nella  mia stanza percepivo  una strana sensazione di oppressione, come se il bisogno di lanciare il cavallo al galoppo e di tagliare con il viso l’aria gelata della notte mi fosse diventato indispensabile.
Di giorno mi aggiravo tra i saloni di Versailles ma il mio senso di insofferenza non faceva che aumentare. Faticavo sempre di più a sopportare quella gente le cui vite e i destini mi era sembrato per diverso tempo di condividere, di comprendere.
La Regina e i suoi capricci, il Re e le sue  debolezze, le decine di nobili che si azzuffavano per accattivarsi le simpatie dei regnanti e dei potenti.  C’erano momenti in cui provavo una nausea così forte che solo la vicinanza di Oscar aveva il potere di placare. Lei, fredda e distaccata, sembrava non lasciarsi scalfire da tutto quel marcio che circondava la Corte e camminava spedita con la testa alta e la spada ad un fianco.
E un giorno finalmente ci ritornammo a Parigi per una commissione che Oscar doveva sbrigare per conto della madre.
Conducevamo i nostri cavalli molto lentamente per le vie affollate finchè prese una strada che portava dritta alla “La bonne chance” e proprio quando passavano dinnanzi al locale, mi girai in direzione dell’entrata  per vedere se Aurore fosse per caso nei paraggi.
E mentre rallentavo  ancora di più il mio cavallo,fino a farlo quasi fermare, vidi la porta aprirsi e una giovane ragazza uscire in strada con alcuni libri in mano.
Solo quando alzò il viso ebbi la certezza che fosse davvero lei.
E inspiegabilmente provai un senso di beatitudine che da tempo non sentivo. Aurore guardò nella mia direzione, la vidi sussultare per poi lasciare spazio ad un sorriso luminoso. Alzò una mano e mi fece un cenno di saluto che ricambiai senza imbarazzo.
E le sorrisi anch’io, mentre il mio cavallo mi allontanava da quel luogo.
Dopo alcuni istanti tornai a guardare Oscar e mi sorpresi a vedere che mi stava fissando con la fronte corrucciata e un’espressione incuriosita. Aveva visto il nostro cenno di saluto, ma ero certo che non mi avrebbe chiesto niente di quella ragazza.
Era una intimità, quella, che io e lei ancora non avevamo avuto modo di sperimentare. Amici, si, ma non tanto da intromettersi in questioni di cuore.
Allo stesso modo nel quale io non le chiedevo di Fersen, lei non mi aveva mai chiesto nulla della mia vita privata, o sentimentale, ammesso che davvero ne avessi una.
Oscar mi aveva condotto, inconsapevolmente, a rivedere Aurore. Non so se senza quell’incontro casuale avrei mai più fatto ritorno nella locanda, nonostante avessi passato alcuni momenti a pensare a quanto fosse bello il suo viso e intriganti i suoi modi.
Ma il modo in cui mi aveva guardato e poi salutato, mi aveva fatto sentire il bisogno di una compagnia diversa, che non fossero i damerini di Corte o le cameriere di palazzo.


Appena mi fu possibile ritornai da lei.
“Ehi Andrè Grandier….che sorpresa…”. Lo disse sorridendo, di nuovo.
“Ciao Aurore, come  stai?”.
“Bene, benissimo…. Cosa ti porto Andrè?”.
“Direi che una cioccolata per questa sera andrà benissimo”.
“Ottima scelta, lo dicevo io che non eri uomo da costolette d’agnello….”.
“Gia..la cioccolata è decisamente meglio”.
“Si….è più dolce, e ti lascia un sapore gradevole in bocca e sulle labbra…..dopo….è un aroma inconfondibile e indimenticabile…”. Me lo disse sorridendo con un’espressione sorniona che mi lasciò senza fiato.
Deglutii un paio di volte, un po’ imbarazzato. Ma parlava di lei o della cioccolata?
“Bevine una tazza anche tu con me…offro io naturalmente…prendi quello che vuoi…”.
La cioccolata era bollente e Aurore stringeva la tazza tra le mani per scaldarsele.
“Si gela in questi giorni, vero?”.
“Già….è dificile venire da Versailles a Parigi, soprattutto di sera, è tutto ghiacciato”.
“Però tu sei venuto stasera…”.
Le sorrisi e mi portai la tazza alla bocca. Era decisamente molto buona.
“Chi era quel ragazzo biondo con cui eri l’altro giorno? Credo che sia l’uomo più bello che abbia mai visto in vita mia, a parte te, ovviamente”.
Arricciai il naso imbarazzato e poi scoppiai a ridere.
“Non mi conosci neanche ma mi vuoi già sostituire con un altro?”.
“…Ero solo curiosa, era troppo bello per essere un uomo….davvero singolare….”.
“Era Oscar  FrançoisDe Jarjayes, Capitano della Guardia Reale. Io  vivo in casa sua, sono il suo attendente”.
“….Caspita…vivi proprio con i ricchi tu….ed è nobile Oscar  FrançoisDe Jarjayes?”. Sentirla  pronunciare il suo nome mi fece uno stranissimo effetto, come  se tra me e Oscar ci fosse un abisso”.
“Certo, è nobile”.
“Ah. E com’è vivere con i nobili, Andrè? E’ vero che sono tutti arroganti e senza scrupoli”.
“..Ma no…non tutti, molti si, ma non tutti. Oscar è tutt’altro che arrogante, ed è sensibile alle sorti dei più deboli. Una volta ha sfidato a duello il Duca di St. Germain perché aveva ucciso impunemente un bambino”.
“...Si...a Parigi si racconta di un assassinio a sangue freddo del Conte, impunito ovviamente…non lo so, io li odio tutti….”.
“Ti spiace se cambiamo argomento…..parlami di te…come fai a sapere leggere e  scrivere?”.
Sospirò e bevve altri sorsi di cioccolata.
“Mia madre lavorava come cameriera presso una famiglia nobile. Si innamorò del figlio ultimogenito dei padroni che le insegnò a leggere e scrivere. Si amarono all’insaputa di tutti per due anni, fino a quando rimase incinta di me. Quell’uomo, mio padre, affrontò la famiglia ma l’unico risultato fu che fecero di tutto per separarli. Le diedero dei soldi e la mandarono via mentre lui fu costretto a sposare la figlia di un nobile di Bordeaux.
Non si rividero più e lui non andò mai a cercarla…..a cercarci…..e quando avevo quattordici anni lei  morì. Credo che non abbia passato un solo giorno senza sperare che lui tornasse. Ma evidentemente per i nobili non esiste altro sentimento che l’arrivismo, la ricchezza, il potere. Non è certo l’amore che cercano i nobili. Quello lo lasciano a noi poveracci e forse è davvero la nostra unica consolazione”.
“Quindi tuo padre è nobile….”.
“Purtroppo si..ma ti giuro che se potessi toglierei dal sangue quella parte di nobiltà che mi circola in corpo. E' una parte di me che non sopporto, che compatisco.”
Lo disse con un’espressione triste e sofferta. Gli occhi blu erano incupiti, adombrati da ricordi troppo dolorosi.
“Non lo fanno sempre per crudeltà, ci sono dei principi e delle ragioni alla base delle loro azioni che li rendono molto diversi dalla gente del popolo. Per loro la dinastia, un casato, sono le uniche cose che contano, molto più della felicità”.
Aurore mi fissava sorpresa. “Vedi, sono ricchi e potenti ma spesso sono infelici, soli, E non sono poi molto più liberi di noi. Ci sono obblighi a cui non possono disattendere. Forse, per molti versi, noi siamo più liberi di loro perché possiamo amare la persona  di cui siamo innamorati. I loro matrimoni sono dei contratti che li obbligano all’infelicità”.
“Sei troppo romantico Andrè Grandier…e forse, si, ciò che dici è vero, ma non diminuisce le loro colpe”.
“Con chi vivi adesso?”.
“Ho una camera nel palazzo dove vivevo con mia madre. Ci sono ancora i nostri vecchi vicini di casa che sono un po’ come una famiglia..non mi è rimasto altro…se non la scrittura…quella è la mia unica consolazione e un giorno sarà la mia rivincita”.
“Mi farai leggere qualcosa di tuo?”.
“Certo, ti farò leggere i miei racconti e ti farò anche l’onore di essere il mio cavaliere se vorrai venire a fare una passeggiata sulla neve”. Mi  fissò in volto per alcuni istanti, senza distogliere lo sguardo e mi sentii arrossire.
Sarei tornato presto a trovarla, appena mi fosse stato possibile. Con lei, mi sentivo sereno, leggero, tanto che mi sembrava che un po’ di quel peso che mi gravava sul cuore si fosse disciolto come un fiocco di neve al suolo.
 
 
 
Note:
L’ho scritto stasera, ma oggi non sono per niente in forma…ho un mal di testa…..però nel mio vaneggiare sofferente…la storia sta prendendo forma  nella mia mente…..e molti risvolti mi son ormai chiari. Meno male, perché di solito  so come inizio, ma non dove andrò a parare….speriamo bene. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7 ***




Follia



 

 
“Andrè, oggi è la nostra giornata libera e pensavo che potremmo….”.
Era entrata nella cucina dove stavo aiutando mia nonna a mettere una pesante pentola di acqua sul fuoco.
Sollevai la testa e la osservai rapito perché con la sua presenza riempiva la stanza di una luce dorata. I suoi capelli biondi brillavano illuminati dai raggi di sole che entravano dalla grande finestra.
Ma la bloccai subito, parlando tutto d’un fiato perché sapevo che se avessi  aspettato un solo istante, avrei cambiato idea e avrei taciuto.
“..Mi spiace Oscar…ho già un impegno per oggi”.
“…Ah….volevo andare a fare una cavalcata…..c’è il sole finalmente….ma non importa, andrò da sola”.
Restai in silenzio e distolsi subito lo sguardo da lei.
“Ma Andrè…si può sapere dove devi andare….accontenta madamigella….”.
La voce di mia nonna aveva come al solito un tono di rimprovero nei miei confronti.
“Non posso..nonna…..ho un impegno..”
“Lascia perdere Nanny…non è un problema….se ha un impengo lascialo pure andare…”.
Oscar abbassò gli occhi e uscii velocemente dalla cucina.
“Cosa stai combinando…..si può sapere dove devi andare?”. Di nuovo la ramanzina di mia nonna.
“A Parigi…”.
“C’è di mezzo una ragazza?”.
Avrei potuto mentire, ma non riuscii a dirle una bugia. "…..E’ solo un’amica nonna, solo un’amica”.
Però mi sentivo le guancie in fiamme.
Mi guardò e si fece più vicina. “Allora è giusto che tu vada Andrè. Non sarò certo io a impedirti di essere felice.
“Non dire niente a Oscar…. Lo dissi  piano mentre la voce mi tremava.
“Non ti preoccupare tesoro. Da me non saprà nulla. Chi è questa ragazza?”.
“E solo un’amica nonna, davvero. Lavora come cameriera in una locanda ma vuole fare la scrittrice. E’ la figlia illegittima di un nobile”.
“Oh santo cielo….va a farti bello e …..non metterti nei guai Andrè….ricorda che bello come sei puoi avere tutte le donne che vuoi”.
“…Smettila nonna……”.
Già. Tutte le donne che avessi voluto.
Tutte tranne quella che desideravo da una vita intera.
 
 


 
Aurore arrivò puntuale davanti all’ingesso dei giardini delle Tuilleries, dove ci eravamo dati appuntamento. Vestita con il suo abito della festa era ancora più bella.
Avvicinandosi mi salutò sorridendo e mi diede un bacio sulla guancia. Mi fece rimanere senza fiato quel suo gesto così inaspettato e sentii il mio cuore battere all’impazzata.
Poi mi prese per un braccio e passeggiammo per i giardini, soffermandoci a guardare le fontane e ammirando la bellezza del posto. Poi, lentamente ci incamminammo verso Notre Dame e una volta raggiunta la cattedrale ci entrammo.
“Sto scrivendo un libro su questo posto sai?”.
“Un libro su Notre Dame? E di cosa  parla?” le chiesi incuriosito.
“Parla di un capitano di marina e della sua fidanzata. Una storia d’amore appassionata. Ma lui parte per un lungo viaggio, viene catturato dai pirati e non torna a Parigi per molto tempo. Lei viene qui a pregare tutti i giorni perchè il suo amore possa fare ritorno”.
“Ed è una storia a lieto fine?”
“ Il finale non l’ho ancora scritto…ma penso di si”.
“….Perchè in fondo sei romantica..”.
“Forse si…..sono molto romantica. E forse semplicemente scrivo per le mie protagoniste  quello che  vorrei che  accadesse a me. Trovare l’ amore e vivere felice, per sempre”.
Lo disse guardandomi dritto negli occhi.
E io restai immobile, senza fiato.
“Portami a bere una cioccolata calda, Andrè Grandier”.
“Certo, ti porto nel locale più bello di Parigi, vedrai”.
“….Ma……. non vorrei sfigurare in un posto così…”.
“……Non dirlo neanche per scherzo……sarai la dama più bella del locale, non dubitarne Aurore”. La vidi illuminarsi e ricambiare il mio sorriso.
Era davvero bellissima, non lo avevo detto per farle piacere. Camminavo al suo fianco sentendomi fiero di avere accanto una ragazza così affascinante e molto più interessante di quanto avrei mai pensato di poter trovare una donna.
E lei si muoveva, piena di grazia, reggendosi al mio braccio, mentre la sua risata allegra riempiva i vicoli della città innevata.
Dopo la cioccolata, la riaccompagnai a casa.
“Sono stata bene con te, Andrè davvero”.
“Anch’io Aurore, è stata una giornata magnifica. Se ti fa piacere tornerò a trovarti quando mi sarà possibile”.
Mi feci più vicino a lei.
“Certo che mi fa piacere, io…..non vedo l’ora di rivederti…..Andrè”.
Lo disse fissandomi negli occhi, ma quando il mio viso si accostò al suo, abbassò lo sguardo e dischiuse piano le labbra. Fu un movimento impercettibile, le vidi tremare, quelle labbra, fremere,  mentre vi posavo le mie lasciandovi un bacio delicato.
“Buonanotte Aurore”.
Andai via con il cuore in gola. Incitai il mio cavallo a correre all’impazzata verso casa, non sapendo neanche spiegarmi il perché. Quella ragazza aveva l’incredibile effetto di portare un po’ di luce nel buio della mia vita solitaria.
Aurore. Poteva davvero il suo sguardo cristallino spazzare via le mie tenebre?
Aurore, così bella, così sola. Così diversa da me perché capace di affrontarla a testa alta la  vita, lei che in fondo dalla vita non aveva avuto niente.
Lei che viveva di sogni di gloria nella speranza di una rivalsa personale da un passato colmo di sofferenze.
Lei, che aveva risposto al mio bacio con un sorriso sincero.
Lei, che mi guardava con uno  sguardo sognante.
Lei che davvero mi vedeva.
 
 

 
Entrai in casa facendo attenzione a non fare rumore. Non avevo nessuna voglia di incontrare mia nonna e rispondere alle sue domande invadenti.
Chiusi piano la porta e mi diressi verso la cucina per prendere un po’ di acqua calda e immergervi le mani intirizzite dal freddo.
“Andrè….ciao”.
Nel buio della cucina la sua voce mi aveva fatto trasalire.
“Va tutto bene, Andrè?” chiese sottovoce.
“Certo Oscar, benissimo. Cosa fai qui  in cucina al buio?”.
Notai che non aveva affatto bevuto quella sera.
“Niente. Stavo girando per casa e mi sono fermata qui, non c’è un motivo particolare”
“Adesso è meglio che  tu vada nella tua stanza, qui inizia a fare freddo”.
“Si, hai ragione, adesso vado”.
Si alzò in piedi e si diresse verso la porta.
“Oscar…..”.
La chiamai quasi urlando. Desideravo trattenerla. Non poteva svanire così.
“Si, Andrè..”. si girò a guardarmi. Ma io non riuscivo più a mettere in ordine i pensieri  che mi affollavano impazziti la testa. Avrei voluto fermarla, parlarle e  avrei voluto solo mandarla via.
“….Bu…..buonanotte Oscar”.
Balbettai. E poi deglutii più volte.
“…Buonanotte, Andrè”
Passarono alcuni istanti nei quali pensai di non riuscire più a riprendere fiato. Mi appoggiai al muro della cucina lasciando che il mio peso premesse contro la parete. Il capo sollevato, appoggiato mollemente contro il muro.
Gli occhi chiusi.
Il cuore in gola.
Restai così per un tempo interminabile.
Di nuovo le viscere in subbuglio, di nuovo quella morsa allo stomaco.
Di nuovo lei. Sempre lei.
Ero corso a casa per godermi un briciolo di felicità.
Era bastato un solo istante di lei perché ogni muscolo fosse paralizzato, ogni pensiero inesorabilmente rivolto  solo a lei. 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8 ***



Follia




 
 
Con la mia mano stretta nella sua, salivo i gradini che  mi conducevano nella camera  di Aurore.
“Questo è il mio regno….benvenuto, Andrè”.
Entrai nella sua stanza muovendo lentamente i miei passi, osservando il suo viso allegro che mi mostrava con orgoglio il suo piccolo mondo.
La stanza era molto piccola e l’arredamento piuttosto povero. Un letto, uno scrittoio, una sedia e un piccolo armadio occupavano tutto lo spazio disponibile lasciando ben poca libertà di movimento.  Accanto al letto, disposti uno sopra l’altro vi era una serie di libri ben tenuti.

“Ma nel mio regno il tesoro più prezioso sono loro. Appena ho qualche risparmio mi compro un libro e poi lo leggo tutto d’un fiato. Ma accade talmente raramente che mi tocca rileggere diverse volte quelli che già possiedo.

“A palazzo Jarjayes c’è una libreria molto fornita, se mi dici cosa ti piacerebbe leggere ne prendo in prestito qualcuno e te li porto. Oscar non avrà niente in contrario”.
“Mi piacerebbe molto”.
“Fammi vedere cosa abbiamo qui…. “Le Favole” di La Fontaine… “Candido” di Voltaire….e Rousseau, queste si che è sono letture impegnative!”.
“Si, e non sempre mi  chiaro quello che leggo. Non ho mai conosciuto nessuno con cui potere parlare di libri, con cui scambiare pareri”.
Si sedette sul letto dondolando un piede. “Sei così diverso dagli uomini che frequentano la locanda. O sono poveri analfabeti, o sono ricchi in cerca di avventure. Con nessun altro potrei stare qui a parlare di libri. E non avrei mai fatto salire nessun altro nella mia camera”.
Riposi il libro che avevo tra le mani.
“Parlami di Oscar”.
“…Oscar? Perché dovrei parlarti di Oscar?”.
“Lavori per lui no? Che tipo è? E’ gentile con te?”.
Non avevo nessuna voglia di parlare di lei.
“Certo, siamo amici. Siamo cresciuti insieme. Io avevo otto anni quando sono andato a vivere a palazzo e…Oscar un anno di meno. Non c’è molto altro da dire”.
“Lui è capitano delle Guardie Reali. Hai mai visto la Regina, il Re?”.
“…Si, li vedo spesso..e…”.
Sentii Aurore irrigidirsi.
“Hai davvero visto quell’austriaca? E com’è? E’ vero ciò che dicono di lei?”.
“E cosa dicono esattamente?”.
“Che sperpera il denaro del popolo in gioielli e abiti preziosi. Che apprezza la compagnia di gente arrivista e ambigua…..che non ha a cuore le sorti del suo popolo… e che il Re  sia un pover’uomo succube dei suoi intrighi”. L’aveva detto con foga e potevo vedere chiaramente un guizzo d’ira provenire dai suoi occhi.
“Non è proprio così Aurore, la Regina non è crudele come viene dipinta, vive in una gabbia dorata che non le permette di essere realmente consapevole delle condizioni in cui vive il suo popolo. Io so che ha molte associazioni benefiche, che  destina parte dei suoi emolumenti per cause caritatevoli, ma tutto ciò è solo una goccia nel mare. Cedo che i Reali vengano tenuti appositamente all’oscuro di ciò che avviene nel loro paese. Questa è la loro colpa, non sono in grado di imporre la propria autorità ai loro consiglieri che spesso riescono a manipolarli. E io devo la vita alla Regina Maria Antonietta. Tanti anni fa fui ritenuto da Luuigi XV colpevole di avere messo in pericolo la sua vita. Stavo tenendo le redini del cavallo sul quale lei era appena salita ma si agitò un po’ troppo e il cavallo partì al galoppo. Se non ci fosse stato l’intervento di Oscar, forse le sarebbe accaduto qualcosa di molto grave. Ma quando il Re mi condannò a morte lei intervenne in mio favore supplicando clemenza”.
Sembrava ieri, ma erano passati molti anni da quel giorno.
“Mh……vorrà dire che allora la odierò un po’ meno la tua Regina se ti ha salvato la vita Andrè Grandier”.
“E Oscar cosa ha fatto?”.
“Basta parlare di Oscar…..perchè ti interessa tanto?”.
Iniziavo a essere infastidito dal suo desiderio di parlare di lei. Non volevo rivelarle che Oscar fosse in realtà una donna.
“E’ che io voglio sapere tutto ciò che ti riguarda, Andrè, tutto. Perdonami”.
“Non devi scusarti, sono io che sono stato brusco, scusami tu”.
Il suo volto si illuminò, acceso da uno splendido sorriso.
“Vieni qui, Grandier”. Sollevò un braccio per attirarmi verso di lei e per farmi sedere sul letto.
Quando le fui accanto, mi posò delicatamente una mano tra i capelli provocandomi brividi che correvano impazziti lungo tutto il corpo. Ci facemmo più  vicino, l’un l’altro, nel medesimo istante fino a che le nostre bocche si toccarono tremanti.
Un bacio lieve, uno più lungo, fino a che la mia bocca cercò spazio sulle sue labbra e la mia lingua si appropriò della sua. Indugiai nella sua bocca che mi stava conducendo verso un universo tutto nuovo, fatto di un piacere sconosciuto. Assecondava i miei baci con trasporto portando le nostre teste ad assumere un ritmo regolare.
Restammo allacciati in quel bacio per un tempo che mi sembrò infinito, ma che non avrei mai voluto interrompere. Con Aurore potevo dimenticare tutto, potevo davvero dimenticare lei.
Non c’era più traccia di Oscar su quelle labbra, non c’era più il mio dolore. Eravamo solo io e la piccola Aurore.
Però mi staccai da lei ansimando e sentii subito la sua mancanza. Lei mi guardava senza parlare.
“Usciamo Aurore, ti porto  a fare una passeggiata”.
“Va bene, andiamo”.
Mi seguii mentre percorrevo velocemente le scale che conducevano all’uscita.
Ero terrorizzato da quello che avevo provato baciandola. Avrei voluto di più, avrei voluto accarezzarla, possederla, ma mi ero costretto a interrompere quella magia che da subito aveva unito le nostre labbra.
Forse era proprio la paura a guidare le mie mosse. Il timore che se l’avessi avuta avrei intrapreso una strada senza ritorno.
Avrei potuto davvero avere anch’io un po’ di felicità?
 
 


 
 “Oscar ti vuole parlare, Andrè, ti aspetta in camera sua. Ha detto di mandarti da lei quando avessi fatto rientro a casa”.
“Va bene nonna, vado da lei” risposi sbuffando. Cosa diavolo voleva a quell’ora?.
La trovai in piedi davanti alla finestra e lentamente la raggiunsi.
“Dove sei stato Andrè?”
“A Parigi”.
“E cosa hai fatto a Parigi. Hai degli amici??”.
“Niente di particolare. Ma non sono tenuto a dirti quello che faccio nelle mie ore libere Oscar” replicai  sarcastico.
“E tu invece  cosa hai fatto stasera?”
Era una sfida che volevo lanciarle.
 “Quante bottiglie ti sei scolata stavolta?”.
Le mie parole risuonarono  nel silenzio della sua stanza e fu come se una lama si infilasse dritta nel mio cuore.
Sapevo benissimo che non aveva bevuto ma volevo ferirla. Farle male. Sentivo la rabbia montare nelle mie viscere incontrollabile e devastante, e impossessarsi di me.
E lei  mi colpì con uno schiaffo in pieno viso. I suoi occhi erano colmi di fuoco.
“Sei ubriaco? Non parlarmi  mai più così….” Aveva parlato a denti stretti con un filo di voce.
“…Perdonami Oscar….. non so  cosa mi sia preso”.
Non era vero che non lo sapessi.
O meglio, intuivo  perfettamente che la ragione della mia rabbia era il fatto che io mi stavo lentamente allontanando da lei e Oscar non faceva nulla per impedirlo.
Sarebbe bastato un cenno, uno sguardo, una parola perché mi perdessi in lei, di nuovo.
Un passo verso di lei. Il cuore in subbuglio.
Le lacrime a solcare l’oceano dei suoi occhi, come piccole onde che tremando lambivano lo sguardo.
Mi fissava in silenzio, Oscar, mentre la mia mano raggiungeva il suo viso  per posarvi  delicatamente una lieve carezza.
“…Perdonami… non voglio vederti soffrire, non farei nulla per farti stare male, io tengo troppo a te  Oscar”.
I nostri respiri a infrangere il silenzio della stanza. Io ancora perso nei suoi occhi.
“Per me è lo stesso Andrè. Non ho che te”.
“Ci sarò sempre per te Oscar, sempre”.
Socchiuse gli occhi sorridendo e dopo alcuni istanti mi diede le spalle augurandomi la buonanotte. 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9 ***


Follia 





“Andrè… non dormi?”.
Sorrido quando vedo i tuoi  magnifici occhi aprirsi su di me. Mi fissi incuriosita con il volto addolcito dal torpore del sonno e sposti una ciocca di capelli ribelli dal mio viso.
“No…non posso dormire questa notte, non voglio che finisca…”.
“E perchè no?”. Ti sollevi appena sulle braccia e ti appoggi  con delicatezza sopra il mio addome.  Accarezzo dolcemente i tuoi capelli attorcigliando alcune ciocche sulle dita,  fino a discendere piano  lungo il viso e mi soffermo lungo le guance.
“Avremo mille altri notti come questa, solo per noi”.
“Giuramelo”.
“Te lo giuro”. Lo dici mentre ti avvicini sempre di più al mio viso.
“Dormirai adesso?”.
“..No…. non dormirò, non questa notte”.
 
 





 
 
Non passò molto tempo che la piccola stanza di Aurore  divenne un po’ anche mia. Trascorrevo da lei le ore libere che gli impegni con Oscar mi concedevano e il nostro apporto diventava sempre più intimo.
Distesi sul letto, lei scriveva i suoi racconti mordicchiando dolci e caramelle che le portavo in regalo  ogni volta  e io leggevo qualcosa, oppure mi lasciavo scivolare nel sonno, sicuro che quando avessi riaperto gli occhi l’avrei trovata al mio fianco.
Ero così sereno in quella stanza, accanto a lei e mi sembrava davvero di potere dimenticare ogni mia sofferenza.
A volte però, nel dormiveglia, il volto di Oscar faceva capolino nella mia mente e la vedevo sorridere felice, la sentivo incitare gli uomini al combattimento, udivo il rumore sordo delle nostre spade che si incrociavano.

E mi tornava in mente bambina quando, nelle notti di temporale, sgattaiolava lungo i corridoi bui del palazzo per infilarsi nel mio letto. Ma ora non vi era più traccia in lei di quella bambina. La Oscar di oggi aveva imparato a mascherare i sentimenti, a dissimulare emozioni, tanto che io stesso facevo fatica a interpretare i suoi atteggiamenti.
I suoi silenzi. I suoi sguardi.
Il suo tormento.
Era pura follia crogiolarsi nel dolore provocato  da un amore senza  speranza.
Me lo ripetevo ogni giorno, tanto che alla fine, anch’io, iniziai a creder che fosse vero.
 
 
“E’ la fine del romanzo sul Capitano di marina? Me lo fai leggere?”.

“Si, è quasi finito, mancano poche righe e finalmente le mie fatiche saranno ripagate”
“Pensi di trovare un editore che te le pubblichi? Non sarà facile uscire con il tuo nome, molte donne  usano pseudonimi maschili”.
“No.. io spero di pubblicare con il mio nome…..conosco già un editore e se tutto va bene mi darà un’opportunità”.
“E come lo chiamerai il tuo racconto, hai deciso ?”.
La Nave Perduta di Aurore Isabelle Bourgeois. Suona bene, non ti pare?”.
“Un incanto. Dobbiamo festeggiare, ti porto fuori a cena”.
“Non è necessario, Andrè, preferirei rimanere qui. Voglio stare un po’ con te, ultimamente non sei venuto molto spesso a trovarmi. Il tuo capo ti fa lavorare troppo, devo parlarci un giorno o l’altro e dirgli di lasciarti un po’ più tempo per..…me”.
La sua voce si era fatta più suadente.
“Mi manchi così tanto quando non ci sei….io vorrei stare sempre con te…”
La presi per un braccio e la attirai a me, sul letto. Mi ritrovai disteso con il corpo di lei adagiato sul mio. Mi toccava il viso e mi posava piccoli baci sulla bocca, fino a quando riuscii a catturare la sua lingua. La baciai avidamente, con passione.
La baciavo e le mie mani si facevano strada lungo le pieghe del suo vestito, sollevando la gonna, fino a giungere a premere sulle sue rotondità. Sentii uscire dalla sua bocca gemiti di piacere quando, dopo averla adagiata sul letto, continuavo la mia corsa su di lei.
Scostai il pizzo che ornava la scollatura del suo abito, tirai il corsetto verso il basso e quando vidi un seno mostrarsi ai miei occhi, vi posai la lingua, procedendo lentamente a baciare la pelle, fino a raggiungere  il collo. Ritornai poi nella  sua bocca ma con la mano mi introdussi di nuovo sotto la sua gonna, facendomi spazio tra gli strati di stoffa,  penetrando poi  con voracità nelle sue cosce. Non era la prima volta che mi spingevo fino a quel punto ma non avevo mai fatto l’amore con lei. Non ero stato abbastanza coraggioso per decidere di affrontare un passo che mi avrebbe legato indissolubilmente a lei. Mi ero ritratto più volte, non avevo mai lasciato che la passione si impadronisse di me.
Ma questa volta il desiderio mi offuscava la mente e temevo di non essere più  in grado di fermarmi.
“Ti desidero così tanto…ma non credo sia opportuno …..” mi costrinsi a sussurrare con un tono di voce che si era fatto rauco
“No….resta con me…Andrè”
Mi irrigidii nel sentire quelle parole ma la sua bocca umida che cercava la mia, le sue mani posate sulle mie natiche  che mi spingevano contro di lei,  ebbero l’effetto di farmi perdere definitivamente la ragione. Avrei pensato più tardi alle conseguenze, alle implicazioni, ai miei sentimenti.
Adesso era solo il momento di amarla.
I miei scrupoli lasciarono spazio a un’urgenza che non ero più in grado di annullare.
Mi aiutò a sciogliere i lacci che stringevano il corpetto e insieme sfilammo la gonna. Le sua vesti scivolavano piano lungo la linea delle gambe mentre tutto in me invocava il suo nome. E invocavo il suo amore quando mi misi su di lei.   Mi spinsi piano dentro il suo corpo accogliente. Caldo.
E fu come morire. Per poi rinascere.
La amai con tutto me stesso e lei si diede a me con tutto l’amore che possedeva.
Un’esplosione di sensi.  
Ero ancora sopra di lei e mi guardava accarezzandomi i capelli.
” Ti amo Andrè”. Solo due parole. Due parole e il mio nome.
Due parole e il mio cuore si libra in aria.
“Anch’io”.
Ero morto e poi rinato in lei. Adesso potevo veramente convincermene.
Non riuscii a prendere sonno quella notte. Rimasi accanto a lei stringendola tra le braccia e gli occhi sbarrati a fissare il soffitto.
All’alba, la lasciai addormentata e  mi diressi verso palazzo Jarjayes.
Ero morto, e poi rinato.
Potevo respirare a pieni polmoni.
Potevo ridere.
Potevo toccare il cielo  con un dito.
 

 
 
 
Note:
Come avrete capito, la prima parte è al presente, la seconda narra il passato.
Io credo che Andrè ci credesse davvero  a quell’”anch’io” detto ad Auroe. Per lo meno ci ha creduto in quel preciso istante , qualunque cosa significhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10 ***


Follia



 

 
“Tua nonna dice che hai una fidanzata a Parigi”.
Cavalcava lentamente di fronte a me assorta nei suoi pensieri e improvvisamente aveva rotto il silenzio con una domanda inaspettata che mi lasciò impietrito. Deglutii nell’inutile tentativo di manda giù la saliva e dopo alcuni istanti di stordimento mi decisi a risponderle.
“Te l’ha detto lei?”.
“No...ho sentito che lo raccontava a mia madre”.
“Non credo che Madame Jarjayes possa interessarsi di  queste cose, sei sicura di quello che hai sentito?”.
“Ma guarda…adesso cerchi di tergiversare non si fa così Andrè…noi siamo amici no? E se tu hai una ragazza non vi è motivo per tenermelo nascosto. Riguarda un po’ anche me, no?”.
Trasalii. Ma era proprio  Oscar a parlare?
“In che senso?”.
“Se tu dovessi sposarti, farti una famiglia, la tua vita cambierebbe e  un po’ anche la mia”.
Tornai a deglutire. “Non correre Oscar, non immaginare cose che non esistono”.
“Allora non ce l’hai una donna?”
“Si…..ma”.
“E com’è? E’ bella ? Non me la fai conoscere?”.
“No….meglio di no…...potresti raccontare cose orribili sul mio conto, preferirei di no!” risposi con una risata sonora che a fatica mascherava il mio imbarazzo.

Oscar sospirò e tacque per qualche istante.
“Come si chiama?”.
“Aurore Isabelle Bourgeois” Mi emozionai nel pronunciare il suo nome.  Aveva davvero portato la luce nel mio cuore la mia piccola Aurore.
“E’ la ragazza della locanda, vero? Quella che hai salutato qualche mese fa?”
“…Si…è  lei”. Ma allora l’aveva  davvero notato il nostro cenno di saluto!

“E’ davvero bella, sai!”
“Già..”.
“Sei innamorato di lei?”.
“…Non è il caso di parlare di queste cose……”. Avevo letteralmente il cuore in gola.
“E perché no? Io sono il tuo migliore amico in fondo e di queste cose si parla tra amici, mo?”.
Non le risposi e continuai a cavalcare al suo fianco sperando che quella conversazione surreale giungesse  subito al termine.
Ma  Oscar sembrava non volesse proprio parlare d’altro.

“E..tu….voi …”  Si zittì da sola mordendosi nervosamente un labbro.
“Ne sei innamorato, Andrè?”.
Chiusi gli occhi un istante e nel buio in cui mi ero immerso per un attimo vidi il volto sorridente di Aurore che mi guardava sognante.  Sentii il suono della sua voce che mi chiamava.  La sua risata. La udii gemere mentre facevamo l’amore. E sentii le sue parole d’amore per me.

E mi sembrò che al mondo non ci fosse nient’altro.
“….Io credo di si…”. Risposi con un filo di voce, abbassando gli occhi.
 “Perdonami..…non sono poi granchè nei panni di un amico!”. Rise, ma non c’era allegria nella sua voce.
“…Io non avevo mai preso in considerazione il fatto che tu….potessi innamorarti…un giorno..ma sono felice per te. Non si può vivere di soli doveri, vero? Anch’io per un po’ ho pensato che bastasse solo quello… comandare un plotone di soldati ben educati, assolvere ai miei compiti,  ma oggi mi rendo conto che forse non è più così, per nessuno di noi”.
Volsi lo sguardo verso di lei stupito da quelle parole.
“A volte vorrei essere una persona diversa. Vorrei svegliarmi e ritrovarmi nei panni di una donna normale che indossa sottane e merletti. A volte vorrei andare lontano in un posto dove poter ricominciare a vivere. Ma è un pensiero che dura un istante, un battito d’ali, perché non potrei vivere altra vita se non questa”.
Il mio torace senza fiato.  
“Non ne sarei capace.”.
“…Oscar….” Sussurrai il suo nome come un  delicato sospiro che usciva dalla mia bocca. Lo stesso di quando, da bambino, correvo da lei dopo che suo padre l’aveva rimproverata.
“Non è troppo tardi..Oscar….non è mai troppo tardi per cercare di essere felici”.
Scosse la testa e spronò Cesar al galoppo lasciandomi  con un nodo in gola che mi imbrigliava il respiro.
“….Oscar……….”. E poi la chiamai di nuovo  espandendo più che potevo i polmoni  tanto che il suo nome, mentre  si dissolveva nell’aria,  mi sembrò esplodere nella testa.
 

 
 
 
Un battito d’ali. La durata della sua inquietudine.
Un battito d’ali. La mia ricerca della felicità.
Felicità……

Le mie dita erano intrecciate a quelle affusolate di Aurore che giaceva accanto a me con il capo appoggiato alla mia spalla. Il letto sfatto, le coperte disordinatamente sparse fino a toccare terra.
Non parlavo e anche lei rimaneva in silenzio, continuando a giocherellare con la mia mano.
“Oscar… è una donna…”.
Lo dissi così, improvvisamente, tutto d’un fiato, senza respirare e quasi senza rendermene conto.  Dopo avere dischiuso gli occhi e fissato per qualche istante  le travi del soffitto consumate dal tempo.
Lo dissi così, mentre la testa un po’ mi girava, pervaso dalla convinzione che solo rivelando ciò che le avevo tenuto segreto avrei esorcizzato il pensiero di lei, che di tanto in tanto tornava a tormentare  le mie notti.
Notai i suoi occhi che mi guardavano con  un’espressione incredula.

Le raccontai tutto. O quasi. Parlai della decisione del padre di destinarla a diventare l’erede della famiglia Jarhayes pianificando per lei un futuro militare glorioso. Parlai del suo coraggio, delle sue rinunce, e della stima che si era guadagnata a Corte. Dal mio discorso, omisi di rivelare le sue fragilità, i suoi tormenti, il suo disperato bisogno di certezze e di non disattendere mai le aspettative che sin da piccola  si erano riversate su di lei, la sua rinuncia a ricercare la felicità.
Fu come liberarmi di un peso che mi opprimeva fino a soffocarmi. E rivelare la vera natura di Oscar faceva venire meno il segreto che mi ero custodito nel cuore, annullando così definitivamente le ultime  distanze che mi separavano da Aurore.
A quel punto la mia scelta era compiuta, il mio destino segnato.
Felicità, mi ripetevo Non può essere solo un battito d’ali….

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11 ***



Follia 

 



 
Alcuni raggi di sole si infilavano dispettosi nella mia camera, oltrepassando le pesanti tende di lino verde.
Mi girai dall’altra parte, portando il cuscino sopra la testa per oscurare la luce.
Dopo un po’ scostai nervosamente il guanciale e mi costrinsi a mettermi seduto sul letto.
Avevo dormito così a lungo quella notte che mi sembrava di risvegliarmi da un sonno perpetuo.
La testa un po’ mi doleva e dovetti faticare per mettermi in piedi.
Allungai le braccia sopra il capo e mi stiracchiai mosso dall’esigenza di rimettere in sesto le mie ossa doloranti.
Non avevo visto Aurore nelle ultime sere perché era impegnata al lavoro fino a tardi e ne avevo approfittato per andare a dormire presto.
Ero così stanco la sera prima che mi ero addormentato appena avevo toccato il letto. Avevo avuto solo il tempo di spogliarmi e di infilarmi nel letto e mentre il viso della mia piccola  Aurore svaniva evanescente dalla mente, ero scivolato nel sonno.
Versai dell’acqua nella bacinella della toeletta e vi immersi la testa. L’acqua gelata che velocemente era corsa lungo i miei capelli mi procurava dei brividi in tutto il corpo ed ebbe l’effetto di svegliarmi completamente.
Strofinai il viso e gli occhi e risollevandomi, l’acqua riprese a colare sul mio volto.
Mi soffermai davanti allo specchio osservando il mio volto.
Notai lo sguardo sicuro e sereno che mi fissava. Aurore adorava il verde dei miei occhi tanto quanto io amavo la profondità dei suoi, blu e intensi. Trascorrevamo ore a parlare, con i visi così vicini da pensare di fonderli insieme, mare e smeraldo.
Vidi la barba che rendeva brune le mie guancie, il naso perfetto, la bocca piena.
Mi osservai e ciò che vidi fu l’immagine di un uomo.
Dell’uomo che  avevo sempre sperato di diventare, un giorno.
Vidi un uomo libero dal suo tormento antico, da inquietudini profonde che lacerano e corrompono l’anima.
 
 

Riuscii a raggiungere Aurore che era quasi notte, dopo avere trascorso una intera giornata a Corte, nell’estenuante attesa che Oscar terminasse le sue incombenze.
Corsi a Parigi spronando il mio cavallo a galoppare nel buio della sera senza luna.
Entrai nella locanda e la vidi portare un vassoio con bicchieri  di vino a un tavolo su cui erano seduti due uomini vestiti piuttosto bene. Li osservai distrattamente mentre mi sedevo in disparte e pensai che dovesse trattarsi di nobili, i cui modi erano involgariti dai fumi dell’alcool. Sul tavolo vi erano infatti altre bottiglie ormai vuote.
Aurore si fermò un istante da me e mi sorrise salutandomi.
“Ciao..finalmente….”.
“Ciao…”.
“Arrivo subito da te, Andrè…”.
“Allora….ti sbrighi, puttana”.
“..Cosa…ma  come  diavolo si permette..?” urlai tra i denti.
“..Lascia perdere, Andrè….sono ubriachi”.
Mi alzai di scatto in piedi senza staccare gli occhi da Aurore che al tavolo stava servendo il vino.
“Era ora …puttana…ehi…vieni qui a farci compagnia tesoro…”. Uno di loro, il più vecchio, le afferrò un braccio strattonandola, cercando di farla sedere sulle sue gambe.
Vidi Aurore tentare di divincolarsi mentre l’uomo si era alzato in piedi e stava cercando  di alzarle la gonna.
Senza respirare, mentre un formicolio si era improvvisamente impadronito del mio stomaco, mi avventai su di lui che sotto il mio colpo deciso, era caduto rovinosamente a terra portandosi dietro tavolo e vettovaglie.
“Portate via di qui quest’uomo, signore e non fate più ritorno in questo posto”.
Mi rivolsi all’altro uomo, che barcollando cercava di nascondersi dietro una sedia.
“No, voi andate via di qui e non fatevi più vedere. Né voi né Aurore. Sono stanco di lei e dei suoi discorsi, mi fa perdere solo i clienti migliori”.
“..Monsieur Lambert, non potete licenziarmi così….”.
“..L’ho già fatto Aurore….cerca altrove la tua strada”.
“Vieni via, non rimarrai in questa bettola un secondo di più” La presi per mano e la trascinai fuori.
 
 
 

“Maledetti nobili…..maledetti porci……meritano di morire tutti..tutti…..”. Aurore urlava la sua rabbia in mezzo alla strada deserta  mentre ci dirigevamo verso casa sua.
“Il popolo deve insorgere…..riprendersi ciò che è suo….ammazzarli tutti….mettere fine alle sofferenze della povera gente. Verrà un giorno in cui scorrerà il loro maledetto sangue sulle strade di Parigi”.
Il fiato corto, il cuore in gola. Singhiozzi che coprivano le parole.
 Le mie mani posate sul suo viso a cercare di asciugare  lacrime piene di rabbia.
“Non siamo schiavi……non siamo merce….non siamo puttane………ma come osano. Tutti gli uomini nascono uguali, Andrè”.
“Calmati Aurore..…calmati…...”.

Devono morire….devono morire”.
“No.. Auore….non sono tutti così…non sono tutti malvagi”. Lo dissi sussurrando al suo orecchio mentre cercavo di rassicurarla stringendola tra le braccia.
“Si, lo sono. Lo è mio padre. Lo è la famiglia di mio padre. E lo è anche Oscar”.

“…C.…cosa dici ..” balbettai stupito.
“Ti tradirà anche lei, non credere, quando non le servirai più ti butterà via come una cosa vecchia, come una cosa rotta che non ha più valore. Ti tradirà come ha fatto mio padre, ti dimenticherà in un attimo…per qualcuno che le serve di più, che appartenga al suo rango. Tradirà te come quella maledetta Austriaca ha fatto con il popolo francese”.
Deglutii e scossi la testa.
“Noi siamo povera gente, dobbiamo subire soprusi di ogni genere, dobbiamo scendere a compromessi per non fare morire di fame i nostri figli e Versailles luccica coperta d’oro..…è giustizia questa? Lo è Andrè?”.

Un pugno nello stomaco.
Molto di più forse.
Il suo mondo fatto di dolore e antichi rancori si apriva completamente ai miei occhi. Le sue sofferenze, mascherate dai molti sorrisi. Le sue certezze, i suoi dubbi.
“ E’ colpa mia, ti ho fatto perdere il lavoro…ma non ho potuto fare a meno di spaccargli la faccia a quel maiale puzzolente”.
“..Si… aristocratico e anche maiale…”. Rise tra i singhiozzi e le lacrime.
“Mi resta il mio libro….. penso che me lo pubblicheranno davvero, sai? Potrò vivere di scrittura”.
“…Si…ma comnque penserò io a te….ora calmati Aurore”.
“Sei la cosa più bella che mi sia accaduta nella vita, Andrèè”.
“Anche tu……anche tu…” mormorai accarezzando  la nuca.

Chiusi gli occhi e affondai il viso tra i suoi capelli.
No. Oscar, no.
Non mi avrebbe mai tradito.
Non la mia Oscar.

 
 
 
 

 
 
 Note: 
A questo punto forse  odierete Aurore più di prima ma ciò che avete letto inizia a raccontarci qualcosa in più di lei.
Grazie a tutte voi. Mi commuove sempre questa lotta partigiana per la coppia Andrè Oscar!!, coppia per la quale anch'io tifo. Il mio Andrè è molto fragile in questa FF, insicuro. Ma forse è solo spaventato dall'impossibilità di un amore troppo grande.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12 ***


Follia







Mi osservi senza che dalla tua bocca esca un solo suono.
Mi hai guardato molte volte così, evitando di pronunciare quelle parole che il tuo orgoglio non lasciava libere.
Che incatenava a sé.
Mi hai guardato in silenzio, di nascosto, mentre io, per paura, distoglievo lo sguardo e mi impedivo di vedere il tuo tormento.
Chi è più cieco tra di noi?
Come un naufrago nella tempesta, annegavo in un oceano di emozioni cercando invano la salvezza.
Chi è il più folle tra noi due?
Percorri  piano il mio corpo, fino a raggiungere le  mie labbra con le tue.
E’ un sorriso quello che vedo dipinto su di esse, prima di accogliere nella mia bocca il loro sapore.
Mi specchio nei tuoi occhi, così colmi d’amore che l’iride chiara sembra accesa da mille fiammelle.
Il respiro mi muore in gola quando la tua lingua si unisce, calda e umida, alla mia.
Mi baci e io ti bacio.
Non chiedo altro alla vita. Non più.
Imprigiono il tuo viso tra le mie mani e ti attiro sempre  di più verso di me.
E’ amore ciò che sento nelle viscere ed è una sensazione così dirompente che temo di sciogliermi in lacrime dinnanzi a te.
Sento gli occhi pungere ma l’oscurità che ci avvolge potrà forse mascherare il mio pianto.
E’ solo amore quello che sento stanotte.
Puro e infinito amore per te.
 
 






 
Tornai all’alba a palazzo Jarjayes dopo avere trascorso la notte con Aurore. Non avevamo fatto l’amore, l’avevo semplicemente tenuta accanto a me nel piccolo letto di quella sua camera piena di libri. Aveva avuto un sonno agitato e tra le mie braccia più volte  si era irrigidita, cercando di staccarsi da me. E si era voltata e rivoltata infinite volte, vinta dagli incubi di quella lunga notte.
Anche il mio sonno era stato inquieto. La rabbia di Aurore, la sua frustrazione mi avevano colpito al cuore. Il suo rancore per i nobili, persino per Oscar che neanche conosceva, mi aveva lasciato senza fiato.
Eppure, nonostante l’enormità delle sue parole, non mi arrogavo il diritto di giudicarla, di darle torto, perché sentivo che quella parte di me rappresentata dalla mia natura di figlio del popolo non poteva che darle ragione.
Era vero. Versailles riluceva ricoperta d’oro.
Versailles risplendeva alla luce del mattino.
Parigi moriva letteralmente di fame.
Parigi  moriva sopraffatta da soprusi di ogni genere.
Ma lei, no, non è come loro, lei no…no….
 
Ero entrato in cucina per riporre un vassoio che avevo trovato in uno dei salottini privati solitamente utilizzato da Oscar su cui erano deposti una bottiglia di prezioso vino e due bicchieri.
“Ah…eccoti Andrè…grazie…”.
“Di niente, nonna. E’ stato qui qualcuno in visita ieri?”.
“Si tesoro, il Conte Girodelle”.
“E per quale motivo?”.
“Non saprei, Andrè… non saprei proprio. Ma non credo che Oscar l’aspettasse, si è fatto annunciare dopo cena ed è stato qui un paio d’ore”.
“Capisco ”. Mormorai.
“E non ti ha detto niente, Oscar?”.
“No, ultimamente mi sembra piuttosto strana la nostra Oscar. E’ più silenziosa del solito e non capisco perché. Era tutto più facile quando eravate bambini, sai? Se combinavate qualcosa vi si leggeva in faccia. Se avevate dei problemi venivate da me e sussurrando nel mio orecchio mi chiedevate consiglio. E poi eravate molto uniti da piccoli e lo siete stati  anche da ragazzi. Vi capivate al volo e vi sostenevate a vicenda”.
“..Gia..” sussurrai come un filo di voce.
“Vi siete allontanati….io me ne accorgo sai… e forse Oscar sente di avere perso un amico. Io temevo che la vostra amicizia le nuocesse, ma adesso..non so…credo che lei abbia più bisogno di te di quando non voglia ammettere”.
Mi mancò letteralmente il fiato nei polmoni. Trattenni il respiro per alcuni istanti.
Le parole di mia nonna mi avevano investito come un catino di acqua ghiacciata in pieno petto.
“…Ma non mi ha perso come amico, io ci sarò sempre..”
“…Non so se faccio bene a dirtelo ma….l’altro giorno mi ha fatto una domanda che non mi aveva mai posto prima…”.
“Cosa ti ha chiesto?” chiesi mentre la curiosità mi stava divorando.
“Ero salita in camera sua per portare della biancheria pulita e quando sono entrata l’ho trovata distesa sul letto vestita ancora con l’uniforme e gli stivali. Non è da lei gettarsi così sul letto e deve esserci rimasta un bel po’ poiché era orami molto tardi. Ha continuato a fissare il soffitto senza parlare e poi mi ha guardata con insistenza  per alcuni  istanti. Quando mi sono avvicinata e le ho chiesto se andasse tutto bene, mi ha chiesto di sedermi accanto a lei e di parlarle dei tuoi genitori, Andrè….del tuo papà  e della tua mamma”.
Mi sentivo esplodere il cuore nel petto.
“Mi ha detto che non ricordava nulla della tua mamma anche se sapeva  che quando era bambina le avevo raccontato molte cose della tua famiglia, Andrè”.
“E cosa le hai detto?” Non riuscivo neanche a parlare.
“Che hai gli stessi occhi verdi di tua madre. Che era molto bella, dolce e rideva sempre con allegria. Che tuo padre aveva invece gli occhi blu e i capelli scuri. Che era un uomo buono e coraggioso.  Che si amarono dal primo giorno fino all’ultimo. E che ti amarono sopra ogni cosa”.
Lo aveva detto mentre piccole lacrime le scivolavano sulle guance paffute, subito raccolte da un fazzoletto bianco.
“E lei….poi cos’ha detto?” 
Sentivo il suono incerto della mia voce che si sollevava in cucina tra il veloce scoppiettio delle fiamme del camino.
“E’ rimasta in silenzio ma io ho notato che era commossa. Poi mi ha sorriso e ha detto di avere capito che solo chi  è cresciuto nell’amore sa davvero amare”.
 
Rimasi lì, con la bocca spalancata, gli occhi sbarrati a fissare il vuoto, nell’inutile tentativo di rimandare indietro le lacrime che ormai senza alcun controllo  mi rigavano il viso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13 ***


Follia 





 

Pioveva ininterrottamente ormai da tre giorni e mi sembrava che le strade fossero state inghiottite da enormi pozzanghere sporche.
Disteso sul letto della mia camera ascoltavo le note del pianoforte di Oscar che tagliavano il silenzio diffondendosi leggere nelle stanze,  percorrendo i lunghi corridoi del palazzo, discendendo poi lungo il grande scalone.
Suonava Bach ma la consueta melodia malinconica aveva lasciato il posto a una partitura più vigorosa che lei eseguiva scivolando nervosamente sui tasti bianchi e neri.
Mi alzai e dopo alcuni momenti di immobilità, mi diressi piano verso le cucine.
Mia nonna sembrava aspettarmi.

“Portalo a Oscar, per favore, non ha mangiato molto a colazione ”.
Percorsi le scale con un vassoio colmo di frutta in mano, quasi correndo, ma giunto di fronte  a camera sua mi fermai alcuni istanti  prima di bussare.
Stavo per entrate di nuovo nel suo mondo e se da un lato non vedevo l’ora di immergermi anima e corpo in quel posto, dall’altro percepivo una strana inquietudine che mi stava piano piano avvolgendo.
Entrai facendo attenzione a non rovesciare nulla e appoggiai il vassoio su di un tavolino accanto al pianoforte. Lei non mi guardò e non smise di suonare. Fermai i miei passi accanto a lei e mi lasciai rapire.
Da lei.
Dalla sua bellezza.
Dalla sua musica.
Dalla sua anima inquieta rivelata da quelle note diffuse troppo velocemente.
La osservavo con insistenza, senza quasi rendermi conto dell’indiscrezione del mio sguardo che sembrava divorare con avidità ciò che vedeva.
La osservavo e sentivo il mio cuore rivestirsi di un alone di dolcezza che mi emozionava al punto di lasciarmi inerme e senza fiato.
Sapeva che ero lì accanto a lei ma non aveva mai volto lo sguardo verso di me.
Poi, improvvisamente, le note cessarono, così, tanto violentemente quanto erano risuonate nell’aria pochi istanti prima, alte e melodiose, lasciandola ansimante, con le dita ancora accostate ai tasti.
Sobbalzai nel sentire il silenzio che riempiva la stanza quando l’eco delle ultime note si disperse come le  gocce di rugiada al sorgere del sole.
E vidi il suo sguardo su di me. Quegli occhi languidi che persi nei miei stavano ritrovando le fiamme di un incendio.

“..Ciao Andrè”.
“..Ciao Oscar..”.
Io rimasi lì, in piedi accanto a lei mentre Oscar, assorta nei suoi pensieri, ancora seduta davanti al piano si sfregava nervosamente le mani sulle cosce inguainate dai pantaloni bianchi.
Rimasi lì, muto come un pesce, muto come  quando da bamnino mia nonna mi scopriva a rubare i biscotti e mi tirava le orecchie.
Muto come in certi incubi che ogni tanto infestavano la mia notte, quando un orribile mostro ti insegue per ucciderti, per  divorarti,  e tu non riesci a gridare, a scappare, e rimani impietrito e immobile con  il tuo urlo sordo che ti muore miseramente in gola.
“Cosa fai qui?”.
“..Ti ho portato della frutta..”.
Abbozzò un sorriso. “Questo l’ho visto..mi stupisce che tu sia qui dato che hai qualche ora libera oggi. Andremo a Corte più tardi”.
Colpito.
“io..volevo stare con te…assicurarmi che stessi bene”.
“Faresti meglio a preoccuparti per la tua fidanzata, io me la cavo benissimo anche da sola”. Lo aveva detto con un tono brusco.
Colpito e affondato.
Mi morsi un labbro e non riuscii a evitare di scuotere la testa nervosamente in segno di disapprovazione.
Distolse i suoi occhi dai miei che la scrutavano increduli e piegando la testa si passò  lentamente una mano sulla fronte liberandola da alcune ciocche di capelli che le ricadevano sul volto.
Pensavo si fosse pentita di una frase pronunciata frettolosamente, pensavo che la sua agitazione si fosse placata, invece si alzò e venne verso di me.
“Sei venuto per dirmi che te ne andrai con lei?”.
Il suo volto a pochi centimetri dal mio. Di nuovo una sfida per me.
“No.. io non ne avevo intenzione…”.
“Forse non oggi ma prima o poi te ne andrai via da questa casa…”.
Di nuovo il cuore che batteva  nelle tempie.
“Chi è quella donna, cosa sai di lei?”. La sua voce si era fatta più tagliente.
“Non sai niente di lei in fondo….la conosci appena…..ti fidi di lei? Ti fidi davvero?”.

“Certo che mi fido, che ti piaccia o no…..e non devo chiedere a te il permesso di frequentare chi voglio”.
Un sorriso beffardo, il suo,  per divorare le mie sicurezze mentre la rabbia si riversava, feroce, su di lei.
“Io non ti impedisco certo di gioire della compagnia di Girodelle. Cos’è, Oscar, hai deciso di cambiarla finalmente la tua vita tra le braccia del giovane Conte?”.
Restai con gli occhi puntati rabbiosamente nei suoi mentre vedevo un ceffone arrivare sul mio viso. Non chiusi gli occhi come non mossi il capo. Neanche di un centimetro.
E esattamente come nell’incubo del mostro, i miei piedi incollati al suolo si rifiutarono di muovere i miei passi verso di lei, che lasciava velocemente la stanza, sbattendo dietro di sé la porta.

Sentii i cristalli dei bicchieri vibrare, i vetri delle finestre tremare.
Sentii il mio cuore andare in frantumi.
Anni prima, un pomeriggio d’estate, avevo avuto il terrore che qualcuno, un giorno, la portasse via da me, dal mio amore impossibile.
Che la mancanza di lei mi divorasse l’anima.
Ora mi rendevo finalmente conto che la stavo perdendo e che solo al mio comportamento egoista e irragionevole potevo attribuire la colpa di averla perduta.
Mi ero allontanato da lei, lentamente, giorno dopo giorno, per paura di soffrire.
A fatica ripresi il controllo di me e un passo dopo l’altro mi buttai giù a perdifiato per le scale e mi diressi verso le scuderie, dove avevo sentito il nitrito di Cesar.
Corsi più che potei ma, una volta giunto lì, l’assenza di lei mi privò dei battiti del cuore.
In quella stanza, così vicino a Oscar,  il mio maledetto cuore aveva ripreso a sanguinare.
La amavo, disperatamente, inesorabilmente, perdutamente, nonostante i miei maldestri tentativi di vivere senza di lei.
Perché era pura follia pensare ad una vita senza di lei.
Impossibile respirare senza di lei.
Impossibile guardare il sole e vederlo splendere.
Impossibile essere vivo.
 
 

 
 

 

 
Note:
Ecco le baruffe, le ripicche e le gelosie reciproche…..per ora Oscar e Andrè sono ancora “sospesi“ in questo limbo dove emozioni e sentimenti vengono celati.
Dal prossimo capitolo si cambia.
Baci a tutte. 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14 ***


Follia





 

 
Rimasi lì, con la testa tra le mani a fissare la biada dei cavalli, finché decisi di andare da Aurore. Dovevo vederla, parlarle.
Cavalcai fino in città e bussai alla sua porta. Ma nessuno mi aprì. La chiamai rivolgendomi alla sua finestra, ma sentii una porta  aprirsi e una vicina di casa venire verso di me.
“Andrè….è successa una cosa terribile…”.
“Cosa è successo? Aurore sta bene?”. Una sensazione di angoscia mi aveva investito lasciandomi senza fiato.
“L’hanno arrestata…..stamattina sono venuti i gendarmi e l’hanno portata via..”.
Le gambe  mi tremavano, sotto di me la strada sembrava di burro.
“..C…cosa…e perché mai?”.
La accusano di avere scritto dei libelli contro la Regina, dicono di avere le prove che fosse lei l’autrice di molti scritti.
Chiusi gli occhi e nella testa mi risuonarono le parole di Aurore…devono morire tutti… il loro sangue scorrerà sulle strade di Parigi…maledetta austriaca….ma  poi subito immaginai il suo viso sorridente, la dolcezza che muoveva le sue azioni.
“Non può essere…è un errore…”.

Mi diressi verso la Gendarmerie ma non riuscii ad avere notizie. Sembrava che nessuno volesse parlare, dirmi dove fosse. Sembrava un caso troppo delicato, quello di Madmoiselle Bourgeois  per dare informazioni a Andrè Grandier.

Tornai a casa galoppando all’impazzata. Dovevo chiedere aiuto all’unica persona che  avrebbe potuto avere un ascendente sui vertici della guardia parigina.
“E’ rientrata Oscar?” urlai a mia nonna senza aspettare la risposta e salendo due a due i gradini verso camera sua.
“..Si …..Andrè…cosa è auccesso?”.
Aprii la sua porta senza bussare. Non lo avevo mai fatto prima.
Spalancai quella porta mosso da un’angoscia che mi annebbiava la mente.
La trovai seduta su un divano, con la testa tra le mani. Accanto a sé, un foglio stropicciato.
Alzò lo sguardo su di me. Rimasi gelato.
E mi si fermò il cuore.
“..Tu lo sapevi vero...lo sapevi?”. Gridavo a squarciagola.
Lo sapeva…lo sapeva…non facevo altro che ripetermelo stringendo i pugni tanto da farmi male.
Lei mi guardava attonita.
“ Certo che lo sapevi…….adesso mi spiego le domande di questa mattina…..il disprezzo nei suoi confronti”.
“No….Andrè …no”.
“….E magari c'entri qualcosa con questo arresto ..”. Urlavo e la mia voce rimbombava nella stanza.
“No..come  puoi pensarlo…”
“Andrè non può essere felice, vero? Non se lo merita…non ne ha diritto…”.
“Non puoi credere che io c'entri qualcosa..ti prego…”. La sua voce era sicura ma veniva coperta dalla mia, molto più impetuosa.
“Stai calmo Andrè..ti prego..”.
Afferrò il foglio sul divano e lo sollevò verso di me. 
“Questo pomeriggio sono stata convocata dal Ministro degli Interni. Voleva informarmi del fatto che a Parigi sono stati effettuati degli arresti che riguardano autori di libelli contro la famiglia Reale. Non potevo credere ai miei occhi quando tra i nomi degli arrestati ho letto il suo.  Leggi”.
Tremando afferrai dalle sue mani il foglio e lo lessi d’un fiato. Scorsi i nomi scritti, nomi che non conoscevo, estranei senza significato, fino a quando vidi il suo.
Aurore Isabelle Bourgeois
Era accusata di essere l’autrice di alcuni testi diffamatori contro la Regina Maria Antonietta.
“Non…non può essere….non Aurore, non lei”.
Oscar mi osservava in silenzio.
“Deve esserci un errore, si sono sbagliati, lei è una scrittrice di romanzi, non di libelli. Solo perché è una donna ed è colta, non vuole dire che sia la colpevole e poi….”.
“Poi cosa?”.
“Aurore è la figlia illegittima di un nobile. C’è sangue nobile nelle sue vene. La madre lavorava presso una famiglia nobile e ha avuto un storia d’amore con il figlio. Quando si sono accorti che era incinta, l’hanno allontanata e con una piccola rendita che le hanno concesso si sono puliti la coscienza. E’ con quei soldi che la madre l’ha fatta studiare”.
Non urlavo più adesso. Io stesso facevo fatica a udire il suono della mia voce.
Oscar era assorta nei suoi pensieri e si mordeva nervosamente un labbro.
“E non credi che quanto è accaduto a sua madre possa avere provocato il risentimento che prova verso la Regina?”.
“Non lo so, non lo so…”.
Le stavo mentendo. Mentre mi ostinavo a negare, nella mia mente si faceva spazio il dubbio che davvero Aurore potesse essere l’autrice dei libelli. Il suo odio non era solo rivolto verso la famiglia Reale, la Regina in particolare, ma verso tutti i nobili in genere.
“Io credo che si possa arrivare a odiare la classe sociale a cui si crede di avere diritto di appartenere  se  ci è preclusa. La nobiltà l’ha rifiutata e lei ha trasformato il rifiuto in odio” disse laconica Oscar.
Non me la sentii di continuare a mentirle e non la contraddissi più.
“Io ero venuto per chiederti aiuto Oscar”.
Sospirò e si riportò la testa tra le mani.
“Domani vedrò cosa posso fare. Tu sai il nome di suo padre?”.
“..Si.. è il Conte  Auguste de Montroux, ma lei non vuole avere a che fare con quella famiglia…e poi lui si è trasferito a BorMseaux…”.
“Va bene….”. Si alzò e venne più vicino a me.
“….Perdonami Oscar...io non avrei mai dovuto dubitare di te, ho commesso un errore imperdonabile”.
Scosse la testa e mi sorrise.
“Da ragazzini promettemmo che ci saremmo sempre stati, l’uno per l’altra. Per me non è mai cambiato nulla, Andrè”.
“… E ti devo chiedere scusa anche per stamattina non avevo intenzione di ferirti, ma sembra che ultimamente sia capace solo di farti del male. Ed è una cosa che non vorrei mai fare, credimi”.
Fu un attimo, un solo incredibile istante dove il tempo e lo spazio rimasero sospesi nel vuoto e ci ritrovammo, quasi senza accorgercene, l’uno tra le braccia dell’altro, esattamente come, da bambini con un abbraccio ci eravamo consolati per le angherie subite da quel mostruoso precettore. Esattamente come quando bastava guardarci negli occhi per ritrovare un po’ di noi stessi.
Avevamo mosso i piedi all’unisono. Avevamo sollevato le braccia e accolto il corpo dell’altro in una carezza piena e avvolgente.
E non ci furono parole tra di noi, per non rischiare di infrangere la magia di quel momento.
Per non sciogliere la dolcezza di quell’abbraccio.
Affondai il viso tra i suoi capelli e la strinsi sempre di più a me.
Sentivo il suo respiro.
Il battito del suo cuore.
Proprio accanto al mio.
Sapevo che non mi avrebbe mai tradito. Il mio cuore, lacerato, sanguinante, trafitto mille volte, lo aveva sempre saputo.

 






 
Note:

Sto già sentendo le vostre urla di gioia per ciò che è capitato ad Auroe. 
Ma non gioite troppo presto, qui inniziano i guai.....

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15 ***


Follia
 



 
 
 
Non chiusi occhio quella notte, non mi tolsi neanche i vestiti. Rimasi seduto su una poltrona a fissare la tenue fiammella di una candela che lentamente si consumava davanti ai miei occhi, lasciandomi infine completamente al buio.
Ripensavo ad Aurore, a quello che aveva rappresentato per me negli ultimi mesi.
Ripensavo ai suoi sorrisi, al suo corpo accogliente e morbido che mi faceva sentire sazio e felice. Al suo amore per me, sul quale non avevo dubbi. Vedevo solo amore nei suoi occhi blu, li vedevo illuminarsi al mio arrivo, velarsi di tristezza ad ogni addio.
La vedevo gemere di piacere mentre si concedeva senza remore nelle nostre notti d’amore. Sapeva amare, Aurore, di questo ne ero certo. Sapeva coinvolgere corpo e mente, legare a sé in modo pieno e totale.
Mi aveva raccontato così tante cose di lei che credevo davvero di conoscerla, la piccola Aurore, di avere compreso la portata dei suoi tormenti e l’odio per coloro che ne reputava gli artefici.
E la sentivo pronunciare parole d’amore per me, quei ti amo mormorati durante l’amore, al culmine della passione, come durante le nostre passeggiate per i parchi di Parigi. Lo diceva e subito dopo abbassava la testa e le guance si vestivano di rosso.
Si, mi amava. Di questo, almeno, non potevo dubitare.
E mi arrovellavo la mente nel tentativo di capire se davvero potesse essere lei l’autrice dei libelli, se il suo odio per la Regina si fosse trasformato in proclami diffamatori. Cercavo nella mente le prove di quegli scritti, dettagli che mi potessero fare ricordare qualcosa, un plico di carta nascosto, un cassetto chiuso, un racconto vietato ai miei occhi.
Ma dopo ore di minuziosa indagine nella memoria, sospirando, mi dissi che in fondo la ricerca della sua colpevolezza o della sua innocenza non avrebbe avuto una reale    importanza perché l’unica cosa importante era pensare a una via di salvezza.
Sapevo che Oscar mi avrebbe aiutato, che avrebbe come sempre trovato il modo di risolvere una situazione che sembrava irrimediabile.
Dovevo farla uscire di prigione. Al resto avrei pensato in seguito.
Al mattino  l‘espressione assonnata di Oscar mi rivelò che anche per lei la notte doveva essere stata insonne. Ma nei suoi occhi lessi la consueta determinazione, quel fuoco che arde in ogni particella del suo corpo, e ne fui rassicurato.
Passammo la giornata a vagare tra un autorevole referente  e l’altro, tra la Prefettura e la Gendarmerie, tra Parigi e Versailles, nel tentativo di avere maggiori informazioni su quanto era accaduto.
La seguivo tenendomi in disparte, cercando di cogliere un lume di speranza nei suoi occhi celesti.
“E’ alla Bastiglia”.
“Lo temevo…” replicai ansioso.
“Hanno le prove, Andrè. Al momento dell’arresto, nel suo appartamento sono state trovate le copie originali degli scritti contro la Regina. La calligrafia è indubbiamente la sua, non hanno dubbi. E insieme a lei sono stati arrestati il tipografo e l’editore dei libelli. Sono stati interrogati e hanno confessato confermando la colpevolezza di Aurore”.
Lo disse laconica. Come se non ci fosse altro da aggiungere.

Sospirai profondamente mentre le gambe sembravano cedere sotto il peso insopportabile del mio corpo.

“Cosa rischia?” chiesi tremando
“Dieci anni di prigione” mormorò lei.
A quel punto le gambe mi vacillarono davvero e mi sentii come se stessi cadendo nel vuoto. Inalai aria a più riprese  per tentare di riprendere il controllo di me.
“Credi che ci sia modo di aiutarla?”.
Mi sorrise e mi guardò negli occhi.
“Farò tutto il possibile, Andrè, non temere”.
“Grazie Oscar, non so davvero come ringraziarti” sussurrai. Sapevo, in cuor mio, che  m avrebbe aiutato, nonostante tutto.
Mi sorrise di nuovo senza rispondere.
“Andiamo a casa adesso, è stata una giornata faticosa” mormorò.
 




 
Dopo cena ci ritrovammo di nuovo insieme, nella sua camera.
“Vuoi bere qualcosa, Andrè?”.
“No....ti ringrazio Oscar ma preferisco rimanere lucido, almeno questa sera”.
Stappai la bottiglia e le riempii il bicchiere con un vino rosso denso e corposo che lei prese dalla mia mano.
“Credo sia meglio evitare di parlare di quello che sta accadendo fuori da questa stanza, mio padre non approverebbe il fatto che tu sia fidanzato con una rivoluzionaria!!”.

“Oscar!” borbottai con tomo di rimprovero.

“Scusami….non è il caso di scherzare su queste cose…perdonami”.
Feci una smorfia mostrando insofferenza. Si stava vendicando per il mio comportamento del giorno precedente, quando l’avevo accusata ingiustamente di essere a conoscenza dell’arresto, e in fondo non mi importava. Aveva davvero tutte le ragioni per essere un po’ in collera con me e l’ironia di quella boutade non riusciva a intaccare la mia riconoscenza nei suoi confronti.
“Io non mi sono mai accorto di nulla, altrimenti avrei smesso di frequentarla…io non ho niente contro i nobili e men che meno contro la Regina. Non ho dimenticato di dovere la vita alla Regina Maria Antonietta. Devo tutto alla famiglia nobile nella cui casa sono cresciuto e non lo potrò mai scordare, qualunque cosa dovesse accadermi nella vita. Ma a volte credo che se non fossi cresciuto qui, sarei un uomo diverso e probabilmente la mia idea sui nobili e sulla monarchia non sarebbe molto diversa da quella di Aurore”.
Mi guardò e sul suo volto apparve un’espressione divertita.

“Credo che se non fossi vissuto qui a quest’ora saresti il capo dei rivoluzionari, Andrè e marceresti con la tua fidanzata alla volta di Versailles con le forche in mano.
“Oscar smettila..non infierire”.
Mi ero seduto accanto a lei, sul divano, ma la mia inquietudine era tale che avrei voluto alzarmi e calpestare nervosamente ogni centimetro del suo appartamento.
“Non ti incolpo di niente, Andrè, non temere. Non si può scegliere di chi innamorarsi e se tu hai scelto lei,…..allora vuole dire che era scritto nel destino”.
Parlava con voce flebile, mentre il mio unico pensiero era che quel destino si era preso gioco di me in mille modi diversi. Si era beffato della mia ricerca della felicità. Della mia paura di soffrire. Della mia consapevolezza che il mio destino non sarebbe mai stata Oscar.
“….E per quanto riguardala la tua condanna a morte, non avrei mai permesso che la sentenza fosse eseguita, avrei aperto le porte della tua cella con le mie mani..”.
Sorrisi emozionato per quella rivelazione.
Appoggiò il bicchiere per terra e ritornando ad appoggiarsi sullo schienale del divano si fece più vicino a me.
Dopo alcuni istanti, sentii la sua mano scivolare piano nella mia.
Fredda e sottile, scompariva quasi stretta nella mia, più grande e scura, ma così bollente da desiderare di impossessarmene completamente e trasmettere alla sua un po’ del mio calore.
Lei sollevò le gambe fino a raggiungere il tavolino posto di fronte al divano per poi distenderle completamente.
Poi, d’un tratto, accostò il capo alla mia spalla e si adagiò completamente a me.
Pensai di impazzire per quel contatto e smisi di respirare, trattenendo il fiato più a lungo possibile. Un groviglio di nodi mi attanagliava lo stomaco, come una morsa che non mi lasciava tregua.
Non parlavamo, percepivo il ritmo regolare del suo respiro e il leggero fremito del corpo quando inalava aria e poi inspirava piano.
La immaginavo con gli occhi aperti, assorta, a fissare in silenzio le ombre  scure della sua stanza mentre i pensieri rimanevano sospesi nell’aria umida della notte.
E chiesi a Dio di fermare il tempo.
Proprio in quell’istante.
Con la mia mano calda stretta nella sua.
Con il suo respiro che vibrava nel mio.
Tremando all’idea che arrivasse il momento in cui  si sarebbe destata da quel torpore, che avrebbe sollevato il capo e sarebbe andata via, facendo svanire quell’incredibile magia.
Perché di incantesimo doveva trattarsi.
Non pesavo a nulla in quei momenti, la mente libera da ogni problema.
Esisteva solo lei. Lei accanto a me.
Lei e la sua mano ancora rinchiusa nella mia.
Lei e i suoi capelli biondi sparsi sul mio braccio.
Lei e ogni singolo istante trascorso al suo fianco.
Mi allungai fino a posare anch’io una gamba sul tavolino.
Il suo respiro più regolare. Si era addormentata accanto a me.
Socchiusi gli occhi. Cullato dal respiro di Oscar mi lasciai scivolare lentamente nel sonno incapace di porre resistenza alla mia stanchezza.
 

 







 
Note:
Direi che con l’evolversi della storia, il personaggio migliore, al momento, risulta essere Oscar. L’amicizia per Andrè è messa al primo posto, tanto da aiutare una ragazza che si è macchiata di gravi reati.
Non vi anticipo nulla sul prosieguo. Lascio libera la vostra immaginazione, è troppo divertente… anche se a qualcuno ho confessato che il cap. 18 mi è uscito davvero triste.
Forse, più che triste, struggente….boh, vedremo!! Aspetto sempre il lancio di pomodori…!!

P.S.: dopo le considerazioni di Andrè sulle sue notti di passione con Aurore....la parte di me che lo ama alla follia e che sta impazzendo di gelosia, vorrebbe rinchiuderla in cella e buttare via la chiave....!!! Quasi quasi cancello tutto e la lascio lì in gattabuia. :) :)

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16 ***


Follia







Qual è stato l’istante nel quale hai desiderato che fossi io il tuo uomo?
Lo ricordi?
Quando hai sentito il cuore battere, quel nodo alla gola che ti ruba il fiato e che ti lascia spaesato e senza respiro?
Lo ricordi?
Io si, lo ricordo.
Ricordo tutto di te. Della nostra vita.
Ricordo ogni istante nel quale ti ho sentita vicina.
E ogni  stante nel quale ti ho sentita maledettamente lontana.
E ogni volta il mio cuore sanguinava.
Nella gioia e nel dolore.
Sarà così anche per noi un giorno?
 

 




Dopo diversi giorni trascorsi  a seguire Oscar che cercava  inutilmente di intercedere per Aurore, mi assalì lo sconforto per la mia incapacità di esserle d’aiuto.
L’idea di lei rinchiusa alla Bastiglia mi tormentava, mi dilaniava. Grazie a Dio era ormai iniziatala stagione calda e per lo meno non avrebbe sofferto il freddo e l’umido di quelle mura.
La piccola Aurore.
La immaginavo raggomitolata su una branda mentre si chiedeva se davvero ne fosse valsa la pena scrivere quei libelli contro la Regina che alla fine avevano finito per nuocere solo a lei privandola della libertà.
Senza i suoi libri, senza i suoi racconti, senza la carta  per scrivere e senza pennino e inchiostro.  Le sarebbero mancati come l’aria. Forse di più dell’aria.
E se non fossi riuscito a fare qualcosa per lei, avrebbe passato i suoi anni migliori chiusa in una cella. La monarchia teme i propri detrattori e  se può, li cancella dalla faccia della terra gettandoli in gattabuia senza un giusto processo.
Finchè, un giorno, l’idea irrazionale e insensata di rivolgermi ai de Montroux mi sembrò l’unica via ancora percorribile.
Arrivammo a palazzo Montreaux di mattina. I Conti abitavano a Parigi in una zona piuttosto elegante. La famiglia non frequentava Versailles, non era sufficientemente agiata per permettersi la vita di Corte e persino Oscar non conosceva nessuno degli esponenti.
Ci aprì un vecchio maggiordomo con indosso una livrea piuttosto consunta.
Chiedemmo udienza al Conte e l’uomo ci condusse in un salotto ornato con stucchi e decori preziosi.
Dopo un’interminabile attesa che riempimmo scrutando incuriositi i visi degli antenati ritratti in quei quadri, la porta si aprì ed entrò una donna piuttosto anziana. Indossava una parrucca fuori moda, troppo grande per la sua testa, troppo decorata per essere posta sul capo di un’anziana signora. Indossava un abito scuro che le conferiva un aspetto piuttosto cupo.
Ci invitò ad accomodarci e si disse ansiosa di conoscere il motivo della nostra visita.
Ci presentammo e fu piuttosto colpita dal ricevere la visita del Comandante delle Guardie Reali nella sua dimora. Ci confermò di non ambire alla vita di Corte, soprattutto da quando i suoi familiari più cari erano morti.
I due figli erano entrambi deceduti, il primogenito a Parigi e il secondogenito a Bordeaux e il marito giaceva paralizzato in un letto da diverso tempo.
“La vecchiaia non è sempre positiva, Comandante Jarjayes, perché si vedono spegnere troppe vite dinnanzi agli occhi”. Le si velarono gli occhi di lacrime.
“Non avrei dovuto sopravvivere ai miei figli, è ingiusto che sia successo”.
Ci guardammo sconfortati. Avevamo sperato di trovare qualcuno che potesse perorare la causa di Aurore, qualcuno di influente, con conoscenze importanti, invece ci trovavamo di fronte un’anziana triste e senza sorriso.
Oscar le parlò comunque di Aurore, della sua nascita dovuta all’amore tra la madre e il figlio minore e della situazione tragica nella quale si trovava
La contessa sospirò più volte scuotendo la testa.  La osservavo nella speranza di vedere in quegli occhi molli un segno di compassione.
Invece scosse la testa.
 “Ricordo benissimo questa storia. Mio marito all’epoca prese la decisione di allontanare mio figlio da quella donna. Non sarò certo io disattendere le volontà del Conte. Inoltre non mi sembra che quella ragazza sia cresciuta con sani principi dato che si è macchiata di un reato gravissimo. Tutto ciò non fa che confermare la nostra opinione sull’unione di mio figlio con quella donna”.
Era tutto inutile.
Si alzò, si diresse verso la porta dandoci  le spalle e si fermò.
“Non siamo certo una famiglia influente, Comandante, e anche se lo volessi non ne avrei i mezzi e le capacità. Se ne siete in grado aiutatela voi.
“Se voi la conosceste, Madame, non potreste che affezionarvi a lei. Aurore è dolce, ha un’intelligenza viva e acuta e sa rallegrare la vita. Ma ha sofferto molto in vita sua e questo l’ha resa troppo fragile per comprendere la portata dei suoi errori e la gravità delle sue azioni”.
“Mi spiace molto..” replicò con tono fermo “Non ho altro da aggiungere”.
“Aurore ha gli occhi blu come i vostri, esattamente come i vostri, Contessa….” cercai di dirle alzando la voce mentre le porte del salotto si chiudevano dietro di lei.
“Che ingenui a venire qui, cosa speravamo?” mormorai scuotendo nervosamente la testa.
Mi girai verso Oscar e la trovai con la bocca dischiusa e gli occhi fermi sul mio volto.
Talmente immobile che sembrava non volesse permettere all’aria di riempirle i polmoni.
Le mie parole l’avevano visibilmente scossa.
Andammo via senza che nessuno di noi proferisse parola per diverso tempo.
La vedevo assorta in pensieri che non riuscivo a decifrare.
Le restava una sola, insensata possibilità per aiutare Aurore e in quell’istante decise di rischiare il tutto per tutto. La sua reputazione, i suoi gradi.
Per una sconosciuta.
Ma non mi disse niente e fece bene perché probabilmente  le avrei impedito di fare una pazzia del genere.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17 ***


Follia





 
Aveva rincominciato a piovere insistentemente e le belle giornate di sole dei giorni precedenti avevano lasciato il posto ad un cielo perennemente plumbeo.
Era ancora piuttosto presto, mi stavo rigirando da un po’ nel letto, quando sentii bussare alla  mia porta.
“Avanti..”.
“Sei sveglio?”.
“Oscar..che fai qui? E’ successo qualcosa?”
“Si…aspetto comunicazioni importanti sul conto di Aurore. Vestiti e andiamo a Parigi, in Prefettura”.
“Comunicazioni di che genere?”
”Schh….poche domande… Grandier …vestiti in fretta.” mi ordinò afferrando i pantaloni e la camicia che avevo riposti su una sedia e lanciandomeli in faccia.
“Ti aspetto in cucina….muoviti…”.
Mi alzai in fretta, mi sciacquai velocemente e mi infilai i vestiti.
Cosa diavolo stava accadendo?
Spinto dalla curiosità mi diressi correndo verso la cucina ma mi accorsi che la presenza di alcune cameriere impediva ogni chiarimento.
Solo lungo la strada per Parigi iniziò a parlare.
“Ho parlato con una persona influente...e credo di avere ottenuto il permesso di incontrare Aurore”.
Mi sembrò di essere disarcionato dal cavallo, tanto mi girava la testa,  ma subito mi accorsi che in realtà ero ben saldo in sella.
“Chi può incontrarla..?”.
“Tu”.
Non dissi più niente fino a Parigi. Riuscivo solo a pensare a cosa le avrei detto quando l’avessi vista. Cavalcavo al fianco di Oscar mentre mi sembrava che la terra mi  mancasse sotto i piedi. Lei non mi guardava, incitava Cesar a correre sotto la pioggia, senza curarsi di schivare le mille pozzanghere che avevano mangiato la strada.
Uscì dalla Prefettura con lo sguardo vivo e un foglio in mano.
“La puoi incontrare tu Andrè, ma è necessario che io ti accompagni, non puoi entrare alla Bastiglia da solo, non te le concedono.
“Cos’è, temono che la faccia evadere?”.
“Per amore si fa questo e altro, no?…Anche aprire con le mani le porte di una prigione….”.
Mi sorrise abbassando il capo, perdendosi per alcuni istanti nei suoi pensieri.
 
 
Percorsi piano i gradini che mi portavano alla cella in cui Aurore era rinchiusa da due settimane L’avrei vista tra pochi istanti ed un misto di emozioni si scatenava dentro di me.
Ogni gradino era un piccolo ricordo di lei.
Il primo sorriso.
La prima volta.
L’ultimo bacio.
La scala era impervia, buia, e a fatica riuscivo a trovare lo spazio per i miei piedi su quei gradini consumati. L’aria era rarefatta e non si sentiva alcun suono provenire dal piano superiore.
Sembrava un posto disabitato, un luogo dimenticato dagli uomini e da Dio.
Oscar saliva dietro di me, e nel silenzio più totale riuscivo solo a percepire il rumore dei suoi pasi.
Giunti alla fine dei gradini ci trovammo davanti ad un ampio corridoio dove una guardia si destò dal sonno non appena si accorse della nostra presenza.
“Sono il Comandante Oscar François de Jarjayes, abbiamo l’autorizzazione per vedere Madmoiselle Bourgeois”.
Sbuffando, si alzò dal suo tavolo, afferrò un mazzo di chiavi e si diresse verso la cella in fondo al corridoio.
Il cigolio sordo della  minuscola porta di ferro mi fece trasalire e mi ferì come una pugnalata.
“Vai, Andrè”.
Con il cuore in gola mossi alcuni passi finchè oltrepassai la soglia di quel lugubre  tugurio e mi spinsi dentro.
C’era molto buio e dovetti abituare gli occhi per vedere Aurore. Era seduta sulla piccola branda e stringeva le ginocchia tra le braccia.
Pronunciai il suo nome ma mi sorprese il fatto che non mi venisse incontro, quasi non si fosse accorta della mia presenza.
Mi osservava immobile, senza dire nulla. Gli occhi umidi si riempivano di lacrime.
“Aurore…piccola…sono qui” sussurrai  inginocchiandomi accanto a lei.
“Andrè….”. Mi gettò le braccia al collo e le lacrime diventarono singhiozzi sul mio petto.
“Come stai..come ti trattano?” chiesi stringendola a me.
“Lo vedi? La tua Regina si è vendicata di una povera scrittrice…troppo facile così, è intoccabile la tua Regina…”.
“..Dio Aurore, non ne valeva la pena…non a queste condizioni….”
Si scostò da me. Il suo abito era piuttosto sporco e i capelli, di solido morbidi e vaporosi che lei racchiudeva in grandi boccoli, erano completamente sciolti e ricadevano sulla schiena.
”Non mi guardare così..sono orribile”.
“No…..sei sempre la ragazza più bella  di Parigi…anche così”.
Sorrise. “Mi sei mancato così tanto…e non ho neanche i mie libri…”.
“Troverò il modo di farti uscire da qui, vedrai”.
“Lo spero, Andrè, perché io qui ci muoio” mormorò.
“Hai corso un rischio eccessivo, Aurore, come ti è venuto in mente di immischiarti in certe faccende?”.
Scosse le spalle.
“Non avrei mai voluto coinvolgere te, questa era la mia unica preoccupazione e ti ho tenuto all’oscuro da tutto”.
Le carezzai il viso con le nocche delle mani.
Sentii dei passi provenire dall’esterno. Mi girai e vidi Oscar che entrava nella cella.
Aurore la guardò sorpresa. La vidi sobbalzare  mentre Oscar si faceva più vicino a noi.
“Come state Aurore?”
“Adesso sto meglio..si…meglio….” disse asciugandosi le lacrime.
Aurore non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. La guardava incantata, con insistenza aggrottando la fronte e lasciando la bocca a tratti spalancata. Era visibilmente incuriosita dal ricevere nella sua misera cella la visita del Comandante delle Guardie Reali.
“Sto cercando di intercedere per voi, spero di riuscirvi, Aurore, di farvi uscire da qui”.
“Vi ringrazio Comandante”.
La voce di Oscar era calma e rassicurante. Convincente. I suoi occhi, inizialmente severi e indagatori, stavano iniziando ad assumere un’espressione più dolce e compassionevole.
Dopo alcuni istanti venne la guardia per comunicandoci che il tempo concesso per il colloquio era terminato.
La salutai con la morte nel cuore al pensiero di doverla lasciare in quella cella. Nessuno meritava tanto accanimento, figuriamoci una ragazza nobile, beffata dalla via,  a cui era stato portato via il futuro.

Nessuno di noi parlò. Sprofondati nel silenzio, cavalcammo fianco a fianco lentamente fino a casa.
Come spossati. Come stremati.
Come se tutte le energie che avevamo concentrato in quei giorni per aiutare Aurore si fossero esaurite, consumate, nel buio  profondo di quella piccola cella.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18 ***



Follia






 

Una piccola casa. Una collina la cui vegetazione cresce rigogliosa, generosa. 
Un sogno ricorrente. Il sapore di un ricordo lontano nel tempo che faceva capolino nella mia notte agitata.
Era una sensazione piena, che mi infondeva serenità, che mi ricordava una parte di me. Del mio passato prima di lei.
Prima di Oscar.
 
 


La vidi entrare dall’ingresso di Palazzo Jarjayes. Le andai incontro e ci trovammo sotto le scale che conducevano al suo appartamento.
La guardai e capii subito che c’erano delle novità. Un foglio stretto tra le mani confermava il sentore che avevo avuto.
Mi guardò per alcuni istanti prima di parlarmi.
Lasciò i suoi occhi celesti su di me restando in silenzio.
“Vieni in camera mia Andrè”.
La seguii senza esitazioni, ansioso di sapere di cosa si trattasse.
Entrammo e lei si andò a sedere sul divano. Sembrava stremata.
“Cosa è successo?”.
“Siediti, devo parlarti, Andrè”.
Si schiarì la voce.
“Ho incontrato Aurore oggi.”.
“Cosa?...ma io non ..”.
“Ho dovuto incontrarla da sola, avevo delle cose da appurare con lei. Dovevo capire se posso davvero fidarmi”.
“Non capisco….“ dissi scuotendo la testa.
“Ho avuto l’autorizzazione a verificare l’esistenza di alcune condizioni che renderebbero possibile  applicare ad Aurore le attenuanti e consentire di scontare una pena diversa da quella che sconterebbe altrimenti”.
“Ovvero? Quale pena…quali condizioni….”.
“Lasciare la Francia, per sempre..”. L’aveva detto a voce bassa e mi era parso che la voce un po’ vibrasse.
Sospirai laconico. “E’ già qualcosa, direi”.
“Già..”.
Rimasi in silenzio a fissare il vuoto mentre il mio cuore rallentava sempre più i battiti.
“Lasciare la Francia” ripetei come per convincermi che fosse davvero ciò che avevo appena sentito dalle sue labbra.
“A chi hai chiesto aiuto, Oscar?”..
“Alla Regina, Andrè”.
“Cosa…?”. Ero letteralmente sconvolto.
“Nonostante ciò che si dice di lei, in fondo ha un animo buono, la conosci, le ho raccontato la vicenda della piccola nobile rifiutata dalla famiglia che ha abbracciato la lotta alla monarchia solo come reazione al suo ingrato destino, e la Regina si è mostrata clemente e ha chiesto a me di giudicare se si meritasse una pena diversa”.
Ero sorpreso, la ascoltavo rapito, ammirato dalla capacità di Oscar di pendersi carico dei più deboli. Nonostante tutto.
“Ti ringrazio, Oscar, senza il tuo aiuto non ci sarebbe stata speranza per Aurore”.
Scosse la testa.
“Vedi Andrè…. in realtà non era necessario che io mi rivolgessi alla Regina, c’è un’altra via d’uscita per Aurore, ma io ancora non lo sapevo”. Inspirò aria. E non lasciò la mia curiosità disattesa.
“Aspetta un figlio”.
Chiusi gli occhi.
E li tenni chiusi per non vedere niente.
Niente.
 “Me l’ha detto lei e mi è stato confermato dal Direttore della prigione”.
Silenzio.
Solo un inutile e doloroso silenzio attorno a me.
Dentro di me.
Oscar smise di parlare. Le sue parole si spensero, improvvisamente, lasciandomi affogare in quella violenta assenza di suoni.
Non la guardavo ma potevo chiaramente sentire la sua inquietudine e mi chiesi se anche lei potesse percepire quella strana agitazione che si stava lentamente impadronendo di me e che mi stava conducendo verso una strada che sentivo ineluttabile, ineludibile, l’unica percorribile.
Con il capo chino e la testa tra le mani, fissavo la punta dei miei stivali, mentre la mia mente mi induceva a soffermarmi su un piccolo graffio che come una leggera incisione tagliava la pelle del mio stivale sinistro. Ne osservavo il colore, scuro e profondo che stonava con il marrone  del parquet, mentre un intricato mosaico di righe partiva dai miei piedi e si espandeva lungo la stanza  come una ragnatela tessuta da un antico maestro al cui centro io ero finito.
Sentivo il mio cuore decelerare i battiti che diventavano sempre più flebili portando persino il mio respiro a essere rarefatto.
Si può essere tanto felici da sentire di toccare il cielo con un dito, e tanto tristi da vederlo improvvisamente cupo e carico di pioggia, quel cielo?
Mio padre era un uomo vero, di quelli che non esistono più.
Mi diceva che nella vita, ciò che più conta è comportarsi da uomini, essere giusti, forti onesti. Se chiudo gli occhi li vedo davvero quegli occhi blu che mi accompagnavano a vedere il mondo, le sue parti più belle. A volte le mie notti sono popolate dai dolci ricordi di quella casa in cui vivevo da bambino con i miei genitori. Un posto lontano, fuori dallo spazio  e fuori dal tempo. Una casa immersa nel verde ai piedi di una collina. Una piccola porta verde, un comignolo sul tetto.
C’erano le pecore fuori la nostra piccola casa e da piccolo rincorrevo gli agnelli perché volevo abbracciarli, sentirne il calore sul mio corpo, il battito del loro cuore.
Non ricordo il giorno in cui tutto ciò è finito. Improvvisamente quella casa piena di allegria circondata da nuvole bianche, calde e lanose è scomparsa dai miei occhi di bambino.
Cos’è un uomo papà?
Lentamente alzai lo sguardo e lo volsi verso di lei che, al mio fianco, rimaneva immobile. attonita, come nell’attesa di una risposta a una domanda mai posta.
“Andrai con lei, vero?”.
Dimmelo tu come si comporta un uomo.
Dimmelo tu come  si fa a lacerare il cuore e rimanere vivi.
Cercai in lui le risposte che non trovato. Il coraggio che non avevo.
Annuii.  “Si”.
La vidi annuire con la testa, Sospirò. Senza muoversi.
Nessuno di noi sembrava potere aggiungere altro.
Solo il rumore trattenuto dei nostri respiri.
“Un figlio è una bella cosa” mi disse lei.
Annuii di nuovo.
“…Credo sia giusto….così, Andrè”.
 
 


Sognai mio padre quella notte.
Si voltava verso di me e sorrideva. E io correvo giù, a perdifiato per quella collina incantata. Correvo e lo chiamavo ridendo, ma quando rischiavo di cadere, dopo avere inciampato in una radice nascosta, erano le sue braccia robuste a catturarmi per poi sollevarmi in aria a toccare l’azzurro del cielo.

E sorrisi, emozionato, ad una piccola nuova vita.
 








 
Note:
Ho citato qua e là questo famigerato capitolo 18, creando inconsapevolmente curiosità….e aspettative.  Scriverlo mi ha commosso perchè secondo me tocca molte corde sensibili al mio animo.. O per lo meno questa è stata la mia sensazione….lascio a voi giudicare…grazie comunque per l’affetto che dimostrate nei confronti della mia stori
a.

 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19 ***


Follia



 
"Partire è un po' morire
rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po' di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
E' un dolore sottile e definitivo
come l'ultimo verso di un poema...
Partire è un po' morire
rispetto a ciò che si ama.
Si parte come per gioco
prima del viaggio estremo
e in ogni addio seminiamo
un po' della nostra anima”.


“La canzone dell’addio” di  Edmond Haracourt
 

 
 

Sono ancora nella tua bocca quando mi sollevo e prendendoti per i fianchi inverto le nostre posizioni.
Urli sorpresa, ridi e mi scompigli i capelli.
Ti adagio delicatamente sul letto e ancora sollevato sulle braccia per un istante mi soffermo ad osservare il tuo volto e poi  lo sguardo inizia un dolce viaggio lungo il tuo corpo che meraviglioso si svela ai miei occhi accesi di desiderio.
E’ la perfezione assoluta ciò che vedo, è il miracolo più sublime della natura, che ringrazio, perché  generosa e complice della nostre notte d’amore.   
Sei mia. Il mio sogno.
Vita mia. La mia vita.
Anima mia. Noi due soli.
Sospiro. Per troppa gioia.
Mia, tra le mie braccia.
Mia, tra queste mani.
Mia, su questa pelle.
Mia, sulle tue labbra.
Mia, sulle mie dita che accarezzano tremando  il tuo corpo.
Mia, sulla tua bocca che sa di miele.
Mia, e l’amore sa di follia.
 

 



Partire è un po’ come morire.
Non ci avevo mai pensato prima.
Forse perché non avrei mai pensato, prima di quella sera, che un giorno avrei lasciato  palazzo Jarjayes per non farvi ritorno.
Che avrei lasciato lei.
L’ultima  notte a casa.
L’afa di quella sera d’estate era soffocante e chiuso nella mia stanza ero in preda all’ansia.
Mi affacciai alla finestra e respirai a pieni polmoni cercando sollievo nella frescura della notte. Immerso nel silenzio e divorato dal buio, il cortile  era abitato da festosi  grilli che cantavano insieme nell’oscurità.
Era un canto, quello, che aveva accompagnato spesso i miei sonni incerti, che aveva riempito il vuoto della mia solitudine.
E guardai la luna e di lei pensai che ovunque fossi stato, sarebbe stata la stessa che Oscar avrebbe guardato nel buio della notte.
La luna mi avrebbe ricondotto a casa.
Ma c’è vita lassù?
Esiste qualcuno, nella profondità di quei volto lontano, che soffre per amore?
 
 
Mi chinai a raccogliere il foglio che mi era scivolato dalle mani. Avevo immerso la penna d’oca nell’inchiostro ma una volta raccolto da terra, mi ritrovai a fissare di nuovo quel pezzo di carta senza sapere cosa scrivere.
Fissavo immobile quel foglio su cui avrei voluto scrivere i miei ultimi pensieri per lei.
Le mie parole d’addio.
Chiusi gli occhi e mi nascosi il viso tra le mani.
I ricordi di questo luogo mi chiamano, uno a uno.
La memoria si destava mentre la malinconia non mi lasciava pace.
Oscar.
Una bambina bionda, il mio compagno di giochi.
Il giorno in cui arrivai a palazzo Jarjayes mi prese per mano e mi diede una spada.
“Saremo amici”, mi disse decisa, mentre i suoi occhi trasparenti mi davano fiducia.
E in quella bambina avevo ritrovato me stesso, la mia famiglia perduta.
Oscar.
Il mio amore per lei.
Un groviglio di nodi nello stomaco, una lama nelle viscere. Il battito folle del mio cuore.
Perché è impossibile questo amore che, nascosto, velato, soffocato, mi ha condotto lentamente alla pazzia.
Oscar.
E’ solo amore. Solo amore.
In un nome, in un volto, in un corpo sottile. In un’anima candida.
 
Mi alzai di scatto e tornai alla finestra.
Una luce illuminava la sua camera che nel buio splendeva come un faro nella notte.
E’ tormentata anche la tua notte, amore mio?
Guardai di nuovo il foglio.



Ogni istante, ogni ora, ogni giorno.
Penserò a te”
Andrè
 










 

Note:
Andrè partirà con Aurore.
Questa è l’ultima sua notte a palazzo Jarjayes, prima della partenza.
Non accade nulla di particolare, è solo l’addio alla sua vita con Oscar.
 
Tra due capitoli, si svela l'arcano. 
P.S. Un santino per Oscar?? Forse si, adesso lo prenderei anch'io, ma se si fosse resa conto che uomo aveva al suo fianco, avrebbe evitato che lui inanelasse una serie di errori a cui non si trova un rimedio. 
Posto che un figlio non è un errore, e Andrè farà di tutto per essere un ottimo padre. 





 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20 ***


Follia






 
Avevo preso in affitto una camera presso una locanda di Parigi.
La stanza era grande e molto pulita. Avrei trascorso qui un paio di giorni, il tempo necessario per ottenere i documenti definitivi per la concessione dell’esilio ad Aurore e saremmo partiti per Bruxelles.
Non sarei andato molto lontano in fondo, mi ripetevo, e avrei potuto fare ritorno a Parigi una volta all’anno. L’avevo promesso a mia nonna che al momento del commiato, non aveva compreso le ragioni della mia partenza e in lacrime mi aveva detto di badare a me stesso e alla mia compagna. Le avevo proposto di raggiungerci una volta che ci fossimo sistemati e lei aveva borbottato che era troppo vecchia per cambiare casa, vita, abitudini, città.  Però, in fondo,  sapevo che quando avesse ricevuto il mio invito, si sarebbe precipitata da noi.
“Sarai un buon padre”, mi aveva detto tra le lacrime.
Avevo percorso la strada per Parigi cavalcando al fianco di Oscar, precedendola, per alcuni tratti, come se fossi davvero ansioso di correre verso il mio futuro.
Ma dentro di me, sapevo che il momento dell’addio sarebbe stato troppo doloroso.
Cercavo di non pensarci, di rimuovere dalla testa il pensiero che di lì a poco non avrei  più udito la sua risata, visto i suoi occhi turchesi, sentito il suo profumo.
Mi aveva accompagnato alla locanda, aveva percorso dietro di me i gradini che portavano al piano superiore, fino a raggiungere la mia camera.
Era entrata e aveva scrutato velocemente l’arredamento, modesto ma dignitoso, che riempiva gli spazi della stanza.  Aveva guardato fuori dalla finestra e si era soffermata a osservare la gente che camminava per strada. Ma era come se non la guardasse davvero perché lo sguardo era fisso, perso nel vuoto.
Si girò verso di me, in silenzio. Gli occhi lucidi e umidi mi scrutavano come se volesse riempirsi la memoria della mia immagine.
E io feci lo stesso. La guardai come se la vedessi per la prima volta, come se volessi nutrirmi di ogni istante di lei.
“Io vado a prendere Aurore e la porto qui. E’ meglio che tu l’aspetti quà” disse.
“Va bene” risposi senza distogliere lo sguardo.
“Io preferisco non salire, la farò portare in camera da una guardia, quindi dobbiamo salutarci adesso, Andrè”.
Deglutii e scossi lievemente il capo annuendo.
“Prenditi cura di Aurore e del bambino, e anche di te Andrè” mormorò cercando in sé una sicurezza che non aveva.
“Si…cercherò di fare del mio meglio” risposi sottovoce.
“Promettimi che anche tu farai lo stesso, che baderai a te stessa, che cercherai di essere felice”.
Sorrise. ”Si,…felice…”.
La sua voce tremava. Le narici, impercettibilmente, si muovevano mentre le lacrime che dapprima velavano leggere l’iride avevano iniziato a scorrere sulle guance.
Mossi un passo verso di lei, spinto dall’irrefrenabile bisogno di annullare la distanza, di stringerla a me.
“Vieni qui” sospirai mentre sentivo il suo corpo unirsi al mio.
“Andrè…..”.
“Mi mancherai Oscar, mi mancherai come l’aria che respiro, mi mancherai ogni giorno, finchè avrò vita”.
“Mi mancherai anche tu, Andrè, infinitamente”.
Sentivo un fremito nel sui petto mosso dai singhiozzi.
La strinsi ancora di più a me.
La strinsi così forte che temetti di farle male.
Ma non riuscii ad allentare il mio abbraccio.
La mente insaziabilmente presa da lei.
Il mio cuore squarciato.
“Sarai padre” mi disse tra le mie braccia.
“Sarai un padre meraviglioso…”.
“Tornerò… un giorno..tornerò….da te….”.
Il mio viso perso nei suoi capelli.
Sapevano di casa. Sapevano di amore.
“Si, non è un addio, questo, ci rivedremo…” rispose mentre piccoli sussulti la facevano vibrare.
“Oscar….Oscar..” mormorai al suo orecchio accarezzando lentamente il capo che teneva appoggiato al mio volto.
Non riuscivo più a trattenerle lacrime e le lasciai libere di portare fuori  il mio dolore.
La strinsi, finché, improvvisamente, sentii il suo abbraccio farsi più debole, il corpo allentare la presa.
Mi guardò un’ultima volta prima di scivolare via da me.
Dal mio corpo. Dalla mia anima sanguinante.
Dal mio disperato bisogno di lei.
“Addio, Andrè”.
Immobile, la vidi voltarsi e uscire  in fretta dalla stanza.
E sentii il vuoto impossessarsi di me. E divorarmi.
Ma decisi di combatterlo, quel mostro sanguinario che impediva i miei passi e soffocava le grida. Decisi in quell’istante che avrei per lo meno combattuto.
“Oscar..”
Oltrepassai la soglia e un passo dopo l’altro il mostro diventava sempre più piccolo.
Finchè scomparve.
“Oscar” la chiamai urlando  e la mia voce si sollevava in aria per arrivare a lei.
Lei, che stava correndo via da me, via dal mio amore folle e smisurato, via dal nostro futuro impossibile.
E sulle scale, quando mancavano solo pochi gradini alla fine, la raggiunsi, arrestando la sua corsa.
Dietro di lei, portai un braccio intorno alla sua vita e la trattenni a me, impedendo di proseguire la sua fuga.
E  tremando affondai il viso tra i suoi capelli, stringendola ancora di più a me.
Senza vederla in volto, sentivo dentro di me tutto il suo turbamento, la sua disperazione.
“Non andare…..aspetta…” mormorai.
“Non posso lasciarti andare…non posso lasciarti così ….Io…ti amo…Oscar ...ti amo”.
Un  nuovo sospiro. “Ti amo…ti ho sempre amato e ti amerò per sempre”.
Le mie lacrime di nuovo senza alcun controllo.
Il mio corpo stretto al suo.
Un fremito in lei, un sussulto.
“ Oh…Ti amo…ti amo anch’io  Andrè”. Un sospiro flebile.
Parole d’amore tra le lacrime più dolci.
Le mie. Le sue.
Un sussulto e il mio cuore impazzisce.
Di gioia. Di disperazione.
“Ti Amo..ti amo”. Lo disse di nuovo. Semplicemente. Il capo piegato all’indietro, accostato al mio corpo.
Lentamente, lasciai la presa su di lei e la portai a voltarsi verso di me finchè i nostri visi furono uno di fronte all’altro. Gli occhi chiusi, i suoi, mentre il mio volto si faceva più vicino al suo, il viso tra le mani tremanti.
E poi le baciai, quelle labbra meravigliose, tinte di lacrime salate.
Un tocco leggero, incerto. La paura di impazzire. Di perdersi.
E il mondo, per un istante, sembrò essersi fermato, come il mio cuore.
“Perché è tutto così difficile?” dissi piano tornando a stringerla a me.
“E’ troppo tardi, avrei dovuto capirli prima i miei sentimenti per te, è troppo tardi..”
“Non credevo che anche tu potessi amarmi, Oscar, se avessi saputo…se avessi creduto che fosse possibile avere il tuo amore..”
“Troppi ostacoli tra di noi, non ci abbiamo creduto abbastanza di potere essere felici insieme, di meritarla un po’ di felicità”.
“Ti amerò per sempre, ogni istante sarà per te, solo per te” le dissi  sussurrando sulle sue labbra.
“Si…” rispose tra i singhiozzi.
“E’ troppo doloroso, troppo ingiusto....come posso lasciarti andare.?”.
Sentii la mano con cui si era aggrappata alla mia giacca allentare la presa.
Mi aveva stretto forte a sé, con la disperazione dipinta sul volto, con l’intento di trattenermi, ancora un po’.
Ma la sentii vacillare.
La sentii staccarsi da me.
Andava via. Dalla mia vita. Dal mio amore.
E il mio cuore gridava, mentre io iniziavo lentamente a morire.
La guardai allontanarsi da me.
Scendere gli ultimi gradini e correre via.
Senza voltarsi.

 
 








 
Note:
Anche Oscar era innamorata di Andrè. Gli indizi sono stati molti, La gelosia, le domande, le insinuazioni, le litigate, gli abbracci. La curiosità di sapere dei genitori di lui, per sentirlo più vicino al suo cuore. Ma non è stata abbastanza forte per convincersi che sarebbe stato possibile condividere con lui anche l’amore. E che per amore, doveva combattere.
E adesso è tardi deve lasciarlo andare. La vita ha scelto per loro un’altra direzione.
Il prossimo è l’ultimo capitolo. Siamo quasi al capolinea.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21 ***


Follia



 

Ero rimasto fermo su quelle scale, immobile a fissare lo spazio vuoto che lei, con la sua presenza, aveva riempito di luce.
Finchè mi lasciai scivolare sui gradini, attaccato alla balaustra per non cadere, accasciandomi come svuotato, stranito.
La testa mi pulsava come se stesse per scoppiare e nel petto sentivo un dolore lancinante e intenso, come se mi avessero letteralmente strappato  il cuore dal petto.
Rimasi lì, incurante della gente che mi passava di fianco e mi osservata stupita, incuriosita. Il mondo mi passava accanto, indifferente al mio dolore, senza fermarsi, e senza che io lo vedessi.
Sapevo che presto sarebbe arrivata Aurore, che Oscar era andata a prenderla, ma l’unico pensiero che mi occupava la mente era che la donna che amavo più della mia stessa vita ricambiava i miei sentimenti.
Erano parole d’amore, preziosissime e uniche, quelle che avevo appena udito e non riuscivo a vincere lo stordimento che questo mi provocava.
Avevo vissuto una vita intera nella speranza di potere vedere il mio amore ricambiato e ora il sogno  più bello si era trasformato in una condanna all’infelicità.
Avevo tentato disperatamente di dimenticare Oscar, di affrancarmi dal mio amore impossibile, avevo creduto di ritrovare me steso e un po’ di felicità tra le braccia di un’altra donna, iniziando inconsapevolmente a percorrere una strada senza ritorno.
Una compagna, un figlio. Una vita lontano da qui.
Lontano dal ei.
Lontano dal mio cuore.
 
“Ho una comunicazione per Andrè Grandier..dove posso trovarlo?”
Una voce, qualche metro più in là,  proveniente dall’ingresso della locanda, sembrava fare il mio nome.
Alzai lo sguardo e vidi un soldato.
“Siete voi Andrè Grandier”.
“Si” risposi sollevandomi.
Cercavo nello spazio accanto a lui la sagoma di Aurore, ma non vedevo nessuno.
“Ho una comunicazione per voi, Monsieur Grandier e una lettera.
“Quale comunicazione” chiesi mentre l’uomo mi consegnava un foglio di carta con il timbro della Prefettura di Parigi.
“Non capisco..io stavo aspettando Madmoiselle Borgeous”.
“Non verrà qui, è stata condotta a palazzo Montreaux”.
“Cosa?”. Ero ancora più confuso.
Che diavolo stava succedendo?
“Per quale motivo? Lei è stata esiliata, dovevamo lasciare la Francia insieme”.
“Madmoiselle Bourgeois ha chiesto e ottenuto di essere affidata alla Contessa de Montreaux. Non so dirvi altro, mi spiace, ma forse in questa lettera troverete le risposte alle vostre domande. ”.
Guardai la busta che stringevo tra le mani. La calligrafia di Aurore componeva il mio nome. La aprii e i miei occhi iniziarono a scorrere  avidamente sulle parole.

 


“Mio amatissimo Andrè,
Ti scrivo questa lettera perché se tu fossi qui di fronte a me non troverei il coraggio di parlarti e forse sceglierei di tacere per sempre.
Ho ricevuto molte visite inaspettate in questa cella buia, sai?
La Contessa di Montreaux è venuta da me. Era curiosa di vedere la figlia illegittima del suo August…..povera donna, non ha più nessuno al mondo se non un marito infermo che non parla più. Mi ha scrutato come si guarda una persona della peggiore specie, come si osserva un assassino, ma alla fine si è mossa a pietà e mi ha offerto auto per risolvere la mia grave situazione.
Ma soprattutto, un giorno è venuta Oscar. La tua Oscar. Quella donna che ho incolpato di essere fredda ed egoista, ingrata e traditrice come tutti i nobili, senza  neanche conoscerla.
Si è seduta qui, accanto a me, e mi ha chiesto le motivazioni del mio odio verso i nobili, voleva sapere se mi fossi pentita, se avrei mai più fatto una cosa tanto grave.
E io le ho mentito, le ho detto che il mio pentimento era sincero, che avevo avuto modo di riflettere sulla gravità delle mie azioni. Ma non ci ha creduto, l’ho letto nel suo sguardo limpido.
L’ho osservata rapita. E’ incredibilmente bella, è coraggiosa, si batte come un leone per aiutare me, la figlia di nessuno, solo per amore nei tuoi confronti.
Le ho parlato di te. Anche se lei non voleva sapere niente di noi, anche se sviava l’argomento.
“Adesso so perché Andrè vi ama così tanto” le ho detto e l’ho vista trasalire. Poi mi ha guardato incredula e ha scosso la testa.
“No, è voi che ama, Aurore” mi ha risposto.
Come si fa a essere tanto ciechi, Andrè?
O forse è solo paura la vostra?
“Vi sbagliate così tanto, Oscar, non sapete quanto. Andrè parla di voi, continuamente, ma è quando vi ho visti insieme che ho capito che non è l’amicizia ciò che lo lega a voi. Non è affetto, non è gratitudine. E’ amore”.
Gliel’ho detto così, guardandola negli occhi, curiosa di vedere la sua reazione. Era un enigma, per me, quella donna.
Mi ha detto che mi sbagliavo, che avevo interpretato male i tuoi sentimenti.
“Lui mi vuole bene, è stato meraviglioso stare insieme, ma non partirà con me per amore” ho replicato.
 “Si può soffocare l’amore di giorno, annullandosi piano piano, abbassando gli occhi, congelando il proprio cuore, trovando un’altra donna da accarezzare, ma non si può mentire a se stessi. Io so che vi ama. Vi ama perché di notte i suoi sogni sono pieni di voi, sono solo per voi. E sono parole d’amore, le sue, accompagnate al vostro nome, Oscar. Non al mio”.
Fui sconvolta dall’udirle, quelle parole, che pronunciavi nel mio letto, addormentato accanto a me, Andrè, ma poi decisi di non chiederti niente, di dimenticare, di tenerti comunque stretto a me. Era troppa la paura di perderti, amore.
Gli occhi di Oscar sono diventati umidi in quel momento, si è alzata e si è voltata per non farmi vedere il suo volto. Ma io lo so che stava piangendo. Piangeva per te, perchè anche lei ti ama. Io lo sento il suo amore. Lo conosco. Lei ha il volto amaro delle donne dei miei romanzi. Di quelle eroine intrepide e passionali che affrontano impavide la battaglia  e delle donne che fremono con il cuore ricolmo d’amore.
E’ fiera e orgogliosa, è testarda e coraggiosa. 
Lei ama in silenzio, perché non sa fare altro.
“E’ troppo tardi, Aurore, per noi” mi ha detto.
Ciò che allora non potevo sapere è che non vi sarebbe stato più alcun motivo al mondo che vi avrebbe impedito di vivere il vostro amore, perché come in una favola, adesso il lieto fine è alla nostra portata. Ora basta lottare, basta volerlo. Forse vi occorre solo sapere che non esistono impedimenti al vostro amore.
Almeno questo ve lo devo.
Lo devo a te che ho amato più della mia vita, e lo devo a lei che mi farà uscire da qui, anche se il mio pentimento non è sincero, anche se non me lo merito.
Lo devo a quel bimbo che ci ha uniti nell’amore, che ha riempito di gioia il mio cuore, ma che è durato pochi istanti, perché d’improvviso, una notte, in silenzio è volato via.
Lo devo a quel bambino mai nato che, se il Signore vorrà, un giorno potrà tornare da voi, per essere di nuovo tuo figlio.
La prigione mi ha portato via anche questo, anche il sogno più bello, il frutto del mio amore per te.
Non c’è niente in questo posto, solo asperità,  e la vita non cresce dove non c’è amore.
Se fosse venuto al mondo, l’avrei amato immensamente perché era parte di te, parte di noi. E so che anche tu l’avresti amato moltissimo.
E’ questo il mio unico rimpianto.
 
Questa mattina la Contessa si è offerta di prendersi cura di me durante l’esilio, mi ha proposto di trasferirci insieme nella casa della sorella a Londra. Ha detto che è tempo di rimediare ai propri errori. E io ho accettato. Forse sarebbe davvero ciò che mia madre avrebbe voluto per me.
Non ci rivedremo più, amore mio.
Prego Dio perché tu possa trovare la felicità che meriti.
                                                             
                                                                                              Aurore

 
 
 
Portai la lettera al mio cuore.
La adagiai sul  petto, commosso. Incredulo.
Un nuovo dolore per una vita che non nascerà.
“Piccola dolce Aurore” sussurrai.
Quanto coraggio nella ragazza dagli occhi blu.

 


 

Scivolo in te, emozionato, fremendo di passione, con il cuore colmo d’amore.
Affondo nella tua carne e nel tuo cuore.
Mi immergo nelle tue emozioni, nei tuoi sentimenti.
Sento il tuo amore che mi avvolge le viscere, che mi accarezza i sensi
Le tue parole mi cullano, le tue mani mi rincuorano.
Vibro mentre percorro incredulo il tuo corpo.
Mi riempio le mani di te.
Mi disseto sulla tua bocca.
Mi ami e me lo ripeti mentre facciamo di nuovo l’amore.
E ogni volta la tua voce è più sicura, più salda.
Come se il suono di queste due magiche parole sospese nell’aria ti infonda una nuova sicurezza, ti ricordi che ciò che accade stanotte è finalmente vita.
Perché era follia vivere senza di te.
Sei la mia vita, sei l’unica vita.
Era follia respirare senza di te.
Sei il mio sole, la mia luna.
Era follia sorridere senza di te.
Sei tu le mie labbra, la mia vera gioia.
Ti sento gemere e torno ad impazzire.
Mi sciolgo in te e benedico la vita.
Quella che non c’è più e quella che un giorno forse in te rinascerà.
“Ti amo da morire, da impazzire Oscar” sussurro sulle tue labbra dolci.
“Ti amo, Andrè” e sorridi mentre mi rubi un nuovo bacio.
Cos’è la follia, amore mio?
Forse è solo amore.
Solo amore.
 

 
 
  
Dopo pochi giorni di permanenza a palazzo Montreaux, Aurore Isabelle Bourgeois  scomparve nel nulla. 
Nel 1790, alcuni rifugiati francesi giunti in Inghilterra, raccontarono di un’affascinante donna parigina i cui scritti inneggianti alla Rivoluzione circolavano nei salotti liberali.
Di lei si diceva che fosse la figlia illegittima di un nobile francese e che avesse incredibili occhi blu.
 
 




 


 
The End
 





 
Note:
A questo punto vi è chiaro che la vera folle sono io .)
Grazie comunque, che vi sia piaciuta o no, per averla letta. 
P.S. Quindi la donna del primo cap era Oscar, non so se si è capito. La storia inizia dopo che Andrè ha letto la lettera. Oscar torna da lui - e questo lo lascio alla vostra immaginazione, - si amano, e poi lui quella notte ricostruisce mentre le idorme al suo finco la storia con Aurore, gli eventi che l'hanno portato a essere in quella stanza. La donna nel letto, è sempre Oscar nel presente, con la quale fa l'amore due volte nella stessa notte. La "lei" citata da Andrè è Aurore. Per lui è stata comunque importante, ha accompagnato i suoi ultimi mesi, c'è stato un bimbo, e questo lui non lo dimentica, non lo cancella. Credo che tutto ciò possa servire ad Adnrè per maturare e diventare più uomo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=874184