Come le fenici

di Beapot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Come le Fenici

 

 

CAPITOLO I

 

 

L'essenza della perfetta amicizia sta nel rivelarsi profondamente all'altro, abbandonare ogni riserva e mostrarsi per ciò che si è veramente.”

(R. Benson)

***

 

6 Maggio 1998

POV Harry

 

La guerra non perdona.
Puoi uscirne vincitore, ma non puoi evitare di perdere.
Nella guerra, così come nella vita, perdi le persone più care.
Perdi la spensieratezza dell'infanzia.
Cresci troppo in fretta, e perdi te stesso.
Nella guerra, così come nella vita, cerchi un rifugio per nasconderti.
C'è stato un momento in cui la guerra era la tua speranza di vita, poi è venuto quello in cui la tua stessa vita è diventata una guerra.
Battaglie contro te stesso, ferite provocate da qualcun altro.
Forse era meglio quando temevi il tuo nemico, perché non avevi paura di difenderti.

 

 

Parole lette e sentite chissà dove che affollano i miei pensieri.

 

«Posso entrare?»

Non rispondo.
So che quella oltre la porta è una voce amica.
La riconosco, e so che è tanto amica al punto da capire il mio silenzio.
Quella voce non mi sente tacere, lei mi ascolta.
E tace a sua volta, per venirmi incontro.
Lo spicchio di luce che investe il mio viso mentre la porta resta aperta mi fa bruciare gli occhi, ma è un istante.
Quella voce comprende il mio silenzio, e mi fa ombra prima di richiudersi la porta alle spalle.

«Sei entrata»

Non è una domanda, lo sussurro senza guardarla e mi abituo nuovamente al buio.

«Sì»

Un monosillabo mentre mi si avvicina senza far rumore, un monosillabo che mi abbraccia e mi impedisce di fingermi offeso.

«Posso sedermi?»

Ora è più vicino e riesco a sentire il suo profumo.
Fresco, pulito, quasi dimenticato.
Perché continua con le domande retoriche se sa che dovrà interpretare i miei silenzi?
Quasi mi innervosisco per questo, poi anche quella sensazione svanisce mentre ammetto che lei li interpreta nel modo giusto.
Il materasso si abbassa sotto il suo peso.
Un movimento leggero e delicato, una foglia che si posa sull'acqua immobile di un lago.

«Perché sei qui?»

Non voglio sembrare scortese ma non posso farne a meno.
La sento irrigidirsi impercettibilmente alla durezza delle mie parole, e subito me ne pento.

«Perché sei qui?»

Lo ripeto, cercando di essere più dolce.
Ovviamente non ci riesco.
Lei però si rilassa, perché oltre ad ascoltare il mio silenzio sa leggere chiaramente nelle mie intenzioni.

«Mi mancavi»

Non ha paura ad ammetterlo, lo dice con leggerezza.
Lo dice con forza, così che io possa capire quanto sia vero.
E quelle due parole mi fanno sentire bene, più leggero e più forte, proprio come il tono in cui le ha pronunciate.
Proprio come lei mi vuole far sentire

«Anche tu»

È un sussurro quasi inudibile, mormorato tra i denti, che mi costa più di quanto dovrebbe.
Lei tace, forse sapeva anche questo.
Se è qui, sa tutto.
E nel buio che ci avvolge rimaniamo in silenzio.
Il ritmo dei nostri respiri che culla i nostri pensieri.
Non pensavo che sarebbe stato possibile.

«Grazie»

Questa volta non ho bisogno di controllare la voce, parlo piano e con sincerità, come se non ci fosse niente di più spontaneo al mondo.

«Avresti dovuto chiamarmi»

Mi rimprovera tenendo la voce bassa, ma capisco di averla ferita.
Avrei quasi preferito che avesse urlato, almeno il suo grido avrebbe nascosto la delusione che c'era in quelle parole.

«Scusa»

Non lo dico a nessuno da giorni, eppure è tutto ciò che posso fare per rimediare.
La sua mano piccola si muove sulla coperta per stringersi sulla mia.
Un breve contatto che mi dice che mi ha perdonato.
Un attimo e la mia mano è di nuovo libera.
Il materasso riprende la sua forma in quello stesso istante, mentre lei si alza.

«Resta»

È quasi una supplica, non riesco a evitarlo.
Lo voglio davvero, ne ho bisogno.
Si ferma, e posso sentirla voltarsi;
l'aria spostata dal suo corpo mi porta di nuovo il suo profumo.
Fresco, pulito, finalmente ricordato.

«Perché proprio io?»

Me lo sono chiesto anche io.

Perché, tra tanti, proprio lei?

«Perché so che tu hai capito»

La risposta mi sale spontanea alle labbra e non tento neanche di fermarla.
Perché dovrei farlo, se so che è la verità?
Ho sempre saputo che lei avrebbe capito.

«Domani uscirai da qui con me»

Un ordine, con la stessa fermezza che caratterizzava le sue decisioni importanti, e io non so come contraddirla.

«Promettimelo»

Ora è la stessa supplica che le ho rivolto io poco prima.
Un desiderio tanto forte da essere mascherato da preghiera, che mi toglie la forza di oppormi.
Me lo chiede nello stesso modo, con la stessa urgenza, e allora capisco che è lei ad averne più bisogno.
Cerco la sua mano nel vuoto e la stringo.
Un altro attimo, un altro breve contatto per dirle che manterrò la promessa.
Mentre il materasso si abbassa di nuovo, riprendo coscienza del mio corpo e lo muovo per farle spazio.
Si sdraia posando la testa sulla mia spalla e ci irrigidiamo entrambi per un po', ancora in imbarazzo.
Così vicini eppure così lontani, con la paura di essere inopportuni, senza capire fino in fondo che quello che ci unisce è la cosa più pura del mondo.

«Buonanotte, Hermione»

Il respiro di lei si è fatto più pesante da un po' ormai, ma non posso fare a meno di augurarle anche questa piccola serenità.
Un angolo della sua bocca si incurva in un sorriso inconsapevole, come se nel sonno avesse avvertito la premura contenuta in quella parola.
Le nostre mani si sfiorano nel buio del conforto, ed è un contatto non cercato, genuino come l'amicizia che ci lega.
Presto chiudo gli occhi anche io, cullato dalla sua presenza, e per un attimo riesco a dimenticare tutto il dolore che mi ha oppresso fino ad ora.
Mi addormento, finalmente sereno, mentre per le strade il mondo magico si chiede che fine abbia fatto il suo eroe.

 

***

 

Apro gli occhi lentamente e sento che è ancora qui con me.

«Ciao»

Sono incerto, non so come comportarmi, e lei sussulta al suono della mia voce.

«Non avevo visto che eri sveglio»

Si giustifica, quasi imbarazzata.
Nei suoi occhi c'è qualcosa che assomiglia a senso di colpa, dolore.
All'improvviso quegli occhi si velano di lacrime.

«Che succede?»

Ora sono quasi spaventato, ma lei scuote la testa e caccia indietro le lacrime per lasciare posto a un sorriso.

«Grazie»

Non capisco perché sia lei a dirlo, quando quella parola sta per nascere dalle mie labbra.
Così, come sarebbe più giusto.

Perché mi ringrazi, quando sono io a doverti tutto?

La guardo confuso, e ora che i raggi del sole illuminano la stanza posso vedere il suo viso.
Lei continua a sorridere, ma dalle scie salate che attraversano il suo viso capisco che le lacrime che ha fermato non sono state le uniche.
Sono impacciato e goffo, perché non ho mai avuto tempo di familiarizzare con gesti così semplici e spontanei, ma allungo una mano a sfiorarle una guancia.

«E per cosa?»

Una domanda retorica, ma nonostante tutto voglio conoscere la sua risposta perché ancora una volta non sono sicuro di capire a fondo.

«Per avermi permesso di restare.»

Lo dice guardandomi negli occhi, con i suoi ancora velati di lacrime e dolore.
Lo dice spostando lo sguardo imbarazzata e fissandosi le mani.
Resto un attimo interdetto, perché se la memoria non mi inganna sono stato io a chiederle di restare e non il contrario.
Non glielo ho permesso, l'ho quasi pregata di farlo.
Guardo ancora il suo viso cercando una risposta ma lei è immobile e non dice niente, solo la sofferenza che prova mi fa capire cosa vuol dire.
Ricordo di non essere stato l'unico a implorare e a mostrarsi debole.
Capisco che lei è venuta perché aveva bisogno di me quanto io ne avevo di lei.
Le stringo una mano e lei alza di nuovo lo sguardo a incrociarlo con il mio, ma questa volta io sorrido.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Come le Fenici

 

CAPITOLO II

 

Grimmauld Place non era mai stata una casa accogliente.
Fredda, troppo grande, troppo oscura, troppo piena di ricordi anche per me, ma è l'unica casa che ho.

«Perché non sei alla Tana?»

Ho esitato tanto a porle questa domanda, ma mentre la guardo leggere il giornale con calma forzata non riesco a trattenermi.
Lei ha un sussulto e mi guarda, quasi spaventata.
I nostri sguardi si incontrano di nuovo, comunicano, si rimproverano a vicenda per lo stesso motivo.

«Era troppo...»

Per la prima volta non riesce a trovare le parole per finire la frase, si muove a disagio sulla sedia e chiude il giornale.

«Lo sai anche tu, o non saresti qui»

All'improvviso sbotta, e riversa i suoi sensi di colpa su di me con una semplice frase.
So che ha ragione ma mi fa male lo stesso, so che lo fa per trovare una giustificazione e lascio perdere, ma il lampo di dolore che attraversa i miei occhi parla per me.

«Scusa»

E' un mormorio, abbassa di nuovo lo sguardo pentita e so che è sincera.
Non volevo che se ne accorgesse, ma ancora una volta mi sono rivelato un libro aperto per lei.

«Hanno bisogno di affrontare il loro dolore da soli»

La Tana ci aveva sempre accolto a braccia aperte.
Nessuno aveva mai fatto caso alla purezza del suo sangue o ai disagi che la mia presenza lì comportava.
Eravamo stati in un certo senso adottati, amati, accettati, eppure ora ci sentiamo quasi estranei.
Mi meraviglio mentre sento la mia voce pronunciare quelle parole, credo quasi di aver osato troppo. Ammetterlo ad alta voce significa sentirlo più vero, e non so se lei è pronta a prenderne coscienza.
Lei, sola come lo sono io.
Annuisce gravemente e stringe i denti, non vuole pensare al motivo per cui tutti soffrono, non vuole scoppiare di nuovo in lacrime perché i suoi occhi gonfi potrebbero non sopportarlo.
La verità è che ho ragione, e lo sappiamo entrambi.
La Tana non è più la dimora calda e familiare che ci ha accolto per anni.
Persino con l'ansia della guerra era più vivibile di ora.
Non c'è giorno in cui Molly non scoppi in lacrime, o in cui non si senta la mancanza di una frase pronunciata all'unisono.
Ginny è forte, è dura, è orgogliosa.
So che lei non piange, ma il suo dolore è troppo grande per essere alleviato.
Troppo grande anche per essere diviso.
Ho provato a starle vicino, ero così abituato a perdere persone importanti che per qualche giorno ho messo da parte le lacrime per far spazio alle sue, ma il mio abbraccio non bastava e sono crollato anche io.
Ripenso al funerale di qualche giorno fa.
Che senso ha un così grande dolore dopo la vittoria e la libertà?
Era ingiusto, sbagliato, eppure i vuoti che sono stati lasciati sono troppi.

***

 

Il parco di Hogwarts era silenzioso e le macerie del Castello ancora schiacciavano l'erba.
Nella quiete di quel giorno potevo sentire ancora l'eco delle esplosioni e delle urla di dolore dei combattenti.
Maledizioni scagliate con rabbia e con paura, voglia di continuare a vivere e non arrendersi.
Le persone continuavano ad arrivare nel parco, feriti fisicamente e distrutti nel cuore.
La famiglia Weasley era riunita attorno a una bara bianca, troppo innocente per trovarsi lì.
I singhiozzi di Molly arrivavano fino a me, George non riusciva quasi a muoversi e stava immobile lì davanti.
Ho visto Ron stringere i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, mentre lacrime silenziose gli scivolavano dagli occhi stanchi.
Anche Ginny era immobile, ma ovviamente lei non piangeva.
Abbracciava la mamma e i fratelli per dare conforto, piccoli contatti di cui ognuno di loro aveva bisogno.
Avrei voluto avvicinarmi anche io e dare l'ultimo saluto a Fred, avrei voluto far sentire la mia vicinanza a tutti loro, ma l'intimità del loro dolore mi era sembrata così forte da non poterla violare.
Poco lontano da me avevo scorto Hermione.
Anche lei aveva il mio stesso sguardo mentre li osservava, sapevo che anche lei stava pensando le mie stesse cose.
Le ho fatto un cenno di saluto e mi sono voltato, camminando verso altre due bare chiare che ferivano il mio cuore.
La sofferenza si è fatta più grande quando ho visto che vicino a loro non c'era nessuno, se non una donna con un bambino troppo piccolo in braccio.
Mi sono avvicinato in silenzio, ma quasi di corsa per colmare quel vuoto, e le ho raggiunte mentre vedevi il sorriso stanco di Remus spegnersi sotto la superficie lucida del legno.

«Mi dispiace»

Avevo sussurrato nell'orecchio della donna facendo sussultare il bambino.
Quelle due parole che avevo ripetuto così tante volte stringendo mani sconosciute, ora erano sincere e dolorose.
Andromeda si era voltata a guardarmi senza curarsi di nascondere le lacrime.
Quel giorno il dolore era ammesso senza limiti.
Mi ha guardato con sguardo indecifrabile, dapprima arrabbiato, come se volesse incolparmi di tutto, poi si era trasformato in compassione e dispiacere.

«Avrei dovuto fermarli io»

«Non ci sarebbe riuscita»

Ho tentato di rassicurarla anche se non la conoscevo, volevo darle un conforto perché conoscevo la sua sofferenza.
Andromeda aveva alzato di nuovo lo sguardo su di me, ma questa volta lo aveva riempito di gratitudine e riconoscenza.
Aveva allungato le braccia verso di me, porgendomi il bambino.

«Lui è Ted»

Non avrei certo avuto bisogno di quella spiegazione, ma le ho rivolto un sorriso triste e ho accolto il piccolo tra le mie braccia.

 

***

 

Maledetta guerra, che crea orfani e distrugge famiglie, che sparge distruzione e sofferenza. Maledetta guerra, vinta a un prezzo troppo caro.

«Ho detto che sarei partita»

La sua voce mi riscuote dai ricordi e mi chiedo per quanto tempo il mio sguardo deve esserle sembrato vacuo.
Mi lego di nuovo alla conversazione e annuisco comprensivo.

«Io non ho detto niente»

Ammetto sentendomi un po' in colpa.
L'ultima cosa che volevo era causar loro qualche preoccupazione, perciò ho pensato bene di sparire senza una spiegazione.
In questo momento mi do dell'idiota.

«Ho detto anche che saresti venuto con me»

Mi ha salvato ancora una volta, trovando la forza per difenderci entrambi.
La guardo cercando di trasmetterle con uno sguardo tutta la mia gratitudine, poi ricorro di nuovo a quella semplice parola.

«Grazie»

Mi sorride, e questa volta non c'è tristezza o dolore, ma solo complicità.
Forse insieme ci ritroveremo.
Forse.

«Mi sento in colpa»

All'improvviso si rabbuia e torna seria.
Abbassa di nuovo lo sguardo e si morde il labbro inferiore.
Faccio ancora fatica a comprenderla, non può dare voce ai miei pensieri.
Non proprio a quello, almeno.
Non lei che ha rischiato quanto loro quando poteva tirarsi indietro e salvarsi.
Voglio ribattere, mi da quasi fastidio che voglia far suo anche quel mio dolore.

«Non in quel senso»

Si sente in dovere di specificare perché si è accorta della mia reazione.
Continuo a rimanere un libro aperto e mi detesto per quello, perché non voglio neanche ferirla con un'emozione troppo impulsiva.

«E neanche tu dovresti, lo sai»

E' quasi un rimprovero, perché ha continuato a ripeterlo dal primo giorno che ha deciso di stare al mio fianco e io non l'ho mai capito.
Resto immobile e aspetto che lei continui a parlare.

«Dovremmo star loro vicino, ci hanno sempre dato tutto»

Lo dice.
So che ha ragione, mi sono solo rifiutato di ammetterlo a me stesso perché mi faceva troppa paura. Ero quasi contento quando mi sono costretto a lasciarli.

«Stai parlando di tutti o solo di Ron e Ginny?»

C'è ancora paura nella mia voce, paura della sua risposta e della mia reazione.
Paura di avere una consapevolezza che non voglio.

«Di loro»

La risposta è immediata, criptica e secca.
Non ammette repliche ma si aspetta di essere compresa, e non sono certo io a poterla deludere.

«Non ci riesco»

Ormai ammetto tutto, perché lei è qui davanti a me e non mi giudica.
Non l'ha mai fatto.
Lei, d'altra parte, è qui per la stessa ragione.

«Nemmeno io»

Sospira e si prende la testa tra le mani, appoggiandosi allo schienale.
È così sola e indifesa.
È così simile a me.

«Pensavo che una volta finita saremmo stati bene»

Una confessione, un'illusione che mi sono ripetuto nel buio della mia stanza per giorni.
Sento il bisogno di condividerla, come se potesse aiutarmi a liberarmene.

«Lo so»

Non si sorprende, lei.
Riesce a guardarmi, a leggermi, a capirmi, e non si fa sorprendere dalle mie parole.
Le accoglie, le abbraccia, le comprende fino a farle sue.

«La pace deve essere ben più dell'assenza della guerra»**

Lo dice con semplicità, con coscienza.
Parla credendo davvero nelle parole citate da chissà chi, sapendo che raccontano la verità che in fondo conosciamo entrambi.
Annuisco.

«La troveremo mai?»

Una domanda disperata di cui temo la risposta, una domanda che devo fare a tutti i costi per essere rassicurato.
Mi osserva con uno strano sguardo.
Comunica tenerezza, dispiacere, ignoranza.
Trasmette la voglia di urlare Sì! al mondo intero per trovare la serenità in fondo a tanta disperazione, ma quel semplice monosillabo non arriva alle sue labbra.

«Non lo so»

Ammette con lo stesso dolore che ha nello sguardo, e io mi sento sprofondare perché speravo di essere salvato ancora una volta.
Restiamo in silenzio perché adesso parlare fa male, adesso parlare vuol dire soffrire, e sappiamo di non essere forti abbastanza.

«Ce la faremo»

Lo dico perché voglio che sia così e non riesco a pensare al peggio.
Sempre che poi il peggio non lo stiamo già vivendo.
Lo dico perché ho bisogno che sia vero, e ho bisogno che lo sappia anche lei.

«Vuoi partire davvero?»

Annuisce piano ma so che ne è convinta.
So dove vuole andare, e dentro di me sono felice per lei.
Almeno ha qualcosa da aggiustare, qualcosa da aiutare per essere aiutata.

«Vengo con te»

Mi guarda leggermente sorpresa e mi regala quel suo sorriso che mi fa sentire piccolo davanti a lei. Quel sorriso che tante volte mi ha detto che c'erano cose che non capivo.
Un sorriso che è quasi di compassione per la mia ingenuità.

«Credo che tu abbia frainteso, Harry»

Parole di nuovo superflue, perché la sua espressione era più che eloquente.
La guardo in attesa, perché parlare mi farebbe solo perdere tempo.

«Sarò io ad accompagnare te»

Il sorriso non è più compassionevole, ma solidale.
Emana una luce che mi viene incontro e mi riscalda, mi fa capire che sarà al mio fianco.
Mi dice che sa che troveremo la pace dopo la guerra, sa che troveremo finalmente la serenità.
Sa che lo faremo, perché saremo insieme.
Perché siamo entrambi soli, e aggrapparci l'uno all'altra è l'unica speranza per farcela.
Non ho davvero capito le sue parole, ma mi fido come ho sempre fatto e afferro la sua mano, lasciandomi guidare.

 

***

 

**2 - Helmut Kohl

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Come le Fenici

 

 

 

CAPITOLO III

 

L'amico è colui che ogni volta ci fa intravedere la meta e fa con noi un pezzo di cammino”

(F. Alberoni)

 

I miei piedi toccano terra, e finalmente posso aprire gli occhi mentre cerco di mantenere l'equilibrio.
Mi volto a guardarla, la Materializzazione deve averla indebolita perché il suo viso è più pallido.

«Stai bene?»

Le stringo ancora la mano, come se lasciandola avessi paura che sparisca.
Annuisce e sorride rassicurante.

«E' stato più faticoso del solito perché non sapevo dove apparire per non essere visti»

Il tono si fa pragmatico e sbrigativo, così familiare che sorrido ricordando tutte le volte che l'ha usato per spiegarmi un incantesimo.
Mi sento di nuovo leggero perché per un attimo siamo tornati indietro di qualche anno.

«Dove siamo?»

Mi guardo intorno per la prima volta, spostando gli occhi dal suo viso che ora riprende colore, e non riesco a identificare il luogo in cui ci troviamo.
È un corridoio buio e deserto, e c'è un forte odore di chiuso.

«Siamo a King's Cross»

Esita un po' prima di parlare, perché guardandosi intorno non ne è sicura nemmeno lei.
Si morde il labbro a disagio e aggrotta le sopracciglia, e per la seconda volta ho l'impressione di tornare bambino.

«Perché?»

Non riesco a capire il motivo.
L'ho seguita senza fare domande, ma era l'ultimo posto dove avrei pensato di andare.
Quando ha detto di voler partire ero sicuro che volesse andare dai suoi.
Ma sono piuttosto sicuro che non esistano treni per l'Australia.
La guardo con aria interrogativa, sbarrando gli occhi per lo stupore.

«Dobbiamo prendere un treno»

La risposta è decisa, è ovvia.
Di nuovo pragmatica.
Ora non c'è più traccia della debolezza che ha mostrato a Grimmauld Place, e capisco che è davvero lei ad accompagnare me e non il contrario.

«Per andare dove?»

La sua sicurezza mi rende più curioso, sono come un bambino che vuole scoprire la sorpresa che i genitori hanno in serbo per lui.

«Lo scoprirai»

Mi trascina con determinazione verso la fine del corridoio e io continuo a camminare seguendola, fino a che non mi porta alla banchina.
L'ultima volta che ho creduto di vedere quel luogo è stato in una specie di coma, quando sono morto per mano di Voldemort.
O meglio quando quella piccola parte di me che era sua, è stata distrutta.

«E' strano essere qui»

Ci fermiamo davanti alla barriera tra il binario nove e il dieci, restiamo immobili a fissare la dura parete fatta di mattoni.
Sappiamo che si aprirà di nuovo solo il primo Settembre, ma ci avviciniamo e passiamo le dita sulla superficie fredda della colonna, mentre una valanga di pensieri ci attraversa la mente.
La sento sospirare e scuotere lentamente la testa mentre abbassa lo sguardo.

«Io tornerò»

Me lo dice senza guardarmi, perché sa che ne resterò ferito.
Era prevedibile, lei non avrebbe potuto rinunciare così alla sua istruzione.
Così cambiata, eppure sempre la stessa.
Quasi la invidio per la forza che dimostra, ma non è questione di un momento isolato; dentro di me so che l'ho sempre invidiata per quello.
Non le rispondo, assimilo la notizia in silenzio e lascio cadere il discorso.
Non sarò io a impedirle di inseguire i suoi desideri.

«Prenderemo un treno Babbano»

Il mio cambio di argomento la fa sussultare e alza la testa per guardarmi.
Ha paura di vedermi offeso, deluso, abbandonato, ma le sorrido perché in fondo l'ho capita.
In fondo sta solo cercando di avere qualche certezza in un futuro prossimo.

«Sì. Poi però dovremo Smaterializzarci di nuovo»

Controlla i tabelloni con gli orari e mi trascina di nuovo con sé, alla ricerca di chissà quale binario.
Si muove con tanta energia che quasi fatico a starle dietro: dopo giorni passati nella totale apatia e immobilità sento i muscoli indolenziti, ma non riesco a fermare il suo entusiasmo.
Il viaggio che stiamo per fare sembra donarle nuove energie.

«Sali»

Mi spinge verso un treno in partenza, mentre le nuvole di vapore avvolgono le carrozze, poi sale insieme a me.
Le porte si chiudono alle nostre spalle e il treno comincia a muoversi lentamente.

«Per fortuna abbiamo fatto in tempo»

Sospira, massaggiandosi la milza.
Le ferite riportate in battaglia non sono ancora guarite del tutto, e mi avvicino a lei per sorreggerla.

«Potevamo aspettare, non c'era bisogno che ti stancassi tanto»

Il mio è quasi un rimprovero mentre la sento abbandonarsi con tutto il peso tra le mie braccia, cercando di riprendere fiato.

«Non importa, sto bene»

Dopo qualche istante è di nuovo in piedi, energica e determinata.
La guardo perplesso, chiedendomi come sia possibile un tale cambiamento in così poco tempo.
Ma Hermione è così, e l'ho sempre saputo.
Lei si rialza, continua a combattere, non si arrende.
Anche ora che non deve più farlo.
Anche ora che potrebbe riposarsi è di nuovo qui al mio fianco a fare di tutto per sostenermi.
La guardo con tenerezza mentre si allontana per cercare uno scompartimento vuoto, e mi domando dove sarei oggi senza di lei.

«C'è solo un bambino, credo che vada bene»

Mi guarda dubbiosa mentre indica con un cenno del capo la porta socchiusa.
Quella sua esitazione mi diverte e ha di nuovo il potere di farmi rilassare, distogliendomi dai pensieri pesanti che torno a fare in continuazione.
Mi stringo nelle spalle e faccio scorrere la porta, invitandola a precedermi in un gesto di galanteria che la diverte.
Il bambino che occupava lo scompartimento ci guarda mentre mi siedo, alzando lo sguardo severo dal libro che sta leggendo.
Lo osservo per qualche istante, e non posso fare a meno di sorridere dentro di me.
Cerco lo sguardo di Hermione e nei suoi occhi vedo che ha avuto la stessa sensazione.
Restiamo in silenzio a guardarlo, mentre lui si sistema gli occhiali tondi sul naso e si passa una mano tra i capelli rossi, senza staccare gli occhi dalle pagine.
Sorrido, e penso che la mia infanzia è racchiusa perfettamente in un bambino ignaro e sconosciuto seduto su un treno Babbano.
Sorride anche lei, e non abbiamo bisogno di parole per comunicare.

«Ti manca»

All'improvviso il suo sorriso si spegne e mi sento morire, perché capisco quanto stia soffrendo.
Mi guarda e annuisce tristemente, mentre gli occhi le si velano di nuovo di lacrime.
Lancio un ultimo sguardo alla testa rossa del bambino, pensando che Ron non mi perdonerebbe se sapesse che le ho permesso di piangere.
Ron, che ora è troppo impegnato a sconfiggere i suoi demoni per impedirlo.
Mi avvicino a lei e le cingo le spalle cercando di darle conforto, mentre lentamente la sento calmarsi.

«Vuole un fazzoletto?»

La voce del bambino ci fa sussultare e lo guardiamo sorpresi.
Forse la cosa che più ci stupisce è che abbia dato del lei ad Hermione.
È passato così tanto tempo da quando avevamo la sua età?

«No, grazie»

Hermione gli sorride gentilmente, perché lei non riesce a non essere cortese nemmeno quando soffre.
Il bambino la guarda sospettoso, poi ignora la sua risposta e le porge un fazzoletto.
Scoppio a ridere vedendo che lei non sa se sentirsi offesa o divertita dalla sua insistenza, e entrambi mi guardano sorpresi.

«Non ridere»

Parole sussurrate tra i denti per nascondere l'imbarazzo a uno sconosciuto, parole che di nuovo mi fanno ridere.
E continuerei a ridere per tutto il viaggio, perché inizio di nuovo a sentirmi vivo e leggero, continuerei a ridere fino a non avere più fiato.

«Io vado»

Il bambino si alza lanciandomi un'altra occhiata accigliata, e mentre il treno riparte mi costringo a smettere di ridere.
Guardo verso di lei, tornando improvvisamente serio, ma vedo che non riesce a nascondere a sua volta un sorriso divertito.
Quel bambino è stato capace di dissolvere la nostra tristezza così come l'ha fatta arrivare.
Mi avvicino a lei e le do un tenero bacio sulla fronte, mentre il paesaggio scorre veloce fuori dal finestrino.
 

***

 

«Vieni, dobbiamo scendere!»

Si alza in piedi e mi trascina con lo stesso entusiasmo di prima, stupendomi con i suoi repentini cambi d'umore e confermandomi ancora una volta la sua forza.

«Dove stiamo andando?»

Provo a coglierla di sorpresa, ma so bene che è impossibile e rinuncio a voler conoscere la risposta.

«Siamo quasi arrivati»

Si guarda intorno per essere sicura che siamo soli, poi mi prende la mano e si Smaterializza di nuovo.
Quando sento di essere arrivato sono subito pronto a sorreggerla di nuovo.

«Avresti potuto essere meno misteriosa e permettermi di prendere il controllo della Materializzazione»

La rimprovero di nuovo, perché vederla così debole mi fa male.
La rimprovero sapendo che si riprenderà e mi guarderà alzando un sopracciglio, ma questa volta mi sbaglio.
La sento più pesante e capisco anche che prima mi ha mentito, perché la debolezza che l'ha colta non aveva nulla a che vedere con il fatto che non conoscesse bene il luogo.
Ripenso al treno che abbiamo preso, e so che se avesse potuto ci avrebbe Materializzati entrambi direttamente a destinazione.

«Hermione, cosa ti sta succedendo?»

Si aggrappa a me ma non mi guarda, la sento cercare di riprendere fiato e di controllarsi.
Provo a lasciarla ma le sue gambe vacillano sotto il suo peso, allora la aiuto a stendersi.
Le mie ginocchia toccano l'erba umida di una collina, mi guardo intorno rapidamente per la prima volta e tutto ciò che riesco a vedere è una piccola villa poco lontana da dove siamo noi.
Lei è ancora più pallida, tiene gli occhi chiusi e ha il viso imperlato di sudore freddo.
Le scosto i capelli preoccupato, senza sapere cosa fare.

«Hermione»

Ripeto il suo nome, ma il suo viso si contrae in una smorfia di dolore e non parla.
Il cuore comincia a martellarmi nel petto, non riesco a vederla in quello stato.
Non avevo così paura neanche quando sapevo che stavo andando a morire.
Le sollevo piano la testa e le sue labbra si schiudono in un sorriso debole.

«Hermione, dobbiamo andare là?»

Indico con un cenno la casa alle mie spalle, senza lasciarla andare.
Continuo a ripetere il suo nome come se dovessi attirare la sua attenzione, continuo a ripeterlo per dirle di resistere.
Prova ad annuire, ma lo sforzo è eccessivo e perde i sensi tra le mie braccia.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Come le Fenici

 

CAPITOLO IV

 

Cerco il conforto di uno sguardo amico,
cerco il conforto di un sorriso che sa scaldare il cuore,
cerco il conforto della tua mano, che sa parlare senza dire nulla.”

(Stephen Littleword, Aforismi)

 

 

La sollevo delicatamente e la stringo a me mentre mi Materializzo sulla soglia della casa che vedo oltre la collina.
Non so chi mi aspetta dietro la porta ma continuo a fidarmi dell'esile figura che tengo tra le braccia, perché so che non avrebbe rischiato oltre.
Batto il pugno sul legno scuro della porta e l'urgenza portata dalla paura mi fa dimenticare le buone maniere.
Non mi importa di essere scortese, non mi importa di disturbare, so solo che lei mi ha portato qui e che a tempo debito ne scoprirò il motivo, ma ora devo pensare a farla stare bene.
La porta viene aperta dopo pochi colpi e mi trovo di fronte la figura di una donna alta, capelli ricci a incorniciarle il viso, e occhi spalancati dalla sorpresa.
Andromeda non dice niente e mi lascia entrare, guidandomi verso una camera vuota.

«Cosa le è successo?»

La guarda con apprensione mentre la deposito piano sul letto, allineandole braccia e gambe e liberandole il viso dai capelli crespi.

«Ha perso i sensi dopo averci fatto Materializzare qui. Aveva perso le forze anche prima, ma si è ripresa quasi subito»

Parlo in fretta, la voce incrinata dall'ansia, e i miei occhi non si spostano dal suo viso troppo pallido.
Andromeda mi fa cenno di lasciare la stanza e di seguirla altrove.
Non vorrei lasciarla lì, ma seguo la strega senza opporre resistenza.

«Dobbiamo lasciarla riposare. È evidente che non si è ancora ripresa»

Anche lei riesce a essere pragmatica e sbrigativa, forse anche un po' burbera, ma non ci faccio caso perché le sue parole mi fanno tirare un sospiro di sollievo.

«Si riprenderà?»

Annuisce piano.

«Lo stress accumulato dalla battaglia e la Materializzazione l'hanno indebolita»

Sposta lo sguardo su di me in una richiesta di spiegazioni.

«Mi ha portato lei qui»

Non so neanche perché lo sto dicendo a lei.
Sarebbe stato meglio fingere di essere arrivato qui di mia spontanea volontà.

«Come stanno i Weasley?»

Ignora il mio disagio e mi volta le spalle mentre prepara un tè.
Non mi sarei aspettato un'accoglienza del genere, poi mi ricordo che nonostante sia scappata di casa è pur sempre una Black ed è cresciuta nelle formalità.

«Male»

Cosa altro posso dire?
Non li vedo da giorni perché non ne ho la forza, sono scappato e ora mi trovo nella casa di una donna quasi sconosciuta.
Quasi sconosciuta, se questa guerra non le avesse portato via tutta la famiglia.
Torna a guardarmi, e nel suo sguardo c'è una punta di scetticismo.
Forse lei ha capito perché sono lì prima di me.
Mi porge la tazza fumante e io sostengo il suo sguardo in silenzio.

«Non è colpa tua, Harry»

Il tono ora è quasi materno, comprensivo.
Ho avuto modo di conoscere la sua copia malvagia, tanto simile nell'aspetto esteriore quanto diversa in quello interiore, e non avrei mai pensato che avrei sentito tanta dolcezza uscire dalle labbra di quella figura.
Mi muovo a disagio e continuo a tacere.
Non sono convinto che abbia ragione.
Cerca di nuovo i miei occhi, e nella profondità del suo sguardo ritrovo quello di Sirius.

«Già»

Rispondo piano, mentre ricordo le stesse parole pronunciate dalla voce del mio padrino.

«Ted è nella sua stanza, sta riposando»

Annuisco pensando a quel bambino ora orfano, e una morsa mi stringe lo stomaco.

Andromeda si siede al tavolo e mi invita a fare altrettanto, mentre con gesti distratti mescola il suo tè.

«Grazie per avermi fatto entrare»

E' tutto ciò che riesco a dire.
L'unica cosa che può interrompere il silenzio e restare formalità allo stesso tempo, come impone la rigidità di questa donna.
I miei occhi si posano su una copia della Gazzetta di qualche giorno fa, e leggo il titolo.

 

Che fine ha fatto il Prescelto?

 

Distolgo in fretta lo sguardo ma è troppo tardi, perché lei ha notato il mio gesto.
Posa una mano sul giornale e lo attira a sé quasi distrattamente.

«Non sei ancora pronto?»

Non solo ha saputo che mi sto nascondendo, come lo hanno capito tutti.
Sembra anche aver capito il perché l'ho fatto.
Scuoto la testa abbassando lo sguardo, stringendo i pugni sulle ginocchia.

«Ne hai parlato con qualcuno?»

Si tiene distante, ma la premura inaspettata delle sue parole mi colpisce.
Sono costretto a scuotere di nuovo la testa.
Che senso avrebbe mentire adesso?

«Sei venuto qui per questo?»

Aspettava solo il momento per pormi questa domanda, posso sentirlo dal tono che si è fatto urgente all'improvviso.
Sembra quasi spaventata da quell'evenienza, come se non sapesse come reagire.

«Lei ne ha parlato con qualcuno?»

Il mio tono è leggermente aggressivo mentre evito di rispondere e le pongo la stessa domanda.
Intima, indagatrice.
Una domanda difficile a cui rispondere, ma se l'ho fatto io ci riuscirà anche lei.
Si irrigidisce raddrizzando la schiena e distoglie lo sguardo.

«Non mi ascolterebbe nessuno»

Quella risposta mi spiazza, la rende vulnerabile.

Tradisce la sua debolezza e mi sento in colpa mentre la terribile verità mi investe.
Anche lei è sola.
E non perché non ha la forza necessaria per stringersi a qualcuno per condividere il dolore.
Lei è sola perché tutti quelli che amava se ne sono andati troppo presto.

«Io la ascolterei»

Provo un moto d'affetto per quella donna e non voglio nasconderlo.
Come Hermione, è più forte di me e allo stesso tempo più indifesa.
La guardo negli occhi e la invito a parlare.

«Ha ucciso mia figlia»

Lascia andare l'incertezza, e la rabbia prende il suo posto.
La voce si spezza mentre parlando ne prende consapevolezza.
Non faccio domande, le lascio il suo tempo.

«Mia sorella le ha tolto la vita»

Le mani che reggevano la tazza tremano come la sua voce.

Vorrei sostenerla ma quell'informazione mi fa gelare il sangue nelle vene.
Non avevo osato chiedere cosa fosse successo quella notte, la sola vista dei corpi senza vita delle persone che amavo erano una sofferenza troppo grande per essere approfondita.
Bellatrix Lestrange aveva ucciso Dobby, l'elfo libero.
Bellatrix Lestrange aveva ucciso Sirius Black.
Bellatrix Lestrange aveva ucciso anche Ninfadora Tonks.
Serro ancora di più i pugni sotto al tavolo mentre il disgusto mi riempie lo stomaco.
Andromeda posa la tazza e resta in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto.
All'improvviso il pianto di un bambino la riscuote, illuminandole gli occhi.
Si alza ed esce dalla piccola cucina senza dire una parola, preoccupata solo della ragione di quei singhiozzi.
La osservo immobile, poi la seguo.
La cameretta di Ted non è molto grande, ma è accogliente.
Su un mobile vicino alla culla è posata una foto che ritrae Remus e Tonk mentre stringono il loro bambino.
Guardo le loro espressioni e mi accorgo di non aver mai visto Remus così sorridente.

«L'abbiamo scattata qualche giorno prima della battaglia»

Dice seguendo il mio sguardo, mentre si china per prendere il bambino.

«Avrei dovuto combattere io al posto loro. Non avrei dovuto restare qui al sicuro»

Si rimprovera, fissando un punto imprecisato della parete bianca.
Accarezza distrattamente la testa del piccolo che ora si è calmato.

«Ho conosciuto sua figlia. Lei non glielo avrebbe permesso»

Ricordo la determinazione di Tonks e la sua ostinazione.
Andromeda continua a cullare Ted e non mi risponde, assorta nei suoi pensieri.
Guarda fuori dalla finestra e il suo sguardo scorre sulla distesa d'erba.
Chissà, forse si sta perdendo anche tra i ricordi.

«Lo hanno lasciato solo»

Posa delicatamente le labbra sulla pelle liscia del bambino, in un gesto così tenero che mi fa stringere il cuore.
Gli lascia un bacio leggero sulla fronte, lo sfiora con amore.

«Non è solo, ha lei»

Mi sembra talmente ovvio che non avrei voluto dirlo, eppure le mie parole la sorprendono.
Scuote la testa e torna a guardare la foto.

«Non avrà i suoi genitori»

Continuo a guardarla stringere il bambino come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
E per lei è così, perché è tutto ciò che le resta della sua famiglia.
La vedo stringerlo come penso che farebbe una madre, ma posso solo immaginarlo perché non posso ricordare come era quella sensazione.

«Ha qualcuno che lo ama e che gli starà vicino. Non sottovaluti la sua importanza, Andromeda. Ted ha bisogno di lei»

So quanto quelle parole siano vere perché lo ho sperimentato, mio malgrado, sulla mia pelle.
Mi guarda con uno sguardo indecifrabile, un misto tra gratitudine e compassione.
Sono stanco di avere quello sguardo su di me.
Sono cresciuto senza una famiglia e l'ho superato, non ho bisogno di leggerlo in continuazione negli occhi degli altri.

«E se non ne fossi più capace?»

Una punta di panico e ansia nella sua voce che non mi sarei aspettato di sentire.
Parole incrinate dalla paura di non essere abbastanza.
Possibile che non capisca che è proprio ciò di cui entrambi hanno bisogno?
Lei e il bambino andranno avanti insieme, per me è così ovvio.

«Lui le darà la forza, e lei farà altrettanto»

E' confusa, quasi sorpresa dalla la mia “saggezza”, e non capisce che in realtà non è altro che esperienza.
Una cicatrice invisibile che continuerà a bruciare.
Si avvicina e mi porge il piccolo Teddy che mi guarda curioso.

«Sei il suo padrino»

Mi ero quasi dimenticato di quel dettaglio.
Quando Remus mi aveva comunicato il suo desiderio ho pensato che non sarei potuto essere abbastanza responsabile.
Troppo giovane, troppo in pericolo, troppo lontano.
Guardo gli occhi del bambino e mi ricordano i suoi.
Calmi, dolci, comprensivi, profondi.
Aveva ragione Tonks a dire che assomigliava a lui.
Lo accolgo tra le mie braccia e lui sembra a suo agio, mi sorride e si aggrappa curioso alla mia maglietta.
Penso all'importanza che Sirius ha avuto nella mia vita, anche se il tempo che abbiamo avuto è stato troppo poco.
Penso al vuoto che la sua presenza ha riempito.
Penso a quanto mi ha raccontato sui miei genitori.
Perché per Sirius loro non erano solo degli eroi, ma soprattutto i suoi migliori amici.
La prima famiglia che abbia mai avuto.
Mi ha fatto conoscere il Malandrino James e la saccente Lily.
Mi ha fatto conoscere i ragazzi spensierati che erano prima di tutto quel dolore.
Sorrido a Ted, e so che farò lo stesso per lui.
Gli farò conoscere Lunastorta e la goffaggine di Tonks.
Gli dirò che sua madre odiava il suo nome, perché so che Andromeda non lo ammetterebbe mai.
Gli racconterò del piccolo problema peloso di suo padre.
Appoggio a mia volta le labbra sulla sua fronte, mentre i capelli cambiano colore.
Mi accorgo che la sua vita è stata segnata quasi quanto la mia perché non conoscerà i suoi genitori.
Mi accorgi che nonostante tutto siamo simili.
Guardandolo gli prometto silenziosamente che farò di tutto per alleviare il suo dolore, perché in fondo non è del tutto solo.
Una muta promessa nel mio sguardo.
Lo stringo di nuovo e so che anche io avrò bisogno di lui.

Perché non c'è niente come la spensieratezza e la vivacità dei bambini per farti apprezzare la vita.
Perché nella loro ingenuità sono molto più forti degli adulti, e io sono diventato adulto troppo in fretta.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Come le Fenici

 

CAPITOLO V

 

 

La paura di soffrire è assai peggiore della stessa sofferenza.”

(Paulo Coelho)

 

 

Stringo tra le mani un calice di pozione fumante e entro nella sua stanza, ora in penombra.
Non è ancora cosciente ma le sue guance hanno ripreso colore e il suo respiro il ritmo consueto.
Avvicino una sedia al letto e poso il calice sul comodino, pensando a quante volte i nostri ruoli in questa situazione erano invertiti.
Ha provato la stessa ansia che provo io in questo momento?
Ha avuto la stessa paura di perdermi?
L'ho sempre trovata ad ogni mio risveglio da quando avevo undici anni, ora non posso negarle il mio sostegno.

«Harry!»

Apre gli occhi e si guarda intorno spaesata, poi mi riconosce e cerca di mettersi a sedere, ma la costringo a restare sdraiata.

«Credo sia meglio che resti giù»

Le sorrido, sollevato di vederla di nuovo sveglia e cosciente.
Sento i muscoli della faccia stirarsi.
Devono essere ore che non sorrido.

«Dove siamo?»

Questa volta mi dà retta senza opporsi e si abbandona di nuovo tra i cuscini, tenendosi una mano sulla fronte.

«Da Andromeda. A quanto pare pensavi fosse saggio portarmi qui anche a costo di lasciarci la pelle»

La guardo stringendo gli occhi in un'espressione di rimprovero che la fa arrossire.
In realtà vorrei ringraziarla, perché parlare con Andromeda e vedere Ted mi ha fatto stare meglio, ma il timore che ho avuto di perderla all'improvviso ancora non la perdona.
Lei non risponde ma sposta lo sguardo sul comodino.

«Soluzione Corroborante»

Dico cercando di imitare il tono saccente che usava durante le lezioni, e lei mi scocca un'occhiata infastidita prima di unirsi al mio sorriso.

«E' una pozione rinvigorente, se la bevi dovresti evitare di svenire dopo ogni incantesimo»

Cerco di continuare ad alleggerire l'atmosfera ma non posso fare a meno di guardarla con severità mentre finisco la frase.

«Perché non mi hai detto niente?»

Mi guarda a disagio.
Continua a guardarmi mentre afferra il calice e lo avvicina alle labbra.

«Pensavo di farcela»

Ammette bevendo un sorso di pozione.
Si stringe nelle spalle e mi guarda con aria colpevole.

«Non c'era bisogno di strafare in questo modo. Lo sai, vero?»

Le sposto un ricciolo ribelle che si stava immergendo nel calice.
È un gesto dolce, a cui non siamo abituati.
Non tra di noi almeno.
Annuisce piano e mi lancia uno sguardo di scuse.

«Non farlo più»

Le sussurro mentre mi porge il calice vuoto.
Non è un rimprovero, è una richiesta.
Non deve farlo più, perché non posso sopportare di temere ancora di perderla.
Mi sorride, e so che manterrà la promessa.

«Come stai?»

Gli effetti della pozione sono immediati.
Le sue guance riprendono colore e lei torna a preoccuparsi per me.
La guardo inarcando un sopracciglio.

«Bene»

Ammetto, e la parola mi esce spontanea perché è la verità.
Solo in quel momento mi accorgo quanto sia vero.
Parlare con Andromeda e affrontare insieme il nostro dolore mi ha come liberato di un peso.

A volte è più facile esporre il proprio cuore agli estranei che agli amici di sempre.

Guardo Hermione e vedo che mi sorride soddisfatta.
Sicuramente lei già lo sapeva.
Giocare con Teddy mi ha dato speranza.
La speranza di una rinascita, di nuova forza.
Mi ha dato la consapevolezza che nonostante tutto si può andare avanti.

«Perché mi hai portato proprio qui?»

Forse in cuor mio so la risposta, ma non resisto a porle la domanda.
Mi guarda di nuovo con uno sguardo di compassione, ma non è come quello di chi prova pena per me.
Il suo sguardo di compassione mi dà dell'ingenuo, ma non potrei desiderare niente di meglio perché quando la vedo guardarmi così so che sta per darmi le riposte che cerco.
Mi guarda così perché la soluzione è talmente semplice che non ci sono arrivato.

«Non sei stato l'unico a parlare con lei il giorno del funerale»

Scuoto la testa lentamente e le sorrido.
Mi arrendo al fatto che ha capito tutto molto prima di me.

«Grazie»

Le dico quando mi accorgo che aveva già programmato tutto quello.
Forse contava di vedere i miei progressi “in diretta” e non di perderseli a causa di uno svenimento, ma è raggiante lo stesso.
Allunga una mano e mi scompiglia i capelli in un gesto d'affetto.
Le sorrido e vorrei darle lo stesso sollievo che ha fatto provare a me.
Mi sento impotente, ma all'improvviso mi viene un'idea.
Mi precipito fuori dalla stanza e torno subito dopo.
Lei ha un'espressione ancora sorpresa per lo scatto improvviso che ho fatto, e di certo non svanisce quando mi vede entrare con Teddy in braccio.
Il bambino ride, divertito dalla corsa che gli ho fatto fare.

«Non trovi che sia splendido?»

Lo faccio sedere sulle mie ginocchia e glielo indico con un sorriso.
Lei sposta lo sguardo da lui a me più volte, leggermente sorpresa.

«Da quando hai sviluppato questo istinto paterno?»

La sorpresa si trasforma in divertimento e i suoi occhi si illuminano.
Ora è il mio turno di rivolgerle il sorriso compassionevole che le dice che è ingenua.

«Non è istinto paterno, è spirito di sopravvivenza»

 

***

 

«Grazie per l'ospitalità»

Ringraziamo Andromeda per averci fatto restare qualche giorno a casa sua.
Hermione si è ripresa, e sorride al piccolo Ted che agita le manine verso di noi.

«Tornate pure quando volete»

La strega ci sorride sinceramente, un velo scuro sui suoi occhi neri mi fa capire che in realtà non aspetta altro che la nostra prossima visita.
Ci congediamo da lei promettendole che ci rivedremo presto.
Lancio un ultimo sguardo a Ted e so che terrò fede alle mie parole.

«Questa volta comando io»

Prendo la mano di Hermione e lei non osa opporsi.
Giro su me stesso, e entrambi spariamo alla vista del piccolo che ci guarda da dietro la finestra.
Siamo apparsi di nuovo alla stazione e lei si guarda intorno disorientata.
Il flusso continuo di gente che va e viene mi piace.
Persone indaffarate nella vita di tutti i giorni, pendolari che aspettano il treno per andare al lavoro.
Assistere alla quotidianità è quasi appagante.

«Mi è piaciuto il viaggio in treno dell'andata»

Dico in risposta al suo sguardo interrogativo.
Le sorrido e mi avvicino a un controllore fermo sulla banchina.
Lei mi osserva in silenzio mentre chiedo dove passerà il prossimo treno per King's Cross.
Anche se non riesce a mascherare la confusione non chiede niente e sorride ringraziando l'uomo.

«Dobbiamo aspettare un'ora, sei sicuro di non volerti Smaterializzare?»

Mi sussurra all'orecchio per non farsi sentire dai Babbani di passaggio, che nella fretta continuano a urtarci.
Affondo le mani nelle tasche e alzo le spalle.

«Hai davvero tanta fretta di tornartene a casa?»

Le chiedo sorpreso.
Si rabbuia per un istante, e mi ricordo che lei una casa nemmeno ce l'ha.
La vecchia casa dei Black non è certo accogliente, ma almeno è un tetto sotto cui ho potuto rifugiarmi in solitudine.
In un certo senso ha accolto il mio dolore permettendomi di sfogarlo.
Penso che da quando siamo tornati dalla guerra lei è stata prima alla Tana, poi da me, e ancora da Andromeda.
Si è sempre portata dietro quella sua borsetta di perline in cui c'è tutto ciò che possiede.
Io non mi sono quasi accorto della differenza, avendo vissuto una vita intera con pochi oggetti personali e nessun luogo da poter chiamare casa, ma mi accorgo di quanto lei possa soffrirne.
Scuote la testa e cerca di sorridere, ma i suoi occhi sono ancora tristi.

«Lo sai che se non vuoi tornare alla Tana puoi stare da me, vero?»

Credevo che fosse scontato, ma il suo sguardo perso mi ha spinto a parlare ugualmente.
Il suo viso si illumina e il sorriso si estende ai suoi occhi castani.
Le sorrido di rimando e la trascino in un bar affollato.

«Caffè?»

Ci sediamo a un tavolino in disparte e sorseggiamo le vostre bevande.

«Andranno in Romania a trovare Charlie»

La guardo sorpreso.
Perché non me l'ha detto prima?
Da quanto lo sa?
Mi scocca uno sguardo di scuse e infila una mano nella borsetta.

«Me lo ha scritto Ginny in una lettera»

Non riesco a credere alle mie orecchie e vorrei strapparle di mano la pergamena.
Mi costringo a trattenermi.

«Voi vi sentite? Da quanto tempo?»

Hermione abbassa lo sguardo e stringe la lettera.
Sembra che abbia paura di guardarmi, eppure ormai il “danno” l'ha fatto.

«Mi ha mandato questa ieri. Non sa che siamo stati da Andromeda, ma Leo ci ha trovati lo stesso»

Deglutisce e urta la tazzina con la mano.
Il caffè si rovescia sul tavolo, facendolo cadere anche sui miei pantaloni.
Non mi sposto, ma fisso la pergamena che lei tiene fra le mani.
È un foglio abbastanza grande e voglio sapere cosa c'è scritto.
Allungo una mano per prenderla, ma lei la allontana.

«Harry...»

Mi guarda incerta.
Non vorrebbe darmela, ma il mio sguardo determinato la convince.
Si morde il labbro a disagio e mi permette di raggiungerla.

 

Ciao Hermione.

So che hai detto a Ron e alla mamma che sei partita, ma ho visto come ti comportavi in questi ultimi giorni e sono sicura che non sei andata in Australia da sola. Anzi, conoscendoti direi proprio che non sei andata da nessuna parte. Immagino però che sia vero che Harry è con te, e volevo che entrambi sapeste quanto ci mancate. È inutile che ti dica quanto avete fatto male ad andarvene, perché qui non eravate certo d'intralcio, ma suppongo che abbiate avuto i vostri motivi, perciò non vi biasimo.
Ti scrivo per dirti che se decideste di tornare non ci trovereste: siamo andati a trovare Charlie in Romania e staremo lì una settimana, così mamma e papà hanno altro a cui pensare.
Se ti stai chiedendo perché non ho scritto a Harry ti dico che in fondo non lo so nemmeno io.
Ma probabilmente è per lo stesso motivo per cui tu non hai detto la verità a Ron. A proposito, lui non sa dei miei “sospetti”, quindi quando sarai pronta potrai parlargliene tu.
Spero di rivederti presto,

Un abbraccio,

Ginny.

 

Ginny che capisce sempre tutto.
Ginny che sa perché non sono con lei.
Ginny che dice che ho sbagliato ad andarmene ma non mi ha trattenuto.
Ginny che non riesce a scrivermi.

«Perché non me l'hai detto prima?»

Tiene lo sguardo basso ma so che è rimasta a guardarmi mentre leggevo la lettera per studiare le mie reazioni.
Ha asciugato il caffè sul tavolo con un tovagliolino di carta, ma la macchia sui miei pantaloni continua ad allargarsi.

«Eri sereno»

Lo dice piano, lo mormora.
Finalmente mi guarda, cercando sul mio viso una qualsiasi espressione, ma sono rimasto impassibile.
Ho stretto i pugni sotto al tavolo, ma sorrido dentro di me.
Per una volta sono riuscito a non farle indovinare le mie emozioni.
Serro la mascella e mi alzo per pagare il conto, poi la trascino lontano dalla folla e mi Smaterializzo.

«Pensavo che volessi prendere il treno»

Cerca di sdrammatizzare per osservare la mia reazione.
Ha paura di avermi ferito, anche se te lo ha tenuto nascosto per proteggermi.
La capisco, so che avrei fatto la stessa cosa per lei.

«Ho cambiato idea. Voglio stare da solo»

L'idea della folla piena di vita ed energia mi annienta, così come poco prima mi allettava.
Non avrei sopportato il ritmo frenetico della stazione mentre dentro di me cadeva il gelo.
Le mie ultime parole le fanno spalancare gli occhi in una assurda e dolorosa consapevolezza.

«Non intendevo dire che non ti voglio qui!»

Quasi lo urlo mentre si volta ferita e mette una mano sulla maniglia.
Si volta a guardarmi con gli occhi lucidi e le faccio cenno di seguirmi in uno dei salotti.
La casa è ancora fredda e odora di chiuso, Kreacher è rimasto a Hogwarts e non ha più pulito.
Mi siedo su una poltrona e la invito a fare altrettanto, mentre una nuvola di polvere si alza dalla stoffa.
Lei mi guarda dubbiosa, forse anche un po' preoccupata, ma mi segue.

«Avresti dovuto dirmelo»

Parlo piano, mi prendo la testa tra le mani e stringo le ciocche nere tra le dita.
Non so se sono state più dolorose le parole di Ginny quando ha fatto il mio nome o l'omissione di Hermione.

«Non avresti reagito bene. Guardati ora!»

Le sue parole sono vere.
Probabilmente se lo avessi saputo prima neanche Teddy sarebbe stato in grado di salvarmi.
Sarebbe stata l'ultima goccia, quella che fa traboccare il vaso, e non l'avrei sopportato.
Come sempre ha ragione.

«Anche tu avresti voluto saperlo»

Devo sfogarmi e trovare qualcuno su cui riversare la mia frustrazione.
Dato come mi sono comportato avrei dovuto aspettarmelo, ma leggere la grafia di Ginny che scriveva così di me è stato un colpo allo stomaco.

«Ma avrei capito se tu non me lo avessi detto per non farmi stare male!»

Le sue guance si arrossano mentre alza la voce e si ribella.
Non vuole addossarsi la colpa, perché nessuna di quelle parole dipende da lei.
Sa che non è giusto.
E lo so anche io.

«Scusa. Hai ragione»

Non si aspettava che mi calmassi così presto, eppure ora la mia voce è calma.
La mia reazione la lascia un po' spiazzata ma si riprende in fretta.
Si rilassa sulla poltrona mentre il suo petto continua a muoversi in fretta a causa dell'agitazione di poco prima.

«Questo posto è deprimente»

L'improvviso cambio di discorso mi disorienta.
Lei si guarda intorno con aria critica e pensierosa.

«Mi spiace non offrirle un'accoglienza degna della sua persona, signorina Granger»

Scoppiamo a ridere e liberiamo anche quell'ultima dose di tensione accumulata nell'ultima ora.
Ridiamo così forte che i nostri occhi si velano di lacrime.
Forse le prime di gioia dall'ultima battaglia.
La sua risata mi risuona nelle orecchie, e improvvisamene quella casa non è più così vuota.
La ascolto ridere, e non lo è neanche il mio cuore.
So che finché lei sarà al mio fianco la nostra amicizia potrà farci superare tutto.
E non ci saranno parole di Ginny o smorfie offese di Ron che potranno toccarci e farci male qui.
In quell'angolo di cuore che è così forte e puro, in cui ci siamo solo noi.

 

Le amicizie non sono spiegabili e non bisogna spiegarle se non si vuole ucciderle.”

(M. Jacob)

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Come le Fenici

 

CAPITOLO VI

 

 

Non avrei mai pensato che potesse essere così difficile ricominciare a vivere.
In realtà non avrei pensato neanche che sarei sopravvissuto.
Mi sembra impossibile che solo qualche giorno fa stavo camminando verso la morte, senza paura, e che ora mi trovo a nascondermi per non affrontare il dolore della vita.
Lontano dalle persone che amo.
Lontano dalla mia nuova, e forse unica, famiglia.
È assurdo pensare che sarebbe stato più facile se per me fosse finito tutto in quel momento?

«Sei sveglio?»

Hermione.
Me ne stavo andando senza salutarla.
Come avrei potuto farle una cosa del genere?
Lei, Ron, e Ginny avrebbero dovuto sapere quanto significavano per me, e invece li stavo abbandonando senza un ultimo addio.
Se uno di loro se ne fosse andato in quel modo non ce l'avrei fatta.
Ricordo la stretta al cuore e la paura quando la maledizione di Bellatrix stava per colpire Ginny, e l'ansia quando ho visto Hermione svenire tra le mie braccia.
In fondo è una fortuna che io abbia avuto una seconda possibilità.
Non per me, ma per loro.
Io ero pronto a morire, loro lo sarebbero stati a perdermi?
Forse aveva ragione Ron quando diceva che la mia mania di fare l'eroe finiva per ritorcersi contro agli altri.
Li avrei fatti soffrire tutti molto di più.
Avrei potuto sopportarlo?

«Harry?»

Le sue dita battono sul legno della porta della mia stanza.
Deve essere già mattina inoltrata, a giudicare dal sole che filtra attraverso le tende.
Svegliarmi e sapere di non essere completamente solo mi rassicura.

«Entra pure»

Mi riscuoto dai miei pensieri e cerco di stamparmi un sorriso convincente sulle labbra.
In mano ha due tazze di caffè fumanti, e mi guarda con una strana espressione.

«Come stai?»

Le sorrido e spero che basti a convincerla, poi allungo una mano verso la tazza e la ringrazio.
Si siede di nuovo sul mio letto, e il suo viso è stanco.

«Non hai dormito bene?»

Non alza lo sguardo su di me alla mia domanda, e quel gesto spiega più di mille parole.
Avvicina la tazza alle labbra e beve in silenzio.

«Non credevo che questa casa potesse nascondere così tanti ricordi»

Si stringe nelle spalle e continua a fissare il pavimento.
Posso vedere solo i suoi capelli crespi che le scendono disordinatamente sulla schiena.
Ovviamente so cosa intende.
Grimmauld Place, il primo rifugio dell'Ordine che abbiamo conosciuto.
Entrare in cucina mi riporta alla mia prima sera lì, in cui Sirius voleva rendermi partecipe dell'organizzazione, Remus mi guardava in silenzio, e Molly voleva difendermi e proteggermi.
Molly.

Come se fossi suo figlio.
«Chi altro ha?»
«Ha me!»
Sirius si era infervorato.
Mi considerava un figlio?
«Non è James, Sirius!»
Le accuse di Molly rimbombavano nella mia testa.
Non ero mio padre, e lui spesso non coglieva la differenza.
«Ha me!»

Già, e poi ho perso anche lui.


Molly che mi ha sempre accolto in casa sua.
Molly che mi ama come un figlio.
Molly che ne ha perso uno ingiustamente e che ora piange in silenzio il suo dolore.

«Credi che siano tornati?»

Trattiene il fiato e resta immobile.
Si gira verso di me con gli occhi dilatati dallo stupore.
Forse non si aspettava quella domanda.
È così indifesa.
Mi alzo e cammino verso la finestra.
So che se continuo a guardarla vorrò aspettare ancora, e sento che il momento è arrivato.

«Non lo so»

Mormora piano, forse leggermente ferita dal fatto che mi sia allontanato da lei.
Ora le do le spalle e stringo il davanzale per farmi forza.

«Dovremmo andare»

Non è solo un dovere, o una questione di formalità.
Perché dove c'è affetto e amore non esiste formalità.
Voglio riunirmi all'unica famiglia che abbia mai avuto.
Voglio rivedere i suoi capelli rossi e stringerla tra le braccia.
Voglio di nuovo sentire il profumo di casa.

«Non credo di essere pronta»

Ha paura, lo sento dalla sua voce.
Mi volto a guardarla e vedo che trema; gli occhi velati di nuovo di lacrime e dolore.
Non posso lasciarla sola.

«Allora aspettiamo»

Le prendo una mano tra le mie e le cingo le spalle con un braccio.
Non posso negarle il conforto quando lei ha fatto così tanto per me.
Non posso negarglielo, eppure faccio uno sforzo enorme a dire quelle parole.
Egoista.
Il fatto che io sia pronto non vuol dire che lo sia anche lei.

«Ho paura»

Ammette piano.
Non mi guarda, ma ha il viso nascosto dalla mia spalla.
Calde lacrime salate mi bagnano la maglietta.
La stringo più forte, senza sapere cosa dirle.
So quello che prova e come si sente.
Non voglio forzarla, e la aspetterò finché non sarà pronta anche lei.

«Non c'è fretta»

La lascio sfogare in silenzio.
Di colpo i suoi occhi si placano e lei si allontana da me.
Si asciuga le lacrime con determinazione e mi guarda.

«No, hai ragione. Andiamo»

Si alza in piedi e sposta i capelli dal viso.
Gli occhi, ancora umidi, ora sono vigili e scattanti.

«Non possiamo stare qui per sempre, non è giusto. Loro hanno bisogno di noi»

La sua voce era ancora incrinata, ma gli occhi esprimevano qualcos'altro.
Determinazione e sicurezza.
Continuo a invidiarla.
Io mi sarei fatto mille altre domande, invece lei è subito pronta.
Pronta a lanciarsi di nuovo in una missione di salvataggio, anche se questa volta non è come il solito.
Una missione diversa.
Una missione in cui ad essere in pericolo non sono le nostre vite o quelle altrui, ma i sentimenti.
E quando in gioco ci sono i sentimenti si sa, è tutto più pericoloso.
 

***

 

Ci Materializziamo su una delle colline intorno alla Tana.
Poco distante da noi, alle nostre spalle, si erge un'altra casa.

«Come starà Luna?»

Hermione si è voltata a guardarla e una nuova preoccupazione attraversa il suo viso.
Le stringo il braccio per rassicurarla.

«Ho sentito che hanno ritrovato Xenofiulius...»
Da preoccupazione a terrore, è un attimo e i suoi occhi si sgranano.

«Sta bene, ora sicuramente sono insieme»

Mi affretto a rassicurarla prima che pensi al peggio.
Ci abitueremo mai a parlare delle perdite che la guerra ci ha causato?
La vedo tirare un sospiro di sollievo e capisco che sarà difficile.
Non è possibile abituarsi alla morte.
Eppure, penso, io l'ho fatto.
E forse è proprio per quello che ora devo starle vicino.
È per quello che devo stare vicino a tutti, perché fino ad oggi ho imparato che avere accanto le persone che ami ti aiuta a superare il dolore più in fretta.

«Andiamo?»

La guardo con aria interrogativa, e vedo che il suo sguardo si è spostato sulla Tana.
Vedere la casa da questa distanza mi da una strana sensazione.
Lei annuisce determinata, e insieme ci incamminiamo giù per la collina.
Il giardino della Tana è silenzioso, e per un attimo temiamo che non ci sia nessuno.

«Sei sicura che siano tornati?»

Mi guardo intorno cercando un volto familiare.
Lei annuisce e muove qualche passo incerto verso la casa.
La porta di ingresso, che è socchiusa, sbatte facendoci sobbalzare.
Hermione si stringe al mio braccio e sento che ha paura.
In effetti l'assenza di persone preoccupa anche me e sento un peso stringersi sullo stomaco.
All'improvviso il pianto di un bambino riempie l'aria.
Ci guardiamo sorpresi, senza capire.

«Te l'avevo detto di non fare rumore!»

Il rimprovero viene da una voce femminile.
Una voce familiare.
La sua voce.
Vorrei correre in casa e stringerla tra le braccia.

«Non è colpa mia se la porta ha sbattuto!»

Una seconda voce irritata.
Di nuovo familiare, di nuovo una stretta allo stomaco.
Quella voce che sento da anni.
Hermione si immobilizza al mio fianco.
Mi stringe il braccio ancora più forte, mentre il pianto del bambino continua a riempire l'aria.
Lei trattiene il respiro e mi guarda.
Mi chiede cosa fare.
Annuisco piano e mi avvicino alla porta, bussando piano.
Il pianto non accenna a smettere, ma le due voci che discutono si interrompono all'improvviso.
Posso immaginare chiaramente le loro espressioni confuse e perplesse.
La porta si apre cigolando e i miei occhi si immergono in quelli nocciola, mentre il mio cuore salta un battito.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Come le Fenici

 

CAPITOLO VII

 

 

 

Immobile.
Non riesco a muovermi mentre continuo a fissare i suoi occhi.
Rancore?
Delusione?
Amore?
Cosa esprimono?
Capisco quanto ho sbagliato e quanto l'ho fatta soffrire.
Di nuovo.
Dopo averle promesso che niente ci avrebbe più separato l'ho lasciata di nuovo.
E i suoi occhi sembrano rimproverarmi tutto questo.

Vedi, Harry? Mi hai deluso di nuovo. Mi hai mentito di nuovo.

Leggo tutto questo nel suo sguardo e mi sento sprofondare.
Vorrei scappare da quelle accuse, correre via lontano e lasciarmi tutto alle spalle.

 

Far away from the memories
Of the people who care
if I live or die.”

(Starlight, Muse)

 

Vorrei correrle incontro e stringerla tra le mie braccia, sussurrandole in un orecchio quanto la amo e quanto mi dispiace averle fatto ancora del male.


Hold you in my arms,
I just wanted to hold you
In my arms.”

(Starlight, Muse)

 

E tutto ciò che riesco a fare è stare fermo e cercare di non interrompere quel contatto, seppur distante, che hanno instaurato i nostri occhi.

«Ginny!»

Il mio sguardo viene oscurato dai capelli crespi di Hermione che si lancia ad abbracciare la sua migliore amica.
Lei la stringe a sé ma continua a guardarmi da sopra la sua spalla, come se il tempo si fosse fermato.
Non sento più niente, mentre i suoi occhi si velano di lacrime.
Sento di nuovo una morsa al petto.
Lei, che ha sempre conservato le sue lacrime anche nei momenti peggiori, le lascia uscire per me.
Quanto dolore ho causato?
Quanto male ho fatto con la mia debolezza?
Hermione la lascia andare e si immobilizza.

«Oh, Ron!»

Il possessore della seconda voce è comparso a sua volta sulla soglia della porta.
Ci guarda entrambi, sorpreso e confuso, poi accoglie Hermione che si è lanciata tra le sue braccia.

«Mi dispiace»

I suoi sussurri vengono accolti dal mio migliore amico che la stringe a sé.
Non è arrabbiato.
Non è deluso.
Forse lui ha già perdonato anche me, ma sono quegli occhi castani che non riescono più a guardarmi.
Ron mi sorride comprensivo, ma è un sorriso triste.
Consapevole.

Cerca di trasmettermi la sua solidarietà incurvando le labbra in una smorfia.
Quasi volesse chiedermi scusa per non averlo potuto evitare.

Quand'è che sei cresciuto così, Ron?
Una volta mi saresti saltato al collo per averla ferita.
Appena qualche mese fa te la saresti presa con Hermione vedendola arrivare con me dopo giorni che non si faceva viva.
Vorrei essere cresciuto anche io come te.
Vorrei essere migliore di quello che sono ora.

Il mio amico mi volta le spalle lentamente, facendo entrare Hermione senza smettere di stringerla a sé.
Rimango solo sulla soglia della porta mentre due occhi nocciola mi fissano fieri.
Nessuna traccia delle lacrime che li hanno inumiditi poco fa.
Di nuovo nessuna debolezza.
Reazione.
Forza.
Orgoglio.

«Ciao»

E' stupita quanto me da quella semplice parola che esce dalle mie labbra.
Mi maledico mentalmente per non aver detto nulla di meglio.
Per non esserne stato in grado.
Lei stringe le labbra e fa un passo indietro.
Si allontana da me?
Non vuole più vedermi?
In un secondo sento il respiro mancarmi a quella prospettiva, ma poi si sposta di lato.
La porta è ancora aperta e con uno sguardo mi invita ad entrare.
Quel gesto è linfa vitale per me.
Una possibilità.
Una speranza.
Forse non tutto è perduto.
Cammino verso di lei e sento l'odore della Tana riempirmi le narici.
Profumo di casa.
La guardo incerto, poi mi lascio guidare dall'impulso.
Mi muovo velocemente, e la stringo tra le mie braccia.
La sento rigida nel mio abbraccio, ma nulla potrà mai interrompere quel contatto.
Abbandono la testa tra i suoi capelli e la sento rilassarsi.
Vorrei non lasciarla mai, vorrei che non ci fosse bisogno di parole.
Vigliacco.
No, le parole servono eccome.
Lei merita di sapere.
Lei deve sapere, deve poter decidere se lasciarsi abbracciare per il resto della vita.
E io devo spiegarle tutto.

«Ginny...»

Un sussurro tra i capelli ramati.
Il suono della mia voce la fa irrigidire di nuovo.
I nostri occhi si allontanano ma i nostri sguardi continuano a cercarsi.
Si trovano.

«Non dire niente, Harry. Ti prego»

La sua voce tenta di essere risoluta.
Testarda come al solito.
I suoi occhi mi implorano.

Non rovinare tutto.

Lo leggo nel suo sguardo.

«Non posso. Devo spiegarti»

Le prendo le mani con le mie.
Piccole, fredde.
Le stringo e ricordo l'ultima carezza che mi ha dato mormorandomi parole d'amore.
Mi aggrappo a quel ricordo e trovo la forza.

«Avevo paura»

Lo ammetto, perché ormai non posso nasconderlo.
Perché dovrei farlo? Non avrebbe alcun senso.
Lo ammetto, perché a lei devo la verità.

«Ho sbagliato, lo so. Sono scappato perché avevo paura di tutto il dolore che provavate, avevo paura di essere un estraneo. Avevo paura di esserne colpevole»

A queste ultime la parole apre la bocca per parlare, ma la interrompo con un cenno del capo.

«Lo so»

Mormoro sinceramente.
Mi stava per dire che non era colpa mia.
Quanti ancora me l'avrebbero detto?
Quanto ancora avrebbero cercato di convincermi?

«Lo so, ora l'ho capito»

Continuo più duramente di quanto non voglia.
Il mio tono è aggressivo per difendermi dalla compassione.

La tua famiglia è distrutta, Ginny, non è me che devi compatire!

«Sono stato un vigliacco e non sono stato in grado di starti vicino. Perdonami»

Abbasso lo sguardo mentre termino la mia ammissione di colpe.
Ho paura di vedere il rifiuto nei suoi occhi.
Ho paura di non meritarmi il suo perdono.
Ho paura che lo pensi anche lei.
Mi viene l'assurdo istinto di sorridere tra me.
Un sorriso amaro, mentre mi rendo conto che non ho ancora superato la paura.
Cambia forma, cambia parole, cambia gesti.
Ma la paura continua ad essere parte di me.

«Io ti ho già perdonato»

Calma.
Semplice.
Una frase che è come una carezza.
Come uno schiaffo che mi riscuote.
Torno a guardarla incredulo, e lei se ne accorge.
Mi sorride.
È rassicurante.
Il suo sorriso.
Mi è mancato: non ho mai smesso di sognarlo.
E solo ora che lo vedo mi accorgo che è molto più caldo di come lo ricordavo.
Mi accarezza la guancia con dolcezza, e la sua pelle si graffia con la barba che non faccio da giorni.
Appoggio la testa sulla sua mano e continuo a bearmi del suo tocco.
Continuo a contemplare il suo viso.
Le sue labbra rosse.
Vorrei assaggiarle di nuovo.
Chissà se hanno ancora lo stesso sapore?
Mi chino verso di lei e la bacio delicatamente.
No, ora hanno sapore di pace.
Sapore di lacrime salate.
Sapore di noi.
La sua bocca si schiude quando la sfioro con la lingua.
Non oppone resistenza, mi lascia entrare e cercarla.
Mi asseconda, si fa trovare, poi sfugge di nuovo.
Sento il calore del suo respiro sul mio viso.
Il suo cuore battere contro il mio petto.
È di nuovo mia.
Non l'ho persa, siamo di nuovo noi.
E quel bacio è diverso, non c'è dubbio.
Perdono, amore, libertà.
Sì, quel bacio sa di pace.
La nostra pace.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Come le Fenici

 

CAPITOLO VIII

 

 

POV Ron

 

Quando l'ho vista sulla soglia di casa mia ero la persona più felice del pianeta.
Poi ho letto dolore, paura, e scuse nei suoi occhi, e mi sono sentito morire.
Non volevo vedere quello sguardo sul suo viso.
Volevo vederla ridere.
Felice accanto a me.
Non potevo sopportare che si sentisse in colpa per avermi lasciato solo qualche giorno.
Che persona sarei se me la prendessi con lei perché ha cercato di trovare un suo equilibrio?
Io sono stato con la mia famiglia dopo un anno di fughe e segreti, lei aveva tutto il diritto di provare a imitarmi.
L'ho vista sulla porta di casa, e stringeva il braccio di Harry.
Un tempo quel gesto mi avrebbe irritato.
Mi avrebbe spaventato.
L'eterno insicuro Ron, spaventato di perdere la ragazza che ama per mano del suo migliore amico.
No, qualcosa è cambiato dall'ultima volta.
Qualcosa è cambiato da quando ha unito le sue labbra alle mie.
Con ardore, con passione.
Anche lì c'era paura, in mezzo a urla ed esplosioni, eppure lo ha fatto.
Lo abbiamo fatto.
Mettendo da parte orgoglio e insicurezza e fidandoci solo dell'istinto.
Temevamo fosse la nostra ultima possibilità.
Temevamo di non arrivare alla fine insieme.
Era un bacio di addio, ma ha aperto una nuova vita per noi.
L'ho vista sulla porta di casa mia, e si è lanciata singhiozzando tra le mie braccia.
Ho sentito il suo corpo fragile sbattere contro il mio e l'ho accolta.
Il profumo dei suoi capelli mi ha inebriato e l'ho stretta come se avessi avuto paura che potesse scappare.
L'ho fatta entrare, e non solo in casa.
Lei è entrata nella mia vita e farò del mio meglio perché non voglia uscirne.
Era sulla porta di casa mia, e ora è qui davanti a me con gli occhi gonfi di pianto.

«Hermione»

Le rivolgo un sorriso dolce, sperando di tranquillizzarla.
Gli occhi continuano a riempirsi di lacrime e io non so come fermarle.
Non posso vederla così.
Deve capire che sono con lei.
Che sono dalla sua parte.
Che lo sarò sempre.

«Hermione, non piangere»

Le prendo il viso tra le mani e continuo a sorriderle.
Si stupisce di quel gesto estremamente dolce.
Libero i suoi occhi dalle lacrime e le scosto i capelli dal viso.

«Non piangere»


Deve smettere di piangere perché mi fa sentire inutile.
Perché non so come farla smettere.
Non l'ho mai vista così!

Ti prego, smetti di piangere...

 

Don't you cry tonight
I still love you baby
(Don't cry – Guns 'n' Roses)

 

Alza gli occhi umidi verso di me e si asciuga le lacrime con la mano.

«Scusa»

Per cosa?
Per essersene andata o per essere tornata?
Per le lacrime?
Scuoto la testa e le dico che la capisco, che non deve scusarsi.

«E' tutto a posto»

La rassicuro con un sorriso.
Mi avvicino a lei, continuando a tenere il suo viso tra le mani.
Vedo le lacrime intrappolate nelle sue ciglia.
La sento avvampare imbarazzata.

«Posso?»

Non può dirmi di no.
Non vuole dirmi di no.
Non lo farà, perché anche lei vuole sentire di nuovo quel brivido.
Quel calore che ci ha uniti appena qualche giorno fa.
Sembra passata una vita.
Ha bisogno di sentirlo per capire che è davvero tutto a posto.

«No»

Gira la testa e smette di guardarmi.
Le mie mani sono ancora sulla sua pelle ma non le sento più.
Non me ne rendo conto.
Uno schiaffo sarebbe stato meglio.

Urla, colpiscimi, Schiantami.
Mandami di nuovo contro quei canarini, ma non rifiutarmi così.

Con calma, con decisione.
Nessun istinto a guidarla questa volta.
Solo rifiuto.
Distaccato, freddo. Razionale.

«Non è giusto»

Non capisco cosa vuol dire.
Cosa c'è che non è giusto?
Di cosa sta parlando?
Io e lei, insieme.
Questo è sempre stato giusto.
Mi prende le mani e le allontana dal suo viso.
Continua a stringerle, ma non riesce a guardarmi.

 

I know how you feel inside I've
I've been there before.”

(Don't cry – Guns 'n' Roses)
 


«So come ti sei sentito. So che se mi ami ti sono mancata, perché l'ho provato. In quella tenda, quando mi hai lasciata. Ho avuto paura e mi mancavi. Mi hai fatto male»

Lo dice lentamente e con calma.
Quasi stesse ripetendo una lezione di Storia della Magia.
Mi lascia spiazzato.
Mi sento ancora un idiota per quello che ho fatto.
Non sopporto di sentirglielo ripetere.
Non voglio rivedere il suo dolore come quando urlava il mio nome tra gli alberi.

«Sai che se potessi tornare indietro io...»

Non smetterò mai di stare male per quello.
Non smetterò mai di ripeterle le mie scuse.
Vorrei farlo anche adesso, ma lei mi interrompe.

«So quanto fa male, e non avrei dovuto farlo a te. Non avrei dovuto lasciarti, sono stata un'egoista»

Il suo tono era risoluto.
Se avesse potuto avrebbe aizzato i canarini contro sé stessa.
Sono io l'insensibile tra noi, non può incolparsi per l'unica volta in cui crede di aver fatto un errore.
Ma poi, ha sbagliato davvero?
È una colpa cercare di rimettere insieme i propri pezzi?

«Ne hai passate tante, esattamente come tutti noi, e non puoi prendertela con te stessa per questo. Io ti capisco, so come ti senti. Se sentissi di doverti perdonare per qualcosa lo farei, ma la verità è che non c'è niente di cui incolparti»

Perché non riusciva a capirlo?
Perché non capiva che il solo vederla ancora davanti a me, dopo tutte le idiozie che ho fatto nella mia vita, significa tutto per me?
Stringe le labbra e so che sta per ribattere.
I suoi occhi mi guardano, ma la sua bocca non si muove e non sento la sua voce.
Aspetto, convinto che voglia parlare, ma resta in silenzio.
Poco dopo si lascia cadere sul divano scuotendo la testa.
Non mi crede?
Che vuol dire quello sguardo?
Perché continuo a non capirla?
Sorride.
Mi sorride... mi darà finalmente retta?
Un sorriso triste e rassegnato.
Mi avvicino, e questa volta non si allontana.
Mi viene incontro, e le nostre labbra si sfiorano di nuovo.
Cerco in quel contatto il ricordo del nostro primo bacio, ma non lo trovo.
Adesso c'è amore e trasporto.
C'è la consapevolezza che non sarà l'ultimo.
Nessuna paura di perderci, perché finalmente ci siamo ritrovati.
Non sarà l'ultimo, ma il primo di una lunga serie.

«Mi sei mancata, Hermione»

Mi stacco dalle sue labbra solo per sussurrarle queste poche parole.
Sorride contro la mia bocca e passa una mano tra i miei capelli.

«Anche tu»

Un altro sorriso, una confessione.
Parole a sancire la promessa espressa dai gesti.

Sì, Hermione.
Io e te.
È sempre stato questo.
È sempre stato giusto.

 

***

 

POV Hermione

 

Quando le nostre labbra si incontrano so che lui ha davvero capito.
Sa veramente di cosa sta parlando, e non ne è spaventato.
Mi ha perdonato, mi ha compreso, mi ha accolto di nuovo.
Sento il suo cuore battere nella vena sul suo collo.
Un cuore ferito.
Mutilato, graffiato.
Ha perso suo fratello e la sua famiglia non sarà più la stessa.
Eppure è qui a consolare me.
È qui a rassicurarmi e a donarmi il suo amore.
Mi sono mostrata forte quando ero con Harry, ma davanti a lui non ho potuto mentire.
Il suo sguardo sa scrutare nel mio come nessuno ha mai fatto, e non ho potuto nascondergli niente.
Mi è mancato il fiato quando l'ho visto apparire al fianco di Ginny.
Non sono riuscita a controllarmi.
Avevo bisogno di poter essere debole.
Io e Harry ci siamo sorretti a vicenda, ma vedere gli occhi di Ron mi ha fatto capire quanto ho bisogno di lui.
Smetterò mai di volerlo al mio fianco?
Immaturo e impulsivo Ron.
Insensibile, ma estremamente dolce.
Il mio Ron.
Non posso credere che ora sia così comprensivo.
Così indulgente con me.
L'ho lasciato solo.

«So che avevi paura. So cosa ti passa per la testa»

Mi sussurra tra i capelli mentre le sue mani ruvide mi accarezzano il viso e portano via le ultime lacrime.
È così sicuro.
Così diverso.
Così migliore del ragazzo ingenuo di cui mi sono innamorata.
E se ora non fossi abbastanza per lui?
Sembra leggermi nella mente, perché torna a baciare delicatamente le mie labbra.
Il suo tocco è caldo.
È rassicurante.
Non mi perdona solo con le parole, mi sta perdonando col cuore.

«Ce la faremo insieme»

Un altro sussurro sulle mie labbra, mentre torno ad affogare nei suoi occhi azzurri.
Lo stringo a me e non vorrei lasciarlo più.
Sì, Harry mi ha aiutato, ma non dovevamo essere solo io e lui.
Abbiamo affrontato tutto questo tutti insieme per anni, e non smetteremo di farlo ora.
Ci vuole forza.
Ci vuole coraggio.
Ci vuole amore, e questo posso trovarlo nelle mani che mi stanno stringendo.
Staremo di nuovo tutti insieme, ma ora ho bisogno di lui.
Ho bisogno di Ron, e non riesco a farne a meno.

«Ti amo»

Questa volta sono io a sussurrare.
Questa volta è lui a sorridere sulla mia bocca.
Un altro bacio, più profondo.
Più sensuale.
Più passionale.
Un bacio che ci unisce.
E che ci dice che vogliamo entrambi la stessa cosa.
Amore.

Sì, Ron.
Io e te vogliamo amore.
Io e te siamo amore.

 

***

 

NdA: Ciao miei cari lettori! Cosa ne pensate di questo capitolo in cui cambiano i punti di vista della narrazione? Ho voluto osare questo cambiamento perché ho pensato che Harry non avrebbe potuto esprimere tutto... è piuttosto fluffoso, vero? Ho osato anche questo, non me la cavo molto con il miele :)
Vi lascio il capitolo oggi perché domani mattina presto parto e sicuramente non avrò tempo di aggiornare. Nel frattempo auguro buon anno nuovo a tutti voi che leggete!

A presto, Bea

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Come le Fenici

 

CAPITOLO IX

 

 

 

Non potrei lasciare le sue labbra per niente al mondo.
E non è solo alla sua bocca che non posso rinunciare, ma a ogni parte di lei.
I suoi occhi che mi guardano, a volte maliziosi e a volte più timidi.
Le sue mani piccole che mi scompigliano i capelli.
Il suo profumo.
Non potrei rinunciare a niente di lei.
Non ora che l'ho finalmente ritrovata.
Le rubo un altro bacio prima di staccarmi definitivamente.
Non mi allontanerei per niente al mondo da quel rifugio, ma improvvisamente mi torna in mente una cosa.

«Chi stava piangendo, prima?»

La colgo alla sprovvista, ma si ricompone immediatamente.
Mi sorride e mi prende per mano, trascinandomi fuori dalla stanza.
Attraversiamo il salotto e la seguo su per le scale.
Ginny ha posato la mano sulla maniglia e si poggia un dito sulle labbra intimandomi di fare silenzio.
Spinge piano la porta e mi fa cenno di seguirla all'interno della stanza.
La prima cosa che vedo è una chioma bionda.

«Arrì!»

Fleur Delacour mi sorride e si avvicina per abbracciarmi.

Ginny storce il naso infastidita ma non dice niente.
La vedo spostarsi verso la finestra, mentre Fleur continua a bisbigliarmi cose incomprensibili all'orecchio.

«Mi sono offorta di badare a lui per oggi, parché la nona aveva da fare»

Mi spiega senza smettere di sorridere, indicandomi la piccola culla in fondo alla stanza.
Io non posso fare a meno di guardarla confuso, poi capisco.

«Il piccolo Teddì!»

Aggiunge notando la mia perplessità.
Guardo con più attenzione oltre la sua spalla e riconosco la culla.
Teddy ha cambiato di nuovo colore di capelli.

«Ma è fantastico!»

Esclamo a voce troppo alta, e il bambino emette un piccolo vagito.
Fleur mi guarda male per un istante, poi prende la bambina e inizia a cullarla.
Ginny mi si avvicina di nuovo, e vedo che le ha un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Ho quasi l'impressione che sia contenta che ho svegliato la bambina.
Lasciamo la stanza in silenzio, e una volta fuori lei comincia a ridere.
La guardo sbalordito
Mi sarei aspettato un altro mezzo rimprovero per la mia mancanza di tatto.

«E' davvero paranoica nei suoi confronti! Ha messo il Muffliato alla stanza per farlo dormire dopo che Ron ha fatto sbattere la porta»

Mi spiega scuotendo la testa.
Immagino che con sette figli, Molly sia riuscita a farli addormentare anche senza bisogno di ricorrere a incantesimi.

«Non mi ci ha fatto neanche avvicinare»

Noto all'improvviso.
Eppure pensavo che in un certo senso Fleur mi adorasse, ma questo non lo dico a Ginny.
Ne avrei anche avuto diritto, dato che in fondo sono il suo padrino.
Non mi sembra il caso di sindacare con polemiche inutili, in fondo è meglio così.
Decisamente non saprei come comportarmi con lui.

«Ci si è affezionata da quando l'ha visto la prima volta»

Dice ricomponendosi, e un'ombra le attraversa il viso per un attimo.
Son che il loro primo incontro risale al giorno dei funerali.
Dopo essere stato ferito da Greyback, Bill ha trovato in Remus un grande sostegno.
Lui e Fleur sono stati tra i pochi a raccogliersi con Andromeda intorno alla sua bara quel giorno.
Ginny continua a tacere tenendo lo sguardo basso.
Sono sicuro che, come me, sta pensando a Fred.
È stata davvero una vittoria completa?
Le cingo le spalle con un braccio e la guido di nuovo di sotto.
Le bacio dolcemente i capelli mentre ci incamminiamo verso il giardino.

«I tuoi non ci sono?»

Chiedo notando l'assenza del resto della famiglia.

«George sta riaprendo il negozio, anche se credo che per lui sarà difficile»

Ammette piano, ma la sua voce è ferma.
Testarda, Ginny.
Orgogliosa.
Ferma.
Ostenta una forza che non ha.

«Percy e papà sono al Ministero, mamma e Bill sono a dare una mano ad Hogwarts»

Riesco quasi a immaginare tutti i Weasley impegnati ognuno nelle proprie faccende.
Percy che si aggira per il Ministero, zelante e impaziente di rendersi utile.
Il signor Weasley che rinuncia a una promozione per continuare a occuparsi dei Babbani.
Bill e Molly ad aiutare la ricostruzione della scuola.
Forse Hogwarts non sarà mai più la stessa.
Nessun passaggio dietro la Strega Orba che porta a Hogsmeade.
Nessun gradino che svanisce al passaggio di qualcuno.
Quante volte abbiamo rialzato Neville che vi era inciampato?
Quante volte è successo a me?
Nessun campo di Quidditch a contenere l'eccitazione per una partita.
Ho vinto la mia prima partita in quello stadio, e l'ultima cosa che ricordo adesso è uno dei pali che si accascia al suolo colpito da una maledizione.
No, neanche Hogwarts sarà più come prima.

«Vorrei andare anche io ad aiutare»

Dico all'improvviso.
Non sopporto di ricordarla mutilata come quella sera.
Sarà diversa, ma sarà sempre lei.
Il primo luogo che mi ha accolto, il primo posto in cui mi sono sentito accettato.
Voglio dare il mio contributo, anche se piccolo.
Lei si ferma bruscamente e alza gli occhi sul mio viso.
Capisco che se lo aspettava.
Forse un po' lo temeva.

«Non riesci proprio a startene tranquillo, eh?»

Un sorriso triste le distende le labbra.
Vorrebbe chiedermi di restare con lei e di avere un po' di tempo solo per noi.

«E' stata la mia casa»

Sospiro.
Non mi aspetto che capisca.
So solo che non voglio ricordarmela come un mucchio di macerie.
Riprende a camminare in silenzio.

«Avremo tempo per noi»

Le dico fermandomi di nuovo e prendendo il suo viso tra le mani.
I suoi occhi si puntano nei miei e vi leggo qualcosa di nuovo.
Sfida?
Perplessità?
Insicurezza?

«Te lo prometto»

Mi chino a baciarla dolcemente sulle labbra.
Lei si rilassa e ricambia, ma quando la guardo noto ancora la delusione nel suo sguardo.
Questa volta non è un rimprovero però.
È una delusione rassegnata.
Non approva la mia scelta, ma non vuole impedirmi di compierla.
Mi ricorda l'atteggiamento di Molly nei confronti dei gemelli.
Lo sguardo è lo stesso di quando li rimproverava per gli scherzi che lasciavano in giro.
I gemelli...

George sta riaprendo il negozio, anche se credo che per lui sarà difficile.”

Devo tornare a Hogwarts, e non solo per me.
Non aiuterò solo la ricostruzione delle mura della scuola, cercherò di curare anche altre ferite.
La soluzione è così ovvia eppure non l'ho vista ad ora.
Forse posso davvero fare qualcosa di speciale per qualcuno.
Posso essere più che “Il Prescelto” sopravvissuto solo perché altri sono morti per lui.
Posso alleviare qualche dolore troppo grande per essere ammesso.
Padrone della Morte...
Qualcosa che sono diventato da solo.
Qualcosa per cui nessuno ha pagato.
Una magia che non mi si ritorcerà contro.
Padrone della Morte...
Un titolo inquietante, ma è ciò che sono.
Un potere che ho conquistato con i miei errori e le mie debolezze.
Un potere che mi permetterà di arginare il dolore che ho causato.

«Tutto a posto?»

Ginny mi guarda preoccupata.
Devo essermi perso nelle mie riflessioni e aver cambiato espressione.
Un sottile alito di vento le scuote i capelli ramati colpendole il viso.
Allungo una mano a sfiorare la sua guancia e le sorrido rassicurante.

«Tutto bene»

Annuisco, e lei sembra rilassarsi.
Per fortuna non può leggermi nel pensiero, o si spaventerebbe.
Direbbe che è pericoloso e che non ne vale la pena, ma io so che non è così.
Perché per accettare la morte devi vederla.
Devi sentirla.
Lei non potrebbe capire, perché in fondo non sa.
Gli unici a sapere cosa è successo quella notte sono Ron e Hermione, e ho visto abbastanza terrore sui loro volti per leggerlo di nuovo su quello di Ginny.
La voce di Ron mi distoglie da questi pensieri.

«Harry! Venite qui!»

Lo cerco con lo sguardo e lo trovo sotto l'ombra di uno dei tanti alberi del giardino della Tana.
È seduto con la schiena appoggiata al tronco, e Hermione è sdraiata sulle sue gambe.
Quando capisce che ci siamo anche io e Ginny si mette a sedere e arrossisce lievemente.
I nostri sguardi si incrociano per un attimo.
Forse non sa a cosa stavo pensando, ma capisce che qualcosa mi turba.
Cerco di dissimulare la preoccupazione con un sorriso mentre mi avvicino a loro.
Lei distoglie gli occhi dai miei e sorride a Ginny, alzandosi per abbracciarla di nuovo.

«Come stai?»

Ancora non ho avuto modo di parlare con Ron.
Il mio amico sorride tranquillo e rilassato, continuando a guardare Hermione che ora si è allontanata con Ginny.
Resta quasi in contemplazione fino a che non spariscono di nuovo dentro casa.
Riesco a sentire un accenno di risata prima che si chiudano la porta alle spalle.
Chissà per cosa ridono.
Finalmente possono lasciarsi a qualche pettegolezzo senza che possa sembrare fuori luogo.
Finalmente la vita sta ricominciando.
Normale, tranquilla.
Pesante e difficile, ma in pace.
Finalmente c'è tempo per perdersi in piccole confidenze.
E forse posso farlo anche io.
Do un colpetto a Ron sedendomi, e lui si volta verso di me.
Non abbiamo bisogno di parlare per chiarirci.
Quella stessa tacita intesa che ha accompagnato la nostra amicizia dal primo viaggio sull'Espresso.
Ron è il mio migliore amico.
Ron è il fratello che non ho mai avuto.
In tutti questi anni non si è mai tirato indietro.
Ha resistito al mio fianco anche se farlo era troppo pericoloso.
Un pericolo troppo grande per la sua famiglia.
Un pericolo per la sua autostima.
Senza volerlo, l'ho sempre messo nell'ombra.
Anche quando avrebbe potuto distinguersi per le sue qualità.
Ho contribuito a farlo sentire l'eterno secondo, ma lui non mi ha mai lasciato.
Prima di conoscerlo non avevo idea di cosa significasse avere un amico.
Ora è il suo volto a venirmi in mente quando penso all'amicizia.

«Tutto bene»

Mi risponde annuendo.
Rilassa le spalle e sbuffa leggermente senza smettere di sorridere.
E sì, va tutto bene.
E io non ho il coraggio di dirgli cosa voglio fare.
Potrebbe spaventarsi di nuovo.
Potrebbe dirmi che non ce n'è bisogno.
Potrebbe odiarmi perché lo trascinerei di nuovo nell'ignoto.
Non posso dirglielo.
Non posso rovinare la sua pace e la sua felicità.
Sorrido a mia volta e strappo qualche filo d'erba con la mano.
Ma non cambio idea.
C'è ancora qualcosa che posso fare.
C'è ancora qualcosa che voglio fare.
C'è ancora chi ha bisogno di me.
E questa volta è una decisione che prendo da solo.
Scelgo la mia strada e il mio ruolo.
Nessuna profezia a segnare il mio destino.
Soltanto il mio cuore segnato, solo la consapevolezza che ho.
Solamente questo mi spinge a rimettermi di nuovo in gioco.
Perché, ancora una volta, nessun altro potrà farlo.
 

***


NdA: vi ho lasciato un po' in sospeso?


Qualcuno di voi ha già capito cosa vuole fare Harry?
Forse ho seminato più ansia del dovuto, ma all'ispirazione non si comanda e in fondo non è proprio una passeggiata...
non dico altro e vi lascio alle vostre congetture, almeno fino al prossimo aggiornamento.
Anticipo qui che potrebbe tardare un po' ad arrivare perché il capitolo non è ancora scritto (ho finito la scorta) e ultimamente è ricominciato un periodo un po' movimentato, ma sto solo mettendo le mani avanti perché probabilmente non avrò difficoltà a pubblicare settimanalmente!
- Bea

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Come le Fenici

 

 

CAPITOLO X

 

 

Hermione ha capito che c'è qualcosa che mi preoccupa.
Continua a lanciarmi sguardi indagatori quando gli altri non guardano, ma non dirò nulla nemmeno a lei.
In fondo non voglio fare nulla di pericoloso o avventato.
Ci ho pensato bene: per la prima volta sono padrone delle mie azioni e so che posso farcela.

"Sei tu il degno padrone dei doni, Harry"

Le parole di Silente e i suoi occhi azzurri velati di commozione mi tornano in mente.
Mi ha guidato fino alla fine, non ho motivo di dubitare del suo giudizio.
Non più.
Non sarà pericoloso.
Non adesso.
Sarà giusto.

"La cosa che era contenuta nel boccino l'ho lasciata nella foresta. Nessuno sa dove sia caduta, nemmeno io."

Nemmeno io...
Non so dove sia finita, è vero, ma qualcosa mi dice che posso trovarla.
In un certo senso mi appartiene.
Sono io il suo Padrone, anche se questa definizione mi fa venire la pelle d'oca.
Non voglio nessun potere soprannaturale, ma ho scoperto che non si può fuggire al destino.
E dato che non posso ignorare quello che sono, tanto vale rendermi utile.
Non so neanche più se lo sto dicendo per convincermi che è davvero la cosa giusta da fare.
In fondo non importa.
Ci sono molte cose che non hanno più importanza.

"L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte."

L'incisione sulla lapide non era un'idea oscura.
Era una speranza.
Un consiglio.
Una pacca sulla spalla.
Non è necessario essere immortali quando si accetta la morte.

"Per una mente ben organizzata la morte non è altro che un'altra grande avventura."

Silente aveva ragione.
E io non voglio sfidare la morte.
Voglio prenderla per mano.
Sono davvero convinto che sia la cosa giusta.
Bisogna affrontare per accettare.
Se avessi potuto confrontarmi con i miei genitori prima, forse sarei stato meglio.
Sarebbe stato più facile.

«Hermione mi ha raccontato di Teddy»

Non mi sono accorto che Ron si è seduto sul divano vicino a me.
Io che penso a come accettare la morte e lui che mi parla di vita.
Mi stringo nelle spalle e accenno un sorriso.

«Hai avuto davvero una bella idea, a me non sarebbe mai venuto in mente»

Continua fissandosi i piedi.
Ma di che idea sta parlando?
È grazie ad Hermione se siamo andati da Andromeda, io non c'entro niente.
Ron è affranto, quasi sconfitto.
Si sente di nuovo inferiore?
Non capisco perché Hermione non gli abbia detto la verità.
Perché gli ha mentito?

«Ci ho pensato il giorno del funerale»

Dico mantenendomi sul vago, non sapendo cosa sa di preciso.
Forse non sa nemmeno che si è sentita male.
Continua a tenere lo sguardo basso e gli do una spinta amichevole.

«Perché questa faccia?»

Accusa il colpo e accenna un sorriso sghembo, senza alzare gli occhi.
Lo guardo in attesa.
Non voglio mettergli fretta e non dico altro.
Questo momento mi ricorda il silenzio imbarazzato che si è creato dopo la distruzione del medaglione.
Ha paura di non essere all'altezza.
Si sente di nuovo debole e vulnerabile.
Non risponde.
Silenzio troppo teso.

«Sei sempre un passo avanti rispetto a me, con lei. Mi chiedo quanto ci metterà a rendersene conto»

Sguardo basso e pugni stretti.
Stringe i denti per fermare le lacrime che spingono per uscire dai suoi occhi.
Non vuole piangere di fronte a me, ma quello che ha appena ammesso è troppo forte.
È intimo.
È frustrante.
È una debolezza.
E riconoscere le proprie debolezze non è mai facile.

«Ha scelto te»

Dico a bassa voce.
Mi volto per non fargli sentire il peso del mio sguardo su di lui.
È la verità.
Ron e Hermione.
Hermione e Ron.
Era scontato fin dal primo anno.
Lo sapevamo tutti, ad eccezione di loro due.
Ha scelto lui.

«Non quella volta nella tenda...»

Un sussurro che faccio fatica ad udire.
Forse lo dice più a sé stesso che a me.
Chissà da quanto tempo è tormentato da questo.
Non capisce che lei non ha avuto niente da scegliere quella volta, se non una speranza di sopravvivenza?
Restare con me era una speranza per vincere.
Tutto o niente.
Se avessimo fallito saremmo morti, se avessero fallito altri al posto nostro non avremmo avuto più niente.
Rischiare tutto per una vita che valesse la pena di essere vissuta.
È stata quella l'unica scelta che ha fatto.
E lo sa anche lui, ma non riesce a convincersene.

«Ha continuato a scegliere te anche quando non c'eri»

Piangeva.
Hermione non mi parlava e passava le notti a singhiozzare.
Non l'avevano ridotta così neanche i mesi passati a scappare e a nasconderci.
Si rifugiava in un libro di fiabe per non affrontare la realtà.
Ha sempre scelto lui.
Lui che aveva paura e l'ha abbandonata.
Lui che, mettendo da parte l'orgoglio, è tornato.
Lui che ora riprende a respirare normalmente.
Che non trattiene più il fiato e che rilassa le spalle.
Lui che nonostante la maschera che ha indossato è ancora l'undicenne insicuro che ho conosciuto anni fa.
Lui che vuole essere rassicurato.
Lui che non ha altro che lei per rialzarsi.
Ha sempre scelto lui.

 

***

 

Vuoto.
È questa la sensazione che provo entrando nel negozio affollato.
Voci e risate invadono l'aria mentre cercano il coraggio di riprendere a vivere.
Voci e risate che non vengono seguite.
Dietro il bancone, un posto resta vuoto.
Un sorriso troppo forzato resta incompleto.
Mi avvicino lentamente, urtando corpi sconosciuti nascosto dal Mantello.

«Sono Harry»

Si immobilizza per un attimo, stupito di aver sentito la mia voce.
Anche lui deve essersi chiesto che fine avessi fatto.
Fa un cenno alla sua assistente e si avvia verso il retro del locale facendomi cenno di seguirlo.
La stanza è come me la ricordavo, così come l'ho vista quasi due anni fa.
Invenzioni imperfette che non verranno mai completate.
Idee di menti che ora sono troppo lontane.
Mi guarda in silenzio mentre mi sfilo il Mantello.
Il suo sguardo è interrogativo e resta in attesa.

«Mi dispiace»

Parole troppo banali che cercano di esprimere molto di più.
Abbassa lo sguardo e non mi risponde, ma sul suo viso spento c'è tutto il dolore che si tiene dentro.
Alzo lo sguardo sugli scaffali e non posso trattenere un sorriso malinconico.
Merendine Marinare, Torroni Sanguinolenti, e Pasticche Vomitose.
Le risate avevano alleggerito la paura.
Tutti avevano bisogno di ridere, ed è grazie a loro che hanno potuto farlo.
Sembrava quasi un azzardo aver dato loro la vincita del Torneo, ma l'anno dopo ha acquistato un senso.
In un periodo in cui menzogne e paura si mescolavano, qualche scherzo innocente era tutto ciò che poteva alleggerire la tensione.
George continua a guardarmi con degli occhi vacui che non avrei immaginato di poter vedere sul suo viso.

«C'è un camino che possiamo usare per la Metropolvere?»

La mia domanda lo spiazza e per un attimo una luce di curiosità illumina il suo viso.
Non posso spiegargli tutto qui.
Non saprei da dove cominciare e come potrebbe reagire.
Potrebbe opporsi senza capire che è l'unico modo per ricominciare.
Annuisce e mi dice di aspettare, poi torna nel negozio.
Sento delle voci lamentarsi contrariate.
George alza la voce e parla con falsa allegria, promettendo nuovi pacchetti omaggio per i presenti alla riapertura dei Tiri Vispi.
Il negozio si svuota lentamente e il rumore del campanello annuncia la chiusura della porta.

«Ho chiuso il negozio»

Rientra nel retro del locale e per la prima volta mi accorgo di quanto sia stanco e provato.
La sofferenza che lo opprime è quasi palpabile.
Mi fa strada verso l'altro lato della stanza e punta la bacchetta contro il camino accendendo un debole fuoco.
Non c'è vivacità nel suo incantesimo, non c'è forza.
Non c'è vita.
Le fiamme che scoppiettano pigramente sembrano essere lo specchio del suo animo sfinito.
Dalla tasca estraggo una manciata di Polvere Volante e la getto sul fuoco che immediatamente si tinge di verde.
Entro nel camino e gli dico di fare altrettanto.
Mi segue in silenzio senza fare domande.
Si fida di me, e questo mi rassicura.
Forse non parla perché non ha la forza di farlo.
Forse ha indossato una maschera troppo a lungo fingendo allegria, e ora si è lasciato andare.
Infilo gli occhiali in tasca mentre mette una mano sulla mia spalla per non perdersi.

«Hogwarts!»

Scandisco chiaramente la nostra destinazione, e poco dopo veniamo risucchiati in un vortice di cenere.
 

***


NdA: A questo punto forse molti di voi avranno intuito le intenzioni di Harry.
Per quelli che ancora non ne hanno idea invece non ci sarà molto da attendere, perché nel prossimo capitolo vi prometto che sarà finalmente spiegato chiaramente. Sono contenta di essere riuscita ad aggiornare puntualmente questa domenica, purtroppo però quello che vi ho detto alla fine dello scorso capitolo è ancora valido: ho un periodo piuttosto impegnato e potrei non riuscire a rispettare la scadenza.

A presto, Bea

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Come le Fenici

 

 

CAPITOLO XI

 

 

Apro gli occhi e mi reggo alla parete del camino per ritrovare l'equilibrio.
Non ho mai amato viaggiare con la Metropolvere, ma senza dubbio era il modo più rapido che avevamo per venire qui.
La stanza circolare è diversa da come la ricordavo.
Nessuna fenice sul trespolo.
Nessuno strumento d'argento che brilla sulle mensole.
Le tende sono tirate e la stanza è in penombra, pur essendo appena le quattro del pomeriggio.

«Buonasera, Potter»

Rispondo con un sorriso sincero.
La professoressa McGranitt si alza dalla poltrona posta dietro la scrivania e si avvicina a noi.
Getto uno sguardo distratto sul tavolo e intravedo la lettera che ho inviato qualche giorno fa chiedendo di poter essere ricevuto.
La nuova Preside non si è tirata indietro e mi ha invitato a comparire direttamente nel suo ufficio.
Non ha fatto domande.
D'altra parte è stata abituata ai misteri di Silente per anni.

«Signor Weasley»

Si stupisce per un attimo prima di ricomporsi.
Nella mia lettera non ho detto che sarei venuto accompagnato.
In realtà sono venuto ad accompagnare, ma questo lei non lo sa.
Un'ombra attraversa il suo sguardo quando si posa su George, ma è un istante.
Minerva McGranitt è sempre stata molto bene a restare nel suo ruolo e a non farsi travolgere dalle emozioni.

«Cosa posso fare per voi?»

Raddrizza la schiena e si schiarisce la voce.
Diretta, pragmatica.
I suoi occhi mi scrutano da dietro le lenti quadrate e mi sento in soggezione come la prima volta che li ho incrociati.
Cerco di evitare il suo sguardo e con la coda dell'occhio individuo il ritratto di Silente.
È vuoto.
Non mi aspettavo che fosse così facile.
Lui avrebbe capito tutto, forse troppo in fretta.
Forse avrebbe cercato di impedirmelo.

«Vorremmo visitare il parco senza essere disturbati»

So che le sto chiedendo molto.
La scuola brulica di volontari che aiutano con la ricostruzione.
Presto li raggiungerò anche io, ma ora sono qui per un altro motivo.
La Preside assottiglia le labbra e non risponde subito.
È combattuta.
Da un lato vorrebbe sapere il perché di questa visita improvvisa, dall'altro non vuole essere invadente.
Mi guarda con uno sguardo preoccupato, quasi materno, e vorrei solo dirle di non preoccuparsi.
Le vorrei dire di non avere paura perché finalmente è tutto finito, anche se ci sono troppe ferite da curare.
Non ha mai avuto nessun altro a parte Silente e i suoi studenti, e ora molti di questi se ne sono andati per sempre.

Andrà tutto bene, professoressa.

Non mi permetterebbe di dirglielo chiaramente.
O forse sono io a non esserne in grado.
Tutto quello che posso fare è sperare che legga nel mio sguardo.
In uno sguardo che ha sempre sostenuto, difeso, amato.
Sì, perché so che Minerva McGranitt mi ha sempre voluto bene.
Lo so da quando Hagrid mi ha detto che è stata lei ad accompagnare Silente dai Dursley la notte della morte dei miei genitori.
Lo so da quando ho visto i suoi occhi accendersi d'orgoglio il giorno del mio Smistamento.
Da quando ha cercato di proteggermi dalla verità sul conto di Sirius quando ancora era ritenuto un assassino.
So che per lei sono più di un semplice studente da quella notte di tre anni fa, quando ha insistito che andassi in Infermeria dopo il ritorno di Voldemort.
L'ho capito quando mi ha offerto dei biscotti invece di punirmi.
Quando mi ha detto di credere che sarei stato un ottimo Auror.
E ogni volta che mi ha offerto il suo aiuto e la fiducia.
Minerva McGranitt mi ha sempre voluto bene.
E io ho sempre voluto bene a lei.
Un'insegnante, una strega coraggiosa, una maestra di vita.
Minerva McGranitt è stata forse l'unico vero punto fisso che ho avuto nella mia vita.
Non mi ha nascosto niente.
Non ho avuto nessuna sorpresa da lei.
Ogni suo gesto era calcolato, prevedibile, sincero.
Forse cerco di dirle tutto questo con un semplice sguardo.
Forse capisce, perché le sue labbra sottili si stirano in un sorriso e annuisce.

«Grazie»

 

***

 

Camminare fino al parco sotto il Mantello dell'Invisibilità non è affatto facile.
George ha acconsentito a nascondersi qui sotto senza chiedere spiegazioni.
Ovviamente.
Non ha più detto niente al di fuori dello stretto indispensabile.
Ha ringraziato la McGranitt con un sorriso tirato e poi ha continuato a tenere lo sguardo basso.
È incompleto, se ne accorgono tutti.
La maschera che deve indossare tutti i giorni al negozio inizia a soffocarlo.
Mi chiedo se anche a casa sia così.
Non l'ho chiesto a Ginny, e lei non me l'ha detto.
Ron cerca di evitare l'argomento, e forse evita anche di incontrare George.
Non ce la fa.
Non trova la forza.
Nessuno di loro ci riesce.
George continuerà a ricordare a tutti Fred.
Sarà sempre il gemello rimasto solo.
Immagine di un fantasma che ora non c'è più.
Spettro della risata che si è spenta quando Fred se n'è andato.
Forse nessuno riuscirà a vederlo semplicemente come George Weasley.
Lui, parte di un duo sin dalla nascita.
Parte di un duo per una vita.
Ora solo.
Sento il suo braccio tremare a contatto con il mio.
Per raggiungere il parco stiamo passando per quel corridoio.
Il pavimento ancora ricoperto dai calcinacci, le mura ancora spaccate per le esplosioni.
Un arazzo distrutto.
Quell'arazzo.
George non può riconoscere il posto perché in quel momento non era presente.
Era lontano da lui, erano divisi.
Non può riconoscere il posto ma lo percepisce.
Sa che è successo qui.
Allungo il passo trascinandolo con me, incurante delle caviglie che restano scoperte.
Nessuno farà caso a noi.
Sono tutti occupati a darsi da fare per limitare i danni.
Tutti impegnati a ricostruire la loro scuola.
Ragazzi, genitori, intere famiglie.
Si muovono in sintonia, insieme per lo stesso obiettivo.
Ogni tanto una risata alleggerisce l'aria.
Ogni tanto qualcuno si asciuga una lacrima di nascosto prima di continuare a lanciare incantesimi di riparazione.
Fatica fisica per non pensare al dolore interiore.
Forse funziona davvero.
Cammino in fretta perché non sopporto i rivivere quella notte.
Non sopporto di vedere Hogwarts piegata così.
Sconfitta anche nella vittoria.
Cammino in fretta per non pensare.

«Siamo quasi arrivati»

Mi libero del Mantello e lo ripongo in tasca.
George è confuso ma annuisce.
Muovo qualche passo incerto tra le foglie e mi guardo intorno.
Ero così sicuro di riuscirci, eppure ora temo di non farcela.
Potrei non trovarla.
Potrebbe essere persa per sempre.
Forse il mio gesto è stato troppo avventato.
Sarei dovuto venire qui da solo ed essere certo di poter dare l'aiuto che ho promesso.
Avrei potuto fare molte cose, ma ormai sono qui.
E non si può cambiare il passato.
Quello è stato è destinato a rimanere così per sempre.
Si impara sempre nel peggiore dei modi.
Forse esistono migliaia di universi alternativi.
Forse c'è un mondo in cui si sono fatte solo le scelte giuste.
Scelte diverse.
Scelte che hanno permesso a tutti di essere felici.
Forse.
Ma noi siamo qua e abbiamo una vita davanti.
Delle scelte da compiere.
Nuovi dolori da affrontare.
Nuove lacrime.
Nuovi sorrisi.
Forse quel mondo non esiste, e allora questo è tutto ciò che abbiamo.
Non si può vivere di “se”.
Dobbiamo rassegnarci a tenere ciò che abbiamo.
Dobbiamo essere in grado di gestirlo.
Rassegnazione.
È questa che mi ha fatto andare avanti, quella notte.
La rassegnazione alla morte mi ha permesso di vivere.
La rassegnazione alla sconfitta mi ha donato la vittoria.
E oggi la rassegnazione alla vita mi concede di trovare ciò per cui sono venuto.
Un bagliore tra i tronchi scuri attira la mia attenzione.
Per la prima volta anche George si mostra curioso.
Mi supera, smanioso di raggiungere la fonte di quella luce così rassicurante.
Mi supera, incapace di resistere a una tentazione che ancora non sa neanche riconoscere.

«Aspetta»

Si volta a guardarmi contrariato, ma si ferma.
Si fida di me.
Continua a farlo anche se gli impedisco di raggiungere l'oggetto dei suoi desideri.
Non ha ancora idea di cosa sia, ma la pietra lo attira a sé come il canto delle Sirene faceva con i marinai.
Ron era scoppiato a ridere quando io e Hermione gli abbiamo raccontato questo mito.
Rideva dell'ingenuità dei babbani.
Non credeva possibile che qualcuno potesse essere così imprudente.
Chi non ha mai provato un forte desiderio – un desiderio vitale – non può capire quanto sia facile cedere alle illusioni.
La Pietra della Resurrezione si avvicina spontaneamente a me, come se per lei fossi una calamita.
George resta a guardare senza capire.
Quando allungo la mano ad afferrarla trattiene il fiato.
Sento la superficie levigata a contatto con la pelle.
Stringo il pugno e chiudo gli occhi.
Non riesco nemmeno io a resistere alla tentazione.
Sono stato ingenuo a credere di saper gestire tutto questo.
Sono solo un altro marinaio che annegherà.

«Non hai sbagliato»

Una voce calda e familiare.
Un sussurro morbido.
Apro gli occhi e vedo la figura argentea di mia madre.
Mi sorride.
Dice che non ho sbagliato.
Anche lei si fida di me.
Vorrei parlarle e chiederle come fa a sapere che sto facendo la cosa giusta.
Come fa a sapere che non finirò alla deriva?
Sono umano.
Sono mortale e non resisto alle tentazioni.

«Sei tu, Harry»

Risponde alle mie domande inespresse.
Allunga una mano come a volermi accarezzare, ma so che non sentirò mai il suo calore sulla mia pelle.

«Lasciami andare e fa ciò per cui sei venuto»

Non smette di sorridermi e vorrei restare a guardarla per sempre, ma mi rassegno al fatto che non è possibile.
Devo lasciarla andare.
Devo aiutare George a rialzarsi.
Noi abbiamo la vita davanti, non possiamo rifugiarci in una illusione.
Abbiamo la vita.
Dobbiamo solo trovare la forza di affrontarla.
Allento la presa sulla pietra e Lily Potter svanisce.
La sua figura si è dissolta, ma le sue parole risuonano ancora nella mia testa.
Non sto sbagliando.
Non sono stato presuntuoso.
Ho fatto la cosa giusta.
Potrò essere felice.
Lei lo sa.
Ci crede.
Me lo promette.

Porgo la Pietra a George.

«Stringila»

È confuso.
La guarda perplesso, poi la stringe all'improvviso.
Lo vedo spalancare gli occhi dallo stupore e immobilizzarsi, poi mi allontano in silenzio.
Ha bisogno di stare solo.
Ha bisogno di capire, di accettare.
Ne hanno bisogno entrambi.
 

***

 

NdA: molti di voi ci erano già arrivati. Harry ha voluto far sì che George potesse dare l'ultimo saluto a Fred e lo ha riportato nella Foresta dove aveva lasciato cadere la Pietra della Resurrezione.
Ho immaginato che la pietra si muovesse di sua sponte verso Harry poiché lui – come dice Silente – è il legittimo padrone dei Doni, perciò lo riconosce come tale.
Se ce la faccio in settimana pubblico un breve capitolo che descrive l'incontro tra i gemelli da pov di George :)

Grazie a tutti, Bea

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


NdA: secondo capitolo in due giorni, ma vi avevo anticipato che ci sarebbe stato :)
So che avevo detto che sarebbe stato dal punto di vista di George, ma al momento della scrittura si è praticamente steso da solo.
Beh, che dire... spero che non vi deluda ^^
Enjoy it! 
Bea


Come le Fenici

 

 

CAPITOLO XII

 

 

POV Fred

 

 

Aspettavo questo momento.
Forse un po' lo temevo, ma sapevo che sarebbe arrivato.
Sapevo che non mi avrebbe lasciato andare tanto facilmente.
Il mio gemello è in piedi davanti a me e mi guarda con gli occhi sbarrati.
Io sapevo che sarebbe successo, ma lui?
Come poteva pensare di rivedermi così presto?
Non sono che un'ombra, ora.

«Fred»

Il mio nome.
Pronuncia solo il mio nome e mi fa venire voglia di urlare.
Non ha fatto male morire.
Non ho sofferto lasciando questa vita.
Quello che mi distrugge è sapere che loro continuano a soffrire ogni giorno.
Sapere che lui continua a soffrire ogni giorno.

«Sei... un fantasma?»

È confuso.
È spaventato.
Mi guarda come non ha mai fatto prima.
Ha paura di me.

«Non esattamente»

Cerco di sorridere.
Vorrei sbeffeggiarlo come al solito, ma come faccio?
Non so nemmeno io cosa sono.
Cosa dovrei fare?
Non sono che un'ombra.
Più di un fantasma e meno di un uomo.
E se adesso scappasse da me?
Cerco di non esternare la mia paura mentre lo vedo irrigidirsi.
Non si muove, non si allontana.

«Noi non volevamo diventare fantasmi»

Lo sguardo vuoto davanti a sé.
Non riesce a capacitarsi di vedermi così.
Non sono più niente.
Annuisco.

«Lo so»

So che avevamo detto che non saremo stati fantasmi.
Eravamo troppo forti per scegliere quella via.
Fred e George se ne sarebbero andati in grande stile.
Lo avevamo deciso insieme.
Quando facevamo programmi sul nostro futuro insieme.
Il nostro negozio, i nostri matrimoni, i nostri figli che avrebbero seguito le nostre orme.
Dovevamo invecchiare insieme.
Non sarei dovuto essere un'ombra indefinita.
Un'anima perduta che non sa a quale mondo appartiene.
Sarei dovuto essere al suo fianco.

«Non tornerai, vero?»

La voce incrinata, consapevole.
Ha capito che non sono più.
Sa che niente sarà più come prima.
Perché io non tornerò.
Perché non posso farlo, anche se vorrei.
Vorrei tornare per lui, perché non sopporto di vederlo spegnersi ogni giorno di più.
Vorrei tornare per lui, perché Ginny è forte e si riprenderà.
Ron si farà una famiglia e andrà avanti.
Mamma e papà ce la faranno, ma lui no.

«Non posso, lo sai. Ma tu devi andare avanti»

Dirlo ad alta voce mi distrugge.
Leggo il dolore nei suoi occhi.
Il suo viso si irrigidisce e le sopracciglia si aggrottano.
Rabbia.
Frustrazione.
Lacrime che si affacciano da quegli occhi troppo simili ai miei.

«Non doveva andare così! Non puoi lasciarmi solo!»

Inizia a urlare.
Le sue mani fremono e il viso si arrossa.
Non si rassegna.
Non l'ho mai visto perdere il controllo a questo modo.

«Perdonami»

Non odiarmi per davvero.

Non ho scelta.
Nessuno ne ha in questa situazione.
Se avessi potuto scegliere, avrei sofferto al posto suo.
Anche se avrebbe voluto dire farlo morire al posto mio.

Perché sai, George, la morte non è così terribile.

Non c'è niente che faccia male qui.
Non c'è sofferenza, se non quella che viene dalle persone che abbiamo lasciato su questo mondo.
Ma mi hanno detto che dopo qualche anno non c'è più nemmeno quella, perché anche chi ci ha pianto fino allo sfinimento finirà per lasciarci andare.

«Avevamo promesso che saremo stati sempre insieme»

Siamo stati ingenui, George.

Non si fanno promesse che non si possono mantenere.
Siamo stati incauti e lui soffre anche per questo.

Ti piacerebbe qui, George, ma non è ancora arrivato il momento di raggiungermi.

«Sono vuoto senza di te»

Abbassa la voce.
Abbassa lo sguardo.
Non mi guarda più e lo ammette piano.
Lente lacrime silenziose gli rigano il volto.

«Chi vuoi che lo noti? Sono tutti troppo impegnati a guardare il tuo orecchio mancante»

Un sorriso gli increspa le labbra.
Siamo sempre stati bravi a ridere insieme.
È più facile, quando si ride.
Alza di nuovo lo sguardo su di me e continua a sorridere scuotendo lentamente la testa.
Rassegnato.
In fondo lo sa da quando mi ha visto apparire.
Sa che non posso tornare.
Con una risata è tutto più facile, ma dentro di me so che ha ragione.
Sarà vuoto, come lo sono io.

«Abbiamo sempre mantenuto le promesse»

Si rabbuia di nuovo.
Continua a soffrire.
Non vuole lasciarmi andare.
Sembra un bambino capriccioso.
Solo.
Facevamo insieme anche i capricci, niente ci ha mai diviso.
Abbiamo riso e pianto per gli stessi motivi.
Insieme.
E ora siamo soli.

«Non ti lascerò solo. Anche se sarò da quest'altra parte io sarò con te. Manterrò la mia promessa»

Sono sicuro di poterlo fare.
Io non lo lascerò solo.
Non posso farlo.
Non lui, non mio fratello.
Non l'altra metà di me.
Sarò sempre al suo fianco, e lui deve saperlo.
Deve sentirlo.

«Ma devi andare avanti»

Ho davvero bisogno che lo faccia.
Lui ne ha bisogno.
Deve continuare a vivere e farlo per me.
Per sé stesso.
Per la nostra famiglia.
Deve continuare a vivere, e deve farlo ridendo.
Deve essere forte, perché io manterrò la mia promessa.
È difficile, lo so.
Lo leggo nel suo sguardo insicuro e spento.
Non sarà affatto facile per lui.
Ma non sarà solo.
I nostri sguardi si incrociano.
Immagine speculare gli uni degli altri.
Sorride, si sforza.
Sorride e annuisce.
Anche lui manterrà la sua promessa, perché sa che rimarrò al suo fianco.

«Addio, Forge»

Finalmente sereno.
Finalmente leggero.
Ha capito, ha accettato.
Può lasciarmi andare.

«Arrivederci, Gred»

Mi sovrappongo alla sua ombra mentre il sole la proietta su un tronco.
Gli passo affianco e gli lancio un ultimo sguardo complice prima che lasci andare la pietra.
Lo vedo sorridere prima di svanire di nuovo, e so che mi ha lasciato andare.
So che ora avrà la forza di andare avanti.
E la avrò anche io.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Come le Fenici

 

 

CAPITOLO XIII

 

 

POV Harry

 

 

Vedere Hogwarts ridotta in questo modo è l'ennesima ferita.
Il castello che un tempo si stagliava fiero contro il cielo grigio è caduto in ginocchio.
Monumento della distruzione di questa guerra che ha distrutto e mutilato ogni cosa.
Tendiamo a individuare alcuni punti fermi nella nostra vita, e Hogwarts per me era uno di quelli.
La prima vera casa che abbia mai avuto, il luogo in cui ho conosciuto l'amicizia e l'amore.
Dove ho scoperto la verità sulla mia famiglia e le sorti del mio destino.
Ho pianto, ho avuto paura, ho dimostrato coraggio all'interno di queste mura.
Ho dormito sonni tranquilli e passato notti insonni a causa di incubi terribili.
Ho trovato un rifugio, qui.
Ho trovato me stesso scoprendo il mondo a cui appartenevo.
Tendiamo a rimanere aggrappati a quei punti fermi che abbiamo individuato per non cadere.
Pensavo che Hogwarts sarebbe sempre stato lo stesso luogo accogliente che ho conosciuto sette anni fa, e vederla ora mi fa mancare il fiato.
I corridoi affollati e riempiti dalle risate degli studenti ora sono deserti e silenziosi.
La magnificenza dei dipinti e delle armature è stata distrutta da qualche maledizione oscura, e ora elmi e brandelli di tela ricoprono il pavimento.
Quando si perde qualcosa di importante si vuole restare soli con il proprio dolore.
Mi ero chiuso a Grimmauld Place quando avevo perso la voglia di andare avanti.
Quando avevo perso la speranza e non vedevo altro che sofferenza.
Avevo perso me stesso e cercavo di ritrovarmi.
Quando si perde qualcosa di importante è difficile rassegnarsi a lasciarla andare.


Le scarpe si impolverano mentre salgo le scale del castello fino alla Torre di Grifondoro.
Cosa spero di trovare lì?
L'ultima volta che ho visto la Sala Comune era distrutta come il resto, ma c'erano la gioia e l'entusiasmo della vittoria ad illuminarla.
So che adesso sarà deserta.
Vuota e silenziosa.
Fredda e abbandonata.
So che non sarà più la stessa, ma ho bisogno di rivederla.
Ho bisogno di ritrovareun'altra parte di me, e so che sarà lì.
Sono cresciuto tra quel
le poltrone rosse e stendardi dorati.
Tra una partita a scacchi e pergamene da riempire con temi troppo difficili da scrivere.
Tra una risata e qualche risposta sgarbata subito perdonata.
Sarà diverso, adesso, ma in fondo lo sono anche io.
La Signora Grassa mi guarda orgogliosa dalla cornice.

«Ben tornato»

Mi sorride e si scansa per lasciarmi passare.
Tappeti impolverati e finestre scheggiate.
Un alito di vento entra facendo muovere vecchie copie della Gazzetta del Profeta abbandonate sui tavoli.
L'ultimo numero è di qualche settimana fa.
Quello del 3 Maggio.
Quando tutto era finito e tutto era da ricostruire.
Quando si guardava verso l'alba di un nuovo giorno cercando di dimenticare gli orrori vissuti fino ad allora.
L'ultimo numero è quello, e da quel giorno nessuno è più entrato qui dentro.
Polvere.
Ancora polvere.
Solo polvere che ricopre silenziosamente tutto questo.
Che si posa leggera sulle cose, abbracciandole delicatamente.
Polvere che riempie l'aria.
Migliaia di granelli illuminati da un raggio di sole che le tende strappate lasciano passare.
La guerra è arrivata anche qui.
Polvere dentro di me, mentre mi rendo conto ancora una volta di quanto tutto sia diverso.
Polvere che attutisce i miei passi mentre salgo le scale verso il mio dormitorio.
Qui ho scartato i miei primi regali di Natale.
Qui ho pensato per la prima volta a una ragazza.
Qui ho discusso con il mio migliore amico e ci ho fatto pace.
Qui mi sono nascosto quando volevo fuggire dagli sguardi curiosi degli altri.
Tiravo le tende del baldacchino e rimanevo a guardare in silenzio la luce della luna che le illuminava.
Mi guardo intorno e mi sembra di vedere Ron che si prova il suo vestito da cerimonia per il Ballo del Ceppo.
Neville che accarezza premurosamente la sua Mimbulus Mimbletonia.
Dean che attacca il poster della sua squadra di calcio al muro.
Seamus che lo prende in giro e viene colpito da un cuscino.
Risate che hanno accompagnato la mia adolescenza facendola sembrare quasi normale.
Solo ora realizzo veramente che mi sono lasciato alle spalle tutto questo.
Avevo paura di morire, ma mi ero rassegnato al mio destino.
Avevo paura di vivere, ma ho trovato la forza di andare avanti.
Avevo paura dei cambiamenti, e allora sono tornato dove tutto è rimasto immobile.

Mi sposto per la stanza circolare lentamente.
Allungo una mano a toccare quello che è stato il mio letto per sei anni.
Il comodino in legno su cui ogni notte ho posato gli occhiali.
Il tappeto a cui una volta abbiamo dato fuoco per sbaglio provando un nuovo incantesimo.
E la vedo.
Una piccola pergamena giace nascosta, al sicuro sotto la stoffa.
Riconosco la grafia anche senza avvicinarmi.
L'ha scritta Ginny.
Che strano, possibile che sia rimasta qui dall'anno scorso?
Possibile che non mi sia accorto della sua assenza ogni volta che rileggevo le sue lettere?
Mi chino e inizio a leggerla quasi avidamente.
 

Caro Neville,
so che quanto è successo tra di noi prima di Pasqua era del tutto inaspettato.
Forse è sbagliato, forse è stato un errore nato dal fatto che entrambi abbiamo bisogno di non sentirci soli. Forse non avremmo dovuto farlo, ma non posso dire di essermene pentita.
Mi ha fatto stare bene. Tu mi hai fatto stare bene, e lo hai fatto fin da quando questo inferno è cominciato, con le tue premure e il tuo sostegno.
Ma non sarebbe dovuta andare così. Ho scoperto in te un grande amico in questi anni, e il pensiero di perderti a causa di quel bacio mi distrugge.
Ti scrivo perché non tornerò a scuola dopo le vacanze e non so quando ci rivedremo. Ricordo il tuo sguardo colpevole e smarrito quando sono scappata nel mio dormitorio, e ricordo che mi hai evitato durante tutto il viaggio di ritorno verso King's Cross. Non voglio che il nostro rapporto si rompa in questo modo.
Per favore, dimmi che non succederà.

La tua amica,
Ginny”

 

Mi accorgo che la mia mano trema solo quando sto per ripiegare la lettera.
Ero così sicuro che fosse per me.
Così sicuro che leggerla mi avrebbe scaldato il suo cuore.
La sua scrittura, le sue parole.
Il loro significato.
E il sangue mi si gela nelle vene.
Un nodo mi stringe lo stomaco e non voglio credere ai miei occhi.
Non voglio pensare che sia successo qualcosa tra Ginny e Neville.
Tra la mia ragazza e il mio amico.

Ma Ginny non era la tua ragazza in quel momento.”

Mi sembra di sentire la voce di Hermione che mi rimprovera.
È vero, non era la mia ragazza.
L'avevo lasciata per proteggerla.
Non era la mia ragazza.
Non stavamo insieme.
Era sola e aveva bisogno di conforto.
Ero solo anche io, ma non ho smesso un attimo di pensarla prima di chiudere gli occhi ogni sera.
Ero contento di vederla muoversi sulla Mappa del Malandrino.
Sapevo che era lì e che era al sicuro.
Non era la mia ragazza, ma aveva detto di amarmi.
Le avevo detto di amarla prima di dirle addio.
Non era la mia ragazza, e le sue labbra hanno cercato quelle di un altro.


Stringo la lettera convulsamente e la lascio cadere a terra.
Gli occhi appannati.
Dolore.
Delusione.
Non mi ha aspettato.

Non ha mai detto di volerlo fare.”

Di nuovo la voce di Hermione all'interno della mia testa.
La stessa voce che nelle notti passate nella tenda mi diceva di tenere duro.
La voce che mi consolava quando piangevo di nascosto.
Io pregavo che Ginny fosse al sicuro e lottavo per sopravvivere.
Lottavo per tornare da lei.
Non mi ha aspettato.
Rabbia.
Rancore.
Gelosia.
Lei era il mio punto fermo.
La luce in fondo al tunnel di disperazione che attraversavo alla cieca.
La certezza che, se fossi sopravvissuto alla guerra, avrei trovato di nuovo lei.
Quando ci accorgiamo che uno dei punti fermi della nostra vita viene a mancare vorremmo solo lasciarci andare alla deriva.
 

***
 

NdA: ok, colpo di scena inaspettato?
Si va un po' sulle situazioni sentimentali e ci saranno dei problemi anche in questo campo.
Che ne pensate?
Non odiatemi troppo per questa scelta, ma secondo me ci voleva.
(per qualsiasi cosa - spoiler, insulti, lancio di ortaggi, e via dicendo - mi trovate su http://www.facebook.com/profile.php?id=100003292181115 :D)
Bea

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Come le Fenici

 

 

CAPITOLO XIV

 

 

POV Harry
 

Cammino.
Non respiro.
Quasi non ricordo come si fa.
Il mio cuore continua a pompare il sangue e io posso sentire ogni battito contro le costole.

Cammino veloce.
Cammino senza vedere dove vado perché davanti a me continuo a vedere quella lettera.
Quel foglio di pergamena strappato, invecchiato dal tempo.
La sua scrittura.
Le sue parole.
La sua verità.

Cammino tanto per avere qualcosa da fare.

Cammino perché devo scappare.
Voglio scappare.
Sì, voglio farlo di nuovo.
Non voglio essere confuso, non voglio avere dubbi.
Non voglio avere altri problemi da affrontare e risolvere, perché i cocci da raccogliere sono ancora troppi.
Non posso aggiungerne altri, non posso fare niente.
Chi ha sbagliato?
Dove ha sbagliato?
Perché avrebbe sbagliato?

Cammino perché ho bisogno di sentire il terreno sotto i piedi prima che crolli.
I miei passi attutiti risuonano per il corridoio.
Quanto sono stato nella Torre?
I volontari hanno ricominciato a darsi da fare e qualcuno mi addita.
Qualcuno si avvicina anche per darmi una pacca sulla spalla ma non lo riconosco.
Continuo per la mia strada, un piede davanti all'altro, e da qualche parte arriverò.
Ho conosciuto la morte, ho combattuto, ho sofferto, e sono arrivato fino a qui.
Non avrei pensato che la forza che mi ha permesso di sopravvivere sarebbe stata la stessa che mi avrebbe tolto il fiato.
È possibile sentirsi mancare l'aria per questo?
È possibile cedere e perdere ogni sicurezza per un dubbio insinuato da poche righe?
Credevo che io e Ginny potessimo essere finalmente una cosa sola.
Finalmente insieme senza dover temere niente.
Lo speravo prima della fine della guerra, ma in fondo non credevo che fosse possibile.
Non credevo di sopravvivere...
L'ho sperato quando finalmente quella notte è finito tutto, poi ho avuto di nuovo paura di perderla perché sono scappato a leccarmi le ferite.
L'ho sperato quando le nostre labbra si sono incontrate qualche giorno fa, quando ho sentito la sua pelle morbida e fresca sotto le mie dita.
Mentre il suo profumo mi avvolgeva delicatamente e mi abbracciava, come fa la neve d'inverno posandosi sugli alberi.
Strano pensare alla neve in un giorno di metà Maggio in cui il sole ti colpisce con i suoi raggi caldi.
Strano pensare alla neve mentre il delicato vento primaverile sfiora i miei capelli.
Strano pensarci, eppure farlo mi sembra così naturale.
Perché in un certo senso il nostro amore è diventato questo.
È diventato come la neve.
Delicato, morbido, attento.
Si muoveva lentamente e incerto, si posava leggero su di noi.
E adesso si scioglie lentamente, di nascosto, in silenzio.
Spezzato da un segreto emerso all'improvviso, un segreto che forse è già stato dimenticato ma che dentro di me continua continua a far male.
E quello che mi fa più male è il suo silenzio.
Quante volte abbiamo parlato di noi da quel giorno?
Quante volte abbiamo cercato, l'uno nell'altra, rassicurazioni?
È possibile sentirsi così?
È giusto sentirsi traditi?

Cammino, e non so se voglio sapere la verità.
Non so se voglio sentire la sua voce confermarmi quelle parole o fingere di non sapere niente.
Cosa devo fare?
Come devo comportarmi?
Improvvisamente sembra tutto così difficile.
Credevo che sarei ripartito da lei. Con lei.
Avevo riposto tutte le mie speranze nel nostro amore.
Come posso lasciarmelo sfuggire dalle dita in questo modo?
Come posso fidarmi di lei se non riesce a essere sincera e ad ammettere uno sbaglio commesso mesi fa?
Come posso essere sicuro che si tratti davvero di uno sbaglio?

Cammino, e la testa continua ad essere piena di ronzio.
Vedo George uscire dalla Foresta con passo tranquillo e rilassato.
Deve aver appena dato addio a Fred.
Forse adesso sta meglio.
Si ferma a salutare una persona che non riconosco e mi raggiunge sorridendo.

«Grazie»

Mi batte una mano sulla spalla e vedo che i suoi occhi sono tornati brillanti come prima.
George ha appena iniziato a guarire.
 

*

 

POV Hermione

 

Sapevo che Harry aveva in mente qualcosa.
È sparito da stamattina portando con sé il Mantello dell'Invisibilità e Smaterializzandosi.
Lo sapevo e non l'ho fermato.
Potrebbe essere in pericolo, ora, e io non sarei con lui.
Nessuno di noi sarebbe con lui, perché i Weasley sono tutti raccolti intorno al tavolo della Tana adesso.
Manca solo George.
Molly ha gli occhi lucidi mentre guarda i posti vuoti dei gemelli.
Eppure vederli entrambi liberi sembra quasi normale.
O tutti o nessuno.
Per Fred e George è sempre stato così.
Dove c'era uno andava anche l'altro.

«George, caro, dove sei stato?»

La voce preoccupata di Molly mi distoglie dai miei pensieri.
George è appena entrato in cucina e ha preso posto alla sinistra di Ron.
Tutti evitano di guardarlo da quando è rimasto solo.
Nessuno vuole incrociare il suo sguardo distrutto, nessuno vuole rischiare di intromettersi nel suo dolore.
È per quel motivo che nessuno si accorge che il suo viso è disteso come non lo era da giorni.

«A salutare un amico»

Liquida la madre con un sorriso e inizia a servirsi la cena sotto lo sguardo incredulo degli altri.
Erano giorni che non partecipava a un pasto in famiglia.
Erano giorni che mangiava il minimo indispensabile per non svenire.

«Ben tornato»

Ginny gli sorride e lui strizza l'occhio nella sua direzione.
Ed è nella luce del suo sguardo che la vedo per la prima volta.
La speranza.
La voglia di andare avanti.
La forza e la determinazione.
Non so come ci sia riuscito, ma so che George è di nuovo qui.
È tornato davvero.

«Dov'è Harry?»

Perché quella domanda proprio a lui?
Perché lo chiedono a George?
Lo vedo scuotere la testa e stringersi nelle spalle.

«Ha detto di sentirsi poco bene e di non preoccuparci, ma preferiva riposare»

Ginny si irrigidisce impercettibilmente.
Non se lo aspettava, non ora.
Perché Harry non è qui?
Cosa stava facendo con George?
Incrocio di nuovo il suo sguardo e improvvisamente capisco a cosa è dovuto quel suo cambiamento.
E capisco cosa ha fatto Harry.
Lo aiutato a ricominciare a sorridere.
Non riesco a credere che ce lo abbia tenuto nascosto, ma non lo biasimo per questo.
Ha fatto la scelta giusta.
Ma perché non è tornato?
Ginny sembra solo infastidita della sua assenza, ma il suo viso non è preoccupato.
Ron si accontenta della spiegazione di George perché non ha ancora collegato tutto.
Perché Harry non è qui?

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Come le Fenici

 

 

CAPITOLO XV

 

 

Grimmauld Place, di nuovo.
Non avevo la forza di tornare alla Tana, non volevo incrociare il suo sguardo e sentirmi ferito.
Sarebbe stato falso, lo so, mi avrebbe guardato con dolcezza ma avrebbe continuato a mentirmi.
Non potrei sopportarlo, ho bisogno di capire e di reagire.
Devo fare qualcosa, ma non posso tornare da lei.
Avevo promesso a me stesso che sarei andato avanti e quelle parole abbandonate sul pavimento impolverato sono diventate l'ostacolo che mi ha fermato.
Si è fermato tutto quando le ho lette.
Pensavo che sarei ripartito con le uniche certezze che mi erano rimaste, e invece non ho più nemmeno quelle.
Sono di nuovo prigioniero tra queste mura come prima che decidessi di rialzarmi.
Prigioniero come lo è stato Sirius prima di me, perché anche volendo non posso andare da nessuna parte.
È l'unica casa che ho, l'unico posto davvero mio e in cui non corro rischi.
E non parlo di rischi per la mia salute fisica o la mia vita, io ho paura che vengano feriti i miei sentimenti. Di nuovo.
Cosa mi è rimasto? Niente è più come prima e niente lo sarà più.
Per la prima volta ho un futuro davanti a me e non so come gestirlo.
Non c'è più niente che mi ricolleghi al mio passato, è come se non fossi mai esistito.
Ero il Prescelto e avevo un ruolo in questo mondo, ora sono libero da ogni responsabilità e mi sento annullato.
Per la prima sono davvero Harry, solo Harry.
Solo che non so come si fa ad esserlo.
Ho desiderato tutto questo per anni, ho desiderato la pace e di essere una persona normale, ma ora non so come comportarmi.
Chi potrà aiutarmi, adesso?
Avevo sperato di poter contare su Ginny e sulla sua famiglia elemosinando il loro affetto.
È un pensiero egoista, lo so, ma loro sono i genitori e l'amore che non ho mai avuto.
Eppure adesso è difficile, non posso tornare da loro, non posso affrontare lei perché non sono sicuro di quello che potrà succedere. Perché in fondo ho paura della verità.

Probabilmente George è appena arrivato alla Tana e gli altri si staranno chiedendo dove mi trovo e perché non sono con lui, ma ho recitato bene la mia parte e ho finto che andasse tutto bene, così nessuno si insospettirà delle spiegazioni di George.
È stato tutto studiato alla perfezione.
Sono diventato molto bravo a mantenere i segreti, molto bravo a persuadere gli altri della mia serenità.
Bravo a ingannare chi mi vuole bene.
Bravo a rimanere solo ogni volta.
Mi sembra di essere tornato bambino quando venivo isolato dai miei compagni di scuola perché ero “lo strano Potter”.
Dudley e i suoi amici non facevano altro che ridere di me in quelle occasioni.
Non avrei mai creduto che avrei ripensato a quel periodo.
Non avrei mai creduto di sentirmi di nuovo come allora.
Quando sono andato a Hogwarts ho cominciato una nuova vita; ero amato e avevo degli amici, ero libero di essere me stesso.
Lo strano Potter non veniva più estromesso dai giochi degli altri bambini, ma veniva stimato e coccolato.
Lo strano Potter era diventato il Prescelto e non poteva tirarsi indietro da quel ruolo.
Lo strano Potter doveva difendersi da accuse ingiuste, ma per la prima aveva al suo fianco degli amici che lo appoggiassero.
Lo strano Potter non era più Harry. Era nel suo mondo ma non è mai stato davvero se stesso.
Incredibile come improvvisamente la concezione che si ha della propria vita venga ribaltata da un ragionamento elementare.
Possibile che in diciassette anni non mi sia mai fermato a pensarci?
Non sono mai stato un ragazzo normale; non lo ero quando vivevo con i miei zii e neppure quando ho conosciuta la mia vera natura. E ora che potrei esserlo non so come si fa.
Rivivere il passato per affrontare il futuro.
Forse è questo che dovrei fare.
Tornare indietro e ricominciare.
Sarebbe terribile, ma allo stesso tempo fantastico.
Un po' come quando sono tornato a Hogwarts nella mia Sala Comune.
Mi è crollato il mondo addosso, ma prima che scoprissi quella pergamena ero felice.
Era il mio posto, era parte della mia vita e della mia infanzia.
Hogwarts, la Tana, Grimmauld Place. Godric's Hollow.
C'è un po' di me in ognuno di questi posti, e forse c'è anche un po' di Harry.
Un po' del ragazzo semplice che per tutti questi anni ha dovuto essere il Prescelto, qualcosa di più di quello che avrebbe dovuto essere.
Forse.
Forse in fondo c'è un po' di me anche a Privet Drive, tra ricordi dolorosi e una vita quasi normale.
Forse dovrei tornare e scoprirlo.
Magari rivedrei anche i miei zii e mio cugino, chissà che faccia farebbero.
Forse potrebbe addirittura essere divertente vedere le loro reazioni e riuscirei a rilassarmi per un po'.
Forse è una buona idea, in fondo cosa ho da perdere oltre a quello che non ho più?

 

*

 

Non è cambiato niente.
Qui non è arrivata la guerra, forse.
Le stesse villette a schiera, gli stessi giardini rettangolari e simmetrici.
Lo stesso silenzio e la stessa calma piatta di sempre.
Non mi piacevano queste strade, da bambino. Avevo sempre paura di incontrare Dudley e i suoi amici.
Preferivo stare nascosto nel mio sottoscala, almeno lì ero al sicuro.
Al sicuro e in trappola.
Non ho fatto altro per tutta la vita, ripensandoci.
Sono stato intrappolato per la mia sicurezza, anche se non me ne sono mai reso conto.
A Hogwarts potevo essere tenuto sotto controllo.
Avevo il mio protettore personale quando Silente non c'era.
L'uomo che avrebbe voluto odiarmi si è visto costretto a proteggermi per amore di una donna che non aveva mai avuto.
Piton è stato l'unico che sia stato coerente con me.
Mi detestava cordialmente e non ne ha mai fatto mistero.
Sembra paradossale se si pensa che alla fine è stato lui a permettermi di sopravvivere, eppure è rimasto coerente fino alla fine.
Aveva giurato di proteggermi e lo ha fatto, senza mai illudermi.
Silente non mi ha mai detto tutta la verità.
Ha aspettato che io crescessi per farlo, ha lasciato che vivessi per affezionarmi alla vita, prima di farmi sapere che dovevo morire.
Mi ha lasciato dieci anni in una famiglia che non mi amava, senza nessuna spiegazione.
Senza nessuna speranza.
Diceva di essersi affezionato a me, ma non ha fatto altro che tenermi all'oscuro di molte – troppe – cose.
Diceva di volermi bene, eppure quella notte mi ha lasciato davanti la porta di questa cosa, avvolto in una coperta, e accompagnato da una lettera che probabilmente era più grande di me.
Ha camminato su questa stessa strada per permettermi di vivere, sedici anni fa
Ha camminato su questo suolo per portarmi via e avvicinarmi alla morte appena un anno e mezzo fa.

 

Numero 4.
La porta è sempre uguale, come tutto qua intorno.
Mi sembra una vita che non la vedo, eppure non è neppure un anno.
La macchina di zio Vernon è parcheggiata al solito posto nel vialetto.
Devono averli fatti tornare da poco.
Chissà che scusa hanno inventato con i vicini.
La signora Figg deve essersi divertita molto ad ascoltare le loro giustifcazioni senza senso per tutti questi anni.
Non mi ha mai detto niente nemmeno lei; un'altra pedina di Silente.
Era una Maganò, rischiava anche lei la sua vita stando qui tra i Babbani senza potersi difendere.
Se i Mangiamorte l'avessero trovata l'avrebbero sicuramente uccisa. Non meritava di vivere se portava disonore al sangue magico.
Quanto disgusto, questa guerra.
Quante ingiustizie.
Quanta follia.


Allungo un braccio verso il campanello, e mi sembra il gesto più difficile che abbia fatto fino ad ora.
Più di arrivare fin qui con i mezzi Babbani per evitare la Materializzazione
Più di cercare di non farmi riconoscere dalla gente per strada.
Mi avevano detto che anche l'ultima volta era stato così.
Maghi e streghe ignorarono lo Statuto di Segretezza per andare in giro a festeggiare.

Sono passate settimane dalla fine della battaglia.
Settimane trascorse nell'intimità delle proprie famiglie a piangere i caduti.
Solo adesso hanno voglia di festeggiare.
Ora che l'ultimo saluto è stato dato.
Ora che ricominciano a vivere lentamente.
Gli altri, non io.
Io sono troppo fuori posto per provarci davvero.

 

Sento dei passi affrettati avvicinarsi alla porta, poi intravedo la sagoma di zia Petunia avvicinarsi attraverso il vetro opaco.
I cardini cigolano e lei è di fronte a me.
Gli occhi sgranati, la bocca aperta in un'espressione sorpresa.
Non parla, non si muove.
Tiene gli occhi fissi nei miei ma è come se guardasse il vuoto.
Decisamente non si aspettava di vedermi.
Si riprende in un istante e guarda la strada oltre la mia spalla per sincerarsi che nessuno stia osservando.

«Cosa ci fai qui?»

Un sussurro brusco.
Denti stretti e sguardo di rimprovero.
Per fortuna l'attimo di sconcerto è durato poco ed è tornata ad aggredirmi come al solito.
Vorrei avere una risposta pronta, vorrei dirle di farmi entrare e farla finita, ma non ci riesco.
Non so dirle perché sono tornato.
Volevo ritrovare me stesso, è vero, ma come sarebbe stato possibile?
La vita che mi sono lasciato alle spalle, la vita che ho odiato, la vita che non mi apparteneva, non posso ritrovarla chiusa da qualche parte ad aspettarmi.
Non posso trovare me stesso in una scatola.

***

 

NdA: mi scuso per il terribile ritardo nell'aggiornamento, ma ultimamente ho avuto davvero poco tempo per scrivere e per mettere in ordine le idee. Spero di riuscire a riprendere un ritmo normale e accettabile a partire da oggi, intanto vi lascio con questo capitolo e vi ringrazio per le recensioni :)

A presto, Bea

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