Dolce e delicata come il miele di irene862 (/viewuser.php?uid=101953)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo ***
Capitolo 2: *** II Capitolo ***
Capitolo 3: *** IIIcapitolo ***
Capitolo 4: *** IV Capitolo ***
Capitolo 5: *** V e VI capitolo ***
Capitolo 6: *** VII Capitolo ***
Capitolo 7: *** VIII Capitolo ***
Capitolo 8: *** IX Capitolo ***
Capitolo 9: *** X Capitolo ***
Capitolo 10: *** XI Capitolo ***
Capitolo 11: *** XII Capitolo ***
Capitolo 12: *** XIII Capitolo ***
Capitolo 13: *** XIV capitolo ***
Capitolo 14: *** XV Capitolo ***
Capitolo 15: *** XVI Capitolo ***
Capitolo 16: *** XVII Capitolo ***
Capitolo 17: *** XVIII capitolo ***
Capitolo 18: *** XIX Capitolo ***
Capitolo 19: *** XX Capitolo ***
Capitolo 20: *** XXI Capitolo ***
Capitolo 21: *** Red Line ***
Capitolo 22: *** XXII CAPITOLO ***
Capitolo 23: *** XXIII Capitolo ***
Capitolo 24: *** XXIV Capitolo ***
Capitolo 25: *** XXV Capitolo ***
Capitolo 26: *** XXVI Capitolo ***
Capitolo 27: *** XXVII Capitolo - prima parte ***
Capitolo 28: *** XXVII capitolo - seconda parte ***
Capitolo 29: *** XXVIII Capitolo - prima parte ***
Capitolo 30: *** XXVIII Capitolo - seconda parte ***
Capitolo 31: *** XXIX Capitolo ***
Capitolo 32: *** XXX Capitolo ***
Capitolo 33: *** XXXI Capitolo ***
Capitolo 34: *** XXXII Capitolo (prima parte) ***
Capitolo 35: *** XXXII Capitolo (seconda parte) ***
Capitolo 36: *** XXXIII Capitolo ***
Capitolo 37: *** XXXIV Capitolo ***
Capitolo 38: *** XXXV Capitolo ***
Capitolo 39: *** XXXVI Capitolo ***
Capitolo 40: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** I Capitolo ***
Cap. 1
Dolce e delicata come il miele
I Capitolo
Refoli di
nebbia velano l’orizzonte mentre una cortina di spettrale pallore avvolge ogni
cosa, persino la luce. Le fronde degli alberi frusciano leggere riproducendo
quasi esattamente il suono di dolci sospiri.
E’ notte
inoltrata, fa freddo perché ottobre ormai è alle porte, mentre passeggio fuori in
giardino.
Sollevo
lo sguardo da terra e rimango incantata. Il cielo è una distesa di blu chiazzato
di piccole lucciole dorate. La terra è scura ma l’erba fresca, di un verde
foresta, assomiglia ad un folto e morbido tappeto. L’aria, satura di magia ed
elettricità, tende le sue fragili braccia incorporee e stringe a se ogni cosa.
La notte
stellata di Vincent Van Gogh.
Sembra d’osservare
una distesa di colori che una mano sapiente ha miscelato insieme. Il verde scuro
dei prati, il delicato chiarore delle stelle, il blu della notte si mischiano assieme.
Poi, d’improvviso,
calde braccia mi avvolgono stretta ed il suo respiro caldo mi arriva come un
soffio sul collo. Sorrido e mi stringo a lui. Il profumo della sua pelle mi circonda
subito e completamente.
“Hey ” sussurra al mio orecchio
“Ciao”
risposi sorridendo
“Cosa fai?”
domanda a bassa voce
“Niente
in realtà … stavo solo godendomi la luna”
La sua
sola presenza ha da sempre il potere di far perdere il filo ai miei pensieri. Lui
è questo. Serenità e dolcezza. Desiderio e passione. Ho compreso l’amore grazie
a lui ed ora non posso farne a meno.
“Sai, proprio ieri pensavo a come è iniziato
tutto“ sussurro voltandomi verso di lui
“Parli di
noi?”
Annuisco
per timore di rompere questa strana e calda elettricità che ci avvolge.
Il vento
spira bramoso, come a voler ascoltare le nostre parole per poi portarle
lontano. Mi frusta il viso. E’ freddo ma non fastidioso. Ho sempre amato il
vento, le sue carezze, il suo alito fresco e vagabondo.
Siamo uno
di fronte all’altro e le sue braccia mi avvolgono di nuovo, più stretta come a
volermi proteggere dalle carezze fredde del vento. Toccarmi, accarezzarmi,
sfiorarmi sembra quasi un bisogno per lui. Deve farlo. E’ strano ma avermi
vicino sembra rasserenarlo, in qualche modo. Siamo indispensabili l’uno per
l’altro.
“Hai
freddo? Vuoi rientrare?”
Scuoto la
testa in un diniego. Ormai sono abituata a questo clima, più freddo di quello
mediterraneo in Italia.
“Ripensandoci ora, mi viene da ridere. Come
eravamo sciocchi. Tutto quello che abbiamo passato, tutte le persone incontrate
e conosciute, tutti i sorrisi e le lacrime. Tutti i malintesi, i tuoi dispetti
e quelle assurde discussioni”
Le sue
dita mi accarezzano amorevoli i capelli sfiorandomi delicate il viso
“Il
passato mi abbia aiutato ad apprezzare il presente. A non dare mai niente per
scontato.”
Con la
punta del naso comincia ad accarezzarmi la guancia, l’arco della mascella per
poi scendere sul collo. Le sue dita s’intrecciano e accarezzano i miei capelli,
ormai lunghi fino alla vita.
“E a che
conclusione sei arrivata?” domanda senza distogliere lo sguardo dal mio, né
smettendo di accarezzarmi
“Al fatto
che ti amo e che non potrei vivere senza di te. Ora lo so” rispondo sospirando
felice
Le sue calde labbra sfiorano delicate le mie, fredde.
Un bacio. Un tocco che ha il potere di accendermi. Sempre.
Sorrido riflettendo
sul fatto che non avrei mai pensato di incontrarlo, di innamorarmi, di viverlo.
Eppure ora sono qui avvinghiata a lui, col suo sguardo incatenato al mio e con
la precisa consapevolezza di non voler essere altrove.
Ora lo so, il passato è passato.
Ora vivo il presente senza sprecare tempo ed energie angosciandomi per
il futuro.
Il mio futuro è lui. Siamo noi, insieme.
All’inizio se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto.
Io e lei. Insieme.
Innamorati e felici. No, decisamente non ci avrei creduto.
Ma tutte le storie hanno un inizio e … questa è la nostra!
***
“Buuuhhh! “
Mi portai una mano sul cuore
spaventata.
Il solito vecchio scherzo
idiota. Si divertiva da sempre a farmi spaventare. Lo trovava uno spassoso
passatempo.
“Buon pomeriggio, Soph” mi salutò mio fratello
con sorrisino beffardo sulla faccia
“John, ti detesto quando fai
così!” singhiozzai in risposta riprendendomi dallo spavento.
“Scusa ma non ho potuto
evitarlo. Eri così concentrata che non ho resistito”
Era completamente a suo agio e
per nulla preoccupato dello stato in cui versavo dopo la sua idiozia.
“E’ sempre uno spasso farti
spaventare!” aggiunse
“Non vedo dove sia il divertimento, John! Prima o poi morirò di
infarto e la colpa sarà solo tua!” risposi piccata e senza degnarlo
ulteriormente della mia attenzione, tornai al mio disegno mentre lui entrava in
casa sghignazzando.
Mio fratello, John.
Il tipico ragazzo sicuro di sé,
allegro, divertente, belloccio ma estremamente infantile. Si divertiva così pur
essendo alla soglia dei trent’anni. Corti capelli castano, grandi occhi azzurri
e un sorriso seducente, di cui si serviva per affascinare ignare donzelle.
Chissà
quando raggiungerà la maturità.
Qualche ora dopo, guidata da un
profumino invitante rientrai in casa. In cucina trovai mia madre intenta a
preparare uno dei suoi speciali manicaretti. Mia madre, Annalisa, o Lisa come
la chiamano tutti, è un asso ai fornelli.
Fisicamente piuttosto minuta,
snella, capelli scuri che porta perennemente cortissimi e con occhi azzurro
cielo. Un piccolo concentrato di energia e dolcezza. Il giardinaggio e la cucina sono la sua
passione. Estremamente aggraziata, con un carattere molto solare e socievole,
esattamente come John.
Io, al contrario, amo la
solitudine, sono timida e faccio fatica a socializzare. Ho pochi amici, Ilaria e
Luca sono i migliori e più fidati.
Mio padre è morto quando ero
molto piccola e mia madre ha cresciuto me e mio fratello da sola. Dicono che
somiglio moltissimo a lui, a Paul, mio padre. Non solo a livello fisico ma
soprattutto caratterialmente. L’amore per il disegno e la riservatezza credo di
averli ereditati da lui.
Adoro passare il mio tempo in
giardino o in camera mia a disegnare ed, ora che ho appena concluso gli studi
universitari, ho tutto il tempo che voglio per dedicarmi ai miei hobby
preferiti. Almeno fino alla fine dell’estate poi dovrò cercare lavoro.
Sono Sophie ho 24 anni, lunghi capelli
bruni e occhi chiari. Ascolto moltissima musica, amo leggere e andare al
cinema. I miei film preferiti? Le commedie, naturalmente.
E come in ogni commedia che si
rispetti c’è sempre il protagonista maschile. Il mio lui? Gerard Butler e se vi
state chiedendo cosa ci fa il bellissimo e sexy attore hollywoodiano nella mia
piccola vita di provincia… beh, me lo sto chiedendo tutt’ora anche io!!
Ma bando alle ciance, io sono
Sophie e questa è la mia storia.
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Capitolo 2 *** II Capitolo ***
Cap. 2
II
Capitolo
“Soph, abbiamo una sorpresa per te! Farai un
viaggio insieme alla mamma e passerai delle bellissime vacanze in Scozia. Sei
contenta?” annunciò John tutto d’un fiato e con uno strano entusiasmo nella
voce
“Cosa?” replicai spalancando la
bocca scioccata.
Dovevo partire? Vacanze? Scozia? Ma che diavolo
andava blaterando mio fratello?
“Il fatto è questo Soph. Ti
ricordi la mia cara amica Margaret?” domandò mia madre
Perplessa mi sedetti sul divano,
annuendo solamente.
Margaret, quella signora che vive in Scozia e vecchissima amica di mia
madre?
“Beh, vedi ha da poco perso il
marito e mi ha chiesto se potevo andare a trovarla. Lei soffre da sempre di
solitudine e quest’ultima batosta non le ci voleva proprio. Amava moltissimo
suo marito. Io ne ho parlato con John… e … ehm … ho accettato. Glielo devo,
Soph. Lei e la sua famiglia ci furono molto vicini quando morì papà.“
“Va bene mamma. Capisco e sono d’accordo
con te ma cosa c’entro io in tutto questo?”
“Beh, mi piacerebbe che mi accompagnassi
tesoro. Hai appena finito di studiare perciò …”
Non la lasciai finire e la
interruppi. Sapevo cosa stava per dire.
Io non volevo partire. Non ora.
Volevo organizzare qualcosa con i miei migliori amici e andare in vacanza con
loro. Cercai di spiegarglielo.
“Il punto è questo Soph …” si
intromise John “Ti potrai rilassare e riposare quanto vuoi. La Scozia è un
paese bellissimo, con luoghi incredibili. E poi, se non ricordo male, la casa
della signora Butler è enorme. E soprattutto farai stare tranquilli me e la
mamma. Lo sai che ci preoccupiamo per te.” continuò imperterrito.
Pezzo di … subdolo manipolatore di giovani ed
innocenti coscienze!
“Si, lo so. Mah..” cominciai io
“Tesoro, se non vuoi venire non
importa. Dirò a Margaret che adesso non posso proprio andare a trovarla e…”
disse mia madre con voce triste
“Oh, Soph! Non vorrai farle una
cosa del genere, vero?“ mi provocò nuovamente John fissandomi con sguardo
indignato.
“Merda! E va bene … verrò in
Scozia” risposi arrendendomi definitivamente.
Preoccuparsi per me… Tsz, che faccia tosta! Era
sempre la stessa storia. Entrambi usavano la stessa tattica quando volevano che
facessi qualcosa, fin da bambina. Si appellavano alla mia coscienza, mia madre
con fare remissivo e mio fratello le dava manforte puntando sul senso di colpa.
Mi intortavano per bene e riuscivano ad ottenere quello che volevano. Dannata
coscienza!!!
“Oh, grazie tesoro. Vedrai sarà
bellissimo” sorrise mia madre
“Già” borbottai cupa
Poco dopo mi alzai dal divano
dirigendomi in camera mia. Ero troppo stanca per cenare. Mi sarei sdraiata sul
letto e con l’mp3 nelle orecchie mi sarei addormentata. Diedi la buonanotte ad
entrambi e salì le scale.
Continuavo a pensarci. Misi il
pigiama e mi infilai sotto le coperte. Ero stanchissima e sicuramente non avrei
tardato ad addormentarmi. Il pensiero che da lì a qualche giorno sarei partita
per la Scozia continuava a frullarmi in testa. E proprio con quel pensiero mi
abbandonai alle dolci e calde braccia di morfeo.
Note autrice:
Ho “accorciato” l’età di Gerard
Butler, nella realtà ha 46 anni mentre nella storia ne avrà solo 30.
(Maschietto fortunato!!!!)
Le notizie disponibili in rete
sulla vita privata del nostro attore sono relativamente poche, così mi sono presa
la libertà di inventare spezzoni di vita, momenti e particolari caratteristiche
a livello fisico o caratteriali su di lui e la sua famiglia. (Spero non me ne
vogliate).
Noterete delle frasi o delle singole
parole in corsivo… beh sono i pensieri dei protagonisti! J
Fatemi sapere cosa ne pensate…
Iry
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Capitolo 3 *** IIIcapitolo ***
Cap. 3
III
Capitolo
Il giorno della partenza arrivò.
Salutammo entrambe John e ci dirigemmo in aeroporto. Un’ora
dopo, cullata dal ronzio del motore cominciai a pensare al nostro arrivo e alle
relative conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
La mamma e Margaret
erano amiche di lunga data. Si erano incontrate grazie a papà e ad Edward, il
marito di Margaret, che erano amici d’infanzia. Mio padre, infatti, era nato in
Scozia e viveva a pochi isolati dalla casa del signor Butler. Conobbe mia madre,
di origini italiane, durante una vacanza studio e si piacquero all’istante. Lisa
tornò in Scozia, durante le vacanze estive, per i successivi sei anni e mio
padre quell’anno le chiese di sposarlo.
Insieme si trasferirono
a Glasgow, cominciarono ad uscire assieme ad Edward e Margaret. Tra i quattro
nacque una profonda amicizia che si rafforzò con la nascita dei gemelli, Philip
e Paul, dei coniugi Butler e successivamente con la nascita di John, mio
fratello. Lo stesso anno nacque anche Gerard, ultimo figlio della coppia di
amici.
Nonostante tutto però,
mia madre sentiva molto la mancanza delle sue origini, dell’Italia e della sua
famiglia. Così, per amor suo, mio padre decise di trasferirsi in Italia quando
John aveva solo tre anni. Qualche anno dopo nacqui io. Poi, inaspettatamente, Mio
padre si ammalò e non poté godere a lungo di quell’armonia. Aveva problemi di
cuore e, colto da infarto, nonostante l’arrivo tempestivo dei soccorsi morì prima
di arrivare in ospedale. Mia madre ne fu distrutta, il dolore e la sua assenza
la segnarono profondamente e fu solo grazie alla presenza mia e di John, che continuò
a vivere.
Aprì gli occhi e puntai lo sguardo su mia madre, seduta
accanto a me. Solo in quel momento compresi, più che mai, la malinconia che
aleggiava, da qualche giorno, su di lei. Tutta questa situazione aveva
riportato a galla ricordi e sensazioni molto dolorosi per lei. John prima di
partire mi confidò che quando papà morì, entrambi i coniugi Butler ci furono
molto vicino sia a livello economico sia dal punto di vista psicologico e che questo
era solo un modo per ricambiare l’aiuto ricevuto.
Mi persi nuovamente tra pensieri e riflessioni così non mi
accorsi neppure che eravamo in dirittura d’arrivo; fu la voce del comandante,
annunciando l’imminente atterraggio a Glasgow, a risvegliarmi del tutto.
Ritirammo i bagagli e salendo su un taxi, mia madre diede
istruzioni per casa Butler, in un impeccabile inglese. A differenza di mia
madre, io non avevo la stessa scioltezza con la lingua, quindi lasciai a lei il
compito di fare conversazione con l’autista. Eravamo entrambe piuttosto stanche
e mentre il taxi sfrecciava fra le trafficate strade mi guardavo attorno
affascinata.
All’improvviso, seguendo un sentiero piuttosto stretto, un
alto e nero cancello apparve davanti alla nostra auto che, lentamente, si aprì per
lasciarci passare.
A causa del buio riuscì a cogliere molto poco della
costruzione che ci avrebbe ospitato. Ma in vita mia non avevo visto una villa
così grande e maestosa. Bussammo al
portone e pochi minuti dopo una donna, fisicamente molto simile alla mamma,
venne ad aprirci.
Eravamo arrivate a destinazione finalmente.
Note autrice:
Eccovi il terzo capitolo!. Pur essendo introduttivo e
parecchio esplicativo, spero non lo troviate noioso. Era fondamentale, ai fini
della storia, spiegare e chiarire fatti accaduti nel passato. Come annunciato,
ho cominciato ad apportare “modifiche” alla vita del nostro Gerard… cominciando
dai suoi fratelli-gemelli. Ho pensato che inserirli come gemelli avrebbe
alleggerito la spiegazione e facilitato i loro interventi durante il corso
della storia. Al prossimo capitolo!
Iry
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Capitolo 4 *** IV Capitolo ***
Cap. 4
IV
Capitolo
“Dio, che giornata orribile!
Meeting di tre ore con quel rompicoglioni del produttore esecutivo. Sono
esausto!”
Ero rientrato da poco nel mio
piccolo ufficio. Un rifugio per quando non dovevo partecipare a stupide
riunioni organizzative.
“Non dovresti parlare così
Gerard!” mi rabbonì Susy, la mia assistente personale entrata subito dopo di me
“Beh, l’ho detto con tutto il
rispetto, Susy” un ghigno ironico mi aleggiava sul viso
“Comunque hai ragione, non
dovrei“ ammisi annuendo “Cosa farei senza di te!” la presi in giro
“Ti ritroveresti ad affondare
nella cacca fin sopra i capelli” ammise candidamente con un sorriso
“Ma che boccuccia di rose!” esclamai
allegramente, accomodandomi sulla poltrona in pelle nera
“Beh, con tutto il rispetto…”
continuò lei sorridendo
Annuì con una luce divertita
negli occhi. “Quindi prossimo passo, mia inflessibile assistente?” chiesi
“Dovresti tornare a casa,
Gerard” tornò di colpo seria
“Susy,
ne abbiamo già parlato. E la mia presenza è…”
“La tua
presenza, qui, non è necessaria Gerard mentre a casa lo è e tu lo sai!” mi
interruppe guardandomi fisso
Sbuffai
sonoramente.
Abbassai
lo sguardo e cominciai a massaggiarmi le tempie con le dite. Sospirai e
allungando le gambe sotto la piccola scrivania, lasciai cadere la testa
all’indietro.
Tornare a casa… E se
anche fossi tornato? Le cose non sarebbero cambiate. Volevo veramente far finta
che non fosse accaduto nulla? Avrei resistito a mentire non solo agli altri ma
anche a me stesso, giorno dopo giorno?
“Posso
solo immaginare come ti senti. Ma buttarti a capofitto nel lavoro non risolverà
le cose, credimi” mi disse allungando una mano in cerca della mia.
Sapeva
leggermi in viso qualsiasi cosa. Ci conoscevano da una vita. Eravamo quasi come
fratello e sorella. Ci capivano senza parlare, solo con uno sguardo.
“Beh se
non ricordo male è esattamente quello che hai fatto tu, un anno fa, quando
quello stronzo del tuo ex ti ha mollato e non penso…” le risposi sollevando un
sopracciglio
Ma lei m’interruppe
con un gesto della mano e mi guardò con occhi severi
“E’
esattamente per quello che te lo sto dicendo! Ci sono passata, Gerard, e so
cosa vuol dire cercare di dimenticare, di nascondere, di sembrare forte, di non
pensarci, di far finta di nulla. So cosa vuol dire fingere di stare bene quando
in realtà l’unica cosa che vorresti fare è gridare … e credimi non funziona”
“Ho superato
la cosa solo quando ho cominciato ad affrontarla, dopo il consiglio di un buon amico”
aggiunse poco dopo accarezzandomi una guancia
Alzai la
testa e la fissai. I suoi occhi erano seri, il suo sguardo intenso.
“L’ho
fatto per te, Susy”
“Lo so”
annuì lei “Ed è per questo che ora ti dico tutto questo. Mi sei stato vicino
quando ne avevo bisogno come hai sempre fatto ed io ora faccio la stessa cosa
per te!”
“Andiamo
Susy, lo sai benissimo. Non sei solo la mia assistente, sei la mia migliore
amica, la mia confidente, il mio faro nella notte” le confidai scherzosamente
“Non
buttarla sul galante cercando di distrarmi, mio caro” ribatté lei sorridendo
“Bah,
valle a capire le donne… ” sbuffai fintamente offeso
Volevo
cercare di sdrammatizzare la situazione, di cambiare discorso. Lei però non
sorrideva, mi fissava seria. Dopo qualche minuto di silenzio mi alzai e dando
le spalle a Susy volsi lo sguardo alla finestra e mi ci appoggiai con una mano.
“Come
sempre hai ragione, dolcezza”
“Organizzerò tutto oggi stesso in modo che tu
possa partire domani o al massimo fra due giorni.”
“Grazie”
risposi voltandomi verso di lei
“Ti
voglio bene, Gerard. E ti sono vicina, qualsiasi cosa tu abbia bisogno.
Sempre.”
“Lo so.
Ti voglio bene anche io” girai intorno alla scrivania e avvicinandomi
l’abbracciai con forza.
Lei
rispose con slancio e appena ci staccammo si asciugò una lacrima con le dita.
“Ora
vado, prima di diventare una fontana umana” rivelò sorridendo teneramente
Rimasto
solo, cominciai a guardare intorno a me senza però vedere nulla. Avevo gli
occhi colmi di lacrime e la vista era sfocata.
Mio padre se n’è andato. E’ morto.
Non
riuscivo ancora a crederci. Semplicemente non avevo mai pensato che se ne
sarebbe andato. Così di punto in bianco. In silenzio e in punta di piedi.
Le
parole di mia madre ancora mi risuonavano in testa. Papà non c’è più. E poi silenzio.
Sarei tornato a casa.
Ormai avevo deciso.
Raccolsi
le mie poche cose e uscì dal minuscolo ufficio. Con lo sguardo cercai Susy e la
vidi intenta a parlare al telefono. I nostri sguardi s’incontrarono, le avrei
telefonato più tardi per concordare orari ed altro. La salutai con la mano e
con poche falcate raggiunsi l’ascensore. Diretto verso il mio albergo. Dovevo
sistemare alcune cose.
La mia mente era già in volo verso casa. La
mia amata Scozia.
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Capitolo 5 *** V e VI capitolo ***
Cap. 5 e Cap. 6
V capitolo
“Benvenute, mie care. Benvenute
in Scozia” annunciò sorridendo. La sua voce era bassa ma chiara.
Abbracciò la mamma salutandola
con calore, per poi rivolgere la sua attenzione su di me.
“Buona sera. Tu devi essere la
piccola Sophie” cominciò a dire per poi stringermi la mano
“Buonasera sig.ra Butler, è un
piacere conoscerla.” risposi un poco a disagio
“Chiamami Margaret, cara.
Signora Butler mi fa sentire più vecchia di quella che sono. Tua madre è come
una sorella e mi ha parlato molto di te, perciò è come se ti conoscessi fin da
piccola” replicò lei.
“Ma prego accomodatevi. Dovete
essere esauste a causa del viaggio” riprese, facendoci strada verso il
soggiorno.
“Come sono contenta che tua sia
qui, Lisa.” cominciò a dire Margaret, una volta entrate in salotto e
spogliateci delle giacche.
Eravamo comodamente sedute su
poltroncine di velluto verde.
“Questa
casa è diventata
eccessivamente grande da quando, parecchi anni fa, prima Phil e Paul
poi Gerard
sono andati a vivere per conto loro. Vengono a trovarmi raramente,
purtroppo. Gerard
viene un po’ più spesso” annunciò orgogliosa
”Non vedevo l’ora che arrivaste” aggiunse
poi sorridendo
“Dobbiamo
ringraziarti per l’ospitalità Maggie” cominciò mia madre
“Oh, non
pensarci neppure. Sono io a dover ringraziare voi per essere qui“ la interruppe Margaret sorridendo
“Come ho
detto prima siete entrambe le benvenute. Anzi più che benvenute. Non voglio
assolutamente che vi sentiate a disagio durante il vostro soggiorno qui. Voi
non siete ospiti, chiaro? Siete parte della famiglia. Quindi sentitevi libere
di fare tutto quello che vi passa per la testa come meglio vi aggrada” continuò
Margaret alternando lo sguardo da me alla mamma.
“Ma non
vorremmo disturbare, signora But… Margaret” mi corressi subito
“Nessun
disturbo, cara. Qui siete a casa vostra. Comunque sarete stanche e non voglio
costringervi ad ascoltare ancora le mie chiacchiere” dichiarò alzandosi.
Uscimmo
dal soggiorno e la seguimmo attraverso un lungo corridoio.
“Le
stanze da letto sono tutte al piano di sopra. Le vostre camere sono entrambe
dotate di un piccolo bagno personale” chiarì subito, cominciando a salire l’imponente
scala diretta al piano superiore.
“Oh,
Maggie. Non dovevi disturbarti tanto. Io e Soph potevamo benissimo dormire
nella stessa stanza. Non siamo abituate a tutto questo, tu ci vizi.” replicò
mia madre allegramente.
“Beh,
meglio così allora!” ribatté altrettanto allegra Margaret.
Eravamo
arrivate alla fine della scala e davanti a noi vi era un buio e stretto
corridoio.
“Sophie,
tua madre ti ha detto che qui da noi l’ospitalità è molto sentita?” mi domandò voltandosi
per azionare l’interruttore che illuminava il corridoio.
“No, in
effetti no” risposi accompagnando le mie parole con un diniego del capo.
“In
realtà Maggie, Soph sa pochissimo della Scozia e dei suoi luoghi meravigliosi”
chiarì mia madre un poco triste
“Beh,
preparati allora ad essere incantata da questi luoghi signorina! Dalla sua
storia, dalle sue leggende … e dai suoi fantasmi! “
Avvicinatasi ad una porta, l’aprì, accese la
luce e mi invitò ad entrare.
“Questa
sarà la tua camera Sophie. Spero che ti piaccia”
“Andrà
benissimo” risposi sorridendo
Diedi ad
entrambe un bacio e augurando loro una buona notte, richiudendo la porta dietro
di me.
Sentì
aprirsi la porta della stanza accanto e capì che quella sarebbe stata la camera
della mamma. Ero troppo stanca per notare i particolari della camera
assegnatami. Misi il pigiama e mi infilai sotto le lenzuola. Profumavano di
bucato, fiori di campo o qualcosa del genere. Troppo stanca per elaborare altri
pensieri, mi abbandonai al sonno.
Mi
svegliai colpita dalla luce che filtrava nella stanza attraverso i pesanti
tendaggi. Avevo dormito come un sasso e mi sentivo decisamente bene.
Dormire a volte fa
miracoli e un morbido letto con calde coperte aiuta notevolmente!
Mi
stiracchiai per bene e mi alzai. La sera precedente non avevo notato i dettagli
che decoravano quella che sarebbe stata la mia camera da letto. Era bellissima,
spaziosa ed arredata con gusto.
Le
pareti erano di un leggero color pastello e il pavimento ricoperto da soffice
moquette color crema. La stanza era luminosa e una volta tirate le tende notai
con stupore che erano due grandi finestre ad inondare di luce la stanza. Il
letto era posizionato contro il muro. L’armadio era posizionato contro la parete
di fianco, era di legno scuro e accanto ad esso una scrivania dello stesso
colore. Completavano l’arredamento due poltroncine di velluto color pesca. Spalancai
la finestra per far entrare un poco d’aria e godere della calda carezza del
sole. Ma avevo dimenticato il bagno.
Mi
allontanai dalla finestra per avvicinarmi alla porta del bagno e la aprì. Il
pavimento era costituito da piastrelle color verde-acqua, il colore era
riportato anche sulle pareti. Sorrisi e chiudendo la porta del bagno, vi
avvicinai ai miei bagagli. Era arrivato il momento di disfare tutto e mettersi
comodi.
”Questo
soggiorno comincia proprio a piacermi. Si, decisamente si!” commentai ad alta
voce.
VI Capitolo
Il pranzo fu delizioso.
Margaret ci spiegò che la cuoca,
Grace, era una persona squisita, molto creativa e decisamente brava nel suo
lavoro. Grace lavorava per loro solo tre volte alla settimana. Ci chiarì,
inoltre, che vi era anche una domestica, Louise, che si occupava delle faccende
di casa. Era una ragazza piuttosto giovane, appena ventenne, molto carina e
disponibile. E infine c’era Malcom, il giardiniere. Un tipo tosto e alquanto
robusto. Ma molto abile nel suo lavoro. Uno dei più bravi in tutto il paese ci confidò
con orgoglio la padrona di casa.
Dopo essere rimasta un po’ a
chiacchierare con loro decisi di uscire a fare una passeggiata. Con quel
pretesto avrei potuto dare un’occhiata in giro e farmi un’idea precisa del posto.
La villa era enorme, imponente
oserei dire. All’esterno, era bianca con persiane verdi. Vi erano due box ai
lati della proprietà ed il portone sorgeva al centro della facciata principale.
Il tetto, costituito da grosse mattonelle rosso scuro, era caratterizzato da
due grossi comignoli. All’interno era riccamente ammobiliata. Tutti i mobili
erano di legno pregiatissimo e tutte le camere erano contraddistinte da
magnifici tappeti dai suggestivi disegni. La proprietà era davvero grande, il
giardino era costituito da un fitto tappeto d’erba verde acceso con fiori di
diversi colori e dimensioni. Il prato un insieme di profumi, una visione
spettacolare.
Uscì dall’enorme cancello che delimitava
la proprietà e seguendo il sentiero cominciai ad incamminarmi. Mi guardavo
intorno ed ammiravo lo stupendo spettacolo che mi si presentava attorno.
Colline lussureggianti e sentieri infiniti si addentravano tra quelle splendide
valli, infine uno splendido lago apparve davanti ai miei occhi.
Con un sospiro felice mi
affrettai per il sentiero. Volevo raggiungere il lago dove, sicuramente mi sarei
potuta rilassare. Quando finalmente lo raggiunsi ne rimasi incantata.
Da vicino era ancora più grande.
Le sue acque erano chiare e tranquille. Mi lasciai scivolare a terra, cullata
da una sensazione di pace e rilassatezza, sedendomi sulle sue rive. Mi persi
nella contemplazione di quella visione godendomi il caldo sole pomeridiano, sdraiandomi
poi sull’erba asciutta. Sollevai un braccio e lo appoggiai sul viso in
corrispondenza della fronte, in modo da proteggere gli occhi dal sole.
Nuvole bianche sembravano
correre veloci, il cielo era azzurro limpido. Cominciai a fantasticare di
rincorrere e cavalcare quelle soffici nuvole e quasi senza rendermene conto mi
appisolai.
Riaprì gli occhi solo quando
qualcosa mi sovrastò facendomi ombra. Un uomo enorme mi era di fronte, in
piedi, con uno sguardo decisamente accigliato.
Mi alzai in fretta, spaventata,
ma barcollai leggermente. L’uomo protese le sue mani e mi impedì di cadere.
“Non volevo spaventarti” mormorò
in tono grave.
Le sue braccia erano calde,
forti e m’imprigionarono. Leggermente imbarazzata mi allontanai cercando di
ricompormi. Lo sconosciuto sorrise impercettibilmente, sembrava vagamente
divertito.
Alzai una mano per riparare lo
sguardo dai raggi del sole e lo fissai negli occhi.
“Bu.. buongiorno” salutai
cercando di non far capire al mio interlocutore quanto fossi scombussolata.
“Buongiorno” mi rispose con voce
chiara.
Era un gran bel pezzo d’uomo.
Aveva un volto decisamente
affascinante, mascella squadrata, naso dritto e labbra carnose. I capelli erano
corti e scuri e sembravano leggermente ondulati. Portava un berretto con
visiera, ma riuscì ugualmente ad intravedere il colore dei suoi occhi: erano di
un bellissimo color verde-grigio. Robusto e muscoloso, con spalle larghe, e
petto ampio. La pelle leggermente abbronzata. Portava una polo rossa e jeans
piuttosto aderenti. Le gambe erano lunghe e le sue cosce sembravano atletiche e
muscolose.
Sicuramente si accorse che
continuavo a fissarlo con insistenza e per di più a bocca aperta, quasi a
prendergli le misure, perché alzando un sopracciglio si sistemò meglio il
berretto in testa e si schiarì la voce dicendo
“Tutto a posto signorina?”
Con le guance rosse di vergogna
balbettai incerta “Si, si… Ehm, si.
Tutto bene grazie” continuando ancora imbarazzata “Grazie per avermi aiutato prima, mi ero
alzata decisamente troppo in fretta” aggiunsi sorridendo.
“E’ stato un piacere “ mormorò
con voce calda ”Si è persa? Non mi pare
di averla mai vista”
“No, non sono del luogo. Sono
italiana. Sono Sophie” risposi allungando la mano e porgendogliela per
presentarmi
“Lieto di conoscerla, Sophie” replicò
con un sorriso.
Sembrava decisamente affabile.
Il sole stava quasi calando.
Probabilmente mi ero appisolata più di qualche minuto. Mi spazzolai lentamente
il vestito pulendomi dall’erba e con lo sguardo cominciai a cercare il sentiero
per ritornare verso casa.
“Cerca qualcuno?” mi chiese
notando il mio sguardo concentrato
“In effetti sto cercando di
orientarmi per poter ritrovare la strada di casa”
“Forse posso aiutarla. Sono nato
e cresciuto in questa zona. Dove è diretta?” il suo sguardo si era acceso di
curiosità mista a qualcos’altro, che però non riuscì ad identificare
“Devo andare in quella villa
laggiù” indicai l’enorme cancello nero che segnava l’inizio della proprietà dei
Butler
“Davvero? E a chi appartiene
quella villa?” domandò curioso
“Beh, alla famiglia Butler”
replicai decisa.
Avevo la sensazione di conoscere
il suo volto, come quando si ha a che fare con un deja-vù, ma non ricordavo
dove lo avessi visto.
“Esatto” annuì lui.
Mi stava mettendo alla prova?
Cominciai ad essere in
apprensione. Accantonai quindi l’idea di scavare nel mio cervello per cercare
l’identità dell’uomo e mi concentrai sul mio imminente problema.
Come faccio a tornare a casa, se non ricordo la
strada che ho percorso?
“Guarda caso è esattamente dove
sto andando anche io…” continuò l’uomo
“Ma certo! Lei deve essere
Malcom, il giardiniere dei Butler. La signora Margaret mi ha detto che probabilmente
l’avrei incontrata. Che piacere conoscerla! In effetti volevo farle i
complimenti. Lei è davvero un artista eccezionale. Il giardino è spettacolare!
I tulipani, le splendide rose, le ortensie… e poi i narcisi e i giacinti, i
vasi di dalie e quelli con i girasoli … è tutto stupendo”
“Ehm … grazie, credo” rispose un
poco perplesso.
Forse lo avevo confuso con tutte
le mie chiacchiere e sicuramente avevo sbagliato un paio di verbi. Quando ero
nervosa tendevo a parlare a macchinetta e a pensare ancora più rapidamente.
“Non deve essere modesto”
continuai imperterrita “Il giardinaggio
è come l’arte, come dipingere o scolpire! E’ arte, pura e semplice arte” conclusi
sorridendo allegra
“Se lo dice lei…”
Il suo viso però restava ancora
perplesso e forse un poco confuso. Magari non aveva capito un fico secco di
quello che gli avevo detto.
“Lei si intende d’arte, Sophie?”
domandò guardandomi
Finalmente eravamo arrivati di
fronte al cancello, e stavo per rispondere, quando sentì mia madre chiamarmi.
“Beh, mi piace molto l’arte. Ora
però, mi scusi, devo andare. Arrivederci” con un sorriso mi allontanai e svelta
entrai in casa.
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Capitolo 6 *** VII Capitolo ***
Cap. 7
VII Capitolo
Dopo essere tornato al mio
hotel, avevo deciso di fare una doccia. Ora me ne stavo bellamente sdraiato sul
letto, con le mani dietro la testa guardando il soffitto senza però vederlo
veramente.
Avevo finalmente deciso di
tornare a casa, alle mie radici. Avrei rivisto un sacco di vecchi amici e
conoscenti. Avrei rivisto e riabbracciato mia madre. Da quando papà aveva
cominciato a sentirsi poco bene mi ero ripromesso di ritornare spesso. Purtroppo
in quegli ultimi mesi avevo lavorato moltissimo e d’improvviso era arrivata la
notizia che aveva spazzato ogni altra cosa.
Dopo un fatto del genere, la
maggior parte delle persone avrebbe reagito in qualche maniera, magari
piangendo o gridando. Avrebbe rotto oggetti, avrebbe parlato con parenti o
amici sfogando il proprio dolore.
Io non avevo fatto nulla del
genere. Avevo eretto un muro ed avevo continuato a lavorare, forse in modo più
assennato del normale, come se non fosse accaduto nulla. Come se la notizia non
riguardasse me ma qualcun altro. Avevo velato la mia mente, arginato i miei
pensieri e le mie emozioni dietro quel muro. Chiusi gli occhi lentamente e
cercando di svuotare la mente, mi rilassai.
Il cellulare cominciò a vibrare
e, senza nemmeno guardare chi fosse, risposi
“Gerard?” domandò una voce
femminile. Una voce chiara ma debole, quasi appartenesse ad una persona stanca.
“Ciao tesoro. Aspettavo la tua
chiamata“
Era Susy, l’avevo riconosciuta subito.
“Ciao, allora è tutto
organizzato. Il tuo volo partirà domani, nel primo pomeriggio. Ho pensato che
avessi voglia di dormire un po’ per non risentire troppo del lungo viaggio”
“Hai fatto benissimo, come al
solito” risposi orgoglioso.
Avevo cieca fiducia in quella
donna, mi affidavo a lei senza neanche riflettere. Mi consigliava su tutto e il
fatto che fosse sempre all’altezza della situazione, mi riempiva d’orgoglio.
“Dovrai solo recarti al check-in
per i documenti e successivamente imbarcarti”
“Bene” commentai asciutto
“Andrà tutto bene, vedrai. Tua
madre sarà felicissima di vederti“ continuò Susy.
“Già” risposi
“Le farai una sorpresa o l’hai
già avvisata?” domandò curiosa
“Una sorpresa” borbottai con
voce atona
“Come siamo loquaci questa sera!”
esclamò con tono canzonatorio.
“Già” borbottai ancora
“Gerard cosa c’è?”
“Niente. Perché?”
“A me non la racconti. Forza
sputa il rospo. Cosa ti turba?”
“Davvero. Nulla. Non
preoccuparti ” la mia voce era un
borbottio soffuso
“Gerard!!!” esclamò irritata
“E va bene, va bene … dannato intuito
femminile! Stavo solo pensando a cosa dirò o farò quando sarò lì, tutto qua.
Una cosa stupida, insomma.”
“Non è una stupidaggine” rispose
in tono dolce “E’ comprensibile che tu ci stia pensando. Andrà benissimo,
credimi” mi rassicurò lei.
Erano parole semplici, ma io non
ero fatto per discorsi troppo mielati.
“Già”
“Già” ripetè lei ”Beh, ora me ne vado a dormire. Buonanotte
campione”
“Buonanotte, Susy. E grazie, per
tutto” mormorai
“Fai buon viaggio domani e, come
al solito…” cominciò lei soffocando uno sbadiglio
“Come al solito ti chiamo quando
arrivo. Si, lo so” annuì con un sorriso sulle labbra ”Ora vai a dormire, Susy. Sarai stanchissima.
Sogni d’oro tesoro. Ci sentiamo domani”
“Si, va bene. ‘Notte!” annuì
lei, poi aggiunse “Eh, Gerard?”
“Si?” risposi
“Non fare strage di cuori, mi
raccomando” concluse interrompendo la telefonata con una risata allegra.
Regolai la sveglia e stancamente
mi infilai sotto le coperte. Forse Susy aveva ragione. Avevo bisogno di una
lunga dormita.
Il viaggio in aereo trascorse
tranquillamente, e nonostante avessi dormito a sufficienza la notte precedente
mi accorsi di essermi appisolato un paio di volte anche durante il volo.
Atterrai a Glasgow in perfetto orario. Uscito dall’aeroporto, mi infilai in un
taxi e diedi istruzioni all’autista per Paisley.
Arrivato in paese, gli chiesi di
fermarsi ai piedi della collina che portava al sentiero per casa mia. Volevo
passeggiare. Presi i miei bagagli e pagato l’autista mi avviai verso casa.
Ero sereno e percorrevo lo
stretto sentiero che portava al cancello della proprietà quando notai una
figura, un corpo steso a terra. Con passi lenti mi avvicinai e mi resi conto
che era una ragazza.
Una bella ragazza.
Aveva capelli lunghi ed ondulati
castano-rosso.
La sua pelle era molto chiara,
le gote leggermente rosate ed il volto sereno. Era bella e davvero ben fatta da
quel poco che potevo scorgere.
Scesi con lo sguardo per poterla
osservare meglio e cercando di non fare rumore, mi avvicinai di più. Doveva
essersi appisolata. Fortunatamente il sole non era affatto alto, anzi era
nascosto tra due vallate, altrimenti si sarebbe scottata. Ormai il tramonto si
avvicinava.
Il suo corpo era fasciato in un lungo
abito da passeggio color viola chiaro. Mi resi conto che aveva un corpo piuttosto
formoso, molto sensuale e con mio grande stupore questa constatazione mi
costrinse a deglutire. Aveva un collo delicato ed il seno era alto e sodo.
Grazie a Dio, non è troppo magra. Era perfetta!
Per distrarre i miei pensieri
continuai ad accarezzarla con lo sguardo, soffermandomi su punti più sicuri. Le
braccia erano piegate, una accanto al viso e l’altro poggiato sulla pancia.
Era deliziosa.
Così distesa sembrava una delle protagoniste dei
quadri di Monet o magari una delle ballerine di Renoir.
Le gambe, piuttosto lunghe,
erano toniche e ai piedi calzava scarpe basse. Mi avvicinai ancora, spinto da
un irrefrenabile curiosità. Volevo osservare meglio il suo viso.
Probabilmente feci rumore perché
notai che si stava svegliando.
Forse l’avevo spaventata.
Decisamente, l’avevo spaventata.
Non appena mi mise a fuoco cercò
di alzarsi e di allontanarsi. Ma, lo fece troppo in fretta, barcollò in avanti
ed io allungai le braccia e la sostenni. Era leggerissima e profumava di fiori.
“Non volevo spaventarti” le
dissi per cercare di rimediare. Aveva lo sguardo impaurito
Beh, come ti saresti comportato tu trovandoti a
poche spanne dal naso un uomo grande e grosso?!
Con delicatezza si allontanò dal
mio abbraccio. Il suo volto era leggermente arrossato, forse oltre a
spaventarla l’avevo pure messa a disagio.
Cercai di sorridere per rassicurarla, lei mi salutò ed io le risposi
“Buongiorno” diedi alla mia voce
un’intonazione chiara e continuai a sorridere perché notai che il suo imbarazzo
non era passato. Era quasi divertente la situazione.
Chissà chi è? Magari è del posto…
La ragazzina continuava a
fissarmi, tra l’altro a bocca aperta.
Quanti anni avrà?
Non mi riuscì di staccarle gli
occhi di dosso. Era terribilmente graziosa ed intrigante, in maniera del tutto
naturale. Mi attraeva.
Le chiesi se era tutto a posto e
lei mi rispose affermativamente. Volevo saperne di più. Volevo sentire ancora
la sua voce e così le chiesi
“E’ del posto? Perché non mi
pare di averla mai vista”. Ero curioso in maniera davvero poco rispettosa.
E la privacy dov’è finita? Chi sei, un
investigatore privato?
“No, non sono del luogo. Sono
italiana. Sono Sophie” la sua voce suonò decisamente più chiara.
Sophie, che nome particolare.
Bello ma non molto diffuso. Era italiana, questo spiegava un po’ di cose. A
cominciare dall’inflessione della lingua.
Questo però non placò la mia
voglia di conoscerla meglio. Volevo saperne ancora. Notai che il suo voltò
cambiò espressione e che i suoi occhi sembravano cercare qualcuno.
“Cerca qualcuno?” non riuscì a
frenare la domanda. Con ogni probabilità avevo temporaneamente disattivato il
filtro tra il cervello e la bocca.
Ora mi manderà al diavolo!
“In effetti sto cercando di
orientarmi per poter ritrovare la strada di casa” si voltò a guardarmi per
rispondere ed i suoi occhi si incatenarono ai miei.
Finalmente riuscì a scorgerne
con chiarezza il colore. Erano azzurri. Come il colore del cielo quando il
vento spazza via le nubi. Un azzurro chiaro, splendidamente intenso. Erano
bellissimi.
Contieniti amico e cerca di darti un contegno!
“Forse posso aiutarla allora.
Sono nato e cresciuto in questa zona. Dove è diretta?”
Volevo che anche lei sapesse
qualcosa di me. E poi ero interessato a sapere dove fosse diretta. Pretendevo
di sapere dove alloggiasse. Mi indicò il cancello di casa mia e quando riportai
lo sguardo su di lei non riuscì a trattenermi dal domandarle nuovamente e anche
questa volta con ben poca delicatezza
“Davvero? E a chi appartiene
quella villa?”
Magari aveva sbagliato. Certo,
forse aveva confuso le case. Capita. Era impossibile che fosse davvero diretta
a casa mia. E poi nessuno mi aveva detto nulla al riguardo.
“Beh, alla famiglia Butler” il
suo tono era deciso, quasi imperioso. Inarcò un sopracciglio e questo mi fece
capire che l’avevo irritata.
Era arrivato il momento di
vederci chiaro in questa storia, quindi presi le mie valige in mano e gli dissi
che quella era anche la mia destinazione.
Volevo spiegazioni e le avrei ottenute!
“Ma certo! Lei deve essere
Malcom, il giardiniere dei Butler. La signora Margaret mi ha detto che
probabilmente l’avrei incontrata. Che piacere conoscerla. In effetti volevo
farle i miei complimenti. Lei è davvero un artista eccezionale. Il giardino è
spettacolare! I tulipani, le splendide rose, le ortensie… e poi i narcisi e i
giacinti, i vasi di dalie o di girasoli è tutto stupendo.”
Parlava a raffica, sbagliando la
pronuncia della maggior parte delle parole e con quella strana inflessione. Non
riuscivo quasi a starle dietro.
Malcom? E chi diavolo era Malcom? Ah, si il
giardiniere. E quando diavolo era stato assunto?
Questo argomento le aveva acceso
uno strano luccichio negli occhi e ne rimasi piacevolmente colpito. Le risposi
affermativamente, ma in maniera pacata, annuendo. Poi, continuò imperterrita
“Non deve essere modesto, sa. Il
giardinaggio è come l’arte, come dipingere o scolpire! E’ arte, pura e semplice
arte.” risposi annuendo anche questa volta ma sempre più confuso.
Arte, aveva ripetuto più volte questa parola.
Magari le piace l’arte…
“Lei si intende d’arte, Sophie?”
Mi rispose positivamente accompagnando
il tutto con un leggero sorriso. E li, mi bloccai. Era un sorriso dolcissimo.
Le labbra rosate e carnose erano stirate a mostrare i denti bianchi.
Bellissimo.
Una voce la fece però
allontanare da me e senza rendermene conto mi ritrovai davanti al portone di
casa. Posai i bagagli all’entrata e come prima cosa cercai mia madre.
Volevo venire a capo di questa
storia e scoprire al più presto chi era quella bella ragazza italiana che
alloggiava a casa mia.
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Capitolo 7 *** VIII Capitolo ***
Cap. 8
VIII Capitolo
L’orologio a pendolo all’entrata
segnò le sette e trenta. Avevo una fame da lupo e se non avessi messo subito sotto
i denti qualcosa mi sarei mangiato le gambe del tavolino che avevo di fronte.
Girai la testa prima a destra e
poi a sinistra. No, l’arredamento non era cambiato.
Menomale, almeno quello!
Camminai lentamente verso il
salotto e scorsi mia madre seduta sul piccolo sofà.
Quello era il posto che occupava sempre papà…
Amava quella stanza, i moltissimi
libri e volumi che correvano lungo tutte le pareti. Erano il suo orgoglio e la sua gioia…
Scossi la testa come a voler
scacciare quei pensieri tristi.
Mi avvicinai. Aveva gli occhi
chiusi, si era appisolata. Così con tenerezza mi accovacciai sulle ginocchia e
le toccai con dolcezza la mano. Lei li riaprì subito e quando mi mise a fuoco
proruppe in un urlo di gioia
“Gerard? Oh, Gerard sei qui” mi
abbracciò con forza e sentì calde lacrime scendere a bagnarmi il collo.
La scostai da me con infinita
premura
“Ciao mamma. Si, sono tornato.
Come stai?” la mia voce era tesa in maniera impalpabile. Mi accorsi così che
calde lacrime solcavano anche il mio viso.
“Oh, Gerard! Sono così felice
che tu sia qui. Mi sei mancato tanto!”
“Anche tu mi sei mancata” le asciugai le lacrime passando due dita sul
suo viso.
“Ti voglio bene” mi disse
abbracciandomi nuovamente.
Questa volta non ci pensai
neppure ad interrompere quella dimostrazione di amore. Ne aveva bisogno, lo
sentivo. In effetti ne abbiamo bisogno entrambi.
“Non sapevo che saresti tornato
a casa, tesoro. Perché non mi hai avvisato?” mi domandò guardandomi
“Lo so, avrei dovuto. Ma è stata una decisione
improvvisa. Il lavoro si è concluso prima del previsto” una mezza verità lo
sapevo.
Ma cosa avrei dovuto dirle? Che ero spaventato?
Che non sapevo come avrebbe reagito? Che avevo paura?
“Sono contenta che tu sia qui.
Davvero.”
La sua mano cercò la mia. Io
quasi senza rendermene conto mi avvicinai e gliela presi tra le mie.
“Sarei dovuto arrivare prima.
Non avrei dovuto lasciarti da sola. Non dopo tutto quello che è successo.”
I suoi occhi si riempirono
improvvisamente di lacrime e qualcuna sfuggì al suo controllo per tornare ad
allungarsi sulle sue guance. Non appena lei se ne rese conto, scosse la testa e
le asciugò con l’altra mano. Ora un sorriso faceva capolino sul suo viso.
Si alzò e con voce che tradiva contentezza
annunciò
“Ho una sorpresa per te. Anzi in
realtà non è per te ... beh … sono arrivate solo ieri e si stanno ancora
ambientando. E’ ancora presto lo so, ma averle qui mi rende più serena. Non
sopportavo più tutto quel silenzio” il
suo tono era dolce e un debole sorriso albeggiò nuovamente sulle sue labbra
“Mamma, ma di cosa stai
parlando? Chi è arrivato?”
Ma lentamente, molto lentamente
una consapevolezza si fece largo dentro me …
Che fosse lei?
“Oh, scusami tesoro. Tu non puoi
certo saperlo. Ricordi la mia migliore amica Lisa?” si voltò verso di me e
cercò i miei occhi
“Lisa? No, non mi dice nulla…
Chi è?”
Forse avrei dovuto ricordarmi di
lei, ma il nome non mi diceva nulla.
“Lisa, la mia amica italiana…
oh, andiamo Gerard non puoi essertene dimenticato. Tuo padre ne parla in
continuazione… cioè ne parlava” tacque improvvisamente e il suo labbro
inferiore ebbe un fremito.
Non volevo assolutamente farla
piangere ancora così mi sforzai di ricordare …
Italia … italia … italia.
L’immagine di una ragazza dal viso dolce prese corpo nella mia mente.
Lei è italiana.
“Il sig. St. Louis?” risposi con
voce esitante cercando conferma
“Si, esattamente” annuì tornando
a sorridere “Beh, devi sapere che qualche settimana fa ho telefonato a Lisa. Ti
ricorderai sicuramente che perse il marito diverso tempo fa, poverina”
Annuì. In realtà non me lo
ricordavo affatto ma non volevo dare a mia madre l’impressione di fare fatica a
mettere a fuoco l’intera faccenda. Perciò non proferì parola e la invitai
tacitamente a continuare.
Lasciammo il salotto per
dirigerci, attraverso il corridoio, in sala da pranzo.
“Naturalmente è stata molto
dura. Ha dovuto rimboccarsi le maniche e tirare avanti con le sue sole forze. Ha
dovuto crescere John e Sophie, i suoi figli, da sola“ quel nome ebbe il potere
di scombussolarmi.
Così il cerchio si chiude … ecco spiegata la
presenza della ragazza.
Non rivelai nulla a mia madre e
il mio sguardo non tradì alcun cambiamento.
“Io e tuo padre abbiamo cercato
di starle vicino. Beh, comunque ti dicevo l’ho chiamata e l’ho invitata qui da
noi. Abbiamo parlato tanto di tutto quello che è successo ed esattamente come
mi aspettavo mi ha tirato un po’ su. E’ una buona amica, la migliore che abbia
mai avuto. Sono arrivate ieri lei e la sua bella bimba Sophie. Anche se bimba è,
ora, solo un modo di dire. E’ una splendida ragazza di ventiquattro anni. Uno
splendore.”
Il suo sorriso si allargò quando
notò qualcosa alle mie spalle.
Non feci in tempo a chiedermi
perché mai stesse sorridendo che la sua voce limpida e chiara mi annunciò
“Ecco, infatti. Lascia che vi
presenti” e con delicatezza mi spinse a voltarmi verso le scale.
Una donna, non molto alta, dai
corti capelli biondo scuro stava scendendo le scale. Il viso acceso da un bel
sorriso, gli occhi chiari ed un’espressione solare mista a curiosità. Finì di
scendere con un portamento da far invidia a moltissime modelle. Era fiero ed
estremamente aggraziato. Si avvicinò a noi con passo sicuro e a testa alta.
“Lisa, sono felice di
presentarti il mio Gerard. E’ appena arrivato, in effetti, ma non aveva
avvisato quindi ci ha colti un po’ di sorpresa”
Il suo sorriso era radioso,
quindi abbandonai il viso di mia madre per volgere lo sguardo alla donna che mi
stava davanti. Allungai una mano e lei la prese tra le sue e dopo qualche
secondo mi ritrovai in un caldo abbraccio
“Oh, mamma mia. Il piccolo
Gerard, avevo dimenticato il tuo aspetto. Non ti vedo da una vita. Ma lasciati
guardare… Sei diventato un uomo molto bello e affascinante, se mi permetti il
complimento” i suoi occhi tradivano una certa emozione.
Sembrava davvero felice di
vedermi.
“La ringrazio molto. E’ un
piacere. In realtà devo confessarle di non ricordare perfettamente …”
“Ma certo, come potresti. Io e
Paul lasciammo la Scozia quando John aveva solo tre anni. Dovevi avere la
stessa età, quindi non ti angustiare. Eri molto piccolo“ mi interruppe lei con un sorriso indulgente
“Beh, ma dov’è Sophie?” chiese
mia madre a Lisa
“Dovrebbe scendere a momenti.
Era sotto la doccia quando ho bussato alla sua camera. Arriverà sicuramente…
Oh, eccola!” si girò completamente nella sua direzione ed anche io alzai lo
sguardo su di lei.
Era esattamente come la
ricordavo. Bella. Molto bella.
Si era cambiata ed ora indossava
pantaloni corti al ginocchio di colore nero, scarpe alte e un’elegante camicia
blu. Era un incanto. I suoi capelli erano legati con un fiocco alla base del
collo, anche se qualche ciocca era sfuggita.
I nostri occhi s’incontrarono,
finalmente, e appena mi vide si fermò. Una mano sul corrimano e l’altra lungo
il fianco. Un’espressione sorpresa e confusa aleggiava sul suo viso.
“Coraggio, tesoro. Scendi ” la
incoraggiò sua madre con un braccio levato nella sua direzione.
Riprese a scendere e arrivata in
fondo alle scale notai che il suo sguardo era sempre più confuso. Sua madre le
si affiancò e il suo braccio le circondò le spalle.
“Sophie, cara, sei molto carina
questa sera” affermò mia madre andandole vicino e baciandole una guancia.
Ero assolutamente d’accordo con
lei. Il mio sguardo non la lasciava. Andava dal suo viso e percorreva il suo
corpo per poi tornare nuovamente al suo viso.
Avevo dannatamente ragione. Ha un corpo da urlo!
“Lascia che ti presenti mio
figlio. Sophie questo è Gerard. Tesoro lei è Sophie” mia madre concluse le
presentazioni con un sorriso
“Gerard? Tuo figlio? Ma non era
il giardiniere?” la domanda sfuggì alle sue labbra
“Il giardiniere?” domandarono mia
madre e Lisa assieme.
Scoppiai in una fragorosa risata
quando realizzai a cosa si riferiva. Avevo dimenticato il fatto di essere stato
scambiato per il giardiniere. Nel frattempo entrambe le donne chiedevano
spiegazioni
“Sophie, ma cosa dici? Quale
giardiniere?” domandò la madre alla figlia
“Non capisco” esclamò mia madre
al colmo della confusione.
La situazione andava chiarita
così presi sottobraccio entrambe le donne e con fare deciso le accompagnai in
sala da pranzo. Oltretutto ero affamato. Con un’occhiata alle mie spalle mi
assicurai che Sophie ci seguisse. Sembrava piuttosto innervosita ma non disse
nulla e ci seguì in silenzio, fino ad accomodarsi al grande tavolo.
Io nel frattempo scostata una
sedia feci sedere a tavola prima mia madre e poi lo stesso con Lisa. Infine
dopo aver guardato ancora una volta quella bella ragazza italiana mi sedetti
accanto a lei.
Il suo volto era rosso ma i suoi
occhi lanciavano saette. Era irritata, non vi erano dubbi al riguardo. Con un
sorrisino birichino sulle labbra volsi la mia attenzione alle due donne ancora
in attesa. Spiegai interamente l’accaduto e alla fine scoppiammo tutti e tre a
ridere. L’unica che ancora rimaneva seria era lei, la protagonista del piccolo
racconto. Mi lanciava sguardi di sfida, tra l’ira e l’odio.
Senza rendermene conto, spinto
dal desiderio di cancellare quell’ espressione troppo rabbiosa dal suo viso e
rasserenare i suoi occhi, le afferrai una delle mani e me la portai alle
labbra. La baciai e la guardai intensamente.
Ora il suo sguardo tradiva
sorpresa ed un certo imbarazzo. La sua mano rimase sulle mie labbra per qualche
secondo. Profumava di buono, di dolce. Quando
mi resi conto delle mie azioni la lasciai immediatamente.
Cosa diavolo mi è saltato in mente?
A parte l’episodio iniziale, la
cena trascorse piacevolmente. Mia madre raccontò loro alcune birbonate mie e
dei miei fratelli e altri aneddoti divertenti. Poi volle sapere su cosa stavo
lavorando al momento. Ed io, con un’alzata di spalle, raccontai a grandi linee
la trama.
“Sei un attore, quindi?” domandò
Lisa improvvisamente
“Si” risposi con un sorriso. Lei
mi sorrise di rimando continuando “Ecco, dove ti ho già visto. Sophie è una tua
grande fan, non è vero tesoro?” Lisa si girò per incontrare conferma nelle
parole della figlia
“C-cosa?“ era impreparata
Era arrossita ed ora guardava
con sguardo omicida prima sua madre e poi impaurita la mia. Mi ritrovai a
sorridere anche io, ma di un sorriso sornione.
“E’ così Sophie? Sei una mia
fan?” domandai con tono derisorio
Il fatto che mi conoscesse o che conoscesse i
miei film e il mio lavoro mi riempiva di orgoglio. Per tutta la sera era
rimasta in silenzio senza proferir parola se non con cenni di assenso o di
diniego quando le si poneva una domanda diretta. Ed io volevo sentire la sua
voce, volevo sapere cosa pensasse delle mie interpretazioni.
“Cosa? Certo che no!”
“Non essere modesta tesoro. E’
lui il protagonista della tua collezione di film, vero? Quelli che tieni in
camera tua e non permetti di guardare a nessun’altro…” continuò Lisa imperterrita
Il volto di Sophie era in
fiamme, i suoi occhi sembravano voler incenerire la madre, il corpo immobile.
Scoppiai a ridere di nuovo, questa volta per la sua reazione. Era uno
spettacolo, un assoluto spasso.
La cosa però dovette darle
fastidio perché voltandosi a guardarmi, puntò i suoi occhi nei miei. Erano
accesi, di un blu intenso.
Ho forse esagerato?
Non feci a tempo ad elaborare
una risposta al riguardo, che allontanò la sedia dal tavolo, si alzò e
guardando mia madre e Lisa disse semplicemente
“Scusate, non ho più fame” il
corpo era rigido
Si, avevo decisamente esagerato … Dannazione!
Il mio sguardo la seguì finché
non si chiuse la porta del salottino alle sue spalle.
“Oh, Gerard l’hai offesa!” si
lamentò mia madre
“Non ne avevo l’intenzione, lo
giuro” dissi cercando di scusarmi.
“Oh, non preoccuparti Gerard. Le
passerà. Sophie è una ragazza orgogliosa e piuttosto impulsiva. Ma non serba
rancore. Vedrai che domani le sarà già passato” s’intromise Lisa per
rassicurarmi
“Dovresti andare di là a
chiederle scusa. Subito, Gerard!” mi rimproverò mia madre
Il suo tono non ammetteva
repliche. Così mi alzai e mi diressi in salotto.
In poche falcate mi trovai
davanti al salotto. Ero esitante.
Bussai alla porta ed attesi.
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Capitolo 8 *** IX Capitolo ***
Cap. 9
IX Capitolo
Ero livida di rabbia.
Ma come si era permesso??!!
Certo, sotto la doccia avevo
ripensato a quel bellissimo uomo che avevo incontrato ma non riuscendo ancora a
ricordare dove lo avessi visto, uscì e mi vestì in fretta per non fare tardi a
cena.
Mi vestì in maniera accurata,
non troppo elegante ma nemmeno troppo casual. Facevo sempre molto attenzione al
mio abbigliamento, fin da bambina. Ero attenta all’accostamento dei colori cosicché
tra abiti ed accessori che indossavo ci fosse sempre armonia.
Arrivata alla scala, avevo
sentito le voci della mamma e di Margaret. Serenamente avevo cominciato a
scendere fino ad incontrare i suoi occhi. Gli occhi dell’uomo che avevo
incontrato fuori nel pomeriggio. Era in corridoio accanto a mia madre e un suo
braccio cingeva Margaret.
Il giardiniere?
La voce di mia madre che mi
incitava a scendere mi risvegliò dai miei pensieri. Senza nemmeno riflettere mi
fermai a metà scala così continuai a scendere arrivando ai piedi delle scale sana
e salva.
Poco dopo Margaret mi si
avvicinò e si complimentò con me per l’abbigliamento. La ringraziai con un
sorriso radioso e lei mi salutò baciandomi su una guancia.
“Lascia che ti presenti mio
figlio. Sophie questo è Gerard. Tesoro lei è Sophie” disse Margaret sorridendo
felice.
Lui poco dopo si avvicinò a me.
I suoi occhi agganciati ai miei.
Suo figlio? Ma cosa dice?
E che fine ha fatto Malcom?
“Tuo figlio? Ma non era il
giardiniere?” non riuscì a tenere per me la domanda e quando finalmente capì
chi avevo di fronte la mia mano corse a coprire la mia bocca.
Oh mio Dio.
Oh mio Dio. Non ci posso credere … come ho fatto
a non riconoscerlo subito?
Gerard Butler è davanti a me!
Beh, lo schermo non gli rendeva giustizia. Affatto.
Ora che aveva tolto il cappellino mi risultava impossibile non
riconoscerlo.
Oh mio Dio, è Gerard! Oh mio Dio, il mio attore
preferito!
Stavo ancora cercando di
riprendermi dalla bella, anzi fantastica notizia, quando lui scoppiò a ridere. Una
risata solare ma roca. Una risata davvero irresistibile. Così coinvolgente,
così fascinosa.
Mi accorsi solo distrattamente
che sia mia madre che Margaret era rimaste interdette e cercavano spiegazioni.
“Non capisco” esclamò Margaret guardando prima
me e poi suo figlio con sguardo confuso.
Beh, lui non si diede la briga
di aiutarmi a sciogliere l’inghippo, affatto! Anzi con fare altezzoso si
posizionò tra mia madre e la sua e deciso le scortò verso la sala da pranzo per
la cena.
Avrebbe potuto almeno chiarire l’accaduto…
Con occhi bassi li seguì in
silenzio. Ero imbarazzata ma anche decisamente irritata.
Chi diavolo si crede di essere?!
Va bene che è un attore stra-famoso, bellissimo e
tutto il resto … ma che modi!
Appena entrata notai che la
tavola era apparecchiata e con passo deciso mi allontanai dai tre e presi posto
a tavola. Per qualche minuto ancora tenni lo sguardo basso, ma quando lo alzai
incontrai subito i suoi occhi. Erano sorridenti.
Rideva di me!
Poco dopo il signorino cominciò
a raccontare tutta la storia con tono decisamente canzonatorio.
E dal suo punto di vista forse,
e dico forse, l’intera faccenda poteva anche essere divertente ma dal mio no di
certo. Mi faceva sembrare una perfetta cretina! Finito di parlare si lasciò
andare ad un’altra fragorosa risata seguito anche da Margaret e Lisa.
Stupido pallone gonfiato! Non ci trovo assolutamente nulla da ridere.
Niente di niente!
Lo fissai al colmo dell’ira. Ero
furibonda.
Un perfetto zimbello, ecco cosa sembro ai suoi
occhi!
Ero sul punto di rispondergli
per le rime, ma non lo feci per rispetto di Margaret. Per resistere all’impulso
mi torcevo con forza le dita delle mani sotto il tavolo, quando all’improvviso
lui ne prese una e l’avvicinò alle sue labbra.
Ma che cosa … ?
Mi bacia … la mano!
Mi sentivo le guance in fiamme,
ero in imbarazzo ma non so come riuscì a non abbassare lo sguardo. Dopo qualche
secondo o minuto - (e chi lo sa!) - lasciò la mia mano e il suo sguardo mutò.
Voltò la testa e si concentrò a guardare altro che non fossi io.
Durante tutta la cena non riuscì
a proferir parola.
Non sapevo cosa dire. Il mio
cervello sembrava fosse ibernato. Anche a semplici domande risposi solo con
vaghi cenni del capo. Per fortuna nessuno vi fece caso o almeno nessuno disse
nulla al riguardo. Non vedevo l’ora che tutto finisse. Volevo chiudermi in
camera mia e tirare finalmente un sospiro di sollievo. E seppellirmi dopo
questa figura imbarazzante.
“Sei un attore, quindi?” la
domanda di mia madre mi colse impreparata.
Non riuscì ad evitare di far
cadere la forchetta sulla tovaglia.
Dannazione, forse la mamma non ha ancora capito
chi è …
Raccolsi la forchetta ed
infilzai una piccola patata al forno. L’avevo appena infilata in bocca quando
le parole di mia madre mi fecero gelare il sangue
“Ecco, dove ti ho già visto!
Sophie è una tua grande fan, non è vero tesoro?” mia madre si volse nella mia
direzione.
Oh cavoli… Si aspetta che le risponda?
“Cosa? “ non riuscì a formulare
nulla di meglio.
Le mie preghiere rimasero
decisamente inascoltate.
Puntai lo sguardo su qualsiasi
cosa che non fosse lui. Non volevo vedere i suoi occhi ridere ancora di me. Non
l’avrei sopportato.
“E’ così Sophie? Sei una mia
fan?” la sua domanda mi mandò di traverso la patata e quasi rischiai di
soffocare.
Voleva ridicolizzarmi di nuovo.Presi
il mio bicchiere colmo d’acqua e lo vuotai d’un fiato, poi con tutto il
coraggio che riuscì a trovare risposi decisa
“Cosa? Certo che no!”
Ma quella sera la fortuna non
era dalla mia, anzi mi girava bellamente le spalle e rideva gongolando.
“Non essere modesta tesoro. E’
lui il protagonista della tua collezione di film, vero? Quelli che tieni in
camera tua e che non permetti di guardare a nessun’altro?”
Ti prego mondo crudele fa che il pavimento si
apra e mi ingoi completamente … ti prego, solo per questa volta!
Le parole di mia madre mi
pietrificarono. Ma quello che mi fece più male, fu la sua risata. La risata di
lui. Mi ferì oltremodo e non sapevo
nemmeno il perché.
Ero sicuramente impallidita.
Mi voltai a guardarlo notando
che lui continuava a ridere. Mi fermai a fissarlo con sguardo glaciale per
qualche secondo e poi senza dargli ulteriori motivi per ridere di me, volsi lo
sguardo alle altre commensali. Mi era passata la fame.
Con tutto l’orgoglio che mi era
rimasto alzai la testa, allontanai la sedia dal tavolo con un gesto di stizza e
sempre diretta verso le due donne dissi
“Scusate, non ho più fame” con
passo deciso mi diressi verso il salotto.
Avevo voglia di stare da sola e
di riflettere.
Andai a sedermi sulla piccola
poltrona vicino al camino e non mi resi conto di piangere finché non riuscì a
vedere più nulla.
Che stronzo!
Allora è proprio vero… un po’ di notorietà e
questi attori si credono dèi scesi in terra!
Al diavolo! Non sono venuta fin qui per farmi trattare
come un idiota dal primo che passa.
Mi alzai di botto e scacciai le
lacrime con una mano. Non valeva la pena piangere!
Gli avrei reso pan per focaccia,
quando un leggero bussare alla porta fece allontanare quei pensieri.
“Avanti” dissi quasi senza
rendermene conto.
Entrò l’ultima persona che mi
aspettavo ma quella che più di tutte desideravo vedere.
“Disturbo?” domandò con voce
esitante.
I suoi occhi corsero subito a
cercare i miei e quando si rese conto che avevo pianto si avvicinò esclamando
“Cazzo! Ti ho fatto piangere. Scusa, non era mia intenzione. Non volevo”.
Le sue parole mi colpirono e mi
lasciarono un poco stupita. Era esattamente quello che volevo che dicesse. Ma
non gli avrei dato la vittoria così presto.
“Cosa vuoi?” il mio tono fu teso
e serio e me ne rallegrai.
Probabilmente non si aspettava
questa mia reazione perché esitò per diversi secondi. Poi una cascata di parole
mi sommersero.
“Sono venuto per chiederti
scusa. Non avrei dovuto esagerare a quel modo e mi rendo conto che così facendo
ti ho ferito e messo in ridicolo. Non era mia intenzione Di solito non sono
così stronzo!”
Una cascata di scuse e
sembravano sentite. Poi però mi ricordai chi era e che lavoro facesse. Così mi
avvicinai per rispondere alle sue scuse come meritava.
“Hai perfettamente ragione, sei
stato uno stronzo. Un emerito e grandissimo stronzo! Non ti permettere mai più
di rifare o ridire quello che hai detto e fatto. Perché te ne pentiresti!“
Non so dove presi il coraggio di
minacciarlo. Ma fui contenta di avercelo ficcato da qualche parte dentro di me.
In realtà era impensabile che una piccoletta come me cercasse di intimidire un
uomo grande e grosso come lui. Ma non per questo desistetti.
“Non so con chi hai a che fare
quotidianamente, nel tuo mondo patinato di super divi miliardari, ma qui è
diverso. Siamo nel mondo reale e la gente merita rispetto!”
Eravamo talmente vicini che i
nostri abiti si sfioravano. Gli puntai un dito sul petto e lo pungolai.
”E non mi importa un fico secco
se sei un attore Hollywodiano o che altro. Non credo ad una sola parola delle
scuse di poco fa quindi non starmi tra i piedi ed andremo d’accordo! Non sono
venuta fin qui, da casa mia, per farmi insultare da un maledetto borioso come
te” conclusi con decisione
Ero soddisfatta di me stessa. Completamente, assolutam…
Ma non riuscì a finire di
complimentarmi con me stessa che lui con uno scatto veloce mi strinse forte e
mi baciò. Catturò le mie labbra inizialmente con delicatezza, le sue mani aggrappate
ai miei fianchi, e poco dopo intensificò il bacio. Le sue labbra erano soffici ma
decise. La sua bocca morbida e dolce. Sapeva di buono.
Iniziò ad accarezzarmi
silenziosamente la schiena e non riuscendo a resistere mi lasciai andare,
rispondendo al bacio. Le mie labbra ebbero un fremito che probabilmente lui
percepì. Approfondì ulteriormente il bacio, mi leccò le labbra saggiandone il
contorno, prese tra i denti il labbro inferiore e con fare malizioso lo
mordicchiò e lo succhiò dolcemente. Un sospiro di piacere proruppe dalla mia
gola e mi rilassai ulteriormente.
“Hai finito, di urlarmi addosso?”
mi allontanò da sé giusto per guardarmi in faccia
“Prima dicevo sul serio. Mi
dispiace di essermi comportato così, non volevo e non avrei dovuto provocarti
in quel modo. Sono sinceramente dispiaciuto”
Finalmente riuscì a ritrovare la
strada per tornare sul pianeta terra. I suoi occhi non si allontanarono dai
miei. Il suo sguardo saettò dagli occhi alle labbra e sembrava attendesse una
mia risposta. Da parte mia, non ero decisamente in grado di dire nulla di
logico o pertinente, perciò scelsi una via di mezzo. Annuì.
Un lieve bussare alla porta ridestò
entrambi. Ci allontanammo in fretta ed io cercai di rassettarmi.
La sua
voce era incolore quando pronunciò “Avanti”
Sbucò la
testa della signora Margaret e con un’occhiata prima al figlio e poi a me domandò “Tutto bene ragazzi?”
“Benissimo,
grazie”
Ero stata
io a pronunciare quelle parole. Ma il mio corpo non era della stessa idea. Mi
sentivo ancora tutta scombussolata a causa del bacio. Gerard annuì solamente.
“Bene” e si
congedò sorridendo richiudendo la porta dietro di sé.
“Dove
eravamo rimasti?”
Si volse
nella mia direzione con un sorriso sghembo e lo sguardo malizioso. Solo in quel
momento capì le sue vere intenzioni.
Mi aveva distratta.
Piacevolmente distratta mi suggerì una vocina
dentro la mia testa.
Vero, ma il succo della storia non cambiava.
Mi aveva
rabbonita con un bacio, come se questo sistemasse la faccenda. Come se io fossi
una delle tante ragazzine stupidotte e follemente innamorate dei propri idoli.
Magari si aspettava pure che mi gettassi ai suoi piedi per chiedere il bis.
Maledetto! Ma aveva capito
male, proprio male!
Infatti con
sguardo glaciale mi avvicinai e senza la minima esitazione lo schiaffeggiai.
“Non ti
permettere mai più di fare una cosa del genere. Almeno non senza il mio
consenso! Io non sono una delle tante fan che si gettano ai tuoi piedi e si
lasciano calpestare come degli zerbini”
Lo superai
ancora rigida per la rabbia. Non mi voltai nemmeno una volta, risalii le scale
e rientrai in camera chiudendo la porta dietro di me.
Oh cavolo… quello si che era un bacio!
Mi lasciai
cadere sul letto ancora completamente vestita. Portai due dita sulle labbra con
fare pensieroso.
Avevo reagito in maniera
eccessiva?
Non mi andava
che mi vedesse come una sciocca ragazzina che si abbandona nelle braccia del
primo arrivato.
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Capitolo 9 *** X Capitolo ***
Cap. 10
X Capitolo
E adesso che diavolo le è preso?
Forse le aveva dato fastidio il
fatto di essere baciata.
Bacio così male?
Era stato un impulso del momento
e non ne ero affatto pentito. Le sue labbra erano così vellutate così
arrendevoli.
Il telefono dentro la tasca dei
miei jeans cominciò a vibrare. Tirai fuori il cellulare e lo appoggiai
all’orecchio.
“Pronto?”
Non avevo nemmeno visto chi
fosse.
“Gerard!”
La voce dall’altra parte
dell’apparecchio era infuriata.
Cazzo, ho dimenticato di chiamarla!
“Gerard, rispondi!”
“Ciao Susy…” le risposi in tono
colpevole
Era incazzata nera e a ragione.
Le avevo promesso che l’avrei chiamata appena arrivato a casa. E invece me ne
ero dimenticato!
“Niente ciao! Avevi promesso che
mi avresti chiamato Gerard!”
“Hai ragione Susy, ma…”
“Niente ma… Sei un idiota Gerard
Butler”
Aveva tutte le ragioni del mondo.
“Ero preoccupata” riprese ancora
“Mi dispiace tesoro”
Era la serata delle scuse?
“Non ho
avuto nemmeno il tempo di pensare. Davvero.”
“Perché
cosa è successo?”
“Beh, di
tutto di più” esclamai sedendomi sul divano e sorridendo decisi di raccontarle
tutto “Sono arrivato nel tardo
pomeriggio e mentre percorrevo a piedi il sentiero che dalla strada principale
porta verso casa mia mi sono imbattuto in una ragazzina sdraiata a terra”
“Sdraiata a
terra? Sul sentiero?”
“No, non
sul sentiero. Hai presente le piccole colline dietro casa? Quelle che portano
al lago? Beh, lei era sdraiata sull’erba, vicino al lago”
“Ma stava
male? Era ferita o altro?” domandò Susy curiosa
“No, no. Si
era solo addormentata” risposi ridendo “Comunque, mi sono avvicinato per
assicurarmi che fosse tutto a posto. E abbiamo parlato un po’ mentre
l’accompagnavo a casa”
“Beh, sei
stato gentile. Ma questo cosa c’entra con il fatto che non mi hai chiamato?”
“Aspetta,
lasciami finire” la interruppi per proseguire “Poi sono entrato a casa ed ho
trovato mia madre. Naturalmente era sorpresa e felice del fatto che fossi lì;
mi ha salutato, abbracciato e abbiamo parlato un poco. Sai com’è fatta mia
madre”
“Si, certo”
asserì lei
“Beh, mi ha
detto di aver invitato una sua vecchia amica italiana di nome Lisa”
“E chi è?”
“Non ti ho
mai parlato di lei, né della sua famiglia, in effetti. Per riassumere erano dei
nostri vicini lei e suo marito. Lisa, è di origini italiane mentre il marito
Paul St. Louis era il migliore amico di mio padre, si conoscevano da una vita.
Comunque, i due si sposarono ed ebbero un figlio, John se non ricordo male, che
dovrebbe avere la mia età, ma dopo qualche anno ritornarono in Italia. E mia
madre è rimasta in contatto con Lisa, sono amiche”
“E poi?”
Sorrisi e
mi sdraiai sul divano con le gambe distese e la testa poggiata sul bracciolo.
“L’ha
invitata, come ti dicevo, qui a casa per farle compagnia. Devi sapere che la
signora St. Louis, Lisa, ha perso il marito diverso tempo fa e può capire bene
la nostra situazione”
Ero
ridiventato serio di colpo
“Oh,
poverina mi spiace” la voce di Susy suonò triste e delicata e lo apprezzai
molto.
“Già” dissi
tirando su con il naso “Abbiamo cenato insieme stasera”
“Come è
andata? Come sta tua madre?” domandò in pensiero per lei
“Credo proprio
che la vicinanza di Lisa l’aiuterà parecchio”
“Beh,
menomale” mi consolò lei
“A cena
c’era anche sua figlia, Sophie”
“Sua
figlia? Ma non avevi detto che aveva un figlio?“
“I coniugi
St. Louis ebbero due figli. John nacque qui in Scozia mentre Sophie è nata in
Italia” spiegai pazientemente. Lei giustamente non poteva sapere.
“E com’è
questa Sophie?” era curiosissima ed io cominciai a ridacchiare da solo.
“Perché
ridi? E’ brutta?”
“Affatto” risposi
sincero “Anzi … è molto bella” aggiunsi subito dopo “E’ alta e slanciata. Porta
i capelli lunghi ed ha un viso davvero grazioso” descrissi Sophie sperando di
risultare oggettivo. “Sembra essere riservata ma è molto orgogliosa. Arrossisce
spesso. E’ la ragazza che era distesa sull’erba”
“Mhmhm”
Ridacchiai
di nuovo al ricordo del nostro incontro-scontro.
“Non mi dire
che ti sei comportato come tuo solito?” chiese con una nota di rimprovero nella
voce
“E
sarebbe?”
“In maniera
arrogante e presuntuosa, ovvio! Un vero scassa palle! Ti diverti a mettere in
soggezione le persone. In più, grazie al tuo aspetto, sei un diavolo seduttore.
Lo sai e ti comporti di conseguenza” rispose divertita.
“Non è vero!”
“Si,
invece. Lo sai, non fare lo gnorri!” ribatté ridendo
“Beh,
allora sarai contenta di sapere che mi ha rimesso in riga in pochi minuti”
“Perché?
Cosa hai combinato?”
“L’ho
baciata” risposi sogghignando
“Come l’hai
baciata? A cena?”
“No, Susy
non a cena. All’inizio non mi aveva riconosciuto, quando ci siamo incontrati
fuori intendo. Poi mia madre ha chiarito le cose presentandoci”
“E lei?
Come ha reagito?” domandò ancora
“Beh, credo
di averla messa in soggezione, a tavola, perché si è alzata di punto in bianco
ed è uscita senza finire di mangiare”
“Sei sempre
il solito, Gerard” esclamò ridendo “Ti conosco. Sicuramente ti sarai comportato
in maniera insolente e derisoria. L’avrai importunata o offesa. Sicuro!”
affermò decisa
“E’ quello
che pensa mia madre”
“Già, lo
immaginavo. E allora il bacio?”
“Beh, mi
sono alzato anche io e l’ho rincorsa per scusarmi”
“E l’hai
baciata!” m’interruppe lei
“No, non
subito. Mi sono scusato ma lei mi ha fatto una tirata che non finiva più. Mi ha
accusato di essere pomposo e altezzoso, non ricordo molto bene le parole
esatte.”
Alle mie
parole scoppiò a ridere.
“Ha fatto
bene!” disse ancora ridendo “Mi piacerebbe conoscerla. Andremo sicuramente
d’accordo” esclamò ancora ridendo
“Beh, io
per zittirla l’ho baciata”
“E lei? Non
mi dire che ti è cascata ai piedi ”
“Affatto!
Anzi mi ha schiaffeggiato”
“Giustamente!”
Susy non aveva ancora smesso di ridere e la reazione di Sophie l’aveva accesa
di più.
“Mica puoi
baciare tutte quelle che ti pare e aspettarti che non reagiscano, Casanova!”
continuò lei ostinata “Comunque, non ti ho chiamato solo per farti la
ramanzina. Ho sentito Bob … e dovrebbe chiamarti domani perché ha due nuove
sceneggiature da proporti”
“Mhmhhm”
“No,
tranquillo. Dice che sembrano buone, molto buone“ anticipò lei
“Mmh,
vedremo” commentai io
“Beh, ti
saluto. Buona notte. Comportati bene!”
“Ciao
Susy.” La salutai e riagganciai.
Salì le
scale e attraversando il corridoio arrivai davanti alla porta della mia camera
ed entrai. Mi spogliai, feci una doccia e m’infilai sotto le coperte.
L’orologio a muro segnava l’una di notte. Misi una mano dietro la nuca e mi
predisposi per addormentarmi.
Non vedo l’ora di
conoscere meglio questa Sophie!
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Capitolo 10 *** XI Capitolo ***
Cap. 11
XI Capitolo
Il mattino
seguente mi alzai riposato e di buon umore. Dopo una veloce doccia, mi vestì e
scesi per la colazione.
Un buon profumino
di brioches, appena sfornate, solleticò il mio naso e con due falcate raggiunsi
la cucina. Tornai in sala da pranzo con in mano un vassoio stracolmo di
brioches, succo di frutta, caffè, zucchero, cereali, frutta ed un piatto di
uova e bacon fritti ancora fumanti. Mi leccai le labbra al pensiero di tutte quelle
delizie. Poggiai il vassoio sul lungo tavolo e mi accomodai.
Diedi uno
sguardo al grande orologio che decorava la parete di fronte. Era presto, erano
appena le otto.
“Gerard,
tesoro…” cominciò a parlare mia madre.
Lei e Lisa
mi sedevano di fronte.
Alzai la
testa ma non dissi nulla, anche perché avevo la bocca piena e non mi sembrava
una buona idea spargere pezzi di uova nel raggio di un paio di metri.
“Io e Lisa
stavamo pensando di andare a Glasgow. Vorrei andare al cimitero a trovare papà”
“Volete che
vi accompagni?” chiesi loro deglutendo.
L’idea di andare al cimitero non mi entusiasmava.
Avrei preferito aspettare.
“No, caro.
Non è necessario. Farò compagnia io a tua madre” rispose Lisa.
Il suo
volto era sereno e mi sorrideva leggermente. Nonostante l’età era una bella
donna.
“Va
bene”acconsentì annuendo
Mia madre
sorrise e dopo qualche secondo si alzarono entrambe andando a prepararsi.
Sarebbero tornate in tarda serata.
Finì di
fare colazione con calma. Qualche giorno di vacanza ci voleva proprio. Mi sarei
rilassato e riposato. Da tempo non trovavo del tempo da dedicare a me stesso e
ai miei interessi. Amavo leggere, fare sport ed uscire con gli amici. Ma, in
assoluto, amavo dormire.
Avendo
assolto quello, mi avvicinai alla fornita libreria, in salotto, e ne presi un
volume. Mi accomodai sulla poltrona e dando le spalle alla porta concentrai la
mia attenzione sul testo che avevo fra le mani.
“Buon
giorno” una voce mi distrasse e mi fece voltare la testa.
Sophie era
alla porta con una mano sulla maniglia. Indossava una lunga maglietta a maniche
corte che le copriva le gambe fino a metà coscia. Aveva i capelli in disordine
e il viso ancora assonnato, tuttavia la trovai bellissima.
Era
semplice, senza trucco. Molto naturale.
“Ti
disturbo?” chiese notando il libro che ancora tenevo in mano
Probabilmente
avevo ancora la bocca aperta come un baccalà, così cercando di riprendermi la
invitai ad entrare.
“No, certo
che no. Accomodati. Ben svegliata”
Seguì i
suoi passi con lo sguardo finché non si accomodò sul divano. Solo allora notai
che non aveva ciabatte né calze. Era a piedi nudi.
“Scusa, ma
non sopporto le ciabatte e le calze le utilizzo solo in inverno o quando fa
troppo freddo” spiegò con un sorriso.
“Hai fame?”
le chiesi
“Hai visto
mia madre?”
Parlammo
entrambi nello stesso momento e dopo un’occhiata sorridemmo tutti e due.
“Lisa e mia
madre sono uscite circa quaranta minuti fa”
dichiarai guardando l’orologio che avevo al polso “Sono andate a
Glasgow, al cimitero. Torneranno in tarda serata” conclusi.
Lei attenta annuì con la testa e lentamente si
alzò
“Dove vai?”
chiesi senza neanche pensare
“Ho fame.
Vado a fare colazione”
Era seria
ed evitò di guardarmi. Era alla porta quando mi alzai anche io e feci per
seguirla
“Aspetta …
ti accompagno”
“Grazie ma
non è necessario. So dov’è la cucina” aveva usato un tono freddo.
Forse è ancora arrabbiata
per quello che è successo ieri sera.
La seguì
ugualmente mentre un ghigno apparve sul mio viso
Susy aveva ragione … ero
uno scassapalle!
Si muoveva
senza fretta con passi brevi. Aveva la schiena dritta ed un buon portamento.
Ancheggiava leggermente ma non in maniera volgare.
Possibile che qualsiasi
cosa faccia questa ragazza mi tiri a sé come una falena alla sua luce?
Non la
seguì fino in cucina ma rimasi in sala da pranzo apparecchiando un angolino
solo per lei.
La vidi
ritornare con una strana espressione sul viso.
“Cosa c’è?”
domandai candidamente
“Non c’è
nulla da mangiare” rispose sbuffando scocciata “Strano perchè Lisa mi aveva promesso di
preparare le brioches. Sa che le adoro, soprattutto per colazione” continuò
pensierosa.
A quelle
parole un brivido di panico mi attraversò.
Avevo mangiato io tutte le
brioches!
Naturalmente
non ne feci parola e con indifferenza dissi “Beh, poco male. Usciamo! Ti offro
la colazione”
“No,
grazie. Non importa” guardò l’orologio e sbuffò di nuovo.
In pochi
passi raggiunse la porta, ma non gli permisi di uscire perché la bloccai per un
braccio.
“Hai fame …
ed è ancora presto, qui vicino c’è un posticino molto carino dove fanno delle
brioches al cioccolato favolose” tentai di convincerla
“Non
importa. Grazie” provò a liberarsi dalla mia stretta ma io non mollai
“Perché
no?” domandai curioso
“Perché non
mi sei particolarmente simpatico e preferisco non essere in debito con chi mi è
antipatico”
La guardai
negli occhi per qualche istante per poi scoppiare a ridere
“Sei sempre
così esplicita?”
“Sono sincera
e dico sempre quello che penso, si! ” ribatté alzando il mento.
Con uno
strattone liberò il braccio dalla mia presa.
“Potresti
risultare acida e sgradita con questo atteggiamento, lo sai?”
Scrollò le
spalle “Sono fatta così!” si stava accingendo a salire le scale quando la mia
voce la bloccò
“Mi piace
come sei fatta” ribattei accarezzando il suo corpo con lo sguardo
Lei si girò
verso di me. Incrociò lo sguardo con il mio, arrossì ma non proferì parola.
Si girò
nuovamente e s’incamminò su per le scale, probabilmente verso la sua camera.
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Capitolo 11 *** XII Capitolo ***
Cap. 12
XII Capitolo
Diavolo! Quell’uomo mi manderà in fumo il
cervello!
Ero affamata.
Probabilmente Margaret aveva dimenticato le brioches. Avrei fatto altro per non
pensare al buco che avevo nello stomaco.
Mi lavai e
mi vestì in fretta. Jeans chiari strappati abbinati ad una maglia vecchia e
larga. Avrei disegnato e lo avrei fatto fuori. Era una bella giornata e non mi
andava di rimanere dentro con quell’impiastro di Gerard.
Un bell’impiastro …
un impiastro affascinante …
un impiastro molto sexy e … basta!
Mi imposi
di tenere a bada gli ormoni e preso tutto l’occorrente scesi le scale e uscii.
Una veloce occhiata mi permise di tirare un sospiro. Lui non si vedeva, probabilmente
era in salotto e continuava a leggere. Prima lo avevo interrotto. Non avrei mai
pensato fosse uno che legge o che gli piacesse farlo.
Ed io che pensavo che i
tipi Hollywoodiani come lui passassero tutto il proprio tempo davanti uno
specchio a farsi belli o a congratularsi con madre natura per quanto fossero
affascinanti!
Adesso stai esagerando mi
ammonì una vocina interna.
Forse in
questo modo potevo tenerlo a distanza di sicurezza.
Erano
passati tre giorni da quando eravamo arrivate in Scozia e il posto mi aveva
piacevolmente colpito. Quella terra era spettacolare, i colori così accesi e
gli odori così autentici. Bianche nuvole spumose decoravano il cielo limpido.
Odore di erba e fiori di campo si levava nell’aria. Ieri avevo fatto un giro
all’esterno dell’enorme proprietà dei Butler ed ero rimasta incantata dal
giardino. Era ricco di colori, di minuscoli insetti e vivacissime farfalle.
Mi
accomodai su una delle panche da giardino con l’album da disegno sulle
ginocchia. Ogni volta che disegnavo o dipingevo svuotavo la mente da tutto e mi
rilassavo. Mi concentrai sui fiori, sul paesaggio che mi circondava, sui suoni
che sentivo. Sorridendo mi lasciai andare e cominciai a far vagare la mano sul
foglio.
Ero alla
finestra ad osservarla. Era seduta in giardino, tra fiori e farfalle e aveva in
mano un quaderno su cui era chinata.
Si, avevo visto giusto.
Era un artista. Ne aveva l’animo. Delicata ma tenace.
Il
cellulare nella mia tasca prese a vibrare distogliendomi da lei. Era Bob, il
mio manager.
“Hey, Bob”
“Ciao Gerard.
Tutto ok?” mi domandò
“Si, tutto
bene. Sono in Scozia da mia madre ora”
In realtà
non penso gliene importasse molto.
Bob era un uomo simpatico
ed intelligente ma, come tutti i manager, pensava prima agli affari e poi al
resto, persone comprese.
“Si, ok.
Ascolta ho due proposte molto interessanti, due sceneggiature. Entrambi i
registi non vedono l’ora di lavorare con te” aveva un tono spiccio
Bob oltre
ad avere fiuto per gli affari, era un grande appassionato e conoscitore di
film, quindi diverso tempo fa, in accordo, decidemmo che si sarebbe occupato
anche delle mie scelte professionali.
Chiaramente l’ultima parola spettava a me, ma lui
mi aiutava a “cestinare” le proposte scadenti. Perciò mi fidavo del suo parere.
“Si. Però
vorrei valutarle attentamente prima di firmare il contratto” chiarì.
“Ma certo Gerard,
come sempre. Abbiamo appuntamento per la prossima settimana a Londra. Parleremo
con entrambi e valuteremo le loro proposte”
“Merda,
Bob! Sono in vacanza. Non te lo ha detto Susy?!” mi lamentai a gran voce.
“Deve
avermelo accennato, si, ma Gerard sono proposte importanti. Devi esserci!”
continuò implacabile
Lo sapevo, l’ho sempre
saputo. Per fare il mio lavoro si è costretti a fare delle scelte. Si arriva ad
un punto in cui anche le cose importanti, come la famiglia, la propria privacy
o la propria vita, vengono messe in secondo piano. Ora però mia madre aveva
bisogno di me ed io sinceramente avevo bisogno di prendermi una pausa. Fino ad
un paio di giorni fa ero convinto del contrario ma Susy mi aveva fatto
ragionare.
“Bob,
dobbiamo rinviare l’incontro” affermai deciso
“Impossibile
Gerard! Hanno a disposizione poco tempo, anzi addirittura volevano vederti
questa settimana” chiarì lui “Sono riuscito a organizzare il tutto per
settimana prossima a fatica” spiegò quasi gongolando
In effetti
Bob, era capace di intortarne parecchi. Anche per questo l’avevo scelto.
Imprecai ad
alta voce, furioso con Bob.
“Lo so, lo
so Gerard! Ma credimi se fossi riuscito a fare diversamente lo avrei fatto ben
volentieri”
“E va bene,
va bene. Mi devi due mesi di ferie, Bob!” ringhiai contrariato
“Benissimo!
Chiamo subito Susy in modo che organizzi tutto. Ci risentiamo a fine settimana.
Ciao Gerard”
“Ciao Bob”
Bella rottura di palle!
Sarei partito
di nuovo fra tre giorni. Ed io che avevo intenzione di rilassarmi in po’.
Tornai alla finestra e notai che Sophie era ancora lì, intenta e concentrata.
Era al sole ma il suo viso rimaneva in ombra perché leggermente piegato verso
il basso.
Ero curioso
di sapere cosa stesse disegnando. Riposi il libro al suo posto e a grandi passi
uscì di casa per raggiungerla in giardino.
“Mi copri la luce” si lamentò infastidita
In effetti volevo farlo. Era divertente
farla arrabbiare o semplicemente farla innervosire.
“Oh, scusami” Non ero dispiaciuto per nulla
“Allora?
Cosa fai? Ti sposti oppure rimani lì tutto il giorno?”
“Se non stai attenta potresti darmi
l’impressione di non essere interessata alla mia compagnia” replicai fintamente
offeso
“Ed io che credevo che non fossi intelligente
… beh mi sbagliavo!”
Il suo sorriso era così luminoso che ci
misi un po’ a capire che mi aveva appena insultato
“Comunque, credo che rimarrò qui”
ribattei ghignando
Se pensava di allontanarmi … beh, si sbagliava di
grosso!
Lei sbuffò spazientita “Cosa vuoi Gerard? Non hai nessun’altro da
infastidire?”
“No, in realtà no“ ammisi candidamente
“Ma come?! Nessuna modella o attrice
dietro cui sbavare? Vai ad infastidire loro e lasciami in pace!”
“Ouch… che acidità! Era sarcasmo?“ continuai
malefico “Sicuramente sei curiosa … come tutte le fan, vorrai sicuramente
sapere delle mie innumerevoli conquiste amorose!”
“Guarda non me ne può fregare di meno,
delle tue conquiste! E poi non sono una tua fan” ribattè lei risoluta
“Non dire bugie Soph … altrimenti lo dico
alla tua mamma!” la stavo prendendo in giro
“Gerard, levati dai piedi! Mi copri la
luce e non riesco a lavorare” chiarì decisa
Continuai a rimanere lì fermo sfidandola
con lo sguardo.
Lei sbuffò di nuovo alzando gli occhi al
cielo. “Sei una piaga Gerard Butler!” ammise spostandosi poco lontano.
“Cosa disegni?” domandai curioso
avvicinandomi e abbassandomi per sbirciare
“Niente di chè … Mr. Ficcanaso!”
Ora i nostri volti erano vicinissimi.
Aveva un odore buonissimo, fresco e dolce. I nostri sguardi rimasero incatenati
e dopo pochi secondi lei, arrossendo, si allontanò.
Ancora ghignando le sedetti accanto.
“Cosa diavolo vuoi Gerard?”
Non le risposi subito così tornò a
disegnare. Guardavo la sua mano che decisa si muoveva sul foglio. Era brava,
molto brava.
“Ho voglia di fare una passeggiata”
“E come mai sei ancora qui?”
La guardai accigliato “Sei troppo
scortese e scorbutica per essere così carina!”
“Indovina un po’ di chi è la colpa?”
replicò acida
Continuavo a guardarla. Era bella. Anche
quando era arrabbiata. E farla innervosire era maledettamente divertente.
“Cos’è … hai bisogno del permesso per
uscire dal cancello?”
Io non le avevo ancora detto nulla e
continuavo a fissarla.
“Va bene. Fai il bravo e ascolta le maestre.
Non litigare e non fare a botte con gli alti bambini” aggiunse sempre più sarcastica
Mi stava deridendo e nemmeno tanto velatamente!
“No, non hai capito. Ho voglia di fare
una passeggiata e voglio che tu venga con me”
Lei alzò lo sguardo “Voglio che tu venga
con me!” ripeté scimmiottandomi “Cos’è?
Un ordine?”
“Non è un ordine. E’ solo un invito”
“Beh, ora sto disegnando, quindi ho
altro da fare. Grazie ma no!”
Aveva un sorrisino furbo sulla faccia.
Era stata gentile al contrario di me e forse credeva che le avrei usato la
stessa cortesia.
Quanto si sbaglia!!!!
“Sophie, voglio che tu venga con me. In
caso contrario continuerò a stare qui e a tormentarti finché non sbaglierai
qualcosa. Non vorrai mica rovinare quel bel disegno, vero?”
Mi stavo comportando come uno stronzo e
lo sapevo, ma la telefonata di Bob mi aveva fatto infuriare parecchio. Lei mi
avrebbe aiutato a pensare ad altro e poi, in verità, volevo la sua compagnia.
Volevo conoscerla meglio.
“E’ una minaccia, per caso?” ringhiò a
denti stretti
Aveva appoggiato l’album al suo fianco e
si era alzata per sovrastarmi. Ora mi guardava dall’alto verso il basso con i
pugni sui fianchi. Gli occhi ridotti a due fessure.
Con un sorriso mi alzai anche io “E’ un consiglio” replicai con finta dolcezza
Adesso la sovrastavo di una decina di
centimetri. Avevo ribaltato la posizione e lei sembrò notare la cosa perché
indietreggiò di un passo ma senza abbassare lo sguardo.
Adoro le donne decise!!!
“A me non pare proprio, Hollywood!” replicò
infervorata
“Allora? Cosa hai deciso?”
“Non c’è molto da decidere. Mi stai
ricattando per obbligarmi ad accompagnarti a fare questa dannatissima passeggiata!”
rispose sbuffando come un toro.
Guardò il suo album e poi nuovamente me
annuendo, infine, con la testa.
Sorrisi per la vittoria ottenuta.
“Togliti quel sorriso idiota dalla
faccia, Hollywood! Non lo faccio per te, sia chiaro. Lo faccio solo per non
vederti rovinare il mio lavoro!” ribatté infuriata
“Sapevo che avresti fatto la scelta
giusta” ammisi ridendo.
Lei sbuffò ancora. Si diresse verso casa
a grandi passi ignorandomi completamente.
“Vado a cambiarmi” annunciò ad alta voce
quando ormai era rientrata.
L’avevo seguita ancora sogghignando.
“Bene. Ti aspetto qui ma non metterci
molto. Sono impaziente e non sopporto i ritardatari!”
Lei sbuffò di nuovo borbottando qualcosa
in un’altra lingua. In italiano, sicuramente. Mi piaceva l’inflessione e il
suono delle loro parole.
Forse dovrei farmi insegnare qualche parola … così
avrei capito quando mi insultava.
Dieci minuti dopo era di nuovo in cima
alle scale. Indossava un paio di jeans scuri, molto stretti, stivali al
ginocchio ed una camicetta a maniche corte, scura anche quella. Nonostante
l’abbigliamento non fosse né appariscente né sexy, il suo corpo mi sembrò
comunque molto provocante. Forse dipendeva dal modo in cui camminava o forse
erano quei jeans che le fasciavano le cosce e il sedere. Appena giunta alla
fine delle scale, notai che la camicetta le tirava un poco in corrispondenza
del seno.
No, non mi ero sbagliato. Era decisamente abbondante.
Avrei tanto voluto spogliarla tutta per guardare e magari accarezzare il suo corpo.
Lei mi guardava accigliata. Se avesse
saputo cosa mi passava per la mente mi avrebbe di sicuro schiaffeggiato.
Sorrisi al pensiero, scossi la testa e aprì la porta in modo da permetterle di
uscire.
Mi affiancai a lei e, percorrendo il
vialetto davanti casa, uscimmo dal cancello.
“Allora? Dove siamo diretti?” domandò
ancora seccata.
“Non lontano, non preoccuparti. Fortuna che hai indossato scarpe basse perché
il terreno non è molto regolare.”
“Lo immaginavo. Per quanto io adori i
tacchi non li avrei mai messi per una passeggiata in campagna. Sono
estremamente goffa e avrei rischiato di inciampare e cadere più volte” ammise
“Ti avrei sorretto io”
“Magari l’ho fatto proprio per questo.
Per non dover dipendere da te, Hollywood!” ammise con un sorriso beffardo “E comunque mi piace essere autonoma ed
indipendente”
“Chissà perché lo immaginavo” risposi con un sorriso indulgente
Si era fermata e mi guardava seria con le
mani sui fianchi.
“Comunque, ora non preoccupartene. Piuttosto
parlami un po’ di te”
“Perché?”
“Che domanda sciocca … perché mi
interessa ragazzina!”
“Cosa vuoi sapere?” mi domandò sbuffando
e distogliendo lo sguardo in modo da poter riprendere a camminare
“Qualsiasi cosa. Dove vivi? Studi o
lavori? Cosa ti piace fare nel tempo libero?” le ero di nuovo di fianco e di
tanto in tanto distoglievo lo sguardo dal sentiero per guardarla
“La mia vita è molto semplice e per
nulla affascinante come la tua Hollywood”
“Questo lascialo giudicare a me. Forza,
raccontami un po’ di te. Sono curioso”
Non volevo mollare, volevo conoscerla e
ci sarei riuscito.
Lei sbuffò, si girò a guardarmi con il
viso serio. Io la incitai con lo sguardo e finalmente la convinsi.
“Sono nata e cresciuta in Italia. Vivo insieme
a mia madre e John, mio fratello. Ho da poco finito di studiare e mi sono
laureata solo qualche settimana fa. Ora che ho tempo libero mi piacerebbe fare
qualche viaggio e migliorare il mio inglese. Come hai sicuramente notato non è
molto buono” disse tutto velocemente e con tono svogliato
“Beh, te la cavi piuttosto bene mi
sembra. E comunque potrei aiutarti io” proposi
“Oh, ma che gentile … grazie ma
preferisco di no” rispose acidamente
La afferrai per un braccio e mi fermai
trattenendola
“Senti forse abbiamo iniziato con il
piede sbagliato. E magari ho sbagliato a comportarmi in quella maniera…
entrambe le volte e …”
“Forse … magari … dì pure sicuramente! Ascolta,
non m’interessano i tuoi sensi di colpa” m’interruppe “Sinceramente pensavo fossi diverso ma mi sono
sbagliata! Ho conosciuto tua madre e mi sarei aspettata altro da te, ma
suppongo che i soldi diano alla testa alle volte e …”
“Tu non mi conosci quindi evita di giudicarmi!
Ora …” sospirai pesantemente
Era davvero difficile. Lei era
difficile, avere a che fare con lei.
“Vorrei sistemare le cose con te perché
sembri essere una ragazza intelligente e parecchio interessante. Posso solo
dirti che mi dispiace” dichiarai risoluto
Lei rimase a bocca aperta, sicuramente
stupita delle mie parole.
“Ti stai scusando?” domandò colpita
“Si, esatto. Questa è la seconda volta
che lo faccio per te ma non ti ci abituare. Ora, vogliamo metterci una pietra
sopra e ricominciare dall’inizio?”
Lei mi guardò per qualche secondo. Forse
non credeva alle mie parole. Dopo poco annuì e con gesti lenti si liberò dalla
mia presa.
Continuammo a passeggiare per qualche
minuto in silenzio
“Ti potrei aiutare veramente con
l’inglese, se ci tieni. Sono piuttosto bravo con la lingua” le proposi nuovamente
M’interruppi perché mi accorsi del
piccolo lapsus. Il mio tono non voleva essere malizioso ma lei non se ne
accorse. Mi guardò e poi scoppiò a ridere.
“Dimmi un po’… ma fai sempre così?” domandò ridendo
“Così come?”
“Sei sempre così malizioso? Fai battute
con doppi sensi a tutte le ragazze?”
“No, affatto, e non volevo esserlo!
Voglio aiutarti davvero” ammisi.
Lei mi guardò intensamente per diverso
tempo per poi annuire positivamente. Tornando seria cambiò discorso.
“Disegnare e dipingere mi rilassa, per
questo lo faccio spesso. Adoro leggere, uscire con gli amici, ballare e andare
al cinema o guardare film sdraiata sul divano di casa” continuò lei
“Film, eh? Che genere di film ti
piacciono?” domandai curioso e divertito
“Adoro le commedie, i film romantici ma
anche quelli d’azione. Un po’ meno invece i film d’horror o i thriller”
“E quali sono i tuoi attori preferiti? “
domandai ancora
“Mi piace molto Johnny Depp e Matt
Damon. La mia attrice preferita è Sandra Bullock. Mi piace moltissimo anche Katherine
Heigl” affermò
“E il tuo attore preferito?” ora volevo
proprio provocarla
“Boh, non saprei” rispose con tono vago.
Stava tergiversando e guardava ostinatamente a terra.
“E di me cosa ne pensi? Ti piacciono i
miei film?” domandai andando al sodo
“S-si, un po’ ” borbottò senza
guardarmi.
Così le presi un braccio per fermarla.
Volevo che mi guardasse.
“Cosa c’è?”
Io alzai entrambe le sopracciglia senza
dire nulla. Volevo che rispondesse alla mia domanda, ero curioso. Lei sbuffò e
con gentile fermezza si liberò dalla mia presa.
“Si, mi piacciono molto i tuoi film. Sei
uno degli attori che preferisco” ammise riprendendo a camminare. Sorrisi contento
e in poche falcate la affiancai
“Davvero?” domandai con un sorriso
sincero
“Si, davvero Hollywood. Ora però non ti
montare la testa”
Risi apertamente ma proseguì domandando
ancora
“Continua … dimmi qualcos’altro di te.”
Volevo sapere tutto di lei. Sembrava una
ragazza singolare ed intrigante. La curiosità mi divorava.
“Beh, mi piace cucinare e il mio piatto
preferito è la pizza”
“Piace molto anche a me, la pizza” le
confidai allegro
Sophie alzò un sopracciglio come se
fosse stupita. “Dove l’hai mangiata?”
chiese
“A New York” risposi sicuro.
Lei sorrise e scosse il capo “Allora non
è vera pizza. La pizza devi mangiarla in Italia e se proprio sei un
intenditore, a Napoli la fanno super” annunciò solare.
Il suo sorriso era bellissimo. Aperto e
luminoso.
Ora che eravamo fuori, all’aria aperta,
mi soffermai a guardarla con attenzione.
Aveva la pelle chiara e luminosa,
lucenti capelli dorati con riflessi rossi e un sorriso incantevole. I suoi occhi
erano chiari, brillanti e scintillavano ogni volta che sorrideva.
“Molto bene. Allora mi porterai a
mangiare la pizza quando verrò a trovarti in Italia”
“Ok.”
“Il tuo colore preferito?”
“Il nero. In assoluto.” rispose subito “Mi piace moltissimo lo stile dark-gothic. Ah,
dimenticavo … adoro fare shopping!”
“Chissà perché me lo aspettavo”
dichiarai con un sorriso
“Il tuo colore preferito?”
“Il blu, direi. Ma dipende molto dall’occasione,
anche il grigio non mi dispiace”
Eravamo arrivati a destinazione. Mi
fermai e lei, che in quel momento mi guardava, si voltò e rimase a bocca aperta
per lo stupore.
L’avevo portata davanti l’abbazia di
Paisley. Uno dei luoghi più interessanti e affascinanti della città.
“Mio Dio ma … è bellissima” esclamò stupita
“Ti piace?”
Sapevo già quale sarebbe stata la sua
risposta. Glielo si leggeva in faccia.
“Se mi piace … certo! E’ una costruzione
stupefacente. Ti prego raccontami la sua storia.”
La presi per mano e, con finta
disinvoltura, cominciai ad avvicinarmi per farle fare un giro all’esterno. Sophie,
docile, mi guardava con occhi scintillanti di aspettativa.
E in quel momento, appena le strinsi la
mano, una strana sensazione s’impossessò di me. Un calore, un tepore così
piacevole che ne fui deliziato. Si dilatò dalla mano al braccio, fino a
raggiungere il petto e poi più in basso sino alle gambe. Ne fui investito in
pieno.
La condussi verso il sentiero che
segnava il perimetro della costruzione
“Questa è l’abbazia della città ed è la
diocesi della chiesa di Scozia. In precedenza è stata luogo di sepoltura di
parecchi re dal XIII al XV secolo. Come puoi vedere è situata nel centro della
città ed è una dei posti che preferisco, qui” spiegai cercando di ricordare ogni particolare
della sua storia
“Parli troppo veloce. Non ti capisco. Ti
prego, potresti ripetere?”
“Se me lo chiedi così dolcemente” sussurrai
divertito
Lei arrossì subito. Ripetei tutto piano
e usando parole più semplici. Alla fine mi sorrise e m’incitò a continuare.
“Secondo la tradizione il primo a
fondare una comunità in questa zona, fu il monaco irlandese Mirren nel VII secolo. Devi sapere che
Mirren, il monaco, amava suonare un piccolo flauto e si racconta che lo facesse
in maniera davvero meravigliosa. Componeva da se musica e parole. Di notte
molti raccontano che passando da qui si riesca a sentire il suono di quel
flauto. Una musica bellissima e così dolce che incanta chiunque l’ascolti“
“Davvero?”
domandò Sophie.
Gli occhi le
scintillavano di curiosità ed allegria. E per un momento mi persi in quello
sguardo così puro e dolce
“Così dicono”
“Non sai
quanto mi piacerebbe assistere e vederlo di persona” mi confidò guardando
ancora verso l’edificio
“Sei una
patita di fantasmi?”
“No, affatto.
Però sarebbe un’esperienza unica assistere ad eventi del genere”
“Beh, se ti
piacciono le leggende qui ne troverai moltissime. La Scozia è un posto magico e
leggendario“ la guardavo ancora “La stessa aria che respiri è intrisa di storie
e racconti popolari, antiche poesie e vecchi miti”
“Tu ne
conosci qualcuna? Di storie, miti o magari solo poesie? Mi piacerebbe tanto
sentirne qualcuna”
“Si, si può
fare” annuì sorridendo
Lei si avvicinò
a me e m’incitò a continuare.
“Comunque, il monastero fu fondato nel 1163 ed acquisì lo status
di abbazia nel 1245. Una serie di incendi e crolli durante il XV ed il XVI
secolo lasciò l'abbazia in stato di
rovina. In stile neogotico vi sono la porta settentrionale e il campanile,
lassù” ed indicai il punto più alto.
“E poi?”
Sorrisi “Beh, non c’è molto altro da dire. La parte
occidentale dell’edificio è in stile gotico e risale al XII secolo. L'organo è
datato al 1872, fu costruito dal francese Cavaillé-Coll.
L'abbazia è il luogo di sepoltura dei primi Stuart ed ospita oggi anche la Barochan
Cross, una croce celtica
che risalente al X secolo. Basta, non so nient’altro.” conclusi
“Beh, ne sai moltissimo. Sembri quasi una
guida turistica” ridacchiò Sophie
“E’ un complimento, questo?“
“Direi proprio di no … ma ti ho dato
dell’acculturato Hollywood!” rise ancora
“Mmm … mi piace! Ma ti assicuro che non
sono poi così erudito. Il fatto è che crescendo qui non si può fare a meno di
venire a conoscenza di una piccola parte di storia di questi monumenti
così vecchi.”
“Si può entrare? Mi piacerebbe tanto
vederla dentro” domandò con occhi dolci
La guardai e annuì soddisfatto
“Certo. Vieni” e ci accingemmo ad entrare dal portone
centrale.
Lo sapevo. Sapevo che in sua compagnia la rabbia
sarebbe sfumata. Ora ero sereno e averla così vicina mi faceva sentire strano.
Visitammo l’interno in religioso
silenzio. Lei guardava ad occhi sgranati a destra e a sinistra. Aveva lo
sguardo luminoso e curioso dei bambini. Sembrava voler registrare ogni cosa
vedesse. Quando uscimmo era ormai ora di pranzo.
“Ti va di mangiare fuori, oggi?”
domandai guardandola.
La vidi tastarsi le tasche dei jeans e poi
voltarsi voltò verso di me
“Non ho portato soldi con me. Non lo
avevo previsto” sembrava quasi dispiaciuta.
“Oh che peccato! Vorrà dire che dovrai
farti offrire il pranzo dal sottoscritto” ghignai divertito
“Oh, no!!!” esclamò con finto orrore portandosi
una mano davanti alla bocca
“Sarai in debito con me, ragazzina!”
esclamai divertito
“Guarda che mi tocca fare per poter
mangiare! Questi si che sono veri e propri sacrifici” replicò sempre sorridendo
“Dove andiamo?” domandò dopo qualche passo
“Un mio vecchissimo amico gestisce una
piccola taverna, qui vicino. E’ un posto minuscolo ma si mangia bene ed è
riservato. Ti piacerà, vedrai”
“Perfetto” era stranamente
accondiscendente e la cosa non mi dispiaceva affatto
Arrivammo in pochi minuti ed entrammo.
“Gerard? Sei proprio tu?”
“Ciao George. Come stai?” gli tesi la
mano e lui la strinse con forza abbracciandomi subito dopo
“Quanto tempo è passato? E’ tanto che
non ti fai vedere … cos’è, il successo
ti ha dato alla testa?” mi chiese tirandomi un pugno sulla spalla
Soph era rimasta un passo indietro.
“Niente di tutto questo, ti assicuro.
Oggi sono in dolce compagnia”
Posai una mano sulla schiena di Sophie e
la invitai gentilmente ad affiancarmi
“Buongiorno” salutò educata tendendogli
una mano
“Buongiorno a te dolcezza”
George posò lo sguardo su di lei, poi su
di me e poi nuovamente su lei soffermandosi sulla sua figura. Le fece il
baciamano facendola arrossire sino alla radice dei capelli
Aveva lo sguardo da marpione!
“Vacci piano George” lo avvertii
Posai il braccio intorno alla vita di
Sophie, sul suo fianco e alzando un sopracciglio lo guardai con aria di sfida.
Era un gesto di possesso e sperai che lo interpretasse così.
“Ho capito, è proprietà tua. Cazzo,
amico come fai ad avere sempre donne bellissime al tuo fianco?” aveva alzato le
mani in segno di resa e scuoteva la testa
“Sarà per il mio bel faccino!” risposi sorridendo allegro
Sophie guardava prima l’uno e poi
l’altro con un sopracciglio alzato. Forse non aveva capito bene le nostre
battute. In effetti dovevo riconoscere che George aveva un accento molto forte,
a volte incomprensibile persino per me. Tipicamente scozzese.
“Non dire stronzate perché tanto ci
credi solo tu!” ribatté ancora ridendo
“Venite, vi faccio strada” continuò e lo
seguimmo verso un tavolo.
Stavo per sedermi quando mi voltai verso
Sophie. George le scostò la sedia e la fece accomodare come un perfetto
gentiluomo.
E questa novità cos’era?
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Capitolo 12 *** XIII Capitolo ***
Cap. 13
XIII Capitolo
“Cos’è questa
novità?” chiesi spiegazioni ma lui non mi degnò di risposta e avvicinatosi
all’orecchio di Sophie sussurrò
“Lo perdoni
signorina. A quanto pare non ha ancora imparato le buone maniere a tavola“
“Sei rimasto lo
stesso pecorone bifolco di una volta!” continuò poi rivolto a me, con tono
disgustato “Ma a voi ricconi non insegnano le buone maniere a tavola,
soprattutto in compagnie di belle ragazze?” e strizzò l’occhio a Sophie che
sorrise imbarazzata
“George smettila di
fare l’idiota e portaci da mangiare!” ringhiai in risposta
“Gerard!” mi riprese
Sophie con sguardo severo
“Oh, non si
preoccupi signorin …”
“Sophie” disse lei
sorridendo “il mio nome è Sophie”
Lui sorrise talmente
tanto che credevo che la faccia gli sarebbe caduta da un momento all’altro. Il
suo sorriso partiva da un orecchio e arrivava all’altro. Sembrava Joker, il
nemico di Batman.
Ci
stava provando, il bastardo! E spudoratamente anche …
“Sophie è un nome bellissimo e mi permetta … le sta d’incanto!”
“George” ringhiai
ancora
“Cosa vi porto
signori?” cambiò discorso.
“Portaci del salmone
al cartoccio con contorno di patate al forno” dichiarai deciso a liquidarlo
“Per me no, per
favore” s’intromise Sophie
“Perchè?” domandai
“Lascia che Sophie
scelga da sola Gerard. Non fare il prepotente come al solito!” si intromise George
maligno
Lo guardai con sguardo omicida, ma naturalmente
lui non vi badò.
“Non mi piace il
salmone. Mi può portare delle verdure alla griglia e lo stesso contorno, per favore?”
chiese educatamente
“Tutto quello che vuoi” rispose
scarabocchiando qualcosa sul suo taccuino e dopo un altro sorriso si dileguò in
cucina.
“Non sapevo che non
ti piacesse il salmone” mi scusai
“Non importa. In
realtà non mangio nessun tipo di pesce o crostaceo, nemmeno il tonno in
scatola”
“Davvero? Che strano
… sei allergica?”
“No, nessuna
allergia. E’ solo che non mi piace”
George ci portò
dell’acqua e del vino bianco in una brocca.
“Grazie” ringraziò
Soph
“Se desideri
qualcos’altro dimmi pure. Sono a tua disposizione” continuò con la faccia da
pesce lesso
“Tranquilli, fate
come se io non ci fossi” esclamai tra i denti
“Oh, Gerard non fare
il geloso!” ghignò George
“Sparisci, George”
sibilai tra i denti e lui obbedì, ancora ghignando
“Ti comporti sempre
così?” mi domandò Sophie arrabbiata
“Lo sta facendo
apposta. Mi provoca di proposito!”
“Cos’è che t’infastidisce?
Che sia cortese?“ domandò ancora
“Non è affatto
cortese … è un farabutto. E fa finta di essere gentile solo perché ci sei tu!”
Avrei dovuto fare
quattro chiacchiere con quell’idiota di George prima di andare via.
“Non dire
sciocchezze. Perché dovrebbe farlo solo con me?”
Che
ingenua!
“Perché sei molto
bella, Sophie! E tu lo stai incoraggiando con tutti quei sorrisini ” ringhiai
guardandola negli occhi
“Non lo sto affatto
incoraggiando!” ribatté lei infervorandosi “E poi io sorrido e rido molto. Mi viene naturale
e assolutamente spontaneo”
“Lo so, lo so”
borbottai distogliendo lo sguardo
“Non capisco perché
ti comporti così. Sembri … sembri quasi geloso”
Ero
geloso? Beh … forse un pochino.
Fortunatamente
arrivò George, con i nostri piatti proprio in quel momento, risparmiandomi la
fatica di indugiare in quei pensieri.
“Ecco a voi! Spero
sia di vostro gradimento” annunciò posando sul tavolo i piatti
Lo ringraziammo
entrambi. Lui sorrise e tornò in cucina.
“Buon appetito” esclamò
Sophie di punto in bianco
“Come? Cosa hai
detto?”
“Scusa, è
l’abitudine. Ti ho augurato buon appetito ma l’ho fatto in italiano” sorrise
“Ha un bel suono la
vostra lingua, mi piace” annunciai, felice di poter cambiare discorso
“Grazie. In realtà è
una lingua piuttosto complicata, soprattutto a livello grammaticale. E’ molto
diversa dall’inglese”
“Parlami ancora in
italiano. Mi piacerebbe imparare qualche parola. Però qualcosa di semplice, mi
raccomando”
“Beh, parole
semplici … fammi pensare”
E cominciò a dire
qualche termine che io ripetevo subito dopo. Ad ogni nuova parola mi spiegava
il significato e mi correggeva se sbagliavo a pronunciarle.
A fine pranzo sapevo
già qualche parole di italiano e tutti i numeri da 1 a 10. Mi disse di
continuare a ripeterle di tanto in tanto per non dimenticarle.
“Sei bravo” annunciò
solare
“Facciamo così… Io
ti aiuto con l’inglese e tu m’insegni un po’ di italiano. Ci stai?” le proposi
nella speranza di farle abbassare i muri difensivi che aveva costruito
“Beh, si può fare.”
Ci alzammo dopo qualche
minuto. Pagai George e lo ringraziai.
“Ciao George. Ci vediamo” lo abbracciai salutandolo.
“Alla prossima! Se
sento gli altri ti chiamo così organizziamo un’uscita tutti insieme. E porta
anche questa bella bambolina la prossima volta … magari avrà voglia di uscire
con un gentiluomo invece che con un bifolco”
“Piacere di averti
conosciuto Sophie” la salutò George
“Piacere mio George”
rispose lei tendendo la mano per stringergliela
Lui non solo gliela
strinse ma la salutò baciandola sulla guancia e facendola arrossire.
Indispettito da quel
comportamento un po’ troppo libertino, la presi per un braccio e la avvicinai a
me, poi guardai George con un sopracciglio alzato.
Lui lo notò e
ridendo si congedò. Uscimmo insieme e ci immettemmo subito sulla strada
principale.
“Che simpatico, il
tuo amico George” annunciò Sophie dopo pochi passi
“Già. Un vero
spasso” bofonchiai seccato
“Come vi siete
conosciuti?” domandò curiosa
“Eravamo compagni a
scuola. Ci conosciamo fin da piccoli”
“Quindi ha la tua
età … è un bel ragazzo”
“Ti piace George?”
avevo alzato la voce senza nemmeno accorgermene
“Ed ora perché stai urlando?”
Ops, forse avevo esagerato un
tantino.
“Quindi ti piace
George?” domandai nuovamente con voce più bassa
“Beh, non direi che
mi piace. Ma ammetterai anche tu che è un bel ragazzo”
Ero seccato e non
volevo continuare a parlare di George.
“Non saprei. Non mi
sono mai interessati i bei ragazzi. Preferisco le belle ragazze”
Scoppiò a ridere di
gusto.
Il suono della sua voce e della
sua risata. Erano unici.
“Ti va di continuare
a passeggiare?”
“Con te?” domandò
allarmata
“Si, certo con me.
Con chi credevi?”
“Beh, magari
potevamo chiedere a George di farci compagnia …”
“Sophie” la ammonì
subito serio.
Lei scoppiò di nuovo
a ridere.
“Stavo solo
scherzando, Hollywood. Stai calmo” fece lei “Cavoli dai davvero l’impressione
di essere geloso. Comunque si, certo che mi andrebbe di passeggiare ... anche se
devo farlo con te” mi guardò con una luce scherzosa negli occhi
Sorrisi e le strinsi
la mano.
Passeggiammo per
tutto il pomeriggio, parlando soprattutto di lei. Ci misi un bel po’ prima di
indurla ad aprirsi un pochino perché notai da subito quanto fosse timida e riservata.
Ero curioso di sapere com’era, quali erano i suoi interessi, cosa le piacesse e
cosa no, quali fossero le sue aspirazioni. Parlammo e scherzammo per diverse
ore, prima di essere interrotti dal rumore di un tuono potente. Un temporale era
in arrivo; saremmo dovuti tornare a casa in fretta prima che iniziasse a
piovere.
“Oh, guarda. Sta
cominciando a piovere”
“Già. Dobbiamo
tornare a casa prima che peggiori” ammisi imbronciato.
Affrettammo il passo
in direzione casa.
Quando arrivammo al
cancello della tenuta eravamo comunque entrambi fradici dalla testa ai piedi.
Sophie sorrideva allegra mentre io ero abbacchiato e speravo non ci saremmo
ammalati. Entrando in casa, si tolse subito le scarpe ed io feci lo stesso
lasciandole in corridoio.
“Ho bisogno di fare
una doccia” annunciò sempre sorridendo
“Già, anche io ma
perché sorridi?”
“Per la pioggia. Mi
piace molto”
“A me no invece. E’
triste! ” ammisi seccato
“Io l’adoro! Il tintinnio
che produce quando cade, il profumo che rilascia sulle foglie, sull’erba, nel
terreno e nell’aria stessa che si respira, le sensazioni che suscita quando la
guardi cadere … è tutto così rilassante”
Rilassante?
Forse la mia
espressione rifletteva i miei pensieri perché lei se ne accorse e mi sorrise
indulgente.
“Ora ti mostro una
cosa. Chiudi gli occhi e rilassati”
Eravamo in salotto,
mi prese per mano fino a portarmi davanti alla finestra.
“Non sbirciare, mi
raccomando. Fai un respiro profondo, svuota la mente e cerca di non pensare” m’istruì
per poi aprire una finestra
“Fai qualche respiro
a bocca chiusa. Inspira ed espira col naso più volte e dimmi cosa senti” aggiunse
continuando pacatamente “Non usare il cervello. Concentrati solo sui tuoi
sensi. Cosa senti?” chiese con voce bassa vicino al mio orecchio.
Cosa
sento?
Sento
che mi piacerebbe stringerti tra le braccia e sdraiarmi con te per sentire il
suono del tuo cuore vicino l’orecchio.
Sento
che mi piacerebbe accarezzare i tuoi capelli e sentirne la consistenza. Avvicinarne
una ciocca al naso e scoprirne il profumo.
“Sento lo scrosciare
della pioggia, il suo picchiettare sul tetto e odore di erba bagnata”
“Bene, ma non ti
stai concentrando. Cosa provi?”
“In questo momento?
Ho freddo ma sono rilassato e mi sembra di avere la testa leggera …
probabilmente ho la febbre” conclusi aprendo gli occhi
Scuoteva la testa ma
sorrideva
“Non credo tu ti sia
concentrato a sufficienza mio caro Sig. Butler. Comunque non importa. Forse
sono solo io la strana a cui piace la pioggia, ovunque si trovi”
“Perché ti piace
così tanto?” la domanda mi sfuggì dalle labbra
“Non so dirlo con
certezza. Mi piace da sempre, fin da quando ero piccola. Mio fratello mi prende
sempre in giro, mi chiama la signora della pioggia, e ogni volta che piove mi
racconta sempre la stessa storia, arricchendola ogni volta di nuovi particolari”
S’interruppe improvvisamente
percependo di essersi lasciata andare a troppe confidenze. Mi sorrise e riprese
il discorso di prima
“La pioggia mi piace
perché mi rimette in contatto con la natura, mi rimette in pace con me stessa!
Mi piace moltissimo guardarla scendere, alla finestra o magari a letto sotto le
coperte. Mi rilassa e poi il suono ritmico di quando cade concilia il sonno” concluse
con un sorriso
“Già, ora però
dovremmo andare a cambiarci prima di ammalarci sul serio”
Entrando in camera e
chiusa la porta, mi spogliai veloce lasciando gli abiti sul pavimento e mi
fiondai in bagno per una doccia calda. Sotto il getto bollente mi rilassai
completamente, mi stiracchiai e mi lavai con cura. Uscì subito dopo aver finito
e con un accappatoio intorno ai fianchi rientrai in camera. Mi misi un paio di
boxer blu e mi sdraiai sul letto. Chiusi gli occhi.
Ora
mi rilasso qualche minuto e poi scendo per la cena…
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Capitolo 13 *** XIV capitolo ***
Cap. 14
XIV CAPITOLO
Sentì dei colpi alla
porta, un lieve bussare, ma non vi badai. Mi girai dall’altra parte e mi rimisi
a dormire.
“Gerard? “
Riconobbi la voce di
Sophie così, stropicciandomi gli occhi, andai ad aprire.
“Gerard … stai
bene?”
La prima cosa che
notai fu il suo sguardo preoccupato.
“Tutto ok?” domandò
ancora
Io non risposi
subito ma notai il suo sguardo scendere verso il basso; quando si accorse che
indossavo solo i boxer arrossì fino alla radice dei capelli.
Sorrisi di quella
reazione
“Ciao Sophie”
Lei rialzò lo
sguardo e mi fissò “Scusa … non volevo
disturbarti … ma pensavo avessi fame … e
… ehm … ho preparato dei tramezzini, in cucina”
“Che ore sono?”
domandai spostandomi ed invitandola ad
entrare
“Sono le otto”
Annuì e m’infilai una
maglietta a maniche corte e pantaloni di una tuta.
Era rimasta sulla
porta e si era voltata dall’altra parte mentre mi vestivo.
Che
pudica!
“Mi spiace, non
sapevo stessi dormendo altrimenti non sarei venuta a svegliarti”
“Hai fatto
benissimo” le andai vicino, le toccai la spalla e si voltò.
“Come ti dicevo ho
preparato dei panini. Non ho trovato nient’altro in cucina”
“Andranno benissimo.
Vieni scendiamo” la precedetti fuori e scendemmo le scale assieme
Lei però si diresse
verso il salotto.
“Non vieni a
mangiare?”
“No, grazie. Non ho
molta fame. E poi stavo guardando un film in sala” mi sorrise ed entrò lasciando la porta socchiusa.
Io, annuendo, mi
diressi in cucina. Sul tavolo c’era un piatto con cinque tramezzini. Sorrisi e,
col piatto, la raggiunsi in salotto.
Quando mi sentì
entrare e chiudere la porta si voltò
“Non mi andava di
mangiare da solo” spiegai “Posso farti
compagnia?”
“Certo” annuì e si
spostò per farmi posto
Era acciambellata
sul divano con una coperta accanto così mi sedetti vicino ed addentai uno dei
sandwich
“Mmm, buono” dissi dopo aver deglutito “E’ gustoso, brava!”
Lei sorrise e solo
in quel momento mi accorsi che aveva il viso bagnato.
“Soph, perché
piangi?” domandai posandole un dito sotto il mento e guardandola negli occhi.
“Oh, non ti
preoccupare. Piango sempre quando mi commuovo”
Solo allora mi
accorsi che la causa era il film. Era Ghost con
Patrick Swayzie e Demi Moore.
“Soph, ma se ti fa
piangere perché lo guardi?” le asciugai le lacrime che continuavano a scendere
copiose dai suoi begli occhi
“Beh, perché mi
piace. E’ un così bel film, triste è vero ma anche dolcissimo”
Chissà
perché le donne s’intestardiscono a vedere film che le fanno diventare delle
fontane umane… Bah!
Mi alzai e presi
dall’armadio due confezioni di fazzolettini di carta, una la posai sul basso
tavolino ed una la diedi a lei.
“Grazie”
Si asciugò le
lacrime e si soffiò il naso. Io continuai a mangiare quei deliziosi panini ed
in poco tempo finì tutto.
Beh,
ci volevano proprio…
Sospirai soddisfatto
e mi voltai a guardarla.
Se ne stava
rannicchiata su se stessa con in mano un angolo della coperta e con un fazzolettino
nell’altra.
Era dolcissima e mi trasmise una sensazione di
tenerezza assoluta
Senza fretta la
presi tra le braccia e le cinsi un fianco con un braccio.
Era calda e leggera
Lei appoggiò la
testa alla mia spalla e si rilassò.
Aveva un odore buonissimo
I suoi capelli
profumavano e serrandola ancora di più tra le braccia, le posai un bacio
leggero sul capo.
Averla così vicina
mi dava una strana sensazione. Mi sentivo rilassato e con uno strano senso di
completezza. Non so nemmeno come spiegarlo. Non lo avevo mai provato prima.
Forse
perché non mi era capitato di avvicinarmi a nessuna così tanto. O forse è a
causa sua … forse è lei. Il suo profumo, la sua dolcezza, il suo sembrare così
ingenua e bisognosa di protezione e conforto …
Verso la fine del
film la vidi socchiudere leggermente gli occhi, sembrava stanca o forse aveva
solo sonno. Con un filo di voce diedi via libera ad un pensiero che da quando
ero sveglio mi incuriosiva e assillava.
“Sophie?”
“Mhm?” rispose senza
però aprire del tutto gli occhi
“Posso chiederti
qual è il racconto riguardo la pioggia?”
La vidi sorridere
leggermente ed annuire
“John dice che
quando ero piccola ogni volta che con la mamma andavamo al parco a giocare
molte volte mi isolavo e giocavo da sola. Una volta, quasi verso il tramonto,
ci accompagnò invece papà. Era tardi perciò non c’erano molti bambini e una
decina di minuti dopo cominciò a piovere. John voleva tornare a casa io invece
non volevo. Disse che m’impuntai così tanto che papà cedette e alla fine restammo.
Papà aveva portato un ombrello e vi si rifugiò sotto assieme a John, io invece
cominciai a sorridere e ridere allegra. Disse che sembravo divertirmi da matti,
giravo, correvo, saltavo tra una pozzanghera e l’altra ridendo a crepapelle.
Disse di non avermi mai visto ridere così felice fino a quel momento e che gli
occhi mi brillavano così tanto che sembravo risplendere, proprio come un raggio
di sole” concluse chiudendo definitivamente gli occhi e accoccolandosi al mio
corpo.
Sorrisi di quell’aneddoto
e chiudendo gli occhi m’immaginai una bambina piccola con cappottino e
stivaletti correre e saltare da una parte all’altra; riuscì persino a sentire
l’eco della sua risata allegra.
Quando li riaprì
quella stessa bambina la vidi cresciuta, in un corpo di donna, rannicchiato
sereno tra le mie braccia.
Sentì la porta di
casa aprirsi e poco dopo richiudersi con delle voci in corridoio.
“Hey, tesoro” la
testa di mia madre si affacciò in salotto e quando notò la scena le spuntò un
sorriso sulle labbra. Poco dopo apparve anche Lisa.
La luce era spenta
perciò non so se notarono Sophie addormentata tra le mie braccia. Mia madre
entrò in salotto, senza fare rumore né accendere nessuna luce, spense il
televisore e tolse il film dal lettore dvd. Entrambe mi sorrisero e chiesero se
avessi bisogno di qualcosa. Io scossi la testa e diedi ad entrambe la
buonanotte. Chiusero la porta ed in silenzio andarono a dormire.
“Hai visto? Che
carini che sono insieme” sentì dire da mia madre a Lisa
Sorrisi non so bene
nemmeno io il perché. Non volevo pensarci, stavo troppo bene in quel momento
per lambiccarmi il cervello con strani pensieri.
La pioggia
continuava a scendere ed io rimasi ad ascoltarla cadere con Sophie accanto che
riposava serena. Le diedi un altro bacio e mi accoccolai meglio sul divano. Lei
si agitò un poco ma dopo un lungo sospiro tornò a dormire senza svegliarsi.
Averla addosso mi piace da
matti
L’accarezzai
lentamente e chiudendo gli occhi mi concentrai sul suo respiro lento e regolare.
Restai così, con Sophie su di me, per non so quanto tempo.
Riaprì gli occhi
quando lei si mosse ancora. Pensai si fosse svegliata ma sbagliavo. Avevo le
gambe leggermente aperte così si accoccolò meglio, posò la testa sul mio petto
e mi abbracciò. Inconsapevolmente cercava calore e comodità.
La guardai dormire; sembrava
così piccola, così delicata.
Più tardi, con garbo,
la sollevai tra le braccia e salì le scale. Arrivai alla sua camera e per
fortuna la porta era semi-aperta. La scostai con la spalla, per aprirla del
tutto, ed entrai.
Il letto era sfatto
così ve la poggiai delicatamente, la coprì e sedendomi sul suo letto le scostai
i capelli dal viso.
Non averla più
vicino mi fece sentire di nuovo strano.
La guardai dormire
ancora per qualche minuto. Quando mi alzai per andarmene a letto le posai un
bacio sfiorandole le labbra.
Sorrise, nel sonno.
Le chiusi la porta
ed entrai in camera mia.
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Capitolo 14 *** XV Capitolo ***
Cap. 15
XV Capitolo
Quel mattino mi
svegliai irritata, molto irritata!
Gerard entrò in
camera mia, allegro e pimpante, e quasi mi buttò giù dal letto.
“Sophie? Sophie …
Soph?”
Mugugnai qualche
parolaccia nella sua direzione. In italiano, naturalmente.
Andò verso la
finestra e con vigore ne aprì le tende. Il sole irruppe nella stanza e mi
infastidì gli occhi. Ormai completamente sveglia mi sollevai a sedere.
“Stavi dormendo per
caso?”
Gli lanciai
un’occhiataccia assassina e mi girai a guardare la sveglia sul piccolo
comodino.
Imprecai
mentalmente.
Erano
appena le sette di mattino, accidenti!
Lo freddai con un’altra
occhiataccia “No, ma ti pare. Adoro essere svegliata da un omone gigante che piombando
in camera mia mi butta giù dal letto!”
Lui scoppiò a ridere
“Su coraggio che il
mattino ha l’oro in bocca!”
“Beh, menomale
allora … non sono avida e l’oro non mi interessa. Buonanotte!” mi rintanai
nuovamente sotto le coperte tentando di riaddormentarmi.
Lui però non volle
saperne e si accomodò sul letto, vicinissimo al mio fianco.
Riaprì gli occhi
infastidita e notai che mi stava fissando.
Aveva lo sguardo
frizzante e il viso riposato. Era sicuramente di ottimo umore.
“Che diavolo vuoi di
prima mattina? E perché sei entrato in camera mia, senza nemmeno bussare o
preoccuparti di svegliarmi?” domandai rabbiosa
“Voglio portarti in
un posto. Su, coraggio, alzati e vestiti”
“E non potevi
aspettare un altro paio d’ore? Non ne ho voglia! Lasciami dormire in pace. Ne
riparliamo nel pomeriggio”
Lui non me lo
permise. Andò ad aprire le finestre e mi strappò via le coperte.
“Non voglio sentire
no come risposta!”
“Vattene al diavolo,
Gerard Butler e lasciami dormire!” gli intimai furiosa
Misi la testa sotto
il cuscino e mi rannicchiai in posizione fetale.
“Sophie, alzati
subito da quel dannato letto. Ti do cinque minuti di tempo” concluse uscendo
dalla stanza
Grazie
al cielo! Finalmente se n’è andato.
Ripresi le coperte e
mi ricacciai sotto, chiudendo gli occhi. Mi rilassai e cercai di riprendere
sonno.
Delicate dita mi accarezzavano i fianchi e la schiena.
Erano calde e piacevoli.
Quel
tocco era così delicato che sorrisi…
“Sophie?” un soffio
caldo sull’orecchio
Che
bel sogno … la voce … e le carezze
“Non so se sia il
caso di continuare. Se persisti a sospirare così dolcemente credo che non sarò in
grado di allontanarmi”
Solo in quel momento
la sua voce roca raggiunse la parte conscia e sveglia del mio cervello.
Non
stavo sognando! Per niente!
Spalancai gli occhi
di botto e cercai di riconnettere mentalmente.
Era
lui…
Con una mossa
fulminea, scattai in piedi e mi allontanai da quel suo tocco maledettamente
invitante ed ipnotico.
“Che diavolo stavi
facendo?” ringhiai
“Ti stavo
accarezzando mi sembra ovvio”
Era sdraiato sul
letto, incrociò le braccia dietro la testa e si mise più comodo. Sul volto
un’espressione rilassata e divertita. Sembrava l’innocenza fatta persona.
“Questo l’ho notato.
Volevo saperne il perché”
Ero arrabbiata ma
anche tremendamente imbarazzata.
“Beh, visto che i
normali metodi di risveglio con te non funzionano, ho deciso di provare questo.
E devo dire di aver raggiunto lo scopo” sorrise maliziosamente
“Tu non sei normale,
lo sai vero? Come diavolo ti è saltato in mente di infilarmi le mani sotto …
dove non devi metterle? Eh?”
“Non fare quella
faccia da incazzosa, adesso. Non è stato spiacevole! Dai tuoi sospiri di
apprezzamento oserei dire che ti è piaciuto parecchio. Ed è piaciuto molto
anche a me”
“Smettila di
sorridere come un idiota, Hollywood! Non mi è piaciuto per nulla!”
“Che bugiarda!”
Nel frattempo si era
alzato dal letto e si stava accingendo ad uscire dalla stanza.
“Ora preparati. Qualcosa
di comodo, andiamo in campagna. Ti aspetto fra mezz’ora in salotto” era uscito
dalla porta ma dopo pochi secondi vi rientrò
“E Comunque … hai la
pelle più morbida e setosa che io abbia mai accarezzato”
Mi precipitai in
bagno, sotto la doccia. Non tanto per dargliela vinta quanto piuttosto per
lavarmi via la seducente sensazione delle sue dita sul mio corpo.
Mi lavai con cura ed
uscendo mi avvolsi in un grande telo bianco. M’infilai un paio di jeans chiari,
scarpe da tennis ed una maglietta leggera con maniche a sbuffo di colore rosso.
Legai i capelli in una coda alta. In borsa ficcai occhiali da sole, fazzoletti,
cellulare e burro cacao.
“Era ora!” mi
accolse appena varcai la porta del salotto
Risposi alzando un
sopracciglio e guardandolo accigliata.
“Forza, siamo già in
ritardo. Ho preparato il pranzo al sacco“ chiarì prendendomi per un braccio e
trascinandomi di peso verso la porta.
Eravamo in auto da
parecchio tempo in religioso silenzio. Ero ancora di cattivo umore e non avevo
proprio voglia di fare conversazione.
“Stai benissimo con
i cappelli legati così. Ti valorizzano il viso” proruppe scrutandomi da capo a
piedi, rompendo quell’ostinato silenzio.
“Grazie” risposi senza voltarmi
“Ti ho preso queste.
Tieni” e mi porse un sacchettino di carta
Lo aprì e dentro vi
trovai due brioches al cioccolato. Per la fretta non avevo fatto colazione e
lui aveva provveduto.
“Le ho comprate
stamattina. Spero siano ancora calde”
“Sei uscito a
comprarle per me?” chiesi colpita
“Già, a volte anche
io riesco ad essere gentile”
Il mio malumore era
svanito. “Sono buonissime”
Le mangiai con
gusto.
“Bene, sono contento
che ti siano piaciute” sorrideva allegro
“Allora dove siamo
diretti?” domandai curiosa quando finì di mangiare
“Vicino Glasgow c’è
un piccolo maneggio. Vedrai ti piacerà. Hanno dei cavalli stupendi”
“Un maneggio?
Cavalcherai?” domandai
“No, lo faremo
entrambi”
“Ma Gerard … io non
sono capace … non so andare a cavallo!”
“Beh, vuol dire che
imparerai oggi” rispose allegro “Sarà divertente” aggiunse
Non ne ero così
sicura. Non avevo mai cavalcato in vita mia. In realtà non avevo mai visto un
cavallo da vicino, non sapevo neppure come avrei dovuto comportarmi.
E
se avessi sbagliato qualcosa? E se gli avessi fatto male? E se lui ne avesse
fatto a me?
Gerard sembrò notare
l’espressione del mio viso, si girò verso di me e mi fissò a lungo.
“Non avere paura.
Sono solo cavalli”
Già
come se la cosa potesse tranquillizzarmi.
Maledizione!
Lui e le sue idee strampalate.
Avevo paura e tremavo come una foglia. Sebbene i cavalli siano dei
bellissimi animali, le loro dimensioni incutono timore.
Cercai di spiegarglielo, di fargli capire come mi sentivo ma lui
non se ne curò. Mi obbligò a salire sul cavallo assieme a lui.
Cavalcava con maestria guidando l’animale con scioltezza. Lo
sentivo ridere felice. Io invece non lo ero affatto. Volevo scendere.
Non aprì gli occhi finché non sentì il cavallo diminuire
l’andatura e finalmente fermarsi.
“Dammi la mano così ti aiuto a smontare”
Feci come mi disse e con un balzo fece lo stesso.
Ci trovavamo in un piccolo boschetto. Giganteschi alberi facevano
ombra ad un’enorme distesa d’erba verde. L’aria profumava di pulito e di fiori.
Il posto era bellissimo.
“Stai piangendo?” mi domandò avvicinandosi.
Il cavallo era placidamente impegnato a mangiare qualche filo
d’erba a pochi metri di distanza
Con un gesto stizzito della mano mi asciugai le poche lacrime
cadute.
“Beh, cosa ti aspettavi? Che mi mettessi a ridere?” ribattei acida
“Beh, magari non subito. Ma sicuramente non mi aspettavo ti
mettessi a piangere!”
“Ho avuto paura Gerard. E ne ho ancora adesso. Te l’ho detto ma tu
non ascolti”
“Come pretendi di imparare se nemmeno ci provi? Guardalo Sophie, è
un cavallo non uno squalo!” ribattè adirato
Tsz! Adesso era
lui l’arrabbiato?
Ed io allora? Io
sarei dovuta essere furibonda!
Alzai le mani al cielo in segno di resa. Non volevo continuare a
sprecare fiato. Non avrebbe capito. Mi voltai e m’incamminai verso il cuore di
quella boscaglia.
Cosa c’era di
difficile da capire?
Ho paura. Chiaro
e semplice!
Uno scrosciare d’acqua mi ridestò da quei pensieri. M’incamminai
verso la fonte di quel lieve rumore e un piccolo ruscello mi apparve davanti.
Le sue acque cristalline correvano veloci e scroscianti.
Sorridendo mi avvicinai, tolsi le scarpe e immersi i piedi. Sentivo
il vento che attraversava le fronde degli alberi producendo leggeri fruscii.
Non mi accorsi di lui finché non si avvicinò e rimase a fissarmi.
Alzò una mano e con le nocche mi accarezzò lentamente la guancia. Il suo tocco
era così delicato che istintivamente chiusi gli occhi.
Quando li riaprì lo guardai e andai a coprire la sua mano con la
mia. Mi sorrise e senza dire una parola mi prese per mano. Ritornammo alla
radura dove avevamo lasciato il suo cavallo che non era più solo. Era
affiancato da un altro bellissimo esemplare.
L’ora successiva la passai ascoltando attentamente le sue
istruzioni.
Facevamo teoria
da maneggio. Pazzesco!
Mi spiegò come avvicinarlo senza impaurirlo, come salirgli in
groppa e via dicendo. Per tutto il tempo ero rimasta in silenzio, annuivo
solamente.
Lo ascoltavo prestando attenzione ma continuavo ad aver paura. Non
volevo farlo. Non ero ancora pronta.
Finita la lezione mi scaraventò
di getto nella pratica. Dandomi le spalle s’incamminò verso il recinto.
“Ora sta a te decidere” disse serio
Non mi mossi fino a quando non lo vidi superare la staccionata e
dirigersi verso il cavallo. Era come se non riuscissi a credere che lo avrebbe
fatto davvero.
Mi avrebbe
lasciata li così? Da sola?
Si issò in sella e con un colpo di talloni spronò il cavallo allontanandosi
velocemente senza guardarsi indietro.
Attraversai di corsa il giardino fino al recinto per cercare di
fermarlo ma lui era già lontano.
L’animale, che teoricamente avrei dovuto cavalcare, era bianco con
chiazze marroni. Sul dorso aveva una lucida sella nera. Osservandolo da lontano
sembrava relativamente tranquillo.
Mi avvicinai con lentezza e cercai di accarezzarlo. Subito il
cavallo percepì la mia paura e scuotendo la testa si allontanò.
Dannazione! Sarei
dovuta tornare da sola. E per di più con un cavallo!
Dovevo calmarmi. Respirare a fondo.
Calmarsi e
respirare a fondo.
Tremavo. Avevo paura e a breve sarei scoppiata a piangere.
Quello zoticone
di Gerard trova la situazione divertente!
Ma era matto?
Come pensa che si possa salire su quella montagna di cavallo?
Idiota! Come ha
potuto lasciarmi da sola?
Io non sapevo cavalcare.
La teoria era diversa dalla pratica. Avevo paura di sbagliare.
Avevo paura di farmi male e di farne al cavallo.
Lente e calde, le lacrime scesero fino ad annebbiarmi la vista. Stavo
piangendo.
Guardai ancora il cavallo. Con un gesto nervoso mi asciugai le
lacrime e mi avvicinai.
Alzai con lenta fermezza una mano e con attenzione cominciai ad
accarezzargli il muso.
Niente paura.
Il cavallo non doveva sentire che avevo paura. Dovevo cercare di
controllarmi.
Non so come riuscì a salirgli in groppa ma me ne rallegrai. Con gesti
decisi lo invitai ad andare. Il cavallo si mosse e cominciò a “camminare”.
Tenevo le redini in mano. Le guardai per un momento e poi con un
colpo risoluto le mossi. Il cavallo aumentò subito l’andatura.
Sorrisi.
Pian piano la paura scivolò via; più il cavallo correva più io
ridevo. Lo conducevo decisa, svoltava a destra o a sinistra seguendo le mie
istruzioni.
Mi sentivo felice. Ci ero riuscita. Stavo cavalcando e non avevo
paura. Scoppiai a ridere.
Arrivai a destinazione euforica.
Smontare da cavallo richiese qualche minuto e parecchi tentativi.
Caddi a terra con un piccolo tonfo e battei il sedere sulla terra
dura.
“Ti sei fatta male?” domandò una voce ansiosa, alle mie spalle
Mi voltai e lo vidi.
Veniva verso di me con un’espressione preoccupata sul viso. Mi
aiutò ad alzarmi e mi sfiorò il volto con dita leggere
“Sei caduta. Ti sei fatta male?”
“Si. No. Non lo so…”
No, non mi ero
fatta male.
Lui sorrise ed io di slancio mi fiondai tra le sue braccia. Mi
sentii stringere con forza. Cominciai a ridere e piangere insieme. Ero contenta
e arrabbiata insieme.
“Sapevo che ci saresti riuscita. Ne ero certo” mi sussurrò
all’orecchio
Alzai lo sguardo e lo fissai perplessa.
“Era l’unico modo! Metterti di fronte al problema senza altre vie
d’uscita. E così ho fatto. Sei orgogliosa e sapevo che non avresti gettato la
spugna, soprattutto per darla vinta a me”
Come sapeva come
avrei reagito?
“Il solito arrogante” borbottai
Lui sorrise.
Mi strinse di più e senza preavviso abbassò le sue labbra sulle
mie.
Erano calde e morbide. Smisi di pensare ricambiando il bacio.
Pranzammo seduti sull’erba vicino al ruscello. Gerard aveva portato
succo di frutta, pane, uova strapazzate e pancetta, pomodori fritti, salsicce e
verdure grigliate. C’era cibo sufficiente a sfamare un esercito.
“Serviti pure” disse sedendosi accanto a me
“Grazie” e mi riempì il piatto
Feci lo stesso con il suo ed iniziammo a mangiare. Il cibo era
squisito, degno del suo delizioso aspetto.
Finalmente sazia, poggiai a terra piatto e posate, e mi accorsi
che Gerard mi stava fissando palesemente affascinato.
“Sono contento ti sia piaciuto”
“Scusa … dev’essere sicuramente l’aria di campagna … di solito non
mangio così tanto” mi giustificai imbarazzata
“Guarda che la mia non era una critica” la sua voce era colma di
divertimento ed io non potei fare a meno di arrossire.
“Sai, non sopporto le donne
che mangiucchiano foglie d’insalata, come conigli, per tutto il giorno. Sono
irritanti. E causa il mio lavoro, credimi, ne vedo a dozzine”
Eppure scommetto
quello che vuoi sono proprio splendide ragazze con un fisico da modella,
strepitose con qualunque cosa indossino. Eleganti e raffinate che mangiano
appunto solo foglie di insalata.
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Capitolo 15 *** XVI Capitolo ***
Cap. 16
XVI CAPITOLO
Aprì gli occhi con
lentezza, mi stiracchiai e con un sospiro sollevai le coperte lanciandole ai
piedi del letto. Sorrisi e con agilità balzai fuori dal letto.
Aprì le tende e
spalancai le finestre. Respirai a pieni polmoni l’aria frizzantina del mattino.
Sorridendo mi stiracchiai nuovamente e in fretta mi vestì per correre giù a far
colazione.
Scendendo le scale
sentì le voci di Maggie e di Gerard. Quella voce così profonda mi provocò uno
strano sfarfallio allo stomaco.
“Buongiorno a tutti”
salutai entrando
“Buongiorno Sophie.
Dormito bene?” ricambiò Margaret con un sorriso
“Si, benissimo
grazie. Se non fosse stato per la fame sarei rimasta ancora un po’ sotto le
coperte”
“Ben svegliata” mi
salutò Gerard con voce calda voltandosi verso di me. Stava leggendo il Paisley
Daily Express*.
Ero imbarazzata quindi
risposi sorridendo
Perché
quando mi guarda mi sento sciogliere?
Ieri era stata una
giornata divertentissima. Nonostante la discussione iniziale mi ero trovata
bene. Avevamo passeggiato, cavalcato e parlato di cose differenti.
E’
un uomo davvero contraddittorio. Di primo impatto mi era sembrato scontroso,
burbero, particolarmente arrogante e pieno di se. Mentre ora non so … lo vedo
più interessante!
“Hai fame?” domandò avvicinandomi un piatto
con due frittate
La tavola era
stracolma di cibo ed entrambi i padroni di casa stavano ancora finendo.
“Si, molto. Ma non
riuscirei proprio a mangiare così tanto. Mi sono sempre chiesta come facciate a
mangiare tutta quella roba, la mattina appena svegli”
Mi riempì la tazza
di latte e cereali.
“Abitudine immagino”
lui alzò le spalle continuando a mangiare la sua porzione
“Sapete dov’è mia
madre?”
“E’ in giardino
cara. Sta trafficando, con entusiasmo direi, con non so quale pianta”
Sorrisi alla sua
frase. Mia madre era una fissata del giardinaggio mentre, notando l’occhiata
stranita di Margaret, lei forse un po’ meno.
“Cosa avete in
programma per oggi, ragazzi?” chiese lei d’improvviso
“Io non saprei.
Domenica pomeriggio, tra l’altro, devo tornare a Londra, per lavoro.” Rispose
Gerard scocciato
“Tu avevi qualcosa
in mente, Sophie?” mi domandò poco dopo
Deglutii prima di
rispondergli “In realtà volevo
disegnare” lo vidi annuire pensieroso
Mia madre entrò
proprio in quel momento
“Ben svegliata,
tesoro” mi salutò baciandomi sulla guancia
“Ciao mamy. Voi invece
cosa fate?”
“Oggi abbiamo deciso
di rimanere a casa. Ne approfitteremo per parlare un po’ tra noi” rispose mia
madre accostandosi a Margaret che annuì.
Gerard, appena
finito, si alzò e disse di dover chiamare la sua assistente per organizzare la
sua partenza. Uscì dalla stanza con lo sguardo corrucciato ed il cellulare in
mano.
Il fatto che da lì a
due giorni dovesse ripartire mi provocò un poco di tristezza.
Era vero che la maggior parte delle volte mi irritava
ed infastidiva da morire ma ieri era stato così gentile.
Qualche minuto dopo
mi alzai anche io, sparecchiai la tavola infilando tutto in lavastoviglie. Stavo
salendo le scale diretta in camera mia quando sentì la voce di Gerard
“Susy, tesoro, come
stai?”
Tesoro?
Chi era Susy?
Beh,
di certo un uomo come lui aveva sicuramente la fidanzata!
Magari
ne ha un paio… una per il giorno ed una
per la notte!
Magari
ne aveva una anche per i weekend fuori porta…
La porta della sua
camera si chiuse con un click due secondi dopo. Non mi aveva vista.
Sospirai di
sollievo. Sarebbe stato imbarazzante perché avrebbe pensato che lo stessi
spiando.
In silenzio e ancora
pensierosa rientrai in camera mia. Mi cambiai in fretta e, siccome fino a tarda
notte aveva piovuto, indossai Jeans scuri e stivali lunghi fino al ginocchio,
sopra misi un maglioncino in cotone a maniche lunghe. Non volevo beccarmi
l’influenza e la prudenza non era mai troppa. Presi album, matita, gomma e
scesi le scale diretta in giardino.
L’aria profumava di erba bagnata e il cielo
era limpido e senza nuvole. Mi sistemai sulla medesima panchina del giorno
prima e mi rimisi all’opera.
Non notai lo
scorrere del tempo finché un’ombra mi oscurò la visuale. Alzai gli occhi e lo
vidi di fronte a me.
“Il pranzo è in
tavola, picasso!” esclamò sorridendo
“Il pranzo? Di già?
Ma che ore sono?” domandai stupita chiudendo l’album e alzandomi
Ero scioccata. Non
pensavo di essere rimasta lì così a lungo.
“Sono le tredici,
Sophie”
“Oh, cavolo! Non mi
sono resa conto che fosse così tardi. Sai quando sono concentrata mi estraneo
completamente” mormorai per scusarmi.
Lui sorrise e mi
prese sottobraccio “L’ho notato! Ero lì in attesa da almeno dieci minuti. Ho
dovuto farti ombra per richiamare la tua attenzione”
“Disegni in maniera
superba e mi piacerebbe vedere qualche altro tuo disegno” aggiunse poco dopo
rientrando in casa
“Come te la cavi con
i ritratti?” domandò mentre ci sistemavamo a tavola
“Con i ritratti?
Beh, non saprei … non ne faccio molti” ammisi
In realtà ne avevo
fatti meno di cinque in tutta la mia vita.
Non amavo i ritratti
perché in tutti gli schizzi che facevo mi piaceva inserire qualcosa di mio. Non
solo ricopiare o riportare la realtà su carta. E nei ritratti tutto questo non
era possibile.
“Mi piacerebbe
comunque avere qualche disegno. Potresti farne qualcuno per me?”
Ero spiazzata e
incredula
“Perché? Ascolta … io
non sono molto brava e non pens-”
“Questo lascialo
giudicare a me” mi interruppe lui sorridendo appena
“Se ci tieni tanto”
risposi con un’alzata di spalle
Non mi sentivo
all’altezza. Non ero brava e non mi consideravo nemmeno tale. Non disegnavo per
gli altri. Io disegnavo e dipingevo solo per me, per passatempo. Era un hobby
il mio, nient’altro.
“Si, grazie. Lo
apprezzerei molto”
Il pranzo passò
velocemente. Le portate erano leggere e le chiacchiere tante. Margaret ci raccontò,
infatti, altri episodi dell’infanzia di Gerard e dei suoi fratelli. A fine
pasto avevo le lacrime agli occhi dal troppo ridere mentre lui sembrava
piuttosto abbacchiato.
Sparecchiai con
l’aiuto di Gerard mentre sia mia madre sia la sua si ritiravano in salotto.
Dopotutto loro avevano cucinato.
“Ti andrebbe di
farmi un ritratto, Soph?”
“Come?” la sua
richiesta mi aveva sorpreso
“Hai da fare
adesso?”
“No, non ho nulla da
fare” ammisi esitante
“Benissimo. Allora
vieni con me” mi prese per mano e mi trascinò su per le scale
“Dove hai il tuo quaderno?”
“L’album? è in camera mia … ma … perché? ” risposi
esitante
“Bene. Prendilo e
vieni in camera mia”
Perché
in camera sua?
Annuì e a passo
svelto mi diressi in camera mia.
La porta era aperta
così entrai sicura. Lui era alla finestra, aveva scostato le tende e aperto le
finestre.
Sentì i miei passi e
si voltò. Sorrideva sereno.
Aveva posizionato
due poltroncine una di fronte all’altra. Mi invitò a sedermi e lui si sistemò
su quella di fronte.
“Voglio che tu mi
faccia un ritratto” esordì
Io non risposi
subito e lo guardai un poco perplessa “Posso chiederti il perché della tua
richiesta?”
“Non c’è un perché.
Voglio che tu mi ritragga. Punto e basta”
Aveva usato un tono
secco e duro.
Alzai un
sopracciglio “Sai, non mi piace quando usi quel tono. Per ottenere le cose che
vuoi, forse, dovresti porti in maniera diversa”
Credeva di potermi
intimidire con quel tono, ma aveva fatto male i suoi conti.
Infatti incrociai le
braccia e lo guardai fisso.
“Tu parli troppo.
Fai quello che ti ho chiesto senza tante storie”
“Se credi di potermi
comandare a bacchetta ti sbagli di grosso, Hollywood” mi alzai di scatto
tentando di allontanarmi. Lui balzò in piedi altrettanto velocemente e mi
bloccò il polso con una mano.
Mi guardò dall’alto
in basso e poi sospirò “Cosa devo fare con te? Eh Sophie?“
“Imparare a
comportanti meglio, magari?!”
Ero stata sarcastica
ma anche tremendamente seria. Mi faceva infuriare quando usava quel suo tono
prepotente.
“Cosa vuoi in
cambio?”
Voleva
offrirmi dei soldi? Una ricompensa?
Quelle parole
avevano il sapore di uno schiaffo. Uno schiaffo morale.
“A differenza di te,
non ho bisogno di un corrispettivo per fare qualcosa” replicai con tono
disgustato.
Pensava
davvero di potermi comprare?
Cercai di
allontanarmi nuovamente da lui ma me lo impedì
“Non sto parlando di
soldi, Soph. Non mi insultare” era arrossito ma non per l’imbarazzo. Era
arrabbiato.
“Lasciami subito. Tu
credi di poter continuare a fare il prepotente ogni volta che vuoi ma ti sbag
…”
Non riuscì a finire
perché la sua presa si fece ferrea e le sue braccia mi circondarono come una
morsa d’acciaio.
“Non so proprio come
comportarmi con te. Un momento sei dolce ed accondiscendente e quello dopo sei
acida e scontrosa! Quando sono con te non riesco a pensare in maniera logica” le
sue parole erano come un fresco alito di vento.
Mi aveva stupito.
Davvero
ero io la causa? Ero io a provocarlo?
“Sei così bella … mi
piaci molto!”
Stava per baciarmi
lo sapevo. Ma non lo avrei permesso. Non poteva pensare che cedessi dopo tutto
quello che aveva detto.
Mi scostai e voltai
il viso. Le sue braccia però mi intrappolavano a lui.
“Non vuoi baciarmi,
Sophie?” mi chiese un poco risentito
“Pensi davvero che …”
ricominciai io furibonda
“Te l’ho detto. Non
riesco a pensare quando mi sei vicina. Mi distrai” e con voracità scese sulle
mia labbra.
Mi ero preparata ad
un bacio avido, forte e magari impaziente ma rimasi stupita quando lo sentì
delicato e dolce. Le sue labbra lambivano le mie come una tenera carezza. Erano
calde e morbide.
Fu impossibile non
cedere.
Gli intrecciai le
mani dietro la nuca e lo avvicinai di più a me. Lui sospirò e approfondì il
bacio. Mi lasciai andare contenta di essere lì con lui.
Mi accarezzò la
schiena per poi salire verso il collo a sfiorarmi i capelli. Sentì la sua mano
sulla mia guancia e pigramente mi separai da lui.
“Mi fai perdere il
controllo” mi soffiò sulle labbra poco dopo.
Gerard mi guardava
con desiderio. Continuava a lasciare scie di piccoli baci sul mio viso. Sugli
occhi, sul naso, sulle guance per poi tornare sulla mia bocca. Chiusi gli occhi
e assaporai quella sensazione di benessere che avevo nel petto.
“Chi è Susy?” la
domanda mi sfuggì dalla bocca.
Lo
stavo solo pensando…
“Susy è la mia
assistente ma … ”
Si era allontanato
un poco ed ora mi guardava perplesso “Come sai di Susy?”
Non risposi. Scossi
solo la testa.
Mi avvicinai a lui
sporgendo un poco le labbra. Volevo che ricominciasse a baciarmi. Lui esitò un
poco ma poi mi accontentò ed io chiusi nuovamente gli occhi. Mi sentivo leggera
e volevo approfittare di quella meravigliosa sensazione che sentivo dentro di
me.
“Hai il ragazzo,
Sophie?” mi chiese lui interrompendo di colpo il bacio
“Cosa? N-no, non
sono fidanzata” risposi spiazzata dalla domanda e confusa per quei baci
“Ti vedi con
qualcuno?” chiese nuovamente
Io scossi la testa
negativamente
“Meglio così”
sospirò tornando a baciarmi come prima.
Poco dopo lo scostai
e gli feci la stessa domanda. Lui sorrise e scosse la testa.
In quel momento il
suo cellulare prese a vibrare e lui lo recuperò subito dalla tasca.
Forse
è una chiamata di lavoro…
Seguendo quel
pensiero feci per allontanarmi ma non me lo permise. Anzi mi strinse a sé.
Magari era qualcuno che conosceva, ma non riuscì a capire se fosse un uomo o
una donna.
Parlava molto
velocemente, poi improvvisamente scoppiò a ridere
“Mi hai interrotto,
rompiballe! Si, è qui con me. George ti saluta”
“Oh, ricambia”
E’
solo George…
“Hey, attento a non
esagerare, George” rispose alzando un pochino la voce
Sentì la risata
gioiosa di George.
Chissà
di cosa stavano parlando …
Continuarono a
parlare tra di loro ancora un poco “Si, penso di si. Aspetta un momento, glielo
chiedo subito” aggiunse
“Soph, ti piacerebbe
andare a vedere una partita di basket? Stasera giocano gli Scottish Rocks!”
Non avevo idea di
chi fossero questi Rocks ma annuì allegra
Avremmo
passato la serata insieme!
“Si, ci saremo. A
che ora? Perfetto. Ci vediamo stasera, allora. Ciao rompipalle!” chiuse la
conversazione gettando il cellulare sul letto.
“Cosa succede?”
“Succede che stasera
andremo al palazzo dello sport a vedere I Rocks giocare” spiegò guardandomi
“Io però non capisco
nulla di pallacanestro” ammisi
“Non ti preoccupare,
è un gioco e ci sono poche regole da seguire. Sarà facile vedrai e comunque ci
saranno George, sua sorella, altri vecchi amici e con le loro fidanzate”
aggiunse prendendomi per mano e baciandomi l’interno del polso.
Annuì appena,
concentrata com’ero a godermi la carezza di quel bacio.
Mi baciò di nuovo e
con voce allegra domandò “Allora? Me lo fai o no questo ritratto?”
Lo fissai ad occhi
stretti, accigliata, e lui vedendo la mia reazione si affrettò ad aggiungere un
debole per favore.
Sorrisi soddisfatta
e mi andai a sedere sulla poltroncina. Appoggiai sulle gambe il blocco e lo
aprì mentre lui prendeva posto.
Come di propria
volontà, la matita che tenevo in mano prese a muoversi sulla carta.
Presto cominciarono
ad apparire le linee del suo volto. Non avevo bisogno di guardarlo se non di
sfuggita. Ricordavo ogni dettaglio del suo volto. Il sole creava sul suo viso
punti di luce e di ombra che mi soffermai ad osservare. Riprodurli sul foglio
fu difficile ma non impossibile. Sollevai lo sguardo su di lui non più di
quattro o cinque volte.
Il ritratto richiese
più di un’ora.
Quando sollevai il
volto posando a terra gomma e matita ero stupita. Era sicuramente il disegno
migliore che avessi mai fatto. Sembrava una fotocopia, anzi una fotografia.
“Hai già finito?” domandò
alzandosi e avvicinandosi
Con gentilezza mi
prese l’album dalle mani sollevandolo per osservare il mio lavoro.
Io rimasi seduta, in
attesa, alzando però gli occhi verso il suo viso.
Cominciai a temere
che non gli piacesse quando d’improvviso, accovacciandosi per essere alla mia
stessa altezza, mi prese il volto tra le mani e mi baciò.
“E’ bellissimo. E’
davvero bellissimo, grazie”
Tirai un sospiro di
sollievo
“Ti piace?” chiesi a
conferma
“Certo! Si, mi piace
molto. Sei molto brava!” mi assicurò sfiorandomi ancora le labbra
Ero sdraiata supina
sul letto e leggevo un libro. Ero così concentrata che al suo bussare alla
porta trasalii un poco.
“Pronta tra un’ora”
annunciò allegro
“Agli ordini,
signore!” risposi scattando sull’attenti
Rise divertito e a
grandi passi raggiunse di nuovo la sua camera
Cavoli,
ho un’ora per farmi la doccia, acconciare i capelli, vestirmi e truccarmi. Non
ce la farò mai...
Con uno scatto
veloce mi fiondai sotto la doccia. Quaranta minuti dopo, ero ancora davanti
all’armadio indecisa su cosa indossare.
Per fortuna avevo
già sistemato i capelli; quella sera erano gonfi e ricci e profumavano
leggermente di cocco.
Decisi di indossare leggins
color viola ed una maglia nera lunga. Ai piedi stivali neri alti fino al
ginocchio. Mi truccai velocemente, niente fondotinta o cipria; mi concentrai solo
sullo sguardo.
Stavo per scendere
le scale quando la porta della sua camera si aprì e ne uscì lui.
I jeans blu scuro
gli fasciavano le cosce in maniera davvero invitante. Aveva una giacca in pelle
nera e sotto una maglietta bianca in cotone.
E’
bellissimo!
Mi sorrise e
avvicinandosi mi passò un braccio intorno alla vita.
“Mhm” sussurrò
guardandomi dalla testa ai piedi
“Cosa?”
“Sei appetitosa
stasera. Molto appetitosa” rispose baciandomi sulla tempia e infilando una mano
tra i miei capelli
“Mi piacciono molto
così” aggiunse portandone una ciocca al naso
Ispirò ed espirò ad
occhi chiusi “Sai di buono … è dolce.
Cos’è?”
“E’ coc … cocco … il
mio shampoo è al cocco” balbettai imbarazzata
Averlo così vicino
mi faceva battere forte il cuore.
Mi prese per mano e
percorremmo la scalinata velocemente. Salutai Margaret e mia madre ed uscimmo
diretti alla sua macchina.
Si
prospetta una serata … interessante!
Arrivammo a destinazione
e appena scesa dalla macchina George mi venne incontro abbracciandomi. Risi
subito.
“Almeno lasciala
scendere dall’auto” disse Gerard colpendo l’amico con un pugno sulla spalla.
George mi sorrise e mi
diede un bacio sulla guancia “Sono contento che tu ci sia. Vedrai ci sarà da
divertirsi”
Si avvicinò a noi
una ragazza minuta e piuttosto bassa. Sorrise allegra e mi tese la mano
“Ciao Sophie. Io
sono Chris, la sorella di George”
Lui l’abbracciò
subito e le scompigliò i capelli neri e cortissimi “Ecco la mia sorellina. Ci assomigliamo vero?”
domandò strizzandomi l’occhio
“Grazie a Dio no! Ed
è una fortuna per Chris” Gerard era intervenuto al momento giusto
Ora mi era di fianco
e si affrettò ad abbracciare Chris per salutarla. George prese la palla al
balzo e, prendendomi a braccetto, mi allontanò da lui
“Ragazzi… lei è
Sophie!” mi presentò George ad un gruppo di ragazzi li vicino.
Erano il resto degli
amici di Gerard. Notai altri quattro ragazzi e solo due ragazze. Quest’ultime
si avvicinarono subito e mi salutarono sorridendo. Ricambiai abbracciandole.
Salutai poi i
ragazzi, in ordine, Colin, Mark, James fidanzato con Sarah e Jack che stava
insieme ad Anna.
George mi appoggiò
un braccio sulle spalle dicendo “Hey state sciupando la mia ragazza!” ad alta
voce tentando di allontanarmi dagli altri
“Non contarci
George!” era Gerard
Tolse malamente il
braccio di George e mi avvicinò al suo fianco posandomi un braccio intorno alla
vita “Tutto bene?” mi soffiò all’orecchio
Annuì sorridendo
Appoggiò le sue
labbra ai miei capelli, inspirò a fondo catturandone, forse, il profumo. Era
una cosa strana da fare ma a me piaceva un sacco.
“Sei il solito
guastafeste!” dichiarò George sbuffando infastidito e facendo scoppiare tutti a
ridere
Chris mi prese a
braccetto “Posso portartela via, Gerard?” chiese gridando
Lo stadio era quasi
al completo e il rumore di fischi, urla ed altro sovrastava ogni cosa.
“Mi raccomando,
tienila lontano da tuo fratello. Altrimenti sarò costretto a fargli male e senza
denti sono sicuro che non sarebbe un bello spettacolo!” ribatté Gerard ridendo
“Promesso!” ci
allontanammo seguite subito da Sarah ed Anna
Diedi una veloce
occhiata dietro di me e vidi i ragazzi seduti su grandi gradini in pietra.
Quello infatti era il posto riservato agli spettatori.
“Tranquilla, starà
bene” mi rassicurò Chris notando il mio sguardo
“Si, penso di si”
risposi annuendo
“Allora parlaci di
te. Sei molto carina ed e’ la prima volta che ti vediamo con Gerard. Da quanto
state insieme?” domandò subito Anna
Rimasi come pietrificata
per qualche secondo.
Loro pensano che io e Gerard stiamo assieme…
“In realtà noi non
stiamo assieme. Siamo amici, credo. Siamo amici ed è …”
“Una situazione
complicata” finì per me Anna.
Chris e Sarah
annuirono comprensive. “Da dove vieni? Sei di queste parti? Hai uno strano
accento” domandò curiosa Sarah
“In realtà no. Sono
italiana.”
In breve, raccontai
loro del mio arrivo e un po’ della mia vita. Loro fecero altrettanto. Scoprì
così che Sarah e James stavano insieme. Sarah era l’unica ad avere la mia età e
lavorava come indossatrice e modella. Chris ne aveva ventidue studiava
all’università per diventare infermiera mentre Anna aveva ventotto anni e
lavorava in banca come impiegata.
Erano tutte simpaticissime
e tanto gentili. Restammo a parlare al bar per più di mezz’ora, poi cariche di
panini, birre, patatine e salse varie ritornammo alle gradinate dai ragazzi.
“Grazie dolcezza” mi
ringraziò George quando gli consegnai un panino ed una birra.
Io sorrisi e
proseguì verso Gerard, che appena mi vide si aprì in un sorriso raggiante e mi
fece spazio accanto a lui.
Gli consegnai
l’altro panino, le patatine e la birra.
“E per te?”
“Ti va di dividerci
le patatine?”
“Certo” rispose
porgendomele “Ketchup o maionese?”
“Maionese, la
preferisco”
“Anche io” era felice e gli occhi gli brillavano
Mi avvicinai e lui
mi cinse con un braccio baciandomi la guancia. Era dolcissimo in quei momenti.
“Chi vince?”
domandai guardando verso il campo dove si sfidavano i giocatori
“Siamo in vantaggio
di dieci punti” rispose mordendo il panino e concentrandosi sulla partita
Io non capivo molto.
In realtà non mi ero mai interessata al Basket e non ne conoscevo le regole.
Sapevo solo che bisognava fare canestro e vinceva chi faceva più punti, ma
quanto al resto tabula rasa. Restavo comunque attenta ai movimenti dei
giocatori e di tanto in tanto addentavo una patatina spalmata di maionese.
Ad ogni canestro noi
del pubblico urlavamo, gridavamo o li incitavamo a fare meglio. Tutto sommato
era divertente e di tanto in tanto Gerard mi spiegava regole di gioco o il
perché di un’azione.
La partita finì alle
undici e trenta in pareggio, con grande disappunto di George e James che
avevano scommesso, sicuri in una vittoria dei Rocks.
Ci avviammo
all’uscita, una piccola e stretta porta di vetro, in fila indiana.
“Ora dove andiamo?” domandarono
Colin e Mark
“Io domani devo
lavorare fuori città e devo alzarmi presto. Mi accompagna James, perciò noi
passiamo” dichiarò Sarah
James stava già
sbadigliando. Cominciarono a salutare finché giunsero a noi “E’ stato un vero piacere
conoscerti, Sophie. Spero di rivederti presto” mi salutò Sarah
“Comportati bene
Gerard” aggiunse James salutando l’amico
“Come sempre!”
rispose lui sicuro
“Non ci contare,
James. Avresti dovuto vederlo ieri a pranzo. Il solito buzzurro campagnolo”
commentò George scuotendo la testa
Io scoppiai a ridere
mentre Gerard sbuffò alzando gli occhi al cielo.
* Il Paisley Daily Express esiste veramente ed è
uno dei quotidiani locali di Paisley.
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Capitolo 16 *** XVII Capitolo ***
Cap. 17
XVII Capitolo
“Io
conosco un pub qui vicino” propose Mark
“Si, il Goonie’s e tra
l’altro ci si arriva a piedi” aggiunse Colin
“Bene, andiamoci”
esclamarono in coro George e Jack
“Ve
la sentite o preferite tornare a casa?” domandò Gerard a me e Chris
“Va benissimo”
dichiarai guardando Chris che annuì positivamente
L’aria della sera
era fredda e sapeva di pioggia. Mi strinsi le braccia cercando di riscaldarmi.
Poi sentì una giacca cadermi sulle spalle. Gerard mi aveva ceduto la sua e mi
poggiava un braccio sulle spalle.
Lo ringraziai
appoggiandomi a lui.
L’insegna del locale
divenne finalmente visibile e vi arrivammo in pochi minuti. Appena entrati una cameriera ci si parò di
fronte, accompagnandoci ad un lungo tavolo rettangolare e facendoci sedere
tutti.
“Bene Sophie.
Parlaci un po’ di te” esordì Jack guardandomi
Due secondi dopo tutti
gli sguardi di quel tavolo si posarono su di me … arrossì imbarazzata.
“Ehm … cosa posso
dire? Sono arrivata da poco e sto a casa di Gerard. Mi sono appena laureata ed
ora sono in vacanza” raccontai in breve
“Anna ci ha detto
che sei italiana”
Sorrisi “Si, è
vero. Sono nata e cresciuta in Italia”
“E come hai
conosciuto Gerard?” domandò Mark
Fortunatamente il
diretto interessato prese la parola risparmiandomi una lunga e complicata spiegazione
“E’ la figlia della
migliore amica di mia madre. Entrambe sono ospiti a casa nostra”
Aveva tralasciato il
perché. Margaret aveva chiamato mia madre in seguito alla morte del marito, il
padre di Gerard. Gli presi la mano e lo guardai. Lui rispose stringendomela e
avvicinandola al volto.
“Da
quanto state insieme?” chiese Mark, notando il nostro gesto
“Non stanno assieme.
Sono solo amici!” esclamò quasi gridando George
Forse
aveva bevuto un pò troppo…
“Sophie è la mia
ragazza. Vero Sophie?” aggiunse poco dopo meritandosi una gomitata nello
stomaco da parte di sua sorella Chris e un’occhiataccia di Gerard
“Non ti piacciono
proprio i denti che hai, vero George?” ringhiò lui in direzione dell’amico che
rispose con un ghigno beffardo
La cameriera si
avvicinò a noi e finalmente potemmo ordinare da bere. Presero tutti una birra
mentre io puntai su un analcolico alla frutta.
“Non mi piace la
birra” dichiarai in risposta alla muta domanda di tutti gli sguardi perplessi
Gerard scosse la testa
sconsolato. “Qui siamo in Scozia, Sophie. La birra è un must come da voi lo è
la pizza”
Io alzai le spalle e
ringraziai in silenzio quando la cameriera mi porse il mio bicchiere.
“E voi invece? Da
quanto tempo vi conoscete?” domandai dopo un lungo sorso del mio cocktail. Era
squisito, delicato e al sapore di pesca.
“Jack, Colin, Gerard
e George si conoscono fin da piccoli. Andavano a scuola assieme” spiegò Anna
con un sorriso
“Mentre Mark lo
abbiamo incontrato dopo. Al gruppo due anni fa si è aggiunta anche la piccola
Chris” aggiunse Jack abbracciando la fidanzata e scompigliando i capelli
all’amica
“Anche se Gerard ci
fa l’onore della sua presenza solo quando torna a casa. Vero, G-boy?” aggiunse
George con un sorriso ironico rivolto un po’ a tutti.
G-boy? Era un diminutivo?
“Forse non ti
conviene tirare troppo la corda, George. In caso contrario ti ritroveresti presto
a dover prenotare una visita dal dentista!” lo provocò Jack facendo ridere tutti
“E non ci andresti
sulle tue gambe. Ci andresti in barella! O magari ti faccio risparmiare e te li
faccio raccogliere da terra seduta stante!” aggiunse Gerard con un ghigno
“Ma fanno sempre
così?” domandai a bassa voce a Chris che subito scoppiò a ridere
“Oh,
ma stasera non è niente” si intromise Anna “Avresti dovuto vederli a scuola.
Saresti morta dalle risate” continuò ridendo
“Perche?”
“Litigavano sempre e
per delle sciocchezze, sembravano cane e gatto. E la maggior parte delle volte
arrivavano alle mani. A noi toccava il compito di intervenire per dividerli. Come
se non bastasse dovevamo pure stare attenti a non prenderle pure noi… sai calci
e pugni volanti sono dolorosi!” continuò a raccontare Jack
“Si esatto. Peccato
che quello che le prendeva era sempre George” aggiunse Chris sghignazzando
“Certo, perché
Gerard è sempre stato grosso come una montagna, anche da bambino! E poi era un
prepotente. Voleva decidere sempre tutto lui. Si era auto-eletto a capo e
paladino di tutti! O facevi come diceva lui o ti ritrovavi con un occhio nero!”
esclamò indignato George
“Questo non mi
stupisce affatto! Fa il prepotente e l’arrogante anche adesso cercando di obbligarmi
a fare come vuole lui” dichiarai annuendo partecipe
“Ma non mi riesce
molto bene a quanto pare” aggiunse Gerard guardandomi
“Solo
perché io non cedo” aggiunsi sollevando un sopracciglio
“Allora, vuol dire
che dovrò impegnarmi di più “ continuò con un sorriso sghembo
“L’importante
è crederci!”
“Ecco, visto?!? Che
vi avevo detto? E’ la ragazza più cocciuta che abbia mai conosciuto! Qualsiasi
cosa dico lei deve controbattere. Se non lo fa non è contenta ” disse tornando
a guardare gli altri ma parlando di me
“Che
bugiardo patentato! Non è assolutamente vero” ribattei “Sei tu che ti poni sempre in maniera autoritaria
e pretenziosa. Non è mica colpa mia se abbiamo opinioni diverse! Dovresti imparare
ad essere un po’ più cortese con le persone e forse, e dico forse, riusciresti
a risultare meno arrogante. La colpa è solo tua”
“Visto? Cerca di
intortarmi con le sue chiacchiere”
“Non cerco di
intortarti … ma solo di farti capire … dovrei forse evitare di dirti come la
penso? Beh, non ci contare perché…”
Faceva finta di non
sentirmi.
“Oh
sei impossibile!” mi arresi alzando le mani
“Amen, sorella!”
esclamò George alzando il suo boccale al cielo e provocando l’ilarità della
tavolata
“Beh, si direbbe che
tu abbia trovato qualcuna capace di tenerti testa, amico!” aggiunse Jack
ridacchiando
“Pare proprio anche
a me. Pane per i tuoi denti!” rincarò la dose Anna
Io e Gerard ci
guardavamo negli occhi come a sfidarci.
“Io tifo per Sophie.
Spero che ti metta al tappeto una volta per tutte” mi spalleggiò George
“Noi pure”
dichiararono insieme Anna e Chris.
Alzai un
sopracciglio, lo guardai e sorrisi divertita
“Mmm, vedremo” affermò
lui distogliendo lo sguardo
Pochi secondi dopo
tornò a cingermi la vita e sia Anna sia Chris sorrisero in segno di
incoraggiamento. Guardai il telefono e notai che erano quasi le due di notte.
Avevo ricevuto un
messaggio. Era di Luca, il mio migliore amico. Voleva sapere come stavo e cosa
facevo. Il messaggio l’aveva inviato pochi minuti prima così decisi di
chiamarlo.
“Ciao Luca” lo
salutai
Parlavo in italiano
ma nonostante questo mi alzai dal tavolo e mi allontanai
Non
è educato parlare al telefono quando si è in presenza di altre persone.
“Ciao tesoro come
stai?” aveva una voce squillante che mi faceva sempre sorridere.
Avevo conosciuto
Luca, quasi per caso, al primo anno di università e avevamo subito stretto
amicizia. Un ragazzo simpaticissimo e intelligente, acuto anche se
tremendamente sensibile. Molto più della sottoscritta che da sempre era
soprannominata la fontana umana! Andare a fare shopping con lui e farmi
consigliare su abbigliamento e scarpe era stupendo, oppure passare giornate intere
a leggere romanzi o andare al cinema. Al secondo anno mi confidò di essere
omosessuale ma questo lo avevo già intuito molto tempo prima.
Era il mio migliore
amico in assoluto.
“Oh, Luca. Sono così
contenta di sentirti. Ho un sacco di novità da raccontarti. Sei seduto?”
“In
realtà sono sdraiato sul divano. Va bene lo stesso?”
“Non ci crederai mai.
Indovina dove sono?”
Non avevo detto a
nessun’altro dove sarei andata. Primo perché era stata una decisione
improvvisa, secondo perché non ne avevo avuto il tempo e terzo … beh, non ci
credevo ancora neppure io.
“Non lo so. Dove
sei?”
“Sono in Scozia” risposi
tutto d’un fiato.
Ero uscita dal pub e
l’aria fredda mi colpì in pieno viso. Rabbrividì ma continuai a sorridere
“Palle!”
“Ti giuro, Luca”
“Davvero? Sei
davvero in Scozia? Perché non me lo hai detto? Sei una stronza … avresti dovuto
dirmelo! Ci eravamo promessi di andarci insieme!”
In effetti aveva
ragione. La promessa risaliva all’anno precedente. Ci eravamo promessi che
appena laureati avremmo fatto un viaggio in Scozia assieme. Una terra magica che
affascinava entrambi.
“Hai ragione, ma è
stata una cosa improvvisa e credimi fino ad ora ho avuto pochissimo tempo anche
solo per riuscire a rielaborare la cosa”
Gli spiegai
brevemente tutta la storia tralasciando di parlargli di Gerard.
“Oh, poveri. Mi
spiace”
Ve
l’ho detto che è anche piuttosto empatico?
“Si, infatti. Beh,
ho un’altra sorpresa” continuai tornando a sorridere.
“Racconta
bella, sono tutto orecchi”
“Sono ospite a casa
dei Butler. La loro famiglia conosce la mia da anni”
“Butler? Cazzo hanno
lo stesso cognome del nostro attore preferito … Butler deve essere un nome
comune lì. Strano non lo avrei pensato” parlava in tono leggero.
“No, Luca. E’ la
stessa famiglia” gli svelai sorridendo. Non vedevo l’ora di sentire la sua
reazione
“Ma … ma come? Che accidenti
stai cercando di dirmi?” ora la sua voce si era alzata di due ottave.
Sicuramente era
scattato a sedere.
Forse sta iniziando a capire…
“Adesso non ti
arrabbiare e resta calmo, ok? Vedi io e la mamma siamo ospiti a casa sua. Anzi
stasera sono uscita con lui e con alcuni suoi amici”
Silenzio all’altro
capo del telefono
“Luca? Luca ci sei?”
Che
fosse svenuto dalla sorpresa?
“Mi stai prendendo
per il culo?“ la sua voce era tesa
“No, Luca te lo
giuro. E’ tutto vero! Ho conosciuto Gerard Butler, sono uscita con lui e sono
ospite in casa sua” detta così poteva sembrare davvero una barzelletta, ma era
la verità.
Lui era ancora
silenzioso.
Dopo parecchi
secondi che mi sembrarono ore finalmente la sua reazione arrivò. Cominciò a
gridare come un forsennato. Senza rendermene conto cominciai ad urlare anche io
e ridere da sola come una pazza.
“Oh mio Dio! Oh mio
Dio! Non ci posso credere! Non ci posso credere … Oh mio Dio!” io continuavo a
ridere ed urlare “Oh mio Dio! Sei la stronza più fortunata di
questo mondo. Di questa fottutissima galassia! Oh mio Dio, Gerard Butler. Non
ci posso credere!” urlava a crepapelle.
“Tutto bene?” Gerard
scrutava il mio viso. Aveva corrugato la fronte.
Non lo avevo sentito
arrivare e non potei evitare di sobbalzare.
“Aspetta un secondo
Luca” mi voltai completamente verso di lui per incontrare i suoi occhi.
“Si tutto bene”
annuì sorridendo
Passare
dall’italiano all’inglese mi richiese qualche secondo.
“Ti ho sentita
gridare … e sono venuto a controllare” ammise accarezzandomi il viso
Oh,
che dolce!
“Scusa, non volevo
farti preoccupare. Stavo parlando con Luca e mi sono messa a gridare. Ma sto
bene, tranquillo”
Lui si accigliò
qualche secondo poi annuì e rientrò dentro. Lo seguì con lo sguardo per poi
riavvicinare il cellulare all’orecchio.
“Luca?” chiesi
tornando a parlare con quel matto del mio migliore amico
“Non mi dire che
stavi parlando con lui…” mi domandò con voce acuta
“Si, era lui.” ammisi
con un sorriso
“Oh mio Dio. Ma
allora è vero! E’ tutto vero. Oh mio Dio. Ti invidio, sono verde d’invidia
Soph!” scoppiai a ridere.
Parlammo ancora per
qualche minuto. Volevo sapere come stava e cosa faceva. Riagganciai dopo non so
quanto tempo promettendogli che l’avrei richiamato presto.
Quando rientrai
sorridevo ancora. Mi avvicinai al tavolo e con calma tornai a sedermi al mio posto.
“Tutto a posto?” s’informò
Gerard abbracciandomi
“Si, tutto bene” risposi
annuendo
“Sei gelata”
commentò sfregandomi le braccia cercando di scaldarmi.
“Ho freddo infatti”
Sbadigliai e lui mi
posò un lieve bacio sulla tempia “Hai sonno?”
“Ah- ah” annuì
sbadigliando ancora
Anna e Jack in quel
momento si alzarono e salutarono tutti dicendo che era tardi e volevano andare
a dormire. Li salutai con calore e poco dopo ci alzammo anche noi.
“George, Chris noi
andiamo. Volete un passaggio?” chiese Gerard obbligandomi a mettere la sua
giacca. Ero stanca e avevo sonno perciò non feci storie, anzi lo apprezzai.
“Si, grazie”
annuirono entrambi alzandosi
“Andate via?” domandò Mark
“Si, amico. Soph ha sonno ed io sono un po’ stanco” ammise
Gerard
Salutammo anche Mark
e Colin ed uscimmo.
George abbracciò la
sorella e ci precedettero. Per fortuna la macchina non era lontana.
Salendo all’interno
rabbrividì; eravamo in estate ma sembrava autunno.
“Allora Soph, ti sei
divertita?” mi chiese Chris allegra
“Si, molto. Siete
stati tutti gentilissimi e divertenti. Soprattutto tu George: sei il mio
preferito!”
“Oh, cavolo. E
adesso chi lo sopporta più!” ribatté Gerard ridendo assieme a Chris
“Sei solo geloso, mio
caro” ribattè George a tono “Sentito? Sono il suo preferito!”
Ridacchiai felice.
Erano un gruppo davvero forte.
Accompagnammo i due
fratelli fin sotto casa e scendendo salutai entrambi abbracciandoli.
Li salutammo con la
mano e risalimmo in auto partendo.
“Oh, sto morendo di
sonno” dichiarai tra uno sbadiglio e l’altro
“Ti sei divertita?”
“Moltissimo. I tuoi
amici sono fantastici. Rumorosi ma divertenti. Molto divertenti”
Scoppiò a ridere “Beh,
anche tu sei piaciuta loro. Non dicevano altro quando sei uscita”
“Davvero?” chiesi
“Si, davvero.
Continuavano a ripetere quanto fossi carina e simpatica e gentile. Sei piaciuta
a tutti, soprattutto a Chris ed Anna. E George ormai è cotto!”
Il cancello
d’ingresso si aprì lasciandoci passare.
La casa era buia e
silenziosa. Sicuramente la mamma e Margaret erano già a letto.
“Ho sete. Prendo un
bicchiere d’acqua” annunciai sbadigliando
“Ti faccio
compagnia”
Si appoggiò al
lavello mentre riempivo due bicchieri di acqua.
“Chi è Luca?” chiese
prendendo in mano il bicchiere e guardandomi.
La sua domanda mi spiazzò.
“Luca è un amico
dell’università. Il mio migliore amico” risposi portandomi il bicchiere alle
labbra e bevendone un altro sorso
“Capisco” asserì
annuendo “Ed è solo un amico?”
Io sorrisi e strinsi
gli occhi a fessura. Aveva parlato veloce e forse avevo capito male.
“Come mai tutto
questo interesse, Gerard?” domandai inarcando un sopracciglio.
Lui si accigliò e
rimase a fissarmi per qualche minuto. Ormai aveva finito di bere, quindi posò
il bicchiere nel lavandino. Sembrava sveglio, molto più di me, e il suo sguardo
era vigile.
“Rispondi alla
domanda Sophie” aveva usato di nuovo quel suo tono arrogante.
Ora
però … non sembra essere solo curiosità la sua!
Un sorriso malizioso
fece capolino sul mio viso “Come mai ti interessa?” domandai ancora senza
rispondergli.
Lui si avvicinò, mi
prese il bicchiere dalle mani e lo appoggiò sul tavolo. “Tutto ciò che ti riguarda
mi interessa. Ora rispondi alla mia domanda”
Tutto
ciò che ti riguarda mi interessa???? E questo che diavolo vuol dire?
“Qual’era la
domanda?” ricordavo perfettamente quale fosse la sua domanda
“Questo tuo amico,
questo Luca. E’ solo questo? E’ solo un amico?” mi studiava con uno sguardo
strano. Sembrava come in attesa di qualcosa.
Il suo aroma mi confondeva
così non riuscì a rimanere impassibile o a negare.
“Si, è solo un amico”
risposi annuendo
“Sei sicura?” ora mi
accarezzava la guancia con il pollice
Si era avvicinato
ancora di più. Ora i nostri corpi si sfioravano.
“Assolutamente,
visto che gli piacciono i ragazzi” affermai.
Lui poco dopo
sollevò entrambe le sopracciglia. Non aveva capito…
“E’ gay!” gli
spiegai. Ora non ci sarebbero più stati dubbi.
Mi lasciò andare e le sue mani tornarono lungo i suoi fianchi. Aveva voltato la
testa ed ora quasi sembrava non ci fossi.
Si è comportato
così solo per ottenere l’informazione che voleva.
Lo sorpassai e salì le
scale. Ero arrabbiata. Arrabbiata con me stessa.
Perché diavolo non
riuscivo a tenerlo lontano? Odiavo l’effetto che aveva sul mio corpo.
Poco dopo sentì dei
passi dietro di me.
“Buonanotte”
annunciai fredda senza voltarmi.
Avevo quasi afferrato
la maniglia della mia stanza quando mi prese un braccio bloccandomi e dopo una
veloce giravolta mi obbligò a guardarlo “Niente bacio?” domandò malizioso
“No, niente bacio! Non
te lo meriti”
“Perché? Cosa ho
fatto?” sembrava il ritratto dell’innocenza il maledetto.
“Qual’era il motivo
del terzo grado di poco fa?” domandai incrociando le braccia al petto
“Ero curioso”
rispose sollevando le spalle con noncuranza.
La faceva facile
lui. Si abbassò e avvicinò le sue labbra alle mie.
“Solo curioso?”
“Curioso e un
pizzico geloso” dichiarò in un soffio prima di prendermi il mento e baciarmi.
Non avrei mai
immaginato di sentirglielo dire. E forse fu proprio quello che mi permise,
quella sera, di lasciarmi andare. Di arrendermi ai suoi modi.
Le sue labbra erano soffici,
leggere. Si muovevano con maestria, quasi sapessero già quale fosse il loro
compito. Mi prese il labbro inferiore tra i denti tirandolo un poco e
mordicchiandolo.
Mi faceva impazzire.
Tutto in lui mi dava alla testa, il suo corpo, il suo tocco, il suo profumo,
persino i suoi modi. Con la lingua ne seguì il contorno più volte finché con un
gemito le dischiusi completamente. Ne approfittò subito e con voracità la sua
lingua cominciò ad esplorare la mia bocca per poi unirsi ed intrecciarsi con la
mia.
Mi alzai sulle punte
e gli cinsi il collo con le braccia.
Cominciai ad
accarezzargli la nuca per poi intrecciare le dita ai suoi capelli. Lui con un gemito
mi spinse con forza contro la porta.
Battei la schiena contro
lo stipite della porta ma non vi badai anzi mi aggrappai a lui con ancora più
forza. Il bacio s’intensificò e divenne quasi famelico. Il mio corpo desiderava
di più ma la mia mente remava in senso contrario.
Magari
c’è qualcuna che lo aspetta a Londra… non ci hai pensato?
Poco dopo si allontanò
per riprendere fiato. Quando però tentò di riavvicinarsi mi scostai,
allontanandolo.
Inizialmente sembrò
indispettito da quel rifiuto ma dopo qualche minuto annuì.
“Buonanotte” mi
sussurrò all’orecchio.
Avevo il fiato corto.
Mi baciò ancora, più delicatamente.
Rientrai in camera e
mi lasciai scivolare sul letto.
Voglio
davvero continuare questa cosa con lui? Non so nemmeno cosa ci sia … abbiamo
caratteri ed opinioni completamente differenti!
Beh,
certo ci conosciamo da nemmeno una settimana!
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Capitolo 17 *** XVIII capitolo ***
Cap. 18
XVIII Capitolo
Non voglio
andarmene. Non voglio tornare a Londra!
Voglio restare qui.
Mi ero svegliato con questi pensieri che mi vorticavano in testa. Era
tardissimo, ero di pessimo umore e la prima persona che avrei voluto vedere era
lei. Sophie stava ancora dormendo, però.
Seduto sul divano con una tazza di the in mano e il giornale nell’altra
cercai di concentrarmi e di leggere. Fare la mia solita colazione alle undici e
trenta del mattino non era il caso.
Avevo chiamato Susy per tutti i ragguagli del viaggio. Sarei
partito alle cinque del pomeriggio.
Appena quattro ore da passare con lei.
Ero ancora di pessimo umore così non mi accorsi della sua presenza.
Entrò in punta di piedi, ancora una volta scalza. Aveva i capelli gonfi e
arruffati, una maglietta a maniche corte lunga fino a mezza coscia e un sorriso
dolcissimo ad incorniciarle il viso.
“Buondì” esordì guardandomi
ed entrando in sala.
La seguì con lo sguardo finché non si rannicchiò vicino a me.
Esattamente come un gattino lasciò cadere la testa sulla mia spalla.
“Ben svegliata dormigliona” le baciai il capo sospirando deliziato
Anche appena
sveglia profumava di cocco?
“Margaret e la mamma?” chiese sbadigliando
assonnata
“Sono andate al mercato presto questa mattina. Dovrebbero tornare
a momenti” guardai l’orologio per accertarmene
“Ho fame”
“A chi lo dici! Mi sto trattenendo ma potrei cominciare a mordere
i cuscini del divano da un momento all’altro!”
“A che ora parti oggi?” domandò tornando di colpo seria
Eccola la domanda
che temevo…
“Prendo l’aereo alle sei, perciò partirò da qui un’ora prima”
Lei annuì senza dire nulla. Sospirò e si accoccolò meglio
raccogliendo le gambe al petto. Buttai da parte il giornale e posai la tazza
sul basso tavolino di fianco. La circondai con un braccio e l’avvicinai di più
a me.
“Ti potrò chiamare? Quando sarò a Londra,
intendo”
“Mhm … ci devo pensare ” un sorriso traspariva dai suoi occhi
“Il tuo numero” reclamai deciso allungandole una penna ed un
blocco di post-it.
Lei si sporse, solo con la penna, mi prese una mano e cominciò a scriverci
sopra. Guardai la mano e sorrisi. Avevo il suo numero.
“Quanto resterai via?” domandò in un sussurro
“In realtà non ne ho la minima idea. Credo e spero non più di qualche
giorno. Voglio tornare qui al più presto”
“Perché?”
“Beh, perché dovrei essere in vacanza … almeno in teoria. Ho solo
uno stupido incontro con un paio di registi per delle proposte
cinematografiche”
“E poi ho una promessa da mantenere … devo aiutare un’ostinata
ragazza italiana a migliorare il suo inglese” aggiunsi poco dopo guardandola
con la coda dell’occhio
“Tsz! Se è solo per questo non c’è bisogno della tua presenza. Tua
madre andrà benone” rispose piccata
“Ma non è la stessa cosa! Vuoi mettere una come lei contro un bel
fustaccio come me? Dai, non c’è confronto! ” ribattei assumendo una posa da
modello
“Che esibizionista! Hai un ego smisurato, lo sai?” mi tirò un
leggero pugno sulla spalla.
Ridacchiai.
Ad interromperci fu il rumore della porta d’ingresso. Si aprì e si
chiuse poco dopo.
Le voci concitate delle nostre madri erano inconfondibili. Mi
alzai per vedere se avevano bisogno di aiuto e Sophie mi seguì.
Gerard partì qualche ora dopo salutandomi con un bacio frettoloso
sulla guancia.
Erano trascorsi cinque giorni dalla sua partenza.
Riuscì a chiamarmi solo un paio di volte e le telefonate durarono pochi
minuti. Mi disse che le cose si erano complicate e che forse si sarebbe
trattenuto più del previsto. Entrambe le volte era di corsa ma mi disse di
voler sentire la mia voce.
Quello stesso giorno pranzammo in cucina e sia la mamma che
Margaret, nel pomeriggio, uscirono per le ultime compere. Fra pochi giorni
saremmo tornate in Italia, a casa nostra. Margaret era un poco triste e tentò
di convincerci a rimanere.
Quello stesso pomeriggio stanca di rimanere in casa da sola,
buttai l’album sul letto e mi preparai. Volevo uscire. Avevo bisogno di aria.
Mi ci voleva una passeggiata. Guardai dalla finestra e notai che il tempo era
nuvoloso. Mossi le spalle incurante ed uscì.
Ero triste … e il perché lo sapevo bene!
Mi mancava averlo
per casa. Mi mancava la sua presenza. Mi mancavano i nostri battibecchi e le
sue prese in giro.
E non lo avrei
rivisto prima di partire…
Ero triste e con il morale a terra. Mi scrollai di dosso quei
pensieri e solo allora mi accorsi che stava piovendo.
Mi guardai intorno ma non vidi né riconobbi niente di familiare.
Con tutti quei pensieri mi ero allontanata più del previsto o magari avevo
sbagliato strada. Feci un giro su me stessa ma la situazione non cambiò.
Non avevo la minima idea di dove mi trovavo.
Sospirai.
Mi ero persa.
|
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Capitolo 18 *** XIX Capitolo ***
Cap. 19
XIX Capitolo
Ero così contento di essere di nuovo a casa.
Quell’incontro non era andato molto bene e i tempi si erano
allungati. Altro che un paio di giorni … solo alla fine di un’intera settimana riuscimmo
a trovare un accordo soddisfacente per entrambi e qualche ora dopo ero già in
aeroporto.
Avevo parlato a Susy, sommergendola d’informazioni, pensieri e
impressioni su Sophie.
Mi ero affezionato a lei.
In quei giorni ne avevo sentito la mancanza.
Ed ora non vedevo l’ora di rivederla.
Attraversai il cancello di corsa e mi fiondai dentro casa. Pioveva
a dirotto.
E’ in arrivo un
temporale con i fiocchi … maledetto tempaccio!
In casa non trovai nessuno, ma sul tavolo della cucina notai un
biglietto scritto da mia madre. Erano uscite per fare le ultime compere.
Sophie non me lo aveva detto ma mia madre si.
Sarebbero tornate a casa tra qualche giorno. E questo mi turbava
parecchio. Non volevo che andasse via. Avevo pensato a questo durante tutto il
volo ed avevo avuto una strabiliante idea.
L’avrei convinta a rimanere. Dopotutto era in vacanza, si era
laureata da poco ed aveva bisogno di riposo. E poi c’era sempre la lingua. Era
una carta da giocare.
Rimanendo sarebbe
riuscita sicuramente a migliorare il suo inglese, la pronuncia e avrebbe imparato
tantissimi vocaboli nuovi.
Non le avrei
permesso di tornare in Italia. La volevo lì.
Con quei pensieri mi lasciai cadere sul letto. Ero spossato e il viaggio
mi aveva stancato più del previsto.
Mi addormentai vestito.
“Gerard, svegliati” la voce di mia madre
raggiunse il mio orecchio svegliandomi
“Mamma. Ciao” mugugnai ancora intontito. Mi
stropicciai gli occhi e mi sollevai sui gomiti
“Tesoro, dov’è Sophie?”
“Sophie?” non capivo perché
mi chiedessero di lei. Non era in casa?
“Si, Gerard. Dov’è?” domandò ancora
“Perché lo chiedi a me? Non è in camera sua?”
“No, non è in camera. Non è in casa” aveva un tono ansioso
“Ma non era con voi?” domandai alzandomi dal
letto e tornando lucido di colpo
“No, è rimasta a casa. Sono preoccupata. E’ tardi, fa freddo. E’
buio e piove a dirotto. Dove potrebbe essere?”
“E sua madre? Lisa dov’è?” chiesi avvicinandomi alla finestra e
tirando le tende.
Pioveva abbondantemente. Il temporale era peggiorato dal mio
arrivo. Lampi e fulmini scuotevano il cielo e lo illuminavano a giorno.
“Che ore sono? Da quanto non è in casa?”
“Sono quasi le dieci. Lisa è fuori, qui intorno. La sta cercando.
Io sono salita a chiamarti”
“Prendi una torcia e falla rientrare. Piove troppo. Andrò io a
cercarla” dichiarai risoluto abbottonandomi la camicia che avevo addosso.
Dove cazzo era finita? E perché diavolo era
uscita con un tempo del genere? Le era successo qualcosa?
Era caduta o si era persa? Era ferita? Qualcuno
le aveva fatto del male?
Quest’ultimo pensiero fece schizzare alle stelle rabbia e preoccupazione.
“Avete provato a chiamarla sul cellulare?” chiesi scendendo di
corsa le scale
“Si certo ma risulta sempre non raggiungibile”
rispose mia madre passandomi la torcia elettrica
In quel momento Lisa rientrò in casa. Aveva i vestiti incollati
addosso, i capelli bagnati e il viso arrossato dal freddo.
“Ti prego trovala. Riportala a casa” mi supplicò
Riuscì a scorgere le sue lacrime nonostante le gocce di pioggia.
Annuì con un cenno deciso ed uscì.
Non riuscivo a capire dove fossi. La pioggia cadeva con più forza
e rapidità. Un’occhiata al cielo mi confermò che il temporale stava peggiorando
e intorno a me non vedevo rifugi o ripari di nessun tipo.
Lo sconforto mi sopraffece e l’ansia e il panico cominciarono ad
afferrarmi. Non volevo disturbare la mamma e Margaret ma la situazione stava
precipitando velocemente. Non volevo ammalarmi o addirittura continuare a
vagare alla cieca all’infinito.
“Dannazione! Stupido cellulare…” lo rimisi in tasca sbuffando.
Non c’era segnale in zona.
Voltai il busto a destra e a sinistra aguzzando la vista nella
remota possibilità di scorgere qualcuno.
Nulla, niente,
nada! Vuoto assoluto!
“Beh, se Maometto non va alla montagna … la montagna andrà da
Maometto!” dichiarai decisa.
Non potevo rimanere sotto la pioggia, nel bel mezzo del nulla,
così mi decisi a proseguire.
Non ho idea di
dove sto andando ma a volte l’ignoto è più confortante dell’infelice certezza!
Passo dopo passo, seguendo piccoli e stretti sentieri ripensai
alla strada percorsa. Volevo tornare a casa ma avrei dovuto anzitutto ricordare
la strada fatta, in caso contrario mi sarei persa ancora di più.
Il vento cominciò a farsi sentire, mi schiaffeggiava il viso con
forza portandovi anche gocce di pioggia. Mi guardai per un momento e sospirai
sconsolata. I vestiti che avevo indosso erano impregnati d’acqua, le leggere
calze fradice. Mi sfregai le braccia nel vano tentativo di riscaldarmi.
Continuavo a camminare e camminare, ma all’orizzonte nulla di nuovo. Nessun
segno di civiltà.
“Maledetta solitudine da montanari…” biascicai prima di starnutire
con forza un paio di volte “Spero solo di non ammalarmi!”
Procedetti ancora finché non persi la nozione del tempo
rifiutandomi di continuare a guardare il telefono per cercare il segnale.
Questi dannati
sentieri dovranno pur portarmi da qualche parte!
Continuavo a chiamare il suo cellulare senza alcun risultato. Era
sempre irraggiungibile.
Il maltempo non dava tregua. Ero in auto da circa una decina di
minuti quando mi ricordai che Sophie amava passeggiare soprattutto nella parte
alta di Paisley, non lontano da casa. Purtroppo però quei posti non erano
raggiungibili in auto. Tornai subito verso casa, parcheggiai e cominciai a
correre a piedi.
Che fosse proprio
lì?
Stupida ragazzina
… che cosa ti è saltato in mente? Appena ti trovo ti faccio una lavata di capo
che ricorderai per il resto della vita!
Annuì deciso a quell’ultimo pensiero.
Ma la realtà era un’altra. Ero tremendamente ansioso. Preoccupato
per lei, per la sua salute o che le fosse successo qualcosa. Fortunatamente
avevo preso un ombrello ma nonostante quello la pioggia mi raggiunse in poco
tempo. Le prime a farne le spese furono le mie scarpe.
Duecento dollari
di scarpe buttati nel cesso!
Camminavo veloce e a grandi passi, guardando ovunque nella speranza
di scorgere la sua figura. Chiamarla ad voce alta era fuori discussione perché
se anche avessi gridato a squarciagola il suo nome, il vento, i tuoni e la pioggia
avrebbero sovrastato tutto.
Iniziavo ad avere paura.
Non solo per il fatto di essermi persa ma anche perché il
temporale non accennava a placarsi anzi peggiorava di minuto in minuto. Lampi e
tuoni continuavano a farmi sobbalzare.
Andarsene in giro con un tempo del genere, senza protezioni o difese
era pericoloso. Alcune lacrime sfuggirono al mio controllo ma non vi badai.
Volevo trovare un riparo, chiamare casa e farmi venire a prendere.
Ero sempre più stanca. Piccole nuvolette di fumo uscivano dalla
mia bocca ad ogni respiro. Tremavo dal freddo e starnutivo di continuo. Mi passai, per l’ennesima volta, le dita sul
viso cercando di eliminare le gocce di pioggia che m’impedivano di vedere
attorno. Mi sfregavo le braccia e a volte le gambe, sebbene fosse quasi del
tutto inutile.
Mi sentivo debolissima, non riuscivo a vedere bene intorno e con
stanchezza sollevai di nuovo la mano verso il viso. Avevo le gambe molli e
pesanti mentre le braccia erano irrigidite dal freddo. Le forze mi stavano abbandonando,
dannazione.
Saranno almeno un
paio d’ore che cammino … senza fermarmi.
Non so per quanto ancora avrei resistito. Voltai di nuovo il viso
verso destra quando notai una fioca fiammella dorata e del fumo.
Mi fermai all’istante. Senza nemmeno pensarci mi diressi
velocemente verso quel chiarore. Era una piccola casa, una baita.
Avevo sete, mi bruciavano la gola e avevo il naso e le orecchie
tappate. Ero distrutta dalla stanchezza e dal freddo.
Arrivata davanti alla porta cominciai a bussare inizialmente piano
poi sempre con maggiore insistenza. Dopo qualche minuto un vecchio signore
venne ad aprire.
Ero
in salvo e al sicuro, finalmente!
Le gambe mi cedettero improvvisamente e per evitare di cadere a
terra mi aggrappai all’anziano signore. Cercai di parlare ma la gola mi faceva
male. Riuscì solo a gracchiare
“La prego, devo chiamare … aiuto”
In lontananza sentì la voce del poverino chiamare qualcuno … Jared
… poi il buio.
Avevo il fiatone così rallentai il passo. Era da più di mezz’ora
che camminavo per quella dannata campagna senza scorgere nulla e nessuno. Provai
di nuovo a chiamare Sophie. Stavo già per desistere quando lo sentì suonare.
Finalmente si trovava in una zona dove c’era campo.
“Soph?! Dove diavolo sei? Siamo
tutti preoccupati! Cosa ti è saltato in mente di uscire con questo tempo? Dimmi
subito dove ti trovi! Verrò a prenderti. Rispondi dannazione! Dove sei?” parlai
tutto d’un fiato e con tono rabbioso. In realtà ero molto preoccupato.
“Gerard? Sei tu?”
“Chi parla?” domandai
Questa non è la
voce di Sophie.
“Sono Stein McKenzie” si presentò l’uomo
“Oh, buonasera Sig. McKenzie. Ha visto per caso una ragazza che …”
“Si, Gerard, è qua da noi. Jared sta cercando di aiutarla” mi
interruppe con voce tenue
“Aiutarla? Perché? Che cos’ha?” domandai cauto
“E’ svenuta, Gerard.”
Quelle parole mi bloccarono sul posto.
Misi fine alla conversazione e cominciai a correre a perdifiato
fino a casa McKenzie.
Arrivato davanti alla porta bussai con forza. Alla porta apparve
Jared, lo salutai velocemente con un cenno del capo
“Dov’è?” chiesi trattenendo il panico
“E’ di là. Nella mia stanza. Non si è ancora ripresa” Jared mi condusse nella camera.
Vidi Sophie sdraiata sul letto. Il volto pallido, i capelli
bagnati incollati al viso.
In due falcate la raggiunsi.
“Oh, Soph” sospirai accarezzandole la fronte
“Ha i vestiti tutti bagnati. Le ho tolto le scarpe e le calze.
L’ho coperta ma credo abbia la febbre”
Ascoltai solo in parte ciò che Jared mi stava dicendo. Ora la mia
mente era occupata da un solo pensiero.
Volevo che la mia Sophie aprisse gli occhi e che mi rassicurasse
di star bene.
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Capitolo 19 *** XX Capitolo ***
Cap. 20
XX Capitolo
“Credo che … mmh … forse dovremmo spogliarla” la voce di Jared era
esitante
“Cosa?” lo guardai con
sguardo truce
“Hey, sta calmo. Dico solo che secondo me dovremmo toglierle i
vestiti. Sono completamente bagnati! Non vuoi che si ammali, vero?”
“No, certo che no!” risposi riflettendoci meglio “Tu però esci”
aggiunsi
Jared uscì in silenzio dalla stanza.
Non gli avrei permesso di vedere Soph nuda. Scostai la pesante
coperta che la copriva e cominciai a sbottonarle la leggera camicia. Riuscì a
togliergliela a fatica e non so quanto tempo dopo. Non volevo farle male, ero
lento e delicato. Non aveva ancora ripreso conoscenza e la cosa mi preoccupava
parecchio.
Le calze e le scarpe le aveva già tolte Jared, così mi accinsi a
sfilarle i jeans. Averla tra le braccia quasi nuda era strano.
Beh, mi ero
immaginato la scena diversamente … soprattutto con una Sophie cosciente e
consenziente!
Aprì la porta della camera e con un cenno del capo richiamai Jared
nella stanza.
“Mi devi aiutare”
Lui alzò entrambe le sopracciglia confuso.
“Non riesco a spogliarla … a levarle i jeans, intendo”
“Cosa? E come mai?” domandò con voce divertita
Jared si era portato una mano davanti alla bocca. Si stava
trattenendo dallo scoppiare a ridere, lo sapevo!
“I jeans sono fradici … e … devi aiutarmi!” continuai irritato
“Cioè, fammi capire ... mi stai dicendo che hai bisogno del mio
aiuto per togliere i vestiti ad una donna? Che tra l’altro è pure incosciente? Cazzo,
amico hai bisogno di rivedere un po’ le basi!”
Senza replicare mi limitai a lanciargli un’occhiataccia.
“Ed io che pensavo che in situazioni del genere te la sapessi
cavare da solo” aggiunse con un sorriso furbo
“Non fare l’idiota ed avvicinati!“
Ci accostammo entrambi al letto e con gesti delicati le scostai
nuovamente la coperta di dosso.
Jared proruppe in un fischio di ammirazione “Però… mica male la bambolina”
“Jared, falla finita!” ringhiai a denti stretti
“Perché? Che ho detto? Aspetta almeno che l’abbia toccata prima di
… abbaiare!” Imprecai ad alta voce e minacciai di castrarlo se non mi avesse
aiutato subito.
“Ok, ok. Hai chiarito il concetto. Come ci organizziamo? Chi sta
sopra? Chi la prende da sotto?” continuò con un ghigno
“Jared, maledetto idiota, vuoi farla finita? Concentrati! Dobbiamo
fare in fretta perché non voglio che si ammali!”
“Una sveltina … ottima idea! Mi piacciono i mordi e fuggi!”
Digrignai i denti e lo guardai con sguardo furioso.
“Giusto, scusa. Ok. Come ci disponiamo?”
“Io la tengo dalle braccia e tu le sfili i jeans. Sii delicato,
per cortesia”
“Sicuro, non ti preoccupare. E poi, fidati … nessuna donna si è
mai lamentata del sottoscritto. Ho le mani d’oro dicono!” continuò sorridendo
malizioso
Imprecai ancora a mezza voce ma mi accinsi a fare la mia parte.
“Le mutandine … gliele lascio?”
“Cristo Jared … ti giuro che se non la fai finita ti faccio male
davvero! E datti una mossa! Faccio sul serio!” intimai ormai al limite della
sopportazione
Cominciò a sfilarle i jeans molto lentamente. Erano incollati alle
cosce di Soph.
“Sai che se si svegliasse in questo momento … sarebbero cazzi,
vero?”
“Continua senza parlare ”
“Pensa, invece, se entrasse adesso il nonno … la frase non è come pensi non basterebbe a
salvarci sai? Soprattutto non ci eviterebbe una legnata sui denti col suo caro vecchio
bastone da passeggio!”
Jared finì di sfilarglieli, li appoggiò ad una sedia e li avvicinò
alla stufetta, presente in camera. Nel frattempo avevo lasciato il busto di
Sophie e l’avevo coperta.
“E’ proprio carina! Dove l’hai pescata?”
“E’ la figlia della migliore amica di mia madre e …”
Ma in quel momento lei aprì gli occhi e biascicò qualche parola.
Non riesco a
capire un accidenti!
Si agitò per qualche secondo nel letto e poi si addormentò.
Perlomeno ha
ripreso conoscenza … ora ha solo bisogno di riposare.
“Cosa ha detto?” chiese Jared
“Ha parlato in italiano, sicuramente”
“Italiana, eh? Questo spiega tutto”
“Non voglio nemmeno sapere a cosa stai pensando …”
“E fai bene caro mio. Perché non credo ti piacerebbe sapere quello
che mi passa per la testa, in questo momento!”
“Sei un idiota, Jared Leto! Ora devo chiamare mia madre e la sua
per avvisarle che sta bene”
“Tranquillo, fai con calma. Ci penso io a tenerla d’occhio!” dichiarò
ghignando
Scossi la testa. Era incorreggibile. Non sarebbe mai cambiato.
Ero alla porta quando si girò verso di me con un gran sorriso
stampato in faccia “Hey, Gerard … felice di rivederti amico!”
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Capitolo 20 *** XXI Capitolo ***
Cap. 21
XXI
Capitolo
“Si, mamma, sta bene. E’ solo un po’ stanca. Siamo a casa del
nonno di Jared ora”
“A casa del Sig. McKenzie? Ma è lontanissimo … che diavolo ci fate
lassù?” domandò meravigliata
“Sophie è arrivata quassù da sola. Non so ancora bene come, comunque
ora sta riposando”
“Ma sta bene, vero? E’ ferita o altro?”
“Ma no mamma. Ti ho detto che sta bene, non preoccuparti. Si era
persa e si è un po’ spaventata, tutto qui”
Non volevo dirle
le reali condizioni di Soph perché non volevo spaventare né lei né sua madre.
“Oh, menomale. Non sai quanto eravamo in pena per lei. E anche per
te dopo che sei uscito. A proposito, tu come stai?”
“Tutto bene, mamma. Stai tranquilla. Sono bagnato dalla testa ai
piedi ma sto bene. Resteremo qui finché il temporale non finisce”
“Si, forse è la scelta migliore! Meglio che restiate entrambi al
caldo. Mangia qualcosa e fa mangiare anche Sophie. E poi riposati. Saluta Jared
e suo nonno e ringraziali. Buonanotte tesoro. Ti voglio bene”
“Si, non preoccupatevi. Buonanotte” salutai mettendo fine alla
conversazione.
Jared era in cucina e stava mescolando qualcosa in un grosso
pentolone.
“Ho pensato avessi fame …”
“Hai pensato bene!”
Mi mise davanti un piatto fumante di zuppa di verdure e del pane.
La mangiai volentieri. Era calda e molto saporita.
“Dici che è il caso di svegliare Sophie per farla mangiare? Oppure
è meglio lasciarla dormire?” domandai finendo di mangiare
“Lasciala dormire. Era stremata e non penso voglia essere
svegliata per mangiare”
“Forse hai ragione … con il carattere che si ritrova comincerebbe
a strillare come un’aquila!” ribattei sorridendo
Ripensai a quel giorno quando ero piombato in
camera sua e l’avevo buttata giù dal letto!
“Mmh … ti piace!”
“Cosa?” domandai confuso
“Non fare il finto tonto con me, Gerard! Ti conosco da una vita … ed
tu hai la tipica faccia da pesce lesso di chi è stato preso in trappola!”
rispose sicuro
“Faccia da pesce lesso? Io non ho la faccia da pesce lesso!”
“Eccome se ce l’hai. Guarda lì … occhi vacui, rossore e sorriso
idiota sulla faccia!” aggiunse annuendo a se stesso
“Qui l’unico pesce lesso è quello che mi siede di fronte!”
“Comunque, se vuoi il mio parere, è molto carina. Come vi siete
conosciuti?”
“E’ successo un mesetto fa, più o meno. La sua famiglia e la mia
sono amiche da anni ma lei non l’avevo mai vista“ borbottai distogliendo lo
sguardo dal suo
“Mmh… abbassi lo sguardo, borbotti … altro che. Caro mio ti ha
preso al lazzo!” esclamò Jared divertito
“Tu sei matto! Nessuno ha preso al lazzo nessuno. Fine della
storia”
“Se lo dici tu…”
“Già. Lo dico io!” risposi scocciato
“Ti lascio andare a dormire. E’ tardi e il temporale non accenna a
smettere. Prendo un altro cuscino”
“Si grazie” risposi “Ma dove dormo visto che c’è un solo divano?”
aggiunsi poco dopo
“Beh, mi pareva scontato dormissi con Sophie... ma se preferisci
dormire tu sul divano mentre io riscaldo la nostra giovane donzella, per me va
più che bene!” fece malizioso tornando con in mano un cuscino
“Non ci pensare neppure! Se qualcuno deve dormire con Sophie
quello sarò io e non tu!” chiarì deciso
“Ci avrei scommesso! Beh, mi è andata male … buonanotte” disse
ridacchiando
“Notte!” risposi ancora seccato
Con in mano il cuscino mi diressi verso la camera di Jared. Entrai
piano cercando di non fare rumore. Sophie era supina e dormiva tranquillamente.
Con gesti silenziosi mi spogliai, posando i vestiti vicino la
stufa e stancamente mi infilai sotto le coperte. Pochi secondi dopo caddi in un
sonno profondo.
Mi svegliai qualche ora più tardi perché sentì Sophie muoversi. Senza
rendermene conto, nel sonno, mi ero avvicinato a lei ed ora la tenevo tra le
braccia.
Lei mugugnò qualcosa che non riuscì a capire. Sembrava sofferente
per qualcosa.
Magari ha fame …
o forse sete.
Mi alzai dal letto, andai in cucina e le presi dell’acqua. La bevve
tutta d’un sorso. Sorrise e ritornò sotto le coperte. Dopo pochi secondi la
sentì avvicinarsi e stringersi a me.
Sorrisi anch’io e l’abbracciai. M’immersi nuovamente tra le
braccia di morfeo questa volta più soddisfatto.
“Buongiorno dormiglioni”
Aprì gli occhi lentamente. Avrei preferito rimanere a dormire ma
la vista del mio amico mi riportò alla realtà. Aveva un sopracciglio alzato ed
una mano sotto il mento in atteggiamento pensieroso.
“Ma … che ore sono?“ biascicai con la bocca ancora impastata dal
sonno
“E’ quasi mezzogiorno, mio caro. Dormito bene?”
“Avrei preferito continuare a dormire“ risposi sbadigliando rumorosamente
“Già, lo immagino” aggiunse con un sorrisone
Sentì un mugugno provenire dalla mia destra e voltandomi presi
nota della posizione in cui ero e soprattutto chi avevo accanto.
Sophie era semi sdraiata su di me, poggiava la testa sul mio
petto, un suo braccio mi cingeva la vita mentre una gamba era incrociata alla
mia. Arrossì un poco nel constatare che non mi ero assolutamente accorto di
nulla.
Quasi … fosse
naturale.
Immediatamente tolsi la mano arpionata al suo fondoschiena.
Non riuscì però a muovermi né a spostarmi. Non volevo scrollarmela
di dosso ma non volevo nemmeno rischiare di prendermi uno schiaffone. Guardai
Jared per chiedere aiuto ma lui se la rideva bellamente. Scosse la testa ed
uscì silenziosamente chiudendo la porta dietro di se.
Riaprì gli occhi a fatica. Sentivo la gola secca e gli occhi un
po’ pesanti.
Quando mi voltai lo vidi. Era lui ed era tornato.
“Buongiorno” lo salutai stiracchiandomi
Solo un momento dopo realizzai dove mi trovavo, in che posizione e
con chi.
“Oh, mamma! Scusami, non volevo… è che… beh, non credo di … “ mi
scostai subito
Praticamente gli ero avvinghiata come un polipo.
“Tranquilla, va tutto bene” mi rassicurò delicato “Come ti senti?”
Mi stiracchiai un po’ e sentì le ossa dolermi e scricchiolare
leggermente. Mi sentivo uno straccio ma nonostante questo stavo bene. Glielo
dissi.
Lui annuì soltanto e alzandosi andò in bagno.
Sentì l’acqua scorrere, probabilmente si stava lavando la faccia.
Non avevo il coraggio di guardarmi allo specchio. Avrei visto un mostro ne ero sicura.
Così mi alzai e cominciai a vestirmi.
Non sapevo dove mi trovavo di preciso, ma volevo tornare a casa di
Gerard e lavarmi, vestirmi, mangiare e poi dormire fino alla fine dei tempi.
Beh, mica male
come piano…
Ero del tutto vestita quando Gerard uscì dal bagno con sguardo minaccioso
e mi si rivolse come una furia.
“Voglio una spiegazione, Sophie!“
“Una spiegazione? Su che cosa?“ ero confusa e il suo sguardo non
mi piaceva affatto
“Che diavolo ti è saltato in testa di scappare in quella maniera? Esigo
subito una spiegazione!”
Scappare?
“Scappare? Ma cosa stai dicendo? Io non sono scappata da nessuna
parte … perché avrei dovuto farlo?”
“Questo non lo so. Sei tu che, incurante del pericolo come una
novella Indiana Jones, hai deciso di fare una scarpinata su queste montagne.
Non ti sei accorta del tempo? “
“Si, avevo notato che fosse nuvoloso, ma avevo bisogno d’aria e
sono uscita a fare una passeggiata. L’ho fatto anche altre volte … solo che
questa volta mi sono accidentalmente persa. Dato che continuava a piovere a
dirotto, ho pensato di proseguire nella speranza di trovare un rifugio per
ripararmi. Non capisco dove sia il problema, Gerard” risposi ancora turbata
Che cosa gli è
preso? Per quale ragione sta reagendo così?
“Certo, tu non vedi il problema ... ci hai fatto preoccupare,
maledizione! Tua madre e la mia erano spaventate a morte pensandoti chissà dove
… ferita o peggio! Ma tu non ci hai pensato vero?”
Nel frattempo si era avvicinato e con la sua figura mi sovrastava.
Aveva il volto arrossato e mi puntava un dito contro.
“Cosa vuoi fare? Eh? Picchiarmi?“ domandai rabbiosa “Dai, forza. Coraggio. Fai come i cavernicoli,
sfogati!” continuai sempre più arrabbiata
“Picchiarti? Non potrei mai farlo. Non voglio farti del male”
Non solo il suo tono era cambiato ma anche il suo sguardo. Ora non
vi leggevo più rabbia ma solo tanta preoccupazione.
“Stronzate! Perché è esattamente quello che stai facendo. Che
cazzo stai dicendo, si può sapere?” ribattei
Non riuscivo a
capire la sua reazione. Stava esagerando e le cose che mi stava dicendo mi
ferivano.
“Se solo mi lasciassi spiegare…”
Eccolo di nuovo il suo sguardo cupo e rabbioso.
“Certo … non capisci. Perché, probabilmente, non t’importa degli
altri. Sono dovuto uscire a cercarti perché tu eviti di pensare! Dovresti
ragionare sul fatto che non siamo tutti a tua disposizione signorina. E a tua
madre non pensi? Era preoccupatissima per te. Lo eravamo tutti. Stava piangendo
quando mi ha pregato di trovarti e di riportarti a casa. E se non fossi
arrivato in tempo? Eh? Che fine avresti fatto? Se ti fossi ferita o fossi
caduta? Tu non conosci questi luoghi, Sophie e anche se non sembra possono
diventare pericolosi. Pensa la prossima volta che ti viene in mente di fare
cazzate!”
“Vaffanculo! “ mi avventai su di lui con forza e rabbia. Cercai di
schiaffeggiarlo ma bloccò le mie mani con le sue.
“Sei uno stronzo! Hai capito? Sei tu l’egoista e non io. Sei tu
quello che prende e parte senza curarsi di chi o cosa si lascia dietro. Tu che hai
sempre ragione su tutto e non sbagli mai! Tu che non ascolti e vuoi avere
sempre l’ultima parola. Tu che parli e comandi, perché la tua parola è legge!
Tu e i tuoi modi di merda … andate a farvi fottere!”
Le mie parole lo spiazzarono o forse furono le mie lacrime, che
copiose mi scendevano dagli occhi.
“Tu non sai un cazzo di me, non mi conosci! Tu credi di sapere ma non
è così. Sei uno stronzo, un arrogante e un prepotente! E pensare che non vedevo
l’ora che tornassi”
“Davvero?” era colpito
“Si, ma ora mi è passata! Ora non vogli-” non riuscì a finire di
insultarlo perché le sue braccia mi avvolsero stretta.
La sua voce mi arrivò all’orecchio come un soffio di vento
“Mi sei mancata anche tu. Tanto.”
Lo guardai. Le sue dita mi accarezzarono il viso e alcune andarono
ad asciugare le mie lacrime.
Il suo sguardo era di nuovo cambiato. Ora era disteso quasi sereno.
“Non ti credo”
“Devi! Non ho fatto altro che parlare di te a Susy“
“Allora perché hai reagito così? Perché tutta quella rabbia? Mi
hai ferita!” cercai di allontanarmi ma mi strinse di più.
“Non volevo ferirti ma la tua avventatezza e il tuo non riflettere
attentament-”
“Basta! Smettila, non ricominciare! Ho capito. Credi pure a tutto
quello che ti pare non me ne importa più nulla. Ho chiuso!”
“Hai chiuso?” domandò confuso
“Si, ho chiuso con te! Tra un paio di giorni me ne torno a casa
mia, in Italia, e ti dimenticherò!”
Mi prese il viso tra le sue mani e mi avvicinò alla sua bocca. Le
nostre fronti si toccavano. Il suo respiro era caldo e profumava di fresco. E
con una dolcezza inaspettata mi baciò.
“Non voglio! Non te lo permetterò!”
Il bacio, da tenero e delicato, divenne appassionato e insistente.
“Ero preoccupato … da morire! Non farmi prendere uno spavento del
genere mai più”
Con un mugolio di sollievo mi lasciai andare al suo tocco. Mi
lasciai andare e spensi il cervello.
“Mi sei mancata ragazzina” mi sussurrò a fior di labbra
“Mi sei mancato anche tu, Hollywood”
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Capitolo 21 *** Red Line ***
Red line
Ciao ragazze...
un piccolo avviso! Non spaventatevi però nulla di allarmante.
Sapete già che la storia era finita, nel senso che avevo finito di scrivere
tutti i capitoli ma dopo avere pubblicato il XXI capitolo e letto le vostre
splendide recensioni ho capito. C’era bisogno di qualcosa in più…
Ho capito che c'era bisogno di un capitolo supplementare, un capitolo che ho
finito di scrivere solo questa mattina presto (alle 3.20 XD) e che pubblicherò
a parte.
Se vi state chiedendo il perché di questa scelta ebbene, ho convenuto che
avendo dato alla storia un rating arancione sarebbe stato meglio pubblicare
questo capitolo, total red a parte. In modo da non andare a turbare lo scorrere
degli eventi per i lettori/lettrici. E così ho fatto.
Si chiamerà Dolce e delicata come il miele - Red Line e spero tanto che
incontri il vostro favore.
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando.
Baci baci
Iry
Vi metto il link della
pagina a cui potete trovare il capitolo (Grazie Kayla Blake!)
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=804992&i=1
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Capitolo 22 *** XXII CAPITOLO ***
Cap. 22
XXII CAPITOLO
Era passata una settimana dalla mia piccola e goffa vicenda. E di
tutto quello che era accaduto, dopo aver lasciato la casa del nonno di Jared, tra
me e Gerard non ne avevamo più parlato. Lui aveva preferito così ed io, triste
e arrabbiata, avevo esaudito il suo desiderio.
Valevo davvero così poco per lui?
Di cosa aveva timore? O vergogna?
Perché non voleva parlarne?
Gerard, dopo molti sforzi, mi aveva convinta a rimanere ed io, di
conseguenza, avevo convinto la mamma a partire per tornare a casa da John.
Partita il giorno precedente, tutti e tre l’avevamo accompagnata
in aeroporto.
Per cena, decisi di prendere in mano la situazione, cucinai
italiano per tutti, Margaret e Gerard apprezzarono moltissimo. Quella sera
stessa, in salotto lo trovai comodamente seduto sulla poltrona a leggere un
libro.
Ormai eravamo agli inizi di giugno e fra poco sarebbe stato il mio
compleanno. Avrei compiuto 25 anni ed ero contentissima. Nonostante la laurea,
nonostante gli amici, nonostante la mamma e John … sentivo però che mi mancava
qualcosa.
Ho già le crisi di mezz’età?
Sentivo di volere qualcosa, ne sentivo il bisogno. Per essere
completa avevo bisogno di altro.
Peccato non
sapere cosa….
In silenzio mi avvicinai alla fornitissima libreria di casa Butler
e cominciai a scorrere i titoli dei volumi presenti.
“Cerchi qualcosa di particolare?”
La sua calda voce mi fece sussultare.
“Si, un libro. Nonostante adori leggere non ho portato moltissimi
libri con me. In realtà non pensavo di trattenermi così a lungo“
“Mmh… per quanto mi riguarda, sono felicissimo che tu abbia deciso
di rimanere”
Sorrisi alle sue parole e lo guardai. Lui con gesti lenti si
avvicinò e mi baciò la fronte.
“Profumi sempre di buono” con
le labbra ancora sulla mia fronte “Allora
cosa stai cercando?” domandò allontanandosi
“Vorrei qualcosa di romantico e fantasioso” risposi pensandoci
“Mmh … romantico e fantasioso. Fammi pensare … “
“Voglio anche un pizzico di avventura”
“Avventura? Non ti è bastata quella di settimana scorsa?” domandò ironico
“Che palle che sei! Ma perché continui a prendermi in giro? Lo so
di essere goffa e magari anche un po’ ingenua, ma non puoi continuare a tirare
fuori questa storia all’infinito!”
“Certo che posso. E continuerò a farlo, anche perché è
tremendamente divertente!”
Gli risposi con una linguaccia e mi voltai. Volevo continuare la
mia ricerca da sola ma lui mi bloccò prendendomi e avvinandomi al suo petto
“Dai non ti arrabbiare” avvicinando il suo viso alla mia spalla vi
posò un bacio veloce
“Riflettendoci meglio hai notato che la tua avventura è stata
proprio come un romanzo?”
“Un romanzo? Non direi proprio!” risposi alzando entrambe le
sopracciglia
“Una giovane e attraente ragazza si perde nei meandri di una inaccessibile
montagna … le terribili condizioni atmosferiche remano contro di lei. Il tempo
si abbatte sul suo piccolo e fragile corpo con tutta la sua furia”
Mentre diceva queste parole mimava la scena muovendosi tutto. Le
sue facce erano buffissime così mi misi a ridacchiare.
“Piccolo e fragile … non direi proprio. Ho resistito per non so
quanto tempo sotto quel dannatissimo temporale!” borbottai sbuffando
Lui proseguì senza badare al mio commento.
“Ma proprio nel momento in cui la dolce e sperduta donzella sta
per perdere le forze … ecco che arriva il suo principe azzurro a salvarla!”
“Chi?” domando curiosa
“Jared?”
“Ma quale Jared e Jared … sono io! Un giovane uomo coraggioso, di
bell’aspetto, pieno di intelletto e ricco nei modi”
“Tu, ricco nei modi? Sei prepotente con tutti!” replicai “Jared invece … lui si che lo vedrei bene nei
panni del principe azzurro! Coraggioso e con sguardo impavido che accorre in
mio aiuto, incurante del pericolo!”
“Jared? Impavido? Stai sbagliando di grosso mia cara … e poi cos’è
questo continuo parlare di lui?”
Cominciò a farmi il solletico facendomi ridere fin da subito.
“No … Ahahah … dai, smettila … Ahahahahah … Fermati …Ahahah … va
bene!”
Continuavo a contorcermi dal ridere mentre lui non smetteva di
solleticarmi i fianchi e la pancia. Sorrideva della mia reazione
“Okay. Allora? Sei ancora convinta di quello che hai detto?”
Mi lasciò per qualche secondo guardandomi e sorridendo in attesa.
Lungi da me dichiararmi sconfitta feci finta di riprendere fiato.
“Si, certo. Ho capito. Ti darò ragione … solo quando nevicherà
all’inferno!” dichiarai lanciandomi lontano da lui e cominciai a correre
Mi inseguì subito.
“Vieni un po’ qui, piccola manipolatrice!” rispose ridendo
“Prendimi se ci riesci!”
Gli avevo fatto un’altra linguaccia ed avevo cominciato a correre
più veloce per non farmi prendere.
Uscì dal salotto e corsi a perdifiato su per le scale. Lui mi
seguiva a brevissima distanza.
Ridevamo come due pazzi.
“Appena ti prendo …” minacciava scherzosamente
Ridevo ma continuavo a correre.
“Sogna … continua a sognare!”
“Adesso … sei mia!” aveva gridato afferrandomi per la maglietta
Mi aveva in pugno.
Eravamo in camera sua anche se non ricordavo neppure che ci fossi
entrata ed entrambi avevamo il fiatone.
“Ti ho beccata!” rideva allegro.
“Non hai vinto. Mi hai presa … solo perché sono inciampata!“
risposi ancora col fiatone
Lui sorrise e mi strinse a se con delicatezza
“A quanto pare devo ringraziare la tua goffaggine … comunque ho
vinto, non importa il come! Sei in debito e devi pagare pegno!” aggiunse con
una luce maliziosa negli occhi
“E da quando? Non si era stabilito…”
“Non dovresti sfidare chi è più veloce di te! Allora fammi pensare
… la tua punizione … cosa ti faccio fare?”
“Niente di faticoso né di troppo imbarazzante!” replicai sbuffando
Eravamo ancora in mezzo alla stanza e ci guardavamo negli occhi.
Lui mi aveva imprigionato i polsi dietro la schiena. Mi teneva in pugno senza
però forzarmi o farmi male.
I suoi occhi divennero improvvisamente più scuri.
“Cos’ hai in mente?”
“Poca luce, candele, lenzuola fresche … abbracci, baci e … altri
pensieri licenziosi” rispose in un sussurro
Ancora con le mani dietro la schiena mi ritrovai premuta contro il
suo petto.
Riuscivo a sentire il suo alito sul mio viso e profumava di menta.
“Sei così bella … che mi riesce difficile continuare a resisterti” sussurrò prima di abbassarsi per posare le
sue labbra sulle mie.
Mi baciò con forza. La passione a stento trattenuta … come se non avesse
avuto voglia di fare altro da una vita.
Non mi resi subito conto di voler rispondere. Stavo cercando di
liberarmi dalla sua presa ma era forte. Strattonai violentemente e lui mugugnò
qualcosa senza staccarsi dalle mie labbra.
Finalmente riuscì a liberarmi le mani, lui se ne accorse e si
allontanò da me.
“Scusa, Soph … io …”
“Baciami … e stai zitto” risposi sorridendo.
Non se lo fece ripetere due volte e mi arpionò i fianchi stringendomi
più di prima. Sorrise e mi accarezzò il viso con gesti delicati. Con le dita mi
sfiorò la nuca e il collo.
Mi aggrappai alle sue braccia muscolose e mi affidai al suo tocco.
Gerard approfondì il bacio e cominciò a giocare con la mia lingua,
ad intrecciarla alla sua, ad esplorarmi la bocca.
Mi risucchiò le labbra in un altro bacio famelico e mozzafiato. Ora
che avevo le mani libere quasi rimpiangevo la sua stretta. Gli accarezzai le
spalle, larghe e forti, e mi aggrappai ai suoi capelli stringendoli
delicatamente tra le dita. Continuava a baciarmi con foga, liberando forse
quella passione che si era scatenata con il giocare a rincorrersi di poco
prima.
Mi piaceva così tanto provocarlo scherzosamente.
Se poi le conseguenze sono queste …!
Il suono del campanello della porta di casa interruppe il nostro
bacio.
Il bacio … e
quello che sicuramente sarebbe seguito!
“Gerard … dovremmo andare … a vedere”
“No, non importa. Si stancheranno e se ne andranno”
Parlammo entrambi quasi senza staccare le labbra. Il risultato era
stato un mugugnare indistinto.
Incuranti di tutto, continuammo a baciarci e Gerard, nel
frattempo, mi aveva sospinto verso il suo letto. Mi aveva indotta a sdraiarmi,
salendo sul letto subito dopo e sovrastandomi completamente.
Il suono del campanello non accennava ad interrompersi, anzi
sembrava che qualcuno vi avesse lasciato il dito attaccato.
“Gerard … forse è una cosa seria”
“Non preoccuparti, si rassegneranno. Lascia il resto del mondo
fuori“
La sua risposta aveva avuto il potere di provocarmi uno strano
sfarfallio allo stomaco.
Con gesti febbrili cominciai a sbottonargli la camicia. Lui in
risposta mugugnò qualcosa e si liberò delle scarpe, le sue e poi anche le mie. In
pochi secondi riuscì a togliermi la leggera t-shirt che indossavo gettandola
chissà dove. Mancavano solo i miei pantaloncini.
“Mi piaci, Sophie. Il tuo corpo … la risata … i tuoi occhi … la
tua voce. Mi piaci tutta!”
Riprese possesso dei miei polsi e li intrappolò, con una sola
mano, entrambi sopra la mia testa.
Cominciò a baciarmi il collo con piccoli baci leggeri, creando una
scia di delicato piacere. Voltai il viso dalla parte opposta per garantirgli
più accesso.
Aveva la camicia sbottonata e con la coda dell’occhio riuscivo a
intravedere il suo corpo. Il ventre piatto, gli addominali scolpiti, il petto
ampio e proporzionato.
Era a cavalcioni su di me e il suo torace sfiorava il mio seno. Divenne
uno sfregamento così delizioso da farmi perdere la testa. Esattamente come
aveva detto lui … non sentivo nient’altro se non i nostri corpi e i nostri
respiri.
“Dannazione, che rottura!” esclamò d’improvviso
Solo in quel momento riuscì a sentire che il suono del campanello
persisteva.
Mi sono isolata
acusticamente?
“Scendo un minuto per vedere chi è che rompe”
Io mi sollevai un pochino e annuì soltanto.
“Lo mando via e torno subito da te. Aspettami qui” aggiunse sorridendo
e baciandomi sulle labbra
Si riabbottonò la camicia velocemente ed uscì dalla stanza. Mi
lasciai andare all’indietro atterrando sui cuscini.
Oh mamma mia …
Sentì delle voci maschili parlare così mi alzai, mi sistemai e
uscì anche io. Ero in cima alle scale quando un caldo sorriso mi raggiunse.
“Jared!” esclamai sorridendo
Scesi di corsa le scale e mi fiondai ad abbracciarlo.
“Ciao bambolina, che bello rivederti. Come stai?” mi salutò con un
sorriso sghembo
“Bene, grazie. Tu?”
“Qui, il tuo proprietario di casa vuole cacciarmi via!”
Io mi voltai verso Gerard che aveva uno sguardo parecchio
scocciato
“E’ tardi, Jared. Non dovresti essere a casa tua? Cosa ci fai
qui?” gli domandò rabbioso
“Gerard! Che modi…” ero basita
Perché diavolo si
ostinava ad usare quel tono arrogante e assolutamente scortese?
“Ho per caso interrotto qualcosa?” domandò Jared malizioso
“No, certo che no!”
“Si, esatto!” rispose Gerard nello stesso momento
Entrambi ci voltammo a guardarci.
Io arrossì mentre lui alzava un sopracciglio come a dire Ci ha interrotti eccome!
“Si o no?” continuò Jared sorridendo
“Non dargli retta, Jared. Hai già cenato? Possiamo offrirti
qualcosa?”
“Una birra fredda, la accetto volentieri“ rispose annuendo
Gerard ci guardava basito, passava lo sguardo dall’uno all’altro
come se stesse guardando una partita a tennis.
“Certo, vado subito a prendertela” e mi voltai per andare a
recuperarla in cucina
Con la coda dell’occhio vidi Gerard spintonare sgarbatamente Jared
fino al salotto.
“Che cazzo sei venuto a fare, qui, Jared?” domandai
Lo invitai bruscamente a sedersi sul divano mentre lui continuava
a ridere come un idiota.
“Certo che sei proprio un pessimo padrone di casa, Gerard.”
“Fottiti!”
Sophie entrò in salotto con la birra per Jared ed una per me,
pochi secondi dopo.
“Ho pensato volessi unirti al tuo amico”
Che dolce! Ma perché cazzo Jared era arrivato
proprio in quel momento?
“Grazie” risposi
Ero spaparanzato sulla mia poltrona preferita così lei andò a
sedersi accanto a Jared che subito le posò un braccio attorno alle spalle con
gesto indifferente.
“Allora, ragazzi, cosa stavate facendo prima che io arrivassi?”
chiese Jared curioso
Subito Sophie arrossì mentre io gli lanciai un’occhiata omicida.
Che faccia da culo!
“Niente di che … parlavamo” risposi tentando di suonare calmo e
indifferente
“Ah, parlavate … certo. E di che cosa?”
“Un po’ di questo, un po’ di quello” risposi vago
Lui annuì “Ho capito … la
stavi annoiando!”
“No … tutt’altro!” rispose Soph velocemente subito dopo però
arrossì ancora più di prima
Io sorrisi ma fortunatamente Jared non se ne accorse.
“Vedi, Jared, in realtà Gerard mi stava raccontando un po’ delle
vostre abitudini. Di cosa vi piace fare. Un po’ della vostra storia e delle
vecchissime leggende. Ed io adoro le storie”
E’ riuscita ad intortare Jared! Ben fatto
Soph!
“Si,esatto. Niente di noioso!” ribadì in direzione del mio amico
“Non sapevo che fossi interessata ai vecchi racconti popolari o
alle nostre leggende. Non avresti dovuto chiedere a Gerard, lui non ne sa un
accidenti! Credimi, pur essendo americano ne so più io che il tuo brutto e
sgarbato padrone di casa!” esclamò pavoneggiandosi
Sophie scoppiò a ridere e lo abbracciò di getto. E lui non si tirò
indietro.
Troppi abbracci, troppi contatti!!!!
“Mi è venuta fame. Voi?”
chiesi per interrompere quel seccante contatto tra i due
“In effetti … avrei un certo languorino” mi fece eco Jared
toccandosi la pancia
“Se volete posso preparare qualche tost” propose Sophie alzandosi
“Grazie, tesoro. Il mio fallo grande e ben farcito!” rispose
l’idiota
“Grazie Soph. Se hai bisogno chiama pure” dissi ringraziandola con
un sorriso
Lei annuì e con calma uscì chiudendosi la porta alle spalle.
In un nano secondo mi alzai e mi fiondai su Jared.
“Dannato idiota. Che diavolo pensi di fare? Smettila di fare il
cascamorto altrimenti ti gonfio la faccia!” esclamai scuotendolo per il bavero
della giacca
Lui rideva a crepapelle
“Lo sapevo che avresti reagito così. L’ho fatto apposta! E’ così
divertente provocarti. Ci sei cascato come un pollo!” e giù altre risate
“Sei un idiota. E comunque dov’è tuo nonno?”
“E chi lo sa ... magari è dal suo amico Thobias, alla locanda. Si
sarà dimenticato di avere un nipote, boh. E’ per questo che sono qui da te.
Devi ospitarmi per la notte!”
COSA??!!!??
“Non ci pensare neppure! Toglitelo dalla testa Jared, non ti
voglio qui. Soprattutto perché c’è Soph!”
“Non ho un altro posto, Gerard. Davvero. Cercherò di fare il bravo
e di darti poco fastidio.”
“Troppo tardi” borbottai a bassa voce “Che palle che sei Jared”
In realtà Jared è sempre stato uno dei miei migliori amici, quindi
non mi sognavo neppure di lasciarlo fuori casa. Volevo fare un po’ il difficile
e farlo rosolare. Era anche vero che ero incazzatissimo con lui per il fatto
che avesse interrotto me e Soph, prima.
“ E va bene … ma stai lontano dalla camera di Soph, chiaro?”
“Altrimenti?”
“Altrimenti ti castro! Sono stato chiaro?” ribadì feroce
“Agli ordini ” ghignò lui
“Eccomi di ritorno” disse Sophie entrando con un sorriso
Portava un vassoio stracolmo di sandwiches e del succo d’arancia
per lei. Si era anche cambiata, nel frattempo. Ora indossava pantaloni lunghi
da tuta ed una maglietta in cotone. I capelli li aveva fermati in una treccia.
“Grazie tesoro!”
Ci avvicinammo al vassoio e ne prendemmo uno a testa. Tornai a
sedermi sulla poltrona e lei sul divano accanto a Jared. Raccolse i piedini,
come al solito scalzi, e si accoccolò vicino al bracciolo.
“Ok. Adesso è arrivato il momento delle storie. Chi inizia?” fece lei con un sorriso
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Capitolo 23 *** XXIII Capitolo ***
Cap. 23
XXIII Capitolo
“Siccome Jared si sta abbuffando come un tipico rappresentate
della razza suina inizio io” cominciai “Questa leggenda proviene da una ballata
delle Isole Orkney e si chiama La foca di Sule Skerry”
Sophie si mise più comoda sul divano, il suo sguardo divenne
attento mentre Jared sorrise e prese un altro panino.
“Una giovane donna giaceva in lacrime con un bambino tra le
braccia perché il padre di suo figlio le era sconosciuto. Il padre del piccolo
era in realtà una foca che era tornata al mare subito dopo l'incontro amoroso
con la donna”
“Non capisco perché piangesse … diamine era una facile! Ma dico io
… con una foca!” m’interruppe Jared
“Chiudi il becco Jared” lo tacitai
Soph sorrise e gli tirò un pacca affettuosa sul braccio
“Comunque, un giorno, mentre la donna era intenta a cullare il suo
bambino, una foca le apparve e disse << Sono il padre di tuo figlio ma
non posso sposarti. Fornirò il necessario per provvedere a lui ma quando il
bimbo raggiungerà il settimo anno di età, tornerò e lo porterò via con me al
mondo a cui appartiene>>. La foca gettò vicino alla donna un sacchetto pieno
di monete e scomparve subito dopo nel mare. Fu così che la donna crebbe e curò
il piccolo da sola, dall'infanzia alla fanciullezza. Il bambino crebbe forte,
felice e in salute ma la madre sapeva che più cresceva più s’accorciava il
tempo che rimaneva ad entrambi.
Alla fine il giorno tanto temuto arrivò: si trovavano in riva al
mare, intenti a giocare, quando la foca apparve di nuovo. << Per me è
giunto il tempo di reclamare mio figlio - disse la foca - Prendi questo denaro
come ricompensa per averlo curato fino ad oggi>>. E mise nelle mani della
donna un altro sacchetto di monete; poi prese il bambino e gli mise una catena
d'oro attorno al collo. << Se ti dovessi trovare qui sulla spiaggia e
vedere un gruppo di foche, guarda quella che avrà questo collare: sarà il segno
che tuo figlio sta bene >>.
<< Ma cosa ne sarà di me? >> Domandò la donna <<
Non ho un marito ed ora nemmeno più un figlio. Cosa farò? >>
<< Troverai un altro da amare - rispose la foca - un uomo
buono verrà, un soldato, e passerai molti anni felici assieme a lui. Ma una
mattina d’estate, quando tuo marito scenderà sulla spiaggia, ucciderà due
foche. Una sarà tuo figlio e l'altra sarò io>>. Detto ciò, la foca e il
piccolo si tuffarono in mare e scomparvero.
Gli anni passarono e proprio come aveva predetto la foca, la donna
trovò un soldato da amare, un uomo onesto e leale, ma non dimenticò mai la foca
e suo figlio. Trascorse anni felici con il suo compagno ma una mattina il
soldato uscì da casa con la sua pistola e al ritorno raccontò di avere ucciso
due foche; una di esse aveva al collo una catena d'oro. Quando la donna vide il
gioiello il suo cuore si spezzò: aveva capito che anche le ultime parole della
profezia della foca si erano avverate.”
“Oh, che storia triste. Povere foche“ fece Sophie tristemente
“Io non ho ancora capito quale sia la morale di questa storia. E’
non uccidere le foche o per le donne, non darla via al primo che passa?” ghignò
Jared
Scossi la testa mentre Sophie ridacchiò allegra “Io dico che è contro la caccia”
“Non tutte le storie devono avere una morale. Questa è solo una
leggenda, tutto qui!” risposi
“Secondo me è invece un monito per noi uomini: usate il
preservativo altrimenti vi faranno la pelle!”
Scoppiammo tutti a ridere. Jared era sempre il solito. Trovava il
lato divertente in tutte le situazioni.
“Va bene. Ora tocca a me” disse il mio amico alzandosi in piedi
Si mise al centro della stanza e cominciò a fare il buffone
mimando la storia.
Io ne approfittai e mi sedetti accanto a Soph che mi accolse con
un sorriso luminoso.
“Sophie, questa è la storia di come Eilean Donan fu costruito. Meglio
nota con il nome de Il cinguettio degli uccelli“
“Il castello di Eilean Donan è uno dei castelli più conosciuti e
amati della Scozia. Secondo la leggenda,
vi era un condottiero che viveva a Kintail, padre orgoglioso di un bel bambino.
L'uomo soffriva di un borioso senso d’importanza, proprio come Gerard!”
Sophie scoppiò a ridere mentre io guardai male lui e con sguardo
offeso lei.
“Si sentiva come su un piedistallo ben al di sopra delle classi
inferiori, che liquidava come gente stupida e superstiziosa. Avendo sentito di
una credenza popolare, secondo la quale se un bambino avesse bevuto la sua
prima volta dal teschio di un corvo avrebbe sviluppato poteri sovrumani, il
comandante decise, per divertimento, di testare la leggenda su suo figlio, per
dimostrarne la falsità. Non appena il fanciullo fu in grado di essere
allontanato dal seno materno, la nutrice venne provvista di un teschio di corvo
e le fu ordinato di farlo bere da quel macabro calice. Una volta preso il primo
sorso, il figlio del comandante divenne subito capace di capire il linguaggio
degli uccelli e di conversare con loro. Essendo il bambino ancora molto
piccolo, il padre non si accorse subito del cambiamento. Il bimbo crebbe fino a
diventare adulto. Un giorno il comandante domandò al figlio come mai tanti
uccelli stavano cinguettando intorno alla loro casa e di che cosa stavano
parlando. Il figlio rispose che lo stormo parlava di un giorno che doveva
venire, quando il padre avrebbe servito suo figlio a tavola. Il comandante,
offeso da un tale insulto, bandì il figlio da casa e dalla sua terra, condannandolo
a vita vagabonda.
Così egli s’imbarcò e dopo diversi giorni sbarcò in Francia. Lì
venne a sapere che la pace del palazzo reale era disturbata da uno stormo di
passeri che causava un rumore continuo alle finestre degli appartamenti reali.
Il giovane decise di offrire i suoi servigi al re, vista la sua capacità di
comunicare con gli uccelli. Si scoprì allora che il motivo di tanto baccano era
una disputa scoppiata all'interno dello stormo. Il giovane, dopo vari
tentativi, riuscì a negoziare la pace tra gli uccelli. Il sovrano fu talmente
grato al ragazzo che lo ricompensò con una nave e una ciurma per la
navigazione; il giovane continuò così la sua vita vagabonda in mare, facendo
ogni giorno nuove esperienze. Ovunque andava la sua abilità suscitava
meraviglia e la sua fama percorreva città e nazioni. Il figlio del comandante
veniva ricoperto di doni in tutti i posti che visitava. Dopo molti anni venne
il giorno in cui, avendo visitato abbastanza luoghi del mondo, il figlio del
condottiero desiderò rivedere la sua terra natale. Partì perciò alla volta
della Scozia e attraccò presso Loch Alsh. La vista di una nave così grande
suscitò la sorpresa generale nella regione e il vanitoso, vecchio re deciso a
fare bella figura, offrì ospitalità al capitano della nave e al suo equipaggio.
E così il figlio del comandante e i suoi uomini sedettero alla tavola con
l’anziano re; così come lo stormo aveva profetizzato molti anni prima, il padre
servì il proprio figlio a tavola. Una volta rivelatasi la verità, mancò poco
che il comandante impazzisse dallo shock. L'abilità del giovane, unita
all'esperienza acquisita con i suoi numerosi viaggi, lo rese unico in tutto il
territorio, tanto che lo stesso Re Alessandro gli concesse l'onore di essere
uno dei supervisori della costruzione del castello di Eilean Donan, a difesa di
Kintail e delle terre intorno dagli attacchi dei Norvegesi” concluse Jared
“Oh, che bella. Questa storia mi è piaciuta molto più della prima”
ammise Sophie colpita
“Naturale! Non è la storia in sé ad essere bella ma è chi la racconta
a fare la differenza” ammise compiaciuto l’idiota
“Io non sono d’accordo. Comunque, in questa storia quale sarebbe
la morale?” chiesi alzando un sopracciglio
Vediamo ora che diavolo si inventa …
“Secondo me, la storia è un monito agli altezzosi e ai i superbi.
L’umiltà è base di ogni cosa” disse Sophie guardandoci
“Io la penso diversamente”
“Sarebbe?” chiesi curioso
“Beh, la morale è: ognuno pensi agli uccelli propri!” chiarì Jared
con un’alzata di spalle
Scoppiammo di nuovo a ridere tutti assieme.
“Jared sei incorreggibile!” esclamò Sophie tra le risate
Stavamo ancora ridendo quando, all’improvviso, un rombo di tuono
fece tremare i vetri delle finestre. Sussultammo di sorpresa e Soph, un po’
intimorita, si avvicinò di più a me mentre, di riflesso, l’abbracciavo.
Avevo scoperto, solo da poco, che i temporali forti la
spaventavano. Ci scherzammo su, quando me lo disse, ed io la presi in giro. In
Scozia avrebbe dovuto farci l’abitudine.
“Oh, Sophie che fifona … hai paura del temporale?”
“Jared, smettila!” lo rimproverai
“Non importa Gerard”
Si sollevò un poco dal mio abbraccio per guardarlo in faccia e con
voce serena rispose
“Ebbene si, Jared. Nonostante i miei ventiquattro anni, i
temporali mi spaventano ancora. Lo facevano quando ero piccola e lo fanno anche
ora. Non mi vergogno ad ammetterlo e non m’infastidisco quando mi prendono in
giro per questo. John lo fa sempre. Tutti noi abbiamo paura di qualcosa, credo.
Anche tu, sicuramente. Mi spaventano i temporali, soprattutto dopo l’esperienza
di una settimana fa. Non mi importa di quello che pensi. Mi ritieni una fifona?
Bene. Non lo pensi? Bene ugualmente“ e con un’alzata di spalle concluse sempre
guardandolo fisso
“Ora vado a dormire. E’ tardi ed ho sonno. Buonanotte”
L’augurò ad entrambi e con passo fiero uscì dalla stanza
chiudendosi la porta alle spalle.
“Bravo! Ben fatto…” mi congratulai ironicamente
“Cazzo!”
“Sei un idiota ma questo lo sapevamo già!”
“Ah-ah” rise ironico ma il suo sguardo era ancora fermo sulla
porta da cui Soph era appena uscita
Notai che i suoi occhi parevano dispiaciuti. Conoscevo Sophie da
un po’ e sapevo che non se la fosse presa poi molto. In caso contrario avrebbe
tirato fuori le unghie invece di incassare come aveva fatto questa volta.
“Stai tranquillo, domattina le sarà passato e sarà bella pimpante
e sorridente come la conosciamo. Sophie non è capace di portare rancore”
“Davvero?”
“Si, stai tranquillo” lo rassicurai con un sorriso
“Ci tieni davvero molto a lei”
“Si, direi di si” ammisi
“E ti piace? Sul serio intendo!”
“Credo di si ” ammisi nuovamente
“Bene, mi fa piacere. Hai bisogno di una come lei”
“Una come lei, In che senso?”
“Una ragazza sveglia e simpatica. Sempre sorridente e gentile.
Sembra non avere peli sulla lingua ed è testarda … per questo è adatta a te. Sei
molto testardo anche tu. E poi è anche molto bella!” mi fece l’occhiolino
“Non è questo il punto”
“Oh, tranquillo … anche tu le piaci” sorrideva sornione.
Come diavolo fa a sapere cosa ho in testa?
“Ti conosco” aggiunse come se avesse letto nei miei pensieri “Ti
conosco e so cosa ti passa per la testa. Tu sembri tanto spavaldo ed arrogante ma
dentro sei un’ insicuro e un tenerone!”
“Ah, davvero?”
“Si, esatto. E fidati quando ti dico che le piaci molto”
“Come fai ad esserne così sicuro?”
“Beh, mi sembra chiaro, ha scelto te quando poteva avere lo
strafigo qui presente” annunciò indicandosi vanitosamente
“Vai al diavolo!”esclamai irritato
Ed io che pensavo di poter fare un discorso
serio e sensato…
“Scherzi?! Sono un ragazzo d’oro … bello come il sole, anzi
bellissimo! Alto, affascinante, interessante, bello, intelligente. Disponibile,
divertente … e potrei continuare all’infinito ma non voglio vantarmi. Lo sai
no? Sono modesto…”
“Ma certo! Beh, ti saluto modesto!”
Jared scoppiò a ridere. “Ti seguo allora“
Salimmo le scale e gli indicai la porta di camera sua.
“Buonanotte, amico”
“Buonanotte idiota” borbottai
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Capitolo 24 *** XXIV Capitolo ***
Cap. 24
XXIV Capitolo
“E’ la tradizione, Gerard, non puoi rifiutarti!”
“Oh, certo che posso George. Quest’anno passo“ dichiarai deciso
“Sei un guastafeste! La notte dell’orrore è d’obbligo. Avanti, non
fare il codardo!”
“Non si tratta di esser codardo, George perchè non ho paura. Quest’anno
c’è Sophie … non posso lasciarla a casa da sola”
In realtà non sarebbe rimasta da sola dato che Jared e mia madre
erano in casa ma la cosa non mi andava.
Non l’avrei
lasciata da sola con lui!
“Beh, porta anche lei, più siamo più ci divertiamo” continuò
George tentando di convincermi
Ero steso sul divano del salotto ed era quasi ora di pranzo.
“Allora? Ci sei ancora?” chiese George all’altro capo
dell’apparecchio
“Si, ci sono. Stavo pensando.”
In quel momento Jared entrò nella stanza, con una tazza di the in
mano e si accomodò sulla poltrona accanto al divano. Diede uno sguardo in giro
e mi fece un cenno di saluto.
“E per quando sarebbe?” domandai
“E’ per stasera bello. Chris ha pescato e … si tratta del castello”
rispose tutto d’un fiato
“Il castello? Quale cast… non dirmi … si tratta del vostro?”
“Si” pigolò con voce bassissima
Mi alzai di botto dal divano e saltai in piedi.
“Te lo scordi. Non pensarci proprio … dopo questa cosa io sono fuori!
Non contatemi ragazzi” dichiarai risoluto
“Ti prego Gerard. Ti prego, ti prego” sentì dire da Chris
Sicuramente aveva udito la nostra conversazione e mi pregava di
acconsentire.
Pochi secondi dopo la testa di Sophie fece capolino in salotto,
così la invitai con un gesto della mano ad entrare.
Jared le andò incontro e li vidi scambiarsi qualche parole.
La vidi annuire e poi sorridere. Lo abbracciò e lo salutò con un
bacio sulla guancia.
Non le tolsi gli occhi di dosso. Indossava shorts cortissimi ed
una canotta bianca. Aveva i capelli gonfi di sonno e il viso disteso.
Quando incontrò il mio sguardo si aprì in un sorriso radioso. Mi
raggiunse e mi abbracciò. Ero ancora al telefono con George che tentava di
convincermi così, le cinsi la vita con un braccio e mi chinai per posarle un lieve
bacio sul capo.
“Va bene, George. Ci penso e ti faccio sapere” con quelle parole
misi fine alla telefonata.
“Ma buongiorno mio caro” salutò Jared.
Aveva in mano il giornale e lo stava sfogliando, Sophie invece era
seduta sul divano e con occhi divertiti passava lo sguardo da me a Jared.
“Buongiorno. Avete fatto pace?” domandai sedendomi accanto a lei
“Si, la tua bambolina mi ha perdonato la stronzata di ieri sera” rispose
guardandola
“Che facciamo oggi?” domandò Sophie sorridendo
“Beh, ecco … veramente dovrei parlarti di una cosa. Tu cosa fai
oggi Jared?” chiesi
“Boh, non ne ho idea“ alzò
le spalle indifferente
“Potremmo passare la giornata assieme. Vi va?” propose Soph
guardando entrambi
“Jared, Sophie … ho una proposta da farvi” cominciai
“Oh, una cosa a tre? Mi piace! ”
Sophie scoppiò a ridere mentre io gli lanciai un’occhiataccia
“Stavo dicendo. Mi ha appena chiamato George, un amico” precisai
per Jared “Mi ha proposto di passare la
notte tutti insieme in un castello”
“Oh, non dirmi così ti prego… io credevo di essere l’unico ad
occupare un posto nel tuo cuoricino! Che colpo mi hai dato!”
Sophie ridacchiò ancora mentre io feci finta di non sentirlo
“In realtà si tratta di una scommessa. Da ragazzini io ed alcuni
amici passavamo le serate invernali in casa a raccontarci storie di fantasmi. Una
volta, per scommessa trascorremmo la nottata in un cimitero. La notte
dell’orrore è poi diventata una tradizione. Ogni anno passiamo una notte in un
posto macabro per scommessa. Quest’anno è stato sorteggiato il castello“
“Scusa l’interruzione ma stiamo parlando di quel castello? Quello
circondato da quell’aura spettrale che al solo avvicinarsi ti si accappona la
pelle?” domandò Jared con un sopracciglio alzato
“Si, proprio quello” annuì io
“Voi siete pazzi! Sapete le storie che si raccontano di quel
posto?”
“Si, Jared, ecco perché sono un poco titubante. Saremo in tanti ma
il luogo è quel che è!”
“Beh, io ci sto” dichiarò Sophie decisa
“Cosa? Soph non penso tu ti renda conto del …”
“Gerard ha detto che saremo in tanti, giusto?” chiese conferma
guardandomi
Io annuì solamente mentre Jared scuoteva la testa.
“Beh, allora ci sto!”
“Sophie ragiona! Tu hai paura del temporale figurati in un posto
come quello” continuò Jared serio
Sentì Sophie irrigidirsi a quelle parole così le presi la mano e
la strinsi.
Lei mi guardò e mi sorrise
“Voglio farlo, Gerard. Morirò sicuramente di paura ma voglio andare
in quel castello” annunciò decisa senza distogliere gli occhi dai miei
Io ero ancora dubbioso ma non avevo mai visto quella luce nel suo
sguardo.
Era decisa. Era seria e determinata, senza alcuna traccia di
paura.
“Bene. Sei dei nostri Jared?”
“Voi non vi rendete conto.
Mio nonno mi ha raccontato storie terribili su quel posto. Dio, c’è morta così
tanta gente in quel luogo che non ho alcun dubbio sul fatto che sia infestato!
Ma non sono un codardo … quindi si, ci sto anche io!” dichiarò annuendo
Chiamai George e gli comunicai tutto. Lui tirò un sospiro di
sollievo e mi aggiornò sui particolari. Saremmo
stati in tutto nove. Colin, Mark, Jack ed Anna, George e Chris, Jared, Sophie
ed io. Jack ed Anna avrebbero portato da mangiare mentre Colin, Mark e George
avrebbero pensato agli zaini con tutto il necessario.
Avrei solo dovuto
portare i sacchi a pelo per noi tre.
La giornata trascorse velocemente e il buio bussò alla nostra
porta prima del previsto. Indossammo abiti comodi e pratici. Mia madre ci
aspettava alla fine delle scale con un’espressione preoccupata sul viso.
“Fate attenzione, mi raccomando”
Sorrisi e la rassicurai “Non
preoccuparti. Saremo di ritorno domani mattina. Ti voglio bene. Buonanotte” e
la bacia sulla guancia
Lei sorrise e abbracciò Jared, che sorrise impacciato e Sophie che
ricambiò con dolcezza.
Il castello era situato nella parte nord di Paisley.
Era una struttura imponente e vasta. Costruito centinaia di anni
prima era poi passato in eredità di figlio in figlio. Era disabitato e in stato
di abbandono, tuttavia ogni nuovo proprietario aveva contribuito con opere di
restauro a perfezionare e modernizzare la struttura e gli interni.
Il maniero si presentava ai nostri occhi come un intricato insieme
di stili ed epoche che lo rendevano particolare e affascinante. Le storie che
si narravano sui suoi proprietari non erano però così attraenti come quelle
della sua costruzione.
Erano racconti di dolore e sofferenza. Uomini che uccidevano le
mogli per reali o presunti tradimenti, fanciulli che morivano in seguito a strani
incidenti, cadute o ferite mal curate. Esistenze corrotte dall’avidità e dal
potere, giovani conducevano vite decadenti abbandonandosi ai piaceri della
carne e a depravazioni d’ogni genere.
Ogni proprietario e ogni membro della sua
famiglia aveva lasciato un pezzetto di sé … in ogni senso!
All’esterno una
fitta nebbia ammantava ogni cosa ed oscurava tutto ciò che riusciva ad
abbracciare. Il buio, l’assenza di rumori o suoni ed il furioso battito dei
nostri cuori. Ogni cosa era come nei film dell’orrore … metteva i brividi
addosso!
“Bene, direi che ci siamo” annunciò George accingendosi ad aprire
i grandi cancelli della proprietà
“Come fa George ad avere le chiavi?” chiese innocentemente Sophie
“Beh … il castello appartiene alla sua famiglia” spiegai
“Che cosa?”
“Si, questo castello appartiene alla mia famiglia da alcune
generazioni e ci è stato lasciato in eredità” aggiunse Chris avvicinandosi
“Ma … come?” domandò ancora
“La famiglia di mia madre discende dai primi proprietari del
maniero. L’immobile viene tramandato di padre in figlio ma mia madre è figlia
unica perciò mio nonno lo lasciò in eredità ai suoi figli cioè a me e George.
Lo erediterà George e lo tramanderà ai suoi figli” spiegò ancora Chris
Vi era una nota di panico nella sua voce. Aveva parlato piano e con
tono triste.
Potevo capirla … ereditare una cosa del genere
con tutto ciò che ne comportava poteva risultare difficile oltre che
emotivamente pesante.
“Purtroppo non possiamo farne a meno. Per fortuna sono decenni che
nessuno vi abita più“ concluse lei
Sophie notò l’ombra che persisteva sul volto della mia amica e
l’abbracciò teneramente.
Che dolce la mia Sophie!
Distolsi lo sguardo e mi voltai per cercare Jared, che nel
frattempo aveva fatto conoscenza con tutti.
Il portone d’ingresso s’aprì con un rumore sinistro e senza
spalancarlo completamente entrammo seguendo George.
La nostra serata ha inizio!
“Chi ha le torce?” domandai con voce roca
“Io. Eccole” rispose Mark consegnandone una a tutti
“Bene. Come ci organizziamo? Da dove iniziamo?” domandò Anna
rivolgendosi ai due fratelli
“Non guardate me. E’ la prima volta che metto piede in questo
posto” annunciò Chris scrollando le spalle
Con un colpo di tosse, George attirò l’attenzione di tutti su di
se. Aveva un’espressione seria sul volto. Il tono di voce fu autorevole e tremendamente
serio. In pochissime occasioni lo avevo visto così.
“Da quel che ricordo, la struttura è composta di quattro piani,
più cantine oltre ad un svariato numero di stanze segrete. Io l’ho perlustrato
solo una volta, circa due anni fa, mentre non ho permesso di farlo a Chris, per
ovvie ragioni. Direi di sistemare il punto di ritrovo su un unico piano, questo
o il primo. Abbiamo tutto quello che ci occorre: provviste, pile elettriche,
sacchi a pelo e corde. Spero per voi che abbiate il cellulare carico. Sapete,
esattamente come me, cosa si racconta di questo posto. Non voglio spaventarvi
ma pretendo che ognuno di voi faccia molta attenzione. Ho preparato delle
piantine dell’intero edificio. Il
castello non viene restaurato da molto tempo e grazie a Dio non è abitato da
ancora più tempo. Ci saranno sicuramente mobili corrosi dalle tarme e qualche
topo. Sentiremo di certo qualche rumore o scricchiolio sinistro, ma non
preoccupatevi, è normale essendo una costruzione così vecchia.“
“Hey, non volevi spaventarci … ma ti assicuro che ci stai andando
vicino, George!” esclamò Jared ad alta voce
Ridemmo tutti della sua battuta e questo ci aiutò a smorzare un
poco la tensione.
Forse Jared aveva ragione, le parole di George
per quanto pacate avevano messo apprensione in tutti.
“Scusate non volevo spaventarvi ma solo essere chiaro. Ora,
dovremmo dividerci in due gruppi suppongo. Cosa ne pensate? Preferite rimanere
uniti?”
“La scommessa consiste nel perlustrare l’intero maniero e passare
la notte qui, giusto?” domandai
“Si, esatto” confermò Chris seguita da cenni affermativi da parte
degli altri
“Siamo in nove e il castello è enorme, forse dovremmo dividerci”
fece Colin
“Bene, come pensavo. Allora il primo gruppo sarà formato da Colin,
Mark, Jack e Anna. Il secondo da me, Chris, Soph, Gerard e Jared“ annunciò
George
Il nostro gruppo era il più numeroso, tre ragazzi e due ragazze. Certo
la decisione di dividerci aveva riscontri positivi ma ne aveva altrettanti
negativi.
Ovviamente non avrei permesso di essere smistato
in un gruppo diverso da quello di Sophie.
“Perfetto, allora, credo si possa iniziare. Non ci sono limiti di
tempo o altro. Fate attenzione a dove mettete i piedi e alle scale.
Incominceremo tutti da questo piano. Poi noi andremo in basso, verso le cucine
e le cantine e voi andrete in alto. Buon divertimento a tutti” concluse George
consegnando una piantina a Mark “L’avventura ha inizio” disse Jared ridendo.
Con in mano la piantina George cominciò a camminare davanti, come
guida del gruppo. Lo seguivano Jared e Chris, dietro io e Sophie. Ci guardammo
e lo stesso fecero Jared e Chris. Il suo viso era un poco pensieroso e lo
stesso valeva per Sophie.
Pile elettriche alla mano ci incamminando verso le cantine.
Angolino:
Ciao a tutti!
Ecco il nuovo capitolo, il 24°!
Spero perdonerete questo goffo tentativo di scrittura giallo/noir
o come la chiamo io “un brutto abbozzo di
racconto pauroso”! Fortunatamente c’è Jared che alleggerisce un po’ la
tensione! Eheheheheh
Bene, eccolo a voi. Vi avverto che anche il prossimo capitolo,
esattamente come questo, avrà sullo sfondo della nostra storia qualcosa di brividoso. Perciò, vi prego, sopportate
i miei vaneggiamenti!
Beh, che cosa ne dite? Come lo trovate?
Fatemi sapere…
Baci baci Iry
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Capitolo 25 *** XXV Capitolo ***
Cap. 25
XXV Capitolo
Le parole di George mi avevano fatto accapponare la pelle.
Forse non era stata una buona idea fare un giro nel castello degli
orrori.
Già … beh, ormai siamo in ballo, balliamo!
Dopo essermi schiarita la voce con un breve colpo di tosse chiesi
a George di raccontarci qualcosa su quella casa.
Raccontò che gli ultimi proprietari sembravano una famigliola
molto felice.
Una coppia, la
donna innamoratissima del marito e lui altrettanto di lei. Dopo appena un paio
d’anni di matrimonio lei rimase incinta e i due furono felicissimi della cosa. Pensarono
che un bambino, un figlio, sarebbe andato a completare e ad arricchire il loro
amore. I bambini nati furono due, due
gemelli, un maschio ed una femmina. Il marito però qualche mese dopo in seguito
ad una ferita infetta curata malamente morì e la donna rimase sola con i figli.
I bambini speravano di riuscire a riempire il buco che la morte del loro amato
padre aveva lasciato nel cuore della loro mamma.
Il castello era
enorme e per loro ogni piccolo dettaglio era motivo di risa, allegria e gioco.
La donna però era ben lontana dalla felicità e la sua tristezza si tramutò in
pochi anni in profonda depressione. Non riusciva proprio a capacitarsi della
scomparsa del marito e nonostante i figli non si riprese mai.
Un giorno un urlo
di donna squarciò l’aria.
La donna era
morta e con lei i bambini, affogati entrambi nella vasca da bagno. La madre
aveva ucciso, in un raptus di follia, i figli e poi resasi conto di cosa aveva
fatto si sparò un colpo di pistola alle tempie.
Si racconta che i
loro spiriti abitino ancora qui e che non si siano resi conto di essere morti.
“Come nel film The Others con Nicole Kidman?” domandai esitante
“Già, credo che la trama del film sia stato ispirato proprio da
questa storia” replicò asciutto Gerard.
Solo allora notai la rigidità nel suo volto e nei suoi movimenti.
Era teso e per nulla contento del luogo. E non potevo dargli
torto. Con un’occhiata mi accorsi che anche per tutti gli altri era lo
stesso.
“Beh, sarà pur successo qualcosa di felice in questo posto” replicai
esasperata
“Forse, ma non contarci troppo!” mi rispose Chris seria
Forse non era stata una buona idea venire …
mancava solo la scritta “Benvenuti all’inferno” alla porta!
Nonostante i racconti sempre più macabri di cui ci deliziava il nostro cicerone George,
riuscimmo a visitare interamente le cantine e le cucine poi, passando per una
porta secondaria, uscimmo in giardino, sul retro della casa.
L’erba era bassa ed umida e la nebbia offuscava ancora tutto.
Cominciai a rilassare le membra, a sciogliere i muscoli perché, senza nemmeno accorgermene,
ero rimasta in tensione tutto il tempo.
Stavo massaggiandomi la base del collo quando d’improvviso sentì
delle deboli grida … quasi fosse un’eco.
Girai la testa a destra e a sinistra ma non vidi nessuno a parte i
miei compagni. Stavano parlottando poco lontano, Gerard si voltò un secondo
nella mia direzione, come a volersi accertare che fossi ancora li con lui, mi
sorrise e si riconcentrò sulle parole di George. Scossi la testa pensando di
essermelo solo immaginato.
Solo suggestione! Troppe brutte storie …
troppa tristezza e dolore tra queste mura.
Stavo per unirmi agli altri quando risentì quell’eco di dolore.
Sembravano urla intrise d’angoscia e di paura. Il solo sentirle era straziante.
Le stavo solo immaginando?
Sembravano così reali ed ora … così vicine. Decisi di verificare.
Tesi l’orecchio per ascoltare meglio e identificare con esattezza
da dove provenissero.
Finalmente captai qualcosa. Sulla destra, non molto distante.
Dovevo controllare. Con uno sguardo agli altri mi accertai che
fossero concentrati sulla conversazione e non su di me.
Mi allontanai velocemente finché la nebbia mi inghiottì oscurando
la mia immagine agli altri e la loro a me. Non camminai per molto. Sentivo che
le urla si facevano più flebili diventando però più penose.
La nebbia si diradò e mi permise di scorgere un vecchio e diroccato
pozzo non molto distante da dove mi trovavo.
Più mi avvicinavo più le sentivo nitide. Quelle urla divennero
chiare e comprensibili.
Chiedevano aiuto e sembravano … no, non era possibile … eppure …
le grida erano quelle di un bambino. Piangeva e chiamava la sua mamma.
Sentì una fitta dolorosa al petto e arrivata al pozzo allungai le
mani. Mi appoggiai al bordo per sporgermi.
Volevo aiutarlo … magari era ferito. Dalla sua voce sentivo quanto
fosse impaurito.
Mi sporsi ancora di più e a gran voce lo chiamai
“Hey … ti ho sentito. Stai bene? Sei ferito?“ domandai preoccupata
In risposta ricevetti solo mugolii di sofferenza
“Non preoccuparti ti tiro fuori da lì … fra poco sarai a casa con
la tua mamma, non temere” ripresi con voce più dolce per cercare di
tranquillizzarlo
Una mano bianca e forte si poggiò alla mia spalla e un braccio mi
cinse la vita. Cacciai un urlo di spavento e tentai di liberarmi.
“Sophie … Sophie calmati, sono io. Ma che diavolo … cosa fai qui?“
Non lo avevo sentito avvicinarsi ed ora la sua voce sembrava
preoccupata. Alzai lo sguardo verso di lui e vidi il suo volto teso
“Cosa hai fatto al viso? Perché sei ferita? E perché stai
piangendo?” domandò ancora
Le sue parole sembravano avere poco senso così mi portai le mani
al viso, per verificare.
Stavo piangendo e
non me ne ero accorta?
Gerard mi prese le mani come per abbracciarmi ma anche quelle
erano ricoperte da graffi ed escoriazioni. In alcuni punti usciva addirittura
del sangue come se le avessi lacerate.
“Dio, sei gelata … ma cosa hai fatto? Dove te li sei fatta tutti questi
graffi?”
Mi guardai le mani e poi guardai di nuovo verso il pozzo a pochi
centimetri da noi.
“L’hai trovata? Sta bene?” le voci di Chris e degli altri mi
raggiunsero
Sollevai gli occhi verso di loro e li vidi a qualche metro di
distanza con le torce in mano
“Si, è qui” rispose Gerard abbracciandomi e allontanandomi dal
pozzo
Mi voltai ancora verso quel punto … le grida erano scomparse.
Mi strinsi più forte a Gerard e accoccolai la testa contro il suo
braccio.
D’improvviso mi sentì stanca, debole. Priva di energie. Confusa e
spaventatissima.
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Capitolo 26 *** XXVI Capitolo ***
Cap. 26
XXVI
Capitolo
Averla trovata in quelle condizioni mi aveva impensierito
parecchio.
Lo ero stato prima, quando voltandomi non l’avevo più vista, e
anche dopo quando l’avevo ritrovata. Io e Chris avevamo cercato di medicarle
quei graffi che aveva sulle mani e sul viso. Graffi che nessuno si spiegava.
Mi aveva raccontato di aver sentito delle grida e che seguendole
si era ritrovata a quel pozzo. Disse che parevano appartenere ad un bambino,
che le sembrava fosse spaventato e così si era sporta un poco per cercare di
vederlo e rassicurarlo.
Non ricordava
altro.
Non ricordava di
aver visto né sentito altro.
Io l’avevo trovata esageratamente oltre il bordo del pozzo, quasi
sul punto di caderci dentro. Le braccia, le mani e il viso freddi come il
ghiaccio e ricoperta di tagli. Aveva gli occhi arrossati e copiose lacrime le scendevano
sulle gote.
Aveva lo sguardo spaventato e tremava leggermente.
Da quel momento, fino alla fine della nostra esplorazione, non la
persi di vista un attimo e per tutta la notte la tenni per mano senza mai lasciarla.
Non volevo rischiare che si facesse male sul serio.
Finimmo di visionare la mansarda, all’ultimo piano, verso le sette
di mattina e, raggiungendo gli altri, uscimmo da quel luogo così
pericolosamente sinistro.
Mia madre ci aspettava sulla soglia di casa con un sorriso di sollievo
in volto. Entrando un dolce profumo di brioches appena sfornate ci invase le narici.
Tenevo ancora per mano Soph e guardandola mi accorsi che sembrava
essere sul punto di crollare. Occhiaie, graffi ed ematomi spiccavano molto più di
prima sul suo volto pallido.
Con un sorriso tirato, abbracciò mia madre e guardandomi disse
“Io preferisco andare a sciacquarmi mani e viso e infilarmi sotto
le coperte. Ho bisogno di dormire e comunque non ho fame”
“Si, per me è lo stesso” dichiarò Chris sbadigliando e seguendo
Soph su per le scale
Seguì entrambe con lo sguardo fino a quando la voce di mia madre
mi costrinse a voltarmi
“Cosa diavolo è successo? Perché Sophie è ferita in quella
maniera?” domandò preoccupata
Con un gesto mi avvicinai e la spinsi verso la cucina.
Avevo bisogno di
mangiare e di schiarirmi un po’ le idee.
Insieme a Jared e George, gli unici rimasti per la colazione,
spiegammo in breve l’accaduto e l’intera nottata.
“Sai più ci penso e più credo di aver capito perché Sophie si
trovasse vicino quel posso e il perché di tutti quei graffi”
“Beh, rendici partecipi” borbottò Jared mordendo il quinto muffin
al cioccolato
“Credo proprio che si tratti del piccolo Thobias” continuò George
con tono meditabondo
“Oh si ricordo … ma il fatto avvenne più di novant’anni fa … è
impossibile che…” lo interruppe mia madre portandosi una mano alla bocca e
sgranando gli occhi
“Beh, non poi così impossibile se pensiamo a quel posto” convenne lui
annuendo
“Allora? Di che si tratta?” ero seccato
Che cos’era quel
dire e non dire???!!!
“Beh, è la storia del piccolo Thobias McGee, il figlio della
governante di uno dei miei antenati. Si racconta che il bambino amasse giocare
in giardino, in particolar modo vicino a quel pozzo, e che un giorno vi cadde
dentro. All’epoca quella cavità era
usata quasi quotidianamente perché forniva acqua per lavarsi e fare il bucato,
quindi era colma d’acqua. I racconti sulla sua morte sono molto confusi. Alcuni
dicono che il bambino morì annegato quasi subito mentre altre storie raccontano
che l’eco delle sue urla si udì per ore. Secondo loro il bambino non morì
subito annegato ma fu semplicemente … dimenticato”
“E sua madre?” domandò Jared colpito
“La nonna, mia madre, mi raccontò questa storia una volta quando
ero molto piccola. Mi disse che la madre del piccolo, la governante, a fine
giornata non trovandolo in giardino si spaventò. Lo cercò per tutta la notte
tra i boschi, che all’epoca circondavano il maniero, ma che non lo ritrovò mai.
Ormai rimasta sola con un dolore troppo grande da sopportare si lasciò cullare
dalla follia e poco tempo dopo s’impiccò” concluse mia madre in un sussurro.
In quel momento, riportai alla mente le parole di Soph.
Davvero aveva
sentito quei lamenti? I lamenti del piccolo Thobias?
E se si, perché
solo lei? Perché non li avevo sentiti anche io o qualcun altro del gruppo?
Finito di mangiare ci alzammo e, insieme a Jared e George, mi
diressi su per le scale. Avevo bisogno di dormire e di riposare e lo stesso
valeva per i miei compagni. Stavo per
entrare in camera quando volli controllare le condizioni di Sophie.
A passo svelto ma silenzioso mi avvicinai alla porta della sua
camera e facendo attenzione a non fare rumore, l’aprì.
Lei e Chris stavano dormendo vicine, nello stesso letto, una
accanto all’altra.
Il viso di entrambe sembrava sereno e disteso. Si erano lavate e
cambiate ed ora dormivano profondamente.
Sentendo dei passi dietro di me, mi voltai. George e Jared si
sporsero per controllare.
“Abbiamo avuto la stessa idea” dissi sorridendo ad entrambi
“Già” bisbigliarono
Volevo entrare nella sua stanza, sollevarla tra le braccia e portarla
nella mia così da averla vicina e fare in modo che fosse al sicuro, accanto a
me.
Ma la lasciai lì, a riposare, e augurandole buon riposo richiusi
la porta senza fare rumore.
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Capitolo 27 *** XXVII Capitolo - prima parte ***
Cap. 27A
XXVII Capitolo
Pov
Susy
Ero arrivata solo da pochi giorni, ma con
Soph avevo già legato.
Fin da subito, mi era stato chiaro che
tra Gerard e Sophie, ci fosse qualcosa … un legame. Una strana affinità fisica
e, solo a tratti, caratteriale. C’erano momenti in cui non si potevano sopportare,
altri in cui litigavano come una vecchia coppia sposata ma nella maggior parte dei
casi, e quasi senza rendersene conto, si cercavano e si desideravano. Lo avevo
capito subito … quei due erano come le calamite: si attiravano e si
respingevano.
Parlando con lei avevo scoperto che amasse
la musica e ancor di più ballare; così avevo deciso di organizzare una serata
fuori. Io, lei, Gerard, Philip e Paul, i due gemelli.
La maggior parte dei locali scozzesi
serviva prevalentemente birra, erano pub piuttosto rustici. Per quella serata
ci serviva qualcosa di un pochino più chic e con l’aiuto di Sophie, dopo un’ora
di ricerche, riuscimmo a trovare il posto giusto, un graziosissimo disco-pub.
Era a trenta minuti d’auto ma la cosa era irrilevante.
I ragazzi esattamente un’ora dopo aver
finito di cenare erano giù in salotto tutti pronti.
Noi femminucce abbiamo
bisogno di almeno un paio d’ore, tra trucco, parrucco e vestiti!
Fui la prima a scendere. Indossavo
pantaloni lunghi di pelle nera e un top bianco, parecchio scollato e che mi
lasciava quasi completamente scoperta la schiena.
Solitamente
non amavo vestire in maniera provocante ma uno strappo alla regola per una
volta non mi avrebbe fatto male!
Le scarpe ai piedi, decolleté nere dal
tacco vertiginoso, erano nuove ma per fortuna non facevano male. Il trucco era
leggero e i capelli erano raccolti in una coda alta. Alle scale mi attendeva
Paul con un braccio proteso ed un sorriso malizioso.
“Sei uno schianto Susy!” dichiarò ad
alta voce attirando l’attenzione dei fratelli.
“Anche tu non sei niente male” risposi sorridendo.
Gerard mi baciò una guancia sussurrando
“Dovrai stare attenta questa sera. Sei
un bocconcino niente male”
Un fischio d’ammirazione proruppe anche dalle
labbra di Paul. Entrambi i gemelli indossavano jeans chiari a cavallo basso con
un maglioncino a collo alto, uno nero l’altro bianco. Erano uno spettacolo per
gli occhi, entrambi piuttosto alti ma non eccessivamente robusti.
Gerard indossava, invece, jeans
piuttosto stretti di colore scuro ed una camicia che cadeva perfetta sulle
spalle ampie e che lasciava intravedere il petto e gli addominali scolpiti.
Ero imbarazzata,
ma anche piuttosto contenta. Una donna adora essere riempita di complimenti.
“Grazie, ragazzi. Ma se siete così in
fibrillazione adesso non oso immaginare come reagirete quando vedr…” m’interruppi senza riuscire a finire perché
mi accorsi che i loro occhi erano puntati verso le scale. Così mi girai anch’io
e la vidi scendere.
Era raggiante e semplicemente
bellissima. I capelli erano morbide onde sciolte sulle spalle mentre un corto vestitino
nero le fasciava il corpo come una seconda pelle. Portava due grossi bracciali
ai polsi e cerchi alle orecchie. Il trucco le illuminava il viso donandole
un’area sensuale ed esotica. Ai piedi portava sandali neri con lacci legati
intorno alle gambe.
Sorridendo delle loro buffe espressioni esclamai
“Chiudete la bocca ragazzi altrimenti vi entreranno le mosche!”
Siccome sembravano tutti imbambolati
come allochi, mi avvicinai alle scale e con una mano aiutai Sophie a finire di
scendere, la quale mi ringraziò con un luminoso sorriso.
“Cavoli, Sophie… non ho parole” esclamò
Paul riprendendosi un poco
“Si, infatti” gli fece eco il gemello
“Sei… sei… “ ma non finì la frase che
una voce cavernosa si levò nell’aria
“Semplicemente stupenda”
Gerard la guardava con adorazione e una
strana luce gli illuminava il volto.
Lei sorrise e una vampata di calore salì
ad imporporarle le guance. Abbassò lo sguardo e ringraziò tutti.
“Coraggio! Andiamo a divertirci” la
presi sotto braccio e ci affrettammo ad uscire.
“Sei favolosa, stasera. Avrai una fila
di spasimanti giù al locale. Dovremo tenerli alla larga coi bastoni!” esclamai
ridendo
“Oh, non esagerare Susy. Non è niente di
speciale”
“Niente di speciale dici? E le reazioni
dei fratelli Butler, allora? Come me la spieghi? ”
sorrise imbarazzata “Di uno in particolare
…” continuai
“Basta bisbigliare e ridere tra di voi.
Rendeteci partecipi, vogliamo ridere anche noi!” i gemelli ci affiancarono e ci
presero a braccetto cominciando a fare battute
Mi stavo divertendo e non vedevo l’ora
di arrivare al locale. Salimmo tutti sulla macchina di Paul, che era omologata
per cinque, e partimmo sfrecciando.
Vederla scendere da quella scala mi
aveva tolto il fiato. Era bellissima, stupenda e … e … ed io senza parole.
Quel vestito le copriva appena
l’essenziale e una fitta di possesso m’invase. Non riuscivo a toglierle gli
occhi di dosso ma, invece, di avvicinarmi ed aiutarla a finire di scendere le
scale rimasi immobile come un perfetto idiota. La situazione per fortuna venne
risolta da Susy.
Le voci e i complimenti dei miei
fratelli mi riportarono alla realtà di botto. Le loro parole mi infastidirono.
Lei è mia!
Quel pensiero mi confuse e mi fece
riflettere. Istinto di protezione e possesso schizzarono alle stelle.
Avevo bisogno di toccarla, di averla vicina.
Sentivo il bisogno di averla di nuovo.
E così le parole che solo qualche
secondo prima avevo pensato uscirono dalla mia bocca senza che io potessi
fermarle o ritirarle.
In quel locale speravo non ci fosse
anima viva o che almeno si trattasse di donne e uomini al di sopra degli
ottant’anni.
“Hey, Paul hai visto? E’ da paura
stasera!” esclamò Phil sottovoce cercando di attirare l’attenzione del gemello.
Non riuscì a frenarmi. Gli tirai una
gomitata in pieno stomaco tanto forte da farlo piegare dal dolore.
“Attento a come parli” intimai rabbioso.
I miei fratelli dopo avermi guardato male,
con un’alzata di spalle proseguirono avanti affiancandosi alle ragazze. Rimasto
indietro cercai di calmarmi e di mettere un freno alle mie emozioni ma l’unica
cosa a cui riuscivo a pensare era lei, il suo corpo, il suo profumo, alla sua
pelle così morbida e fresca.
A lei.
Salimmo in macchina ed io mi posizionai
di fianco a Paul, che era alla guida.
Sentivo la sua risata così frizzante e
contagiosa, dovuta alle cagate che la mente bacata di mio fratello le
sussurrava all’orecchio.
La
sua risata la volevo rivolta a me. Il suo sorriso per me.
Il
suo sguardo, il suo tocco, tenero e delicato, solo per me.
Rimasi in silenzio, perso nei miei
pensieri, per tutto il tragitto e una volta parcheggiato, scendendo dall’auto,
ci avviammo all’entrata.
Il locale era pieno e la pista affollata
di corpi in movimento. Faceva caldo e la musica era oltremodo assordante. Con la coda dell’occhio notai che Sophie scambiò
un cenno d’intesa con quella pazza della mia assistente. Un nano-secondo dopo
erano già in pista a scatenarsi e non le vidi più. Persi di vista anche i
gemelli, così con passo sicuro mi diressi al bar.
Ho bisogno di
bere.
“Una birra” ordinai alla barista dietro
il bancone
Con un sorriso che andava da un orecchio
all’altro mi porse la birra e si fermò a chiacchierare per qualche minuto.
Le sue parole erano vuote e la
conversazione ben poco interessante. Era carina ma niente a che vedere con … lei.
Riconobbe in me il celebre attore e cominciò a fare moine e a lanciare sguardi
maliziosi, che però caddero nel vuoto perché non ero assolutamente interessato.
Probabilmente lo intuì perché con una scusa si allontanò qualche minuto dopo.
Mi girai per cercare di scorgere le
ragazze ma inutilmente, in compenso trovai i miei fratelli e con la birra in
mano mi avvicinai a loro. Erano riusciti a trovare un tavolo libero ed ora se
ne stavano seduti comodi con un bicchiere davanti.
“Dov’eri finito?” gridò Paul cercando di
sovrastare la musica assordante
“Ero al bar a prendere da bere” esclamai
a voce alta e alzai la bottiglia di birra che avevo in mano.
Mi sedetti tra i due “Avete visto le ragazze?”
“Si,
stanno ballando in pista” mi rispose Phil
Ora finalmente riuscì a scorgere Susy ma
solo di schiena. Di fronte aveva Sophie.
Diavolo si muove
in maniera favolosa!
Le sue movenze erano lente e sensuali ma
si alternavano ad altre veloci e frenetiche. Il mio sguardo rimase incollato al
suo corpo e al modo in cui si muoveva. Quel vestito le metteva in risalto il
corpo armonioso. Teneva le braccia leggermente piegate e sollevate sopra la
testa mentre i capelli oscillavano molleggiando da una parte all’altra seguendo
i suoi movimenti. Ancheggiava e muoveva il bacino quasi meglio di Shakira.
I jeans cominciarono a diventare
dolorosamente stretti, così mi mossi sulla sedia cercando di allentare la
tensione che premeva tra le cosce. Abbassai lo sguardo e cercai di concentrarmi
su altro ma le sue movenze e l’ondeggiare dei suoi fianchi sembravano ormai scolpiti
dentro il mio cervello.
Dannazione!
“Ciao ragazzi, come va?” la voce di Susy
mi obbligò ad alzare la testa di scatto
“Vi state divertendo?” chiese con un
sorriso. Aveva il fiatone “Ho una sete … avete preso qualcosa anche per me e
Soph?” domandò con curiosità guardandoci ad uno ad uno
Rispondemmo
tutti negativamente.
“Beh, vado a prendere qualcosa al bar,
allora” e con passi veloci si allontanò raggiungendo il bar
Ora potevo scorgere perfettamente la
figura di Sophie. Continuava a ballare da sola a ritmo di musica e sembrava
divertirsi parecchio.
Susy ci raggiunse poco dopo con due
bicchieroni colmi e con un cenno richiamò l’attenzione dell’amica che si unì a
noi.
Erano passate un paio d’ore dal nostro
arrivo e la pista era ancora strapiena.
Si avvicinò quasi correndo, aveva lo
sguardo acceso e il petto si alzava ed abbassava velocemente. Aveva anche lei
il fiatone ma questo non le impedì di sorridere apertamente. Agguantò il suo
bicchiere e ne vuotò quasi la metà.
“Che caldo! Stavo morendo in pista”
esclamò rivolta a Susy che annuì mentre vuotava il suo. Subito le sue guance di
entrambe si tinsero di rosso.
“Che c’è dentro quei bicchieri?” domandai
curioso
“Oh, niente di pesante. Almeno credo” rispose
Susy dubbiosa
Il mio sopracciglio s’inarcò leggermente
“E’ fruttato” concluse con un’alzata di
spalle come se il fatto che contenesse accenni di frutta mettesse un punto alla
questione
“Beh, questo sistema la faccenda”
dichiarai ironico
Anche Soph svuotò il suo e, tirando per
il braccio la compagna, tornarono in pista. Io lanciai ad entrambe uno sguardo
seccato che però cadde nel vuoto anzi che venne deriso da entrambe: Susy mi
lanciò un bacio e Soph scoppiò a ridere.
Scossi la testa sorridendo e solo allora
notai che sia Paul che Phil si erano dileguati. Mi guardai in giro e li trovai
ai lati della pista a parlare all’orecchio con due ragazze.
Beh, buon per
loro!
Forse dovrei fare
lo stesso…
Ma poi il viso di Soph sbucò tra i miei
pensieri e desistetti.
Meglio di no.
Tornai alla mia birra. Almeno uno su
cinque doveva rimanere sobrio per riportare a casa sano e salvo il resto della
truppa.
Sorrisi e scossi la testa.
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Capitolo 28 *** XXVII capitolo - seconda parte ***
Cap. 27B
XXVII Capitolo
Circa, mezz’ora dopo venni raggiunto da
Susy che si afflosciò sulla sedia accanto alla mia, sfinita.
“Sono distrutta” esclamò a mezza voce “Non
so come faccia Soph … sembra instancabile”
Entrambi alzammo la testa per cercarla
nella ressa. Stava ancora ballando, sembrava ansante ma non accennava a
fermarsi.
“Ti piace davvero molto, vero?” volsi lo
sguardo e trovai Susy a fissarmi
“Forse … non sono ancora riuscito a
capirlo al 100%” dichiarai volgendo lo sguardo ancora all’oggetto della nostra
conversazione.
“E’ una ragazza davvero sorprendente. Mi
piace molto. Sembra avere mille personalità diverse dentro di sé.”
“Beh, non sembra una cosa positiva
quest’ultima” esclamai ridendo
“Che scemo! Non intendevo darle della schizofrenica
… volevo solo dire che racchiude moltissimo dentro di sé. E’ sensibile e
generosa, sveglia ma ingenua, intelligente ma a volte impulsiva. Tremendamente
orgogliosa e testarda” concluse
“Oh, lo so credimi. Quando si mette in
testa qualcosa non la smuove più nessuno“
Ero ancora intento a guardarla ballare
quando un vociare al tavolo di fianco destò la mia attenzione
“Si, è quella strafiga col vestito nero
che balla in pista. Si quella” e seguendo il suo dito mi accorsi che puntava a
Sophie.
“Ha un corpo da urlo”
“Beh, buttati. Provaci e vedi se ci sta”
aggiunse un altro.
A quelle parole cominciai a vederci
rosso. Li fissavo con sguardi di fuoco.
“Ci ho già provato. Fa la ritrosa. Dice
che non è interessata. Cazzo me la scoperei in tutte le posizioni!” concluse
con una risata sguaiata seguito dal resto dei suoi amici.
Mi stavo già alzando per rispondere per
le rime a quel dannato branco d’idioti quando una mano mi trattenne. Era Susy
“Stai calmo! Sono solo degli stupidi.
Soph è stata chiara con loro, c’ero anche io. Non preoccuparti”
Ero ancora in piedi e fremevo per dare
una lezione a quei bastardi ma con un altro strattone Susy mi convinse a
mettermi nuovamente seduto.
Avrebbero meritato di essere “istruiti” a dovere ed li
avrei aiutati io a raggiungere lo scopo. Dannati bastardi!
Con la mente occupata a elaborare piani
immaginari su come fargliela pagare, non mi accorsi subito della lite che si
era scatenata in pista.
“Gerard” mi richiamò Susy
Io la guardai e lei alzandosi mi afferrò per
un braccio incitandomi a seguirla. Volsi lo sguardo alla pista alla ricerca di
Soph quando una strana scena mi si parò davanti.
Soph era circondata da due ragazzi che,
tenendola per un braccio, la stavano obbligando a seguirli. La vidi tirarsi
indietro e opporsi facendo cenni negativi con la testa. Ad un certo punto uno
dei due la prese per la vita, e stringendola al suo corpo la baciò.
Fu come vedere la scena al rallentatore.
Lei continuava ad opporre resistenza
cercando di divincolarsi ma, probabilmente, non era abbastanza forte. Con due
mosse il secondo, ridendo, da dietro cominciò a strusciarsi su di lei in modo
volgare. Erano al margine della pista quando Soph riuscì a liberarsi e mollò un
ceffone a quello che le stava di fronte tentando poi di spingere lontano quello
accostatosi dietro.
Ero
quasi arrivato. Ancora poco e l’avrei raggiunta.
“Troia!” esclamò il primo e, prendendola
per un braccio prima che lei scappasse, la schiaffeggiò sul viso con forza.
A quel punto non resistetti oltre. Con
un balzo mi misi di fronte a Soph e la allontanai bruscamente, spingendola
dietro di me.
La rabbia ormai mi annebbiava la mente e
non mi permise di mantenere il controllo. Il mio pugno si abbatté sulla faccia
del primo maiale mentre il secondo pugno andò a colpire l’altro idiota
direttamente allo stomaco, che si accasciò con un ululato di dolore.
Stavo per rincarare la dose ancora
quando due braccia mi strinsero da dietro.
“Gerard, basta. Penso che abbiano
capito!”
Era Paul ed era pallido come uno
spettro, dietro di lui c’era Phil che annuì nella mia direzione.
Volevo continuare a dargli una lezione
ma la forza congiunta di entrambi i miei fratelli arginarono la situazione e la
mia rabbia. Con uno strattone mi allontanarono dalla pista.
Mi ritrovai fuori dal locale, vicino al
parcheggio, senza sapere come. L’aria fredda della notte mi aiutò a calmarmi: sentivo
la rabbia scemare lentamente. Respirai a fondo e cominciai a fare qualche passo
per rilassarmi maggiormente quando mi accorsi di sentire dei singhiozzi poco
lontano.
Vicino alla nostra macchina c’era Sophie
che piangeva e Susy che, abbracciandola, cercava di consolarla.
“Shh, tesoro. E’ passato, è tutto finito.
Rilassati, non potranno più farti del male” la cullava dolcemente mentre diceva
queste cose e quando si accorse che ero lì alzò il viso.
“Come sta?” mimai con le sole labbra a
Susy
Soph alzò la testa e, vedendo che ero lì,
si avvicinò esitante e mi abbracciò. Io la strinsi a me con forza. Sentirla,
toccarla, abbracciarla … mi calmò.
“Sapevo che sarebbe andata a finire così”
mormorai accarezzandole i lunghi capelli sciolti sulle spalle
“Cosa?” singhiozzò ancora scossa
“Ho detto che sapevo che sarebbe successo”
ripetei con voce un poco più alta
Si allontanò da me giusto per guardarmi
in viso. Era confusa, stanca e decisamente sofferente.
“Non guardarmi così Soph. E’ vero … avresti
dovuto tenerlo in conto!”
E la mia rabbia si accese nuovamente.
“Cosa dici?” rispose scuotendo la testa
“Cazzo, Soph cosa credevi?! Che
vestendoti in questa maniera non avresti attirato l’attenzione?”
L’avevo allontanata ancora un poco ed
ora la tenevo saldamente per le spalle.
“Cristo, è già qualcosa che non ti
abbiano violentato!”
“Gerard!” mi ammonì l’indignata voce di
Susy
Ma non mi fermai e Soph tentò di
divincolarsi dalla mia presa.
“Lasciami mi fai male” la sua voce era
appena un sussurro
Aveva ricominciato a piangere. La scuotevo
per le sue spalle con forza.
Volevo che mi guardasse.
Volevo che capisse … che comprendesse
cosa aveva rischiato.
Che percepisse la
mia paura...
“Gerard” sempre Susy, anche lei cercava
di liberare Sophie dalle mie mani
“Non capisci?! Cosa sarebbe accaduto se
non ci fossi stato? Eh?!” continuavo a scuoterla con forza “Ti avrebbero fatto del male … lo capisci?!”
“Gerard, lasciami. Mi fai male!” la sua
voce era acuta e dai suoi occhi continuavano a scendere abbondanti lacrime
Piangeva ma a me non importava.
Era così difficile
da capire? Le avrebbero fatto male, l’avrebbero ferita ed umiliata, insultata.
E
quei pensieri mi fecero impazzire.
“Ti avrebbero sicuramente … Dio!” la
scossi ancora una volta in modo rude
“Non voglio vederti lontana da me!” aggiunsi
poi in un sussurro che solo lei sentì
Smise di lottare e mi fissò ad occhi
sgranati, sorpresa.
Le lacrime però non accennavano a
fermarsi.
“Gerard, lasciala” la voce determinata
di Paul mi ridestò.
Chiusi gli occhi e con un lento sospiro
lasciai la presa su di lei.
Respirare,respirare,
respirare, respirare. Uno, due, tre, quattro …
Li riaprì poco dopo e vidi che non si
era mossa, che continuava a fissarmi. In silenzio si avvicinò a me e mi buttò
le braccia al collo.
“Ho avuto così tanta paura”
“Anche io ho avuto paura. Temevo che ti
avrebbero fatto del male” continuavo a tenerla stretta tra le braccia.
“Sei ancora insicuro su di lei?” mimò
con le labbra Susy, poco lontano da noi
Ero ancora
insicuro?
Lo ero davvero
mai stato?
Insicuro di
Sophie? No, non lo ero.
Sapevo cosa
sentivo. Sapevo cosa volevo.
|
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Capitolo 29 *** XXVIII Capitolo - prima parte ***
Cap. 28A
XXVIII Capitolo
Ero
così comoda, raggomitolata in un caldo abbraccio.
Aprii
gli occhi lentamente. La luce non era fastidiosa ma li richiusi ugualmente. Non
volevo svegliarmi, né tantomeno abbandonare quel caldo tepore così presto.
Mossi leggermente gambe e braccia, cercando di accostarmi meglio alla fonte di
calore.
Un
alito caldo mi solleticò l’orecchio e subito spalancai gli occhi.
Che cavolo … oh, oh!
Appoggiata
ad un gomito mi sollevai un poco e mi stropicciai gli occhi, ancora incredula.
Accanto
a me, nel mio letto, c’era Gerard. Stava dormendo con un braccio lungo il busto
e con l’altro mi cingeva la vita.
I
miei movimenti non lo avevano svegliato. Condividevamo il cuscino, la sua testa
poggiata su di esso e il viso rivolto verso di me. Sollevai con cautela la
coperta e mi resi conto che le nostre gambe erano intrecciate. Avevo sempre
pensato che dormire così con qualcuno sarebbe stato oltremodo scomodo, invece
dovetti ricredermi.
Comodo e oltremodo piacevole!
Un
leggero calore raggiunse le mie guance quando, con gesto pigro, Gerard allungò
il braccio che andò a posarsi sulla mia coscia. Sempre dormendo, cominciò ad
accarezzarla. Sentivo la sua calda mano percorrerla tutta, dalla tenera carne
dietro al ginocchio salire a sfiorarmi lentamente la curva della natica e
tornare poi di nuovo verso il basso.
Ho passato la
notte abbracciata a lui!
Una
parte di me voleva rimanere lì, stretta a lui e godere di quell’imponente corpo
caldo. La notte scorsa era stata traumatica per me.
* Avevamo fatto
il viaggio di ritorno seduti uno accanto all’altro, mano nella mano senza però rivolgerci
la parola. In silenzio mi aveva accompagnata in casa, fino alla porta della mia
camera. Stava per congedarsi quando mi ero aggrappata al suo braccio e l’avevo
pregato di farmi compagnia fino a che non mi fossi addormentata. Accortosi del
mio turbamento, mi aveva guardata e annuito semplicemente. Non avevamo parlato
di nulla, lui si era limitato ad accarezzarmi dolcemente i capelli finché non
mi ero addormentata.*
L’altra
parte di me però voleva alzarsi ed allontanarsi.
Era
vero, mi aveva consolato ed era rimasto accanto a me ma non lo aveva fatto per
i giusti motivi. Non per il motivo che mi avrebbe spinta a rimanere lì e ad
accoccolarmi nuovamente a lui.
Lo
desideravo, ormai ne ero certa. Ero innamorata ed ero legata a lui. Ma Gerard? Non
volevo essere e non sarei stata una delle tante tacche sul muro.
Io
non volevo solo il suo corpo, non mi sarebbe bastato. Volevo soprattutto il resto. Volevo avere
tutto da lui, volevo il suo cuore.
Scossi
la testa, cercando di far tacere quei pensieri e con cautela mi alzai dal
letto, dirigendomi verso il bagno.
Ho bisogno di una doccia per schiarirmi le
idee.
Mi
spogliai in silenzio attenta ad ogni minimo rumore e mi infilai nel box-doccia.
L’acqua era fredda e scivolava veloce sul mio corpo; chiusi gli occhi e cercai
di svuotare la mente, rilassando anche i muscoli.
Magari ho frainteso…
Magari lui è interessato…
Forse
la scenata che mi aveva fatto ieri sera era il suo modo di dirmi che teneva a
me come io tenevo a lui. Sbuffai e chiusi l’acqua, mi strizzai i capelli e
uscendo mi avvolsi in un morbido asciugamano bianco. Mi avvicinai allo specchio
e fissai il mio riflesso.
Occhi
chiari, pelle pallida ma liscia. Una ragazza. Una normalissima ragazza.
Niente a che
vedere con le donne cui è abituato!
Sbuffai
nuovamente e avvolsi i miei lunghi capelli in un altro asciugamano
frizionandoli. Indossai la biancheria intima, mutande e reggiseno in cotone
nero.
Con
in mano il phon cominciai ad asciugarmi i capelli a testa in giù. Quando finì
lo rimisi al proprio posto e volsi nuovamente il viso verso lo specchio. I
capelli erano mossi in modo disordinato ma non me ne preoccupai. Presi un bel
respiro, strinsi gli occhi per qualche secondo e riaprendoli uscì dal bagno.
Sbirciai attraverso la porta, lui era ancora lì addormentato e sdraiato a
pancia sotto. Svelta filai verso l’armadio e aprì uno dei cassetti. Con gesti
veloci presi i primi indumenti che trovai. Un abito corto senza maniche di
colore viola scuro.
“Buongiorno”
la sua voce roca, molto più del solito, mi fece sobbalzare.
“B-buongiorno
a te” risposi voltandomi nella sua direzione.
Ero
in imbarazzo e speravo di non avere le guance in fiamme.
“E’
tanto che sei sveglia?” chiese alzandosi per mettersi seduto e poggiando la
schiena alla spalliera del letto
“Da
un po’ ” andai ad aprire le finestre senza però spalancare del tutto le pesanti
tende.
“Mmh
... perché non mi hai svegliato?”
“Oh,
beh. Sembravi dormire così serenamente”
Continuavo
a fingere di sistemare le tende per prendere tempo. Non avevo ancora il
coraggio di guardarlo negli occhi.
“In
effetti ho dormito benissimo. Mi sento riposato. Tu come hai dormito?”
Finalmente
trovai il coraggio e mi voltai verso di lui, dopotutto non potevo continuare ad
ignorarlo a quel modo.
“Ho
dormito molto bene, grazie” alzai lo sguardo nella sua direzione e notai che mi
fissava.
“Sei
deliziosa con quel vestitino. Davvero deliziosa”
Aveva
lasciato vagare lo sguardo su di me a lungo. Ora si stava stiracchiando e
scompigliando i capelli. I muscoli delle braccia si tesero e guizzarono veloci.
“Ehm,
grazie…”
Ero
in imbarazzo e mi sentivo il viso in fiamme. Urgeva prendere una decisione e
parlare apertamente. Mi schiarì la voce con un colpo di tosse
“Forse
dovremmo parlare”
Avevo
parlato con lo sguardo basso, intenta a fissare i miei piedi nudi, in attesa di
una sua risposta.
“Si,
forse dovremmo”
Scostò
parzialmente le coperte per invitarmi a sedermi accanto a lui. Le mie gambe, di
propria volontà, si mossero e mi avvicinai. Si fece da parte per farmi posto ed
io gli sedetti vicinissima, appoggiando la schiena al cuscino.
“Beh
…” dovetti subito schiarirmi la voce per non balbettare.
Mi
prese una mano e cominciò a giocare con le mie dita.
“Si?”
riuscivo a sentire il suo respiro sulla pelle.
Alzò
una mano e cominciò ad accarezzarmi i capelli. Amavo il modo in cui mi toccava,
lo faceva in maniera così delicata che senza volerlo chiusi gli occhi e mi
concentrai su quelle carezze.
“Soph?”
la sua voce mi parve un sussurro e per quanto mi dispiacesse dovetti riaprire
gli occhi.
“Ieri
sera mi sono spaventato”
“Anche
io, davvero”
“L-lasciami
finire per cortesia perché ho bisogno di dirtelo. Con te ogni volta che apro
bocca sembra essere quella sbagliata, quindi per favore non interrompermi”
“Come
dicevo, ieri sera mi sono spaventato. E molto. Mi dispiace per come mi sono
comportato, per la mia reazione intendo. Non avrei dovuto urlare in quella
maniera, soprattutto con te. Ora a mente lucida mi rendo conto di aver
esagerato” sospirò e allontanò la mano dai miei capelli. “Il fatto è che il
modo in cui ti ha parlato quell’animale e poi quello che ti hanno fatto mi ha
mandato in bestia e non sono riuscito a controllarmi. Avrei dovuto farli a
pezzi. Volevo farlo!”
“Gerard…”
volevo cercare di rassicurarlo e ringraziarlo ma ancora una volta mi zittì
“Ti
prego … devi sapere” si passò una mano tra i capelli e ne tirò nervosamente una
ciocca.
Sembrava
in difficoltà ma non sapevo come aiutarlo. Non volevo interromperlo di nuovo
così rimasi in silenzio e posai lo sguardo nel suo per incitarlo a continuare.
“Mi
sono innamorato di te, Soph!
Il
tuo profumo mi fa impazzire e adoro il modo in cui ti muovi. Sei così bella.
Quando ti guardo mi sento strano … felice. Vederti sorridere fa sorridere anche
me e quando ti faccio arrossire ho uno strano sfarfallio allo stomaco. Ti
voglio, ti desidero con un’intensità mai provata prima per nessun’altra. Quando
sei con me, vicina a me, non posso evitare di toccarti, di sfiorarti. Non
riesco a farne a meno”
Mi
accarezzava con un dito la guancia
“E
questo se da una parte mi piace da impazzire dall’altra mi spaventa perché non
mi è mai successo. Quando sei lontana bramo di sentire la tua voce, la tua
risata e solo in quel momento qualcosa si calma dentro di me. Quando ti stringo
fra le braccia e sento il tuo respiro caldo sul mio viso, solo allora riesco a
respirare”
Prese
la mia mano e cominciò ad accarezzarmi con il pollice l’interno del polso
”Mi
piace accarezzarti, così come sto facendo ora”
Il
suo sguardo andò veloce sulla mia mano e tornò altrettanto veloce verso il mio
viso.
“Impazzisco
di desiderio, quando i tuoi occhi diventano più grandi e si velano di passione,
proprio come adesso”
Non
sapevo cosa dire. Ero senza parole. Era una dichiarazione così … così diversa! Era
speciale.
Lui.
Le sue parole.
Il suo tocco.
Senza
pensare gli buttai le braccia al collo e lo baciai. Dopo un attimo di sorpresa
lui rise e ricambiò il bacio. Mi strinse a sé con slancio, rotolammo sul letto
continuando a ridere. Eravamo in un groviglio di lenzuola e coperte, lui sopra
di me e continuammo a baciarci senza più alcun freno.
Angolino:
Vi lascio il link del capitolo red che
segue questo capitolo… Baci baci
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=836364
|
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Capitolo 30 *** XXVIII Capitolo - seconda parte ***
Cap. 28B
XXVIII Capitolo
Era
stato fantastico. Il migliore sesso di sempre.
In assoluto!
Era
stata passionale ed ingenua: ragazzina timorosa ed insicura poi donna
intrigante e lussuriosa.
Mi ha fatto
impazzire di desiderio.
Ora
la stringevo tra le braccia. Eravamo entrambi appagati e soddisfatti.
Mi
aveva provocato ed eccitato fin quasi tramortirmi. Il suo corpo, la sua voce con
quel suo profumo e l’odore della sua pelle mi avevano fatto perdere la testa. Era
stato bellissimo e non vedevo l’ora di rifarlo.
Guardai
di nuovo l’incanto che stringevo tra le braccia. Il suo corpo era caldo e un
poco sudato. Il solo guardarla mi accendeva nuovamente di desiderio. La volevo
ancora. Avrei voluto passare tutta la giornata a perdermi in lei. A muovermi e spingermi
dentro di lei.
Non abbiamo usato
protezioni…
Stranamente
la cosa non mi turbò più di tanto.
In
realtà nemmeno la prima volta avevamo badato a proteggerci. In quell’occasione
era stato più un seguire istinti e bisogni. Un bisogno di entrambi.
E subito dopo,
proprio come un perfetto idiota, sono scappato!
Avevo sbagliato. Ma questa volta avrei
agito diversamente.
Finalmente mi ero reso conto di amarla
e non avrei sbagliato ancora.
Continuavo
a guardarla e lentamente l’accarezzavo tutta. Lei aveva gli occhi chiusi perciò
chiusi anche i miei continuando però a tenerla stretta.
Cominciai
ad immaginarla incinta e con in braccio un bambino.
Un figlio.
Mio
figlio e questo mi diede una strana sensazione. Una sensazione come di possesso
e di traguardo. Una sensazione di orgoglio che mi scaldò il petto. Non avevo
mai pensato di mettere su famiglia.
Mai prima d’ora.
Forse
perché sarebbe stato complicato con lo stile di vita che conducevo e il mio
lavoro. Ma immaginare di farlo con lei … creare con lei la mia famiglia …
sembrava … giusto.
Riaprì
gli occhi e risi di me stesso.
Di una cosa però
ero certo … ero innamorato. Innamorato perso di una dolce ragazzina italiana!
Notai
che si era appisolata e con delicatezza, le sfiorai la fronte con un bacio. Si
accoccolò meglio al mio corpo, con un braccio sul mio petto e l’altro lungo il
busto. Le sue gambe sfioravano le mie. Aveva la pelle bianca come la neve e
altrettanto morbida.
Era
liscia e calda, ovunque.
La volevo.
Volevo proteggerla e farla felice.
La voglio con me!
Sempre e non solo nel mio letto.
Volevo vederla sorridere e ridere in giro per casa. Una casa nostra, solo
nostra.
La volevo al mio fianco.
Scossi
la testa e sospirai. Era vicino a me, abbracciata al mio corpo. Solo questo ora
importava. Mi allungai verso il letto e coprì entrambi con un lenzuolo. Non
volevo che prendesse freddo e si ammalasse.
Perché il mio istinto di protezione va a mille
quando si tratta di lei?
La
guardai di nuovo. Era bellissima. Le guance rosee, la bocca socchiusa, le labbra
carnose sembravano distese in un sorriso. La baciai sulla bocca e chiudendo gli
occhi mi rilassai completamente.
Ti proteggerò dalle paure delle
ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai
per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del
tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura
normalmente attirerai
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi
sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti
invecchiare
Perché sei un essere speciale ed io
avrò cura di te!
(La Cura di F. Battiato)
Riaprì
gli occhi circa un’ora dopo.
Ero
ancora a letto con Gerard. Lui era sveglio e, col suo sguardo posato su di me,
mi accarezzava con gesti lenti la schiena.
Avevamo
fatto l’amore per la seconda volta. Era stato così energico e passionale. Con i
suoi baci e le sue carezze, con le sue parole sussurrate e i suoi gemiti mi
aveva fatto perdere la testa.
Mi
alzai in fretta e mi precipitai in bagno. Chiusi la porta e mi avvicinai al
lavandino. Davanti lo specchio, fissai il mio riflesso.
Che cosa ho
fatto?
Ed ora?
E poi mia madre e
la sua famiglia come la prenderanno?
|
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Capitolo 31 *** XXIX Capitolo ***
Cap. 29
XXIX Capitolo
Quando la vedo silenziosa, accanto alla finestra, a guardare la gente
che passa, mi chiedo quali siano i suoi pensieri. E' come se fosse passata
dall'altra parte di un ponte, dove non so come arrivare...
[Carlos Ruiz Zafon, Le luci di settembre]
Ok, ok. L’unica cosa è chiarire.
Allontanarsi
prima di farsi male sul serio.
Io
lo amavo. lo amavo da impazzire e lui aveva appena detto di essersi innamorato
ma la cosa non finiva qui, anzi!
Lui
era un attore.
Un attore di Hollywood dannazione … ed io?
Lui
è Gerard Butler …
Io, invece, chi sono?
Nessuno
sussurrò una vocina nella mia testa.
Avrei
dovuto allontanarlo … prima di rimanerci con tutte le scarpe.
Devo allontanarmi
da lui!
Non
c’era altra soluzione. L’avrei allontanato fingendo indifferenza, fingendomi
fredda e distaccata. Mi sarei dimostrata non interessata … avrei mentito!
Non
gli avrei permesso di rovinarsi la vita o la carriera per me. Una che in confronto
a lui non valeva niente!
Che non era
nessuno!
“Tesoro
stai bene?” la sua voce calda mi fece sobbalzare.
Aveva
aperto la porta del bagno lentamente ed ora mi guardava con sguardo dolce.
“Assolutamente!”
avevo indossato la maschera
In
fretta mi defilai ma la sua mano mi bloccò prima di uscire.
“Cosa
c’è, Soph?”
“Assolutamente
niente! Perché?”
Non
riuscivo a guardarlo in viso per più di qualche secondo. Abbassavo lo sguardo e
poi lo rialzavo, ma sempre per pochi secondi.
“Guardami.
Guardami negli occhi Sophie” il suo tono era cambiato e il timbro della sua
voce si era fatto più insistente.
Feci
come richiesto e lo guardai in viso. Rimanemmo così per diversi minuti senza
parlare, con lui che mi fissava come se cercasse di leggermi dentro.
“Ora
scusami, ma devo scendere. Ho delle cose da fare” la tensione mi stava
uccidendo e se non fossi uscita subito di li non avrei resistito.
Scappare dal
profumo della sua pelle, dal suo viso, da quel corpo che mi fa tremare di
piacere. Robusto, estremamente virile e attraente. Incredibilmente attraente!
“Aspetta”
Mi
lasciò uscire dal bagno ed io rindossai la biancheria intima in fretta e furia.
Mi
voltai a guardarlo.
Indossava
solamente un paio di boxer. I fianchi stretti esaltavano ancora di più le sue
spalle larghe e gli conferivano un’aura di mascolinità assolutamente
irresistibile.
Nel
suo volto, però, lessi qualcosa. Incredulità, rammarico e in parte rabbia.
“Ti
sei pentita?”
Come puoi anche
solo pensare che possa pentirmi … Io ti amo!
Non
mi ero pentita affatto. Anzi, avrei voluto rifarlo. Una, due, tre volte o finché
non avessi avuto muscoli e tendini doloranti. Ma non potevo permettere al mio corpo e al mio cuore di avere la
meglio.
Dovevo
ragionare. Dovevo far prevalere la logica.
Dovevo
farlo per lui perché lui valeva molto più di quanto potessi valere io.
“Allora?
Ti sei pentita di aver fatto l’amore con me?”
Lo
guardavo ma ancora non rispondevo, così si avvicinò, mi prese le braccia e le
strinse avvicinandomi ancora di più a lui, al suo corpo.
“Rispondimi,
Soph! Ti sei pentita? E’ stato così brutto per te?”
Scossi
il capo senza però parlare.
“E
la volta precedente? Cos’è? Non sono stato bravo abbastanza?” le sue parole mi
colpirono.
L’avevo ferito!
“No,
non è così” riuscì a dire qualche minuto dopo
“E
allora com’è? Spiegami, Sophie! Perché io non ci arrivo … pensavo lo volessimo
entrambi”
Le
sue parole erano pungenti. Stava quasi gridandole.
“Si,
infatti” risposi annuendo
“E
allora come mai ora fai così? Come mai non mi guardi? Perché stai scappando?”
Voleva
avere delle risposte. Ma non potevo aprirgli il mio cuore. Non potevo dirgli
che avevo paura.
Paura
per lui… paura di quello che gli altri avessero pensato… paura di quello che
radio, televisione e giornali avrebbero detto o scritto.
Non posso fargli
questo!
Agii
d’istinto e lo allontanai bruscamente
“Te
lo spiego subito. E’ stato bello ma finisce qui! Non puoi pretendere che ti
rimanga attaccata come un cagnolino per sempre. E’ stato un delizioso ma
momentaneo intervallo. Questa e anche le altre volte, tutto qui!”
Ero
stata fredda, scostante e del tutto indifferente. Ero stata cattiva, quasi
perfida. Avevo rindossato la maschera ed ora speravo proprio che le mie parole servissero
ad allontanarlo.
Indietreggiò
di qualche passo colpito e ferito. Mi guardò a lungo cercando di capire cosa
stessi dicendo e perché.
“Bugiarda
… sei una bugiarda!” sussurrò dopo avermi guardato negli occhi per qualche altro
istante ancora.
“Cosa?”
“Ti
ho dato della bugiarda” un ghigno si formò sul suo volto “Stai dicendo un
mucchio di cazzate … e lo sai”
Le
mie parole non avevano sortito l’effetto desiderato. Non lo avevo convinto.
Si
avvicinò a me e con lentezza si abbassò un poco per raggiungere il mio
orecchio. Lo sentivo sfiorarmi il collo e il cuore cominciò a battermi a mille.
Con una mano mi circondò il collo, proprio sotto la mascella. La strinse un
poco senza però farmi male.
“Sei
una terribile bugiarda! Stai cercando di ferirmi non so bene per quale motivo
ma, purtroppo per te, non sai mentire”
Mi
allontanai da lui e riuscì a sgusciare lontano.
“Non
capisco di cosa tu stia parlando”
Mi
stavo arrampicando sugli specchi e lo sapevo.
“Oh,
si che lo sai” il suo ghigno aleggiava ancora agli angoli della bocca “Lo sai
eccome”
“Adesso
basta. Ho delle cose da fare. Non ho tempo da perdere …”
“TEMPO
DA PERDERE?”
Il
suo viso era passato dal ghigno ad una maschera di rabbia.
“E’
QUESTO CHE STAIFACENDO? STAI PERDENDO TEMPO?” gridò
Non
lo avevo mai visto così arrabbiato e per un momento ne fui spaventata. Tutta
quella rabbia l’avevo scatenata io, le mie parole, il mio tono.
Come l’ avrei
placato?
Lentamente,
cominciai ad avvicinarmi per tentare di calmarlo. Avevo paura che mi
respingesse ma tentai. Alzai con calma una mano e gliela posai sul viso. Il mio
gesto sembrò calmarlo e respirando a fondo si preparò a parlare.
“Ti
faccio perdere tempo, Soph?” la sua voce era tornata un sussurro
La
sua mano andò a posarsi sulla mia guancia e le sue dita cominciarono ad
accarezzarmi le labbra.
“Dimmelo!
Dimmi che non vuoi che ti accarezzi, che non vuoi che ti tocchi! Dimmi che non
vuoi le mie labbra sulle tue! Dimmi che non vuoi sentirmi sussurrare il tuo
nome! Dimmi che non mi vuoi dentro di te. Dimmi che non vuoi che ti ami!”
Era
a pochi millimetri dal mio volto.
“Non
vogli-”
“Bugiarda!”
m’interruppe alzando di nuovo la voce “Lo
sento … l’ho sentito, dannazione! L’ho visto! Ma perché fai così?”
“Spiegami
perché diavolo stai dicendo questo mucchio di stronzate. Tu mi vuoi!
Esattamente come io voglio te. Voglio il tuo tocco, voglio le tue labbra e la
tua lingua su di me. Voglio perdermi in te una volta, un’altra e poi ancora
fino a non avere più la forza per fare altro. Voglio passare le mie giornate
con te. Voglio sentire la tua voce e la tua risata. Ti voglio accanto a me. Io
ti amo”
Anche
questa volta non risposi. Vidi i suoi occhi percorrere interamente il mio viso
per poi tornare ad incatenarsi ai miei.
“Tu
… tu non puoi volere questo!” le parole mi
uscirono a tratti.
Ero
stordita e non riuscivo a capire nulla. Non volevo dirglielo ma non riuscì a
frenarmi.
“Perché
no? So che anche tu lo vuoi. Perché non lo ammetti?“
“Non
è facile!” continuai oramai singhiozzando
“Certo
che lo è. Sono solo tre parole”
“Smettila!
Tu non puoi … tu non puoi volerlo davvero!”
“Cosa?
Non posso cosa, Sophie? Desiderarti? Eppure lo voglio. Amarti? Eppure lo
faccio. Lo sto sentendo, lo sto provando … Ti amo. Ti amo e non voglio smettere
di farlo. Voglio proteggerti e amarti. Non desidero nient’altro se non te!”
Le
sue parole m’incatenarono a lui e il mio cervello si bloccò. Non riuscivo a pensare,
continuavo a rimanere ferma mentre lacrime di gioia mi facevano singhiozzare
Lui
sorrise e si chinò a sfiorarmi le labbra.
“Mi
sono innamorato di te, Soph! Sono follemente innamorato di te” ripeté ancora
“Non
puoi essere davvero innamorato di me” avevo portato le mani in avanti come per
smentire le sue parole
“Perché
no?”
“Perché
sei circondato da donne bellissime. Sempre! Piene di talento, di fascino e magari
anche simpaticissime e intelligenti. Attrici, modelle, showgirl e non puoi
volere me, quando potresti avere … loro“
Non
mi fermai, continuai. Continuai a sbattergli in faccia tutte le mie paure,
tutti i miei timori.
“Hai
pensato a come reagiranno i tuoi amici o i tuoi colleghi a questo? Come reagirà
la tua famiglia a tutto questo? E al tuo lavoro non pensi? Credi che mi
lasceranno entrare nel tuo mondo? Come … come se nulla fosse?“
Lui
mi fissava senza parlare come se non riuscisse a capacitarsi delle cose che gli
stavo dicendo.
“Non puoi essere innamorato di me, Gerard!”
aggiunsi in un sussurro
“E
invece lo sono quindi fattene una ragione” replicò con forza
“Perché
proprio io?”
“Che
domanda … perché sei tu e non un’altra che voglio, sciocca! Perché sei dolce e
generosa. Perché sei altruista e tenace. Perché sei sexy e maliziosa senza
essere volgare. Perché sei orgogliosa e testarda. Sophie sei una donna intelligente
e indipendente. Mi piaci, ti amo! Adoro parlare con te perché hai un parere su tutto
ed ogni cosa ti incuriosisce. Adoro guardarti leggere o semplicemente
disegnare, passerei ore a non fare altro. Adoro sentirti ridere o semplicemente
vederti sorridere. Mi basta guardarti per capire cosa ti passa per la testa. Riesco
sempre, non so come, a notare quando i tuoi occhi si fanno più scuri perché sei
arrabbiata o indispettita. Qualcosa si accende dentro di me quando si velano di
piacere. Ti amo perché hai mille interessi e sei piena di vita. Adoro
stuzzicarti e provocarti; mi diverto a litigare con te perché facciamo pace
facendo l’amore. Quando sorridi il tuo viso risplende ed io non posso farne a
meno. Non posso fare a meno di te! Sei
tu quella che voglio ... nessun’altra”
Il
suo naso sfiorava il mio e con voce bassa sussurrò
“Non
m’importa un accidenti di quello che penseranno o diranno gli altri. Ti basta
come spiegazione?”
“Ti
importerà in futuro, credimi” dissi a fil di voce
“L’unica
persona di cui ora m’importa veramente sei tu! Né degli amici, né dei colleghi,
né del lavoro. Di nessuno tranne che di te. Soph, io voglio stare con te!”
Con
le lacrime agli occhi mi avvicinai e stringendomi lo baciai con amore.
Angolino:
Vi
lascio il link del capitolo total red che segue a questo… Baci baci
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=847798&i=1
|
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Capitolo 32 *** XXX Capitolo ***
Cap. 30
XXX
Capitolo
“Soph?”
“Mmm?”
“Spero
tu non abbia ancora dubbi” mi guardava serio. “Ti amo. Semplicemente, ti amo.
Sei dolce e naturale in ogni tuo gesto. Sei pura nell’animo. Mi importa solo di
renderti felice”
I
miei occhi si riempirono di lacrime, di nuovo. Nessuno mi aveva mai detto
parole così dolci. Tutti i muri che avevo creato per allontanarlo crollarono
definitivamente. Mi strinsi a lui e lo baciai con amore.
“Ti
amo anche io. Sei l’amore che ho sempre cercato”
Lui
mi baciò così intensamente che mi sentì sciogliere. Mi accoccolai al suo corpo
poggiando la testa nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla.
Stavamo
ancora baciandoci sdraiati l’uno sull’altro quando il mio stomaco cominciò a
brontolare per la fame. Ci guardammo ed insieme scoppiammo a ridere.
Non
volevo alzarmi né tantomeno smettere di baciarlo. E non volevo farlo per una
cosa come mangiare. Con dolcezza infinita mi prese il viso tra le mani e mi
baciò teneramente e per molto molto tempo.
Quando
riaprì gli occhi lo vidi in procinto di alzarsi e camminare per la stanza
completamente nudo. Lo guardavo muoversi con sicurezza e senza pudore. I
muscoli di cosce, gambe e schiena si muovevano seguendo i suoi movimenti.
“Ti
piace quello che vedi?”
“Può
darsi” ribattei distogliendo lo sguardo
“Mmm
… solo può darsi?”
Io
ero ancora sdraiata a letto, lui avvicinandosi, si abbassò un poco e m’intrappolò
le labbra in un bacio che mi mandò a fuoco corpo e cervello. Aprì gli occhi,
che non sapevo di aver chiuso, solo quando non sentì più il suo tocco; lo vidi
sorridere di nuovo e lentamente rivestirsi.
Scuotendo
la testa, mi alzai e lo raggiunsi sorridendo. Indossai di nuovo la biancheria e
il corto vestito viola.
“Sei
affamata. Solo per questo ti permetto di alzarti dal letto e uscire da questa
stanza, capito? Ti avrei legato al letto e … ci saremmo applicati di più”
“Dopo
mangiato sarò tutta tua” sussurrai baciandolo ancora.
Mi
guardò per un po’ e poi posandomi un braccio intorno alla vita possessivo annuì
soddisfatto.
Uscendo
dalla mia stanza e scendendo le scale, arrivammo in sala da pranzo. Guardai
l’orologio e mi accorsi che era ora di pranzo. Apparecchiai per entrambi ma
quando mi girai scoprì che Gerard non era dietro di me come pensavo.
Lo
trovai, in cucina, intento a mescolare qualcosa dentro un recipiente.
“Cosa
stai facendo?” domandai avvicinandomi
“Pancakes”
rispose con un sorriso
“Pancakes?
Ma è ora di pranzo, ormai”
“Beh,
potremo mangiarli per dessert” mi rispose alzando leggermente le spalle
“E
poi? Non so tu ma io sono affamata”
“Io
non so cucinare molto bene. Anzi in realtà è l’unica cosa che so fare”
“Beh,
per tua fortuna … cucino bene”
Ero
allegra e decisamente di buon umore.
Lui
rispose con un sorriso raggiante e mi baciò veloce sulle labbra “Mettiti all’opera allora … sto morendo di
fame!”
Svelta
cominciai a preparare qualcosa di appetitoso. Io e la mamma avevamo portato un
po’ di pasta così aprì qualche sportello finché non la trovai.
“Cosa
prepari?”
Stava
cuocendo i pancake in una padella e li impilava ad uno ad uno in un piatto
grande. Finì velocemente, così mi si affiancò. Nel frattempo avevo messo a
soffriggere cipolla, sedano e carote con un po’ d’olio.
“Allora,
cosa stai cucinando?” domandò curioso
“La
pasta … sono italiana“ risposi sorridendogli
“Mmm,
buona. Mi piace la paste!”
“Si
dice pasta” scandì bene
Sentirlo
parlare italiano mi provocò un sorriso. Il suo accento era divertentissimo. Lui
annuì e continuò a ripetere la parola a bassa voce, come per memorizzarla.
Aggiunsi
della pancetta tagliata a tocchetti e mescolai adagio.
“Posso
aiutarti?” si offrì lui “Sono bravo in
cucina … come aiutante” mi strizzò l’occhio
“Certo!”
Sarebbe stato divertente cucinare assieme
“Prendi
una pentola e riempila per tre quarti d’acqua fredda. Dopo aggiungi un pizzico
di sale e mettile un coperchio” lo istruì pazientemente
Lui
annuì e fece come dettogli. Io aggiunsi del pomodoro fresco, anche questo
tagliato a pezzetti. Aggiunsi un pizzico di sale e coprì con un coperchio il
tutto.
Amavo
cucinare. E mi divertivo a creare piatti sempre nuovi. Gerard mi guardava ad
occhi socchiusi, con un sopracciglio alzato.
“Che
c’è?”
“Niente.
Ti guardo. Sembra che tu ti stia divertendo”
disse lui
“Infatti
è così … adoro cucinare. Fin da piccola aiutavo mia madre a fare dolci oppure
li facevo da me” risposi spensierata
Da
dietro, mi cinse con le braccia e mi baciò sul collo.
“Mi
piace questa cosa. Mi piace da matti” sussurrò soffiandomi sul collo
“Cosa?
Che sappia cucinare?”
“Si”
ammise
“E
perché?” mescolai il sugo con gesti lenti.
“Beh,
non tutte le donne lo sanno fare. E solo un uomo su cinque sa cucinare. La trovo una cosa molto sensuale. Tu lo sei...
sei sensuale quando cucini. E mi piace” scoppiai a ridere e mi girai a
guardarlo
“Sei
incorreggibile” esclamai ridendo
Ci
baciammo ancora.
“Mi
piaci da matti. Ti amo” sussurrò poggiando la fronte contro la mia
“Anche
io” risposi con un sospiro soddisfatto.
Il
suo stomaco brontolò
“Ho
fame”
“Anche
io” ribattei sorridendo
“Bene
ed ora cosa faccio?” chiese avvicinandosi alla pentola che oramai bolliva
“Ora
cuciniamo la pasta. Apri il sacchetto e vuotane metà nella pentola”
“Ok”
Assaggiai
il sugo. Ancora qualche minuto e sarebbe stato pronto. Gerard aveva fatto
esattamente come gli avevo detto. Sciacquai il cucchiaio in legno che avevo
usato per il sugo e vi mescolai la pasta. Lui seguiva tutto con attenzione,
come a voler registrare ogni azione. Sorrisi impercettibilmente.
Appena
pronta scolai la pasta e con il suo aiuto la condì con il sugo preparato.
Riempì due piatti, il suo più del mio ed insieme sedemmo a tavola.
“Mmm,
che buona!” esclamò dopo aver inghiottito il primo boccone “E’ deliziosa! Avevo provato la pasta solo una volta, in un ristorante.
Ma non era buona come questa” dichiarò sorridendo “Sei stata brava!”
“Siamo
stati bravi” ammisi allegramente “Sei il mio assistente, il merito è anche tuo”
Lui
allungò una mano fino a sfiorare la mia ed io gliela strinsi. Finimmo di
mangiare con calma, provando anche qualche pancake. Sparecchiando in fretta,
ficcai tutto nella lavastoviglie.
Lui
mi aspettava in salotto con una bella sorpresa.
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Capitolo 33 *** XXXI Capitolo ***
Cap. 31
XXXI Capitolo
Quando
entrai in salotto lo vidi armeggiare con una borsa da viaggio.
Doveva partire?
“Devi
partire?” gli chiesi avvicinandomi
“Noi
dobbiamo partire” rispose infilando due grandi asciugamani nella borsa
“Ah
si? E dove andiamo?” domandai curiosa ed elettrizzata
Gerard
si girò e mi abbracciò “Ti va di andare
al mare?”
“Davvero?
Andiamo al mare?” gli occhi mi s’illuminarono
“Si,
se ti va” sorrise della mia reazione
“Certo
che mi va. Adoro il mare! Oh Gerard … ti amo” gli buttai le braccia al collo
ridendo allegra
“Anche
a me piace moltissimo. Su, allora coraggio. Vatti a preparare. Si parte tra
venti minuti!” dandomi una pacca sul sedere, spingendomi così verso la porta.
Veloce
schizzai su per le scale, diretta verso la mia stanza. Mi cambiai in pochissimo
tempo. Indossai un vestitino bianco molto corto, in cotone leggero, e sotto un
bikini blu elettrico. Fortunatamente avevo infilato in valigia un paio di
costumi. Presi un largo cappello di
paglia e me lo infilai in testa. Sentendo la sua voce che m’incitava a scendere
mi fiondai alla porta e in fretta scesi le scale.
Saltellavo
dalla gioia. Ero contentissima.
“Hai
preso tutto?” domandò stringendomi
Anche
lui si era cambiato. Indossava pantaloni corti, infradito nere,una maglietta
rossa a maniche corte e occhiali da sole.
“Si,
penso di si” In mano avevo il mio mp3, occhiali da sole ed le infradito
“In
borsa ho messo asciugamani, due bottigliette d’acqua e la crema solare”
annunciò
“Abbiamo
tutto, allora” insieme uscimmo di casa per salire in auto.
“E’
distante la spiaggia?” domandai
“In
realtà non molto. Dovremmo impiegarci trenta minuti, non di più”
“Non
vedo l’ora di arrivare. Ci saranno molte persone?”
Il
vento scompigliava i miei capelli. Lo sentivo fresco sulla mia pelle. Alzai le
braccia e lanciai un urletto che lo fece ridere.
“Mmm,
non credo. Il posto che ho in mente non è molto conosciuto. Io vado sempre lì”
“Oh,
no! Non ci avevo pensato. Come faremo
con giornalisti e paparazzi?” domandai tornando di colpo seria
Il
pensiero di creare scandalo e metterlo in ridicolo mi terrorizzava.
“Stai
tranquilla. In questi luoghi sono sempre al sicuro. La gente di qui non gradisce
la pubblicità, i flash o la notorietà in generale. Quindi non ho mai avuto
problemi in questo senso” era sereno
“E
se ti riconoscessero? Se cominciassero ad assediarti? A farti domande o che
altro? Non hai portato un cappellino o qualcosa per nasconderti o mimetizzarti?“
“Soph,
non voglio nascondermi. Non l’ho mai fatto e non comincerò ora. Stai calma e
sii serena. Nessuno ci disturberà” chiarì guardandomi
“Ma
se lo facessero? Se mi circondassero o ci seguissero fino in spiaggia? Se
cominciassero a scattare foto?”
“Amore,
ti prego. Non lo faranno. E poi se, e dico se, qualcuno si avvicinasse basta
non dire nulla e andare via. Tutto qui. Non spaventarti” mi rassicurò prendendomi
una mano e portandosela alle labbra
“Mmm
…” nonostante le sue rassicurazioni non ero molto convinta
“Cosa
ti spaventa?” mi domandò dopo una veloce occhiata
Non
distoglieva mai lo sguardo dalla strada se non per qualche secondo.
“Non
voglio metterti in imbarazzo. Non voglio farti fare brutta figura … non lo
sopporterei” abbassai lo sguardo mentre lo dicevo
“Sophie
guardami” mi incitò “Non mi metterai in
imbarazzo. Mai. Non dartene pensiero. Ora basta essere triste. Prima sprizzavi
gioia da ogni poro … su fammi un sorriso!” e lo accontentai.
Sorrisi
e mi rilassai. Aveva ragione. Dovevamo goderci quella giornata e pensare solo a
noi. Scossi la testa e non ci pensai più.
Quando
arrivammo, la spiaggia era deserta.
“Oh
mio Dio! E’ un paradiso” gridai uscendo dall’auto e fiondandomi in spiaggia di
corsa. La sua risata mi seguì come un’eco. Stavo ammirando il mare quando mi
raggiunse e mi abbracciò da dietro.
“Sei
contenta?”
“Molto
di più!” mi girai e lo abbracciai forte. Lui ridacchiò felice.
Mi
staccai ed iniziai subito a spogliarmi. La sabbia era fine e bianchissima; solleticava
i miei piedi nudi. Tirai fuori gli asciugamani e li distesi a terra, uno
accanto all’altro. Anche lui si svestì e tirò fuori la crema dalla borsa.
“Ti
spalmo la crema, Soph?”
Non
potei fare a meno di rimanere imbambolata.
In costume da
bagno era semplicemente divino.
Nonostante
lo avessi visto nudo … beh, averlo lì …
accanto a me, con addosso solo il costume … senza l’ombra di un’anima, per
metri e metri … completamente da soli su quella spiaggia. Mi balenarono nella
mente pensieri lascivi e assolutamente poco casti.
Una
scossa elettrica mi trapassò il corpo facendomi rabbrividire di piacere.
Lui
mi accarezzò ancora il viso e sollevandosi in piedi “Che ne dici di entrare in
acqua?” domandò allegro
“Prendimi
se ci riesci” e con quelle parole mi lanciai verso il mare
Mi
tuffai veloce e nuotai sott’acqua per alcuni minuti.
“Hey,
non vale…” sbuffò ridendo e schizzandomi d’acqua in viso
La
giornata proseguì allegra e veloce. Ci divertimmo un sacco giocando, ridendo e
scherzando.
L’acqua
era azzurra, trasparente. Pulitissima. Nuotare era divertente e in effetti mi
era sempre piaciuto. Un po’ meno prendere il sole. Anche lui amava stare in
acqua e quel giorno scoprì che oltre a saper nuotare come un vero pesce,
praticava surf, adorava andare su moto d’acqua ed era un provetto subacqueo.
Entrambi
passammo più tempo in acqua che al sole e sulla spiaggia. La giornata era
splendida, il cielo limpido e chiaro. Il sole scaldava ogni cosa.
Il
sole, con i suoi riflessi rossi e arancioni, stava ormai tramontando quando recuperando
le nostre cose, tornammo a casa. Non capì di essere sfinita finché non salì in
macchina.
Misi
la crema tre volte ma nonostante questo mi scottai ugualmente.
“Sono
stanchissima” dichiarai stiracchiandomi
“Tra
poco saremo a casa e potrai stenderti e riposarti quanto ti pare”
“Prima
però voglio fare una doccia. Il sale pizzica e mi tira la pelle”
“Io
sono più preoccupato per le tue scottature. Non pensavo avessi una pelle così
delicata”
In
poche manovre uscì dal minuscolo parcheggio e ci infilammo sulla strada
principale.
“Già.
Ho la pelle chiara e delicata. Adesso che mi ci fai pensare comincia a farmi
male tutta la schiena”
“Avremmo
dovuto portare una crema a più alta protezione” Il suo tono era preoccupato ma
anche di rimprovero
“Questa
era protezione quaranta!” esclamai
“Beh,
vorrà dire che compreremo quella che usano i bambini” rispose con un’alzata di
spalle
“Ridicolo…”
borbottai sbuffando
Gerard
aveva perfettamente ragione. La mia pelle era sempre stata un problema e in
realtà avevo sempre usato solari ad altissima protezione in Italia. Ma non
credevo che il sole in Scozia fosse così caldo.
“Adesso
passiamo in farmacia e prendiamo qualcosa per darti sollievo” aggiunse
accarezzandomi la mano e intrecciando le dita con le mie.
Annuì
solamente.
L’addetta
in farmacia, una dottoressa probabilmente, ci rimproverò e mi strapazzò per bene.
Disse che con la pelle chiara che mi ritrovavo avrei dovuto evitare di prendere
così tanto sole, soprattutto nelle ore più calde. Mi diede una lozione all’aloe
da spalmare su tutto il corpo, dopo la doccia, per almeno tre giorni. E vi aggiunse
un doposole rinfrescante e una crema solare a protezione massima. Mi consigliò
di fare con frequenza degli impacchi freddi e di evitare tessuti irritanti.
“Anzi
le suggerisco vivamente di evitarli del tutto. Torni a casa, faccia una doccia
gelata, metta il gel all’aloe e rimanga sdraiata a letto completamente nuda” disse pacata.
“Seguiremo
il consiglio” le rispose Gerard facendomi l’occhiolino
|
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Capitolo 34 *** XXXII Capitolo (prima parte) ***
Cap. 32A
XXXII Capitolo (prima parte)
Mi
sdraiai sul suo letto nell’attesa che finisse di fare la doccia.
Avrei
dovuto pensarci prima e stare più attento. Avevo dovuto aiutarla a spogliarsi
perché la pelle le bruciava e le doleva molto.
“Mi
sento meglio” annunciò con un sorriso tirato uscendo dal bagno. Aveva legato i
capelli sul capo ed era avvolta in un asciugamano azzurro.
“Sdraiati
e togliti quell’asciugamano. Ricorda cosa ha detto la dottoressa. Niente
tessuti” mi alzai e presi il gel appena comprato.
“Prometti
di comportarti bene?”
“Farò
il bravo, giuro” risposi scoccandole un sorriso biricchino.
A
quelle parole lasciò cadere l’asciugamano ai suoi piedi ed io mi ritrovai a
dover deglutire rumorosamente; non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso e,
senza nemmeno pensarci, mi avvicinai. Mi chinai a baciarla ed accarezzarla ma
dovetti mettere da parte ogni pensiero licenzioso quando notai lo stato in cui
versava la sua pelle. Era arrossata e screpolata, quasi gonfia, soprattutto
sulle gambe e sulla schiena. Il viso e la pancia un po’ meno.
“Ti
prego amore fai piano. Mi fa male da morire” disse vedendomi avvicinare col gel
“Sarò
il più delicato possibile, Soph” risposi versando una generosa dose di gel
sulle mani.
Cominciai
dal viso ma appena arrivai alle spalle lei si scansò … le avevo fatto male.
Sospirai e mi diedi mentalmente dell’idiota. La sfiorai appena, lei sussultò ma
tenne duro.
Le
sfiorai appena la schiena, dovetti inginocchiarmi, e con altrettanta attenzione
le passai il gel su gambe e cosce, sia davanti sia dietro. Era una tortura
doverla solo sfiorare e non poterla toccare, baciare, stringere come invece
desideravo fare. L’unica cosa che feci, non riuscì a controllarmi, fu baciarle e
mordicchiarle delicatamente il fondoschiena per tutto il tempo che rimasi
inginocchiato dietro di lei.
Impiegai
molto tempo a spalmargliela su tutto il corpo e quando finì aveva la pelle
lucida ed un poco oliata.
Si
sdraiò a pancia in giù sul lenzuolo ed io assieme a lei. Non poterla stringerla
tra le braccia mi infastidì parecchio, infatti l’unica cosa che potei fare fu
prenderle la mano e intrecciare le mie dita alle sue. Chiusi gli occhi e con un
respiro profondo mi rilassai completamente.
Sentì
la vibrazione del cellulare di Soph. Voltai il viso e guardai irritato l’orologio:
avevo dormito poco più di un ora. Mi sporsi oltre il letto e con la mano
raggiunsi il cellulare. Sophie stava ancora riposando accoccolata al mio petto,
non volevo svegliarla ma ero curioso di sapere chi fosse.
Guardai
e il nome di Luca brillò sullo schermo. Con un moto di stizza rifiutai la
chiamata. Non volevo che si svegliasse, soprattutto non per lui.
Non
sapevo come fosse fatto fisicamente questo Luca e neppure lo conoscevo, ma
Sophie mi aveva detto che erano molto amici, migliori amici. E il fatto che fossero
così uniti m’irritava.
Voltai
il viso per poterla guardare. Era nuda, completamente nuda. Bellissima.
Con
delicatezza le scostai i capelli dal viso. Cominciai ad accarezzarla con gesti
lenti e lei, forse a causa del mio tocco, si mosse posizionandosi di lato. Aveva
le gote leggermente arrossate. Il suo corpo mi faceva fremere di desiderio ma
anche d’amore. Mi fidavo di lei ma sapere che qualcun altro la conosceva come o
forse più di me mi faceva impensierire.
Continuai
ad accarezzarla beandomi di quello splendore, ma ancora una volta il cellulare
prese a vibrare e con uno sbuffo lo afferrai di nuovo. Era sempre lui. Sempre
Luca.
“Gerard?
Cos’è?” domandò Sophie ancora assonnata
Il
rumore l’aveva svegliata e la cosa m’infastidì.
“E’
solo il cellulare, Soph. Non preoccuparti richiameranno” la rassicurai
continuando a toccarla dolcemente
“Mmh”
mugolò
Le
piaceva quando l’accarezzavo. Si stiracchiò ma poco dopo gemette di dolore
“Mi
tira la pelle e mi brucia” aggiunse con una smorfia
“Dovremmo
fare degli impacchi, amore, oppure dovresti rinfrescarti sotto la doccia” asserì alzandomi dal letto e con una mano l’aiutai
a fare altrettanto.
Qualche
secondo dopo sentì lo scrosciare dell’acqua della doccia. Presi nuovamente in
mano la crema e mi preparai ad una seconda applicazione. Il telefono vibrò
ancora e alzando gli occhi al cielo lo lasciai dov’era.
“Gerard
mi porteresti l’asciugamano. Ho dimenticato di recuperarlo” la sua voce mi
giunse lontana
Aprì
la porta ed entrando l’avvolsi con delicatezza. Non strofinai ma glielo tamponai
sul corpo facendo attenzione. Uscimmo dal bagno e il cellulare riprese a vibrare.
“Oh,
che palle” esclamai spazientito “E’ insistente!”
“Chi?”
domandò avanzando verso il comodino e prendendo il cellulare
“Pronto?
Luca!”
Un
sorriso le nacque all’istante il volto, io mi rabbuiai senza però darlo a
vedere. Si voltò a guardarmi e una muta domanda riempì i suoi occhi.
Luca aveva già chiamato?
Annuì
con la testa e con in mano il gel le indicai di sdraiarsi sul letto. Lei annuì
ma continuò a parlare con Luca … sfortunatamente in italiano.
Mi
versai sul palmo una generosa dose di gel e cominciai dalle gambe, ma con un
mugolio Soph si ritirò. Forse ero stato
poco delicato.
“Gerard,
per favore. Mi fai male” si lamentò guardandomi
“Scusa”
le sussurrai sollevandomi a baciarla “Non
l’ho fatto di proposito” aggiunsi tornando a spalmarle la crema con più
delicatezza
All’improvviso
lei proruppe in un gridolino di gioia. Alzai il capo e la vidi sorridere
raggiante.
“Gerard,
vengono a trovarmi!” esclamò ridendo felice
“Chi?”
domandai confuso
“Luca
e Ilaria. Possono, vero? Possono venirmi a trovare? ” domandò ancora sorridente
Non
volevo rifiutare ma il pensiero di averlo per casa non mi faceva saltare di
gioia.
“Mah,
non saprei…” risposi cercando di temporeggiare
“Ti
prego! Sono i miei migliori amici. Ti prego, ti prego” mi supplicò
“E
va bene” acconsentì sorridendo dell’espressione del suo viso
Lei
urlò di gioia e mi abbracciò con forza. Quando si staccò continuò a parlare in
Italiano con Luca. Era felice, almeno questo lo capivo. Quando concluse la
conversazione si rilassò e mi sorrise.
“Arriveranno
domani” annunciò allegra
“Domani??!!”
domandai quasi scioccato.
Avrei
tanto voluto ritirare l’invito ma oramai era troppo tardi. La vedevo raggiante
ed ero felice. Ma il pensiero di avere quel Luca tra i piedi non prometteva
niente di buono. Non per me!
|
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Capitolo 35 *** XXXII Capitolo (seconda parte) ***
Cap. 32B
XXXII Capitolo
(seconda parte)
Passammo
la notte assieme ma, causa le sue scottature, non potei toccarla. Dormimmo
comunque serenamente, tenendoci per mano.
“Sophie
… svegliati dormigliona!”
La
sua risposta fu un mugolio indistinto ed un accoccolarsi più vicino al mio
corpo. Non avevo potuto evitare di toccarla, con dolci e lenti carezze diverse però
da quelle che solitamente ci scambiavamo al mattino, causa l’ipersensibilità
dovuta alla sua brutta scottatura. Aveva dormito tutta la notte a pancia sotto
nuda, senza nemmeno un lenzuolo a coprirla e per me era stata davvero dura
resistere dal farla mia.
Solo il pensiero di farle male mi ha fatto
desistere!
Guardai
la sveglia sul comodino e vidi che erano le nove passate così decisi di alzarmi
e, date le alte temperature estive, di correre in bagno per una doccia
rinfrescante.
Quando
tornai in camera, Sophie era ancora a letto e dormiva profondamente. La guardai
per qualche istante beandomi di quel meraviglioso spettacolo di donna, che placidamente
dormiva nel mio letto; uno spettacolo che mi apparteneva in tutto e per tutto. Mi
avvicinai e la baciai dolcemente sulle labbra poi, con un sorriso appagato e
possessivo, uscì dalla stanza senza far rumore.
Ero
arrivato alle scale quando il campanello di casa suonò rumorosamente.
Chi diavolo è a quest’ora?
Che siano già arrivati gli amici di Soph?
La
faccia che mi sorrideva quando aprì la porta non era sicuramente né Ilaria,
migliore amica di Sophie né tantomeno Luca.
Era uno scocciatore conosciuto!
“Jared…
che diavolo ci fai qui?”
“Mi
sei mancato anche tu, Gerard. E sto benissimo ora che me lo chiedi” ribatté
sarcastico
Arrossì
un poco e con un timido sorriso di scuse aprì la porta invitandolo ad entrare e
ad accomodarsi in salotto.
“Mi
fa piacere vederti Jared, lo sai. Ma a quest’ora del mattino, chi o cosa ti ha
spinto a bussare alla mia porta?”
Sorrise
in risposta e cominciò a ciarlare del più e del meno
“Dov’è
Sophie?” domandò poi di punto in bianco
“Sta
ancora dormendo. Non sta molto bene” e in poche parole gli raccontai della
scottatura di Soph e delle indicazioni della dottoressa
“Completamente
nuda?” come al solito aveva colto l’aspetto meno rilevante dell’intera vicenda
“Già.
Niente vestiti e dosi massicce di gel all’aloe” chiarì cercando di suonare
indifferente.
“Una
donna senza vestiti, ferita, bisognosa di cure e affetto per di più da oliare e
massaggiare. Amico, la domanda sorge spontanea … perché sei ancora qui a
parlare con me? Pensavo avessimo superato questa fase!“ mi ricordò riferendosi
all’episodio di quando Soph si era persa per poi trovarci tutti e due a doverla
spogliare da svenuta
“Perché
a differenza di te, amico, non sono
un caprone in calore!” replicai sdegnoso
Ci voleva lui a dirmi cosa avrei potuto e
voluto fare con Sophie!
“Ha
la pelle ipersensibile e qualsiasi tipo di contatto le provoca dolore. Anche il
solo spalmarle il gel le crea sofferenza” spiegai
“Certo,
con le tue manone da muratore le avrai sicuramente fatto male. Io, al
contrario, ho le mani da pianista dicono!” buttò lì Jared
Risposi
con un’occhiataccia e lui saggiamente decise di cambiare discorso “Beh, menomale
che sono passato a trovarti, con Soph fuori uso sarò io a farti compagnia!” continuò
sorridendo
Ero
contento di vedere Jared “Se non hai
altro da fare …” risposi alzando le spalle
“Nulla.
Che programmi avevi per oggi?” e per rispondere alla sua domanda raccontai
anche dell’arrivo dei due amici di Soph.
“Dalle
tue parole e dal tono usato percepisco una sorta di animosità verso questo Luca”
“Animosità?
No, non mi pare” negai scuotendo il capo
Avevo forse lasciato trasparire le mie
impressioni su Luca?
“No
eh? Lo hai definito pesce lesso, mummia rattrappita e non ricordo cos’altro”
Stavo
per rispondergli per le rime quando sentì i suoi passi. Sophie si era
svegliata.
“Buongiorno
a tutti” esordì entrando in salotto con un sorrisone. Indossava un corto
vestitino di cotone bianco senza spalline
Balzai
in piedi e le andai vicino “Ben svegliata amore mio” sussurrai baciandola
dolcemente sulle labbra
Il
bacio era durato a lungo e quando mi allontanai, notai nei suoi occhi scaglie
di dolcezza tutte per me. Sorrisi e la invitai ad unirsi a noi. Salutato Jared
con un bacio sulla guancia ed un sorriso allegro si sedette sul bracciolo del
divano, accanto a me.
Luca
e Ilaria arrivarono in tarda mattinata. La seconda mi fece subito una
buonissima impressione; fisicamente somigliava molto alla mia Sophie, lunghi capelli
castani, allegra e sorridente, occhi scuri e corpo formoso. Sembravano quasi
sorelle. Luca invece era... un ragazzo alto, qualche centimetro in meno di me,
biondo, occhi verdi con fisico asciutto e muscoloso. Sorrideva molto anche lui e
si guardava in giro curioso. Incontrava spesso lo sguardo di Sophie ed insieme
sembravano poter comunicare solo con il pensiero.
Mi
presentai e presentai loro Jared e assieme a lui mi rifugiai in cucina,
lasciando i nuovi arrivati con Soph. Sicuramente avevano un sacco di cose da
dirsi.
“Non
mi piace!” dichiarai non appena Jared ebbe chiuso la porta della cucina.
“Credo
di sapere a chi ti riferisci” rispose sorridendo malignamente
“Cioè
dico … ma l’hai visto?”
“Mhm
… non so. Un ragazzo alto, biondo con un fisico niente male?”
“Fisico
niente male?!?!? Ma non dire cazzate! Comunque sarà meglio tenerlo d’occhio.
Non mi fido … ha una faccia da furbetto che non mi piace!” dichiarai risoluto
“Non
sarà perché sembrava felicissimo di vedere Soph, vero? O magari è per come l’ha
salutata?”
Sbuffai
in risposta. Non mi piaceva e lo avrei
tenuto d’occhio!
Li
sentivo ridere e parlare in italiano e per l’ennesima volta quel giorno mi
diedi dell’idiota per non aver approfittato di Sophie per imparare un po’
quella stramba lingua.
Non puoi mica rimanere in disparte da
associale per tutto il giorno … dopotutto, modestia a parte, sei Gerard Butler!
Ormai
Jared sen’era andato da una buona mezz’ora e rimanere in cucina da solo non
aveva senso ed era oltremodo inospitale, così m’incamminai verso il salotto.
Aprì
la porta ed entrai.
I
due sedevano sul divano mentre lei, la mia Soph, se ne stava in piedi accanto a
loro. Mi notò subito e mi venne incontro sorridendo felice.
“Tesoro,
ti unisci a noi?” domandò con tono dolce
Guardandola
annuì e mi diressi verso la poltrona mentre lei rimase ancora in piedi.
“Dovremmo
fare gli impacchi e rimettere il gel Soph … lo vedo che soffri”
“Già”
annuì lei “La pelle mi brucia molto” continuò
Luca
s’intromise nella discussione chiedendo spiegazioni. Soph chiarì tutto in
italiano e spiegò loro l’intera vicenda. Capì subito che Luca parlava
fluentemente l’inglese mentre Ilaria poco o niente.
Anche
se non riuscì a capire nulla o quasi della loro conversazione vedevo le loro
espressioni dispiaciute e i loro occhi erano sinceri.
Parlammo
di tante cose, tutti assieme, con Soph e Luca a fare da traduttori per me ed
Ilaria.
Per
tutto il tempo quei due non fecero altro che sorridersi, guardarsi e sorridersi
ancora in perfetta sintonia. E la cosa m’innervosì oltremodo.
Pranzammo
assieme e il pomeriggio lo passammo in piscina.
Stavamo
parlando e ridendo in piscina quando il mio cellulare prese a suonare. Era Bob perciò
mi alzai e mi allontanai dai tre per non tediarli più del dovuto. La telefonata
non durò molto ma al mio ritorno trovai una brutta sorpresa.
Soph e Luca insieme.
Rabbia
e gelosia m’invasero. Li vedevo assieme, li vedevo ridere e scherzare e
giocare. Erano entrambi a bordo piscina quando d’improvviso Luca la sollevò tra
le braccia ed insieme si buttarono in acqua.
Aprì
la bocca per protestare ma nemmeno un suono ne uscì. Tentai nuovamente ma le
parole pensate dal mio cervello sembravano non voler arrivare e uscire dalla
mia bocca.
Continuavo
a guardarli. Ridevano e si abbracciavano.
La
visuale mi si oscurò solo quando la sua figura mi fece ombra.
L’ombra
di Ilaria.
Con
un sorriso si accomodò vicino a me, mi guardò e mi toccò un braccio con fare
rassicurante
“Gerard
… come avrai sicuramente notato, io non parlo inglese molto bene ma ho capito
cosa ti passa per la testa. Sembri fuori di te e i tuoi occhi non dicono altro”
Il suo viso sembrava sincero e un sorriso le aleggiava sul volto.
Il
suo inglese era pessimo ma aveva buone intenzioni e rimasi ad ascoltarla
concentrandomi su quello che diceva.
“Tranquillizzati
perché non è come pensi. Luca e Soph si conoscono da diversi anni mentre io e
lei ci conosciamo fin da bambine, perciò ti posso assicurare che fra quei due
non c’è nulla se non una grande e fraterna amicizia. Amicizia tutto qui. Si
vogliono un gran bene ma come amici. Lei ama te.” concluse il tutto con
un’altra pacca consolatrice e alzandosi si unì a quei due.
Eravamo
rientrati a casa nel tardo pomeriggio ma avevo notato che Gerard era un poco
sulle sue.
Lo avevo forse trascurato?
Così
mi venne un’idea…
Avrei
rimediato. Quella sera stessa. Gli avrei fatto una sorpresa e Luca mi avrebbe
aiutato.
Luca! Avevo bisogno di Luca!
“Luca
mi devi aiutare” esordì entrando nella sua camera senza neppure bussare
Di
lui non c’era traccia ma sentì lo scrosciare dell’acqua della doccia perciò
decisi di aspettarlo seduta sul letto. Se ne sarebbero andati fra solo un paio
di giorni e la cosa mi rattristava parecchio. Ero così felice di averli, di
poter parlare con loro.
Parlavo italiano finalmente!
“Hey,
Soph che ci fai qui?” mi salutò uscendo dal bagno. Aveva un asciugamano intorno
ai fianchi ma per il resto era nudo.
Il
suo fisico muscoloso mi faceva sempre un certo effetto, soprattutto quando era
senza maglietta … ma a pensarci bene nessuno era come il Gerard.
Lui
era tutto quello che più desideravo. Molto, molto, ma molto più di quello che
avrei mai chiesto!
Riscuotendomi
da quei pensieri mi alzai precipitosamente e quasi mi fiondai su di lui
“Luca,
mi devi aiutare … per favore” cominciai a dire prendendogli le mani
“Certo,
Sophie … tutto quello che vuoi, ma … aspetta cosa dovrei fare?”domandò cauto
Gli
raccontai brevemente la mia idea e lui si dichiarò d’accordo. Corsi in camera
mia e vi trascinai anche lui, con ancora indosso solo l’asciugamano, dove
recuperai tutto quello che mi serviva.
Profumo
e biancheria intima sexy.
“Soph,
non potrei almeno cambiarmi? Perchè a parte l’asciugamano sono nudo come un
verme” protestò per l’ennesima volta
“Te
l’ho già detto Luca, non abbiamo tempo” risposi esasperata
Era
una situazione strana ma non imbarazzante, almeno per noi. Ero di fronte a lui
con addosso solo uno striminzito completo intimo bianco.
“Allora
… che ne pensi?” domandai facendo una giravolta per farmi ammirare meglio
“Se
vuoi dargli l’impressione di una suora … stai alla grande!”
“Oh,
ma dai! Non starai esagerando?! Una suora… guarda che l’ho pagato un sacco di
soldi!” risposi sbuffando
Era
il secondo completo che bocciava. Due dei miei migliori completi intimi.
“Non
hai qualcosa di più … provocante?” domandò esasperato per poi correre a frugare
nel mio cassetto. Incrociai le braccia al petto irritata.
Forse non era stata una buona idea chiedere
aiuto a Luca … avrei dovuto chiedere ad Ilaria!
All’improvviso
lanciò un fischio acuto che mi riscosse dalle mie riflessioni e m’indusse a
guardarlo. Tra le mani reggeva una striminzita brasiliana con reggiseno a
balconcino abbinato. Erano entrambi neri.
“Questo
… prova questo!”
Corsi
in bagno a provarlo, eccitata e nervosa. Volevo fare in modo che Gerard non potesse
resistermi, volevo scusarmi e lo volevo tutto per me quella sera.
“Allora
che te ne pare?” domandai uscendo dal bagno
Lui
mi guardò a lungo, a bocca aperta e con occhi sgranati.
“Soph
stai una favola! Se fossi etero ti sarei già saltato addosso e ti avrei
incatenato al letto!”
Sorrisi
grata di quel complimento e lo abbracciai. Gli volevo un gran bene.
“Il
merito è tutto tuo e del tuo buon gusto! Grazie Luca” dissi
“Beh,
con questo completino lo farai impazzire… poco ma sicuro! Chiamo Ilaria deve
assolutamente vederti!” prese il
cellulare e le mandò un messaggio
Mi
diressi con passo lento di nuovo in bagno, volevo profumarmi e truccarmi un
minimo quando sentimmo bussare alla porta.
“Cavoli,
Ila, hai fatto in fretta” lo sentì dire “Ila
… devi vederla … è una strafiga assurda!” disse aprendo la porta
Uscì
in fretta dal bagno ma non era Ilaria quella che ci trovammo di fronte…
Gerard
rimase sulla porta come pietrificato. Passava lo sguardo da me a Luca senza
dire una parola.
Sapevo
cosa stava pensando … glielo si leggeva in faccia.
Cercai
di avvicinarmi perché volevo spiegargli ma lui me lo impedì agendo prima.
Non
mi resi nemmeno conto di quel che stava accadendo finché non sentì i gemiti di
dolore di Luca. Gerard era entrato come una furia in camera e, preso Luca per
la gola, lo aveva sollevato da terra per spiaccicarlo al muro. Il viso contorto
dalla rabbia era quasi irriconoscibile. Continuava a gridare ma io non riuscì a
cogliere nulla. Vedevo solo l’espressione sofferente di Luca.
“Gerard!
Lascialo subito!” urlai perentoria
Ero
di fianco a entrambi quindi era impossibile che non mi avesse sentito. Mi
guardò per qualche secondo per poi lasciarlo andare. Luca scivolò a terra e
tenendosi una mano sulla gola alzò lo sguardo prima su Gerard e poi su di me.
Ma entrambi non lo notammo: Gerard fissava me ed io lui, i nostri sguardi rabbiosi
legati l’uno all’altro.
“Come
ti sei permesso di fare una cosa del genere!?” urlai mentre cercavo di aiutare
Luca a rialzarsi da terra. Guardai con attenzione il suo collo ma non sembrava
avere lividi o arrossamenti.
Menomale …
“Cosa
avrei dovuto fare? Perché sei in biancheria intima? E cosa diavolo ci fa in
camera tua?” domandò furibondo riferendosi al mio migliore amico
Luca
si era ripreso ed ora mi guardava con aria triste. Ricambiai lo sguardo per poi
rivolgerlo a Gerard
“Sei
un idiota Gerard Butler … non hai capito proprio niente!” risposi in lacrime
Luca
si avvicinò e, tentando di consolarmi, si allungò come per abbracciarmi ma
Gerard con una spinta glielo impedì
“Sta’
lontano da lei!” ringhiò arrabbiato
“Stai
calmo Gerard perché non è come pensi. Sono qui solo perché Sophie mi ha chiesto
aiuto. Voleva farti una sorpresa e mi ha chiesto di aiutarla a scegliere un bel
completo intimo. Voleva passare la serata con te dato che le è sembrato di
trascurarti un po’ oggi, forse a causa nostra” spiegò calmo
La
spiegazione sembrò calmarlo. Non accennò a dire una sola parola a Luca ma il
suo sguardo si concentrò su di me, sul mio viso, come a chiedere conferma
“Mi
eri sembrato triste oggi così avevo pensato di farti una sorpresa e di farmi
trovare in camera tua ” chiarì indicandomi
Avevo
le guance rigate di lacrime ma non me ne curai
“Perché
indossi solo un asciugamano?” domandò a Luca con voce tesa
Il
mio migliore amico sorrise e mi guardò
“E’
colpa mia, non gli ho lasciato il tempo di cambiarsi. Non volevo perdere tempo
… e non gli ho permesso di cambiarsi” spiegai
Le
mie parole erano frammentate da piccoli singhiozzi e forse fu proprio questo a
fare breccia nel suo cuore
“Oh,
Sophie scusami. Ti ho vista così … con lui e non ho capito più nulla” disse abbracciandomi
delicato
“Non
è con me che ti devi scusare ma con Luca” feci avvicinandomi al mio migliore
amico e abbracciandolo
Luca
ricambiò con affetto; mi allontanò da sé dolcemente per poi girarsi verso
Gerard
“Mi
dispiace Luca. Sono veramente mortificato per il mio comportamento … ma vederti
con lei mi ha …”
“Tranquillo,
lo capisco. Ora vi lascio soli… così potrete parlare da soli”
L’ultima
cosa che vidi fu Luca chiudere la porta perché poi chiusi gli occhi e mi
lasciai andare al dolce sapore delle labbra del mio uomo. Un sapore ed una
morbidezza irresistibili.
Luca ed Ilaria rimasero, proprio come nei piani, per altri
due giorni. Ed io passai tutto il mio tempo con loro. Gerard, la sera del
nostro piccolo scontro, mi confessò di essere stato terribilmente geloso di
Luca e solo per questo si era comportato in quella maniera. Tuttavia aveva
capito la situazione e si era fatto, in qualche modo, da parte per divertirmi
con i miei amici da sola. Lui ne aveva approfittato per una rimpatriata con
alcuni vecchi amici che non vedeva da tempo.
Quei due giorni passarono troppo in fretta ma mi lasciarono
dentro una sensazione di allegria, contentezza e felicità che portai con me
anche i giorni seguenti. Gerard disse che sembravo splendere dalla contentezza,
molto più del solito.
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Capitolo 36 *** XXXIII Capitolo ***
Cap. 33
XXXIII Capitolo
“Amore,
mi manchi” il tono di voce era dolce ma malinconico.
Ogni
nostra conversazione iniziava sempre così. Lui mi ripeteva quelle parole tutte
le volte, da quando ci eravamo separati. Parole che mi scaldavano il cuore ma
che inevitabilmente riportavano a galla la mia tristezza nell’averlo così
lontano.
Sentire
la sua voce era piacevole. Sempre. Ma anche triste.
Mi manca.
Ero
tornata in Italia, a casa.
Non potevo mica rimanere in Scozia per sempre
… vi ero rimasta sei mesi.
Lasciare
quei luoghi incantati, con i suoi profumi, la musica e quei colori mozzafiato
era stato devastante. Ma lasciare lui lo era stato ancora di più.
Dividerci
era stata la cosa più difficile, non avrei voluto farlo, ma non vi era altra
soluzione. Avevamo passato tanti bellissimi momenti insieme, condiviso così
tanto che, adesso, solo a pensarci avevo le lacrime agli occhi.
“Ciao
tesoro, anche tu mi manchi. Tantissimo”
Ero
tornata da poco più di due settimane ma sembravano decenni. Non poterlo vedere,
non poterlo toccare e baciare mi faceva impazzire.
“Cosa
stai facendo?”
Era
curioso, interessato a cosa facevo, dove andavo o con chi fossi. Voleva
condividere con me la mia vita anche da lontano come io facevo con lui.
“Non
ci crederai, amore. Ho una notiziona … ti avrei chiamato io a breve per fartelo
sapere” ero emozionata
Si
trattava di una notizia che mi aveva sbigottito ma anche entusiasmato.
Avevo
iniziato un tirocinio, appena rientrata in Italia, in una società pubblicitaria
molto importante e proprio oggi mi avevano dato la notizia. Erano intenzionati
ad assumermi presso di loro. Con un contratto a termine di diversi mesi,
dandomi anche buone prospettive future.
“Che
notizia? Dal tuo tono sembra una notizia positiva”
“Lo
è, infatti. Mi hanno proposto un contratto di lavoro” lo dissi tutto d’un
fiato.
Silenzio
dall’altra parte.
“Amore,
ci sei?” domandai incerta
“In
che senso?” la sua voce aveva cambiato tono
“Nel
senso che oggi mi hanno proposto un contratto a tempo di alcuni mesi. Ed io
avrei intenzione di accettare. Che ne pensi?”
“No!
Non lo so... non sono contento. Perché hai accettato?” era arrabbiato.
“Cosa
c’è che non va? Non capisco”
“Come
fai a non capire? Che ne sarà di noi? Eh? Ci hai pensato? Come faremo a vederci
se vivremo e lavoreremo lontanissimi l’uno dall’altro? Cristo Soph! Lo sai che
non riesco a stare per troppo tempo senza di te. Non voglio. Voglio averti
vicino. Sempre”
Era arrabbiato ed era saltata fuori
ancora questa storia.
Dannazione!
“Gerard,
è solo per qualche mese. Non sarebbe per sempre“
Anche
se le sue parole mi avevano innervosito avevo mantenuto il mio tono di voce calmo.
Volevo rimanere serena ed essere gentile, per cercare di rimanere lucidi e ragionevoli.
Non volevo arrivare a litigare. Avevamo discusso, sullo stesso argomento, poche
settimane prima della mia partenza. Pensavo di aver chiarito il mio punto di
vista ma evidentemente lui non aveva capito.
“Ci
risiamo, Sophie! Io non riesco a capirti. Cosa c’è di difficile o di complicato
nel rimanere accanto alla persona che si ama? Pensavo che il tuo ritorno a casa
fosse temporaneo ma ora non lo so più. Perché non vuoi stare dove sono io?
Perché non vuoi vivere qui?”
Sempre le solite domande. Sempre i soliti
quesiti.
Io
riuscivo a capire lui, il suo lavoro, i suoi
impegni, i suoi momenti da soli uomini
e tutto il resto mentre lui non riusciva a fare altrettanto nei miei confronti.
“Non è così, lo sai. E’ solo che…” non riuscì a terminare il
mio pensiero che mi interruppe.
“No, non lo so! Non so più niente ormai. Non so più cosa
siamo! Siamo distanti. Tu sei lontana! Ed io soffro!”
“Ed io? Sto soffrendo anche io, cosa credi?”
Le sue parole mi avevano ferito.
“Io ti amo. Ti amo moltissimo. Anche io soffro a non vederti,
a non toccarti. Vorrei essere lì con te ma non posso rinunciare a me stessa.
Non lo voglio fare! Voglio rendermi utile, voglio aiutare e lavorare. Non me ne
starò attaccata a te come un’ombra, come un orrendo parassita che ti succhia
via tutto. Non voglio fare la mantenuta, Gerard! Non è nella mia natura e non
lo farò. L'orgoglio si
può mettere da parte ma la dignità non si perde per nessuno”
Mi ero ripromessa di non
discutere, di non urlare, di mantenere la calma e rimanere lucidi ed obbiettivi
… avevo decisamente fallito.
Lui mi aveva lasciato parlare senza intervenire o
interrompermi. Volevo sapere se le mie parole erano state comprese. Se aveva
capito.
Certo, non sarei rimasta per sempre in Italia e lo sapevo. Lo
amavo troppo. Ma volevo almeno fare un’esperienza lavorativa valida. Lo dovevo
a me stessa! Dovevo ripagare tutti i sacrifici che avevo fatto, i miei e quelli
della mia famiglia.
Sicuramente avrei trovato un lavoro simile anche all’estero,
magari migliore. Volevo guadagnare un po’ di soldi e iniziare con lui la mia
vita, alla pari.
Volevamo comprare casa insieme anche se lui, causa lavoro, si
spostava e viaggiava frequentemente.
Lui faceva l’attore, aveva moltissimi amici, era ricco, bello
e famoso. Io invece nulla di tutto quello. Ero in soggezione per questa cosa ed
era anche per questo che volevo farlo.
Volevo costruire qualcosa insieme ma senza pesare su di lui.
Avremmo fatto progetti e condiviso eventuali sacrifici; lo avremmo fatto
assieme, non lui da solo. Ero sempre stata una ragazza indipendente ed
autonoma. Dipendere dagli altri, soprattutto
economicamente, mi avrebbe distrutto a lungo andare. E lui lo sapeva. Ne
avevamo già parlato.
“Non senti ragioni, vero?” sospirò pesantemente
Mi presi la testa fra le mani perché non riuscivo a farmi
capire.
“Fai come vuoi. Non voglio discutere ancora con te.
Buonanotte Sophie” e mise fine alla conversazione.
Ero incredula. Fissavo il telefono nelle mie mani senza dire
una parola.
Cominciai a piangere in silenzio.
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Capitolo 37 *** XXXIV Capitolo ***
Cap. 34
XXXIV CAPITOLO
Chiusi la conversazione con Soph e per la rabbia gettai il
telefono contro la parete, di fronte. L’apparecchio si frantumò in mille pezzi
per poi cadere a terra.
Ma non bastò perchè ero ancora arrabbiatissimo.
Mi alzai velocemente avvicinandomi ad un tavolino basso, sopra
vi era un piccolo vaso colmo di fiori freschi, e con un gesto rabbioso della
mano lo scaraventai a terra. Questo si infranse a terra e schizzò acqua
ovunque.
Mi avvicinai alla finestra e con un gesto di stizza mi presi
la testa fra le mani. Detestavo litigare con lei. Sentire le sue parole e le
sue urla mi aveva sorpreso ma anche fatto infuriare di più.
Presi in mano il cellulare e stavo per richiamarla quando
ricevetti una chiamata e cominciò a squillare.
“Gerard, amico mio. Come va?”
“Ciao Jared” mi avvicinai di nuovo alla finestra e scostai le
tende con un gesto secco
“Che voce tetra ... problemi in paradiso?”
Jared era un buon amico. Conosceva Soph e, nonostante non ci
vedessimo molto spesso, parlavamo parecchio. Così, forse per sfogarmi o forse
per avere un consiglio, gli raccontai tutto. L’intera conversazione.
“Merda, mi spiace Gerard“
“Già”
Parlare con lui era confortante perchè qualsiasi cosa
dicessi, su qualunque argomento, non giudicava mai. Tendeva ad esprimere la sua
opinione senza criticare, analizzando il problema in maniera razionale.
“Non so proprio cosa dire. Perché fa così? Non capisco”
“A chi lo dici. Non riesco a capire perché faccia tutte queste
storie. Non lo so proprio”
Avevo smesso di passeggiare per la stanza.
“Beh, sai cosa ti ci vuole? Devi uscire anzi dobbiamo uscire!”
“No, Jared non me la sento. Non stasera” risposi scuotendo la
testa
“Oh andiamo, non fare il guastafeste! Usciamo e andiamo a
bere qualcosa in qualche locale”
Il suo tono era allegro ma anche pressante. Sapevo che quando
faceva così non c’era modo di dissuaderlo. Perciò tentennai ancora un po’
finchè non mi convinse definitivamente.
“Bravo, così si fa. Vedrai che domani avrai le idee più
chiare sul da farsi. Ci vediamo tra un’ora al tuo albergo. A dopo”
Ero a New York da un paio di giorni. Le riprese sarebbero
iniziate solo fra qualche giorno, ma avevo preferito partire in anticipo. Senza
Soph, quella casa era troppo silenziosa e la cosa mi angosciava più del dovuto.
Forse uscire e svagarmi un po’ mi avrebbe fatto bene. Mi
avrebbe aiutato a schiarirmi le idee.
Il mio pensiero tornò a lei. Mettere fine in maniera così brusca
alla conversazione era stata un’esigenza. Non avrei sopportato di litigare con
lei ancora per molto.
La
chiamerò domani, le chiederò scusa e sistemeremo la faccenda. La amo così
tanto. Non voglio lasciare che questa cosa ci allontani. Che ci possa separare.
Non lo permetterò.
Scossi la testa e mi fiondai in bagno per una doccia veloce.
Jared aveva la dannata abitudine ad essere puntuale.
Scesi nella hall in jeans e camicia nera.
“Dove siamo diretti?”
“Non lontano. Ti porto in un localino da sballo, vedrai!”
rispose sorridendo.
Non disse nient’altro. Dopo dieci minuti eravamo davanti al
locale.
Aprì
gli occhi lentamente. Un rumore continuo e assordante mi aveva svegliato. Mi
sentivo la testa pesante. Le tende non erano tirate e la luce mi colpiva gli
occhi. Alzai le braccia per cercare di coprirmi dal sole. Mi girai e caddi
pesantemente per terra.
Rumore,
ancora quel rumore. Come un battito. Un continuo, incessante battito. Riecheggiava
per tutta la stanza, non mi dava pace.
Quando
riaprì nuovamente gli occhi, vidi che ero ai piedi del letto. Mi sollevai un
poco e mi guardai attorno. Ero nella mia stanza, al mio hotel.
Mi
alzai a fatica. Le gambe mi cedettero. Riprovai e aggrappandomi al letto riuscì
ad alzarmi in piedi. Avevo ancora le idee confuse. L’unica cosa che ricordavo
era che la sera prima io e Jared avevamo fatto un po’ di baldoria, avevamo
bevuto e parlato.
Il
rumore non era cessato e mi dava alla testa. Era assordante.
Riuscì
a capire da dove proveniva solo in quel momento quando sentì anche una voce.
Era una voce femminile e proveniva dalla porta.
Qualcuno
stava bussando.
Arrancai
fino alla porta e a fatica riuscì ad aprirla. Pochi secondi dopo un uragano mi
investì.
Susy.
Entrò
come una furia e, chiusa la porta, cominciò ad urlarmi addosso.
“Susy,
ti prego parla piano. Ho un mal di testa cane” ero seduto ai piedi del letto e
mi tenevo la testa fra le mani
“Ci
avrei giurato” rispose acida.
Si
avvicinò alla finestra e chiuse le tende. Poi poggiata la borsetta sul tavolino
ne tirò fuori una scatolina. Si avvicinò al frigobar e prese una bottiglietta
d’acqua.
“Bevi”
disse con tono che non ammetteva repliche
“Cos’è?”
domandai intontito avvicinando il naso al bicchiere per sentirne l’odore
“Ti
aiuterà a stare meglio”
Bevvi
tutto d’un sorso. Aveva un sapore orrendo.
“Allora,
idiota che non sei altro … raccontami … che cazzo hai combinato ieri sera?”
chiese senza preamboli
Alzai
un sopracciglio e la guardai seccato.
Lei
imperterrita mi fissava con sguardo di rimprovero, come una madre che pesca il
proprio bambino a fare qualche marachella.
“Io
e Jared siamo usciti. Siamo andati in un locale qui vicino”
Lei
sospirò.
Momento … momento … momento …
“Come
sai di ieri sera?”
Il
mal di testa non era ancora passato.
“In
realtà lo sanno tutti. Tutta la città sa cosa hai fatto ieri sera … anzi tutto
lo Stato!“
Non
ci capivo niente.
“Ma
cosa dici, Susy? Tutto lo stato? Non capisco … senti ho mal di testa. Non
riesco a connettere … potremmo parlarne più tardi?”
Avevo
bisogno di riposo. Infatti dopo appena pochi secondi mi lasciai cadere sul
letto a peso morto.
“Non
credo sia il caso di rimandare, Gerard. E’ su tutti i giornali” esclamò
lanciandomi addosso un paio di giornali
“Aprili”
m’incitò con decisione
Dopo
qualche secondo mi poggiai alle braccia e preso in mano il primo giornale vi
posai lo sguardo sopra.
Ero in copertina. La foto mi ritraeva tra le braccia di una donna,
una donna decisamente poco vestita. Il mio sguardo era vuoto. Annebbiato dall’alcool sicuramente.
Le mie mani erano su di lei, la mia bocca sulla sua. La foto non
era la sola. Sembrava un intero servizio con varie didascalie e accompagnato da
un lungo articolo.
Non
mi soffermai a leggerlo. Alzai lo sguardo su Susy e rimasi in attesa.
Lei
ricambiò il mio sguardo con uno altrettanto strano e, presa una sedia, si
sedette.
“Susy...
che è ‘sta roba?”
Non
ricordavo neppure la donna, non ricordavo di averci parlato. Non ricordavo
nulla. Niente di niente.
“E’
la tua bravata di ieri sera, Gerard. Ecco che cos’è. C’è un altro piccolo
articolo su Jared, ma a quanto pare la star sei tu! Le dichiarazioni che hai
rilasciato li hanno fatti impazzire” Il suo tono era duro e accusatorio
“Dichiarazioni?
Non ricordo un accidenti di niente. E Jared? Ci hai parlato? Che dichiarazioni
ho fatto?”
La
guardavo in attesa e in preda del panico.
Nel mio lavoro la cattiva pubblicità
può rovinarti. Stroncare la carriera e allontanarti da tutti.
“Ho
cercato Jared al cellulare ma non risponde. Sarà sicuramente nelle tue stesse
condizioni, suppongo. Ma ora dobbiamo preoccuparci solo di te”
Annuì
solamente e la invitai a continuare
“I
paparazzi non si sono limitati a pubblicare gli scatti all’esterno del locale.
Hanno pubblicato anche le foto all’interno. Dici di aver trovato la donna
giusta. La donna della tua vita e che intendi sposarla”
Il
suo tono era serio mentre m’indicava le foto che mi ritraevano imbambolato come
un perfetto idiota appiccicato a questa sconosciuta. Il suo viso mentre
parlava, chiarendomi tutto, recava tracce di palese disgusto.
“Sophie?
Sanno di Sophie?” domandai confuso
“Non
è Sophie la donna a cui ti riferisci, a quanto pare! E’ la tua amica nella
foto” indicò i giornali che avevo ancora in mano, ma che non avevo degnato di
uno sguardo.
Mi
alzai di scatto.
Oh mio Dio… che cazzo era successo?
“Non
mi ricordo nulla Susy. Te lo giuro. Non so neanche chi sia quella donna”
esclamai con le mani tra i capelli
“A
quanto ha dichiarato lei avete fatto sesso all’interno del locale, Gerard”
Quelle
parole ebbero il potere di congelarmi. Freddato all’istante.
Oh mio Dio … Oh
mio Dio … Oh mio Dio … Oh mio Dio …
E’ impossibile!
Assolutamente impossibile!
“Stronzate!
Non posso aver fatto l’amore con quella … manco me la ricordo! E’impossibile!”
“Questa
mattina ho subito chiamato Bob per cercare di arginare la situazione. Dovrebbe richiamarmi
oggi e farmi sapere per il nuovo contratto. Sai come vanno queste cose.
Hollywood ama la pubblicità, ma solo quella che crea lui. Non certo di questo
genere” continuò lei
Ero
immobile. Avevo sentito a malapena le sue parole.
“Non
può essere. E’ impossibile! Io amo Sophie e … e non le farei mai una cosa del
genere!”
Le
parole uscirono dalla mia bocca in deboli frammenti
“Ho
parlato con quella donna, Gerard. Ha confermato tutto! A luci spente, senza
telecamere. Avete fatto sesso. Anche se…” s’interruppe vedendo l’espressione
del mio viso.
Quel
tentennamento mi fece ben sperare.
“Anche
se…?”
“N-non
importa…” rispose alzandosi e raggiungendomi in mezzo alla stanza
“Ti
prego ho bisogno di sapere cosa ti ha detto. E’ impossibile che abbia fatto una
cosa del genere. Me lo ricorderei, accidenti!”
Volevo e dovevo sapere.
“Mi
ha detto che continuavi a chiamarla Sophie”
Le
sue parole mi colpirono in pieno petto. Mi accasciai perché le gambe cedettero e
lei prontamente mi afferrò. Mi aiutò a sedermi e per qualche minuto attese in
silenzio che mi riprendessi.
“Mi
ha detto che nonostante ti ripetesse il suo nome, tu continuavi a chiamarla con
quel nome. La chiamavi Sophie e hai detto di amarla” concluse lei in un
sussurrò.
Mi
veniva da vomitare.
Mi
sentivo male. Malissimo.
Non
era il mal di testa e non c’entrava nulla con la sbornia.
Era
un dolore acuto al petto. Una sensazione di soffocamento. Una sofferenza
atroce. Mi mancava l’aria e faticavo a respirare.
L’avevo tradita… l’avevo tradita con un’altra
donna di cui non ricordavo neppure il nome. Di cui non ricordavo nulla … e di
cui non mi importava assolutamente niente!
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Capitolo 38 *** XXXV Capitolo ***
Cap. 35
XXXV Capitolo
Notice me, take my hand
Why are we strangers when
Our love is strong
Why carry on without me
Everytime I try to fly, I fall
Without my wings, I feel so small
I guess I need you, baby
And everytime I see you in my dreams
I see your face, it's haunting me
I guess I need you, baby
Non ci potevo credere.
No, assolutamente no.
Lui mi voleva bene.
Mi ama.
Non riusciva a stare lontano da me … così mi aveva detto! Lui
era legato a me. Semplicemente mi amava.
Ormai eravamo una coppia.
Forse l’amore … forse l’amore non
bastava. Forse, a lui, tutto questo non era sufficiente.
Magari aveva bisogno di una persona che dividesse con lui il
suo lavoro e non, come me, che gli restasse solo a fianco.
Non potevo crederci.
Magari Gerard aveva bisogno di avere una donna al suo fianco,
sempre. In ogni momento. Che fosse la sua ombra e che lo seguisse in ogni suo
spostamento. Ed io non potevo farlo. Volevo e dovevo essere indipendente. Con un
mio lavoro e non solo essere la compagna-mantenuta di qualcuno. Lui sapeva cosa
pensassi della faccenda.
No,
non può avermi fatto una cosa del genere… Magari è solo uno sbaglio … è
spazzatura mediatica!
Eppure … una donna alta e bionda era abbracciata a lui. Si
guardavano negli occhi e le loro labbra si sfioravano.
Le foto erano tante e
insieme all’articolo parlavano chiaro.
Era in prima pagina. E ritraeva i due intenti a baciarsi in
maniera appassionata. Lui le cingeva la schiena con una mano e l’altra era a
sostegno del suo collo. Lei invece lo abbracciava, sollevata sulla punta dei
piedi. Sembravano entrambi molto coinvolti.
Gli scatti non ritraevano scene di film. No. Erano semplici
scatti rubati dal fotografo, nella vita privata dei due. Infatti erano entrambi
vestiti normalmente, con abiti casual. E non erano forzatamente in posa.
L’articolo era piuttosto lungo. Lo avevo letto un paio di
volte, perché non avevo realizzato subito la cosa. Il pezzo si poteva
riassumere in una riga.
“Finalmente ho
trovato la donna giusta, la donna della mia vita. Intendo sposarla al più
presto.”
Poi un piccolo paragrafo delle dichiarazioni di lei, del
sesso che avevano fatto e altro ancora.
Sconvolta. Scioccata.
Incredula. E senza parole.
Avevo un groppo allo stomaco e mi veniva da vomitare.
Mi alzai dal divano sul quale ero stesa e cominciai a
camminare avanti e indietro per il salotto.
Oh mio dio!
Ci sono cascata! Come ho potuto
credere alle sue parole? Alle parole di un attore, che recita dalla mattina
alla sera!
Non ci sono paragoni da fare! Quella
lì aveva tutto. Quella donna era
tutto. Tutto ciò che un uomo vuole, tutto ciò che desidera.E’ alta, bella,
magra, bionda… magari ricca, simpatica e pure intelligente.
Non
avrei mai potuto competere.
Era
logico, quasi scontato! E dire che mi ero pure illusa. Che sciocca.
Povera, stupida sciocca!
Ero nauseata. Disgustata. Completamente disgustata!
Non riuscivo a capire se più fossi schifata da me stessa, per
aver creduto alle sue parole o se a disgustarmi fosse lui. Le sue parole, le
sue carezze, i suoi baci.
Calde lacrime cominciarono a scendere copiose dai miei occhi
fino ad offuscarmi la vista. Cercando a tentoni il divano, mi sedette e con le
mani a coprirmi il viso, diedi libero sfogo al mio dolore. Fortunatamente la
mamma e John erano fuori e non sarebbero rientrati prima di sera.
Tempo dopo, sfinita dal troppo pianto, mi diresse in camera
mia. Avevo bisogno di riposare. Riposare e smettere di pensare. Solo dormire e
arginare i pensieri. Mi sdraiai sul letto e con la testa sul cuscino mi rilassai
sforzandomi di non pensare più a nulla.
Di non pensare a lui. E al male che mi aveva fatto.
Non lo sentì entrare fino a quando il suo respiro caldo mi soffiò
sul viso. Quel profumo di menta, quello della sua bocca.
Fu proprio quello che mi risvegliò. Aprì gli occhi e ancora
confusa mi tirai a sedere, sul letto. Lui era lì, vicinissimo. Accovacciato
accanto al mio letto e mi guardava. I suoi occhi sembravano volermi
accarezzare.
Una carezza lenta e sconvolgente. Carezze che avevo già
provato, già sentito e per le quali ero impazzita dal desiderio. Carezze per le
quali ancora smaniavo, nonostante tutto.
Lui passava il suo sguardo su di lei,
sul suo viso per poi tornare sempre a cercarle gli occhi.
Quegli occhi che fin dal loro primo
incontro lo avevano ammaliato, quasi ipnotizzato. Così chiari, così limpidi.
E il suo dolcissimo viso. Lo stesso
viso che cercava come prima cosa tutte le mattine e che sempre ritrovava
accanto a se tutte le notti. E di cui, ne era certo, ora non avrebbe più potuto
fare a meno. Il suo viso le era mancato da morire. Quel viso che rimaneva
incantato ad osservare la notte, quando lei dormiva, o di giorno solo quando
lei non lo vedeva. Di quel viso aveva imparato tutto a memoria. Ogni sua linea,
ogni sua smorfia e singola espressione, ogni sua più piccola imperfezione.
Di quel viso e di quegli occhi si era
innamorato. Delle sensazioni ed emozioni che vi si riflettevano.
Il rossore che la pervadeva quando era
arrabbiata o in imbarazzo, il bianco pallore di dolore o di paura. La
luminosità che la pervadeva quando sorrideva gioiosa o semplicemente felice, il
dispiacere e il desiderio.
Il suo viso rifletteva tutto questo. E
lui lo sapeva. Il viso di lei era lo specchio della sua anima. Non riusciva a
smettere di guardarla, quasi non potesse farne a meno.
La voleva, la desiderava.
Desiderava toccare la sua pelle, sentire
e accarezzare quel corpo che era stato suo. E che sarebbe rimasto solo suo.
Quel corpo che lo faceva impazzire dal desiderio. Sempre, notte e giorno. Quel
corpo che amava.
Eppure non parlava. Non voleva
rovinare quel momento. Si limitava ad osservarla incantato.
Mi mancò il respiro.
Lo amavo. Lo desideravo. Immensamente. Era diventato come
l’aria che respiravo, non potevo farne a meno.
I suoi occhi, i dolci occhi di lui, sembravano voler chiedere
scusa. Volevano essere guidati ed accarezzati. Imbrigliati in un abbraccio
eterno e senza via di fuga.
And everytime I try to fly, I fall
Without my wings, I feel so small
I guess I need you, baby
And everytime I see you in my dreams
I see your face, you're haunting me
I guess I need you, baby
I may have made it rain
Please forgive me
My weakness caused you pain
And this song's my sorry
Ma poi qualcosa si fece largo nella mia mente.
Un ricordo. Il ricordo di un dolore forte, un dolore
straziante e cocente. Il ricordo di una donna. Il ricordo di un abbraccio. Il
ricordo di baci rubati. Ed improvvisamente una rabbia cieca si impossessò di me.
Della mia mente e del mio corpo.
“Cosa ci fai qui?” domandai con tono rabbioso, allontanandomi
da lui.
“Volevo vederti”
Aveva un aspetto terribilmente trascurato ed enormi occhiaie scavavano
il suo sguardo.
“Ah-ah! Questa si che è bella! Davvero divertente … e per
quale ragione?” replicai con un sorriso acido sulle labbra “Anzi, sai che c’è?!? Non voglio saperlo, non
voglio sapere niente. Esci fuori da qui. Subito!” ingiunsi con rabbia
Ora le labbra erano strette e tirate. Mi sentivo gelida.
“Ho bisogno di parlarti … e di spiegarti” scuoteva il capo in
senso di diniego.
Lo sguardo ancorato al mio.
“Non essere ridicolo!” lo interruppi determinata “Non abbiamo nulla da dirci. Le foto e gli
articoli parlano già da soli!”
“No, tu non capisci…” cominciò lui con tono dolce avvicinandosi
ancora di più a me.
Il fuoco mi divampò dentro accendendo la mia rabbia
“Io non capisco??? COME OSI? Io capisco molto bene, invece!
Non voglio ascoltare nulla di quello che hai da dire. Sei un bugiardo! Tu mi
hai tradito!!! Ti rendi conto? Mi hai ingannata e mi hai offesa, mi hai illusa
e ferita in maniera imperdonabile! Tu dici che io non capisco mentre sei tu
quello che non capisce. Ti ho donato tutto di me! Ti ho dato il mio corpo e la
mia anima, ti ho donato il mio cuore aprendolo per te. E tu ci hai sputato
dentro! Senza, senza … senza alcun rimorso! Come hai potuto? Come hai potuto
farmi questo? Ora voglio solo che mi lasci in pace!” replicai con forza alzandomi
per andare ad aprire la porta della mia stanza, in modo da farlo uscire.
Le mie spalle tremavano visibilmente, il petto si alzava e si
abbassava furiosamente. Il volto era sicuramente acceso e contorto dalla
rabbia. Copiose lacrime mi rigavano il viso ma con un gesto imperioso, del
braccio, le cancellai.
Non vale la pena piangere per uno come
lui!
“Non dire così, Soph. Ti prego… io ti amo. Ti amo come non ho
mai amato nessuna. Ti desidero e voglio che tu stia con me, che tu sia mia per
sempre. Ti prego”
Le sue parole erano quasi una supplica. La sua voce un soffio
caldo ed avvolgente. Allungò le braccia in modo da cercare un contatto. Io però
mi ritrassi immediatamente, come se mi fossi scottata.
“Non toccarmi! Non osare avvicinarti!” mi scansai risentita “Tu non devi toccarmi mai più. Voglio che tu
esca da questa stanza. Ora! Non voglio vederti mai più! Mi fai schifo! Non
voglio più avere niente a che fare con te. Mai più”
“Ti prego … tu non sai quello che dici … se solo mi lasciassi
spiegare”
I suoi occhi erano dolci ma anche esitanti. Non voleva arrendersi
e cercava di affascinarmi.
“Te l’ho già detto. Non m’interessa nulla! Non voglio
ascoltare niente di quello che hai da dire. Hai fatto una cosa inammissibile. Mi
disgusti! Ed ora esci!”
Il mio viso era sicuramente rosso e gonfio dal pianto. I
capelli legati malamente con un elastico. I piedi scalzi ed indosso solo una
canottiera nera e degli short dello stesso colore. Il seno continuava a
gonfiarsi e sgonfiarsi ritmicamente. Avevo il fiatone come se avessi corso per
decine e decine di metri.
Ero stanca, stravolta.
Ero arrabbiata e il mio sguardo era infiammato dall’ira.
Eppure nonostante tutto non potevo fare a meno di guardarlo.
Di guardare i suoi occhi, di guardare il suo corpo. Nonostante tutto lui era
ancora la cosa più bella che avessi mai visto. L’uomo più bello che avessi mai avuto.
Ero
stata sua. Gli avevo donato tutto l’amore umanamente possibile e lui aveva
gettato tutto!
“Soph, non ho intenzione di andare via. Voglio parlare con
te. Ti prego … voglio spiegarti” avvicinandosi lentamente
“Stai zitto. Zitto ho detto! Esci e non tornare mai più!” e
così dicendo mi tappai le orecchie e, allontanandomi, barcollai come ubriaca fino
a raggiungere l’angolo più buio della camera.
“Tesoro, ti prego”
La sua voce era quasi un sussurro. Il suo sguardo era
addolorato, i suoi occhi quasi colmi di lacrime. Si avvicinò con lentezza fino
a sfiorarmi la spalla.
“Amore ti supplico…”
“Non toccarmi!”
Lui fece un passo indietro, poi un altro ancora, come
respinto e andò a sedersi sul letto. Si passò le mani sul volto. Sembrava
esausto.
Il mio cuore era a pezzi. Letteralmente
a pezzi. Ci eravamo amati così tanto e così intensamente ed ora ci saremmo
feriti fino a sanguinare. Entrambi. L’ uno contro l’altro.
“Allora, raccontami un po’… com’è lei? Ti piace? Che progetti
avete? La ami?” dissi “Allora ti è piaciuto? E’ stato bello scopartela? Su
avanti, raccontami un po’… ”
Stavo diventando volgare ma non m’importava. Ero inondata
dalla rabbia e la mia voce suonava velenosa.
“Quindi è questo che vuoi sapere? Se è stata brava?” rispose
alzando il volto e incrociando i miei occhi “Sei sicura? Sicura di volerlo
sapere, di voler conoscere i dettagli Soph? ” aggiunse alzandosi e
avvicinandosi a me con fare minaccioso. La sua voce tesa e chiara.
Le avevo mentito… non ricordavo un
accidenti di niente di quella notte e se anche me lo avesse chiesto non avrei
saputo dirle nulla.
Ero stanco. Ma non come dopo una corsa
di molti e molti kilometri. Ero stanco mentalmente.
La volevo ancora. Volevo che
rientrasse nel mio mondo anche perché per me, il me sobrio, non ne era mai
uscita. La volevo al mio fianco.
Volevo la sua risata dolce e
cristallina. Volevo il suo sguardo addosso.
Volevo i suoi occhi gonfi d’amore per
me. Solo e soltanto per me.
Volevo la sua fresca intelligenza, la
sua mente aperta e vivace.
Volevo il suo corpo, quel corpo così
caldo e arrendevole.
L’avevo tradita. L’avevo ferita e disgustosamente
messa in ridicolo.
Avevo sbagliato. Uno stupido, tremendo
sbaglio. Di cui mi ero pentito subito dopo perché non ne era valsa assolutamente
la pena, poco ma sicuro!
Sono un idiota, uno stronzo! Un lurido
bastardo. Un bastardo della peggior specie!
Volevo rimediare e avrei fatto di
tutto. Mi sarei prostrato in mille modi, l’avrei servita e lusingata. L’avrei
amata ed onorata, rispettata e protetta.
“Oh, mio Dio! Esci di qui, vattene!” dissi piegando il capo ”Vattene via e non tornare più”
Ero rannicchiata su me stessa, con le gambe al petto, le
braccia sulle ginocchia e la testa appoggiata alle braccia. La testa mi
pulsava, mi faceva un male tremendo. Avevo la bocca arida e le labbra bagnate
dalle lacrime cadute.
At night I pray
That soon your face will fade away
And everytime I try to fly, I fall
Without my wings, I feel so small
I guess I need you, baby
And everytime I see you in my dreams
I see your face, you're haunting me
I guess I need you, baby
“Sophie, guardami“ fece lui con voce bassa
Lei non rispose né alzò gli occhi.
Era
così piccola rispetto a lui, sembrava quasi una bambina.
Lui si avvicinò ancora e abbassandosi
la sollevò da terra afferrandola per le braccia e tenendola stretta per la
vita.
“Amore guardami … per favore” la supplicò
ancora “Lo so che sei arrabbiata, delusa
e offesa. Ma voglio spiegarti, ti prego”
In quel momento dei passi risuonarono
per le scale e dopo qualche secondo la porta si aprì e John entrò.
Sophie era tra le braccia di Gerard scossa
dai singhiozzi. La testa reclinata mollemente di lato, come a volerlo scansare.
John si fermò subito, alquanto
scombussolato. E quando i due si voltarono verso di lui, Sophie tirò un sospiro
di sollievo. Liberandosi dalle forti braccia del suo uomo, che amava ancora più
di se stessa, corse a fiondarsi in quelle sicure di suo fratello John.
“Ma che diavolo sta succedendo qui?”
domandò dopo aver abbracciato la sorella
“Ti prego John, mandalo via. Non
voglio più vederlo. Fai uscire Gerard da casa nostra” anche pronunciare il suo
nome era doloroso.
Era distrutta, a livello fisico ed
emotivo. Non poteva sopportare altro.
“John, io e tua sorella abbiamo
bisogno di chiarire delle cose. Potresti lasciarci soli, per cortesia?” chiese
Gerard avvicinandosi a John e cercando di prendere Sophie dalle braccia del
fratello.
Ma lui la strinse ancora di più a sé e
nonostante Gerard fosse più grosso di lui e almeno cinque centimetri più alto,
allontanò Sophie e con voce chiara e decisa disse “Gerard, sarebbe meglio te ne andassi“ il tono
piatto e incolore
“Ascolta John, ho davvero bisogno di
parlare con Soph. Non intendo…”
“Esci da casa nostra. Subito!” replicò
John interrompendolo
Lei si voltò un solo momento a
guardarlo e quello che disse gelò il sangue a entrambi.
“Tu non sei l’uomo che amo! Il mio
Gerard non è così … lui … non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non mi
avrebbe fatto soffrire così. Lui mi amava … tu non sei lui! Ed ora esci di qui
perché la tua sola vista mi disgusta!”
Non lo guardò più.
Gerard fissò prima John e poi
abbassando lo sguardo cercò gli occhi della sorella. Di quella ragazza, anzi di
quella donna, che amava da morire.
“Pensa pure quello che vuoi. Offendimi
e feriscimi come meglio credi ma scordati che io ti lasci andare. Non
permetterò a nessuno di farti uscire dalla mia vita. Mai. Ti amo troppo per
farlo!”
Gli occhi di lei non si alzarono dal
pavimento finché la porta non si chiuse alle spalle di Gerard.
Solo allora si afflosciò, piangendo,
tra le braccia del fratello. Lui senza chiedere spiegazioni di alcun tipo aiutò
la sorella a sdraiarsi a letto e con dolcezza la coprì con un plaid.
Silenziosamente uscì e chiuse la
porta, lasciandola sola.
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Capitolo 39 *** XXXVI Capitolo ***
Cap. 36
XXXVI Capitolo
Remember those walls I built
Well, baby they’re tumbling down
And they didn’t even make up a sound
… I got my angel now
Every rule I had you breakin’
Everywhere I’m looking now
I’m surrounded by your embrace
Baby I can see your halo
You know you’re my saving grace
You’re everything I need and more
It’s written all over your face
Baby I can feel your halo
Pray it won’t fade away
I can feel your halo
Secondi….
Minuti…
Ore…
Giorni…
Settimane…
Un Mese…
Due mesi…
Tre mesi…
Quattro mesi…
Cinque mesi…
Affrontavo ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni maledettissima
settimana in un inferno … nella continua e folle speranza di poterla riavere
ancora nella mia vita. Nonostante i tentativi che avevo fatto per riavvicinarmi
a lei, tutto era stato inutile. Ogni volta che chiamavo il cellulare risultava spento,
mentre a casa parlavo alternativamente con John o con Lisa senza riuscire mai a
sentire la sua voce. Avevo provato non so quante volte ad andare a trovarla a
casa ma si era fatta negare.
La mia disperazione e la mia colpa salivano raggiungendo picchi
impensabili … e giorno dopo giorno annegavo in un mare di dolore. Un dolore di
cui ero il solo artefice e che avevo inflitto non solo a me stesso ma anche a
lei.
Avevo spiegato brevemente l’intera faccenda prima a John e
poi a Lisa ma non era cambiato nulla. John era arrabbiatissimo, a ragione, mentre
un po’ di compassione mi veniva offerta da Lisa che, seppur distrutta
dall’infelicità della figlia, usava sempre parole gentili.
Non c’era da stupirsi che reagissero così, visto che il
carico da cento lo avevano lanciato stampa e media pubblicando su ogni
dannatissimo blog, tabloid o programma televisivo l’intera faccenda. Sul mio
sito decine, anzi centinaia di fan avevano lasciato messaggi negativi di tutti
i tipi. La maggior parte delusi dal mio comportamento.
Ero disgustato da me stesso.
Ma cosa cazzo mi era saltato in mente?
Dio, che bastardo!
E
dopo tutto quello che avevo combinato mi aspettavo pure che lei tornasse da me
e mi perdonasse? No, lo
sapevo bene.
Ma era quello che sognavo e che desideravo in ogni singolo
momento della giornata!
Mi passai una mano sul viso stanco. Sentivo la barba
pizzicarmi e solleticarmi le dita. Non mi radevo da non so quanti giorni. Mi
ero preso una pausa dal lavoro.
Anche perché lavorare in queste
condizioni non è proprio possibile!
Erano passati quasi sei mesi da quel maledetto giorno. Dal
giorno in cui lei mi aveva cacciato da casa sua, da quando mi aveva allontanato
da tutto ciò che la riguardava.
Il dolore quasi m’impediva di respirare, straziava il mio
cuore e annullava tutto il resto. Non riuscivo a fare altro se non sopravvivere
giorno dopo giorno. Vivevo in un limbo senza fine.
Il trillo acuto ed improvviso del cellulare mi riportò alla
realtà. Mi fiondai sul comodino con un’unica speranza nel cuore. Speravo fosse
lei perché avevo un assoluto bisogno di sentire la sua voce.
Mi
illudevo.
Era Susy che, ogni giorno, chiamava per sapere come stavo.
“Susy” la voce solo un flebile sussurro
“Gerard”
Iniziavamo sempre così, solo i nostri nomi e poi qualche
minuto in silenzio.
Questa volta, però, la voce di Susy era diversa. Strana,
quasi esitante.
“L’ho sentita … sono riuscita a parlare con lei”.
Socchiusi gli occhi per concentrarmi meglio, mi misi a sedere
di scatto sul letto. Ora aveva tutta la mia attenzione.
“Davvero? Come sta? Cosa ti ha detto?”
“Non sta bene, Gerard. E’ giù di brutto. Dorme e mangia poco.
Sua madre mi ha detto che hanno dovuto portarla in ospedale per la seconda
volta in sei giorni”
Pov Susy
Mi
ero affezionata molto a Sophie, eravamo diventate amiche. E questa situazione
tra lei e il mio migliore amico mi logorava.
Erano
così uniti e felici quando erano assieme. Innamoratissimi. Entrambi.
Ma
poi lui aveva fatto la stronzata!
Da
parte mia, l’avevo offeso in tutti i modi possibili, fregandomene del fatto che
fosse il mio capo. Era stato un insensibile bastardo! Solo dopo essermi sfogata
avevo capito che si era già distrutto da solo. Era scoppiato a piangere e mi aveva
abbracciata stretta.
Chissà
che cosa gli era passato per la mente … quella sera.
“C-cosa?
In ospedale? Che cazzo dici, Susy? Quando? In quale? Perchè?”
La
notizia mi aveva sconvolto.
In ospedale? Perché in ospedale? E quanto era
grave? Oh mio Dio!
“Si,
è in ospedale. L’hanno ricoverata perché rischia il collasso. Non si alimenta
abbastanza e le funzioni vitali ne risentono. E’ dimagrita e sua madre è
sicurissima sia depressa. Non esce più da casa, non parla quasi più. Non si lava
autonomamente e non si alza dal letto se non
quando obbligata a farlo e comunque sempre sostenuta da qualcuno. Non provvede
a se stessa … si è lasciata andare, Gerard! Lisa mi ha detto che qualche volta,
di notte, farfuglia il tuo nome”
“Oh
mio Dio, oh mio Dio … è tutta colpa mia!” copiose lacrime scendevano senza
sosta dai miei occhi stanchi
La
paura e lo sgomento mi attanagliavano lo stomaco.
Non ci posso credere … non è possibile …
Avevo
preso una stanza in un albergo, non lontano da casa sua. Volevo restare in
Italia, vicino a Sophie, nel caso in cui lei avesse cambiato idea. E per di più
non volevo tornare a casa. Naturalmente Susy si era occupata di tutto. L’hotel era
di piccole dimensioni, il personale gentile e il posto silenzioso. Per ora la
stampa non aveva idea di dove mi fossi rifugiato.
Devo vederla!
“In
che ospedale è? Come ci arrivo?” ero in fibrillazione. Avrei fatto una doccia
veloce, indossato qualcosa e sarei andato da lei.
“Gerard,
non credo sia il caso…”
“Susy,
in che ospedale è?“ la mia voce si alzò e il tono divenne più teso
“Davvero,
non penso…”
“Cazzo,
Susy! Devi ascoltarmi. Devo andare da lei. Lei … è la mia Sophie! E niente di
tutto quello che dirai mi farà cambiare idea. Aiutami, per favore … io devo
vederla!”
Ma perché nessuno riesce a capire? Io devo andare.
Si tratta di lei... Non posso rimanere!
“Allora
verrò con te!”
“Niente
da fare, Susy”
“Io
so dov’è. Non ci arriverai mai senza di me!” era decisa ad accompagnarmi
Imprecai
mentalmente ma poi mi rassegnai
“E
va bene. Ma sbrigati. Dove ci vediamo?”
“Passo
a prenderti io. Fatti trovare nella hall tra venti minuti” e riattaccò.
Venti
minuti. Il tempo per una doccia e per cambiarmi. Sarei stato puntuale.
Susy,
mi attendeva nella hall. Indossava t-short, jeans e scarpe sportive. Ero
vestito alla stessa maniera anche se, in più, avevo un cappellino con visiera. Uscimmo
di gran carriera dall’albergo e ci infilammo subito in auto. Sfrecciava tra
quelle strette stradine come una pazza, ma questo non era proprio il momento di
farglielo notare.
“Hai
un aspetto orribile!” con questa frase voleva solo rompere il ghiaccio
La
guardai pensosamente prima di rispondere “Grazie tante!”
Ero dimagrito e lo sapevo. Sempre
triste e stanco; dormivo poco e male.
Avevo
capito le sue intenzioni, era in pensiero per me. Ma lo era ancora di più per
Soph. Mi sentivo perso, devastato. Mi
sentivo così colpevole!
E’ colpa mia. Solo colpa mia!
La
macchina inchiodò all’improvviso e per poco non rimasi incastrato con la testa
nel cruscotto.
“Merda,
Susy! Stai più attenta. Dove hai imparato a guidare?”
“Siamo
arrivati” fece tesa
Il
mio sguardo si affilò e mi concentrai sull’edificio che ci stava di fronte. Ero
nervoso ma anche determinato. Nessuno mi avrebbe tenuto lontano. Volevo vederla
e per Dio ci sarei riuscito!
La
struttura era piccola, l’odore di disinfettante forte soffocava tutti gli altri
odori, impregnandone l’aria.
Susy
si avvicinò al bancone per chiedere informazioni. Al centralino sedeva una
vecchina dal viso gentile. Controllò sul computer “Camera 53” annunciò con voce
gracchiante.
Seguendo
i numeri delle stanze, guardavamo a destra e a sinistra sulle targhette di ogni
singola stanza. Finché la voce della mia assistente non mi bloccò
“Eccola”
sussurrò
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Capitolo 40 *** Epilogo ***
Epilogo
XXXVII Capitolo
“Ok”
respirai a fondo, la guardai esitante e lei per rassicurarmi bisbigliò “Io aspetto qui fuori”.
Mi
tolsi il cappello, mi passai una mano tra i capelli per spettinarli. Respirai
di nuovo ed abbassai lentamente la maniglia per aprire la porta.
All’interno
la luce filtrava dalle grosse tende che coprivano tre grandi finestre. La
stanza era occupata, quasi interamente, da quattro letti su cui erano sdraiati
altrettante persone.
La
cercai con gli occhi.
Vidi
Lisa, seduta su una sedia accanto ad un letto, in fondo alla stanza. Avanzai con
esitazione, cercando di fare meno rumore possibile finché finalmente non alzò
il volto verso il mio.
Il
suo sguardo fu attraversato dapprima dallo stupore, poi dalla curiosità infine
dalla consapevolezza. Si alzò, lasciando cadere la mano della figlia che teneva
tra le sue. Mi venne incontro, mi si parò davanti come a volermi impedirmi di
vederla.
Ero
decisissimo a non sentire ragioni. Niente mi avrebbe fermato. Così mi preparai
a controbattere ad ogni sua opposizione. Un sorriso però si fece largo
lentamente, molto lentamente, sul suo viso. E la cosa mi stupì
“Sono
contenta di vederti” e con queste parole mi abbracciò forte.
Ero
stupito ma dopo pochi secondi ricambiai con forza
“Mi
dispiace” era l’unica cosa che mi sentivo in grado di dirle.
“Lo
so”
Mi
guardò negli occhi per qualche secondo poi mi prese per un braccio e con
dolcezza mi accompagnò fino al suo letto.
“Le
farà piacere sapere che sei qui. Ora sta dormendo ma tra non molto si dovrebbe
svegliare” annuì senza capire bene le sue parole.
Non
staccavo gli occhi dalla ragazza stesa sul quel letto. Non sembrava nemmeno più
lei.
Era irriconoscibile. Dimagrita,
pallidissima e così debole quasi potesse scivolare via nel vento da un momento
all’altro.
“Io
esco per qualche minuto” con passi leggeri arrivò alla porta, l’aprì e la
richiuse subito dopo.
Hit me like a ray of sun
Burning through my darkest night
You’re the only one that I want
Think I’m addicted to your light
I swore I’d never fall again
But this don’t even feel like falling
Gravity can’t forget
To pull me back to the ground again
I can see your halo
Mi
avvicinai al letto. Volevo vederla meglio, volevo toccarla. Assicurarmi che
stesse bene. Una flebo era attaccata al suo braccio, un altro macchinario le
rilevava le funzioni vitali.
Era triste. Una scena terribilmente triste.
Il
suo respiro era quasi un soffio inudibile. Sembrava soffrisse quando espirava.
Il petto si alzava e riabbassava impercettibilmente sotto la leggera camiciola.
Il volto era emaciato e spento mentre i capelli erano lucidi ed incollati alla
fronte. Con delicatezza glieli tolsi dal viso e sedendomi sulla piccola sedia,
occupata prima da Lisa, continuai ad osservarla. Gli occhi erano chiusi, le
labbra secche.
Mi
accorsi che avevo iniziato ad accarezzarle il viso. Lo avevo fatto inconsapevolmente
ed ora non riuscivo né volevo smettere.
Oh mio Dio. Amore
mio, cosa ti ho fatto? Come abbiamo potuto ridurci così?
E’ colpa mia.
Tutta colpa mia.
Non voglio lasciarti.
Mai più. Ti amo troppo per riuscire a farlo di nuovo. Soffro così tanto… non
posso stare senza di te, lontano da te.
Amore mio, ti
prego guarisci presto.
Rimettiti e ti
giuro che farò qualsiasi cosa per farmi perdonare. Ti prego. Ti prego non mi
lasciare…
La
vista mi si annebbiò improvvisamente.
Stavo
piangendo e le mie lacrime si rovesciavano lungo il mio viso fino a bagnare
quello di Sophie. Non mi ero accorto di esserle così vicino. Chiusi gli occhi
perché volevo far cessare quelle lacrime quando qualcosa mi toccò la mano.
Sophie
si era svegliata e lentamente si stava svegliando. Mi affrettai ad asciugarmi
le lacrime e a posare il mio sguardo nel suo cercando di sorriderle. Sembrava confusa
e decisamente affaticata.
Aspettai
che dicesse qualcosa. Lei però alzò la testa verso di me, passò in rassegna il
mio viso, volse lentamente lo sguardo attorno per poi riportarlo su di me. Non
disse nulla ed io le accarezzai dolcemente la fronte.
Ancora
silenzio.
Sospirò
e chiuse piano gli occhi. Espirò di nuovo e di nuovo li aprì per posarli su di
me. Continuai ad accarezzarla scendendo a toccare prima le sopracciglia, poi le
palpebre ed infine il naso. Mi soffermai sulle guance. Gli zigomi erano più
sporgenti di come li ricordavo. Arrivai alle labbra e lì mi fermai.
Lei
non aveva smesso di fissarmi. Il suo sguardo era attento, quasi concentrato ad
assaporare ogni minima carezza. Le passai con tenerezza il pollice sulle labbra
percorrendone il contorno. Erano asciutte e secche ma ancora rossissime e carnose.
Un
lento sospirò proruppe dalla sua gola e inconsapevolmente questo la spinse a
dischiudere le labbra. Non resistetti oltre e spinto da un istinto ancestrale,
un cieco bisogno, mi avvicinai e la baciai.
Un
bacio casto e dolce.
Le
sfiorai le guance con entrambe le mani. Attirai il suo viso verso il mio e
concentrai in quel bacio tutto l’amore che provavo.
Chiusi
gli occhi godendo del suo respiro. Lei non si ritrasse ma neppure rispose. Interruppi
il bacio perché volevo vedere la sua espressione, i suoi occhi.
Li
trovai chiusi come a godere della sensazione del bacio. La mia mano scese con
lenta determinazione ad accarezzarle la mascella e il collo. Teneva ancora gli
occhi chiusi e le labbra dischiuse. Alzò il braccio magrissimo e lentamente
posò la sua mano sulla mia guancia. Guidato dall’istinto e da una spasmodica urgenza
di contatto, appoggiai la guancia alla mano che lei muoveva dolcemente sul mio
viso.
Nessuno
dei due parlava. Avevamo bisogno del solo contatto fisico. Questo bastava ad
entrambi.
Percorse
con esasperante lentezza tutto il mio viso. Dalla fronte passò alle palpebre,
poi gli zigomi e il naso. Infine scese sul mento per poi risalire a toccare le
labbra. Mi resi conto che anche le mie erano secche e d’istinto vi passai sopra
la lingua con la quale sfiorò le dita di Sophie.
Subito
il mio sguardo si incupì, non volevo spaventarla perciò la ritrassi subito. Lei
aveva chiuso nuovamente gli occhi e dopo averli riaperti fece un profondo respiro.
Le
baciai le dita con esasperante lentezza finché non intravidi la prima goccia di
desiderio. Le sue dita si soffermarono ancora a lambire il contorno delle mie
labbra finché, spinta forse dal desiderio, introdusse l’indice dentro la mia
bocca.
Ancora
scioccato, confuso e insieme affascinato colsi al volo l’invito. Cominciai a
baciarlo e a leccarlo, finché al colmo del desiderio cominciai a succhiarlo
avidamente. Lei chiuse subito gli occhi e così feci anche io.
Assaporammo
entrambi quel momento. Un dolce momento con solo il silenzio a fare da
sottofondo.
Quando
riaprì gli occhi, potei notare che mi fissava con sguardo mite. Allontanò il
dito dalla mia bocca lentamente, ma io le bloccai la mano e la portai ancora al
mio viso.
Era
venuto il momento di parlare. Lo sapevo, ma la cosa mi spaventava ugualmente.
Everywhere I’m looking now
I’m surrounded by your embrace
Baby I can see your halo
You know you’re my saving grace
You’re everything I need and more
It’s written all over your face
Baby I can feel your halo
Pray it won’t fade away
I can see your halo halo halo
“Ti
amo, Sophie” sussurrai accarezzandole dolcemente il volto
Lei
a quelle parole chiuse gli occhi ed un lungo brivido scese a gelarmi la
schiena.
“Soph?”
la mia voce risultò più bassa di un sussurro tanto che pensai non mi avesse
sentito
Aprì
gli occhi e una lacrima le si rovesciò dagli occhi
“Ti
amo anche io Gerard. Più di quanto tu possa immaginare”
Le
sue parole erano esitanti ed intervallate da lenti respiri. Soffici lacrime
cominciarono poi a bagnarle il volto.
“Non
ho mai smesso di farlo. Mi crogiolavo nel pensiero di poterti lasciare, di
poterti dimenticare ma il mio cuore, la mia anima persino il mio corpo anelava
a te. Non ho mai smesso di amarti e non credo di poterlo fare”
“Oh,
amore mio. Ti prego perdonami. Ti amo così tanto. Sono stato un vero idiota, un
gran bastardo. Non volevo, mi dispiace … non era mia intenzione.
Dio,
ancora oggi di quella notte non ricordo un accidenti. Non ricordo niente di
quella donna. Sono stato un lurido bastardo e lo so. Perdonami, ti prego. So
che ti chiedo molto ma ti scongiuro … fallo. Non posso vivere senza di te! Questi
mesi senza di te sono stati un inferno. Ti prego perdonami. Ti amo, ti amo più
della mia stessa vita. Ti amo da morire, Soph!” mi alzai e la strinsi forte a
me.
La
strinsi a me, ancora di più finché un gemito di dolore le sfuggì.
“Scusami,
amore mio“ veloce mi allontanai da lei. L’avevo stretta troppo e le avevo fatto
male.
Sophie
però sorrideva. Un sorriso dolce e mite. E il mio cuore andò in fibrillazione.
“Soph,
ora voglio solo che tu guarisca e sia felice. Ti prometto che farò l’impossibile
perché questo accada. Te lo giuro. Ti amo tanto, Sophie”
Amavo
quel sorriso e vederlo dopo così tanto tempo e per di più rivolto a me mi
scombussolò non poco.
I got a pocket, got a
pocketful of sunshine.
I got a love, and I know that it’s all mine.
Take me away: A secret place.
A sweet escape: Take me away.
Take me away to better days.
Take me away: A higher place.
I got a pocket, got a
pocketful of sunshine.
I got a love, and I know that it’s all mine.
There’s a place that I go,
But nobody knows.
Where the rivers flow,
And I call it home.
And there’s no more
lies.
In the darkness, there’s light.
And nobody cries.
There’s only butterflies.
The sun is on my side.
Take me for a ride.
I smile up to the sky.
I know I’ll be all right.
The sun is on my side.
Take me for a ride.
I smile up to the sky.
I know I’ll be all
right.
Ero
felice.
Avevo
finalmente trovato e riavuto il mio angelo. La persona per la quale mi sarei
sacrificato fino a morire. La ragazza che mi riempiva il cuore e che mi completava.
La donna senza la quale non potevo vivere, senza la quale sarei rimasto solo.
Lei, la mia Sophie … dolce e delicata
come una goccia di miele.
Angolino:
Ebbene
si, siamo arrivati alla fine di questa storia. Che dire… sono triste perché
salutare Sophie e Gerard per sempre è un po’ come dire addio a due vecchi amici
d’infanzia. Sarà dura non scrivere più di loro, della loro storia. Sarà dura
non poter sbirciare nella loro quotidianità, assistendo magari a qualche loro
litigata o a qualche momento di tenerezze. Eppure è proprio così… Sigh, sigh,
sigh!
Ma
non disperiamo, nulla è ancora perduto. Rincontreremo i nostri “eroi”, per
l’ultimissima volta, tra poco. Ho infatti scritto un paio di shot con loro
protagonisti e le pubblicherò a breve. Sono piccoli scorci della loro vita
futura e spero tanto che possano piacervi.
A
presto allora!
Baci
baci
Iry
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