Scars - Cicatrici di Witch_Hazel (/viewuser.php?uid=106520)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In the Aeroplane over the Sea ***
Capitolo 2: *** La Donna Gambero ***
Capitolo 3: *** Di vichinghi e camomille ***
Capitolo 1 *** In the Aeroplane over the Sea ***
cicatrici_1
“What a beautiful face
I have found in this place
That is circling all round' the sun
And when we meet on a cloud
I'll be laughing out loud
I'll be laughing with everyone I see
Can't believe how strange it is to be anything at all”
“Non sai mai quando ritroverai le persone che sono passate nella tua
vita. Non puoi sapere nemmeno se le ritroverai, in effetti, ma talvolta
accade. Tienilo a mente.”
Sua madre non si poteva certo definire una persona colta, ma aveva
quella saggezza intuitiva che la maggior parte delle persone potrebbe
invidiare. Questa sua perla di saggezza l’aveva riposta in un cassetto
insieme alle altre che le aveva detto nel corso della sua vita, nei
momenti in cui ne aveva più bisogno, con quel suo modo un po’ teatrale
ed enigmatico, che faceva tanto film americano. In quel momento, però,
balzò alla sua mente nella sua verità sconvolgente, turbandola tanto
profondamente quanto il volto che sbirciava fuori dal finestrino nel
posto che doveva essere accanto a quello di lei sul volo per Londra in
quel maggio soleggiato. Chissà come si era divertito il destino a farsi
beffe di lei in modo così palese e sadico, facendo sì che il suo posto
fosse proprio adiacente a quella persona che sembrava, fortunatamente,
non essersi ancora accorta della sua presenza, una donna imbambolata
davanti al suo posto a sedere come se avesse visto un fantasma. Era un
dato di fatto: il suo tempo di reazione non era mai stato molto pronto,
in quel momento meno che mai, tant’è che un’assistente di volo,
spazientita dalla sua immobilità, le aveva chiesto se ci fosse qualche
problema.
« No, no. Nessuno problema. » si affrettò a rispondere.
Lo scambio di battute però, risvegliò l’attenzione dell’uomo seduto
accanto al finestrino. D’altronde, non era lecito sperare che restasse
assorto per tutto il tempo senza notarla minimamente. Non seppe mai
quale fu la sua reazione nel riconoscerla: aveva infatti evitato
accuratamente il suo sguardo, fingendo un’indifferenza che avrebbe
sicuramente smascherato al minimo contatto visivo. Sfilò invece il
soprabito e lisciò il vestito con una lentezza esasperante fino a che
non fu costretta ad alzare finalmente il viso per incontrare uno
sguardo verdazzurro dolente e sorpreso. Fu come un salto nel passato,
come se fossero tornati in quel bar di periferia in cui lo aveva ferito
mortalmente. E lei si sentì morire di nuovo.
Era letteralmente paralizzata. In quella situazione il panico prendeva
il sopravvento e il suo cervello andava in black out, lasciandola da
sola a fare i conti con un istinto tutt’altro che amichevole. Doveva
salutarlo? Doveva ignorarlo? Certo, qualsiasi cosa sarebbe stata
migliore da quella poco dignitosa espressione da triglia che si
ritrovava sul viso e gridava da qualsiasi angolazione quanto quel paio
di occhi, solo con quello sguardo, che a qualsiasi estraneo sarebbe
parsa un’occhiata di tra due sconosciuti, riuscisse a metterla a
disagio anche a distanza di anni, anche ora che era adulta e vaccinata
e convinta di aver seppellito in un angolo remoto della sua anima
quegli occhi color mare.
« Ciao. »disse lui con voce priva di qualsiasi colore, distogliendo poi lo sguardo.
« Ciao... » ripose lei, profondamente convinta che la sua riapparizione
casuale nella sua vita sarebbe terminata esattamente al termine di quel
volo aereo.
Tuttavia, anche se quel pensiero in parte riusciva un poco a
sollevarla, c’era un angolino della sua mente (forse esattamente quello
in cui aveva seppellito la loro storia) che le diceva che forse era il
momento di scaricarsi la coscienza e tentare di appianare una volta per
tutte la situazione tra di loro in modo da poter eliminare
definitivamente il file riguardante lui dal disco rigido del suo
cervello. Attese il decollo, che si trovassero ad un numero
considerevole di piedi da terra prima di tentare di ripescare qualche
parola per imbastire un discorso. Lui, però, la prese di nuovo in
contropiede:
« Allora...come va? »
Lei ci mise un po’ a rispondere.
« Abbastanza bene. »
Dopo il suo grugnito di assenso, che, forse, intendeva mettere fine alla loro interazione, lei aggiunse:
« A te? »
« Benissimo. »
Sebbene quel “benissimo” fosse uscito con un’irruenza e una tonalità
che lasciava intendere tutt’altro. Ad esempio: “benissimo, prima che tu
ti sedessi proprio di fianco a me”.
« Vai...Ehm. Vai a Londra per lavoro? »
Si fece coraggio lei.
« Sì. Tu? »
« No, io ci abito. »
L’occhiata leggermente stupita fu la cosa più emozionante di quella stupida conversazione .
« Complimenti. »
Complimenti molto amari.
Restò zitto mentre lei, tesa come un violino, non riusciva più a capire
se fosse il caso di tacere e fare finta che fossero due conoscenti non
particolarmente affezionati o avere le palle una volta per tutte di
ammettere che gli aveva rovinato una parte dell’esistenza e chiedergli
scusa. La consapevolezza che per fare quello avrebbe comunque dovuto
calpestare il suo orgoglio e passare sopra ad una serie di circostanze
che le risultavano come attenuanti ai suoi occhi la spingevano a
tentennare per un tempo decisamente più lungo del normale. Quando
comunque arrivò l’hostess col carrellino delle bevande e lui prese un
caffè lei non ce la fece più.
« Mi dispiace. »
Lui la guardò attraverso un ciuffo biondo che gli era caduto
sull’occhio destro. Aveva uno sguardo quasi beffardo nell’insieme, che
la fece vacillare non poco.
« Di cosa, esattamente? »
Quella sfumatura beffarda, del cacciatore che ha messo la preda con le
spalle al muro non riuscì a scalfirla troppo nel profondo, così
continuò:
« Beh, di essermi comportata da stronza con te, di averti prima illuso
e poi deluso in nome di un buon senso che non so nemmeno da dove
venisse. Per essere sparita nell’illusione che saremmo stati meglio
entrambi. »
Lui guardava nella tazzina di caffè come se dentro potesse intravedervi
tutte le risposte irrisolte che gli giravano per la testa. Gli donava,
pensò lei, quel completo elegante blu scuro. Era sempre stato bello, in
effetti.
« Non ti sembra un po’ tardi per pentirti? »
Il suo sguardo verde mare era tremendamente colmo di emozioni
contrastanti e tutte avrebbero dovuto minare l’autocontrollo di lei.
Sapeva esattamente che scusarsi per essersi comportati male con
qualcuno dopo anni non aveva alcun senso, soprattutto visto che non si
erano più rivisti. Però sentiva di doverlo fare, anche se poteva
sembrare un egoistico bisogno di scaricarsi la coscienza, voleva che
lui sapesse che le dispiaceva.
« Mi sono pentita molto tempo fa. »
Lui la guardò basito e lei non rispose. Furono le ultime parole che Iris e James si scambiarono per il resto del viaggio.
Al nastro trasportatore, nel momento di recuperare i bagagli, non ci
furono nemmeno i formali convenevoli che ci si scambia tra conoscenti
non troppo intimi. Iris sbirciava James con la coda dell’occhio,
sperando che lui non la notasse: provava imprimersi nella memoria il
suo volto, prima di dimenticarlo definitivamente.
Nugae:
Ho deciso di provare a pubblicare questa storia. Ci terrei molto ad un
riscontro dei lettori poichè c’è molto di me qui dentro. Le storie sono
possibilità, secondo me. Questa è la storia della possibilità che
dubito mi sarà concessa.
La citazione è presa dalla canzone dei Neutral Milk Hotel citata nel titolo. Hope you liked it. :) |
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Capitolo 2 *** La Donna Gambero ***
cicatrici_2
"E mi giocai i ricordi provando il rischio
poi di rinascere sotto le stelle
ma non scordai di certo
un amore folle
in un tempo piccolo."
James e Iris avevano
vissuto nello stesso paesino ignorando la reciproca esistenza per
almeno 17 anni. Un giorno capitò, per mezzo di amici comuni, che si
trovassero ad uscire con le stesse persone. Lei era di umore
decisamente nero: aveva litigato con i suoi genitori per la scelta
dell’università, e risultava generalmente acida e poco propensa al
dialogo. Non seppe mai per quale motivo lui, che nemmeno la conosceva,
avesse deciso di affrontare la sua fiele, ma le propose di sfogarsi con
lui. Non si conoscevano, non si erano mai visti prima, eppure parlarono
per un’intera notte.
Stava ripensando a quel
momento Iris, mentre faceva la spesa nel supermercato vicino al proprio
appartamento. Aveva invitato i suoi amici a cena, per una rimpatriata.
Era passato un giorno dal suo viaggio aereo e si stava maledicendo
perché a ritmo regolare il pensiero tornava a James. Si era ripromessa
di non pensarci più dopo essersi scusata, pensava che quella fosse la
corretta espiazione per non trovarsi più a doversi sentire in
colpa nei giorni più tristi, quelli in cui tutto ciò di più misero è
accaduto nella tua vita torna a fare visita attraverso la porta della
memoria tormentandoti con un malessere in cui vorresti crogiolarti e
annegare fino a che tutte le tue fibre ne sono talmente imbevute come
spugne. Iris non aveva la presunzione di pensare che tutte le persone
vivessero il dolore allo stesso modo, ma certo quello era il suo: lo
viveva in modo totale, quasi se ne compiaceva, fino a stordirsene, fino
a che non capiva quanto fosse patetico tutto quel vivere di dolore.
Quindi non capiva perché, mentre stava comprando della zuppa in lattina
da tenere in dispensa per i momenti d’emergenza, continuava a pensare
allo sguardo stupito di lui quando la loro conversazione era finita,
quasi come dei puntini di sospensione che in effetti avevano aperto
nuovi interrogativi più che risolvere quelli non ancora decifrati.
Il problema era che non
poteva rispondere. Non aveva risposte. Sapeva che il suo ricordo aveva
messo radici da qualche parte il lei, non se n’era mai andato, anche se
da anni lei percorreva la sua strada da sola. Non riusciva a cancellare
i ricordi, non riusciva a cancellare le sensazioni, ma, probabilmente
era diventata quello che era anche grazie a ciò che avevano vissuto
insieme. Forse per James era diverso, ma lei la viveva in questo modo,
viveva col suo ricordo in sottotono, ogni tanto alzava la voce e
spiccava tra gli altri ricordi, altre volte si mischiava al mormorio
convulso delle voci del passato, ma di fatto non l’aveva mai
abbandonata e, ora ne era quasi certa, scusarsi non avrebbe certo
eliminato quella voce dal coro. Ci sarebbe sempre stata e avrebbe
dovuto imparare a vivere nonostante il coro che vociava ora più forte,
ora sussurrava. Scaraventò la latta della zuppa nel carrello, decisa,
ancora una volta, a camminare sola.
« Beh, cos’è quella faccia
lunga? » chiese Sara, appena Iris appena le aprì la porta. Iris le fece
segnò che ne avrebbero parlato più tardi: non aveva voglia di fare una
seduta degli alcolisti anonimi insieme a tutti gli amici. Sara, poi,
era l’unica dei presenti a cui aveva raccontato tutta la storia e
mettersi a fare dei riassunti anche del passato, oltre che del presente
avrebbe decisamente appesantito la nuvoletta nera che le gravitava
sulla testa da quel pomeriggio. Sara annuì, investendola con la sua
chioma rossa.
« Beh, allora, che si mangia? Ho una fame terribile!! »
« Spero tu abbia cucinato
la tua famosa carbonara, perché anche io sto morendo di fame! » disse
Dave, suo collega, facendo il suo ingresso insieme a tutti gli altri,
vociando allegramente.
« Accidenti, Dave, non posso cucinare sempre carbonara, comincia ad essere troppo prevedibile. » cercò di scherzare lei.
« Dave, testa vuota - si
inserì nella conversazione Hannah, la sua fidanzata - insomma, è già
stata carina ad ospitarci, tu pretendi anche di decidere il menu, ma
che razza di amico sei?? ».
Erano sempre così, i suoi
amici, riuscivano a metterla di buon umore. Sorrise, vedendoli avanzare
verso la sua cucina, avviandosi anche lei.
Sì, avrebbe preparato una carbonara. Però, perlomeno, la sua torta al cioccolato non se l’aspettavano.
Erano quasi le due del
mattino quando Sara e Iris riuscirono a restare sole per un comizio
notturno. La circostanza non era nemmeno eccezionale, visto che di
riunioni notturne, dai tempi della prima convivenza ce n’erano state
parecchie e anche per i motivi più futili.
« è venuto il momento di dirmi che succede. »
Iris si sedette sul letto pesantemente, facendo cenno all’amica di prendere posto sulla sedia di fronte a lei.
« Ho incontrato James »
Sara, spalancò gli occhi in segno di profondo stupore.
« Dove? »
« Ha preso il volo con me, due giorni fa, quando sono tornata.»
Iris prese a raccontare tutto per filo e per segno, attendendo il responso dell’amica.
Riprese fiato pensando che aveva un gran bisogno di raccontarlo a qualcuno.
« Sei sempre la solita: cerchi e trovi particolari che probabilmente non esistono in cose insignificanti. »
Iris abbassò lo sguardo, preparandosi a parare la sfuriata.
« Tralasciando il fatto che
anche tu potevi evitare di fare la donna tappetino e scusarti per
qualcosa che hai fatto quando avevi diciassette anni, ti rendi conto?,
non cercare aghi nei pagliai: probabilmente lui era pure riuscito a
superare la cosa, al contrario di te, e le tue scuse gli hanno fatto
solo tornare in mente brutti episodi del suo passato. Tutte le emozioni
che hai visto probabilmente non erano altro che l’irritazione per dover
pensare ancora a tutto questo. »
Iris non rispose, sapendo che probabilmente la sua amica aveva perfettamente ragione.
« Iris, non puoi riparare i
cocci sperando che le cose tornino come prima. Lui non sarà più il tuo
amico, il tuo confidente, non si può. Prima ti arrenderai all’evidenza,
meglio starai. - fece una pausa - Sei un’accidenti di donna gambero,
Iris. »
La diretta interessata a quel punto emise un mugolio confuso.
« Cammini guardandoti indietro, come i gamberi, pensando solo al passato. è ora che tu ti giri e guardi cosa c’è nel presente. »
Sara aveva il fiatone
ormai, ma sperò vivamente che il suo sermone servisse a convincere la
sua amica a concentrarsi su altro, visto che aveva un pessimo
presentimento riguardo a come sarebbe andata a finire quella storia.
Non sapeva perché, era solo una stupida sensazione, ma il suo istinto
sbagliava raramente, quindi decise di seguirlo.
Iris diede la buona notte a
Sara dopo qualche altra chiacchiera di argomento più leggero e andò in
bagno a prepararsi per la notte. Prima di uscire esaminò il suo
riflesso nello specchio mormorando tra sé:
« Sono una donna gambero. »
Nugae:
Eccoci al secondo capitolo!! Qualche cosa non mi convince del tutto, ma
aspetto il vostro giudizio per saperne di più! Ringrazio Jade per
avermi recensito e anche i lettori silenziosi :)
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Capitolo 3 *** Di vichinghi e camomille ***
cicatrici_3
Day after day it reappears
Night after night my heartbeat shows the fear
Ghosts appear and fade away
Il giorno seguente poco era mancato che uscendo di casa iniziasse a
camminare all’indietro. Si era addormentata e si era svegliata con
questo mantra della “donna gambero” che Sarah le aveva messo in testa.
Entrò in dipartimento salutando appena, correndo al dispenser di acqua
calda con la sua tazza cercando disperatamente nel cesto delle bustine
una camomilla: non vedeva altra soluzione se non calmarsi per riuscire
a lavorare in modo attivo e proficuo al suo progetto di ricerca. Si era
sempre detta che il lavoro andava anteposto a qualsiasi cosa, quindi al
diavolo gamberi, aragoste e molluschi! Doveva riuscire a concentrarsi.
Era quasi riuscita a convincersi ad accantonare almeno momentaneamente
qualsiasi distrazione quando una voce leggermente roca la fece quasi
sobbalzare:
<< Buongiorno Iris. >>
Eccola l’ennesima distrazione, il re delle distrazioni in effetti. Thor
Solstad, professore di antico norvegese, decisamente scandinavo puro
nel sangue e nell’aspetto, che era stato effettivamente l’unica
distrazione di Iris fino al volo di qualche giorno prima. Una
distrazione, inoltre, con cui doveva lavorare, viste le iscrizioni
runiche che doveva analizzare per la sua tesi. Il nome di lei,
pronunciato con quell’accento decisamente duro, suonava più aspro del
normale, la sua erre tremendamente vibrante lo faceva sembrare una
specie di ordine perentorio, che lei, però, riusciva quasi a farsi
piacere, nonostante fosse tremendamente cacofonico e tremendamente mal
pronunciato.
<< Buongiorno professor Solstad >>
Rispose, ancora cercando la camomilla nella cesto dove erano stati
buttati alla rinfusa filtri di bevande di tutti i tipi. L’unico giorno
in cui avrebbe voluto tanto scappare dal vichingo proiettato nel
ventunesimo secolo, la tisana al finocchio, l’infuso al rabarbaro, il
te alle spezie e persino la menta piperita avevano fatto capolino, ma
di una normale camomilla nessuna traccia. Teneva gli occhi
incollati ai filtri multicolore, ma l’ingombrante presenza dell’uomo
esplicata in un’altezza decisamente invidiabile, una chioma fluente e
bionda e due occhi di sfumatura indefinita tra il verde e il blu, si
faceva sentire dietro di lei e non dava segni di volersi schiodare.
<< Iris, Iris....quante volte ti ho detto di darmi del tu? E chiamami per nome, ti prego! >>
Come se il nome ‘Thor’ potesse avere il benché minimo potere
rassicurante! Il freddo titolo accademico scansava decisamente meglio
qualsiasi equivoco.
<< Mi scusi, temo di non riuscire a distaccarmi da questa usanza del tutto italiana. >>
Eccola, la bustina salvifica di camomilla!
<< Bene, temo sia il momento per me di mettermi al lavoro.
>> sentenziò la donna, alzando finalmente gli occhi sul proprio
interlocutore. Alzandoli di parecchi centimetri.
<< Va bene, contattami pure quando hai bisogno per le iscrizioni. Sai che per me è un piacere. >>
<< Senz’altro. >> disse Iris, scivolando via dallo sguardo
sfumato dell’uomo. Almeno metà del dipartimento avrebbe pagato cifre da
capogiro per sentirsi dire qualcosa del genere. Lei, che aveva
una certa propensione a farsi parecchi film mentali, aveva capito
presto che Thor Solstad era un uomo che non si prestava ad alcun tipo
di immaginario romantico e che l’invito a ricontattarlo per lavoro non
si sarebbe mai trasformato in un invito a cena e che non ci sarebbe mai
stato un dopo cena a luci rosse di alcun tipo. Questo mancanza di
“romanticismo” nella gelida figura del giovane professore norvegese,
aveva portato un’inevitabile cotta senza uscita per Iris, che aveva una
terribile propensione per i casi umani, gli stronzi e gli anafettivi.
Non era in effetti una cosa così inusuale per il mondo femminile, per
lei poi era veramente un cliché: un ragazzo perfetto ti colma di
attenzioni e invece tu ti innamori di quello che non ti fila nemmeno di
striscio, un classico! Iris, col tempo, aveva perfezionato questa
tecnica di autodistruzione puntando da sola ai peggiori figuri privi di
sensibilità in circolazione, rassegnatasi ormai a passare la vita a
fare muffin al cioccolato in compagnia di Belzebù, il suo gatto nero.
Iris ingoiò una sorsata bollente di camomilla, incurante delle ustioni
e del sapore amaro della bevanda. Ora che le distrazioni erano
diventate due, probabilmente le sarebbe servito un valium.
Gli artefatti di epoca romana avevano raggiunto luoghi impensabili a
notevoli distanze dalla frontiera stessa dell’impero già decisamente
ampio. Le monete romane, ad esempio, soprattutto dell’epoca
dell’imperatore Adriano, erano giunte fino alla Danimarca e alla
Svezia. Come fosse possibile che questi oggetti avessero raggiunto quei
luoghi seppur in tempi in cui i trasporti non erano avanzati e in certe
regioni i viaggi potessero essere considerati perigliosi era compito di
Iris. Del fatto che quest’area di ricerca l’avrebbe portata a contatto
con Thor Solstad era del tutto ignara, però. Era successo tutto pochi
mesi prima, quando il relatore della sua tesi di dottorato le aveva
proposto di inserire un capitolo sulle iscrizioni runiche sulle lame
ritrovate in Danimarca. Lei aveva accettato di buon grado, ritenendolo
un argomento decisamente interessante, però, essendo a digiuno di
epigrafia runica chiese come avrebbe fatto a risultare credibile
scrivendo di un argomento a cui si sarebbe approcciata da profana. Fu
qui che arrivò la notizia bomba: il suo relatore aveva finalmente
deciso chi sarebbe stato il suo corelatore: il professor Thor Solstad.
Iris, incredibilmente, non l’aveva mai visto. Arrivato dalla
Scandinavia durante i mesi estivi, aveva mietuto poveri cuori a destra
e a manca, mentre Iris si godeva ancora l’estate toscana totalmente
ignara di cosa sarebbe accaduto. “Ritorna tra una settimana” disse il
professor Caesar, “vi conoscerete appena arriverà. L’ho contattato ieri
sera per proporgli questa collaborazione e ne sarà entusiasta”. Quando,
però, una settimana dopo aveva fatto il suo ingresso trionfale in
ufficio, dall’alto della sua statura, con un completo elegante e i
lunghi capelli biondi trattenuti da una coda sulla nuca, Iris era
rimasta di sasso. Aveva impiegato i successivi cinque minuti nel
tentativo di autoconvincersi che l’incredibile (e per certi versi
terribile) avvenenza del suo corelatore non avrebbe interferito in
alcun modo col suo lavoro. In vano.
Per i primi tempi era andata abbastanza bene: il suo timore
reverenziale per la sua eccellente preparazione accademica era riuscito
a tenere a freno i suoi ormoni. Poi, però, la situazione aveva
cominciato a sfuggirle di mano. Casualmente capitava allo stesso bar e
alla stessa ora del professore, casualmente passava venti volte in
un’ora davanti al suo ufficio. Ovviamente, la sua razionalità le diceva
che era totalmente fuori dagli schemi, se non totalmente inappropriato
che lei tentasse di avviare una storia romantica con il proprio
corelatore, ma a volte non riusciva proprio a trattenersi. Tanto, si
ripeteva inconsciamente, l’avvenente docente era totalmente fuori
portata.
Il professor Solstad, infatti, era algido come un cubetto di ghiaccio.
Il problema fondamentale era il suo carattere scandinavo come i suoi
tratti: cordiale ma schivo, condito con un pizzico di ruvidità di
maniere che non lo rendeva certo facile all’abbordaggio. Questa
circostanza di natura, unita al fatto che non apprezzava avance
dirette, lo rendeva una preda tanto ambita quanto irraggiungibile.
Iris era quindi tanto più solleticata dalla sfida, avvezza com’era a perdersi in amori decisamente impossibili.
Quel giorno, però, l’insolita gentilezza dell’uomo non era riuscita a
smuoverla. Aveva in testa un solo nome da qualche giorno e ormai temeva
le ci sarebbe voluto un po’ per farlo uscire.
Stava per sbattere la testa sullo schermo del pc sconsolata quando
Dave, che probabilmente era in ufficio già da un po’, le rivolse la
parola:
<< Ehy Iris, ti vedo in panne!! >>
L’interessata guardò la pagina word aperta davanti a lei: era vuota. Il
cursore lampeggiava solitario in un angolo a sinistra, come in uno
sconsolato SOS.
<< Sì, decisamente! >>
<< So io quello che ti ci vuole! >> asserì quindi lui, sembrando, per giunta, decisamente convinto.
<< Ah sì? Conosci un bravo analista? >>
Dave sventolò la mano per aria, come a voler dire che erano bazzecole.
<< No, una bella festa. >> aveva la faccia di chi la sa lunga.
Iris si limitò ad alzare un sopracciglio in risposta.
<< Maddai Iris! Suvvia! Conosci mia cugina Janice, no? Si è
appena trasferita e darà una festa domani sera per inaugurare
l’appartamento! Unisciti a noi! >>
La ragazza aveva appena aperto bocca per prendere il fiato necessario per ribattere, ma l’operazione le fu impedita da Dave:
<< Sappi che non accetto rifiuti. >>
Scrollò le spalle, rassegnata: e festa sia.
Nugae:
chiedo umilmente perdono!!!!!!! L'ultimo esame e la scrittura della
tesi mi hanno tenuta occupata fino a questa settimana, ma questa
mattina ho deciso di aggiornare per evitare di cadere nel dimenticatoio
(sempre che non sia già successo....). Spero che d'ora in poi gli
aggiornamenti siano più o meno regolari.....abbiate pietà per una
laureanda :P
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