Il canto dell'eroe

di Gulminar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PRELUDIO - Una visita inattesa ***
Capitolo 2: *** Una promessa impegnativa ***
Capitolo 3: *** Il dono di Viktor ***
Capitolo 4: *** Sangue sull’Hogwarts Express ***
Capitolo 5: *** Il professor Armin Stark ***
Capitolo 6: *** La prima lezione di Armin ***
Capitolo 7: *** Passeggiate notturne ***
Capitolo 8: *** La sfida del Drider ***
Capitolo 9: *** Fallimento ***
Capitolo 10: *** Consigli di guerra ***
Capitolo 11: *** La foresta ***
Capitolo 12: *** Resistere ***
Capitolo 13: *** Scontro nella sala sotterranea ***
Capitolo 14: *** Ultime speranze ***
Capitolo 15: *** L'ora degli addii ***
Capitolo 16: *** EPILOGO - Il saluto dell'eroe ***



Capitolo 1
*** PRELUDIO - Una visita inattesa ***


Il canto dell’eroe

A Giuly,
che mi è stata vicina anche se fisicamente distante.
Se non ti avessi incontrata sul web, non avrei scritto questa storia.

PRELUDIO

Una visita inattesa

Erano circa le tre del mattino, quando decisi di varcare la soglia dietro il ritratto della Signora Grassa. Sentii una stretta al cuore, non riuscivo a contare gli anni che mi separavano dall’ultima volta nella torre di Grifondoro. La nostra casa per sette anni indimenticabili, dove tutto era iniziato ed era finito, o forse proseguiva.
Entrai a quell’ora sperando che non ci fosse nessuno, dopo aver vagato senza meta nel castello. Ogni luogo mi ricordava qualcosa, ma probabilmente avrei pianto solo nella sala in cui stavo entrando.
La luce, proveniente dal caminetto, avvolgeva tutto in una deliziosa penombra rossa, calda e vibrante. La sala non era cambiata, se si escludevano alcuni mobili che non ricordavo, ma non ebbi tempo per le considerazioni. Alcune sagome scure erano sedute intorno ad uno dei tavoli fra me e il fuoco, percepii i loro sguardi. Entrando dovevo aver interrotto una conversazione, ovviamente non aspettavano visite a un’ora simile. Non so se fu più il dispiacere di averli disturbati o quello di non essere solo.
“Chi è?” Disse una voce maschile nell’oscurità.
Intuii, dal suo tono, che era indispettito dalla mia intrusione e non faceva nulla per nasconderlo.
“Solo un vecchio Grifondoro, con la voglia di rivedere questo posto dopo tanti anni.” Risposi in totale sincerità.
“Allora accomodati.” Disse la medesima voce, ammorbidendo il tono.
Mi sedetti al tavolo all’unico posto libero, percependo la curiosità dei presenti. Pur sapendo che era improbabile, ebbi l’impressione che non avessero mai incontrato qualcuno che fosse stato a Hogwarts prima di loro. La curiosità crebbe, quando una candela fu accesa senza preavviso e poterono notare la benda nera che mi copriva l’occhio sinistro, la mia elaborata collezione di cicatrici e il braccio destro mancante. Di solito, il mio aspetto da perfetto rudere di guerra suscita timore nelle persone, ma per quei ragazzi non fu così.
Di fronte a me stava il giovane che mi aveva rivolto la parola. Ho ricordi rari di sguardi tanto penetranti. Aveva lisci capelli neri che gli arrivavano alle spalle, un ciuffo scendeva a lato della fronte piegandosi sull’occhio destro, coprendolo quasi del tutto. Teneva una ragazza sulle ginocchia, passandole un braccio intorno ai fianchi, ricordo che la trovai piuttosto carina. Lunghi capelli biondi e sguardo vispo, muoveva le dita fra i capelli del ragazzo accarezzandoli, mentre mi osservava con attenzione. Alla loro destra stava un’altra ragazza, grassoccia e piuttosto bruttina, ma ispirava simpatia, mi sorrideva apertamente. C’era poi un ragazzo di bassa statura e corporatura massiccia, spalle larghe davvero invidiabili e il cipiglio di un gladiatore. Una terza ragazza dai cappelli lunghi fino alle cosce, rossi come fuoco, davvero bella di viso. L’ultimo era un ragazzo alto con il fisico del nuotatore, indossava soltanto una canottiera e la muscolatura era messa in risalto dalla luce del fuoco. Fu lui a presentarsi per primo.
“Jason Wood.” Disse, porgendo la mano che io strinsi.
“Helmut Tatcher.” Buttai lì il primo nome che mi venne in mente, doveva essere un Corvonero che avevo conosciuto di sfuggita molti anni prima.
Sentii il ragazzo che avevo di fronte ridere sommessamente, dunque sapeva che non stavo dicendo la verità. Gli rivolsi lo sguardo più eloquente che riuscii a tirare fuori, sperando che decidesse di reggere il mio gioco e che gli altri non notassero quella comunicazione silenziosa.
Disse di chiamarsi David e mi presentò la congrega. La ragazza bionda si chiamava Jessy, quella grassoccia era April. Capelli di fuoco era Lynn e il gladiatore disse di chiamarsi Adam.
“Tu devi aver fatto la guerra contro Voldemort.” Asserì Jason.
Non fu una domanda, per il ragazzo era stata più forte la curiosità delle buone maniere. David mi risparmiò di rispondere, ma ancora non sapevo che la situazione stava per precipitare.
“Certo che ha fatto la guerra, ma forse non ne vuole parlare.”
Gli rivolsi uno sguardo che voleva essere di gratitudine. Gli altri non obiettarono, David doveva essere il leader naturale del gruppo, se la sua parola non era legge, poco ci mancava. Speravo fosse finita lì, ma lui continuò inesorabile.
“Non ti faremo domande, ma almeno dicci il tuo vero nome.”
Strinsi i denti, gli sguardi di tutti andavano da me a David, il suo sorriso mi sfidava.
“Dal momento che lo sai, perché non lo dici tu?” Risposi.
Non ho mai saputo resistere alle sfide, è più forte di me. Avevo ancora una minima speranza che si sbagliasse, avrei avuto la meglio facendogli fare una figuraccia.
“A che gioco state giocando?” Insorse Adam il gladiatore. Gettò uno sguardo a David, essere tenuto all’oscuro di qualcosa doveva dargli parecchio fastidio.
“Nessun gioco, ma lui non è Helmut Tatcher come afferma. Ha combattuto contro Voldemort, sì, ma il suo nome è un altro.”
“Ce ne renderesti partecipi?” Disse la ragazza bionda sulle sue ginocchia.
“Il suo nome è Ronald Weasley.”
Chiusi il mio unico occhio, percependo che tutti, tranne David, avevano di colpo trattenuto il fiato. La piccola compagnia stava per esplodere, lo sentivo, avrebbero cominciato a parlare tutti insieme facendomi le domande più disparate. Come succedeva a chiunque mi stesse intorno, quando capiva di aver accanto uno degli eroi più celebrati della guerra contro Voldemort. Mi sorpresi non poco, quando mi resi conto che non stava accadendo, solo April fece per alzarsi.
“Allora vado a chiamare gli altri!” Esclamò.
“No!” David la bloccò a metà movimento, la ragazza si rimise a sedere lentamente. “Credo che il nostro eroe di guerra preferisca evitare ulteriori complicazioni, sono certo che sperava di non trovare nessuno venendo qui.”
Ragazzo intelligente, confermai con un cenno del capo.
“Non ce lo perdoneranno mai.” Obiettò April.
“Non è necessario che lo vengano a sapere.” Liquidò la questione David. “Ho sempre desiderato ascoltare i fatti di quella guerra da qualcuno che li ha vissuti realmente. Ne ho incontrati tanti che dicevano di avervi partecipato, ciarlatani e buffoni quasi tutti, la maggior parte aveva fatto la guerra dietro una scrivania e si atteggiavano a grandi eroi. Vorrei sentire la tua storia, ma se preferisci parlare del commercio internazionale delle banane, non ne farò un dramma.”
Forse avevo già deciso mentre parlava, quei ragazzi mi erano simpatici e qualcosa mi diceva che non avrebbero insistito se mi fossi rifiutato. Il commercio internazionale delle banane sarebbe stato di certo un argomento interessante, ma i loro sguardi speranzosi non mi lasciarono scampo.
“D’accordo, armatevi di pazienza perché non sarò breve, non ho mai raccontato questa storia prima d’ora, quindi voglio farlo bene.”
“Io non ho sonno.” Disse Adam con un’alzata di spalle.
“E non dobbiamo andare da nessuna parte.” Asserì Jason.
“Preparo del caffè!” Disse Lynn alzandosi.
Sorrisi, quei ragazzi mi ricordavano i bei tempi di Hogwarts, quindi mi concentrai per richiamare fatti che avevo da tempo sepolto in profondità. Andai all’inizio dell’anno che cambiò la vita del Mondo Magico. Lynn posò sul tavolo diverse tazze colme di caffè fumante, ne aspirai l’aroma e cominciai a raccontare.

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Capitolo 2
*** Una promessa impegnativa ***


Una promessa impegnativa

“91… 92… 93…”
Era fine estate ma il freddo era già brutale, la temperatura precipitava non appena il sole svaniva oltre il profilo dei giganti rocciosi. Quelle altissime montagne erano il luogo più selvaggio e inospitale che Ron avesse mai visto, ma le aveva amate fin dal primo momento. Indossava soltanto una maglietta a maniche corte, il corpo sudato nonostante il freddo, dalla mattina non faceva altro che esercitarsi.
“103… 104… 105…”
Quel giorno non aveva battuto Aisha in duello. Il maestro gli aveva ordinato di dare cinquecento colpi per braccio prima di potersi ritirare, mentre Aisha preparava la cena. La lama della spada fendeva l’aria, si bloccava, risaliva, tornava ad abbassarsi.
“109… 110… 111…”
“Può bastare così.”
La voce bloccò Ron a metà del movimento. Il maestro lo osservava stando in piedi sulle rocce che dominavano lo spiazzo di terra battuta, che era il loro campo di addestramento abituale. Faceva sempre così, compariva dal nulla, non c’era volta che lo si sentisse arrivare.
“Esegui il Passo del Colibrì.”
Ron rivolse la spada all’indietro, fece perno su un piede per ruotare e portò il colpo in avanti. Il peso dell’arma lo sbilanciò, facendolo stramazzare ingloriosamente nella polvere. Il maestro si mise una mano sul volto e scosse la testa.
“Come si può insegnare grazia ed eleganza ad un orango con una putrella in mano? Va bene, anzi, non va bene per niente, ma è da questa mattina che lavori sodo, riposati ora.”
Ron appoggiò la spada alle rocce e cominciò ad asciugarsi il sudore con uno straccio, era esausto in effetti e cercò senza successo di non farlo notare. Il maestro gli comparve accanto, Ron non si era accorto che fosse sceso dalle rocce. Era vecchio, in un modo che non riusciva ad immaginare, a volte gli sembrava anziano quanto le montagne su cui viveva. Eppure combatteva ancora, erano dolori quando decideva di fare sul serio. Nel corso dell’estate, Ron si era ritrovato spesso ridotto a mal partito, con Aisha che lo medicava magicamente, altrettanto di frequente era accaduto il contrario. Farsi calpestare da Grop sarebbe stato quasi preferibile al subire la tecnica di spada di quel vecchietto terribile. Non conosceva il suo nome, sapeva soltanto che era un potente mago che aveva scelto di abbandonare la bacchetta per la spada, ritirandosi a vivere in solitudine su quelle montagne. Aveva vissuto perfezionando la sua tecnica incessantemente. Di rado accettava allievi e quindi compagnia, Aisha aveva sempre detto che era un grande onore essere accolti presso di lui. Sembrava anziano e fragile a prima vista, ma con o senza una spada in mano era in grado di scatenare una potenza terribile. Ron avrebbe voluto averlo al proprio fianco per la guerra, ma sapeva che non sarebbe accaduto. Al maestro non interessava cosa succedeva nel mondo.
“Vieni con me.”
Ron si buttò il mantello sulle spalle, cominciava a sentire il freddo. Seguì il maestro lungo il sentiero che s’inerpicava fino alla vetta di una rupe scoscesa. Il vecchio passava le notti lassù, con qualunque condizione climatica, cadendo in trance meditativa. Giunti alla sommità, si sedettero l’uno di fronte all’altro, studiandosi per un breve momento.
“Presto tornerai in Inghilterra.” Esordì il maestro.
Ron sentì una morsa di ghiaccio stringergli lo stomaco.
“Preferisco non pensarci.” Disse a denti stretti.
“Pensiamoci invece, mancano pochi giorni. Ora non devi fare l’errore di credere che la tua preparazione sia completa.”
La mente di Ron non poteva essere più lontana dal formulare tale presunzione, ma non lo disse, il maestro proseguì.
“Occorrono anni per padroneggiare una buona tecnica di spada, tu hai avuto una sola estate, ma hai la doppia fortuna di essere molto forte e di avere una speciale predisposizione alla disciplina. Ritengo stupefacenti i progressi che hai fatto in pochi mesi, ma, ripeto, non devi pensare di essere completo, nemmeno di esserci vicino. Vorrei poterti trattenere qui, ma so che non è possibile…”
“Come farò quando non sarò più qui?”
Normalmente non avrebbe avuto il coraggio di interrompere il maestro, ma porre quella domanda era stato più forte di lui.
“Dovrai aver pazienza, per un po’ di tempo. Un giorno incontrerai una persona, un altro mio allievo, uno dei migliori che ho avuto, lui completerà il tuo addestramento.”
“Come lo riconoscerò?”
“Sarà lui a riconoscerti, si svelerà a te quando lo riterrà opportuno.”
“Voi e Aisha mi mancherete.”
“Anche tu ci mancherai, ma è un’altra la questione di cui voglio parlarti. Quella ragazza, come si chiama? Hermione, dico bene?”
Ron annuì, sentendo la bocca seccarsi. Il discorso che più di ogni altro sperava di evitare. All’inizio non aveva parlato di Hermione al maestro, ma il vecchio sapeva scrutarti l’anima. Intuire quale fosse il problema principale del giovane allievo non gli era stato difficile.
“Ne dobbiamo proprio parlare?”
“Sì, è un punto di importanza cruciale. Devi farmi una promessa.”
Ron annuì nuovamente.
“Appena la vedrai, le dirai ciò che provi.”
“Ma io…”
“Ron!” Il maestro troncò sul nascere qualsiasi forma di protesta. “Quel sentimento ti distruggerà se lo tieni prigioniero. È la principale fonte della tua forza, allo stesso tempo la tua più grande debolezza, sarà la tua rovina se continui a soffocarlo. Prometti!”
“Farò il possibile.”
“Non basta! Voglio una promessa!”
“Lo prometto.”
“Bene, stai attento a ciò che fai ragazzo, potrei anche decidere di lasciare le mie montagne per venirti a cercare, se non dovessi mantenere. Puoi andare, Aisha ti aspetta per la cena.”
Il maestro chiuse gli occhi, pronto alla meditazione. Ron sapeva che, a quel punto, qualsiasi conversazione era da considerarsi conclusa.
Scese dalla rupe con il cuore in tumulto, il maestro aveva ragione su tutto, ma lui era perseguitato da una paura folle. Se Hermione gli avesse detto che per lei era solo un amico, che il sentimento da parte sua non era lo stesso, probabilmente, l’ultimo colpo di spada l’avrebbe usato per staccarsi la testa.
L’arma era dove l’aveva lasciata, accarezzò il nome inciso in caratteri rossi sotto l’impugnatura.
Hermione.
Il nome che aveva dato alla sua spada, che per lui significava ogni cosa. Presto avrebbe rivisto lei e tutti gli altri, avrebbe dovuto affrontarli e spiegare la sua assenza.
Prima che iniziasse l’estate, aveva scoperto di possedere un particolare talento per la spada e aveva chiesto a suo padre di trovargli un buon maestro. Arthur Weasley si era fatto in quattro, aveva voluto rintracciare il migliore per suo figlio, una ricerca andata a buon fine. Aveva detto a Ron che, se voleva, poteva passare l’estate su quelle montagne lontane, ad apprendere da un maestro di spada senza eguali. Lui aveva accettato subito.
Con la mente tornava troppo spesso a quella notte al ministero, quando era morto Sirius, il suo apporto era stato pressoché nullo, più che altro era stato un peso per i compagni. Voleva rendersi utile alla causa quasi quanto desiderava Hermione, così aveva cercato qualcuno che lo facesse diventare forte. Non sapeva cosa avesse dovuto inventarsi suo padre, per rintracciare quel maestro, contattarlo e convincerlo a prendere Ron fra i suoi allievi. Ora capiva perché Arthur aveva rinunciato al lavoro al Ministero, quando non gli era stato dato il periodo di ferie necessario. Subito dopo aveva raccolto i suoi pochi risparmi ed era sparito, diretto non si sa dove. Era tornato alcune settimane più tardi, dimagrito, sfinito e malato, e aveva detto a Ron del maestro.
Come avrebbe spiegato tutto questo ai suoi amici, ai fratelli, alla ragazza che amava? Era un bel dilemma. Non aveva fatto parola del progetto, temendo che non accettassero la cosa, ma lui voleva diventare forte per loro. Quando era partito, soltanto i suoi genitori sapevano. Molly gli aveva dato un bacio sulla fronte, dicendo che non approvava, ma se era quella la strada che sentiva sua, non l’avrebbe ostacolato. Arthur, accompagnatolo alla stazione, gli aveva stretto la mano ordinando scherzosamente di non azzardarsi a tornare, prima di essere diventato un grande schermidore. Forse avrebbe detto subito la verità, forse solo che era stato in giro a esercitarsi. Fra quelle montagne era tutto così semplice e lontano dalle preoccupazioni, sapeva che avrebbe pianto nel lasciarle. Forse Hermione non gli avrebbe più rivolto la parola, la possibilità esisteva ma non voleva pensarci. Di certo lei e Harry avevano rivolto domande incessanti ai suoi per tutta l’estate, ma era anche sicuro che Molly e Arthur si erano mantenuti fedeli all’impegno di non parlare.
Si mise la spada sulla schiena. Pensarci era strano, ma si sentiva preparato ad affrontare Voldemort in persona più che Hermione.

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Capitolo 3
*** Il dono di Viktor ***


Il dono di Viktor

Il terreno umido cedeva dolcemente sotto i piedi, la campagna sapeva del temporale scoppiato nel pomeriggio e durato fin quasi al tramonto. Il fiume correva ingrossato dalle piogge e la sua voce riempiva la sera. Ron provava i movimenti per l’infinitesima volta, la sola cosa che riuscisse a tranquillizzarlo. Faceva freddo, ma riusciva appena a ricordargli il gelo delle montagne che aveva lasciato da poco, per questo gli era gradito.
Tornare alla Tana e rivedere tutti era stato piacevole, ma svegliarsi nel suo letto e non nel giaciglio con accanto Aisha gli era sembrato stranissimo. Nei mesi passati sulle montagne, era stata la sua compagna di addestramento a dargli calore e affetto. Il maestro era stato molto presente, ma era fra le braccia di Aisha che si era gettato nei momenti di sconforto. Al momento di salutarsi, lei lo aveva baciato, con sorprendente trasporto, lui aveva risposto. Aisha sapeva di Hermione, sapeva che Ron non poteva darle ciò che voleva, alla fine era stato solo un bel modo di salutarsi. Non voleva pensarci, non in quei termini. Se Hermione l’avesse rifiutato, sarebbe potuto tornare da lei. Era ingiusto, egoista, soprattutto verso Aisha, che non avrebbe gradito il ruolo di ruota di scorta, ma l’idea di tanto in tanto lo stuzzicava. Almeno avrebbe avuto qualcuno disposto a consolarlo che non fosse sua madre.
Si era aspettato di trovare Harry e Hermione alla Tana, ma non era stato così, li avrebbe rivisti solo alla stazione. Questo gli aveva evitato sgradevoli scenate in famiglia e dato qualche giorno in più per rimuginare, mentre preparava la partenza.
Suo padre gli aveva riferito le novità, molte delle quali si aspettava già di sentire. In certe zone del paese era guerra aperta fra Auror e Mangiamorte, con gravi perdite da entrambe le parti, in altre si continuava con lo spionaggio e restavano tranquille. Hogwarts era ancora il luogo più sicuro, ma molte famiglie non lo volevano capire e la scuola sarebbe stata semivuota. Harry aveva passato l’estate con l’Ordine della Fenice, cercando gli Horcrux. Hermione era rimasta alla base, con il gruppo incaricato di distruggere ciò che la squadra operativa recuperava. Doveva essere stato un periodo estenuante per tutti.
Gli pesava non essere stato con loro, ma era meglio così. Non si sarebbe reso molto utile, non era mai stato un granché con la bacchetta, i fatti del Ministero di due anni prima lo confermavano. Aveva fatto bene a partire per imparare l’uso di un’arma che sentiva più sua, per poterli aiutare in qualche modo.
Osservò la lama della spada brillare alla luce delle stelle, un’arma magica creata per un mago guerriero. Era quello che voleva essere, per i suoi amici e per se stesso.
Se pensava a come l’aveva avuta, stentava ancora a crederci.


Nevicava e le raffiche di vento scuotevano le pareti della Tana. Ron stava cercando di concentrarsi sul compito che Hermione gli aveva affidato, trovare cose utili in un vecchio libro raccattato chissà dove. Non era fatto per quel genere di mansioni, ma voleva rendersi utile e aveva trascorso così buona parte delle vacanze natalizie.
Qualcuno bussò e Molly sbirciò all’interno, senza attendere di essere invitata a entrare.
“C’è una visita per te.” Disse semplicemente e richiuse la porta.
Chiunque fosse, era benvenuto, almeno poteva allontanarsi per qualche istante dal libro, da cui non stava togliendo niente di utile.
“Viktor Krum!” Esclamò allibito, quando giunse in fondo alle scale.
Molly stava asciugando magicamente il mantello del visitatore. Viktor sembrava reduce da un lungo viaggio, teneva un grosso involto sotto braccio, protetto da una spessa tela cerata.
“Possiamo parlare in privato?” Gli chiese soltanto.
“Sì, certo!” Riuscì a rispondere. “In camera mia.”
“Posso portarvi qualcosa da bere?” Si intromise Molly, ma Krum scosse la testa.
“Grazie signora, vado via subito.”
Se Voldemort in persona si fosse presentato alla Tana, chiedendo di poter usare il bagno, ne sarebbe stato meno sorpreso.
Ron chiuse la porta della propria stanza, Krum lo stava già osservando con attenzione. Non aveva posato l’involto che teneva sotto braccio, come se fosse stato restio a separarsene.
“Noi due siamo innamorati della stessa ragazza.” Esordì, il suo inglese era molto migliorato.
Ron sentì un moto di rabbia salirgli al petto, ma a stento lo soffocò.
“Supponiamo.” Concesse gelido.
“Questo è per te.” Proseguì il bulgaro, cambiando apparentemente argomento.
Ron afferrò l’involto che l’altro gli porse, era molto pesante, anche se nelle mani di Krum non lo era sembrato. Lo posò precipitosamente sul letto.
“Aprilo.”
Ron obbedì, strappando la tela cerata e numerosi strati di carta senza ricorrere alla magia. All’interno dell’involto era stato messo un magnifico spadone a due mani, dall’impugnatura finemente lavorata in rosso e oro, due colori che conosceva molto bene. Era l’arma degna di un re delle fiabe, la luce della stanza danzò sulle dorature davanti allo sbalordimento di Ron.
“Non capisco.” Disse, volgendo lo sguardo verso Krum.
“Non c’è molto da capire.” Tagliò corto il bulgaro. “Quella è una spada incantata, un’arma molto potente. Devi promettermi che la userai per proteggere Hermione.”
Ron deglutì a fatica, la richiesta era logica e assurda come tutto il resto allo stesso tempo. Avrebbe dovuto dire qualcosa, ma non riuscì a pensare a nulla di sensato.
“Non ringraziarmi. Impara ad usare quella spada, diventa forte per Hermione.”
“Io…”
“Promettimi di usarla per proteggere Hermione e farò tutto il possibile perché tu non mi veda mai più.”
“Te lo prometto.”
A quel punto, Krum era già sulla porta.
“Grazie Ronald, addio.”


Ed era sparito, lasciandogli la spada.
In seguito, Ron si era reso conto che era l’arma ideale per lui. Meno di un anno era passato da quello strano incontro, erano successe così tante cose da dargli l’impressione di aver attraversato diverse esistenze in pochi mesi. La faccenda del Principe Mezzosangue, la fine di Silente per mano di Piton, la permanenza con il maestro e Aisha.
Stava cercando di immaginare la reazione degli amici il giorno successivo. Quando si erano visti l’ultima volta, era semplicemente Ron, ma l’estate passata sulle montagne era bastata a cambiare il suo fisico, altro che Quidditch. Sorrise, pensando alle loro facce nel vederlo così irrobustito e con lo spadone al fianco.
“Tua madre si sta chiedendo quando ti deciderai a venire a mangiare.”
Ron non si volse nemmeno, immaginò suo padre che sorrideva.
“Non ho fame.”
“Strano da parte tua.”
“Potere dell’amore.” A questo punto Ron si volse con un sorriso. “E della spada.”
“Già.” Convenne Arthur. “Ti senti pronto?”
“Assolutamente no.”
“Cosa farai con Hermione? Le dirai la verità?”
Ron avrebbe preferito evitare quel genere di domande, ma ormai non poteva più farlo, era diventato il punto cruciale per tutti. Per fortuna Fred e George non erano a casa per via del lavoro, ora era armato e pericoloso, avrebbe potuto macchiarsi di duplice fratricidio.
“Proverò.”
Arthur non sembrò soddisfatto della risposta, ma dovette decidere di non insistere, perché si diresse verso la Tana.
“Non fare tardi, o tua madre diventa insopportabile.” Si raccomandò.
“Suona strano detto da te che la sopporti da una vita. Vengo fra un minuto.”
Proverò.
Doveva smettere di vivere con i proverò.
Peccato non poter risolvere tutti i problemi con la spada. Considerò il masso che usava per riposarsi, la lama ebbe un fremito e un velo di fiamme viola scaturì dal metallo per tutta la lunghezza. Calò l’arma, il masso fu spaccato in due parti da un taglio dai bordi irregolari, schegge volarono. Il fuoco violaceo si spense e il potere si dileguò.
Si faceva quasi paura, pochi maghi avrebbero potuto respingere un attacco simile.

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Capitolo 4
*** Sangue sull’Hogwarts Express ***


Sangue sull’Hogwarts Express

Il paesaggio scorreva oltre il finestrino con ritmo ipnotico. Ron si rese conto che lo stava osservando da troppo tempo, che negli ultimi dieci minuti non avevano scambiato parola. Le rivolse nuovamente lo sguardo, Hermione lo scrutava dal sedile opposto. Pareva voler capire quanto fosse cambiato.
La prima reazione della ragazza nel vederlo era stata molto piacevole, erano rimasti abbracciati per un quarto d’ora buono, poi il lato razionale aveva preso il sopravvento su quello emotivo ed erano arrivati rabbia, un paio di ceffoni e domande a valanga. Hermione furiosa era uno di quegli avversari che non poteva affrontare con la spada.
Harry non era sul treno, sarebbe giunto a Hogwarts in altro modo. Solo la versione ufficiale riportava che il ragazzo sopravvissuto si trovava sul treno, in un vagone corazzato e sorvegliato costantemente dagli Auror. Diversivi del genere erano prevedibili, se ci era cascato lui, non significava che l’avrebbero fatto anche i Mangiamorte.
Ginny era rimasta con loro fino al momento di occupare i posti, ma subito dopo si era allontanata con una scusa, lasciandoli soli. Il maestro lo avrebbe definito il momento buono per mantenere la promessa, ma Ron sentiva ancora la paura bloccarlo. Senza contare che Hermione emetteva ondate di rabbia percepibili a pelle.
“Chi ti ha messo in testa questa storia dell’essere inutile?”
L’aveva vista furiosa tante volte, ma questa era particolarmente brutta.
“Nessuno.” Si strinse nelle spalle. “Mi sembrava palese.”
La risposta si rivelò molto sbagliata, anche se sincera. Hermione gli afferrò le mani, era sul punto di esplodere. Non c’entrava nulla, ma quel contatto fisico gli fece piacere. Parlavano già da più di un’ora, aveva perso il conto di quante volte si era fatta ripetere le sue ragioni. Le aveva detto tutto, partendo dalla notte al Ministero e tralasciando solo la visita di Victor. Era palese lo sforzo della ragazza per non perdere del tutto il controllo. Riuscire a portare Hermione Granger sull’orlo della crisi era un primato che, sul momento, non gli parve lusinghiero.
“Perché non mi hai detto niente?”
Hermione era sull’orlo delle lacrime, ma a Ron non sfuggì che si era appena espressa al singolare. Quindi non si parlava di Harry o di chi per lui, ma solo di loro due.
“Non volevo farti preoccupare!” Disse a voce troppo alta.
Aveva spiegato le sue ragioni troppe volte per un Weasley, anche con gli insegnamenti del maestro su cos’è la pazienza. In più, detestava vederla piangere, soprattutto quando la causa delle lacrime era lui, quindi quasi sempre.
“Temevo che non approvassi, che non mi lasciassi partire! Ma dovevo farlo, per noi, per te.”
Si era già scusato per l’essere partito senza dire niente, ma ovviamente non bastava. Hermione si protese verso di lui, ora piangeva.
“Cosa pensi abbia importanza per me? Ron, ti voglio bene per come sei! E questo non dipende dai muscoli o da quel pezzo di ferro che ora ti tiri dietro!”
Era molto vicina e gli stringeva ancora le mani.
Baciala, cretino!
La voce del maestro tuonò nella sua mente.
Se era il momento giusto, non lo avrebbe mai saputo. Un suono terribile sfrecciò lungo il corridoio, ovattato dai vetri dello scompartimento, giunse fino a loro. Ron lo qualificò come una via di mezzo fra il ruggito di un leone e l’urlo di un uomo ferito a morte. Entrambi volsero lo sguardo al corridoio, l’incanto del momento si spezzò.
“Cos’è stato?” Domandò Hermione.
“Non ne ho idea.”
“Vado a vedere.”
“Ci sono gli Auror.”
“Sono Caposcuola, è mio dovere.”
Il corridoio era deserto, nessuna traccia degli Auror che avrebbero dovuto pattugliarlo costantemente. Questo era molto strano, alla McGranitt non sarebbe piaciuto venirlo a sapere. Ron seguì Hermione con il piglio severo della guardia del corpo, la spada sulla schiena.
Avevano fatto pochi passi quando l’urlo agghiacciante si ripeté. Giunsero dove terminavano i vagoni per i passeggeri, una piccola folla si era già radunata davanti al portello del vagone bagagli, degli Auror nessuna traccia. Le urla si ripetevano a intermittenza, alternandosi a schianti poderosi. Qualcuno o qualcosa stava facendo a pezzi il vagone bagagli. Hermione si fece largo nella piccola folla, davanti al portello c’erano i Capiscuola di Serpeverde e Corvonero, che le rivolsero un cenno interrogativo, come se lei avesse potuto avere la risposta. Ron rimase indietro, qualcosa lo aveva distratto, un odore che aveva sentito parecchie volte durante l’estate. Sangue, parecchio per giunta, proveniva dalla toilette. Senza farsi notare, ne socchiuse la porta e gettò uno sguardo all’interno, ma la manovra non sfuggì a Hermione.
“Che succede?” Domandò la ragazza.
Ron chiuse la porta con decisione.
“Non fare entrare nessuno là dentro, è uno spettacolo orrendo.” Si limitò a dire.
Hermione non discusse e incantò la porta.
Nella toilette erano stati ammassati i corpi dilaniati di tre Auror, fatti a pezzi da qualcuno o qualcosa che doveva essere maledettamente forte. Li aveva uccisi altrove, nella toilette non c’era spazio, forse nel corridoio, ma non c’erano tracce di sangue, probabilmente erano state fatte sparire magicamente. Per di più nessuno si era accorto di niente e non erano scattati allarmi, dovevano aver a che fare con un mago molto in gamba. Ron si portò davanti al portello del vagone bagagli, chi fosse quel mago non era il problema più immediato. Qualunque creatura vi fosse là dentro, una volta finito di fare a pezzi le valigie, avrebbe cominciato con gli occupanti del treno. Hermione era distratta a ordinare ad alcuni ragazzi di tornare ai loro posti, ottima idea, gli altri presenti stavano discutendo fra loro. Nessun Auror in vista, toccava decisamente a lui. Con mano ferma aprì il portellone e si buttò all’interno, chiudendolo al volo e incantandolo con il sortilegio più potente che gli venne in mente. Hermione avrebbe potuto infrangerlo, ma le sarebbe occorso tempo.
Ripose la bacchetta e sguainò la spada. Il fondo del vagone era ricoperto da uno spesso strato di bagagli fatti a pezzi, sarebbe stato solo un po’ più semplice del combattere nel fango. Non aveva mai visto la creatura, né gli era capitato di studiarla. Non sapeva dargli un nome, di certo era la cosa più pericolosa che avesse mai incontrato, ma almeno non era un ragno. Era spaventato comunque, ma il maestro gli aveva spiegato più volte come trasformare la paura in energia. Si concentrò sul pensiero che solo lui e un portello metallico separavano quel mostro da Hermione.
La creatura gli rivolse uno sguardo quasi umano, quando si rese conto della sua presenza, disinteressandosi immediatamente dei bagagli. Era una specie di enorme cane cornuto, dalla muscolatura poderosa, tre grossi artigli per zampa, la bocca simile a quella di un coccodrillo. L’aria nel vagone era quasi irrespirabile, l’alito pestilenziale era la prima arma della bestia.
Ron si avvicinò alla parete, dove gli artigli avevano aperto squarci da cui filtrava aria dall’esterno. Quel movimento ridusse lo spazio di manovra, ma svenire per il fetore non sarebbe stato un buon inizio. Fece fluire tutto il potere dentro la spada, la fiamma viola percorse la lama fino in punta.
La bestia parve valutarlo per un istante, poi scattò in avanti senza preavviso. Ron si gettò a terra d’istinto e rotolò verso il lato opposto, il mostro cozzò contro il portello da cui il ragazzo era entrato. Ron si rimise in piedi, stessa situazione di poco prima. Stava freneticamente cercando un punto debole. Non poteva vincere sul piano fisico, una zampata l’avrebbe ridotto come gli Auror nella toilette, non c’era spazio per far stancare la bestia, sarebbe stato stanco prima lui.
“LUMOS SOLEM!”
La lama della spada brillò come una stella, Ron abbassò gli occhi un istante prima, la bestia fu colta alla sprovvista e abbassò la guardia per il momento decisivo. Ron colpì con tutta la forza di cui disponeva, cogliendo il bersaglio, l’occhio sinistro del mostro esplose in un’eruzione di sangue fetido. La bestia si fece precipitosamente indietro, stridendo di rabbia, ma si ricompose in fretta. Studiò Ron con l’occhio buono, forse lo aveva sottovalutato, ma non sarebbe più caduta nell’errore. Allungò una zampata e colpì direttamente la lama della spada, Ron fu scagliato contro la parete del vagone. Voleva separarlo dall’arma, se ci riusciva era la fine. Il ragazzo mantenne la presa ma a terra si trovò scoperto. Il mostro scattò e gli fu addosso, Ron afferrò una valigia rimasta integra con la mano libera e la cacciò fra le fauci spalancate. La bestia tentò di dilaniare la valigia, che comunque le lasciava liberi gli artigli, Ron se li sentì affondare nel fianco. Lottò con il dolore per rimanere lucido, il peso lo schiacciava e da quella posizione non poteva colpire. Fece tutto istintivamente, afferrò la spada a metà della lama, sentì le dita aprirsi, il fuoco magico strinargli la carne, ma non si fermò. La via era stata aperta dal colpo precedente, con le ultime forze affondò la punta nell’orbita sanguinante, spingendola più a fondo che poté. Il mostro emise un urlo agghiacciante, mentre la lama gli spaccava il cervello, le zampe persero forza e franò addosso al ragazzo.
Prima di svenire, Ron ebbe la confusa visione del portello che si apriva di schianto e di Hermione che correva verso di lui.

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Capitolo 5
*** Il professor Armin Stark ***


Il professor Armin Stark

Era strano vedere la Sala Grande così vuota, le tavolate occupate a dir tanto per metà. Era ciò che Silente aveva sempre cercato di evitare, ma lui non c’era più. I suoi inviti a restare uniti parevano aver miseramente fallito.
Ron sedeva accanto a Harry, Hermione non lo guardava e mangiava in silenzio. L’ordine era che rimanesse in infermeria almeno fino al giorno successivo, ma era stato irremovibile. Non avrebbe perso il Banchetto d’Apertura del suo ultimo anno, a costo di curarsi da solo. Tutti avevano cercato di dissuaderlo, nello stupore generale, madama Chips aveva acconsentito.
Si era ripreso trovando Harry che lo osservava con attenta preoccupazione, Hermione addormentata nel letto accanto. La ragazza aveva avuto un crollo nervoso nel vederlo in quelle condizioni, madama Chips aveva dovuto farle un forte incantesimo del sonno per lavorare. Harry era stato combattuto fra lo strangolare Ron, per aver ridotto così Hermione, e il sollievo di vederli entrambi vivi, dopo che gli era stato riferito l’accaduto.
“Pazzo di un Weasley!” Aveva sbottato alla fine, aprendosi in un sorriso.
Non avevano parlato molto di ciò che era accaduto sul treno, né di quello che era successo in estate, si sarebbero vicendevolmente aggiornati in seguito. La Sala Grande non dava loro la possibilità, Ron era diventato di colpo l’eroe del giorno, la voce di ciò che aveva fatto si era sparsa immediatamente in modo incontrollato. Appena entrato, era stato assalito da un fiume di domande, da chi voleva vedere o toccare la spada, chi complimentarsi, chi ringraziarlo. Persino alcuni Serpeverde erano venuti a congratularsi. Harry si era dato un gran da fare per liberarlo dagli improvvisati fan, pareva particolarmente avvezzo a situazioni del genere, gli aveva fatto notare Ron per prenderlo in giro.
A cena non si parlò d’altro che della sua impresa, con Harry che invitava i compagni a lasciarlo mangiare in pace e il silenzio di Hermione che lo feriva.
Nella sala tutto tacque quando Minerva McGranitt si alzò in piedi. Come nuovo preside di Hogwarts, era toccato a lei aprire l’anno.
“Ringrazio tutti voi e le vostre famiglie per essere qui. Non credo ci sia bisogno di ricordarvi i pericoli che ci sovrastano. Ciononostante, l’anno scolastico procederà come previsto. In accordo con il Ministero della Magia, la scuola sarà sorvegliata dalle Squadre Speciali Auror.”
“Speriamo non la sorveglino come hanno fatto con il treno.” Commentò qualcuno.
“Mi aspetto la massima collaborazione da ognuno di voi, confido nel fatto che in questa situazione le regole non siano infrante.”
Nessun accenno ai fatti del treno, com’era prevedibile.
“Diamo ora il benvenuto a Elizabeth Miller, comandante degli Auror che sorveglieranno Hogwarts per l’intero anno.”
Una ragazza con lunghi capelli neri e occhi scintillanti si alzò dal tavolo dei professori e rivolse un cenno del capo alla sala. Molti la giudicarono subito troppo giovane per essere al comando degli Auror distaccati a Hogwarts. Si levò un applauso, ma non fu troppo convinto.
“E ad Armin Stark, che ha gentilmente accettato la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure.”
Un uomo con corti capelli biondo castani e un accenno di barba incolta si alzò in piedi. L’applauso fu più convinto, ma anche lui parve troppo giovane per l’incarico affidatogli.
“Inoltre, il professor Stark sarà il nuovo responsabile della Casa di Grifondoro.”
Diverse, fra le ragazze della Casa chiamata in causa, trattennero il fiato, a sottolineare subito cosa pensava il pubblico femminile del nuovo professore. Anche Hermione gli diede un’occhiata che Ron giudicò troppo impegnata.


La Sala Comune di Grifondoro non dava l’impressione di trovarsi in tempo di guerra, l’atmosfera era quella di una festa. Tutti erano ansiosi di celebrare l’eroe che avevano già da tempo, Harry, e quello nuovo, Ron. Hermione era corsa subito nella camera a lei riservata in quanto Caposcuola, Ron avrebbe voluto parlarle per capire cosa non andava, ma Harry gli aveva saggiamente consigliato di aspettare un momento più tranquillo.
Si erano buttati nella festa da una mezzora, quando il buco del ritratto si aprì e il professor Stark fece il suo ingresso davanti agli attoniti Grifondoro. Ron notò nuovamente che diverse ragazze trattenevano il fiato.
“Fa piacere vedervi di buon umore.” Esordì. “E mi dispiace dovervi interrompere. Ronald Weasley e Harry Potter mi seguano, subito.”
Detto questo svanì oltre la soglia. Ron scambiò un’occhiata con Harry, che alzò le spalle per sottolineare la sua totale estraneità alla cosa. Nessuno fece domande, la sala si limitò a osservarli mentre seguivano in silenzio il professore.


Stark li condusse in quello che era stato l’ufficio di Silente, ora di Minerva McGranitt. La nuova preside li studiò da dietro la scrivania, con lo sguardo che pareva voler incenerire Ron.
“Signor Weasley, immagino che lei si renda conto di cosa ha fatto oggi.” Esordì.
Ron avrebbe voluto dire che aveva solo fatto fuori un cane troppo cresciuto e molto brutto, ma si guardò bene dal farlo. Non sapeva proprio come rispondere, il professor Stark, in piedi a lato della scrivania, venne in suo aiuto.
“Quello che hai ucciso era un Mastino Infernale.”
La McGranitt non lo lasciò continuare
“Nessun mago della vostra età ha mai potuto vantare l’uccisione di un Mastino Infernale! Gettarsi in quel vagone senza la minima cognizione su cosa vi avrebbe trovato! Mi spiega cosa le è saltato in mente?”
La McGranitt batté un pugno sul tavolo, Ron non si era preparato a quel momento, troppo impegnato a fare l’eroe di giornata.
“Non c’erano Auror…” cercò di difendersi.
“Lo so, gli unici presenti erano morti! Vi assicuro che il Ministero risponderà di questa mancanza! È di lei che sto parlando! Non vedendo Auror in giro ha pensato di essere l’unico a poter fare qualcosa, dico bene?”
“Non l’ho pensato, ne ero… quasi certo.”
Harry lo guardò stranito e orgoglioso a un tempo, non si aspettava tanto sangue freddo davanti alla McGranitt.
“Se mi è concesso, signora preside…” si intromise il professor Stark, la McGranitt lo guardò malissimo ma lo invitò comunque a proseguire.
“Io avrei fatto la stessa cosa e, mi conceda una piccola presunzione, anche lei.”
“Sì, certo.” Dovette ammettere la preside dopo una breve esitazione. “Signor Weasley, il suo gesto è fra le cose più coraggiose e allo stesso tempo più stupide che abbia mai visto, la sua compagna Hermione Granger è svenuta tre volte, vedendola in quello stato.”
Ron chiuse gli occhi, se la McGranitt voleva colpire duro, aveva trovato il modo giusto.
“Ma è anche vero che lei ha salvato la vita a quanti erano sul treno, vista l’assenza di chi dovrebbe effettivamente difenderci. Trecento punti saranno assegnati al Grifondoro. Per quanto riguarda lei, mi accontento di questo richiamo verbale a essere prudente, ora potrei stare officiando al suo funerale. Inoltre, il professor Stark sarà incaricato personalmente di tenerla sempre d’occhio. Potete andare.”


Ron non vedeva l’ora di uscire dall’ufficio, l’aria del corridoio gli parve molto più leggera.
“Non prendetevela, ha passato uno spavento terribile.” Osservò il professor Stark.
“La conosciamo bene.” Rispose Harry.
“Mai vista così furiosa.” Disse Ron, scrutando l’ingresso che si chiudeva lentamente.
“Non hai visto niente di quello che è capace di fare.” Commentò il professore. “Ma direi che ci è andata di lusso.”
I ragazzi annuirono, rilasciando la tensione in sorrisi stanchi.
“Professore…” cominciò Harry.
“Chiamatemi Armin.”
“Armin, il treno doveva essere uno dei luoghi più sorvegliati, com’è potuto accadere?”
“Bella domanda, a cui qualcuno dovrà rispondere. La McGranitt farà tanto di quel chiasso che al Ministero vorranno tutti cambiare lavoro.”
“Che può dirci del Mastino Infernale?”
“È una creatura tanto forte quanto malvagia, come Ron ha avuto modo di constatare. Non appartiene al nostro mondo, bisogna farcelo arrivare attraverso incantesimi molto complessi. Occorre un incantatore potente ed esperto per evocarlo e impedirgli di uccidere chi l’ha evocato.”
“È assurdo. Un mago così potente è potuto salire sul treno, ha evocato quella cosa ed è sceso, senza che nessuno se ne accorgesse.”
“Senza contare che il Mastino Infernale può aver fatto a pezzi quegli Auror, ma non credo sia stato lui a metterli dentro la toilette e a ripulire il corridoio.” Aggiunse Ron.
“Questo ci da l’idea di quanto sia grave la situazione. Non vorrei essere al posto dei responsabili della sicurezza del treno, stanotte cadranno parecchie teste. Il nemico è riuscito a infiltrarsi in uno dei luoghi che ritenevamo più sicuri, significa che non abbiamo certezze, forse nemmeno qui a Hogwarts.”
“Non le ho più avute da quando è morto Silente.” Commentò Harry.
Erano ormai al quadro della Signora Grassa, il ragazzo sopravvissuto stava per dire la parola d’ordine ma Stark lo fermò.
“Devo riferirti alcune cose da parte di Remus Lupin.”
Harry annuì.
“Come forse saprai, lui è qui, con tutto l’Ordine della Fenice. Quest’anno non potrai seguire le lezioni insieme ai tuoi compagni, Hanno preparato un programma d’addestramento alternativo solo per te. Mi dispiace, ma è quanto hanno deciso.”
“Potevano chiedermi cosa ne pensavo!” Disse Harry stizzito.
“Ho pensato la stessa cosa.” Concesse Stark. “Questi sono gli ordini, sei libero di non obbedire, ma io te lo sconsiglio, per il bene di tutti.”
Tutte le implicazioni stavano nelle ultime cinque parole, Harry annuì di malavoglia, stringendo la mano al professore e sparì nel buco del ritratto.
“Per quanto riguarda te…” Stark si rivolse a Ron, che era ancora accanto a lui, parve studiarlo per un istante. “Prima di tutto, i miei complimenti per l’impresa di oggi. Chiunque abbia fatto salire sul treno quel coso, di certo non si aspettava che ci fosse un pazzo armato di spada a fermarlo.”
Ron gli strinse la mano ricambiando il sorriso.
“Ma, dal momento che devo tenerti d’occhio, vedi di rigare dritto.”
Ron annuì, il professore gli diede la buonanotte svanendo nell’oscurità del corridoio. Mentre raggiungeva la Sala Comune, Ron si rimproverò di non averlo ringraziato per l’aiuto con la preside.

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Capitolo 6
*** La prima lezione di Armin ***


La prima lezione di Armin

Poche cose nell’ufficio di Armin Stark, soltanto l’essenziale. Essenzialità era la parola più indicata per definirlo. Stava seduto da un paio d’ore alla scrivania, piuma e pergamena posate sul piano di legno. Anche con tutta la buona volontà, non sapeva come iniziare.
Il camino alla sua sinistra si animò di colpo, guizzanti fiamme verdi che non avevano bisogno di legna lambirono la trave di sostegno della cappa. Armin lasciò la scrivania e si pose in attesa dei suoi ospiti.
Emerse prima un uomo, corti capelli neri, pizzetto ben disegnato e aria da intellettuale. Strinse Armin in un abbraccio fraterno senza proferir parola. Al seguito apparve una donna, lunghi capelli color della notte, grandi occhi viola, volto da bambina ma sguardo da guerriera. Abbracciò a sua volta Armin, prima che lui li invitasse a sedersi.
“Avevi ragione.” Fu l’uomo a cominciare. “Abbiamo trovato il punto d’evocazione, poco lontano dalla ferrovia.”
“Qualche indizio sull’identità dell’evocatore?”
“Nessuno.”
Armin annuì, esattamente ciò che si era aspettato di sentire, ma dagli sguardi dei due visitatori capì che c’era dell’altro. Con un cenno del capo li invitò a proseguire.
“Poco lontano dal primo.” Fu la donna a parlare. “Un altro punto d’evocazione.”
Armin aggrottò la fronte.
“Di cosa?”
La donna non rispose, afferrò la piuma rimasta inutilizzata e tracciò un simbolo rosso sulla pergamena, qualcosa che il professore avrebbe preferito non vedere.
“Siete sicuri?”
“Assolutamente.” Rispose l’uomo. “Evocatori diversi, impossibile dire in quanti li hanno aiutati, nessuna traccia di lotta.”
Evocatori potenti. E completamente pazzi.
Armin non tradusse il pensiero in parole, lasciò passare qualche secondo.
“Se quello che vogliono è la distruzione totale, sono sulla buona strada.” Commentò.
“Perché hai voluto vederci qui?” Domandò la donna.
L’ombra di preoccupazione che aveva oscurato il volto di Armin si dissipò, il giovane professore sorrise ai due.
“Diciamo che siete appena diventati miei assistenti.”
“Assistenti?”
Armin non rispose, si alzò e si fece scivolare il mantello intorno alle spalle.
“Muovetevi, abbiamo una lezione.”
“Lezione?”
Scambiandosi sguardi interrogativi, i due lo seguirono nel corridoio.


Harry fece posto a Ron alla tavola di Grifondoro. Il rosso aveva il respiro pesante, portava addosso il profumo dell’umida aria mattutina e della foresta. Erano a Hogwarts da una settimana, Ron si svegliava sempre prima degli altri, andava nella Foresta Proibita e si esercitava con la spada. Due ore ogni mattina e due nel pomeriggio, lezioni permettendo. La McGranitt gli aveva concesso di portare l’arma sempre con sé, ma si era preoccupata di incantare personalmente il fodero, poteva sguainare solo in caso di pericolo imminente e nella foresta.
Ron cercò lo sguardo di Hermione, lo trovò solo per un instante. La ragazza parve volersi concentrare sulla colazione, che finì svogliatamente. Poco dopo si alzò senza salutare nessuno, diede le spalle alla tavolata e svanì oltre il portone.
“Perché mi evita?” C’era angoscia nella voce di Ron, Hermione non gli rivolgeva la parola dal rocambolesco giorno del treno.
“Mi pare che eviti tutti.” Fece Harry, senza distogliere lo sguardo dalla propria colazione.
“Harry…”
“D’accordo, è sconvolta dal tuo cambiamento.”
“In che senso?”
“Nel senso che deve abituarsi al nuovo Ron.”
“Sono sempre io.”
“Non sei lo stesso dei sei anni passati.” Harry sorrise. “Ora sei armato e pericoloso, uccidi i Mastini Infernali, rispondi alla McGranitt senza problemi, sono tutte ottime cose, ma Hermione deve abituarsi all’idea.”
“Perché tu ci riesci e lei no?”
“Non è la stessa cosa.”
Io non sono follemente innamorato di te.
Quella parte Harry non la pronunciò, ostinatamente deciso a non interferire.
“Le passerà, devi solo darle tempo. L’Ordine mi aspetta, ci vediamo a pranzo.”
Gli allungò una pacca sulla spalla, il bacio che diede a Ginny fu troppo veloce, insoddisfacente per entrambi, e svanì a sua volta oltre il portone.
“Faccio paura anche a te?”
Ron rivolse quella domanda alla sorella senza pensare, gli venne dal cuore. Ginny si avvicinò, per poter parlare senza che altri sentissero, gli prese una mano fra le proprie.
“Essere eroi è duro quanto essere amici di eroi.”
Era un libro aperto per lei, lo era sempre stato.
“Me ne sto rendendo conto.” Ammise, masticando amaro. Lei gli strinse più forte la mano, avrebbe voluto abbracciarla ma si trattenne.
“Io sono molto fiera di ciò che hai fatto. Anche Hermione lo è, quando sarà pronta te lo dirà.”


“Benvenuti a tutti.”
La voce sicura di Armin Stark rimbombò all’interno dell’aula, mentre il professore passava in rassegna il gruppo di lavoro del settimo anno. Per la mancanza di buona parte degli studenti, le Case erano state accorpate in un’unica classe, che comunque lasciava vuota parte della sala.
“Cercherò di conoscere ognuno di voi personalmente, non vi chiedo ora i nomi perché non li ricorderei nemmeno per venti secondi. Prima di iniziare, vi presento i miei assistenti.” Indicò coloro che lo avevano accompagnato. “Mio fratello Erwin e sua moglie Penelope.”
I due interpellati fecero un forzato cenno d’assenso, entrambi palesemente in una situazione che non avevano previsto. La donna era rigida sul posto, ma si sforzava di sorridere. L’uomo, senza dubbio fratello del professore, pareva meno a disagio. Un sommesso mormorio percorse l’aula, diversi ragazzi definirono Erwin Stark un uomo fortunato.
“Avrete modo di conoscere anche loro. Ora, io sono un uomo d’azione, quello che so l’ho imparato sul campo, ed è sul campo che imparerete anche voi. Faremo poca teoria e molta pratica, tre lezioni a settimana più una sfida. Le lezioni ci serviranno per preparare le sfide, ovviamente non affronterete solo maghi.”
Parlando scriveva sulla lavagna i punti salienti del discorso, essenziale anche in quello.
“Abbiamo preparato una serie di creature che dovrete affrontare, ovviamente più andremo avanti e più il gioco si farà duro. Divideremo l’anno in tre cicli, le creature saranno più o meno le stesse per ogni ciclo. Nel primo combatterete divisi in gruppi da tre, nel secondo sarete a coppie, nel terzo dovrete vedervela in solitaria. Ovviamente abbiamo tenuto la sorpresa migliore per il gran finale, una prova che affronterete collettivamente, ma non vi dico di più. Ora seguitemi.”
Senza aggiungere altro, si avviò a passo deciso attraverso l’aula. L’intera classe si accalcò all’uscita, Erwin e Penelope, improvvisati assistenti, chiusero il gruppo.


In molti avevano fatto caso alla nuova struttura sorta nei pressi di Hogwarts, sul limitare della Foresta Proibita. Un grosso parallelepipedo grigio, cui si accedeva da un solo ingresso e senza finestre. Chiunque ci si fosse avvicinato in quei primi giorni di scuola, aveva solo potuto appurare che era accuratamente sigillato. La grande sala all’interno era vuota, se si escludeva un tozzo blocco di metallo a ridosso del muro di fondo. A Ron ricordò qualcosa che suo padre gli aveva mostrato, ciò che i Babbani chiamano cassaforte.
“Qui affronterete le creature.” Spiegò Stark. “Che usciranno dalla gabbia che vedete in fondo. Ricreeremo magicamente il loro habitat, quindi dovrete combattere sul terreno dei vostri avversari. Ovviamente non sarete soli, io e i miei assistenti sorveglieremo dall’alto.” Accennò con un gesto a tre balconcini inseriti al mezzo delle pareti non occupate dalla gabbia. “Pronti a intervenire se ci fossero problemi, in modo che nessuno si faccia male. Ci sono domande?”
“Che creature affronteremo?” Fu chiesto da molti, altri fecero i nomi di mostri che avrebbero voluto affrontare, o di cui avevano il terrore.
“Calma, per ora soltanto io e la preside McGranitt conosciamo l’elenco.” Stark impose il silenzio con ampi gesti delle mani, prima che le domande diventassero un vociare caotico. “Non abbiate fretta, saprete ogni cosa a tempo debito. Ora potete andare, ci vediamo lunedì in aula.”
Armin Stark rideva, aveva un sorriso e una parola per tutti, un volto e una voce che facevano battere più forte i cuori delle ragazze. Sembrava aver più entusiasmo lui dei suoi studenti, ed era contagioso, nemmeno i più cupi fra i Serpeverde riuscivano a sottrarsi del tutto.
Ron tornò al castello senza saper di preciso cosa pensare. Alcuni sembravano entusiasti del programma proposto dal professore, altri intimoriti, soltanto Hermione non mostrava emozioni. Ron cercò di avvicinarla in mezzo alla folla, mai lei parve fare di tutto per allontanarsi, come se avesse avvertito la sua presenza.
Ottimo risultato, Ronald Weasley della malora, se ci fosse il maestro, ti appenderebbe per le dita dei piedi, per non dire di peggio.

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Capitolo 7
*** Passeggiate notturne ***


Passeggiate notturne

Fin dal primo giorno, il corso di Armin Stark si era rivelato entusiasmante. Finalmente stavano imparando davvero a combattere. Ron si era lasciato coinvolgere al punto che settembre era passato, come anche buona parte di ottobre. I momenti esaltanti erano stati molti, da stentare a ricordarli tutti, ma svanivano in fretta. Hermione aveva ricominciato a rivolgergli la parola, all’inizio solo perché erano stati messi nella stessa squadra. I gruppi si dovevano a Erwin Stark, forse informatosi presso gli altri professori sulle affinità fra gli studenti. Lui e Hermione avevano ricevuto Dean come terzo elemento. Lei era perfetta come sempre, una mente da stratega di cui i due ragazzi erano i bracci armati. La loro squadra era la più micidiale, l’affiatamento perfetto.
Le sfide erano gli unici momenti in cui la sentiva vicina. Non era ancora riuscito ad affrontare l’argomento cruciale, l’unico che gli stesse a cuore sul serio. Con le conversazioni erano tornati anche i litigi, improvvisi e violenti, quasi attesi da tutti. Si sentiva un verme ogni volta, per fortuna il susseguirsi delle lezioni gli impediva di rimuginarci troppo sopra. La vita del settimo anno era frenetica, il tempo per fermarsi a ragionare quasi inesistente. Il problema rimaneva.


La brezza gelida passò fra i capelli che gli coprivano le spalle. Stava sulla bastionata esposta a nord, il vento soffiava da quella direzione. Strinse i bordi del parapetto merlato, sottili strati di ghiaccio si sbriciolarono. Essere altrettanto freddo, il maestro ci riusciva perfettamente.
Il maestro.
I sensi di colpa lo travolgevano ogni volta che pensava al vecchio. Anche lui pensava all’allievo lontano? Sapeva cosa stava passando e che non riusciva a mantenere la promessa?
“A quanto pare, non sono l’unico a cui piace il freddo.”
C’era qualcun altro sulla bastionata, ombra fra le ombre. Armin Stark lo osservava da breve distanza, comodamente seduto sul parapetto. Ron non lo aveva sentito arrivare e nemmeno sedersi. Un brivido gli percorse la schiena. Fino a un istante prima, la bastionata era stata deserta e non aveva sentito il classico suono della materializzazione.
“Qualcosa ti turba.” Proseguì Stark.
Ron esalò il respiro, riportando lo sguardo verso il lontano orizzonte notturno.
“Diverse cose.” Ammise.
“Hai fatto una promessa al maestro e non la stai mantenendo.”
Ron riportò lo sguardo sul professore, trovando il solito sorriso accomodante.
“Voi…”
“Io.”
Stark annuì scostando i lembi del mantello, la luce irreale della luna danzò sulle impugnature di due spade corte.
“Il maestro mi ha chiesto di occuparmi di te, sapevo che a Hogwarts cercavano un insegnante di Difesa e mi sono offerto volontario.”
Volteggiò agilmente a terra di fronte al giovane allibito, il mantello si ridispose intorno alla figura, nascondendo le armi.
“Vieni nel mio ufficio domani, dopo le lezioni, cominciamo a fare sul serio.”
Gli diede le spalle dirigendosi verso l’ingresso più vicino, lasciandolo solo e attonito nel buio del bastione.


“Come l’ha presa?”
Erwin sedeva nell’oscurità dietro la scrivania del fratello. Armin si tolse il cinturone con le spade e lo ripose accanto al mantello, si prese un momento per rispondere.
“Com’era prevedibile.”
“Cominciamo domani?”
“Ovvio. Penelope?”
“Fuori, in cerca di notizie.”
“Non pensi che corra troppi rischi?”
“Sì, ma chi sono io per impedirle qualcosa?”
“Suo marito.”
Erwin sogghignò nel buio. Armin si sedette e accettò il bicchiere colmo di liquore scuro che il fratello gli porse.
“E io sono tuo fratello.” Proseguì. “L'ultima cosa che voglio è vederti soffrire.”
La risata di Erwin si spense. Il buio non era un problema per loro, vedeva chiaramente lo sguardo severo di Armin.
“Penelope sa badare a se stessa, è più potente di me.”
“C’è un Mietitore Errante là fuori da qualche parte. Non devo ricordarti cosa significa.”


Accumuli di ghiaccio che scricchiolano sotto i piedi, aria gelida, alito che condensa in impalpabili volute bianche.
Hermione lasciò l’androne della porta, sfidò il gelo di fine ottobre e attraversò la bastionata. Lui non era rientrato, era di molto oltre l’orario consentito. Lo faceva spesso, ma quella sera si sentiva inquieta. Era uscita a cercarlo obbedendo all’istinto, senza ascoltare la voce della ragione. Lui non era rientrato e lei era preoccupata, il sentimento più semplice.
Solo tenebre e silenzio sul bastione. Hermione non chiamò il suo nome, c’era qualcosa di sacrale nell’oscurità silenziosa, che non voleva disturbare.
Giunse alla merlatura, la campagna era avvolta dalla bruma e dalla luce incerta della luna. Hogwarts aveva decine di bastioni simili, eppure era certa di non aver scelto a caso. Lui era lì, da qualche parte, la mente può sbagliare ma non il cuore, non in situazioni come quella. Un comportamento tanto irrazionale non era da lei, ma non ci voleva pensare, da un po’ di tempo faceva cose inspiegabili, anche stupide alle volte. Afferrò il bordo di pietra ricoperto di ghiaccio e cercò di trarre tranquillità dalla sensazione del gelo attraverso i guanti.
“Passeggiata notturna, Granger?”
Non la voce che sperava di sentire, passi diversi da quelli che cercava.
Kwain, Eton Kwain, Caposcuola Serpeverde. Hermione rabbrividì, non per il gelo. Draco Malfoy non era più a Hogwarts, non si era presentato all’appello di inizio anno. Draco Malfoy era solo un ricordo spiacevole, Eton Kwain ne aveva preso il posto a tutti gli effetti. Stessa spacconeria, medesima arroganza, con la differenza che non aveva bisogno di tirapiedi alle spalle per spadroneggiare. Era viscido e infido quanto Draco Malfoy, ma di ben altra tempra.
“Sei venuta a cercare Weasley?” Derisione, forse disprezzo, nella voce di Eton.
“Niente che ti riguardi.” Gelo, in quella di Hermione.
Il ragazzo la afferrò per la spalla, la costrinse con uno strattone a girarsi. Le puntò la bacchetta contro il viso, una luce malefica brillava in punta.
“Guardami quando ti parlo.”
Hermione fece il possibile per non apparire intimidita, stava per estrarre a sua volta ma allontanò la mano dalla tasca dove teneva la bacchetta. Pensò che quello zotico non meritasse nemmeno lo sforzo.
“Che cosa vuoi?”
“Non lo intuisci?”
La bacchetta di Eton si abbassò, muovendosi sapientemente, le aprì il primo bottone della giacca, s’insinuò nell’incavo fra i seni e tornò indietro. Un assaggio, niente di più, per il momento.
“Cosa ti fa pensare che io sia disposta?”
La voce era ferma, ma cominciava ad avere paura.
“Non sei in grado di negarmi niente.”
Eton sorrise, mostrandole la bacchetta che le aveva appena sfilato dalla tasca, senza che lei se ne accorgesse. La paura divenne terrore.
Sentì la sua unica arma ruzzolare da qualche parte nell’oscurità del bastione. Cercò di uscire dalla trappola ma Eton la costrinse contro la merlatura, le afferrò i polsi e li chiuse in una morsa. Ora che era disarmata, per violentarla gli bastava la forza bruta.
“Sarai espulso.”
Hermione chiuse gli occhi, girò la testa dall’altra parte, mentre Eton gli passava la lingua sul collo, sulla guancia, sul lobo dell’orecchio.
“La mia parola contro la tua.”
“I morti non parlano.”
Eton sgranò gli occhi, come se la voce fosse stata un colpo di frusta alla schiena. Hermione intuì una sagoma fatta d’oscurità alle spalle del ragazzo, che si voltò a fronteggiarla. Il nuovo venuto lo superava di tutta la testa, indossava un mantello che lo rendeva più nero della notte stessa.
“E tu sei morto.”
“Stupeficium!”
Un dardo di luce scattò dalla bacchetta di Eton, l’altro si limitò ad alzare una mano aperta, disarmata. L’incantesimo colpì il palmo, vi si accumulò sotto forma di una piccola sfera.
“Troppa paura, troppa fretta, troppo facile controllarti.”
La mano si chiuse schiacciando il globo di luce, il potere dell’incantesimo sibilò e si dissolse in fumo. Eton era bianco come un cadavere, si allontanò da Hermione ma trovò la merlatura.
“Stai lontano da me!”
Non riuscì a dire altro. La mano che aveva vanificato l’incantesimo si chiuse intorno alla bacchetta e la spezzò, con due dita.
“Sparisci.”
Il giovane Serpeverde non se lo fece ripetere, batté in ritirata svanendo nell’oscurità.
Hermione si gettò fra le braccia del suo oscuro salvatore, che la strinse a sé e la baciò sulla fronte. Fu solo la reazione allo spavento, la ragazza si tirò indietro quasi subito e si addossò nuovamente alla merlatura. Lo sguardo che gli rivolse era incerto, spaventato.
“Che c’è? È finita, non devi più aver paura.” Ron allargò le braccia, sinceramente sorpreso.
“No, Ron, non è finita!”
Hermione negò con la testa, disperazione nel suo sguardo? Ron si avvicinò di un passo, ma lei indietreggiò ulteriormente, come se volesse montare sulla merlatura. Il ragazzo rinunciò ad avanzare, Hermione era scossa, tremava come una foglia. Se il meccanismo era quello, rischiava d’indurla a buttarsi di sotto.
Tu mi fai paura!”

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Capitolo 8
*** La sfida del Drider ***


La sfida del Drider

Si massaggiò uno dei tanti nuovi lividi, sotto il mantello in modo che nessuno lo notasse. Sentiva male anche a parti del corpo che non sapeva esistessero. Era addossato con la schiena a un pilastro, in attesa che la lezione di Difesa iniziasse. Molti lo osservavano, diversi gli chiedevano cosa avesse, a tutti rispondeva che stava bene. La sola persona da cui desiderava quel genere di attenzioni stava lontana, in disparte, evitava il suo sguardo come la peste. Tirò un profondo respiro, i muscoli del torace protestarono tutti insieme.
“Tutto a posto?”
Una voce amica, finalmente. Harry lo scrutava attento. Annuì ma non fu convincente.
“Tu?”
“Sono in pausa.”
“Vai da Ginny allora.”
“Ha lezione.”
“Che sfiga.”
Harry dovette annuire.
“Non sarai molto utile in guerra, se ti massacrano in addestramento.”
Ron ridacchiò.
“Sono incredibili. Erwin è fortissimo ma qualche colpo riesco a darglielo. Penelope invece è talmente veloce che non riesco nemmeno a vederla.” Gli brillavano gli occhi mentre parlava, la voce vibrava di ammirazione. “Ha una strana spada con la lama che sembra storta e che viene dal Giappone, la chiama katana.”
“Ho presente. E il professor Stark?”
“Lui per ora osserva e mi dice cosa sbaglio, praticamente tutto.”
Le persone in questione apparvero nel corridoio, Armin Stark per primo, Erwin e Penelope lo seguivano dappresso. Il professore rivolse un cenno di saluto ai due e passò oltre, la folla di studenti si aprì per lasciarlo passare. Ron salutò Harry e seguì gli altri, nell’entrare incrociò per un istante lo sguardo di Hermione, ma lei abbassò gli occhi immediatamente.
Il ciclo di scontri a tre si era concluso. Una lavagna sospesa magicamente a mezz’aria mostrava la classifica finale di rendimento, largamente dominata dal trio Granger, Thomas, Weasley. Accanto ad essa ne era apparsa una seconda, con gli abbinamenti per il ciclo degli scontri a coppie, stilati dall’instancabile mano di Erwin Stark. Ron scrutò fra i nomi, cercò la coppia che gli interessava e la trovò, esattamente dove si era aspettato di vederla.
Granger Hermione, Weasley Ronald.
Regolare.

Volse lo sguardo alla cattedra, per un momento incontrò quello di Armin Stark, che parve invitarlo a sedersi. Prese posto notando che Eton Kwain aspettava di vedere dove si sedeva lui, per andare a sistemarsi il più lontano possibile. Succedeva ad ogni lezione, non poteva far a meno di soffocare una risata nel palmo della mano. La comicità della cosa sfumava, quando gli tornavano in mente le parole di Hermione. Se aveva voluto fargli male, c’era riuscita alla perfezione.


“Pensavo che stando in coppia con lei i problemi si sarebbero risolti.”
C’era amarezza nella voce di Armin Stark, più di quanta fosse lecito aspettarsi. Si era innegabilmente affezionato a Ron, forse anche più del previsto.
“Per qualche giorno l’ho pensato anch’io.” Ammise il rosso.
Il gelido vento invernale batteva il bastione, sollevava mulinelli di ghiaccio ma loro non sembravano farci caso. Era lo stesso luogo dove aveva salvato Hermione, a Ron sembravano trascorsi secoli da quella notte.
La girandola di lezioni e scontri era proseguita come prima, con la differenza che non c’era più Dean a combattere con loro. L’atteggiamento di Hermione non era mutato, pianificava gli scontri e combatteva da veterana. Lei gli diceva come, dove e quando colpire, lui lo faceva con assoluta precisione. Per certi duelli bastava un colpo di spada ed era tutto finito. La coppia Granger e Weasley era saldamente in testa alla classifica di rendimento, ma era ben magra soddisfazione. La freddezza di Hermione continuava con cupa fermezza.
“Se continuate così, non avrò più creature da mettervi contro.” Armin diede voce a parte dei suoi pensieri.
“Non è un problema che debba pormi io.” Sentenziò Ron. “Io devo solo uccidere i mostri.”
“E dichiararti a Hermione.”
“È più facile uccidere i mostri.”
Entrambi risero.
“L’hai invitata al ballo di stasera?”
Ron annuì. Natale era arrivato e stava per andarsene, il ballo previsto per la serata sarebbe stato l’unica celebrazione di una festa molto dimessa.
“Ha accettato?”
“Sì.”
“Bene, chissà che non si possano chiarire un po’ di cose.”
“Armin!”
Una voce squillante vinse il soffio del vento, li costrinse a dare le spalle alla merlatura. Elizabeth Miller li osservava dall’androne della porta, Ron seguì il professore e la raggiunsero. Sotto il mantello, il capo degli Auror indossava un elegante abito da sera di pizzo nero. Ron deglutì a fatica, era a dir poco splendida.
“Sei meravigliosa.” Si limitò a dire Armin, passandole un braccio intorno alla vita e un rapido bacio sulle labbra.
“Voi vi conoscete?” Chiese Ron, preso in contropiede dagli eventi.
Elizabeth gli rivolse un gran sorriso.
“Compagni di addestramento.” Rispose con semplicità.
Ron si sentì improvvisamente di troppo e arrossì, sorridendo come un idiota. Armin era anche un Auror del Ministero, non avrebbe mai smesso di sorprenderlo.
“Io…” La voce cominciò a uscirgli a stento. “Io… ho lasciato le castagne sul fuoco!”
Non capì da dove gli venne quella boiata delle castagne, ma andò bene per dileguarsi.


Al ballo si era divertito, ma non perché fosse mezzo ubriaco. Al secondo bicchiere, si era messo a dire bestialità con Harry, che era del tutto sbronzo. I fratelli Stark si erano uniti e il campionario delle idiozie era andato allargandosi a dismisura. Le ragazze avevano riso alle lacrime, poco dopo erano iniziate le danze. Prima di rendersene conto, era uscito dalla sala grande continuando a volteggiare come nel ballo, con Hermione fra le braccia.
Posò la ragazza sui gradini di una scalinata, Hermione cercò di riprendere fiato. Così piccola e leggera, l’aveva fatta volare a suo piacimento, per ore. Stava per dire qualcosa, ma lei lo anticipò, buttandogli le braccia al collo.
“Adesso ti riconosco!”
Ron la strinse, assaporando una soddisfazione che troppo a lungo gli era stata negata.
“Sono sempre stato qui.”
“Lo so, mi dispiace.”
“Lascia stare, non mi va di parlarne, a patto che sia finita.”
“È finita.”
“Non lasciarmi mai più solo.”
“Anche tu.”
Avrebbe voluto baciarla, ma lei lo stringeva troppo forte.


Armin evocò davanti a loro l’immagine della nuova creatura, quello che apparve non piacque a Ron. Nemmeno gli altri ne furono entusiasti, a giudicare dal brivido che percorse la sala. Solo l’immagine di quella cosa ispirava terrore puro.
“Chi sa dirmi cos’è questo?”
Una mano sola si sollevò, esattamente quella che tutti si erano aspettati si alzasse. Armin fece il possibile per nascondere l’esasperazione, era sempre una sola studentessa a rispondere al novanta per cento delle sue domande.
“Hermione?” Disse in tono di sconfitta, non si prese nemmeno l’incomodo di chiedere se c’era qualcun altro.
“È un Drider.”
“Molto bene, cosa sai dirci di questo abominio?”
Si rivolse direttamente a lei, era inutile sperare negli altri.
“I Drider sono creature abominevoli, vivono nelle profondità della terra predando qualsiasi creatura a sangue caldo. Hanno la parte superiore del corpo con le fattezze di un elfo scuro, mentre quella inferiore è di un ragno gigante. La loro doppia natura li rende molto pericolosi, poiché possono avvalersi delle abilità di entrambe le razze.”
“Esatto!” Armin interruppe Hermione, o avrebbe fatto prima a cederle il proprio posto in cattedra. “I Drider sono creature ripugnanti, per fortuna arrivano di rado nel nostro mondo. Essendo per metà elfi scuri, non è raro che un Drider sia anche un mago di buon livello, in più la sua mezza natura gli conferisce un ottimo grado di resistenza alla magia.”
“Ha punti deboli?”
Una domanda che venne dalla massa, velata di sarcasmo. Armin non si scompose e rispose quasi con sufficienza.
“È fatto di carne e sangue, può essere ferito e quindi morire. Occorre un mago molto potente per riuscire ad asservire un Drider, e anche quando ci si riesce, è un servo di cui non ci si può fidare. I Drider sono scarti della specie, se così vogliamo definirli, si dice che diventare Drider sia una sorta di punizione.”
“Per che cosa?”
“Ogni volta che un elfo scuro raggiunge determinate capacità, la malvagia dea Lolth può decidere di sottoporlo a una prova speciale.”
“Che genere di prova?”
L’interesse e la curiosità per cose tanto insolite stavano vincendo il timore iniziale, ma a Ron non sfuggiva la tensione generale. Per quanto riguardava lui, poteva vomitare al solo pensiero di dover affrontare quella cosa.
“Questo non lo sappiamo, probabilmente si sceglie a seconda della situazione o del candidato. Coloro che falliscono diventano Drider e sono banditi dalla società, c’è un odio profondissimo fra gli elfi scuri e i loro cugini decaduti. Penelope vi illustrerà i principali sistemi di attacco di un Drider, poi vedremo quali incantesimi possono avere efficacia.”
“Il Drider predilige gli attacchi di sorpresa, è abilissimo nel tendere imboscate, quindi, se si ha a che fare con uno di loro, o se ne ha il sospetto, è sempre buona abitudine…”
La voce di Penelope si perse in un giramento di testa, Ron si passò una mano sulla fronte coperta di sudori freddi. Hermione gli strinse forte l’altra mano, rendendosi conto di ciò che stava passando, questo tranquillizzò Ron, ma solo in parte.

 

*

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Capitolo 9
*** Fallimento ***


Fallimento

“Ron… Ron!”
Allontanò la mano di Harry e si girò dall’altra parte, sprofondando nelle coperte.
“Svegliati!”
“Che ore sono?”
“Tardi, perdiamo la colazione se non ti muovi.”
“Maledizione.”
“Non sei andato a esercitarti stamattina.”
“Non mi andava.”
Harry dovette giudicare la risposta poco soddisfacente, ma si accontentò lo stesso con un’alzata di spalle. Non si sbagliava, Ron era stato teso come la corda di un violino per tutta la settimana, spaventato dal pensiero di quel giorno.
Aveva una paura folle.
“Ti aspetto di sotto.”
Ron allontanò le coperte, ascoltando i passi di Harry lungo le scale. L’aria del mattino non gli era mai parsa tanto gelida, il suo letto tanto caldo. Si vestì svogliatamente e scese in sala grande, dove piluccò di malavoglia e tutto gli parve insipido.
Hermione aveva programmato lo scontro nei dettagli, avevano passato giorni interi a ripetere la strategia passo per passo. Appariva perfetta come sempre, ma ogni volta che vedeva l’immagine del Drider, Ron sentiva le viscere contorcersi.
“Tutto a posto?”
Sentì la voce, una mano gentile posata sul braccio. Hermione lo studiava, in altri tempi avrebbe risposto di sì per liquidare la questione, ma con lei non mentiva più nemmeno a quel modo. Scosse la testa. Si era seduto con la spada ancora sulla schiena, di solito la stendeva sotto la panca.
“Se non te la senti, possiamo rifiutare la prova.”
“No.” Lo disse senza esitare. “È una questione che prima o poi dovrò affrontare, non ha senso rimandarla ancora.”
La risposta sorprese la ragazza, che però fece il possibile per non darlo a vedere.
“Lo penso anch’io.” Approvò.
“Allora non c’è bisogno di stare qui ad aspettare.”
Ron lasciò la colazione pressoché intatta, per lo stupore di buona parte della tavolata. Con Hermione che in pratica correva per stargli dietro, uscì dalla Sala Grande.


Fuori da Hogwarts era calata una nebbia pesante che annullava ogni cosa. Hermione seguì Ron lungo il sentiero che stentò a riconoscere, gli stava ad un passo di distanza ma di lui vedeva comunque una sagoma indistinta. Altri stavano percorrendo il viottolo, ombre vacue e irreali. Alcuni rivolsero cenni di saluto, Ron ignorò tutti, Hermione rispose come poté. L'arena delle sfide emerse all’improvviso, una macchia più scura nel sipario della nebbia. Se non avesse avuto Ron davanti, ci sarebbe andata a sbattere contro. Il rosso bussò all’ingresso e una lama di luce trafisse il grigiore indistinto, il volto barbuto di Erwin Stark apparve nel vano e invitò i ragazzi ad entrare.
“Siete in anticipo.”
“È un problema?”
“No, possiamo cominciare anche subito se volete.”
Ron volse lo sguardo a Hermione, che annuì. Se era così deciso, non aveva senso aspettare.
“Cominciamo.” Sentenziò il rosso.
“Accomodatevi.”
Erwin svanì lungo la scala di pietra che lo avrebbe portato al suo posto di guardia. Hermione seguì Ron all’interno, era un sollievo vederlo tanto determinato. Le prove erano iniziate il giorno precedente, ancora nessuna coppia era riuscita a sconfiggere il Drider, tutti gli scontri si erano conclusi con l’intervento dei professori. Hermione aveva assistito a diverse sfide, facendo di tutto perché Ron non ne conoscesse gli esiti. Tre Drider erano morti, si diceva che anche Penelope Stark fosse rimasta ferita, ma si era presentata regolarmente a cena e sembrava stare benissimo.
Se non ci fosse stata una guerra in corso, il programma di studi del professor Stark sarebbe stato ritenuto follia pura, Armin avrebbe perso il posto entro un mese. Con Voldemort in giro, quelle battaglie erano una benedizione.
Un orribile tanfo di putredine li accolse, nell’istante in cui passarono oltre la tenda verde che custodiva il campo gare, Hermione dovette controllarsi per non vomitare. I piedi affondarono in mezzo metro di melma maleodorante. Ron le porse il braccio perché ritrovasse l’equilibrio, la ragazza muoveva già la bacchetta. L’aria di fronte a loro vibrò, colorandosi di una tenue luminescenza blu. Uno scudo magico, l’incantesimo di difesa più potente che Hermione fosse riuscita ad apprendere. Ron sguainò la spada, fiamme violacee percorsero la lama per tutta la lunghezza. La palude rimase immersa nel silenzio.
Secondo gli studi condotti, il Drider avrebbe attaccato per primo, ma poteva adottare un alto numero di tattiche diverse. Lo scudo poteva vanificare gli attacchi magici, la creatura sarebbe stata costretta a un assalto diretto, a quel punto lo scudo le sarebbe esploso in faccia e Ron avrebbe potuto colpirla. Una tattica semplice ma Hermione era convinta che potesse funzionare, aveva comunque alcuni piani di riserva.
Il Drider attaccò dall’alto all’improvviso. Hermione fu colta impreparata, lo scudo respinse la carica ma non esplose. Il mostro indietreggiò rapidamente, dal vero era anche peggio di come appariva nelle immagini viste in aula. Hermione sentì la determinazione vacillare, l’orrore fu tale che per un istante pensò di svenire. Il Drider stava già preparando un nuovo attacco, questa volta magico. Stava andando tutto all’opposto di come si era aspettata, il mostro aveva scelto subito un attacco diretto, fallito quello stava per far ricorso alla magia.
“Dovrai colpirlo quando lo scudo cadrà!”
Nessuna risposta da Ron, Hermione volse lo sguardo nella sua direzione e il cuore le sprofondò in petto. Il ragazzo era impietrito dal terrore, fissava la creatura senza dare segni di reazione. Hermione gli afferrò il braccio con la mano libera cercando di scuoterlo, avrebbe voluto tirargli un ceffone ma la posizione non lo permetteva. Le mani tremanti di Ron si aprirono, la spada cadde nel fango e il fuoco si spense. Fu tutto tanto rapido da stentare a crederci, il Drider si accorse del momento di confusione e attaccò. Dardo d’Ira, un incantesimo relativamente semplice, ma Hermione aveva abbassato il controllo sullo scudo per cercare di scuotere Ron, la barriera resistette per un istante poi cedette di schianto. Il Dardo d’Ira colpì Hermione alla spalla, la ragazza sentì come se un fulmine le fosse entrato nel torace. Fu scagliata via dalla potenza dell’incantesimo, travolse Ron e lo portò con sé. Rovinarono contro la parete di fondo.
La palude svanì, la superficie su cui erano distesi ridivenne pietra grezza. Il Drider era immobile di fronte a loro, lo sguardo sbarrato. Un solco gli si aprì sotto la mandibola, l’intera testa si staccò e ruzzolò sul pavimento, mentre il corpo si afflosciava in preda a tremiti nervosi. Ron riuscì a mettere a fuoco Penelope accovacciata a terra, nella posizione che segue un attacco, katana in pugno, lama ancora vibrante e lorda di sangue nero. La sua spada giaceva a terra qualche metro più avanti, la grandezza di ciò che era appena accaduto lo colpì come una scarica elettrica.
Stringeva a sé il corpo di Hermione, apparentemente senza vita.


Un vento fortissimo si era alzato verso sera, spazzando via la nebbia. Sui bastioni pareva che anche la pietra rabbrividisse per il freddo. Penelope uscì dallo stato di meditazione con un respiro profondo, Erwin era pronto a coprirle le spalle con il mantello. La donna smontò da sopra la merlatura e insieme rientrarono, Armin li aspettava nell’ombra di un piccolo ingresso.
“Come sta?” Fu Penelope a porre la domanda.
“Se la caverà, il colpo non era mortale, ma ne avrà per un bel po’.”
“E Ron?”
“È a pezzi, si sente in colpa.”
Penelope annuì, niente che non si fosse aspettata.
“Non avremo esagerato?”
Armin incontrò lo sguardo indagatore del fratello.
“Non lo so.”
“Cosa vuol dire che non lo sai? Fratello, ti ricordo che sei responsabile della vita di questi ragazzi, non mi sta bene se mi rispondi che non lo sai.”
“Hai visto anche tu quello che è successo. L’incantesimo che ha rinforzato lo scudo abbastanza da salvare Hermione, se non sbaglio, l’ho lanciato io.”
“Altrimenti sarebbe morta, alla luce di questo te lo chiedo di nuovo, non avremo esagerato?”
“Puoi anche chiedermi, Armin, non avrai esagerato? Visto che l’idea del Drider è stata mia!”
“Allora te lo chiedo in quel modo!”
“Sì! Se ti fa piacere sentirlo, ho esagerato! E ho quasi perso la vita della mia studentessa migliore! Contento adesso?”
“No! Nostro padre ti avrebbe appeso per le palle per una boiata del genere!”
“Lascia stare nostro padre!” Armin andò faccia a faccia con il fratello maggiore. “Non nominarlo nemmeno in mia presenza!”
“Forse aveva ragione quando diceva che eri matto!”
Armin colpì d’istinto, di furia cieca, Erwin incassò alla mascella e stramazzò al suolo.
“Sei sempre stato d’accordo con lui? D’altronde tu eri il suo preferito, il figlio maggiore! Ed io cos’ero? Solo il suo più grosso fallimento, giusto?”
Da come urlava, sembrava pazzo sul serio, ma quello sfogo si interruppe bruscamente. Fu colpito sul retro del ginocchio, la gamba destra si piegò e lui cadde.
“Adesso basta.”
La voce di Penelope era fredda e tagliente come una lama di ghiaccio.
“Pensavo che queste storie fossero state messe da parte. Guardatevi, litigate come quando eravate bambini.” Puro disprezzo nella voce profonda della donna, fece male a entrambi.
Afferrò Armin per una spalla, affondandovi dolorosamente la punta delle dita, e lo tirò su.
“Torna dai tuoi studenti, hanno bisogno di te.”
Armin conosceva quello sguardo, meglio obbedire senza obiettare. Penelope attese che fosse lontano, mentre squadrava il marito ancora steso a terra, intento a massaggiarsi la mascella.
“Direi che te lo sei meritato.”
“Senza dubbio.” Convenne subito Erwin.
“Alzati, dobbiamo parlare, è da un po’ che non lo facciamo.”
Ancora intontito dal colpo, Erwin seguì la moglie nel corridoio in penombra.

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Capitolo 10
*** Consigli di guerra ***


Consigli di guerra

Remus Lupin varcò la soglia dell’ufficio di Minerva McGranitt con una certa esitazione. La stanza era avvolta da una penombra che rasentava l’oscurità, poche candele lontane, disposte con logica non chiara. Minerva attendeva nel buio e non era sola. Remus incontrò lo sguardo del professor Stark, immobile di fronte alla scrivania. Gli rivolse un cenno del capo, al quale Armin rispose a stento. Rispetto fra i due ma non approvazione, tolleranza dovuta alla causa comune, antipatia naturale fra uomini molto diversi.
“Ebbene?” Cominciò Minerva.
“Tutto secondo i piani.” Rispose Remus.
“Il signor Potter non ti ha dato problemi?”
“Harry è tranquillo, non mi da pensieri.”
“Solo perché sei fra i pochi che ritiene di dover rispettare.” Commentò piccata Minerva.
“O perché hai cominciato a drogarlo.” Si inserì Armin.
Remus non si scompose.
“Non ho intenzione di ucciderlo durante l’addestramento, se è questo che intendi dire. Mi hanno riferito che c’è qualcuno molto più qualificato di me in questo genere di cose.”
“Cosa vorresti insinuare?”
“Per tua norma e regola, io non insinuo, io affermo. L’idea del Drider è stata pura follia.”
“Una follia che io ho approvato.” Minerva stroncò il diverbio sul nascere. “Remus, sei qui come mio ospite e in veste di collaboratore privato, giudicare l’operato dei miei insegnanti non rientra nelle tue mansioni.”
Remus fu sul punto di fare un passo indietro, Armin fu quasi sicuro che fosse arrossito.
“Armin, parla ancora senza essere interpellato e ti trasformo in un toporagno. Non vi ho fatto venire per vedervi litigare. Considero chiuso l’episodio del Drider ed esigo che lo facciate anche voi, il tempo per recriminare non è un lusso che possiamo permetterci. Per via di un grave infortunio durante l’apprendimento, la signorina Granger dovrà rimanere in infermeria ancora alcuni giorni ma si rimetterà completamente. Niente che a Hogwarts non si sia già visto. Chiaro?”
Entrambi annuirono.
“Il nostro informatore ci ha fatto sapere che il nemico sta preparando qualcosa di grosso, tanto importante che l’Oscuro Signore ha voluto occuparsene personalmente. È vitale per noi capire di cosa si tratta. Solitamente L'Oscuro Signore rende il nostro informatore partecipe di ogni sua decisione, se questa volta non lo ha fatto, ci deve essere un motivo.”
“Se posso, Harry non dovrebbe essere informato sull’identità del nostro informatore?”
Remus aveva la domanda in testa da parecchio tempo, finalmente colse l’occasione di porla.
“Non farei nulla che possa mettere il nostro informatore in pericolo.”
“Minerva, Harry odia Severus! Se lo incontrasse, tenterebbe sicuramente di ucciderlo!”
“Non pronunciare il suo nome, nemmeno qui! Il signor Potter non è in grado di ragionare su questo argomento. Se vogliamo preservare il suo equilibrio mentale, è opportuno non dargli altri shock. Senza contare che il nostro informatore è perfettamente in grado di difendersi dal giovane Potter. In questo momento, la nostra priorità è scoprire cosa sta preparando l'Oscuro Signore, il capitano Miller è già stato informato, voi due siete liberi di agire come volete, vi do carta bianca.”
“Per quanto riguarda il Mietitore?” Nessuna esitazione nella voce di Armin, fu quella di Minerva a stentare.
“C’è un sacco di gente in gamba che ci sta lavorando, io posso solo aspettare e sperare.”
“Sta a loro muovere.” Considerò Armin, per nulla soddisfatto.
“Sì, purtroppo. Ora andate, presumo abbiate parecchie cose da fare.”
Minerva si alzò, il colloquio era finito. Armin lasciò l’ufficio della preside e si precipitò nei suoi appartamenti, senza salutare Remus.


“Non pensavo veramente quelle cose.”
Erwin era alla scrivania del fratello, stendeva i verbali delle lezioni con mano sicura. La sua voce infranse il silenzio della stanza in maniera quasi dolorosa.
“A me dispiace di averti colpito.”
Armin era alla finestra, scrutava il fosco panorama della campagna inglese.
“Lascia stare, al tuo posto avrei fatto di peggio. Ti ho detto delle cose orribili.”
“Non pensarci, non è la prima volta che litighiamo, dubito che sarà l’ultima. Ti conosco.”
“Ed io conosco te.”
Una fiammata verde riempì il camino, apparve Penelope, il sovrabbondante mantello nero le si ridispose addosso mentre entrava nella stanza. Elizabeth giunse alle sue spalle, andò alla finestra per scambiare un abbraccio e un bacio con Armin. Penelope si buttò a sedere davanti alla scrivania con un sospiro profondo, la fronte sudata, chiuse gli occhi per un momento.
“Che ti è successo?” Domandò Erwin, senza alzare gli occhi dai verbali.
“Una banda di folletti restia a collaborare.”
Penelope si massaggiò un livido bluastro sulla tempia destra, Erwin volse per un istante lo sguardo al fratello, impegnato a esplorare la cavità orale di Elizabeth e viceversa. Era inutile aspettarsi aiuto da loro per i successivi venti minuti, però faceva piacere che in mezzo ad una guerra qualcuno trovasse tempo per l’amore.
“Scoperto niente?”
“Erano sotto maleficio, si sono tolti la vita per non cadere prigionieri.”
“Interessante. Cosa ne pensi?”
“Ultimamente si vedono ben pochi folletti in giro.”
“Quindi, pensi si stiano radunando da qualche parte?”
“Sotto il controllo di qualcuno molto potente.”
“Ne hai le prove o è una tua ipotesi?”
“È una mia ipotesi.”
“Perché pensi che li stiano radunando?”
“Penso che stiano raccogliendo un’armata.”
“E che intendano attaccare direttamente Hogwarts.”
Elizabeth, staccata la bocca da quella di Armin, completò la frase di Penelope.
“Potrebbe essere il qualcosa di grosso di cui parlava l’informatore.” Considerò Armin.
“La McGranitt è informata?” Domandò Erwin.
“Che domande.” Commentò Penelope.
“Qualche idea su dove si starebbe radunando questa armata?”
“Chiedi troppo.” Penelope scosse la testa.
“Il Ministero ha già fatto sapere che non può mandarci rinforzi, in caso di attacco dovremo contare su quello che abbiamo.” Disse Elizabeth.
“Cioè tre maestri di spada, una cinquantina di Auror e qualche insegnante.”
“Palline di carta con lo sputo contro un’armata magica.”
“Ci servono degli alleati. Potresti provare a parlare con Erwyndyll.”
Armin scosse la testa.
“Gli Elfi Maggiori non scenderanno in campo, a meno ché l'Oscuro Signore non diventi una minaccia anche per loro.”
“E diventerà una minaccia per gli Elfi Maggiori quando l’umanità sarà ridotta in schiavitù.” Considerò Erwin.
“Dirò a Minerva di riunire gli insegnanti. Sentiremo anche le loro idee, ci occorre tutto l’aiuto possibile.”
“Su questo non sarà difficile convincerli.”


Ron balzò a sedere sul letto, urlando. Solo quando non ebbe più fiato, riconobbe ciò che lo circondava, l’urlo si spense. Rimase immobile ansimando, coperto di sudore.
La cortina di destra si sollevò e comparvero Harry e Neville, Dean e Seamus alle loro spalle, volti preoccupati. Harry gli strinse forte la spalla.
“Ancora quel sogno?”
La voce di Harry era incerta per il sonno ma preoccupata, Ron sobbalzò al suono. Annuì, gesti meccanici, pervasi di tremore.

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Capitolo 11
*** La foresta ***


La foresta

“Professor Stark!”
L’uomo, che la precedeva di una decina di passi, non si fermò, nemmeno rallentò.
“Armin!”
L’uomo si volse all’istante, rivolgendole un sorriso e un elegante inchino molto signorile. Hermione interruppe la corsa, gli finì quasi addosso. Nessuno pensava che si sarebbe ripresa in così breve tempo, qualcuno le aveva riferito che il professor Stark e i suoi assistenti avevano collaborato con madama Chips nell’occuparsi di lei. Il risultato era ottimo, l’attacco del Drider solo un brutto ricordo, ma che aveva lasciato strascichi dolorosi.
“Che posso fare per te?”
“Ron non è venuto a lezione!”
“Questo lo avevo notato.”
“È già il quinto giorno!”
Hermione Granger che alzava la voce con un insegnante, quante cose erano cambiate. Ron era riuscito a fare anche quello. Dal giorno dell’incidente, non aveva più rivolto la parola a nessuno. Usciva dal dormitorio mentre tutti riposavano ancora, vi rientrava a notte inoltrata, a patto che vi rientrasse. Passava le giornate nella Foresta Proibita lontano da tutti, soprattutto lontano da lei.
“Senza contare il weekend.” La corresse Armin.
La sufficienza con cui il professore andava trattando l’argomento la stava facendo imbestialire, dovette dare fondo alle sue risorse per non esplodere.
“E vi sembra normale?”
“No, ma non è fra le cose che io posso cambiare.”
A quella dichiarazione, Hermione ebbe un capogiro ma riuscì a controllarlo, anche perché Armin le afferrò la spalla impedendole di cadere.
“Voi siete un secondo padre per lui!” Questa volta fu lei a prendere il professore per le spalle, o meglio a ghermirlo come un’aquila con la preda. “Come potete…”
Armin rispose alla presa, scosse la ragazza perché si calmasse e lo lasciasse parlare.
“Hermione, non credo di doverti ricordare in che situazione ci troviamo. Siamo tutti maledettamente impegnati da queste parti. Ho già parlato con Ron, più di una volta, ma non sono io la persona che può farlo uscire da questa crisi.”
La ragazza scrutò il professore come se lo vedesse per la prima volta. In effetti non lo aveva mai osservato tanto da vicino, al punto da sentirne il respiro caldo sul viso. Se qualcuno fosse entrato nel corridoio in quel momento, sarebbe stata una circostanza imbarazzante per entrambi.
“Chi?” Domandò stupidamente.
“Non ti viene in mente nessuno?”
Armin la allontanò e si risistemò il mantello addosso, rendendosi conto della situazione che era venuta a crearsi.
“Io?”
Armin allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo, prima di riportarli sulla piccola Grifondoro che lo osservava stranita.
“E allora vai da lui!”
Cercò di dare la massima eloquenza al gesto, Hermione si allontanò barcollante lungo il corridoio. Armin si diresse al suo studio, rimuginando su quanto l’amore riesca a rincretinire anche le persone più brillanti, chiedendosi se a lui ed Elizabeth accadesse lo stesso.


Era l’inizio di febbraio, il freddo ruggiva fuori dal castello come se avesse avuto voce propria. La neve arrivava oltre la cintura di Ron, ciò significava che lei, per muoversi, doveva quasi nuotarci dentro. Una delle ultime volte che si era avventurata fuori, il ragazzo se l’era caricata sulle spalle per non costringerla ad arrancargli dietro. I compagni li avevano indicati, ridendo e facendo battute oscene. Si era vergognata come poche volte in vita sua, ma era anche stata fra le cose più piacevoli da quando era tornata a Hogwarts. Ricordava poche situazioni veramente gradevoli, in tutte la presenza di Ron era stata una condizione basilare. Sulle sue spalle era stata comoda come in poltrona, si era ritrovata a desiderare che il tragitto durasse all’infinito.
La foresta si chiuse intorno a lei con il suo abbraccio tenebroso. Lì la neve era meno alta, si riusciva a camminare e il vento non aveva ancora cancellato del tutto le sue impronte. Le parve di allontanarsi troppo dalla scuola, ma ogni volta che volgeva lo sguardo indietro, le mura di Hogwarts erano ancora ben visibili, anche quando trovò colui che stava cercando.
Percependo magia in atto rallentò il passo, un potere forte, che inebriò il suo senso del magico. Quello stupido non si preoccupava minimamente di poter attirare chicchessia su di sé.
Le dava le spalle quando lo vide, allora si spostò per avvicinarsi dal fianco. Quando fu sufficientemente vicina, si accucciò dietro un masso. All’improvviso, quello che vedeva le faceva battere il cuore a ritmi vertiginosi. Non voleva disturbare, non voleva che finisse.
Ron era a torso nudo nella gelida aria invernale, intento ai suoi esercizi con la spada, muscoli guizzanti sotto veli di sudore. Hermione dovette afferrare un pugno di neve e stringerlo per controllarsi, non aveva mai visto nulla di più eccitante.


“432… 433… 434…”
Cinquecento colpi per braccio, per un totale di mille colpi.
La punizione che il maestro infliggeva agli allievi per il fallimento di una prova.
“441… 442… 443”
La ripeteva incessantemente, alternandola agli esercizi appresi dal maestro e da Armin. Entrava nella foresta quando il sole doveva ancora sorgere, ne usciva solo quando era tramontato, d’accordo con Dobby perché gli tenesse da parte la cena. Da mattina a sera non faceva che esercizi, inframmezzati dalla punizione dei mille colpi. In tempi normali, Hogwarts non gli avrebbe concesso tanta libertà, ma la guerra era alle porte e nel castello regnava un’atmosfera di allegra anarchia, nonostante gli sforzi della preside e del corpo insegnanti.
“456… 457… 458…”
La lama si muoveva davanti agli occhi con cadenza ipnotica. Quando Viktor gli aveva regalato la spada, non riusciva nemmeno a sollevarla, ora pareva aver perso tutto il suo peso.
“471… 472… 473…”
Dopo l’incidente con il Drider aveva cercato di continuare a vivere normalmente, non c’era riuscito, non poteva guardare in faccia i compagni, tanto meno Hermione. Allora aveva scelto la foresta, molto più facile.
“495… 496… 497…”
Cercava di riempirsi la mente con immagini della sua permanenza sulle montagne, del maestro, di Aisha, di tutto ciò che aveva imparato. Vagava su momenti del passato, anche alcuni che aveva cercato di dimenticare, nessuno era peggiore dell’ultimo. La mente lo tradiva, tornava allo scontro maledetto, all’istante in cui si era ritrovato Hermione fra le braccia.


Hermione tratteneva il respiro da un tempo che non avrebbe saputo quantificare, sarebbe volentieri rimasta a osservarlo per sempre.
Ron inferse all’aria l’ultimo colpo, rivolse la lama verso il basso e la conficcò di forza nel terreno. Estrasse la bacchetta dalla tasca dei jeans, la puntò verso l’alto e lanciò un incantesimo. Hermione non percepì le parole, ma capì di che sortilegio si trattava. Un incantesimo di calore, in grado di creare una semisfera d’aria calda intorno al punto in cui era lanciato. Ron aveva finito gli esercizi, si passò una tovaglia sulle spalle per asciugare il sudore, la neve entro la sfera di calore cominciò subito a sciogliersi.
“Puoi venire fuori ora.”
La voce la fece trasalire, dunque si era reso conto della sua presenza. Le gambe le tremavano, ma si impose di avvicinarsi. Trotterellò fin dentro la zona di calore, che la costrinse a levarsi immediatamente il mantello. Ron era una fornace di energia che andava dissipandosi lentamente, il senso di eccitazione si accentuò.
“Che cosa vuoi?”
“Che cosa voglio? Non ti vedo da giorni e tu mi chiedi che cosa voglio?”
La domanda del ragazzo la spiazzò più dei discorsi di Armin Stark, il fatto che lui le desse risolutamente le spalle non fece che peggiorare le cose.
“Non dovresti stare qui, è pericoloso. E io non ho chiesto di vederti.”
“Lo chiedo io! Cosa ti sei messo in testa?”
“Di stare per conto mio, dove non posso nuocere a nessuno.”
Hermione guardò altrove per alcuni istanti, ma non seppe dove e riportò l’attenzione su di lui. Stava per esplodere, se Ron si fosse voltato, avrebbe visto che era paonazza.
“Non è stata colpa tua!”
“Non è stata colpa mia?” Fu il rosso a non reggere la tensione, si volse di scatto, il primo sguardo che le rivolgeva dopo l’incidente. “Ho quasi perso la cosa a cui tengo di più al mondo! Per una mia stupida fobia! E mi vieni a dire che non è stata colpa mia?”
Nell’istante successivo, si rese conto di ciò che aveva detto e tornò a darle le spalle. Hermione cercò qualcosa per rispondere ma rinunciò, le parole che Ron aveva appena pronunciato erano quelle che aveva sempre desiderato sentirgli dire. Non c’era bisogno di aggiungere altro, il resto lo avrebbero detto i gesti. Si avvicinò e gli circondò la vita con le braccia, appoggiandogli la testa contro la schiena nuda. Sentì il corpo di Ron tendersi al contatto.
“Se tieni tanto a me, non devi più lasciarmi, mi sembrava di avertelo già detto.”
Ron la sentì piangere, a quel punto tutte le parole erano veramente spese. Le allargò dolcemente le braccia per potersi girare, le cinse i fianchi e la strinse al petto. Non capì come si ritrovarono in ginocchio, le labbra incatenate. I baci divennero sempre più profondi, mani si insinuarono a esplorare il corpo altrui. Con gesti sempre più frenetici, dettati da irrefrenabili bisogni primordiali, tutto ciò che copriva i loro corpi fu rimosso e gettato da parte.


Penelope Stark si passò una mano sulla fronte, dondolandosi stancamente sul ramo dal quale aveva osservato la scena. Si chiese cosa dovesse fare, continuare a svolgere il suo ruolo di sentinella, o rispettare l’intimità dei due giovani amanti e defilarsi?


Armin entrò nell’ufficio della McGranitt. Gli altri professori erano già tutti presenti, molti seduti, lui ed Erwin preferirono restare in piedi.
Una figura nera spiccava contro la luce delle candele sul muro di fondo. Un uomo di alta statura, naso adunco e pelle olivastra. La presenza di Severus alla riunione non prometteva nulla di buono. L’aria era già carica di tensione, volavano sguardi pieni di preoccupazione. C’era anche Elizabeth, circondata dai suoi sottoufficiali. Piton si rivolse a tutti loro.
“Dalla mia presenza qui, avrete capito che la mia copertura è saltata. È un miracolo che sia riuscito a fuggire.”
La McGranitt proseguì per lui.
“La fuga di Severus ha indotto l’Oscuro Signore a muoversi. Stiamo per essere attaccati dalla più grande armata magica che si sia mai vista.”

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Capitolo 12
*** Resistere ***


Resistere

“Parte dei professori non ha approvato quanto sto per dirvi.”
La voce ferma e controllata di Armin Stark riempiva la Sala Comune di Grifondoro, ma anche quel navigato guerriero non riusciva a nascondere del tutto un fondo d’angoscia.
“Per quanto molti inorridiscano all’idea, siamo d’accordo che nascondervi non servirebbe a salvare più vite, ritarderebbe soltanto l’inevitabile.
Questa volta non vi terremo segreto niente. L'Oscuro Signore ha sollevato un’armata che sta muovendo contro Hogwarts, saranno qui domani, entro mezzogiorno. Nonostante tutti i nostri sforzi, sono riusciti a coglierci impreparati. Il nemico è fra noi e il Ministero, non sappiamo se i nostri tentativi di comunicare siano andati a buon fine. La nostra speranza è che il Ministero abbia saputo della situazione e si stia muovendo per mandarci rinforzi. Nel frattempo, la nostra prerogativa è resistere. Per farlo, occorre l’aiuto di tutti. Ne abbiamo discusso a lungo, siamo d’accordo che ognuno ha il diritto di lottare per sopravvivere. Chi se la sente combatterà per difendere Hogwarts. Per chi invece non se la sente, è stato approntato un rifugio.”
Camminava mentre parlava, si muoveva fra loro. Allungò una carezza sulla testa di una ragazzina del primo anno.
“Gli Auror e gli insegnati occuperanno la prima linea, quella che dovrà reggere l’urto frontale. Il quinto, il sesto e il settimo anno saranno la seconda linea, Penelope vi accompagnerà al vostro punto di raccolta, dove vi sarà spiegato quello che dovrete fare. I restanti andranno con Erwin, saranno la nostra terza linea di difesa. Non pensate che sia un compito meno importante, dovrete fare da supporto alle prime due linee, fornire loro ogni cosa di cui avranno bisogno.
Ora vi chiedo di scegliere con serenità. Non c’è niente di male ad aver paura, è la paura che ci rende veramente coraggiosi. Se qualcuno non se la sente di combattere, non si vergogni a dirlo.”
Alcuni ragazzi del settimo anno si alzarono e fecero un paio di passi verso il professore, seguiti immediatamente da altri. Il cuore di Armin batté più forte, mentre l’intera Casa di Grifondoro si alzava in piedi e faceva due passi avanti. Nessuno rimase seduto, se alcuni avevano avuto dubbi, li misero da parte vedendo gli altri. Armin Stark non vide sorrisi, ma solo sguardi determinati.
“Grazie, ragazzi. Ho avuto modo di conoscere ognuno di voi, siete dei veri Grifondoro, dal primo all’ultimo. I nemici che affronteremo domani, sono creature costrette con la forza a obbedire all’Oscuro Signore, mentre noi combatteremo per difendere le nostre vite e quelle dei nostri amici. Per questo motivo, non ci piegheranno!”
Penelope alzò il pugno lanciando il grido di guerra della Casa, fu seguita a gran voce da tutti.


Fuori dal dormitorio c’era viavai anche nei quadri, tutti si stavano dando da fare per preparare Hogwarts all’assedio. Armin aveva sentito dire che un battaglione di Elfi Domestici era già pronto a schierarsi, armato di forchettoni, coltellacci e padelle. Anche i fantasmi si stavano consultando, volevano trovare un modo per essere d’aiuto.
Il gruppo guidato da Penelope gli passò davanti, in molti lo salutarono stringendogli la mano, alcune ragazze ne approfittarono per abbracciarlo. In fondo venne la ragazzina che aveva accarezzato mentre parlava, che sarebbe dovuta uscire con il gruppo di Erwin.
“Professore.”
Armin si chinò, il volto della ragazzina esprimeva meglio di qualunque parola quello che voleva dirgli.
“Hai paura?”
Lei annuì.
“Lo so, ne ho anch’io.”
Gettò uno sguardo all’ingresso del dormitorio, onde assicurarsi che nessuno assistesse. Si sfilò qualcosa che portava al collo e lo mise nella mano di lei, un pendaglio d’oro a forma di spada.
“Questo me lo diede mio nonno, nel giorno della mia prima battaglia. Mi portò fortuna, ne porterà anche a te. Ma non farlo vedere a nessuno, sarà il nostro segreto.”
“E voi come farete?”
“Io avrò te a portarmi fortuna.”
Armin sorrise, la ragazzina lo abbracciò di slancio.
Quando Erwin uscì con i suoi, le ordinò di seguirlo. Alzando lo sguardo trovò quello di Ron.
“Bentornato tra noi, deduco che le crisi mistiche siano finite.”
Armin fece cenno a Hermione, che Ron teneva per mano. Si era accorto della cosa all’interno, mentre parlava. La ragazza arrossì abbassando lo sguardo.
“Abbiamo tempo per ripetere la prova del Drider?”
Nessuna esitazione nella voce, fu uno dei pochi frangenti in cui riuscì a sorprendere Armin.
“Secondo te?” Il professore recuperò la compostezza in un istante.
“Sono fuori di testa solo a chiederlo.”
“Bravo. Capisco che l’orgoglio vada assecondato, ma ti pare che ho tempo per queste cose? Tieni la rabbia per il nemico, ti servirà.” Si stava già allontanando mentre parlava. “Appena le sentinelle danno l’allarme, raggiungimi in prima linea.”


“Non esiste che tu vai in prima linea ed io nel rifugio!”
Hermione gli urlava in faccia, a distanza minima, sentiva le parole sbattergli materialmente sulla pelle del viso. Sapeva che sarebbe stato proibitivo, ma si era ripromesso di farlo, impedire a Hermione di partecipare alla battaglia gli premeva anche più di vincerla.
“Ti ricordo, Weasley del…, che sono la miglior strega del corpo studentesco!”
E che corpo!
Erano nella stanza di Hermione. Harry e Ginny li avevano osservati nei primi istanti, una volta capito che aria tirava, si erano allontanati.
“Vorrei evitare che ti succeda qualcos’altro.”
“Pensi che a me faccia piacere che tu stai in prima linea?”
“Ci starò più tranquillo se ti saprò al sicuro.”
Ron manteneva il tono di voce basso, era lei che urlava. Lui stava seduto sul letto, lei passeggiava per la stanza come una tigre in gabbia.
Miracoli di Armin Stark.
“Nessuno sarà al sicuro! E non si tratta solo di noi due, è in gioco l’esistenza di Hogwarts! Pensi che potrei starmene nascosta mentre tutti combattono? No, Ron! Non se ne parla!”
“Se urli un po’ più forte, ti sentono anche le armate magiche che stanno arrivando.”
“Ma fottiti!”
“Volentieri, comincia a toglierti i vestiti.”
“Ma ti pare il momento?”
“Potrebbero essere le nostre ultime ore, sarebbe molto stupido passarle a litigare.”
Hermione parve considerarlo.
“Non le pensare nemmeno certe cose, ora spogliati o ti strappo i vestiti a morsi.”


Mancava poco all’alba, quando le sentinelle diedero l’allarme. L’intera popolazione di Hogwarts era già schierata come previsto dal piano di difesa. Sui bastioni il freddo era feroce, l’aria condensava davanti ai visi, ghiaccio scricchiolava sotto gli stivali. Silenzio assoluto, attesa snervante, poi il suono lontano dei tamburi di guerra, mani che si chiudono sulle armi, cuori che si stringono in petto. Professori e Auror formavano una linea regolare sulla prima cinta muraria, alcuni studenti erano con loro, scelti fra i più forti da Armin Stark.
Ron osservò il maestro, che scrutava il limitare della Foresta Proibita. Aveva dormito un paio d’ore ed era riuscito a svegliarsi prima di Hermione, le aveva fatto un incantesimo del sonno e l’aveva trasportata al rifugio. L’avrebbe odiato per questo, ma meglio il suo odio che combattere temendola in pericolo.
Movimento su una delle scalette che portavano agli spalti, l’attenzione dei presenti si focalizzò. Harry Potter li aveva raggiunti. Ron osservò l’amico rimanere in piedi sul bordo del camminamento, considerare la frenetica attività negli spazi all’interno delle mura. La retroguardia era pronta, al segnale convenuto sarebbe volato di tutto sul nemico. Qualcuno aveva scoperto alcune vecchie catapulte in un sotterraneo e le aveva rimesse in funzione, rozze armi Babbane, dannatamente efficaci contro creature resistenti alla magia.
Harry si puntò la bacchetta alla gola, Ron intuì il sortilegio Sonorus.
“Hogwarts!”
Fu come un tuono, l’attività cessò e tutti gli sguardi puntarono la piccola figura sugli spalti.
“Io… vorrei poter garantire a ognuno di voi… personalmente, che vedrà l’alba di domani, ma non posso. Non posso sapere chi di voi vivrà per raccontare tutto questo, ma una cosa so per certa! Oggi combatteremo perché ciò che siamo continui a esistere!
Quelle che stanno per arrivare, sono creature costrette a combattere con la forza, mentre noi lo facciamo per continuare a vivere, per quelli che sono come noi, per quelli che amiamo! Questo ci rende più forti! Per questo, io vi dico che quando tutto sarà finito, noi esisteremo ancora!”
Un boato si alzò dal basso. Harry riprese fiato e aprì le falde del mantello, Ron riconobbe la spada di Grifondoro assicurata alla sua cintura. Harry sguainò, puntando la lama verso l’alto.
“HOGWARTS!”
Un grido di guerra che, ripreso da tutti, parve in grado di scuotere il castello fino alle fondamenta. Ron sentì un’emozione dirompente nel petto, brividi devastanti, gli occhi inumidirsi.
Quando il boato si spense, Harry ripose la spada e si diresse verso di lui a passi lenti. Diversi gli strinsero la mano o gli diedero pacche sulla schiena.
“Come sono andato?”
“Bravissimo, breve ma efficace.”
“Grazie. Devo chiederti un favore.”
Ron stava per rispondere che avrebbe fatto qualunque cosa, ma si trattenne, lo sguardo di Harry faceva presagire che stava per chiedergli molto.
“Ti chiedo di non partecipare alla battaglia.”
Se gli avesse detto di buttarsi giù dalle mura, forse sarebbe stato meno sorpreso. Non riuscì a dire nulla, prima che Harry parlasse di nuovo.
“Alcuni giorni fa sono andato da lui.”
“Da… lui?”
La doppia sorpresa lo fece balbettare.
“Ci siamo incontrati nelle nostre menti, condividiamo molto di più di quanto sia mai stato disposto ad ammettere.”
“Che è successo?”
“Volevo evitare questo massacro, gli ho chiesto di risolvere la cosa fra noi. Ha accettato, ma ha detto che, anche volendo, l’armata magica non si poteva più fermare.”
Harry fece una pausa, Ron rimase in silenzio nell’attesa che continuasse.
“Abbiamo fatto un patto. Io e lui soltanto, fino alla morte, dove nessuno possa disturbarci. Remus e Lucius Malfoy hanno preparato il posto adatto.”
“Capisco, ma io che c’entro?”
“Ti chiedo di venire con me, di fare la guardia, impedire a chiunque di interferire.”
“Insomma, dovrei accompagnarti a uno scontro mortale e starne fuori?”
“Ho dato la mia parola e intendo rispettarla. Tu sei la mia garanzia che lui sia costretto a fare lo stesso. Sei la sola persona di cui mi fidi abbastanza e che sia all’altezza del compito, conosco le tue capacità, non esiste Mangiamorte che possa batterti.”
La voce di Harry si era indurita, con la determinazione di chi è pronto a tutto. Ron gettò uno sguardo ai compagni schierati in attesa della battaglia, i tamburi di guerra erano sempre più vicini.
“Vorrei poter fare entrambe le cose.”
“Lo so, anch’io. Non è un problema se preferisci restare qui.”
“Ma per piacere. Potrebbe essere l’ultimo favore che ti faccio, ti pare che rimango qui?”
Harry sorrise.
“Allora andiamo, ti faccio strada.”
Se qualcuno notò che stavano lasciando gli spalti, non lo diede a vedere, uno degli Auror prese il posto di Ron, come da programma. Ebbe un unico sguardo, per Armin Stark.
“Devo andare con Harry.”
“Lo so.”
Si strinsero la mano in una presa ferrea.
“Buona fortuna.”
“Anche a te.”

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Capitolo 13
*** Scontro nella sala sotterranea ***


Scontro nella sala sotterranea

Ron non conosceva quel posto. Si trovavano in un sotterraneo ma non doveva essere sotto la scuola, si erano allontanati parecchio. Non avrebbe saputo ricostruire il percorso, ma gli pareva di sentire in lontananza i rumori della battaglia non ancora iniziata.
Scherzi dell’immaginazione.
Le mani prudevano, la spada pesava sulla schiena come un macigno.
Giunsero di fronte ad una porta di pietra, i battenti erano monoliti tenuti fermi da enormi cardini metallici. Il luogo dello scontro, l’ultimo. La soglia era aperta, oltre solo la tenebra più nera.
“E ora?”
“Aspettiamo.”
Non dovettero attendere a lungo, il loro senso del magico li avvertì dell’arrivo di qualcuno. Voldemort si materializzò in perfetto silenzio, era solo. Squadrò il proprio avversario, la presenza di Ron lo lasciò interdetto. Il rosso mise mano alla spada ma Harry gli fece cenno di non muoversi.
“Qui non si rispettano i patti.” Scandì l’Oscuro Signore.
“Lui è qui perché i patti siano rispettati.” Rispose Harry. “Farà la guardia alla porta, ti do la mia parola che non interverrà.”
“Hai appena dimostrato quanto vale la tua parola.”
Harry puntò la bacchetta su Ron e mormorò un incantesimo, che il rosso non riconobbe.
“Ora non può entrare.”
Voldemort si limitò a un vago cenno d’assenso.
“Fai strada tu?”
“Per essere preso fra te e questo armigero del cazzo? No, grazie. Entreremo insieme, fianco a fianco, dando le spalle alla porta.”
“D’accordo.”
A Ron la manovra parve quasi comica. Osservò Harry e Voldemort entrare come avevano deciso, la porta cominciò a chiudersi appena ebbero varcato la soglia. L’ultima cosa che riuscì a vedere fu lo sguardo concentrato al massimo di Harry.
Si sedette sul suolo polveroso, mugugnando fra sé.
Loro combattono là dentro, gli altri combattono là fuori, l’armigero del cazzo sta seduto qui come un coglione.
Una colorita serie di becere imprecazioni accompagnò quel pensiero.
L’ambiente sotterraneo in cui si trovava aveva un solo accesso, quello da cui lui e Harry erano arrivati. Sguainò la spada e orientò la punta verso l’ingresso, preparò anche un incantesimo di guardia, una piccola luce incandescente si concentrò all’estremità dell’arma, pronta a scattare.
Che palle!
Dal portale non giungeva alcun suono, mentre gli sembrava di ricevere ancora quelli della battaglia sulle mura di Hogwarts, che probabilmente doveva ancora iniziare. Non gli dispiaceva fare quel favore a Harry, ma forse non sarebbe venuto nessuno e avrebbe fatto la guardia per niente. Si allenava come un matto da mesi e sul più bello doveva stare fermo ad aspettare.
Doveva piantarla o sarebbe impazzito, però quel rumore di passi era reale. Balzò in piedi, la luce in punta alla spada guizzò più intensa. Chiunque fosse, era solo, passi leggeri, in corsa.
Hermione sbucò dal tunnel e si immobilizzò appena lo scorse, lo stupore di Ron nel vederla dovette riflettersi sul viso di lei.
“Sei impazzita?” Riuscì a dire.
La ragazza gli mise una mano su quella con cui reggeva la spada. Ron voleva porre domande, ma la sorpresa lo sopraffaceva, fu il suo sguardo a parlare per lui.
“Sapevo delle intenzioni di Harry e che avresti comunque tentato di tenermi fuori da tutto. Mi sono cautelata contro incantesimi molto più potenti del tuo, il resto è stato facile.”
Ron non trovò nulla da dire, sapeva solo che non era contento.
“E visto che potremmo non arrivare a fine giornata, non esiste che mi tieni lontana.”
“Vuoi una sberla?”
“No, un bacio, anche se sei un grandissimo stronzo.”
“Ma ti pare il momento?”
La stava già baciando, anche mentre parlava.
Fu l’incantesimo di guardia ad avvertirlo del pericolo, il potere scattò ruggendo dalla spada verso l’ingresso ma qualche genere di scudo magico lo bloccò, facendolo dissolvere.
“Per niente spiacenti di disturbare.” Disse una voce fin troppo nota.
Ron spinse Hermione alle proprie spalle e brandì la spada a due mani. Tre mangiamorte li osservavano dall’altra parte della sala sotterranea, volti coperti da maschere.
“Dunque Harry ha fatto bene a non fidarsi.”
“Potter non sa proprio niente, siamo qui di nostra volontà, l’Oscuro Signore non ci ha ordinato di venire, ma neanche di non venire.”
Chi parlava si tolse la maschera, non che ci fossero ancora dubbi sulla sua identità. Draco si rivolse ai due che lo accompagnavano mentre faceva un passo avanti.
“Voi statene fuori, è una cosa personale.”
Gli altri abbassarono le bacchette, a Ron parve che uno avesse scrollato le spalle.
“Avada Kedavra!” Draco attaccò immediatamente.
Ron era pronto, istintivamente aveva volto la punta della spada verso il basso, fiamme viola si allargarono ai lati, il fiotto di luce verde colpì il metallo e fu riflesso contro colui che l’aveva lanciato. Draco cadde, sul volto un’espressione stupita che nessuno gli avrebbe più tolto.


Armin non aveva mai visto un campionario di mostri che reggesse al confronto, mentre l’armata magica di Voldemort si schierava sul terreno. Le catapulte erano già entrate in azione, parti della muratura del castello volavano oltre gli estremi difensori. Il nemico era troppo numeroso, il bersaglio non si poteva mancare, ma nemmeno impensierirlo troppo. Osservò gli schieramenti, un’orda variegata senza controllo si avvicinava alle mura, inconsapevole di ciò che faceva. Bestie impazzite controllate dalla magia, non si sarebbero fermate nemmeno se ferite a morte. I veri seguaci di Voldemort osservavano da lontano, presenze indistinte ai limitari della foresta. Non avevano nemmeno provato a usare attacchi magici, lo scudo creato dagli insegnanti era visibile a occhio nudo. Avevano già tentato da lontano con frecce e altre armi da lancio, lo scudo le aveva divorate. Per prendere Hogwarts sarebbe servito un attacco diretto, fisico.
Le creature usate per le lezioni, rese quasi folli dalla prigionia, non avrebbero guardato contro chi andavano. Erano pronte a essere liberate sul terreno di battaglia. Lanciarle contro le armate magiche sarebbe stato il massimo della cattiveria, ma a tutti era parsa un’idea magnifica. D’altra parte, tutto il suo corso era stato basato su un’efferata crudeltà.
Fece cenno a una ragazza del settimo anno, che abbandonò la bastionata con l’ordine di aprire le gabbie, non appena le armate magiche fossero arrivate a contatto con le mura.
Rivolse lo sguardo alle colline sul versante est del campo di battaglia, Charlie Weasley era pronto a liberare il drago, la creatura per la prova finale del suo corso.


“Non male.”
Era il secondo Mangiamorte a parlare. Il terzo si era seduto appoggiando la schiena alla roccia, con aria visibilmente annoiata. Ron avrebbe dovuto notare che portava una spada alla cintura, ma la voce di colui che parlava lo aveva bloccato. Con una mano teneva ancora Hermione fermamente dietro di sé, con l’altra reggeva la spada, mentre la rabbia gli ruggiva in corpo.
“Sei migliorato dall’ultima volta.”
Hermione gli affondò le unghie nel braccio, a sua volta conscia di chi stava parlando.
“Giù la maschera, bastardo.” Sibilò Ron.
“Non è una cosa carina da dire a tuo fratello.”
Percy Weasley rimosse la maschera, Ron sentì Hermione aumentare la stretta.
“Tu non sei mio fratello.”
“Schierarsi su fronti opposti non cambia ciò che siamo.”
“No, hai ragione, sei sempre stato la vergogna della famiglia.”
Percy rise, una risata beffarda e sgradevole.
“La famiglia è sempre stata una vergogna per me. Ron, tu non puoi capire…”
“Capisco quanto basta!”
“No! Fratello, quante volte ho cercato di metterti in guardia dal seguire Potter? Non voglio combattere con te!”
“Dovrai farlo!”
“No, se mi ascolti!”
Percy allungò una mano aperta verso Ron.
“Vieni con me, lascia perdere questi sciocchi! L'Oscuro Signore può darti poteri che nemmeno immagini, come quelli che ha dato a me!”
“Sai dove potete andare tu e il tuo Oscuro Signore?”
“Ronald, ragiona! Ti sto offrendo la grandezza, dimostra di non essere un idiota!”
“L’idiota sei tu! Solo a pensare che potrei accettare un’offerta del genere!”
Hermione non aveva mai visto Ron furioso a tal punto, se ne rese conto quando perse la presa sul suo braccio. Il ragazzo si scagliò in avanti in un attacco sregolato, fu un ruggito quello che emise, non il suo solito grido di battaglia.
Il fendente fu forte ma trovò solo roccia da polverizzare. Percy aveva previsto ogni cosa, era stato rapido a scansarsi e ad agire di conseguenza. A Ron gelò il sangue nelle vene, quando comprese la sua ingenuità. Percy teneva ferma Hermione con le mani dietro la schiena, la bacchetta puntata sotto il mento.
“Giù la spada!”
“Non ascoltarlo! Combatti!” Stridette Hermione, Percy aumentò la pressione della bacchetta, facendola zittire.
“Giù la spada ho detto!”
“Non farle male!”
Fu una supplica, il potere che percorreva la spada si spense, l’arma fu lasciata cadere. Non fu tanto la situazione a far stringere il cuore a Ron, quanto lo sguardo disperato di Hermione.
“Sei una delusione più grande di quanto pensassi.” Puro disprezzo nella voce di Percy. “Ora morirai insieme alla tua puttanella mezzosangue, ringraziami, vi toglierò di mezzo insieme.”
“Fermo!”
Nessuno aveva fatto caso alle mosse del terzo Mangiamorte. Raccolse la spada di Ron e la rimise nelle mani dell’incredulo proprietario.
“Che stai facendo, idiota?” Ragliò Percy.
“Hai voluto tenermi fuori dal vostro combattimento.” Disse l’altro, avvicinandosi minaccioso. “Quindi tieni fuori anche lei, lasciala andare!”
Il tono non ammetteva repliche, Percy scaraventò Hermione contro il muro più vicino.
“Che ti salta in mente?” Sbraitò contro il proprio presunto compagno, che non ebbe tempo di rispondere. La spada di Ron fuoriuscì dal petto di Percy.
“Mai distrarsi, adesso chi è l’idiota?” Disse Ron all’orecchio del fratello.
Percy si afflosciò come un sacco di stracci.


Le creature liberate erano state annientate in un batter d’occhio, il drago abbattuto con quella che ad Armin era parsa irrisoria facilità. Avevano causato danni al nemico, ma non quanti si era augurato. Le truppe di Voldemort erano arrivate alle mura, sopra di loro volava di tutto, ma niente le avrebbe costrette a desistere. Forse avrebbe avuto più senso fargli crollare direttamente addosso la prima cinta. Peccato non aver avuto prima l’idea, era tardi per metterla in pratica. Il nemico portava torri d’assedio e scale, Armin le osservò disporsi, come in un’antica battaglia fra Babbani. Mancava poco al corpo a corpo, alla furibonda mischia generale. Controllò alla propria destra, Elizabeth gli restituì lo sguardo e un sorriso, a sinistra Penelope ed Erwin, pronti a combattere, come tutti gli Auror e gli insegnanti. Armin sguainò le spade gemelle.


“Molto bravo, sapevo che quei due imbecilli non ti avrebbero impensierito.”
“Grazie a te, perché mi hai aiutato?”
Ron si era posto nuovamente a guardia di Hermione, puntando la spada all’avversario. Il Mangiamorte rimasto si era posizionato al centro dell’ambiente sotterraneo, sguainando a sua volta.
“Non ho aiutato te, ho aiutato lei.”
Fece cenno a Hermione.
“Fa differenza?”
“Ne fa.”
“Giù la maschera!” Fu Hermione a dirlo. “Viktor.”
Ron la guardò per un istante come se non la conoscesse. Prima che potesse aprir bocca, il Mangiamorte si scoprì il viso.
Anche in quella veste, Viktor Krum non aveva perso il suo sguardo onesto. Ron non seppe misurare quanto tempo passarono in silenzio, ognuno soppesando le implicazioni, tentando di farsene una ragione. Fu Hermione a ritrovare la parola per prima.
“Viktor, perché?”
Viktor ridacchiò in modo tirato.
“Proprio tu me lo chiedi, tu che mi hai condannato.”
“Io… ti ho condannato? Non capisco…”
“Hermione, tu non puoi immaginare quanto un amore non corrisposto possa cambiare un uomo. Forse il vedermi qui ora, da nemico, te ne può dare la misura.”
“Vorresti dire che è colpa mia? No, non può essere!”
“Forse è una responsabilità che non sei disposta ad assumerti, ma è così.”
Ron osservava Viktor e non osava rivolgere lo sguardo a una sconvolta Hermione, in quel momento capiva meglio il suo avversario della ragazza che amava. Se lei lo avesse respinto, avrebbe forse accettato l’offerta di Percy? Un quesito spontaneo e ripugnante.
“Fatti da parte, la questione adesso è fra me e Ron.”
“No!” Fu Ron a rispondere. “Non combatto contro di te.”
Fu il turno di Hermione di guardarlo stupita.
“Lo farai invece, perché se ti dovessi eliminare poi ucciderei Hermione.”
“Non ti credo! Poco fa sei stato tu a proteggerla, non le faresti mai del male.”
“Tu non mettermi alla prova!”
Krum fece un passo avanti.
“Sei stato tu a darmi questa spada! Non la uso contro di te!”
“Devi farlo! Quando ti ho dato quella spada mi hai fatto una promessa, ora mantienila!”
Incrociarono le lame al centro della sala, il contraccolpo fra i poteri fu tale che l’onda d’urto gettò a terra Hermione.
“Non ti facevo così forte.” Commentò Viktor.
“Anche tu non sei male.”
Viktor ruppe l’equilibrio, spinse a fondo ed ebbe ragione del potere di Ron, che fu sbalzato indietro e cozzò contro la porta di pietra.
“Se vuoi battermi, devi fare di meglio.”
Ron si scagliò ruggendo all’attacco, lembi di fuoco circondavano le lame, mosse a una velocità che l’occhio umano stentava a cogliere. Hermione si rannicchiò in un anfratto roccioso, ogni colpo fra i due faceva fremere le pareti della grotta. Era uno spettacolo terribile e affascinante a un tempo, la danza di due uomini immersa fra le fiamme dei rispettivi poteri. Il fuoco magico ruggiva come coloro che lo generavano, le lame cozzavano in assordanti esplosioni di scintille, che strinavano la pelle e i capelli dei combattenti, rendendoli sempre più furiosi.
“Sei un avversario che vale la pena affrontare al meglio.” Disse Viktor in una pausa.
“La tua considerazione mi fa onore.”
Ron attaccò dal basso, Viktor parò e contrattaccò, un fiotto scarlatto schizzò dal braccio sinistro del rosso, che si ritrasse.
“Primo sangue.” Commentò Viktor.
Ron passò due dita sulla ferita e assaggiò.
“Sa di vittoria.”
Fendente obliquo, Viktor rispose, deviò il colpo verso il basso, non abbastanza, Ron lo colse alla coscia destra. Il bulgaro indietreggiò, tenendo una mano sulla ferita appena rimediata.
“Siamo pari.” Osservò Ron con orgoglio.
“Sì.” Riconobbe Viktor. “Il potenziale è più o meno lo stesso. Vogliamo fare sul serio?”
Ron annuì e la danza riprese.


Le mura di Hogwarts erano un formicaio impazzito, Armin decapitò il folletto al sommo di una scala, il corpo cadde su coloro che lo seguivano. Erwin irruppe munito di pertica, la puntò contro il piolo più alto, Armin diede manforte al fratello. Accompagnata da urla di terrore, la scala si abbatté sugli schieramenti sottostanti. Le torri d’assedio erano in fiamme, c’erano fuoco e fumo ovunque, ma non bastava per fermare l’attacco.
“HANNO APERTO UNA BRECCIA!”
Il grido d’allarme giunse fino ad Armin, che volse lo sguardo nella sua direzione. Ciò che sperava di evitare, le protezioni magiche poste sulle mura non erano bastate.
“RIPIEGARE SUL SECONDO PERIMETRO! RIPIEGARE!” Gridò.
Penelope gli passò vicino in un vortice di spade, stava combattendo con due lame, raramente l’aveva vista farlo. Possedeva due spade identiche, ma le utilizzava insieme solo nei casi di estrema difficoltà. Elizabeth fece a pezzi tre avversari, gli gridò qualcosa ma la voce si perse nel frastuono. Auror e insegnanti stavano lasciando la bastionata, il gruppo di Armin fu l’ultimo ad abbandonare, l’armata magica aveva il possesso della prima cinta.
Corsero giù per i camminamenti, ma non erano pronti per quello che li aspettava. Il ripiegamento non aveva funzionato, creature e studenti erano impegnati in un furioso corpo a corpo fra la prima e la seconda cinta. Armin lanciò un grido di guerra, raccolto da quanti lo accompagnavano, si lanciarono nella mischia.
Fu un’ebbrezza breve, dovette essere fra i primi ad avvertire la sensazione. Fu come un vento gelido che si espanse sul campo di battaglia, lento ma inesorabile. Puro terrore fu quello che attanagliò i difensori di Hogwarts, la sensazione di trovarsi al cospetto di qualcosa di orribile oltre l’umana comprensione. Avanzò dal punto ove il nemico aveva fatto breccia, come un’onda opprimente di paura. Armin sentì il sangue gelare, anche i nemici erano intimiditi, la battaglia aveva rallentato il ritmo.
I Dissennatori sono bambolotti in confronto a questo.
Era consapevole di Elizabeth al proprio fianco, quando abbandonò gli avversari di cui si stava occupando e si diresse alla sorgente della paura. Era il momento di affrontare il suo pensiero fisso da quando era giunto a Hogwarts, fino ad allora si era preparato solo per quello scontro. Si mise in posizione d’attesa, Elizabeth era con lui, pronta.
Il Mietitore Errante avanzava verso di loro.

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Capitolo 14
*** Ultime speranze ***


Ultime speranze

Con il passare dei minuti, le ferite di entrambi si erano moltiplicate. Viktor puntò la spada a terra, tamponandosi un taglio alla spalla con la mano libera, il punto dove Ron era riuscito a colpire più duramente. Non poteva esserci tregua, il rosso lo incalzò pensando che volesse rifiatare. Viktor doveva aver sperato in quello slancio, alzò la lama all’improvviso. Ron andò fuori bersaglio, il bulgaro lo colse sotto l’attaccatura della spalla. Il rosso ripiegò precipitosamente, non capì se fu più il dolore lancinante o lo sbigottimento. Gli occorsero alcuni secondi per capire che quello a terra era il suo braccio destro, troncato di netto da un colpo micidiale.
“Come ho già detto, sei forte, ma non abbastanza per me.”
“RIMANI DOVE SEI!”
Hermione si era mossa per soccorrerlo, ma lo sguardo folle di Ron ebbe la meglio sulla preoccupazione, si acquattò nuovamente fra le rocce, come un gattino spaventato.
Ron sollevò la spada, facendo aderire il piatto della lama al moncherino sanguinante. Non era preparato a un dolore simile, non lo sarebbe mai stato. Cadde in ginocchio, urlando come mai aveva fatto. Il fuoco divorò ogni cosa, ma arrestò la perdita di sangue.
“Devo ammettere che hai coraggio, ma che senso ha soffrire così? Morirai comunque.”
“STAI ZITTO!”
Un furioso fendente polverizzò la roccia ma Viktor lo evitò senza difficoltà. Alzò la spada a sua volta e la abbatté con forza su quella di Ron, che si spezzò sotto la violenza dell’attacco. Ron cadde in avanti, Viktor lo colpì con un calcio al ventre.
“Sei battuto. Lasciati uccidere, renderai tutto più semplice.”
Ron riuscì a risollevarsi, ad addossare la schiena alla roccia. Viktor gli affondò la lama in corpo passandolo da parte a parte. A dispetto di quanto andava dicendo, non lo voleva finire in fretta, stava giocando. Ron chiuse gli occhi, cercando di non urlare di nuovo. Viktor fece per ritirare la lama, che però non si mosse. Ron reggeva l’impugnatura della propria spada fra i denti, con la mano rimasta teneva l’arma del bulgaro all’interno del proprio corpo.
“Ma allora sei completamente pazzo!”
No, sei tu a essere esattamente dove ti volevo.
Approfittando del momento di stupore, Ron recuperò il troncone di spada che gli rimaneva, mise in quel colpo tutto ciò che ancora poteva dare. Fu la spada di Viktor a spezzarsi, parte gli rimase infissa nel corpo, il resto cadde insieme al suo confuso padrone. Ron si avventò come una bestia impazzita, lo bloccò con il proprio peso, si sedette sopra di lui e colpì, affondandogli il troncone nel torace. Viktor cercò un disperato colpo di rimando, Ron sentì un lampo di dolore attraversargli il cranio, quando l’occhio sinistro esplose, ebbe comunque la prontezza di volgere la testa perché la stoccata non la spaccasse. Bloccò a terra il braccio con cui Viktor lo aveva colpito, lacerò muscoli, troncò tendini, il bulgaro perse la presa sul proprio moncone di spada.
L’ultimo sguardo di Viktor fu rivolto a Hermione, il rantolo disarticolato che gli uscì dalla bocca poteva ricordare la parola perdonami.
L’ultimo colpo di Ron lo colse alla gola, uccidendolo quasi all’istante.
Il vincitore si rimise in piedi a fatica, lasciò cadere quanto restava della propria spada, con la mano rimasta afferrò quella che aveva ancora in corpo. Uno strattone secco ed enormi fiotti di sangue eruppero dalle ferite. Anche Ron sarebbe caduto, ma Hermione era pronta. Lo afferrò al volo ma era troppo pesante, la trascinò giù, la ragazza poté solo controllare la caduta.
Ron le puntò addosso l’occhio superstite.
“Non piangere… odio vederti piangere…” Ordinò a denti stretti.
Parlare gli costava un’agonia di fatica, sangue scuro filtrava dalle labbra che cercava di tenere chiuse.
“E come faccio? Nella fretta di raggiungerti ho lasciato la bacchetta nel rifugio, non posso nemmeno tentare di curarti! Sono una povera deficiente! Siamo in guerra e mi scordo la bacchetta!”
“No, eri preoccupata per me. Mi fa piacere.”
In un’altra situazione, gli avrebbe fatto notare che, a volte, ci sono poche differenze fra l’essere tanto innamorati e la deficienza totale. Hermione Granger che andava in battaglia scordandosi la bacchetta, erano arrivati al paradosso estremo.
“Spero che Harry torni, così non resterai sola.”
“Io non resterò sola, tu non morirai! Fra poco arriverà qualcuno, ci soccorreranno!”
“È tardi. Sono stanco… terribilmente stanco…”
“No! Non addormentarti! Ron! RON!”


Armin Stark giaceva su un cumulo di macerie, con poche certezze e molti dubbi. Aveva vinto contro il Mietitore Errante ma non sapeva ancora a quale prezzo. Non aveva più armi, le sue spade giacevano infrante da qualche parte. Chiunque poteva ucciderlo, non disponeva più di forza sufficiente per difendersi.
Elizabeth.
Dov’è Elizabeth?
Era con me durante lo scontro.

Sentiva pietre spezzate sotto la schiena, non sapeva se e quante ossa rotte avesse rimediato. Forse il corpo era sano, ma troppo spossato per muovere anche solo un dito.
Erwin? Penelope?
Dove siete?
Dove sono tutti?
Finisce così?



Nel silenzio irreale, Hermione nemmeno si accorse che la porta di pietra si riapriva.
Solo quando percepì i passi avvicinarsi, alzò la testa. L’Oscuro Signore era in piedi di fronte a lei, portava fra le braccia il corpo di Harry. Se non avesse saputo che era impossibile, avrebbe detto che Voldemort era sul punto di piangere. Rimase perfettamente immobile, troppi sentimenti, troppe emozioni violente si scontravano in lei.
“Vuoi sapere la differenza che c’è sempre stata fra noi?”
La voce dell’Oscuro Signore era lenta, misurata, quasi melodica, quasi piacevole. Hermione non rispose, non era una domanda che lo richiedesse.
“Ho sempre avuto paura di morire.” Continuò Voldemort. “Mentre Harry è sempre stato pronto a sacrificarsi per battermi. Aveva qualcuno da proteggere, qualcuno da cui voleva tornare.”
Le concesse l’accenno di uno stanco sorriso, l’impressione che i suoi occhi fossero umidi di lacrime si accentuò.
“È per questo che ha vinto.”
Depose Harry a pochi passi e si fece indietro. Hermione dovette ripararsi gli occhi dalla luce che avvolse il corpo dell’Oscuro Signore, che si dissolse in una miriade di frammenti.


Armin era sprofondato ai limiti dell’incoscienza, ma percepì il cambiamento. Lo sentì nell’aria, nei rumori della battaglia che andavano diminuendo di intensità. Riuscì ad alzare la testa, vide i corpi dei morti giacere ovunque, i vivi stavano smettendo di combattere. Le creature dell’Oscuro Signore si erano bloccate, si guardavano intorno con stupore, come se non capissero dove si trovavano o cosa stessero facendo. Voldemort era morto, il controllo mentale svanito.
Prima in pochi alla volta, poi a gruppi, infine come un’onda che abbandona la riva su cui si è infranta, lasciarono il campo di battaglia e i difensori di Hogwarts a se stessi.
Armin abbandonò la testa sulla dura pietra, quale che fosse il prezzo pagato, avevano vinto. Forse, per qualche istante, poteva riposare.


Hermione stava cercando di aiutare Ron con la bacchetta che gli aveva trovato addosso, ma non era la sua, poteva peggiorare le cose se non faceva attenzione. A mente scossa, non ricordava neppure i più semplici incantesimi curativi. Non era nemmeno sicura che potessero servire.
Passi in corsa lungo il tunnel le annunciarono l’arrivo di qualcuno, alzò gli occhi quando Remus Lupin ed Erwin Stark entrarono nella sala sotterranea.


La luce di poche candele quasi completamente consumate rischiarava l’astanteria. Hermione sedeva su una delle panche, scrutando la massiccia porta dell’infermeria. Penelope Stark la teneva fra le braccia, lei stringeva al petto parte della spada di Ron, quella con l’impugnatura, ancora sporca di sangue. Le dita esploravano i contorni della scritta incisa nel metallo, un nome in caratteri rossi, il suo nome, non ci aveva mai fatto caso.
Non si curò di misurare il tempo, pianse, vomitò, rimase tutto ai suoi piedi, nessuno si preoccupò di pulire. Penelope non la lasciò un istante, a lungo Hermione singhiozzò sulla spalla della donna guerriera.
Quando la porta dell’infermeria si aprì, non se ne rese quasi conto. Armin Stark uscì a passi misurati, un uomo oltre la spossatezza, stanco al punto di non potersi più fermare. Hermione alzò gli occhi a incontrare quelli del professore.
“Per Harry non abbiamo potuto fare niente.” Esordì in tono piatto.
Qualcosa che Hermione aveva immaginato di sentire, fece malissimo ma non commentò.
“Per quanto riguarda Ron, abbiamo fatto quanto potevamo, ora dipende soltanto da lui.”
Una tenue speranza baluginò nelle profondità dell’animo di Hermione, fu aiutata ad alzarsi.
“Va da lui.” Concluse Armin. Non un consiglio ma un ordine.
Hermione obbedì, facendo cenno a Penelope che le era grata ma che poteva farcela da sola.
Armin notò la spada spezzata che la ragazza aveva abbandonato sulla panca. Doveva scendere in Sala Grande, dove era stata improvvisata l’infermeria principale, ma per alcuni momenti rimase a osservare il mozzicone.


Era stato ripulito dal sangue, una grossa fasciatura gli copriva l’orbita esplosa, un’altra il braccio troncato. Hermione si sedette accanto al letto, strinse la mano rimasta di Ron. Non avrebbe pianto, lui odiava vederla piangere.
Rimase con lui nella tenue oscurità della sala silenziosa.

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Capitolo 15
*** L'ora degli addii ***


L’ora degli addii

Dormono, dormono sulla collina.
Fabrizio De André

Risalendo lentamente la collina, pensò che sarebbe occorso tempo per abituarsi a vedere con un occhio solo, a fare ogni cosa con la mano sinistra.
A farla senza Harry.
Era primavera e il sole splendeva, ma il vento era ancora gelido e spazzava la collina dei morti sibilando fra le lapidi scure.
I caduti della Battaglia di Hogwarts erano stati seppelliti intorno alla tomba di Silente, senza seguire un ordine preciso. Sulla collina dei morti c’era sempre qualcuno a visitare le tombe, non mancavano mai i fiori. Harry Potter era alla destra del vecchio preside, Ron notò una ragazza dai capelli rossi immobile davanti alla tomba. Ginny passava le giornate in quella posizione, al momento non si sentiva in grado di aiutarla.
Da quando si era ripreso, non era stato ansioso di sapere chi avevano perso, preferiva che fossero le lapidi a dirglielo, piuttosto che sentirlo dalle voci spezzate dei sopravvissuti.
Anche Armin Stark era immobile davanti a una tomba, alla quale Ron non aveva mai prestato attenzione. Lo raggiunse, il maestro non lo guardò.
Elizabeth Moira Miller.
Ron si rese conto che dentro aveva ancora molte cose che potevano spezzarsi, una lo fece in quel momento, per sempre.
“A questo punto, mi sembra che sia stato tutto inutile.”
La voce di Armin suonò rauca, come se fosse invecchiato di colpo. Ron avrebbe voluto dire che non era stato tutto inutile ma non aprì bocca, qualunque parola sarebbe suonata vuota a lui per primo. Preferì cambiare discorso.
“Mi hanno detto che te ne vai.”
“Ti hanno detto bene.”
Si stavano già allontanando dalla tomba.
“Sei un ottimo insegnante.”
“Fa piacere sentirselo dire, ed è stato bello passare l’anno con voi, ma mi è anche servito a capire che sono irrimediabilmente un uomo d’azione. Sono nato per la prima linea, non per la scrivania. E non potrei restare qui, questo posto mi ricorderebbe Elizabeth in ogni momento.”
Ron dovette annuire.
Stavano abbandonando la collina, giunsero alla strada sterrata che correva più in basso. Una carrozza era pronta a partire, i quattro thestral del tiro sbuffavano in attesa.
“Parti subito?”
“Sì, ho aspettato solo di poterti salutare.”
“Ma non puoi! Ho ancora bisogno dei tuoi insegnamenti!”
Armin scosse la testa.
“Non ti insegnerò a combattere con una mano sola. Hai dato a questa causa più di quanto fosse lecito chiederti, e non mi riferisco solo al braccio e all’occhio che hai perso.”
“Ma la guerra è ben lungi dall’essere finita! Io voglio fare la mia parte!”
“La tua parte!” Armin lo afferrò per le spalle. “Adesso, è stare con Hermione e fare di tutto per essere felici.”
Ron non seppe che rispondere, Armin lo lasciò andare.
Penelope ed Erwin erano accanto alla carrozza, anche loro pronti a partire. La donna abbracciò Ron per un lungo momento e lo baciò sulle guance e sulla fronte, l’uomo gli strinse la mano, non ci fu scambio di parole.
“Ti restituisco questa, ma sia chiaro che non è per combattere.”
Armin aprì le falde del mantello, mettendogli in mano la sua spada in un fodero nuovo.
“L’avete riparata!”
“Credimi, non è stato facile. E dubito che possa affrontare un combattimento. Ron…” Lo afferrò nuovamente per le spalle. “Non l’ho riparata perché torni ad usarla, ma perché si dice che quando una spada è spezzata, accade lo stesso all’animo di chi la porta. Devi promettermi che non tornerai a combattere ma cercherai di vivere felice, insieme a Hermione.”
A Ron venne in mente l’immagine di un vecchio, che gli aveva chiesto una promessa simile meno di un anno prima, gli sembrò di aver vissuto diverse vite da allora. Aveva mantenuto quella presa con Viktor, poi quella con il maestro, avrebbe mantenuto anche questa.
“Lo prometto.”
Si strinsero in un lungo abbraccio fraterno. Ron non tentò nemmeno di trattenere le lacrime, Armin forse, ma non ci riuscì del tutto.
“Ci rivedremo?”
“Nessuno può dirlo.”
Penelope ed Erwin erano già a bordo della carrozza, attendevano solo Armin.
“Ma una promessa te la faccio anch’io, se verrai meno all’impegno che hai appena preso, verrò a cercarti, ma non sarà per bere qualcosa insieme.”
Armin montò e chiuse lo sportello. Ron riuscì a sorridere.
“Credo che il maestro sarebbe fiero di noi.”
Armin si sporse dal finestrino per l’ultima precisazione.
“Lo è sempre stato.”
Ron rimase immobile nel vento a osservare la carrozza che si allontanava, fino a quando non la vide più.


Trovò Hermione seduta dietro la sua scrivania, nell’ufficio che il nuovo preside Piton le aveva assegnato. Dopo la battaglia di Hogwarts parecchie cattedre erano vacanti. Ron e Hermione non avrebbero lasciato la scuola tanto presto. La ragazza vergava parole in bella grafia sulle pagine intonse di un enorme volume.
“Che stai scrivendo?”
Ron si sedette di fronte a lei e appoggiò i piedi sulla scrivania.
“La nostra storia. Potresti mettere giù quei piedacci? Mi urtano.”
“Come vuoi, in che senso la nostra storia?”
“Tutto quello che ci è capitato, da quando abbiamo conosciuto Harry.”
“Ci vorrà parecchio tempo.”
“Non ho fretta.”
“Io sì.”
“Di fare cosa?”
“Di portarti in camera da letto e toglierti i vestiti.”
“Pensi di riuscirci con una mano sola?”
“Se c’è bisogno, te li strappo a morsi.”
Hermione mise da parte il libro e sorrise.
“Penso che non ce ne sarà bisogno.”

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Capitolo 16
*** EPILOGO - Il saluto dell'eroe ***


EPILOGO

Il saluto dell’eroe
 

Osservai il mio uditorio. Non avevo mai raccontato quella storia, farlo mi aveva dato una sensazione strana. I ragazzi stavano cercando di ritrovare la parola, alcuni si asciugavano le lacrime. Avevano studiato la storia sui libri, sentirla raccontare da me doveva essere molto diverso.
“Ha più rivisto Armin Stark?” Domandò David.
Scossi la testa.
“Purtroppo no. La guerra durò ancora per cinque anni. Dopo la caduta di Voldemort, i Mangiamorte si riorganizzarono, trovarono un nuovo capo. Armin non smise mai di combattere, morì tre anni dopo la Battaglia di Hogwarts. Mi dissero che era diventato quasi folle, ingestibile, che combatteva con una ferocia disumana. Probabilmente, eravamo in pochi a poterlo capire, ma io ero lontano. Erwin e Penelope si ritirarono a vita privata dopo la morte di Armin, ogni tanto mi chiedono di andarli a trovare, ma raramente accetto il loro invito.”
“E il maestro delle montagne?” Volle sapere Jason.
Sorrisi.
“Lui sì. Ho voluto che Hermione lo conoscesse, ogni tanto andiamo da lui a parlare.”
“E voi? Hermione?”
“Tentammo di rimanere qui, ma questo posto conteneva troppi ricordi, avrebbe fatto male a entrambi. Mia sorella Ginevra si trasferì in America dopo aver finito gli studi, noi la seguimmo dopo esserci sposati. A nostra insaputa, Harry ci aveva nominato suoi eredi. Comprai un piccolo ranch, dove crescere la mia famiglia e vivere quasi da Babbano. Mio figlio Armin ha ricevuto la spada, non per usarla ma perché la conservi, mentre mia figlia Elizabeth ha avuto i libri scritti da sua madre. Non so se mai vorremo pubblicarli, sentiamo troppo nostra quella storia.”
“È una storia incredibile raccontata così.”
Sorrisi a quel commento mentre mi alzavo, la luce dell’alba giungeva da lontano, il tempo a nostra disposizione era finito. Mi diressi all’uscita.
“Signor Weasley!”
La voce di David, non mi voltai.
“Ron.” Dissi semplicemente.
“Ron.”
Solo a quel punto gli concessi lo sguardo, l’ultimo, David sorrise.
“Grazie.”
Sorrisi a mia volta.
“Grazie a voi. E venite a trovarmi in America, se riuscite a scoprire dove abito.”

 *    *    *

Liberamente ispirato al capolavoro di Joanne Kathleen Rowling, alla quale appartengono ambientazioni e personaggi, esclusi Jason Wood, Helmut Tatcher, David, Jessy, April, Lynn, Adam, il maestro delle montagne, Aisha, Elizabeth Miller, Armin, Erwin e Penelope Stark, Eton Kwain, Armin ed Elizabeth Weasley,
che sono di mia creazione.

 

NOTA DELL’AUTORE
E RINGRAZIAMENTI

 

Devo aver cominciato a immaginare questa storia fra l’estate e l’autunno del 2007. Allora fu un semplice gioco, ero convinto che mai avrei speso del tempo per scrivere una fan fiction. Ero già presente su siti come EFP, leggendo con piacere le storie di altri, ma non avevo mai preso in considerazione di scriverne una io, per quanto il pensiero ogni tanto mi solleticasse. L’idea di base per “Il canto dell’eroe”, nel frattempo, prendeva forma.
È normale, per chi si è limitato a guardare i film di Harry Potter senza leggere i libri, chiedersi perché “quella strafiga di Hermione” preferisca “il più sfigato”. Non ho mai digerito che nei film si sia voluto rendere Ron un perfetto idiota (Yates datti all’ippica), e tante volte mi sono chiesto perché la Rowling lo abbia permesso (Rowling anche tu datti all’ippica ogni tanto). È con questo spirito che la storia è stata scritta, ho voluto spezzare una lancia in favore di Ron. Forse perché, ai tempi del liceo, ero anche io “l’amico dell’eroe”.

È inevitabile ringraziare per prima Giuly, la ragazza citata nella dedica in testa al prologo, è merito suo se esiste “Il canto dell’eroe”.
La scrittura era una passione comune e capitava spesso di parlarne. Fra i tanti discorsi, le accennai a proposito di un’idea su Harry Potter che mi sembrava valida. All’inizio mi chiese semplicemente di buttare giù la trama in modo schematico, cosa che feci. Ne risultò una pagina e mezzo di deliri, devo averla ancora da qualche parte. Gli avvenimenti della storia che avete letto c’erano già, più altri che ho dovuto, seppur a malincuore, eliminare per non sbilanciare il tutto. Per ora non è accaduto, ma non escludo a priori di scriverli in futuro come missing moments. Letta la trama, Giuly mi chiese di svilupparla, se non altro, come regalo a lei.
Stesi la prima versione nell’inverno fra il 2007 e il 2008, da allora è rimasta nel mio computer, subendo continue correzioni, revisioni, ripensamenti e via dicendo. Se ho deciso di pubblicarla, è per via del pressing asfissiante a cui alcuni amici mi hanno sottoposto, dopo averla letta. Grazie quindi anche a Diego, Samantha, Manuela, Chiara, Daniela, Valentina e Carmen.
Grazie ai recensori che sono stati con me dall’inizio o per buona parte del percorso, Cioccorana 24, Seren, Murderangel, Ziva, Pollama, Chanel483, Calien e Nihon. Commoventi è la sola parola che mi viene in mente per descrivere certi vostri giudizi. A coloro che hanno messo la storia fra le preferite o le seguite, nonché a tutti quelli che l’hanno semplicemente letta.

Alla prossima storia…


Gulminar
Ravenna, 4 febbraio 2012

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