Una Casa alla Fine del Mondo

di Dira_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Parte Terza ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Una Casa alla Fine del Mondo
 
 


Hello darkness my old friend, I've come to talk with you again

Because a vision softly creeping , left it's seeds while I was sleeping
(Sound of Silence, Simon & Garfunkel)
 
 
 
1998
 
Onestamente non pensavi saresti sopravvissuto alla guerra.
Nagini aveva morso, tu avevi detto addio al mondo guardando per l’ultima volta gli occhi di Lily sulla faccia del suo irritante moccioso. Fine della storia.
Una morte eroica, una morte catartica.
E invece no.
Qualcuno ha pensato bene di venir a recuperare il tuo corpo alla Stamberga Strillante e – sorpresa! -  ha scoperto che nel tuo vecchio cuore rinsecchito batteva ancora della vita.
Tenace, inopportuno, pipistrello.
Madama Chips ha stabilizzato le tue condizioni e i Guaritori del San Mungo hanno fatto il resto.
Quando hai riaperto gli occhi erano trascorse settimane e molti fiori erano stati cambiati nella tua stanza d’ospedale.
Con autentica irritazione, hai scoperto che la maggior parte di essi veniva da Potter e i suoi amici.
Sapevano, hai intuito, avevano visto. Conoscevano la verità.
La cosa più sensata da fare a quel punto, è stata rimettersi in posizione verticale, racimolare i pochi effetti personali scampati al crollo dei Sotterranei e andarsene. Via.
Non che qualcuno ti abbia esattamente trattenuto. O cercato. Hai percepito, anche senza dover incontrare facce conosciute, l’imbarazzo di averti malgiudicato. L’imbarazzo di non saper cosa fare dei vecchi pregiudizi su di te.
Hai scelto di rendere le cose facili al Mondo Magico. Sparire dalla vista comune è stata la scelta più assennata che potessi fare e, a conti fatti, l’unica per te sopportabile.
Scegliere la tua nuova casa non ti ha preso più di una mezza giornata, passata a riflettere nel misero salotto di Spinner’s End; l’Irlanda.
Paese con una buona comunità magica, ma sparsa a manciate sulle coste. Paese civile, che comprende il rito del the. Terra in cui la magia si respira ad ogni passo, in cui spazi sconfinati spingono lo sguardo più in là di quanto tu abbia mai fatto ad Hogwarts o a Cokeworth. Paese per solitari.

E così, Severus Piton ha lasciato l’Inghilterra. Per sempre.
Non è stato difficile. Non è stato doloroso come avresti pensato; troppi ricordi, troppo odio e amarezza al di là del mare. La ricostruzione, la speranza e la somma di certe melensaggini da propaganda non hanno mai fatto per te.
Dopotutto, la tua rinnovata vita è stata solo la coincidenza di uno sciocco ragazzino che è venuto a recuperare il tuo corpo.
 
 
2008
 
Dieci anni precisi. Dieci anni di meravigliosa e compatta solitudine.
Il Connemara¹ è stato amico e complice perfetto per quello che è diventato un quieto vivere piuttosto soddisfacente.
La tua casa è il tuo rifugio; hai adocchiato, non appena messo piede sulla regione che ospita la Sky Road² – nome evocativo, bisogna ammetterlo – poco meno di un villaggio,  un aggregato di casupole, Ardmore³. Ti sei fermato per qualche giorno nell’unica locanda della zona, ti sei guardato attorno. E poi l’hai trovata; una casa a picco sulla scogliera, così in cima ad un crinale che sembrava impossibile credere che qualcuno fosse davvero riuscito a costruircela. Lontana, fiera, distante. I muri in pietra grigia, il tetto spiovente d’ardesia. E il lento digradare verso gli scogli perigliosi del mar d’Irlanda.
L’hai pagata in contanti alla vecchia e confusa proprietaria, una sciocca babbana che ha preferito mandarla in rovina piuttosto che impiegarla in usi migliori.

Vi hai lavorato anni, che davvero ce n’era bisogno. Senza la magia ti sarebbe crollata in testa alla prima mano d’intonaco.
Ma il lavoro non ti ha mai spaventato, e attualmente sei il fiero proprietario di una casa che rispecchia le tue esigenze.
Ad Ardmore pochi ti conoscono, e ancor meno ricordano la tua faccia. Ci vai poco e preferisci farti spedire i beni essenziali tramite posta. La tecnologia babbana si è evoluta rispetto ai tuoi anni inglesi e i babbani hanno sempre avuto una deliziosa tendenza all’isolamento che è invece sempre mancata al Mondo Magico.
In effetti, in questi anni alcuni dei protagonisti della tua vecchia vita hanno tentato di riportati indietro.
Minerva, prima di tutti. Lettere da Caithness⁴ che ti invitavano per una chiacchierata tra vecchi amici, lettere da Hogwarts che ti spronavano a tornare alla tua vecchia occupazione.
No, grazie.
Hai sempre cortesemente rifiutato ogni esortazione e alla fine Minerva ha smesso. Continua a scriverti però. Le rispondi e finisci inevitabilmente per consigliarla a proposito dell’incompetente che ha assunto per sostituirti. 
Supponi che non vi sia nulla di male; abbandonare completamente il vecchio mondo è impossibile, ma prendervi le distanze è consigliabile.
Poi c’è Potter; Potter e le cronache familiari che ti fa recapitare ogni mese, inevitabili come una bolletta. Non hai idea del perché pensi tu possa essere interessato al suo fidanzamento, all’inevitabile matrimonio con la minore degli Weasley e alla nascita della sua irritante prole.
(Gli hai affidato i tuoi ricordi sperando di morire, risparmiandoti così la sua inopportuna gratitudine. E invece no.)
Hai avuto un moto di stizza quando hai scoperto che ha chiamato uno dei suoi orribili marmocchi come te. Ti sei controllato. Era una trappola, chiaro come il sole.
Non  hai mai risposto alle sue lettere; dare corda ad un Potter, l’hai imparato sulla tua pelle, è lo sbaglio peggiore che un uomo sano di mente possa commettere.
Poi un giorno, arriva un’altra delle sue rivoltanti missive piene di buoni sentimenti. Ed è la peggiore di tutte.
 
 Salve Professore,
Come sta? So che non riceverò risposta, ma come dico ogni volta, sono un tipo testardo. Così ecco qua. È nata mia figlia, e spero davvero che sia l’ultima perché abbiamo raggiunto il limite massimo di urla infantili. Il battesimo si terrà la settimana prossima e sarebbe fantastico se lei potesse partecipare.


Harry
Ps: Si chiama Lily.

 
Sei rimasto con la lettera in pugno, mentre dalla brughiera risaliva il vento salato del mare, che ha fatto sbattere le ali al Gufo che aspettava la risposta.
Sei rimasto fermo per dieci minuti quasi ti avessero fulminato sul posto.
Infine hai accartocciato la lettera, questo lo ricordi bene. Probabilmente hai anche imprecato come un gentiluomo mai dovrebbe fare. Poi hai congedato il gufo senza allungargli un solo croccantino. Era il gufo di Potter, meritava di rischiare la morte lungo la traversata.

Hai cercato di non pensarci, esattamente come avevi fatto per James Sirius – seriamente? – e Albus Severus – solo ripensarci ti dà la bile.
Non ci sei riuscito.
Due giorni dopo, come spiritato, sei andato al villaggio, all’unica libreria ed hai comprato un ridicolo libretto gommoso con all’interno un’altrettanto ridicola storia su un orsetto e la sua sciocca famiglia.
L’hai gettato nel primo cassonetto che hai trovato sulla via di casa.
Tre giorni dopo, spinto da una forza che ormai sei certo fosse demoniaca, sei tornato alla stessa libreria, ma stavolta hai acquistato il libro più difficile possibile per una creatura che dovrà soffrire i geni Potter; hai semplicemente attinto dal mucchio.  
Con sgomento, archiviando la ricevuta assieme alle altre che detrarrai secondo le leggi della gloriosa repubblica d’Irlanda, ti sei accorto di aver spedito Cime Tempestose ad una bambina di pochi giorni.

Oggi è arrivata la risposta di Potter. 

 
 
 
  Lei ha un senso dell’umorismo davvero malato. 


Speri quindi di esserti liberato di lui; un regalo inadeguato ad un infante è, per certe famiglie, punibile quanto un omicidio a sangue freddo. Damnatio memoria.
E invece no.
 
Arriva l’autunno e il Connemara non è mai stato così bello e insieme malinconico. Si ammanta di bronzo e passi tutto il giorno a guardare il mare lambire le coste color ruggine mentre sorseggi occasionalmente il buon whisky torbato che producono in queste zone. La compagnia di un buon libro completa il quadro.
Sei in contemplazione del tuo infinito personale quando qualcuno suona alla porta.
La sorpresa è tale che quasi ti fa rovesciare il bicchiere panciuto che avevi appoggiato alla vecchia poltrona della veranda sul retro.
Non aspetti la tua spesa settimanale ed è raro che qualcuno si avventuri fin qua; a volte però capita che turisti con un pessimo senso dell’orientamento abbiano bisogno di aiuto per tornare in città.
(Cambiano idea appena ti vedono in faccia e notano la tua notevole cicatrice.)
Di pessimo umore, ti appresti al compito; la sorpresa ti ghiaccia le viscere quando ti trovi di fronte il Bambino Che è Sopravvissuto Per Dannarti l’Esistenza.
“Salve professore!” Esclama con quel suo irritante accento che ormai lo colloca nel Devonshire. “È incredibile, non è cambiato affatto in questi anni… anzi, la trovo persino meglio!” Fa una pausa assolutamente maleducata. “Ha un colorito sano!”
Avresti voglia di sbattergli la porta in faccia, ma poi noti che ha il piede in dirittura dello stipite della porta. Se lo aspetterebbe.

Potresti romperglielo ma poi è certo che l’intero Mondo Magico verrebbe a reclamare la tua testa per aver fratturato il prezioso piede del Salvatore.
“Cosa vuoi Potter?” Ti scolli dal palato. Anche lui è sempre uguale; stessi capelli impossibili, stessa faccia da schiaffi… e stessi occhi che ti tolgono il respiro.
Bentornata, sensazione di aver sbagliato tutto nella vita.
“Mi fa entrare? Qua fuori si gela e…” E poi apre il mantello mostrando un fagottino che si muove come farebbe un gattino. Solo che non è un felino, è…
È sua figlia, realizzi con orrore, ti ha portato a conoscere sua figlia.
Potter sorride a trentadue denti. La cicatrice non si nota più un granché ma quel sorriso che è stato di James sì, eccome.  
“Questa è Lily Luna.” E toglie la copertina dalla testa della marmocchia.
Ed ha i capelli rossi. Lo vedi dalla lanugine che ha sulla testa, abbastanza per vedere che no, non sono color carota Weasley.
E poi spalanca gli occhi, e quasi urleresti di sollievo, perché li ha celesti.
Un banalissimo celeste.
Ti fissa, la marmocchia, ti fissa con la stessa sfacciata supponenza del padre. Poi ti sorride. O meglio, fa le tipiche smorfie che fanno i bambini e a cui gli adulti idioti danno consapevolezza.
“Le piace!”
Ecco, per l’appunto. Questo ti permette di ricominciare a respirare. “Potter, finalmente la mia posizione mi permette di dirti che sei un imbecille e che meriteresti Azkaban. Ti rendi conto che le Passaporte non sono fatte per trasportare neonati?”
“Veramente non si è fatto mai problemi a dirmi come la pensava su di me.” Replica imperturbabile. “Ed è tutto a posto, a Lilù è piaciuto.” Soggiunge. “Però, se continuiamo a stare qui fuori, si ammalerà.”

Non hai scelta. Ti senti come se avessi di nuovo di fronte Voldemort o Silente.
Nessuno dei due ha mai avuto pietà di te. E comprensibilmente, non ne ha Potter.
“Entrate.”
 
 
2013


La bambina continua a venire a farti visita. Lei e il suo irritante padre.
Hai cercato in ogni modo di evitare la cosa, ma Potter non è esattamente un campione di empatia umana, e non sembra capire che per te è un supplizio e per un bambino passare ore a fissare il tappeto di un salotto può non essere esaltante.  

Che poi, per inciso, te la scarica.
Pare che sia un auror. Per questo ha spesso affari da svolgere al Centro Operativo Distaccato di Galway che gli prendono tutta la giornata.
Inizialmente non riuscivi a capire perché te la lasciasse, quando è ben chiaro che possa usufruire di baby-sitter migliori di un arcigno ex-professore.
(Per esempio, tutto il clan di teste rosse a cui si è affiliato.)
Poi, un giorno, ti sei accorto che la ragazzina non parla; non che sia muta. Secondo Potter – e le sue non richieste chiacchiere – la mocciosa non ha niente che non vada, nessuna malattia o deficienza. Semplicemente, non apre bocca. 
È chiaramente viziata, direbbe la parte più carogna della tua coscienza; la realtà è che difficile accostare la parola ad una ragazzina che praticamente sparisce nella tappezzeria.
Hai temuto che urlasse, pretendesse attenzioni, si annoiasse e volesse giochi; invece si limita a colorare di volta in volta degli album disegnati che si porta dietro. Punto.

Allora hai ricordato com’erano gli Weasley; ed hai semplicemente immaginato che la ragazzina e il caos che riescono a produrre quando sono concentrati non andassero d’accordo.
Questo non significa che non sia irritante come il genitore; hai sperato che bastasse darle un tetto sopra la testa, e che non dovesse essere necessaria la tua presenza. L’unica volta che hai provato ad allontanarti dal salotto però, ha alzato  la testa di scatto e ti ha fissato sperduta.
Per inciso, è stato pochi secondi fa.
Vedi qualcosa tremarle nella piega delle labbra; deve aver capito che avevi tutte le intenzioni di piantarla lì per una rinfrancante passeggiata sulla scogliera.
Non le è piaciuto.
“Cosa vuoi?” Dici, e ti senti un idiota. Non sai trattare con i bambini, e hai la netta impressione che capiscano solo ciò che fa loro comodo.  
La ragazzina si alza a sedere – colora sempre scompostamente, a pancia in sotto e allungata sul tuo tappeto come se fosse un comodissimo materasso, il suo – e aggrotta le sopracciglia.
È chiaramente contrariata. Non parlerà, ma sa esprimersi a dovere.
In effetti, sarebbe irresponsabile lasciare una bambina di cinque anni da sola in una casa piena di oggetti pericolosi.
Tipo quelli presenti nel laboratorio di pozioni.  
Non per lei, per loro.
“Va bene. Rimarrò qui finché tuo padre non verrà a prenderti.” 
La marmocchia sembra rasserenata dalle tue parole, e riprende la sua opera di colorazione. Stavolta, noti, ha con sé un album di fogli bianchi. Ha iniziato a dar forma alle sue idee, supponi sia giunta l’età. Non sai nulla invece della sua Magia.
Forse non ne ha, come non ha parole. Forse è per questo che Potter se la porta dietro, con quell’aria ansiosa, come se avesse il terrore che si potesse strozzare con il suo stesso respiro. Da quanto hai evinto, il mutismo della bambina non è preso con serenità in famiglia. Da come oggi è venuto cupo e contratto supponi una nuova lite.
Gli Weasley hanno più lentiggini che pazienza, e non è difficile immaginare che, riuniti, premano affinché la bambina dia prova di poter essere della tribù.
La guardi distratto e vedi i capelli ramati acconciati in tante morbide onde – mani materne, indubbiamente. I vestiti curati, la ruga concentrata che ha adesso che sta colorando il contorno di qualcosa di scuro.
Non sembra una Weasley. Non ha neppure le loro lentiggini.
La bambina sentendoti fissata,  alza lo sguardo e ti sorride.  
Ti sovviene un pensiero.
“Forse tuo padre pensa che portandoti da una persona che parla poco tu sia stimolata a colmarne i silenzi…” Osservi. Sai bene di parlare troppo complicato. È questo il punto. “… dovrei avvertire Potter che non ho intenzione di improvvisarmi logopedista. Del resto, se non parli, suppongo tu abbia le tue ragioni.”
La marmocchia batte le palpebre. Ovviamente non ti ha compreso. Sciocco da parte tua lasciarti andare a questo sfogo. Vecchio adagio: la solitudine fa brutti scherzi.
Lasci che torni al suo disegno mentre tu torni al tuo libro.
Un’ora dopo ti senti tirare la manica. Abbassi lo sguardo e la ragazzina ti tende il disegno. Nello stesso momento senti suonare la porta e un bacio sulla guancia.

Assieme.
Ti alzi, sdegnato dalla familiarità con cui la ragazzina ti si è aggrappata addosso. Apri la porta lanciando un’occhiata distratta al foglio; è la tua casa, dato che la scogliera è riconoscibile e così il picco a cui tende.

E sotto, la scritta sgranata e incerta di chi ha da poco imparato la sequenzialità dell’alfabeto.
 
Mi piace il silenzio
 
 
2015
 
La marmocchia ha sette anni. È un anno importante per un bambino del Mondo Magico. È a quest’età che si scopre se si ha poteri o meno, definitivamente.
Se episodi di Magia Accidentale non sono ancora occorsi, è difficile che il ragazzino sia un mago. O una strega, nel caso di Lily, che ancora, a detta del suo ansiogeno padre, non ha dato prova di nessuna dote magica.

Non è raro che nasca un Magonò, anche nelle migliori famiglie magiche. Sai di come i Malfoy abbiano allontanato i loro ‘piccoli, sporchi segreti’.
 
Lily è nel campo vicino casa. E’ una distesa smeraldo liquido in questa primavera, piena di boccioli non ancora schiusi.
Sta leggendo un libro. Non riesci a capire se faccia finta, perché la vedi più volte alzare il naso per aria per seguire il volo delle farfalle che impazzano di cespuglio in cespuglio.
Potter sta portando la figlia da fior fior di specialisti magici e babbani. Niente fino ad adesso l’ha smossa dalla sua idea di tenere la bocca chiusa.

Ora sai perché continua a portarla da te; qui la ragazzina non è forzata a parlare.
Difficilmente apri bocca tu.

A quanto pare, è per lei un ambiente sereno.
Ti verrebbe da ridere, ma probabilmente sarebbe la risata disperata di un uomo oberato da una corvèe che durerà per il resto della sua lunga vita da mago.
Badare ai Potter.
Finisci di ammucchiare l’erba che è cresciuta spropositatamente nel tuo prato. Questi piccoli riti necessari sono parte della tua routine.
Quando fai per rientrare e preparare del the per spegnere la sete – oggi fa curiosamente caldo – ti sovviene che stavolta devi preparare due tazze. Ti volti per chiamare la marmocchia e…

Non c’è.
Un’ondata di sentimenti non ben identificati ti placca in pieno petto come un centauro irascibile; non è facile spaventarsi quando si è passato una vita a fingere di non farlo, e diciassette anni a scordarsi come funziona quella sensazione.

Corri – no, sono falcate – nel campo e la cerchi. Il libro non c’è e non c’è lei.
Dove può essere andata una ragazzina che normalmente ha il terrore di perderti di vista per più di mezzo istante?
Torni in casa, la cerchi in casa. Non è in casa.
Potter tornerà tra un paio d’ore e tu sarai qui, pronto a spiegargli che hai perso sua figlia.

Forse è giunta la tua ora. Adesso, durante una gloriosa primavera del Connemara per colpa di una  ragazzina che ha il nome dell’unico amore della tua vita.
Rifletti.
Puoi averla persa di vista per…
Merlino, per quasi un’ora. Sei talmente abituato ad avere la certezza che non si allontanerà dalla tua ombra che hai dato per scontato non sarebbe mai scappata; peccato i bambini lo facciano in continuazione.
Esci di nuovo e batti palmo a palmo la tua proprietà. Poi guardi oltre il crinale, verso il villaggio. Impossibile sia andata così lontano.
Impossibile…
Percorri la strada, a piedi, cercandola. È una bambina ma ha avuto un’ora per camminare.
Ardmore ha le prime case a venti minuti da casa tua. Vieni guardato con perplessità, e salutato. Non ricambi. Non chiedi se è stata vista una bambina, perché è semplicemente grottesco che sia successo.

Hai disciplinato per anni mocciosi la cui missione principale era infrangere le regole e improvvisamente non sei capace di badare ad una settenne che non richiede più di qualche occhiata?
È umiliante. 
Arrivi fino alla locanda che ti ha ospitato nei primi giorni della tua permanenza.
“Signor Piton!” Ti apostrofa la padrona, che sta spazzando l’ingresso. Non è di molte parole, ed hai apprezzato il suo servizio discreto quando hai soggiornato lì. “Bella giornata, ah?”
“Ha visto una bambina dai capelli rossi? Sette anni.” Ti scolli dal palato, riluttante. Non puoi setacciare tutto il villaggio senza scatenare domande.

“Oh, come no.” Dice senza scomporsi. “Era con Eamon e gli altri ragazzini.”
È andata a giocare. Il sollievo e la rabbia sono talmente confusi che la donna ti fissa come se stessi per avere un infarto. Non sei più l’Occlumante di una volta. È difficile esercitarsi quando non c’è nessuno nel raggio di miglia da ingannare.

“È sua figlia?” Chiede curiosa. Eccola là, l’indole da paesana. Non puoi ammettere di non essertelo aspettato.
“No, è figlia… di un conoscente.” Per eufemizzare. La tua nemesi non sarebbe suonata bene alle orecchie di una donna dalle gioie semplici. “Da che parte?”
“Verso l’Auld Haunt.” Indica addirittura. “Questi bambini…” Sbuffa compartecipe.
Non empatizzi e tiri dritto. Arrivi al pub e, a parte il solito folklore di vecchi paesani con pinte di lager alle tre del pomeriggio, non vedi nulla.

Però senti. Uno strillo, infantile e femminile.
Vecchi riflessi – o traumi, più probabile – di guerra ti fanno estrarre la bacchetta non appena sei fuori vista.
E quel che vedi, dietro l’angolo del pub, ti sconcerta.

Il libro che hai dato alla marmocchia è sparso, in pezzi, a terra. Il lavoro di mostriciattoli incivili, indubbiamente. Solo che i suddetti non sembrano gioire della loro bravata ai danni di una bambina indifesa.
I suddetti non ci sono: ci sono però tre rospi gracchianti .  
Lily è al centro del gracidio, con i capelli arruffati e il viso rosso come una mela. Ha gli occhi lucidi e l’espressione furiosa.

… hai già visto un’altra Lily con quell’espressione e sai esattamente chi sono quei tre rospi. Chi erano.
Lily poi ti nota, e apre la bocca. “Zio Severus!” Dice. Parla. Esprime verbo.
Poi ti placca la vita, ma sei troppo sbalordito per scacciarla.

Naturalmente, scoppia in lacrime non ha appena a disposizione i tuoi vestiti per soffiarcisi il naso. 
“Sei stata tu?” Chiedi, anche se è ovvio. I tre rospi hanno bistrattato la bambina sbagliata.

“Cattivi!” Spiega. Ha la voce leggermente roca; non la usa tanto, ma è evidente che sa usarla. Come è evidente sia una strega piuttosto vendicativa.
Potter avrà un colpo apoplettico per la gioia.
“Immagino sia una confessione.” Le dai una pacchetta sulla schiena. È la prima volta che la tocchi, e, in generale, che lasci avvicinare così tanto un bambino.
“Era…” Un singhiozzo. Ha una vocetta infantile, nulla di particolare. Sentirla per la prima volta è un po’ straniante però. “… era il tuo libro.”
Con un colpo di bacchetta incolli le pagine, pulisci la carta e te lo porti alla mano. Lily sgrana quei suoi grandi occhi celesti. Forse è la luce del sole di questa improbabile primavera che riflette il verde che ingloba tutto, ma... sembrano…

Comunque.
Con un altro colpo di bacchetta riporti i marmocchi paesani alla loro forma originale e mentre sono ancora storditi ti premuri di cancellar loro la memoria. Le espressioni confuse e la momentanea afasia saranno un problema dei loro genitori.
“Smettila adesso.” Le intimi. “Non sono un fazzoletto.”
“Non sto piangendo.” Prevedibile risposta da arroganza Potter.

Rassegnato, lasci che si aggrappi ai tuoi poveri, bistrattati pantaloni mentre tornate indietro. L’altra mano è saldamente ancorata al provato libro. Non ricordi neppure di cosa tratti. Probabilmente di argomenti che una bambina di quell’età non dovrebbe affrontare.
Sei decisamente un pessimo babysitter – e questo ti dà molta soddisfazione.
“Credo sia mio diritto sapere perché hai deciso di scappare, sciocca ragazzina.”
Lily si morde un labbro. Non te lo dirà, e in fondo non ti interessa. C’è altro che sei curioso di sapere. Pensavi che la curiosità fosse morta con la tua adolescenza.
(Non è che ti abbia precisamente portato fortuna.)
E invece no.

“Sai parlare.”
La bambina annuisce. “Sì, lo so fare.” Conferma. “Non mi piace.”

“Curioso, per una Potter…” Ti esce spontaneo. Il sarcasmo è l’unico bagaglio che ti sei portato dietro nella tua nuova esistenza. Quello e le tue pozioni. In fondo, un uomo non può mai completamente reinventare se stesso.
Lily aggrotta le sopracciglia. “Io sono Lily.” Lo pretende. Il tono è quello.
“Attestazione superflua.” Ribatti. Perché una replica del genere ti turbi a distanza di decenni è cosa che non vuoi indagare.
Sono i Potter il problema. Da sempre. Voldemort è stato qualcosa di collaterale; a posteriori, davvero, lo pensi.
È Harry Potter e questa ragazzina. Ora le tue nemesi sono ben due.
Ti afferra la mano, e lo fa con una forza che può avere solo una bimbetta che non sa dosare. Non ricordi l’ultima volta che qualcuno ti ha preso la mano. Forse è stata un’altra Lily, in un altro tempo.
I ricordi sono una cosa buffa; a volte sono così nitidi che ti sembra di maneggiarli, come fragile vetro che potrebbe tagliarti le mani. A volte sono distanti quanto il Connemara lo è da Cokeworth. Ma non ti serve un Pensatoio per ricordare la presa tiepida di una mano infantile sulla tua.
Saresti dovuto morire in quella vecchia catapecchia, con la gola squarciata e gli occhi pieni di lei.
Invece sei qui, con una vecchia cicatrice fibrosa, una casa sul ciglio del mondo e una bambina silenziosa che ti tiene la mano ed ha il suo sguardo.
È chiaro che il Destino, il Fato o chi per lui non ha ancora finito con te.
Lo senti quasi ridere.

 
 
2019
 
Lily quest’anno è andata ad Hogwarts.
 
Passano i mesi e arrivano le lettere. Sai che è stata smistata, con gran sorpresa del suo ottuso branco, a Corvonero. Tu l’avevi intuito; al di là dell’irritante faccia da schiaffi che ha ereditato dal padre, la marmocchia Potter possiede un cervello. Ha più interesse nella speculazione che nell’affermarsi con chiasso, ed era consequenziale che il Cappello scegliesse la Casa delle menti superiori.
(Che certo, ha ospitato anche quel babbeo di Allock. Ma c’è sempre l’eccezione alla regola.)
Le sue lettere sono lunghe e piene di dettagli inutili. Le leggi con un sottile sconforto; del resto ormai l’intero consesso magico che ancora ricorda la tua esistenza, sembra convinto che tu sia il padrino della ragazzina e, che per tale motivo, tu sia preoccupato della sua vita scolastica. Lei compresa.
Non sei il suo padrino.
E non sei preoccupato.
Le giornate scorrono lente, nel Connemara. Le stagioni sembrano intrappolate in un ciclo eterno, che non era così immobile neppure nei tuoi anni scozzesi.
A volte ti accorgi che il tempo scorre solo perché la tua casa ha continui bisogni di manutenzione.
Anche distillando pozioni che vendi ad una ditta di Galway passano comunque interi giorni senza che tu abbia contatti con l’esterno.
È… strano.
Per anni è stato perfetto; di contatti ne hai avuti fin troppi, fin troppo complessi, sbagliati, orribili. C’è stata la guerra, e la guerra è una fornace, un mostro che ingloba, tritura e ferisce. Quando ti sei svegliato in un letto del San Mungo l’ultima cosa che hai voluto fare è stata guardanti indietro. O avanti, se è per questo. Hai preso una pausa dalla vita; del tutto legittimo.

Poi, la solitudine.
Intendiamoci, continua a cullarti. Ma a volte è come se fosse tutto quello che ti è rimasto.
E ti interroghi. Spesso. Ti chiedi perché proprio tu sia sfuggito alla morte, quel maledetto giorno campale, perché semplicemente non sia finita lì, come avrebbe dovuto.
Perché tu e non Lupin e la sua sfacciata compagna, per esempio; avevano un bambino.

Dei tuoi compagni – maldigeriti o meno – non è più rimasto nessuno.
Potter non è più il ragazzino che ti urlava contro, sputando quel ‘signore’ come se non ci credesse neppure un po’. È un adulto dallo sguardo sereno, un padre di famiglia.
La pace. È arrivata per tutti, meno che per te.  
E ti chiedi come sarebbe stato se Nagini avesse affondato ancora una volta i denti nella tua gola.
Qualcuno la chiamerebbe depressione; tu odi certe etichette fatte per chi ama crogiolarsi nella propria miseria. Sei solo immensamente annoiato.

E quella ragazzina era la cosa più snervante, ma perlomeno non prevedibile, che avessi nelle tue giornate.
Ma è la pace; la pace fa andare avanti, ed ecco che tutti crescono, hanno vite.
Tu? Rimani bloccato.

 
 
Arriva Natale e te ne accorgi solo perché al villaggio hanno issato un gigantesco e abete, pieno di decorazioni pacchiane. Riesci a vederlo persino da casa tua, il che è notevole. Gli irlandesi hanno questo senso della teatralità che non capirai mai.
Stai tagliando la legna nella rimessa quando senti suonare il campanello. Non aprirai, saranno le solite premature carole da parte dei mocciosi del villaggio.
(Per inciso hanno cominciato a chiamarti Scrooge.)
“Zio Severus!”
Solo una persona al mondo riesce a chiamarti in quel modo senza avere la minima consapevolezza dell’assurdità del titolo. Lily Luna.
“Zio Severus, so che ci sei!” Continua. “Sono venuta a trovarti!”
Devi risalire prima che cominci a prendere a calci la porta; non l’ha mai fatto, ma sono mesi che non la vedi e Hogwarts gioca brutti scherzi.

Te la trovi però ordinatamente seduta sulle scale dell’ingresso. Riconosci la sciarpa con i colori Corvonero, portata con fierezza.
“Zio Severus, Buon Natale!” Esclama entusiasta. Le avranno inculcato nel cervello la gioia primitiva Weasley per qualsiasi festività.
“Mancano tre giorni.” Le fai notare. “Dov’è tuo padre?”
“È dovuto andare. Quelli dell’ufficio di Galway chiedono sempre di lui…” Si stringe nelle spalle. È cresciuta: è in quell’età dove i ragazzini sembrano piante continuamente innaffiate. Ricordi come ti abbracciava la vita e ti ficcava la testa nello stomaco. Ora ti sfonda il plesso solare.

Anche il viso, prima tondo come una mela, si è affilato. Sta crescendo.
Tu stai invecchiando.
“Entra.” Le dici, e la spingi dentro, rimediando un risolino divertito. Si guarda attorno e quasi ficca la testa nel camino per scaldarsi il viso, quando siete in salotto.
Poi ti guarda e ti sorride. Sembra stare … bene. Di certo Hogwarts deve averla cullata nella bambagia di chi è figlio d’arte.
Prepari il the e te la trovi a due passi di distanza, come al solito. Sua padre ha blaterato qualcosa sul fatto che ti segua come un pulcino. L’ha fatto una sola volta; il tuo sguardo deve averlo dissuaso dal provarci una seconda.
“Due cucchiai di zucchero, e latte.” Dice, picchiettando sulla tazza.
Conosci la marmocchia; non lo fa apposta e questo rende estremamente difficile riprenderla.

“Ricordo come prendi il the.” Replichi secco.
“Sono passati tanti mesi da quanto ci siamo visti…” Argomenta con naturalezza. “Le persone dimenticano.”
Se fosse stupida, non sarebbe una Corvonero. Equazione semplice. Ma Lily ha una singolare luce nello sguardo, una serietà che non si addice ad un undicenne.
(Tu eri in quel modo alla sua età, ma tu… beh, tu non eri certo la norma.)
“Mi sei mancato.” Aggiunge, tirandoti la manica per sottolineare il concetto.
Non sai cosa si risponda in questi casi, quindi opti per un doveroso silenzio e la spingi con un gesto verso il salotto. Ti obbedisce, ma noti la ruga che le solca le sopracciglia.
Quando qualcosa la contraria le si legge in faccia.
Sugge il suo the accoccolata vicino al fuoco, lanciandoti occhiate di sottecchi. Ti saresti aspettato un fiume di chiacchiere sulla scuola, sui nuovi compagni.
Niente.
Troppo fortunato per crederci, ti limiti a sederti sulla poltrona e riprendere in mano il libro che avevi interrotto.

“L’insegnante di Pozioni è un cretino.”
Alzi lo sguardo e trovi che ti sta guardando in aspettativa.
Ti ha lanciato un’esca, è talmente palese che non riesce a trattenere il sorrisetto monello che le trema all’angolo delle labbra.

“E questo tuo giudizio è dovuto  al fatto…?”
“…  che ci fa leggere dal libro di testo. Dice che al Primo anno non c’è bisogno di fare lezioni operative. Che potrebbe essere pericoloso.” Inarca le sopracciglia. “Gli ho detto che tu avresti detto che è un incompetente.”
“Hai detto cosa?”    

“Mi ha messo in punizione.” Aggiunge subito vedendo la tua espressione. “E poi il Preside ha detto che avrei dovuto chiedere scusa.” Arriccia il naso. “L’ho fatto. Però non ci credevo davvero. Vale lo stesso, no?”
Ti passi una mano sulle labbra nella speranza di trattenere il ghigno che affiora prepotente. Hai sempre detto a Minerva che aveva assunto un incapace. Sapere che la tua ragazzina…


Beh, hai solo avuto conferma da una matricola. Se lo capisce una matricola, è palese il fatto. È soddisfacente.

“Mi aspettavo che tu sapessi cos’è il rispetto per un insegnante. O un adulto.”
“Lo conosco!” Ribatte. “Ma bisogna meritarselo. Anche gli adulti. O gli insegnanti.”

Geni Potter, indubbiamente; ma il fatto che argomenti con una certa cognizione di causa ti lascia sperare che non sia completamente perduta.
“Mostrare rispetto verso le autorità è un dovere basilare per una persona educata in una società civile, e non mi risulta tu sia una selvaggia.”
Si morde il labbro. Poi sorride di nuovo. “Ma io l’ho mostrato. Poi se ci credo, è una cosa mia.”
Quasi provi pena per il poveraccio che se l’è trovata in classe. O per il nuovo corpo docenti in toto.

“Finisci il tuo the.” Ti risolvi a dire. La lasci al compito e ti immergi nella lettura; pochi momenti dopo ti senti toccare la mano. Te la trovi a due centimetri dal braccio che ti scruta.
“Sì.” Attesti rassegnato.
“Stai preparando nuove pozioni?” Captatio benevolentiae. La ragazzina è sempre stata brava in questo. Fin troppo, dice la tua coscienza, che ti sottolinea come potresti tranquillamente impedirle di infastidirti.
Ci sei mai riuscito? Onestamente.
“Cosa ti fa credere che ti lasci entrare nel mio laboratorio?”
Sorride. “Ora so come funziona.”
Quando la vedi sminuzzare con autentica allegria le radici di asfodelo, pensi che dovresti davvero prenderti un gatto; perché se non hai l’urgenza di spedirla fuori dal tuo spazio più privato, più tuo, beh, significa che la solitudine ti ha finalmente roso il cervello.

“Mi piacciono le pozioni.” Interloquisce. Ecco tornata la parlantina. Va’ ad ondate, come le maree. “Sono precise. Mi piacciono le cose precise.”
I marmocchi hanno la strabiliante capacità di parlar da soli per ore intere.
“Mi piace anche Trasfigurazione. È forte…” Ci riflette. “È interessante.” Corregge il tiro a tuo beneficio, lo vedi da come ti guarda di sottecchi. Controlli la pozioni e la ignori. “E poi mi piace la nostra Sala Comune… è in alto, sulla torre più alta e c’è tanta luce. Quasi come qui, quando arriva il tramonto.”
Chiacchiere umane. Certe persone ne sentono la necessità come respirare. Per te è stato sempre un fastidio. Ma si dice che invecchiando i gusti cambino e…
No, continui a mal tollerare le esternazioni altrui. È Lily che sopporti, perché è una bambina, perché è portata in pozioni e Dio, perché devi davvero prenderti un gatto.
“Non mi sono fatta tanti amici.” Sbotta di colpo, dopo un attimo di silenzio. “Tutti parlano un sacco. Troppo. Perché tutti sentono sempre la necessità di dire tutto? E chiedere… tante cose. Fatti tuoi.”
I figli d’arte. Non dev’essere facile avere un’etichetta per una gloria che non ti appartiene.
Non che ti interessi.

“L’interlocuzione umana è doverosa se si vuole intraprendere relazioni sociali.” Ti limiti a dire. Sembra preso da un libro, è il genere di cosa che confonderebbe un bambino e lo farebbe tacere.
Magari fosse così per Lily.
“A me non serve parlare con te.” Ti allunga il tagliere con le radici. “Tu sei mio amico.”
“La differenza d’età potrebbe al massimo identificarmi come tuo mentore. E non sento la necessità di avere un’allieva.” Sarcasmo. Per fortuna ha ancora problemi a comprenderlo, perché se così non fosse avresti di fronte un piccolo specchio di te stesso, con più sorrisi ma la stessa inquietante capacità di capire troppo.

Questo non ti ha fatto avere un’infanzia felice, per inciso.
“Quando sto con te sono felice, mi piace stare qui.” Replica. “Mi sei mancato quando ero ad Hogwarts. Tu sei mio amico.” Attestazione.
Ci sarebbero molti modi per rispondere e distruggerle infantili speranze di un rapporto nato solo perché suo padre non riusciva a gestire il fatto di avere una figlia muta.
Ci sarebbero.
Preferisci rimanere in silenzio. 
La ragazzina non aggiunge altro; sa quando non insistere con te, l’ha imparato.
Fingi di ignorare i suoi occhi lucidi.
 
Potter torna a prendersela e non puoi dire di esser sorpreso quando allontana la figlia e ti si avvicina con l’aria affranta del genitore che cerca rassicurazioni.
“Lilù le ha detto niente di…” Esita. “Di come si trova a scuola?”
“Potter, se non smania per avere la luce dei riflettori su di sé non significa abbia problemi a scuola.”
“Quindi gliene ha parlato.” Sembra davvero sollevato. Hai quasi la certezza che Potter, che ha la deprecabile tendenza ad indossare i suoi sentimenti come giacche vistose, non riesca a capire sua figlia. Non che non la ami – è un genitore fin troppo protettivo, come supponevi sarebbe diventato, del resto. Ma non ha idea di che pesci prendere quando è con lei.

Hai passato anni a scrutare le indoli altrui; sai riconoscere quando è qualcuno è a disagio con il suo stesso sangue.
“Sì.” E non aggiungi altro, beandoti della ruga nervosa che si disegna poco distante dalla sua cicatrice. È sparita ormai, ne intravedi solo i bordi.
“Con me non parla.” Butta fuori infine. “È… non è esattamente una chiacchierona.”
“E questo sarebbe un difetto?”
Schiocca la lingua, stavolta apertamente infastidito. “Lily ha problemi a scuola e non ne parla con nessuno. Ma con lei lo fa.”

Noti un lampo di capelli rossi alla porta dello studio in cui Potter ti ha costretto a riceverlo.
“Onestamente, Potter.” Inarchi le sopracciglia e ti culli in vecchi ricordi; era dolce riuscire a fargli abbassare la cresta. “Cosa vorresti fare? Arrivare in sella alla tua scopa e risolverle i problemi? Quando presumibilmente uno dei problemi è la notorietà della sua famiglia? La tua?”
Ammutolisce. Sai di averlo colpito a fondo. Sei un vecchio pipistrello odioso e amareggiato. Sperava in un consiglio rassicurante?
Forse, da come ti rivolge un’occhiata di fuoco. “Buon Natale professore.” Borbotta. Se ne va dal salotto e poi lo senti chiamare Lily, che sarà tatticamente scappata dove avrebbe dovuto essere, ovvero all’ingresso.

La marmocchia in compenso irrompe in salotto pochi secondi dopo. Ti fa un gran sorriso. “Allora ciao! Torno a trovarti, okay?”
“C’erano dubbi?” Replichi, facendola ghignare. Oh, la conosci quella smorfia. James Potter si rivolterebbe nella tomba. Perché te la sta imitando.

Ti placca in uno dei suoi abbracci, e sei costretto a darle un colpetto sulla spalla per ricordarle che certe manifestazioni hanno una durata. Per quanto ti riguarda, brevissima. “Va’ adesso. Tuo padre sta aspettando.”
“Buon Natale zio Severus!”

 
Alla Vigilia arrivano i suoi auguri ufficiali e un nuovo disegno. Sai che sta tentando con gli acquarelli. Piuttosto acerba, ma promettente.
Il disegno va’ a finire assieme agli altri. Nessuno entra in camera tua e nessuno può sapere dove sono pateticamente appesi.

No, davvero; l’idea del gatto è ottima.
 
 
2021
 
Tieni Lily tra le braccia e non hai la minima idea di come tu sia finito in questa situazione.
In realtà lo sai benissimo. Potter ha divorziato da sua moglie.
 
Questa, la causa scatenante.
Avevi subodorato già da qualche tempo che il paradiso del Salvatore aveva smesso di esser roseo. Le lettere di Lily parlavano di liti sedate con l’aiuto dei fratelli, vacanze mortificanti, recriminazioni vecchie di anni e lettere separate da parte dei genitori.

Non puoi dire di esserne stato sorpreso; statisticamente, i matrimoni contratti in giovane età sono destinati a non arrivare alla vecchiaia. Potter è sempre stato un impulsivo. Sposare la prima donna deputata a sentimenti più complessi di una cotta gli sarà sembrata un’idea splendida, specie perché Weasley. 
Questo pomeriggio - è un estate ordinariamente piovosa - ti sei trovata Lily di fronte alla veranda mentre la bufera impazzava, gonfiando il mare e sbattendo le persiane delle finestre.
Non dentro, davanti.
Tremava, perché indossare un vestito di cotone leggero per affrontare l’imprevedibilità irlandese è stupido.
Tremava e piangeva in mezzo alla pioggia. Non sapevi se era più acqua piovana o lacrime quelle che le scorrevano sul viso.
Lily, come ha dedotto Potter, non è una chiacchierona. È una ragazza quieta, dai lunghi silenzi e dagli strani sguardi. Se non si è abituati, può mettere a disagio.
Tu conosci i suoi occhi da tredici anni, e sai accorgersi al volo quando è il caso di lasciar perdere i convenevoli e portarla dentro casa.
 
Una tazza di the caldo più tardi finalmente parla.
“Si sono lasciati.” Dice e non c’era traccia di incredulità o rifiuto. Era chiaro se lo aspettasse quanto l’avevi intuito tu. “Papà ha preso le sue cose ed è andato dagli zii. Stamattina a colazione eravamo solo …” Si blocca mentre vedi le unghie che dipinge sempre di colori allegri affondare nel palmo. “… non ci ha detto niente. Se n’è andato e basta.”
Non dici nulla, perché supponi che altri abbiano già detto troppo per cercare di calmarla. Peccato che con Lily le parole abbiano l’effetto opposto.

Vedi i palmi contrarsi, stringere. Stringere e trovare vuoto, perché nella foga di uscire e lasciarsi tutto alle spalle si è dimenticata anche la propria bacchetta.
Poi arriva l’urlo. È uno solo, rabbia e frustrazione pura. Ha tredici anni, e ricordi i tuoi tredici anni mentre la tazza tra le sue mani si spacca, mentre lo specchio sopra il camino si incrina e le fiamme beccheggiano alla forza della sua magia.
Avresti voluto spaccare il mondo a mani nude, e non potevi farlo. Non eri neppure capace di difenderti da Tobias.
L’urlo si quieta com’è iniziato. Con un colpo di bacchetta asciughi il the che ha bagnato il tappeto, le sue mani e le gambe nude e sottili, dai ginocchi sbucciati. È caduta mentre cercava la passaporta con cui lei e suo padre si materializzano qui.
(Tra parentesi, premuroso da parte di Potter lasciarle almeno quella.)
“Tornerà.” Dici. “Si può dire tante cose di tuo padre, ma non che sia un codardo o che lasci le cose a metà.” È la prima volta che fai un complimento a quell’idiota e pensi che, dopotutto, non se lo merita.
Ma ne ha bisogno Lily, che ti guarda con quei suoi occhi troppo grandi, troppo vasti, troppo celesti. Ti ricordano il cielo di qui, quando le nuvole vengono spazzate via dal vento del Nord. Non sono gli occhi di lei, sono diversi. Eppure, sono uno dei motivi per cui comprarti un gatto non ha funzionato come speravi.
Piange. La vedi singhiozzare mentre i capelli le chiudono il viso allo sguardo altrui. 
Ti senti sconfortato, perché realizzi che vorresti prendere Potter per i piedi ed appenderlo ad un posto alto, con sotto una buca profonda, possibilmente piena di creature rivoltanti. E mortali.
Perché se non è una colpa sposarsi per un’urgenza di lombi, lo è far piangere sua figlia, che non lo capisce, che non viene capita, ma che lo adora come lo stupido idolo d’oro che è sempre stato per tutti.
“Abbracciami…” Dice. Le tue riflessioni ti hanno portato di nuovo nella parte meno piacevole di te e la guardi senza capire. Si ferma e ripete. “… abbracciami, per favore.”
Non te l’ha mai chiesto. Te l’ha semplicemente fatto sopportare, e andava bene. Severus Piton non è fatto per abbracciare: non ha abbracciato neppure sua madre sul letto di morte.
(E se n’è sempre pentito.)

Per fortuna sei sempre stato un discreto equilibrista con le parole. “Pensi davvero che mi voglia sedere per terra?”  
(Complimenti per l’equilibrio.)

Lily ti guarda battendo le palpebre. Poi fa un sospiro e sorride appena. “Sei proprio impossibile, zio Severus…”
“Non è la prima volta che mi è stato fatto notare.” Appunti e poi, semplicemente, lasci che si sieda sulle tue ginocchia e appoggi la testa contro il tuo petto.
Non sarebbe il caso, ti dice una voce. Lily comincia a non essere più una bambina, sta diventando un adolescente. Un adolescente che sta abbandonando la crisalide dell’infanzia e… tutte quelle sciocchezze. È alta, è sottile come un giunco e puoi stare certo che i suoi coetanei hanno già cominciato ad infastidirla.

Dovresti farle notare che il modo in cui si accoccola contro di te è inappropriato.
Però.
Sta piangendo. È una maledetta bambina spaventata, ed è venuta da te perché è ovvio che non ha ricevuto a casa ciò di cui aveva bisogno.

È sempre stato questo il punto.
Non riesci a capire, però, come diavolo riesca ad averlo da te.

Lasci che riduca la tua camicia ad un disastro, sopportando stoicamente. Hai affrontato di peggio. Voldemort, ad esempio. Silente e il suo stramaledetto Bene Superiore, anche.
“Sono contenta che tu sia qui, Zio Severus…” Mugugna con il tono impastato tra il sonno e il pianto. Una mocciosa che, sfinita, si addormenta dopo essersi soffiata il naso addosso a te. Dovresti essere furioso. Da anni, sei solo rassegnato.
“Non vedo dove altro dovrei andare. Questa è casa mia.”
Alza il viso dalla tua spalla. Sorride tanto, ma allo stesso modo è seria. Un equilibrio perfetto. “Non qui… non qui a casa tua. Io intendo dire… che sei ancora qui.” Le vedi le guance colorarsi di rosso. “Io… sarebbe stato orribile se tu non ci fossi stato. Se non ti avessi mai conosciuto.”
Un ciocco scoppia nel camino nel mezzo del silenzio che segue.
Niente fiori e onori sulla tua tomba, Severus. Sei ancora vivo. Congratulazioni. Scusaci. Ora sparisci per favore; ci metti a disagio.

Una strana sensazione, spaventosa e sconcertante ti si diffonde addosso come un’improvvisa febbre.  
Sconcerto, spavento. Quand’è stata l’ultima volta che ti sentito felice, Severus?
Fa male come usare di nuovo un arto anchilosato.
“Il mondo sarebbe continuato a girare anche senza di me.” Distanza. Distanza anche se senti il suo respiro tiepido sulla spalla, e sai che è viva. Che sei vivo anche tu.

Ma come, te n’eri dimenticato?
Sbadato da parte tua.
(Perché diavolo la voce della tua coscienza ha il tono di Albus, adesso?)
Lily scuote la testa. Sottolinea un concetto. “Non il mio, non bene. Tu sei il mio migliore amico, zio Severus.”
Ti sembra che la ferita di Nagini ti blocchi la gola come un laccio. In tutta franchezza, anche respirare è difficoltoso.
“Alzati.” Le intimi brusco. Ti guarda confusa, ma obbedisce come sempre. Non è stato Potter a dirti come sia testarda e risponda a primo comando solo a te?

Sicuramente.
“Voglio restare qui.” Esclama mentre cerchi di trovare un modo per rispedirla a casa e rimanere solo con i tuoi pensieri. Stanno premendo per uscire e non puoi costringerli a lungo. “Posso dormire qui, stasera?”
No, neanche tra un milione di anni.
“… vado a prepararti la stanza.” Replichi docile come un povero idiota che cerca ancora di capire cosa l’abbia colpito e, soprattutto, dove. La lasci che sta prendendo in braccio il gatto di casa – Cagliostro, scelta sua il nome, per quanto ti riguarda poteva rimanerne privo – e sali al piano superiore.
Apri la finestra della camera degli ospiti, per darle aria. Sa di chiuso, com’è naturale: chi ci ha mai soggiornato del resto?
Un raggio di sole buca le nuvole spesse come acciaio e colpisce il mare facendolo esplodere di piccole schegge d’argento.
Non credi nelle epifanie. Sono idiote.
Ma per la prima volta in vent’anni – perché quando qualcosa cambia, deve metterci così tanto per te? – ti percepisci respirare.
Sei vivo. Sbadato da parte tua scordarlo.

 
****
 
Note:


Woah. Non so davvero cosa ne potrà venire fuori, perché onestamente il POV di Piton in seconda persona è… beh, meno difficile che la prima, ma comunque problematico.
Questa due-episodi è tutta dedicata alla favolosa e neonata pagina Facebook – e un po’ anche community – Repayement Ita, fondata da Emme e che mi vede come goffa co-amministratrice.

Cos’è il Repayement? Una possibilità. Dare a Severus un addio o un bentornato come si deve.
Ci sono molti forse: Severus può non essere più trai vivi, Lily Luna può essere una figura di contorto, o fondamentale, può essere amore o solo una possibilità di riscatto.
In senso romantico o meno, facciamo tutto questo per un personaggio che forse doveva morire per riscattarsi, ma forse anche no.

Passiamo  alle note va’, che i pipponi non piacciano a nessuno.
 
Il titolo è preso da libro di Michael Cunningham, che peraltro non c’entra un cavolo. Ma è bello, se avete occasione, leggetelo.
La canzone la potete trovare qui ma spero anche nei vostri Mp3. ;D

1.Connemara: Il Connemara (nome originale, in gaelico irlandese, Conamara) è una regione selvaggia e aspra situata nell'Irlanda occidentale, più precisamente nella Contea di Galway. Qui per maggiori informazioni.
2.Sky Road: (dall'inglese, "Strada del cielo") è una strada costiera del Connemara. Qui per info.
3. Ardmore: in realtà non è una vera e propria località e, suppongo, neppure un villaggio. È un agglomerato di case nella contea di Clifden, il centro culturale e capitale del Connemara. Mi piaceva il nome. :P
4. Caithness: Dove la Rowling ha rivelato sia nata la McGrannit.

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Una Casa alla Fine del Mondo
 
 
 
And I was talking to you, and I knew then it would be
a life long thing, but I didn't know that we could break a silver lining…
(A Sorta Fairytale, Tori Amos)
 
 
2022
 
Immagini che non sia normale che Lily passi tutto questo tempo con te.
Quando ha cominciato Hogwarts hai riflettuto pigramente sulla possibilità che si allontanasse da te, presa dalle amicizie che non fossero i suoi roboanti cugini e dal crescere.
Invece Lily è cresciuta, ha quindici anni ed ogni fine settimana te la trovi sul portico, ora in uniforme estiva che porta con l’insofferenza tipica della sua età, ora imbacuccata nella sciarpa della sua Casa con il mantello invernale che le svolazza al vento della brughiera. Il più della volte porta un ingombrante cavalletto e una tela nuova. Quel che non finisce deve sempre riportarselo indietro.
Dice che ama questa natura selvaggia. Comprendi; e dubiti sia solo questo.

La Passaporta che per la prima volta ha portato Potter da te adesso è passata a lei; è una semplice chiave, lucida e  babbana, che porta al collo, fissata con una catenella; l’ha fatta impostare in modo che ogni sabato mattina la materializzi ai confini di Ardmore e la riporti in Scozia allo scadere del tardo pomeriggio di domenica.
Ha pochi amici, questo lo sai; Corvonero è una casa competitiva, su molti fronti. Diversamente da Serpeverde, dove il senso di Casa è simile a quello di una setta, e dà la stessa compattezza umana, la casa di Priscilla ha sempre preferito allevare cuccioli di inventori, innovatori, strampalati geni o capaci accademici.
Ma tutti con una caratteristica comune; il solipsismo.
Lily ha comunque trovato una sua dimensione; ti parla spesso di alcune amiche i cui nomi scivolano via nella tua memoria senza imprimersi. Parla poco di ragazzi. Molto dei suoi fratelli e del maggiore, James, che in preda ad un autentico nomen omen si comporta come se la scuola fosse il suo parco giochi. Per fortuna quest’anno si è diplomato.

Tu ascolti mentre si scalda le mani al fuoco o prepara il the. Non commenti minimamente mentre la lasci trafficare nelle tue pozioni; è brava, ha precisione e un certo estro che la rende immagine della sua Casa. E di Lily.
Sai che anche il figlio di mezzo ha eredità la bravura della nonna. Non l’hai mai visto e non ti interessa. Ti è stato detto come certe capacità sembrano scorrere nei geni.

È un memento che hai sotto gli occhi tutti i sabati.
Come adesso, che sta facendo sobbollire una delle pozioni che deve preparare per i suoi compiti di lunedì.
È silenziosa; non che sia esattamente una novità, potete passare ore senza scambiare una parola. Oggi però è evidentemente in preda ad un pensiero fisso e poco piacevole da come si tormenta le labbra, sondandole piano con i denti. Finirà per farsele sanguinare, esattamente come le unghie.
Lasci che passi un’altra mezz’ora di quel silenzioso masochismo, prima di sospirare. “Cosa?”
Alza lo sguardo di scatto, sorpresa. Sembra genuinamente confusa dalla tua domanda e per un momento ti chiedi se tu non abbia preso un abbaglio; no, decidi, vedendola arrossire e distogliere lo sguardo.

“Va tutto bene… e comunque.” Ecco, appunto. “Non voglio angosciarti con i miei problemi.”
Sorvolando sul lessico barocco, sbuffi. “Non sono angosciato, sono irritato.”

Il tuo caratteraccio non è mai sembrato scalfirla e non lo fa neanche stavolta, dato che ti guarda con espressione neutra, tipica di quando aspetta la fine di una frase. “… perché è evidente che ci sia qualcosa, e quel qualcosa mi ha appena fatto buttare dodici galeoni di ingredienti.”
“…Cosa? Oh, no!” Esclama saltando dallo sgabello e spegnendo il fuoco. Troppo tardi, e lo constata anche lei con un’espressione affranta. “Mi dispiace tanto!”

“Da capo. Hai tempo.” Tagli corto. Le finanze sono un problema collaterale quando sei un eroe di guerra e il Ministero britannico ti allunga un sostanzioso vitalizio ogni mese.
Lily non replica, ma fa evanescere il contenuto del calderone e ne fissa il fondo, assorta.
“Ieri mio padre mi ha mandato una lettera… ci ha mandato una lettera. A me e ad Al. Sai, Jamie si è diplomato l’anno scorso.”

Aspetti che continui, e la vedi incrociare le braccia al petto, ma è più un tentativo di consolarsi, che un rifiuto. “… si sta frequentando con qualcuno. Ha detto che era giusto che lo sapessimo e che ha aspettato finché le cose non sono diventate serie.” Serra la mascella e in quell’espressione, c’è lei. Distogli lo sguardo, voltandoti verso l’armadietto degli ingredienti.
Lily le somiglia, è naturale, te lo ripeti da anni, come se fosse qualcosa a cui puoi abituarti.
Le somiglia, nelle espressioni, a volte nei sorrisi, ma non è lei. Hai suoi capelli, ma li ha mossi come le onde del mare, e lei li aveva lisci come la sponda di un lago. Non ha i suoi occhi.

Ma Potter l’ha guardata ed ha scelto quel nome. E non puoi biasimarlo, purtroppo.
“È naturale che tuo padre senta il desiderio di frequentare un'altra donna. Sono passati tre anni da quando ha lasciato tua madre.” Ti riallacci al discorso con naturalezza. Essere un Occlumante è qualcosa in cui puoi perdere la mano, ma è come andare in bicicletta; quando serve, ricordi subito le basi.
“Lo so.” Sbotta secca. “E so che si sta comportando bene a dircelo e tutto il resto… lo dice anche Al.” Si gira la bacchetta tra le mani e aggrotta le sopracciglia. “Ma… perché?”
La guardi interrogativo, allungandole gli ingredienti. A volta la cogli a guardarti. Da bambina sembrava semplice curiosità per uno zio burbero, ma adesso ti studia.
Corvonero nell’anima.
“Intendo dire…” Riprende, allineando boccette e fiale sul ripiano di lavoro. “Intendo dire… perché gli uomini riescono a dimenticare così facilmente? Mia madre non si è trovata un altro.”
“Come lo sai?”
“Lo so e basta.” Indurisce lo sguardo e nascondi un sorrisetto di scherno. Ne nascondi molti, e quando ti sei accorto di farlo è stato il giorno che hai realizzato ad alta voce – nella tua testa – che le eri affezionato.

Subito dopo hai aperto quella bottiglia di Ogden Stravecchio che tenevi per i giorni di più cupa immersione nel passato. Può servire anche per il presente, hai pensato.
“Sei arrabbiata perché tuo padre ha un’altra donna nella sua vita, ma è quello che succede nella maggior parte dei casi. Le persone vanno avanti, trovano nuovi stimoli. È fisiologico.” Attesti pacato. I drammi della famiglia Potter dovrebbero esserti alieni, finalmente, ma no, perché una delle esponenti più fragili ti ronza attorno da un decennio e mezzo.
“Non è vero.” Replica stappando una boccetta di essenza di Dittamo. Non ricordi che pozione debba preparare, ma sei certo che sia qualcosa con cui quell’imbecille del suo professore ha tentato di metterla in difficoltà. Senza successo. “… Cioè, credo.” Si gira la boccetta aperta tra le mani. La quantità esatta è fondamentale, e sa probabilmente di essere troppo nervosa per dosare bene. “Io… io non voglio che qualcuno mi dimentichi com’è successo a mamma. Non voglio.” Ripete. “Ma hai ragione tu, zio Severus, le persone fanno così. Dimenticano.”
Non io.
Lo pensi ed è una freccia che si pianta nella parte della tua anima che è rimasta al giorno in cui lei ti ha voltato alle spalle. Non ti ha mai perdonato, non ha mai voluto, e quando è morta è stata solo la summa finale. 

Non ho dimenticato, Lily. Mai.
Non lo dici, perché Lily, questa Lily, è una quindicenne romantica, ed è normale che la pensi così. Per adesso.  Poi crescerà ed interiorizzerà che la volubilità è cifra dell’essere umano.
“La tua è una visione romantica.  Quando ti interesserà qualcuno, capira…”  
“Non mi interessa nessuno.” Interrompe le tue riflessioni, posando la boccetta al sicuro. “I ragazzi che conosco sono stupidi. Sono capaci di chiedermi di uscire, e poi chiedere subito a qualcun’altra se dico di no. Ed io dico di no.” Conclude.
“Ricordami quanti anni hai, ragazzina.”
“Non importa! Gli uomini sono tutti così, i ragazzi della mia scuola, mio padre!” Esclama. Avvampa, ed è di sdegno; non ha ancora perdonato del tutto Potter. A tredici anni è stata tradita dal primo uomo della sua vita; supponi, senza essere uno psicologo, che questa faccenda l’abbia un po’ esacerbata.

“Li detesto.” Sussurra abbassando lo sguardo. “Sono tutti uguali…”  E poi è te che guarda, e quel vago campanello d’allarme suona di nuovo. “Ma tu sei diverso.”
Forse qualcuno della sua famiglia dovrebbe chiedersi perché diavolo Lily, una ragazzina in apparenza con capacità sociali del tutto normali, preferisca passare il finesettimana con te, invece che ad Hogsmeade come il resto dei suoi coetanei.

“Se non lo fossi sarei un quindicenne o tuo padre, e non so quale delle due opzioni sia peggiore.” Replichi, facendola ridacchiare. Poi sai che devi aggiungere qualcosa. Mantenere le distanze da un adolescente suggestionabile che dichiara di odiare l’intero universo maschile tranne te è raccomandabile. “Inoltre, non sono diverso. Sono semplicemente più vecchio.”
“Tu non sei vecchio.” Borbotta. “Cioè sì, insomma… eri il professore di papà, ma non hai neanche un capello bianco e più o meno sembrate avere la stessa età.”
“Sono un mago. Come spero tu ricordi, il nostro sangue rallenta la degenerazione dei tessuti e delle cellule. Invecchio più lentamente, ma anagraficamente la questione non cambia.”   

“Questo non c’entra…” Non demorde. Non l’ha mai fatto da che la conosci, e sinceramente, neppure ci speravi. “Perché non ti sei mai sposato, zio Severus?”
Dannata ragazzina.

Avresti tutto il diritto di cacciarla fuori dal tuo laboratorio – tuo, di tua proprietà e quindi soggetto alle tue regole – e intimarle di andare ad importunare altri adulti, o semplicemente suo padre, con domande stupide e palesemente atte ad attirare l’attenzione.
Vede la tua espressione e avvampa. “Scusa…” Mugugna. “Non sono affari miei, ma… è che… Jamie dice…”
O sta bluffando molto bene – e ti chiedi perché quel vecchio straccio non l’abbia piazzata a Serpeverde all’istante allora – o davvero quell’idiota di suo fratello sparge voci su di te.

“Dice cosa?”
“Dice che eri innamorato di una donna e che lei…” Si corruccia con aria curiosamente irritata. “… e che lei non ti ha voluto. Per questo non ti sei mai sposato.”
Quell’imbecille di Potter. Ti aveva promesso, giurato che non avrebbe mai divulgato quella parte di storia.
(Non che tu gliel’abbia chiesto. È stata la conversazione più umiliante della tua vita, comunque.)

… e pare che l’abbia raccontato a quel beota del suo primogenito.
“Tuo fratello non è forse famoso per inventarsi storielle prive di fondamento?”
“Sì.” Conferma esitante. “Però stavolta sembrava…”
“Basta così, sciocca ragazzina!” Sbotti e non volevi davvero scaricarle addosso la tua rabbia. Non come facevi con suo padre. Ma una ferita cicatrizzata continua a dolere, se stuzzicata, supponi.

Lily serra le labbra. “Io con te lo faccio. Sempre. Ti dico tutto.”
“Nessuno te l’ha chiesto.”
Hai esagerato, e lo sai. Glielo leggi negli occhi, nello sguardo ferito. Sei un uomo adulto e dovresti piantarla di prendertela con mocciosi che non sono in grado di controbattere al tuo livello.

Non ci riesci. È quella ferita, chiusa, sì… ma no, in realtà. Non lo sarà mai.
Perché la ragazzina ha ragione. Non sei come gli altri, tu non dimentichi.

E non è che sia un merito. No, non lo è.
È una condanna.
Non dice niente mentre si sbatte la porta del laboratorio dietro, e tu non la insegui. Non sapresti neppure cosa dirle, e sai che non sarebbe comunque opportuno.
Gli uomini adulti non inseguono ragazzine da cui hanno preso, legittimamente, le distanze.
Rimetti a posto calderone ed ingredienti, pulisci le macchie residue di pozione bruciata – non ce ne sono, è più che altro un lucidare il piano di lavoro – e sali di sopra.
Sai che è seduta sul portico. Lo sai perché Cagliostro miagola alla porta e perché Lily deve aspettare che quella maledetta Passaporta si attivi. Manca ancora mezz’ora.
Ignori i lamenti del gatto, metti il the, ordini la posta arrivata, babbana e magica. Sposti di qualche millimetro le lancette dell’orologio di quercia del salotto, che rimane sempre indietro.
E poi apri la porta mentre Cagliostro, mercenario, ti si struscia soddisfatto alle gambe.
“Entra dentro.” Dici all’indirizzo della sua schiena intirizzita. “Tuo padre mi ucciderà se ti ammali.”
Non si volta, cocciuta. Si stringe solo nella leggera felpa che indossa. Non le chiederai scusa. Non hai mai dovuto chiedere scusa.
L’ultima volta che l’hai fatto, comunque, non è servito a niente.

“Ti sei arrabbiato perché è vero. Vero?” Dice invece, con voce tranquilla. Incespica appena un po’, il necessario per farti capire che sa che è un azzardo parlarti così.
(Ma lo fa lo stesso, perché è una maledetta Potter ed ha un evidente problema con la disciplina in generale.)
La ragazzina ha sempre avuto la stramaledetta capacità di tirarti fuori le parole. E non pretendendo, semplicemente aspettando.
Non si fa aspettare qualcuno che ti guarda come ti guarda lei, persino adesso.

E non è giusto, non è te che dovrebbe guardare così, ma una persona che se lo merita; un padre, un fratello, un amico, un ragazzo.
Non. Te.
Eppure non dici nulla.  
“È vero quello che ha detto Jamie?” Ripete.
“È stato molto tempo fa.” Dici. Tirare fuori le parole, per l’appunto. “Entra dentro.”
Lily sorride appena ed è uno strano sorriso, che una ragazzina che dovrebbe pensare a scuola, vestiti e trucchi non dovrebbe avere. Come se avesse appena trovato la chiave di un ragionamento che dura da anni.
“Ecco, lo dicevo.” Ti sorpassa e prende in braccio Cagliostro. “Tu sei diverso.” Ti anticipa, dato che coglie la tua espressione. “Va bene, non ne parliamo più. Pace?”
“Il the è sul fuoco.” Commenti, perché non c’è altro da commentare.
Hai impressione però, che sia solo una tregua temporanea.

… qualche mese dopo.

 
“Perché non me l’hai mai detto?”
Non pensavi ci avrebbe messo così poco a scoprirlo. Ma ci speravi, in tutta franchezza.
La guardi sul ciglio della porta, imbronciata, guardarti in viso, senza timore, senza pudore. Fuori il solito diluvio irlandese, cocciuto e sempre uguale. Lily sembra essersi abituata a suonarti alla porta completamente fradicia.

Le fa sembrare gli occhi ancora più enormi.
“Detto cosa?” Chiedi senza scomporti. Ma sai che sta parlando di quello.
“Di mia nonna.”
Ecco, per l’appunto.

“C’era motivo per cui avrei dovuto parlartene, quando tuo padre sicuramente ti avrà messo a parte di tutta la vostra storia familiare?”
“Non della parte in cui c’eri anche tu!” Sbotta, e ti sposti per lasciarla passare e secondariamente per evitare qualche maledizione. Sembra infuriata.

Cagliostro non si vede da nessuna parte, ed hai impressione che quel maledetto felino sia più intuitivo di te. Deve aver fiutato l’aria di tempesta che si porta dietro l’appena sedicenne che ti marcia dentro il salotto.
Non capisci francamente perché sia così turbata.
No, lo sai. Ma fingi di non saperlo.

“Come ti ho detto, è stato molto tempo fa.”
“Era lei!” Inspira. “Era lei la donna che…” Espira. Ti guarda di sottecchi. “Avrei voluto saperlo.”
“A che pro?” E veramente, perché avresti dovuto annoiare una ragazzina con la tua patetica storia di amore non corrisposto? Oltre al fatto che sono affari tuoi, beninteso. Perché avresti dovuto raccontarle di come sua nonna ti abbia rovinato la vita e come te l’abbia salvata al tempo stesso?
Lily è giovane, innocente; non capirebbe e non vuoi che capisca.

Sembra ridimensionarsi  alla tua ultima battuta; i sentimenti di una sedicenne sono come onde sul mare. Veloci, immediati. Soggetti a continui cambiamenti. Non ti aspetti che sappia davvero razionalizzare ciò che prova.
“Io…” Si morde le labbra. È cresciuta e la sua presenza non è più un’ombra leggera sulla parete. Una ragazzina che si stende sul suo tappeto e non parla per ore. È una giovane donna che ti fa domande inopportune. “Adesso capisco perché sei sempre stato gentile con papà, nonostante sembrava lo detestassi tanto…”
“Non mi ricordo di esser mai stato gentile.”
“Ma non gli hai mai chiuso la porta in faccia.” Obbietta. Touché; la ragazzina è peggio di uno specchio che riflette la tua coscienza. Bella pensata Severus, quella di non rompere il piede al Salvatore e lasciarlo entrare nella tua vita. Ancora. “Non ci hai mai impedito di entrare a casa tua… e non ti sei opposto quando ti ha chiesto di tenermi qui mentre andava al lavoro.”
“In realtà l’ho fatto. Ma tuo padre non asc…”

“È stato per lei.” Ti blocca, e non riesci a capire la rabbia che le vedi dipinta sul volto, ma riconosci al primo colpo l’altra espressione. È dolore, e non riesci a collocarlo, non riesci a comprenderlo. Però se ne sta lì e ti accusa. Sarebbe carino sapere di cosa. “Non è… non è mai stato per me.”
Ah. Ci è voluto ben poco a svelare l’arcano.

Ti verrebbe quasi da ridere, se non fosse che l’atmosfera non è adatta all’ilarità e la tua sarebbe comunque una risata amara.
Lily è gelosa di sua nonna. Non ti sei mai reputato un profondo conoscitore dell’animo umano, men che meno di quello di una donna. Ma la ragazzina è trasparente come acqua di fiume e il modo in cui si rifiuta di guardarti adesso, è indicativo.
Ti chiedi se suo padre sappia qualcosa di tutto questo; di tutti i finesettimana in cui dorme da te. Forse, e forse ne è sollevato. Sei tu a doverti beccare le paturnie adolescenziali di sua figlia.
La figura paterna surrogata; come no. Lily non ti considera manco per sbaglio un padre.
Non sei un idiota; ti sei accorto che la ragazzina si è presa una cotta per te. Al di là del fatto che trovi assurdo che possa trovarti interessante in quel senso – tanto più vecchio, di certo non appetibile - hai interiorizzato la cosa, in questi mesi. Hai capito che è naturale che abbia tramutato l’affetto che prova per te, per la tua figura, in qualcosa di meno infantile dell’adorazione per un adulto.
Sta diventando adulta ed è naturale, fisiologico; sai anche le passerà. È solo questione di aspettare. Troverà qualche moccioso dai denti luccicanti e sufficiente parlantina e dimenticherà tutto.
(Come lei?)

Sarebbe più semplice se potessi semplicemente allontanarla.  Il fatto è che non puoi. Non vuoi.
E questo rende ancora più urgente il bisogno di cambiare discorso. Di portare di nuovo il vostro rapporto in quello strano ibrido di affetto e curiosità che provate l’uno per l’altra. 
Ma non sei mai stato tipo da troncare le cose a metà. Specie se vuoi sapere chi ha acceso la miccia.
“È stato tuo padre a parlartene?” Chiedi, e la vedi annuire.
Come sospettavi. Ammazzeresti Potter con le tue mani se fosse qui; cerca di spingerti sull’orlo della follia?

“Allora ti avrà anche detto che il mio debito nei confronti della tua famiglia si è estinto alla fine della guerra. Non faccio tutto questo per lui, né tantomeno per tua nonna.” Non dover pronunciare il suo nome, indicarla come semplice progenitrice è più… semplice. “Non ho l’abitudine di continuare a pagare il miei debiti per puro spirito di carità.”
Le vedi tremare scetticismo sulle labbra; ha lasciato l’infanzia da un pezzo ormai, è molto meno incline a crederti sulla parola. “Ti piaccio allora?”
Adolescenziale.

Sospiri. “Se la tua compagnia mi fosse sgradevole in questo momento staresti conversando con una porta chiusa.” Fai una pausa per farle assimilare la frase. Non abbastanza da farcela fantasticare sopra però. “Togliti il mantello, mi stai bagnando il tappeto.”
Lily non si muove di un millimetro, ignorandoti; rimane accanto al fuoco a lasciare che il tuo salotto diventi un pantano. Devi farle togliere quel mantello, farla sedere e parlare d’altro.
O non parlare affatto, sarebbe perfetto.

“Papà mi ha detto che la amavi… e che l’hai protetto per questo, per onorare la sua memoria.”
Beh, più o meno. Perlomeno Potter ha avuto la decenza di servire alla figlia una versione edulcorata della faccenda.
“Mi ha detto che non l’hai mai dimenticata…”
Sembra parlare più che altro a sé stessa, ma le parole hanno un peso e stanno colpendo te come tanti sassi appuntiti. Non puoi aspettare che una ragazzina nell’età più egocentrica della vita se ne accorga, ma puoi farla smettere.
“Ti ho già detto che non discuterò con te dei miei fatti privati.”
“… mi ha detto che sei così gentile con me perché te la ricordo…”

Cosa?
È ufficiale: Potter ha l’empatia di un blocco di granito. Speri che con gli altri figli sia più ricettivo, perché qui ha sbagliato su tutta la linea. Lily è scombussolata e distrutta solo come un adolescente può esserlo: dal primo all’ultimo momento, senza soluzioni di continuità.
Potter l’ha almeno guardata in faccia mentre dava aria alla bocca?
“Secondo Silente…” Inspiri lentamente, perché aprire quella pagina della tua vita è qualcosa che avresti tanto volentieri voluto evitare di fare. Ma. “… secondo Silente tuo padre doveva ricordarmi tua nonna Lily. Non l’ha mai fatto. Se ho aiutato tuo padre per via di tua nonna? Sì. Ma questo non me l’ha certo reso caro.”
“Però…”
“Non ti faccio venire qui per via di tua nonna. Ti faccio venire qui perché entrambi …” Attento con le parole. Attento. “… apprezziamo la reciproca compagnia. Indipendentemente dal cognome che porti. Spero sia chiaro.”

Si illumina di colpo ed è come se l’intera stanza esplodesse in un lumos. Ma non arrossisce, non è imbarazzata.
Bene, ha afferrato il senso corretto del discorso. “Okay.” Sorride. “Okay, ho capito.”
“Lo spero.”

Sempre tre metri di distanza. Almeno. Solo due volte l’hai presa in braccio, ma aveva sette anni e poca consapevolezza di sé, e a tredici perché il suo mondo era appena crollato.
Tutto qui.
Non la abbracci e tocchi mai, e non lo farai sopratutto adesso, perché ha sedici anni, ed è un grilletto pronto a sparare, per usare un paragone babbano.
Sarà un trauma di guerra o quel che sia, ma sai che aspetta solo che abbassi le difese per fare qualcosa. Qualcosa che ti costringerà a mettere un muro tra di voi perché è giusto che tu lo faccia.
Un enorme muro che ti farà tornare gelido e freddo, esattamente come avresti dovuto essere. Presumibilmente sotto una lapide.
Oh, Severus… davvero? Con lei ti senti vivo. È un bene, è un bene. Ma non esagerare.
Non diventare avido.
Questa ragazzina dai grandi occhi voraci, dai sorrisi appena accennati ed enigmatici come quelli di un dipinto di Leonardo è un pericolo. Per la tua serenità di sicuro. Eppure non riesci più a farne a meno, come non facevi a meno di lei. Ma lei ti ha abbandonato, e forse – ti sanguina il cuore ammetterlo – doveva farlo. L’avresti rovinata, e alla fine dei conti, l’hai fatto, anche a distanza.
Ma non Lily Luna. Non puoi, non vuoi privartene. Il Destino gioca a dadi e ghigna, come un baro consumato. Sei sempre stato un burattino; prima nelle mani di Tobias, poi in quelle di Silente, alternate a quelle di Voldemort. Ma forse, questa mano, solo questa mano, l’ha lasciata a te.

Esita, si sporge appena verso di te, tentenna. È timida, non le dai spazio per tentare qualsiasi cosa. Le hai dato delle risposte, ma non quelle che voleva.
È perfetto.
“Ora ti togli quel maledetto mantello prima di allagarmi la casa?”
Sorride appena. “Scusa.” Sussurra. “… Posso chiederti una cosa?” Aggiunge di colpo, e non aspetta che tu le dia il permesso. Quando mai. “Ti dà fastidio che ti chiami zio? Voglio dire, dopotutto non lo sei.”
“Questo non ti ha mai fermato dal chiamarmici.” Lo hai sempre trovato stonato e ridicolo, ma oggettivamente, avevi modo di opporti?
“Allora se vuoi…” Dove diavolo ha imparato quell’espressione assolutamente inadeguata nei tuoi confronti? Non può sbattere le ciglia. “… ti chiamo Severus.”
Scrolli le spalle, perché qualsiasi parola potrebbe essere troppo, o troppo poco.

A sedici anni ti districavi tra riunioni di Mangiamorte e la presa del Marchio Nero.
Senti quasi nostalgia per quel periodo.
“Come preferisci.”
Cosa dicevi sull’abbassare le difese?
 
 
2024
 
Alla gentile attenzione del Professor Piton…
 
Sono decenni che nessuno usa più quella carica per identificarti. A parte Potter.
L’invito è in color carta da zucchero: da sempre, il Mondo Magico festeggia così l’entrata nella maggiore età dei propri virgulti. Un vezzoso biglietto e volute d’inchiostro lucente.
Lily ha compiuto diciassette anni un giorno e dodici ore fa. Svariati minuti, che passi a fissare l’invito.
 
… è invitato alla festa di…
 
Sei invitato alla sua festa di compleanno. Essendo nata nei mesi estivi era ovvio che potesse festeggiare in pompa magna con tutto il parentado. Era doveroso.
Immagini la tua ragazzina imbronciata mentre nota quanti inviti deve spedire.
Detesta le occasioni sociali quanto le detestavi tu alla sua età; e la detesti tutt’ora, per inciso. Dar retta ad una sfilza di parenti con cui deve aver a malapena scambiato qualche parola deve indisporla. Noti la firma nervosa, la punta d’osso della penna che ha graffiato la carta.
Decisamente nervosa.
Non ci vuoi andare; sono venticinque anni che non metti piede in Inghilterra e non vedi motivi per rompere la promessa che ti sei fatto non appena hai messo piede fuori dal San Mungo.
L’Irlanda è diventata la tua patria; le sue scogliere brulle, il suo verde senza fine, il suo mare inospitale e bellissimo. L’odore del sale sui tuoi vestiti e quello della terra sotto i tuoi piedi. Non hai legami, non hai doveri. Sei dove vuoi essere. Sei a casa.
Però.
Lily ci tiene. Sono mesi che cerca delicatamente di spingerti verso un assenso vincolante. È brava a manipolare i tuoi cattivi umori. Con tutto il tempo che ha passato a studiarti, se non fosse diventata un’esperta nel farsi viziare sarebbe stata una completa idiota.
Cosa che non è.
L’invito è per stasera. I Gufi hanno sempre problemi ad attraversare il mar d’Irlanda, con le correnti di vento che lo battono in estate. L’invito è arrivato in ritardo, ma non sufficientemente da farti avere una scusa.
La solita fortuna.
Rimani comunque ad oziare pigramente alla luce mattutina che rende ancora più bianche le tende mosse dalla brezza, mentre Cagliostro si lascia accarezzare soddisfatto. Il mazzo di erica che Lily ha colto la scorsa settimana si sta seccando sul tavolo della cucina. Con i dovuti accorgimenti diventerà un ingrediente per pozioni. Ne hai sempre in abbondanza dato che te ne orna la casa, che tu sia d’accordo o meno.
Ti liberi del peso del gatto alzandoti – e protesta vivacemente – e prendi gli steli ormai secchi fragili passandovi un dito. Qualche bocciolo cade.
Sospiri.
Sei troppo vecchio per una festa di mocciosi esagitati e genitori fastidiosamente orgogliosi. Troppo vecchio ed inadatto.
Ti immagini, nero e distante dal resto della folla colorata, mentre nessuno osa additarti ma tutti ti parlano addosso.
Il Pipistrello è tornato.
Accartocci l’invito e fai per gettarlo nel camino, pronto all’uso quando il tempo si farà più inclemente, e per poco non ti becchi una zaffata di polvere magica e fiamme verdi.
Una chiamata via camino; naturalmente è collegato con la Metropolvere, ma nessuno ha mai tentato di contattarti tramite esso.
La tua faccia e la tua cicatrice mette a disagio la maggior parte degli esseri umani.
Beh, tranne Lily.
“Severus!” Esclama, mentre le fiamme la rendono sfuocata, ma sufficientemente decisa. “Non sei vestito!”
“Mi pare di indossarne, invece.” Obbietti mentre appallottoli il biglietto in mano, confidando nella scarsa definizione delle chiamate via camino.

“Sai che intendo!” Sbuffa. “Mi avevi promesso…”
“Non l’ho fatto.”

“Okay, è vero.” Ammette tranquillamente. Piccola sfacciata. L’hai già detto?  “Ma …” Si guarda intorno per accertarsi di essere sola. Non dev’essere semplice con il baobab di albero genealogico che si ritrova. “… ma ho bisogno di te.” Non è una lamentela sterile, leggi sincero nervosismo nei suoi occhi. La immagini ritagliarsi solo un momento per parlarti, mentre il magma peldicarota e ribollente della sua famiglia cerca di inglobarla per festeggiarla a dovere.
“Lily.” Non sei mai stato un tipo paziente. Ad altri questa virtù.
“La festa sta andando fuori controllo!” Riprende concitata. “Metà delle persone che hanno invitato neppure le conosco e l’altra metà ci ho a malapena parlato!”
“Considerando quanto sei poco incline alle lunghe conversazioni…”
“Appunto. E comunque senti chi parla.” È sempre stata impertinente, ma quando è nervosa travalica la mancanza di rispetto. Se ne accorge subito però, perché si morde un labbro. “… vedi?” Mormora. “Sto peggiorando.”
“Non potrei esserti di aiuto. Forse nel distogliere l’attenzione. Indubbiamente la mia apparizione sarebbe notata.” Ribatti sarcastico e la vedi esitare. Un punto a favore tuo.

“So che ti sto chiedendo molto…” La definizione della Polvere Volante sarà pessima, ma sai che Lily si è sporta completamente dentro il camino, nello sciocco tentativo di raggiungerti anche se è dall’altra parte del mare. “Ma non sarebbe una vera festa di compleanno se non ci fossero le persone a cui tengo di più. E puoi anche non farmi il regalo, non mi interessa …” E lascia cadere la frase.
Hai smesso di lottare. Lasci semplicemente che Lily ottenga ciò che vuole. E non è molto, per fortuna. I suoi acquerelli appesi in camera tua e nel resto della casa, lunghe passeggiate in cui ti obbliga a rientrare con quintali di flora tra le braccia, aiuto nei compiti, pareri sulla carriera che dovrebbe intraprendere una volta diplomata. Quando si fa sera e il tepore del salotto vi culla, lasci che appoggi la guancia contro le tue ginocchia; leggi per lei.
Ti trattieni ogni volta da sfiorarle i capelli. Sai che vorrebbe che tu lo facessi, ma serri le dita sul libro, sulla tazza di the, sui braccioli della poltrona. Funziona.
Poi fai fatica a prendere sonno per il resto della notte.
“Verrò.” Ti senti dire, come da molto lontano, come se non fossi tu. Oh, ma sei tu eccome.
“Grazie! Merlino, ti sarò grata per sempre!” Ride, e poi si guarda indietro. “Devo andare… stasera alle sei, Severus, non tardare.”
“Non è mia abitudine.” Replichi alle fiamme che si spengono.

 
 
La festa è l’incubo che immaginavi.
E ti stanno fissando tutti.
Hai riconosciuto solo poche facce; Potter, che ti ha accolto con un sorriso sorpreso e impacciato. Ha tentato di darti la mano ed ha finito per stringere il vuoto. Quando vi siete congedati è sembrato incredibilmente sollevato.
Arthur Weasley, l’unico che si sia degnato di un saluto pacato e tranquillo. Hai sopportato le chiacchiere infinite di sua moglie e lo sguardo stralunato e stolido di suo figlio, Weasley Il Re.
Non hai incrociato altri sguardi; la sai più lunga di così.
Per la festa è stato alzato un enorme e sontuoso tendone azzurro; sembra che l’intero mondo magico, o comunque una sua nutrita parte, sia venuto per festeggiare la maturità di Lily.
Lily non si vede da nessuna parte.
Hai ignorato l’invito di Molly a consegnarle il tuo regalo per essere messo insieme agli altri e hai accettato un calice di vino elfico che qualcuno ti ha porto; poi ti sei semplicemente appartato.

 
“Non sembra neanche lui con quei vestiti…”

È la femmina Weasley che lo dice ad uno dei suoi innumerevoli fratelli.

E ti accorgi, paradossalmente, che la cosa che più sconvolge le tue vecchie conoscenze sono i vestiti babbani che indossi, non la tua presenza; ti verrebbe quasi da ridere, se non fosse che un simile gesto potrebbe far venire un infarto a qualcuno per la sorpresa.
Ti eri dimenticato come vestivi ad Hogwarts; da mago, da pozionista, da spia, da cattivo della storia. Adesso vesti da babbano, com’è giusto fare quando vivi, trai babbani.  
L’hai dimenticato, ma la Granger pensa bene di ricordartelo. “È strano vederla così, sa. L’ultima volta indossava vesti da mago.” Dice, affiancandotisi con la naturalezza che hanno solo le donne che sanno di avere potere dalla loro. Hai saputo che è diventato un magi-avvvocato piuttosto influente all’interno del Ministero.
“Un inizio promettente di conversazione…” Replichi, con il chiaro intento di metterla a disagio. Sorride, invece.
“Non è cambiato affatto nei modi, vedo.”
“Avrei dovuto?”
Sorride di nuovo. “Le sta bene questo completo. La rende meno minaccioso.” Beve un sorso dal suo cocktail. Non dovrebbero essere analcolici, visto la festeggiata?
(Ah, no. La festeggiata ora è maggiorenne.)
“Non era nelle mie intenzioni esserlo. Se non le dispiace…”
“Lily ha cambiato umore di colpo, stamattina.” Ti interrompe. Sempre questa mania di non farti finire le frasi. Una volta non sarebbe accaduto; una volta non è adesso. “Di solito è raro che abbia sbalzi di umore, e questo genere di festa… beh, non glielo migliora mai.” Ti lancia un’occhiata. “Poi ci ha detto che lei sarebbe venuto. Era felicissima. Le è molto affezionata.”
“Stranamente.” Completi per lei. Scrolla le spalle.

“Non stranamente, se la tratta meglio di quanto abbia fatto con noi.” Non sai se arrabbiarti o ammirare il modo in cui ti rinfaccia le tue vecchie colpe.
“Lily non è una mia studentessa dalla scarsa disciplina…”
La Granger ridacchia. “Touché.” Ti tocca appena il braccio. “È bello rivederla.” Dice e supponi sia una di quelle frasi fatte. Noti l’anello al dito – davvero, un peccato che una simile donna abbia avuto la sfortuna di incontrare Potter e Weasley.  Fai un cenno, tornando al tuo drink.
Il tendone sotto cui siete tutti accomodati straripa gente. Attendono tutti la festeggiata, schiamazzando e disinteressandosi del suo ritardo. Per noia, cerchi di dare un nome a ciascun nuovo volto. Fallisci e non ti importa.

Poi senti lo schiamazzare concentrarsi in un punto preciso.
Ti volti e la vedi; e sei felice di non aver bevuto prima, perché ti sarebbe andato sicuramente di traverso.
Un vestito non può cambiare completamente una persona, pensavi una volta. Ti hanno appena dimostrato che basta togliersi un vecchio mantello nero per non far più paura.

Basta un vestito a rendere una ragazzina una donna?
Impedisci ad ogni tua singola funzione biologica di deviare dal tracciato dell’assoluta tranquillità. Anche se Lily è bellissima e tutti trattengono il fiato. Perché si è abituati a vederli nella uniforme un po’ larga, in maglioni sformati e sporchi di pittura. In jeans. Lily indossa  la sua bellezza acerba come se non le importasse.
Adesso le mani esperte delle donne di casa l’hanno resa palese ad un intero consesso di persone, e tu sei l’ultimo, devi essere l’ultimo a notarlo e, soprattutto, mostrarlo.

Peccato che Lily non sia del tuo stesso avviso.
Severus!” Esclama, districandosi tra genitori, fratelli, parenti e sconosciuti che cercano la sua attenzione.
Senti le sue braccia sottili cingerti il collo e abbracciarti stretto come se avesse ancora cinque anni e foste gli unici spiriti vivi nella brughiera.
C’è ancora quell’adolescente impacciato e spigoloso in te, che non è mai morto perché dannazione, non è mai cresciuto. È quell’imbecille che ti fa irrigidire di fronte a sguardi divertiti, stupiti e confusi del pubblico.
“Lily.” Mormori. È un avvertimento, e lo percepisce, perché si stacca.
Sembra leggermente delusa, ma continuano a brillarle gli occhi.
Con tutti i ragazzini brufolosi  che ci sono, strizzati in vestiti che odiano in suo onore, perché diavolo guarda te?
“Grazie per essere venuto…” Dice secondo copione. “Grazie.” Ripete.  
“Bene.” Dici secco, quasi volessi dirgliene quattro. Sospira appena, poi ti fa un sorriso, si volta e torna dagli altri.
È un sollievo. Davvero. Finisci il tuo vino elfico e ne prendi un altro da camerieri veloci ed efficienti. Una volta c’erano elfi a questo genere di feste; supponi c’entri la Granger e le sue iniziative deliranti.
La festa entra nel suo culmine e poi lentamente scema. Dopo un po’ la gente è troppo brilla o troppo occupata per far altro che lanciarti qualche occhiata. Poi, neppure quelle.
Hai visto Lily interagire con i suoi coetanei; sorride molto, scherza. Ride poco ma ascolta tanto. Sembra felice.
È ora di tornare a casa.
Le luci della Tana e del tendone sfumano mentre ti incammini nel luogo dove sarà più opportuno attivare la Passaporta. Già pregusti l’intimità del tuo salotto, un buon bicchiere di whiskey e l’ultimo studio sul Distillato della Morte Vivente ad opera di quel pregevole pozionista iberico.
Ti giri tra le dita la Passaporta; sei sufficientemente lontano. Eccellente.
Avresti potuto smaterializzarti anche lì, ma qualcuno ti avrebbe visto e…

Hai comunque avuto conferma che il Mondo Magico è andato meravigliosamente avanti senza di te. Non che ti aspettassi qualcosa di diverso.
(A parte il fatto che hai salvato il collettivo sedere della comunità.)
Potter è il lato presentabile della faccenda, tu sei quello oscuro. Quello che nessuno vuole vedere, o ricordare.
“Severus.”
Lily è a pochi passi da te. Ha abbandonato le scarpe dall’aria dolorosa che indossava e ti ha seguito a piedi nudi. È alta, in ogni caso non fa molta differenza.

“Te ne vai?”
“La festa sta finendo e la mia presenza non è certo necessaria.”

Si morde un labbro. L’hanno lasciata truccare, forse è stata persino sua madre ad incoraggiarla. Conoscendola, l’hanno presumibilmente obbligata.
“Non è vero, lo è per me.” Ribatte.
“Non mi sembra.” Patetico. Quanti anni hai Severus? È ancora quel ragazzino invidioso che detta legge?
A quanto pare.
Lily sospira. “Se avessi voluto passare del tempo con te, tu avresti dovuto passarlo con me e metà dei miei parenti… in questo genere di feste è impossibile non averli tutti con le orecchie tese.” Fa una smorfia. “Metà della festa è stata chiedermi dove fosse il mio principe azzurro.”
“Non sono mancati gli aspiranti al titolo.” Ricordi come un ragazzotto biondo dagli occhi sporgenti l’abbia quasi requisita, prima che vi fossero veementi proteste.
Lily sbuffa una risatina. “Chi, quelli? Sono ragazzini…”
“Hanno la tua età, ad occhio e croce.”
“Appunto.” Replica, e rimane in silenzio. È piuttosto scomodo. Poi grazie a Merlino riprende a parlare. “Non ho visto il tuo regalo insieme a quelli degli altri.”
“Come sai che non è stato sommerso?”
“So che non l’avresti messo lì.” Fa spallucce. “Te ne volevi andare senza darmelo?”
Effettivamente è un buon punto.

Te n’eri completamente dimenticato, vedendo vestiti, costosi set da disegno, gioielli e tonnellate di presenti che ha aperto al momento programmato.
Glielo porgi senza una parola. In compenso quasi te lo strappa di mano, e si libera della carta che lo contiene. Scoppia a ridere quando vedere che cos’è.
Jane Eyre!” Ti guarda radiosa ed è quasi insostenibile. “Beh, perlomeno è una lettura meno tragica di Cime Tempestose.” Ghigna. “Il regalo peggiore di sempre, Severus. E non avevo ancora un anno.”
“Adesso hai entrambe le sorelle.” Replichi e non puoi fare a meno di suonare divertito. Perché quel maledetto tomo consumato te lo sei ritrovato ovunque in casa. In salotto, nella camera degli ospiti, in cucina e persino in veranda, ad asciugarsi dalla pioggia improvvisa che aveva investito la sua proprietaria.

Una volta te lo sei trovato, beffardo, anche in camera da letto.
“Aspettavo che tu me lo regalassi per leggerlo… Ed è bellissima quest’edizione rilegata” Ridacchia seppellendo il naso nelle pagine. “Adesso saprò perché i babbani lo considerano un’opera minore a Cime Tempestose.”
Glissi sulla prima affermazione.

“Personalmente, trovo sia un’opinione ridicola.”
“Ti piacciono i lieto fine?”
Non è il caso di disquisire di letteratura in mezzo ad un campo buio, ma Lily non ha mai avuto senso dell’opportunità. A volte dovevi prenderla quasi di peso per riportarla in casa, quando arrivava la pioggia o un vento troppo forte per rimaner fuori. Una volta è riuscita a scappare e l’hai vista correre in mezzo al temporale e poi buttarsi sull’erba con una risata. Una cosa sciocca. Poi ti sei accorto che le stavi sorridendo.

Ti ha visto, e due settimane dopo ti è stato recapitato un dipinto a tela; tu sulla veranda della casa, che guardi fuori, guardi lei. L’hai appeso, perché no, non potevi farne a meno.
“È meglio se torni alla festa. Si staranno chiedendo dove tu sia.”
“Non mi importa.” Fa un passo e improvvisamente ti rendi conto di quanto maledettamente sia vicina. “È qui che voglio stare.”

E poi si sporge e le sue braccia sono di nuovo attorno al tuo collo, ma stavolta non è una manifestazione infantile e un po’ fuori luogo di affetto.
Stavolta ti bacia sulle labbra, e non può dire che non te lo fossi aspettato.
È da tre anni che sapevi di questo momento, quasi l’avessi visto nella sfera di un’indovina. 
Non avresti dovuto darle tutta quella confidenza. Non avresti dovuto consolarla dopo la separazione dei suoi. Non avresti dovuto lasciarle dare il nome al tuo gatto, preparare pozioni nel tuo laboratorio o versarti il the.
Non avresti dovuto lasciare che ti entrasse dentro come ha fatto l’altra Lily, perché le labbra morbide che toccano le tue non hanno nessun diritto di farlo. Perché è sbagliato e perché è solo una bambina.
E tutte queste ragioni dovrebbero fartela respingere con serenità; invece avresti voglia di urlare come il giorno che hai scoperto che lei era morta.
Perché è appena finita di nuovo.
La stacchi con sufficiente gentilezza, e i muscoli tremano oltraggiati, perché vorrebbero spingerla via, scaraventarla il più possibile lontano da te.
Ma sei un uomo adulto, Severus, un uomo che serenamente le dirà come vanno le cose.
Solo, non deve parlare, è così brava a rimanere in silenzio, è questo il motivo che te l’ha resa subito simpatica.
“Ti amo, Severus”
Le parole sbagliate.

È finita. Hai perso la mano. Ehi, hai giocato bene, ma poi esistono fattori imprevedibili e…
“Tu non mi ami.” Ti senti dire, e il tono è duro come la pietra che senti al posto del cuore. “Sei innamorata dell’idea che hai di me… e francamente, l’idea è parecchio edulcorata. Sei una bambina, ed io sono un uomo adulto.”
“Anch’io sono adulta!” Sbotta, e poi ci ripensa, forse è troppo infantile quel che sta dicendo. Già. “Dannazione, sono maggiorenne! Ho aspettato, perché sapevo… avevo capito che per te era un problema e…”
“Supponi che sia questo, l’unico problema?”
Si blocca. Non ci sarebbe neppure bisogno di aggiungere altro, perché Lily è intuitiva, dove andrai a parare è palese.

Non era come se l’era aspettata. È l’età dei castelli in aria. I tuoi sono crollati molto prima, ma è un dettaglio ininfluente, tralasciando che questo ti ha reso duro come la pietra.
“Non… non mi sbaglio.” Sussurra a mezze labbra, tormentandosi l’orlo della cintura di stoffa. “Posso essere una ragazzina, lo so che sono una ragazzina… Ma non mi hai lasciato entrare nella tua vita perché ero carina… non mi hai lasciato restare perché ti sono simpatica… L’hai fatto perché mi volevi lì.” Le trema la voce ma è coraggiosa. Merlino, come tu mai lo saresti stato a quell’età. “Tu mi ami.”
No.
Non la ami. Puoi provare affetto, tiepida simpatia. Un certo debole. Hai amato una sola donna e quella è morta proprio per quel motivo. Tanto, tanto tempo fa.

Amarla sarebbe grottesco, inadatto. Spaventoso.
Sarebbe come ricadere di nuovo negli stessi errori, con la consapevolezza di compierli momento per momento, stavolta.

Un taglio netto. Ne sei capace. Hai ucciso un uomo guardandolo negli occhi. Un uomo a cui avevi imparato a voler bene.
(Un uomo che non ti ha mai amato. Che novità.)

“Basta così.” Duro, spietato. Vedere ragazzini in lacrime non era il tuo passatempo preferito, vecchio pipistrello? “Questa storia è andata troppo oltre.” Non è facile trovare le parole adesso, però. Si può solo agire. “Dammi la Passaporta.”
“… Quale?” Mormora confusa, prima di fare mente locale. Se non fosse così buio, potresti vederla impallidire. L’espressione ne è corrispondente. “Non…”
“È una Passaporta per casa mia, per una mia proprietà.” Continui impietoso, e il tono è meravigliosamente fermo. Non che possa essere diverso. È un’abilità consumata quella di sembrare un mostro senza cuore né sentimenti. “Posso ed ho il diritto di chiederla indietro in qualsiasi momento.” Tendi la mano.

Lily ti guarda, e per un momento sembra quasi che non capisca cosa le stai dicendo. È colpa tua. Per anni l’hai abituata ad avere tutto ciò che voleva da te. La cosa peggiore è che sapeva che la stavi viziando, perché quegli idioti dei suoi parenti le devono aver ripetuto fino alla nausea quanto fosse speciale, ad aver ottenuto la tua benevolenza.
Ma c’è qualcosa di ancora più orribile. Il suo clan ha ragione. Lei è speciale.
“La Passaporta.”
Alla seconda volta finalmente si muove. Non avresti sopportato ripeterlo una terza. Se la stacca dal collo; non ha collane indosso, anche se gliene hanno regalate molte.

(Qualcuno ha mai notato che detesta i gioielli e soprattutto le collane perché le si impigliano nei capelli?)
Te la porge e le tremano così tanto le mani che devi afferrarla tu. “Non voglio più vederti a casa mia. Non venirmi a trovare, non mandarmi Gufi.”
Non piange. Forse è questa la cosa più spaventosa di tutte. Non ha neanche gli occhi lucidi. È solo pallida. “Non puoi…”
“Posso.” Te la infili in tasca. È ancora tiepida. Diventerà fredda, dentro qualche cassetto. “Quello che non posso, è permettere che continui. Trovati una persona adeguata, vivi la tua vita. Sei giovane, è ciò che devi fare. Io ho già vissuto la mia.”
“Non è vero.” Sussurra. “Sopravvivere non è vivere. E tu cos’hai fatto fin’ora?”
Sarà l’ultima volta che ti scuoterà nel profondo così. L’ultima volta che vedrai i suoi occhi e… beh, non vedrai nulla perché è tutto ombra.

Adeguato per uno come te.
“Torna alla festa.” Torna alla tua vita. Torna al presente. Ti sto facendo un favore  – vorresti dirle questo, ma non sei un tipo melodrammatico. Mai stato.
In ogni caso, il Destino ti ha lasciato giocare solo per vederti perdere.
Vedi la tua, di Passaporta, brillare e la stringi. La stringi talmente forte che ti scordi che è un pezzo di vetro levigato dal mare e che potrebbe anche tagliarti, dato che non è tanto levigato.
Lily è davanti a te, in ombra, pallida come il fantasma di una donna che hai amato. Ma non è lei, non è mai stata lei. Ed era il più dolce balsamo che la vita potesse donarti.
E purtroppo, oltre ogni ragionevolezza, il tuo famigerato cuore di pietra, fa male.
“Codardo…” Sussurra. E una volta ti saresti rivoltato con furia, a questa accusa.
Ma adesso sai ammettere quando è fondata.
 
Due giorni dopo una lettera di Potter ti informa che Lily è partita per una nazione dal nome impronunciabile, nell’Est dell’Europa. Senza una spiegazione, senza un perché. In famiglia sono tutti sconvolti: deve terminare Hogwarts per i MAGO. Tu non lo sei. Sai da anni che a Lily di riconoscimenti accademici non è mai importato molto.
(Questo non ti fa sentire meno in colpa nella tua anima di accademico, comunque.)
Anche in questo ti assomiglia: mettere miglia, quando si ha il cuore spezzato.

Strappi la lettera e la lasci bruciare nel camino e la guardi ardere fino a che non si consuma in cenere.
Le previsioni babbane dicono che pioverà per giorni. Fuori e – commenti tra te e te – anche dentro.
 
 
****
 
 
Note:


Vai con l’angst! Beh, doveva succedere. Ho detto che sarebbe stata due parti?
Ho mentito.
Il fatto è che ehm… maledetta grafomania. Deve essere più lunga. Tre parti. Giuro che stavolta dico la verità! Glargh!
Grazie per le meravigliose recensioni! Non pensavo avrebbe avuto tanto seguito, considerano la coppia un bel po’ – tanto – crack. :D Ma… figata!
Ma se qualcuno credere (come me e le Repayers) che Severus fosse troppo furbo per morire in quel modo miserando… beh, potrebbe anche diventare canon, giusto?
Ricordo ancora la pagina della coppia, gestita da me e Emme su facebook Repayement Ita. Per chi volesse vedere Lily Luna, ecco qui

Qui la canzone che mi ha ispirato il capitolo. Meravigliosa Tori. Altra canzone che mi ha letteralmente stregato è questa . Purtroppo non è da youtube, e non è neanche tutta, ma sono un gruppo senza etichetta. Consiglio di scaricare da Itunes il loro album a chiunque disponga di un po’ d’euro, perché solo questa canzone li vale tutti.

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Capitolo 3
*** Parte Terza ***


Una Casa alla Fine del Mondo



E i giorni che passano sono lunghi e coperti di nero
E i giorni son secoli aspettando di poter tornare
di nuovo la fine del mondo cullato dal canto del mare
(Canzone dalla fine del Mondo, Modena City Ramblers)
 
 
2024
 
Lily è partita da due mesi e oggi ti è arrivata una lettera. Da parte sua.
Le lettere via Gufo sono randomiche: possono arrivare veloci, come metterci settimane.
La lettera di Lily ti è stata recapitata da una civetta che non hai riconosciuto; poi hai notato che portava il sigillo delle Poste Magiche Britanniche. Una lettera che deve aver fatto una lunga traversata e deve aver toccato molti uffici postali. Ricordi avesse un gufo, un piccolo allocco rumoroso che aveva l’abitudine di schiantarsi contro i muri di casa tua.
Odiavi quel pennuto, ora rimpiangi che non ti abbia quasi sfondato la finestra. L’ha lasciato a casa, come molti dei suoi effetti personali, a sentire Potter.
La lettera è posata sul tuo scrittoio, ancora chiusa. Porta il timbro di un paese che usa ancora il cirillico. Non hai neppure letto che paese fosse. Non vuoi saperlo.
Naturalmente non sei contento che abbia lasciato gli studi e la sua famiglia, ma è una soluzione comoda: più miglia ci sono tra di voi, più possibilità ci sono che la ragazzina si rifaccia una vita lontana dai fantasmi del passato.
È stato vivere in quel santuario alla memoria che è casa di Potter che l’ha portata a credere di provare qualcosa per te che andasse oltre l’affetto per un vecchia conoscenza burbera.
E poi, hai notato come la sua vita la lasciasse insoddisfatta; di come ti parlasse dei suoi MAGO prossimi, ma non fosse veramente interessata. La rimproveravi, le davi della zucca dura, della Potter. Lei rideva.
 
“Severus, non esistono solo i riconoscimenti accademici nella vita!”
“Ma qualche requisito minimo, sì. Vuoi finire a lavorare in qualche retrobottega? A pelare radici, forse?”
“Se le pulissi per te mi andrebbe pure bene…”
Lily.
“Ma dai, scherzo… In realtà vorrei fare la pittrice, lo sai.”
“Prima prendi il diploma.”
“Sei il solito bacchettone.”

“Ho più buon senso di te, sciocca ragazzina.”
“Lo so, lo so.” Un lieve sospiro. “Ne hai tantissimo.”
 
Stringi la tazza di the tra le dita e questa fa resistenza; robusta porcellana inglese. Fa resistenza e poi con un rumore impercettibile si crepa, e il liquido comincia a gocciolare. Con un gesto stizzito della bacchetta ti asciughi i pantaloni e poi, inevitabilmente, lo sguardo torna allo scrittoio.
Quella lettera andrebbe bruciata: dare un taglio netto ti è sempre stato difficile però.
Come se non bastasse, suo padre continua a molestarti in cerca di informazioni: ha sguinzagliato tutte le sue conoscenze Auror per ritrovarla, ma è difficile avere controllo su una ragazza che è appena diventata maggiorenne ed ha perso la Traccia.
Lily ha voluto perdersi nel mondo e tu la capisci.
Non sei preoccupato: la conosci abbastanza per sapere che è in grado di provvedere a sé stessa, specie con la possibilità di avere accesso ai galeoni di famiglia. Non è mai stata una sciocca. Prima di andarsene si è premurata di mandare una lettera ai genitori, una per ciascuno. Lo sai perché Potter te l’ha sventolata sotto il naso nella sua ultima, convulsa visita in cerca di indizi che non potevi dargli.
 
‘Sto bene, starò bene. Ho solo bisogno di vivere da sola per un po’. Farò in modo di farvi sapere sempre dove sono.’
 
Lily è taciturna anche nelle sue lettere.
Ti chiedi cosa abbia scritto a te. E potresti saperlo, basterebbe aprire la tua lettera.
Ma non vuoi. Non puoi. Hai detto basta, hai sigillato i tuoi pensieri verso quella ragazzina impossibile.
Si tratta solo di abituarsi all’idea di non averla più trai piedi.

Si tratta di tenersi occupato finché quei pensieri smetteranno di premere come dighe, o presentarsi all’improvviso.
Non è facile, quando la tua casa è ancora piena della sua presenza; hai buttato i mazzi di erica, hai staccato tutti i quadri e li hai messi in cantina.  
Tenersi occupato.
Ci sono infusi e pozioni da preparare, l’erba del prato da falciare e far seccare per l’inverno, quando la legna è troppo bagnata dall’umidità salmastra per accendersi da sola. C’è da bruciare un nido di vespe nella rimessa degli attrezzi.
C’è anche il gatto da sfamare, tra le varie. E visto che è un essere vivente, forse è prioritario. Vai in cucina e riempi la sua ciotola. Quando gliela porti noti che è alla porta. Miagola, ma non perché ha fame. Miagola perché aspetta.
E di colpo ricordi che è sabato, e sabato è il giorno di Lily, il giorno in cui l’ingrato riceve una dose fin troppo eccessiva di coccole e moine.
Posi la ciotola e incroci il suo sottile sguardo giallo.
‘Lei dov’è?’ Sembra chiederti.
Dare un taglio. Afferri la lettera dallo scrittoio e ti avvicini al camino. Non servirà molto per bruciarla, un colpo di bacchetta e poi gettarla nel focolare. È carta, dopotutto.
Carta che può essere strappata, bruciata, dimenticata. E aperta, scartata, letta.
 
‘Caro Severus,
Se riceverai questa lettera, significa che le cose non sono andate come speravo.
Mi è stato insegnato che bisogna lottare per ciò che si ama, e ignorare il resto del mondo quando ti dice che non è per niente una buona idea.

Però è dura quando è proprio la persona che ami a dirtelo.
E so che me lo dirai. Lo so adesso che ti sto scrivendo a poche ore dalla mia festa.
Perché ci ho provato allora, sapendo che così avrei distrutto il nostro rapporto?
(Che ne abbiamo uno, è inutile che storci le labbra. Lo stai facendo anche se non te ne accorgi.)

Perché dovevo farlo. La sola idea di rimanere in questo assurdo limbo dove tu cerchi in ogni modo di ignorare ciò che provo era insopportabile.
E sì, so che ai tuoi occhi sono una sciocca ragazzina infatuata. 
È più facile se sono sciocca, se sono una ragazzina e se sono infatuata, giusto?
Scusa, adesso ti starai arrabbiando.
Severus, hai mai avuto l’impressione di essere nato per un motivo?
Sarà una cosa di famiglia, ma io sì.
Io sono nata per te. Ne sono sempre stata convinta fin da quando ero una bambina. E questo significa qualcosa, giusto?

Tu non fai che respingere il mondo, allontanarlo come se non te ne importasse nulla.
Vivi come se avessi un cuore solo per pompare sangue. Ma io ti ho conosciuto, sono cresciuta con te ed ho visto che un cuore, quel tipo di cuore, ce l’hai invece, eccome.
Ne hai talmente tanto che credo tu ne abbia paura e per questo tu voglia tenerlo in gabbia.
Non credo che ci sia qualcun altro al mondo che l’abbia capito. Non penso tu gliel’abbia permesso.  
Però l’hai lasciato fare a me.
Se fossi una buona amica, direi che mi basterebbe vederti felice con qualcuno in grado di amarti e farti amare di nuovo. Perché te lo meriteresti, maledizione.
(Impreco perché hai la testa dura. Tu sei convinto del contrario, ci scommetto.)
Peccato sia davvero pessima perché vorrei che quella persona fossi io.
Vorrei che tu abbracciassi me, che baciassi me, che toccassi me. Adesso tirerai fuori la storia che sei troppo vecchio. Indovina un po’? Se volessi un ragazzo della mia età, l’avrei già trovato.
Sei tu l’uomo che voglio.
Dovevo dirtelo. Probabilmente non sarò capace di farlo come si deve stasera, mi limiterò a stare zitta, come sempre. Forse ti bacerò. Ho tanta voglia di baciarti.
Le parole per noi sono sempre state un problema, vero? Spesso sfuggono, spesso mancano, spesso vanno fuori controllo. Non mi piacciono le parole.
Ce la siamo sempre cavata meglio con i silenzi, io e te.
Se ti è arrivata questa lettera, è probabile che io sia già lontana dall’Inghilterra. Era una cosa che volevo fare da un po’e credo che se non ci sarai tu, con me, dopo la festa, avrò una spinta per andarmene.
Non è che abbia rinunciato a te. E che non è ancora abbastanza, immagino.
Per me non è finita, è solo l’inizio.
 
Sempre tua,
Lily
 
 
Una sciocca lettera di adolescente. Un sacco di frasi pretenziose. Un sacco di frasi che con il tempo cadranno nel vuoto e moriranno tra carta e inchiostro.
Non che ti aspettassi di meglio. Non che ti aspettassi di peggio.

La lettera è semplicemente Lily Luna. La ragazzina senza l’intrinseca quietezza d’animo che si impone da quando era bambina. La ragazzina a nudo, pura e semplice.
Ignori il sapore amaro che ti sale alle labbra; bentornato, ti verrebbe da dire, è un bel po’ che non senti il sapore di aver perso qualcosa sulle labbra.
(Chissà se tutti possono assaggiare il sapore del fallimento. Tu sì. Oh, fortunato.)
Il gatto ti si struscia alle gambe, chiede cibo e ti riporta alla realtà.
Posi la lettera al davanzale della finestra. Sai che ci farà la polvere perché non avrai più il coraggio di prenderla o di rileggerla. Forse dovresti davvero bruciarla.
Forse.
Il gatto non smette di miagolare ed hai l’ impulso di calciarlo via, di sbarazzartene con un semplice colpo di bacchetta. Perché anche lui ti ricorda Lily.
Ed è diverso stavolta, diverso da quello che è successo con l’altra Lily. Perché stavolta hai fatto le cose a dovere. Tutto maledettamente opportuno, e complimenti Severus, era ciò che dovevi fare. Per una volta hai fatto la cosa giusta.

“Lei non tornerà più.” Dici a Cagliostro e sai che non può capirti, ma ritieni terapeutico dirlo ad alta voce. Tanto nessuno può sentirti e dire che la stai prendendo troppo seriamente.
Sei un uomo adulto Severus. Perché sei tanto scosso per la cotta di una ragazzina?
 
Severus, hai mai avuto l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.

 
Adolescenziale, prevedibile. Inadatta. Sei sempre stato un maestro con gli aggettivi.
Sei una persona come si deve adesso, Severus. Nessuno potrebbe dire il contrario. Paghi le tasse babbane, hai un lavoro onesto, ti fai i fatti tuoi e ti ricordi sempre di differenziare la spazzatura. Ti stai godendo la tua maturità magica che declina lentamente ma inesorabilmente verso la vecchiaia. Il tuo comportamento con Lily è stato forse brusco, ma ineccepibile.
La ragazzina vivrà nel mondo e vedrà che c’è di meglio di un vecchio pipistrello della scogliera, di un reduce, di un uomo pieno di cicatrici e amarezza che non sa amare in modo normale.
 
Severus, hai mai avuto l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.

 
“Lei non tornerà.” Ripeti e allunghi la mano per accarezzare il gatto, per dargli ciò che vuole. Soffia, si ritrae. Ti guarda diffidente e poi scatta via. Quando l’avete visto in mezzo al fango di Ardmore, Lily l’ha preso in braccio esclamando che ti somigliava. Ha riso e gli ha baciato il muso. Aveva dodici anni. Ricordi di esserti indispettito per quel paragone; le hai anche intimato di lasciarlo, prima di beccarsi qualche malattia tipica dei randagi.
Hai finito per portarli entrambi a casa.

Lily è stata l’unica a poter toccare Cagliostro senza farsi soffiare addosso. Per l’appunto, ne hai avuto adesso la riprova.
Lily è stata l’unica a poterti avvicinare senza farsi allontanare, senza farsi soffiare contro dal vecchio e ridicolo randagio che sei.
Beh.

Almeno tu non miagoli ad una porta che d’ora in poi rimarrà chiusa.
 
Severus, hai mai avuto l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.

 
 
2025
 
Non ti sei mai ritenuto un santo.
Essere un santo significa, secondo l’ideologia babbana, esser privo di vizi, di impulsi e desideri.
Praticamente, non essere umano.
E tu lo sei stato dolorosamente, e lo sei ancora.
Un anno passato in asettica solitudine. Tredici mesi per essere precisi. Potter non ti viene certo a trovare, dopo che l’hai mandato al diavolo quando ha tentato di coinvolgerti fisicamente nella ricerca. Non deve aver aiutato averti visto stringere la bacchetta. Si è fermato dallo squadernare la sua perché probabilmente pensa che la guerra ti abbia portato via qualche rotella.
Premuroso da parte sua.  
Ti sta succedendo di nuovo. Non sei più un ventenne dal cuore dilaniato, ma non è questo il punto, supponi; perché ti sembra di avere di nuovo quell’età e di trascinare le tue serate a Notturn Alley, quando il silenzio di Hogwarts rischiava di farti impazzire.
Invece sei un adulto fatto e finito e non hai più bisogno che Silente ti prenda per mano per evitare che tu segua l’orma genitoriale: Tobias, con una cirrosi epatica che l’ha fatto morire tra le sofferenze che si meritava. Tua madre, morta per inerzia, priva di un carnefice ma anche di una ragione per andare avanti.  
Quindi trovarti al porto di Galway con uno dei loro whiskey a tre fermentazioni in mano è una cosa che puoi controllare. Ne hai solo bisogno ogni tanto.  
Quel che è patetico è che sei qui perché vuoi sentire la gente attorno a te parlare.
Vuoi sentirti irritato, importunato vuoi provare disgusto per l’essere umano tuo simile. 
Così puoi tornare a casa, rinfrancarti nel silenzio pulito della brughiera; ma è solo per pochi giorni; poi senti di nuovo quel vuoto che ti scava il cuore, ancora.
E torni qui.
Non sei un santo; ma pure come eremita, diciamocelo, hai sempre fatto schifo.
Come dopo la prima guerra ti senti un vuoto dentro e vorresti che qualcuno ti spiegasse come riempirlo. Non c’è modo, ti aveva detto Albus, puoi solo proteggere il figlio di Lily.
L’hai protetto. Hai fatto tutto ciò che potevi per quella maledetta famiglia. Sei quasi morto.
Allora perché ti senti così? Stavolta non hai nessuna colpa atroce da scontare.
La sensazione si declina allo stesso modo però.
Una donna ti si avvicina, ti tocca con il gomito e ti sorride. L’hai già vista un paio di volte e l’hai doverosamente ignorata. Presumi di essere l’unica persona con cui può avviare una conversazione, data l’ora tarda e il tasso etilico degli altri avventori.
“Vieni qui spesso… mi han detto che sei inglese.” Dice, toccando il bicchiere con il tuo. Il suo è vuoto. “Mi piacciono gli inglesi.” Non aspetta la tua risposta, che comunque non arriverà. “Mi offri qualcosa da bere, inglese?”
La guardi e poi guardi il bicchiere vuoto. Realizzi che sei troppo ubriaco per articolare una risposta gelida e spiazzante, quindi ti limiti a tirare fuori il portafoglio – babbano, per non dare nell’occhio – e allunghi un paio di banconote per una nuova dose di White Bush¹ alla signora.
“Grazie. Un vero gentiluomo…” Ti tocca il braccio e senti un brivido di disgusto scuoterti. Non è bella, ma abbastanza piacente per scaricare un’urgenza di lombi. Un tempo forse, non adesso. Non perché te ne manchi la voglia, ma perché certi rabbiosi coiti non ti soddisfano più. Hai avuto modo di notare quanto ti rendessero ancor più miserabile.
“La gente viene qui per due motivi.” Pontifica, agitando il bicchiere e facendolo riverberare di riflessi oro pallido. “Per ricordarsi il passato e per dimenticarlo. Tu perché sei qui?”
Hai trovato una donna facile da bar con velleità filosofiche. Fai un mezzo sorriso, tuo malgrado.
(Sì, sei ubriaco.)

“Per entrambi i motivi, immagino.” Ti senti rispondere, e ti complimenti per il tono assolutamente non impastato.
“Non male…” Ti passa le dita sulla spalla. “Questa cicatrice… come te la sei fatta?” È la prima cosa che si nota di te. Per quanto indossi maglioni a collo alto, rimane scoperta una porzione di pelle dilaniata che arriva poco sotto il mento. Nagini mordeva per uccidere. Oltre ad avere un morso velenoso che non ha favorito la cicatrizzazione corretta della pelle.
Giusto per.
“In guerra.” Vuoti il tuo bicchiere e fai cenno al barista di versartene un altro. Sarà l’ultimo, ti riprometti.
(Chissà se Tobias si riprometteva le stesse cose. Stesso sangue, stesso alcool.)
“Quindi sei un soldato.” Esclama adattando la tua realtà alla sua. “Affascinante… me lo offri un altro bicchiere, soldato?” Non fai in tempo a pensare ad un modo per scrollartela di dosso che ti sfila il portafoglio con una certa abilità, a giudicare dai drink che deve essersi scolata nel corso della serata.
“Restituiscimelo.”
La donna ride e il suo rossetto è volgare. Anche dietro l’ebbrezza lo vedi luccicare e sai che è di poco prezzo, come è di poco prezzo tutto quello che ti circonda.  Al momento ti ci senti anche tu; bella gloria di guerra.
Devi ricordarti di non tirare fuori la bacchetta e ti sporgi per riprendertelo; la coordinazione non è il tuo forte al momento e la donna può aprirlo ed estrarre altre banconote senza che tu possa farci niente.
Ti senti un idiota.  
Ti senti un idiota perché stai così ed è riprovevole; ti senti un idiota perché aspetti ancora che Lily compaia dalla brughiera, che ti sorrida e ti corra incontro.
Non avresti mai pensato che la solitudine avrebbe finito per ritorcertisi contro.
Così, poi.
Ti senti un idiota perché non dovresti sentirtici più. Dovresti aver quietato il tuo cuore, averlo seppellito nella pace di una vita vissuta.
E invece.
“Lei è il motivo per cui sei qui?” Dice la voce lontana della donna. Ti costringi a rimettere a fuoco il mondo, e vedi che tiene in mano una fotografia. Senti come se l’alcool ti fosse appena stato strappato dalle vene. Sai che cosa c’è nel tuo portafoglio; non molto, documenti per la tua vita babbana, contanti, una carta di credito intestata alla tua nuova identità di invalido civile – almeno si spiega così il tuo vitalizio al fisco irlandese.
E due foto.
La prima è di Lily, una metà strappata che la coglie mentre tende le mani a qualcuno che non sei tu – a Potter e più in là, a James.
E un'altra più recente, sempre magica. Lily Luna, alla vigilia del suo compleanno, che siede accanto a te sul portico della casa. Non la vedi, ma la ricordi perfettamente: ti stringe un braccio e ride felice per esser riuscita a convincerti. Indica l’obbiettivo e ti costringe a non andartene dalla cornice.
La foto che la donna tiene in mano è proprio quest’ultima.
“Bella ragazza, la tua. Hai l’aria così innocente… un agnellino.”  Ridacchia. Poi aggrotta le sopracciglia. “Ma la foto si muo…”
Gliela strappi di mano ignorando il tuo codice d’onore su come trattare una donna, per quanto sgradevole essa sia – diavolo, eri riuscito ad applicarlo persino a Bellatrix.

Non toccarla.” Ringhi e la donna impallidisce. È rassicurante sapere di poter ancora far paura. “Sparisci dalla mia vista.” Aggiungi.
“Razza di squilibrato…” Sibila tra lo spavento e l’umiliazione. Afferra la sua borsa e se ne va, lasciando finalmente solo.
Ha afferrato con malagrazia la fotografia e si è creata un’orecchia. La lisci con le dita, e ti rimetti seduto. Lily agita la mano, saluta, come sei certo che ormai l’altra Lily non faccia più. Il sangue di drago con cui sono animate le foto magiche dopo qualche decennio si guasta e i soggetti ritratti perdono colori, forme, espressioni.
Sono anni che non la guardi, anche se è lì, in quella piega di cuoio che è sua di diritto. La tiri fuori.

Lei non si muove più, come supponevi. La sua espressione è cristallizzata in un sorriso lontano, distante. Intoccabile. Con sgomento ti accorgi che non ti fa più male guardarla. Solo nostalgia e un vago dolore, gentile.
Sembravi felice Lily… lo eri, vero?
È la prima volta che lo pensi senza aver voglia di distruggere tutto perché non eri tu la sua felicità.
La rimetti al suo posto.
Ti passi tra le dita l’altra foto, l’altra Lily. Gli occhi le brillano e riflettono il cielo acutamente azzurro dietro il tetto di ardesia.

Ci dev’essere dell’ironia amara nel vuoto che ti senti scavare di nuovo – di nuovo, di nuovo, di nuovo, è un mantra ormai - dentro, come una tenia.
 
 
2027
 
Minerva è stata ricoverata al San Mungo.
La sorpresa di vedere la sua solita lettera firmata da qualcun altro, il fratello, ti lascia una spiacevole sensazione di malessere.
È una strana amicizia la vostra, nata sulle ceneri della guerra; prima Minerva era solo una professoressa, poi collega, poi rivale in un antico gioco di rappresaglia tra Case. È stata una nemica, per un certo periodo. Ricordi ancora lo scontro che vi ha coinvolti e il tuo disperato tentativo di non ucciderla senza insospettire i Carrow.

Lo ricorda anche lei e forse è per questo che è cominciata.
Il fratello accenna ad una malattia e al fatto che abbia chiesto di te.
Non volevi tornare, ma l’hai fatto. È stato un imperativo talmente forte che ti ha letteralmente strappato da casa per farti Materializzare a Galway, di fronte al centro Smistamento Passaporte.
Il San Mungo assomiglia sempre a sé stesso: odore di erbe mediche, campionario di idioti colpiti da fatture maldestre che affollano il triage e la solita, insopportabile, strega all’accettazione.
“Cerco la stanza della profes...” Ti blocchi, ricordando come quel titolo non appartenga né a te né a lei, non più. “… di Minerva McGrannit.”
“Parente?” Chiese senza alzare lo sguardo da una rivista che sfoglia distratta.
“Amico.” È quello che siete e ricordartelo di colpo, per colpa di una domanda posta con tono di rito, ti fa sentire anche peggio.

Sei davvero stato un buon amico per Minerva? Dubiti. Quella donna è tutto ciò che di vivo ti rimane del passato, la parte che ti provoca quasi un sorriso quando la ricordi, e non una smorfia. Eppure non sei mai andata a trovarla, a volte ti sei persino dimenticato di rispondere alle sue lettere. A volte non hai direttamente voluto.
“Non siamo autorizzati a rilasciare informazioni a chi non è della famiglia.”  
In un istinto che ripeschi dalle tue antiche lezioni, sbatti la mano sul tavolo. “Mi ascolti bene.” Articoli con il tuo tono migliore, quello che congelava letteralmente intere scolaresche. Finalmente ti guarda e quando ti riconosce, assume anche un delizioso pallore cadaverico. “Sono un suo ex-collega, sono un amico ed ha espressamente richiesto la mia presenza.” La lasci assorbire le informazioni e poi concludi. “Se non le è di troppo disturbo, il numero della stanza, prego.”
“Secondo piano, stanza 201.” Mormora. “Mi scusi Professor Piton, io…”
La lasci al suo sgomento e ti rechi verso gli ascensori. Forse è stata una tua studente, a giudicare da come ti ha chiamato. Non puoi fare a meno di stirare un sorrisetto.
È stato piuttosto divertente. Ti eri dimenticato la piacevole sensazione di farti temere.

“Signor Piton?” Ti volti e ti trovi di fronte ad un mago piuttosto anziano dall’aria rigorosa. Ti ricorda un pastore presbiteriano. “Malcolm McGrannit.” Si presenta tendendoti la mano. “Sono io che le ho scritto.”
“Naturalmente.” Replichi stringendogliela. Gli mancano solo gli occhiali per essere la versione maschile di sua sorella. 

“Minnie sarà felice di averla qui.” Sorride, premendo il pulsante di chiamata ascensore. “Anche se non ha fatto altro che rimproverarmi da quando le ho scritto.”  
“Mi aveva detto che era un suo espresso desiderio vedermi…” Non essere il benvenuto non è ciò che ti aspettavi. Ed ignori la sensazione di delusione che ti investe.
Niente è facile per te: persino un quieto rapporto di stima ed amicizia con una donna che conosci da decenni riesce a essere complicato.

“Oh no, non mi fraintenda, vuole vederla.” Scuote la testa. “Ma mi ha avvertito della sua riluttanza a tornare in Inghilterra.” Spiega stringendosi nelle spalle.
Non commenti, limitandoti a classica domanda. “Come sta?”
“Meglio.” Ti rincuora. “Ma glielo dica, per cortesia, che a me non dà retta… sa, essendo suo fratello minore la mia parola, ahimè, ha meno peso.” Sospira. “Essere un Animagus alla sua età non è come esserlo in gioventù. Glielo dica.” Ripete.
Tipico di Minerva e della sua anima stupidamente Grifondoro. Mai arrendersi all’evidenza della sua caducità personale. Probabilmente si è ammalata sotto forma di gatto.

Merlino, se detesti gli Animagi.
“Farò il possibile.” Ti fai scortare fino alla camera e poi l’uomo apre la porta.
“Minnie, hai visite!” Esclama e noti quanto sia forte l’accento scozzese. Riabituarti alle varie inflessioni del tuo paese è straniante.
La tua vecchia rivale di Casa è stesa su cuscini ed ha la solita, fidata, vestaglia tartan. La camera è piena di luce, gomitoli di lana e fiori. Quando ti vede ti sorride e improvvisamente ti senti meno inadeguato.
(Dio, Severus, cresci.)
“Severus.” Ti apostrofa, tendendo una mano. “Che piacere. Perdona mio fratello… gli ho detto che ti avrei dato un disturbo a farti venire fin qui, ma non mi ha ascoltato.”
La raggiungi e le prendi rigidamente la mano. “Nessun disturbo.” Reciti con un tono meccanico da manuale. “Come ti senti?”

“Meravigliosamente.” Replica e l’occhiataccia è tutta per il fratello. “Un infreddatura, nulla di più.”
“Hai avuto la febbre molto alta per giorni …” Tenta timidamente l’uomo. “E anche adesso…”

“Onestamente, Malcolm, stai esagerando. Mi sento benissimo.” È la replica secca. Vedi ragnatele di rughe sul suo viso, i capelli ormai bianchi e la mano che stringe la tua è sottile e fragile come pergamena. La bacchetta è posata sul comodino, ed ha l’aria di non essere stata toccata da giorni.
Ti lascia la mano e fa cenno di sedersi. “Spero non sia stata una Materializzazione faticosa.”
“No.” Scuoti la testa, non sapendo bene cosa dire, o fare. Forse avresti dovuto portare dei fiori.

“Malcolm, va’ a prendere del the e qualche pasticcino al Quinto piano.” Esordisce dopo un breve, imbarazzato silenzio.
“Agli ordini.” Sospira, e vedi la complicità un po’ fanciullesca trai due. Sapevi che Minerva aveva due fratelli e qualche nipote sparso per la Gran Bretagna.
Non li hai mai conosciuti. Realizzi quanto poco sai di lei come donna. Non siete in quel genere di confidenza, non lo siete mai stati.
Ti senti ingombrante, e quindi ti limiti a sistemare una falda del mantello che ti sei riposto tra le braccia.
Soli, ti sorride di nuovo. “È bello rivederti Severus.”
Ti limiti ad un cenno affermativo. “Tuo fratello mi ha detto che era grave.” E accusare qualcun altro del tuo imbarazzo. Molto serpeverde. Molto inappropriato.

Scuote appena la testa, apparentemente senza essersela presa. “Sia lui che Bobby sono tremendamente apprensivi. È vero, non sono stata bene.” E lo senti dalla voce che ha perso la forza di un tempo o dalla stanchezza con cui si chiude la vestaglia. “Ma sto meglio.”
“Ne sono lieto.”
Ti scruta ancora un po’. “Sei cambiato…” Mormora speculativa. “… direi che non è solo il taglio di capelli o i vestiti, vero?”
Tuo malgrado abbozzi un sorriso. “No, direi di no. Sto invecchiando.”
“Carino da parte tua farmelo notare, considerando che sono stata una tua professoressa.”
Vi scambiate uno sguardo ed è lei la prima a ridere. Tu ti limiti al solito ghigno demotivante. Che lei conosce e glissa.

“So che non ami venire in Inghilterra… da quando sono ricoverata, posso quasi dire di capirti. Dopo due giorni qui già rimpiangevo la pace della mia Caithness.” Fa un cenno, indicando l’intero negozio di fiori che le è stato scaricato in stanza. “Sono pensieri apprezzabili, se non mi venissero recapitati in continuazione.” Sospira. “Ora che sei qui penso che il Profeta tenterà un’irruzione per un intervista combinata.”
“Ancora?” Ti senti salire l’irritazione, e ti chiude la gola.

“Harry ha fatto un buon lavoro a mantenere viva la memoria di ciò che è successo. Senza sotterfugi, senza armadi della vergogna.” Notando il tuo sguardo, sbuffa. “Non puoi pensare che sia una colpa, Severus. È un uomo eccellente. In questi anni lui e gli altri hanno fatto molto per il Mondo Magico.”
“Non lo metto in dubbio, ma la cosa non mi interessa.” Ribatti sarcastico. Per questo non vuoi tornare. Ogni volta è ricordare come non ci sia più posto per te, qui.

Minerva fa un vago cenno disimpegnato. “Lo immaginavo.” Continua a scrutarti e davvero, puoi capire perché lo faccia; l’ultima volta che ti ha visto eri lo spettro di te stesso, un uomo fagocitato dalle proprie ombre. Sicuramente godi di migliore salute, migliore stabilità fisica ed emotiva.
Più o meno.
“Avrei voluto che tu non partissi…” Si ferma, perché sa di stare avventurandosi in un territorio troppo intimo. Riprende, perché i Grifondoro hanno la deprecabile abitudine a terminare tutto ciò che iniziano. Anche quando potrebbero evitare. “Il nostro mondo è rinato. È diventato diverso e per certi versi, migliore. Perché te ne sei andato?”
“Lo sai meglio di me.” Ribatti aspro, alzandosi e avvicinandoti alla finestra. Mazzi di fiori danno alla camera un odore dolciastro, fruttato. Minerva non avrebbe mai il cuore di buttare presenti da parte di suoi vecchi alunni o amici.

“Ti sbagli, Severus.” Sospira. “Avresti avuto la giustizia che meritavi. La puoi ancora avere…”
Non demorde.
“Forse non la voglio.” E non la vuoi, non ti interessa. Vorresti solo essere lasciato in pace.
Ma non è stato possibile. Ti sono stati dati solo dieci anni. E poi, una nuova ferita.

“Non credo che sia del tutto vero.” Replica quieta. Ti volti per fronteggiarla, per rivendicare il tuo diritto a non volere la pietà di chicchessia, compresa la sua.
Trovi solo una vecchia amica, stanca e pallida, che ti osserva gentile.
La vecchiaia ha smussato gli angoli della temibile McGrannit. O forse, non vuole essere dura con te.
Dovrebbe.
“Adesso predici anche i miei pensieri, Minerva? Ammirevole.” Fai vagare lo sguardo sulla stanza e di colpo un maglio, un uncino ti aggancia il cuore e dà un potente strappo.
C’è una tela, parzialmente occultata da mazzi di fiori sgargianti. Una tela piccola, non più grande di un foglio di pergamena standard. Raffigura un paesaggio esotico, animali che non conosci. Ciò che conosci è la mano, il modo in cui stende il colore e lo rende brillante accostando combinazioni multiformi.
L’ha dipinto Lily.
Senti Minerva muoversi sul letto; forse si chiede cosa tu stia guardando così attentamente da averti fatto congelare come sotto Incantesimo di Pastoia.
“Oh…” Dice, e la voce sembra provenire da lontano. “… quello me l’ha mandato la figlia di Harry, Lily Luna. Cara ragazza. Ha una bella mano, credo sia in Giappone ora. Ma tu la conosci, no?”
“Sì.” Dici, sentendoti parlare da una caverna molto profonda. “In Giappone?”
Altro che Irlanda. La ragazzina ha superato il maestro.
“Credo di sì, almeno a quanto mi ha detto Potter.” C’è una pausa molto silenziosa. “Severus, ti senti bene?”
Non ti sei accorto di aver portato il tono di voce prossimo allo zero assoluto. Né che i tuoi pugni si siano serrati come in attesa di un colpo.

Ma se ne deve essere accorta Minerva.
“Sì, naturalmente.” Ti volti con la tua migliore espressione composta. “Forse dovrei lasciarti riposare, ti vedo provata.”
“Forse sei tu a doverti sedere. Sei pallido come un morto.” Il tono è quello dei vecchi tempi, e per un attimo vorresti risponderle a tono che non hai bisogno delle premure di una madre, alla tua età. “Siediti.” Ripete.
Ti siedi obbediente come lo studente che sei stato. Anche essere scandagliato da dietro le lenti sottili dal suo sguardo acuto ti riporta indietro a vecchie memorie.
“È andata via due anni fa, mi sembra.” Dice. “Suo padre mi ha detto che è scappata di casa senza alcun motivo. Ha anche aggiunto, con una certa veemenza devo ammettere…” Fa un sorriso. “… che tu dovevi saperne qualcosa e che non volevi dirglielo. Mi ha detto che eravate molto legati.”

Dannato Potter. Supponi che non sia totalmente idiota come ti piacerebbe credere.
Dopotutto è a capo dell’Ufficio Auror. Ed è pure bravo, sembra.  
“Sì, mi si era affezionata inspiegabilmente.” Devi averlo già detto a qualcuno, ma non ricordi. Il tuo sguardo va di nuovo al quadro.

È migliorata, puoi dirlo anche senza essere un esperto. Il tratto è più fermo, pulito e sgombro da volute eccessive. Ridotto al minimo, quasi scarno. Eppure sono i colori che calamitano l’attenzione, non il tratto. Il nero pastoso, le ali bianchissime, il tramonto che si sfibra in volute rosa ed arancioni.
Sono i colori che hanno sempre reso la pittura di Lily viva.
Ti muovi a disagio come se sotto la sedia che ti ospita ci fossero carboni ardenti. “Sono felice di vedere che Lily sta bene.”  
Da quando le parole ti scivolano via dalle labbra senza che tu possa farci niente?
Non vuoi che nessuno sappia dei ridicoli sentimenti che ti si agitano dentro da troppo tempo.
Inadeguati, sciocchi, sei troppo vecchio.

“Non so dirti come stia, mi ha semplicemente fatto recapitare questo ritratto tramite i genitori, quando ha saputo che ero ricoverata. Si dice che le gru giapponesi simboleggino un augurio di pronta guarigione.” Lo guarda, poi scuote la testa. “Non la senti da così tanto tempo?”
“Già.”
“Glielo hai imposto tu, vero?”

Alzi lo sguardo e ti scontri con il fatto che Minerva ha capito. Non hai la minima idea di come abbia fatto dato che sei certo di non aver lasciato trasparire nulla; persino Potter ti ha accusato di essere un ‘insensibile bastardo’ alla vostra ultima chiacchierata.
Non sai perché non ti alzi e le auguri ogni bene prima di andartene. “Sì.” Dici invece. “Dovevo. È forse la scelta migliore che abbia fatto in questi anni. Non potevo permettere che continuasse. Ho dovuto allontanarla prima che la situazione diventasse ingestibile.”
Aprire il cuore ad una donna che non ti vede da anni e con cui non hai mai scambiato reali confidenze, potrebbe ritorcertisi contro. Ma comunque lo fai, perché questa cosa ti sta rodendo dentro. E non hai la minima intenzione di affidare altri ricordi tramite Pensatoio a chicchessia.
Specialmente a Potter, dato il soggetto.

“Non dirmi che…” Ha almeno il buongusto di non urlarti contro e darti del degenerato. Lo apprezzi, specie conoscendo il suo alto senso morale che la fa tendere le labbra in una linea sottile.
Poi capisci cosa esattamente ha frainteso.
“Non l’ho mai toccata.” Ringhi e la fai trasalire. “Era una bambina, per l’amor di Merlino!”
“No, non intendevo dire…” Si schiarisce la voce, imbarazzata quanto e più di te. Ben le sta. “Devi ammettere che avevi posto la frase in maniera ambigua.”
“Si era invaghita di me, ecco tutto. Non le ho certo dato udienza.” Sbotti e Merlino, se ti senti ridicolo. Si sente di professori o figure assimilabili che diventano mire sentimentali di minorenni con una fantasia troppo fervida.
Tu non sei mai stato uno di quei professori.

“Hai agito… bene.” Mormora lentamente. Non capisci perché non si congratuli con te con la leggerezza dovuta a queste situazioni e poi cambi discorso.  
“Ne sono consapevole.” Replichi freddo. “Ora, se non ti spiace…”
“Dio, Severus.” Sentire Minerva che invoca il nome della divinità babbana per eccellenza è sempre stato strano. Ed era riservata, ai tempi d’oro, ai momenti di sommo sgomento. “Ecco cos’hai. Sei infelice.”

La fissi come se le fosse andato di volta il cervello. Dal tuo punto di vista è così.
“Prego?”
“Non riuscivo a capire la tua espressione.” Aggrotta le sopracciglia. “Mi sembri in forma migliore di quando ci siamo lasciati l’ultima volta, certo. L’Irlanda ti ha fatto bene… ma hai ancora l’aria tormentata, e non capivo. Pensavo fosse dovuto al fatto che ti manca l’Inghilterra, ma…”
“Non mi manca l’Inghilterra.” Sottolinei.

“Ti manca quella ragazzina.” Finisce per te e magari una voragine si aprisse facendoti finire all’inferno, immediatamente…
Invece no.
“Questo è ridicolo.”   

“Severus…”
Vorresti andartene ma hai il terrore di scontrarti con Malcolm McGrannit carico di pasticcini. O chiunque altro. Se potessi ti smaterializzeresti all’istante. Ma non puoi, dato che in Inghilterra non hai un solo posto in cui tornare e l’Irlanda è un po’ troppo distante per tentare una mossa del genere e uscirne vivo.

Quindi racimoli tutta la tua dignità e cerchi di dare un taglio alla conversazione più disagiante della tua vita da quando hai confermato a Potter che amavi sua madre.
Corsi e ricorsi storici… Cos’ha che non va il mio karma?
“È poco più di una bambina, Minerva. Sarebbe inappropriato se provassi per lei qualcosa oltre l’affetto. E ti assicuro che è stato difficile provare anche quello, dato il padre.”
“Assomiglia a Lily.”
Le metteresti le mani al collo se non fosse che si suppone siate amici.
“Lily non assomiglia a sua nonna.” Sei stufo che in qualche modo, da chiunque, quell’argomento venga tirato fuori. “Sono diverse. Fisicamente forse si somigliano, ma per esperienza posso dirti che le somiglianze fisiche non dicono nulla di una persona.”
O saresti morto di cirrosi in qualche vicolo sudicio.

Ha il buongusto di sembrare dispiaciuta. “Scusami, sono stata indelicata.” Sì, lo è stata. Sembrava una delle tue vecchie conversazioni con Silente. “Posso farti una domanda?”
No – avresti voglia di urlarle. Ma la buona educazione ti stringe il collo come un cappio.

“Ho modo di evitarla?” Ma il sarcasmo è un buon palliativo.
“Ti ho parlato di affetto e sembra che ti abbia appena accusato di un terribile crimine, Severus.” Fa una pausa. “Perché sei così spaventato?”
“Non sono spaventato.” Replichi sconcertato, prima di accorgerti che sì, hai una paura del diavolo addosso. Ma mai dimostrarla, mai. “Penso soltanto che questa conversazione debba terminare qui.” Tenti un’ultima volta.

“La tua vita privata non è affar mio…” A quasi l’aria di recitare “… sì, il messaggio è chiaro. Mi dispiace davvero ricordarti che siamo amici e che ti conosco da una vita. E no, non sta funzionando.”
Segue un lungo silenzio.
“Cosa vuoi, Minerva?” Mormori sentendoti di colpo stanco. La verità è che lo sei sul serio. I sentimenti sono stancanti.
“Capire perché un amico che avrebbe dovuto raggiungere la serenità si comporta come se cercasse ancora qualcosa. Hai di nuovo l’espressione di quando hai cominciato ad insegnare, Severus.” Fa una pausa mentre la tua faccia deve aver perso totalmente colore. Lo senti. “… solo che stavolta non dovresti.”
“Lo decidi tu?”
“Non è così orribile come lo dipingi.” Cosa? – ti verrebbe da chiedere, ma non vuoi saperlo. “Ti conosco. Immagino tu ti sia comportato in modo assolutamente irreprensibile con lei. Ma adesso sei infelice.”
“Mi stai forse suggerendo di intraprendere una relazione con una ragazza di svariati anni più giovane di me?”
Hai voluto calare le carte in tavola. Non esattamente una cosa da te, ma si suppone che le persone cambino.

Una volta Minerva non era così impicciona. Sarà l’età? Anche Silente peggiorava negli anni.
“Severus…” Potrebbe anche piantarla con la condiscendenza. Preferivi i suoi sguardi fulminanti. “… non hai mai conosciuto mio marito Elphinstone, vero?”
“Non ne ho avuto l’occasione.” È stato un matrimonio breve, per quanto ricordi, e in quegli anni evitare le occasioni sociali per te era un dovere. E un piacere.

“Aveva quarant’anni più di me.”
Sarà il quarto silenzio da quando hai aperto la porta, ma questo è più denso degli altri. Estremamente tale.
“Era il mio superiore al Dipartimento di Applicazione Legge sulla Magia.” Continua tranquilla. “Abbiamo avuto un matrimonio breve, ma molto felice.” Stira con le dita il risvolto della vestaglia. “Quando mi si dichiarò la prima volta, gli dissi di no. Ma non per via della differenza di età …”
“Minerva.” Tenti di fermarla. “Non ha senso quello che…”
“Quello che non ha senso, Severus, è ignorare il proprio cuore.” Ti ferma dal ribattere con un gesto imperioso. Da quando ha ritrovato tono e piglio? “E so che è una sciocca frase fatta, ma ha il pregio d’esser vera. Non mi interessava l’età di Elphinstone quando l’ho sposato. Sapevo, per esperienza, che non dovevo lasciare che i pregiudizi delle persone mi frenassero una seconda volta.”

“Una seconda?” Ormai non ti interessa più mantenere la facciata. Vuoi sapere.
Alla tua domanda tace, e di colpo hai la percezione di non essere il solo ad avere il cuore malmesso in quella stanza.

Non hai mai pensato a Minerva come ad una donna, ti duole ammetterlo ma è vero. Non hai mai pensato che anche lei potesse avere una sua storia in quel senso.
“Ho lasciato andar via la felicità la prima volta, con un’altra persona…” Fa un mezzo sorriso amaro. “Non ho permesso che accadesse di nuovo. Non so cosa ti leghi a quella ragazza, Severus, e non pretendo che tu me lo dica. Solo, non voglio che perseveri nel mio stesso errore.”  
Non sai che dire. Non vuoi dire niente, meglio.
Minerva non torna sul discorso; finalmente comincia a parlare di niente in particolare, e ti lascia solo con i tuoi pensieri.

 
 
2028
 
“Severus, è davvero sleale da parte tua.”
“Gli scacchi non sono un gioco di cortesia.”
“Lo rendi palese.”
Sorridi beffardo mentre Minerva fissa con stizza la scacchiera che ti dà vincente in tre mosse; come tutti gli ex-Grifondoro non sa perdere. E tu non hai mai perso a scacchi con un grifondoro. Mai.

“Bene.” Sospira infine, vinta dall’evidenza. “Che ne dici di una tazza di the?”
“Vado a prepararne.”
“Severus…”
Ignori il suo richiamo e vai nella piccola cucina del cottage scozzese che, a quanto hai capito, è la vecchia casa della famiglia materna. È un basso cottage dai muri bianchi e il tetto robusto, ben diverso dalla tua austera casa in pietra, ma comunque confacente alla tranquillità di un’anziana insegnante in pensione.

Da quando Minerva è stata dimessa le tue visite sono state frequenti; poco dopo il vostro colloquio al San Mungo ti sei svegliato nel cuore della notte, realizzando che avrebbe potuto essere l’ultima volta che parlavi con lei.
Un tempo sarebbe stato un pensiero volatile, ma non è più quel tempo, il tempo dell’orgoglio ostinato. Che ti piaccia o no, alcuni angoli del tuo carattere si sono smussati; qualcuno potrebbe chiamarla debolezza, ma forse si sono solo erosi al trascorrere del tempo.
“Non c’è bisogno che mi tratti come un’inferma!” Esclama dal salotto; tipico suo pretendere che tu non abbia capito; non ha recuperato completamente la salute, e ti scopri spesso a spiare ogni sua mossa.
È forse poco sensibile da parte tua, ma hai il terrore che se ne vada. E che tu diventi l’ultimo emblema della vecchia generazione di maghi.
Hai paura di rimanere solo, detto fuori dai denti.
Ti ringrazia con un sorriso quando le porgi la tazza di the e la sorseggia quietamente. “Mi dai mai ascolto?”
Il vostro rapporto ormai è quello di due vecchi rivali che si riscoprono amici. E il punzecchiarsi fa parte dell’equazione.  Albus ne sarebbe stato estasiato.

“No.” Replichi senza scomporti. “So che ascoltare una grifondoro è esercizio sterile.” Ghigni perché sai che Minerva rimarrà fiero vessillo della casa di Godric fino al suo ultimo respiro.
E la prende sul personale.
Infatti ti lancia un’occhiataccia. “Quanto parlare ad un serpeverde.”
“Assolutamente vero.”

Fuori un acquazzone estivo lava i cespugli di ginestra che ornano il giardino. Certe volte ti chiedi come sarebbe stato vivere in un posto dove la pioggia non è parte integrante delle tue giornate.
Forse saresti stato una persona più allegra. Ti soffermi, ogni tanto su sciocchi pensieri del genere.

“Ieri mi è arrivato un invito…”
Riporti l’attenzione su Minerva, che sta osservando con aria critica i biscotti un po’ bruciati che una delle sue bisnipoti le ha portato dal corso di cucina che frequenta – senza troppo successo, pare.

“Se è una di quelle patetiche commemorazioni, scordatelo.” Ribatti senza pensare.  “In realtà si tratta di una mostra di pittura a Diagon Alley.”
Un allarme suona remoto nella tua testa. Fai finta di esser completamente assorbito nella prossima mossa – anche se la partita è tua.

“Severus, la mostra è di Lily Luna. È tornata in Inghilterra.”
Brutale e diretta. 

Non alzi lo sguardo dalla scacchiera, mentre pensi a cosa dire per non tradirti.
Sai che Lily è tornata in Inghilterra; due settimane fa ti è arrivato un biglietto dal Giappone. Hai passato le dita sulla leggera carta di riso che usano al posto delle pergamene. Profumava di colori ad olio. Hai immaginato Lily vergare lettere con le dita sporche di pittura ancora fresca, come a volte faceva durante l’adolescenza.

 
Severus,
Sto tornando. Pensavo, chissà come, che volessi saperlo.

 
Lily
 
Non hai capito se il biglietto fosse ironico.
Cinque anni. Sono passati cinque anni. Se tu sei un uomo dalle lunghe distanze ormai, lo stesso non può dirsi di Lily.
Cinque anni sono tanti per una ragazza così giovane. A quell’età si possono accumulare esperienze che cancellano con un colpo di spugna l’infanzia e l’adolescenza.
Ti chiedi se dal Giappone, oltre alla sua nuova, declamata tecnica – la Gazzetta del Profeta si aggrappa a tutto ciò che è targato Potter – abbia portato anche qualcuno.

Magari un fidanzato.
Fai una smorfia; tipico di te elucubrare nelle direzioni più disparate senza avere il minimo indizio. Rimasugli del tuo passato da spia.
“Severus?”
Alzi lo sguardo e noti che Minerva ha finito il the e anche i biscotti scampati alla cottura inesperta della bis-nipote. Per quanto diavolo sei stato perso nei tuoi pensieri?

“Cosa?” Sbotti sgarbatamente. Essere colto con le mani nel sacco ti da ancora fastidio.
“Dovremo andarci.”  
“Non sono stato invitato.”
“In realtà sì.” Ti stupisce. Appella il biglietto e te lo porge. “Leggi.”
A tono imperioso, la guardi male, ma apri la lettera.

 
L’Accademia Magiche di Arti Drammatiche & Figurative H. Beery
Ha il piacere di invitare la S.V. più accompagnatore all’inaugurazione della mostra di
Lily Luna Potter
Sabato 21  Luglio ore 16,30 presso la Galleria d’Arte Magica Moderna in Diagon Alley.
 
Lily ha una mostra tutta sua. Immagini che ha ventun’anni sia un traguardo ragguardevole, considerando quanto siano conservatori in Inghilterra sulla pittura.
I dipinti di Lily non raffigurano vecchi maghi o streghe morte, come tradizione vuole. Lily dipinge il presente.

Le ripassi il biglietto. “Non vedo il mio nome.”
“Severus, sulla busta.” Ti apostrofa con la pazienza riservata ad un bambino irritante.
Le lanci un’occhiata di avvertimento, ma obbedisci.

 
All’attenzione di Minerva McGrannit e Severus Piton
 
“… come fanno a sapere che…”
“Che spesso sei qui? Non sono gli organizzatori a saperlo.” Replica quieta, guardandoti come se fossi una curiosa creatura da catalogare. Ti chiedi che espressione tu stia facendo per causarle una simile reazione.

“E come fa Lily a saperlo?” È impossibile. Neppure Potter sa che visiti frequentemente la casa di Minerva. E né vuoi che lo sappia; meglio che tutti siano convinti che passi i tuoi giorni nel Connemara a marcire in solitudine.
Realizzi di colpo.

Le hai scritto.” Ringhi alzandoti di colpo in piedi. “Con quale diritto…”
“Severus, calmati ed ascoltami.” Replica senza scomporsi. Ti freni dall’attaccarla verbalmente solo perché è donna, è anziana ed ha una coperta sulle gambe.

Tralasciando che è la solita, maledetta, McGrannitt.
“Sono calmo.”
“Non direi.” Ti apostrofa con leggerezza. “Non sono stata io a contattare lei, ma lei a contattare me dopo che le avevo spedito un innocente…” Si sofferma sulla parola con una certa malignità. “… Gufo Intercontinentale per ringraziarla del quadro. Voleva sapere se potevo consigliarle dei libri di testo sulla Trasfigurazione sperimentale.”
“Per farci cosa?”
“Per i suoi dipinti.” Sì, sei consapevole del fatto di star ragionando come un grifondoro decerebrato, ma non puoi evitare di sentire l’urgenza di strangolare Minerva e le sue stupide, impiccione, alzate di ingegno. “È decisamente una Corvonero. Pochi piedi per terra, molta testa tra le nuvole… ma le sue idee sono indubbiamente…”
Minerva.” Neppure ti importa di alzare la voce e sentirla raschiare la gola, uno dei simpatici effetti collaterali del morso di Nagini. Hai spaventato più di un ragazzino ad Ardmore. “Perché diavolo c’è il mio nome su quell’invito?”
“Ti avrebbe invitato comunque, con o senza di me.” Scrolla le spalle. “Ed io ho bisogno di un accompagnatore, dato che ho tutta l’intenzione di andarci.”
“Non ti è mai interessata la pittura.”
“Si dice che con l’età i gusti cambino. Mi interessa adesso.” E sorride come una donna della sua età non dovrebbe fare. Sembra una ragazzina divertita e … Merlino benedetto, maliziosa.

Forse è la demenza senile.
“Non ci andrò.” Decreti, sentendoti rigido come una lapide, seduto dritto sulla tua sedia con tutte le ragioni del mondo. Non può obbligarti, e non funzionerà recitare la parte della povera vecchia con ormai poche distrazioni nella vita.
Silente non ti ha mai smosso, non lo farà lei.
“Non devi farlo per me, Severus…” Dice con tono grave. Detesti quando usa Il Tono McGrannit con te, quasi facessi qualcosa di riprovevole, come sottrarre punti alle Case altrui per divertimento.
Cosa che comunque hai fatto, ma sorvoliamo.
“Per me stesso allora?” Replichi sarcastico. “In quanti modi devo dirti che non ho nessun interesse a rivedere quella ragazzina?”
Minerva non ribatte. Anzi, con tuo grande sgomento, sorride. “Non era questo che intendevo, Severus.” Fa una pausa ponderata. “Dovresti farlo per lei. Mi hai scritto che l’hai molto incoraggiata a seguire le sue ambizioni…”
“Le ho solo consigliato di adoprarsi dove era più portata. E per tutta risposta non è neanche arrivata ai MAGO.” Sbotti.

“Verrai, non è vero?”
No.

Minerva annuisce. “Come preferisci. La scelta è tua. Se non vuoi, chiederò a Robbie o Malcolm di accompagnarmi.”
Detesti questo atteggiamento passivo-aggressivo. Deve aver seguito un corso accelerato da Silente. Deve, o non ti sentiresti preso in trappola come ti sentivi con lui.
(O forse ti conosce troppo bene, e sa che lasciarti solo con i tuoi pensieri è l’arma migliore per farti capitolare.)
Non andrai a quella mostra; sarebbe un faux-pas, e non puoi permettertelo. Non dopo che hai passato cinque anni a cercare di dimenticarne quasi diciassette.
Non che tu abbia la ridicola convinzione che Lily provi ancora sentimenti dettati dalla vostra inadeguata vicinanza. È cresciuta; supponi abbia scoperto che al mondo ci sono persone di gran lunga migliori di te.

Qualcuno, anzi, molti si saranno innamorati di lei. E lei si sarà innamorata di qualcuno. È bellissima, intelligente e piena di talento, perché non avrebbe dovuto?
È giusto, è doveroso. È normale.
Non puoi andarci.
 
 
Sei venuto a trovare l’altra Lily.
L’ultima volta che ci sei andato hai quasi avuto un collasso. Avevi ventun’anni e la tomba ancora aveva la terra morbida della sepoltura. Silente ti ha trovato piegato in due davanti alla lapide, e ti ha portato via tenendo per un braccio come se fossi un moccioso. Piangevi, come un moccioso.

È passato tanto tempo.
La tomba è pulita, ben tenuta. Immagini che Potter vi faccia costante manutenzione. Nella visuale entra anche il nome di James. Pensi che dopotutto hai incontrato persone peggiori di lui. Pensi che dopotutto non hai voglia di perdonarlo, non ancora.
Pensi anche che non c’è un vero motivo per cui sei qui.
Forse perché Lily ti è sta amica quando non lo era nessuno. Forse perché ti senti infuriato e confuso e vorresti che qualcuno ti dicesse cosa fare, come Silente ha fatto per tanto, troppo tempo.
Crescere non è un fatto cronologico. Si può restare, a conti fatti, un marmocchio spaventato; lo sei stato ben oltre l’età anagrafica.
Con il tempo hai compreso che ci sarà sempre, in te, quel ragazzino sporco e malnutrito che si rifugiava dietro i cespugli per spiare la gente normale.
Quel ragazzino si crogiola nelle sue miserie; non hai meritato Lily Evans e non meriti Lily, ti sussurra all’orecchio.
Non meriti amore. Neppure chi ti ha dato la vita si è sprecato a farlo.
Perché qualcun altro dovrebbe?
Te l’ha detto per anni, dopo la morte di Lily Evans. Ci hai creduto. Hai smesso di importarti. Ha ricominciato.
Componi una ghirlanda di gigli attorno alla tomba e lasci che ne goda anche quell’idiota di Potter; ricordi con amaro divertimento che era allergico.
Vorresti che Lily fosse qui, con i suoi grandi occhi verdi e un sorriso comprensivo. Vorresti chiederle come agire, cosa fare. Se è giusto quel che provi.
Vorresti chiederle se puoi provare ciò che provi.
Ma non avrebbe senso; hai sempre disprezzato gli idioti che parlavano a tombe come se i defunti fossero lì ad ascoltarli. Lily Evans è morta.
Una folata di vento caldo ti scompiglia i capelli. Alzi il viso sorpreso al breve calore. Aria di Scirocco, la chiamava la tua piccola amica d’infanzia con aria saputa. Hai insegnato a Lily cosa fosse quando ha soffiato sulle coste del Connemara, per qualche strano fenomeno di correnti.
Un bocciolo di giglio si stacca dalla corona e rotola fino alla tua scarpa e vi si posa sopra. Lo prendi.
Non che sia fenomeno ricorrente lo Scirocco in queste zone. Non che voglia dire niente. Neppure che un fiore si sia staccato da una corona di fiori freschi, creati con la magia.

Però.
Posi il fiore sul bordo della lapide. È lì che deve stare. Assieme alla bambina che ti è stata amica e quel moccioso che la spiava di nascosto.
 
 
Alla fine non sei andato all’inaugurazione.  
Hai pensato a tutta la gente presente, al chiasso, al clan dei Potter che si stringe attorno a Lily come un muro protettivo.
Hai pensato alla sua indifferenza, al suo saluto cortese e un po’ imbarazzato. Alle brevi parole che vi sareste rivolti prima che qualcuno la richiamasse altrove.
Hai quasi sentito la sua voce chiamarti ‘zio Severus’.
Ti è venuta la nausea.
Adesso, a quattro ore dall’inizio della mostra, è troppo tardi; apri così una bottiglia di whisky incendiario delle grandi occasioni.
Cagliostro ti fissa con grandi occhi gialli, tondi come lune. Dovrebbe essere morto da un pezzo, secondo la caducità felina. Sospetti, a questo punto, che sia un mezzo-kneazle.

Ti sembra quasi di vedere Lily salutare gli ultimi ospiti, chiacchierare con il curatore della mostra. Raggiungere poi fratelli e amici per bere qualcosa in uno di quei locali alla moda nati sulle ceneri di quelli devastati dalla guerra.
Potresti ancora tentare. Basterebbe entrare nel focolare, prendere della polvere magica e scandire l’indirizzo; la comunità irlandese ha dotato, sotto richiesta, tutti i camini di collegamenti minimi per l’Inghilterra. L’hai fatto creare per andare da Minerva durante la sua degenza al San Mungo.
Altrettanto facilmente potresti andarci a Diagon Alley.

Potresti, ma…
Vuoti le due dita di whisky che fin’ora hanno stanziato tra le tue dita e ti alzi in piedi.
Rivederla ti permetterà di far finire tutto. Troverai una ragazza cambiata. Troverai una persona che non ha più niente a che fare con te e va bene così.
Devi andarci.  
Quando getti la polvere nel focolare il lampo verde che ne scaturisce quasi ti acceca. Sono anni che non la usi, e ricordi perché non appena le scarpe affondano nella cenere.
Dopo un viaggio a velocità molto più sgradevole di quanto ricordassi, ti ritrovi nella cappa di un camino che non conosci.
(Non la prenderai mai più, mai finché avrai vita.)
C’è silenzio, ed è la prima cosa che noti. La seconda sono le luci soffuse che significano prossima chiusura. La terza è che i quadri devono essere nella saletta attigua per evitare disastri con la fuliggine. Vedi infatti  rimasugli di un Buffett e senti il pavimento appiccicoso per i troppi drink maneggiati maldestramente.
Sei arrivato troppo tardi.

Non vuoi che qualcuno ti veda, il curatore, un addetto, chiunque e ti faccia domande. Saresti capace di schiantarlo senza colpo ferire, al momento; vuoi solo tornare dove dovresti essere. Lontano da qui.
 
“Severus!”


Riconosceresti quella voce tra mille. Il particolare timbro di chi per sette anni della sua vita non ha aperto bocca.
Lily Luna Potter.
Ti volti e ti trovi di fronte Lily. Cinque anni, pensi di colpo, cinque anni dovrebbero cambiare una ragazza. E l’hanno cambiata. È una donna adesso, nessun dubbio su questo. Alta e dalle forme statuarie noti che indossa un vestito dal taglio orientale, terribilmente azzurro. Un kimono, supponi.  
Sembra uno dei suoi dipinti.  
Però i capelli sono sempre il manto di fiamme che ricordi, libero e privo di costrizioni dovute alla moda. Gli occhi sono sempre enormi, forse ancora di più dato che il viso le si è affilato in un ovale maturo.

Una banalità dire che è bella da togliere il fiato. Ma in effetti ti senti in carenza di ossigeno, e dubiti che sia per la fuliggine che il viaggio ti ha fatto ingoiare.
Rimanere fermo come un povero idiota non è consigliabile, quindi ti spazzoli con leggerezza i vestiti. “Lily.” Esordisci. “Perdona il ritardo.” È una frase stupida, lo capisci non appena la pronunci. Hai ritardato perché non volevi venire.
Non dice nulla e non riesci a decifrare la sua espressione nella penombra. Non parlerà per prima; continua infatti a fissarti con le labbra serrate in un’ostinazione che te la ricorda bambina.
Non che ti aspettassi ti gettasse le braccia al collo, come alla festa dei suoi diciassette anni, ma una parte di te ne rimane ferita.
Ovvio, Severus. Non ti vede da anni e le spunti da un camino con l’aria di averla lasciata dieci minuti fa. Cosa ti aspetti?
Inspiri. Non potete certo rimanere a guardarvi come due allocchi.  
“Ho ricevuto il tuo invito tramite Minerva… ma ho avuto dei contrattempi e non sapevo se ti avrei trovato. Sono felice di essermi sbagliato.” Il tuo tono più distaccato, le tue intenzioni migliori. “Congratulazioni.”
“Sì…” Mormora di colpo ed è un sollievo. “La mostra però è finita.”
“L’ho notato. Vorrei vedere i tuoi dipinti comunque.” La interrompi. “Credi sia possibile?”
Batte le palpebre, poi annuisce. “Sì, certo… il Signor Collins, il curatore… mi ha lasciato ad occuparmi della chiusura.” Ti spiega. “Non credo ci siano problemi.” Ti fa cenno di seguirla.

Con colpi leggeri di bacchetta riaccende tutte le luci. Lo fa con sicurezza; sta riprendendo il controllo di sé. Noti che ai polsi ha due braccialetti d’argento, ma nessun altro gioiello. È rimasta spartana.
“Non è molto, sono solo una dozzina di tele.” Dice facendosi da parte per lasciarti esplorare l’ambiente. “Non è tutto quello che ho dipinto, ho dovuto selezionarli.”

“Capisco.”
Come supponevi è in imbarazzo. Non ti guarda, il suo tono è neutro, quasi fossi uno sconosciuto capitato lì per caso o curiosità; sperava non venissi, è ovvio.

Metti a tacere la delusione che ti brucia dentro in maniera piuttosto dolorosa e rivolgi la tua attenzione alla mostra.
Paesaggi, animali, persone. Se non fosse che è una mano umana ad averli creati, penseresti di trovarteli di fronte in carne ed ossa. I dipinti si muovono sulla tela, cangiando colori e ombre. Non sono dotati di parola o verbo, ma senti il vento frusciare trai bambù e lo scorrere dell’acqua limpida di un ruscello.

Non sei mai stato in Giappone e dubiti che vi metterai mai piede; eppure sei rapito dalla sensazione di trovarti esattamente lì, e di vederlo con gli occhi di una ragazza appena arrivata.
Gli occhi di Lily.
“Che te ne sembra?” La sua voce ti riscuote e ti accorgi di averla accanto. Le sue dita ti sfiorano inavvertitamente il risvolto della giacca. Non tocca te, ma è come se lo facesse.
Non saresti dovuto venire.
“Sono… d’effetto.” Ti scolli dal palato con estrema cura. Sono parole sterili e te ne accorgi dallo sguardo di Lily. “Sei migliorata.” Cerchi di rimediare. “Ma l’avevo notato già dal dipinto che hai spedito alla professoressa McGrannitt.”
Batte le palpebre. “Oh, quello. Ne ho una copia esposta qui. Ti è piaciuto?”
“Non c’è niente che non mi piaccia qui dentro.” Dici e ti mangeresti la lingua. Merlino, come un ragazzino alle prime armi.
(Pur vero che non ti sei mai allenato particolarmente nei complimenti.)
Sembri non essere poi così terribile, perché Lily si illumina. Una volta era totalmente aperta nel farlo, era quasi doloroso notare quanto le tue parole le facessero effetto. Adesso è più contenuta.

Come immaginavi. Ciò che provava per te è passato come passa una brutta malattia.
Eccellente.
“C’è un dipinto…” Inizia dopo un breve silenzio dove tu hai guardato una natura morta di melograni sentendo l’amarezza seccarti la bocca. “C’è un dipinto che non ho esposto, ma che volevo vedessi. L’ho portato. Vuoi…?”
“Naturalmente.” Convieni con educazione da vecchio zio di famiglia. Ti fissa un po’ stranita e ti senti improvvisamente in imbarazzo. Stai solo cercando di mantenere le distanze. Non dovrebbe esserti grata? Fai un cenno brusco. “Fa’ strada.”
Lily ha un curioso guizzo di sorriso, poi annuisce e procede verso quello che sembra il magazzino della galleria, un angusto sottoscala.
Non dovresti essere qui, pensi. Non dovresti essere qui e sentirti completamente agitato e fuori assetto. Percepisci la vena del collo pulsare e diavolo, sarebbe il momento perfetto per un colpo apoplettico.  
“Non vorrei farti tardare, immagino tu abbia una festa a cui attendere.” Dici mentre sparisce sotto le scale.
“I miei cugini avranno già aperto le danze.” È la replica attutita. “Tra mezz’ora saranno tutti talmente brilli da non ricordarsi chi o cosa festeggiano.”
“Capisco.”

La senti quasi ridacchiare. Sta ridacchiando. “Credimi Severus, mi stai facendo un favore.”
La prima cosa che esce dal sottoscala è una tela coperta; la prendi e poi ti vedi tendere la sua mano. Una mano forte da artista, non esile come quella di una ragazza che non hai mai usato le dita come strumenti, come fa lei. La prendi per aiutarla a salire e la stretta è sempre tiepida e salda come un tempo.

Non sai se questo è un bene però.
“Non ho voluto esporlo, anche se il Signor Collins ha fatto di tutto per convincermi.” Dice con un sorrisetto divertito. “Secondo lui è uno dei miei pezzi migliori.”
Aggrotti le sopracciglia confuso; il punto di questo genere di manifestazioni è farsi conoscere, specie se si è giovani e alle prime armi. “Perché hai rifiutato?”
“Perché è un regalo per te e non volevo che qualcuno ci mettesse gli occhi sopra.”

La risposta ti secca le parole sulla punta della lingua. Ti prende la tela tra le mani e si sposta nell’angolo più luminoso della sala. “Ci vuole la luce giusta!” Ti spiega con le guance colorate per lo sforzo.
“Non c’era bisogno…” Inizi quasi ti facesse uno sgarbo. Non hai mai saputo come gestire la gentilezza quando non la meriti. E collateralmente, non sai gestire la giovane donna che hai di fronte.
“Sì invece.” Ti interrompe. “Mi piace fare regali ai miei amici.” Come può avere quel tono scanzonato, come se tutto fosse semplice?
Non è te, molto semplicemente.
“Temo di non averti preso nulla in cambio.” Avresti dovuto, ti castighi silenziosamente. Ti dimentichi sempre dei maledetti fiori.
“Non dovevi. Dovevi solo venire qui.” Posa la cornice su uno dei supporti vuoti. Ha venduto qualcosa, ti fa piacere. Davvero. Ti aggrappi a tutto pur di non guardarla direttamente. “Sei qui, no?”
“Così sembra.” Convieni.

Lily sorride e con un colpo di bacchetta scioglie lo spago che chiude l’imballaggio.
La prima cosa che vedi è il verde che si mischia all’azzurro. E poi una macchia scura, forte ed immobile.
È un vecchio soggetto. È il Connemara, è la scogliera di Ardmore, è casa tua.
È il vostro Connemara, realizzi. Perché è quello che vedevate entrambi con gli stessi occhi.
“Non aveva molto senso disegnassi il Giappone per te, se non ci sei mai stato. Ma potevo disegnare te. E visto che non ti piacciono i ritratti…” Mormora toccandoti di nuovo il risvolto della giacca con le dita. Ed è intenzionale stavolta, può darsi lo fosse anche alla prima.
Ti eri scordato quanto fosse capace d’esser sottile.
“Ho visto molti posti, molti paesaggi…” Continua con sguardo assorto nel dipinto. “… sul serio, tanti. Ma questo rimane il mio preferito. Forse perché lo sento anche un po’ mio.” Ti scocca un’occhiata delle sue, trasparenti come se ti rispecchiassi in una polla d’acqua. “Tu che ne pensi? Lo senti tuo, Severus?”
Una delle sue dannate domande scomode. Non rispondi.
Essere investiti da più di un emozione, da un’intera, dannata sinfonia dà lo stesso effetto che venir colpiti da uno schiantesimo. Per te è stato sempre così.
È così adesso.
Istintivamente cerchi la bacchetta per difenderti, ma quello che ti trovi a stringere è un palmo caldo. La mano di Lily.
“Sapevo che saresti venuto,  magari in ritardo, magari quando non c’era più nessuno, ma saresti venuto.” Dice stringendo la presa, impedendoti di sfuggirle. Vorresti dirle che non ne hai la minima intenzione, ma non è il caso. Davvero no. “Pensi che di solito il curatore lasci chiudere ad una delle espositrici? L’ho supplicato di lasciarmi rimanere.” Fa un sorrisetto saputo.
“Non hai una festa a cui andare?”
“Non c’è nessuna festa.” Ribatte. “Ho chiesto agli altri di non farla. Aspettavo te.”

Ti ha fregato. E in maniera piuttosto magistrale.
È sempre stata maledettamente sicura di sé; è una Potter, non potevi aspettarti niente di meno.
Quello che non ti eri preparato ad affrontare è che ti aspettasse. Che ti sorridesse con lo stesso calore e affetto di una volta.

“Fa freddo qui… possiamo andare a casa tua?”
“Lily.” Tenti. Che sia messo agli atti che tenti. Non sai se riuscirai a mantenere lo stesso distacco che hai qui, quando sarete soli in un ambiente che ti è familiare e che ti porta automaticamente ad abbassare le difese. Non sai come potresti reagire perché non sai cosa vuole da te.
È spaventoso.
“Ho tante cose da raccontarti.” Replica stringendosi nelle spalle. “E non voglio farlo rischiando un raffreddore.” Ti scocca un’occhiata. “Non è come se fosse la prima volta che vengo a casa tua, no?”  
Non ha intenzione di mollare la presa. Sospiri. E capitoli.
 
 
Il fuoco scalda i piedi nudi di Lily. Noti che non ha smesso di dipingerli di tutti i colori dello spettro percepibile da un essere umano e forse anche da qualche insetto.
Mentre le unghie delle mani ne sono ormai sfornite, le dita dei piedi si mostrano ancora orgogliosamente arcobaleno.

Sono passate ore e la tazza di the con cui la casa l’ha accolta ora riposa vuota tra le sue mani.
Avete parlato o meglio, Lily ha parlato tanto. Ti ha raccontato del suo anno in Ucraina – ecco qual’era il paese con i timbri postali in cirillico - presso un’amica di piuma. Ti racconta di come abbia deciso di spostarsi in Giappone quando l’amica in questione si è rivelata poco amichevole all’idea che il suo fidanzato si fosse invaghito di lei.
‘Non gli ho dato la minima corda, credimi Severus! Quel tipo era matto come un calderone scoppiato!’
Di come poi si sia trasferita in Giappone, a Kyoto, e di come si sia innamorata delle sue atmosfere antiche millenni.
‘Ho trovato la mia ispirazione lì, Severus… credo di aver dipinto qualcosa come centinaia di quadri, o tele. Ho dipinto tanto da farmi venire i calli!’
Hai idea che ometta molte parti della storia; dubiti che il suo trasferirsi all’altro capo del mondo sia stato così agevole. Le mani, ad osservarle giocherellare con la tazze e accarezzare Cagliostro, sono rovinate sulle unghie. Ha lavorato, ed ha lavorato per babbani, forse. Anche la sua bacchetta sembra raccontare una storia, quando l’ha gettata distratta sulla credenza, al suo vecchio posto.
Ti parla con la solita confidenza sfacciata di un tempo, continua a mangiarsi le parole quando si emoziona troppo nel raccontare.
Ma è tutta una finzione. Sono passati cinque anni, e l’ultima volta che vi siete visti è stata con l’intenzione di dirvi addio. Almeno da parte tua.
E lei non può non ricordarlo.
“Hai intenzione di aprire una galleria?”
Lily fa una smorfia, baciando il muso di Cagliostro, che fa le fusa senza sosta da quando l’ha vista. Speravi morisse di gioia. Letteralmente.

“Non lo so. In realtà non so se voglio vendere quello che dipingo.” Si mordicchia un labbro. “Ci ho provato. Anche stasera, ho venduto due tele. Ma solo a mio fratello Al e ai nonni.”
“Se adottassi alcuni accorgimenti…”
“Non so se voglio dipingere per vivere, Severus. Farci soldi, intendo.” Ti interrompe, guardandoti. “Mi infastidisce farmi pagare per quello che creo. Donarli magari, ma solo a chi voglio io.”
“Molto idealista, ma come pensi di guadagnarti da vivere?”
Sospira, ravviandosi una ciocca di capelli. Li ha sempre tenuti lunghi, e continua a farlo. Senti le dita formicolare dalla voglia di toccarli. Ricordi che erano morbidi.

Merlino, datti una calmata. Non sei una bestia in preda agli istinti.
Sei un uomo razionale.
“Non lo so. Il Signor Collins mi ha proposto di lavorare per lui. Non sarebbe male.” Mormora. “Non dipingendo, comunque. È una cosa che faccio, che faccio per sentirmi bene. Mi aiuta, è chi sono.” Sovrappone di nuovo le parole. Al contrario la sua pittura è sempre stata chiarissima. “Non mi piace l’idea di vendere i miei dipinti a gente che magari li infilerebbe tra due orrendi ritratti storici delle guerre dei folletti.”
Inarchi appena le sopracciglia. “Di cattivo gusto.”
“Sarei capace di spedir loro una fattura.” Sbuffa divertita, lanciandoti un’occhiata. “Non hai mai provato fastidio a vendere pozioni a gente che sicuramente non saprà assumerle a dovere?”
“Continuamente.” Replichi tuo malgrado divertito. “Mi appaga però sapere che gli effetti collaterali saranno tutti loro.”
Ride e ti senti il cuore caldo come se te l’avessero appena buttato nel fuoco.

Non resterà. Ti ripeti che non resterà e che devi custodire questi ultimi momenti, perché poi tornerà alla sua vita, e tu alla tua.
“Non è che hai un posto come pela-radici?” Dice di colpo. Sei talmente spiazzato che per un momento la guardi senza parlare.
Poi capisci che è una battuta e il sangue ricomincia a circolare a dovere.
Non resterà qui, non pensarci neanche. Non osare illuderti, vecchio sciocco.
“Le tue capacità devono essere peggiorate drasticamente da quando non correggo più i tuoi errori. Mi faresti esplodere il laboratorio, sciocca ragazzina.” Sbuffi come da copione.
Quello che non ti aspetti è il sorriso caldo che ti investe come lo Scirocco.
“Merlino, Severus… mi è mancato da morire, intendo dire… tutto questo.”  
Sì, lo so. Che cinque anni pensi abbia passato, Lily?
Non lo dici però, limitandoti ad un lieve cenno rigido. “Se non vuoi dipingere per commissione, cosa hai intenzione di fare?”
Scrolla le spalle, e non ti sfugge il lampo deluso che le passa nello sguardo.
Non ricorda che tu non rispondi mai a certe esternazioni?

“Non ne ho idea. Non so neanche se mi fermerò in Inghilterra dopo il compleanno di papà.”
Il compleanno di Potter è tra meno di due settimane.
Annuisci, sentendoti un peso in fondo allo stomaco. “Tornerai in Giappone?”
“Non è che abbia molto da fare anche là.” Posa Cagliostro a terra e gli dà un’ultima carezza prima di guardarlo andare via. “Forse potrei andare in Francia da mia cugina Victoire. Sono anni che mi invita.”

La Francia è meglio del Giappone, ma per te non c’è molta differenza. Che siano poche miglia di Oceano a separarvi, o un intero continente … non sarà qui, ecco tutto.  
“Perché sei tornata?” Sbotti aggressivo e quasi ti stupisci di un tono che credevi aver perso all’epoca della guerra.
Ma ti senti male come allora. Ti senti furioso come allora. Non esattamente, non precisamente. Ma la deriva è quella.
Lily ti guarda attentamente, poi si volta verso di te con tutto il corpo. “Tu perché pensi che sia tornata?”
“Non ne ho la minima idea.”
“Non è vero.”
“Per il compleanno di tuo padre?” Azzardi sapendo di sbagliare.
“Mio padre compie gli anni ogni anno, Severus. È il punto dei compleanni, ho idea.” Sorride appena. Non si è cambiata dal kimono che indossava per la mostra. Non è un vestito aderente, ma neppure qualcosa che copre quanto dovrebbe. Ha allentato la cintura alla vita per sedersi in libertà ed ora una porzione di pelle, dal collo alla clavicola è scoperta. È bianca, è morbida, puoi immaginare, e liscia. E non ci vuole immaginazione neppure per proseguire con lo sguardo.

Fissi il fuoco come se volessi gettarci i bulbi oculari.
“Vuoi infastidirmi ancora per molto? Dimmelo e basta.”
“Ho ricevuto una proposta di matrimonio.”

Registri la notizia e poi senti un dolore acuto alla mano. Ti accorgi di aver spaccato il bicchiere – il tuo bicchiere da whisky preferito peraltro – tra le mani.
Imprechi doverosamente, recuperando la bacchetta e pulendoti la mano dal sangue e le schegge di vetro. Fai evanescere quel che resta del bicchiere e fermi il sangue con un breve incantesimo curativo.
In tutto questo Lily ha avuto uno scatto – uno solo, quando si è rotto il bicchiere – si è alzata in ginocchio, pronta a correre in tuo aiuto.
Poi deve aver realizzato che hai spaccato un bicchiere proprio mentre ti annunciava del suo prossimo matrimonio.

Coincidenza curiosa, no?
“Congratulazioni.” Mormori e non ci crede più nessuno. Tu per primo.
Razza di idiota.
“Non mi sposo.” La fissi e ti sta sorridendo con aria divertita.
“Hai appena detto che ti è stata fatta una proposta di matrimonio.”
“Proposta che non ho accettato.” Replica alzandosi in piedi e stiracchiandosi. Dovrebbe davvero sistemarsi quella cintura. Dovrebbe perché il caldo che senti al viso non è il fuoco, dato che non è quel tipo di calore.

“È una specie di scherzo?” Sibili con il tuo tono peggiore. Sei infuriato, oltre a tante altre cose. Sta giocando con te, ti sta stuzzicando. E tu hai sempre detestato i giochetti.
Lily batte le palpebre e sembra leggere la tua rabbia, perché assume un’aria colpevole. “No, io… era solo. Non mi sto sposando. Non voglio sposarmi.” Aggiunge frettolosa. “C’era questa… persona… che mi è stata molto d’aiuto in Giappone.”
Che bruci tra le fiamme dell’inferno.

“Mi è stato amico, e gli sono sinceramente affezionata. Avevo capito da un po’ che si era … diciamo invaghito di me?” Scruta la tua espressione, ma la rendi anodina come Occlumanzia vuole. Benedetta arte del saper nascondere. “E… niente. Non lo amo, quindi gli ho detto di no.”
“Questo non spiega perché tu sia tornata qui.” Rifletti. “Ti ha forse costretto in qualche modo a lasciare il paese?”
No, che non bruci tra le fiamme dell’inferno. Gli spauracchi babbani non sono poi così efficaci.

Che incontri te.
“No!” Scuote la testa con forza. “Merlino, no, assolutamente! È solo che ho pensato…” Esita, poi si fa forza. E ti sembra di aver già visto questa scena. Oh, sì. Compleanno. Il suo. “Ho pensato che non potevo restare in Giappone a ricevere proposte di matrimonio da persone che non amavo, quando l’unica persona con cui volevo stare era lontana miglia. Quando Eisuke mi si è proposto ho pensato che non era lì che dovevo stare. Ma qui, con te. È sempre qui che sono voluta stare.”
Il bastardo ha un nome. Ridicolo peraltro. E comunque…

E comunque Lily l’ha fatto di nuovo. Incredibilmente, assurdamente è di nuovo di fronte a te e ti si sta dichiarando.
È ancora innamorata di te.
E tu stavolta ti senti ancora peggio, perché non c’è più quella meravigliosa remora morale che ti frena dall’alzarti per toccarla, stringerla e…
… e rovinare tutto.
Non ti dà tempo di dire niente. Tira invece fuori una chiave. E con sgomento, la riconosci come la vecchia Passaporta di Potter. Ricordi di avergliela lanciata addosso durante la vostra ultima conversazione.
Ora ce l’ha di nuovo Lily.
“La riconosci?” Fa pendere la catenella tra le dita. “Ti ricordi quando ero piccola? Era programmata per attivarsi ad una certa ora. L’ho fatto mentre parlavamo.” Non coccolava Cagliostro, incantava la chiave. “Tra pochi secondi si attiverà, e tornerò a casa di mia madre.”
Perché?
Poi capisci perché. Ti sta dando un ultimatum. Un conto alla rovescia come nel peggiore dei film babbani.

“Questa è l’ultima volta Severus. Ti ho aspettato stasera, ieri sera, una settimana fa e per cinque anni… sono tanti.” Sussurra e la chiave continua ad ondeggiare. Comincia a brillare, lo vedi dalla poltrona in cui ti senti ancorato. “Non aspetterò se deve continuare a fare così male. Perché fa male non sapere se mi ami o meno. A diciassette anni forse volevi proteggermi… ma non adesso.”
Ti amo – urla quel bambino malmesso, quel ragazzo spaventato e solo, quel giovane tormentato e te, l’adulto cinico e rovinato.
Ma dalla tua bocca non esce un suono. Chissà se era così che si sentiva, quando tutti le intimavano di parlare e lei non voleva?
“Ti ho dato del codardo, ma non è vero.” Mormora piano, quasi un sussurro, che però ti rimbomba addosso come se stesse gridando. “Sei solo spaventato. Posso avere coraggio per entrambi, se me lo permetti. Posso, Severus.” Fa una pausa e la voce si incrina, come il suo sorriso, la sua espressione. “Ti prego.”
Ti prego amami – diceva quel ragazzo cresciuto male come una pianta in un armadio  Vi prego, qualcuno mi ami. Perché a tutti e non a me?
Ed ora ecco qua. Qualcuno finalmente ti ama, Severus. Cosa intendi fare?
La chiave brilla violentemente e tra pochi secondi, solo tra pochi attimi, Lily verrà scaraventata a miglia da qui.
La chiave ha un lampo. E poi senti il suo rumore attutito sul pavimento mentre rotola sotto la poltrona.
Senti il peso di Lily tra le braccia e la catenella che le hai strappato di dosso tra le dita.

Percepisci anche il tuo respiro affannato. Percepisci il modo in cui il suo petto si alza e si abbassa contro la tua camicia.
Non ci sono altri rumori all’infuori di voi. Voi. Lily è ancora qui.
La Passaporta non si attiva senza qualcuno che la tocchi e Lily sta toccando te, non la chiave: ti ha passato le braccia attorno al busto e ti ha posato il viso sulla spalla. Ha serrato la presa quando l’hai strattonata contro di te.
Sei consapevole di quello che hai appena fatto. Lei ne è consapevole.
Ne siete consapevoli.
Molto lentamente alza il viso e ti guarda. “È un sì?” Dice piano, quasi avesse paura di svegliare qualcuno.
Il tuo buonsenso, probabilmente.
“Stupida ragazzina.” Ringhi, e non ottieni un’espressione spaventata come al solito, ma una risata sommessa.
“Ho sempre sognato di avere una dichiarazione così.” 
Se la stringi ancora più forte finirai per farle male. Ma è difficile non farlo, vero?
Quand’è l’ultima volta che sei stato in una situazione intima come una donna? C’erano già i telefoni cellulari?
Ti fai questo genere di domande totalmente imbecilli e poi ti accorgi che Lily ti sta già baciando.
Alla fine non ha aspettato. Prevedibile.
È l’ultima cosa che pensi, perché non sei un pezzo di granito e perché una donna che ti bacia come ti sta baciando lei non è qualcosa da cui distogliere l’attenzione.
Rispondi e non dovresti, è sbagliato è… meraviglioso.
Ti eri dimenticato della sensazione appagante che può dare un bacio. Meglio, non l’hai mai avuta a pieno, perché non hai mai baciato una donna che era per te il significato stesso della vita.
Perché Lily è vita.
Staccarti è un supplizio, ma ci sono cose che devono essere dette. Fatte. Pianificate.
Non hai la minima intenzione di vederla partire per la Francia, da nessuna dannata cugina.
“Oh…” Mormora ed ha le guance rosse e gli occhi liquidi. Ringrazi il tuo lungo addestramento al controllo degli impulsi, perché ne stai disciplinando almeno una  cinquantina. “Non vorrei annoiarti elencando gli stereotipi da letteratura romantica che stai appena incarnando…” Bisbiglia sognante. “Ma wow.”
“Sì, certo.” Borbotti sentendoti quasi lusingato. “Dobbiamo…”
“Se mi dici che dobbiamo fermarci, giuro che ti schianto.” Ti apostrofa con aria così determinata che contempli sinceramente l’opzione lo faccia davvero.

“Dovremo…” Metti le mani avanti ed è un sollievo che non abbia la bacchetta a portata di mano; non ha un’espressione rassicurante. Potter e Weasley insieme creano progenie facili allo scatto. “… rallentare.” Proponi saggiamente. “I sentimenti che proviamo adesso sono esasperati dalle contingenze.”
“Col cavolo.” Sbotta, poi sospira vedendoti inarcare le sopracciglia all’inflessione da Devonshire profondo che le è appena sfuggita. “Okay. Ascolta. I miei sentimenti non sono esasperati né acerbi. Ho avuto anni per rendermi conto che ti voglio. E adesso, aggiungerei, da morire.”

“Cinque anni…” Resistere alla tentazione. I babbani hanno scritto molto su questo tema; vi hanno anche fondato una religione. Vedere le sue labbra rosse, umide, dischiuse e notare come il maledetto kimono ormai assomigli ad una vestaglia semi-aperta…
‘Resistere è futile’.
“Non cinque anni, Severus. È da quando ho capito cosa significava volere un uomo che voglio te, razza di insopportabile testardo.” Sussurra, ed è quasi minacciosa mentre ti si avvicina. “Solo te.” Ti passa le dita sul risvolto della camicia e le punte toccano la base della cicatrice. “Adesso.”
Ah.
L’inadeguatezza ti striscia addosso improvvisa come una brutta febbre. Da quant’è che non tocchi una donna? Come dicevi, anni. Alcuni dicono sia come montare su una scopa dopo un’inattività prolungata. Si ricorda tutto.
Non ne sei tanto sicuro. E comunque, non vuoi dare a Lily quel genere di esperienza.
Hai fatto sesso con donne per urgenza, per bisogno, per calore. Non che non sia stato piacevole…
… ma piuttosto che farle provare un briciolo della desolazione che hai provato tu dopo, ti ammazzeresti con le tue mani.
Ti scruta. “Cosa c’è?”
Intuitiva come sempre. “Non credo di essere all’altezza delle tue aspettative.” Se un fulmine ti stroncasse sul colpo, quasi ringrazieresti il tuo karma disgustoso. “Ho fatto sesso, Lily. Tutto qui. Niente di più che appagare un istinto.”
Ti passa le mani lungo le spalle e poi le ritira, lasciandole lungo i fianchi.
Oh, fa freddo. D’improvviso.
“Vuoi fare sesso con me?” Il candore con cui lo pronuncia ti fa deglutire a vuoto.
No. Ti ho appena detto che non voglio affrettare le cose, e tantomeno in quel modo. Fingi di non capire?!” Stringi i pugni e la vorresti fuori di casa. No, dentro casa.
Stai avendo una crisi di nervi.

(Alla tua età. Essendo un uomo. Con esperienze. Complimenti.)
Cerco di capire. Non sei un uomo facile da decifrare.” Replica senza battere ciglio. È l’espressione che le scorgi negli occhi a farti abbassare di colpo i toni. “Mi ami?”
Non vorrà fartelo ammettere.
Per fortuna, no. “Se mi ami, non puoi voler fare sesso con me. Con me farai l’amore… ed è quello che vogliamo entrambi, se interpreto bene.” Ventun’anni. Immaginavi che avesse imparato ad usare le parole meglio di quando era una timida diciassettenne.

Non così tanto però.
“Non ho ancora detto niente, mi pare.” Ultima strenua difesa mentre il resto di te sembra aver lava al posto delle vene. Non pensavi di poter provare di nuovo un desiderio così forte, così totalizzante, non dopo tanti anni.
Ma l’hai mai provato, poi?
“Non hai detto niente…” Si allaccia alla tua vita. “… ma mi dispiace avvertirti, Severus, non sei più il grande Occlumante che credi.”
Ti dispiace? Era uno dei tuoi più grandi vanti. Ti ha salvato la pelle innumerevoli volte.
No, non ti dispiace – realizzi quando hai Lily tra le braccia, senti scivolare via il suo kimono e realizzi che non ne hai più bisogno.



“Sei arrabbiato con me?”
La domanda si insinua nella penombra della tua stanza da letto. Pensata per un uomo privo di compagnia affettiva, è piuttosto desolante . Il kimono di Lily, posato sulla sedia dello scrittoio è però una macchia di colore.

Non ha voluto che spegnessi la luce. Il tuo pudore ti ha subito fatto andare all’interruttore, ma ti ha fermato con la mano, quasi ti avesse letto nel pensiero.
“No.” Ti ha detto semplicemente, prima di baciarti di nuovo. Ed hai scoperto o meglio, ricordato, come non sei mai stato in grado di negarle nulla.  
Socchiudi gli occhi e la trovi accoccolata al tuo petto che ti fissa estremamente seria.
“C’è un motivo particolare per cui dovrei esserlo?” Sospiri, sapendo che potrebbero, in effetti, esservene molti.
Stranamente non ti senti neppure un’oncia di rabbia addosso. È qualcosa dovuta ad un processo meramente fisiologico, certo, ma provi anche quiete.
Ecco come ti senti. Ed è simile all’ebbrezza che deve provare un ragazzetto alla sua prima sbronza.
Lily segue il contorno del tuo viso con un dito, e ricordi faccia così anche con pennello e tela. È tanto che non lasci entrare qualcuno nel tuo spazio vitale, e ti scopri a pensare che forse, così, non l’hai mai fatto.
Entra sottopelle, Lily Luna.
“Ho giocato sporco…” Sussurra con un sorriso che non sfigurerebbe sulla Monna Lisa.
“Sì, non c’è dubbio.”
“Tu non avresti fatto niente.” Aggrotta le sopracciglia. “Mi avresti lasciata andare.”
Non replichi. Il fatto che non smetta un secondo di sfiorarti il viso ti fa intuire che in qualche modo sta cercando rassicurazioni.

Non sei un uomo semplice. Non sei neanche un uomo giusto. Non c’è niente che dovrebbe attrarre una ragazza come Lily ad uno come te.
“L’avrei fatto. E forse dovrei anche adesso.”
Non sei abituato a pensare che le cose belle possano succedere a te. Cose tranquille, magari. Ma non cose belle come avere la donna che ami tra le tue braccia.

Non questo genere di cose, no.
E infatti, credi sia tutta una gigantesca allucinazione indotta dal whisky incendiario a cui hai dato fondo.
Lily non dice niente, ma si sporge per un bacio. È uno sfiorarsi di labbra, e il sangue si accende di nuovo e … le prendi il viso tra le mani e la allontani appena.
Sospira, appoggiando la fronte contro la tua. “Non me ne vado da nessuna parte.”

“Sì.”
“Severus, sul serio. Non me ne vado. Non voglio.” Ti bacia ancora e non riesci ad allontanarla di nuovo. “Cosa devo fare per convincerti?”

Il mondo fuori potrebbe essere di parere diverso.
Detesti il mondo fuori. L’hai sempre detestato. Vorresti, in questo momento, che sparisse, cancellato da qualche enorme, spaventosa magia.
“Non sono…” Sospiri. Ah, le parole. La ragazzina aveva ragione a dire che siete pessimi. Diventi un virtuoso solo quando si tratta di fingere. O insultare. “… non sono particolarmente bravo in questo genere di pensieri.”
“Pensieri felici?” Indovina.

“Esattamente.”
Un’altra donna ti avrebbe giustamente mandato al diavolo per immalinconire un momento perfetto. La luce della luna – coreografica al punto giusto – il rumore delle onde. Il silenzio in cui è immerso Ardmore e le sue scogliere.
Fortunatamente – o sfortunatamente per la tua pace interiore – Lily non è quel genere di donna.
“Posso essere io il tuo pensiero felice?”
C’è stata un’altra donna che ti ha difeso dai Dissennatori. L’unico Mangiamorte in grado di produrre un Patronus.
(Ti chiedi perché quegli idioti non abbiano mai sospettato nulla.)

Non che tu non ne abbia avuti, di pensieri felici. Solo che erano a senso unico, vecchi e dolorosi.
“Lo sei.” E da molto più tempo di quel che sospetti – vorresti aggiungere, ma lasci perdere. È probabile che lo sappia già.
Ti senti sorridere e dal modo in cui ricambia Lily – le leggi sollievo in viso – sai che almeno questo, lo stai facendo giusto.
 
 
“Stasera non hai una festa?”
Lily alza il viso dalla Gazzetta, mentre si pulisce da una briciola con il lembo di una tua vecchia camicia che ha preteso di indossare.

(Ha addotto spiegazioni come la preziosità del kimono e il terrore che ha di sporcarlo. Certo. Lily che si preoccupa di un vestito. Credibile.)
È mattina, siete in cucina e la ragazzina ha preparato quantità da reggimento. Ti eri scordato quanto cibo riuscisse a processare con la leggerezza di un uccellino.
(Digestione Weasley, senza ombra di dubbio.)
È una di quelle mattine gloriose per il Connemara, in cui persino tu apri le finestre per dar aria alla casa.
Comunque. Ti senti un idiota.
Hai finto di leggere la rubrica di Pozioni per tutta la colazione. La triste realtà? Hai fissato la giovane donna che hai davanti per tutto il tempo.
Fortuna ha voluto che non se ne sia accorta, troppo occupata a divorare un articolo su chissà cosa.
“Ah, già…” Borbotta disinteressata girando una pagina. “La cancellerò.”
“Lily.” Richiamarla all’ordine è qualcosa che forse non dovresti fare, dato che è maggiorenne. Ma ti diverte ancora.

Fa una smorfia afferrando un altro scone e dandoci un morso. “Non ci voglio andare. Di solito è tutta una congiura per farmi conoscere qualcuno. Non penso sarà diverso stavolta.”
Accartocci tra le dita la pagina dell’inserto. Immagini ragazzotti con la bava alla bocca all’idea di carpire una briciola del suo interesse.  “Capisco.”
“Io ho te, che bisogno ho di conoscere ragazzi? Mai avuto, per inciso.” Replica ed è surreale come se ne esca con certe frasi che spiazzerebbero un uomo con uno sviluppo emotivo normale.

Figurarsi te.
“A proposito di questo…” Schiarirsi la voce sarebbe da completi idioti. Riesci a trattenerti. “Dobbiamo parlare.”
Inarca le sopracciglia perplessa. “Stiamo parlando.”
“Seriamente.” E il tuo tono sembra infine scalfirla, perché hai la sua attenzione. “Questa situazione va definita.” Inspiri. Cerchi di scacciarti via la strana euforia che ti accompagna da ieri sera, orrenda perché ti rende un rammollito che fissa una ragazza per un quarto d’ora come se fosse la cosa più interessante dell’universo. “Suppongo tu ti renda conto che avere una relazione significherebbe andare incontro a molti ostacoli.”
Lily abbandona la lettura del giornale e si appoggia allo schienale della sedia. “Ci ho pensato, sì…” Mormora seria, e per un momento un idiotica sensazione di panico ti assale.
Comprensibile ci abbia pensato; sei più vecchio di lei, talmente vecchio che probabilmente se fossi un babbano potrebbe essere considerata pedofilia visiva.

Sanno tutti chi sei, e tutti sanno chi è lei.  
Oltre a questi trascurabili particolari, ci sei tu: un agglomerato di amarezze, rimpianti, problemi, con un carattere che è quanto più lontano dall’essere amabile.
“E sei giunta a qualche conclusione, che non sia indossare le mie camicie e depredarmi la dispensa?” Benedetto sarcasmo. Lo accogli come un vecchio e complice amico.
Lily ti spiazza con un sorriso disarmante. La cosa più sorprendente di lei è che non si è mai offesa da che la conosci. Sembra che le tue frecciatine le scivolino addosso.
Meglio. Sembra che la divertano.
Frecce spuntate al tuo arco.
“Sono giunta alla conclusione che non ne importa nulla.” Replica serafica e prima che tu possa chiedere delucidazioni o imporle serietà, ti afferra la mano al di là del tavolo e stringe. “Severus.
Ed ecco che ha la tua completa attenzione. Vecchio pipistrello idiota.  
“Mi conosci. Ho sempre detestato essere al centro dell’attenzione e le persone… Quindi, immaginati quanto mi importa della loro opinione. Non sei ciò che l’opinione pubblica vuole per me? Perché dovrebbe importarmi?”
“Ti importerà.”
“Mai importato e dubito che cambierò idea nei prossimi ventuno, quarantuno e cento anni.” Mormora sfiorandoti le dita. È buffo notare come entrambi le abbiate macchiate oltre ogni speranza: tu dalle pozioni, lei dalla sua pittura.

È una cosa che ti fa stare bene, per quanto sia assurdo.
“E la tua famiglia?” Sai quanto vi è legata, a modo suo. Lo sai da come parla entusiasta dei fratelli maggiori, di come si sia sempre lamentata dei cugini troppo invadenti. Da come, infine, sia in conflitto con Potter perché non riesce a non volergli bene, anche se hanno due caratteri incompatibili.
A questo si rabbuia appena. “A loro parlerò. Non sono terribili come ti immagini, sono solo…”
“Weasley e Potter.” Ti esce naturale.

“Precisamente.” Ghigna. Poi si alza in piedi e per qualche motivo trovi del tutto ragionevole lasciarle sedertisi in grembo. “Non preoccuparti. Posso gestire la mia famiglia.”
E poi il suono del campanello squarcia il silenzio perfetto della casa.
Lily sobbalza, non essendoci più abituata, ma il tuo sguardo va invece alla bacheca magica appesa sul frigorifero, ingegnoso artefatto che ti permette di sapere esattamente chi è alla porta di casa.

E come nelle peggiori commedie babbane, si tratta di Harry Potter.
“Alzati.” Ordini e Lily, intuitiva, balza giù guardandoti confusa. “È tuo padre.”
“Al diavolo!” Esclama di nuovo con quel suo accento del Devonshire va-e-vieni. “Come cavolo ha fatto…” Fa una smorfia. “Ah, giusto. È un Auror.”

Questo spiega molto, in effetti.
Devi aprire perché hai l’impressione che Potter entrerebbe comunque, trovando così la sua adorabile ultimogenita seminuda nella tua cucina. Con una tua camicia addosso, tra l’altro.

Oltre ogni possibilità di fraintendimento.
Intimi a Lily di non muoversi con uno sguardo. Apre la bocca per dire qualcosa, ma non la ascolti, tirando dritto verso la porta.
Potter è vestito a festa ma ha il solito covone incolto al posto dei capelli; hai notato, dopo la sua separazione da Ginny e la maretta che ne deve essere conseguita con il Clan Weasley, che ha preso a vestirsi come un essere umano.
Supponi che la persona con cui convive non tolleri vederlo con accostamenti che pure un barbone londinese avrebbe remore ad indossare.
“Professore…” Mormora inspirando con la bocca. Materializzazione vivace. “Lilù è qui?”
Sì, è qui e starà qui per ancora molto tempo, se dipende da me. Addio – ma naturalmente non è il mondo delle intenzioni, ma dei fatti.

“È di nuovo scappata?” Chiedi urbanamente, beandoti del suo viso paonazzo di irritazione e imbarazzo.
Non vi siete lasciati esattamente in buoni termini: l’ultima cosa che ricordi e che gli lanciavi addosso la Passaporta e lo minacciavi di ritorsioni fisiche. Peraltro, minaccia ricambiata.
“Non scherzi.” Sei colpito dal fatto che non ti abbia colpito; dall’espressione sembrava averne tutte le intenzioni. “Ieri sera doveva andare a dormire da Ginny, ma non si è fatta vedere… e non ha mandato neppure un Gufo per avvertire sua madre, o i suoi fratelli!”
“E perché pensa che possa essere qui, Signor Potter?”
Tituba di colpo e si passa una mano trai capelli. “Oh… non.” Si blocca, realizzando. “Ecco, sì … immagino di aver pensato che fosse da lei, per abitudine.” Quasi ti dispiace vederlo così mortificato per aver pensato la cosa giusta. “È che ho paura sia partita di nuovo senza dire niente a nessuno.”
“Il suo bagaglio è ancora a casa della madre?”
“Sì, certo.”
“E allora ritengo che non sia salpata per nuove terre, ma che sia semplicemente a casa di amici.” Osservi pieno di spirito caritatevole.

Potter annuisce con un sospiro. “Naturalmente. Mi scusi… è che sono preoccupato. Le ho anche mandato dei Gufi ma sono tutti tornati indietro. A parte uno, il suo vecchio alloco, se lo ricorda? Magari Ginny ha già avuto risposta.”
“Ne sono sicuro.” Fai per augurargli una buona giornata e sbattergli finalmente la porta in faccia quando noti la sua espressione. Fissa un punto sopra il tuo tetto e lo fissa come se avesse appena visto qualcosa di assolutamente inaspettato.
Segui il suo sguardo e per un attimo persino il tuo consumato aplomb si incrina.

Il maledetto allocco di Lily è appollaiato sul tuo tetto. E stringe una dannata lettera nel becco.
“Perché l’allocco di Lily è qui?” Si volta verso di te e a questo punto, non resta che l’onestà. Edulcorata.
“Lily è qui.” Dici con tutta la calma possibile, dato che hai davanti un Auror con licenza di lanciare incantesimi mortali e sua figlia in déshabillé a solo un paio di stanze di distanza. “Non voleva essere disturbata.”
“Voglio vederla.”
“Pensa l’abbia usata come ingrediente per qualche pozione? Non sia ridicolo Potter, sta bene. Sta facendo colazione.” Lo apostrofi con il tuo miglior tono gelido. Tentenna per un attimo, ma poi lo sguardo si fa di nuovo d’acciaio.

“Voglio vederla.” Ripete ottuso.
Non ti resta che scostarti per farlo passare. Hai la singolare impressione che sia un po’ troppo ansioso dato le contingenze.
Per quanto ne sa lui, sei solo un vecchio amico d’infanzia.

O per quanto ne sai tu?
“Lily!” Sbraita. Per un momento ti chiedi se non si sia davvero convinto che tu l’abbia uccisa, fatta a pezzi e nascosta.
E Lily appare. E tu senti il fiato scivolare via. La sciocca ragazzina non si è rivestita. È sempre comodamente infilata nella tua camicia.
E certo, potresti avergliela prestata in mancanza di pigiama, ma…
“Ciao papà.” Dice come se l’avesse incontrato per sbaglio in un caffè, completamente vestita e da sola.
E poi guardi Potter, pronto a qualsiasi reazione inconsulta; perché ha capito, gli si legge in faccia, nel misto di sgomento, realizzazione e orrore che compone la sua espressione.
Grifondoro; sono libri aperti e a colori.
Poi accade l’impensabile; non urla, non dà di matto come ricordavi amasse fare durante l’adolescenza. Non tenta neanche di schiantarti sul colpo.
Perde semplicemente colore. Diventa talmente pallido che sembra una comparsa di un vecchio film in bianco e nero.
“Papà?” Lily ha un moto di preoccupazione e diventa un’esclamazione quando lo vedi appoggiarsi al muro e inspirare profondamente.
Il-Ragazzo-che-è-sopravvissuto-per-essere-stroncato-da-un-infarto.
Papà!” Esclama Lily e gli corre incontro. Si volta verso di te, con lo sguardo tra lo sgomento e lo spaventato. “Che cos’ha?”
“Una realizzazione in corso.” Mormori tranquillo,  perché sei un orrendo insensibile. E perché conosci la progenie di James. “Potter, respira. Dobbiamo parlare.” Gli intimi sbrigativo. “Mi seccherebbe conversare con un morto.”

Potter, che è sempre lo stesso ragazzo insopportabile e arrogante, pare riscuotersi di colpo. Riprende colore, perlomeno quello sufficiente a riuscire a raddrizzarsi e parlare. “Lilù, puoi lasciarci soli?” Mugugna.
“Certo, così tirate fuori le bacchette!” Esclama, e non ha tutti i torti. Anche tu pensavi ad una risoluzione simile. I maghi non hanno molti modi per confrontarsi quando sono in preda a forti emozioni, e i Duelli sono ancora estremamente in voga.

Specie tra gli ex-Grifondoro.
Lanci un’occhiata a Potter e rifletti. “Lily, non credo ci scontreremo a suon di incantesimi. Esci.”
“Di casa? Neanche per sogno!”
“Esci.” Le intimi senza mezzi termini, e ti fissa come per dirtene quattro, ma alla fine capitola con un sospiro. Ha capito che la sua presenza per il momento è più o meno come un Molliccio per il padre.

‘La mia più grande paura? Oh, vedere mia figlia andare a letto con il mio ex-professore.’
“Resterò nei paraggi. E…” Esita. “… vacci piano con lui, okay?”
“Naturalmente.” Menti con disinvoltura.

Quando si è chiusa la porta alle spalle, Potter riprende a respirare come un uomo normale e non come un moribondo.
“Lei…” Esordisce. Fa una lunga pausa. “Ha qualcosa di forte in casa?”
Lo scruti perplesso, ma dopotutto è quasi una domanda legittima data la situazione. “Whisky incendiario.”
“È perfetto. Ha anche un salotto?”
“Ho una casa, Potter.”
Si infila in salotto senza una parola e quasi non te la senti di riprenderlo. Lo segui e versi due bicchieri, allungandogliene uno.

Il fatto che non abbia ancora iniziato ad urlare come una banshee, vomitandoti addosso tutto quello che già sai… non sai se è un bene o un male.
Vuota di un colpo il bicchiere. E poi ti pianta gli occhi addosso.
Per anni è stata una tortura guardarlo in faccia. Anche solo cercarlo tra la folla. Un supplizio a cui ti sottoponevi ogni giorno che il ragazzo metteva piede nei tuoi spazi vitali. Per espiare.
Adesso ti scopri a notare che ha solo gli occhi verdi. Quegli occhi. Ma occhi.
“C’è andato a letto?”
Non ti aspettavi fosse così diretto, ma dopotutto è quasi un sollievo.

“Sì.” Una semplice sillaba e Potter potrebbe ammazzarti seduta stante e probabilmente l’opinione pubblica lo giustificherebbe.
Riprovevole. Un uomo così vecchio, con quel passato poi… con ragazza così giovane, così innocente.
Che cosa disgustosa.
Lo vedi stringere il bicchiere e quasi ti aspetti che lo rompa. Invece no. Ha miglior controllo di te, è shockante.
Lo è sul serio.
“Voglio solo sapere una cosa…” Il suo tono è estremamente basso, e per un momento immagini che Voldemort abbia sentito proprio questo timbro ad un passo dalla fine.
È piuttosto credibile.
“… è perché vuole trovare un surrogato di mia madre?”
Non sai neanche come sei scattato in piedi. Ti trovi a stringere il pugno e poi ricordi che la bacchetta è rimasta in cucina, vicino al bollitore del the. Potter non si è mosso e continua a fissarti.

“Come osi…”
“Oso eccome.” Replica asciutto. “Stiamo parlando di mia figlia. E non sarò il padre migliore del mondo, ma è mia figlia, e lei è stato incapace di amare chiunque tranne mia madre. Oso eccome.” Ripete. “Non permetterò che lei la usi…”
“Potter, un’altra parola e giuro che dovranno ripescare il Bambino Sopravvissuto nelle profondità dell’Atlantico!” Ringhi. Senti la rabbia scorrerti addosso come da anni non ti succedeva. “Se pensi che sia così meschino da investire Lily di un peso simile, allora non ha avuto il minimo senso che ti abbia dato quei ricordi.”
È il momento di parlare. Odi esporti, ti sembra di strapparti la carne di dosso, ma devi.

Per Lily. Questa Lily. La tua Lily.
Potter ti fissa e batte velocemente le palpebre. “Non credo di aver capito…”
“Ho amato tua madre, ma lei non mi ha mai amato.” Ispiri lentamente e vedi una vaga scintilla di pena brillare nello sguardo di Potter. Vorresti ammazzarlo, ma continui. “… è una cosa con cui sono venuto a patti, da anni ormai. Non la incolpo, a quel tempo ero oltre la possibilità di essere perdonato. O amato, per quanto vale.”

Continua a non parlare e gliene sei grato, perché una sola obiezione ti farebbe fare qualcosa di inconsulto.
Certe cose non cambiano mai.
 
‘Posso essere io il tuo ricordo felice?’
 
Inspiri lentamente, e continui più calmo. “So il motivo per cui l’hai chiamata Lily. O perché hai dato una sfilza di nomi ingombranti agli altri due.”
Lo vedi sussultare appena.
“Non le somiglia affatto. Perché è così che funziona, Potter. Ogni persona è unica. Nel bene e nel male.” Dici e poi, semplicemente, concludi. “Lei è morta. Non tornerà.”

Segue un lungo silenzio.
“Lo so.” Sussurra infine, e il lampo di dolore che gli cogli nell’espressione, beh, lo condividete tutto. “Merlino…” Si passa una mano trai capelli. “… ho detto una cosa orribile di mia figlia, non è vero?”
“Se fossi stato un uomo diverso avrei preso la bacchetta, Potter.” Replichi, ed è un sì, ma sei abbastanza magnanimo da girarci intorno. “Fortunatamente conosco la tua riprovevole inclinazione a dar aria alla bocca.”
Fa un mezzo sorriso, stanco. “Sì, immagino di averlo fatto.” Fissa il bicchiere vuoto. “Mi dispiace.”
Di tutte le cose che avresti pensato sarebbero uscite dalla bocca di Potter, questa era l’ultima. Anzi, non era direttamente contemplata.

Ti siedi di nuovo e vieni ghiacciato da una nuova domanda. “La ama? Perché per Lilù… lei è… più o meno la cosa più importante del mondo.” Sospira ed è incredibile, sta sorridendo. “All’inizio pensavo fosse perché era l’unico che non rimaneva male ai suoi silenzi … perché la capiva. Ma c’è di più, vero? Ecco perché mi ha aggredito in quel modo, l’ultima volta.”
Annuisci, troppo sbalordito dalle sue capacità di deduzione. E dal fatto che non stia cercando di ucciderti.
“La ama?” Di nuovo.
“No, mi è indifferente. Ho rischiato di provocare un infarto all’Eroe del Mondo Magico per un capriccio.” Sbotti e ti aggrappi alle profondità del tuo whisky.
Senti un rumore provenire dalla sua poltrona, e speri che si sia strozzato con la sua saliva.
Invece sta ridacchiando.
“Sa…” Dice ed è certo, qualcuno ha corretto il whisky con un potente allucinogeno. “Se si va oltre il fatto che insulta praticamente chiunque ogni volta che le si fa una domanda, ha un senso dell’umorismo niente male.”
Oh, per la barba di Merlino.

“Potter, non l’ho sviluppato negli ultimi anni. L’ho sempre avuto.”
“Non avevo un gran senso dell’umorismo da ragazzo.” Sorride quieto. “Uno psicopatico cercava di uccidermi e dominare il Mondo Magico. Non suona molto divertente, no? E poi lei era davvero odioso con me.”

Potter conosce la sottile arte dell’ironia. Ed è simile a quella di Lily, perché è l’unico motivo per cui ti senti quasi bendisposto nei suoi confronti.
Oltre al fatto che non ti ha giustiziato.
“Le sta… bene?” Chiedi, perché ormai la curiosità va oltre il tuo naturale riserbo.
Scrolla le spalle. “Ho sconfitto Voldemort perché sapevo che amare qualcuno è qualcosa più forte del buonsenso o della propria stessa vita. Di tutto, in realtà. Sarei un ipocrita se impedissi ai miei figli di amare chi amano.” Si toglie gli occhiali e li pulisce con il fazzoletto del taschino. Un fazzoletto; chi se l’è preso in casa l’ha addomesticato. “E poi… so cos’è capace di fare lei, per amore.”
Lui e Lily hanno la stessa capacità di dire cose pesanti con la leggerezza di una conversazione da bar.
Si rinfila gli occhiali, e si alza. Lo imiti per non restare a fissarlo come la statua di sale che ti senti di essere.
“Credo… mi ci vorrà un po’ per digerire l’intera faccenda.” Ammette con una smorfia imbarazzata. “E conoscendo Lily, finiremo per litigare se… Beh. Cercherò di forzare le cose.” Sbuffa. “Può dirle che…” Esita.
“Le dirò che tornerà a trovarla.” Decifri.
Harry Potter Il-Dannato-Ragazzo-Sconcertante sorride. “Grazie.” Ti tende la mano e non c’è nulla da fare. Devi stringerla. La stringi.

Devi ammettere che Potter ha gli occhi che si merita. Ma non lo ammetterai mai ad alta voce.
“Si prenda cura di lei.” Stringe e poi lascia la presa.

“È mia precisa intenzione.”
Annuisce e poi, con un colpo di vento, si è smaterializzato.
 
Lily è seduta in mezzo all’erba, nel digradare lento che porta alla scogliera. Si alza in piedi quando ti sente arrivare. Ovviamente ti avrà sporcato tutta la camicia d’erba. Puoi fartene una ragione.
“Va tutto bene?” Ti scruta. “Sei tutto intero.” Mormora meravigliata.
“Tuo padre è un Auror, non un macellaio.” Replichi.
Ti scruta diffidente. “Tu che lo difendi? Che vi siete detti?”
“Alcune cose.”
“E me le dirai?”
“Alcune di esse, sì. A tempo debito.”

Sbuffa, ma sorride. Le brillano gli occhi in quest’estate irlandese. Ed è, in effetti, estate finalmente. Anche per te.
Le tendi la mano e lasci che si stringa in un abbraccio, baciandoti il viso e le labbra quante volte vuole. Le baci i capelli rossi come il fuoco, ricci, ribelli.
Lily è una figlia del Connemara. Ha avuto natali altrove, certo, ma sembra che sia sempre stata qui. In un certo senso, ti senti figlio anche tu di questa terra aspra, che ha saputo accoglierti e perdonarti.
“Sembri felice.” Dice accoccolata al tuo petto. “Lo sei o mi sbaglio?”
“Non ti sbagli.” Ammetti.

“D’ora in poi lo sarai sempre.” Ti mormora all’orecchio. “Saremo felici sempre, te lo prometto.”
Sei quasi incline a crederle.

 
Saresti dovuto morire in quella vecchia catapecchia, con la gola squarciata e gli occhi pieni di una donna che hai amato senza speranza.
Invece sei qui, con una vecchia cicatrice fibrosa, una casa sul ciglio del mondo e una donna che ti promette quel sempre che hai cercato per tutta la vita.
È chiaro che il Destino, il Fato o chi per lui, non aveva ancora finito con te.
Lo senti quasi sorridere.

 
 
E i giorni passavano e l'oceano li stava a cullare
e il vento alla fine del mondo portava un canto del mare…
 
 
****
 
Note:
 
Un’epopea praticamente. Argh. Però mi son divertita da matti.
La realtà è che la seconda persona è uno spasso. Ed è peggio di una droga.

Questa la canzone che fa da colonna sonora al capitolo. Di solito non uso canzoni italiane, lo trovo… inadatto. Però questa, cavolo, è perfetta.
1.White Bush: variante del Bushmill, whiskey irlandese della Contea di Antrim, dove si trova l’omonima città.  

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