Cose dell'altro mondo di katyjolinar (/viewuser.php?uid=3135)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Era
una mattina di inizio
marzo, una domenica come tante... o almeno così credeva Abby
quando,
pochi giorni prima, era riuscita a convincere Timothy, Tony e Ziva ad
andare a New York, con la scusa di far conoscere a quest'ultima i
luoghi più importanti del paese di cui era diventata
cittadina di
recente.
Non
che Ziva non li
conoscesse, ma l'entusiasmo di Abby era talmente travolgente che non
era riuscita a dirle di no, e lo stesso valeva per i due uomini.
Erano
partiti di buon'ora
e, dopo un breve giro della città, avevano preso il
traghetto per
Liberty Island.
"Saliremo
fin sopra
e vedrai la città da una prospettiva diversa!"
spiegò Abby a
Ziva, mentre scendevano sull'isola, ai piedi della Statua della
Libertà.
"Si,
ma... non è
meglio pranzare, prima? È quasi l'una..." disse l'altra
donna,
cercando di stare dietro all'esuberante amica.
"Ziva
ha ragione!"
esclamò Tony "Andiamo al ristorante dell'isola. Offro io!"
Abby
cercò di protesare,
ma poi ci pensò su e accettò, quindi tutti e
quattro si diressero
verso il ristorante e si sistemarono a un tavolo del dehor.
La
giornata era calda,
nonostante fosse solo inizio marzo, e l'isola era gremita di turisti.
Qualcuno era in coda per entrare nella statua, altri osservavano la
città attraverso i binocoli fissi dell'isola, altri ancora
mangiavano, seduti vicino ai quattro agenti. Abby li
osservò: una
coppia che si teneva per mano osservando il profilo della
città; due
gemelli di quattro o cinque anni, identici ma distinguibili per il
colore della felpa, uno verde e uno rosso, si rincorrevano ridendo,
sotto l'occhio attento della madre, seduta poco lontano;un uomo
pelato, vestito elegantemente, mangiava un gelato guardandosi
attorno; un gruppo di turisti che si faceva fotografare con lo sfondo
dei grattaceli di New York, tra i quali si distinguevano il palazzo
delle Nazioni Unite, l'Empire State Building e il Massive Dinamics'
Building, sede di una delle più importanti industrie
tecnologiche
d'America.
Tony,
tra una citazione
di film e un'altra, raccontava diverse curiosirà legate alla
città
di New York.
"Lo
sapevate che
l'Empire State Building era stato concepito come punto d'attracco per
i dirigibili? Solo che nello stesso periodo c'è stato il
disastro
dello Zeppelin e il grattacelo non è stato mai usato per
tale
scopo." informò, mentre puliva il piatto con un pezzo di
pane.
"Interessante,
ma
ora paga, che si sta facendo tardi!" lo interruppe la Dark,
dopodicchè si alzarono e si misero in fila per entrare nella
Statua.
Al
termine della visita
decisero di fare un salto al negozio di souvenirs dell'isola.
Mentre
Ziva e Abby si
scambiavano opinioni riguardo una curiosa bolla di neve esposta, che
ritraeva un cavalluccio marino e una ranocchietta, con una margherita
al centro, e la neve sostituita da delle piccole foglioline
argentate, successe qualcosa.
Improvvisamente
la terra
cominciò a tremare. I due agenti raggiunsero le due donne e
si
misero al riparo con loro. Una bolla di neve cadde e i pezzi di vetro
si sparsero sul pavimento, e nello stesso momento una forte luce li
accecò.
Quando
tutto cessò, i
quattro si trovarono di fronte una donna. Era bagnata dalla testa ai
piedi, era scalza, indossava un camicione da ospedale e aveva
un'espressione che era un misto tra il disorientato e il
terrorizzato.
Ma
la cosa più strana
era che quella donna era identica ad Abby. Sembrava proprio lei, ma
non era lei di certo, perchè la Dark era lì con
loro, e anche lei
osservava la nuova arrivata con un'aria confusa.
Infine
successe un'altra
cosa strana: come era apparsa, quella donna scomparve nel nulla,
lasciando solo una pozzanghera dove stava fino a poco prima.
I
quattro si alzarono e
si guardarono intorno, per verificare che non ci fossero feriti.
"L'avete
vista anche
voi, vero?" chiese Abby, come per avere una conferma della sua
sanità mentale.
"Direi
proprio di
si. Io chiamo il Capo, gli racconto tutto." rispose Tony,
prendendo il cellulare e chiamando Gibbs.
Intanto,
a Boston...
Erano
le sette del
mattino. Peter ancora dormiva, stanco dell'intensa settimana passata
dietro i casi della Divisione Fringe.
Venne
svegliato dal
rumore del frullatore, in cucina. Decise di alzarsi, tanto non
avrebbe potuto dormire di più. Si infilò la
vestaglia e andò
in cucina.
"Walter!
Sono le sette di domenica mattina... che stai facendo?"
"Buongiorno
figliolo! Sto cercando di ricreare la formula del caffè alla
vaniglia che ho preso ieri. Sono quasi arrivato a scoprire
l'ingrediente segreto!" rispose Walter, continuando ad
armeggiare con caffettiera e frullatore.
Peter
sospirò. Il solito
Walter... chissà cosa si era fumato, sniffato o iniettato
questa
volta...
"Se
ti piace tanto
torno allo Starbucks e te ne prendo un altro." propose,
sorridendo sotto i baffi.
"Oh...
grazie,
Peter." disse l'anziano scienziato, con un sorriso contento e
infantile sul volto.
"Va
bene. Dopo
andiamo, ma prima fammi fare colazione."
Detto
questo prese del burro d'arachidi e della marmellata di more dal
frigo e si preparò un panino.
La
mattina passò in fretta, tra i siparietti strampalati di
Walter, poi
nel pomeriggio Peter ricevette una chiamata da Olivia.
"Walter,
dobbiamo andare a New York." lo informò, dopo aver chiuso la
chiamata "Abbiamo un caso."
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Capitolo 2 *** 1 ***
Si
incontrarono con
Olivia al molo d'imbarco per Liberty Island, dove li attendeva una
barca della polizia, che li avrebbe portati sull'isola.
Peter
e Walter si fecero
largo tra la folla, poi raggiunsero Olivia e Broyles, che stavano
discutendo riguardo al caso che stavano andando a esaminare.
"Quanti
testimoni ci
sono?" chiese la donna, prendendo appunti sul suo taccuino.
"Quattro."
rispose Broyles "Abby Sciuto, Anthony DiNozzo, Timothy McGee e
Ziva David. Ah, devo informarvi che sono agenti federali."
"Quindi
sono nostri
colleghi..." precisò Olivia.
"Non
proprio. Sono
dell'NCIS." la corresse il suo capo.
"NCIS?"
chiese
il Dottor Bishop, avvicinandosi.
"Servizio
Investigativo della Marina." disse la bionda, poi salì sulla
barca, lanciando un rapido sguardo a Peter.
La
traversata trascorse
in silenzio, poi, quando sbarcarono, andarono spediti verso un gruppo
di cinque persone, quattro delle quali erano i testimoni. Il quinto
uomo stava abbracciando una delle due donne, che sembrava parecchio
scossa. Era di spalle, ma a Olivia quell'uomo sembrava familiare.
Broyles
si avvicinò e
mostrò il distintivo.
"Buongiorno.
Sono
l'Agente Broyles. FBI." si presentò.
Il
quinto uomo lo guardò
scocciato e anche un po' arrabbiato, poi parlò.
"FBI?
Fantastico!"
esclamò, sarcastico. Olivia lo riconobbe immediatamente.
"Gibbs!"
lo
chiamò. L'uomo si voltò e, appena la riconobbe,
le sorrise.
"Oh,
guarda chi si
vede! La pivella!" esclamò lui, appena la riconobbe.
Peter
li fissò entrambi.
"Vi
conoscete?"
chiese.
"Era
il mio capo
quando lavoravo come detective all'NCIS." spiegò la donna,
poi
strinse la mano al suo vecchio capo.
"Che
ci fai qui?"
chiese Gibbs, poi la presentò agli altri "Lei è
Olivia Dunham.
Te la ricordi, Tony?"
Il
suo secondo la fissò,
poi la riconobbe anche lui.
"Ehi,
Pivella! Ne
hai fatta di strada! Ora hai una squadra tutta tua, vedo!" Tony
indicò i Bishop.
"Loro
sono
consulenti civili. Il Dottor Walter Bishop e suo figlio Peter."
li presentò la donna.
"Il
Dottor Walter
Bishop?" chiese McGee, curioso "Quel Dottor Bishop? Il
nuovo proprietario della Massive Dynamics?"
"Ehm...
si, sono
io." confermò il Dottore, poi si rivolse a Peter "Ho un
alito da paura... per caso hai una gomma da masticare, figliolo?"
Peter
sospirò.
"Walter..."
cominciò, ma Olivia lo interruppe e tornò a
parlare al suo vecchio
capo.
"Posso
farvi qualche
domanda riguardo a quello che è successo?"
Tony
annuì, poi le
raccontarono tutto.
La
donna prese appunti,
poi il Dottor Bishop si avvicinò ad Abby e, con aria
indagatrice le
chiese:
"Sicura
che la
ragazza somigliava proprio a lei, signorina?"
"Certo!
L'hanno
vista anche loro! Vero, ragazzi?" rispose la Dark, interpellando
anche gli altri.
Peter
e Olivia si
guardarono. Avevano ascoltato tutto il resoconto, e avevano capito
cosa stava per succedere.
"Walter,
forse è
meglio andare in un posto più tranquillo a parlare." disse
l'uomo, prendendo il padre sotto braccio e portandolo di nuovo verso
la barca.
"Va
bene, Peter."
disse il Dottore, tranquillo.
"Potete
venire al
mio ufficio di Boston per raccogliere altre informazioni?"
domandò Olivia a Gibbs.
"Ad
una condizione."
rispose l'altro, con voce ferma " Che partecipi anche la mia
squadra alle indagini."
Olivia
sospirò: il suo
vecchio capo non era cambiao affatto: testone era allora, testone era
rimasto.
"Va
bene. Allora ci
vediamo domani mattina ad Harvard." rispose, poi si
allontanò.
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Capitolo 3 *** 2 ***
Il
lunedì mattina, a
Boston, era caldo e assolato come il giorno precedente.
I
quattro agenti
arrivarono nel comprensorio dell'Università di Harvard verso
le
nove.
Il
cortile era gremito di
persone: studenti, insegnanti e turisti in visita a una delle
maggiori università americane. Sul prato, pieno di
margherite appena
sbiocciate, due ragazzi si lanciavano una palla da football a spicchi
rossi e verdi, e poco lontano una ragazza disegnava su un taccuino,
mangiando una mela, mentre giovani farfalle volavano attorno, in
cerca di fiori da cui prendere il polline. Seduti sulla scalinata due
studenti fumavano, e gli sbuffi di fumo assumevano curiose forme di
volti, rane e foglie.
Gibbs,
Tony, Timothy,
Ziva e Abby entrarono nell'edificio, superando un elegante uomo calvo
che osservava la gente, poi scesero negli scantinati, dove Olivia
aveva detto essere il suo ufficio.
Gibbs
bussò e, dopo
poco, una donna con la pelle scura e i capelli ricci aprì.
"Salve."
salutò
Gibbs "Siamo quelli dell'NCIS. L'agente Dunham ci sta
aspettando."
"Oh...
entrate.
Olivia arriverà a momenti." disse la donna, poi li fece
entrare "Io sono l'agente Astrid Fansworth."
I
quattro entrarono
guardandosi intorno. Non si trattava di un ufficio, ma era una specie
di laboratorio.
"Wow!
Questo è un
sogno!" esclamò Abby, avvicinandosi a un tavolo colmo di
vetreria.
In
quel momento sentirono
una mucca muggire. Tutti si voltarono nella direzione del muggito e
videro Walter, intento a mungere un grosso bovino pezzato,
fischiettando un brano dei Violet Sedan Chair.
"Ehm,
Dottore?"
lo chiamò Astrid "Sono arrivati quelli dell'NCIS."
L'anziano
dottore alzò
la testa dal suo lavoro e guardò il gruppo.
"Oh...
fantastico!
Astro, offri loro del caffè, mentre io finisco di mungere
Gene."
La
donna andò in cucina
proprio nel momento in cui la porta d'ingresso si aprì di
nuovo ed
entrarono Peter e Olivia.
"Buongiorno,
Capo..." salutò la bionda, appena riconobbe il gruppo
"Pensavo
arrivaste più tardi..."
"Non
sono più il
tuo capo." l'ammonì Gibbs "Siamo partiti presto. Allora
cominciamo? Avete un po' di cose da spiegarci."
"Certamente.
Sediamoci qui." rispose Olivia, poi li fece accomodare attorno
alla sua scrivania. Lei si sedette con loro, prendendo dei fascicoli,
mentre Peter rimase in piedi, a braccia conserte, alle sue spalle.
"Sapete cos'è la Scienza di Confine?"
"Illuminaci."
rispose Gibbs, interessato.
"E'
una serie di
teorie e ricerche scientifiche controverse, al limite della scienza,
e che possono sfociare nella pseudoscienza." spiegò Peter,
senza muoversi dalla sua posizione.
"Intendi
cose tipo
telepatia, controllo della mente, invisibilità e universi
paralleli?" chiese McGee.
"Si,
ci occupiamo
più o meno di questo." rispose Olivia "La divisione Fringe
si occupa di risolvere crimini legati a fenomeni apparentemente
inspiegabili..."
"O
almeno non
spiegabili tramite le teorie della scienza
ufficiale."completò
Peter.
"E
quale spiegazione
date alla gemellina di Abby che abbiamo visto ieri?" domandò
Tony.
"Era
una versione
alternativa della signorina..." rispose Walter, intromettensosi
nel discorso, mentre beveva un po' del latte appena munto, poi si
rivolse al figlio e a Olivia "Probabilmente Walternativo sta
conducendo degli esperimenti..."
"Walternativo?"
lo interruppe Gibbs.
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Capitolo 4 *** 3 ***
I
Bishop e Olivia
si guardarono. Dopo qualche minuto di silenzio il giovane uomo si fece
avanti.
“Si
tratta
di mio padre.” esordì Peter, misurando ogni parola.
“Tuo
padre?”
chiese McGee, confuso “Ma… scusa, ma tuo padre non
è il Dottor Bishop?”
“sì
e no.
Walter è l’uomo che mi ha cresciuto, se
così si può dire. Il mio padre
biologico è Walternativo. Noi lo chiamiamo così,
ma il suo vero nome è Walter
Bishop, segretario della difesa degli Stati Uniti d’America,
con sede a Liberty
Island”
Gli
agenti
lo fissarono straniti.
“Un
momento,
sono confuso.” cominciò Gibbs “il
segretario della difesa è Robert Gates, e la
sede del ministero non è certo a New York, ma a
Washington.”
“Non
nell’universo
dove sono nato io” spiegò il giovane, serio e
composto. Questo riuscì a
catturare tutta l’attenzione dei presenti, quindi
potè continuare “Cominciò
tutto 25 anni fa, il mio doppio, da questa parte, morì di
una malattia di cui
ero affetto anche io. Walter, per salvarmi la vita, mi rapì
alla mia famiglia…”
“Figliolo,
io…” cercò di spiegare il vecchio
dottore, ma si zittì all’occhiata del figlio.
Spesso i suoi silenzi erano più eloquenti di mille parole.
Nel
silenzio
irreale del laboratorio Peter continuò “Walter mi
rapì, mi guarì dalla
malattia, e mi tenne lontano dal mio mondo, dove mio padre, privato
della cosa
più cara che aveva, meditava vendetta.”
“Credo
di
capire.” osservò Gibbs “Credo di capire
entrambi. Se avessi potuto riavere mia
figlia indietro avrei attraversato interi mondi, ma se me
l’avessero rapita
avrei fatto qualunque cosa per riaverla con me.”
Ci
fu di
nuovo silenzio, dopodichè Peter riprese a parlare.
“Circa
sei
mesi fa, Walternativo ha trovato il modo di attraversare il sottile
velo tra i
nostri universi. Mi trovò e mi riportò nel suo
mondo. Ci rimasi meno di una
settimana, poi Walter e Olivia vennero a prendermi, per riportarmi a
casa.”
Il
fugace
sguardo tra il giovane e l’agente Dunham non
sfuggì agli occhi attenti di
Gibbs, uno sguardo complice, di chi andrebbe in capo al mondo pur di
salvare la
vita a una persona cara.
“La
regola
12… te la ricordi, pivella?” chiese, sorridendo,
Gibbs.
“Tecnicamente
Peter è un consulente civile, non un collega” lo
corresse la donna.
“Che
cos’è
la regola 12?” chiese Peter.
“Niente
relazioni
con colleghi.” Risposero all’unisono Tony e Ziva.
“Oh,
capisco…
beh in effetti io non sono un collega di Olivia, quindi non infrangiamo
nessuna
regola.”
“Capisco.
Comunque
torniamo a noi. Perché pensate che quella ragazza,
quell’altra Abby, potesse
essere collegata al vostro Walternativo?” chiese Gibbs,
tornando al nocciolo
della questione.
“E’
il modus
operandi di mio padre, usare cavie umane per i suoi esperimenti. Certo,
a sua
discolpa c’è da dire che lui non ha mai usato i
bambini.” Un altro sguardo
severo si posò sul vecchio scienziato, che mangiava
liquirizie con un’espressione
colpevole e sofferente in volto.
“Cosa
significa?” chiese nuovamente Gibbs.
“Attraversare
gli universi comporta un costo. Dall’altra parte ne stanno
pagando le
conseguenze. Nei giorni che ho passato lì ho visto cose che
non potete neanche
immaginare…”
“Navi
da
combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i
raggi B
balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti
andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È
tempo di morire.” citò
Tony, ma venne zittito da uno scappellotto prontamente assestato da
Gibbs, che
si rivolse nuovamente a Peter, che osservava DiNozzo con
un’aria divertita e composta
allo stesso tempo.
“Come
facciamo a passare dall’altra parte allora?”
“Perché
vorresti
passare dall’altra parte, capo?” chiese Olivia.
“Non
sarà la
mia Abby, ma è comunque Abby, e io non la lascio nelle mani
di un bastardo
emulatore del dottor Mengele”
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Capitolo 5 *** 4 ***
“Sì,
ma… al momento non è possibile, non abbiamo i
mezzi
adatti.” Spiegò Olivia.
“Avete appena detto che ci
siete già andati dall’altra
parte.” La ammonì Gibbs.
“Ma avevamo i mezzi, e un
metodo… io da sola non posso
farcela.” la voce di Olivia era piena di sconforto.
“Secondo me puoi farcela
invece.” La rassicurò Peter,
sfiorandole la mano tremante. La donna si calmò e Peter si
rivolse al padre “Walter,
mettiamoci al lavoro.”
Il vecchio scienziato si
alzò in piedi all’istante.
“Sì, figliolo.
Dobbiamo fare tutti i preparativi.” poi corse
nell’ufficio, portandosi dietro una serie di fogli per fare i
suoi calcoli.
Peter lo guardò
allontanarsi, poi prese dal cassetto della
scrivania una cartina degli Stati Uniti. Gibbs e la sua squadra si
avvicinarono.
“Cosa cerchi?”
gli domandò Gibbs.
“Un posto sicuro dove
possiamo passare. Escluderei a priori
Liberty Island. Troppo vicina alla tana del lupo.”
“Non possiamo passare oltre
direttamente da qui?” domandò
Tony.
“Escluderei anche Harvard.
Il passaggio è bloccato dall’Ambra”
spiegò Olivia, avvicinandosi al compagno.
“L’Ambra?
Cos’è?” chiese Abby, guardando la
cartina.
“E’ una lunga
storia, Abby.” Spiegò spicciamente Peter, poi
segnò un punto in corrispondenza di New York e prese
un’altra cartina
dettagliata della città “Trovato!”
Gibbs guardò la cartina
“Central Park? Non è troppo
scoperto?”
“Fidatevi.”
Rispose il giovane, poi segnò delle cose su un
foglio, che consegnò a Astrid.
“A cosa ti serve tutta
questa roba?” gli chiese l’agente,
scorrendo la lista.
“Devo costruire dei sistemi
di comunicazione inter-universi.
Non possiamo andare tutti.” spiegò
“Qualcuno di voi è pratico di sistemi
informatici?”
Timothy e Abby si fecero avanti. Il
giovane Bishop li mise
subito al lavoro su un terminale, per creare un software adatto, mentre
lui
liberava uno dei tavoli e ci sistemava sopra degli attrezzi. Quando
Astrid
arrivò con le cose richieste si mise al lavoro, pur
continuando a parlare con
gli altri.
“Agente Gibbs, qualcuno
deve rimanere qui con Walter. Propongo
uno dei suoi due informatici.”
“Abby resterà
qui.” confermò l’altro.
“Ma
Gibbs…” tentò di protestare la ragazza.
“Niente ma.” Fu
la risposta ferma di Gibbs, che zittì subito
la Dark.
Peter sorrise, poi tornò a
parlare.
“Avrete bisogno di vestiti
pratici, e sarebbe meglio
portarsi qualche arma, anche se da quella parte sono tecnologicamente
più
avanzati e non so quanto possano essere utili…”
“Non
c’è problema, ci arrangeremo con quello che
abbiamo.” Lo
rassicurò Gibbs.
Dopo qualche ora di lavoro i
dispositivi di comunicazione
erano pronti. Peter ne mostrò uno al padre, che lo
fissò affascinato ed approvò
l’idea del figlio.
“Auricolari con telecamere!
Perché non ci avevo pensato?
Ottimo lavoro, figliolo!” fu la sua risposta entusiasta.
“Sono contento che ti
piaccia, Walter. Hai preparato tutto?”
gli domandò il giovane.
“Sì,
Peter.” poi mostrò delle fialette
“Perché Olivia vi
possa trasportare tutti dovremo potenziarle il potere con
questo.” Indicò una
fialetta rossa “E’ come il Cortexiphan, ma
più potente, però…” si
fermò un
momento a fissare la donna “una volta arrivata
dall’altra parte sarai senza
forze. Questo altro composto ti aiuterà a recuperare
più in fretta.” e le
mostrò una fiala di colore verde “Te la dovrai
iniettare appena passato il
confine.”
Olivia non disse nulla, ma fece un
sospiro teso. Peter lo
notò.
“Mi occuperò io
di tutto, Walter. Quando siete pronti
andiamo.”
“Possiamo andare anche
subito.” gli riferì Gibbs.
Il giovane annuì e prese
uno zaino, ci infilò tutto il
necessario e fece loro strada verso le auto.
A notte fonda arrivarono a New York.
Gibbs e Olivia avevano
avvertito i rispettivi capi, i quali, seppur con riluttanza, avevano
acconsentito
alla missione congiunta.
Trovato il punto migliore, Astrid,
Walter e Abby montarono
una postazione informatica mobile, mentre gli altri si radunarono
attorno a
Olivia.
“Non credo di
farcela…” sussurrò in preda al panico,
mentre
Peter le faceva l’iniezione.
Lui le sorrise rassicurante
“Ce la farai di sicuro. Queste persone
contano su di te.”
“Ma
Peter…” protestò.
L’uomo la zittì
poggiandole leggermente un dito sulle
labbra.
“Shh… io sono
qui. Puoi farcela.” Poi la baciò dolcemente.
Lei lo allontanò di scatto.
“Scusa, stai
brillando…” si giustificò.
Peter sorrise e si voltò
verso gli altri.
“Ci siamo.” Li
informò, poi fece un segnale al padre.
Tutti i viaggiatori si radunarono
attorno a Olivia e Peter,
il quale teneva le mani della donna e la fissava negli occhi
rassicurante. L’agente
Dunham era incredibilmente calma.
“Chiudete gli occhi e fate
un respiro profondo.” ordinò il
giovane Bishop.
Tutti ubbidirono. Una strana onda
energetica attraversò i
loro corpi, poi ci fu di nuovo silenzio.
Olivia cadde a terra in preda alle
convulsioni. Peter la
soccorse immediatamente e le iniettò il liquido verde.
In quel momento qualcosa
oscurò la luna.
Mentre tutti si radunavano attorno
alla coppia per
accertarsi che Olivia stesse bene, Tony alzò gli occhi al
cielo.
Un enorme dirigibile era fermo
proprio sopra di loro.
“Ma che
diavolo…”
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Capitolo 6 *** 5 ***
A quell’ora il poligono di
tiro era vuoto. Era il momento
preferito da Timothy per esercitarsi con le sue armi.
I suoi anfibi rimbombavano ad ogni
passo, nel silenzio della
sala; si avvicinò alla postazione di tiro e
afferrò la pistola. La soppesò tra
le mani e sorrise. Il contatto col metallo dell’arma gli dava
una gradevole
sensazione di potere e controllo.
Inforcò gli occhiali
protettivi poi, senza quasi prendere la
mira, sparò alla sagoma rossa in fondo alla sua postazione.
Posò la pistola e
fissò la sagoma. Un foro circolare
spiccava nel centro della fronte. Timothy sorrise nuovamente: centro
perfetto.
D’altronde il Segretario
l’aveva scelto apposta per le sue
incredibili capacità di tiratore scelto, per entrare a far
parte della seconda
squadra della Divisione Fringe, capitanata dal Colonnello Leeroy Jethro
Gibbs,
uomo di fiducia nonché uno dei migliori amici del Segretario
della Difesa
Walter Bishop.
Timothy aveva 35 anni, ma era
già considerato un membro
anziano della Divisione Fringe. Non era da tutti riuscire ad entrare in
una di
quelle squadre ed essere ancora vivo dopo sette anni di servizio. Con i
tempi
che correvano rischiava di finire risucchiato in un wormhole o
intrappolato
nell’Ambra in qualunque momento.
In quegli anni aveva visto morire
parecchia gente, tra cui
anche un compagno di squadra, morto sei anni prima durante
l’epidemia di peste
polmonare che aveva colpito Washington D.C.
Era anche difficile fare progetti per
il futuro. Kelly, la
sua ragazza, stava per terminare l’università, e
lui desiderava sposarla, ma
non le aveva ancora fatto la proposta; non voleva fare troppi progetti
a lungo
termine. Se fosse morto le avrebbe spezzato il cuore, senza contare che
il
padre di Kelly era un uomo particolarmente severo e fortemente
iperprotettivo
nei confronti della figlia venticinquenne. Inoltre era anche il capo di
Timothy, per cui sarebbe stato molto difficile conciliare lavoro e vita
privata.
Il Colonnello pretendeva molto dai
suoi uomini; tutti, sul
campo, dovevano dare il massimo, un errore non era tollerato, e Timothy
lo
sapeva. Per questo si allenava al poligono di tiro tutti i giorni.
La divisione Fringe era in allerta da
sei mesi prima,
quando, contemporaneamente al ritorno a casa del figlio perduto del
Segretario
Bishop, avevano avuto un attacco da parte di una squadra proveniente da
un
universo parallelo, che aveva creato parecchio scompiglio e aveva
nuovamente
portato via il giovane Bishop.
A seguito di questi avvenimenti, la
prima squadra della
Divisione aveva avuto dei problemi: uni di loro, Lincoln Lee, aveva
dovuto
passare settimane in cura per delle ustioni gravi, il loro capo, Philip
Broyles, era misteriosamente scomparso, e Olivia Dunham, altro membro
della
squadra, aveva avuto un bambino quattro mesi prima, di cui correva voce
che
fosse il nipote del Segretario.
Perso nei suoi pensieri, Timothy mise
via le armi e andò in
ufficio. Dove la seconda squadra, di turno quella notte, restava in
attesa,
pronta ad intervenire in caso di allerta Fringe.
Ari Haswari-David, il suo collega,
leggeva un giornale
seduto alla sua scrivania. Sulla prima pagina troneggiava in grosse
lettere il
titolo “Bill Gates perde la partita contro il cancro.
Cordoglio nel mondo dell’informatica.
Steve Jones: se ne è andato un genio.”
Timothy si avvicinò alla
scrivania edel collega e prese la
sua tazza di tè fumante. L’uomo lo
guardò male ma non disse nulla: Ari era solo
il pivello, venuto da Israele per sostituire il collega morto sei anni
prima. Poco
tempo dopo era anche convolato a nozze con Catherine Todd, uno dei
tecnici
informatici della Divisione, e migliore amica di Ziva David, sorella
minore di
Ari e psicologa di riferimento della squadra del Colonnello Gibbs.
Ari sapeva che non conveniva
cominciare una discussione con
il tenente McGee, a meno che non si volesse finire con un foro di
proiettile
nel bel mezzo della fronte.
“Stanotte sembra tutto
tranquillo.” lo informò l’israeliano.
Neanche a farlo apposta, in quel
momento suonò l’allarme
Fringe; il Colonnello Gibbs arrivò di corsa, richiamando
tutti all’ordine.
“Evento Fringe a Central
Park. Andiamo!” li informò, poi
precedette i sottoposti nella strada verso i garage.
Arrivati a destinazione, Timothy fu
il primo a scendere. Col
fucile in mano corse verso il punto segnalato; guardò in
cielo: il dirigibile
di ricognizione era già sul posto.
Si fermò nei pressi di un
gruppo di alberi e controllò il
prato antistante. Vide quattro uomini e due donne. Riconobbe uno di
loro e
avvertì la squadra.
“Colonnello, ho appena
visto Peter Bishop. Io mi avvicino.” Disse,
alla radio. Poi imbracciò meglio il fucile e si
avvicinò, uscendo allo
scoperto.
I componenti del gruppo si accorsero
della sua presenza. L’uomo
che Timothy aveva riconosciuto come Peter Bishop prese una pistola, che
gli
veniva offerta da uno degli altri uomini, che si fece avanti assieme a
lui
mentre gli altri due uomini e le due donne restavano indietro.
Il dirigibile si spostò
leggermente e un raggio di luna
illuminò il volto dell’uomo che aveva dato la
pistola al figlio del segretario.
Timothy stava per sparare, ma
esitò. Quell’uomo aveva una
faccia conosciuta.
“Tony?”
sussurrò, stranito. Tony era morto sei anni
prima…
come poteva essere?
I due approfittarono della sua
esitazione e spararono. Il proiettile
sparato da Tony lo mancò per un pelo; aveva sentito il
sibilo vicino all’orecchio.
“Scappate! Vi copriamo io e
Tony!” ordinò Peter agli altri
quattro.
“NO! PETER!”
urlò una delle donne. Timothy la riconobbe: Olivia
Dunham. Stava per lanciarsi verso il figlio del Segretario ma venne
fermata dal
più anziano dei due uomini che erano con lei, che la
portò via, scappando
insieme agli altri, mentre gli uomini del Colonnello Gibbs circondavano
e
disarmavano Peter e Tony.
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Capitolo 7 *** 6 ***
Gibbs correva, nella confusione
più totale. O almeno cercava
di correre, trascinando Olivia, che lo strattonava, cercando di tornare
indietro per raggiungere il suo Peter.
Contemporaneamente Walter gli urlava
nelle orecchie,
attraverso l’auricolare costruito dal giovane: anche lui
avrebbe voluto
raggiungere il figlio e salvarlo.
Quando furono abbastanza lontani si
fermò e prese fiato.
“Dobbiamo
tornare… Peter…” ansimò la
donna, in preda al
panico.
“Non possiamo affrontarli
da soli, ci serve un piano… Dottr
Bishop, si calmi! Non sono sordo!” lo ammonì
Gibbs, stufo delle urla del
vecchio scienziato.
Guardò gli altri due
agenti. Entrambi ansimavano per la
corsa.
Ziva continuava a guardarsi indietro,
preoccupata. Non
l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma era preoccupata per Tony
e fremeva per
salvarlo.
“Ma quanto era grosso
quello?” domandò McGee, respirando
profondamente “Quello era… ero… oddio,
sembrava di guardarsi allo specchio…
solo che quello era più grosso…”
“Quello eri tu,
Timothy.” Gli spiegò Ziva, poi guardò
gli
altri “Dove li porteranno?”
“A Liberty Island,
suppongo.” spiegò Olivia, che sembrava
essersi un po’ ripresa.
“Bene. Come ci arriviamo?
Suppongo che qui non ci sia una
linea di traghetti che ci vada diretta.”
“No.” rispose
Olivia “Ma conosco qualcuno che potrebbe
aiutarci.” Detto questo cominciò a camminare in
direzione delle Torri Gemelle.
Intanto Tony e Peter erano stati
disarmati e resi
inoffensivi. Vennero ammanettati e caricati su dei furgoni scuri.
“Dove ci
portano?” chiese Tony, cercando di sbirciare fuori,
dietro la sagoma di quella versione doppata di McGee.
Il giovane Bishop non rispose. Era
concentrato sul da farsi.
Era perso nei suoi pensieri. Tony lo fissò: determinato,
freddo e calcolatore.
Di sicuro conosceva i metodi di questa gente e non voleva farsi trovare
impreparato. Decise che era meglio tacere e guardarsi intorno. Non
sapeva dove
stavano andando, doveva trovare qualche indizio.
Improvvisamente il furgone si
fermò. Però Tony aveva
l’impressione che non fossero ancora arrivati. Il pavimento
sembrava instabile,
dondolava continuamente. Sbirciò fuori: erano in una barca.
“Dove stiamo
andando?” chiese nuovamente Tony, ma venne
zittito da un pugno in piena faccia da parte di Timothy “Ok,
sto zitto… basta
chiedere…” disse Tony, toccandosi il naso
dolorante.
Peter continuava a restare in
silenzio. Osservava tutto
senza fiatare. Lui sapeva dove stavano andando; dalla sua espressione
Tony capì
che stavano andando a finire proprio nel bel mezzo della tempesta di
guai che
erano cominciati non appena avevano passato il confine.
Lo fissò ancora. Pensava a
Olivia, ne era sicuro. Doveva
essere successo qualcosa proprio lì, dove stavano andando
ora.
Quel ragazzo era bravo a nascondere i
suoi pensieri… Tony
non riusciva a inquadrarlo bene, Peter Bishop era un vero mistero.
Dopo una mezz’ora di
navigazione, finalmente raggiunsero la
terraferma. Timothy li spinse fuori malamente. Tony
inciampò, cadendo sulle
ginocchia. Cercò di alzarsi puntellandosi con i gomiti.
Peter lo aiutò, poi
camminò dietro gli altri, restando sempre in silenzio. Senza
guardare neanche
la meravigliosa statua della libertà color rosso rame che si
stagliava nel
centro dell’isola. Alla base della statua qualcuno li
aspettava. Tony la fissò
e la riconobbe: Olivia, ma era rossa di capelli.
La rossa li vide e si
avvicinò a Peter, ignorando Tony.
Bishop la fissava carico d’odio. Sinceramente, avrebbe
preferito il morso di
una vipera a rivedere quella donna.
“Bentornato
Peter.” Lo accolse, con finta cordialità.
L’uomo strinse i pugni e
serrò la mascella, infuriato, senza
rispondere. La donna sorrise e gli tirò indietro una ciocca
di capelli, poi si
rivolse a Gibbs, che si era avvicinato “Di lui ce ne
occupiamo dopo. Portatelo
dentro.”
Il Colonnello ubbidì, ma
la donna lo fermò “Un momento!”
disse, poi tornò ad avvicinarsi a Peter, gli
passò una mano dietro la nuca e
gli diede un leggero bacio sulle labbra.
Bishop sembrò infuriarsi
più di prima. Strinse ulteriormente
i pugni e chiuse gli occhi, cercando con tutte le sue forze di
contrastare
quella donna. Avrebbe voluto ucciderla. Se solo quelle manette non lo
avessero
bloccato…
Olivia si staccò,
allontanandosi lentamente, poi fece un
cenno al Colonnello, il quale potè finalmente portare dentro
il figlio del
Segretario.
Invece Tony venne portato in una
stanza scura, con un’unica
sedia al centro.
Qui venne lasciato solo assieme a
McGee, il quale lo
interrogò senza sosta. L’uomo non rispose o si
limitò a fare le sue solite
battute stupide, che servirono solo a far infuriare
l’energumeno. Più questo si
infuriava, più botte prendeva Tony.
“Chi sei
veramente?” chiese ad un certo punto il tenente.
“Anthony
DiNozz…” rispose, ma l’altro lo
colpì prima che
potesse terminare di parlare.
“Anthony DiNozzo
è morto! Allora? Chi sei?”
Lo colpì nuovamente, ma in
quel momento la rossa entrò.
“Basta così per
ora, tenente McGee.” Ordinò.
L’uomo scattò
sull’attenti e tirò su Tony, portandolo lungo
un corridoio, poi aprì una porta e lo buttò
dentro una cella, dove già era
stato rinchiuso Peter.
Il giovane era praticamente illeso.
Non lo avevano toccato,
si erano limitati a farlo infuriare. Probabilmente avevano bisogno di
lui,
pensò Tony.
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Capitolo 8 *** 7 ***
DiNozzo si stese sulla schiena,
cercando di riprendere
fiato. Era malconcio e dolorante; quel tizio che somigliava al pivello
ma non
era lui lo aveva conciato per le feste.
Guardò Peter; lui era
illeso. Incazzato nero, sì, ma illeso.
“Cavolo come picchia questo
McGee…” sussurrò, dolorante.
L’altro non rispose, quindi continuò
“Pare che io qui sia morto.”
Finalmente il giovane uomo lo
guardò. Sembrava indeciso se
parlare. Finalmente si schiarì la voce e parlò.
“A quanto pare abbiamo
qualcosa in comune. Per me però è il
contrario.”
Tony sorrise, cercando di tirarsi su.
“Qualcosa sì, ma
non tutto. Tu hai una ragazza… e che
ragazza…” fischiò.
Questa volta fu Peter a sorridere, al
pensiero di Olivia, la
Sua Olive.
“Olive è
speciale, in tutti i sensi. Sono un uomo
fortunato.” sorrise nuovamente. Era il sorriso di un uomo
innamorato.
L’agente lo
fissò, poi scosse la testa “Sei cotto,
amico!”
esclamo, cercando di tirarsi su, ma perse l’equilibrio.
Stava per cadere, ma il giovane lo
prese prima che potesse
cadergli addosso. Appena lo toccò, a Tony parve di sentirsi
un po’ meglio.
“Hai mai amato qualcuno in
vita tua?” gli chiese, aiutandolo
a sedersi sulla branda, accanto a lui.
Tony sospirò. Si sentiva
meglio, ma quella era una ferita
ancora aperta. Non gli andava di parlarne, ma tanto erano rinchiusi in
quella
cella, in un altro mondo, dove tutto era stravolto, e non avevano nulla
da
fare.
“E’ una lunga
storia…” esordì.
Peter vide negli occhi
dell’agente uno sguardo famigliare.
Lo stesso di quando lui aveva rischiato di perdere Olive per sempre.
Gli poggiò
di nuovo una mano sulla spalla.
“Sai, io ho rischiato di
perderla per sempre, la mia Olive…
sono un uomo fortunato…”
Tony si sistemò meglio
sulla branda poi, fissando il muro
davanti a sé, pur senza vederlo, cominciò a
raccontare tutto. Della missione
sotto copertura affidatagli dal defunto direttore, di Jeanne e di come
era
finito tutto. Poi gli raccontò di Ziva, di quando pensava di
averla persa per
sempre e, mosso da sentimenti contrastanti, era andato in Somalia per
vendicarla, ma poi l’aveva ritrovata viva e l’aveva
riportata a casa sana e
salva.
“Mi avevano pure iniettato
il Penthotal. Non potevo mentire,
ero obbligato a dire tutta la verità.” concluse.
Peter ascoltò in silenzio,
poi prese la parola.
“Dimmi la
verità, Tony: hai paura che succeda con Ziva la
stessa cosa che è successa con Jeanne? Sai, io sono bravo a
capire le persone.
Vi ho osservato fin dall’inizio, tra voi
c’è tensione. Non credo che questa
tensione sia dovuta alla famosa regola che avevi detto… la
regola 12. Non
penserai di essere maledetto?”
Tony rise, mettendo su la sua solita
faccia da poker.
“Non sono fatto per le
storie durature io.” rispose.
“Ecco un altro punto in
comune.” disse Peter, con il sorriso
sulle labbra “Prima di incontrare Olivia ero come te. Dicevo
anche io di non
essere fatto per le storie durature. Poi qualcuno mi ha fatto cambiare
idea. E
non è stato facile, anzi, ne abbiamo passate tante noi due,
e ci sono cose che
ancora non mi perdono.” sospirò, come per
raccogliere le idee “Quello che
voglio dirti è che se incontri nella tua vita una persona
così, una persona
speciale, vale la pena di rischiare il tutto e per tutto.”
Tony sospirò, continuando
a fissare il muro davanti a sé,
poi riprese a parlare.
“La rossa è una
stronza colossale.”
Peter distolse lo sguardo. Non voleva
che Tony vedesse la
tristezza e il senso di colpa che lo avevano avvolto appena DiNozzo
aveva
nominato quella donna. Quella era una ferita ancora aperta tra lui e la
sua
Olive.
“Ci sono cose che mi
perseguiteranno per sempre.” sussurrò
tra sé.
Tony si girò per guardarlo
negli occhi.
“Ci sei andato a letto e la
nostra Olivia non te l’ha ancora
perdonato, vero?”
Bishop sospirò. Tony era
un ottimo detective.
“La storia è un
po’ più complicata di
così…” disse, con un
filo di voce. Distolse lo sguardo e continuò
“Walter, Olivia e altri come lei
sono venuti qui con il compito di riportarmi dall'altra parte. Non so
come sia
successo, nè quando, ma hanno fatto uno scambio e la rossa
ha preso il posto
della mia Olive. E io sono stato tanto stupido da non accorgermi che
non era
lei. E' ancora una ferita aperta tra noi.” la sua voce era
strozzata dal
rimorso “Mi sono comportato… non ho scusanti per
quello che ho fatto.”
Tony scoppiò
improvvisamente a ridere.
“Certo che anche tu sei
incasinato, quando si tratta di
questioni di cuore, amico! Come hai fatto a non accorgerti che non era
lei?”
“Avevo notato che
c’erano delle differenze, ma pensavo
dipendessero da me… da noi, per quello che stavamo
costruendo. Era più aperta,
più rilassata con Walter. Non pensavo che non fosse lei,
credevo dipendesse dal
fatto che stessimo insieme. Ancora mi sto chiedendo come ho fatto a non
vedere
l’inganno…”
Il giovane Bishop era teso. Dava
l’impressione di voler strangolare
qualcuno, e quel qualcuno aveva i capelli rossi e il volto della donna
che
amava.
“Certo però che
bionda è molto più sexy!”
esclamò Tony.
Peter si voltò verso di
lui e lo squadrò dalla testa ai
piedi, serio e concentrato.
“Ringrazia che sei conciato
male e non voglio infierire, ma
se dici ancora qualcosa sulla mia ragazza ti farò cose che
quello che ti ha
fatto l’altro McGee sembreranno carezze a
confronto.”
Tony fece un sorriso ironico.
“Non avrai anche tu i
superpoteri, come Olivia?” chiese, scherzoso.
Ma Peter non scherzava affatto. La
sua espressione era dura,
non sembrava più lui.
“Sai, ti ho osservato. Io
so di cosa sei capace tu, ho
capito che tipo sei. Ma tu non sai di cosa sono veramente capace io.
Quindi ti
consiglio caldamente di non provocarmi se ci tieni alla tua
vita.”
Detto questo si richiuse nei suoi
pensieri. Ignorò Tony che
citava tutti i film di Batman in ordine cronologico da
“Batman” del 1943 a “Il
Cavaliere Oscuro”, del 2008, con tanto di elenco di registi,
sceneggiatori e
attori.
Il giovane si concentrò
sulla situazione. Era rinchiuso lì
dentro da ore. Cosa stavano aspettando i suoi carcerieri? Sicuramente
Walternativo era già stato avvertito, doveva essere
lì da un po’. Doveva avere
qualcosa in mente, qualche piano, e Peter pensava che per lui sarebbero
stati
dolori, visto che stavano aspettando così tanto.
Improvvisamente la porta si
aprì. Il tenente Mcgee e altri
tre soldati li prelevarono e li portarono verso un grosso ufficio,
quello del
Segretario della Difesa.
Walternativo stava parlando con la
rossa, che dava loro le
spalle. Peter notò che teneva qualcosa tra le braccia.
Vicino a loro c’erano i
membri superstiti della prima squadra della Divisione Fringe, Lincoln
Lee e
Charlie Francis, mentre la seconda squadra teneva d’occhio
quattro persone:
Gibbs, che guardava in cagnesco il suo doppio, Ziva, che si
rilassò non appena
vide i due, ancora vivi, McGee, che cercava di far calmare Olivia.
Peter la guardò. Olivia
era agitata; era successo qualcosa,
aveva visto qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
Quell’espressione
l’aveva già vista in precedenza, quando aveva
scoperto che lui non aveva capito
subito dello scambio.
Walternativo lo riportò ai
suoi pensieri.
“Bentornato,
figliolo.” Lo salutò, con un tono freddo e
calcolatore.
Peter tornò a guardare lui.
Improvvisamente capì cosa
aveva turbato la sua Olive.
La rossa si era voltata.
Teneva tra le braccia un bambino di
quattro mesi. Il piccolo
si guardava attorno, lo sguardo curioso tipico della sua età.
Gli occhi azzurri del bambino si
posarono sul giovane uomo.
A Peter si gelò il sangue
nelle vene: quelli erano i suoi
occhi.
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Capitolo 9 *** 8 ***
Quel silenzio glaciale
sembrò durare ore.
Peter fissava il bambino in braccio
alla rossa; lo analizzò
bene: gli occhi erano i suoi, ma le labbra erano quelle di Olivia. Non
c’erano
dubbi, quello era il loro figlio; ma come era possibile che fosse
già nato? L’ultimo
contatto che aveva avuto con quella donna risaliva a cinque mesi prima.
Quel bambino aveva almeno quattro
mesi… i conti non
tornavano. A meno che… forse Walternativo aveva trovato il
modo di accelerare
la gravidanza, di far nascere il bambino con mesi di anticipo.
Sì, quella creatura era
suo figlio, la prova di quanto Peter
era stato stupido, perché non aveva visto
l’inganno.
“Figliolo, ti presento
Henry Bishop.” gli disse
Walternativo, avvicinandosi alla rossa e facendo una carezza al bambino.
Peter fece un profondo respiro. Era
infuriato, doveva
mantenere la calma.
Ignorò il padre naturale e
guardò il gruppo che aveva
attraversato il velo con lui. Tony si era avvicinato a Ziva, la quale
si
tratteneva a stento dal saltargli al collo, McGee ancora cercava di
calmare
Olivia e Gibbs osservava tutto in silenzio. Notò che aveva
ancora addosso l’apparecchio
di comunicazione; probabilmente Walternativo voleva che Walter vedesse
tutto, perché
la squadra era stata disarmata.
Si avvicinò alla sua
Olivia. Lanciò un’occhiata a McGee, che
fece un passo indietro, poi si rivolse a lei.
“Olive…”
cercò di spiegare. Voleva calmarla; le posò
dolcemente una mano sulla spalla.
La donna si prese il volto tra le
mani e soffocò un
singhiozzo.
Improvvisamente, tutto nella stanza
tremò. Il piccolo,
spaventato, scoppiò a piangere, e la madre lo
cullò per farlo calmare.
Peter strinse leggermente la spalla
della bionda, facendo un
respiro profondo. Doveva calmare sé stesso prima di calmare
lei. Quelle vibrazioni
erano la prova che lei non riusciva a controllare il suo dono.
“Olivia, ti
prego…” sussurrò, dolcemente.
Olivia era agitata, spaventata e
ferita. Il suo sguardo
vagava dalla creatura, a lui. Riconobbe quello sguardo. Lo aveva
già visto
tempo prima, a Jacksonville, quando aveva scoperto di essere stata una
cavia di
Walter, un Cortexikid, come erano stati chiamati i bambini come lei.
Stava cercando le parole giuste da
dirle, quando la rossa si
avvicinò.
Peter si irrigidì,
girandosi lentamente verso la donna.
Lei sorrideva. Cosa aveva in mente?
“Ti somiglia molto,
Peter…” disse “vuoi provare a prenderlo
in braccio?”
Guardò il piccolo con la
coda dell’occhio. Stringeva i
pugnetti e lo fissava. Era triste, aveva capito che qualcosa non
andava. Ed era
un innocente.
Ma anche Olive era innocente, non si
meritava quello che
stava succedendo. Fece un altro respiro profondo.
“No.” Disse, con
voce glaciale, a denti stretti, stringendo
ancora la spalla di Olive.
Con lo stesso tono si rivolse a
Walternativo.
“Cosa vuoi da
noi?”
“Voglio solo passare del
tempo con mio figlio.” rispose il
Segretario, sorridendo.
“Non sono tuo
figlio.” replicò il giovane, poi indicò
i
compagni di squadra “Loro non c’entrano nulla.
Lasciali andare.”
“Oh… loro sono
liberi di andare dove vogliono… all’interno
di Liberty Island. Sarete tutti miei ospiti.”
Olivia fissò gli altri,
poi si liberò della presa di Peter e
quasi corse fuori da quell’ufficio.
Peter fece per seguirla, ma Gibbs lo
trattenne.
“Non ora, Peter.”
lo ammonì, poi gli mise in mano l’auricolare,
dall’altra parte del quale c’era suo padre, e corse
fuori, dietro di lei.
Peter fissò
l’auricolare per qualche secondo, poi se lo mise
in tasca. Non aveva voglia di parlare con nessuno, tantomeno con suo
padre. Voleva
stare da solo con i suoi pensieri, preferibilmente lontano dalla madre
di suo
figlio e da Walternativo.
Senza guardare nessuno
uscì dall’ufficio.
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Capitolo 10 *** 9 ***
Quando
Gibbs raggiunse Olivia,
lei era seduta in uno degli scalini dell’entrata principale
della Statua della
Libertà.
Stava
fissando la città con aria
assente, ricacciando indietro le lacrime.
L’uomo
si sedette accanto a lei e
guardò anche lui la città, su cui spiccavano le
Twin Towers.
“Non
pensavo che sarei mai
riuscito a rivedere questo spettacolo.” Disse lui, rompendo
il silenzio in cui
era chiusa la donna.
Lei
sembrò risvegliarsi dal suo
torpore e lo fissò.
“Neanche
io…” rispose, ancora un
po’ assente.
Ottenuta
la sua attenzione, Gibbs
la guardò intensamente.
“Dimmi
cosa ti tormenta, Olivia.”
Le chiese, in tono paterno.
Lei
respirò profondamente, prima
di parlare. Il suo vecchio capo sapeva leggere le persone meglio di
chiunque
altro… o forse no, non meglio di Peter. Ma Peter non si era
accorto
dell’inganno. No, decisamente Gibbs era il migliore a leggere
le persone.
“So
tutto quello che è successo.
Lei mi ha portato via la mia vita. E io con tutte le mie forze sono
riuscita a
riprendermela. Sai cosa significa non sapere più chi sei?
Essere più sola di
quanto avresti mai immaginato? Io mi ero aggrappata al ricordo di
Peter. È
stato grazie a questo se sono riuscita a ritrovare me stessa, a trovare
la
forza per ritornare. Invece lui… lui non si era accorto di
nulla…”
Si
passò una mano sul volto. Non
doveva piangere, doveva essere forte, non mostrare i suoi sentimenti,
come
aveva sempre fatto.
Fece
un altro respiro profondo,
poi continuò “Credevo di essere riuscita a
superare tutto. stavo ritrovando me
stessa, ciò che provo per Peter, ma ora, quel
bambino… ha fatto crollare di
nuovo tutto.”
Gibbs
la abbracciò, passandole
una mano tra i capelli, come fa un padre con una figlia triste.
“Una
volta ero sposato, sai?” le
confessò.
“Ricordo
che hai tre ex mogli…” rispose
lei, tirando su col naso.
“No,
non parlo di loro. Shannon,
la mia prima moglie, è morta 16 anni fa. È stata
uccisa insieme a Kelly, nostra
figlia, che aveva 9 anni.”
Lei
si tirò su e lo fissò.
“Mi
dispiace, Capo.”
Lui
sorrise pensieroso.
“Non
preoccuparti, l’ho superato.
Quello che voglio dire è che devi tenerti stretta Peter con
tutte le tue forze.
Lui ti ama, si vede da come ti parla, come ti guarda e come ti tocca.
Anche per
lui è stato uno shock scoprire del bambino, non era sua
intenzione ferirti. Ma
sa anche che suo figlio è una vittima del sistema, come lo
siete voi.”
Lei
si tirò su e tornò a guardare
il panorama. Le parole di Gibbs l’avevano rincuorata un
po’. Lui continuò a
parlare.
“Voi
due siete due parti della
stessa mela. La mia impressione è stata che uno non
può vivere a lungo senza
l’altra. È come se lui avesse un potere capace di
attivare i tuoi, dandoti la
calma necessaria per concentrarti.”
Lei
sorrise all’immagine creata
da Gibbs. Aveva ragione, lei e Peter erano fatti per stare insieme.
“Grazie,
Capo. Va meglio,
davvero.” Lo rassicurò.
Lui
si alzò e si spolverò i
pantaloni.
“Felice
di esserti stato utile,
pivella. Ora mi dici dove posso trovare del caffè?
È da quando sono arrivato
qui che ne ho una voglia matta.”
Lei
sorrise di nuovo. Il solito
caffeinomane… “Mi dispiace, Gibbs. Qui il
caffè è quasi estinto… ma magari se
chiedi in giro potrebbe esserci del tè.”
Lui
sorrise e si allontanò,
proprio nel momento in cui, nell’altro cortile, atterrava un
elicottero.
Gibbs
entrò e vide il tenente
McGee che correva verso l’elicottero appena arrivato.
Incuriosito, decise di
seguirlo restando a distanza di sicurezza.
Il
giovane tenente corse incontro
a una ragazza poco più giovane di lui. La ragazza aveva i
capelli rossi e un’aria
famigliare.
McGee
la tirò su e la baciò con
una delicatezza sorprendente, vista la sua mole.
Dietro
di loro arrivò una donna.
Aveva una cinquantina d’anni e a Gibbs parve di averla
già vista da qualche
parte. Gibbs la fissò ancora, poi la riconobbe.
“Shannon?”
sussurrò, poi si
avvicinò esitante.
McGee
lo vide, mise giù la
ragazza e disse qualcosa alle due donne. Quando l’uomo si
avvicinò lo guardò di
traverso.
“Credo
che lei le conosca,
signore.” disse il giovane, indicando le due.
“Sì,
ma… dalla mia parte sono…”
non riuscì a terminare la frase e fissò Shannon.
Era ancora stupenda,
nonostante l’età.
La
donna si avvicinò e lo guardò
intensamente.
“Sei
identico a mio marito…”
“Sì,
lo so…” rispose, con un filo
di voce, poi tornò a guardare il tenente, che stringeva
ancora la ragazza.
“E’
il colonnello, ma allo stesso
tempo non è lui. È venuto qui con il figlio del
Segretario. Hai presente quello
che dicono? Dell’altro universo? Loro hanno anche un altro
Tony… ed è ancora
vivo.”
Gibbs
lo guardò. McGee sembrava
più rilassato, più simile al McGee che conosceva
lui.
“Dalla
nostra parte è tutto molto
diverso. Alcune persone sono morte e altre sono ancora vive.”
spiegò al
ragazzo.
“Per
esempio?” domandò la
ragazza, curiosa.
“Tu
sei mia figlia Kelly, vero?”
chiese. Lei annuì.
Lui
fece un respiro profondo e
parlò.
“Tanto
per cominciare Ari
Haswari. È morto sei anni fa.”
“Povera
Kate… sarà distrutta…”
sussurrò Timothy.
L’altro
scosse la testa “Lei è
stata uccisa pochi giorni prima. Dalla nostra parte Ari Haswari era un
terrorista. È stato lui a ucciderla. E sua sorella Ziva ha
ucciso lui. Ora lei
è parte integrante della squadra. È come una
figlia per me.”
Kelly
lo fissò con lo sguardo
intenso della madre, poi si stacco dal fidanzato e si
avvicinò a Gibbs.
“Anche
io e la mamma siamo morte,
vero?” gli domandò.
Gibbs
fece un altro respiro
profondo e annuì. “Siete state uccise 16 anni fa.
Non vi ho mai dimenticato.”
La
giovane lo fissò per qualche
secondo, poi lo abbracciò.
“Mi
dispiace tanto.” disse,
mentre lui la stringeva, come se non volesse mai più
lasciarla andare. Infine
guardò McGee.
“State
insieme?” chiese,
guardandolo serio.
“Sì
signore, da tre anni.”
Rispose il giovane, altrettanto serio. L’altro sorrise.
“Se
sei in gamba almeno quanto il
nostro McGee, allora sei l’uomo giusto per lei.”
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Capitolo 11 *** 10 ***
Intanto
Peter era uscito nel cortile nei pressi dell’eliporto.
Era
in
piedi, con i gomiti poggiati alla ringhiera, e fissava Ellis Island con
aria
assente.
Il
quel
momento sentì atterrare un elicottero.
Lo
fissò
mentre si poggiava a terra e spegneva i motori. Poi vide scendere i
passeggeri.
Uno
di loro,
una donna, lo notò e si fermò a guardarlo. Peter
non ci fece caso subito. Era
ancora immerso nei suoi pensieri, quindi la riconobbe solo quando era a
pochi
metri da lui.
Si
trattava
di Elizabeth Bishop, sua madre. L’unica persona di questo
universo con cui non
ce l’aveva.
Si
girò e le
sorrise.
“Peter…
sei
davvero tu?” gli chiese la donna, incredula.
Lui
si
avvicinò e la abbracciò forte.
“Sì,
sono
io. È bello rivederti.” Le rispose, senza smettere
di sorriderle.
Ma
il
sorriso era solo sulle labbra. Gli occhi rispecchiavano ancora la
tristezza che
sentiva dentro di sé. E questo non sfuggì a
Elizabeth.
“Caro,
sembri triste…” disse lei, carezzandogli la
guancia in modo materno.
Lui
distolse
lo sguardo, cercando di non mostrare il dolore dentro di sé,
ma non riuscì a
ingannarla.
“Dimmi
tutto, tesoro… cosa non va?” lo implorò
la donna.
Peter
fece
un respiro profondo, prima di parlare.
“E’
una
lunga storia… non so da dove cominciare. Sto facendo del
male a una persona, la
persona a cui tengo più al mondo.”
“Andiamo
a
sederci e raccontami tutto.” lo rincuorò lei,
prendendolo sotto braccio e
accompagnandolo a una panca lì vicino. Peter la
lasciò fare, sapeva che con lei
poteva parlare liberamente.
Dopo
che si
furono seduti, Elizabeth lo fissò negli occhi.
“C’entra
una
ragazza?”
Il
giovane
annuì “Mi sono comportato da perfetto idiota,
avrei dovuto vedere…”
“Gli
errori
fanno parte della natura umana. L’importante è
saper porre rimedio.” Lo consolò
la madre.
“Per
questo non
credo che ci sia un rimedio. Inoltre c’è di mezzo
anche un altro innocente.”
La
donna
rimase in silenzio qualche secondo, pensierosa.
“Si
tratta
del figlio dell’agente Dunham?” gli
domandò, guardandolo negli occhi.
Lui
distolse
lo sguardo e annuì distrattamente, torcendosi le mani. Lei
lo fece di nuovo
voltare per guardarlo in viso.
“Sei
il
padre del bambino, Peter?” chiese, con tono dolce e
comprensivo.
L’uomo
fece
un altro profondo respiro, poi, con un filo di voce, finalmente rispose.
“Sì…
fino ad
oggi non sapevo neanche che esistesse…”
Lei
lo
abbracciò, carezzandogli i capelli nello stesso modo che
faceva quando lui era
bambino.
“Mi
dispiace
tanto, figlio mio.” lo rassicurò “Lei
chi è? L’agente Dunham del mondo dove sei
cresciuto?”
Peter
annuì
nuovamente. “Olive è una donna straordinaria. Non
si merita quello che le ho
fatto.”
“Hai
provato
a parlarle?”
“Non
so se
accetterà ancora di rivolgermi la parola, dopo tutto
questo.”
“Se
ti ama
lo farà, e ti perdonerà tutti gli errori che hai
fatto.” gli disse Elizabeth
sorridendo, poi aprì la borsa e prese una cosa, mettendola
delicatamente nella
mano del figlio.
Peter
aprì
il palmo e fissò l’oggetto: un quarto di dollaro
d’argento. Il suo vecchio
quarto di dollaro, la moneta che le aveva regalato prima di venire
rapito,
quando era bambino.
Sorrise,
guardandola stupito.
“Dopo
tutto
questo tempo… la tieni ancora?”
Lei
gli
baciò la fronte, sorridendo “Era la tua moneta
preferita.”
“Te
l’avevo
regalata perché ti portasse fortuna…”
“Ora
serve
più a te. Sai, quel bambino mi ricorda te quando eri
piccolo... eri curioso,
non ti perdevi nulla di quello che ti stava intorno"
L’uomo
si
rabbuiò nuovamente.
“Cosa
devo
fare con lui? Come... Spero davvero che sia come dici tu. Se Olivia non
volesse
più parlarmi la capirei.” Sussurrò,
guardandosi le mani.
"Ora
pensa alla tua Olivia. Henry ha già qualcuno che gli vuole
bene, per il momento."
Rispose, indicando verso l’entrata della Statua, dove Lincoln
stava facendo
volare il piccolo Henry Bishop, il quale rideva felice, allargando le
piccole
braccia.
Peter
li
fissò con un’aria indecifrabile, poi si
voltò verso il mare, nascondendo il
viso alla madre. Lei gli passò una mano sui capelli, dolce,
per farlo
tranquillizzare.
“Peter,
caro… per un genitore è difficile lasciare il
proprio figlio, ma lui starà
bene. Ora pensa alla tua ragazza, alla tua Olive. Lei ha bisogno di te
più di
Henry.”
Il
giovane
sospirò sollevato: parlare con la madre lo stava facendo
sentire meglio.
“Spero
di
trovare le parole giuste perché Olive mi perdoni.”
Elizabeth
lo
guardò, sorridendo orgogliosa.
“Sono
fiera
di te, tesoro. Sei diventato un uomo migliore di tuo padre.”
Lui
scosse
la testa.
“No,
non
sono meglio di lui.” le disse, continuando a guardare il mare.
“Ti
preoccupi per delle vite innocenti.”
Lui
si voltò
di nuovo a guardarla.
“Ma
queste
vite innocenti stanno soffrendo a causa mia.”
Sussurrò “Olive mi ha reso quello
che sono ora. Vederla ogni giorno, vedere quello che riesce a
fare… lei è
speciale, davvero. Ma so come è fatta. Si
chiuderà di nuovo nel suo guscio,
come era tre anni fa, quando l’ho conosciuta. Non mi
darà possibilità di
spiegarmi, anche se non c’è nulla da spiegare,
io… le cose sono fin troppo
chiare. Io sono stato un idiota, punto e basta!”
Lei
lo fissò
in silenzio. Quello sfogo era rivolto più che altro a
sé stesso. Lo aveva
lasciato parlare perché aveva bisogno di sfogarsi.
“Tu
sei un
brav’uomo, Peter. E lei lo sa. Sono certa che ti
avrà già perdonato.”
Lui
scosse
la testa. Non si sentiva affatto un brav’uomo in quel momento.
“Peter…
lei
è venuta fin qui per riportarti indietro.”
Continuò, cercando di guardarlo
negli occhi “Una persona che fa un viaggio del genere, pieno
di pericoli, non
devi lasciartela sfuggire.”
Peter
si
tirò su a guardarla. Aveva ragione. Doveva combattere con
tutte le sue forze
per riaverla indietro.
Elizabeth
capì che il figlio si sentiva meglio e si alzò.
“Pensa
a
quello che ci siamo detti, figlio mio.” poi gli
baciò la fronte e si allontanò,
lasciandolo ai suoi pensieri.
Peter
la
guardò allontanarsi, poi si alzò e
tornò a guardare il mare, vicino alla
ringhiera.
Rimase
immerso nei suoi pensieri per qualche minuto, ma venne riportato alla
realtà
dal lallare allegro di un neonato, alle sue spalle.
Si
irrigidì.
Sapeva chi era a fare quei versi, e non aveva proprio voglia di averlo
vicino,
in quel momento.
“Lui
non ha
colpe.” esordì Lincoln, avvicinandosi, continuando
a tenere il piccolo Henry in
braccio.
Peter
si
voltò lentamente, facendo dei respiri profondi per mantenere
la calma; poi
fissò negli occhi l’agente Lee con
un’espressione glaciale, restando in
silenzio.
“Ci
hanno
presi tutti in giro.” continuò l’altro,
sostenendo lo sguardo del giovane. Il
bambino continuava a fare versi, concentrato sul palmare di Lincoln,
che stava
cercando di smontare.
“Dimmi
perché dovrei crederti.” disse, finalmente, Peter,
con voce ancora più glaciale
del suo sguardo.
“Ho
saputo
dello scambio pochi mesi fa.” spiegò
l’altro “Non sapevo che lei non fosse la
nostra Olivia.”
Il
bambino
fece un verso trionfante, era riuscito ad aprire
l’apparecchio e tirare fuori
le batterie. Peter lo osservava con la coda dell’occhio.
“Raccontalo
a qualcun altro!” esclamò, sorridendo scettico.
“E’
la
verità. Sì, avevo notato alcune differenze, ma
non pensavo… e poi
quell’esaurimento nervoso…” si
giustificò l’agente Lee.
“Esaurimento
nervoso?” ruggì rabbioso Peter “Direi
più che naturale per una a cui stavano
instillando dei falsi ricordi!”
“Ti
giuro…”
cercò di continuare Lincoln “Se l’avessi
saputo, io…”
Peter
fece
un altro respiro profondo. Strinse i pugni; doveva mantenersi calmo,
non aveva
per niente voglia di sentire piangere la creatura in braccio
all’altro, che già
lo fissava spaventato per il tono di voce che aveva sentito poco prima
nelle
parole del padre.
Lincoln
restò per qualche secondo in silenzio, infine
guardò Henry e gli tolse di mano
ciò che restava del suo palmare.
“Fantastico...
me l’ha smontato.” sospirò
demoralizzato, poi tornò a rivolgersi a Peter “Il
Segretario dice che i nostri mondi sono in guerra.”
“No.
Non è
vero. Il nostro universo non è mai stato in guerra con il
vostro.” rispose
Peter, finalmente calmo.
“Ma
tu sei
stato rapito…”
“Walter
mi
ha salvato la vita.”
“Ma
il
Segretario diceva…” cercò ancora di
continuare Lincoln, ma il suo tono di voce
tradiva l’imminente crollo di tutte le sue convinzioni.
“Cosa?”
domandò Peter, cercando di mantenere la calma.
“Diceva
che
avete tentato di attaccarci. Che è colpa vostra se il nostro
mondo sta
morendo.” sussurrò Lincoln, fissando le montagne
di Ambra che si vedevano in
lontananza, nella città e intorno ad essa.
“Interessante,
potrei dire la stessa cosa di voi.” lo accusò il
giovane “Tutto quello che sta
succedendo qui è perché un uomo ha cercato di
salvare suo figlio. Non pensava
quali sarebbero state le conseguenze, non pensava che sarebbe andata
così. E
credimi, non è orgoglioso di quello che ha fatto”
L’agente
Lee
lo fissò per lunghi secondi, poi tornò a guardare
il piccolo, il quale fissava
Peter quasi ipnotizzato.
“Henry
non
ha colpe per quello che è successo.” disse,
prendendolo meglio.
Peter
inspirò profondamente, stringendo ancora di più i
pugni. Stava di nuovo
rischiando di perdere la calma.
“Perché
siete venuti qui, questa volta?” domandò,
finalmente, Lincoln.
Il
giovane
Bishop lo fissò ancora. Non aveva altra scelta, doveva
dirgli la verità.
“Siamo
venuti a salvare una donna, la versione alternativa di una della
squadra.
Stanno facendo degli esperimenti su di lei. Una di noi sa bene di che
si
tratta...” spiegò, mantenendo il tono calmo.
“Esperimenti?
Chi mai potrebbe usare una persona per fare esperimenti?”
Peter
stava
per rispondere, ma il bambino si mosse verso di lui, cogliendolo di
sorpresa.
Il piccolo aveva notato nella tasca della giacca la videocamera
auricolare che
aveva costruito per poter comunicare con Walter e l’aveva
afferrata.
Peter
guardò
il figlio per qualche secondo, poi gli tolse l’auricolare
dalle manine,
evitando accuratamente di toccargli la pelle. Poi si decise a
rispondere
all’agente Lee.
“Chiedi
al
tuo Segretario. Chiedigli cosa ha fatto passare alla mia
Olive!”
“Guarda
che
il bambino non morde!” esclamò l’altro.
Si era accorto del gesto di Peter.
Bishop
non
rispose. Era di nuovo perso nei suoi pensieri.
“Senti,
Bishop…” continuò Lincoln
“Qualunque cosa sia successa tra te e Livvy, Henry
non c’entra.”
Peter
respirava lentamente, per tenersi calmo.
“Non
è affar
mio…” sussurrò, a denti stretti.
“Lui
è tuo
figlio.”
“Dovrebbe
fare qualche differenza? Non sapevo neanche che esistesse fino a poco
fa.” Si
giustificò di nuovo Peter, in tono freddo e distaccato,
quasi crudele.
“Beh,
dovrebbe importarti!” insistette ancora l’agente
Lee “Questo mondo sta
collassando, e lui potrebbe morire da un momento
all’altro.”
Peter
alzò
lo sguardo, gelido e spietato.
“Bene.
Un
motivo in più per cui non avrebbe neppure dovuto essere al
mondo.” ringhiò,
gelido e tagliente.
Lincoln
scattò in avanti, prendendolo per il bavero con la mano
libera.
“Ripeti
quello che hai detto.” lo minacciò.
Peter
lo
fissò per qualche secondo, poi se lo scrollò di
dosso, senza aggiungere altro.
Lincoln
si
allontanò di mezzo passo e prese meglio il bambino, il quale
continuava a
fissare Peter. Quando vide il padre più calmo, gli
offrì le batterie che aveva
smontato dal palmare dell’agente Lee, quasi in segno di pace.
Bishop
lo
fissò, incerto su cosa fare. Sapeva benissimo che quel
bambino era innocente, e
aveva capito cosa volesse fare con quel gesto. Si passò una
mano sul viso,
voltandosi di spalle e poggiandosi alla ringhiera.
“Non
posso…”
sussurrò.
Henry
si
girò a guardare Lincoln, incerto. Poi fece dei piccoli
versi: “Pa… pa…”
Peter
era
ancora girato di spalle. Ma si vedeva che era scosso. Tutto il suo
corpo lo
urlava, anche se lui restava in silenzio.
Lincoln
fece un respiro profondo “Senti, se è vero quello
che hai
detto sul Segretario, Henry non deve restare un minuto di
più in questo mondo.
Devi portarlo via con te.”
Peter
si voltò e lo fissò negli occhi “Tutto
ciò che ti ho detto è
vero. Il segretario vi ha mentito, e continuerà a farlo per
suo tornaconto
personale.”
Era
la verità. Lincoln finalmente gli credette.
“Io
ho accesso a sezioni dell’isola che a voi non sono permesse.
Posso
dare un’occhiata per conto vostro.”
Peter
lo fissò per studiarlo.
“Che
cosa vuoi in cambio?” domandò, finalmente.
“Te
l’ho detto. Porta Henry via con te. Lui deve restare al
sicuro.”
“Con
me non lo sarà.” replicò Peter.
“Non
credo. Se ho capito bene come è fatta la tua Olivia, lei ti
ha
già perdonato. Voi non siete stati gli unici ad essere stati
ingannati.” La
voce di Lincoln era un sussurro. Peter finalmente capì.
“Per
te è più di una collega.” disse.
“Credi
che la mia Olivia sia d’accordo con il Segretario?”
chiese
l’altro, dopo un minuto di silenzio.
Peter
non rispose. Non aveva per niente voglia di parlare di quella
donna.
“Qualcosa
mi dice che abbiamo fatto lo stesso errore di valutazione.”
Concluse Peter. Poi guardò Henry, che era tornato a
concentrarsi sulle batterie
e prese la decisione che avrebbe cambiato tutta la sua vita, e quella
di tutti
i suoi cari, da allora in avanti “Va bene, lui
verrà con me.”
“Grazie,
amico.” disse Lincoln, sorridendo, poi gli porse la mano.
Peter
la strinse in segno di pace, poi fece una cosa che sorprese
anche sé stesso: fece una carezza affettuosa al piccolo.
Henry
gli afferrò la mano e la esaminò attento, poi lo
guardò in
volto.
Peter
gli sorrise. Lo stesso sorriso che riservava a Olivia nei loro
momenti più intimi.
Suo
figlio sorrise a sua volta. Un sorriso che aveva visto solo in una
persona: Olivia, la sua Olive.
Liberato
di un peso, Peter si allontanò.
Guardò
per qualche secondo l’auricolare e poi lo indossò.
Ora era
pronto ad affrontare Walter.
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Capitolo 12 *** 11 ***
Olivia
era in piedi, ancora davanti all’ingresso
principale del Dipartimento della Difesa.
Guardava
distrattamente la città, ripensando a ciò
che le aveva detto Gibbs.
Qualcuno
le si avvicinò da dietro. Olivia si voltò,
sulla difensiva; una donna di una ventina d’anni
più anziana di lei la
guardava, sorridendole. Qualcosa, in quella donna, le dava un senso di
tranquillità, rispetto e sicurezza.
Qualcosa,
in quella donna, le ricordava Peter.
“Ehm…
salve.” la salutò, continuando a guardarla.
“Tu
devi essere Olive.” disse l’altra,
avvicinandosi di qualche passo “Io sono Elizabeth. Sono la
madre di Peter.”
“Olivia.”
la corresse la bionda, sulla difensiva
“Perché è qui?”
“Tranquilla,
cara. Non voglio farti nulla.” la
rassicurò l’altra, in tono dolce “Voglio
solo parlare.”
Olivia
la fissò per qualche secondo. Che intenzioni
aveva quella donna? Era stata mandata da Walternativo? Cosa voleva
ancora da
lei?
Elizabeth
sembrò intuire i suoi pensieri. Fece un
altro sorriso materno.
“Non
sono qui per conto di mio marito, ma per
parlare di Peter… e di Henry.”
La
giovane distolse lo sguardo, che si era
nuovamente fatto scuro. Non conosceva quella donna, perché
avrebbe dovuto
fidarsi di lei? E soprattutto perché avrebbe dovuto parlarle
del suo compagno e
di quel bambino?
“Peter
mi ha detto tutto.” continuò Elizabeth,
avvicinandosi ancora di qualche passo.
“Credo
che queste siano questioni private tra me e
lui.” si giustificò Olivia, senza guardarla ancora.
“Peter
è molto combattuto, Olivia. Non vuole
perderti.” disse l’altra, poggiandole delicatamente
una mano sulla spalla.
Lei
si allontanò di scatto. Non aveva voglia di
essere toccata, in quel momento. Tantomeno da quella donna.
L’altra
non si scompose. Sapeva cosa stava
passando. Decise di continuare a parlarle.
“Sa
che ti sta facendo del male, seppur
involontariamente. Non era sua intenzione. Sa che hai sofferto molto,
ma sa
anche che Henry è un innocente, lui non ha nessuna
colpa.”
“No,
lui no, ma io non posso restare a guardare
mentre quella donna mi rovina nuovamente
l’esistenza!” sbottò, finalmente,
Olivia.
“Non
credo che succederà. Mio figlio non permetterà
che ti venga fatto altro male. Non lo conosco bene quanto te, ma credo
sia un
uomo particolarmente combattivo, quando ci sei tu di mezzo.”
Olivia
la fissò, ancora indecisa se fidarsi o meno
di lei.
“Cosa
dovrei fare allora?” le domandò, finalmente.
“Fidati
di lui, del suo giudizio. Qualunque cosa
deciderà di fare non ti abbandonerà, in ogni
caso. E ricorda che Henry è una
vittima, come te, o Peter.”
“Sì,
ma… e se decidesse di prenderlo con sé?
È suo
figlio, non mio! Sarà sempre lì a ricordarmi
quello che ho passato! E quello
che ha fatto lui nel frattempo.” sussurrò Olivia,
cercando di non piangere.
“Non
dico che sarà semplice, ti dico solo di
fidarti di lui. Il resto verrà da sé. Non
è detto che tu non possa poi
affezionarti a Henry, in fondo ha comunque metà del tuo
patrimonio genetico.”
“Non
è il DNA a fare di noi ciò che siamo
veramente.” la ammonì Olivia.
“No,
ma spesso ci porta a fare scelte inaspettate…
prendi il padre di Peter, quello che l’ha cresciuto, intendo.
Lui ha fatto
certe scelte per salvare una persona che aveva lo stesso identico
patrimonio
genetico del figlio morto. Non voleva che il figlio morisse due volte,
voleva
che continuasse a vivere in qualche modo.”
“Sì,
ma così facendo ha tolto un figlio ai suoi
veri genitori.”
“Dimmi
una cosa. Come definisci un genitore?”
chiese, inaspettatamente, Elizabeth alla giovane donna.
Olivia
fece un respiro profondo, prima di
rispondere.
“Dannazione…
proprio una bella domanda…” sussurrò
tra sé Olivia.
“Credi
che Peter sarebbe diventato l’uomo che
conosci, se fosse rimasto qui, con me e mio marito?”
Olivia
ci pensò su in silenzio. Peter sarebbe stato
lo stesso? No. Non si sarebbero neanche conosciuti, se non fosse stato
rapito
da Walter, e lei non sarebbe stata la donna che era ora,
perché era per merito
di Peter se era riuscita a superare alcune situazioni che si erano
create negli
ultimi tre anni.
“Cosa
devo fare allora?” chiese, dopo un po’, la
bionda.
“Credere
in Peter e continuare ad essere la donna
forte che lui ha imparato ad amare. Lui dice che sei
speciale.” disse
Elizabeth, sorridendo.
“Non
ho nulla di speciale, io.”
“E’
il vostro amore ad esserlo.” La rassicurò
l’altra “Pensaci. Cosa ti ha spinto a venire da
questa parte, sei mesi fa?”
Olivia
non rispose. Non voleva pensare a ciò che
era successo. Quello era stato l’inizio di tutti i guai.
“Quando
parla di te ha una luce negli occhi… è come
se vivesse in funzione di te, come se non potesse sopravvivere a lungo
lontano.” continuò l’anziana donna,
guardando Olivia negli occhi.
Olivia
sorrise “E’ la stessa cosa che ha detto il
Capo.”
“Allora
non sono l’unica ad averlo notato. Pensaci,
Olivia.”
Lei
non rispose. Le fece solo un sorriso cordiale e
tornò a guardare la città.
Elizabeth
le fece una carezza materna e si
allontanò in silenzio.
Dopo
qualche minuto prese una decisione.
Tornata
dentro il Dipartimento della Difesa,
camminò con passo svelto lungo i corridoi, evitando
accuratamente l’ufficio del
Segretario e altre aree che le facevano emergere brutti ricordi.
Arrivata
all’ingresso secondario, trovò Peter che stava
rientrando.
Olivia
di fermò a qualche passo di distanza. Lui la
fissò, indeciso su cosa fare.
“Peter…
dobbiamo parlare.” cominciò lei.
Lui
la fissò per qualche altro secondo, poi annuì e
si avvicinò, cauto.
Lei
si guardò intorno, poi gli fece strada verso
una stanza vuota poco lontano.
Peter
la fece entrare per prima, poi entrò lui e
chiuse la porta senza mai voltarle le spalle.
Lei
tenne lo sguardo basso, mentre incrociava le
braccia, cercando la cosa giusta da dire.
Peter
la fissò, in attesa. Era chiaro che fosse
arrabbiata… ne aveva tutte le ragioni. Avrebbe capito se gli
avesse detto che
non voleva più vederlo.
“Peter…”
cominciò, finalmente, dopo un lungo e
snervante silenzio “Peter, il problema non siamo
noi… il problema sono le vite
innocenti che sono state trascinate in questa assurda
storia.” fece un respiro
profondo, poi lo guardò negli occhi “Non
è di quello che è successo tra noi che
dobbiamo parlare. Di quello ne abbiamo già parlato
abbastanza. È che dobbiamo
prendere una decisione, e dobbiamo farlo insieme. Da questo
dipenderanno le
vite di molti innocenti; di Gibbs e della sua squadra,
dell’Abby di questa
parte, di noi due, e di tuo… tuo figlio.” le
ultime due parole furono un
sussurro.
Peter
attese che ebbe finito, prima di parlare.
“Vedi,
non riesci neanche a considerare l’esistenza
di mio figlio. E non ti do neanche torto: neanche io sapevo della sua
esistenza, fino ad oggi.” fece un profondo respiro. Era teso,
doveva calmarsi
“L’hai detto, ci sono in ballo molte vite
innocenti. Me ne rendo conto anche
io. Anche tu sei un’innocente. Sono arrabbiato con me stesso
perché ti sto
facendo del male, e non era mia intenzione. Io non… sono un
vero idiota.”
concluse, distogliendo lo sguardo.
Lo
sguardo di Olivia si addolcì. Gli carezzò la
guancia per farlo di nuovo voltare verso di lei. La barba pungeva
leggermente,
ma non ci fece caso.
“Ehi…
ne abbiamo già parlato. Tu non sei un idiota.
Io ti capisco, so cosa è successo.” la sua voce
era sicura. Sembrava l’Olivia
forte e determinata di sempre, ma quella punta di insicurezza non
sfuggì a
Peter.
“Olive…”
cercò di consolarla Peter.
La
guardò negli occhi. Era turbata, e si stava
richiudendo a guscio. No, non stava andando affatto bene. Se si fosse
chiusa
l’avrebbe persa.
“Olivia,
ascoltami. Non possiamo negarlo, tutto
questo riguarda anche noi, anche se tu dici il contrario. Come
faccio…”
sussurrò, avvicinandosi leggermente e con fare cauto alla
compagna.
“Non
sto dicendo il contrario, lo so benissimo che
riguarda anche noi, ma in questo momento non me la sento…
non voglio decidere
per me stessa, o per noi… è già
abbastanza difficile così…”
“Non
è facile neanche per me. tutta questa storia…
dovrò conviverci per il resto dei miei giorni. Cosa dovrei
pensare. Come dovrei
reagire secondo te?” il suo tono di voce sembrava disperato e
demoralizzato
allo stesso tempo.
Olivia
lo guardò intensamente negli occhi, prima di
parlare.
“Peter,
io per te ci sarò sempre.” lo rassicurò
“Va
tutto bene, davvero.” accennò un sorriso, quello
che aveva davanti era l'uomo
che amava, che l'aveva salvata da se stessa e che avrebbe fatto di
tutto per
lei. Adesso si sentiva forte di nuovo “Che facciamo ora? Ci
serve un piano.”
Peter
annuì. Voleva parlarle del dialogo che aveva
avuto con Lincoln.
“Ho
preso accordi con uno della Fringe Division.
Dice di aver accesso ad aree di Liberty Island diverse rispetto a
quelle che
possiamo avere noi ora. Gli ho raccontato della donna, di quello che
è successo
a te e quello che sta subendo lei. Se non torna con maggiori
informazioni penso
che andrò personalmente a cercarla.”
“Chi
è? Perché dovrebbe volerci aiutare?”
chiese la
donna.
“Se
ho capito bene com'è fatto anche lui non ama
che le vite degli innocenti vengano messe in pericolo. Si tratta di
Lincoln
Lee.”
“Ok…”
annuì Olivia. Sapeva benissimo di chi stava
parlando “Va bene, ci parlerò io.”
“Un
momento, Olive… mi ha chiesto una cosa in
cambio.”
“Che
cosa?” aveva paura di sentire la risposta, ma
si impose di mantenere la calma.
“Devo
prendere il bambino, Henry, con me, e devo
tenerlo al sicuro nel nostro mondo.”
Olivia
distolse lo sguardo. Pensava di essere
preparata a tutto, ma si sbagliava.
“Va…
va bene.” sussurrò, a mezza voce.
Peter
percepì le emozioni della donna. Le carezzò
la guancia; lei si calmò, e lui potè parlare.
“Non
ti sto chiedendo di essere madre. Non lo
sarai, se non vuoi. Neanche io mi sento pronto per diventare padre, ma
devo
tenerlo al sicuro, lui è un innocente. Farei lo stesso anche
se non fosse mio
figlio.”
Olivia
annuì. Aveva ragione, dovevano proteggere un
innocente.
Spossata
dagli eventi, si abbandonò tra le braccia
di Peter, soffocando i singhiozzi e ricacciando indietro le lacrime.
Intanto
Tony camminava zoppicando, reggendosi a
Ziva, lungo i corridoi del Dipartimento della Difesa.
Volevano
almeno esplorare il posto, visto che erano
rinchiusi prigionieri all’interno di quella versione strana
della Statua della
Libertà.
Avevano
lasciato poche stanze prima McGee, che si
era immerso in un tecno-dialogo che capivano solo loro con la versione
di
Astrid di questa parte, e si erano incamminati lungo il corridoio che
andava
verso gli appartamenti degli ospiti, dove ne era stato assegnato loro
uno.
Tre
persone, un uomo e due donne, svoltarono
l’angolo e camminarono verso di loro. Ziva e Tony si
fermarono di scatto: erano
Ari, con la moglie Kate, in avanzato stato interessante, e la versione
da
questa parte di Ziva, che sembrava molto più magra e fragile
della donna che
ora stava reggendo Tony, in modo che non cadesse lungo disteso sul
pavimento.
Quando
i tre li videro, si avvicinarono. Ari li
presentò.
“Ziva,
Tony… loro sono mia moglie Kate e mia
sorella…”
“Sì,
sappiamo chi sono.” si affrettò a dire Ziva
“Però tu e Kate dalla nostra parte siete
morti.”
A
queste parole, la donna in stato interessante
sbiancò. Ari dovette reggerla per evitare che perdesse i
sensi.
“Ziva,
datti una calmata… lui non è davvero tuo
fratello, è solo un’altra versione di
lui.” La ammonì Tony.
“Una
versione rammollita… come anche l’altra
versione di me…” e fissò
l’altra Ziva, che restava a testa bassa, stringendo la
custodia di un DVD.
Tony
lo notò subito e glielo prese di mano per
guardarlo.
“Inception?
Gran bel film! E un grande Leonardo di
Caprio.” cominciò, con un gran sorriso sulle
labbra.
“Leonardo
di Caprio? Che c’entra Pacey di Dowson’s
Creek?” chiese l’altra Ziva “Il
protagonista di Inception è Joshua Jackson!”
“Oh…”
esclamò Tony, interdetto “A quanto pare qui
le cose sono un po’ diverse… posso prenderlo per
vederlo?”
La
giovane guardò il fratello, che annuì e si
allontanò con le due donne.
“Bene,
a quanto pare stasera abbiamo qualcosa da
fare!” esclamò, trionfante, l’agente
DiNozzo, mostrando il DVD.
Ziva
sospirò e lo accompagnò in camera.
Non
era ancora arrivato nessuno dei compagni,
quindi si sistemarono sul divano, Tony disteso meglio che poteva e Ziva
accanto
a lui, e si misero a guardare il film.
Dopo
un po’ Tony aveva capito che era praticamente identico
all’originale, quindi decise di osservare la donna, che si
era accoccolata
sulla sua spalla. Le tirò indietro i capelli e le sorrise.
“Oggi
mi è sembrato quasi di tornare indietro nel
tempo, sai?” disse, senza smettere di fissarla.
“Ah…
a quando?” domandò distrattamente.
“Alla
Somalia.”
Finalmente
Ziva si girò verso di lui.
“Tony…”
cominciò.
“Non
mi sono dimenticato di quello che ho detto
sotto l’effetto del Penthotal, solo…”
Ziva
lo zittì poggiandogli un dito sulle labbra,
poi si avvicinò di più.
Erano
incredibilmente vicini.
In
quel momento la porta si aprì e Ziva si
allontanò di scatto.
Peter
entrò, abbracciando Olivia per le spalle. Li
vide con la coda dell’occhio, poi prese dalla tasca e
lanciò l’auricolare a
Tony, prima di entrare nella stanza da letto con la compagna.
Non
voleva essere disturbato, quella notte.
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Capitolo 13 *** 12 ***
Quando
si svegliò, Tony sentiva dolori ovunque.
In
particolare, a ogni respiro sentiva male alle costole; forse ne
aveva un paio incrinate, e quel peso che sentiva sul petto non
migliorava la
situazione.
Aprì
lentamente gli occhi. Una debole luce filtrava da dietro le
tende, e tutti erano ancora addormentati.
Gibbs
era steso sul pavimento, avvolto nel sacco a pelo, vicino
all’ingresso dell’appartamento, e McGee dormiva
sotto la finestra. Ziva,
invece, era stesa sul divano con lui, con la testa poggiata sul suo
petto. La
coperta la copriva fino al naso.
Che
strano… non ricordava di aver preso la coperta, la sera
prima.
Probabilmente il Capo gliel’aveva buttata addosso quando era
rientrato, mentre
dormivano.
Guardò
la porta della stanza da letto. Era chiusa; forse Peter e
Olivia stavano ancora dormendo, sempre che avessero dormito…
Provò
a muoversi, cercando di non svegliare la donna che dormiva con
lui, ma un’improvvisa fitta alle costole lo fece sussultare.
Ziva
aprì gli occhi e lo fissò.
“Stai
bene, Tony?” gli chiese, preoccupata.
“Se
ti spostassi da quello che rimane delle mie costole andrebbe
meglio… grazie…” sussurrò,
dolorante.
“Scusa…”
disse lei, affrettandosi a spostarsi da quella posizione.
“Vi
siete svegliati?” chiese Gibbs, alzandosi da terra e piegando
il
sacco a pelo.
“Sì,
Capo…” si affrettò a rispondere Tim,
tirandosi su a sua volta.
Tony
si mise meglio sul divano e fece dei respiri profondi, poi
provò
ad alzarsi, senza successo.
In
quel momento Peter uscì dalla stanza da letto, con addosso
solo i
suoi jeans neri.
“State
tutti bene?” chiese, guardando fuori dalla finestra, senza
aprire le tende.
“Insomma…”
si lamentò DiNozzo.
Peter
sorrise e lo aiutò ad alzarsi.
“Se
volete di là c’è una doccia…
poi dopo vado a cercare una persona,
che è dalla nostra parte…”
“No,
va bene così…” disse Gibbs, finendo di
mettere a posto il sacco a
pelo.
In
quel momento bussarono alla porta.
Olivia
uscì dalla stanza e raggiunse il compagno, mentre Gibbs
andava
ad aprire.
Lincoln
entrò, con aria circospetta.
“Trovato
qualcosa?” gli chiese Peter.
Lincoln
scosse la testa e prese il suo tablet, poi lo posò sul
tavolo.
“Devo
sapere dove avete visto quella donna.” Disse, poi
aprì un file
con le cartografie degli edifici di Liberty Island.
Tony
si alzò a fatica e si avvicinò, zoppicando, al
resto del gruppo.
“La
vostra Statua della Libertà poggia su un piedistallo
più basso, ma
il livello dell’isola è più alto. Credo
sia una stanza del piano interrato.”
Informò, poggiandosi a Ziva per riuscire a stare in piedi.
Tony
fissò la piantina, poi guardò i due colleghi che
erano con lui
due giorni prima, quando avevano visto l’altra Abby.
“Questa
mappa è incompleta.” disse Ziva, intuendo i
pensieri del
collega.
“Siete
sicuri?” domandò Lincoln, fissando ancora la mappa.
McGee
annuì e indicò un punto “Dalla nostra
parte ci sono ancora due
sale qui.”
“Ok,
qualcosa non va davvero…” disse tra sé
l’agente Lee “dovrò fare
un giro da quelle parti e dare un’occhiata.”
“Se
ti serve un diversivo…” si offrì Gibbs.
“Io
non mi faccio più picchiare da McTerminator. Mi chiamo
fuori!”
protestò DiNozzo.
Peter
fissò la piantina sullo schermo, poi si rivolse di nuovo
all’agente Lee.
“Noi
abbiamo accesso alle sale segnate su questa mappa?”
Lincoln
annuì “Cosa hai in mente?”
“Noi
abbiamo qualcuno che quelle due stanze le ha viste.” Rispose
il
giovane, guardando la compagna, che aveva assunto
un’espressione terrorizzata
non appena aveva capito cosa aveva in mente Peter
“Tranquilla, verrò con te.”
La rassicurò.
“Verrò
anche io con voi.” Si impose Gibbs.
Peter
lo guardò, poi annuì.
“Va
bene. Prepariamoci, allora.”
Lincoln,
però, frenò il suo entusiasmo.
“Ricordati
il patto, Bishop!”
“Non
l’ho dimenticato.” Rispose l’altro,
poggiando una mano sulla
spalla di Olivia, che era diventata improvvisamente scura in volto. Poi
tornò a
rivolgersi a Lincoln, determinato “Piuttosto, tienimi lontano
la madre. Oppure
non risponderò delle mie azioni.”
Lincoln
annuì e abbassò gli occhi sullo schermo
“Se riuscirete nel
piano dovrete sparire il più in fretta possibile. Tuo figlio
sarà nell’ufficio
del segretario, dovrai andare a prenderlo lì.”
Peter
annuì, fece un respiro profondo e guardò i
compagni.
“Va
bene. D’accordo, che sia chiaro per tutti: andrò
da solo a
prenderlo, vi raggiungerò dopo con lui.”
“No.
Ziva verrà con te.” obiettò Gibbs
“Potrebbe essere una trappola,
e se c’è il bambino di mezzo tu potresti non
essere in grado di proteggere te e
lui.”
“Ma,
Capo…” cercò di ribattere
l’israeliana.
Ma
Tony aveva capito cosa intendeva fare Gibbs.
“Tu
sei la variabile imprevedibile. Loro non hanno ancora visto cosa
sei capace di fare. Non sanno che sei in grado di uccidere una persona
solo con
una graffetta.”
Lincoln
annuì “Ora ci serve un diversivo.”
Guardò il gruppo, poi si
fermò su Tony “Quanto sono gravi le tue
ferite?”
“Credo
di avere qualche costola incrinata… non è troppo
grave.”
Rispose l’uomo, dopo un attimo di silenzio.
“Bene.
Il Segretario ha ordinato di trattarvi bene. Non credo che ti
negherà l’uso dei dispositivi di guarigione
dell’infermeria.” Tornò a
rivolgersi a Peter “In questo modo avrete un paio
d’ore di libertà d’azione.”
Peter
annuì. Era concentrato sulla mappa, e non mollava Olivia,
che si
era ormai completamente rilassata.
“Va
bene. Tu però stai lontano da noi. Non devono scoprire che
ci stai
aiutando. Sono già coinvolti troppi innocenti.”
“A
questo punto non mi importa più di tanto se ci scoprano o
meno.”
ribadì l’agente Lee.
Peter
lo fissò, cercando di decifrare i suoi pensieri. Aveva lo
sguardo di un uomo disposto a fare tutto ciò che era in suo
potere per salvare
degli innocenti, disposto anche a giocarsi la vita. Loro erano
più simili di
quanto Peter pensasse.
Olivia
li fissò. Peter era fortemente determinato.
Questo diede finalmente anche a lei la forza di reagire.
“Quando
andiamo?”
“Anche
subito.” Rispose il suo compagno, poi guardò
Lincoln, che riprese le sue cose ed uscì di corsa.
Gibbs
cominciò a dare ordini: McGee avrebbe
accompagnato Tony all’infermeria, mentre lui e Ziva avrebbero
raggiunto i
sotterranei.
Peter
guardò l’israeliana. Aveva già capito
che era
una donna forte, come la sua Olive. Probabilmente aveva avuto anche lei
un
passato tormentato, ma che stava lentamente superando. In quel momento
il suo
sguardo era preoccupato. Era preoccupata per Tony. Quei due erano
esattamente
come erano stati lui e Olive prima che lei lo venisse a recuperare,
dopo che
Peter aveva scoperto la verità sul suo passato, su chi fosse
veramente.
Finalmente
si divisero. McGee portò Tony in
infermeria. Gli altri attesero qualche minuto e poi si incamminarono
verso i
sotterranei, senza dare troppo nell’occhio.
Olivia
guidava il gruppo. Peter non la mollava,
mentre i due agenti facevano da scorta, pronti ad agire.
Dopo
un po’ arrivarono alla prima delle sale
fantasma, quella corrispondente all’atrio della Statua della
Libertà dell’altra
parte.
Appena
superata la porta si bloccarono. Peter non si
aspettava di vedere quello che aveva di fronte.
Un
grosso marchingegno strano, con due bracci nella
parte superiore e due nella parte inferiore, troneggiava nel centro
della sala.
Olivia
e Peter sapevano cos’era. Si fissarono a
lungo, poi finalmente Olivia parlò.
“Peter…
ti sanguina il naso…”
L’uomo
si toccò il naso, che effettivamente stava
sanguinando.
Era
confuso. Cosa diavolo stava succedendo?
Improvvisamente
tutto si fece scuro.
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Capitolo 14 *** 13 ***
Quando
Peter si riprese sentiva un forte mal di
testa.
Era
rimasto incosciente per parecchio tempo, e
ancora sentiva che tutto girava, attorno a lui.
Aprì
gli occhi, ma li richiuse subito: troppa luce.
Inoltre
i rumori e le voci attorno a lui erano
troppo alti, e gli davano fastidio, facendogli aumentare
l’emicrania.
Qualcuno
gli prese la mano, e una voce famigliare
lo intimò di non muoversi.
Non
riusciva a identificare di chi fosse, però
sapeva di conoscere quella voce.
Si
impose ad aprire gli occhi. Una donna bionda,
avvolta in una forte luce, lo guardava preoccupata, stringendogli la
mano.
Quegli occhi, quei capelli, e quell’espressione…
finalmente ricordò tutto.
“Olive…”
sussurrò, appena percettibile.
“Peter…
finalmente… sei stato incosciente per tre
giorni…” disse lei, prendendogli delicatamente il
viso tra le mani.
L’uomo
cercò di alzarsi, ma un’altra mano lo
fermò.
Peter fissò il proprietario della mano: Gibbs, il vecchio
capo di Olivia.
“Stai
giù, ragazzo. Non alzarti finchè non ti sei
ripreso del tutto.” lo intimò l’altro,
con un tono che non ammetteva repliche.
“Sto
bene…” protestò Peter, cercando di
tirarsi su.
Ma
l’altro lo bloccò al letto con una mossa da
Marine esperto e lo guardò negli occhi.
“Mi
dispiace, ordini del dottore.” Si giustificò,
con voce ferma, indicando la telecamera auricolare, che aveva addosso.
“Walter,
sto bene.” disse Peter, rivolto alla
telecamera “Non dobbiamo perdere altro
tempo…”
“Non
sto mica parlando di Walter.” Lo corresse
Gibbs “Lui è da ieri fuori gioco. Secondo Abby ha
assunto qualche tipo di droga
e si è addormentato di colpo. Non si sveglierà
per un po’. Sono ordini del
nostro dottore, il dottor Mallard.”
“Al
diavolo il dottor… come si chiama!”
esclamò
Peter, alzandosi di scatto, cercando di ignorare le vertigini.
Si
guardò intorno. La stanza in cui erano rinchiusi
aveva tutta l’aria di essere una cella di una prigione, con
tanto di porta
blindata e pareti bianche e spoglie.
“Maledizione…”
ringhiò a denti stretti.
“Walternativo
ci ha scoperti e ci ha fatto
internare qui.” spiegò Olivia, poi lo
guardò negli occhi “Peter, che cosa ti
è
successo? Hai perso i sensi… e avevi le
convulsioni…”
Peter
la fissò confuso. Non si ricordava
assolutamente nulla. Solo la macchina, il sangue dal naso…
poi più nulla, tutto
nero.
“Non
lo so… la macchina…” cercò
di spiegare.
“Intendi
quella cosa che si è attivata non appena
tu ti sei sentito male?” chiese Ziva, che stava cercando di
guardare fuori
attraverso una finestrella scura sul muro.
Peter
sembrò ancora più stupito. La macchina aveva
reagito alla sua presenza? Allora era vero quello che aveva scoperto
sei mesi
prima: la macchina era progettata per funzionare unicamente con lui.
“Dobbiamo
uscire di qui.” disse, finalmente,
facendo un respiro profondo e cercando di ritrovare un minimo di calma
per
poter ragionare con più lucidità.
Esaminò
ancora l’ambiente, soffermandosi
principalmente sulla finestrella e sulla porta blindata.
“Ogni
quanto tempo portano da mangiare?” chiese,
alla fine.
“All’incirca
ogni otto ore.” rispose Tony, avvicinandosi
a Ziva e cercando anche lui di guardare fuori dalla finestrella.
“Usano
l’apertura di servizio.” Completò McGee,
indicando una finestrella sulla porta.
Peter
si avvicinò alla porta ed esaminò
l’apertura.
In quel momento era chiusa. Provò ad aprirla, ma sembrava si
potesse aprire
solo dall’esterno.
Infine
gli venne un’idea. Guardò le due donne, poi
si avvicinò a Ziva e le prese una forcina dai capelli, la
piegò e la modellò
fino a creare un piccolo oggetto appuntito. Infine si tolse la cintura
e la annodò
a cappio.
“Questo
ragazzo è meglio di McGyver!” esclamò
Tony,
osservandolo.
Peter
non rispose alla provocazione e si rivolse a
Gibbs.
“Se
non ho fatto male i conti, dovrebbero arrivare
a momenti con il cibo.”
Gibbs
annuì “Che hai in mente?”
“Ho
in mente di scappare.” Disse il giovane,
sistemandosi accanto alla porta, in attesa.
Poco
dopo, puntuale, arrivò il pranzo. Peter fu
fulmineo: ferì il braccio dell’uomo piantandogli
la forcina nella carne, poi lo
bloccò con la cintura. Infine, passando la mano attraverso
la fessura, riuscì
ad aprire la porta.
Quando
furono tutti fuori, il giovane fissò per
qualche secondo il soldato che aveva aggredito. Era disteso a terra,
privo di
sensi. Peter gli assestò un calcio, per essere sicuro che
non si riprendesse a
breve, poi corse via per i corridoi, seguito dagli altri.
Si
fermò sul fondo del corridoio e ascoltò il
silenzio per qualche secondo, poi si avvicinò a
un’altra cella e la aprì di
scatto.
Si
fermò e fissò la donna che era rinchiusa dentro,
che lo fissava a sua volta, rannicchiata sul letto, tremante e
impaurita.
“Gibbs,
è lei la donna che cercate?” chiese, in
tono fermo, facendo un passo indietro.
Gibbs
si avvicinò e fissò la donna. Era proprio
Abby. Annuì e fece qualche altro passo verso la porta, ma
Peter lo fermò e
guardò Olivia.
Lei
non disse nulla ed entrò, poi si sedette sul
letto e cominciò a parlarle con calma.
“Tranquilla,
Abigail. Non vogliamo farti nulla.
Siamo qui per riportarti a casa.”
“C…
come fai a conoscere il mio nome?” chiese
l’altra, ancora terrorizzata.
“E’
una lunga storia. Ma tu devi fidarti di noi.
su, andiamo via.” Le sorrise e le porse la mano.
Abigail
esitò, poi la prese. Olivia la accompagnò
fuori, senza lasciarle la mano. Peter le guardò per qualche
secondo, sorridendo
alla compagna, poi si guardò intorno.
“Ora
dobbiamo trovare il modo di andarcene da
quest’isola.”
“Usate
la barca. Vi coprirò io.” disse una voce
alle loro spalle. Tutti si girarono allarmati, ma si rilassarono appena
videro
Lincoln.
Bishop
annuì e si avvicinò all’altro. Si
fissarono
per qualche secondo, poi l’agente Lee parlò.
“Henry
è nell’ufficio del Segretario, ma non lo
lasciano mai solo: ha la febbre alta da tre giorni e non riescono a
farla
abbassare.”
Peter
sbiancò in volto. Doveva comunque portarlo
via da lì. Appena tornati dall’altra parte ci
avrebbe pensato Walter a
guarirlo. Ma non poteva andare a prenderlo da solo, soprattutto se
c’era sempre
qualcuno col figlio. Era troppo rischioso. Fissò i compagni
di viaggio, in
cerca di un aiuto.
Gibbs
si avvicinò a Peter e gli poggiò una mano
sulla spalla.
“Tu
vai. Noi portiamo al sicuro Abby e ti
raggiungiamo.”
Peter
annuì e prese la pistola dalla fondina di
Lincoln, ma prima che lui potesse protestare era già sparito
in direzione
dell’ufficio di Walternativo.
Arrivato
al piano, si fermò davanti alla porta ed
impugnò meglio la pistola. Fece qualche passo avanti e poi
la spalancò con un
calcio.
Walternativo
era in piedi accanto a una carrozzina.
Insieme a lui c’era anche la rossa, che fissava il bambino
dentro la carrozzina
con aria preoccupata, facendogli delle carezze materne.
“Allontanatevi
dal bambino.” disse, minaccioso,
puntando loro contro la pistola.
I
due si guardarono, poi fecero un passo indietro,
allontanandosi dalla carrozzina.
Peter
si avvicinò cauto, continuando a puntare su
di loro la pistola, e, con delicatezza, usando il braccio libero, prese
il
bambino.
Henry
scottava, ed era sudato, nonostante non
facesse troppo caldo e non fosse troppo vestito. Aprì gli
occhietti e fissò suo
padre, facendo un verso malaticcio.
Peter
lo fissò per qualche secondo.
“Tranquillo.”
sussurrò, in tono paterno,
sorprendendo anche sé stesso “Ora ti porto via da
qui, da una persona che potrà
curarti.”
Mentre
era concentrato sul piccolo, però, aveva
abbassato la pistola. Walternativo e la rossa si scambiarono uno
sguardo, e
quest’ultima estrasse la sua arma.
Ma
prima che potesse fare altro, qualcuno alle
spalle di Peter sparò due colpi.
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Capitolo 15 *** 14 ***
Il
rumore degli spari spaventò il piccolo Henry,
che scoppiò a piangere forte. Peter lo cullò,
cercando di farlo calmare, senza
curarsi del fatto che Gibbs gli aveva tolto la pistola di mano e
l’aveva
puntata contro Walternativo, mentre Lincoln fissava, con gli occhi
lucidi, il
corpo della rossa, che aveva appena ucciso.
Quando
il bambino si fu calmato, Peter alzò gli
occhi, guardando il Segretario con un’espressione tormentata.
Walternativo
teneva le mani alzate e fissava un po’
Gibbs, che gli puntava contro la pistola, e un po’ il figlio.
“Che
cosa gli hai fatto?” chiese Peter, prendendo
allo stesso tempo l’auricolare che gli passava Gibbs.
“Io
nulla.” rispose il Segretario “Sei stato tu.
Tuo figlio ha una malattia genetica, la stessa che avevi tu da bambino.
Sta
morendo. Non esiste cura.”
“Ti
sbagli. Io sono sopravvissuto. Se quello che
dici è vero, so cosa fare, ma devo farla in
fretta.” disse il giovane, poi
parlò all’auricolare “Walter! Sei
sveglio?”
“Sì,
figliolo, sono qui!” rispose l’altro,
dall’altra
parte dell’auricolare.
“Per
favore, dimmi che ti ricordi come mi hai
curato!” lo implorò, mentre usciva
dall’ufficio, di corsa, seguito dagli altri.
“S…
sì, ma… è una corsa contro il
tempo…” balbettò
il dottor Bishop.
“Noi
stiamo tornando ora a Central Park. Ci
metteremo un po’ ad arrivare. Fai preparare tutto alla
Massive Dynamics.”
ordinò il giovane, poi uscì nel cortile centrale
e si fermò, guardando il mare.
Non aveva ancora presa in considerazione la traversata.
“Venite!
So come uscire dall’isola!” disse Lincoln,
poi salì su una delle barche, dove era già pronto
un furgone, e accese i
motori.
Tutti
salirono sul retro del furgone, mentre la
barca sfrecciava a tutta velocità verso Manhatan.
Peter
non mollava il figlio, che gli aveva
afferrato un dito con la minuscola manina e si era addormentato
tranquillo.
Olivia li fissava, indecisa su cosa fare.
Era
combattuta. Quel bambino aveva creato un sacco
di problemi tra loro, ma non era colpa sua, era innocente. Era il
figlio della
donna che le aveva portato via la vita, ma era anche il figlio
dell’uomo che
amava. Non sapeva come comportarsi.
Improvvisamente
un’esplosione la riportò alla
realtà. Guardò fuori dal finestrino del furgone e
vide un fumo giallo che
usciva dalla base della Statua della libertà, per poi
solidificarsi. Ambra.
Probabilmente
Lincoln aveva piazzato delle cariche
e le aveva fatte esplodere non appena erano tutti al sicuro. Ottima
mossa!
Nessuno avrebbe più potuto usare la macchina, da questa
parte.
Dopo
un po’ arrivarono a riva. Lincoln salì al
posto di guida e sfrecciò lungo le vie della
città, a sirene spiegate, in
direzione di Central Park.
Quando,
finalmente, arrivarono al punto
prestabilito, scesero dal furgone. Peter fissò Lincoln e
Abigail.
“Non
possono restare qui. È troppo pericoloso.”
sentenziò.
“Verranno
con noi, poi penseremo cosa fare. Ora è
più importante salvare il bambino.” lo
rassicurò Gibbs.
Il
giovane annuì, poi si massaggiò gli occhi. Il
mal di testa gli era tornato. Ora doveva cercare di concentrarsi,
mantenere la
calma e aiutare Olivia a ritrovare la pace interiore, per poter
riportare tutti
sani e salvi a casa. Fissò la donna. Anche lei era agitata.
Henry
si era svegliato. Aveva ancora la febbre ma
era tranquillo. Probabilmente si sentiva al sicuro. Allungò
la manina e toccò
il viso del giovane padre.
Il
mal di testa gli passò all’istante, e Peter si
sentì incredibilmente calmo e rilassato. Si
avvicinò alla compagna e le fece
una leggera carezza.
“Olive,
devi riportarci a casa.” le disse, calmo.
“Io
non… non ci riesco…”
balbettò lei, cercando di
non cedere al panico.
Gibbs
si avvicinò alla coppia, poi si rivolse a
Peter “Magari Abby può dare una
mano…”
Peter
lo fissò, poi annuì.
“E’
un’ottima idea. Hanno fatto lo stesso quando
sono venuti la scorsa volta.” poi guardò Abigail,
che si era messa leggermente
in disparte, e le fece cenno di avvicinarsi.
Lei
si avvicinò, intimorita, poi Peter le spiegò
cosa doveva fare.
Le
due donne si concentrarono e, dopo un attimo,
vennero tutti investiti da una leggera onda di energia.
Quando
riaprì gli occhi, Gibbs per prima cosa
guardò in direzione dell’Empire State Buildings e
di Ground Zero. Niente Torri
Gemelle e, soprattutto, niente dirigibili. Ce l’avevano
fatta, erano tornati a
casa.
Un’ambulanza
con il logo della Massive Dynamics si
fermò vicino a loro. Le porte si aprirono e ne
uscì Astrid.
“Veloci!”
li chiamò la donna “Walter ci aspetta
alla Massive Dynamics!”
Peter
non se lo fece ripetere due volte: era già
salito prima che l’agente Fansworth terminasse la frase.
Quando
furono tutti a bordo, l’ambulanza partì.
Dopo dieci minuti erano già nel garage
dell’azienda. Peter fu di nuovo il primo
a scendere, e corse verso gli ascensori che portavano ai laboratori
medici.
Arrivati
al piano, trovarono Nina Sharp, il
vicepresidente dell’azienda, che, senza fare domande, li
scortò fino al
laboratorio dove Walter aveva allestito tutto.
“Walter!
Presto!” lo richiamò Peter “Ha la febbre
molto alta…”
“Mettilo
a letto. Ho già preparato tutto.” lo
rassicurò, indicando il lettino con le sponde al centro
della stanza.
Peter
adagiò il piccolo nel lettino. Appena lo
lasciò, Henry fece un lamento e lo fissò
impaurito. Non voleva che lo
abbandonasse. Aveva paura.
Peter
lo fissò, indeciso su cosa fare. Poi si voltò
verso Olivia. Era sulla porta, assieme al resto della squadra, ma era
leggermente in disparte. Aveva un’espressione combattuta.
Lui
fece un respiro profondo e le fece cenno di
avvicinarsi.
“Olive,
ti prego… ho bisogno di te… non credo di
farcela da solo…” sussurrò, con tono
tormentato.
Lei
lo guardò per un’istante, poi si
avvicinò e gli
prese la mano, stringendola in modo rassicurante. Lui la
guardò negli occhi
poi, senza mollarle la mano, prese delicatamente quella del figlio, che
gli
strinse forte un dito, come se non volesse più lasciarlo
andare, mentre Walter
gli somministrava una flebo con la cura.
Appena
l’ago lo punse, il piccolo fece un leggero
lamento, ma non pianse, e continuò a stringere il dito di
Peter.
L’uomo
si sentì stranamente orgoglioso: il bambino
era forte.
No.
Non il bambino, ma suo figlio.
Peter
alzò gli occhi e guardò Walter. Stava
monitorando le condizioni del piccolo. Si stava dando parecchio da fare
per
salvare la vita a quella creatura.
Peter
finalmente capì. Capì cosa aveva spinto
Walter a rapirlo da bambino, e i sensi di colpa che aveva avuto in
seguito.
Aveva fatto tutto per lui, per salvargli la vita. E Peter lo aveva
odiato, lo
aveva accusato di averlo portato via dalla sua famiglia, e gli aveva
detto che
non l’avrebbe mai perdonato per quello che aveva fatto, anche
se era tornato in
questo mondo.
“Walter…”
sussurrò, rivolto al padre “Walter,
papà…
io ti perdono.”
Il
dottor Bishop alzò gli occhi dallo schermo,
sorpreso, ma poi lo rassicurò con un sorriso paterno.
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Capitolo 16 *** 15 ***
Intanto
gli altri erano tutti raccolti fuori in attesa.
Nina
Sharp si avvicinò a Gibbs e si presentò.
“Io
sono Nina Sharp, vicepresidente della Massive Dynamics. Lei deve
essere l’agente speciale Leeroy Jethro Gibbs.”
L’uomo
la scrutò per qualche secondo e poi le strinse la mano.
“Sono
io, signora. Sono anche l’ex capo dell’agente
Dunham.”
“Lo
so.” rispose la donna “So tutto di lei. Tenente dei
marines,
decorato con medaglia d’onore durante Desert Storm,
è stato sposato quattro
volte, divorziato tre. La sua prima moglie e sua figlia sono morte 15
anni fa
per mano di un killer professionista. Ha buone doti di tiratore scelto,
passato
all’NCIS dopo il suo congedo dai marines, e da quando il suo
vecchio capo, Mike
Franks, si è ritirato, ha preso il suo posto come team
leader.”
“Vedo
che ha fatto i compiti a casa.” disse Gibbs, neanche troppo
sorpreso.
“E’
mia abitudine informarmi su chiunque metta piede
nell’azienda.” si
giustificò la Sharp. Poi si voltò verso gli altri
componenti del gruppo e
continuò “Timothy McGee. Classe 1976. Laurea con
laude in Ingegneria Biomedica
alla Johns Hopkins, master in informatica al MIT. Da sette anni fa
parte della
squadra. Ha scritto dei romanzi con lo pseudonimo di Thom E. Gemcity.
Ha ottime
capacità di scrittore, complimenti! Ha anche la passione per
i giochi di ruolo,
alcuni dei quali sono un prodotto della nostra società.
Abigail Sciuto, meglio
nota come Abby. Classe 1979. Esperta forense dell’NCIS. Fa
volontariato presso
un convento di suore. Conosce il linguaggio dei segni perché
i suoi genitori
erano sordi. Ama gli animali, la musica e il suo lavoro. Anthony D.
Dinozzo,
classe 1968. Ex agente della omicidi di Baltimora, passa
all’NCIS dopo aver
risolto un caso in comune con loro. Ottimo osservatore, 11 decimi di
vista, laurea
in educazione fisica, capitano della squadra di basket al college. Non
ha una
relazione stabile da quando? Tre anni. Non sarebbe ora di costruirsene
una? Ed
infine Ziva David. Classe 1982. Israeliana di nascita, ha acquisito di
recente
la cittadinanza americana. Suo padre è il direttore del
Mossad, ma non ci parla
da quando ha preso la cittadinanza. Ha una buona memoria fotografica,
parla
cinque lingue, compresa quella dell’amore, esperta nel
combattimento corpo a
corpo. Anche lei non ha una relazione stabile da molto tempo. Dovrebbe
cercare
qualcuno e sistemarsi, il tempo passa in fretta.”
Tutti
la fissarono sorpresi. Aveva proprio trovato tutto su di loro,
era piena di risorse.
Infine
si voltò verso Lincoln e l’altra Abby.
“Benvenuti.
Appena il nipote del dottor Bishop starà bene potremo
parlare e occuparci di tutto. Per il momento sarete nostri ospiti.
Chiedete per
qualunque cosa abbiate bisogno.” Li accolse, facendo un
sorriso cordiale.
“Signora
Sharp…” cominciò Gibbs.
“Mi
chiami pure Nina.” lo corresse la donna.
“Nina.
Posso chiederle che tipo di malattia ha il bambino?” chiese,
calmo.
“Walter
ne sa più di me. So solo che era una malattia di cui era
affetto Peter da bambino. Purtroppo il figlio di Walter è
morto prima che
potesse trovare una cura, ma almeno è riuscito a salvare il
Peter che
conosciamo.”
Gibbs
annuì e guardò la porta, in attesa di avere altre
notizie.
Intanto
Ziva si era seduta sulla panca vicino a loro, nel corridoio.
Tony si avvicinò e si sedette accanto a lei.
“Stai
bene?” le chiese, a bassa voce.
“Sono
stati quattro giorni assurdamente pieni…”
spiegò l’israeliana.
“Lo
so… universi paralleli… fino a pochi giorni fa
pensavo che
esistessero solo in Star Trek.” disse Tony, fissando il
gruppo.
“Sì,
ma… hai visto che razza di mondo era? Olivia ha detto che
quelle
montagne color ambra erano zone di quarantena, in cui era successo
qualcosa che
aveva indebolito il loro mondo… erano come delle toppe a
degli squarci in un
pallone già malconcio.”
“Anche
le nostre vite erano diverse. Tu eri una
psicologa…”
“E
tu eri morto.”
Si
fissarono per qualche secondo negli occhi, senza dirsi nulla, poi
Tony parlò.
“Peter
e Olivia sembrano quasi nati per stare insieme.”
“Anime
gemelle. Non capita spesso di trovare l’altra metà
della mela.
Certo ne hanno passate tante…”
Si
fissarono di nuovo, ancora in silenzio.
“Ziva,
riguardo alla Somalia…” prese coraggio Tony,
facendo un respiro
profondo “quello che ho detto è tutto
vero.”
“Lo
so. Eri sotto l’effetto del Penthotal.”
“Allora
non hai nulla da dire?”
“Tony…
le regole…”
“Al
diavolo le regole!”
Ziva
lo fissò sorpresa. Da quando in qua Tony contravveniva di
proposito a una regola di Gibbs?
“Si
vive secondo il regolamento, si muore secondo il
regolamento.” citò
Tony. Allo sguardo confuso della donna si affrettò a
spiegare. “The Skulls,
regia di Rob Cohen, anno 2000, con Paul Walker e un giovanissimo Joshua
Jackson… comunque esiste la regola 51: a volte si
sbaglia.”
“Tony…
non capisco…”
“Io
sì.” E si avvicinò a lei, dandole un
leggero bacio sulle labbra. La
donna stava per approfondire il bacio quando la porta del laboratorio
si aprì.
Walter
fece capolino con un sorriso a 32 denti sulle labbra. Tutti lo
fissarono in attesa.
“Si
è ripreso. La febbre è calata. Ora sta
bene!” spiegò.
Tutti
esultarono, poi dietro Walter comparve Olivia, sorridente, ancora
per mano a Peter, che teneva il figlio in braccio, il quale si era
aggrappato
alla sua camicia e si guardava intorno curioso.
Tutti
si raccolsero attorno alla coppia e al piccolo. Gibbs gli diede
un buffetto e Henry fece un verso lamentoso, mostrando il cerottino sul
polso,
dove era stato inserito l’ago.
“Vuole
solo un po’ di coccole. È intelligente e furbo, ha
già capito
come ottenere le attenzioni.” spiegò Peter, quasi
orgoglioso.
“Dopotutto
è mio nipote!” esclamò Walter,
altrettanto orgoglioso.
Peter
sorrise, poi tornò serio e guardò i due esuli
dell’altro mondo.
“Ora
torniamo a noi. Nina, ho bisogno dei vostri migliori
computer”
disse, poi seguì la donna, che lo scortò a un
altro laboratorio.
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Capitolo 17 *** 16 ***
Stavano
entrando nel laboratorio quando, improvvisamente, Henry
scoppiò a piangere.
Peter
si irrigidì. Forse lo aveva preso male? Stava scomodo? In
fondo
era solo un bambino, una minuscola creatura convalescente da una brutta
malattia.
Un
po’ impacciato cercò di prenderlo meglio. Walter
lo guardò e
sorrise.
“Non
è semplice essere padre, figliolo.”
“Ora
lo so, grazie.” rispose Peter, sarcastico
“Piuttosto dammi una
mano. Deve avere qualcosa che non va.”
Walter
si avvicinò, toccò il pancino del piccolo e poi
gli annusò la
tutina. Peter fece un passo indietro.
“Papà!
Che stai facendo?” gli chiese, sulla difensiva.
“Ti
sto dando una mano, Peter. Mio nipote ha fame… e ha anche
bisogno
di essere cambiato.”
“Ah…
beh…” balbettò il giovane, preso alla
sprovvista “Io… beh… credo
di aver bisogno di latte, pannolini e vestiti puliti, allora.”
Walter
sorrise di nuovo, gongolante.
“Ho
già preparato tutto. Ho un biberon pieno del latte di Gene
pronto,
preparato apposta per lui. E ho mandato Asterix a comprare tutto
l’occorrente.”
Peter
annuì e aspettò che Walter gli portasse lo zaino
con le cose del
bambino, poi si avvicinò a un tavolo pulito e, dopo aver
steso un asciugamano,
vi adagiò il piccolo, ancora urlante. Infine lo
fissò, senza sapere da dove
cominciare.
Gibbs
lo fissò per qualche secondo e poi si avvicinò.
“Guarda
e impara, pivello.” poi fece spostare Peter e si mise al
lavoro su Henry, spiegando passo per passo al giovane cosa doveva fare.
Il
bambino ora era pulito e profumato, ma ancora reclamava a gran voce
la pappa. Peter sospirò e prese il biberon, poi
tirò su il figlio.
Henry
si attaccò subito, affamato com’era, e
finì in fretta. Quando fu
sazio fece un sorriso contento e guardò tutti quanti.
“Ha
il sorriso della mia Livvy…” notò
Lincoln. Olivia si rabbuiò e lo
fulminò con lo sguardo.
Peter
le prese la mano per tranquillizzarla e le baciò la tempia.
Neanche lui aveva voglia di sentire parlare di quella donna, anche se
era morta
e non poteva più fare loro nulla ormai.
“Io
dico che ha il sorriso di Olive, invece.” lo corresse Bishop,
sorridendo alla compagna.
Finalmente
entrarono nel laboratorio, dove stava lavorando Brandon
Fayette, uno dei migliori tecnici dell’azienda. Appena lo
vide, Abigail
cominciò a tremare e si riparò dietro Gibbs. Lui
le passò un braccio attorno
alle spalle e cercò di farla tranquillizzare.
“Suppongo
che dall’altra parte quell’uomo le abbia fatto
qualcosa. Ma
credo anche che da questa parte sia diverso, vero?”
domandò, senza lasciarla
andare.
Olivia
annuì e le sorrise rassicurante.
Peter
intanto aveva parlato col tecnico e con la Sharp. Si rivolse
nuovamente agli altri.
“Abbiamo
un problema. Per motivi di identificazione sarà molto
difficile trovare dei nuovi documenti per voi, dato che avete le
impronte
digitali e altri parametri identici a quelli di persone che esistono
anche da
questa parte.” li informò, indicando anche Abby.
“In
effetti si creerebbe confusione.” Osservò Gibbs.
“Questo
non è un grosso problema.” li corresse la Sharp
“Alla Massive
Dynamics abbiamo delle tecnologie sperimentali in grado di poter
modificare in
modo permanente cose come impronte digitali e oculari.”
“Perfetto!
Portate tutto qui!” esclamò Peter, entusiasta.
“E’
già tutto qui.” disse Brandon “Solo
che… il bambino sta smontando
uno degli apparecchi che servono allo scopo.” e
indicò Henry, che aveva
afferrato dal tavolo un oggetto, a portata della sua manina, e aveva
cominciato
a smontarlo, con aria concentrata.
Walter
lo fissò eccitato.
“Devo
fargli al più presto un test del QI!”
esclamò.
“Tu
non farai un bel niente a tuo nipote.” lo ammonì
Peter, togliendo
l’apparecchio dalle manine del piccolo e rimontandolo in un
batter d’occhio.
Quando
fu montato lo restituì al tecnico, che si rivolse ai due
esuli,
spiegando cosa dovevano fare.
“Brucerà
un po’, ma passa subito.” concluse.
Abigail
si fece subito avanti, ma guardava ancora Brandon impaurita.
Gibbs non la lasciò andare e la aiutò nella
procedura.
Appena
terminò, fu il turno di Lincoln. Prima di cominciare
lanciò un
breve sguardo al piccolo Henry, che distribuiva sorrisi a tutti.
L’uomo sapeva
che da quel momento sarebbe cambiato tutto. Aveva ucciso la donna che
amava per
salvare delle vite innocenti, tra cui quel bambino che ora sorrideva a
tutti in
braccio al padre. Sarebbe stata dura convivere con il senso di colpa.
Sperava
di farcela, magari con l’aiuto di quelle persone che lo
avevano accolto nel
loro mondo.
“Ora
dobbiamo creare dei documenti per loro. Conosco qualcuno che
può
aiutarci.” disse, prendendo il cellulare.
“Non
c’è bisogno.” lo interruppe Tony
“Abby è un’ottima falsaria.”
Peter
fissò la dark, che sorrideva orgogliosa, poi le fece cenno
di
sedersi davanti al computer. Lei non se lo fece ripetere due volte e si
sistemò
sulla sedia, in attesa di istruzioni.
“Per
prima cosa ci servono i documenti per Abby e Lincoln.”
cominciò
Bishop, togliendo il cellulare dalle mani del figlio, che aveva
già cominciato
a smontarlo.
“Magari
teniamo i nomi e cambiamo solo i cognomi. Abby Sciuto potrebbe
diventare Abby… Hayes. Che ne dite?”
cominciò, parlando a macchinetta e
scrivendo sul computer, contemporaneamente “Mentre Lincoln
Lee diventa Lincoln…
Shaw!”
“Perfetto!”
si congratulò Peter “Ora mi serve un certificato
di
nascita.”
“Per
Henry, giusto?”
Peter
annuì e si rivolse a Lincoln.
“Quando
è nato?” gli chiese.
“La
notte di Natale. Sarà stato attorno a mezzanotte.”
“Fantastico!
Un bambino fortunato!” esclamò Walter, ma Peter lo
zittì
con uno sguardo.
“Va
bene. Sul certificato di nascita scrivi Robert Peter Henry Bishop
Jr.” dettò il giovane alla donna.
“Che
nome lungo!” esclamò Abby.
“Robert
è il nome di mio nonno.” spiegò Peter
“Walter una volta mi ha
detto che ho i suoi stessi occhi.” Sorrise, poi
tornò a concentrarsi sul
certificato di nascita “Scrivi: padre, Peter Bishop sr., e
madre…” si fermò e
fissò Olivia, la quale fece un’espressione
dispiaciuta. Peter capì, fece un
respiro profondo e continuò a dettare “madre
sconosciuta.”
Ci fu
un momento di silenzio, interrotto solo dal lallare allegro di
Henry, poi Abby mandò in stampa i documenti.
In un
angolo del laboratorio, Tony e Ziva avevano ripreso il discorso
che avevano interrotto nel corridoio. Gibbs li fissò e
sorrise. Finalmente quei
due si erano sbloccati. Certo era meglio fermarli, altrimenti sarebbero
andati
un po’ troppo oltre i limiti consentiti, quindi si
avvicinò e tirò a Tony uno
scappellotto.
I due
si staccarono e si allontanarono di scatto.
“Capo…
possiamo spiegare…” balbettò Tony.
“Non
c’è nulla da spiegare. Solo certe cose fatele a
casa vostra.” poi
sorrise compiaciuto e diede una pacca sulla spalla a entrambi. Era la
pacca di
un padre orgoglioso, non di un capo.
Infine
guardò gli altri e prese il telefono, poi uscì
dal laboratorio
per qualche minuto.
Quando
tornò, si avvicinò a Lincoln e gli
poggiò una mano sulla
spalla.
“Ti
ho appena rimediato un nuovo lavoro, agente Shaw.” lo
informò.
Lincoln
lo guardò confuso. “Che lavoro?” chiese.
“Benvenuto
nell’NCIS, pivello.”
Lincoln
lo fissò confuso. Non si aspettava una cosa del genere. Non
sapeva neanche se sarebbe riuscito nel lavoro, dal momento che non
conosceva
questo mondo.
Guardò
gli altri, poi balbettò qualcosa, ed infine
ringraziò,
contento.
“Devi
solo venire a Washington per le formalità. Ma prima dobbiamo
riposarci tutti, sono stati quattro giorni pieni… ah, Peter,
preparati a non
dormire la notte.” disse Gibbs, guardando il bambino, che
fissava Olivia con
aria incantata e cercava di attirare la sua attenzione.
“Tranquillo,
ci sono abituato.” rispose il giovane, lanciando
un’occhiata al padre.
Gibbs
sorrise, poi richiamò la squadra e si congedò,
dando loro
appuntamento il giorno successivo all’NCIS.
Il
mattino dopo, Peter, Olivia e Walter accompagnarono Lincoln a
Washington, alla sede dell’NCIS.
Arrivati
al palazzo dell’agenzia, Olivia fece strada. Conosceva bene
quegli uffici, dato che ci aveva lavorato prima di passare
all’FBI.
Durante
il viaggio avevano già spiegato parte della storia del loro
universo a Lincoln, ma quest’ultimo si guardava intorno con
la stessa
espressione meravigliata di Henry, che indicava o cercava di afferrare
qualunque cosa gli andasse a genio, e Peter doveva stare molto attento
che non
si facesse male.
Walter
mangiava liquirizie e faceva progetti per il futuro del nipote.
Era più entusiasta lui che il giovane padre del bambino.
Peter
aveva delle occhiaie da paura. Certo, come tutore di Walter
aveva passato un sacco di notti insonni a causa delle sue stramberie,
ma con
suo figlio era diverso: non era riuscito ad addormentarsi prima delle
quattro
del mattino, e alle sei era suonata la sveglia e Olivia si era alzata
per
prepararsi, senza contare che Walter era in piedi dalle cinque per
preparare la
colazione per tutti.
Però,
nonostante tutto, era felice. Certo, c’erano ancora un sacco
di
cose da aggiustare, soprattutto nel suo rapporto con Olivia, ma sapeva
che
sarebbe andato tutto a posto. Ora che era un genitore aveva un sacco di
responsabilità in più, ma sapeva che ce
l’avrebbe fatta, in un modo o
nell’altro.
Arrivati
al piano dell’ufficio di Gibbs, uscirono
dall’ascensore e
andarono verso le scrivanie della squadra.
Erano
tutti seduti alle loro postazioni. Peter notò che Tony aveva
ancora addosso i vestiti del giorno prima, e lui e Ziva si lanciavano
fugaci
sguardi d’intesa, che però non passavano
inosservati agli occhi della squadra.
Gibbs
li accolse e strinse la mano ai nuovi arrivati. Quando la
strinse a Peter, Henry gli infilò la mano in tasca e prese
il portafoglio, poi
lo mostrò al padre, facendo un verso contento.
Peter
sospirò e riconsegnò il portafoglio al
legittimo proprietario.
“Non
so proprio da chi abbia preso.” Si giustificò.
Gibbs
sorrise e si avvicinò a Lincoln.
“Benvenuto
nel tuo nuovo ufficio, pivello.” lo
accolse, poi gli consegnò un distintivo.
Lincoln
fissò il distintivo per qualche secondo. Era
senza parole.
“Devo
prestarti un po’ di film, pivello.” disse Tony,
con un sorriso sornione dipinto in volto “Scommetto che ti
piaceranno le nostre
versioni dei film che hai visto nel tuo mondo.”
“Ehm…
grazie.” ringraziò il nuovo arrivato, un
po’ in
imbarazzo.
Gibbs
gli diede una pacca di benvenuto, poi guardò
Olivia.
“Dal
momento che abbiamo Lincoln in squadra, credo
che collaboreremo spesso, in casi che interessano entrambe le agenzie.
Che ne
dici?”
“Mi
sembra un’ottima idea!” esclamò la
bionda.
Intanto
Ziva si era alzata e aveva mostrato a Lincoln
la sua scrivania.
L’uomo
si sedette alla poltrona e fissò le penne, in
evidente disagio.
“Qualcosa
non va?” gli chiese l’israeliana.
“Noi…
dalla nostra parte non usavamo le penne, si
faceva tutto al computer.” Rispose, ad occhi bassi,
imbarazzato per la sua
mancanza.
“Non
preoccuparti, hai tutto il tempo per abituarti.
Saremo pazienti con te.” lo rassicurò, facendogli
un sorriso.
Lui
sorrise a sua volta, poi fissò i compagni di
squadra. Nei giorni precedenti aveva potuto osservarli e capire
com’erano. Non
erano solo una squadra, erano una famiglia, e lui ne era appena entrato
a far
parte.
Tornò
a guardare Peter e Olivia. Erano ancora mano
nella mano, e Henry giocava con il pass della donna. Lei somigliava
molto alla
sua Olivia, quella che aveva dovuto uccidere poche ore prima; ma la
somiglianza
era solo fisica, caratterialmente erano molto diverse. Questa Olivia
aveva
molto più in comune con Peter che con lui.
Guardò
il bambino, il piccolo Henry. No, ora si
chiamava Robert Peter Henry Jr. Sorrideva continuamente, come la sua
Olivia.
Quella creatura era l’unica cosa che gli era rimasta del suo
mondo. Finalmente
prese una decisione.
“Bishop,
se vi serve un baby sitter, mi offro
volontario.”
Peter
sorrise e guardò la compagna.
“Magari
qualche volta… sì, si può
fare.” rispose,
sorridendo.
“Ah,
quasi dimenticavo…” li interruppe Gibbs, poi
tornò alla sua scrivania e prese qualcosa dal cassetto
“Broyles, il vostro
capo, ha chiesto al direttore Vance che io ti consegni questo,
Peter.” E gli
mise in mano una specie di portafogli.
Henry
glielo tolse subito di mano e lo aprì. Appena
Peter vide di cosa si trattava, spalancò gli occhi,
sorpreso. Era un
distintivo, ma non uno qualunque. Questo distintivo lo identificava
come
“Agente Speciale Operativo dell’FBI, assegnato alla
Divisione Fringe.”
L’uomo
era senza parole. Aveva fatto un sacco di
lavori in vita sua, ma mai aveva pensato di entrare in pianta stabile
in
un’agenzia federale, come agente. Lui, che aveva evaso la
legge fin da quando
potesse ricordare, non si vedeva per niente come agente federale, per
quanto si
trattasse di una divisione molto particolare dell’Agenzia.
Guardò
Olivia, che lo gratificò con uno dei suoi
sorrisi.
“Benvenuto
in squadra, Agente Bishop.”
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Capitolo 18 *** Epilogo ***
Erano
le dieci del mattino del giorno di Natale.
Olivia
si era svegliata presto per andare in ufficio e consegnare il
rapporto dell’ultimo caso della sua squadra, e si era
affrettata a tornare a
casa per poter passare la giornata con i suoi cari.
Appena
aprì la porta, un profumo di dolci natalizi la avvolse.
L’atmosfera era anche rallegrata da Walter, che fischiettava
Jingle Bells dalla
cucina.
“Sono
tornata!” chiamò. Dalla cucina si
affacciò una donna bionda;
Olivia la riconobbe “Rachel!” esclamò,
poi si avvicinò e salutò calorosamente
la sorella “Che bello vederti! Dov’è
Ella?”
“E
di sopra con Peter.” rispose la donna “Stanno
cercando di fare il
bagno a Peter Jr.”
Olivia
sorrise al pensiero. Non aveva ancora del tutto accettato quel
bambino, il figlio del compagno, ma da quando Peter lo aveva preso con
sé la
loro vita era cambiata in meglio. Peter era un ottimo padre.
Ripensò a quello
che le aveva detto molto tempo prima, “na ine kalitero
antropo apo ton patera
toy”, sii un uomo migliore di tuo padre, la frase che
Elizabeth Bishop ripeteva
sempre al figlio, quando era bambino. Peter non solo era diventato un
uomo
migliore di Walternativo, suo padre, ma era anche un ottimo padre. Non
faceva
mai mancare nulla al figlio, e allo stesso tempo non trascurava neanche
lei, la
sua compagna.
“Vado
a vedere se ne escono vivi.” disse, sorridendo, poi si tolse
il
cappotto e corse su per le scale.
Arrivata
al piano superiore, sentì subito le risate allegre di Henry
provenire dal bagno. Aprì la porta e si godette la scena: il
bambino era seduto
nella vasca, e rideva, mentre il padre gli insaponava la testa, con le
maniche
tirate su fino ai gomiti, mentre Ella cercava di distrarre il
“cuginetto”
facendolo giocare con delle paperette di gomma. Henry
schizzò Peter, battendo le
manine nell’acqua, e il giovane si allontanò
leggermente.
“Peter!
Stai fermo un attimo? Così finisco di farti il
bagno!” lo
sgridò, senza però abbandonare il sorriso.
“Banno!”
ripeté il piccolo, ridendo, poi afferrò la tazza
che Peter
avrebbe dovuto usare per sciacquarlo, la riempì
d’acqua e la versò in testa al
padre “Papy Banno!”
Olivia
rise di gusto, attirando l’attenzione dei presenti.
“Zia
Liv!” esclamò la bambina, poi corse ad
abbracciarla.
Peter
si scrollò l’acqua dai capelli, facendole uno dei
suoi sorrisi,
di quelli che riservava solo a lei. Olivia si avvicinò e lo
baciò dolcemente,
poi gli passò l’asciugamano, mentre lui finiva di
sciacquare il bambino e lo
avvolgeva nel suo accappatoio.
“Oggi
è il suo compleanno, gliele lascio passare, ma da domani si
cambia.” disse il giovane padre, con finta aria di
rimprovero, poi lo portò in
camera e prese i vestiti puliti per il piccolo, mentre Ella tornava al
piano di
sotto, per aiutare la madre con i preparativi della festa.
Henry
cantava allegro, mentre Peter lo cambiava. Quando finalmente fu
pronto, Peter lo lasciò un momento libero per asciugarsi e
salutare come si
deve la compagna.
Prese
Olivia per i fianchi e la strinse a sé.
“Tutto
bene al lavoro?” chiese, senza mollarla.
“Dovevo
solo consegnare il rapporto a Broyles, lo sai.”
L’uomo
sorrise e la baciò, ma venne interrotto da Henry, che gli
tirò
i pantaloni per attirare la sua attenzione.
I due
guardarono il bambino, che era in piedi sul letto e teneva tra
le mani una scatolina.
“Papy,
dai galo a Live?” chiese, porgendogli la scatolina.
Peter
lo fissò indeciso, poi sospirò e prese la
scatolina, porgendola
a Olivia.
“Un
piccolo regalo da parte di entrambi.” disse,
mettendo il pacchetto in mano alla compagna.
Olivia
lo fissò, poi lo aprì. Ciò che vide la
lasciò
senza parole.
Un
anello spiccava al centro della scatola di
velluto. Era bicolore, di platino e oro rosso, attorcigliati a spirale,
e una
piccola pietra verde univa i due capi della spirale.
Alzò
gli occhi e fissò l’uomo.
“Lo
so, non è niente di che…” disse Peter,
alzando le
spalle.
“E’
stupendo… ma ti sarà costato una
fortuna…”
Peter
scosse la testa, poi tornò a guardarla negli
occhi.
“Ho
solo cercato di trovare qualcosa che si
accostasse ai tuoi occhi. Però è stato
impossibile da trovare… tu sei unica,
quindi anche i tuoi occhi lo sono.”
Lei lo
guardò ad occhi spalancati.
“Mi
stai chiedendo di…” balbettò, confusa.
“Di
sposarmi, sì. Ma non devi rispondermi subito. Hai
tutto il tempo per pensarci.”
Olivia
abbassò di nuovo gli occhi sull’anello, poi
guardò Henry, che la fissava con quei profondi occhi
azzurri, così espressivi,
così simili a quelli del padre.
“O…
ok.” rispose lei “Posso pensarci? Ora dobbiamo
scendere in salone, gli altri stanno per arrivare.”
L’uomo
annuì, poi prese su il figlio e, insieme,
scesero al piano inferiore.
Appena
arrivati in salone, qualcuno suonò alla porta.
Olivia andò ad aprire.
Erano
Lincoln e Abigail, i profughi dell’altro
universo.
Da
quando erano arrivati da questa parte, lui era
diventato un agente dell’NCIS, uno dei migliori, secondo il
parere di Gibbs, e
lei era stata assunta alla Massive Dynamic come segretaria personale di
Nina
Sharp.
Insieme
stavano superando la lontananza dal loro
mondo, e Lincoln ora era più sereno e aveva ormai superato
il fatto di aver
ucciso la donna che amava.
Olivia
li accolse e li accompagnò in salone. Henry
corse subito da Lincoln; il piccolo gli era molto affezionato.
Dopo
di loro arrivarono tutti gli altri. Il bambino
andava un po’ da tutti, chiedendo continuamente attenzioni:
amava stare al
centro della scena.
Mentre
aspettavano di mettersi a tavola, Olivia e
Ziva chiacchieravano serenamente. Ziva e Tony si erano sposati circa un
mese
dopo la loro avventura nell’altro universo, ed ora vivevano
insieme e
sembravano molto felici.
“Come
va tra te e Peter?” chiese l’israeliana,
guardando suo marito e l’agente Bishop che chiacchieravano
dall’altra parte
della stanza, mentre Henry correva intorno ai due, ridendo allegro.
“Va
bene.” rispose lei, sorridendo.
“E
con il bambino?”
Olivia
non rispose. Aveva ancora dei problemi ad
accettarlo. Henry era un bambino fantastico, ma lei ancora lo vedeva
come il
figlio della donna che le aveva rubato la vita. Nonostante vivessero
come una
famiglia, era ancora difficile conviverci.
La sua
espressione si fece cupa. Henry la guardò per
un momento, poi si avvicinò, camminando nel suo tipico modo
incerto.
“Live
tiste? Pecchè?” chiese, appena la raggiunse.
Peter
li guardava da lontano, indeciso se intervenire
o meno. Olivia fissò il bambino per qualche secondo e poi
rispose.
“Non
sono triste, tranquillo.” poi fece un respiro
profondo e lo prese in braccio.
Il
piccolo la gratificò con un sorriso. In quel
momento era davvero identico a Peter: quello era lo stesso sorriso che
le
faceva l’uomo quando lei era giù di morale e lui
voleva tranquillizzarla.
Lei lo
strinse, poi guardò il compagno e gli sorrise.
Peter decise di avvicinarsi.
Si
scambiarono un breve sguardo, prima di essere
distratti da Tony e Ziva, che attirarono l’attenzione di
tutti i presenti e
presero la parola.
“Vorremmo
fare un annuncio.” disse Ziva, stringendo
la mano del marito “Il prossimo anno la famiglia si
allargherà.”
Ci fu
un attimo di silenzio, poi tutti applaudirono e
si congratularono con la coppia.
Peter
e Olivia restarono in disparte, con Henry. Lui
la abbracciò e la guardò negli occhi.
“Ho
deciso. La mia risposta è sì.” disse
lei.
Lui
sorrise di nuovo e la baciò, poi prese l’anello e
glielo mise al dito.
“E
dopo potremmo pensare di allargare la famiglia…”
sussurrò
all’orecchio di Olivia, sorridendo sornione. Lei lo
guardò di sottecchi.
“Stai
cercando un pretesto per portarti a letto il
tuo capo?” chiese, in tono fintamente irritato.
“No,
sto chiedendo alla mia fidanzata di fare un
figlio con me. Magari una squadra di Bishop…”
Olivia
sorrise e lo baciò di nuovo. Henry si mise in
mezzo, voleva essere coccolato anche lui. Peter gli diede un buffetto
affettuoso e Olivia gli baciò la fronte.
Ora
erano una famiglia.
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