Cose dell'altro mondo

di katyjolinar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era una mattina di inizio marzo, una domenica come tante... o almeno così credeva Abby quando, pochi giorni prima, era riuscita a convincere Timothy, Tony e Ziva ad andare a New York, con la scusa di far conoscere a quest'ultima i luoghi più importanti del paese di cui era diventata cittadina di recente.

Non che Ziva non li conoscesse, ma l'entusiasmo di Abby era talmente travolgente che non era riuscita a dirle di no, e lo stesso valeva per i due uomini.

Erano partiti di buon'ora e, dopo un breve giro della città, avevano preso il traghetto per Liberty Island.

"Saliremo fin sopra e vedrai la città da una prospettiva diversa!" spiegò Abby a Ziva, mentre scendevano sull'isola, ai piedi della Statua della Libertà.

"Si, ma... non è meglio pranzare, prima? È quasi l'una..." disse l'altra donna, cercando di stare dietro all'esuberante amica.

"Ziva ha ragione!" esclamò Tony "Andiamo al ristorante dell'isola. Offro io!"

Abby cercò di protesare, ma poi ci pensò su e accettò, quindi tutti e quattro si diressero verso il ristorante e si sistemarono a un tavolo del dehor.

La giornata era calda, nonostante fosse solo inizio marzo, e l'isola era gremita di turisti. Qualcuno era in coda per entrare nella statua, altri osservavano la città attraverso i binocoli fissi dell'isola, altri ancora mangiavano, seduti vicino ai quattro agenti. Abby li osservò: una coppia che si teneva per mano osservando il profilo della città; due gemelli di quattro o cinque anni, identici ma distinguibili per il colore della felpa, uno verde e uno rosso, si rincorrevano ridendo, sotto l'occhio attento della madre, seduta poco lontano;un uomo pelato, vestito elegantemente, mangiava un gelato guardandosi attorno; un gruppo di turisti che si faceva fotografare con lo sfondo dei grattaceli di New York, tra i quali si distinguevano il palazzo delle Nazioni Unite, l'Empire State Building e il Massive Dinamics' Building, sede di una delle più importanti industrie tecnologiche d'America.

Tony, tra una citazione di film e un'altra, raccontava diverse curiosirà legate alla città di New York.

"Lo sapevate che l'Empire State Building era stato concepito come punto d'attracco per i dirigibili? Solo che nello stesso periodo c'è stato il disastro dello Zeppelin e il grattacelo non è stato mai usato per tale scopo." informò, mentre puliva il piatto con un pezzo di pane.

"Interessante, ma ora paga, che si sta facendo tardi!" lo interruppe la Dark, dopodicchè si alzarono e si misero in fila per entrare nella Statua.

Al termine della visita decisero di fare un salto al negozio di souvenirs dell'isola.

Mentre Ziva e Abby si scambiavano opinioni riguardo una curiosa bolla di neve esposta, che ritraeva un cavalluccio marino e una ranocchietta, con una margherita al centro, e la neve sostituita da delle piccole foglioline argentate, successe qualcosa.

Improvvisamente la terra cominciò a tremare. I due agenti raggiunsero le due donne e si misero al riparo con loro. Una bolla di neve cadde e i pezzi di vetro si sparsero sul pavimento, e nello stesso momento una forte luce li accecò.

Quando tutto cessò, i quattro si trovarono di fronte una donna. Era bagnata dalla testa ai piedi, era scalza, indossava un camicione da ospedale e aveva un'espressione che era un misto tra il disorientato e il terrorizzato.

Ma la cosa più strana era che quella donna era identica ad Abby. Sembrava proprio lei, ma non era lei di certo, perchè la Dark era lì con loro, e anche lei osservava la nuova arrivata con un'aria confusa.

Infine successe un'altra cosa strana: come era apparsa, quella donna scomparve nel nulla, lasciando solo una pozzanghera dove stava fino a poco prima.

I quattro si alzarono e si guardarono intorno, per verificare che non ci fossero feriti.

"L'avete vista anche voi, vero?" chiese Abby, come per avere una conferma della sua sanità mentale.

"Direi proprio di si. Io chiamo il Capo, gli racconto tutto." rispose Tony, prendendo il cellulare e chiamando Gibbs.


Intanto, a Boston...

Erano le sette del mattino. Peter ancora dormiva, stanco dell'intensa settimana passata dietro i casi della Divisione Fringe.

Venne svegliato dal rumore del frullatore, in cucina. Decise di alzarsi, tanto non avrebbe potuto dormire di più. Si infilò la vestaglia e andò in cucina.

"Walter! Sono le sette di domenica mattina... che stai facendo?"

"Buongiorno figliolo! Sto cercando di ricreare la formula del caffè alla vaniglia che ho preso ieri. Sono quasi arrivato a scoprire l'ingrediente segreto!" rispose Walter, continuando ad armeggiare con caffettiera e frullatore.

Peter sospirò. Il solito Walter... chissà cosa si era fumato, sniffato o iniettato questa volta...

"Se ti piace tanto torno allo Starbucks e te ne prendo un altro." propose, sorridendo sotto i baffi.

"Oh... grazie, Peter." disse l'anziano scienziato, con un sorriso contento e infantile sul volto.

"Va bene. Dopo andiamo, ma prima fammi fare colazione."

Detto questo prese del burro d'arachidi e della marmellata di more dal frigo e si preparò un panino.

La mattina passò in fretta, tra i siparietti strampalati di Walter, poi nel pomeriggio Peter ricevette una chiamata da Olivia.

"Walter, dobbiamo andare a New York." lo informò, dopo aver chiuso la chiamata "Abbiamo un caso."

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Capitolo 2
*** 1 ***


Si incontrarono con Olivia al molo d'imbarco per Liberty Island, dove li attendeva una barca della polizia, che li avrebbe portati sull'isola.

Peter e Walter si fecero largo tra la folla, poi raggiunsero Olivia e Broyles, che stavano discutendo riguardo al caso che stavano andando a esaminare.

"Quanti testimoni ci sono?" chiese la donna, prendendo appunti sul suo taccuino.

"Quattro." rispose Broyles "Abby Sciuto, Anthony DiNozzo, Timothy McGee e Ziva David. Ah, devo informarvi che sono agenti federali."

"Quindi sono nostri colleghi..." precisò Olivia.

"Non proprio. Sono dell'NCIS." la corresse il suo capo.

"NCIS?" chiese il Dottor Bishop, avvicinandosi.

"Servizio Investigativo della Marina." disse la bionda, poi salì sulla barca, lanciando un rapido sguardo a Peter.

La traversata trascorse in silenzio, poi, quando sbarcarono, andarono spediti verso un gruppo di cinque persone, quattro delle quali erano i testimoni. Il quinto uomo stava abbracciando una delle due donne, che sembrava parecchio scossa. Era di spalle, ma a Olivia quell'uomo sembrava familiare.

Broyles si avvicinò e mostrò il distintivo.

"Buongiorno. Sono l'Agente Broyles. FBI." si presentò.

Il quinto uomo lo guardò scocciato e anche un po' arrabbiato, poi parlò.

"FBI? Fantastico!" esclamò, sarcastico. Olivia lo riconobbe immediatamente.

"Gibbs!" lo chiamò. L'uomo si voltò e, appena la riconobbe, le sorrise.

"Oh, guarda chi si vede! La pivella!" esclamò lui, appena la riconobbe.

Peter li fissò entrambi.

"Vi conoscete?" chiese.

"Era il mio capo quando lavoravo come detective all'NCIS." spiegò la donna, poi strinse la mano al suo vecchio capo.

"Che ci fai qui?" chiese Gibbs, poi la presentò agli altri "Lei è Olivia Dunham. Te la ricordi, Tony?"

Il suo secondo la fissò, poi la riconobbe anche lui.

"Ehi, Pivella! Ne hai fatta di strada! Ora hai una squadra tutta tua, vedo!" Tony indicò i Bishop.

"Loro sono consulenti civili. Il Dottor Walter Bishop e suo figlio Peter." li presentò la donna.

"Il Dottor Walter Bishop?" chiese McGee, curioso "Quel Dottor Bishop? Il nuovo proprietario della Massive Dynamics?"

"Ehm... si, sono io." confermò il Dottore, poi si rivolse a Peter "Ho un alito da paura... per caso hai una gomma da masticare, figliolo?"

Peter sospirò.

"Walter..." cominciò, ma Olivia lo interruppe e tornò a parlare al suo vecchio capo.

"Posso farvi qualche domanda riguardo a quello che è successo?"

Tony annuì, poi le raccontarono tutto.

La donna prese appunti, poi il Dottor Bishop si avvicinò ad Abby e, con aria indagatrice le chiese:

"Sicura che la ragazza somigliava proprio a lei, signorina?"

"Certo! L'hanno vista anche loro! Vero, ragazzi?" rispose la Dark, interpellando anche gli altri.

Peter e Olivia si guardarono. Avevano ascoltato tutto il resoconto, e avevano capito cosa stava per succedere.

"Walter, forse è meglio andare in un posto più tranquillo a parlare." disse l'uomo, prendendo il padre sotto braccio e portandolo di nuovo verso la barca.

"Va bene, Peter." disse il Dottore, tranquillo.

"Potete venire al mio ufficio di Boston per raccogliere altre informazioni?" domandò Olivia a Gibbs.

"Ad una condizione." rispose l'altro, con voce ferma " Che partecipi anche la mia squadra alle indagini."

Olivia sospirò: il suo vecchio capo non era cambiao affatto: testone era allora, testone era rimasto.

"Va bene. Allora ci vediamo domani mattina ad Harvard." rispose, poi si allontanò.

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Capitolo 3
*** 2 ***


Il lunedì mattina, a Boston, era caldo e assolato come il giorno precedente.

I quattro agenti arrivarono nel comprensorio dell'Università di Harvard verso le nove.

Il cortile era gremito di persone: studenti, insegnanti e turisti in visita a una delle maggiori università americane. Sul prato, pieno di margherite appena sbiocciate, due ragazzi si lanciavano una palla da football a spicchi rossi e verdi, e poco lontano una ragazza disegnava su un taccuino, mangiando una mela, mentre giovani farfalle volavano attorno, in cerca di fiori da cui prendere il polline. Seduti sulla scalinata due studenti fumavano, e gli sbuffi di fumo assumevano curiose forme di volti, rane e foglie.

Gibbs, Tony, Timothy, Ziva e Abby entrarono nell'edificio, superando un elegante uomo calvo che osservava la gente, poi scesero negli scantinati, dove Olivia aveva detto essere il suo ufficio.

Gibbs bussò e, dopo poco, una donna con la pelle scura e i capelli ricci aprì.

"Salve." salutò Gibbs "Siamo quelli dell'NCIS. L'agente Dunham ci sta aspettando."

"Oh... entrate. Olivia arriverà a momenti." disse la donna, poi li fece entrare "Io sono l'agente Astrid Fansworth."

I quattro entrarono guardandosi intorno. Non si trattava di un ufficio, ma era una specie di laboratorio.

"Wow! Questo è un sogno!" esclamò Abby, avvicinandosi a un tavolo colmo di vetreria.

In quel momento sentirono una mucca muggire. Tutti si voltarono nella direzione del muggito e videro Walter, intento a mungere un grosso bovino pezzato, fischiettando un brano dei Violet Sedan Chair.

"Ehm, Dottore?" lo chiamò Astrid "Sono arrivati quelli dell'NCIS."

L'anziano dottore alzò la testa dal suo lavoro e guardò il gruppo.

"Oh... fantastico! Astro, offri loro del caffè, mentre io finisco di mungere Gene."

La donna andò in cucina proprio nel momento in cui la porta d'ingresso si aprì di nuovo ed entrarono Peter e Olivia.

"Buongiorno, Capo..." salutò la bionda, appena riconobbe il gruppo "Pensavo arrivaste più tardi..."

"Non sono più il tuo capo." l'ammonì Gibbs "Siamo partiti presto. Allora cominciamo? Avete un po' di cose da spiegarci."

"Certamente. Sediamoci qui." rispose Olivia, poi li fece accomodare attorno alla sua scrivania. Lei si sedette con loro, prendendo dei fascicoli, mentre Peter rimase in piedi, a braccia conserte, alle sue spalle. "Sapete cos'è la Scienza di Confine?"

"Illuminaci." rispose Gibbs, interessato.

"E' una serie di teorie e ricerche scientifiche controverse, al limite della scienza, e che possono sfociare nella pseudoscienza." spiegò Peter, senza muoversi dalla sua posizione.

"Intendi cose tipo telepatia, controllo della mente, invisibilità e universi paralleli?" chiese McGee.

"Si, ci occupiamo più o meno di questo." rispose Olivia "La divisione Fringe si occupa di risolvere crimini legati a fenomeni apparentemente inspiegabili..."

"O almeno non spiegabili tramite le teorie della scienza ufficiale."completò Peter.

"E quale spiegazione date alla gemellina di Abby che abbiamo visto ieri?" domandò Tony.

"Era una versione alternativa della signorina..." rispose Walter, intromettensosi nel discorso, mentre beveva un po' del latte appena munto, poi si rivolse al figlio e a Olivia "Probabilmente Walternativo sta conducendo degli esperimenti..."

"Walternativo?" lo interruppe Gibbs.


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Capitolo 4
*** 3 ***


I Bishop e Olivia si guardarono. Dopo qualche minuto di silenzio il giovane uomo si fece avanti.

“Si tratta di mio padre.” esordì Peter, misurando ogni parola.

“Tuo padre?” chiese McGee, confuso “Ma… scusa, ma tuo padre non è il Dottor Bishop?”

“sì e no. Walter è l’uomo che mi ha cresciuto, se così si può dire. Il mio padre biologico è Walternativo. Noi lo chiamiamo così, ma il suo vero nome è Walter Bishop, segretario della difesa degli Stati Uniti d’America, con sede a Liberty Island”

Gli agenti lo fissarono straniti.

“Un momento, sono confuso.” cominciò Gibbs “il segretario della difesa è Robert Gates, e la sede del ministero non è certo a New York, ma a Washington.”

“Non nell’universo dove sono nato io” spiegò il giovane, serio e composto. Questo riuscì a catturare tutta l’attenzione dei presenti, quindi potè continuare “Cominciò tutto 25 anni fa, il mio doppio, da questa parte, morì di una malattia di cui ero affetto anche io. Walter, per salvarmi la vita, mi rapì alla mia famiglia…”

“Figliolo, io…” cercò di spiegare il vecchio dottore, ma si zittì all’occhiata del figlio. Spesso i suoi silenzi erano più eloquenti di mille parole.

Nel silenzio irreale del laboratorio Peter continuò “Walter mi rapì, mi guarì dalla malattia, e mi tenne lontano dal mio mondo, dove mio padre, privato della cosa più cara che aveva, meditava vendetta.”

“Credo di capire.” osservò Gibbs “Credo di capire entrambi. Se avessi potuto riavere mia figlia indietro avrei attraversato interi mondi, ma se me l’avessero rapita avrei fatto qualunque cosa per riaverla con me.”

Ci fu di nuovo silenzio, dopodichè Peter riprese a parlare.

“Circa sei mesi fa, Walternativo ha trovato il modo di attraversare il sottile velo tra i nostri universi. Mi trovò e mi riportò nel suo mondo. Ci rimasi meno di una settimana, poi Walter e Olivia vennero a prendermi, per riportarmi a casa.”

Il fugace sguardo tra il giovane e l’agente Dunham non sfuggì agli occhi attenti di Gibbs, uno sguardo complice, di chi andrebbe in capo al mondo pur di salvare la vita a una persona cara.

“La regola 12… te la ricordi, pivella?” chiese, sorridendo, Gibbs.

“Tecnicamente Peter è un consulente civile, non un collega” lo corresse la donna.

“Che cos’è la regola 12?” chiese Peter.

“Niente relazioni con colleghi.” Risposero all’unisono Tony e Ziva.

“Oh, capisco… beh in effetti io non sono un collega di Olivia, quindi non infrangiamo nessuna regola.”

“Capisco. Comunque torniamo a noi. Perché pensate che quella ragazza, quell’altra Abby, potesse essere collegata al vostro Walternativo?” chiese Gibbs, tornando al nocciolo della questione.

“E’ il modus operandi di mio padre, usare cavie umane per i suoi esperimenti. Certo, a sua discolpa c’è da dire che lui non ha mai usato i bambini.” Un altro sguardo severo si posò sul vecchio scienziato, che mangiava liquirizie con un’espressione colpevole e sofferente in volto.

“Cosa significa?” chiese nuovamente Gibbs.

“Attraversare gli universi comporta un costo. Dall’altra parte ne stanno pagando le conseguenze. Nei giorni che ho passato lì ho visto cose che non potete neanche immaginare…”

“Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.” citò Tony, ma venne zittito da uno scappellotto prontamente assestato da Gibbs, che si rivolse nuovamente a Peter, che osservava DiNozzo con un’aria divertita e composta allo stesso tempo.

“Come facciamo a passare dall’altra parte allora?”

“Perché vorresti passare dall’altra parte, capo?” chiese Olivia.

“Non sarà la mia Abby, ma è comunque Abby, e io non la lascio nelle mani di un bastardo emulatore del dottor Mengele”

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Capitolo 5
*** 4 ***


“Sì, ma… al momento non è possibile, non abbiamo i mezzi adatti.” Spiegò Olivia.

“Avete appena detto che ci siete già andati dall’altra parte.” La ammonì Gibbs.

“Ma avevamo i mezzi, e un metodo… io da sola non posso farcela.” la voce di Olivia era piena di sconforto.

“Secondo me puoi farcela invece.” La rassicurò Peter, sfiorandole la mano tremante. La donna si calmò e Peter si rivolse al padre “Walter, mettiamoci al lavoro.”

Il vecchio scienziato si alzò in piedi all’istante.

“Sì, figliolo. Dobbiamo fare tutti i preparativi.” poi corse nell’ufficio, portandosi dietro una serie di fogli per fare i suoi calcoli.

Peter lo guardò allontanarsi, poi prese dal cassetto della scrivania una cartina degli Stati Uniti. Gibbs e la sua squadra si avvicinarono.

“Cosa cerchi?” gli domandò Gibbs.

“Un posto sicuro dove possiamo passare. Escluderei a priori Liberty Island. Troppo vicina alla tana del lupo.”

“Non possiamo passare oltre direttamente da qui?” domandò Tony.

“Escluderei anche Harvard. Il passaggio è bloccato dall’Ambra” spiegò Olivia, avvicinandosi al compagno.

“L’Ambra? Cos’è?” chiese Abby, guardando la cartina.

“E’ una lunga storia, Abby.” Spiegò spicciamente Peter, poi segnò un punto in corrispondenza di New York e prese un’altra cartina dettagliata della città “Trovato!”

Gibbs guardò la cartina “Central Park? Non è troppo scoperto?”

“Fidatevi.” Rispose il giovane, poi segnò delle cose su un foglio, che consegnò a Astrid.

“A cosa ti serve tutta questa roba?” gli chiese l’agente, scorrendo la lista.

“Devo costruire dei sistemi di comunicazione inter-universi. Non possiamo andare tutti.” spiegò “Qualcuno di voi è pratico di sistemi informatici?”

Timothy e Abby si fecero avanti. Il giovane Bishop li mise subito al lavoro su un terminale, per creare un software adatto, mentre lui liberava uno dei tavoli e ci sistemava sopra degli attrezzi. Quando Astrid arrivò con le cose richieste si mise al lavoro, pur continuando a parlare con gli altri.

“Agente Gibbs, qualcuno deve rimanere qui con Walter. Propongo uno dei suoi due informatici.”

“Abby resterà qui.” confermò l’altro.

“Ma Gibbs…” tentò di protestare la ragazza.

“Niente ma.” Fu la risposta ferma di Gibbs, che zittì subito la Dark.

Peter sorrise, poi tornò a parlare.

“Avrete bisogno di vestiti pratici, e sarebbe meglio portarsi qualche arma, anche se da quella parte sono tecnologicamente più avanzati e non so quanto possano essere utili…”

“Non c’è problema, ci arrangeremo con quello che abbiamo.” Lo rassicurò Gibbs.

Dopo qualche ora di lavoro i dispositivi di comunicazione erano pronti. Peter ne mostrò uno al padre, che lo fissò affascinato ed approvò l’idea del figlio.

“Auricolari con telecamere! Perché non ci avevo pensato? Ottimo lavoro, figliolo!” fu la sua risposta entusiasta.

“Sono contento che ti piaccia, Walter. Hai preparato tutto?” gli domandò il giovane.

“Sì, Peter.” poi mostrò delle fialette “Perché Olivia vi possa trasportare tutti dovremo potenziarle il potere con questo.” Indicò una fialetta rossa “E’ come il Cortexiphan, ma più potente, però…” si fermò un momento a fissare la donna “una volta arrivata dall’altra parte sarai senza forze. Questo altro composto ti aiuterà a recuperare più in fretta.” e le mostrò una fiala di colore verde “Te la dovrai iniettare appena passato il confine.”

Olivia non disse nulla, ma fece un sospiro teso. Peter lo notò.

“Mi occuperò io di tutto, Walter. Quando siete pronti andiamo.”

“Possiamo andare anche subito.” gli riferì Gibbs.

Il giovane annuì e prese uno zaino, ci infilò tutto il necessario e fece loro strada verso le auto.

A notte fonda arrivarono a New York. Gibbs e Olivia avevano avvertito i rispettivi capi, i quali, seppur con riluttanza, avevano acconsentito alla missione congiunta.

Trovato il punto migliore, Astrid, Walter e Abby montarono una postazione informatica mobile, mentre gli altri si radunarono attorno a Olivia.

“Non credo di farcela…” sussurrò in preda al panico, mentre Peter le faceva l’iniezione.

Lui le sorrise rassicurante “Ce la farai di sicuro. Queste persone contano su di te.”

“Ma Peter…” protestò.

L’uomo la zittì poggiandole leggermente un dito sulle labbra.

“Shh… io sono qui. Puoi farcela.” Poi la baciò dolcemente.

Lei lo allontanò di scatto.

“Scusa, stai brillando…” si giustificò.

Peter sorrise e si voltò verso gli altri.

“Ci siamo.” Li informò, poi fece un segnale al padre.

Tutti i viaggiatori si radunarono attorno a Olivia e Peter, il quale teneva le mani della donna e la fissava negli occhi rassicurante. L’agente Dunham era incredibilmente calma.

“Chiudete gli occhi e fate un respiro profondo.” ordinò il giovane Bishop.

Tutti ubbidirono. Una strana onda energetica attraversò i loro corpi, poi ci fu di nuovo silenzio.

Olivia cadde a terra in preda alle convulsioni. Peter la soccorse immediatamente e le iniettò il liquido verde.

In quel momento qualcosa oscurò la luna.

Mentre tutti si radunavano attorno alla coppia per accertarsi che Olivia stesse bene, Tony alzò gli occhi al cielo.

Un enorme dirigibile era fermo proprio sopra di loro.

“Ma che diavolo…”

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Capitolo 6
*** 5 ***


A quell’ora il poligono di tiro era vuoto. Era il momento preferito da Timothy per esercitarsi con le sue armi.

I suoi anfibi rimbombavano ad ogni passo, nel silenzio della sala; si avvicinò alla postazione di tiro e afferrò la pistola. La soppesò tra le mani e sorrise. Il contatto col metallo dell’arma gli dava una gradevole sensazione di potere e controllo.

Inforcò gli occhiali protettivi poi, senza quasi prendere la mira, sparò alla sagoma rossa in fondo alla sua postazione.

Posò la pistola e fissò la sagoma. Un foro circolare spiccava nel centro della fronte. Timothy sorrise nuovamente: centro perfetto.

D’altronde il Segretario l’aveva scelto apposta per le sue incredibili capacità di tiratore scelto, per entrare a far parte della seconda squadra della Divisione Fringe, capitanata dal Colonnello Leeroy Jethro Gibbs, uomo di fiducia nonché uno dei migliori amici del Segretario della Difesa Walter Bishop.

Timothy aveva 35 anni, ma era già considerato un membro anziano della Divisione Fringe. Non era da tutti riuscire ad entrare in una di quelle squadre ed essere ancora vivo dopo sette anni di servizio. Con i tempi che correvano rischiava di finire risucchiato in un wormhole o intrappolato nell’Ambra in qualunque momento.

In quegli anni aveva visto morire parecchia gente, tra cui anche un compagno di squadra, morto sei anni prima durante l’epidemia di peste polmonare che aveva colpito Washington D.C.

Era anche difficile fare progetti per il futuro. Kelly, la sua ragazza, stava per terminare l’università, e lui desiderava sposarla, ma non le aveva ancora fatto la proposta; non voleva fare troppi progetti a lungo termine. Se fosse morto le avrebbe spezzato il cuore, senza contare che il padre di Kelly era un uomo particolarmente severo e fortemente iperprotettivo nei confronti della figlia venticinquenne. Inoltre era anche il capo di Timothy, per cui sarebbe stato molto difficile conciliare lavoro e vita privata.

Il Colonnello pretendeva molto dai suoi uomini; tutti, sul campo, dovevano dare il massimo, un errore non era tollerato, e Timothy lo sapeva. Per questo si allenava al poligono di tiro tutti i giorni.

La divisione Fringe era in allerta da sei mesi prima, quando, contemporaneamente al ritorno a casa del figlio perduto del Segretario Bishop, avevano avuto un attacco da parte di una squadra proveniente da un universo parallelo, che aveva creato parecchio scompiglio e aveva nuovamente portato via il giovane Bishop.

A seguito di questi avvenimenti, la prima squadra della Divisione aveva avuto dei problemi: uni di loro, Lincoln Lee, aveva dovuto passare settimane in cura per delle ustioni gravi, il loro capo, Philip Broyles, era misteriosamente scomparso, e Olivia Dunham, altro membro della squadra, aveva avuto un bambino quattro mesi prima, di cui correva voce che fosse il nipote del Segretario.

Perso nei suoi pensieri, Timothy mise via le armi e andò in ufficio. Dove la seconda squadra, di turno quella notte, restava in attesa, pronta ad intervenire in caso di allerta Fringe.

Ari Haswari-David, il suo collega, leggeva un giornale seduto alla sua scrivania. Sulla prima pagina troneggiava in grosse lettere il titolo “Bill Gates perde la partita contro il cancro. Cordoglio nel mondo dell’informatica. Steve Jones: se ne è andato un genio.”

Timothy si avvicinò alla scrivania edel collega e prese la sua tazza di tè fumante. L’uomo lo guardò male ma non disse nulla: Ari era solo il pivello, venuto da Israele per sostituire il collega morto sei anni prima. Poco tempo dopo era anche convolato a nozze con Catherine Todd, uno dei tecnici informatici della Divisione, e migliore amica di Ziva David, sorella minore di Ari e psicologa di riferimento della squadra del Colonnello Gibbs.

Ari sapeva che non conveniva cominciare una discussione con il tenente McGee, a meno che non si volesse finire con un foro di proiettile nel bel mezzo della fronte.

“Stanotte sembra tutto tranquillo.” lo informò l’israeliano.

Neanche a farlo apposta, in quel momento suonò l’allarme Fringe; il Colonnello Gibbs arrivò di corsa, richiamando tutti all’ordine.

“Evento Fringe a Central Park. Andiamo!” li informò, poi precedette i sottoposti nella strada verso i garage.

Arrivati a destinazione, Timothy fu il primo a scendere. Col fucile in mano corse verso il punto segnalato; guardò in cielo: il dirigibile di ricognizione era già sul posto.

Si fermò nei pressi di un gruppo di alberi e controllò il prato antistante. Vide quattro uomini e due donne. Riconobbe uno di loro e avvertì la squadra.

“Colonnello, ho appena visto Peter Bishop. Io mi avvicino.” Disse, alla radio. Poi imbracciò meglio il fucile e si avvicinò, uscendo allo scoperto.

I componenti del gruppo si accorsero della sua presenza. L’uomo che Timothy aveva riconosciuto come Peter Bishop prese una pistola, che gli veniva offerta da uno degli altri uomini, che si fece avanti assieme a lui mentre gli altri due uomini e le due donne restavano indietro.

Il dirigibile si spostò leggermente e un raggio di luna illuminò il volto dell’uomo che aveva dato la pistola al figlio del segretario.

Timothy stava per sparare, ma esitò. Quell’uomo aveva una faccia conosciuta.

“Tony?” sussurrò, stranito. Tony era morto sei anni prima… come poteva essere?

I due approfittarono della sua esitazione e spararono. Il proiettile sparato da Tony lo mancò per un pelo; aveva sentito il sibilo vicino all’orecchio.

“Scappate! Vi copriamo io e Tony!” ordinò Peter agli altri quattro.

“NO! PETER!” urlò una delle donne. Timothy la riconobbe: Olivia Dunham. Stava per lanciarsi verso il figlio del Segretario ma venne fermata dal più anziano dei due uomini che erano con lei, che la portò via, scappando insieme agli altri, mentre gli uomini del Colonnello Gibbs circondavano e disarmavano Peter e Tony.

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Capitolo 7
*** 6 ***


Gibbs correva, nella confusione più totale. O almeno cercava di correre, trascinando Olivia, che lo strattonava, cercando di tornare indietro per raggiungere il suo Peter.

Contemporaneamente Walter gli urlava nelle orecchie, attraverso l’auricolare costruito dal giovane: anche lui avrebbe voluto raggiungere il figlio e salvarlo.

Quando furono abbastanza lontani si fermò e prese fiato.

“Dobbiamo tornare… Peter…” ansimò la donna, in preda al panico.

“Non possiamo affrontarli da soli, ci serve un piano… Dottr Bishop, si calmi! Non sono sordo!” lo ammonì Gibbs, stufo delle urla del vecchio scienziato.

Guardò gli altri due agenti. Entrambi ansimavano per la corsa.

Ziva continuava a guardarsi indietro, preoccupata. Non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma era preoccupata per Tony e fremeva per salvarlo.

“Ma quanto era grosso quello?” domandò McGee, respirando profondamente “Quello era… ero… oddio, sembrava di guardarsi allo specchio… solo che quello era più grosso…”

“Quello eri tu, Timothy.” Gli spiegò Ziva, poi guardò gli altri “Dove li porteranno?”

“A Liberty Island, suppongo.” spiegò Olivia, che sembrava essersi un po’ ripresa.

“Bene. Come ci arriviamo? Suppongo che qui non ci sia una linea di traghetti che ci vada diretta.”

“No.” rispose Olivia “Ma conosco qualcuno che potrebbe aiutarci.” Detto questo cominciò a camminare in direzione delle Torri Gemelle.

Intanto Tony e Peter erano stati disarmati e resi inoffensivi. Vennero ammanettati e caricati su dei furgoni scuri.

“Dove ci portano?” chiese Tony, cercando di sbirciare fuori, dietro la sagoma di quella versione doppata di McGee.

Il giovane Bishop non rispose. Era concentrato sul da farsi. Era perso nei suoi pensieri. Tony lo fissò: determinato, freddo e calcolatore. Di sicuro conosceva i metodi di questa gente e non voleva farsi trovare impreparato. Decise che era meglio tacere e guardarsi intorno. Non sapeva dove stavano andando, doveva trovare qualche indizio.

Improvvisamente il furgone si fermò. Però Tony aveva l’impressione che non fossero ancora arrivati. Il pavimento sembrava instabile, dondolava continuamente. Sbirciò fuori: erano in una barca.

“Dove stiamo andando?” chiese nuovamente Tony, ma venne zittito da un pugno in piena faccia da parte di Timothy “Ok, sto zitto… basta chiedere…” disse Tony, toccandosi il naso dolorante.

Peter continuava a restare in silenzio. Osservava tutto senza fiatare. Lui sapeva dove stavano andando; dalla sua espressione Tony capì che stavano andando a finire proprio nel bel mezzo della tempesta di guai che erano cominciati non appena avevano passato il confine.

Lo fissò ancora. Pensava a Olivia, ne era sicuro. Doveva essere successo qualcosa proprio lì, dove stavano andando ora.

Quel ragazzo era bravo a nascondere i suoi pensieri… Tony non riusciva a inquadrarlo bene, Peter Bishop era un vero mistero.

Dopo una mezz’ora di navigazione, finalmente raggiunsero la terraferma. Timothy li spinse fuori malamente. Tony inciampò, cadendo sulle ginocchia. Cercò di alzarsi puntellandosi con i gomiti. Peter lo aiutò, poi camminò dietro gli altri, restando sempre in silenzio. Senza guardare neanche la meravigliosa statua della libertà color rosso rame che si stagliava nel centro dell’isola. Alla base della statua qualcuno li aspettava. Tony la fissò e la riconobbe: Olivia, ma era rossa di capelli.

La rossa li vide e si avvicinò a Peter, ignorando Tony. Bishop la fissava carico d’odio. Sinceramente, avrebbe preferito il morso di una vipera a rivedere quella donna.

“Bentornato Peter.” Lo accolse, con finta cordialità.

L’uomo strinse i pugni e serrò la mascella, infuriato, senza rispondere. La donna sorrise e gli tirò indietro una ciocca di capelli, poi si rivolse a Gibbs, che si era avvicinato “Di lui ce ne occupiamo dopo. Portatelo dentro.”

Il Colonnello ubbidì, ma la donna lo fermò “Un momento!” disse, poi tornò ad avvicinarsi a Peter, gli passò una mano dietro la nuca e gli diede un leggero bacio sulle labbra.

Bishop sembrò infuriarsi più di prima. Strinse ulteriormente i pugni e chiuse gli occhi, cercando con tutte le sue forze di contrastare quella donna. Avrebbe voluto ucciderla. Se solo quelle manette non lo avessero bloccato…

Olivia si staccò, allontanandosi lentamente, poi fece un cenno al Colonnello, il quale potè finalmente portare dentro il figlio del Segretario.

Invece Tony venne portato in una stanza scura, con un’unica sedia al centro.

Qui venne lasciato solo assieme a McGee, il quale lo interrogò senza sosta. L’uomo non rispose o si limitò a fare le sue solite battute stupide, che servirono solo a far infuriare l’energumeno. Più questo si infuriava, più botte prendeva Tony.

“Chi sei veramente?” chiese ad un certo punto il tenente.

“Anthony DiNozz…” rispose, ma l’altro lo colpì prima che potesse terminare di parlare.

“Anthony DiNozzo è morto! Allora? Chi sei?”

Lo colpì nuovamente, ma in quel momento la rossa entrò.

“Basta così per ora, tenente McGee.” Ordinò.

L’uomo scattò sull’attenti e tirò su Tony, portandolo lungo un corridoio, poi aprì una porta e lo buttò dentro una cella, dove già era stato rinchiuso Peter.

Il giovane era praticamente illeso. Non lo avevano toccato, si erano limitati a farlo infuriare. Probabilmente avevano bisogno di lui, pensò Tony.

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Capitolo 8
*** 7 ***


DiNozzo si stese sulla schiena, cercando di riprendere fiato. Era malconcio e dolorante; quel tizio che somigliava al pivello ma non era lui lo aveva conciato per le feste.

Guardò Peter; lui era illeso. Incazzato nero, sì, ma illeso.

“Cavolo come picchia questo McGee…” sussurrò, dolorante. L’altro non rispose, quindi continuò “Pare che io qui sia morto.”

Finalmente il giovane uomo lo guardò. Sembrava indeciso se parlare. Finalmente si schiarì la voce e parlò.

“A quanto pare abbiamo qualcosa in comune. Per me però è il contrario.”

Tony sorrise, cercando di tirarsi su.

“Qualcosa sì, ma non tutto. Tu hai una ragazza… e che ragazza…” fischiò.

Questa volta fu Peter a sorridere, al pensiero di Olivia, la Sua Olive.

“Olive è speciale, in tutti i sensi. Sono un uomo fortunato.” sorrise nuovamente. Era il sorriso di un uomo innamorato.

L’agente lo fissò, poi scosse la testa “Sei cotto, amico!” esclamo, cercando di tirarsi su, ma perse l’equilibrio.

Stava per cadere, ma il giovane lo prese prima che potesse cadergli addosso. Appena lo toccò, a Tony parve di sentirsi un po’ meglio.

“Hai mai amato qualcuno in vita tua?” gli chiese, aiutandolo a sedersi sulla branda, accanto a lui.

Tony sospirò. Si sentiva meglio, ma quella era una ferita ancora aperta. Non gli andava di parlarne, ma tanto erano rinchiusi in quella cella, in un altro mondo, dove tutto era stravolto, e non avevano nulla da fare.

“E’ una lunga storia…” esordì.

Peter vide negli occhi dell’agente uno sguardo famigliare. Lo stesso di quando lui aveva rischiato di perdere Olive per sempre. Gli poggiò di nuovo una mano sulla spalla.

“Sai, io ho rischiato di perderla per sempre, la mia Olive… sono un uomo fortunato…”

Tony si sistemò meglio sulla branda poi, fissando il muro davanti a sé, pur senza vederlo, cominciò a raccontare tutto. Della missione sotto copertura affidatagli dal defunto direttore, di Jeanne e di come era finito tutto. Poi gli raccontò di Ziva, di quando pensava di averla persa per sempre e, mosso da sentimenti contrastanti, era andato in Somalia per vendicarla, ma poi l’aveva ritrovata viva e l’aveva riportata a casa sana e salva.

“Mi avevano pure iniettato il Penthotal. Non potevo mentire, ero obbligato a dire tutta la verità.” concluse.

Peter ascoltò in silenzio, poi prese la parola.

“Dimmi la verità, Tony: hai paura che succeda con Ziva la stessa cosa che è successa con Jeanne? Sai, io sono bravo a capire le persone. Vi ho osservato fin dall’inizio, tra voi c’è tensione. Non credo che questa tensione sia dovuta alla famosa regola che avevi detto… la regola 12. Non penserai di essere maledetto?”

Tony rise, mettendo su la sua solita faccia da poker.

“Non sono fatto per le storie durature io.” rispose.

“Ecco un altro punto in comune.” disse Peter, con il sorriso sulle labbra “Prima di incontrare Olivia ero come te. Dicevo anche io di non essere fatto per le storie durature. Poi qualcuno mi ha fatto cambiare idea. E non è stato facile, anzi, ne abbiamo passate tante noi due, e ci sono cose che ancora non mi perdono.” sospirò, come per raccogliere le idee “Quello che voglio dirti è che se incontri nella tua vita una persona così, una persona speciale, vale la pena di rischiare il tutto e per tutto.”

Tony sospirò, continuando a fissare il muro davanti a sé, poi riprese a parlare.

“La rossa è una stronza colossale.”

Peter distolse lo sguardo. Non voleva che Tony vedesse la tristezza e il senso di colpa che lo avevano avvolto appena DiNozzo aveva nominato quella donna. Quella era una ferita ancora aperta tra lui e la sua Olive.

“Ci sono cose che mi perseguiteranno per sempre.” sussurrò tra sé.

Tony si girò per guardarlo negli occhi.

“Ci sei andato a letto e la nostra Olivia non te l’ha ancora perdonato, vero?”

Bishop sospirò. Tony era un ottimo detective.

“La storia è un po’ più complicata di così…” disse, con un filo di voce. Distolse lo sguardo e continuò “Walter, Olivia e altri come lei sono venuti qui con il compito di riportarmi dall'altra parte. Non so come sia successo, nè quando, ma hanno fatto uno scambio e la rossa ha preso il posto della mia Olive. E io sono stato tanto stupido da non accorgermi che non era lei. E' ancora una ferita aperta tra noi.” la sua voce era strozzata dal rimorso “Mi sono comportato… non ho scusanti per quello che ho fatto.”

Tony scoppiò improvvisamente a ridere.

“Certo che anche tu sei incasinato, quando si tratta di questioni di cuore, amico! Come hai fatto a non accorgerti che non era lei?”

“Avevo notato che c’erano delle differenze, ma pensavo dipendessero da me… da noi, per quello che stavamo costruendo. Era più aperta, più rilassata con Walter. Non pensavo che non fosse lei, credevo dipendesse dal fatto che stessimo insieme. Ancora mi sto chiedendo come ho fatto a non vedere l’inganno…”

Il giovane Bishop era teso. Dava l’impressione di voler strangolare qualcuno, e quel qualcuno aveva i capelli rossi e il volto della donna che amava.

“Certo però che bionda è molto più sexy!” esclamò Tony.

Peter si voltò verso di lui e lo squadrò dalla testa ai piedi, serio e concentrato.

“Ringrazia che sei conciato male e non voglio infierire, ma se dici ancora qualcosa sulla mia ragazza ti farò cose che quello che ti ha fatto l’altro McGee sembreranno carezze a confronto.”

Tony fece un sorriso ironico.

“Non avrai anche tu i superpoteri, come Olivia?” chiese, scherzoso.

Ma Peter non scherzava affatto. La sua espressione era dura, non sembrava più lui.

“Sai, ti ho osservato. Io so di cosa sei capace tu, ho capito che tipo sei. Ma tu non sai di cosa sono veramente capace io. Quindi ti consiglio caldamente di non provocarmi se ci tieni alla tua vita.”

Detto questo si richiuse nei suoi pensieri. Ignorò Tony che citava tutti i film di Batman in ordine cronologico da “Batman” del 1943 a “Il Cavaliere Oscuro”, del 2008, con tanto di elenco di registi, sceneggiatori e attori.

Il giovane si concentrò sulla situazione. Era rinchiuso lì dentro da ore. Cosa stavano aspettando i suoi carcerieri? Sicuramente Walternativo era già stato avvertito, doveva essere lì da un po’. Doveva avere qualcosa in mente, qualche piano, e Peter pensava che per lui sarebbero stati dolori, visto che stavano aspettando così tanto.

Improvvisamente la porta si aprì. Il tenente Mcgee e altri tre soldati li prelevarono e li portarono verso un grosso ufficio, quello del Segretario della Difesa.

Walternativo stava parlando con la rossa, che dava loro le spalle. Peter notò che teneva qualcosa tra le braccia. Vicino a loro c’erano i membri superstiti della prima squadra della Divisione Fringe, Lincoln Lee e Charlie Francis, mentre la seconda squadra teneva d’occhio quattro persone: Gibbs, che guardava in cagnesco il suo doppio, Ziva, che si rilassò non appena vide i due, ancora vivi, McGee, che cercava di far calmare Olivia.

Peter la guardò. Olivia era agitata; era successo qualcosa, aveva visto qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere. Quell’espressione l’aveva già vista in precedenza, quando aveva scoperto che lui non aveva capito subito dello scambio.

Walternativo lo riportò ai suoi pensieri.

“Bentornato, figliolo.” Lo salutò, con un tono freddo e calcolatore.

Peter tornò a guardare lui.

Improvvisamente capì cosa aveva turbato la sua Olive.

La rossa si era voltata.

Teneva tra le braccia un bambino di quattro mesi. Il piccolo si guardava attorno, lo sguardo curioso tipico della sua età.

Gli occhi azzurri del bambino si posarono sul giovane uomo.

A Peter si gelò il sangue nelle vene: quelli erano i suoi occhi.

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Capitolo 9
*** 8 ***


Quel silenzio glaciale sembrò durare ore.

Peter fissava il bambino in braccio alla rossa; lo analizzò bene: gli occhi erano i suoi, ma le labbra erano quelle di Olivia. Non c’erano dubbi, quello era il loro figlio; ma come era possibile che fosse già nato? L’ultimo contatto che aveva avuto con quella donna risaliva a cinque mesi prima.

Quel bambino aveva almeno quattro mesi… i conti non tornavano. A meno che… forse Walternativo aveva trovato il modo di accelerare la gravidanza, di far nascere il bambino con mesi di anticipo.

Sì, quella creatura era suo figlio, la prova di quanto Peter era stato stupido, perché non aveva visto l’inganno.

“Figliolo, ti presento Henry Bishop.” gli disse Walternativo, avvicinandosi alla rossa e facendo una carezza al bambino.

Peter fece un profondo respiro. Era infuriato, doveva mantenere la calma.

Ignorò il padre naturale e guardò il gruppo che aveva attraversato il velo con lui. Tony si era avvicinato a Ziva, la quale si tratteneva a stento dal saltargli al collo, McGee ancora cercava di calmare Olivia e Gibbs osservava tutto in silenzio. Notò che aveva ancora addosso l’apparecchio di comunicazione; probabilmente Walternativo voleva che Walter vedesse tutto, perché la squadra era stata disarmata.

Si avvicinò alla sua Olivia. Lanciò un’occhiata a McGee, che fece un passo indietro, poi si rivolse a lei.

“Olive…” cercò di spiegare. Voleva calmarla; le posò dolcemente una mano sulla spalla.

La donna si prese il volto tra le mani e soffocò un singhiozzo.

Improvvisamente, tutto nella stanza tremò. Il piccolo, spaventato, scoppiò a piangere, e la madre lo cullò per farlo calmare.

Peter strinse leggermente la spalla della bionda, facendo un respiro profondo. Doveva calmare sé stesso prima di calmare lei. Quelle vibrazioni erano la prova che lei non riusciva a controllare il suo dono.

“Olivia, ti prego…” sussurrò, dolcemente.

Olivia era agitata, spaventata e ferita. Il suo sguardo vagava dalla creatura, a lui. Riconobbe quello sguardo. Lo aveva già visto tempo prima, a Jacksonville, quando aveva scoperto di essere stata una cavia di Walter, un Cortexikid, come erano stati chiamati i bambini come lei.

Stava cercando le parole giuste da dirle, quando la rossa si avvicinò.

Peter si irrigidì, girandosi lentamente verso la donna.

Lei sorrideva. Cosa aveva in mente?

“Ti somiglia molto, Peter…” disse “vuoi provare a prenderlo in braccio?”

Guardò il piccolo con la coda dell’occhio. Stringeva i pugnetti e lo fissava. Era triste, aveva capito che qualcosa non andava. Ed era un innocente.

Ma anche Olive era innocente, non si meritava quello che stava succedendo. Fece un altro respiro profondo.

“No.” Disse, con voce glaciale, a denti stretti, stringendo ancora la spalla di Olive.

Con lo stesso tono si rivolse a Walternativo.

“Cosa vuoi da noi?”

“Voglio solo passare del tempo con mio figlio.” rispose il Segretario, sorridendo.

“Non sono tuo figlio.” replicò il giovane, poi indicò i compagni di squadra “Loro non c’entrano nulla. Lasciali andare.”

“Oh… loro sono liberi di andare dove vogliono… all’interno di Liberty Island. Sarete tutti miei ospiti.”

Olivia fissò gli altri, poi si liberò della presa di Peter e quasi corse fuori da quell’ufficio.

Peter fece per seguirla, ma Gibbs lo trattenne.

“Non ora, Peter.” lo ammonì, poi gli mise in mano l’auricolare, dall’altra parte del quale c’era suo padre, e corse fuori, dietro di lei.

Peter fissò l’auricolare per qualche secondo, poi se lo mise in tasca. Non aveva voglia di parlare con nessuno, tantomeno con suo padre. Voleva stare da solo con i suoi pensieri, preferibilmente lontano dalla madre di suo figlio e da Walternativo.

Senza guardare nessuno uscì dall’ufficio.

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Capitolo 10
*** 9 ***


Quando Gibbs raggiunse Olivia, lei era seduta in uno degli scalini dell’entrata principale della Statua della Libertà.

Stava fissando la città con aria assente, ricacciando indietro le lacrime.

L’uomo si sedette accanto a lei e guardò anche lui la città, su cui spiccavano le Twin Towers.

“Non pensavo che sarei mai riuscito a rivedere questo spettacolo.” Disse lui, rompendo il silenzio in cui era chiusa la donna.

Lei sembrò risvegliarsi dal suo torpore e lo fissò.

“Neanche io…” rispose, ancora un po’ assente.

Ottenuta la sua attenzione, Gibbs la guardò intensamente.

“Dimmi cosa ti tormenta, Olivia.” Le chiese, in tono paterno.

Lei respirò profondamente, prima di parlare. Il suo vecchio capo sapeva leggere le persone meglio di chiunque altro… o forse no, non meglio di Peter. Ma Peter non si era accorto dell’inganno. No, decisamente Gibbs era il migliore a leggere le persone.

“So tutto quello che è successo. Lei mi ha portato via la mia vita. E io con tutte le mie forze sono riuscita a riprendermela. Sai cosa significa non sapere più chi sei? Essere più sola di quanto avresti mai immaginato? Io mi ero aggrappata al ricordo di Peter. È stato grazie a questo se sono riuscita a ritrovare me stessa, a trovare la forza per ritornare. Invece lui… lui non si era accorto di nulla…”

Si passò una mano sul volto. Non doveva piangere, doveva essere forte, non mostrare i suoi sentimenti, come aveva sempre fatto.

Fece un altro respiro profondo, poi continuò “Credevo di essere riuscita a superare tutto. stavo ritrovando me stessa, ciò che provo per Peter, ma ora, quel bambino… ha fatto crollare di nuovo tutto.”

Gibbs la abbracciò, passandole una mano tra i capelli, come fa un padre con una figlia triste.

“Una volta ero sposato, sai?” le confessò.

“Ricordo che hai tre ex mogli…” rispose lei, tirando su col naso.

“No, non parlo di loro. Shannon, la mia prima moglie, è morta 16 anni fa. È stata uccisa insieme a Kelly, nostra figlia, che aveva 9 anni.”

Lei si tirò su e lo fissò.

“Mi dispiace, Capo.”

Lui sorrise pensieroso.

“Non preoccuparti, l’ho superato. Quello che voglio dire è che devi tenerti stretta Peter con tutte le tue forze. Lui ti ama, si vede da come ti parla, come ti guarda e come ti tocca. Anche per lui è stato uno shock scoprire del bambino, non era sua intenzione ferirti. Ma sa anche che suo figlio è una vittima del sistema, come lo siete voi.”

Lei si tirò su e tornò a guardare il panorama. Le parole di Gibbs l’avevano rincuorata un po’. Lui continuò a parlare.

“Voi due siete due parti della stessa mela. La mia impressione è stata che uno non può vivere a lungo senza l’altra. È come se lui avesse un potere capace di attivare i tuoi, dandoti la calma necessaria per concentrarti.”

Lei sorrise all’immagine creata da Gibbs. Aveva ragione, lei e Peter erano fatti per stare insieme.

“Grazie, Capo. Va meglio, davvero.” Lo rassicurò.

Lui si alzò e si spolverò i pantaloni.

“Felice di esserti stato utile, pivella. Ora mi dici dove posso trovare del caffè? È da quando sono arrivato qui che ne ho una voglia matta.”

Lei sorrise di nuovo. Il solito caffeinomane… “Mi dispiace, Gibbs. Qui il caffè è quasi estinto… ma magari se chiedi in giro potrebbe esserci del tè.”

Lui sorrise e si allontanò, proprio nel momento in cui, nell’altro cortile, atterrava un elicottero.

Gibbs entrò e vide il tenente McGee che correva verso l’elicottero appena arrivato. Incuriosito, decise di seguirlo restando a distanza di sicurezza.

Il giovane tenente corse incontro a una ragazza poco più giovane di lui. La ragazza aveva i capelli rossi e un’aria famigliare.

McGee la tirò su e la baciò con una delicatezza sorprendente, vista la sua mole.

Dietro di loro arrivò una donna. Aveva una cinquantina d’anni e a Gibbs parve di averla già vista da qualche parte. Gibbs la fissò ancora, poi la riconobbe.

“Shannon?” sussurrò, poi si avvicinò esitante.

McGee lo vide, mise giù la ragazza e disse qualcosa alle due donne. Quando l’uomo si avvicinò lo guardò di traverso.

“Credo che lei le conosca, signore.” disse il giovane, indicando le due.

“Sì, ma… dalla mia parte sono…” non riuscì a terminare la frase e fissò Shannon. Era ancora stupenda, nonostante l’età.

La donna si avvicinò e lo guardò intensamente.

“Sei identico a mio marito…”

“Sì, lo so…” rispose, con un filo di voce, poi tornò a guardare il tenente, che stringeva ancora la ragazza.

“E’ il colonnello, ma allo stesso tempo non è lui. È venuto qui con il figlio del Segretario. Hai presente quello che dicono? Dell’altro universo? Loro hanno anche un altro Tony… ed è ancora vivo.”

Gibbs lo guardò. McGee sembrava più rilassato, più simile al McGee che conosceva lui.

“Dalla nostra parte è tutto molto diverso. Alcune persone sono morte e altre sono ancora vive.” spiegò al ragazzo.

“Per esempio?” domandò la ragazza, curiosa.

“Tu sei mia figlia Kelly, vero?” chiese. Lei annuì.

Lui fece un respiro profondo e parlò.

“Tanto per cominciare Ari Haswari. È morto sei anni fa.”

“Povera Kate… sarà distrutta…” sussurrò Timothy.

L’altro scosse la testa “Lei è stata uccisa pochi giorni prima. Dalla nostra parte Ari Haswari era un terrorista. È stato lui a ucciderla. E sua sorella Ziva ha ucciso lui. Ora lei è parte integrante della squadra. È come una figlia per me.”

Kelly lo fissò con lo sguardo intenso della madre, poi si stacco dal fidanzato e si avvicinò a Gibbs.

“Anche io e la mamma siamo morte, vero?” gli domandò.

Gibbs fece un altro respiro profondo e annuì. “Siete state uccise 16 anni fa. Non vi ho mai dimenticato.”

La giovane lo fissò per qualche secondo, poi lo abbracciò.

“Mi dispiace tanto.” disse, mentre lui la stringeva, come se non volesse mai più lasciarla andare. Infine guardò McGee.

“State insieme?” chiese, guardandolo serio.

“Sì signore, da tre anni.” Rispose il giovane, altrettanto serio. L’altro sorrise.

“Se sei in gamba almeno quanto il nostro McGee, allora sei l’uomo giusto per lei.”

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Capitolo 11
*** 10 ***


Intanto Peter era uscito nel cortile nei pressi dell’eliporto.

Era in piedi, con i gomiti poggiati alla ringhiera, e fissava Ellis Island con aria assente.

Il quel momento sentì atterrare un elicottero.

Lo fissò mentre si poggiava a terra e spegneva i motori. Poi vide scendere i passeggeri.

Uno di loro, una donna, lo notò e si fermò a guardarlo. Peter non ci fece caso subito. Era ancora immerso nei suoi pensieri, quindi la riconobbe solo quando era a pochi metri da lui.

Si trattava di Elizabeth Bishop, sua madre. L’unica persona di questo universo con cui non ce l’aveva.

Si girò e le sorrise.

“Peter… sei davvero tu?” gli chiese la donna, incredula.

Lui si avvicinò e la abbracciò forte.

“Sì, sono io. È bello rivederti.” Le rispose, senza smettere di sorriderle.

Ma il sorriso era solo sulle labbra. Gli occhi rispecchiavano ancora la tristezza che sentiva dentro di sé. E questo non sfuggì a Elizabeth.

“Caro, sembri triste…” disse lei, carezzandogli la guancia in modo materno.

Lui distolse lo sguardo, cercando di non mostrare il dolore dentro di sé, ma non riuscì a ingannarla.

“Dimmi tutto, tesoro… cosa non va?” lo implorò la donna.

Peter fece un respiro profondo, prima di parlare.

“E’ una lunga storia… non so da dove cominciare. Sto facendo del male a una persona, la persona a cui tengo più al mondo.”

“Andiamo a sederci e raccontami tutto.” lo rincuorò lei, prendendolo sotto braccio e accompagnandolo a una panca lì vicino. Peter la lasciò fare, sapeva che con lei poteva parlare liberamente.

Dopo che si furono seduti, Elizabeth lo fissò negli occhi.

“C’entra una ragazza?”

Il giovane annuì “Mi sono comportato da perfetto idiota, avrei dovuto vedere…”

“Gli errori fanno parte della natura umana. L’importante è saper porre rimedio.” Lo consolò la madre.

“Per questo non credo che ci sia un rimedio. Inoltre c’è di mezzo anche un altro innocente.”

La donna rimase in silenzio qualche secondo, pensierosa.

“Si tratta del figlio dell’agente Dunham?” gli domandò, guardandolo negli occhi.

Lui distolse lo sguardo e annuì distrattamente, torcendosi le mani. Lei lo fece di nuovo voltare per guardarlo in viso.

“Sei il padre del bambino, Peter?” chiese, con tono dolce e comprensivo.

L’uomo fece un altro profondo respiro, poi, con un filo di voce, finalmente rispose.

“Sì… fino ad oggi non sapevo neanche che esistesse…”

Lei lo abbracciò, carezzandogli i capelli nello stesso modo che faceva quando lui era bambino.

“Mi dispiace tanto, figlio mio.” lo rassicurò “Lei chi è? L’agente Dunham del mondo dove sei cresciuto?”

Peter annuì nuovamente. “Olive è una donna straordinaria. Non si merita quello che le ho fatto.”

“Hai provato a parlarle?”

“Non so se accetterà ancora di rivolgermi la parola, dopo tutto questo.”

“Se ti ama lo farà, e ti perdonerà tutti gli errori che hai fatto.” gli disse Elizabeth sorridendo, poi aprì la borsa e prese una cosa, mettendola delicatamente nella mano del figlio.

Peter aprì il palmo e fissò l’oggetto: un quarto di dollaro d’argento. Il suo vecchio quarto di dollaro, la moneta che le aveva regalato prima di venire rapito, quando era bambino.

Sorrise, guardandola stupito.

“Dopo tutto questo tempo… la tieni ancora?”

Lei gli baciò la fronte, sorridendo “Era la tua moneta preferita.”

“Te l’avevo regalata perché ti portasse fortuna…”

“Ora serve più a te. Sai, quel bambino mi ricorda te quando eri piccolo... eri curioso, non ti perdevi nulla di quello che ti stava intorno"

L’uomo si rabbuiò nuovamente.

“Cosa devo fare con lui? Come... Spero davvero che sia come dici tu. Se Olivia non volesse più parlarmi la capirei.” Sussurrò, guardandosi le mani.

"Ora pensa alla tua Olivia. Henry ha già qualcuno che gli vuole bene, per il momento." Rispose, indicando verso l’entrata della Statua, dove Lincoln stava facendo volare il piccolo Henry Bishop, il quale rideva felice, allargando le piccole braccia.

Peter li fissò con un’aria indecifrabile, poi si voltò verso il mare, nascondendo il viso alla madre. Lei gli passò una mano sui capelli, dolce, per farlo tranquillizzare.

“Peter, caro… per un genitore è difficile lasciare il proprio figlio, ma lui starà bene. Ora pensa alla tua ragazza, alla tua Olive. Lei ha bisogno di te più di Henry.”

Il giovane sospirò sollevato: parlare con la madre lo stava facendo sentire meglio.

“Spero di trovare le parole giuste perché Olive mi perdoni.”

Elizabeth lo guardò, sorridendo orgogliosa.

“Sono fiera di te, tesoro. Sei diventato un uomo migliore di tuo padre.”

Lui scosse la testa.

“No, non sono meglio di lui.” le disse, continuando a guardare il mare.

“Ti preoccupi per delle vite innocenti.”

Lui si voltò di nuovo a guardarla.

“Ma queste vite innocenti stanno soffrendo a causa mia.” Sussurrò “Olive mi ha reso quello che sono ora. Vederla ogni giorno, vedere quello che riesce a fare… lei è speciale, davvero. Ma so come è fatta. Si chiuderà di nuovo nel suo guscio, come era tre anni fa, quando l’ho conosciuta. Non mi darà possibilità di spiegarmi, anche se non c’è nulla da spiegare, io… le cose sono fin troppo chiare. Io sono stato un idiota, punto e basta!”

Lei lo fissò in silenzio. Quello sfogo era rivolto più che altro a sé stesso. Lo aveva lasciato parlare perché aveva bisogno di sfogarsi.

“Tu sei un brav’uomo, Peter. E lei lo sa. Sono certa che ti avrà già perdonato.”

Lui scosse la testa. Non si sentiva affatto un brav’uomo in quel momento.

“Peter… lei è venuta fin qui per riportarti indietro.” Continuò, cercando di guardarlo negli occhi “Una persona che fa un viaggio del genere, pieno di pericoli, non devi lasciartela sfuggire.”

Peter si tirò su a guardarla. Aveva ragione. Doveva combattere con tutte le sue forze per riaverla indietro.

Elizabeth capì che il figlio si sentiva meglio e si alzò.

“Pensa a quello che ci siamo detti, figlio mio.” poi gli baciò la fronte e si allontanò, lasciandolo ai suoi pensieri.

Peter la guardò allontanarsi, poi si alzò e tornò a guardare il mare, vicino alla ringhiera.

Rimase immerso nei suoi pensieri per qualche minuto, ma venne riportato alla realtà dal lallare allegro di un neonato, alle sue spalle.

Si irrigidì. Sapeva chi era a fare quei versi, e non aveva proprio voglia di averlo vicino, in quel momento.

“Lui non ha colpe.” esordì Lincoln, avvicinandosi, continuando a tenere il piccolo Henry in braccio.

Peter si voltò lentamente, facendo dei respiri profondi per mantenere la calma; poi fissò negli occhi l’agente Lee con un’espressione glaciale, restando in silenzio.

“Ci hanno presi tutti in giro.” continuò l’altro, sostenendo lo sguardo del giovane. Il bambino continuava a fare versi, concentrato sul palmare di Lincoln, che stava cercando di smontare.

“Dimmi perché dovrei crederti.” disse, finalmente, Peter, con voce ancora più glaciale del suo sguardo.

“Ho saputo dello scambio pochi mesi fa.” spiegò l’altro “Non sapevo che lei non fosse la nostra Olivia.”

Il bambino fece un verso trionfante, era riuscito ad aprire l’apparecchio e tirare fuori le batterie. Peter lo osservava con la coda dell’occhio.

“Raccontalo a qualcun altro!” esclamò, sorridendo scettico.

“E’ la verità. Sì, avevo notato alcune differenze, ma non pensavo… e poi quell’esaurimento nervoso…” si giustificò l’agente Lee.

“Esaurimento nervoso?” ruggì rabbioso Peter “Direi più che naturale per una a cui stavano instillando dei falsi ricordi!”

“Ti giuro…” cercò di continuare Lincoln “Se l’avessi saputo, io…”

Peter fece un altro respiro profondo. Strinse i pugni; doveva mantenersi calmo, non aveva per niente voglia di sentire piangere la creatura in braccio all’altro, che già lo fissava spaventato per il tono di voce che aveva sentito poco prima nelle parole del padre.

Lincoln restò per qualche secondo in silenzio, infine guardò Henry e gli tolse di mano ciò che restava del suo palmare.

“Fantastico... me l’ha smontato.” sospirò demoralizzato, poi tornò a rivolgersi a Peter “Il Segretario dice che i nostri mondi sono in guerra.”

“No. Non è vero. Il nostro universo non è mai stato in guerra con il vostro.” rispose Peter, finalmente calmo.

“Ma tu sei stato rapito…”

“Walter mi ha salvato la vita.”

“Ma il Segretario diceva…” cercò ancora di continuare Lincoln, ma il suo tono di voce tradiva l’imminente crollo di tutte le sue convinzioni.

“Cosa?” domandò Peter, cercando di mantenere la calma.

“Diceva che avete tentato di attaccarci. Che è colpa vostra se il nostro mondo sta morendo.” sussurrò Lincoln, fissando le montagne di Ambra che si vedevano in lontananza, nella città e intorno ad essa.

“Interessante, potrei dire la stessa cosa di voi.” lo accusò il giovane “Tutto quello che sta succedendo qui è perché un uomo ha cercato di salvare suo figlio. Non pensava quali sarebbero state le conseguenze, non pensava che sarebbe andata così. E credimi, non è orgoglioso di quello che ha fatto”

L’agente Lee lo fissò per lunghi secondi, poi tornò a guardare il piccolo, il quale fissava Peter quasi ipnotizzato.

“Henry non ha colpe per quello che è successo.” disse, prendendolo meglio.

Peter inspirò profondamente, stringendo ancora di più i pugni. Stava di nuovo rischiando di perdere la calma.

“Perché siete venuti qui, questa volta?” domandò, finalmente, Lincoln.

Il giovane Bishop lo fissò ancora. Non aveva altra scelta, doveva dirgli la verità.

“Siamo venuti a salvare una donna, la versione alternativa di una della squadra. Stanno facendo degli esperimenti su di lei. Una di noi sa bene di che si tratta...” spiegò, mantenendo il tono calmo.

“Esperimenti? Chi mai potrebbe usare una persona per fare esperimenti?”

Peter stava per rispondere, ma il bambino si mosse verso di lui, cogliendolo di sorpresa. Il piccolo aveva notato nella tasca della giacca la videocamera auricolare che aveva costruito per poter comunicare con Walter e l’aveva afferrata.

Peter guardò il figlio per qualche secondo, poi gli tolse l’auricolare dalle manine, evitando accuratamente di toccargli la pelle. Poi si decise a rispondere all’agente Lee.

“Chiedi al tuo Segretario. Chiedigli cosa ha fatto passare alla mia Olive!”

“Guarda che il bambino non morde!” esclamò l’altro. Si era accorto del gesto di Peter.

Bishop non rispose. Era di nuovo perso nei suoi pensieri.

“Senti, Bishop…” continuò Lincoln “Qualunque cosa sia successa tra te e Livvy, Henry non c’entra.”

Peter respirava lentamente, per tenersi calmo.

“Non è affar mio…” sussurrò, a denti stretti.

“Lui è tuo figlio.”

“Dovrebbe fare qualche differenza? Non sapevo neanche che esistesse fino a poco fa.” Si giustificò di nuovo Peter, in tono freddo e distaccato, quasi crudele.

“Beh, dovrebbe importarti!” insistette ancora l’agente Lee “Questo mondo sta collassando, e lui potrebbe morire da un momento all’altro.”

Peter alzò lo sguardo, gelido e spietato.

“Bene. Un motivo in più per cui non avrebbe neppure dovuto essere al mondo.” ringhiò, gelido e tagliente.

Lincoln scattò in avanti, prendendolo per il bavero con la mano libera.

“Ripeti quello che hai detto.” lo minacciò.

Peter lo fissò per qualche secondo, poi se lo scrollò di dosso, senza aggiungere altro.

Lincoln si allontanò di mezzo passo e prese meglio il bambino, il quale continuava a fissare Peter. Quando vide il padre più calmo, gli offrì le batterie che aveva smontato dal palmare dell’agente Lee, quasi in segno di pace.

Bishop lo fissò, incerto su cosa fare. Sapeva benissimo che quel bambino era innocente, e aveva capito cosa volesse fare con quel gesto. Si passò una mano sul viso, voltandosi di spalle e poggiandosi alla ringhiera.

“Non posso…” sussurrò.

Henry si girò a guardare Lincoln, incerto. Poi fece dei piccoli versi: “Pa… pa…”

Peter era ancora girato di spalle. Ma si vedeva che era scosso. Tutto il suo corpo lo urlava, anche se lui restava in silenzio.

Lincoln fece un respiro profondo “Senti, se è vero quello che hai detto sul Segretario, Henry non deve restare un minuto di più in questo mondo. Devi portarlo via con te.”

Peter si voltò e lo fissò negli occhi “Tutto ciò che ti ho detto è vero. Il segretario vi ha mentito, e continuerà a farlo per suo tornaconto personale.”

Era la verità. Lincoln finalmente gli credette.

“Io ho accesso a sezioni dell’isola che a voi non sono permesse. Posso dare un’occhiata per conto vostro.”

Peter lo fissò per studiarlo.

“Che cosa vuoi in cambio?” domandò, finalmente.

“Te l’ho detto. Porta Henry via con te. Lui deve restare al sicuro.”

“Con me non lo sarà.” replicò Peter.

“Non credo. Se ho capito bene come è fatta la tua Olivia, lei ti ha già perdonato. Voi non siete stati gli unici ad essere stati ingannati.” La voce di Lincoln era un sussurro. Peter finalmente capì.

“Per te è più di una collega.” disse.

“Credi che la mia Olivia sia d’accordo con il Segretario?” chiese l’altro, dopo un minuto di silenzio.

Peter non rispose. Non aveva per niente voglia di parlare di quella donna.

“Qualcosa mi dice che abbiamo fatto lo stesso errore di valutazione.” Concluse Peter. Poi guardò Henry, che era tornato a concentrarsi sulle batterie e prese la decisione che avrebbe cambiato tutta la sua vita, e quella di tutti i suoi cari, da allora in avanti “Va bene, lui verrà con me.”

“Grazie, amico.” disse Lincoln, sorridendo, poi gli porse la mano.

Peter la strinse in segno di pace, poi fece una cosa che sorprese anche sé stesso: fece una carezza affettuosa al piccolo.

Henry gli afferrò la mano e la esaminò attento, poi lo guardò in volto.

Peter gli sorrise. Lo stesso sorriso che riservava a Olivia nei loro momenti più intimi.

Suo figlio sorrise a sua volta. Un sorriso che aveva visto solo in una persona: Olivia, la sua Olive.

Liberato di un peso, Peter si allontanò.

Guardò per qualche secondo l’auricolare e poi lo indossò. Ora era pronto ad affrontare Walter.

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Capitolo 12
*** 11 ***


Olivia era in piedi, ancora davanti all’ingresso principale del Dipartimento della Difesa.

Guardava distrattamente la città, ripensando a ciò che le aveva detto Gibbs.

Qualcuno le si avvicinò da dietro. Olivia si voltò, sulla difensiva; una donna di una ventina d’anni più anziana di lei la guardava, sorridendole. Qualcosa, in quella donna, le dava un senso di tranquillità, rispetto e sicurezza.

Qualcosa, in quella donna, le ricordava Peter.

“Ehm… salve.” la salutò, continuando a guardarla.

“Tu devi essere Olive.” disse l’altra, avvicinandosi di qualche passo “Io sono Elizabeth. Sono la madre di Peter.”

“Olivia.” la corresse la bionda, sulla difensiva “Perché è qui?”

“Tranquilla, cara. Non voglio farti nulla.” la rassicurò l’altra, in tono dolce “Voglio solo parlare.”

Olivia la fissò per qualche secondo. Che intenzioni aveva quella donna? Era stata mandata da Walternativo? Cosa voleva ancora da lei?

Elizabeth sembrò intuire i suoi pensieri. Fece un altro sorriso materno.

“Non sono qui per conto di mio marito, ma per parlare di Peter… e di Henry.”

La giovane distolse lo sguardo, che si era nuovamente fatto scuro. Non conosceva quella donna, perché avrebbe dovuto fidarsi di lei? E soprattutto perché avrebbe dovuto parlarle del suo compagno e di quel bambino?

“Peter mi ha detto tutto.” continuò Elizabeth, avvicinandosi ancora di qualche passo.

“Credo che queste siano questioni private tra me e lui.” si giustificò Olivia, senza guardarla ancora.

“Peter è molto combattuto, Olivia. Non vuole perderti.” disse l’altra, poggiandole delicatamente una mano sulla spalla.

Lei si allontanò di scatto. Non aveva voglia di essere toccata, in quel momento. Tantomeno da quella donna.

L’altra non si scompose. Sapeva cosa stava passando. Decise di continuare a parlarle.

“Sa che ti sta facendo del male, seppur involontariamente. Non era sua intenzione. Sa che hai sofferto molto, ma sa anche che Henry è un innocente, lui non ha nessuna colpa.”

“No, lui no, ma io non posso restare a guardare mentre quella donna mi rovina nuovamente l’esistenza!” sbottò, finalmente, Olivia.

“Non credo che succederà. Mio figlio non permetterà che ti venga fatto altro male. Non lo conosco bene quanto te, ma credo sia un uomo particolarmente combattivo, quando ci sei tu di mezzo.”

Olivia la fissò, ancora indecisa se fidarsi o meno di lei.

“Cosa dovrei fare allora?” le domandò, finalmente.

“Fidati di lui, del suo giudizio. Qualunque cosa deciderà di fare non ti abbandonerà, in ogni caso. E ricorda che Henry è una vittima, come te, o Peter.”

“Sì, ma… e se decidesse di prenderlo con sé? È suo figlio, non mio! Sarà sempre lì a ricordarmi quello che ho passato! E quello che ha fatto lui nel frattempo.” sussurrò Olivia, cercando di non piangere.

“Non dico che sarà semplice, ti dico solo di fidarti di lui. Il resto verrà da sé. Non è detto che tu non possa poi affezionarti a Henry, in fondo ha comunque metà del tuo patrimonio genetico.”

“Non è il DNA a fare di noi ciò che siamo veramente.” la ammonì Olivia.

“No, ma spesso ci porta a fare scelte inaspettate… prendi il padre di Peter, quello che l’ha cresciuto, intendo. Lui ha fatto certe scelte per salvare una persona che aveva lo stesso identico patrimonio genetico del figlio morto. Non voleva che il figlio morisse due volte, voleva che continuasse a vivere in qualche modo.”

“Sì, ma così facendo ha tolto un figlio ai suoi veri genitori.”

“Dimmi una cosa. Come definisci un genitore?” chiese, inaspettatamente, Elizabeth alla giovane donna.

Olivia fece un respiro profondo, prima di rispondere.

“Dannazione… proprio una bella domanda…” sussurrò tra sé Olivia.

“Credi che Peter sarebbe diventato l’uomo che conosci, se fosse rimasto qui, con me e mio marito?”

Olivia ci pensò su in silenzio. Peter sarebbe stato lo stesso? No. Non si sarebbero neanche conosciuti, se non fosse stato rapito da Walter, e lei non sarebbe stata la donna che era ora, perché era per merito di Peter se era riuscita a superare alcune situazioni che si erano create negli ultimi tre anni.

“Cosa devo fare allora?” chiese, dopo un po’, la bionda.

“Credere in Peter e continuare ad essere la donna forte che lui ha imparato ad amare. Lui dice che sei speciale.” disse Elizabeth, sorridendo.

“Non ho nulla di speciale, io.”

“E’ il vostro amore ad esserlo.” La rassicurò l’altra “Pensaci. Cosa ti ha spinto a venire da questa parte, sei mesi fa?”

Olivia non rispose. Non voleva pensare a ciò che era successo. Quello era stato l’inizio di tutti i guai.

“Quando parla di te ha una luce negli occhi… è come se vivesse in funzione di te, come se non potesse sopravvivere a lungo lontano.” continuò l’anziana donna, guardando Olivia negli occhi.

Olivia sorrise “E’ la stessa cosa che ha detto il Capo.”

“Allora non sono l’unica ad averlo notato. Pensaci, Olivia.”

Lei non rispose. Le fece solo un sorriso cordiale e tornò a guardare la città.

Elizabeth le fece una carezza materna e si allontanò in silenzio.

Dopo qualche minuto prese una decisione.

Tornata dentro il Dipartimento della Difesa, camminò con passo svelto lungo i corridoi, evitando accuratamente l’ufficio del Segretario e altre aree che le facevano emergere brutti ricordi.

Arrivata all’ingresso secondario, trovò Peter che stava rientrando.

Olivia di fermò a qualche passo di distanza. Lui la fissò, indeciso su cosa fare.

“Peter… dobbiamo parlare.” cominciò lei.

Lui la fissò per qualche altro secondo, poi annuì e si avvicinò, cauto.

Lei si guardò intorno, poi gli fece strada verso una stanza vuota poco lontano.

Peter la fece entrare per prima, poi entrò lui e chiuse la porta senza mai voltarle le spalle.

Lei tenne lo sguardo basso, mentre incrociava le braccia, cercando la cosa giusta da dire.

Peter la fissò, in attesa. Era chiaro che fosse arrabbiata… ne aveva tutte le ragioni. Avrebbe capito se gli avesse detto che non voleva più vederlo.

“Peter…” cominciò, finalmente, dopo un lungo e snervante silenzio “Peter, il problema non siamo noi… il problema sono le vite innocenti che sono state trascinate in questa assurda storia.” fece un respiro profondo, poi lo guardò negli occhi “Non è di quello che è successo tra noi che dobbiamo parlare. Di quello ne abbiamo già parlato abbastanza. È che dobbiamo prendere una decisione, e dobbiamo farlo insieme. Da questo dipenderanno le vite di molti innocenti; di Gibbs e della sua squadra, dell’Abby di questa parte, di noi due, e di tuo… tuo figlio.” le ultime due parole furono un sussurro.

Peter attese che ebbe finito, prima di parlare.

“Vedi, non riesci neanche a considerare l’esistenza di mio figlio. E non ti do neanche torto: neanche io sapevo della sua esistenza, fino ad oggi.” fece un profondo respiro. Era teso, doveva calmarsi “L’hai detto, ci sono in ballo molte vite innocenti. Me ne rendo conto anche io. Anche tu sei un’innocente. Sono arrabbiato con me stesso perché ti sto facendo del male, e non era mia intenzione. Io non… sono un vero idiota.” concluse, distogliendo lo sguardo.

Lo sguardo di Olivia si addolcì. Gli carezzò la guancia per farlo di nuovo voltare verso di lei. La barba pungeva leggermente, ma non ci fece caso.

“Ehi… ne abbiamo già parlato. Tu non sei un idiota. Io ti capisco, so cosa è successo.” la sua voce era sicura. Sembrava l’Olivia forte e determinata di sempre, ma quella punta di insicurezza non sfuggì a Peter.

“Olive…” cercò di consolarla Peter.

La guardò negli occhi. Era turbata, e si stava richiudendo a guscio. No, non stava andando affatto bene. Se si fosse chiusa l’avrebbe persa.

“Olivia, ascoltami. Non possiamo negarlo, tutto questo riguarda anche noi, anche se tu dici il contrario. Come faccio…” sussurrò, avvicinandosi leggermente e con fare cauto alla compagna.

“Non sto dicendo il contrario, lo so benissimo che riguarda anche noi, ma in questo momento non me la sento… non voglio decidere per me stessa, o per noi… è già abbastanza difficile così…”

“Non è facile neanche per me. tutta questa storia… dovrò conviverci per il resto dei miei giorni. Cosa dovrei pensare. Come dovrei reagire secondo te?” il suo tono di voce sembrava disperato e demoralizzato allo stesso tempo.

Olivia lo guardò intensamente negli occhi, prima di parlare.

“Peter, io per te ci sarò sempre.” lo rassicurò “Va tutto bene, davvero.” accennò un sorriso, quello che aveva davanti era l'uomo che amava, che l'aveva salvata da se stessa e che avrebbe fatto di tutto per lei. Adesso si sentiva forte di nuovo “Che facciamo ora? Ci serve un piano.”

Peter annuì. Voleva parlarle del dialogo che aveva avuto con Lincoln.

“Ho preso accordi con uno della Fringe Division. Dice di aver accesso ad aree di Liberty Island diverse rispetto a quelle che possiamo avere noi ora. Gli ho raccontato della donna, di quello che è successo a te e quello che sta subendo lei. Se non torna con maggiori informazioni penso che andrò personalmente a cercarla.”

“Chi è? Perché dovrebbe volerci aiutare?” chiese la donna.

“Se ho capito bene com'è fatto anche lui non ama che le vite degli innocenti vengano messe in pericolo. Si tratta di Lincoln Lee.”

“Ok…” annuì Olivia. Sapeva benissimo di chi stava parlando “Va bene, ci parlerò io.”

“Un momento, Olive… mi ha chiesto una cosa in cambio.”

“Che cosa?” aveva paura di sentire la risposta, ma si impose di mantenere la calma.

“Devo prendere il bambino, Henry, con me, e devo tenerlo al sicuro nel nostro mondo.”

Olivia distolse lo sguardo. Pensava di essere preparata a tutto, ma si sbagliava.

“Va… va bene.” sussurrò, a mezza voce.

Peter percepì le emozioni della donna. Le carezzò la guancia; lei si calmò, e lui potè parlare.

“Non ti sto chiedendo di essere madre. Non lo sarai, se non vuoi. Neanche io mi sento pronto per diventare padre, ma devo tenerlo al sicuro, lui è un innocente. Farei lo stesso anche se non fosse mio figlio.”

Olivia annuì. Aveva ragione, dovevano proteggere un innocente.

Spossata dagli eventi, si abbandonò tra le braccia di Peter, soffocando i singhiozzi e ricacciando indietro le lacrime.

Intanto Tony camminava zoppicando, reggendosi a Ziva, lungo i corridoi del Dipartimento della Difesa.

Volevano almeno esplorare il posto, visto che erano rinchiusi prigionieri all’interno di quella versione strana della Statua della Libertà.

Avevano lasciato poche stanze prima McGee, che si era immerso in un tecno-dialogo che capivano solo loro con la versione di Astrid di questa parte, e si erano incamminati lungo il corridoio che andava verso gli appartamenti degli ospiti, dove ne era stato assegnato loro uno.

Tre persone, un uomo e due donne, svoltarono l’angolo e camminarono verso di loro. Ziva e Tony si fermarono di scatto: erano Ari, con la moglie Kate, in avanzato stato interessante, e la versione da questa parte di Ziva, che sembrava molto più magra e fragile della donna che ora stava reggendo Tony, in modo che non cadesse lungo disteso sul pavimento.

Quando i tre li videro, si avvicinarono. Ari li presentò.

“Ziva, Tony… loro sono mia moglie Kate e mia sorella…”

“Sì, sappiamo chi sono.” si affrettò a dire Ziva “Però tu e Kate dalla nostra parte siete morti.”

A queste parole, la donna in stato interessante sbiancò. Ari dovette reggerla per evitare che perdesse i sensi.

“Ziva, datti una calmata… lui non è davvero tuo fratello, è solo un’altra versione di lui.” La ammonì Tony.

“Una versione rammollita… come anche l’altra versione di me…” e fissò l’altra Ziva, che restava a testa bassa, stringendo la custodia di un DVD.

Tony lo notò subito e glielo prese di mano per guardarlo.

“Inception? Gran bel film! E un grande Leonardo di Caprio.” cominciò, con un gran sorriso sulle labbra.

“Leonardo di Caprio? Che c’entra Pacey di Dowson’s Creek?” chiese l’altra Ziva “Il protagonista di Inception è Joshua Jackson!”

“Oh…” esclamò Tony, interdetto “A quanto pare qui le cose sono un po’ diverse… posso prenderlo per vederlo?”

La giovane guardò il fratello, che annuì e si allontanò con le due donne.

“Bene, a quanto pare stasera abbiamo qualcosa da fare!” esclamò, trionfante, l’agente DiNozzo, mostrando il DVD.

Ziva sospirò e lo accompagnò in camera.

Non era ancora arrivato nessuno dei compagni, quindi si sistemarono sul divano, Tony disteso meglio che poteva e Ziva accanto a lui, e si misero a guardare il film.

Dopo un po’ Tony aveva capito che era praticamente identico all’originale, quindi decise di osservare la donna, che si era accoccolata sulla sua spalla. Le tirò indietro i capelli e le sorrise.

“Oggi mi è sembrato quasi di tornare indietro nel tempo, sai?” disse, senza smettere di fissarla.

“Ah… a quando?” domandò distrattamente.

“Alla Somalia.”

Finalmente Ziva si girò verso di lui.

“Tony…” cominciò.

“Non mi sono dimenticato di quello che ho detto sotto l’effetto del Penthotal, solo…”

Ziva lo zittì poggiandogli un dito sulle labbra, poi si avvicinò di più.

Erano incredibilmente vicini.

In quel momento la porta si aprì e Ziva si allontanò di scatto.

Peter entrò, abbracciando Olivia per le spalle. Li vide con la coda dell’occhio, poi prese dalla tasca e lanciò l’auricolare a Tony, prima di entrare nella stanza da letto con la compagna.

Non voleva essere disturbato, quella notte.

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Capitolo 13
*** 12 ***


Quando si svegliò, Tony sentiva dolori ovunque.

In particolare, a ogni respiro sentiva male alle costole; forse ne aveva un paio incrinate, e quel peso che sentiva sul petto non migliorava la situazione.

Aprì lentamente gli occhi. Una debole luce filtrava da dietro le tende, e tutti erano ancora addormentati.

Gibbs era steso sul pavimento, avvolto nel sacco a pelo, vicino all’ingresso dell’appartamento, e McGee dormiva sotto la finestra. Ziva, invece, era stesa sul divano con lui, con la testa poggiata sul suo petto. La coperta la copriva fino al naso.

Che strano… non ricordava di aver preso la coperta, la sera prima. Probabilmente il Capo gliel’aveva buttata addosso quando era rientrato, mentre dormivano.

Guardò la porta della stanza da letto. Era chiusa; forse Peter e Olivia stavano ancora dormendo, sempre che avessero dormito…

Provò a muoversi, cercando di non svegliare la donna che dormiva con lui, ma un’improvvisa fitta alle costole lo fece sussultare.

Ziva aprì gli occhi e lo fissò.

“Stai bene, Tony?” gli chiese, preoccupata.

“Se ti spostassi da quello che rimane delle mie costole andrebbe meglio… grazie…” sussurrò, dolorante.

“Scusa…” disse lei, affrettandosi a spostarsi da quella posizione.

“Vi siete svegliati?” chiese Gibbs, alzandosi da terra e piegando il sacco a pelo.

“Sì, Capo…” si affrettò a rispondere Tim, tirandosi su a sua volta.

Tony si mise meglio sul divano e fece dei respiri profondi, poi provò ad alzarsi, senza successo.

In quel momento Peter uscì dalla stanza da letto, con addosso solo i suoi jeans neri.

“State tutti bene?” chiese, guardando fuori dalla finestra, senza aprire le tende.

“Insomma…” si lamentò DiNozzo.

Peter sorrise e lo aiutò ad alzarsi.

“Se volete di là c’è una doccia… poi dopo vado a cercare una persona, che è dalla nostra parte…”

“No, va bene così…” disse Gibbs, finendo di mettere a posto il sacco a pelo.

In quel momento bussarono alla porta.

Olivia uscì dalla stanza e raggiunse il compagno, mentre Gibbs andava ad aprire.

Lincoln entrò, con aria circospetta.

“Trovato qualcosa?” gli chiese Peter.

Lincoln scosse la testa e prese il suo tablet, poi lo posò sul tavolo.

“Devo sapere dove avete visto quella donna.” Disse, poi aprì un file con le cartografie degli edifici di Liberty Island.

Tony si alzò a fatica e si avvicinò, zoppicando, al resto del gruppo.

“La vostra Statua della Libertà poggia su un piedistallo più basso, ma il livello dell’isola è più alto. Credo sia una stanza del piano interrato.” Informò, poggiandosi a Ziva per riuscire a stare in piedi.

Tony fissò la piantina, poi guardò i due colleghi che erano con lui due giorni prima, quando avevano visto l’altra Abby.

“Questa mappa è incompleta.” disse Ziva, intuendo i pensieri del collega.

“Siete sicuri?” domandò Lincoln, fissando ancora la mappa.

McGee annuì e indicò un punto “Dalla nostra parte ci sono ancora due sale qui.”

“Ok, qualcosa non va davvero…” disse tra sé l’agente Lee “dovrò fare un giro da quelle parti e dare un’occhiata.”

“Se ti serve un diversivo…” si offrì Gibbs.

“Io non mi faccio più picchiare da McTerminator. Mi chiamo fuori!” protestò DiNozzo.

Peter fissò la piantina sullo schermo, poi si rivolse di nuovo all’agente Lee.

“Noi abbiamo accesso alle sale segnate su questa mappa?”

Lincoln annuì “Cosa hai in mente?”

“Noi abbiamo qualcuno che quelle due stanze le ha viste.” Rispose il giovane, guardando la compagna, che aveva assunto un’espressione terrorizzata non appena aveva capito cosa aveva in mente Peter “Tranquilla, verrò con te.” La rassicurò.

“Verrò anche io con voi.” Si impose Gibbs.

Peter lo guardò, poi annuì.

“Va bene. Prepariamoci, allora.”

Lincoln, però, frenò il suo entusiasmo.

“Ricordati il patto, Bishop!”

“Non l’ho dimenticato.” Rispose l’altro, poggiando una mano sulla spalla di Olivia, che era diventata improvvisamente scura in volto. Poi tornò a rivolgersi a Lincoln, determinato “Piuttosto, tienimi lontano la madre. Oppure non risponderò delle mie azioni.”

Lincoln annuì e abbassò gli occhi sullo schermo “Se riuscirete nel piano dovrete sparire il più in fretta possibile. Tuo figlio sarà nell’ufficio del segretario, dovrai andare a prenderlo lì.”

Peter annuì, fece un respiro profondo e guardò i compagni.

“Va bene. D’accordo, che sia chiaro per tutti: andrò da solo a prenderlo, vi raggiungerò dopo con lui.”

“No. Ziva verrà con te.” obiettò Gibbs “Potrebbe essere una trappola, e se c’è il bambino di mezzo tu potresti non essere in grado di proteggere te e lui.”

“Ma, Capo…” cercò di ribattere l’israeliana.

Ma Tony aveva capito cosa intendeva fare Gibbs.

“Tu sei la variabile imprevedibile. Loro non hanno ancora visto cosa sei capace di fare. Non sanno che sei in grado di uccidere una persona solo con una graffetta.”

Lincoln annuì “Ora ci serve un diversivo.” Guardò il gruppo, poi si fermò su Tony “Quanto sono gravi le tue ferite?”

“Credo di avere qualche costola incrinata… non è troppo grave.” Rispose l’uomo, dopo un attimo di silenzio.

“Bene. Il Segretario ha ordinato di trattarvi bene. Non credo che ti negherà l’uso dei dispositivi di guarigione dell’infermeria.” Tornò a rivolgersi a Peter “In questo modo avrete un paio d’ore di libertà d’azione.”

Peter annuì. Era concentrato sulla mappa, e non mollava Olivia, che si era ormai completamente rilassata.

“Va bene. Tu però stai lontano da noi. Non devono scoprire che ci stai aiutando. Sono già coinvolti troppi innocenti.”

“A questo punto non mi importa più di tanto se ci scoprano o meno.” ribadì l’agente Lee.

Peter lo fissò, cercando di decifrare i suoi pensieri. Aveva lo sguardo di un uomo disposto a fare tutto ciò che era in suo potere per salvare degli innocenti, disposto anche a giocarsi la vita. Loro erano più simili di quanto Peter pensasse.

Olivia li fissò. Peter era fortemente determinato. Questo diede finalmente anche a lei la forza di reagire.

“Quando andiamo?”

“Anche subito.” Rispose il suo compagno, poi guardò Lincoln, che riprese le sue cose ed uscì di corsa.

Gibbs cominciò a dare ordini: McGee avrebbe accompagnato Tony all’infermeria, mentre lui e Ziva avrebbero raggiunto i sotterranei.

Peter guardò l’israeliana. Aveva già capito che era una donna forte, come la sua Olive. Probabilmente aveva avuto anche lei un passato tormentato, ma che stava lentamente superando. In quel momento il suo sguardo era preoccupato. Era preoccupata per Tony. Quei due erano esattamente come erano stati lui e Olive prima che lei lo venisse a recuperare, dopo che Peter aveva scoperto la verità sul suo passato, su chi fosse veramente.

Finalmente si divisero. McGee portò Tony in infermeria. Gli altri attesero qualche minuto e poi si incamminarono verso i sotterranei, senza dare troppo nell’occhio.

Olivia guidava il gruppo. Peter non la mollava, mentre i due agenti facevano da scorta, pronti ad agire.

Dopo un po’ arrivarono alla prima delle sale fantasma, quella corrispondente all’atrio della Statua della Libertà dell’altra parte.

Appena superata la porta si bloccarono. Peter non si aspettava di vedere quello che aveva di fronte.

Un grosso marchingegno strano, con due bracci nella parte superiore e due nella parte inferiore, troneggiava nel centro della sala.

Olivia e Peter sapevano cos’era. Si fissarono a lungo, poi finalmente Olivia parlò.

“Peter… ti sanguina il naso…”

L’uomo si toccò il naso, che effettivamente stava sanguinando.

Era confuso. Cosa diavolo stava succedendo?

Improvvisamente tutto si fece scuro.

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Capitolo 14
*** 13 ***


Quando Peter si riprese sentiva un forte mal di testa.

Era rimasto incosciente per parecchio tempo, e ancora sentiva che tutto girava, attorno a lui.

Aprì gli occhi, ma li richiuse subito: troppa luce.

Inoltre i rumori e le voci attorno a lui erano troppo alti, e gli davano fastidio, facendogli aumentare l’emicrania.

Qualcuno gli prese la mano, e una voce famigliare lo intimò di non muoversi.

Non riusciva a identificare di chi fosse, però sapeva di conoscere quella voce.

Si impose ad aprire gli occhi. Una donna bionda, avvolta in una forte luce, lo guardava preoccupata, stringendogli la mano. Quegli occhi, quei capelli, e quell’espressione… finalmente ricordò tutto.

“Olive…” sussurrò, appena percettibile.

“Peter… finalmente… sei stato incosciente per tre giorni…” disse lei, prendendogli delicatamente il viso tra le mani.

L’uomo cercò di alzarsi, ma un’altra mano lo fermò. Peter fissò il proprietario della mano: Gibbs, il vecchio capo di Olivia.

“Stai giù, ragazzo. Non alzarti finchè non ti sei ripreso del tutto.” lo intimò l’altro, con un tono che non ammetteva repliche.

“Sto bene…” protestò Peter, cercando di tirarsi su.

Ma l’altro lo bloccò al letto con una mossa da Marine esperto e lo guardò negli occhi.

“Mi dispiace, ordini del dottore.” Si giustificò, con voce ferma, indicando la telecamera auricolare, che aveva addosso.

“Walter, sto bene.” disse Peter, rivolto alla telecamera “Non dobbiamo perdere altro tempo…”

“Non sto mica parlando di Walter.” Lo corresse Gibbs “Lui è da ieri fuori gioco. Secondo Abby ha assunto qualche tipo di droga e si è addormentato di colpo. Non si sveglierà per un po’. Sono ordini del nostro dottore, il dottor Mallard.”

“Al diavolo il dottor… come si chiama!” esclamò Peter, alzandosi di scatto, cercando di ignorare le vertigini.

Si guardò intorno. La stanza in cui erano rinchiusi aveva tutta l’aria di essere una cella di una prigione, con tanto di porta blindata e pareti bianche e spoglie.

“Maledizione…” ringhiò a denti stretti.

“Walternativo ci ha scoperti e ci ha fatto internare qui.” spiegò Olivia, poi lo guardò negli occhi “Peter, che cosa ti è successo? Hai perso i sensi… e avevi le convulsioni…”

Peter la fissò confuso. Non si ricordava assolutamente nulla. Solo la macchina, il sangue dal naso… poi più nulla, tutto nero.

“Non lo so… la macchina…” cercò di spiegare.

“Intendi quella cosa che si è attivata non appena tu ti sei sentito male?” chiese Ziva, che stava cercando di guardare fuori attraverso una finestrella scura sul muro.

Peter sembrò ancora più stupito. La macchina aveva reagito alla sua presenza? Allora era vero quello che aveva scoperto sei mesi prima: la macchina era progettata per funzionare unicamente con lui.

“Dobbiamo uscire di qui.” disse, finalmente, facendo un respiro profondo e cercando di ritrovare un minimo di calma per poter ragionare con più lucidità.

Esaminò ancora l’ambiente, soffermandosi principalmente sulla finestrella e sulla porta blindata.

“Ogni quanto tempo portano da mangiare?” chiese, alla fine.

“All’incirca ogni otto ore.” rispose Tony, avvicinandosi a Ziva e cercando anche lui di guardare fuori dalla finestrella.

“Usano l’apertura di servizio.” Completò McGee, indicando una finestrella sulla porta.

Peter si avvicinò alla porta ed esaminò l’apertura. In quel momento era chiusa. Provò ad aprirla, ma sembrava si potesse aprire solo dall’esterno.

Infine gli venne un’idea. Guardò le due donne, poi si avvicinò a Ziva e le prese una forcina dai capelli, la piegò e la modellò fino a creare un piccolo oggetto appuntito. Infine si tolse la cintura e la annodò a cappio.

“Questo ragazzo è meglio di McGyver!” esclamò Tony, osservandolo.

Peter non rispose alla provocazione e si rivolse a Gibbs.

“Se non ho fatto male i conti, dovrebbero arrivare a momenti con il cibo.”

Gibbs annuì “Che hai in mente?”

“Ho in mente di scappare.” Disse il giovane, sistemandosi accanto alla porta, in attesa.

Poco dopo, puntuale, arrivò il pranzo. Peter fu fulmineo: ferì il braccio dell’uomo piantandogli la forcina nella carne, poi lo bloccò con la cintura. Infine, passando la mano attraverso la fessura, riuscì ad aprire la porta.

Quando furono tutti fuori, il giovane fissò per qualche secondo il soldato che aveva aggredito. Era disteso a terra, privo di sensi. Peter gli assestò un calcio, per essere sicuro che non si riprendesse a breve, poi corse via per i corridoi, seguito dagli altri.

Si fermò sul fondo del corridoio e ascoltò il silenzio per qualche secondo, poi si avvicinò a un’altra cella e la aprì di scatto.

Si fermò e fissò la donna che era rinchiusa dentro, che lo fissava a sua volta, rannicchiata sul letto, tremante e impaurita.

“Gibbs, è lei la donna che cercate?” chiese, in tono fermo, facendo un passo indietro.

Gibbs si avvicinò e fissò la donna. Era proprio Abby. Annuì e fece qualche altro passo verso la porta, ma Peter lo fermò e guardò Olivia.

Lei non disse nulla ed entrò, poi si sedette sul letto e cominciò a parlarle con calma.

“Tranquilla, Abigail. Non vogliamo farti nulla. Siamo qui per riportarti a casa.”

“C… come fai a conoscere il mio nome?” chiese l’altra, ancora terrorizzata.

“E’ una lunga storia. Ma tu devi fidarti di noi. su, andiamo via.” Le sorrise e le porse la mano.

Abigail esitò, poi la prese. Olivia la accompagnò fuori, senza lasciarle la mano. Peter le guardò per qualche secondo, sorridendo alla compagna, poi si guardò intorno.

“Ora dobbiamo trovare il modo di andarcene da quest’isola.”

“Usate la barca. Vi coprirò io.” disse una voce alle loro spalle. Tutti si girarono allarmati, ma si rilassarono appena videro Lincoln.

Bishop annuì e si avvicinò all’altro. Si fissarono per qualche secondo, poi l’agente Lee parlò.

“Henry è nell’ufficio del Segretario, ma non lo lasciano mai solo: ha la febbre alta da tre giorni e non riescono a farla abbassare.”

Peter sbiancò in volto. Doveva comunque portarlo via da lì. Appena tornati dall’altra parte ci avrebbe pensato Walter a guarirlo. Ma non poteva andare a prenderlo da solo, soprattutto se c’era sempre qualcuno col figlio. Era troppo rischioso. Fissò i compagni di viaggio, in cerca di un aiuto.

Gibbs si avvicinò a Peter e gli poggiò una mano sulla spalla.

“Tu vai. Noi portiamo al sicuro Abby e ti raggiungiamo.”

Peter annuì e prese la pistola dalla fondina di Lincoln, ma prima che lui potesse protestare era già sparito in direzione dell’ufficio di Walternativo.

Arrivato al piano, si fermò davanti alla porta ed impugnò meglio la pistola. Fece qualche passo avanti e poi la spalancò con un calcio.

Walternativo era in piedi accanto a una carrozzina. Insieme a lui c’era anche la rossa, che fissava il bambino dentro la carrozzina con aria preoccupata, facendogli delle carezze materne.

“Allontanatevi dal bambino.” disse, minaccioso, puntando loro contro la pistola.

I due si guardarono, poi fecero un passo indietro, allontanandosi dalla carrozzina.

Peter si avvicinò cauto, continuando a puntare su di loro la pistola, e, con delicatezza, usando il braccio libero, prese il bambino.

Henry scottava, ed era sudato, nonostante non facesse troppo caldo e non fosse troppo vestito. Aprì gli occhietti e fissò suo padre, facendo un verso malaticcio.

Peter lo fissò per qualche secondo.

“Tranquillo.” sussurrò, in tono paterno, sorprendendo anche sé stesso “Ora ti porto via da qui, da una persona che potrà curarti.”

Mentre era concentrato sul piccolo, però, aveva abbassato la pistola. Walternativo e la rossa si scambiarono uno sguardo, e quest’ultima estrasse la sua arma.

Ma prima che potesse fare altro, qualcuno alle spalle di Peter sparò due colpi.

 

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Capitolo 15
*** 14 ***


Il rumore degli spari spaventò il piccolo Henry, che scoppiò a piangere forte. Peter lo cullò, cercando di farlo calmare, senza curarsi del fatto che Gibbs gli aveva tolto la pistola di mano e l’aveva puntata contro Walternativo, mentre Lincoln fissava, con gli occhi lucidi, il corpo della rossa, che aveva appena ucciso.

Quando il bambino si fu calmato, Peter alzò gli occhi, guardando il Segretario con un’espressione tormentata.

Walternativo teneva le mani alzate e fissava un po’ Gibbs, che gli puntava contro la pistola, e un po’ il figlio.

“Che cosa gli hai fatto?” chiese Peter, prendendo allo stesso tempo l’auricolare che gli passava Gibbs.

“Io nulla.” rispose il Segretario “Sei stato tu. Tuo figlio ha una malattia genetica, la stessa che avevi tu da bambino. Sta morendo. Non esiste cura.”

“Ti sbagli. Io sono sopravvissuto. Se quello che dici è vero, so cosa fare, ma devo farla in fretta.” disse il giovane, poi parlò all’auricolare “Walter! Sei sveglio?”

“Sì, figliolo, sono qui!” rispose l’altro, dall’altra parte dell’auricolare.

“Per favore, dimmi che ti ricordi come mi hai curato!” lo implorò, mentre usciva dall’ufficio, di corsa, seguito dagli altri.

“S… sì, ma… è una corsa contro il tempo…” balbettò il dottor Bishop.

“Noi stiamo tornando ora a Central Park. Ci metteremo un po’ ad arrivare. Fai preparare tutto alla Massive Dynamics.” ordinò il giovane, poi uscì nel cortile centrale e si fermò, guardando il mare. Non aveva ancora presa in considerazione la traversata.

“Venite! So come uscire dall’isola!” disse Lincoln, poi salì su una delle barche, dove era già pronto un furgone, e accese i motori.

Tutti salirono sul retro del furgone, mentre la barca sfrecciava a tutta velocità verso Manhatan.

Peter non mollava il figlio, che gli aveva afferrato un dito con la minuscola manina e si era addormentato tranquillo. Olivia li fissava, indecisa su cosa fare.

Era combattuta. Quel bambino aveva creato un sacco di problemi tra loro, ma non era colpa sua, era innocente. Era il figlio della donna che le aveva portato via la vita, ma era anche il figlio dell’uomo che amava. Non sapeva come comportarsi.

Improvvisamente un’esplosione la riportò alla realtà. Guardò fuori dal finestrino del furgone e vide un fumo giallo che usciva dalla base della Statua della libertà, per poi solidificarsi. Ambra.

Probabilmente Lincoln aveva piazzato delle cariche e le aveva fatte esplodere non appena erano tutti al sicuro. Ottima mossa! Nessuno avrebbe più potuto usare la macchina, da questa parte.

Dopo un po’ arrivarono a riva. Lincoln salì al posto di guida e sfrecciò lungo le vie della città, a sirene spiegate, in direzione di Central Park.

Quando, finalmente, arrivarono al punto prestabilito, scesero dal furgone. Peter fissò Lincoln e Abigail.

“Non possono restare qui. È troppo pericoloso.” sentenziò.

“Verranno con noi, poi penseremo cosa fare. Ora è più importante salvare il bambino.” lo rassicurò Gibbs.

Il giovane annuì, poi si massaggiò gli occhi. Il mal di testa gli era tornato. Ora doveva cercare di concentrarsi, mantenere la calma e aiutare Olivia a ritrovare la pace interiore, per poter riportare tutti sani e salvi a casa. Fissò la donna. Anche lei era agitata.

Henry si era svegliato. Aveva ancora la febbre ma era tranquillo. Probabilmente si sentiva al sicuro. Allungò la manina e toccò il viso del giovane padre.

Il mal di testa gli passò all’istante, e Peter si sentì incredibilmente calmo e rilassato. Si avvicinò alla compagna e le fece una leggera carezza.

“Olive, devi riportarci a casa.” le disse, calmo.

“Io non… non ci riesco…” balbettò lei, cercando di non cedere al panico.

Gibbs si avvicinò alla coppia, poi si rivolse a Peter “Magari Abby può dare una mano…”

Peter lo fissò, poi annuì.

“E’ un’ottima idea. Hanno fatto lo stesso quando sono venuti la scorsa volta.” poi guardò Abigail, che si era messa leggermente in disparte, e le fece cenno di avvicinarsi.

Lei si avvicinò, intimorita, poi Peter le spiegò cosa doveva fare.

Le due donne si concentrarono e, dopo un attimo, vennero tutti investiti da una leggera onda di energia.

Quando riaprì gli occhi, Gibbs per prima cosa guardò in direzione dell’Empire State Buildings e di Ground Zero. Niente Torri Gemelle e, soprattutto, niente dirigibili. Ce l’avevano fatta, erano tornati a casa.

Un’ambulanza con il logo della Massive Dynamics si fermò vicino a loro. Le porte si aprirono e ne uscì Astrid.

“Veloci!” li chiamò la donna “Walter ci aspetta alla Massive Dynamics!”

Peter non se lo fece ripetere due volte: era già salito prima che l’agente Fansworth terminasse la frase.

Quando furono tutti a bordo, l’ambulanza partì. Dopo dieci minuti erano già nel garage dell’azienda. Peter fu di nuovo il primo a scendere, e corse verso gli ascensori che portavano ai laboratori medici.

Arrivati al piano, trovarono Nina Sharp, il vicepresidente dell’azienda, che, senza fare domande, li scortò fino al laboratorio dove Walter aveva allestito tutto.

“Walter! Presto!” lo richiamò Peter “Ha la febbre molto alta…”

“Mettilo a letto. Ho già preparato tutto.” lo rassicurò, indicando il lettino con le sponde al centro della stanza.

Peter adagiò il piccolo nel lettino. Appena lo lasciò, Henry fece un lamento e lo fissò impaurito. Non voleva che lo abbandonasse. Aveva paura.

Peter lo fissò, indeciso su cosa fare. Poi si voltò verso Olivia. Era sulla porta, assieme al resto della squadra, ma era leggermente in disparte. Aveva un’espressione combattuta.

Lui fece un respiro profondo e le fece cenno di avvicinarsi.

“Olive, ti prego… ho bisogno di te… non credo di farcela da solo…” sussurrò, con tono tormentato.

Lei lo guardò per un’istante, poi si avvicinò e gli prese la mano, stringendola in modo rassicurante. Lui la guardò negli occhi poi, senza mollarle la mano, prese delicatamente quella del figlio, che gli strinse forte un dito, come se non volesse più lasciarlo andare, mentre Walter gli somministrava una flebo con la cura.

Appena l’ago lo punse, il piccolo fece un leggero lamento, ma non pianse, e continuò a stringere il dito di Peter.

L’uomo si sentì stranamente orgoglioso: il bambino era forte.

No. Non il bambino, ma suo figlio.

Peter alzò gli occhi e guardò Walter. Stava monitorando le condizioni del piccolo. Si stava dando parecchio da fare per salvare la vita a quella creatura.

Peter finalmente capì. Capì cosa aveva spinto Walter a rapirlo da bambino, e i sensi di colpa che aveva avuto in seguito. Aveva fatto tutto per lui, per salvargli la vita. E Peter lo aveva odiato, lo aveva accusato di averlo portato via dalla sua famiglia, e gli aveva detto che non l’avrebbe mai perdonato per quello che aveva fatto, anche se era tornato in questo mondo.

“Walter…” sussurrò, rivolto al padre “Walter, papà… io ti perdono.”

Il dottor Bishop alzò gli occhi dallo schermo, sorpreso, ma poi lo rassicurò con un sorriso paterno.

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Capitolo 16
*** 15 ***


Intanto gli altri erano tutti raccolti fuori in attesa.

Nina Sharp si avvicinò a Gibbs e si presentò.

“Io sono Nina Sharp, vicepresidente della Massive Dynamics. Lei deve essere l’agente speciale Leeroy Jethro Gibbs.”

L’uomo la scrutò per qualche secondo e poi le strinse la mano.

“Sono io, signora. Sono anche l’ex capo dell’agente Dunham.”

“Lo so.” rispose la donna “So tutto di lei. Tenente dei marines, decorato con medaglia d’onore durante Desert Storm, è stato sposato quattro volte, divorziato tre. La sua prima moglie e sua figlia sono morte 15 anni fa per mano di un killer professionista. Ha buone doti di tiratore scelto, passato all’NCIS dopo il suo congedo dai marines, e da quando il suo vecchio capo, Mike Franks, si è ritirato, ha preso il suo posto come team leader.”

“Vedo che ha fatto i compiti a casa.” disse Gibbs, neanche troppo sorpreso.

“E’ mia abitudine informarmi su chiunque metta piede nell’azienda.” si giustificò la Sharp. Poi si voltò verso gli altri componenti del gruppo e continuò “Timothy McGee. Classe 1976. Laurea con laude in Ingegneria Biomedica alla Johns Hopkins, master in informatica al MIT. Da sette anni fa parte della squadra. Ha scritto dei romanzi con lo pseudonimo di Thom E. Gemcity. Ha ottime capacità di scrittore, complimenti! Ha anche la passione per i giochi di ruolo, alcuni dei quali sono un prodotto della nostra società. Abigail Sciuto, meglio nota come Abby. Classe 1979. Esperta forense dell’NCIS. Fa volontariato presso un convento di suore. Conosce il linguaggio dei segni perché i suoi genitori erano sordi. Ama gli animali, la musica e il suo lavoro. Anthony D. Dinozzo, classe 1968. Ex agente della omicidi di Baltimora, passa all’NCIS dopo aver risolto un caso in comune con loro. Ottimo osservatore, 11 decimi di vista, laurea in educazione fisica, capitano della squadra di basket al college. Non ha una relazione stabile da quando? Tre anni. Non sarebbe ora di costruirsene una? Ed infine Ziva David. Classe 1982. Israeliana di nascita, ha acquisito di recente la cittadinanza americana. Suo padre è il direttore del Mossad, ma non ci parla da quando ha preso la cittadinanza. Ha una buona memoria fotografica, parla cinque lingue, compresa quella dell’amore, esperta nel combattimento corpo a corpo. Anche lei non ha una relazione stabile da molto tempo. Dovrebbe cercare qualcuno e sistemarsi, il tempo passa in fretta.”

Tutti la fissarono sorpresi. Aveva proprio trovato tutto su di loro, era piena di risorse.

Infine si voltò verso Lincoln e l’altra Abby.

“Benvenuti. Appena il nipote del dottor Bishop starà bene potremo parlare e occuparci di tutto. Per il momento sarete nostri ospiti. Chiedete per qualunque cosa abbiate bisogno.” Li accolse, facendo un sorriso cordiale.

“Signora Sharp…” cominciò Gibbs.

“Mi chiami pure Nina.” lo corresse la donna.

“Nina. Posso chiederle che tipo di malattia ha il bambino?” chiese, calmo.

“Walter ne sa più di me. So solo che era una malattia di cui era affetto Peter da bambino. Purtroppo il figlio di Walter è morto prima che potesse trovare una cura, ma almeno è riuscito a salvare il Peter che conosciamo.”

Gibbs annuì e guardò la porta, in attesa di avere altre notizie.

Intanto Ziva si era seduta sulla panca vicino a loro, nel corridoio. Tony si avvicinò e si sedette accanto a lei.

“Stai bene?” le chiese, a bassa voce.

“Sono stati quattro giorni assurdamente pieni…” spiegò l’israeliana.

“Lo so… universi paralleli… fino a pochi giorni fa pensavo che esistessero solo in Star Trek.” disse Tony, fissando il gruppo.

“Sì, ma… hai visto che razza di mondo era? Olivia ha detto che quelle montagne color ambra erano zone di quarantena, in cui era successo qualcosa che aveva indebolito il loro mondo… erano come delle toppe a degli squarci in un pallone già malconcio.”

“Anche le nostre vite erano diverse. Tu eri una psicologa…”

“E tu eri morto.”

Si fissarono per qualche secondo negli occhi, senza dirsi nulla, poi Tony parlò.

“Peter e Olivia sembrano quasi nati per stare insieme.”

“Anime gemelle. Non capita spesso di trovare l’altra metà della mela. Certo ne hanno passate tante…”

Si fissarono di nuovo, ancora in silenzio.

“Ziva, riguardo alla Somalia…” prese coraggio Tony, facendo un respiro profondo “quello che ho detto è tutto vero.”

“Lo so. Eri sotto l’effetto del Penthotal.”

“Allora non hai nulla da dire?”

“Tony… le regole…”

“Al diavolo le regole!”

Ziva lo fissò sorpresa. Da quando in qua Tony contravveniva di proposito a una regola di Gibbs?

“Si vive secondo il regolamento, si muore secondo il regolamento.” citò Tony. Allo sguardo confuso della donna si affrettò a spiegare. “The Skulls, regia di Rob Cohen, anno 2000, con Paul Walker e un giovanissimo Joshua Jackson… comunque esiste la regola 51: a volte si sbaglia.”

“Tony… non capisco…”

“Io sì.” E si avvicinò a lei, dandole un leggero bacio sulle labbra. La donna stava per approfondire il bacio quando la porta del laboratorio si aprì.

Walter fece capolino con un sorriso a 32 denti sulle labbra. Tutti lo fissarono in attesa.

“Si è ripreso. La febbre è calata. Ora sta bene!” spiegò.

Tutti esultarono, poi dietro Walter comparve Olivia, sorridente, ancora per mano a Peter, che teneva il figlio in braccio, il quale si era aggrappato alla sua camicia e si guardava intorno curioso.

Tutti si raccolsero attorno alla coppia e al piccolo. Gibbs gli diede un buffetto e Henry fece un verso lamentoso, mostrando il cerottino sul polso, dove era stato inserito l’ago.

“Vuole solo un po’ di coccole. È intelligente e furbo, ha già capito come ottenere le attenzioni.” spiegò Peter, quasi orgoglioso.

“Dopotutto è mio nipote!” esclamò Walter, altrettanto orgoglioso.

Peter sorrise, poi tornò serio e guardò i due esuli dell’altro mondo.

“Ora torniamo a noi. Nina, ho bisogno dei vostri migliori computer” disse, poi seguì la donna, che lo scortò a un altro laboratorio.

 

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Capitolo 17
*** 16 ***


Stavano entrando nel laboratorio quando, improvvisamente, Henry scoppiò a piangere.

Peter si irrigidì. Forse lo aveva preso male? Stava scomodo? In fondo era solo un bambino, una minuscola creatura convalescente da una brutta malattia.

Un po’ impacciato cercò di prenderlo meglio. Walter lo guardò e sorrise.

“Non è semplice essere padre, figliolo.”

“Ora lo so, grazie.” rispose Peter, sarcastico “Piuttosto dammi una mano. Deve avere qualcosa che non va.”

Walter si avvicinò, toccò il pancino del piccolo e poi gli annusò la tutina. Peter fece un passo indietro.

“Papà! Che stai facendo?” gli chiese, sulla difensiva.

“Ti sto dando una mano, Peter. Mio nipote ha fame… e ha anche bisogno di essere cambiato.”

“Ah… beh…” balbettò il giovane, preso alla sprovvista “Io… beh… credo di aver bisogno di latte, pannolini e vestiti puliti, allora.”

Walter sorrise di nuovo, gongolante.

“Ho già preparato tutto. Ho un biberon pieno del latte di Gene pronto, preparato apposta per lui. E ho mandato Asterix a comprare tutto l’occorrente.”

Peter annuì e aspettò che Walter gli portasse lo zaino con le cose del bambino, poi si avvicinò a un tavolo pulito e, dopo aver steso un asciugamano, vi adagiò il piccolo, ancora urlante. Infine lo fissò, senza sapere da dove cominciare.

Gibbs lo fissò per qualche secondo e poi si avvicinò.

“Guarda e impara, pivello.” poi fece spostare Peter e si mise al lavoro su Henry, spiegando passo per passo al giovane cosa doveva fare.

Il bambino ora era pulito e profumato, ma ancora reclamava a gran voce la pappa. Peter sospirò e prese il biberon, poi tirò su il figlio.

Henry si attaccò subito, affamato com’era, e finì in fretta. Quando fu sazio fece un sorriso contento e guardò tutti quanti.

“Ha il sorriso della mia Livvy…” notò Lincoln. Olivia si rabbuiò e lo fulminò con lo sguardo.

Peter le prese la mano per tranquillizzarla e le baciò la tempia. Neanche lui aveva voglia di sentire parlare di quella donna, anche se era morta e non poteva più fare loro nulla ormai.

“Io dico che ha il sorriso di Olive, invece.” lo corresse Bishop, sorridendo alla compagna.

Finalmente entrarono nel laboratorio, dove stava lavorando Brandon Fayette, uno dei migliori tecnici dell’azienda. Appena lo vide, Abigail cominciò a tremare e si riparò dietro Gibbs. Lui le passò un braccio attorno alle spalle e cercò di farla tranquillizzare.

“Suppongo che dall’altra parte quell’uomo le abbia fatto qualcosa. Ma credo anche che da questa parte sia diverso, vero?” domandò, senza lasciarla andare.

Olivia annuì e le sorrise rassicurante.

Peter intanto aveva parlato col tecnico e con la Sharp. Si rivolse nuovamente agli altri.

“Abbiamo un problema. Per motivi di identificazione sarà molto difficile trovare dei nuovi documenti per voi, dato che avete le impronte digitali e altri parametri identici a quelli di persone che esistono anche da questa parte.” li informò, indicando anche Abby.

“In effetti si creerebbe confusione.” Osservò Gibbs.

“Questo non è un grosso problema.” li corresse la Sharp “Alla Massive Dynamics abbiamo delle tecnologie sperimentali in grado di poter modificare in modo permanente cose come impronte digitali e oculari.”

“Perfetto! Portate tutto qui!” esclamò Peter, entusiasta.

“E’ già tutto qui.” disse Brandon “Solo che… il bambino sta smontando uno degli apparecchi che servono allo scopo.” e indicò Henry, che aveva afferrato dal tavolo un oggetto, a portata della sua manina, e aveva cominciato a smontarlo, con aria concentrata.

Walter lo fissò eccitato.

“Devo fargli al più presto un test del QI!” esclamò.

“Tu non farai un bel niente a tuo nipote.” lo ammonì Peter, togliendo l’apparecchio dalle manine del piccolo e rimontandolo in un batter d’occhio.

Quando fu montato lo restituì al tecnico, che si rivolse ai due esuli, spiegando cosa dovevano fare.

“Brucerà un po’, ma passa subito.” concluse.

Abigail si fece subito avanti, ma guardava ancora Brandon impaurita. Gibbs non la lasciò andare e la aiutò nella procedura.

Appena terminò, fu il turno di Lincoln. Prima di cominciare lanciò un breve sguardo al piccolo Henry, che distribuiva sorrisi a tutti. L’uomo sapeva che da quel momento sarebbe cambiato tutto. Aveva ucciso la donna che amava per salvare delle vite innocenti, tra cui quel bambino che ora sorrideva a tutti in braccio al padre. Sarebbe stata dura convivere con il senso di colpa. Sperava di farcela, magari con l’aiuto di quelle persone che lo avevano accolto nel loro mondo.

“Ora dobbiamo creare dei documenti per loro. Conosco qualcuno che può aiutarci.” disse, prendendo il cellulare.

“Non c’è bisogno.” lo interruppe Tony “Abby è un’ottima falsaria.”

Peter fissò la dark, che sorrideva orgogliosa, poi le fece cenno di sedersi davanti al computer. Lei non se lo fece ripetere due volte e si sistemò sulla sedia, in attesa di istruzioni.

“Per prima cosa ci servono i documenti per Abby e Lincoln.” cominciò Bishop, togliendo il cellulare dalle mani del figlio, che aveva già cominciato a smontarlo.

“Magari teniamo i nomi e cambiamo solo i cognomi. Abby Sciuto potrebbe diventare Abby… Hayes. Che ne dite?” cominciò, parlando a macchinetta e scrivendo sul computer, contemporaneamente “Mentre Lincoln Lee diventa Lincoln… Shaw!”

“Perfetto!” si congratulò Peter “Ora mi serve un certificato di nascita.”

“Per Henry, giusto?”

Peter annuì e si rivolse a Lincoln.

“Quando è nato?” gli chiese.

“La notte di Natale. Sarà stato attorno a mezzanotte.”

“Fantastico! Un bambino fortunato!” esclamò Walter, ma Peter lo zittì con uno sguardo.

“Va bene. Sul certificato di nascita scrivi Robert Peter Henry Bishop Jr.” dettò il giovane alla donna.

“Che nome lungo!” esclamò Abby.

“Robert è il nome di mio nonno.” spiegò Peter “Walter una volta mi ha detto che ho i suoi stessi occhi.” Sorrise, poi tornò a concentrarsi sul certificato di nascita “Scrivi: padre, Peter Bishop sr., e madre…” si fermò e fissò Olivia, la quale fece un’espressione dispiaciuta. Peter capì, fece un respiro profondo e continuò a dettare “madre sconosciuta.”

Ci fu un momento di silenzio, interrotto solo dal lallare allegro di Henry, poi Abby mandò in stampa i documenti.

In un angolo del laboratorio, Tony e Ziva avevano ripreso il discorso che avevano interrotto nel corridoio. Gibbs li fissò e sorrise. Finalmente quei due si erano sbloccati. Certo era meglio fermarli, altrimenti sarebbero andati un po’ troppo oltre i limiti consentiti, quindi si avvicinò e tirò a Tony uno scappellotto.

I due si staccarono e si allontanarono di scatto.

“Capo… possiamo spiegare…” balbettò Tony.

“Non c’è nulla da spiegare. Solo certe cose fatele a casa vostra.” poi sorrise compiaciuto e diede una pacca sulla spalla a entrambi. Era la pacca di un padre orgoglioso, non di un capo.

Infine guardò gli altri e prese il telefono, poi uscì dal laboratorio per qualche minuto.

Quando tornò, si avvicinò a Lincoln e gli poggiò una mano sulla spalla.

“Ti ho appena rimediato un nuovo lavoro, agente Shaw.” lo informò.

Lincoln lo guardò confuso. “Che lavoro?” chiese.

“Benvenuto nell’NCIS, pivello.”

Lincoln lo fissò confuso. Non si aspettava una cosa del genere. Non sapeva neanche se sarebbe riuscito nel lavoro, dal momento che non conosceva questo mondo.

Guardò gli altri, poi balbettò qualcosa, ed infine ringraziò, contento.

“Devi solo venire a Washington per le formalità. Ma prima dobbiamo riposarci tutti, sono stati quattro giorni pieni… ah, Peter, preparati a non dormire la notte.” disse Gibbs, guardando il bambino, che fissava Olivia con aria incantata e cercava di attirare la sua attenzione.

“Tranquillo, ci sono abituato.” rispose il giovane, lanciando un’occhiata al padre.

Gibbs sorrise, poi richiamò la squadra e si congedò, dando loro appuntamento il giorno successivo all’NCIS.

Il mattino dopo, Peter, Olivia e Walter accompagnarono Lincoln a Washington, alla sede dell’NCIS.

Arrivati al palazzo dell’agenzia, Olivia fece strada. Conosceva bene quegli uffici, dato che ci aveva lavorato prima di passare all’FBI.

Durante il viaggio avevano già spiegato parte della storia del loro universo a Lincoln, ma quest’ultimo si guardava intorno con la stessa espressione meravigliata di Henry, che indicava o cercava di afferrare qualunque cosa gli andasse a genio, e Peter doveva stare molto attento che non si facesse male.

Walter mangiava liquirizie e faceva progetti per il futuro del nipote. Era più entusiasta lui che il giovane padre del bambino.

Peter aveva delle occhiaie da paura. Certo, come tutore di Walter aveva passato un sacco di notti insonni a causa delle sue stramberie, ma con suo figlio era diverso: non era riuscito ad addormentarsi prima delle quattro del mattino, e alle sei era suonata la sveglia e Olivia si era alzata per prepararsi, senza contare che Walter era in piedi dalle cinque per preparare la colazione per tutti.

Però, nonostante tutto, era felice. Certo, c’erano ancora un sacco di cose da aggiustare, soprattutto nel suo rapporto con Olivia, ma sapeva che sarebbe andato tutto a posto. Ora che era un genitore aveva un sacco di responsabilità in più, ma sapeva che ce l’avrebbe fatta, in un modo o nell’altro.

Arrivati al piano dell’ufficio di Gibbs, uscirono dall’ascensore e andarono verso le scrivanie della squadra.

Erano tutti seduti alle loro postazioni. Peter notò che Tony aveva ancora addosso i vestiti del giorno prima, e lui e Ziva si lanciavano fugaci sguardi d’intesa, che però non passavano inosservati agli occhi della squadra.

Gibbs li accolse e strinse la mano ai nuovi arrivati. Quando la strinse a Peter, Henry gli infilò la mano in tasca e prese il portafoglio, poi lo mostrò al padre, facendo un verso contento.

Peter sospirò e riconsegnò il portafoglio al legittimo proprietario.

“Non so proprio da chi abbia preso.” Si giustificò.

Gibbs sorrise e si avvicinò a Lincoln.

“Benvenuto nel tuo nuovo ufficio, pivello.” lo accolse, poi gli consegnò un distintivo.

Lincoln fissò il distintivo per qualche secondo. Era senza parole.

“Devo prestarti un po’ di film, pivello.” disse Tony, con un sorriso sornione dipinto in volto “Scommetto che ti piaceranno le nostre versioni dei film che hai visto nel tuo mondo.”

“Ehm… grazie.” ringraziò il nuovo arrivato, un po’ in imbarazzo.

Gibbs gli diede una pacca di benvenuto, poi guardò Olivia.

“Dal momento che abbiamo Lincoln in squadra, credo che collaboreremo spesso, in casi che interessano entrambe le agenzie. Che ne dici?”

“Mi sembra un’ottima idea!” esclamò la bionda.

Intanto Ziva si era alzata e aveva mostrato a Lincoln la sua scrivania.

L’uomo si sedette alla poltrona e fissò le penne, in evidente disagio.

“Qualcosa non va?” gli chiese l’israeliana.

“Noi… dalla nostra parte non usavamo le penne, si faceva tutto al computer.” Rispose, ad occhi bassi, imbarazzato per la sua mancanza.

“Non preoccuparti, hai tutto il tempo per abituarti. Saremo pazienti con te.” lo rassicurò, facendogli un sorriso.

Lui sorrise a sua volta, poi fissò i compagni di squadra. Nei giorni precedenti aveva potuto osservarli e capire com’erano. Non erano solo una squadra, erano una famiglia, e lui ne era appena entrato a far parte.

Tornò a guardare Peter e Olivia. Erano ancora mano nella mano, e Henry giocava con il pass della donna. Lei somigliava molto alla sua Olivia, quella che aveva dovuto uccidere poche ore prima; ma la somiglianza era solo fisica, caratterialmente erano molto diverse. Questa Olivia aveva molto più in comune con Peter che con lui.

Guardò il bambino, il piccolo Henry. No, ora si chiamava Robert Peter Henry Jr. Sorrideva continuamente, come la sua Olivia. Quella creatura era l’unica cosa che gli era rimasta del suo mondo. Finalmente prese una decisione.

“Bishop, se vi serve un baby sitter, mi offro volontario.”

Peter sorrise e guardò la compagna.

“Magari qualche volta… sì, si può fare.” rispose, sorridendo.

“Ah, quasi dimenticavo…” li interruppe Gibbs, poi tornò alla sua scrivania e prese qualcosa dal cassetto “Broyles, il vostro capo, ha chiesto al direttore Vance che io ti consegni questo, Peter.” E gli mise in mano una specie di portafogli.

Henry glielo tolse subito di mano e lo aprì. Appena Peter vide di cosa si trattava, spalancò gli occhi, sorpreso. Era un distintivo, ma non uno qualunque. Questo distintivo lo identificava come “Agente Speciale Operativo dell’FBI, assegnato alla Divisione Fringe.”

L’uomo era senza parole. Aveva fatto un sacco di lavori in vita sua, ma mai aveva pensato di entrare in pianta stabile in un’agenzia federale, come agente. Lui, che aveva evaso la legge fin da quando potesse ricordare, non si vedeva per niente come agente federale, per quanto si trattasse di una divisione molto particolare dell’Agenzia.

Guardò Olivia, che lo gratificò con uno dei suoi sorrisi.

“Benvenuto in squadra, Agente Bishop.”

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


Erano le dieci del mattino del giorno di Natale.

Olivia si era svegliata presto per andare in ufficio e consegnare il rapporto dell’ultimo caso della sua squadra, e si era affrettata a tornare a casa per poter passare la giornata con i suoi cari.

Appena aprì la porta, un profumo di dolci natalizi la avvolse. L’atmosfera era anche rallegrata da Walter, che fischiettava Jingle Bells dalla cucina.

“Sono tornata!” chiamò. Dalla cucina si affacciò una donna bionda; Olivia la riconobbe “Rachel!” esclamò, poi si avvicinò e salutò calorosamente la sorella “Che bello vederti! Dov’è Ella?”

“E di sopra con Peter.” rispose la donna “Stanno cercando di fare il bagno a Peter Jr.”

Olivia sorrise al pensiero. Non aveva ancora del tutto accettato quel bambino, il figlio del compagno, ma da quando Peter lo aveva preso con sé la loro vita era cambiata in meglio. Peter era un ottimo padre. Ripensò a quello che le aveva detto molto tempo prima, “na ine kalitero antropo apo ton patera toy”, sii un uomo migliore di tuo padre, la frase che Elizabeth Bishop ripeteva sempre al figlio, quando era bambino. Peter non solo era diventato un uomo migliore di Walternativo, suo padre, ma era anche un ottimo padre. Non faceva mai mancare nulla al figlio, e allo stesso tempo non trascurava neanche lei, la sua compagna.

“Vado a vedere se ne escono vivi.” disse, sorridendo, poi si tolse il cappotto e corse su per le scale.

Arrivata al piano superiore, sentì subito le risate allegre di Henry provenire dal bagno. Aprì la porta e si godette la scena: il bambino era seduto nella vasca, e rideva, mentre il padre gli insaponava la testa, con le maniche tirate su fino ai gomiti, mentre Ella cercava di distrarre il “cuginetto” facendolo giocare con delle paperette di gomma. Henry schizzò Peter, battendo le manine nell’acqua, e il giovane si allontanò leggermente.

“Peter! Stai fermo un attimo? Così finisco di farti il bagno!” lo sgridò, senza però abbandonare il sorriso.

“Banno!” ripeté il piccolo, ridendo, poi afferrò la tazza che Peter avrebbe dovuto usare per sciacquarlo, la riempì d’acqua e la versò in testa al padre “Papy Banno!”

Olivia rise di gusto, attirando l’attenzione dei presenti.

“Zia Liv!” esclamò la bambina, poi corse ad abbracciarla.

Peter si scrollò l’acqua dai capelli, facendole uno dei suoi sorrisi, di quelli che riservava solo a lei. Olivia si avvicinò e lo baciò dolcemente, poi gli passò l’asciugamano, mentre lui finiva di sciacquare il bambino e lo avvolgeva nel suo accappatoio.

“Oggi è il suo compleanno, gliele lascio passare, ma da domani si cambia.” disse il giovane padre, con finta aria di rimprovero, poi lo portò in camera e prese i vestiti puliti per il piccolo, mentre Ella tornava al piano di sotto, per aiutare la madre con i preparativi della festa.

Henry cantava allegro, mentre Peter lo cambiava. Quando finalmente fu pronto, Peter lo lasciò un momento libero per asciugarsi e salutare come si deve la compagna.

Prese Olivia per i fianchi e la strinse a sé.

“Tutto bene al lavoro?” chiese, senza mollarla.

“Dovevo solo consegnare il rapporto a Broyles, lo sai.”

L’uomo sorrise e la baciò, ma venne interrotto da Henry, che gli tirò i pantaloni per attirare la sua attenzione.

I due guardarono il bambino, che era in piedi sul letto e teneva tra le mani una scatolina.

“Papy, dai galo a Live?” chiese, porgendogli la scatolina.

Peter lo fissò indeciso, poi sospirò e prese la scatolina, porgendola a Olivia.

“Un piccolo regalo da parte di entrambi.” disse, mettendo il pacchetto in mano alla compagna.

Olivia lo fissò, poi lo aprì. Ciò che vide la lasciò senza parole.

Un anello spiccava al centro della scatola di velluto. Era bicolore, di platino e oro rosso, attorcigliati a spirale, e una piccola pietra verde univa i due capi della spirale.

Alzò gli occhi e fissò l’uomo.

“Lo so, non è niente di che…” disse Peter, alzando le spalle.

“E’ stupendo… ma ti sarà costato una fortuna…”

Peter scosse la testa, poi tornò a guardarla negli occhi.

“Ho solo cercato di trovare qualcosa che si accostasse ai tuoi occhi. Però è stato impossibile da trovare… tu sei unica, quindi anche i tuoi occhi lo sono.”

Lei lo guardò ad occhi spalancati.

“Mi stai chiedendo di…” balbettò, confusa.

“Di sposarmi, sì. Ma non devi rispondermi subito. Hai tutto il tempo per pensarci.”

Olivia abbassò di nuovo gli occhi sull’anello, poi guardò Henry, che la fissava con quei profondi occhi azzurri, così espressivi, così simili a quelli del padre.

“O… ok.” rispose lei “Posso pensarci? Ora dobbiamo scendere in salone, gli altri stanno per arrivare.”

L’uomo annuì, poi prese su il figlio e, insieme, scesero al piano inferiore.

Appena arrivati in salone, qualcuno suonò alla porta. Olivia andò ad aprire.

Erano Lincoln e Abigail, i profughi dell’altro universo.

Da quando erano arrivati da questa parte, lui era diventato un agente dell’NCIS, uno dei migliori, secondo il parere di Gibbs, e lei era stata assunta alla Massive Dynamic come segretaria personale di Nina Sharp.

Insieme stavano superando la lontananza dal loro mondo, e Lincoln ora era più sereno e aveva ormai superato il fatto di aver ucciso la donna che amava.

Olivia li accolse e li accompagnò in salone. Henry corse subito da Lincoln; il piccolo gli era molto affezionato.

Dopo di loro arrivarono tutti gli altri. Il bambino andava un po’ da tutti, chiedendo continuamente attenzioni: amava stare al centro della scena.

Mentre aspettavano di mettersi a tavola, Olivia e Ziva chiacchieravano serenamente. Ziva e Tony si erano sposati circa un mese dopo la loro avventura nell’altro universo, ed ora vivevano insieme e sembravano molto felici.

“Come va tra te e Peter?” chiese l’israeliana, guardando suo marito e l’agente Bishop che chiacchieravano dall’altra parte della stanza, mentre Henry correva intorno ai due, ridendo allegro.

“Va bene.” rispose lei, sorridendo.

“E con il bambino?”

Olivia non rispose. Aveva ancora dei problemi ad accettarlo. Henry era un bambino fantastico, ma lei ancora lo vedeva come il figlio della donna che le aveva rubato la vita. Nonostante vivessero come una famiglia, era ancora difficile conviverci.

La sua espressione si fece cupa. Henry la guardò per un momento, poi si avvicinò, camminando nel suo tipico modo incerto.

“Live tiste? Pecchè?” chiese, appena la raggiunse.

Peter li guardava da lontano, indeciso se intervenire o meno. Olivia fissò il bambino per qualche secondo e poi rispose.

“Non sono triste, tranquillo.” poi fece un respiro profondo e lo prese in braccio.

Il piccolo la gratificò con un sorriso. In quel momento era davvero identico a Peter: quello era lo stesso sorriso che le faceva l’uomo quando lei era giù di morale e lui voleva tranquillizzarla.

Lei lo strinse, poi guardò il compagno e gli sorrise. Peter decise di avvicinarsi.

Si scambiarono un breve sguardo, prima di essere distratti da Tony e Ziva, che attirarono l’attenzione di tutti i presenti e presero la parola.

“Vorremmo fare un annuncio.” disse Ziva, stringendo la mano del marito “Il prossimo anno la famiglia si allargherà.”

Ci fu un attimo di silenzio, poi tutti applaudirono e si congratularono con la coppia.

Peter e Olivia restarono in disparte, con Henry. Lui la abbracciò e la guardò negli occhi.

“Ho deciso. La mia risposta è sì.” disse lei.

Lui sorrise di nuovo e la baciò, poi prese l’anello e glielo mise al dito.

“E dopo potremmo pensare di allargare la famiglia…” sussurrò all’orecchio di Olivia, sorridendo sornione. Lei lo guardò di sottecchi.

“Stai cercando un pretesto per portarti a letto il tuo capo?” chiese, in tono fintamente irritato.

“No, sto chiedendo alla mia fidanzata di fare un figlio con me. Magari una squadra di Bishop…”

Olivia sorrise e lo baciò di nuovo. Henry si mise in mezzo, voleva essere coccolato anche lui. Peter gli diede un buffetto affettuoso e Olivia gli baciò la fronte.

Ora erano una famiglia.

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