Le righe tra le piastrelle

di Acardia17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1/3 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2/3 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3/3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1/3 ***


Titolo: Le righe tra le piastrelle
Autrice: Acardia17
Beta: Nefene, che amo e amerò sempre, nei secoli dei secoli ♥.
Pairing:Draco/Hermione
Rating: 16+/Arancione
Genere:Guerra, Angst, Introspettivo, Sentimentale
Contoparole: 18.472 (tutti e tre i capitoli)

Note tecniche: (1) La storia è ambientata in un ipotetico futuro (Draco ha ventun anni) in cui la guerra è ancora in corso. Naturalmente questo significa che troverete tanto elementi tratti dal Canon quanto inventati di sana pianta: a me piace fare un po' di pout-pourri ;)
Oltre a questo, la fic è stata scritta e pensata per essere una oneshot. L'ho divisa in tre parti per comodità (sarebbe stata una oneshot di 18.000 parole circa, anche se altrove è stata pubblicata come tale), ma rimane il fatto che nasce per essere "unica".
(2) "Le righe tra le piastrelle" nasce in occasione dell'invito a partecipare al "Calendario dell'Avvento" indetto da Fanworld.
(3) La fantastica Stitch-84 ha realizzato una splendida fanart per questa fanfiction: la trovate QUI, in attesa che il banner per il quale l'ho sfruttata (banner che per inciso sarà a opera di Juniper Fox ♥) sia pronto e messo in mostra direttamente su questa pagina! ♥

Nota molto meno tecnica: Questa è la prima Dramione massiccia che scrivo da... beh, secoli. Doveva essere una one-shot di media lunghezza ed è diventata un mostro di quasi ventimila parole - e rispetto allo schema originale si è anche accorciata molto. Non credo si accosti molto alla classica Dramione - diciamo che ho cercato uno sviluppo leggermente alternativo - ma io la percepisco intensamente come tale.  

Buona lettura ;) 





  
 








Col tempo si dimentica perfino la paura di calpestare le righe tra le piastrelle.
(David Grossman)




 

È sufficiente respirare.
Respira, si dice Draco sui frammenti di pavimento sgretolato. Respira, ripete contro le proprie nocche poco prima di infilarsi il pugno in bocca e morderlo. Nella stretta dei denti riesce a sentire le scanalature delle proprie dita come ciottoli sul letto di un fiume, irrequieti sotto i piedi nudi. Vorrebbe poterle raccogliere, allo stesso modo in cui farebbe con i ciottoli, e scagliare lontano, farle schizzare sull’acqua come frecce.
Inspira, si impone chiudendo gli occhi, cercando di ignorare il forte pulsare irradiatosi al di là della propria fronte. Sposta il capo di lato, e si accorge di essere crollato sul pavimento con una tempia appoggiata su un frammento aguzzo di quella che un tempo doveva essere una piastrella. Quando risolleva le palpebre ne riconosce l’arzigogolato disegno sulla superficie polverosa delle altre decine di mattonellee che lo circondano e viaggiano sul terreno, come rotaie di un treno deragliato. Raffigurano un grosso fiore conoidale, un bocciolo blu in tinta unita avvinto da un viticcio di petali nella riproduzione sgraziata di un orpello aristocratico. Uno, due, tre… sei petali. Tre tralci, due foglie.
Espira.
Al di là della seconda piastrella crepata alla sua sinistra intravede una brocca rovesciata. Al suo interno ristagna abbastanza acqua da placare la sete che non gli dà tregua da più ore di quanto sappia dire siano trascorse dal momento in cui si è svegliato quella mattina, ma alzarsi e raggiungerla significherebbe mettere fine all’armistizio che ha stretto con il proprio corpo quando si è accasciato a terra, subito dopo aver varcato la soglia dell’infermeria; non è sicuro di poterselo permettere. Con ogni probabilità se si rimettesse in piedi ricomincerebbe a correre allo stesso modo in cui un bambino rimesso a cavallo di una scopa a una buona altezza ricomincia a precipitare.
Un colpo di tosse gli scuote il petto: quel poco di fiato che era riuscito a radunare si riversa sul pavimento in una costellazione di minuscole goccioline di saliva. La polvere – frammenti di mattonella – si tinge di scuro e dipinge una nebulosa di chiazze umide.
Draco la rimescola con i polpastrelli, cancellando le prove dell’esistenza di qualcosa di ancora liquido nel suo corpo, a parte il sangue. Pensava di essersi disidratato.
Sulla punta delle sue dita il pulviscolo aderisce a una strana sostanza viscosa che non riesce a identificare. Non subito, almeno.
Si è ritirato dal campo di battaglia infilandosi in una viuzza stretta quanto le spalle di Macnair, braccato da Carrow. Quando Draco l’ha visto affacciarsi sul vicolo non si è dato il tempo di capire le sue intenzioni: ha rovesciato il tavolino di legno di una locanda e ha cominciato a correre come se non ci fosse un domani. Ha pensato che forse non ci sarebbe stato davvero. Mentre la suola delle sue scarpe pattinava sul lastricato lucido, il tavolo ha preso a rotolare sul selciato della stradina scoscesa, saltando e scrocchiando sulle mattonelle di tufo. Sul menù che vi era saldato era vergata la scritta “Pietanze da favola”: era incantato per recitare a gran voce i piatti principali a ogni pagina sfogliata. Draco ci era stato, qualche volta. Facevano un ottimo stufato al curry. Man mano che il tavolo rotolava e i fogli del menù si dibattevano a mezz’aria, la voce cavernosa della proprietaria della locanda aveva esclamato “bistecca al sangue” e subito dopo “manzo ai ferri”, per poi incalzare il ritmo in una sequela di spezzettati “pa-“, “-eef”, “-rumble”, “zup-” per tenere il passo con il movimento delle pagine. A Draco è parso che Carrow lo stesse inseguendo per fare di lui il piatto principale del suo menù giornaliero. Per un attimo, le sue ginocchia hanno vacillato. Si è aggrappato a un grosso anello di ferro sporgente dalla parete scrostata di una palazzina, di quelli che in passato venivano utilizzati per legare le redini dei Thestral, e si è spinto in avanti con tanta foga da sentire le caviglie scrocchiare. La spinta ha funzionato per un paio di passi, poi le sue ginocchia hanno ceduto davvero. Si è schiantato a terra con la faccia su un tombino. Ha sentito il proprio naso penetrare nel cranio, il dolore lo ha stordito alcuni istanti, ha pensato di morire. Così, faccia a terra su un tombino, pronto per un ingresso trionfale nelle profondità delle fogne. Poi, ha sentito una mano afferrargli la punta di una scarpa. Ha capito di non essersi rotto il naso quando si è scoperto in grado di strattonare il piede lontano dalla presa e di rialzarsi senza svenire o seminare zampilli di sangue, arrancando in avanti e appoggiando la punta dei polpastrelli sul selciato per recuperare l’equilibrio. Anche se il naso ha continuato a fare un male cane. Prima di ricominciare a correre si è girato, pronto a fronteggiare la visione del volto scheletrito di Carrow contratto in una smorfia che gli lasciasse scoperti i denti giallastri intinti nella saliva.
Carrow crede che sputare addosso a qualcuno rappresenti il segno ultimo di disprezzo. La qual cosa è piuttosto ironica, visto che i suoi sforzi di accumulare grossi grumi di saliva contro il palato generalmente si risolvono in un lungo e disgustoso filo di bava intrecciato ai peli ispidi della sua barba.
Draco si è girato, forse nella speranza che quel filo di bava gli infondesse sufficiente ribrezzo da stimolare i suoi nervi a intraprendere una corsa ancora più disperata. Invece, ai propri piedi, ha visto una donna.
Il pavimento sul quale è sdraiato ora non è poi così diverso dal lastricato di quella viuzza, ma non c’è nessuna donna ad afferrargli un piede e a supplicarlo di aiutarla, con il viso più scheletrito di quello di Carrow e l’interno esangue delle labbra dipinto di sangue. Lo stesso sangue nel quale Draco teme di aver intinto i polpastrelli quando è caduto.
Sul pavimento su cui è sdraiato ora c’è una brocca rovesciata, non il corpo riverso di una strega schiacciata dall’insegna di un emporio di pozioni. Indossava un paio di guanti senza dita con l'orlo in pelle verde bottiglia. La precedente Vigilia di Natale sua madre ne ha bruciato nel camino di casa un paio di identica fattura, regalo di sua zia Andromeda. A differenza di questi ultimi, quelli della strega erano strappati e il risvoltino in pelle era logoro. Draco li ricorda bene, perché la donna ha teso una mano verso di lui quando lo ha pregato di trarla in salvo, e ha continuato a tenerla tesa anche quando Draco è indietreggiato, ha deglutito e si è sentito come se avesse appena lanciato un pesante masso in un pozzo profondo chilometri.
Non ha atteso di udire il macigno fracassarsi sul fondo: sotto lo sguardo implorante della donna, si è voltato e ha ricominciato a correre. Un lampo di energia magica ha illuminato il vicolo per un istante prima che lui si girasse del tutto e gli ha permesso di scorgere con chiarezza gli occhi della strega, vacui e acquosi come le profondità del pozzo. Gli sono sembrati gli occhi di un morto.
Era già morta, si è ripetuto mentre incespicava a zig zag tra i blocchi di tufo, raggiungendo i grossi anelli agganciati alle pareti per farsi forza e proseguire. Era già morta.
I disegni sulle mattonelle del pavimento sul quale è sdraiato ora sono opera di una mano mediocre, si ritrova a pensare distrattamente. No, le mattonelle sono opera di una mano mediocre. Nonostante fuori abbia appena cominciato a lampeggiare sono già diventate opalescenti, nitide solo a tratti, tra un battito di ciglia e l’altro.
Draco infila le unghie nella fessura tra tra due piastrelle, trascinandosi in avanti. Lo fa senza una ragione particolare, visto che l’intero pavimento dell’infermeria è rivestito di frammenti di ceramica. Ottiene soltanto di conficcarsi il frammento particolarmente acuminato che prima gli premeva contro la tempia nello stomaco, protetto dalla corazza della sua divisa da Mangiamorte. Se non altro tuttavia riacquista consapevolezza di avere ancora forza nelle braccia, e ha trovato un modo di frenare il tremore delle sue dita.
Solleva il viso, respirando con la bocca perché ha il naso otturato di sangue. Alla sua destra, vede le gambe sottili e brillanti di un letto su rotelle.
Per un attimo medita di rialzarsi in piedi, raggiungerlo e dormire fino alla fine del mondo. Gli viene in mente una canzone delle Stravagarie, Svegliatemi quando il mondo sarà finito. Il solo pensiero di riappoggiare le piante dei piedi a terra gli provoca uno sciabordante moto di nausea, così si limita a strisciare di lato verso sinistra, aggrappandosi ai bordi ballerini delle piastrelle. Gli ci vuole qualche istante per individuarli, nella superficie sgretolata e traslucida: dove le mattonelle si sono spaccate, emergono spicchi di terra arida. È piovuto poco prima, ma l’energia magica che satura l’aria ha inaridito il fango dopo appena una manciata di minuti.
L’interno della brocca è sporco di polvere. Galleggia sulla superficie dell’acqua, riflettendo ombre scure sull’acciaio. Draco decide di avere troppa sete per curarsi di un po’ di sporcizia che presto svanirà con l’effetto della magia da accampamento, per cui raddrizza la brocca e se la porta alle labbra con entrambe le mani, affondandovi il viso.
Non deglutisce fino a quando non si è riempito la bocca, mentre un paio di rivoli valicano il bordo della caraffa e gli percorrono il mento e il collo. A guance gonfie, gli occhi chiusi, si gode il refrigerio dell'acqua contro il palato, e per una volta in vita sua gli sembra di sentirne davvero il sapore. La polvere gli pizzica la lingua.
Dopo averla svuotata, riadagia la brocca sul pavimento nella stessa posizione in cui era quando l’ha raccolta, riversa e in bilico sul manico.
Non ha ancora risollevato le palpebre: le tiene chiuse, rimane immerso in un’oscurità confortevole, concentrato solo sul suono lieve del proprio respiro. Immagina le proprie gambe fondersi con le piastrelle, le proprie braccia sprofondare nei viticci di petali e il proprio volto aderire alla ceramica, nitida solo a intermittenza. Immagina il proprio stesso corpo divenire impalpabile per poi riacquistare sostanza, una, due, tre volte, fino a quando perfino la sua coscienza non oscilla tra i diversi gradi di consistenza. Il naso ha smesso di pulsare, ormai.
Svegliatemi quando il mondo sarà finito.





Il mondo si è avviato verso la propria fine all’incirca due mesi prima.
In principio si è trattata solo di una qualche favilla a mezz’aria. Draco ne ha avvertita una la prima volta mentre incantava una lettera perchè si schiudesse solo tra le mani di sua madre. Per poco non si è lasciato sfuggire la bacchetta di mano, quando una minuscola scarica elettrica gli ha percorso il braccio, da polso a gomito. Ha attribuito il fenomeno al fatto che nella lettera informava sua madre di come il Signore Oscuro avesse preteso i suoi servigi al fronte nella battaglia che si sarebbe svolta di lì a pochi giorni. Per riuscire a scrivere quella lettera aveva dovuto stregare una penna, e anche così i riccioli sottili del “tre” in “tredici ottobre”, la data, avevano preso le sembianze di una lingua secca di serpente schiacciata su un foglio.
Pian piano, col passare dei giorni, le scintille sono divenuti scoppiettii. Draco è rimasto svenuto in una vasca da bagno per tre ore, quando ha Evocato il suo accappatoio dall'appendiabiti nell'angolo della stanza.
Si è recato da un fabbricante di bacchette, sicuro che la sua avesse qualche problema, e ha scoperto che anche un’altra sessantina buona di persone avevano avuto la stessa idea. È tornato a casa e ha scritto un’altra lettera, questa volta diretta a suo padre. Il gufo che il giorno seguente gli ha recapitato la risposta ha sbagliato strada tre volte, lungo il percorso tra il Maniero Malfoy e la Maisonette a tre passi dal Ministero in cui è stato spedito dai propri genitori per essere tenuto al sicuro da spiacevoli incontri con l’Oscuro Signore lungo i corridoi.
La lettera è giunta sguarnita di un incantesimo di protezione, dotata dei tre timbri delle tre differenti nuove frontiere postali attraversate, lisa, forata là dove le zampe del gufo l’hanno artigliata, e recante solo due parole: “Niente magia”.
Draco ha estratto un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, vi ha avvolto la bacchetta e l’ha adagiata di fronte a sé sullo scrittoio. Ha osservato le iniziali ricamate “D” e “M” per lunghi minuti, immobile, prima di infilare l’involucro in un cassetto e richiuderlo.
Niente magia.
Col passare delle settimane, sono arrivati i lampi. “Lampeggia spesso ultimamente,” hanno detto i più, popolando le conversazioni di circostanza di commenti atmosferici.
Draco ha spostato lo scrittoio in cui era racchiusa la sua bacchetta nella stanza accanto a quella in cui dormiva, fingendo di non sentire il cassetto tremare nello scomparto, di tanto in tanto.
Il primo incendio è scoppiato durante una battaglia, in mezzo alla piazza di un villaggio sperduto nelle campagne a sud di Birmingham, in corrispondenza di un campanile incantato da secoli per fungere anche da faro di una città gemellata distante decine e decine di chilometri.
All’urlo di uno Schiantesimo le fiamme hanno roso al suolo l’intera costruzione campanaria, per poi cominciare a incenerire tutto il circondario. Non si sono placate fino a quando la totalità degli abitanti non è fuggita e sia Mangiamorte che Auror non hanno battuto in ritirata.
Dopo decine e decine di lampi senza tempesta e di incendi scoppiati all’improvviso, i Maghi e le Streghe d’Inghilterra non hanno più potuto ignorare ciò che stava avvenendo.
E ciò che stava avvenendo e continua ad avvenire, è il preludio della fine del Mondo Magico così come chiunque di loro l’ha conosciuto.





Al proprio risveglio, Draco contrae le labbra sulla propria saliva. Si ritrae di colpo, disorientato, poi sospira e si asciuga la bocca con l’orlo di una manica. Non riuscendo a respirare bene dal naso, ha dormito a bocca aperta. È normale che abbia cosparso di bava il pavimento.
Per un attimo ha immaginato… non lo sa cosa ha immaginato.
Con stupore, si rende conto di essersi rialzato sui gomiti e di sentirsi anche abbastanza in forze per trarsi in piedi. Si appoggia prima sul ginocchio destro, poi trova il coraggio di fare lo stesso con il sinistro e di spingersi verso l’alto. Alla fine, si ritrova a vacillare di lato fino a un letto su rotelle. Si appoggia alla testiera, le rotelle slittano e il letto va a sbattere contro la parete. Una cartina giallastra appesa a una bacheca abbastanza nitida da essere reale e non frutto di un incantesimo cade svolazzando verso il pavimento.
Per la prima volta da quando vi è entrato, Draco si guarda attorno ed esamina il contenuto dello stanzone: sulla distesa di mattonelle frantumate giacciono libri, armadietti e carrelli rovesciati, garze, bende e alcuni attrezzi d’acciaio di cui Draco ancora non riesce a ricordare il nome, anche dopo mesi che assiste al loro utilizzo.
Aderente alla parete sulla sinistra, vede un lavandino di metallo. Vi si dirige con i passi più lunghi che riesce a strascicare, cercando di impedirsi di nutrire troppe speranze. Sono giorni che non si lava. All’inizio portava con sé una fiaschetta abbastanza grande da consentirgli di bere e di pulirsi viso, ascelle, il minimo indispensabile. La borraccia era stregata: poteva contenere più di quanto non sembrasse. Era l’unico artefatto magico che teneva ancora con sé. Poi perfino quel semplice incantesimo era divenuto troppo rischioso.
Apre il rubinetto: ne fuoriesce un forte getto d’acqua abbondante, trasparente. Draco vi immerge le mani, grato, ma le ritrae quasi subito: il fiotto bollente gli scotta i palmi. Ruota l’altro pomello, ma l’acqua rimane ustionante.
Si guarda alle spalle, alla ricerca di qualcosa che… di qualcosa. Richiude il rubinetto, nel timore che l’incantesimo che lo fa funzionare si dissolva e l’acqua cessi di scorrere. Soffia sulla pelle scottata, ma il suo fiato è caldo e non gli è granché di sollievo.
C’è un lenzuolo stropicciato, calato per metà sul pavimento attraverso la rete di una brandina, qualche passo più in là. Draco lo raccoglie, lo strappa da sotto un cuscino e lo appallottola in un’unica grossa spugna di cotone. Può andare.
Con un brivido, slaccia la fibbia che tiene chiusa la corazza di cuoio che ha sul petto. Ci sono placche di cuoio nero lungo tutti i suoi vestiti: sul torace, sullo sterno, sulla schiena, sui gomiti, sulle cosce.
Draco le ha trovate utili in diverse occasioni, quando si è visto schiacciato a terra da un incantesimo, mentre in altre ha trovato frustrante il pensiero di non potersi muovere a proprio piacimento. Ora la rigidità indotta dalla corazza rispecchia alla perfezione il suo desiderio di immobilità.
Dopo aver sganciato la pettorina e aver preso un respiro profondo, finalmente libero dalla costrizione delle cinghie, Draco procede a slacciare la casacca. Se ne libera con foga, buttandola a terra dove prima era il lenzuolo. Nonostante il brivido di freddo che lo percorre, le sue spalle si affossano per il sollievo di essere state finalmente alleggerite. Si sfila velocemente anche la canotta, madida di sudore, e raccoglie la palla di stoffa bianca da terra.
La bocca del lavandino emette un rivolo di fumo lattiginoso quando un abbondante fiotto bollente ricomincia a sgorgarne. Draco vi immerge il lenzuolo reggendolo con una mano, attento a non scottarsi. Quando si è impregnato a sufficienza lo strizza sul pavimento: l’acqua è ancora rovente, ma la stoffa ne ha in parte assorbito il calore.
Chiude gli occhi. La prima cosa che comincia a strofinarsi è la faccia, per lavare via le lacrime e il sangue.





Quello della battaglia di quel pomeriggio è stato il cinquantatreesimo incendio.
Draco ha sentito un Auror latrare quei dannati figli di una cagna, sostenendo che fossero stati i Mangiamorte ad appiccare il fuoco. Ha visto la manica di un ragazzo più o meno della sua età bruciare come la miccia di una candela umana e gettare una luce malata su un vicolo stretto quanto le spalle di Macnair. Ha visto le fiamme avvolgere come un lazo le caviglie di un uomo con addosso la divisa degli Indicibili, nell’imitazione perfetta della fattura lanciata dal suo avversario. Le sue urla sono state sovrastate dal boato di un edificio che crollava e si fracassava a terra come un castello di carte. Carte che poco dopo hanno cominciato a bruciare: l’intera costruzione, un grosso palazzo in granito, si è accesa come un fiammifero.
Merlino, ha mormorato il tizio dei figli di una cagna, mentre il granito prendeva fuoco e si consumava.
L’Auror al suo fianco gli ha strappato la bacchetta di mano e l’ha spezzata a metàper poi gettarne i due pezzi lontano, emettendo un ringhio spaventato.
Draco ha abbassato lo sguardo sulla propria, stretta nel suo palmo dopo settimane trascorse ad ammuffire in un cassetto.
L’ha lasciata cadere al suolo e ha cominciato a correre a perdifiato verso il vicolo, digrignando i denti nell’udire i piagnucolii del ragazzo a cui il fuoco aveva appena rubato un intero braccio.





C’è un orologio, appeso grossolanamente al lampadario dell'infermeria da campo, attaccato a uno dei suoi pendagli con un laccio emostatico. Quando le pareti dello stanzone cominciano a vibrare e perdere consistenza, emette un cupo rintocco. Le lunghe e contorte lancette imprigionate al suo interno iniziano d’un tratto a mulinare, sferragliando all'indietro come la freccia aguzza di un segnavento, mentre quella più corta, ripiegata su se stessa a causa di chissà quale incidente di percorso, incide sul vetro del quadrante una circonferenza irregolare e spezzata. Quando si arrestano è l'orologio a iniziare a ruotare su se stesso, attorcigliando il tubicino di gomma che lo mantiene sospeso al centro della stanza. Si ferma solo grazie alla resistenza opposta dal lampadario, una lumiera in rame appesa alla proiezione magica di un soffitto tramite una catena abbastanza massiccia da vincere con facilità gli sforzi eversivi dell'orologio. Segna le tre.
A giudicare dall’oscurità che Draco scorge attraverso le vetrate opalescenti e il tempo trascorso dall’ultima volta che ha adocchiato un orario affidabile, devono essere all’incirca le undici di sera.
É allora, a un orario imprecisato tra le tre e la mezzanotte del suo ventunesimo quattordici dicembre, che Draco si rende conto che non vedrà mai l'alba del ventiduesimo. É una consapevolezza repentina, spontanea.
Per la prima volta dopo mesi si tratta di una deduzione logica, l'asterisco vergato a tratto fine in un angolo di pergamena della ricetta di una pozione.
Il mondo sta per finire. Morirai.
La neve brucia, sul campo di là delle vetrate opalescenti dell’infermeria. Illumina la notte come un’aurora boreale schiacciata sul terreno. Le pareti sono tremule laddove sfiorano le fiamme attraverso una barriera che presto si infrangerà, le piastrelle hanno già cominciato a farsi trasparenti: i vari frammenti che cospargono il pavimento paiono i resti del crollo di una cristalleria.
La neve. Brucia.
La magia sta collassando.
Draco si siede a terra e si abbraccia le ginocchia.
Quando la barriera si sarà sfaldata, le fiamme ingoieranno le mattonelle, i letti, l’orologio appeso al lampadario. Lui.





È il baluginio a incuriosirlo. Nell’opaco rivestimento di polvere che annebbia ogni cosa, gli unici oggetti rimasti vagamente brillanti sono alcuni attrezzi argentati lunghi, sottili, taglienti. Draco li ha visti raramente utilizzare per aprire ferite e fare penetrare al meglio gli incantesimi di guarigione nel corpo del Mago. Di solito morente.
Il baluginio che scorge al di là della rotella di un letto, tuttavia, è dorato.
Draco si allunga ad afferrarlo. Gli tremano le mani, ma se ne rende conto solo quando le vede tese di fronte a sé. Le sue dita si chiudono su una catenella. È incastrata sotto la ruota, quindi deve far forza per attirarla a sé, ma quando infine vi riesce scopre che al di là della gamba affusolata del letto si nascondeva un ciondolo tondeggiante.
Gli occhi gli si allargano per lo stupore nel realizzare che si tratta di una Giratempo.
L'ultima che ha visto era tra le mani di Dolohov, nei sotterranei del Maniero. Suo padre gli ha rivelato che la usa per rivivere gli ultimi istanti di tortura dei prigionieri, e infliggere loro nuove e più fantasiose sofferenze. Draco non ha fatto una piega: da Dolohov non si aspettava nulla di diverso. E in fin dei conti torturare i prigionieri lo rilassa, e quando è rilassato non rischia di fare del male a suo padre. O a sua madre. Per quanto lo riguarda, ha cercato di limitare le visite al Maniero al minimo indispensabile.
La clessidra incastonata nella struttura flessuosa della Giratempo è crepata, ma i granelli di sabbia continuano a scendere. Uno a uno, sembrano i minuscoli fiocchi di neve che hanno da poco cominciato a cadere fuori. Come loro, non fanno in tempo a raggiungere il suolo: si dissolvono prima, a mezz’aria, inghiottiti da fiamme invisibili.
Draco la stringe nel palmo, chiedendosi come possa essere finito un artefatto simile in un’infermeria da campo. Una Giratempo non può essere utilizzata per salvare vite umane: ciò che il tempo risparmia il tempo si riprende. È il destino, inevitabile come le fiamme che circondano la barriera e premono contro le pareti sempre più impalpabili.
L’intera stanza ormai è illuminata a giorno da origami di lampi.
A Draco pare quasi di sentire la Giratempo scaldarsi tra le sue dita. Ne osserva la crepa con tanta fascinazione quanto terrore, chiedendosi cosa accadrebbe se la clessidra si rompesse e la magia contenuta al suo interno si sprigionasse nell’aria. Forse l’infermeria esploderebbe, senza neppure attendere la carezza delle fiamme che si sono scatenate al suo esterno.
Si ritrova a domandarsi quale momento preferirebbe riassaporare, se davvero potesse. Gli viene da ridere, al pensiero che si tratti di un ricordo di quasi una settimana prima, quando si è sbronzato e si è accasciato sul pavimento di casa propria con in mano una bottiglia di Odgen e una scatola di cioccolatini. Glieli aveva regalati entrambi Blaise, di ritorno dalla Dalmazia.
Quella sera, dopo che Blaise si era chiuso la porta del suo appartamento alle spalle, li aveva trangugiati tutti, uno dopo l’altro, e si era scolato l’intera bottiglia. Eroicamente non aveva vomitato ma si era trascinato al piano di sopra ed era collassato sul letto, la mente vuota di pensieri.
Forse è in balia di quel ricordo che si infila la catenella dorata attorno al collo.
La stringe con forza nel pugno, se non altro per frenarne il tremore. Poi, all’improvviso, il mondo scompare.





Sbattendo le palpebre, Draco si accorge che il mondo non è scomparso. È semplicemente diventato buio.
Si strofina le mani sul viso e lo volta in direzione di dove sa trovarsi la vetrata dell’infermeria. Poco prima al di là del vetro rilucevano in lontananza lampi di energia magica, e le fiamme riflettevano sulle pareti interi drappi di bagliore aranciato. Ora lo stanzone è immerso nell’oscurità quieta di una notte stellata senza luna, fitta ma non impenetrabile. È un cambiamento piacevole.
Draco si sente a proprio agio nell’ombra: è uniforme, costante, riserva sempre meno sorprese di quante non ci si aspetti.
Negli ultimi mesi ha imparato a collegare luci e abbagli improvvisi a presagi di morte: quel velo scuro gli pare quasi una benedizione. Ma dove sono spariti i lampi? Dove le fiamme? Che lo scontro sia giunto al termine?
Si alza in piedi e procede a tentoni verso la finestra. Il fruscio dei suoi abiti contro le lenzuola dei letti disposti lungo il muro pare quasi un respiro.
Trascina lentamente i piedi sul pavimento, per non rischiare di inciampare. Rabbrividisce, al pensiero che potrebbe anche cadere per sbaglio su uno di quegli utensili sottili e affilati. Per un attimo giunge perfino a desiderare che un nuovo lampo rischiari il cielo e con esso il suo cammino, ma ciò che per lui non sarebbe altro che luce, per il campo di battaglia costituirebbe il degenerare del conflitto.
I passi lo conducono verso una superficie liscia e fredda. Sfiorandola con i polpastrelli, Draco riconosce i solchi sottili tra i pannelli della vetrata, ruvidi come cicatrici. Nonostante la vicinanza con il mondo esterno, l’oscurità rimane compatta e pesta, inscrutabile.
Si spinge così vicino alla finestra che la Giratempo adagiata sul suo petto cozza contro il vetro. Con un fremito, Draco se la sfila frettolosamente dal collo e la tasta con le dita, il battito accelerato dal timore che la crepa nella clessidra si sia allargata.
Nel silenzio teso che segue a quello schiocco improvviso ed estraneo, sente un altro tipo di rumore.
Un respiro.
Non il fruscio dei suoi abiti contro le lenzuola, non lo scalpiccio dei suoi piedi sul pavimento. Un respiro lento e regolare, vagamente strascicato.
Draco stringe la catenella della Giratempo più forte nel pugno, pietrificato. Il pensiero di Carrow è un sibilo dietro l’orecchio: l’ha trovato. Il buio non è reale, ma effetto di un incantesimo teso a disorientarlo, per colpirlo quando meno se lo aspetta. Carrow è abbastanza sconsiderato da incantare davvero le finestre anche quando un semplice Alohomora al momento potrebbe abbattere la barriera che protegge l’infermeria dal mondo esterno.
Draco ripensa all’orologio, al modo in cui ha cominciato a vorticare su se stesso poco prima che ogni fonte di luce si spegnesse. Può essere stato solo un sottile flusso di magia a muoverlo. L’incantesimo di Carrow.
Cade in ginocchio, striscia lungo la superficie fredda della vetrata.
La punizione per i disertori è la morte. Sono le parole che ha pronunciato Avery durante il discorso che ha preceduto l’inizio dello scontro. Draco le ha sentite più volte di quante non ne possa contare, metà delle quali durante esecuzioni. Solo da poco, dopo mesi di sforzi e conati di vomito, ha smesso di immaginare la propria morte, nell’udirle. Per riuscirvi ha dovuto cominciare ad associare il termine “disertore” all’immagine nitida della Professoressa Sprite che singhiozzava farfalle mentre tentava invano di spedirlo dal Preside per aver contaminato la sua pozione per il mal di gola. Solo in quel modo è riuscito a sfoderare persino qualche ghigno divertito durante i comizi al cospetto del Signore Oscuro: pensando alla Professoressa Sprite che singhiozzava farfalle ed erigendo il muro mentale più alto che le sue doti di Occlumante gli permettessero.
Ora le farfalle si sono materializzate nel suo stomaco, in senso tutt’altro che romantico.
Strizza le palpebre. Non tanto per non veder giungere il Crucio di Carrow – nessuna esecuzione di morte per un disertore si risolve con un semplice Anatema che Uccide, e a Carrow piace giocare al gatto col topo – quanto perché ha sempre detestato il pensiero di morire con gli occhi aperti.
Il terrore che gli paralizza le gambe sta cercando di sradicargli il cuore dal petto. Draco sente le vene tirare all’interno del torace.
Qualsiasi cosa gli accada, sua madre morirà in modo ancora più violento alla notizia della sua morte.
Suo padre trascorrerà il resto della propria vita ad addossarsene la colpa.
Se lo merita, pensa Draco, con un moto di ribellione che rimpiange subito.
Ha sempre saputo che non sarebbe morto in modo eroico. Semplicemente, si è limitato a sperare di non morire. Non prima dei suoi genitori, almeno. Non prima della fine della guerra, qualsiasi sarebbe stato l’esito.
Ripensando alla strega nel vicolo, stringe ancora più forte le palpebre.
Il respiro esala un sospiro profondo. Draco rabbrividisce da capo a piedi e appoggia le mani sul pavimento. La Giratempo sfugge alla sua presa e rotola lontano.
Poi, dall’altra parte della stanza, un tramestio di lenzuola. Un fruscio veloce, disturbato, al quale segue un mugugno basso e cupo.
Il respiro, a pochi passi dal suo orecchio, non ha mai smesso di spirare.
Draco, le vene tese da una parte all’altra del torace come funi per appendere i panni, comincia a credere di avere allucinazioni uditive. Senza trovare il coraggio di rialzarsi in piedi, si sbilancia in avanti e avanza carponi con le mani, allontanandosi dalla finestra come se potesse costituire una fonte di pericolo.
La sconclusionata serie di stramberie acquista un nuovo elemento: il pavimento è liscio. Liscio e pulito.
Niente polvere, niente frammenti aguzzi, niente aperture di terriccio tra una piastrella e l’altra.
Man mano che aggiunge distanza tra di lui e la vetrata il primo respiro si fa sempre più flebile, ma un altro vi si sovrappone.
L’infermeria è popolata di respiri, di tramestii di lenzuola, di… vita.
All’improvviso, nel preciso momento in cui Draco si sporge dalla fila di letti, un minuscolo lume si accende all’angolo opposto della stanza.
Draco sobbalza, impietrito dalla sensazione che la piccola lampada sia un occhio apertosi direttamente su di lui. L’istante immediatamente successivo, tuttavia, si ritrova a sussultare per una ragione del tutto diversa.
Ci sono delle persone nei letti. Più di una decina e tutte dormienti, con le coperte tirate fino al mento oppure arricciate disordinatamente intorno ai piedi. Dal punto in cui si trova sul pavimento, Draco intravede un vecchio del tutto scoperto, raggomitolato su un fianco con le mani strette alle braccia. Borbotta tra sé e sé nel sonno, contraendo le labbra.
Non c’è traccia di tavolini e carrelli rovesciati, neanche l’ombra degli attrezzi di metallo che fino a qualche minuto prima erano sparsi sulle piastrelle.
Da quel poco che gli è dato scorgere grazie al quasi impercettibile lumino, le pareti sono nitide. Le finestre non sono buie grazie a un Incantesimo Oscurante: al di là della vetrata adesso il profilo lattiginoso della distesa di neve sul campo è facilmente distinguibile, interrotto solo dalle fronde degli alberi. Non v’è più una sola scintilla delle fiamme che poco prima consumavano l’orizzonte.
Draco osserva il tutto a occhi sgranati, terrorizzato all’idea che le persone nei letti possano svegliarsi a causa della luce e allo stesso tempo terrificato dall’eventualità di ripiombare nel buio e riaprire gli occhi sul mondo così come l’ha lasciato l’ultima volta.
È tutto rimasto lo stesso, ma al medesimo tempo tutto è mutato da un estremo all’altro: dal disordine all’ordine, dalla sporcizia alla pulizia, dalla solitudine alla compagnia di più di una decina di Maghi e Streghe.
Pare quasi che non vi sia stato nessun conflitto, nessuno sconvolgimento naturale del normale corso delle cose. Par quasi di essere piombati… nel passato.
Gli occhi di Draco schizzano in alto verso l’orologio, ancora appeso al lampadario al centro esatto della stanza. È sempre lo stesso, ma il quadrante non è scheggiato e le lancette si ergono perfettamente dritte al suo interno. Il modo convulso in cui erano contorte e ripiegate su se stesse non è che un ricordo.
L’orologio segna le tre.
Il medesimo orario che ha indicato dopo aver mulinato impazzito su se stesso poco prima che Draco scorgesse il bagliore della Giratempo dietro la gamba sottile di un letto a rotelle. La Giratempo, unico oggetto contenente ancora una scintilla di magia nel caos di una stanza apparentemente vittima di una specie di esplosione. Una Giratempo che lui scioccamente si è infilato al collo. Una Giratempo la cui clessidra è attraversata da una lunga crepa.
“Merlino,” sussurra tra sé e sé, incapace di contenere la propria sorpresa. Si scopre disabituato al suono della sua stessa voce.
Si alza in piedi e inizia a percorrere il corridoio tra le due file di letti. Mentre procede, il silenzio si colora di differenti respiri – alcuni calmi, altri più irrequieti – gemiti e colpi di tosse che gli fanno vibrare la spina dorsale. In fondo alla stanza intravede un paio di brandine rasoterra per ogni lato.
Attaccata alla parete c’è una bacheca che prima Draco non aveva notato: è lì che è agganciato il lumino, un semplice barattolo di vetro contenente una fiammella della stessa dimensione di quella di una candela ma dal chiarore più tenue ed esteso. Al di là di esso, immerso in un tondino di luce, è appeso un plico di fogli ricolmi di tabelle compilate da una scrittura fitta e stretta. È un calendario.
L’ultima pagina reca l’iscrizione “dodici dicembre”.
Draco deglutisce un grosso grumo di saliva. È davvero tornato indietro nel tempo. A due giorni prima, quando la battaglia era già cominciata ma non era ancora entrata nel vivo.
La Giratempo era difettosa, e lui è stato così idiota da indossarla.
Due giorni prima. Due giorni in più rispetto a quanto si sarebbe aspettato di vivere. Forse non vedrà l’alba del suo ventiduesimo quattordici dicembre, ma per una strana combinazione potrebbe essere in grado di vedere quella del suo ventiduesimo tredici dicembre. Di lì a qualche ora.
Al pensiero, avverte quasi un moto di sollievo.
Svegliatemi quando il mondo sarà finito.
Si è svegliato, ma in un mondo che non ha ancora cominciato a finire.
Crolla seduto sul pavimento – intatto – la testa appoggiata contro la bacheca. Due giorni, ripete tra sé e sé, stordito, lo sguardo perso sulle figure deformi dei Maghi privi di conoscenza al di sotto delle coperte.
È allora che identifica le fattezze della Strega dormiente in una delle brandine: dalle lenzuola emerge ben poco oltre a un grosso cespuglio scompigliato di capelli, ma Draco crede di conoscere l’angolo di viso che si nasconde al di là della stoffa stropicciata.
Addormentata in una posa scomposta su una brandina larga quanto un braccio, un piede che sporge dalla trapunta come se fosse pronta a scattare in piedi da un momento all’altro, c’è Hermione Granger.











Fine primo capitolo.
Continua...







Grazie per essere giunti fino alla fine ♥
 
Il prossimo aggiornamento - connessione permettendo, dato che ne sono sfornita e usufruisco di quella della biblioteca a causa di un'anomalia di Teletu - è previsto tra quattro giorni, tra mercoledì e giovedì ;)
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2/3 ***


Titolo: Le righe tra le piastrelle
Autrice: Acardia17
Beta: Nefene, che amo e amerò sempre, nei secoli dei secoli ♥.
Pairing:Draco/Hermione
Rating: 16+/Arancione
Genere:Guerra, Angst, Introspettivo, Sentimentale
Contoparole: 18.472 (tutti e tre i capitoli)

Note tecniche: (1) La storia è ambientata in un ipotetico futuro (Draco ha ventun anni) in cui la guerra è ancora in corso. Naturalmente questo significa che troverete tanto elementi tratti dal Canon quanto inventati di sana pianta: a me piace fare un po' di pout-pourri ;)
(2) "Le righe tra le piastrelle" nasce in occasione dell'invito a partecipare al "Calendario dell'Avvento" indetto da Fanworld.
(3) La fantastica Stitch-84 ha realizzato una splendida fanart per questa fanfiction: la trovate QUI. Naturalmente, come potete notare, Juniper Fox ne ha tratto alcuni bellissimi banner



Lo so, avevo detto che avrei aggiornato tra mercoledì e giovedì, ma non ho saputo resistere. Ringrazio davvero tutti coloro che hanno reso la pubblicazione di questa storia una piacevole distrazione da una matassa piuttosto intricata di impegni, comprese le persone che non hanno commentato ma mi hanno accordato una tacita fiducia inserendo "Le righe tra le piastrelle" tra le fanfictions seguite (davvero tante! Grazie!).
Vi lascio alla lettura di questo secondo capitolo, decisamente diverso dal primo ;)
Un bacione!







Capitolo secondo





 

Nel corso dei propri studi sulla difficoltosa arte del viaggio nel tempo, Draco ha assimilato due fondamentali nozioni: mai cambiare il corso degli eventi e mai farsi vedere. Si è documentato accuratamente a riguardo. Quando vivere alla giornata significa sforzarsi di tenere gli occhi aperti nel guardare altre persone morire, attraversare un tunnel spazio-temporale può diventare un’alternativa piuttosto allettante.
Qualsiasi cosa accada, non può permettersi di influire sulle circostanze che di lì a poco trasfigureranno l’infermeria da campo nella sua ombra crepata e distrutta. Soprattutto, deve evitare a ogni costo che qualcuno lo veda. Questo non tanto perché se un qualsivoglia paziente venisse a conoscenza della presenza contemporanea di due distinti Draco Malfoy il paradosso temporale potrebbe inceppare il meccanismo che l’ha condotto nel passato e Spaccarlo tra una dimensione e l’altra, come invece accadrebbe se fosse lui stesso a scorgere il se stesso del futuro, quanto perché non pensa che vi sia una sola tra le persone che occupano quei letti a non conoscere il suo viso, la linea di pensiero della sua famiglia, ma specialmente la sua uniforme.
E se anche riuscisse a liberarsi della corazza di Mangiamorte, se anche riuscisse a tenere coperto il Marchio e il suo viso non fosse poi davvero così noto, la Mezzosangue potrebbe testimoniare di averlo visto partecipare a diverse battaglie. Sempre che difendersi tramite Incantesimi con una Traccia magica il più possibile blanda possa essere definito “partecipare”.
Non perde tempo a chiedersi che cosa ci faccia la Granger relegata in un’infermeria da campo, lontano dalle proprie sempiterne controparti maschili. Occhieggiando il lumino appeso sopra al proprio capo, Draco si chiede quanto a lungo ancora rimarrà acceso e quale sia stato il meccanismo ad azionarlo. Di sicuro non un allarme: neppure quello di un gruppetto di campeggiatori improvvisati sarebbe così scarso. Non lo meraviglia che nessuno ne sia disturbato: emana un chiarore così flebile da sembrare uno sciame di minuscoli puntini bianchi sospesi a mezz’aria; non sarebbe in grado di svegliare neppure un reduce di guerra che dorme con un occhio solo - come con ogni probabilità ve n’è molti in quella stanza.
Draco non è sicuro di aver recuperato del tutto il controllo delle proprie gambe – una parte di sé gli sibila malignamente all’orecchio di come oramai si sia abituato a rimanere in ginocchio, dopo anni trascorsi a baciare i bordi di una veste sfrangiata – ma deve assolutamente recuperare la Giratempo da dove gli è caduta, prima che quella piccola fonte di luce si estingua. Riprende a gattonare lungo il corridoio, sentendosi stupido, ridicolo, e imprecando sottovoce per il rumore che le placche di cuoio sulle sue ginocchia producono a contatto con il pavimento.
Trova la Giratempo impigliata a un nugolo di polvere abbastanza soffice da possedere plausibilmente vita propria, sotto uno degli ultimi letti in fondo alla stanza. Rimuove la sporcizia con un soffio, lucidando la clessidra con la punta dei polpastrelli ancora scottati. Nel maneggiarla, scopre che meccanismo che muove il circolo di anelli del ciondolo, compreso quello contenente l’ampolla di sabbia, è bloccato; il che spiega come sia stato possibile viaggiare nel tempo semplicemente infilandosi la catenella al collo. La qual cosa sta anche a significare che la prossima volta che Draco indosserà la Giratempo non è detto che questa lo ricondurrà al suo presente.

Due giorni.
Draco non sa se sentirsi minacciato o miracolato da quella concessione.
Nulla di ciò che costituiva i suoi piani per il futuro può essere realizzato in due giorni: non una brillante carriera, non una vita di agi, non uno stupido matrimonio. E se anche il matrimonio non è esattamente in cima alla lista dei suoi progetti, sua madre conserva da anni un orribile anello di fidanzamento che lui nel tempo ha imparato a apprezzare e che al momento desidera con tutto se stesso. Vuole quell’anello, e vuole riabbracciare sua madre prima di essere inghiottito da una vampata di fuoco appiccata dall’incantesimo tramite il quale Carrow farà collassare la barriera quando lo troverà, nel presente.
Vuole dirle…
cose. Cose stupide, confessioni d’affetto mielose, del genere che suo padre gli consente di dire solo a lei e solo nell’intimità di casa loro. Vuole chiedere scusa a suo padre per la propria diserzione, nella speranza che non gli importi perché lui è suo figlio, Draco Malfoy, e se vuole fuggire da un campo di battaglia per salvarsi la vita è solo per tornarvi dopo aver recuperato le forze e la tempra di spirito. Anche se non è vero.
Vuole maledire Potter, perché gli va, e perché la presenza della Granger a pochi metri di distanza da lui lo disorienta.

Due giorni.
Non può andarsene dall’infermeria: in qualsiasi altro luogo rischia di essere riconosciuto da drappelli di Mangiamorte in avanscoperta, che impiegherebbero meno di un minuto ad appurare la dubbia presenza di ben due Draco Malfoy nell’arco di poco più di un miglio e a torturare e uccidere uno dei due o entrambi, a seconda dei loro sospetti.
Draco si porta i dorsi delle mani sugli occhi, sussultando per il dolore quando per sbaglio urta la radice del proprio naso tumefatto.

Due giorni.
Vuole soltanto vivere.





“Voglio una dannata Pozione Rimpolpasangue, per Merlino!”
Draco si riscuote all’improvviso, una tempia appoggiata contro la superficie fredda e metallica dell’armadio. Vi si è nascosto poco prima di crollare addormentato sotto il peso della giornata: uno schedario d’acciaio alto più o meno quanto lui, vuoto a eccezione di quattro cassetti disposti nella parte più alta del mobile, apparentemente semi-inutilizzato.
“È finita ieri, signor Jenkins, lo sa.”
“Tranquillo Jenkins, abbiamo inviato una squadra corazzata di Auror a recuperarne una cassa dall’altra parte del campo di battaglia
solo per lei.
Lo sportello destro è ammaccato, e il metallo è roso in una fessura delle stesse dimensioni di un dito in corrispondenza dei cardini come se vi si fosse abbattuta una Fattura Fendente, ma, almeno a giudicare dalla polvere e dalla sporcizia che Draco ha rimosso prima di entrarvi, sembra sicuro.
“Davvero?”
“Oh sì,
certo. Ma non arriveranno prima di domani, facciamo verso mezzogiorno, quindi che ne dice di fare il bravo e lasciare fare alla signorina Granger il suo dovere?”
“L’ha detto anche ieri. Sempre a mezzogiorno.”
“Si sbaglia signor Jankins, ieri ho detto alle due.”
Draco origlia il dialogo nello stordimento del sonno, distendendosi le palpebre con le dita. Udire voci che non siano il proprio flusso mentale di coscienza gli pare un’esperienza tanto surreale che per poco non apre lo sportello per assicurarsi che effettivamente ci sia qualcuno nella stanza e che non si tratti solo della sua immaginazione.
“Lei è un bugiardo.”
“Sì, ma sono un bugiardo con una siringa in mano. Ora mi porga il braccio e stringa forte il pugno, signor Jenkins.”
Sbattute le palpebre un altro paio di volte, Draco comincia finalmente a mettere a fuoco la minuscola sezione di infermeria che riesce a intravedere attraverso il foro nello sportello. Un uomo e una donna sono in piedi accanto al letto più vicino a dove si trova lui, e del cui ospite, il signor Jenkins, sono visibili solo le gambe coperte da un panno ripiegato e la porzione di braccio che l’uomo –
ragazzo, si costringe a ritrattare Draco dopo averne osservato il profilo - tiene stretto all’altezza del gomito.
La donna è la Granger. Pur non vedendola in viso, Draco ne riconosce il concio gonfio e disordinato di ricci.
“Hermione, sei sicura di sentirti bene?” le chiede il tizio armato di “siringa” – un aggeggio tubulare sormontato da un ago minaccioso - con tono improvvisamente teso. “Non puoi andare avanti così. Sono disponibile a darti il cambio, te l’ho detto.”
La Mezzosangue si lascia cadere seduta su una sedia accanto al letto, inclinando la testa verso l’alto e sgranchendosi il collo. Il suo volto è grigio quanto una pagina di un’enciclopedia: è pallida da fare schifo.
“Jack,” sospira. Gli rivolge un mezzo sorrisetto saccente, occhieggiando in direzione del signor Jenkins con un certo compiacimento. “Sei carino, ma sono l’unica qui di cui conosciamo il gruppo sanguigno. Questo perché il Sistema Sanitario Magico…”
“… fa più acqua di un colabrodo, lo so.” Il tizio pare piuttosto sconsolato.
Un uomo di mezza età avvolto in un camice verde li supera con un paio di falcate, raggiungendo la cassettiera su rotelle a fianco della sedia su cui siede la Granger.
“E chi lo immaginava che un giorno avremmo dovuto curare i nostri pazienti alla Babbana,” interviene con un sospiro amareggiato. Parla velocemente, con un tono di voce secco e scuro. “Dove diavolo sono le garze sottili?” prorompe dopo aver aperto uno scomparto vuoto.
“Quello sotto,” suggerisce il giovane.
L’uomo lo ringrazia con un cenno del capo. “Hermione, fammi un piacere, se ce la fai vai dalla signora Fisher. Se l’è dimenticata di nuovo e sta dando di matto.”
“Ce la faccio.”
Sotto lo sguardo inquieto di Jack, la Granger si alza in piedi lentamente e si dirige verso la parte opposta della stanza. Ha una manica arrotolata sopra il gomito e si sta premendo una pezzuola contro l’incavo del gomito.
Draco osserva attraverso la stretta fessura dello sportello la sua gonna, spessa e lunga fino ai polpacci, ondeggiare di fronte all’armadio. Pare uscita da un guardaroba del precedente dopoguerra: il tessuto è grezzo, sfibrato, la fantasia ricorda vagamente la federa di un vecchio cuscino da salotto borghese.
“Cara, scusa!” esclama una voce femminile roca e incartapecorita. Il letto della Fisher è troppo spostato a sinistra perché Draco possa vederne qualcosa della metà. “Devo proprio chiederti scusa, vero? Non mi funzionano le gambe, ma la lingua anche troppo bene!”
La Granger si appoggia alla ringhiera ai piedi del materasso con entrambe le mani. Incrocia le cosce, pestandosi un piede con l’altro.
“Mi dica, Ivette!” esclama, come se conoscesse la vecchia da una vita. “Che cosa ci siamo dimenticate oggi?”
Ivette non perde tempo. “Mio figlio, dov’è?” pigola, allarmata. “Lo avete avvisato? Doveva arrivare stamattina a casa mia con una Passaporta, ma io non sono a casa! Lo deve sapere che sono qui, che mi sono fatta male…”
“Ivette…” la interrompe la Granger. Pronuncia quel nome con la cadenza affranta e affaticata di chi deve annunciare una notizia funesta a qualcuno che è certo non sarà in grado di comprenderla. A Draco ricorda il tono di voce sottile e vellutato di sua madre quando ha discusso con sua zia Bellatrix dei possibili vantaggi di mantenere vuote le segrete. Non ha mai compreso la sua abilità di riuscire a tendere i fili delle parole giuste senza far crollare l’intero teatrino, né la totale assenza di paura con la quale è capace di fissare sua zia negli occhi. È sicuro di non avere ereditato nessuna delle due.

Bellatrix, tesoro...
“Signora Fisher, ricorda come si è ferita alle gambe?”
… siediti, raccontami.
“Mi sono bruciata,” le risponde Ivette, disorientata.
“Si trovava all’angolo di Blueberry Street quando è all’improvviso è scoppiato un incendio e una vampata le ha avvolto le gambe. Se lo ricorda, vero?”

Lo so, è tedioso. Ma prova a seguire il mio ragionamento.
“S-sì, sì.”
La Granger aggira il letto e si siede sul materasso, accanto ai piedi della donna. “Si ricorda perché è scoppiato l’incendio?”
“Ma… mio figlio l’avete avvisato?” È una preghiera.
“Tutte le Passaporte sono state disattivate, Ivette,” risponde lei, raccogliendosi le mani in grembo. Due grossi ricci sfuggono alla crocchia e le crollano sulla schiena come funi lungo una china. “È troppo pericoloso usare la magia di questi tempi.”
Le gambe della signora Fisher sussultano sotto le lenzuola. Il signor Jenkins strepita per il dolore e la voce scherzosa del ragazzo lo sfida a comportarsi da uomo. Da qualche parte dell’infermeria qualcuno intima a un certo Professor Callagher di rimanere fermo, o i punti si riapriranno.
“Ma la magia… come si fa senza la magia?”
La Granger si china in avanti con le mani tese di fronte a sé. Il suo capo scompare dalla visuale di Draco.
“L’aria è satura di Tracce di incantesimi, Ivette. A ogni fattura si carica sempre di più, fino a quando l’energia non forma una nube e non si libera in scariche elettriche.”

I lampi.
“Quando le Tracce sono particolarmente concentrate possono dar vita a piccole scintille davvero molto pericolose, come quella che le ha ferito le gambe.”
Gli incendi.
“Abbiamo fatto troppo affidamento sulla magia. Abbiamo combattuto troppo e pensato troppo poco. Le leggi naturali si piegano solo fino a un certo punto. Abbiamo eretto delle barriere, come quella attorno a noi adesso, ma non possiamo più usare altri incantesimi. È troppo pericoloso.”
“Loro li usano ancora, vero cara?” strascica Ivette, con lo stesso tono con il quale si potrebbe domandare retoricamente a un gattino se ha fame. “I seguaci di Tu-sai-chi?”
L’uomo in camice verde dal cipiglio autoritario si volta nella loro direzione. “Loro sono dei bastardi con meno sale in zucca di quanto ce ne fosse nella minestra di ieri sera, signora Fisher.”
La Granger torna a sedersi diritta. Non commenta, affossando le spalle in silenzio. “Suo figlio è più al sicuro a casa sua, ora,” conclude infine, con fare falsamente rassicurante. In Draco sorge il dubbio che il figlio della vecchia in realtà sia morto, magari proprio schiacciato all’interno di un canale di Smaterializzazione come un gufo in un comignolo. “Non credo che sia riuscito a prendere una Passaporta.”
Ivette si liscia le coperte sulle cosce. Ha mani grosse e dita contorte come sacchetti di carta stropicciata arrotolati su se stessi. “Va bene, cara, grazie,” risponde grata. “Ma voi lo avviserete, vero?”
La Granger sospira talmente forte che perfino Draco riesce a sentirla.
“Certo signora Fisher, lo avviseremo.”

Non ti preoccupare, Bellatrix. Le segrete rimarranno piene.





All’interno dell’infermeria sono ospitate sedici persone, includendo gli inservienti. Draco le ha contate quando ha iniziato ad avvertire la smania di cambiare posizione alle gambe, senza poi averne il coraggio per il timore di fare rumore e attirare l’attenzione di qualcuno.
Un paio di volte il ragazzo, Jack, si è avvicinato abbastanza all’armadio da fargli trattenere il fiato, con una mano schiacciata sulla bocca e una spalla premuta sul foro dello sportello per celare la sua presenza con il nero cupo della sua divisa, ma ciascuna delle due volte si è limitato ad aprire uno dei cassettoni sopra il suo capo, forse alla ricerca di qualche fascicolo.
Draco si è maledetto per non aver spostato le gambe quando ne aveva la possibilità, mentre lo schedario scivolava sferragliando sui cardini, ma il sollievo è stato tanto che perfino l’intorpidimento ai polpacci è passato in secondo piano rispetto alla rinnovata sensazione di essere al sicuro.
Gli inservienti sono quattro: la Granger, Jack, il tizio in camice verde e la copia sputata di Goyle in versione femminile, altrimenti detta Joe. Draco ha il presentimento che il suo vero nome sia Joanne e che il soprannome non ne sia che l’abbreviazione, “Jo”, ma trova che “Joe” le si addica meglio.
Tra i vari pazienti, nessuno dei quali in reale punto di morte, ci sono Ivette l’ustionata, Jenkins l’accoltellato, Callagher il Sectumsemprato-di-striscio, Charlton l’Ardemoniato Bugiardo – il camice verde è convinto che in realtà si sia semplicemente imbattuto in un comune incendio e stia facendo scena - , Kingariss l’Elettroizzato, Theresa la Disossata… Draco cessa di dare loro nomignoli quando Theresa comincia a supplicare in lacrime la Granger di farle ricrescere magicamente i denti. Lo assale un moto di nausea talmente forte che per poco non si accascia di colpo contro la parete dell’armadio, facendolo traballare.
La Granger invece le accarezza una guancia. Theresa le afferra la mano e se la preme contro le labbra, senza smettere di piangere. Rimangono in quella posizione qualche istante soltanto, prima che il vecchio che Draco ricorda di aver visto dormire del tutto scoperto e rannicchiato su se stesso inizi a blaterare una litania tetra sulla fine del mondo e la Granger si diriga a lunghe falcate anche da lui, per poi essere scacciata in malo modo con un gesto stizzito di una mano.
La mattinata scorre più velocemente di quanto Draco non avrebbe pensato. A ora di pranzo Joe estrae da una credenza in legno un grosso pentolone e un aggeggio dal supporto quadrato sormontato da una corona tonda e dentellata, connesso alla parete tramite una specie di cordone di plastica. È la Mezzosangue a utilizzarlo, illuminando dal nulla la corona di fiammelle, quindi Draco suppone che si tratti di un marchingegno Babbano.
Mentre il profumo non troppo intenso di una minestra annacquata si spande nello stanzone, Ivette istruisce da lontano la Granger su quanto salare la zuppa e renderla più gustosa anche senza aromatizzarla, forse nella speranza che il sale in zucca dei Mangiamorte aumenti in conseguenza a un pranzo leggermente più saporito.
Theresa ricomincia a piangere, stavolta per la scomparsa della sorella. Draco si schiaccia le mani sulle orecchie e appoggia la fronte sulle ginocchia, sperando di riuscire ad addormentarsi di nuovo. Se non altro per sfuggire al tormento di vedere una ventina di persone sorseggiare minestra mentre i crampi della fame gli attanagliano lo stomaco.





Quel pomeriggio scopre il motivo per il quale Jenkins reclamava con tanto ardore una Pozione Rimpolpasangue.
Dopo che all’incirca la metà dei pazienti si sono addormentati, storditi dalla sazietà, Camice Verde dice alla Granger che
la bambina ha bisogno di una “trasfusione”.
“Ha perso troppo sangue, abbiamo rimandato più che potevamo,” le bisbiglia vicino al letto di Jenkins e dunque in prossimità dell’armadio di Draco. “Ma se lo facciamo, se te la senti, sai cosa significa.”
“Me la sento,” risponde lei, con la stessa urgenza di un insetto intrappolato. “Ma il mio sangue interagirà con la malattia.” La crocchia della Mezzosangue ormai è più simile a un nido di vespe che a un’acconciatura, anche se il suo viso ricorda la consistenza molle e biancastra di una ragnatela.
Camice Verde annuisce. “Tre ore di sonno e tre ore di veglia,” commenta funereo. “È l’unico modo attraverso il quale possiamo essere sicuri che il tuo sangue non la infetti. Non un minuto di più.”
“Nessuna idea ancora di che cosa potrebbe trattarsi?”
“Onestamente? Nessuna. Le malattie magiche sono difficili da diagnosticare senza magia, signorina Granger.”
“Ho consultato la libreria, ma non dice nulla a riguardo. I sintomi non combaciano: le macchie sulla pelle, la febbre alta, il cuoio capelluto dolorante, la ferita che non si rimargina… non sono così rari separatamente, ma insieme…”
“È un cazzo di quiz a risposta multipla.” Camice Verde estrae da uno degli scomparti della cassettiera un laccio emostatico, lo stesso che nel presente tiene l’orologio appeso al lampadario.
È uno dei pochi aggeggi Babbani che Draco conosce per esperienza diretta. Una volta ha fatto irruzione con un gruppo di Mangiamorte nello studiolo di Dodger, il Droghiere: lo hanno trovato con uno di quei cosi annodato attorno al braccio e una zanna di Basilisco in mano. Non appena li ha visti sfondare la porta si è conficcato la zanna in una vena.
È morto pochi istanti dopo, senza concedere loro il tempo di torturarlo.
“E per ora le risposte mi sembrano tutte false,” commenta la Granger con un sospiro. Affonda il mento nel collo ridicolamente alto del suo maglione. Camice verde le arrotola una manica, poi le stringe l’avambraccio nella morsa del tubicino. Draco scorge un livido nell’incavo del suo gomito.
“Stasera cucinati la bistecca di manzo più grossa che riesci a trovare,” mugugna l’uomo. Con un piede aggancia uno dei sostegni di un tavolino a rotelle di cui Draco riesce a intravedere solo l’angolo e lo trae a sé. Sul pannello di plastica è appoggiato uno degli apparati di un distillatore di pozioni: un’ampolla di vetro rovesciata connessa a un minuscolo condotto reticolato.
“Credo che siano finite,” ridacchia la Granger, complice.
Camice Verde si estrae dalla tasca la siringa di Jack. Ne scoperchia l’ago. “Sono sicuro che Joe sarà felice di immolare un po’ di interno coscia per la causa. Vero, Joe?” urla in direzione del donnone.
Joe ride sguaiatamente e si colpisce un fianco con una forte pacca, come ad esaltarne la possenza. “Mi stai forse dando della vacca, Wessex?”
La Granger ride di rimando per la battuta. Wessex sfrutta il momento di ilarità per infilarle l’ago nel braccio. Draco sussulta.
Il sangue comincia a fluire lentamente nel cilindro della siringa, tingendone le pareti di un rosso cupo e denso.
“E che vadano a ‘fanculo quegli stronzi dei Mangiamorte,” impreca l’uomo. Quando il liquido carminio ha ormai riempito l’intero cilindro, estrae quella specie di lungo aculeo dalla pelle della Granger. “Il tuo
sangue sporco salva vite.”
Lei sorride appena. Draco rabbrividisce, allontanando appena il viso dalla fessura.
Wessex svuota la siringa nell’ampolla. “E uno,” commenta acre.
La Granger chiude gli occhi e si srotola la manica dell’altro braccio. “Pronti per il due,” esclama, allontanandosi un grosso ciuffo spettinato dalla fronte con il dorso di una mano.
Camice Verde annuisce e le raccoglie il gomito nel palmo come in una carezza. “Pronti per il due.”






La bambina si chiama Amy.
Draco riesce solo a intravederla oltre le spalle del signor Jenkins, addormentato su un fianco, ma la sua voce è abbastanza acuta da rendere superfluo qualsiasi contatto visivo.
“Che cos’è?” la sente strillare mentre si rizza a sedere sul materasso. Dalle spalle di Jenkins emerge solo la sua testolina di capelli biondi e scompigliati. Ha gli occhi grandi come cucchiai, o forse lo sembrano solo a Draco per il modo pazzesco in cui li sta sgranando in quel momento.
“Una medicina, Amy,” le risponde Wessex, con il tono più calmo che Draco gli abbia sentito sfoderare quel giorno. Ha trascinato con sé il tavolino del distillatore, e il sangue ondeggia ancora nell’ampolla. “L’ha fatta Hermione, non vorrai fare i capricci davanti a lei.”
Amy, un cactus di capelli ritti come sterpaglie, scuote la testa ed emette un lungo gemito stridulo. “No, no, no, no! Non la voglio, non la voglio!”
La Granger le si siede accanto. Draco ha idea che lo faccia perché non riesce a reggersi in piedi.
“Se fai la brava mentre il Dottore ti dà la medicina ti leggo una favola intera,” la incoraggia, forse stringendole una mano - Draco non riesce a vedere bene.

Il sangue di una Mezzosangue. Una cura. Paradossale. Si aspettano forse che la bambina lo beva?
Amy si porta entrambe le manine sulla nuca per la stizza, nel tentativo di grattarsi. Wessex le blocca i polsi. “Ehi. No, non si fa,” la rimprovera, severo ma non troppo.

Cuoio capelluto dolorante, ricorda Draco.
Il cactus guarda Camice Verde come se fosse un Troll di Montagna, poi riabbassa gli occhi sulla Granger.
“La Fonte della Buona Sorte?” pigola con il cipiglio di un Mercante che patteggia il prezzo della sua merce più preziosa. Ha la voce macchiata di pianto.
“Che Fonte della Buona Sorte sia,” accetta lei con un sorriso.
“Due volte!” strepita Amy non appena scorge l’ago innestato sul tubicino collegato all’ampolla.
“Due volte.”
“Tre!”
“Ah, quant’è bella quella favola!” esclama d’un tratto Ivette dall’altra parte della stanza.
“Tre,” concede infine la Granger.
Nonostante non si intraveda che la testolina di Amy oltre le spalle di Wessex, chino su un suo braccio, Draco non può fare a meno di strizzare le palpebre nel vedere Camice Verde calare l’ago verso il basso.
Nonostante tutto, Amy fa molte meno storie del signor Jenkins.






In un giardino incantato chiuso da alte mura e protetto da potenti magie, in cima a un colle scorreva la Fonte della Buona Sorte. Una volta all'anno, tra l'alba e il tramonto del giorno più lungo…”
Draco conosce quella favola, eppure non l’ha mai letta. Sa che appartiene alla raccolta di Fiabe di Beda il Bardo, ma quelle pagine sono sempre state Oscurate nel libro contenuto nella biblioteca del Maniero. Quando Draco ne ha chiesto la motivazione a suo padre, si è sentito rispondere che non era un racconto degno di essere letto, e che qualsiasi mente dotata di un minimo di senno avrebbe dovuto non solo ignorarlo, ma eliminarne ogni traccia.
“Qual è il giorno più lungo?”
“Il solstizio d’estate.”
“Cos’è un soltizio?”
“Solstizio. È il momento in cui il sole raggiunge il punto di de… è quando c’è più sole in assoluto o meno sole in assoluto, Amy.”
“Deriva da ‘Tizio solo’?”
“No, è una parola usata da chi studia le stelle. Deriva dal latino.”
“Come le magie!”
“Esatto, ‘Solstitium’. Significa ‘sole fermo’.”
“Ma il sole non è mai fermo.”
“Amy, lascia continuare Hermione!” La voce di Jack giunge da molto vicino al nascondiglio di Draco.
Amy si zittisce e la Granger, intenerita, prosegue la lettura.

“… un solo infelice aveva il privilegio di intraprendere il viaggio alla Fonte, bagnarvisi e ricevere Buona Sorte per il resto della vita. In quel giorno, centinaia di persone giungevano da ogni parte del regno per essere davanti alle mura del giardino prima dell'alba. Maschi e femmine, ricchi e poveri, giovani e vecchi, con poteri magici e senza, si ammassavano nella notte, ognuno con la speranza di essere l'eletto a entrare nel giardino.”
Da quel che sa, la diatriba tra suo padre e quell’allocco di Silente è cominciata proprio a causa di quella favola. Il vecchio aveva intenzione di metterne in scena la rappresentazione teatrale a Hogwarts. Una scuola di Magia di alto livello che mette in scena una fiaba.
Una in cui una massa di falliti mezzi Babbani partono alla ricerca della
fortuna, oltretutto. Che idiozia.
“Perché anche i ricchi?”
“Non sempre i ricchi sono felici, Amy.”
“Perché non hanno l’amore?”
La Granger sorride come se la piccola le avesse appena porto in dono un mazzo di fiori. Draco trattiene a stento uno sbuffo.
“Esatto.”
“Vai avanti.”

“Tre streghe, ognuna col proprio fardello di pene, s'incontrarono ai margini della folla e aspettando l'alba si raccontarono a vicenda le proprie disgrazie.
La prima, di nome Asha, era malata di un morbo che nessun Guaritore sapeva curare. Sperava che la Fonte la risanasse e le garantisse una vita lunga e felice.”
“Ma poi Asha guarisce.”
“Sì, certo che sì.”
“Menomale.”
La seconda, di nome Altheda, era stata derubata da un mago malvagio della casa, dell'oro e della bacchetta. Sperava che la Fonte la liberasse dall'impotenza e dalla povertà.”
“Anche a un mio amico hanno rubato la casa.”
“È una cosa triste, rimanere senza casa.”
“Io ce l’ho, c’è anche la mia mamma a casa.”
“Lo so, ti aspetta. Le manchi tanto.”
Amy annuisce, pensierosa. “Vai avanti, vai avanti.”
La terza, di nome Amata, era stata abbandonata da un uomo che amava caramente e pensava che il suo cuore non ne sarebbe mai guarito. Sperava che la Fonte la sollevasse dal dolore e dalla nostalgia.”
Amy percorre con lo sguardo il lungo tubicino insanguinato che corre dal suo braccio all’ampolla. “Anche a me manca la mia mamma,” mugugna, prima di cominciare a piangere.
Mentre la abbraccia, la Granger pare più stanca che mai.






Man mano che passano le ore, gli occhi di Draco si fanno sempre più affaticati e il desiderio di sgranchirsi le gambe e la schiena sempre più impellente.
Trascorre la maggior parte del pomeriggio accasciato contro l’anta del casellario, un pugno stretto attorno alla Giratempo come se da un momento all’altro potesse trasformarsi in una Passaporta. Dopo averla narrata la prima volta, la Granger comincia a recitare “La Fonte della Buona Sorte” in piedi, correndo da una parte all’altra dell’infermeria e soccorrendo un paziente dopo l’altro, cosa che a Draco pare del tutto priva di senso ma che allieta parecchio la piccola Amy.
In Draco monta pian piano la convinzione che le due condividano lo stesso sangue sporco: dai commenti della bambina traspaiono dettagli l’uno più Babbanofilo dell’altro. Forse è per quel motivo che la “trasfusione” ha effetto.
Quando Jack supplica la Granger di piantarla di giocare alla cantastorie – il suo corpo a malapena riesce a sostenere lo sforzo fisico, senza il bisogno di aggiungervi quello mentale di essere costretta a pensare contemporaneamente a decine di cose diverse - lei gli risponde che quella favola è la sola in grado di mantenere la bambina sveglia per tre ore di seguito.
“Tre ore di veglia, tre ore di sonno. Se si addormentasse prima delle tre ore morirebbe, Jack,” bisbiglia al suo orecchio giusto di fianco allo schedario. “Non sappiamo da quale malattia sia affetta, ma quel che è certo è che accelera durante il sonno. Ha perso troppo sangue e aveva bisogno di una trasfusione, ma ora il mio sangue ha dato nuovo impulso al morbo. Tre ore è il massimo di sonno che le possiamo concedere. Ogni tre ore deve svegliarsi di nuovo, e rimanere sveglia.
Deve, Jack, o morirà.”
“Non puoi andare avanti così all’infinito, lo sai vero?”
“Non all’infinito, solo fino a quando non arriveranno i soccorsi.”
“Non arriveranno. Perché credi che stiano aprendo un canale di Smaterializzazione protetto da qui a Londra? Per farci fuggire. L’atmosfera si sta surriscaldando: quest’area è una bomba a orologeria. Il più delle volte non riesco nemmeno più a vedere le righe tra le piastrelle: stanno perdendo consistenza. Gli incantesimi si stanno indebolendo, la barriera non reggerà a lungo, e dovremo fuggire. Non arriverà nessun soccorso.”
“Allora porteremo Amy e gli altri all’ospedale di Londra.”
“Amy non reggerà il viaggio, lo sai.”
Draco è decisamente stufo di sentire persone piangere.






Dal giardino uscirono dei rampicanti, serpeggiarono tra la gente e si attorcigliarono alla prima strega, Asha, che afferrò il polso della seconda strega, Altheda, che si strinse alla veste della terza, Amata. E Amata s'impigliò nell'armatura di un cavaliere dall'aspetto lugubre, in groppa a un cavallo magro fino all'osso.”
“I cavalieri hanno l’armatura.”
“Sì, anche quelli sfortunati. Non ti grattare, Amy.”
“Vai al pezzo di Messer Senzafortuna.”
“Va bene. Eccolo qua.”

“Ora, Messer Senzafortuna, come il cavaliere era conosciuto nelle terre fuori dalle mura, si avvide che quelle erano streghe e, poiché egli non possedeva alcun potere magico, né particolare abilità a giostrare o a tirar di scherma, né alcunché che lo distinguesse, era certo di non aver speranza di battere le tre donne nella corsa alla Fontana. Dichiarò pertanto la propria intenzione di tornare fuori dalle mura.”
“’Non possedeva poteri magici’ vuol dire che è un Babbano, vero?”
“Sì. Un Babbano un po’ pauroso.”
“È normale avere paura.”
“Certo che è normale.”





“Lo vedi, Amy, quel barattolo là in fondo, sulla bacheca?”
“Mh-mh.”
“È incantato per accendersi quando qualcuno nella stanza si sveglia e si muove. È una magia piccolissima, non è pericolosa.”
“Mh-mh.”
“Quando vedi quella luce vuol dire che devi sforzarti tantissimo per rimanere sveglia. Tre ore. Quando lo vedi devi rimanere sveglia tre ore. Io rimango con te tutto il tempo.”
“Adesso posso dormire?”
“Sì, certo. Adesso sì.”
“Me lo togli questo?”
“No tesoro, l’ago rimane dentro.”
“Mi fanno schifo le tue medicine.”
“Non sono troppo piacevoli, hai ragione.”
“Scusa.”
“Non c’è niente di cui scusarsi, Amy. Dormi.”





Al calar della notte, a Draco non par vero di poter strisciare fuori dall’armadio. Non appena si alza in piedi sulle ginocchia tremanti, le braccia tese verso l’alto in un concerto di scricchiolii, la fiammella nel barattolo si illumina. Ecco spiegato il meccanismo di quel marchingegno.
Ha tre ore prima che la Granger si svegli e corra a svegliare anche la bambina, per poi intrattenerla altre tre ore intere. L’ha sentita discutere con Joe di turni e cambi, in virtù dei quali il giorno seguente dormirà qualche ora mentre il donnone cerca di tenere cosciente il Minicactus con una maratona di storielle divertenti sui Folletti di Brughiera e, in extremis, con la favola che nel corso della serata ha tediato la totalità dei pazienti dell’infermeria a eccezione di Ivette, che dopo averla sentita ne smarriva subito il ricordo e non si stancava mai di ascoltarne la seconda, la terza e la quarta versione.
La Giratempo è un peso bruciante sul petto. Gli ricorda ciò che accadrà nel giro di qualche ora, il mondo al quale sarà costretto a tornare. Il modo in cui probabilmente dovrà morire.
Il ragazzo ha parlato di un canale protetto di Smaterializzazione: dev’essere lo stratagemma attraverso il quale l’intera popolazione dell’infermeria sparirà senza lasciare traccia di sé. Potrebbe attenderne l’attivazione, infilarvisi senza farsi vedere. La via di fuga perfetta, a qualche ora di distanza.

Mai cambiare il corso degli eventi.
Finalmente libero di muoversi a proprio piacimento, Draco avanza qualche passo lungo il corridoio tra i letti.
La Mezzosangue è pallida e stanca perfino nel sonno.

Non puoi andare avanti così all’infinito, lo sai vero?
Il lenzuolo con il quale Draco si è lavato il viso e il busto, impregnandolo di acqua bollente, è proprio il suo. La cosa lo lascia stranito, vagamente infastidito, e instilla in lui un tedioso senso di debito, come se lei potesse vantare nei suoi confronti il credito di un lenzuolo.
Ne osserva il viso, affondato nel collo alto di quel ridicolo maglione di lana troppo largo e dalla grottesca fantasia natalizia. Quel giorno la Granger ha appeso sopra al letto di Amy una corona di agrifoglio medicinale – manca poco al Natale, così ha detto - salvo poi strapparne un paio di ciuffi per distillare una Pozione Febbrifuga e somministrargliela.
Draco non l’ha trovato troppo coerente con lo spirito Natalizio, ma Amy l’ha bevuta molto più volentieri, e la Granger ha sorriso come quando Theresa l'ha rassicurata che la minestra era deliziosa, anche se da qualche ora nell’aria si era spanta una fastidiosa puzza di bruciato.
Non la capisce. Draco davvero non la capisce.
Continua a ripetere che diversi pazienti hanno perso molto sangue e sono bisognosi di cure, ma è lei quella ad aver perso più sangue di tutti. Lo ha donato volontariamente, come fosse null’altro che il contenuto di un fondo fiduciario alla Gringott, come se non si trattasse che di un semplice e innocuo prelievo bancario.
Si è privata di una parte di sé per poi inserirla all’interno del corpo di un’altra persona.
Draco l’ha osservata barcollare tra un letto e l’altro con il viso di un cadavere e la stessa disinvoltura di movimento di un ferito di guerra, darsi pizzicotti sulle braccia nel tentativo di rimanere reattiva.
Non ha senso. Si sarebbe mai strappata un occhio per offrirlo a un cieco? Non vede perché per il sangue dovrebbe essere diverso.
Ci sono limiti oltre i quali l’altruismo diventa stupidità. Qualsiasi cosa accada di lì a qualche ora, qualsiasi disastro coglierà l’infermeria, la Granger non sarà pronta. Sarà al capezzale di Amy, intenta a narrarle una favola falsa e ipocrita sulla purezza di spirito e le facili speranze. Starà ascoltando i blateramenti biascicati in un orribile dialetto Scozzese del Pazzo Ardemoniato, cercando di distrarlo mentre gli cosparge il busto ustionato d’unguento nell’unico modo che conosce: dandogli l’occasione di sfogare su di lei tutto il suo insopportabile e melodrammatico autocompatimento.
Sarà troppo occupata a cercare di reggersi in piedi.
Draco muove appena qualche passo, avanti e indietro lungo il corridoio dell’infermeria, prima di tornare a rifugiarsi nell’angusta sicurezza dell’armadio.
Il pensiero del gocciolio del sangue della Granger all’interno del tubicino connesso al braccio di Amy tormenta i suoi ultimi minuti di veglia.





«Cuore pavido!» lo rimbeccò. «Sfodera la tua spada, Cavaliere, e aiutaci a raggiungere la meta!»
E così le tre streghe e il misero cavaliere si inoltrarono per il giardino in-cantato, dove erbe rare, frutta e fiori crescevano in abbondanza ai lati di sentieri assolati.”

Draco trattiene uno sbadiglio contro la parete metallica e fredda dello schedario. Si è destato al grido smorzato di «Solo uno può bagnarsi nella Fonte!» con la disorientante sensazione di essere piombato dal sogno alla realtà, ma che tra i due non fosse il sogno quello più pazzesco.
La Granger non ha più bisogno del libro, ormai. Recita la fiaba a memoria, interpretando le diverse voci e i differenti scenari con varie e grottesche versioni di un bisbiglio roco, preoccupata di disturbare il sonno altrui, e dissimulando sospiri di stanchezza in vocali allungate o goffe esclamazioni.
Il Minicactus d’altro canto è decisamente meno accorto.
“Vai alla parte del mostro! Vai al mostro!”
“Ci stavo arrivando. Piano, Amy, sveglierai gli altri.”
“Vai al mostro,” ripete allora la piccola, sussurrando in modo abbastanza ridicolo da strappare alla Granger una risata sommessa.
“Ma non ti fa paura così, al buio?”
“Mi fanno più paura le righe tra le piastrelle.”
“Perché mai dovrebbero farti paura le righe tra le piastrelle, Amy?”
“Perché stanno sparendo. E quando spariscono loro spariamo anche noi.”
“Questo chi te l’ha detto?”
Amy non risponde. Si gratta la nuca – prima di essere fermata con un “No” secco e uno schiaffetto sul dorso della mano – poi mette su il broncio.
“Voglio il mostro,” ripete, risentita.
Draco sbuffa all’interno dell’armadio.
Vai alla dannata parte sul mostro, avanti.
La Granger esita qualche istante, prima di annuire mestamente. Con un sospiro, riprende la narrazione.
“Lì, però, trovarono una mostruosa Serpe bianca, gonfia e cieca, attorcigliata alla base del colle. Al loro arrivo, essa voltò l'orrenda faccia su di loro e pronunciò le seguenti parole: «Datemi la prova del vostro dolore.»”





Dopo che la testolina irta di capelli ritti di Amy è ricaduta sul cuscino e il suo respiro profondo si è unito al coro di musicalità proveniente dal resto dei pazienti, la Granger non crolla immediatamente a letto, come Draco avrebbe pensato.
Invece, raccoglie dall’angolo della stanza uno sgabello, una pezzuola e si dirige verso il lavandino. Gira lentamente una manopola fino a quando dal rubinetto non fuoriesce che un rivolo sottile, e si affretta a disporre il drappo di stoffa – uno dei due, si accorge Draco in quel momento – sul fondo del bacile, per attutire il rumore pungente dell’urto dell’acqua sul metallo. Poi, nell’attesa forse che il getto si faccia caldo, si sfila lo spesso maglione dal busto.
Rimane in canottiera intima, uno strato sottile di stoffa talmente lisa che le spalline le ricadono subito lungo le braccia non appena le riabbassa per adagiare il pullover sulla brandina poco più in là, come le vele stracciate di una nave in banchina.
Per un attimo la Granger è talmente assorta che non si accorge né di loro né del modo in cui il tessuto pare essersi inerpicato in direzione delle sue spalle, impigliandosi poco al di sotto delle scapole. Si china sul lavandino, inumidisce la pezzuola e infine se la porta al petto, strizzandola tra le dita. La sua schiena si tende all’istante, forse in un brivido di freddo.
Draco deglutisce nel buio dell’armadio, incapace di distogliere lo sguardo mentre la mano di Hermione segue la linea della propria clavicola e prosegue lungo il braccio sinistro, percorrendone l’intera lunghezza fino al polso.
Si muove in modo lento, non studiato. Inconsapevole di essere osservata, si dedica a se stessa per la prima volta nel corso di quella lunga giornata e lo fa con delicatezza ma efficienza.
Si sofferma sull’incavo del gomito, esamina i lividi sulla pelle: li tasta, ne valuta la gravità, vi fa scorrere la pezzuola quasi a cancellarne il ricordo. Sfrega ovunque tranne che lì: devono farle male.
Nella luce fioca e malata del lume contenuto nel barattolo pare bianca come braci spente.
Draco si trova scioccamente a chiedersi che cosa accadrebbe se scoprisse che proprio lui la sta spiando mentre si lava nel bel mezzo della notte, coperta solo da una canotta arricciatasi così in alto sul suo busto da lasciare intravedere il gancetto del reggiseno e bagnata là dove l’acqua ha ruscellato attraverso il suo petto e le sue braccia.
Con sconcerto, si rende conto di non riuscire a pensare neppure un insulto, in quel momento.
Perfino la parola “Mezzosangue” non fa che rievocare il tubicino rosso carminio appeso sopra il letto della bambina, connesso a un distillatore da pozioni come se Amy non ne fosse che un ingrediente.
Quando la Granger si toglie le scarpe e si sfila da una gamba un calzettone di lana lungo fin sopra al ginocchio, arrotolando la gonna e puntando un piede sullo sgabello, Draco trattiene il fiato.
Mentre la pezzuola comincia a percorrere la lunghezza dalla caviglia alla coscia distoglie lo sguardo, ma qualche secondo troppo tardi.






Il mattino seguente non si desta al grido di
«Solo uno può bagnarsi nella Fonte!». Si sveglia a causa delle urla di Amy.
Nell’udire la voce della bambina chiamare “mamma” come se l’avesse appena vista affogare nell’ampolla del distillatore, Draco sussulta e si schiaccia contro lo sportello con abbastanza veemenza da farlo ondeggiare.
Ma nessuno vi fa caso.
La testolina spettinata di Amy è sepolta sotto le figure di tutti e quattro gli inservienti dell’Infermeria, accalcati in circolo attorno al suo letto.
“Amy, Amy, ascoltami,” sta ripetendo la Granger, con tale urgenza che le parole paiono un unico filo dolorante di voce. “La febbre è salita,” tuona Camice Verde, mentre Joe corre dall’altra parte della stanza e apre con foga un mobiletto, frugando tra quelle che, a giudicare dal rumore, sembrano fiale.
“Un calmante, Joe. Un diavolo di calmante, ORA!” Wessex è cereo in volto.
Ma il pianto di Amy si fa sempre più acuto.
“Mamma, mamma, mamma,” continua a gridare in una litania isterica. “Mamma, mamma…”
“Amy,” strepita la Granger, china sul letto. “Parlaci. Dicci cosa senti. Dicci dove hai male!”
“Cosa succede?” strilla Ivette, disorientata. Sta tremando. “La bambina sta male? Sta male?”
Jenkins spinge il comodino contro la parete con un pugno. “Fatela tacere!”
“UN CALMANTE!” urla Wessex, sgolato.
La voce di Joe giunge tremula alle orecchie di Draco. “Non ce n’è,” balbetta, stravolta. “Sono finiti.”
Poi, l’ampolla del distillatore scoppia.

No, no, no, no…
La magia no.
Wessex e la Granger indietreggiano. Jack cade a terra, tenendosi una mano premuta sul collo. Una scheggia di vetro gli si è conficcata appena sotto il mento. Ha le dita striate di rosso.
Macchie di sangue – il sangue della Granger, quello che era contenuto nell’ampolla – sono sparse ovunque, persino sulle lenzuola di Jenkins.
Amy continua a gridare.
Draco vede il suo corpicino dibattersi sul materasso, i suoi pugni abbattersi sulle coperte, il tubicino attaccato al suo braccio schizzare lontano.
L’aria si sta saturando di scintille.

No, no, no, no…
“Amy, calmati!” grida la Granger, ancora più pallida del solito. “Guarda me. Concentrati su di me. Devi calmarti. Per favore Amy, devi calmarti!”
Ma la bambina è sorda ai suoi appelli. All’improvviso il comodino, le lenzuola e perfino il distillatore in frantumi cominciano a levitare, traballando verso l’alto e urtando le pareti. Il libro di favole di Beda il Bardo rotea a mezz’aria come il menù del tavolo che Draco ha rovesciato in fuga da Carrow.
La litania che ne segue, tuttavia, è del tutto diversa.
“Amy, Amy ti prego… ti leggerò la storia tutte le volte che vorrai.” La Granger è ormai in lacrime. “Faccia qualcosa!” grida a Wessex, intento ad aprire gli scomparti di una cassettiera a rotelle uno dopo l’altro, sbattendoli con forza.
“E’ lei il dannato Medimago!” aggiunge con un gemito, stringendo una mano di Amy nel tentativo inutile di tenerla ferma.
“Non posso usare la magia!” latra questo in risposta, paonazzo.
Joe intanto continua a passare in rassegna fiala dopo fiala. Alcune pozioni si sono rovesciate sul pavimento, avvolgendo le sue ginocchia in una pozza violacea.
É allora che Draco capisce esattamente qual è stato il disastro a ridurre l’infermeria a come l’ha vista nel futuro.
Le scintille diventano scoppiettii, gli scoppiettii esplodono in un lampo.
Sospinta dalle urla di Amy e da un flusso sempre più intenso di magia involontaria, una lunga crepa comincia ad aprirsi una via tra le piastrelle sul pavimento, svelando il terreno sottostante nel proprio passaggio.
Le pareti contro le quali i mobili hanno ormai iniziato a stridere cominciano a perdere consistenza.
Jenkins urla.
Wessex rovescia con un pugno la cassettiera.
La Granger si allontana dal capezzale di Amy solo per raggiungere una borsa adagiata accanto alla propria brandina. Comincia a rovistarvi con dita tremanti, mentre la crepa sul pavimento si ramifica spezzando le mattonelle.
Con un cigolio cupo, le lancette dell’orologio appeso al centro della stanza si piegano su se stesse.
Perfino lo schedario nel quale si trova Draco ha cominciato a vibrare: gli sportelli stridono sui cardini.
Mentre Amy grida, si contorce e si rannicchia in posizione fetale con le mani tra i capelli, la magia che l’avvolge diventa luminosa, elettrica. Si raggruma e poi si fraziona, trafiggendo l’aria come schegge.
Le urla che colmano l’infermeria ora provengono non solo dalla bambina, ma anche da tutti gli altri pazienti.
“Amy…” pigola la Granger, sbattendo lontano la borsa con un gemito frustrato.
Poi, all’improvviso, un grido emerge tra tutti gli altri.
Uno “Stupeficium!” riecheggia nel caos in cui è stata avvolta la stanza, limpido e familiare.
I mobili si quietano, ricadendo sul pavimento. La bambina si accascia sul materasso.
Ai piedi del letto di Amy, una mano tesa a reggere la bacchetta verso l’alto e l’altra premuta sul collo madido di sangue, c’è Jack.
“NO!”
Stavolta, l’urlo straziato proviene dalla Granger. Draco la vede alzarsi dal pavimento in lacrime, le labbra contratte in una smorfia di dolore. Si scaglia su Jack: sale a cavalcioni delle sue gambe, gli tempesta di pugni il petto. Non appena il ragazzo mormora un sottile “Hermione,” lei lo colpisce con uno schiaffo abbastanza forte da voltargli il capo. “No, no, no, no…” ripete in una litania lamentosa, le lacrime che le solcano il viso come crepe.
Sono Joe e Wessex ad afferrarla per le braccia, a tirarla indietro; lei scalcia, si dimena, grida e piange. Urla “bastardo!” in direzione di Jack, poi si accascia in ginocchio sulle piastrelle in frantumi, stretta in un abbraccio soffocante e arrabbiato di Joe.
“Ci avrebbe ammazzati tutti!” strepita il ragazzo, scosso dai tremiti. “Ho dovuto farlo!”
Solo Wessex ha il coraggio di avvicinarsi alla bambina. Ne accarezza la guancia, ne tasta il collo. Scuote la testa.
Nel vedere il corpicino riverso tra le lenzuola, Draco avverte un moto di nausea.

Tre ore è il massimo di sonno che le possiamo concedere. Ogni tre ore deve svegliarsi di nuovo, e rimanere sveglia. Deve, Jack, o morirà.
Amy non è riuscita a rimanere sveglia tre ore intere.
E mentre la Traccia dello Stupeficium apre nuove crepe tra le piastrelle e i gemiti della Granger si rincorrono sulla spalla di Joe, Draco non riesce a pensare ad altro se non che mentre Amy moriva lui è rimasto
immobile, al sicuro in un cazzo di armadio.
Senza neppure rendersene pienamente conto, si rinfila la Giratempo al collo.







 

Fine secondo capitolo.
Continua...

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3/3 ***


Titolo: Le righe tra le piastrelle
Autrice: Acardia17
Beta: Nefene, che amo e amerò sempre, nei secoli dei secoli ♥.
Pairing:Draco/Hermione
Rating: 16+/Arancione
Genere:Guerra, Angst, Introspettivo, Sentimentale
Contoparole: 18.472 (tutti e tre i capitoli)

Note tecniche: (1) La storia è ambientata in un ipotetico futuro (Draco ha ventun anni) in cui la guerra è ancora in corso. Naturalmente questo significa che troverete tanto elementi tratti dal Canon quanto inventati di sana pianta: a me piace fare un po' di pout-pourri ;)
(2) "Le righe tra le piastrelle" nasce in occasione dell'invito a partecipare al "Calendario dell'Avvento" indetto da Fanworld.
(3) La fantastica Stitch-84 ha realizzato una splendida fanart per questa fanfiction: la trovate QUI. Naturalmente, come potete notare, Juniper Fox ne ha tratto alcuni bellissimi banner


Son passati quanti giorni, due? Avevo voglia di pubblicare anche l'ultima parte e mettere la parola "fine" a questa fanfiction. In fondo è nata come one-shot (lunghina, eh?), e la trama è tutta proiettata verso la risoluzione finale.
Grazie a coloro che mi hanno accompagnata in questi giorni, grazie a chi non mi conosceva come autrice ma mi ha seguita comunque, grazie a chi mi ha pubblicizzata in giro per FB.
Buona lettura!






Capitolo terzo









Quando riapre gli occhi si trova ancora all’interno dello schedario, ma non impiega più di qualche istante a comprendere che la stanza che vede attraverso la fessura è l’infermeria del futuro dal quale è venuto.
Spalanca uno sportello, e crolla sdraiato a pancia sotto sul pavimento. I frammenti di mattonella gli pungono la guancia. Stringendo un pugno su una manciata di polvere, si accorge che le mani gli stanno tremando.
É finita. É finita davvero. É finita nel passato, è finita nel suo tempo.
Entro poche ore, forse quella stessa notte, l’incantesimo che mantiene innalzata la barriera attorno all’infermeria collasserà, e le fiamme che stanno inghiottendo perfino la neve là fuori potranno cibarsi anche di lui, così come stavano per fare quando correndo a perdifiato attraverso quel campo si è lanciato al di là della soglia e ha trovato protezione in quella piccola e deserta base nemica, se così può dire un disertore.
Non deve fare altro che aspettare, sdraiato sul pavimento spaccato a pancia sotto, come lo era sul lastricato della via dove ha abbandonato una donna a morire. A faccia in giù su un tombino, pronto per un ingresso trionfale nelle profondità delle fogne.
Il mondo sta per finire. Morirai.
Eppure vuole vivere così tanto. Vuole vivere come Joe, come Wessex, come la Granger.
Vuole vivere come la maledetta Ivette. Anche come Theresa, se necessario.
Vuole…
L’orologio ricomincia a sferragliare.
Draco solleva lo sguardo sulle lancette, traendosi faticosamente in ginocchio. Stanno mulinando all’interno del quadrante, impazzite. Di nuovo.
Quando si fermano, sono le tre.
E lui ha ancora la catenella della Giratempo attorno al collo.





“Tu sei il Cavaliere Senzafortuna?”
Draco sbatte le palpebre, perplesso. Allucinazioni uditive, si dice. Non è la prima volta. Lascia strisciare le mani sul pavimento, riconoscendo in rilievo il bocciolo e i viticci dell’orpello dipinto sulle piastrelle. Niente polvere, niente frammenti.
É di nuovo…
“Io lo so dov’è la Fonte della Buona Sorte.”
Il lumino nel barattolo si accende all’improvviso. Draco sussulta.
Quella voce…
Amy è seduta composta sul suo letto, una mano immersa tra i capelli scompigliati. É girata verso di lui e lo guarda carica di aspettativa, come se fosse ansiosa di vedere comparire una spada tra le mattonelle.
Non è possibile.
Draco si alza in piedi barcollando, aiutandosi con la testiera di un letto.
Non può essere. Se davvero è tornato nel passato, nello stesso passato, Amy dovrebbe stare dormendo insieme agli altri pazienti, sepolta sotto strati e strati di coperte. É un sogno. La sua immaginazione. Entrambi.
“Non mi parli?”
Draco, incredulo, avanza un paio di passi. É davvero Amy, è davvero sveglia.
“Tu dovresti stare dormendo,” mormora, o meglio, gracchia. Sono due giorni che non emette un singolo suono: il rumore della sua stessa voce lo stranisce almeno quanto l’intera situazione.
Amy sbuffa, sistemandosi la larga maglietta di tessuto ospedaliero sulle spalle in un gesto vezzoso. “Ho dormito. Un po’,” risponde, cristallina.
Draco si porta una mano alla fronte, tirandosi indietro i capelli. “No, no. Tu dovresti stare dormendo, perché l’ultima volta…”
Mai cambiare il corso degli eventi e mai farsi vedere. Ha già violato entrambe le regole in un colpo solo, non può lasciare intendere troppo alla bambina.
“É solo un sogno, Amy,” balbetta allora, nella speranza di essere ancora in tempo per sistemare le cose. “Solo un sogno.”
La bimba scoppia a ridere. Draco per poco non impreca, facendole cenno di fare piano. Se la Granger dovesse svegliarsi sarebbe la fine.
“No che non è un sogno,” commenta lei, divertita. “Lo so com’è quando sogno il Cavaliere Senzafortuna.”
“Io non sono il Cavaliere Senzafortuna.”
“Sì, invece.”
“Non ho l’armatura.”
“Ma ce l’hai!”
Draco abbassa lo sguardo sui propri vestiti, corazzati da placche di cuoio e borchie. A ben vedere, potrebbero davvero essere interpretati come un’armatura, anche se non troppo lucente.
“Il Cavaliere di cui parli è Babbano. Io sono un mago.”
Amy pare delusa a quell’affermazione e sprofonda tra i cuscini, preda dello sconforto. Draco se ne sente quasi insultato.
Ma la bambina non impiega molto a riscuotersi. Dopo aver arricciato le labbra con espressione pensosa, fa spallucce e sorride ampiamente. Le manca un dente nell’arcata inferiore. “Non importa. Non sei Babbano e hai il naso tutto viola, ma vai bene lo stesso.”
Draco si tasta il naso dolorante: viola, eh? Non deve avere un aspetto meraviglioso.
Vai bene lo stesso. Paradossale. Il Cavaliere della favola è una specie di Babbeo codardo, credulone e senza poteri magici, ed è lui a cui quella bambina lo associa? Un balsamo per il suo ego.
“Mi serviva di più Altheda però, adesso,” prosegue Amy, assorta.
Allora Altheda corse a raccogliere tutte le erbe che ritenne più adatte, le mescolò nella borraccia di Messer Senzafortuna e versò la pozione nella bocca di Asha. Immediatamente Asha riuscì ad alzarsi. Non solo, ma tutti i sintomi del suo terribile morbo erano spariti.
Altheda
, ricorda Draco. La guaritrice. E Amy si immedesima in Asha.
All’improvviso, l’immagine del corpo della bambina riverso senza vita sul letto si sovrappone a quella di Amy così come lui la vede ora. É abbastanza doloroso da costringerlo a sedersi sul bordo del letto e a sfiorarle una mano.
“Potrei trovare la Fonte della Buona Sorte per te,” bisbiglia, le guance in fiamme. Non è abituato a questo genere di giochi.
Amy annuisce convinta. Ha davvero gli occhi grandi come cucchiai. “Mh mh, dovresti. Ma io lo so già dov’è la Fonte.”
“E dove sarebbe?”
“Là.” La bambina punta il dito verso il lavandino, sorridendo vittoriosa. “Solo che devi aspettare il giorno più lungo. Io non lo so quand’è.”
“Cos’è un soltizio?”
Solstizio. È il momento in cui il sole raggiunge il punto di de… è quando c’è più sole in assoluto o meno sole in assoluto, Amy.”
Deriva da ‘Tizio solo’?”
Draco scaccia il ricordo con un movimento secco del capo.
“Dovresti davvero dormire, sai?”
Amy sbuffa con un broncio colpevole. “Mh mh,” annuisce, rassegnata. “Tu però vieni a cercare la Fonte il giorno più lungo.” Crolla sul cuscino, una mano premuta contro il fianco.
La ferita non si rimargina.
Forse è quello il punto dal quale ha perso tanto sangue da avere bisogno di una trasfusione.
“Ciao, Cavaliere Senzafortuna.”
“Ciao Amy.”
Agli albori dello scontro, Draco portava con sé una borraccia stregata abbastanza grande da consentirgli di bere e di pulirsi viso, ascelle, il minimo indispensabile. Poi perfino quel minuscolo incantesimo era divenuto troppo rischioso.
Altheda corse a raccogliere tutte le erbe che ritenne più adatte, le mescolò nella borraccia di Messer Senzafortuna e versò la pozione nella bocca di Asha.”
Nel ricordare lo svolgimento della favola, non può fare a meno di rimpiangerla.





Trascorre il proprio ventitreesimo tredici dicembre rinchiuso nell’armadio di metallo dell’infermeria, esattamente come il ventiduesimo.
Nonostante tutto, il suo incontro con Amy è l’unico dettaglio davvero fuori posto.
Il signor Jenkins si lamenta allo stesso modo, Ivette chiacchiera allo stesso modo, Theresa piange allo stesso modo.
E la Granger continua a disorientarlo. Lo disorienta mentre per poco non sviene dopo essersi dissanguata per rimpolpare quell’idiota di Jenkins, lo disorienta mentre rassicura Ivette, o mentre medica l’Ardemoniato. Lo disorienta mentre sorride, ride, trattiene una smorfia di dolore, inciampa nei propri stessi piedi e quando Joe glielo chiede risponde che va tutto bene.
Va tutto bene.
É pallida, e ha occhiaie nere quanto lo dev’essere il livido che Amy gli ha visto poco prima sul naso. Di tanto in tanto è scossa dai brividi, nonostante il maglione enorme, la gonna lunga e le calze di lana appartenenti a una certa Molly, che le ha fatto il favore di prestarglieli e che a giudicare dalle apparenze non solo è una balena, ma ha anche un pessimo gusto in fatto di vestiti.
Non si siede mai a riposare, a differenza di Joe, Jack o Wessex.
Non può mangiare una bistecca al sangue per compensare almeno in parte la perdita del proprio, perché non ce n’è più, ma è comunque lei a cucinare, anche se da schifo.
Ha i capelli così spettinati da ricordare quelli di zia Bellatrix, ma pettina quelli della signora Callagher, rimproverando allo stesso tempo anche suo marito, che non ne vuole sapere di rimanere fermo per il bene dei punti di sutura.
E racconta “La Fonte della Buona Sorte” a Amy. Una, due, tre volte. Un’altra e un’altra ancora.
Solo dopo averne ascoltato il finale la sesta volta - Quando il sole scese oltre l'orizzonte, Messer Senzafortuna uscì dall'acqua della Fonte rivestito della gloria del suo trionfo e, con la sua armatura arrugginita, si gettò ai piedi di Amata, che era la donna più gentile e più bella su cui avesse mai posato gli occhi. Fulgido di successo, le chiese la mano e il cuore e Amata, non meno felice di lui, capì di aver trovato l'uomo che li meritava.– Draco si rende conto di aver osservato solo Hermione, quel giorno.





Ma non ti fa paura così, al buio?”
Mi fanno più paura le righe tra le piastrelle.”
Perché mai dovrebbero farti paura le righe tra le piastrelle, Amy?”
Perché stanno sparendo. E quando spariscono loro spariamo anche noi.”
Quando Draco scivola fuori dall’armadio dopo che tutti si sono addormentati, le righe tra le mattonelle sono ancora nitide. Lo saranno ancora anche il mattino dopo, ma Amy sparirà comunque.

I sintomi non combaciano: le macchie sulla pelle, la febbre alta, il cuoio capelluto dolorante, la ferita che non si rimargina… non sono così rari separatamente, ma insieme…

Non sappiamo da quale malattia sia affetta, ma quel che è certo è che accelera durante il sonno. Ha perso troppo sangue e aveva bisogno di una trasfusione, ma ora il mio sangue ha dato nuovo impulso al morbo. Tre ore è il massimo di sonno che le possiamo concedere. Ogni tre ore deve svegliarsi di nuovo, e rimanere sveglia. Deve, Jack, o morirà.

Stupeficium.

Quella notte, Draco non si limita a muovere qualche passo avanti e indietro lungo il corridoio dell’infermeria. Si dirige verso l’alta scaffalatura di libri di Medimagia, il cuore che rimbalza nel petto, e ne apre uno dedicato alle pozioni.
Macchie sulla pelle.
Febbre alta.
Cuoio capelluto dolorante.
Una ferita che non cicatrizza.
Il sangue dà nuovo impulso al morbo.

La Granger ha ragione: non esiste su un manuale una malattia che combini sintomi simili. Quel che la Granger non sa, tuttavia, è che ogni sintomo può essere placato con una diversa pozione, almeno momentaneamente. E che non è necessario recuperarle dall’altra parte del campo di battaglia, con un Pozionista a disposizione nella stessa stanza nella quale sta dormendo ora.
Scorrendo l’indice del volume, segna con una piegolina le pagine che gli interessano, poi si dirige verso la teca in cui sa essere contenute le erbe medicinali. Per quanto riguarda il distillatore, Jenkins ne dovrà fare a meno per qualche ora.





Nello stordimento del sonno, la Granger non si accorge dell’assenza del distillatore accanto a Jenkins, o della parte di trito di Elleboro che Draco ha abbandonato per sbaglio sul pavimento.
Va da Amy, la sveglia, le fa un po’ di solletico per dissipare la stanchezza. La bambina si lamenta e si fa promettere nuove storie, altrimenti non si alzerà. La Granger, nonostante possa, non la minaccia e non le rivela il pericolo che corre nel riaddormentarsi, ma l’accontenta in qualsiasi sua richiesta.
“Ma prima che potessero raggiungerla, incontrarono un ruscello che bloccava loro il passaggio. Nelle profondità dell'acqua limpida una pietra liscia recava le seguenti parole: Datemi il tesoro del vostro passato.”
“Io ho un sacco di tesori,” cinguetta Amy, sfogliando pigramente le pagine del libro che la Granger le ha affidato, non avendone ormai più bisogno. Esattamente come ha fatto anche lo scorso tredici dicembre. Poi, però, aggiunge: “Ho anche un Cavaliere Senzafortuna.”
Draco sussulta all’interno dell’armadio, le ginocchia premute contro il distillatore che ha nascosto con sé.
Messer Senzafortuna.”
“No, lui è proprio un Cavaliere.”
“E dove l’hai lasciato, il tuo cavaliere?”
Amy fa spallucce. “È dentro un armadio.”
Draco sgrana gli occhi, mentre la Granger sorride. “E pensare che io avevo un mostro dentro l’armadio. Sei proprio una bambina fortunata.”
“Devo esserlo io per tutti e due, no?”
“Giusto.”





Le prime tre pozioni che Draco prepara degenerano. Ribollono in modo inquietante, si tingono di nero e lentamente bruciano, brunendosi e raggrumandosi. D’un tratto capisce come mai la cucina della Granger fosse così pessima: quel marchingegno dalla fiamma istantanea – è bastato collegare il filo al muro e premere un bottone per accenderla – sarebbe in grado di mandare in fumo anche una semplicissima Pozione Pepata. Non è possibile regolarlo, non esiste modo di ottenere la giusta temperatura.
Babbani.
Draco impreca in ginocchio sul pavimento, mentre il contenuto delle fiale che ha riempito appena qualche minuto prima impazzisce e diviene inservibile.
Mai cambiare il corso degli eventi.
Pare quasi che sia lo stesso destino a cercare di ostacolarlo.
Osserva la Giratempo crepata appoggiata a terra, poi alza lo sguardo verso l’orologio: non ricorda a che ora è stato svegliato dalle urla di Amy la mattina del quattordici dicembre, ma di sicuro la Granger e gli altri inservienti si sveglieranno presto.
Non ha il tempo di ripreparare tutte le pozioni, e se anche l’Infuso Disurticante che sta bollendo in quella semplice pentola da cucina divenisse pronto in tempo – e non lo diventerà; non è ancora giunto neppure il momento di aggiungere l’Elleboro alla miscela - non sarebbe sufficiente da solo a placare la crisi della bambina.
Ha fallito. E qualsiasi cosa faccia, anche tornando indietro nel tempo più e più volte, non riuscirà mai a distillare tutte quelle pozioni di notte, senza farsi vedere, e sfornito della giusta attrezzatura.
Non può fare niente: anche provandoci, anche rincorrendo il macigno che in quel vicolo, di fronte a quella donna, ha gettato nel pozzo della propria indifferenza, non è stato in grado di salvare nessuno.
«Cuore pavido!» lo accusa la sua favola personale. «Sfodera la tua spada, Cavaliere, e aiutaci a raggiungere la meta!»
Non ha bisogno di trovare la Fonte della Buona Sorte: Amy gli ha già detto dov’è. Eppure, teme che non giungerà mai il giorno più lungo.





Attende le urla sveglio, con la testa china sulle ginocchia. Il primo strillo gli strappa un sussulto: la primissima parola che Amy grida, in preda ai deliri della febbre, è “mamma”.
“La terza, di nome Amata, era stata abbandonata da un uomo che amava caramente e pensava che il suo cuore non ne sarebbe mai guarito. Sperava che la Fonte la sollevasse dal dolore e dalla nostalgia.”
“Anche a me manca tanto la mia mamma.”

Prima che la Granger raggiunga il suo capezzale – la branda stride mentre per la foga di alzarsi in piedi la spinge di lato - Amy fa in tempo a urlarlo altre due volte.
“Amy, Amy, ascoltami!”
Draco non ha il coraggio di guardare. Preme più forte la fronte sulle rotule, la Giratempo stretta nel pugno. Se non fosse un dannato codardo, se non fosse così terrorizzato al pensiero di tornare nel proprio tempo e morire tra le fiamme, l’avrebbe già infilata al collo.
“La febbre è salita.”
Ha paura. Ha quasi più paura in quel momento di quanta ne abbia avuta quando ha temuto che Carrow l’avesse trovato.
Ora, Messer Senzafortuna, come il cavaliere era conosciuto nelle terre fuori dalle mura, si avvide che quelle erano streghe e, poiché egli non possedeva alcun potere magico…”
“’Non possedeva poteri magici’ vuol dire che è un Babbano, vero?”
“Sì. Un Babbano un po’ pauroso.”
“È normale avere paura.”
“Certo che è normale.”

“Un calmante, Joe. Un diavolo di calmante, ORA!”
Contro il pugno chiuso sulla Giratempo, Draco sente la superficie fredda della fiala contenente la pozione che non ha fatto in tempo a ultimare. Sbriciolare la Passiflora, scottare l’Agrifoglio nell’acqua. Dopo averli cosparsi entrambi di polline di Malva, miscelare e sminuzzare. Portare a cottura. Quando l’infuso assume una colorazione dorata, aggiungere l’Elleboro tritato.
“Amy, parlaci. Dicci cosa senti. Dicci dove hai male!”
Non ha fatto in tempo ad aggiungere l’Elleboro.
“Cosa succede? La bambina sta male? Sta male?”
“Fatela tacere!”
Passiflora, Agrifoglio, Malva. Con l’aggiunta dell’Elleboro sono in grado di placare pruriti, orticarie, bruciori.
Senza l’Elleboro…
“UN CALMANTE!”
un calmante. Senza l’Elleboro sono un calmante.
“Amy, Amy ti prego… ti leggerò la storia tutte le volte che vorrai.”
“Faccia qualcosa!”
Draco non si concede il tempo di pensare. Stringe la fiala nel pugno e apre lo sportello con un calcio, precipitandosi fuori dall’armadio.
Ivette grida, Jenkins strilla “Un Mangiamorte!” con quanto fiato ha in corpo.
“È un calmante!” urla, mostrando la fiala dorata. Le crepe sul pavimento si stanno ramificando tra le piastrelle, spezzando il reticolo di righe. La Granger ha sul viso un’espressione sconvolta. Wessex lo guarda come se fosse un Ungaro Spinato parlante. Amy grida, ma non pare averlo neppure notato.
“Lo giuro,” ripete Draco, avanzando verso il letto. Jack, a terra e sanguinante a causa dell’esplosione dell’ampolla del distillatore, gli punta contro la bacchetta che nel precedente passato ha usato per Schiantare la bambina.
Draco tiene la mani sollevate, in vista. “É solo un calmante,” ripete, mentre Amy scoppia nell’ennesima crisi di pianto. “Vi prego.”
“Prova a muovere un passo e sei morto!” gli intima Jack alzandosi faticosamente in piedi, la mano ancora premuta contro il collo.
Vi prego,” supplica lui per l’ennesima volta, gli occhi fissi sul corpicino contratto di Amy. L’aria si sta facendo elettrica attorno al nugolo di lenzuola, i mobili sospesi a mezz’aria stridono contro le pareti.
All’improvviso, la fiala gli viene strappata di mano. La nuvola di capelli della Granger gli sfiorano il viso, mentre si gira e si allontana correndo verso la bambina con la pozione tra le dita, la larga gonna che frusta l’aria a ogni falcata.
Wessex la osserva come si osserva un Patronus: immobile, incapace di proferire verbo. Joe, in ginocchio di fronte al mobiletto nel quale stava frugando alla ricerca dell’infuso che ora Hermione regge nel palmo, si lascia cadere a peso morto sul pavimento.
“Schiantalo!” urla Jenkins in direzione di Jack. “È un bastardo Mangiamorte, schiantalo!”
Ma Draco ha occhi solo per Amy. E per la Granger, che ora la sta tenendo stretta tra le braccia e le sta accostando la fiala alle labbra.
“Per favore,” la sente mormorare. “Per favore, per favore…”
Appena pochi istanti dopo che il liquido dorato ha cominciato a sgorgare nella bocca della piccola, il suo tremore si placa. I mobili sospesi precipitano di nuovo verso il pavimento, fracassandosi a terra e rompendo il silenzio delle grida improvvisamente cessate. L’alone luminoso attorno al letto si disperde, diramandosi nell’aria in una scia di minuscole e innocue scintille.
Amy respira affannosamente tra le braccia della Granger, le guance solcate da grossi rivoli di lacrime, ma il vortice di magia involontaria che l’aveva avvolta si è dissolto.
È viva.
Quando Draco incontra lo sguardo di Hermione, stanno piangendo entrambi.





Il sospiro di sollievo di Wessex si tramuta ben presto in un’espressione risoluta. “Devi portarla a Londra,”esclama rivolto alla Granger, drizzando il comodino rovesciatosi a terra. “Il canale di Smaterializzazione dev’essere pronto, ormai. Stamattina l’acqua del rubinetto era ustionante.”
Hermione non dice nulla, si limita ad annuire e ad avvolgere il corpo di Amy in un lenzuolo. Non smette per un attimo di fissare Draco negli occhi.
“Ha bisogno di cure immediate, quindi VAI,” aggiunge Camice Verde di fronte alla sua esitazione.
Draco la vede alzarsi con urgenza dal letto stringendosi al petto il piccolo bozzo singhiozzante che è ormai diventata Amy, e dirigersi verso il lavandino, il capo ancora voltato indietro verso di lui.
Non appena apre il rubinetto ne emerge un sottile rivolo di fumo identico in tutto e per tutto a quello che Draco ha visto quando l’ha aperto nel proprio tempo.
“Per quanto riguarda te…” sente insinuare Wessex con una mano stretta sulla spalla di Jack, la cui bacchetta è ancora tesa nella sua direzione.
La Granger pronuncia una breve sequela di parole incomprensibili nella bocca del lavandino. D’un tratto, il rivolo di fumo si allarga fino a formare una nebulosa azzurrina e opalescente.
Se l’atmosfera non fosse così tesa, Draco scoppierebbe a ridere.
Il lavandino. La Fonte della Buona Sorte. Il canale di Smaterializzazione protetto.
Attende solo di vedere la Granger e la bambina venire avvolte dalla nebbiolina azzurra, prima di infilarsi la Giratempo al collo e sparire.





L’infermeria non è poi così diversa da come l’ha lasciata nel passato: lunghe crepe percorrono ancora il pavimento, frantumando le mattonelle in frammenti di orpelli aristocratici; diversi mobili sono ancora riversi a terra, così come anche parecchi libri; il lume nel barattolo è ancora spento.
Ma soprattutto, i lampi di energia magica illuminano ancora a giorno la stanza e le fiamme corrodono ancora i bordi delle pareti, sempre meno vivide.
Potrà anche aver salvato la vita di Amy, ma non le ha impedito di avere la crisi che ha messo a soqquadro l’intera infermeria da campo e ha fatto collassare la concentrazione di energia magica nell’aria.
Forse in fondo è un bene: la vita di una bambina è già un enorme cambiamento nel corso degli eventi, senza aggiungere all’elenco anche la sua.
Si lascia scivolare disteso a terra, chiedendosi chi lo raggiungerà per primo, tra Carrow e le fiamme.
La Giratempo si è spezzata. Dopo l’ennesimo viaggio, giace ora nel suo palmo divisa in due pezzi distinti: il vetro aguzzo della clessidra gli punge la pelle.
La polvere, impregnata di magia, si è dispersa nell’aria.
Mentre il fuoco comincia a bruciare lo spigolo delle pareti come se fosse il margine di una pergamena, vorrebbe poter dire di sentirsi in pace, ora. Vorrebbe poter dire di non avere paura.
La verità è che sta tremando dalla testa ai piedi
È normale avere paura.
Respira, si dice sui frammenti di pavimento sgretolato. Respira, si ripete mentre il crepitio sinistro delle fiamme gli sibila dietro le orecchie.
Inspira.
Apre le palpebre sulla distesa di mattonelle al proprio fianco: l’arzigogolato disegno di un fiore blu è raffigurato sulla superficie polverosa di tutte le altre decine di piastrelle che lo circondano e viaggiano sul terreno come rotaie di un treno deragliato. Uno, due, tre… sei petali. Tre tralci, due foglie.
Espira.
Poi, una voce.
“Si può sapere cosa diavolo ci fai lì sdraiato?! Avanti, corri!”
Quando si solleva in ginocchio e alza lo sguardo sulla parete opposta dell’infermeria, il lavandino è avvolto da una nebbiolina azzurra. Immersa in quella strana foschia, c’è Hermione Granger. Ha un piede in bilico sul bordo del lavello, un braccio teso verso di lui. La manica è arrotolata fino al gomito: lascia scoperti grossi lividi scuri.
E Draco corre.
“Così il cavaliere sferragliò negli ultimi raggi del tramonto e si bagnò nella Fonte della Buona Sorte, esterrefatto di essere stato scelto tra centinaia e stordito dalla propria incredibile fortuna.”
Quello dev’essere senza dubbio il suo giorno più lungo.





“La Giratempo che hai usato. Era la mia.”
La Granger si è cambiata d’abiti. Ora indossa un semplice paio di pantaloni scuri e un maglioncino sottile di un fucsia caldo e acceso che le mette in evidenza il seno prosperoso. Draco non può fare a meno di notarlo.
La Giratempo era sua.
Ma certo, ha senso. Se quei pochi giorni gli hanno insegnato qualcosa su quella ragazza, con ogni probabilità deve aver provato a utilizzare la Giratempo per mutare il corso degli eventi che avevano condotto alla morte di Amy, e qualcuno gliel’ha impedito. Forse gliel’ha strappata di mano, gettandola dove Draco l’ha trovata.
Destino ha voluto che sia stato proprio lui a cambiare tutto.
Rimane in silenzio, seduto sul letto di una delle camere al piano di sopra di Grimmauld Place, dove il canale di Smaterializzazione li ha condotti circa tre ore prima.
Da allora è rimasto chiuso in quella stanza. Lui non ha cambi d’abito da indossare, solo la sua divisa.
Hanno trascorso gli ultimi due milioni di minuti – o così è sembrato a Draco – a parlare di quanto accaduto. O meglio, lei a fare domande, e lui a mugugnare risposte dopo lunghi istanti di panico totale.
Poi, all’improvviso, la Granger lo ha abbracciato. “Grazie,” ha mormorato commossa al suo orecchio, mentre lui immergeva il viso in quella nuvola vaporosa di capelli appena lavati e profumati di sciampo.
Ha sentito le placche della sua corazza penetrare fin dentro le ossa, per quanto ha desiderato che scomparissero per godere al meglio del contatto di quel corpo morbido e caldo premuto contro il proprio.
La Granger lo disorienta, si è ripetuto tra sé per l’ennesima volta.





Ha riflettuto a lungo prima di presentarsi al San Mungo, sotto gli sguardi di disapprovazione che serpeggiano fin all’interno della manica della sua giacca e seguono il marchio che gli deturpa il braccio.
Ha avuto parecchio tempo per pensare, mentre percorreva la strada da casa sua all’ospedale a piedi, in un mondo ancora in astinenza dalla magia e per questo nervoso, irrequieto, frastornato.
Ha riflettuto sul corso degli eventi, sul destino, sulla predestinazione. Lungo il percorso si è fermato presso una frontiera postale e ha inviato un gufo ai suoi genitori, agli arresti domiciliari all’interno del Maniero.
A quanto pare sua madre ha salvato la vita a Harry Potter, mentendo al Signore Oscuro - nonostante ci abbia provato, Draco non è in grado di chiamarlo “Voldemort”, non ancora.
Sono trascorsi cinque giorni dal quattordici dicembre, e dalla conclusione dello scontro. Il mondo è finito e ricominciato al tempo stesso: con la magia ancora off limits, Mezzosangue e Nati-Babbani hanno fondato gruppi di educazione domestica in ogni dove, istruendo i Maghi e le Streghe su come fare a meno del mezzo sul quale hanno fatto più affidamento da secoli a questa parte.
Draco deve ammettere che non sempre si è trattato di scoperte spiacevoli, anche se fortunatamente avere a disposizione un Elfo Domestico la cui magia non ha alcuna Traccia ha risolto parecchie delle sue lacune filoBabbane, così come quelle di numerosi altri Maghi i cui pregiudizi sono duri a morire.
Considerato tuttavia che, a parer di Draco, Beedle è l’Elfo Domestico più viziato sulla faccia della Mondo Magico – capita perfino che mangi alla sua stessa tavola, quando si sente di buon umore – le proteste di chi inneggia alla libertà delle bistrattate creature non lo tangono particolarmente. Perfino un’esperta conoscitrice in materia gli ha concesso il suo – temporaneo, sia ben chiaro - benestare.
L’atrio del San Mungo è gremito di persone. Il fiume di gente ansiosa di rivedere i propri cari ristabiliti non si placherà tanto presto: il conteggio delle vittime è giornaliero, enumerare i feriti è una follia alla quale molti hanno rinunciato da tempo.
Draco occhieggia il punto informazione, fronteggiato da una fila i cui ultimi rappresentati hanno strappato il biglietto in quattro e l’hanno contrassegnato con un nuovo numero a penna. Passa oltre, intimidito dal bagno di folla.
Il reparto “malattie rare” è in fondo a una rampa di scale abbastanza lunga da essere scoraggiante: al decimo gradino, Draco considera di affacciarsi soltanto sulla soglia della stanza, al centesimo di voltarsi, inciampare nei propri stessi piedi e ruzzolare lungo la scalinata onde avere una scusa per non tornare a salirla.
Una volta giunto in cima, chiede notizie di Amy a un’infermiera.
“È una bambina, alta così,” balbetta, a disagio. La donna lo guarda con sospetto, valuta il da farsi. D’altronde, con il viso illividito dalla botta sul naso non deve avere un aspetto troppo incoraggiante.
“Venga, la porto alla sua stanza.”
La camera di Amy è la numero tre, in fondo al corridoio. Il suo nome è vergato sullo stipite della porta in bella scrittura.
Quando lo vede, Draco non riesce a credere ai propri occhi.

Amata Kethleen Richards.

Quando il sole scese oltre l'orizzonte, Messer Senzafortuna uscì dall'acqua della Fonte rivestito della gloria del suo trionfo e, con la sua armatura arrugginita, si gettò ai piedi di Amata, che era la donna più gentile e più bella su cui avesse mai posato gli occhi. Fulgido di successo, le chiese la mano e il cuore e Amata, non meno felice di lui, capì di aver trovato l'uomo che li meritava.”
Amata. Amy. La bambina che lo ha insignito dell’onorificenza di Cavalier Senzafortuna porta il nome della sua sposa.
“Non importa. Non sei Babbano e hai il naso tutto viola, ma vai bene lo stesso.”
Una risata sincera e cristallina prorompe dalle labbra di Draco, che si appoggia con la schiena alla parete opposta del corridoio e si infila una mano tra i capelli. L’infermiera gli rivolge uno sguardo di profonda disapprovazione.
D’un tratto, dall’interno della stanza proviene una voce adulta e serena, recitante parole che Draco conosce fin troppo bene.
Le tre streghe e il cavaliere scesero insieme dal colle, a braccetto, e tutti e quattro vissero a lungo felici e contenti, senza mai sapere né sospettare che l'acqua della Fonte non possedeva alcun incantesimo.”
Il timbro squillante di Amy è un fiore sugli aculei di una pianta di cactus. “Di nuovo, mamma, ancora!”
Draco non può fare a meno di sorridere.
“Non entra?” gli chiede l’infermiera, sconcertata.
“No, va bene così,” risponde lui scuotendo il capo, ancora sorridente.
Ripensa al tavolo riservato per quella sera in un locale caldo e accogliente nel centro di Londra, uno che vanta nel proprio menù una grande varietà di ottime zuppe.
Forse non è il caso a un primo appuntamento, ma crede che più tardi si divertirà parecchio a prendere in giro la Granger per la sua pessima cucina.
Mentre si dirige ad ampie falcate verso le scale, riflettendo su cosa possa regalarle a Natale senza sembrare né insistente né presuntuoso, ascolta i propri passi riecheggiare lungo il corridoio.
Sul pavimento, le righe tra le piastrelle sono meravigliosamente nitide.








fine






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