Layla

di La Chiave di Do
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** I. What will you do when you get lonely? ***
Capitolo 3: *** II. I tried to give you consolation ***
Capitolo 4: *** III. You know it's just your foolish pride ***
Capitolo 5: *** IV. All our love's in vain ***
Capitolo 6: *** V. Like a fool ***
Capitolo 7: *** VI. Turned my whole world upside down ***
Capitolo 8: *** VII. When your old man had let you down ***
Capitolo 9: *** VIII. Don't say we'll never find away ***
Capitolo 10: *** IX. You've been running and hiding much too long ***
Capitolo 11: *** X. Something ***
Capitolo 12: *** XI. Layla e Majnun ***
Capitolo 13: *** XII. Layla ***
Capitolo 14: *** XIII. I looked away ***
Capitolo 15: *** XIV. Ah, Brown Sugar! ***
Capitolo 16: *** XV. Due anni dopo ***
Capitolo 17: *** CREDITS ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


LAYLA
di Chiara "Kei" P.

 


Protagonisti il Beatle George Harrison e la moglie, la
bellissima modella Pattie Boyd, durante lo sfiorire del
loro amore e l’apparire nella loro storia del chitarrista
Eric Clapton, questo racconto reinventa il triangolo rock
piu’ stupefacente della storia: due amici, due rockstar,
la dea musica, un duello d’amore e lei, la musa: Layla.


 

I FATTI NARRATI, SEBBENE ISPIRATI AD AVVENIMENTI REALI E COERENTI CON IL REALE CORSO DELLA STORIA, SONO DI INVENZIONE DELL’AUTRICE E NON INTENDONO IN ALCUN MODO DENIGRARE LE FIGURE DEI PROTAGONISTI.
NOMI DI PERSONE, LUOGHI, PRODOTTI O TITOLI DI OPERE MUSICALI NON SONO DI PROPRIETÀ DELL’AUTRICE.

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Capitolo 2
*** I. What will you do when you get lonely? ***


I
What will you do when you get lonely?


Domiva silenziosa e perfetta come una dea stesa sul fianco sinistro, immobile come una statua e dello stesso pallore, donatole dal chiarore lunare che filtrava azzurro tra le tende: se posandole una mano sulla spalla non l’avesse vista alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro avrebbe temuto che fosse morta; ne segui’ lentamente il contorno appena velato dalla sottile camicetta da notte con l’indice fino al gomito, come per rassicurarsi della sua reale presenza… finalmente oso’ sorridere.
Si volto’ alla finestra e sbottono’ la camicia gettandola a terra; slaccio’ la cintura. Entro’ nudo nel letto, accanto a lei, issato sul braccio sinistro per ammirarne le curve morbide celate dalle lenzuola leggere: le spalle tonde, la schiena dritta, l’oro dei suoi capelli sparso morbido sul cuscino; le si fece piu’ vicino stendendosi col viso vicinissimo alla sua nuca. La senti’ rabbrividire per il suo fiato sul collo.
“Patricia…” provo’ a dire, quasi per sentire che effetto gli facesse sentire il suono del suo nome; lei non si mosse e neppure nel cuore lui senti’ muoversi nulla. Provo’ con lo stesso timore di molti anni prima a sfiorarle il viso con le labbra, a scivolare lungo quel collo bianchissimo… e senti’ la sua minuscola mano allontanarlo in un mugolio di disappunto. Provo’ ad afferrarla, ancora piu’ piccola nel sua e la senti’ sgusciare via.
Lei apri’ gli occhi e la luna vi rimbalzo’ dentro dello stesso colore. Si volto’.
“Che c’è?” disse in tono troppo misurato e lucido per essersi appena svegliata. George la guardo’ a lungo, inseguendo le tracce del loro amore nei grandi occhi azzurri, bellissimi anche se struccati, fra quei capelli sciolti come un fiume del quale avrebbe voluto gettare, affluenti, i propri, su quelle labbra che sorridenti gli avevano rapito l’anima, ora contratte e seccate dalla privazione d’amore.
Le prese con delicatezza il mento, per poterla baciare con tutta la tenerezza e il rispetto che le aveva mancato in quegli ultimi mesi, sentendosene addosso il debito gravoso, cercando sulla sua bocca la loro antica complicità; di nuovo si senti’ respingere.
“Smettila”
Fu un istante: Patricia si senti’ addosso tutto il suo peso, le sue mani ferme ai polsi come manette, la notte dei suoi capelli ad avvolgerle il viso, la sua bocca rovente a violare la sua. Si senti’ sporca mentre il suo corpo lo desiderava, si senti’ in colpa mentre il suo cuore lo respingeva al limite del disgusto e si dibattè…
“George, NO!”
Lui si fermo’. Il terrore che le aveva letto nella voce gli aveva tolto il fiato, l’angoscia che le leggeva negli occhi gli aveva tolto la voglia di vivere; si senti’ un mostro per un momento, solo dopo un uomo ferito nell’orgoglio. L’abbandono’ sul letto, ancora tremante, solo la coda dell’occhio la vide mettersi seduta con la schiena lungo la testiera del letto e la vestaglia spiegazzata, infilo’ l’accappatoio, poi la porta della stanza raccattando i suoi vestiti senza piu’ neppure degnare d’uno sguardo gli occhi umidi di paura della moglie. Solo quando ebbe varcato la soglia la senti’ singhiozzare.

***

“George?” era un sussurro impercettibile e lui non si volto’; gli si avvicino’ alle spalle e con delicatezza inizio’ a sfiorargli i capelli scuri, dividendoglieli sulle spalle. Si era già rivestito. George raccolse dal tavolo la sua tazza di tè e si alzo’ dalla sedia allontanandosi da Patricia in due passi.
“George…” ripeté.
“Che c’è!?”
“Vorrei… chiederti scusa.”
George abbandono’ la tazza ormai vuota nel lavello e voltatosi vi si appoggio’ coi palmi e i fianchi, scoprendosi il viso dai capelli con un movimento del collo; si esibi’ in un’espressione fra il perplesso e l’offeso, ma dura. Sbuffo’, poco convinto:
“Sentiamo, di cosa?”
“Di… beh… io…”
Lui sbuffo’ di nuovo e si spinse via dal mobile, avvicinandosi a lei, immobile e con gli occhi rossi al centro della cucina; scruto’ la moglie addolcendo lo sguardo, piu’ per rassicurarla che per sincero rasserenamento.
“C’è qualcun altro?”
Pattie lo guardo’ negli occhi, apri’ la bocca come per dire qualcosa, la richiuse.
“C’è qualcun altro!?” ripeté brusco, prendendola per le spalle.
“George… no… io…” trovo’ il coraggio di dire.
“Molto bene.” chiuse lapidario il marito raccogliendo la giacca dalla spalliera della sedia.
“Dove vai?” chiese preoccupata lei.
“Fuori.”
“Fuori…” ripeté Patricia provocatoria “Da qualcuna delle tue sgualdrinelle?”
Si blocco’ di scatto, la mano sullo stipite della porta. Si volto’ lentamente e la guardo’ dritta negli occhi senza fiatare; ripercorse i propri passi fino a trovarsi a pochi centimetri dalla giovane moglie, lascio’ scivolare dalle mani a terra la giacca.
“Come dici” disse “Pattie?” e marco’ il suo nome come una minaccia “Tu te la fai con chissà quale bastardo e io non posso scoparmi chi voglio? Non è paritario bella mia!”
“Stronzo!” e gli si scaglio’ contro assestandogli uno schiaffo in pieno viso. George lo ricevette senza un lamento.
“Sciacquetta infeconda”.
Usci’ senza aggiungere altro’ e non fece neppure sbattere la porta.

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Ciao a tutti, sono una sfegata Harrisoniana quasi 18enne e questa è la mia prima pubblicazione. Spero sinceramente piaccia a qualcuno, anche se lascia trasparire i tratti piu' umanamente negativi dei personaggi (sia chiaro, non è mia intenzione dissacrare o offendere nessuno, anzi, sono la prima a dichiararsi malata di George), e di trovare il tempo e la voglia di continuarla, in ogni caso sarei felice di ricevere una vostra opinione.
Un bacio.
Kei

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Capitolo 3
*** II. I tried to give you consolation ***


II
I tried to give you consolation

 


La nottata era calda e dopo pochi minuti aveva già percorso, nella foga di allontanarsi da casa, parecchi isolati; l’orgoglio gli divorava il fegato, ma ogni notte gli ricresceva, ed ogni mattina, legato a quelle quattro mura e a quella donna se lo sentiva strappare via nuovamente, Prometeo dell’era moderna, vittima del proprio quotidiano martirio spirituale. Le vie brune della Londra notturna si susseguivano tutte uguali e tetre ai suoi occhi mentre si avviava man mano in quartieri sempre piu’ squallidi fino a che giunse a una casetta che definir modesta sarebbe stato compassionevole. Controllo’ il costoso orologio da polso regalatogli anni prima da Brian… il loro Brian. Gli mancava. Tanto, a tutti loro. Sbuffo’. Cinque minuti alla mezzanotte. Busso’.
Carnagione scura. Occhi grandi, neri, di taglio mediorientale. Lunghi capelli mossi sulle spalle, scurissimi. Indossava solo la biancheria intima e una camicia maschile sbottonata a righine azzurre:
“Dovrai ridarmela quella, prima o poi…” le disse.
La donna, giovanissima, lo squadro’ a lungo e si tolse la sigaretta di bocca:
“Entra.”
 
Piccolo e sciatto, l’interno dell’appartamento era disordinatamente affascinante di false stoffe preziose e tappeti ed enormi cuscini; la luce aranciata delle candele e l’odore d’incenso mascheravano soffuse resti di sesso e marjuana.
“Ti avevo detto di non venire a quest’ora… Loona è già rientrata.”
George, già seduto sui cuscini , si lascio’ servire una tazza di tisana aromatica prima di risponderle:
“Mi servono solo un telefono e uno sguardo che non mi giudichi.”
“Quelli li trovavi comodamente anche a casa, senza scendere all’inferno, mi pare. Hai una famiglia che…”
“Io non ho una famiglia, Surya.” chissà poi se era il suo vero nome, Surya, la sua luce nelle tenebre, la sua musa di carbone, un’amica; il sole. Tacquero entrambi, gli occhi bassi sul tavolino ingombro d’erba e quarantacinque giri. Taquero cosi’ a lungo che parve ad entrambi si sentirsi calare addosso molti giorni di sole, ma quando furono ridestati dal sonno delle parole da un colpo di tosse fuori dalla finestra dominava ancora la luna.
“Come sta?” chiese lui allora accennando col capo a dietro il tendaggio rosso che divideva la stanza, dove una fanciullina aveva richiamato l’attenzione con la sua respirazione difficoltosa. Surya si alzo’ sorridendo a quella domanda e gli porse la mano per accompagnarlo al lettino: la ragazza, sua sorella minore, giaceva in un sonno piuttosto sereno, tormentato solo di tanto in tanto dall’asma.
“Loona sta meglio ora” rispose finalmente la giovane indiana “anche grazie a te: la rende felice saperti suo amico e il buon umore è fondamentale alla guarigione”.
“Mi sopravvaluti. Il tuo amore la aiuta molto di piu’ del mio” George fece una pausa, pensando che si, l’aveva aiutata, ma non di certo con l’affetto: i medici si pagano con i soldi “se ne ho ancora in riserva.” torno’ a sedersi, finendo di sorseggiare la tisana di spezie.
Lo raggiunse Surya, lo sguardo rattristato, e si sedette al suo fianco, posandogli una mano sulla spalla e l’altra in viso per guardarlo meglio ed indagarne l’espressione cupa. I suoi occhi nerissimi lo invitavano a parlare ed esprimere le sue angosce.
“Sono vuoto.” confesso’ lui in un sospiro e spostandole la mano sul petto, guardando nella tazza vuota come per trovarvi qualche responso “nessuna ispirazione e nessun sentimento, solo un rancore del tutto ingiustificato… un senso di colpa taciuto.”
“Non amare è un lungo morire.” provo’ allora ad offrirgli le labbra, a stringergli una mano come aveva già fatto molte volte per consolarlo, ma lo trovo’ freddo anche nel corpo.
“No” le disse senza durezza “te l’ho detto, sono qui solo per telefonare e stare un po’ in pace: non tornero’ a casa stanotte, devo trovarmi un posto in cui dormire e tolgo il disturbo…” le sorrise in un’espressione triste e le carezzo’ la mano teneramente.
“Dormi con me…” le propose in un sussurro che sapeva di supplica Surya, cercando senza risultati apprezzabili di apparire sicura di sé. Loona tossi’ in quel momento.
“No” ripeté George spostando lo sguardo oltre la tenda “non è il caso. Ora lasciami telefonare.”
Si alzarono entrambi, lei per lavare alcune stoviglie, lui in direzione del telefono; compose il numero senza quasi pensarci, aspettandosi la risposta di una voce amica, ma comunque lontana dal mondo al quale lui, George Harrison, uomo di spirito e incenso,  sentiva d’appartenere, una voce del mondo materiale e consumista, la voce del suo migliore amico:
“Si?” una voce assonnata e irriconoscibile.
“Ringo ascolta ho bisogno…”
“Sai benissimo che è partito stamattina. Arriva quando ti pare, ormai mi hai svegliata…”
Segui’ solo la snervante intermittenza sonora della chiamata interrotta.
Maureen.

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Capitolo un po' ambiguo e sconfusionato a mio parere ma sicuramente molto ispirato; in ogni caso spero vi piaccia.
Una curiosità: i nomi delle due sorelle non sono casuali, infatti Surya in hindi significa Sole, mentre Loona, in contrapposizione non è che un gioco di parole su Luna.
A presto
Kei

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Capitolo 4
*** III. You know it's just your foolish pride ***


III
You know it’s just your foolish pride

 


Luce dalla finestra della camera da letto, alta e rosea sopra la sua testa, luce da quella del bagno e il tintinnio’ leggero ed umido dell’acqua della doccia: Maureen si stava preparando per lui. George entro’ silenzioso, senza suonare il campanello e togliendosi le scarpe, come d’abitudine, pur sapendo che Ringo non era in casa (come poteva essersene dimenticato?) e sali’ le scale con passi di gatto raggiungendo la camera degli ospiti, quella grande, con un letto matrimoniale ed uno piccino, il bagno privato e le tende rosse; si spoglio’ e si mise a letto mentre lo scroscio della doccia si chetava, come se non volesse farsi notare.
Ma lei lo sapeva, sapeva che lui era li’ perché ormai aveva imparato, quando era sola in casa, a tendere l’orecchio in attesa delle sue visite notturne, diventate consuete negli ultimi tempi. Ne senti’ i passi nudi sul pavimento e ne vide le forme generose mentre entrava avvolta nell’asciugamano azzurro; da qualche tempo si era tinta i capelli di un biondo esageratamente falso e si truccava con cipria troppo chiara per somigliare a Pattie ma questo la rendeva simile ad una bambola impolverata e non gli piaceva.
“Ciao Mo” mugugno’ senza voltarsi a guardarla.
Lei non rispose, anzi, allarmata si sedette accanto a lui portandosi un dito alle labbra per fargli capire  di tacere; solo quando accenno’ con un leggero sorriso alla camera accanto, dove dormivano Zak e Jason, George capi’. Maureen, la moglie del suo migliore amico, una volta bella e solare, ora volgare e falsificata, tolse l’asciugamano dal corpo sformato dalle gravidanze e si mostro’ nuda e bellissima ai suoi occhi affamati di vita: penso’ a lei, fredda e secca come un campo mai concimato, la donna che aveva sposato e il cui ventre perfetto sarebbe rimasto incorrotto per sempre, cimiteriale ed inutile come il loro amore sciupato. Penso’ a Patricia anche mentre Mo si stendeva al suo fianco e lo abbracciava come tante altre volte, inconscia del tormento della sua anima, e la penso’ anche mentre le sue mani lo spogliavano, mentre lo accarezzavano, mentre un sorriso buffo le increspava il viso; penso’ al corpo di Pattie, bianco e mortale come la neve fino a che, fra le forme brune e bollenti di Mary Starkey, non si costrinse a non pensare a niente.
 

***

George si sveglio’ disturbato da un suono di voci. Gridavano. Pattie.
L’orologio sul comodino segnava le cinque del mattino. Si alzo’ con una brina di gelida angoscia addosso e raccolse silenzioso ma affrettato i vestiti, iniziando a infilarseli a una velocità crescente; si fermo’ con la camicia in mano e si porto’ una mano alla fronte mentre ormai cio’ che giungeva alle sue orecchie presagiva un’inevitabile dolore. Per tutti.
“Pattie, tesoro, calmati, non c’è, ti giuro che non c’è…”
“Taci! TACI TI DICO! E’ meglio per te che taccia e ti nasconda se vuoi arrivare viva a domani, sparisci, vattene!”
“Ma questa è casa mia!”

Rumore di passi; salivano le scale. Rassegnato all’arrivo della moglie, alla scoperta dell’ennesimo tradimento e alla breve, obbligata vergogna che sarebbe seguita, George si sedette sul letto, in attesa, la testa appesantita dal sonno fra le mani per ripararsi almeno un poco le orecchie da quella inutili grida isteriche.
“Dov’è? DOV’E’?” sentiva gridare Pattie.
“Sono qui” George alzo’ la testa e preparo’ uno sguardo inespressivo a chiunque sarebbe entrato dalla porta aperta davanti a lui. Improvvisamente il silenzio, spezzato solo dal lento battere di un solo paio di tacchi, incerto ma sempre piu’ vicino. Lei.
“Ciao Pattie”
Una pausa brevissima in cui lei lascio’ scivolare la mano lungo lo stipite e gli si avvicino’ di qualche passo, protendendosi un poco in avanti come se brancolasse nel buio ma raddrizzandosi subito, un sorriso fioco come la sua voce sulle labbra pallide.
“Ciao George” un'ombra impercettibile priva d'amore ma gonfia di antico affetto.
In quel preciso istante Maureen fece l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare entrando nella stanza a posare una mano sulla spalla di Pattie: per quanto potessero essere buone le sue intenzioni, consolatorie o di scuse che fossero, ebbero in risposta uno schiaffo sonante in pieno volto; una lacrima sporca di rimmel rigo’ il volto di Mo, ma una lacrima gonfia d’ira. Alla manata rispose con un pugno: il labbro della moglie di George prese a sanguinare copiosamente, ma a lui non importava. Lui si alzo’, finendo di abbottonarsi senza ascoltare le grida e gli insulti delle due donne. Prima di lasciarle sole fece in tempo a vedere Patricia prendere l’altra per i capelli spingendola sul letto e tempestandola di pugni e  mentre lasciava la casa gli venne quasi da ridere.
Le nuvole iniziavano a colorarsi di rosa.

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Lo ammetto, avevo in mente questo capitolo da tempo ma ora che è completo mi convince poco.
Vi lascio con un saluto, spero apprezziate comunque questa piccola schifezza, confido di piu' nel prossimo.

Un bacio
Kei

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Capitolo 5
*** IV. All our love's in vain ***


IV
All our love’s in vain

 

 
 

"Mi dispiace Ringo, sul serio”
“Meglio tu che qualcun altro” rispose con un sorriso e un’alzata di spalle “mi sarebbe forse parso strano il contrario di questi tempi”.
Li’ sulla veranda di casa sua gli aveva detto tutto: cosa era accaduto quel giorno in cui gli aveva chiesto, dopo una sfiancante giornata in studio, di portare a casa Maureen, in attesa devota nel bar di Abbey Road assieme a una Cynthia sempre piu’ sciupata, quasi grigiognola in viso per tutto quell’affetto donato senza ritorno; si era offerto di portare a casa anche lei, ma si era rifiutata: avrebbe aspettato John, poco le importava di saltare la cena, sarebbe rimasta fino a notte fonda, se necessario. Quel giorno qualcosa nel cuore di George si era come incrinato alla vista di una donna cosi’ illusa, di un fascino cosi’ sprecato al fianco dell’uomo sbagliato; l’aveva abbracciata, stupendola con quell’inaspettata eccezione alla timidezza.
Poi Maureen e George erano saliti in macchina e avevano deciso di cenare insieme, fuori città. Poi il vino aveva inebriato le loro menti già stanche. Poi erano andati a casa, la casa dei coniugi Starr. Il letto dei coniugi Starr. Mo, era ancora bella e bruna allora.
“Sai George…” inizio’ con una punta d’amarezza nella voce “non sono queste le cose davvero importanti.” poi improvvisamente getto’ indietro la testa e rise alla propria frase che suonava tanto ridicola quanto sincera; diede una pacca sulla spalla dell’amico e George lo guardo’ stupito tentando senza successo di trattenersi dal ridere anche lui:
“Stai delirando Ringo!”
“No Geo, dico sul serio…” Ringo cerco’ il suo sguardo “questo è il nostro tempo.”
“Che intendi dire?” proprio lui non riusciva a capire un discorso del genere? Se ne stupi’ lui e l’altro ancor di piu’, tanto che si stese sulla sdraio portandosi le mani al volto per cercare le parole adatte ad esprimere meglio il concetto.
“I nostri figli” comincio’ “non avranno la fortuna che abbiamo noi ora. Noi siamo liberi, completamente liberi. Siamo liberi perché siamo al sicuro anche nell’errore: ci amiamo e questa è la maggiore sicurezza che si possa avere; quando ami qualcuno gli permetti di sperimentare, di divertirsi, di sbagliare… alla fine il tuo amore ti aiuterà a perdonarlo. Ecco perché tu e Pattie non vi perdonerete dei vostri errori –non guardarmi cosi’, hai sbagliato… non a farti mia moglie, ma a tradire la tua- semplicemente perché non vi amate. Cio’ non significa che non possiate amarvi piu’, ma che ora non avete piu’ amore in riserva.”
“E i nostri figli?” chiese George perplesso.
“I nostri che?”
“Ma si, quello che dicevi, riguardo al fatto che siamo piu’ fortunati dei nostri figli… che centra con l’amore?” non riusciva a capire dove volesse andare a parare.
“Oh, quello!” Ringo tacque qualche momento e raccolse i pensieri “noi siamo in un’epoca in cui l’amore è stato rivalutato, l’amore è di moda… e la moda trascina tutto.” fece una breve pausa guardando l’altro negli occhi: sapeva come non amava quell’argomento. Prosegui’:“ma passerà. Presto o tardi, come sempre accade la moda cambierà.”
“Ma Ringo, che diavolo dici!” George non sapeva se mettersi a ridere o scandalizzarsi a quelle parole e maschero’ l’indecisione in un’ombra di perplessità.
“E’ tragico, ma anche l’amore passerà di moda. L’amore per la vita che conduciamo prima, per la vita in generale poi, per l’altro e per sé stessi… l’amore sarà sintetizzato, falsificato, mitizzato e dissacrato fino a perdere senso e, prima o poi, sparire inesorabilmente.” sospiro’ “Per questo i nostri figli non avranno che un’immagine sbiadita di tutto questo amore che ci circonda, ti tutta la fortuna sfacciata che abbiamo avuto a vivere nel nostro tempo.”
George tacque a quelle parole e stava per fare una breve, provocatoria domanda quando, come se gli avesse letto nel pensiero Ringo rispose.
“Il tempo dei Beatles.”
I due risero insieme e batterono il pugno sul tavolo in un cenno di compiaciuto accordo. Poi nella mente di George baleno’ un lecito dubbio:
“Scusa Ringo ma… tutto questo che centra con questa storia?”
“Hai ragione… è questo il nocciolo. Il punto è che quando si ama qualcuno lo si perdona.” squadro’ l’amico per accertarsi che seguisse il discorso con attenzione “Pattie non ti ha perdonato. E tu non perdoni lei sapendo che forse ha un altro, giusto?” nuova breve pausa “Ebbene, io ho perdonato Maureen, perchè la amo… ma prima di tutto perdono te” e cosi’ dicendo gli porse pomposamente la mano destra per suggellare come un giuramento quelle parole.
George guardo’ la mano tesa, perplesso.
“Perché ti amo” concluse Ringo con l’espressione offesa di chi sa di aver appena detto una cosa del tutto ovvia.
George ignoro’ ancora la mano e si slancio’ ad abbracciare violentemente l’amico, tirandogli una ciocca di capelli; risero entrambi.
“Come sta Pattie?” chiese Ringo dopo che ebbero concluso un breve scambio del tutto giocoso di leggeri cazzotti e insulti demenziali.
“Si sta riprendendo. Ha il labbro gonfio e un dito rotto. E non me ne frega un cazzo…” alzo’ la spalle con sufficienza “Mo?”
“E’ viva. Con il segno dei denti di tua moglie sulla mano destra.”
Ringo sorrise spegnendo il suo spinello nel posacenere.

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Spero che questo capitolo non spezzi troppo il flusso narrativo, ma il mio istinto primordiale mi ha obbligata a mantenere una briciola di shonen-ai... okay okay, sto scherzando ovviamente, ho promesso di essere storicamente seria! Volevo semplicemente riportare testimonianze reali salvaguardando insieme agli occhi del lettore il rapporto fra George e Ringo.
Con questo il lunghissimo cappello introduttivo dovrrebbe essere terminato, da qui ci si addentra nel cuore della storia.

Un bacione, spero vi sia piaciuto nonostante la pesantezza
Kei

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Capitolo 6
*** V. Like a fool ***


V
Like a fool
 

 
 
 

Era già pronto da un pezzo nella sua camicia a multicolori ricami floreali e iniziava ormai a spazientirsi quando per l’ennesima volta, sforzandosi di non sbraitare ma fingendo anzi un sorriso nel tono, ripete’:
“Sei pronta, Pattie?”
Segui’ un momento di silenzio, poi senti’ il suono delle ultime due spazzolate rituali che anticipavano la tanto agognata risposta:
“Si.”
Pattie scese le scale con una grazia sfiorita ma palpabile: era piu’ donna di quando si erano conosciuti, eppure piu’ sbarazzina; portava un abito smanicato di velluto verde smeraldo, tagliato asimmetricamente appena sopra le ginocchia e un cappello color menta a falda larghissima e morbida, aveva arricciato i capelli in morbidi boccoli e il trucco era un po’ piu’ pesante del solito, d’un celeste intenso e le labbra erano sottolineate con un tono piu’ scuro di quello naturale.
“Come sto?” domando’ di rito.
“Meravigliosa” rispose atono, e le porse il collarino di seta che aveva abbandonato sul tavolo la sera prima; aveva appeso un grosso ciondolo in forma di bocciolo di rosa, bianco: un suo regalo di alcuni anni prima. Lei lo indosso’ e allaccio’ alla caviglia il cinturino delle scarpe alte.
Lo squadro’ rapidamente, abitudine d’ogni moglie:
“Anche tu” e prese la borsa.
“Sbrighiamoci, faremo tardi”.

 

***

“Bene arrivati!”
“Buona sera Linda, ciao Paul…” a Pattie Linda sarebbe anche potuta piacere se non avesse di gran lunga preferito, essendo state tante amiche,  Jane e se non differisse tanto per gusti  tanto da Paul: non era né stupida né sgarbata, semplicemente preferiva non darle troppa confidenza, come in realtà non ne aveva mai data troppa a Paul stesso; lo poteva considerare si un buon amico, ma non un confessore. Per questo le mancava Jane, lei lo era.
Attese che George e Paul concludessero i loro smancerosi saluti per seguire il marito verso un uomo seduto su una poltrona con una chitarra acustica in mano, intento ad accordarla in mezzo a tutta quella gente che creava un’amalgama indistinta e rumorosa di chiacchericcio; era un bel tipo castano con una barba ben curata e ben vestito.
“Eric, sempre il solito separatista alle feste?”
Il tizio prima sorrise, poi poggio’ la destra sulla spalla della chitarra in una lenta carezza, finalmente alzo’ la testa lentamente e poso’ lo sguardo sulla coppia:
“Buona sera, Harrisons…” la sua voce era calma e calibrata, piu’ adulta di quanto lo fosse lui “mi raccontate qualcosa di nuovo?”
George scosse la testa ma chiese con tono altezzoso alla moglie:
“Hai mai avuto occasione di conoscere Eric, Eric Clapton? Te ne ho parlato molte volte… grande musicista e grandissimo amico!”
Il chitarrista sfodero’ un sorriso impercettibilmente rigido e i suoi occhi incrociarono l’umido azzurro di quelli di Pattie; lei rispose:
“Solo se vedere da lontano, aver sentito parlare si puo’ definire conoscere e aver ascoltato qualche disco si puo’ definire conoscere” lo squadro’ e gli parve cosi’ stranamente diverso da tutti gli amici di George, cosi’ tranquillo ed educato nel suo alzarsi porgendole timidamente la destra borbottando un onorato:
“Patricia” poi soggiunse “chiamami pure Pattie, il piacere è mio” senza un motivo preciso si senti’ come arrossire mentre Eric posava appena le labbra sulla sua piccola mano: non era un gesto cosi’ inconsueto in quell’ambiente, le era capitato molte volte, persino Paul usava talvolta salutarla in quel modo; si ricordo’ con un’ombra di malinconia che il primo a farlo era stato Brian, definendola l’unica donna al mondo ad averlo mai abbagliato.
Con quella sua voce pacata Eric la lodo’:
“Chi non è si è mai soffermato ad ammirare qualche tua fotografia, o quelle di tua sorella… siete entrambe meravigliose, e di certo non si possono dimenticare due bellezze del genere, né tantomeno i nomi” ancora non aveva abbandonato la sua mano “è bella nell’animo quanto nell’aspetto, George?”
George trasali’: stava guardando altrove, in direzione di Paul che trafficava su un tavolo con una boccettina e delle zollette di zucchero su alcuni piattini:
“Dipende” rispose senza nessun’intonazione prendendo per mano la moglie “ora scusaci” e abbozzo’ un sorriso mal riuscito trascinandola verso il bassista dall’altro lato della stanza. Raggiuntolo ammicco’ mentre gli chiedeva:
“Hai qualcosa per noi mio caro Paul?”
“Come sempre, Madame et Monsieur!” recito’ con fare pomposo prima di ridere l’altro, porgendo loro tre zollette umide su di un piattino “bon apetit!” e se ne prese una lui stesso mettendosela in bocca in un gesto teatrale.
George ne prese un’altra e se la poggio’ sulla lingua, Pattie esito’ qualche istante prima di fare lo stesso con la sua:
“Grazie Paul” ed abbandono’ la mano del marito allontanandosi attraverso la folla al centro della sala. Aveva decisamente bisogno di bere.

 

***

 

Aveva un mal di testa indescrivibile e rifuto’ avendo bevuto troppo l’ennesimo drink che le veniva offerto accompagnato da sorrisi e complimenti anonimi. Aveva solo bisogno d’aria fresca e qualcosa da fumare: si diresse sbuffando verso la porta finestra che dava sul giardino, sperando di restare sola almeno per qualche minuto.
“Ciao bambola” una mano si poso’ disinvolta sul suo fondoschiena tastandolo: ne riconobbe senza dover guardare il proprietario, facilitata dalla voce.
“Ciao, John…” era visibilmente alticcio, indefinibile se per via dell’alcol o della droga anche se propendeva per la seconda, ma cio’ non giustificava il suo carattere o i suoi gesti.
“Come…”
“No John, non ora”
E si slancio’ alla finestra.

 

***

 

L’aria era freschissima, la notte tersa, le stelle sembravano tante da cancellare il nero del cielo e brillavano piu’ del solito… o forse era solo l’LSD.
“Tutto bene?”
Si volto’ di scatto, convinta di essere sola si era spaventata (o era l’LSD?). Eric.
“Oh… ciao…” si accorse di avere una voce strascicata e di non aver colto la domanda, quindi si limito’ a sorridere stringendosi nelle spalle.
Eric le si avvicino’ con sguardo preoccupato posandole una mano sul braccio scoperto:
“Sei sicura di sentirti bene?” le porse poi la giacca che non stava indossando “Tieni, stai gelando… ti prenderai un accidente.”
Lei lo ringrazio’ con un sorriso. Lo osservo’ con attenzione mentre sfilava dal taschino della camicia un pacchetto di sigarette e se ne infilava una in bocca:
“Fumi?” le chiese porgendoglielo.
Pattie ne prese una con la mano che le tremava e se la lascio’ accendere, sentendosi un po’ stupida mentre si chinava leggermente a cogliere la fiammella dell’accendino d’argento. Sobbalzo’ allo scatto mentre lo richiudeva. Tutta colpa dell’LSD.
Eric fece due passi:
“Passeggi?”
Pattie annui’ seguendolo nel giardino, che le sembrava piu’ profumato del consueto. Anche Eric le sembrava piu’ gentile e affascinante di quando, poche ore prima, si era presentato. Ma poteva essere sempre colpa dell’LSD.
“Non parli molto, vero?” domando’ lui sorridendo. Stranamente non si poteva leggere sarcasmo in quella richiesta: era evidente che non stesse bene, che aveva bevuto troppo, che era drogata, che era giu’ di corda, ma non aveva un tono di rimprovero.
Pattie alzo’ le spalle in un sorriso e le sue labbra restarono mute pur schiudendosi in un no di pura gentilezza.
“Neanche io” e tacque pensoso fermandosi. Pattie lo guardo’ perplessa e gli si avvicino’ un poco guardandolo in viso con espressione da bambina “Forse ho bevuto, Pattie, oppure sono pazzo, ma volevo dirti che…”
“Che…?”
Parlava! Aveva parlato! La sua voce era tanto dolce che Eric quasi si commosse:
“Che non era per dire, prima. Intendo, sei bella sul serio, e tanto.”
E lei, sentendosi lusingata come non si sentiva da anni, si lascio’ stringere al suo fianco mentre ritornavano verso la casa.


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Questo capitolo è un po' piu' lungo degli altri. Non è eccezionale sotto il profilo stilistico, ma spero sia chiaro ed efficace nel contenuto. Mi scuso solo del fatto che sia molto descrittivo e poco introspettivo ma serviva per sviluppare la trama. Spero sia di vostro gradimento.

Baci,
Kei

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Capitolo 7
*** VI. Turned my whole world upside down ***


VI
Turned my whole world upside down

 
 
 
 

Le visite di Eric presso gli Harrison iniziarono a susseguirsi nel periodo che segui’ con una frequenza crescente, prima per semplici saluti, poi per veri e propri banchetti, infine divennero una piacevole abitudine. Perché non era un ospite esigente né chiassoso, sedeva a lungo sul divano strimpellando qualche piacevole melodia rivolgendosi talvolta a George con un che te ne pare? compiaciuto, quando fumava usciva sempre sul davanzale per evitare che l’odore restasse in casa, non aveva la stessa pessima e rischiosa abitudine di John di portare campioni di nuove droghe in casa; a tavola apprezzava sempre con riconoscenza cio’ che gli veniva offerto ed era un moderato bevitore se non veniva spronato da George a servirsi di piu’; evitava anche d’intrattenersi fino ad orari impossibili e sebbene parlasse poco amava gli argomenti piu’ vari e intelligenti, sui quali era sempre discretamente preparato: spiritualità, musica, ritagli di vita e di culture diverse. L’unico dettaglio che turbava e spaventava la mente di Pattie era quello sguardo languido e serio che gli si dipingeva quando i loro occhi s’incrociavano furtivamente all’insaputa di George.

 

***

 
Quella era una visita come tante altre ma l’aria –santo cielo, l’aria!- aveva come un colore diverso; che sciocchezza, l’aria non ha colore, forse era la luce; ma no, era proprio l’aria! Forse non il colore, forse il profumo, o l’umidità… eppure sembrava diversa proprio nell’aspetto, come se fosse deformata oppure annebbiata, come se camminasse su uno spesso strato di densissimo fumo bianco. Eric era steso sul divano. Steso. Non era da lui. George era seduto al bordo del tavolo della cucina. Tutti e due la guardavano con malizia. Improvvisamente entrambi si alzarono e le vennero incontro; George le abbasso’ la spallina dell’abito mentre Eric le posava entrambe le mani sui fianchi, cercando le sue labbra; lo specchio profondo dei suoi occhi la rifletteva bellissima, truccata e pettinata come alcuni anni fa… allora Pattie si lascio’ fare.
 
Si sveglio’ di soprassalto, turbata da quello strano sogno. Si alzo’ senza accendere la luce per non svegliare il marito e ando’ al bagno a sciacquarsi il viso.
 

***

 

Quella stessa sera Eric era invitato a cena. Sembrava leggermente turbata Pattie vedendolo arrivare , ma George non lo noto’; fu Eric infatti che durante la cena calo’ volontariamente il suo livello d’attenzione ai discorsi di questi per osservare meglio i comportamenti e le espressioni stanche e turbate di lei, che era tutta la sera che non diceva una parola.
Il telefono squillo’ e Patricia scatto’ a rispondere abbandonando la tensione che l’attanagliava; era una voce di donna e cercava George, ma ormai aveva smesso di fare caso a telefonate di quel genere: d’altronde chi poteva essere? Fan o amanti.
“George, è per te…”
Lui si alzo’ da tavola e le tolse la cornetta di mano:
“Pronto?” la sua espressione rabbuiata si rassereno’ “D’accordo, posso essere li’ in mezzora, ciao”. Riattacco’.
“Dove vai?”
“I ragazzi vogliono che ci troviamo subito, Paul e John hanno nuove idee…” poi soggiunse “era la segretaria degli studi”.
Raccolse la borsa e si scuso’ piu’ volte con Eric prima di uscire:
“Finite pure la cena senza di me, avremo altre occasioni. Eric, pensa a quella proposta, il tuo assolo in While my guitar sarebbe un tocco di classe”.
 
“Che c’è Pattie?”
Eric si era alzato da tavola nel medesimo istante in cui George aveva richiuso la porta alle proprie spalle e le si era avvicinato. Pattie si ritrasse d’istinto.
“Pattie, si puo’ sapere che ti prende?” alzo’ la voce spazientito “Non hai detto una parola né toccato cibo e ora hai paura di me! Cosa ti turba?” e si addolci’ sull’ultima domanda “Ti ho forse fatto qualcosa?” e indietreggio’ di un paio di passi. Lei fece di no con la testa e si sedette sul divano, abbassando il capo, mormorando uno scusa. Come sarebbe stato anche solo lontanamente in grado di farle qualcosa? Se lo chiesero entrambi, anche se per ragioni diverse.
Eric si sedette senza guardarla al suo fianco con un sospiro.
“E cosi’ George vuole farti suonare nel loro nuovo album…” attacco’ lei.
“Già… un assolo.”
“La canzone è bellissima…”
“Si, lo è.” e si volto’, facendole voltare il viso appoggiandole con delicatezza l’indice sul mento “E anche tu lo sei, in una maniera sconvolgente…”
“Stasera non sei ubriaco” gli fece notare fredda.
Non capi’.
“Quella sera, dai McCartney” spiego’ Pattie “mi dicesti che parlavi cosi’ per via dell’alcol, anche quella sera dicendo quanto fossi bella per te.”
Eric annui’ senza sorridere:
“Ti baciai quella sera?” chiese.
“No!” esclamo’ stupita.
“Ero sicuro di essermi dimenticato qualcosa, infatti…”
Le allungo’ una mano sulla nuca fra la cascata bionda dei suoi capelli e la trasse a se’ con una delicatezza che a lei parve di non aver mai conosciuto; semplicemente poso’ le labbra sulle sue, in un casto e leggerissimo bacio. Si stacco’ con una lentezza che ad entrambi parve descrivibile unicamente dall’oceano durante la deriva dei continenti.
“Scusami” e tacque.
Dopo qualche momento di silenzio Pattie rise, e lui parve il suono piu’ dolce che avesse mai sentito, tutto di lei gli sembrava nuovo e bellissimo. Disse:
“Nessuno si era mai scusato con me per avermi baciata.”
“Non mi sono scusato per questo, infatti…” Eric lo disse con un tono calmo e un sorriso buono, ma nel cuore sentiva un caos estremo, un brodo primordiale e confuso di emozioni, il desiderio incontrollabile di gridare e piangere.
“E di cosa ti saresti scusato allora?” anche a lei il cuore sembrava battere un po’ piu’ veloce del solito, ma abituata da tempo alla sua vuotezza stentava a dare la colpa a qualsiasi tipo di sentimento.
“Per avere aspettato tanto a farlo.” Eric si alzo’ “La cena era favolosa… meglio che vada ora.”
Lui era già alla porta quando Pattie lo raggiunse sfiorandogli la spalla. Lui si volto’.
“Grazie.” balbetto’ lei.
Eric sorrise e dopo una leggera carezza su quel viso bianchissimo fu ingoiato dalla notte.

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Eeeee... finalmente è successo qualcosa! Forse è un po' banale ma quel che scritto è scritto, spero non vi abbia annoiato... non sono troppo brava a parlare di smancerie, quindi questo è il risultato.

Vi bacio tutti
Kei

 

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Capitolo 8
*** VII. When your old man had let you down ***


VII
When your old man had let you down
 

 
 

 

Da qualche giorno dallo studio di George usciva come il fumo che passa sotto le porte uno strimpellio continuo di chitarra elettrica, accordi ancora sconnessi intercalati da un lento riff di cinque note acute, una sonorità tipica di George.
Pattie inizialmente lo ignoro’, piu’ per non disturbarlo che per vera indifferenza, poi inizio’ ad ascoltare i suoi esperimenti quando passava davanti alla porta soffermandosi un po’ di piu’ del necessario a sorpassarla, infine, incantata da quella melodia appena sussurrata, decise di entrare. Dalle pochissime parole che era riuscita a carpire dal testo era giunta alla conclusione che dovesse per forza trattarsi di una canzone d’amore.
“Posso… posso ascoltare?” chiese con un sorriso.
Per poco George non lascio’ cadere la chitarra a terra; si alzo’ in piedi, con uno sguardo inizialmente sconvolto che si fece subito arrabbiato.
“Assolutamente no!” rispose in un tono che aveva tutto tranne la dolcezza “Lasciami solo, sto lavorando… esci subito Patricia.” si esibi’ in quello che a lei parve il sorriso piu’ falso che avesse mai visto mentre spingendola fuori le richiudeva la porta in faccia.
Pattie era scolvolta: George non aveva mai amato che lo si interrompesse quando componeva, ma non era mai arrivato a tanto, negandole addirittura l’ascolto.
In un eccesso d’ira prese la borsa e usci’ senza ombrello sotto la pioggia.
 

***

 
“Ti ha trattata davvero cosi’!?”
“Esattamente come ti ho raccontato!”
A quella risposta Eric si prese la testa fra le mani fino a quando senti’ in cucina il fischio acuto del bollitore per l’acqua. Si alzo’ con un sospiro e lo raggiunse; torno’ dopo qualche minuto: aveva in mano due grosse tazze fumanti con due cucchiaini d’argento infilati dentro.
“Tieni”
Pattie cerco di sfilare le mani dalle maniche dell’accapatoio che Eric le aveva prestato: le andava enorme, ma lo preferiva decisamente agli abiti zuppi di pioggia; infreddolita accolse il tè con tanta foga da bruciarsi la lingua.
“Non è da lui…” disse allora Eric sedendosi sul divano di fronte.
Lei ride tristemente:
“Non lo conosci se dici cosi’!”
Il chitarrista scosse la testa:
“Lo so che è scorbutico ultimamente, ma non ha mai fatto cosi’… intendo infuriarsi.” spiego’ “George piuttosto che alzare la voce ti ignora completamente, il che è forse anche peggio…” disse come se parlasse a sé stesso.
Pattie si trovo’ costretta a dargli ragione. Tento’ di rispondere ma Eric la interruppe:
“Non è da lui ma questo non lo giustifica” si alzo’ e ando’ a sedersi accanto a lei che si rigirava la tazza bollente fra le mani, con sguardo vuoto e pensoso, turbata, triste. Le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sé:
“Nessuno puo’ trattarti cosi’. Nessuno puo’ toglierti il sorriso.”
Eric. Quello che amava come un fratello ma da cui era amata come l’angelo della sua vita; o forse no, forse si illudeva a credere di considerarlo il migliore fra gli amici, quello che non aveva approfittato di lei quando era ubriaca, quello che non aveva tradito il suo George pur amandola, quello disposto ad accoglierla in casa fradicia e darle un accappatoio per coprirsi mentre asciugavano i suoi abiti, tutto senza trarne alcun beneficio se non un cuore malato. Forse anche lei, stretta fra le sue braccia si sentiva felice, davvero appagata, amata come George non era piu’ capace di amarla.
“Ti amo Pattie”
E quella volta fu lei a baciarlo.

 

***

 

“Allora che ne pensate?”
John e Paul lo guardavano stupefatti: il primo si grattava la testa come chiedendosi come George avesse potuto creare qualcosa di simile, l’altro annuiva con occhi immensi e mostrava il braccio sinistro con insistenza, indicandone la pelle:
“Da pelle d’oca Georgie”
“Si dice lato A, Paul”
George tacque all’affermazione di John, sorridendo.
Ringo era commosso:
“Ora insegnacela”
“Insegnarvela?”
“Si ragazzo” disse Paul imbracciando il basso “come la registriamo altrimenti?”
“Ma è per Pattie!” disse come se volesse tenerla segreta, una questione privata fra lui e la moglie.
“Per Pattie” disse John “e qualche altro migliaio di ragazze”
 

Something in the way she moves
attracts me like a pomegranade
Something in the way she woos me
I don't want to leave her now…

 

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Rieccomi ragazzi! In primis mi scuso per il ritardo, ero poco ispirata (e si vede potreste dire), poi per la povertà del nuovo capitolo, anche piuttosto breve. Ditemelo pure, meno dialoghi e piu' stile!

Vi bacio tutti e perdonate la scarsità di oggi
Stanchissima Kei

 

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Capitolo 9
*** VIII. Don't say we'll never find away ***


VIII
Don't say we'll never find a way

 
 
 

“Resta con me”
Pattie trasali’ ed alzo’ la testa dalla sua spalla per spostare lo sguardo nei suoi occhi, come a chiedergli delucidazioni. Non aveva risposto al suo ti amo, perché ora si gettava a capofitto in un oceano sensibilmente troppo grande per loro?
“Non sei obbligata a stare con lui se ti tratta cosi’…” le sue parole piu’ che come una proposta suonavano come una sorta di supplica, l’espressione di un desiderio.
“E perché dovrei stare con te?” chiese con un sorriso dolce lei, senza ombre di sarcasmo nel tono.
“Perché mentre con lui è finita io sono pronto a darti tutto l’amore che non c’è piu’ fra…”
Pattie interruppe offesa quel discorso concitato e confuso, per quanto pronunciato con una tenerezza indescrivibile:
“Eric, come puoi tu dirmi cosa devo o non devo fare con il mio matrimonio?” disse sciogliendosi dal sul abbraccio; erano parole dure, ma non aveva la forza di pronunciarle con adeguata asprerità. Bastarono le parole sole a far abbassare gli occhi e il tono di Eric.
“Scusami Pattie… io… non intendevo… non voglio assolutamente intromettermi… né dirti cosa fare… è solo che… scusami…” balbettava mortificato stringendole una mano e portandosela al petto con tenerezza. Si sentiva stupido, e ingenuo come un adolescente in sua presenza: lui, Slowhand, costretto a chinarsi al cospetto di una donna, a balbettare e commuoversi per una bellezza tanto pura e sfuggente.
“Anche se volessi non potremmo” gli disse senza neppure capire perché se ne uscisse con una banalità tale.
La vide alzarsi in piedi, maestosa e con un volto accigliato:
“Io amo mio marito” menti’ macchinosamente piu’ a sé stessa che allo spasimante. Amarlo? Forse era solo bieca abitudine.
Patricia torno’ nel bagno dove si rimise i vestiti quasi asciutti e appese l’accappatoio di Eric. Penso’ che neppure quella volta non aveva allungato le mani su di lei; ma forse sarebbe stato meglio tradire George che affrontare un discorso del genere.
Usci’ da bagno e raccolse la borsa:
“Addio Eric…”
“Pattie…”
La porta si era già richiusa.
Patricia pianse fino a casa, confusa.


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Capitolo brevissimo ma necessario alla narrazione. Spero negli ultimi due capitoli di aver fatto ben capire le dinamiche fino a questo momento. Devo dire che a me paiono piuttosto chiari, anche se non sono capolavori di stile.

Vi bacio tutti
Kei

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Capitolo 10
*** IX. You've been running and hiding much too long ***


IX
You've been running and hiding much too long

 

 

 Senti’ suonare alla porta.
I passi di George che fin troppo calmi scendono le scale per andare ad aprirla: chi era fuori ad aspettare a quel ritmo se ne sarebbe andato se lui non si fosse sbrigato o questo penso’ Pattie fino a quando non senti’ la voce del marito salutare il nuovo venuto…
“Buon pomeriggio, Eric”
Eric. Non l’aveva piu’ visto da quella sera a casa sua, né aveva avuto sue  notizie, e ad essere del tutto sincera avrebbe voluto non averne piu’: aveva quasi smesso di pensare a quelle sue parole, di trovarsi a riscrivere le proprie risposte di quel giorno, di fare sogni strani e incubi di solitudine eterna, e ora si scopriva a spiare il suono dei suoi passi giu’ nell’entrata, appollaiata come una bambina in cima alla scala, desiderosa e terrorizzata all’idea di un saluto.
 
Eric lascio’ cadere pesantemente la custodia di chitarra che portava con sé sul divano e vi giro’ attorno sempre senza dire una parola per aprirla: era bellissima, color crema, il battipenna candido e un plettro blu marmorizzato infilato di sbieco della paletta recante una scritta nera; Fender Stratocaster. George sorrise appena a quella vista, allungo’ una mano, quasi in adorazione, ma non la tocco’; ando’ invece all’angolo della stanza e prese la propria dal cavalletto sul quale era appoggiata coperta da un panno verde scuro, un’altra Fender, dipinta di rosso e decorata a mano dei colori piu’ strani, irriconoscibile per le innumerevoli modifiche. La adagio’ sulla poltrona prendendo posto come aveva fatto l’altro e senza fretta prese due bicchierini da un mobiletto di legno e una bottiglia di scotch; Eric lo fermo’ con un cenno della mano e George sostitui’ i bicchierini con due boccali alti e sottili, la bottiglia con una caraffa di thè freddo preparata da Pattie per combattere caldo e fantomatici chili di troppo.
Si sedettero l’uno di fronte all’altro, le Fender sulle ginocchia:
“Dunque non desisti…” disse George scuotendo la testa.
Eric non rispose, sorrise appena; portava i capelli legati e sembrava rasato di fresco, indossava un elegante completo color panna e una camicia di seta azzurra. Anche George aveva legato i capelli e anche lui sembrava vestito a festa, di velluto e colori sgargianti. A Pattie, ancora silenziosamente arroccata sulla cima delle scale, parvero due giovani pavoni.
I due collegarono gli strumenti a due piccoli amplificatori, poi bevvero avidamente un bicchiere della bevanda ambrata, come fosse l’ultimo della loro vita; George con un cenno incito’ l’altro a cominciare.
Dopo un sospiro le dita di Eric di mossero’ leggere e terribili sulle corde metalliche, lasciandone scaturire un riff triste e lancinante. S’interruppe brusco.
George sorrise vagamente beffardo e rispose proseguendo sulla sua medesima linea blues e furiosa, ma sottraendole un po’ di tristezza, come se nella malinconia ci fosse posto per un’ombra di speranza, un’infallibilità soffusa. Tre sole note di Slowhand, calibrate in un bending preciso e lentissimo, riportarono quell’assolo combinato alla disperazione iniziale. Harrison non resistette: se avesse voluto continuare avrebbe dovuto seguire una nuova linea… le dita iniziarono a danzare piu’ in alto sulla tastiera, piu’ rapide e profonde, in un giro ancora  tipicamente blues ma rigorosamente in maggiore.
Sulle prime l’altro sembro’ trattenersi dallo sbuffare, ma poi lo segui’ in quella nuova corsa, sovrapponendosi in un assolo semplice e raffinato che riusciva ad amalgamare al nuovo ritmo quell’angoscia che sembrava voler imporre.
Solo allora Pattie capi’: era un duello.
Sin dall’inizio non erano servite parole, suo marito aveva già capito dall’eleganza e dalla durezza con la quale lo sfidante si era presentato, o forse erano d’accordo da tempo per quell’incontro…
Una cosa sola non capiva: qual’era l’oggetto del contendere, quale il premio? Non c’era nessuno a guardarli, non era la vittoria in sé ad assetarli. Ma forse in cuor suo, fra le lacrime di commozione e il tremore che la scuotevano, aveva già capito.
Scese le scale, lentamente, coperta unicamente da una vestaglia azzurra, a piedi nudi, spettinata e in lacrime. Non appena arrivo’ in salotto la musica, divenuta quasi assordante, cesso’ di colpo: entrambi la guardavano, come se s’aspettassero qualcosa da lei. Balbetto’ qualcosa d’incomprensibile e prese il bicchiere di George per berne l’ultimo sorso di thè, poi ando’ e lo porto’ in cucina dove la sentirono singhiozzare.
“Arrivederci George” disse Eric allora allungandogli una mano. Quello la strinse e si alzo’ a rimettere la propria chitarra al suo posto. Eric fece lo stesso e se ne ando’ senza una parola di piu’.


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Capitolo di media lunghezza ma molto concentrato, probabilmente un po' pesante.
Mi scuso per il ritardo con cui lo pubblico, sapete che di solito sono molto rapida, ma anche la mia vena scrittoria è andata in vacanza per Natale. Spero ve lo gustiate insieme alle lenticchie!

Un bacio e tanti auguri
Kei

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Capitolo 11
*** X. Something ***


X
Something

 
 
 
Una di quelle mattine in cui stava lentamente sfumando il caldo estivo, frantumato dalle prime sferzate del vento settembrino, George annuncio’ che si sarebbe assentato a pranzo per raggiungere gli altri tre in un pranzo a lungo atteso, un vero e proprio festeggiamento; sembrava davvero felice, ma Pattie non coglieva il motivo di quella gaiezza, né comprese la risposta del marito’ quando provo’ a chiederglielo:

“E’ una sorpresa mia cara, una bellissima sorpresa per tutti, per te, per il mondo…” sfodero’ un sorriso tanto luminoso che le parve come tenuto nascosto a lungo “ma stai tranquilla, presto, molto presto potrai gioirne anche tu!” e le stampo’ un bacio sulla guancia pallida.
Negli ultimi mesi George l’aveva tanto tenuta all’oscuro dei suoi progetti lavorativi che per molto tempo non aveva visto nessuno degli altri Beatles o delle loro mogli, al punto che aveva iniziato a preoccuparsi di una possibile incrinatura dei rapporti fra loro; si era pero’ rasserenata vedendolo recarsi periodicamente in studio o apparire talvolta su giornali e televisioni per brevissime interviste in cui rimarcava la solidità della band e dell’impegno con cui si dedicavano a nuovi lavori. Ma Yoko non lasciava John neppure per un secondo e Linda sapeva che aveva registrato qualche coro insieme a Paul; Maureen l’aveva sentita una volta per telefono e le aveva detto che perfino Ringo avrebbe contribuito con un suo pezzo al nuovo album… insomma, l’unica a non sapere assolutamente nulla di questo nuovo capolavoro sembrava essere lei.
 

***

 
Arrivando all’incrocio fra Regent e Piccadilly s’imbattè in un George Martin cosi’ impegnato a pagare il tassista da accorgersi appena del suo tocco sulla spalla:
“Ecco a lei, tenga il resto… uh!” si volto’ e lo riconobbe con un ampio sorriso “Oh, sei tu!” gli disse salutando con un cenno l’autista che mise in moto e spari’ in pochi istanti “Queste vecchie volpi, fino a che tu sei a bordo procedono alla velocità d’un bradipo, quando hanno il portafoglio pieno scattano come se guidassero Ferrari…” borbotto’ “Immagino d’essere in un ritardo spaventoso”
“No, ti assicuro che neppure una Ferrari si guida cosi’!” rise Harrison abbracciandolo “E no, non sei in ritardo, sono le dodici e dieci minuti, siamo entrambi in perfetto orario” aggiunse mostrandogli l’orologio che aveva al polso. S’incamminarono insieme all’entrata del ristorante. Martin stringeva un pacco grosso e sottile quadrato di circa due spanne di larghezza.
 

***

 
L’interno del Criterion era, com’è tuttora, un lungo ed elegantissimo salone di marmo chiaro e tendaggi in stile neobizantino, affollato, subito dopo una piccola area bar, di ampi tavoli rotondi fra le alte pareti ad archi ciechi. Il loro tavolo era il piu’ appartato e distante dall’ingresso, proprio di fronte alla terrazza dove si sarebbero potuti ritirare a fumare o a bere un digestivo dopo il pranzo. Quando i due George vi furono accompagnati vi trovarono soltanto Paul, impegnato a rimirarsi in un ampio specchio rotondo posto sopra il caminetto:
“Oh buongiorno Georges” li saluto’ con tono fintamente altezzoso senza togliersi le mani da dietro la schiena “Le dodici e quindici e siete gli unici arrivati, mi complimento per la vostra, come dire,  singolare puntualità!” ridacchio’.
“Eccomi McCartney, sputasentenze!” un omaccione barbuto e dai grossi occhiali da vista entro’ pesantemente nella terrazza puntandogli un dito contro “Ricorda, non sono io ad essere in ritardo, ma tu ad essere perennemente in anticipo!”
“Mal, vecchio mio!” Paul ando’ ad abbracciarlo, per nulla intimorito dal suo tono burbero e dall’aspetto imponente “sai bene che non parlavo di te, non sei tu il ritardatario della compagnia…”
Martin ridacchio’ portando al mento il pugno per fingersi pensoso:
“Stiamo forse parlando…”
Harrison lo imito’:
“Fammi pensare…”
“Di John?” recitarono i quattro in coro scoppiando in una risata.
“Non ditemelo, John è di nuovo in ritardo…” Ringo era arrivato in quel momento e sorrideva gioioso dietro ai cristallini occhi, tristi per natura “e scusate il mio…”
“ Perdonato. Hai indovinato Richie” alzo’ le spalle Paul “Anzi, sono convinto che se anche lo aspettassimo non avremmo che le gambe stanche e gli stomaci dolenti vista la sua abitudine a scusarsi per il suo concetto alterato di puntualità…”
Risero, seguendo subito il consiglio di Mal Evans che sbadigliando si batteva lo stomaco con la mano e indicava il tavolo con l’altra:
“Io proporrei di metterci seduti”.
Un elegante cameriere si avvicino’ loro discretamente con un taccuino ed una penna in mano e a capo basso chiese loro se volessero ordinare.
“In realtà aspettiamo una persona…”
“In realtà abbiamo fame!” George Martin interruppe Paul battendo il palmo sul tavolo, e alla sua battuta rise persino il cameriere:
“Torno fra poco allora” disse trovando un compromesso mentre i convitati iniziavano a spulciare il menu’ con reazioni diverse.
“Troppa carne…” disse George con una nota di disappunto.
“Troppo pesce!” sbuffo’ Ringo.
“Oh, fois gras, adoro la cucina francese!” sospiro’ Paul.
“Cos’è tutta questa robaccia francese?” chiese Mal non sentito da McCartney perché sovrastato da George Martin:
“Ehm… a qualcuno piace la cucina italiana?”
“Volete ordinare?”
Paul si sbraccio’ per richiamare l’attenzione del cameriere sfoggiando i ricordi delle lezioni di francese della scuola:
“Oui garçon! J’adore la cuisine français…” ammicco’“Je prende des moules marinère et une boulabaisse… merci!”
“Mi perdoni signori ma le moules marinère sono tipiche della tradizione culinaria belga, non francese” sorrise imbarazzato il cameriere.
La tavolata intera rise e Paul arrossi’ senza cambiare la sua ordinazione.
George ordino’ dopo uno studio attento ad evitare la carne un’insalata con uva, noci e formaggio blu e lo stesso piatto di pasta al sugo di pomodoro e basilico che Martin aveva addocchiato attirato dalle prelibatezze mediterranee: il suo antipasto fu infatti del gazpacho con avocado e gamberetti. L’indecisa ordinazione dello stomaco delicato di Ringo, una zuppa di cipolle (questa davvero francese) ed un risotto con fagioli e altri legumi, fu schiacciata violentemente dalla ricca lista di quella di Mal che chiese confusamente ostriche, porco grigliato con salsa di mele, in onore, disse, alla Apple, polenta e tortino di pomodori e soltanto un assaggio di agnello con caviale; a parte chiese un piattino di patate saltate. Quando il cameriere stava per tornare in cucina i passi di quattro piedi in sincrono lo fermo’: John e Yoko erano arrivati in quel momento, vestiti di nero come due enormi corvi.
“Buon giorno, grazie di averci aspettati” disse John sarcastico.
“Volete che attenda la vostra ordinazione?” chiese educatamente il giovane.
“Io prendo quello che prende Yoko” ridacchio’ John.
“E io quello che prende John” sorrise Yoko.
“Potrei proporre il nostro piatto per due da condividere, controfiletto con patate, insalata e salsa al pepe…”
“Andrà bene” rispose John freddamente congedandolo.
I due si sedettero e l’atmosfera gelo’.
 

***

 
Il pranzo presegui’ in silenzio e per quanto la cucina fosse deliziosa non lo godettero fino al ritorno del cameriere per l’ordinazione del dolce, che presero tutti ad esclusione di Harrison (Paul ovviamente la crème broulèe al sambuco, John e Yoko la selezione da dividere; Mal si getto’ letteralmente in un mare di cioccolata e mascarpone).
Mentre Ringo ancora sbocconcellava la sua fetta di cheesecake al limone, Martin aveva già finito la propria e dopo aver ripulito il piatto della salsa alla mente aveva appoggiato il suo pacco sul tavolo:
“Ragazzi, è il momento” sorrise radioso mentre tutti smettevano di gustare il dessert “spero vi siate goduti il banchetto in suo onore perché lui è stato presente per tutto il tempo!”
“Fa’ vedere!” dissero tutti, e lui strappo’ la carta marrone per distribuire a ciascuno ad esclusione di Yoko una copia del medesimo disco.
“La copertina non mi piace molto, è triste” disse la giapponese.
“Neanche a me” aggiunse John dopo una lunga pausa d’imbarazzo.
 

***

 
La copertina non era che una foto dei quattro Beatles mentre attraversavano le strisce pedonali fuori dagli studi di Abbey Road, senza un senso logico nel loro abbigliamento; Paul era a piedi nudi e George era l’ultimo a sinistra.
“Forza, mettilo su!” George l’aveva abbracciata alle spalle “Ma salta il primo brano, voglio che tu senta il secondo…”
Pattie alzo’ le spalle e tolto il disco dal cellofan lo mise sul piatto e appoggio’ la puntina sul piccolo spazio liscio fra la prima e la seconda traccia…

Something in the way she moves
attracts me like no other lover…


Rimase sconvolta da tanta bellezza: era quel brano che gli aveva sentito suonare nel suo studio quell giorno che ne era stata cacciata fuori sgarbatamente.
“Volevo fosse una sorpresa” spiego’ George “E’ per te”.
Quella era la migliore canzone che avesse mai scritto, penso’ Pattie. E quello fu il migliore dei loro baci, pensarono entrambi. Con tutti quello che ne segui’.

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Ecco a voi quello che definisco un capitolo, finalmente. E' un po' lunghetto, ma spero non vi annoi, tutti questi personaggi forse non sono ben delineati, e me ne scuso, ma in fondo non è che una lunga descrizione funzionale alla storia, come si comprende alla fine.
Preciso che il Criterion Restaurant non è -ahimè!- di mia proprietà.

Vi bacio tutti e saluto Anna, che legge senza essere iscritta!
Kei

 

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Capitolo 12
*** XI. Layla e Majnun ***


XI
Layla e Majnun

 
 
 

 
Usci’ di casa senza avvertire George alle ventitrè e undici minuti come avevano pattuito, passando dalla porta sul retro e raggiungendo il marciapiede senza correre, interamente vestita di scuro e senza scarpe alte per fare rumore; detestava quella pagliacciata, ma sul biglietto non le era stata data la possibilità di rifiutarla.
La grossa macchina scura era li’ come le aveva promesso e quando vi passo’ accanto il conducente si sporse dal sedile del passeggero per aprirle la portiera e lei Sali’ sbuffando rumorosamente; richiuse la portiera e l’auto fu messa in modo:
“Molto bene, ora mi spiegheresti che cosa hai in mente?” sbotto’ Pattie abbassando il cappuccio della giacca che aveva usato per coprire la chioma bionda “Dove ci porterà questa pagliacciata, dove stiamo andando ora… Derek?”
Eric non rispose e si limito’ ad accendersi una sigaretta, sporgendo il braccio fuori dal finestrino aperto dopo aver aspirato.
“Ma sei impazzito per caso?!” grido’ lei “Siamo a gennaio, si gela! Vuoi fare venire una polmonite a tutti o due o cosa?” tento’ di sporgersi ad alzargli il finestrino ma lui la respinse senza dire una sola parola. Pattie non capiva e mise il broncio per nascondere l’inquietudine.
Clapton guidava sempre piu’ veloce nel buio e nel gelo della notte, ma fu chiaro ad entrambi che non si stavano dirigendo verso la casa di lui.
“Eric, si puo’ sapere dove stai andando? Se continui per di qui ti ritrovi a Piccadilly Circus, torna in dietro, ti prego! Riportami a casa!”
“Chi ti dice che io non voglia andare proprio li’?”
“A quest’ora?”
Eric tacque di nuovo ma guido’ effettivamente fino a Piccadilly Circus; stranamente, forse per il freddo, era praticamente deserta e parcheggio’ dove capitava.
“Scendi” le disse in un tono che aveva poco dell’invito mentre lui stesso scendeva ed andava ad aprirle la portiera sull’altro lato “voglio solo parlare”.
La prese per entrambe le mani mentre la aiutava a scendere e la condusse al centro della piazza dove la invito’ a sedere ai piedi della statua che la domina, un grande angelo con arco e frecce che ricordo’ a Patricia un grosso cupido. Che strano, pensava, pur vivendo a Londra da sempre non l’aveva mai notata prima di quel momento.
Passo attraverso i muri, i muri di Layla
e bacio questa parete e quest'altra…
Non è per le case l'Amore che ha preso il mio cuore

ma per Colui che in queste case dimora!”
“Tu sei impazzito!”esclamo’ Pattie guardando dalla parte opposta dopo averlo sentito recitare quegli strani versi sconosciuti “Ti è dato completamente di volta il cervello!” rimarco’ cercando in tutti i modi di sfilare la mani da quelle di lui, come tenaglie.
“Certo che sono impazzito!” confermo’ Eric prendendola per le spalle dando tregua alle sue mani “Sono impazzito per te! Impazzito d’amore, di gelosia vedendoti di nuovo fra le braccia di George! Non sai che dolore quelle note, cosi’ belle…” abbasso’ lo sguardo “Belle quasi quanto te Pattie… quella canzone sei tu!”
Si riferiva a “Something”, era chiaro. Pattie tacque per ascoltarlo.
“Io ti amo!” le spunto’ in faccia “Ti amo follemente, come Majnun ama Layla, che come Majnun morirebbe d’amore e non puo’ avere la sua Layla!”
Pattie lo guardo’: sembrava davvero pazzo, ma dietro la pazzia, nei suoi occhi brillava una luce piu’ brillante e piu’ malinconica, la stessa luminosità triste delle note della sua chitarra, quel giorno in cui lui e suo marito avevano duellato per lei.
“Chi sono Majnun e Layla, Eric?”
L’uomo salto’ in piedi:
“Oh dovresti sentirla, è una storia bellissima, Pattie! Lascia che te la racconti…. Io…”
“Storie, Eric?”
disse Pattie acida “E’ tutta la vita che sento storie! Storie su come realizzarmi, storie su come essere una donna, non la bambolina di un chitarrista famoso, storie su come io sia la musa ispiratrice di un Beatle, storie che mi hanno rincretinita tanto da farmi addirittura sposare un Beatle! Storie Eric, tutte storie e sono stufa di sentirne! Non sentiro’ anche la tua… ora basta.”
Eric non rispose ma qualcosa gli si spezzo’ dentro.
“Riportami a casa.” e non gli disse altro.

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Vi deludero' per l'ennesima volta ma ancora Slowhand non conclude! Non ho altri commenti da fare, quindi mi limito a baciarvi!

Kei

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Capitolo 13
*** XII. Layla ***


XI
Layla
 
 
 

 

Il giorno del compleanno di Pattie si avvicinava velocemente e George era deciso a prepararle una festa fantastica, con la musica, il cibo e la compagnia che piu’ avrebbe gradito, senza considerare minimamente le opinioni degli altri. Avrebbe chiamato per l’occasione il servizio di catering specializzato in cucina orientale migliore che si potesse trovare in tutta Londra e avrebbe lasciato preparare loro anche qualche piatto di carne, sapendo il sacrificio che comportava per lei averci rinunciato; pochi ma di qualità eccellente sarebbero stati gli alcolici, fra le piu’ svariate e costose le miscele di tè selezionate per l’occasione: la festa infatti sarebbe durata dall’ora del tè fino a tarda notte, abbracciando la fascia oraria preferita da Pattie, in una splendida villa visitata una volta e della quale era rimasta entusiasta su un’altura in campagna prestata da alcuni amici per un paio di giorni dove ammirare il tramonto dall’ampio terrazzo sul tetto sarebbe stato piu’ che mai suggestivo. Nessuno era stato dimenticato sulla lista degli invitati, tutta la famiglia si sarebbe radunata per l’occasione, ma anche ex compagni di scuola, membri di altre band, amici di vecchia data che non vedeva da tempo e qualche altro conoscente presentatole di cui aveva avuto una buona impressione. L’avrebbe accompagnata personalmente ad acquistare un nuovo abito per l’occasione: su ciascun biglietto infatti, conoscendo il gusto estetico della moglie, George aveva precisato che gli invitati si sarebbero dovuti presentare vestiti in modo impeccabile. Tutto sarebbe dovuto essere perfetto.

 
***

 

La mattina del diciassette marzo Pattie svegliandosi al rumore sordo di qualcuno che bussava alla porta della camera non trovo’ il marito accanto a sé sotto le lenzuola. Scossa da quel rumore bisbiglio’ istintivamente un “avanti”.
“Buon compleanno!”
Pattie balzo’ a sedere nel letto felice come non mai: davanti a lei c’era una donna poco piu’ giovane di lei e di una bellezza delicata ed intensa, il viso dolce e bianchissimo su cui brillavano due occhi verdazzurro e un sorriso luminoso poco truccato era contornato da una folta capigliatura rosso fiamma tenuta in ordine senza cotonatura da un sottile cerchietto nero; indossava un semplice tubino color salmone a margherite con finiture dello stesso colore del fermaglio e scarpe basse. Portava un grande vassoio con tè, latte, uova, bacon, toast imburrati e marmellata.
“Jane!”
“Pattie!” la rossa appoggio’ la colazione sul letto e strinse l’amica ancora in pigiama “E’ un secolo che non ci vediamo, George mi ha invitata a passare la mattinata con te e prepararti per la festa mentre lui si occupa degli ultimi dettagli” spiego’ con un sorriso.
“Fe-festa?” ripetè stupita Pattie addentando un toast con confettura di lamponi.
“Pattiee!” disse Jane battendole un dito sulla fronte ripetutamente“La TUA festa! Sai dirmi che giorno è oggi? Quante sono queste?” le mostro’ una mano aperta e tre dita dell’altra sventolandogliele davanti al naso come per accertarsi che non fosse ubriaca.
“E’ il diciassette!” esclamo’ la bionda “E’…”
“Il tuo compleanno! Cade lo stesso giorno da ventisei anni!” la interruppe l’altra rubandole una fettina di bacon croccante “Strana la vita, eh?” disse a bocca piena.
Suonarono alla porta e Jane si precipito’ giu’ dalle scale per aprire; risali’ con due donne munite di una valigetta ciascuno:
“Queste sono Kate e Deloris, ti renderanno ancora piu’ favolosa di quanto sei”.
Pattie fu assalita da truccatrice e parrucchiera ancora nel letto mentre Jane tirava fuori dall’armadio l’abito della festa.

 

***

 

Alle quattro e trenta George varco’ la soglia con un enorme mazzo di rose rosse:
“Sei pronta Pattie?”
Jane gli ando’ incontro prendendogli le rose di mano:
“Quasi, sta scegliendo le dannate scarpe!”
Lui si porto’ una mano al volto e quando la tolse lei era li’: il vestito, morbido e rosa sui fianchi e color panna a fasciarle il busto, le lasciava scoperte le spalle; al collo una sciarpa appena piu’ scura della gonna e le scarpe scelte erano del medesimo colore, alte e con un laccetto alla caviglia. Kate le aveva cotonato i capelli e arricciato morbidamente la frangia, Deloris l’aveva abilmente truccata di rosa.
“Pronta?”
“Pronta!”
“Ah, a proposito, sono pronta anche io se a qualcuno interessa!” aggiunse Jane.

 

***

 

La festa era meravigliosa e Pattie accolse ogni dettaglio con entusiasmo, dai pasticcini al colore delle tovaglie e nonostante l’enorme quantità di dischi i musicisti presenti si alternarono in una jam tanto lunga da non lasciare spazio a nessuno di loro.
Passo’ serenamente la serata con Jane -che stava vistosamente ignorando Paul, presente insieme a Linda- e sua sorella Jenny, ma la sua contentezza fu turbata dall’arrivo poco prima di cena arrivo’ Paula, la piu’ piccola delle sue sorelle, coi capelli corti un vestitino azzurro, stretta al braccio di Eric:
“Chi l’avrebbe detto, eh?” le bisbiglio’ all’orecchio George passandole accanto.
Un moto di gelosia la colse stringendola come in una morsa e per un istante, poco prima di tornare a divertirsi, li odio’ entrambi.

 

***

 

“Vorrei fare un annuncio, signori e signori!” riconobbe Eric in quella voce “Questa sera sono qui per dedicare alla nostra festeggiata il prossimo singolo dei Derek and the Dominos!”
Gli applausi eclissarono le sue parole mentre imbracciava una chitarra e calibrava un riff micidiale. Pattie lo guardava col terrore negli occhi: aveva bevuto? Era davvero impazzito? Sapeva solo che quelle note la stavano già conquistando.

What'll you do when you get lonely
and nobody's waiting by your side?

 
Non era giusto, non era possibile, eppure quella meraviglia era per lei, ne ebbe la conferma poco dopo quando il ritornello le esplose in faccia:

Layla, you've got me on my knees…
Layla, I'm begging, darling please!
Layla, darling won't you ease my worried mind?

 
“Tutto bene, Pattie?” le chiese Jenny vedendola cosi’ sconvolta e invitandola inutilmente a sedere.
Mugolo’ qualcosa in risposta mentre sul finire della canzone gli occhi di Eric, molto piu’ belli del solito cercavano i suoi.

Please don't say we'll never find a way
and tell me all my love's in vain.

 
E il sorriso di Pattie gli rispose meglio di mille parole.

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Allora, questo penso proprio che sia un capitolo soddisfacente per tutti, chi lo voleva che venisse meglio incentrata Pattie, chi voleva che finalmente succedesse qualcosa, chi voleva descrizioni, chi voleva un personaggio che abbassasse la tensione: c'ho azzeccato? Informazione simpatica: con questo capitolo la storia raggiunge 10.500 parole.

Kei

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Capitolo 14
*** XIII. I looked away ***


XIII
I looked away (and she run away)
 
 
 

 

Nell’oscurità di quella notte senza luna il suo corpo nudo sembrava tanto bianco da risplendere e cosi’ piccolo da perdersi nell’immensità del letto matrimoniale di Eric, cosi’ meravigliosamente bello da lasciargli nascere dietro gli occhi una lacrima di commozione. Lei si copriva i seni con le mani e accavallava le lunghe gambe, un po’ per pudicizia, un po’ per provocarlo, lui non era in grado, turbato e commosso, di stendersi al suo fianco;  solo quando vide le sue braccia allungarsi per accoglierlo che si scopri’ fremente nella propria debolezza e si chino’ su di lei.
A lungo si perse in quegli occhi tanto blu da sembrare finestre sul giorno, senza parlare; solo quando lei schiuse le labbra per farlo si ritrovo’ a impedirglielo, invadendo la sua bocca di rosa con la propria, in una lotta di lingue e di mani tremanti. Esploro’ i suoi capelli dorati e il suo collo, la piega morbida fra i suoi pallidi seni e la curva dolcissima del suo ventre; rubo’ il suo sapore di donna e le offri’ il proprio di uomo fino all’esasperazione di entrambi, quando costringendosi alla dolcezza trovo’ rifugio fra le sue gambe per unirsi a lei in un amplesso di lacrime e sospiri.
Si occupo’ di lei, incapace di non cedere ai suoi desideri, sussurrati all’orecchio o nascosti in un gemito, risalirono insieme le vette piu’ alte fino a che la senti’ fremere incontrollata quasi prossima a perdere i sensi. Solo allora si concedette il piacere, emozionandosi fino al pianto, abbandonandosi fra quelle braccia forti e sottili e accasciandovisi stremato.
“Pattie…”
“Come mi hai chiamata?”
Gli ci volle un solo istante per realizzare le sue stesse parole, un solo secondo per capire che aveva distrutto per sempre quell’unica briciola di pace che era riuscito a costruirsi, l’unica goccia di equilibrio era caduta di nuovo in un oceano di dubbio e gelosia; sapeva che prima o poi quel surrogato d’amore che assomigliava per intensità di sapore ed efficacia ad un caffè decaffeinato  si sarebbe dissolto, ma mai avrebbe immaginato la vergogna e il dolore che sarebbe significato per entrambi: l’aveva umiliata, aveva ucciso sé stesso.
“Non preoccuparti” disse lei duramente alzandosi e reinfilandosi il vestitino dalla testa senza slacciarlo “ho capito: me ne vado.”
“Aspetta Paula! Io…”
Sbattè la porta della camera d’albergo uscendo e non gli rivolse piu’ una sola parola.

 

***

 

Paula pur non essendo bella come le due sorelle maggiori assomigliava moltissimo ad entrambe e vederle sedute allo stesso tavolo come quel giorno avrebbe confuso chiunque: tre paia di identici occhi blu intenso posavano alternativamente gli occhi sulla medesima teiera, tre bocche perfette ne sorseggiavano e sei mani bianche e curate gesticolavano mentre parlavano con voce simili. Soltanto Jenny poteva sembrare diversa per la sua chioma castana, ma la sua abitudine di acconciarli esattamente come Pattie e i loro volti quasi sovrapponibili toglievano ogni dubbio; ribelle la piu’ piccola li portava corti, da quando da adolescente li aveva tagliati da sola con un grosso paio di forbici, con sommo orrore della madre e delle sorelle: non ne poteva piu’, disse, di essere cosi’ uguale a Pattie.
Jenny raduno’ le tazzine prima di parlare:
“Paulie, come mai non mi hai detto che Eric ha pubblicato un nuovo disco? Lo sai che mi piace molto la sua musica! L’ho comprato solo ieri, c’è anche…”
“La canzone di Pattie, lo so” replico’ lei acida facendo sobbalzare la sorella chiamata in causa.
“Ma allora perché…”
“Ci siamo lasciati.”
Il gelo crollo’ sul tavolo mentre Pattie si rigirava fra le mani il trentatrè giri che la maggiore le aveva messo in mano prima, incredula.
“Come mai?” oso’ chiedere appoggiandoselo sulle gambe.
Paula la guardo’ con occhi truci, che contraddicevano la sua alzata di spalle.
 

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Rieccomi con questo nuovo capitolo del tutto inutile alla storia ma che ci tenevo a stendere anche per ufficializzare l'uscita sul mercato di "Layla and other assorted love songs" nella trama. E' corto ma trovo che sia abbastanza efficace e tutto sommato rilassante dopo la serie di eventi nei precedenti.
Ho aggiunto i pulsanti per condividermi su FB e Twitter, anche se dubito che qualcuno lo farà.
Ammetto che volevo scrivere qualcosa di piu' impegnativo, ma problemi di salute e la brutta notizia del naufragio di Costa Concordia mi hanno scossa; un pensiero quindi all'isola del Giglio, anche se con i miei scritti non centra nulla.

Vi bacio
Kei

 

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Capitolo 15
*** XIV. Ah, Brown Sugar! ***


XIV
Ah, Brown Sugar!

 


Il matrimonio con George non era altro che una farsa ormai, una splendida facciata costellata di marjuana e tradimenti da parte di entrambi; i meravigliosi anni sessanta erano sfumati insieme alle sue illusioni nel nuovo decennio; il primo disco solista di George era andato alla grande e il suo impegno sociale, che pure la rendeva praticamente una vedova, aveva trovato il suo coronamento con il monumentale concerto di beneficienza per raccogliere fondi per il Bangladesh, ma i Beatles non esistevano piu’ né vi aveva partecipato –ad esclusione di Ringo-, nessuna quindicenne si sarebbe piu’ strappata i capelli per loro, il rock’n’roll stesso stava morendo nella morsa di distorsioni assordanti e grida orgasmiche di cantanti isterici e lei stessa si era ritrovata a comprare per curiosità il neonato quarto album di questi Led Zeppelin che ai suoi occhi non avevano avuto altro che una fortuna sfacciata; ma il chitarrista, sapeva, aveva suonato con Clapton, non poteva essere cosi’ male. Era stato Mick, raccontandoglielo, a spingerla quella mattina a comprarlo, poi avevano passato insieme diverse ore, ritrovandosi a pranzare insieme in un locale semplice ma accogliente, una specie di pub.
Mick Jagger era cosi’, sofisticato sul giornali e alle feste e trasgressivo, squisitamente alla mano e pacato se messo a suo agio; non era definibile bello, cosi magro e spettinato e con quelle labbra semplicemente esagerate, ma aveva una carica erotica ed un fascino indefinibilmente irresistibile, come se avesse un demonio tentatore in corpo. Era l’opposto di George, ma a Pattie era sempre piaciuto: quando erano soli non indossava maschere, era davvero l’adolescente eccitato che sembrava e non nascondeva nessuno dei suoi difetti per piacere di piu’. Uscivano insieme da anni, talvolta c’era con loro anche Keith, Keith Richard, ma questi non si era piu’ presentato ai loro incontri da quando lei gli aveva fatto notare, se pur con tono amichevole, che era perennemente fatto o ubriaco.
Cosi’ quel giorno Pattie e Mick si erano divertiti insieme in qualità di buoni amici: gli aveva detto chiaramente che non aveva neanche piu’ la forza di tradire George e lui aveva alzato le spalle portandola a passeggiare lungo il fiume, cantando per strada come un idiota e portandola a mangiare all’ora di pranzo; ordino’ per entrambi pesce fritto con patatine e salse fra le piu’ varie, infrangendo miseramente la sua dieta perenne.
“Che prendete da bere?”
“Due Pepsi, tesoro!”
“Di cui una light, grazie…”
La cameriera strizzo’ l’occhio a Mick prima di gridare la loro ordinazione dal bancone alla cucina.
“Oh Pattie” le disse Mick mentre accoglievano le bevande “smettila con quest’ossessione della dieta, sei perfetta… anzi, troppo magra ultimamente!”
Pattie sorrise flebilmente e storse un po’ il naso quando vennero presentati loro i due piatti ricolmi di frittura che inizio’ a sbocconcellare di malavoglia; improvvisamente quel meraviglioso cocktail di grassi saturi le avvolse le papille gustative inebriandole e provo’ a ricordare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui aveva mangiato un piatto di fish and chips. Divoro’ la sua porzione riscoprendo tutte quelle salse e un sorriso.
Mentre Pattie si ripuliva le mani e ingoiava l’ultimo morso Mick cambio’ espressione e stranito le guardo’ oltre la sua spalla incuriosendola. Si giro’:
“Eric?”
Era lui, mal vestito, pallido e con due pesanti occhiaie che gli segnavano il volto, ma sorrideva impercettibilmente. La saluto’ con un cenno stanco che le termino’ sulla spalla destra, facendola subito trasalire:
“Ciao Pattie…”
“Ci sarei anche io Clapton se non avessi notato” disse Mick acido alzando un sopracciglio.
Eric gli rivolse un cenno col capo.
“Che ci fai qui?” chiese duro il cantante dando voce ai pensieri di Pattie.
“Io…” comincio’ lui maldestramente “volevo parlarti, Pattie” disse continuando a ignorare l’altro.
Lei si alzo’ lanciando uno sguardo di intesa a Jagger e segui’ Eric fuori dal locale; lo guardo’ duramente sparando violentemente un “che vuoi?”
Eric caccio’ un sospiro e provo’ a sorriderle:
“Hai sentito il disco?”
“Quale disco?”
“Il mio… il singolo tutto per te”
spiego’ con voce stanca “E’ un messaggio.”
“E cosa dice?”
sbuffo’ Pattie impaziente appoggiandosi al muro del locale con le braccia incrociate.
Eric si battè le gambe con le braccia, tastando le tasche alla ricerca di qualcosa, poi ne tiro’ fuori una bustina trasparente non piu’ grande del suo palmo, piena di una strana sostanza simile a farina ma piu’ granulosa e quasi grigiastra.
“Se tu non scappi con me, io prendo questa” disse serio.
“Cos’è?”
“Eroina”

Pattie si senti’ gelare il sangue nelle vene e allungo’ istintivamente una mano per prendergli la dose e gettarla il piu’ lontano possibile da lui, perché non riuscisse a farsi del male per lei. Ma a che scopo? L’avrebbe ricomprata comunque.
“Non fare lo stupido” lo supplico’ con le lacrime agli occhi.
“No” le sorrise fra i lunghi capelli e dietro la barba scura “è proprio cosi’: è finita.”
La bacio’ in fretta all’angolo della bocca prima di allontanarsi a piedi. Pattie non riusci’ a muovere un muscolo e Mick non riusci’ a tirarle fuori bocca una sola parola sull’accaduto.


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Capitolo tragico ma, per quanto romanzato e reso verosimile dalla presenza di Mick Jagger, documentato dalla stessa Pattie. Spero sia di qualità un po' superiore agli ultimi.

Un bacio e una dedica a tutti, con un grazie speciale a
Anima97 che mi lusinga cosi' splendidamente.
Kei

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Capitolo 16
*** XV. Due anni dopo ***


XV
Due anni dopo

 
 

 
La domestica interruppe Pattie mentre, seduta alla tavola della colazione con il marito, intratteneva alcuni ospiti arrivati la sera prima alla cena di Natale nella nuova casa di Henley-on-Thames, acquistata subito dopo il compleanno di Pattie: le era sempre piaciuta, ma dopo la festa George l’aveva vista tanto entusiasta che aveva deciso di prenderla tutta per loro e a distanza di piu’ di due anni in cui l’avevano usata per qualche occasione importante vi avevano ormai trasferito tutto. Friar Park aveva venticinque camere da letto ed un salone da ballo, ben sfruttati in occasione del famoso party, una libreria e un immenso giardino dove passeggiare e meditare. Piaceva ad entrambi, sebbene lei la trovasse fin troppo grande; avevano assunto un giardiniere, un cuoco vegetariano, un paio di camerieri e alcune ragazze per tenere in ordine la casa e grazie a loro non proprio tutte le stanze restavano inutilizzate. Di queste quella mattina fu l’indiana Surya a portare una raccomandata alla padrona di casa, bella e radiosa come sempre da quando aveva grazie a loro avuto un lavoro stabile, togliendo sé stessa e la sorella dalla strada, dalla droga, dalla prostituzione in cui era caduta per curare la malattia di Loona; era felice di servire lei e George e lui di rimando ne era fin troppo entusiasta, ma a Pattie importava poco, persino quando di notte sgattaiolava fuori da letto per raggiungerla in biblioteca.

“E’ arrivata questa per lei, signora…”
Pattie appoggio’ la fetta di pane spalmata di miele sul piatto per prendere la lettera:
“Grazie Sur…” la ringrazio’ inghiottendo il boccone “Credevo fossi andata a portare Loo a scuola!”
“Non piu’!” spiego’ sorridendo “Ha finalmente preso la patente e ha insistito per andare da sola” si allontano’ quindi con un cenno troppo affettuoso nei confronti di George e spari’.
La busta era leggermente stropicciata, di carta ocra, senza mittente; comunque non riconobbe la piccola grafia di chi aveva scritto l’indirizzo. Accanto all’unico francobollo pero’ due timbri di due colori diversi recavano le note dell’ufficio postale ESPRESSO e URGENTE. L’apri’ con il retro della lama del coltello ancora inutilizzato che aveva in mano e vi trovo’ un foglio troppo piccolo e bianchissimo, un biglietto di cartoncino recante un messaggio senza data nella medesima grafia osservata sulla busta: piccola, immacolata, in inchiostro nero.

 

   cara piu’ che a me,

                                                   come probabilmente le tue, anche le mie questioni famigliari
non sono altra un’immensa farsa che sta rapidamente degenerando giorno per giorno, intollerabilmente… mi sembra essere passata un’eternità dall’ultima volta che ti ho vista o ti
ho parlato!

ti prego, ricominciamo, qualunque cosa accada, la mia idea di te resterà la stessa.

con tutto il mio amore    
                          E.                   

                                  

Pattie tacque a lungo rileggendo piu’ volte quelle poche righe senza capire, osservata sempre piu’ seriamente dagli invitati e da George.
“Brutte notizie?” chiese preoccupandosi visibilmente Linda McCartney stringendo la mano di Paul. Anche loro avevano dormito li’ dopo aver esagerato la sera prima con l’ottimo vino che pure gli Harrison non avevano toccato affatto.
Sorrise passandole il biglietto prima di ridere irresistibilmente:
“Leggetelo!” disse alla coppia e invitando con un gesto della mano a condividerlo con gli altri “Capirete quanti squilibrati ci sono al mondo!”
“E questo chi sarebbe?” chiese Paul alzando il sopracciglio mentre sbirciava lo scritto in mano alla moglie “Un tuo ex amante o qualcosa del genere?” azzardo’ facendo un occhiolino volutamente esagerato.
Linda gli tiro’ uno scappellotto sulla nuca prima di ridere e scusarsi con un bacio sulla guancia; lui continuo’ a lamentarsi del colpo tastandoselo con la sinistra per tutto il resto della colazione.
“Non ne ho idea!” tossicchio’ Pattie mentre tutti leggevano e cominciavano a ridacchiare progressivamente, sincera ma turbata da quella battuta. Aveva volutamente evitato di parlare di Ron raccontando della vacanza alle Bahamas. In ogni caso quella E. non poteva significare né Ron, né Wood, né nessuno pseudonimo dell’ex amante.
Ringo colse lo spirito dell’affermazione di Pattie e rise di gusto leggendo:
“Favoloso Patricia!” disse con un enorme sorriso “Ormai hai piu’ fans di George!”
Pattie arrossi’ un po’ mentre George le chiedeva serio:
“Probabilmente è qualche fan squilibrato e basta… ma se ti preoccupa possiamo avvisare le autorità e fare presente che ricevi lettere da un pazzo…”
“George, George, George!” Paul si era alzato in piedi e si era messo alle spalle di Pattie, poggiandole le mani sulle spalle “La nostra Pattie è una fotomodella da panico, ok?” disse pacato mentre si spostava alle spalle dell’amico “Quante lettere di pazze isteriche, quante pazze isteriche abbiamo avuto fuori dalla nostra porta, quante frasi pazze ed isteriche abbiamo letto?” tutti risero, tranne Linda che si era portata una mano alla fronte esasperata “Hai una moglie immensamente piu’ bella di quanto fossimo noi e pretendi che non abbia neppure uno spasimante pazzo isterico?”
Pattie, riavuta la lettera, la strappo’ in quattro pezzi e si alzo’ per gettarla nel camino.
 

***

 
Tutti erano già tornati a casa, quella sera, e Pattie si trovo’ dopo cena a sorseggiare una tisana davanti al grande fuoco della sala da pranzo. Lontano senti’ squillare un telefono, ma non se ne curo’: avrebbe risposto una delle ragazze.
Lo squillo’ continuo’, insistente.
“Surya?” grido’.
Nessuna risposta.
“Emma?” strillo’, ma si ricordo’ che era il suo giorno libero.
Niente.
“Marie!?”
Sbuffando appoggio’ la tazza fumante e si alzo’ lei stessa e corse pesantemente a rispondere. Le pagava, quelle tre, piuttosto bene, e non si smuovevano neppure per rispondere ad uno stupido telefono; le maledisse mentalmente mentre impugnava con veemenza la cornetta.
“Pronto?”
“Sono io”
Un tuffo al cuore. Quella voce smorzata, quell tono pacato… Eric.
“C-ciao…” bisbiglio’ in risposta.
“Allora, l’hai ricevuta la mia lettera?”

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Insomma, quindici capitoli. Un numerone. Ben tredicimila parole.
Detto questo in realtà non ho molto da dire se non ringraziare tutti i recensori di tutto cuore, spero continuiate a leggermi fino alla fine della fic e oltre questa per ben piu' di altri quindici. Per la gioia di alcuni ho fatto riapparire Surya e Loona, anche se per un ruolo marginale. Buona lettura.

Kei, che finalmente ha scoperto perchè era sempre malata.

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Capitolo 17
*** CREDITS ***


CREDITS




"Layla"
(titoli)
Composta da Eric Clapton e Jim Gordon per Derek and the Dominos e pubblicata nel dicembre 1970 da Atco (US) e Polydor. Le registrazioni avvennero nei Criteria Studios di Miami. E' tratta dall'album dello stesso anno "Layla and other assorted love songs".

LSD (cap. V)
Sigla del dietilamide-25 dell'acido lisergico, è stato sintetizzato la prima volta nel 1938 da Albert Hoffman nei laboratori Sandoz di Basilea. L'ultimo brevetto è scaduto nel 1963. Questo testo non vuole incitare al consumo di droghe allucinogene.

"Something" (cap. VII, X)
Registrata il 25 febbraio 1969 negli Abbey Road Studios (Londra) e pubblicata nell'LP Abbey Road e come singolo il 31 ottobre dello stesso anno sotto etichetta EMI, marchio Apple Records di Apple Corps, è attualmente protetta da copyright da Harrisongs.

Abbey Road Studios (cap. VII, X)
Proprietà EMI dal 1929 e in attività dal 1931.

Fender (cap. IX)
La Fender Musical Instruments Corporation, fondata nel 1946 è un marchio registrato. Il modello Stratocaster nasce nel 1953.




Ferrari (cap. X)
La Ferrari S.p.A. è una casa produttrice di auto di lusso da corsa italiana nata nel 1947.

Criterion Restaurant (cap. X)
Uno dei ristoranti storici di Londra, offre alta cucina dal 1874.

Apple Corps Ltd. (cap. X)
Fondata come investimento dai Fab4 nel 1968 è attualmente proprietà di Paul McCartney, Ringo Starr, Olivia Harrison e Yoko Ono e, a differenza degli esordi in cui il progetto era di tipo mecenatico, si occupa prevalentemente di merchandising.

"Abbey Road" (cap. X)
Marchio Apple Records di Apple Corps. Etichetta EMI. I brani sono di proprietà dei compositori o dei loro eredi.



"Brown Sugar" (cap. XIV)
Prima traccia del nono album dei Rolling Stones fu scritta da Mick Jagger e Keith Richard e pubblicata dall'Atlantic Record con etichetta Rolling Stones Records. Il controverso testo parla di sesso, droga, politica.

(cap. XIV)
Quarto album degli inglesi Led Zeppelin, conosciuto anche come "Led Zeppelin IV", "ZoSo" o "Runes album" è stato pubblicato l'8 novembre 1971 da Atlantic Records.

Pepsi-Cola (cap. XIV)
Soft drink del marchio registrato americano PepsiCo. dal 1890.

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Sezione in aggiornamento

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