Love... In Progress

di MooNRiSinG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo ***


Questa fan fiction è il seguito di "Love... Eventually".


Il sole era ormai tramontato da un pezzo e l’aria fresca della sera fece rabbrividire leggermente Kurt.
L’estate stava volgendo al termine e lui si ritrovò a trattenere a stento un sospiro all’idea di affrontare un nuovo anno alla McKinley: certo, avrebbe potuto vedere Blaine tutti i giorni – e questa era una cosa che gli era sicuramente mancata in quei mesi – ma si sarebbero comunque trovati circondati da un ambiente ostile e sarebbero stati costretti a rinunciare agli spontanei gesti di affetto cui si erano abituati nel corso dei lunghi pomeriggi passati insieme, seduti sotto un albero nel giardino sul retro di casa Hummel o raggomitolati sul divano del soggiorno.
Il suo sguardo si spostò istintivamente su Blaine: il ragazzo se ne stava sdraiato sull’erba e, come sempre, sembrava totalmente assorto dal libro che stava leggendo.
Kurt roteò gli occhi e si lasciò cadere accanto a lui, storcendo il naso alla sensazione del contatto con l’erba umida.
“Blaine, sarà meglio rientrare.” Mormorò, passando le dita fra i capelli dell’altro, “Se restiamo sdraiati qua fuori ci prenderà un accidenti.”
L’unica risposta che ottenne fu un lieve cenno di assenso col capo, ma per il resto il ragazzo non diede nessun segno di averlo sentito.
“Sai, staresti davvero meglio se avessi i capelli verdi. Possiamo provare a tingerli?” continuò con tono innocente, fingendo di esaminarsi le unghie con estrema attenzione.
“Certo.”  Borbottò distrattamente Blaine.
“Stavo pensando di cambiare sesso e di intraprendere la carriera di danzatrice esotica con il nome di Luhalla.”
“Mh-h.”
Niente.
“Già posso vedere i cartelloni degli strip club di Las Vegas: ‘Luhalla, la sexy pornostar della porta accanto’… potrei decorarmi i capezzoli con dei mazzi di violette, che ne dici?”
“Mh.”
Cervello non pervenuto.
“Ma in fondo le violette fanno così anziano… forse potrei evitare l’operazione e tatuarmi un pitone dritto dritto sul… Blaine, non mi stai ascoltando!” concluse inviperito, alzando il volume della voce di parecchi decibel e di parecchie ottave, costringendo il rottweiler del vicino a ritirarsi nella sua cuccia uggiolando pietosamente.
Blaine gli rivolse uno sguardo contrito e si affrettò a chiudere libro, senza nemmeno preoccuparsi di segnare la pagina cui era arrivato: “Mi dispiace davvero, Kurt! E’ solo che il libro che mi hai regalato è così interessante che a volte…”
“Non ti preoccupare. Suppongo che dovrei sentirmi lusingato dal fatto che il mio regalo ti sia piaciuto così tanto.” sospirò il ragazzo, sorridendo rassegnato, “Comunque faremmo meglio a rientrare in casa: si sta facendo davvero tardi e non vorrei che i tuoi si preoccupassero per te.”
Per un attimo gli sembrò di scorgere qualcosa di indecifrabile negli occhi di Blaine, ma si trattò soltanto di un momento e lo etichettò come uno scherzo della sua immaginazione.
Quando si voltò per entrare in casa, Blaine si tese involontariamente: aveva cercato di comportarsi nella maniera più normale possibile per evitare di preoccupare il suo ragazzo, ma, nonostante tutti i suoi sforzi, quello che stava accadendo aveva cominciato a invadere i suoi pensieri a tal punto che spesso si ritrovava a scivolare in un silenzio impenetrabile senza neppure rendersene conto.
Se Kurt avesse prestato maggiore attenzione si sarebbe probabilmente accorto che non aveva girato pagina nemmeno una volta nel corso delle numerose ore che avevano trascorso fuori. E avrebbe sicuramente notato il suo sguardo perso nel vuoto, o le sue labbra serrate in una smorfia preoccupata.
Fortunatamente, però, l’attenzione di Kurt sembrava totalmente focalizzata sulla situazione a dir poco drammatica in cui si trovavano al momento le New Directions: dopo il terzo posto alle Nazionali, invece di festeggiare l’ottimo risultato conseguito, i membri del gruppo avevano cominciato a scagliarsi gli uni contro gli altri e ad accusarsi reciprocamente di cose completamente assurde.
Kurt e Blaine avevano cercato di rimanere neutrali, ci avevano provato davvero, ma poi Sam aveva lasciato intendere non troppo velatamente che con tutta probabilità era stata la loro omosessualità a costare loro il primo posto e Mercedes aveva prontamente rincarato la dose sostenendo che se avessero permesso a lei di cantare avrebbero sicuramente portato a casa la vittoria. A quel punto i due avevano rinunciato a mantenere la calma e si erano lasciati coinvolgere dalla guerra in atto.
Quel giorno c’erano voluti gli sforzi congiunti di Puck e Finn per impedire a Kurt di cavare gli occhi a Mercedes, mentre Blaine era stato fermato da Mr. Shuester mentre tentava di infilare il trofeo di New York nella bocca di Sam urlando che, visto che il trofeo era così piccolo, sarebbe sicuramente entrato a meraviglia in quella specie di Samsonite di Mary Poppins che Sam ostentava al posto della bocca.
Da quel giorno Kurt e Blaine si erano allontanati dal gruppo e, fatta eccezione per Finn e Rachel, avevano interrotto ogni genere di contatto con gli altri membri.
Facebook taceva e il telefono piangeva, ma i due erano rimasti ferrei nella loro decisione e questo aveva regalato loro un’estate di totale serenità.
Ma ora la scuola stava per ricominciare… Blaine sospirò e seguì Kurt in cucina.
Carole lo accolse con un sorriso smagliante: “Ti fermi a mangiare con noi, tesoro?”
 “Mi spiace, devo assolutamente tornare a casa stasera. I miei ci tengono a passare del tempo con me prima che ricominci la scuola.” Mentì lui con scioltezza. Come poteva dirle che il vero motivo per cui doveva tornare a casa era che suo padre stava cominciando a chiedergli fin troppo spesso dove – e soprattutto con chi – passasse la maggior parte del suo tempo? Come poteva farle capire la necessità vitale di tenere i suoi genitori completamente all’oscuro della sua relazione con Kurt? Gli Hudson-Hummel erano una famiglia meravigliosa e sicuramente non sarebbero stati nemmeno in grado di concepire una cosa del genere. Anzi, con tutta probabilità avrebbero pensato che lui si vergognava di Kurt o qualcosa del genere.
Probabilmente la sua espressione doveva averlo tradito, perché la donna si sporse verso di lui con un’espressione preoccupata stampata sul volto: “Sei sicuro di star bene?”
Blaine si affrettò a indossare di nuovo la maschera allegra che portava ormai da diverse settimane.
“Sì, certo, sono solo un po’ intontito… troppo sole.” Si affrettò a rassicurarla.
Ansioso di sfuggire allo sguardo estremamente percettivo di Carole, passò in salotto per salutare Kurt, Burt e Finn.
Dopo aver declinato l’invito degli ultimi due a rimanere per la partita si ritrovò nel vialetto d’ingresso, finalmente solo.
Ormai era chiaro, si stava avvicinando sempre di più il momento in cui avrebbe dovuto raccontare la verità a Kurt.
Ma prima…
Prima avrebbe dovuto parlare con suo padre.
 

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo ***


Kurt si lasciò cadere sul divano e cominciò a sfogliare una copia dell’ultimo numero di Vogue. Finn e suo padre lo accolsero con un cenno del capo, senza nemmeno staccare gli occhi dallo schermo.
Fino a poco tempo prima la presenza di Kurt in salotto durante una partita li avrebbe sorpresi, ma negli ultimi tempi, soprattutto a causa del fatto che Blaine si fermava molto spesso ad assistere agli incontri assieme a Burt e a Finn, il ragazzo aveva preso l’abitudine di sedere accanto a loro, leggendo o armeggiando con il suo portatile e godendo dell’aria di sottile cameratismo che sembrava aleggiare nel soggiorno.
Il rumore della porta della cucina che sbatteva li fece sussultare e voltare di scatto: Carole se ne stava sulla soglia del soggiorno, completamente zuppa, fra le braccia una catasta di panni in condizioni non molto migliori delle sue.
Kurt si alzò immediatamente e la liberò del suo carico, affrettandosi a portare i vestiti gocciolanti nella lavanderia.
“Cosa diavolo è successo?” domandò Burt, la bocca ancora spalancata per la sorpresa.
“E’ successo che ho notato che il cielo si stava rannuvolando e ho pensato che sarebbe stata una buona idea ritirare il bucato steso in cortile.” Sibilò Carole, “Quello che non mi aspettavo è che nel giro di un minuto si sarebbe scatenato uno stramaledettissimo tifone e che mi sarei ritrovata bagnata fradicia in meno di trenta secondi!”
La donna accettò con uno sguardo di gratitudine il grande asciugamano che Kurt le stava porgendo e cominciò a tamponarsi i capelli, cercando di evitare di trasformare il pavimento in una sorta di pozza per le rane artigianale.
Kurt si avvicinò alla finestra con aria preoccupata e cominciò a tamburellare nervosamente con le dita sul vetro: “Chissà se Blaine è riuscito ad arrivare a casa…”
“Sono sicuro di sì,” lo rassicurò Burt con una pacca sulla spalla, “anche perché è partito più di due ore fa e a quest’ora ce l’avrebbe fatta ad arrivare perfino in triciclo… beh, in triciclo forse no. Sai, per via delle gambe corte.”
Finn si lasciò sfuggire un grugnito divertito e Carole rivolse al marito un’espressione scandalizzata: “Burt!”
“Ma è vero!” si difese lui, non riuscendo a trattenersi dal ridere, “Lo sai che il ragazzo mi piace, ma non si può certo dire che sia una stanga!”
Si voltò verso Kurt, aspettandosi di vederlo sputare fuoco dalla bocca, ma lui stava semplicemente continuando a fissare la tempesta che imperversava all’esterno.
Riconoscendo la sincera preoccupazione sul volto del figlio, Burt lasciò immediatamente perdere gli scherzi: “Perché non provi a chiamarlo? In questo modo riuscirai finalmente a tranquillizzarti e sarai in grado di concentrarti sulla notizia che io e Carole abbiamo intenzione di darvi a cena.”
“Sei incinta?” squittì eccitato Kurt, afferrando saldamente le mani di Carole.
Finn si lasciò sfuggire un verso di disgusto: “Cos… oh mio Dio, no, Kurt! Stai parlando di mia madre! Lei non le fa certe cose… vero, mamma, che non le fai..?”
Si voltò speranzoso verso la donna, che si limitò a tossicchiare diplomaticamente e a fissarsi le unghie.
“Grazie mille! Adesso sarò tormentato dagli incubi di voi due che fate quella… roba!” gemette disperato Finn, coprendosi la testa con uno dei cuscini del divano.
Kurt si voltò verso suo padre, che aveva raggiunto un’interessante gradazione di rosso vermiglio, e si affrettò a salvarlo dall’ennesimo infarto incombente: “Cominciate pure a sedervi: do un colpo di telefono a Blaine e vi raggiungo subito.”
Burt approfittò prontamente della scappatoia offertagli dal figlio e si tuffò in cucina con la prontezza di un diabetico che ha appena avvistato una fetta di meringata.
Kurt scosse la testa, ridacchiando fra sé e sé, e prese il suo cellulare. Dopo cinque squilli la sua chiamata fu dirottata alla segreteria telefonica e il sorriso si spense sul suo volto.
Si avviò in cucina mordicchiandosi le labbra, ripetendosi che non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi.
Suo padre alzò lo sguardo dal piatto di arrosto, che stava evidentemente corteggiando in maniera molto sentita, e gli fece cenno di accomodarsi al tavolo: “Allora, hai sentito Blaine?”
Kurt scosse il capo con aria preoccupata: “No, non ha risposto, è partita la segreteria.”
Burt rimase per un attimo interdetto, poi si limitò ad alzare le spalle: “Beh, aveva detto che i suoi genitori avevano in programma una cena di famiglia stasera, no? Probabilmente si è dimenticato il cellulare in un’altra stanza e non riesce a sentire la suoneria.”
Il figlio annuì, tranquillizzandosi almeno in parte, e sorrise a Carole, che gli stava servendo una generosa porzione di verdure al forno.
“Allora, questa notizia?” biascicò Finn mentre masticava un boccone inumano di patate e carne.
“Ma che schifo!” esclamò Kurt con un gemito disgustato, “Finn, sei davvero un animale!”
Il ragazzo gli rispose con una smorfia e gli fece un gestaccio approfittando della protezione offerta dalla tovaglia.
Burt roteò gli occhi e decise di intervenire prima dello scatenarsi dell’ennesima lite fra i due. Si schiarì la voce per attirare la loro attenzione: “Qualche giorno fa ho ricevuto una telefonata alquanto preoccupante dal vostro insegnante del Glee Club, Mr, Shuester.”
Fece una pausa e Kurt e Finn si scambiarono una rapida occhiata, come a voler chiedere all’altro se avesse combinato qualcosa. Rassicurati dallo sguardo ricevuto in risposta, si voltarono di nuovo verso Burt con aria interrogativa.
L’uomo giunse le mani di fronte a sé e si accinse a spiegarsi meglio: “Mr. Shuester mi ha spiegato che Sue Sylvester ha intenzione di candidarsi per il consiglio come rappresentante per l’Ohio. Il punto di forza del suo programma è una lotta feroce contro l’insegnamento delle arti nelle scuole pubbliche.”
“Ma è vergognoso!” scattò subito Kurt, lasciando cadere la forchetta sul piatto.
Il padre annuì: “Sì, lo è. Ed è per questo che io e il vostro insegnante abbiamo deciso di provare a sabotare i suoi piani.”
“E come?” domandò incuriosito Finn, inclinando la testa.
“Lunedì scorso ho presentato la mia candidatura: concorrerò contro Sue nel corso delle prossime elezioni.” Annunciò finalmente Burt.
Entrambi i ragazzi si lasciarono sfuggire un gridolino eccitato (cosa che Kurt avrebbe probabilmente rinfacciato a Finn vita natural durante) e saltarono in piedi per abbracciare i genitori.
Proprio mentre stava rassicurando suo padre sul fatto che trovava la sua idea magnifica, Kurt sentì il suo cellulare squillare e vide il nome di Blaine lampeggiare sullo schermo.
Tirò un sospiro di sollievo e si spostò in salotto per rispondere alla chiamata: “Finalmente! Stavo cominciando a preoccuparmi, qua si è scatenata una tempesta con i fiocchi.”
Dall’altra parte della cornetta giunse un singhiozzo soffocato e lui si sentì gelare il sangue nelle vene: “Blaine? Blaine, cos’è successo?! Dove sei?”
Il resto della famiglia si affacciò preoccupato in salotto, ma Kurt non se ne accorse nemmeno.
Tutto quello che riusciva a sentire era il respiro rotto di Blaine, che sembrava incapace a rispondere alle sue domande, o anche solo di parlare.
“Blaine, devi spiegarmi cosa ti è successo.” Supplicò Kurt, cercando di mantenere un tono di voce pacato e rassicurante.
“Kurt…” singhiozzò il ragazzo.
“Sono qua.”
“Kurt, ti prego… vieni a prendermi.”
 
Burt vide il figlio chiudere la chiamata e voltarsi verso di lui con uno sguardo ansioso e avanzò istintivamente di un passo: “Che è successo?”
Kurt scosse il capo, inspirando profondamente per schiarirsi la mente: “Non lo so, Blaine non è riuscito a spiegarmelo. Tutto quello che so è che devo andare da lui.”
Burt annuì e si affrettò ad infilare il giubbotto: “Vengo con te, non è consigliabile uscire da soli con questo tempo. Inoltre se io guido, tu avrai più tempo per concentrarti su Blaine.”
Kurt annuì seccamente e lanciò al padre le chiavi del suo Navigator.
Il viaggio verso Westerville trascorse in un silenzio teso: erano entrambi troppo preoccupati per parlare e guidare sotto la pioggia battente assorbiva comunque tutta la concentrazione di Burt.
Alla fine, Blaine era riuscito a spiegare a Kurt dove si trovava. Quando il padre fermò la macchina di fronte all’entrata del piccolo parco, lui saltò giù senza nemmeno preoccuparsi di prendere un ombrello. Dopo pochi passi era già bagnato fino alle ossa.
Incurante del fango e della pioggia, Kurt si addentrò fra le altalene e gli scivoli, chiamando a gran voce il suo ragazzo.
Sentì un debole suono di risposta provenire da una struttura alla sua destra e si affrettò a correre in quella direzione, lasciandosi cadere a terra e strisciando con un’imprecazione all’interno di uno stretto tunnel colorato di rosso e giallo.
Blaine se ne stava rannicchiato contro la parete, le braccia strette attorno alle ginocchia. Non appena si accorse della presenza di Kurt, si gettò verso di lui, nascondendo il viso contro il suo petto e cominciando a singhiozzare disperatamente.
Kurt non aveva mai capito prima di allora il significato delle parole sentirsi spezzare il cuore. In quel momento, però, si sentì esattamente come se il cuore gli si fosse frantumato in migliaia di frammenti microscopici e tutto quello che riuscì a fare fu stringere a sé il suo ragazzo e cullarlo come se si fosse trattato di un bambino.
Gli posò un bacio sulla testa e gli sfiorò la guancia con la mano, ma Blaine si ritrasse di scatto con un sibilo.
Nella luce incerta dei lampioni, Kurt fu finalmente in grado di scorgere il suo viso e il respiro gli si mozzò in gola: un livido bluastro gli copriva la parte sinistra della faccia e il labbro superiore sembrava spaccato.
Per un attimo fu tentato di nascondere il volto fra le mani e piangere. Chi poteva aver fatto una cosa del genere a Blaine, al suo Blaine? Al suo dolce, gentile, coraggioso Blaine?
Si passò una mano fra i capelli, cercando di schiarirsi le idee: avrebbe avuto tempo più tardi per lasciarsi andare a una crisi isterica. Adesso doveva occuparsi del ragazzo di fronte a lui, che era tornato ad accasciarsi a terra, le ginocchia strette al petto.
“Blaine…” mormorò sommessamente, allungando con cautela una mano per toccarlo su una spalla, “Va tutto bene, sono qui. Non permetterò a nessuno di farti del male.”
L’altro alzò lo sguardo su di lui, gli occhi lucidi e sgranati dal terrore.
“Mio padre ci aspetta fuori in macchina all’entrata del parco per riportarci a casa, ma prima dobbiamo uscire da qui. Ce la fai a camminare?”
Blaine annuì, incerto, e dopo una breve esitazione prese la mano che Kurt gli stava tendendo.
Il ragazzo lo aiutò a uscire dal tunnel di cemento e ad alzarsi in piedi, poi lo guidò senza una parola verso l’auto. Aprì la portiera e si inerpicò con lui sul sedile posteriore, senza curarsi dello stato in cui il fango e la pioggia avrebbero ridotto la tappezzeria immacolata.
Burt si voltò verso di loro e si lasciò sfuggire un sibilo alla vista del viso di Blaine: “Cosa diavolo è successo?!”
Blaine si rannicchiò contro Kurt, che si affrettò a prenderlo fra le braccia e cominciò a sussurrargli parole senza senso all’orecchio per tranquillizzarlo.
Rivolse a suo padre uno sguardo eloquente. Non adesso. Per favore, andiamo.
Burt annuì e accese il motore. In silenzio imboccarono la strada che li avrebbe riportati a Lima.

 

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo ***


Carole li stava aspettando sotto al portico insieme a Finn, torcendosi nervosamente le mani.
Quando vide l’auto imboccare il vialetto di casa, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e corse verso di loro: “Grazie a Dio, stavo cominciando a preoccuparmi. Cos’è succes…”
Alla vista del volto di Blaine, che stava uscendo dalla macchina proprio un quel momento, le parole le morirono in gola e si lasciò sfuggire un gemito strozzato. Tese la mano per sfiorargli la guancia, ma il ragazzo si ritrasse di scatto, gli occhi dilatati per il terrore.
Carole si fermò immediatamente, interdetta. “Cos’è successo?” chiese di nuovo, spostando continuamente lo sguardo da Burt a Kurt.
Burt scosse la testa e le posò una mano sulla schiena, spingendola delicatamente in casa: “Non lo so nemmeno io. Dovremo aspettare che Blaine sia in grado di darci una spiegazione.”
Kurt posò con gentilezza una mano sulla spalla del ragazzo e lo guidò verso il bagno.
Lo invitò con un cenno a sedersi sul bordo della vasca, mentre lui esaminava il contenuto della cassetta del pronto soccorso in cerca di cotone e di disinfettante.
Si avvicinò con un po’ di nervosismo, temendo che l’altro si sarebbe ritratto di scatto come aveva fatto poco prima con Carole: “Blaine, voglio dare un’occhiata più da vicino a quel taglio. Va… va bene per te? Voglio dire, so che al momento ti da fastidio essere toccato, ma…”
Blaine alzò lo sguardo e lo fissò con un’espressione di totale e incondizionata adorazione: “Non da te. Mai da te.”
Kurt sorrise suo malgrado e allungò una mano per sfiorargli il viso. Istintivamente Blaine strofinò la guancia contro il suo palmo, desideroso di approfondire il contatto, per poi ritrarsi subito dopo con un sibilo di dolore: “Ok, questa non è stata decisamente un’idea brillante.”
Le labbra di Kurt si incurvarono involontariamente in un sorriso, ma la sua attenzione tornò ben presto a concentrarsi sul livido che ricopriva praticamente metà del volto del ragazzo.
“Per favore, raccontami.” mormorò dolcemente, allontanando con dita tremanti alcuni riccioli dalla fronte dell’altro.
Blaine aprì la bocca per parlare, poi la richiuse e scosse la testa: “Ti dispiace se aspetto che ci siano anche i tuoi genitori? Il minimo che possa fare per ringraziarli è spiegargli perché hanno dovuto guidare per ore nel bel mezzo di una dannata tempesta per giocare a nascondino in un parco con me, ma se possibile vorrei evitare di parlarne più volte…”
Kurt si limitò ad annuire senza dire nulla e cominciò a disinfettare il taglio sul suo labbro. Non appena ebbe finito, si sporse verso di lui e lo baciò velocemente.
“Sei pronto?” gli chiese, tendendogli la mano.
Blaine respirò profondamente e la prese fra le sue, alzandosi in piedi: “No, ma per quanto sia decorato con gusto, non posso nascondermi per sempre nel tuo bagno.”
I due ragazzi si spostarono nel soggiorno. Carole e Burt li stavano già aspettando, seduti sulle poltrone davanti al caminetto.
Kurt capì che l’avevano fatto per permettere a loro due di sedere vicini sul divano, nella speranza che la sua presenza potesse contribuire in qualche modo a tranquillizzare Blaine nel corso della difficile conversazione che li attendeva e provò un improvviso moto di gratitudine nei loro confronti.
Blaine si sedette nervosamente sul divano e cominciò quasi immediatamente a muoversi a disagio, come se i cuscini fossero ricoperti di spine.
Quando si rese conto che il ragazzo sembrava non sapere minimamente da che parte cominciare, Burt decise di prendere in mano la situazione. Nel tentativo di metterlo a suo agio, scelse di cominciare con una domanda relativamente inoffensiva: “Come va il taglio? Ha smesso di sanguinare?”
L’altro rispose solo con un cenno di assenso e continuò a tenere gli occhi bassi. Sarà più difficile del previsto, pensò fra sé e sé Burt, togliendosi il cappellino e passandosi la mano sulla fronte con espressione frustrata. Cominciava davvero a credere di non essere in grado di gestire una situazione del genere.
Per fortuna Carole non sembrava avere gli stessi dilemmi, perché si sporse leggermente in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia, e si rivolse a Blaine con il sorriso più tranquillizzante che riuscì a mettere insieme: “Tesoro… mentre tornavi a casa hai incontrato qualcuno che ti ha aggredito?”
Il ragazzo scosse il capo con forza e lei sospirò, cercando di scegliere con cura le parole successive: “Non… non devi vergognarti di quello che è successo. Non è colpa tua, la colpa è delle persone che…”
“Non intendevo questo.” La interruppe Blaine, alzando improvvisamente lo sguardo. Quando si rese conto che gli sguardi dei presenti erano tutti fissi su di lui si bloccò, incerto. “Non… non è successo mentre tornavo a casa.” Balbettò, prima di tornare a chiudersi in un silenzio imbarazzato.
Kurt cominciò ad accarezzargli gentilmente la base del collo in un gesto di conforto, ma non poté trattenersi dal chiedere: “Come mai sei uscito di nuovo? Non avevi detto che i tuoi ti aspettavano per cena?”
“Non sono uscito di nuovo.” Mormorò l’altro a voce così bassa che lui fece fatica a sentirlo.
“Non capisco… se non è successo mentre tornavi a casa e non sei uscito di nuovo, come..?”
Blaine alzò su di lui uno sguardo di puro panico e il suo labbro inferiore cominciò a tremare leggermente.
Non è possibile, pensò Kurt, non può essere.
“Blaine,” lo chiamò piano Burt, cercando di costringersi a formulare ad alta voce la domanda che gli stava rimbombando in testa, “Non… n-non è stato tuo padre, vero?”
Blaine lo fissò per un attimo con occhi angosciati, sconfitti, poi si lasciò sfuggire un singhiozzo disperato che spezzò il cuore dell’uomo e gli fece venire voglia di prendere il signor Anderson e sbatterlo contro il muro più vicino fino a tramortirlo.
Kurt avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma sembrava davvero che le sue connessioni neurali lo avessero abbandonato e si limitò a stringere il suo ragazzo, strofinando la guancia contro i suoi riccioli morbidi in una sorta di carezza muta.
“Ho cercato…” singhiozzò Blaine contro il suo petto, stringendo fra le mani la sua maglietta, “Volevo che sapesse, che capisse. Non potevo… ma non sono riuscito…”
“Cos’è che volevi che sapesse, tesoro?” lo interrogò gentilmente Carole.
“Kurt.”
Inizialmente Kurt pensò che Blaine avesse pronunciato il suo nome solo per chiedere il suo aiuto, ma poi capì cosa aveva inteso dire l’altro. “Tuo padre ti ha picchiato… perché gli hai detto di me?” chiese incredulo.
Blaine riuscì soltanto ad annuire e a stringere ancora più forte il tessuto della sua t-shirt. Se avesse continuato così avrebbe probabilmente finito per rovinarla irrimediabilmente, ma in quel momento a Kurt non importava assolutamente.
Burt si rivolse direttamente a lui, riscuotendolo dai suoi pensieri: “Kurt, porta Blaine in camera tua. Ormai è mezzanotte passata e dopo tutto lo stress che ha subito il ragazzo starà praticamente crollando dal sonno. Domattina discuteremo sul da farsi.”
Il ragazzo annuì e prese con delicatezza le mani di Blaine, aiutandolo ad alzarsi e attirandolo verso le scale. Una volta in camera lo fece sedere sul letto e si mise a cercare un paio di pantaloni e una maglietta che potessero andargli bene.
Blaine sembrava finalmente aver ceduto alla stanchezza e riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti.
Kurt gli si avvicinò senza dire una parola e si inginocchiò per sfilargli le scarpe e i calzini, poi lo aiutò a togliersi la felpa e i jeans sporchi di terriccio e a indossare gli indumenti puliti.
 Non appena furono sotto le coperte, Blaine si rannicchiò contro di lui e in pochi minuti scivolò in un sonno profondo.
Kurt non poté fare a meno di augurarsi che fosse un sonno privo di sogni. 

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