Angel of Darkness

di Apple90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incombenze ***
Capitolo 2: *** Rinascite ***
Capitolo 3: *** Vendette ***
Capitolo 4: *** Fuga ***
Capitolo 5: *** Mangiamorte ***



Capitolo 1
*** Incombenze ***


Anima Nera_prologo

FF partecipante al Contest “A Caccia di Spaccio

organizzato dal gruppo Facebook “Cercando chi dà la roba alla Rowling





Titolo: Angel of Darkness  
Rating:
arancione
Numero Capitoli: 5
Personaggi principali: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley, Bellatrix Lestrange
Promptz: Silenzio, Pace, Amore (Cascata-> citazione "non prevista")

Il vostro tempo e' limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun'altro.

Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore.
E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare.
Tutto il resto e' secondario.

 Dedicata a te, Steve. E a Dio, che finalmente ha avuto un I-Pad.




 

Ombra. Buio e ombra.

Le luci artificiali di un tunnel. Le auto. Automobili babbane ovunque.

Una rapida sterzata a destra, il cono visivo ristretto a causa dell’elevata velocità. E il suo cuore, che quasi aveva dimenticato di possedere, pulsante e impazzito nel suo petto.

Poi la luce. Il cielo tinteggiato di nubi.

Harry pigiò con veemenza la All Star sull’acceleratore, avvertendo un familiare strappo dietro l’ombelico. Il suo corpo venne proiettato indietro, aderendo violentemente al sedile.

Un autobus. Un altro. Sfrecciarono veloci alla sua destra, macchie sfocate di colore lungo la scia infinita d’asfalto.

Doveva raggiungere il Ministero prima di loro.

Doveva parlare con Hermione, dirle che Bellatrix era viva.

Il sonoro strepitio di un clacson lo fece sobbalzare sul sedile. Saettò fulmineo a pochi centimetri dal cassone sferragliante di un camion, e lo specchietto della sua Aston Martin DBS grigia come il cielo di Londra saettò nell’aria in una miriade di schegge.

Harry controllò ansioso lo specchietto retrovisore.

Erano ancora lì, alle sue calcagna. Tre nere figure, invisibili all’occhio degli ignari Babbani, saettarono in volo radente sopra la sua auto, fino a sfiorarne il tettuccio con il loro alito di morte.

Dissennatori.

Le viscere di Harry si congelarono, la sua mente venne privata di ogni ricordo felice. Si sentì vuoto, incapace di riflettere razionalmente. Il freddo penetrò fin sotto la pelle.

Maledetti. Tutti quanti.

Harry richiamò a sé tutte le sue forze per mantenere le mani salde sul volante, cercando di seminare gli inseguitori lungo la strada trafficata. Mettere mano alla bacchetta significava schiantarsi. E morire, in quel caso, non era una soluzione particolarmente intelligente.

Uno dei tre Dissennatori piombò sul cofano, oscurando con il suo mantello svolazzante l’intero parabrezza. Ci fu un tonfo sordo e le sue mani, ossute e grigiastre, si protesero in avanti per cercare un appiglio. Il Dissennatore trasse un lungo, incerto, lugubre sospiro, come se volesse respirare qualcosa di più dell’aria. Poi emise un urlo stridente.

E poi, da molto lontano, si sentì urlare. Delle urla terribili, di orrore, di supplica, seguiti da fragorose esplosioni e dal rumore di lamiere contorte.

<< Nessuno deve sapere. Nessuno deve sopravvivere.>>

Una voce di donna gli penetrò dolorosamente nelle orecchie. Chiunque fosse, Harry cercò di scacciarla dalla mente e tentare di riacquistare il controllo del veicolo, ma non ci riuscì: una nebbia biancastra gli oscurò lo sguardo, il corpo del Dissennatore sul cofano divenne una nera macchia sfocata. Il motore dell’Aston Martin emise un ringhio cupo.

<< Nessuno deve sapere. Nessuno deve sopravvivere.>>

Il vortice di nebbia prese a vorticare attorno a lui, dentro di lui…

Poi il buio.

 

*°*°*°*°*°

 

Harry era disteso a faccia in giù. Il silenzio lo avvolgeva.  

Tutt’intorno la luce.

Una luce potente, accecante, che lo costrinse a ripararsi gli occhi con una mano. Era solo. Tutt’intorno nessuna presenza umana. Per un attimo si domandò se esistesse anche lui. I suoi occhi, il suo tatto e tutti gli altri sensi funzionavano correttamente. Era in grado di respirare. Era vivo.

Dopo un po’ di tempo, e non seppe quanto tempo, arrivò alla conclusione che il suo corpo esisteva veramente, era disteso su una superficie fredda. Seppe di trovarsi da qualche parte, in un luogo che gli risuonò familiare. Forse, era giunto in Paradiso.

Harry si mise seduto. Scoprì di indossare gli stessi indumenti dell’inseguimento. Ma erano sudici, il maglioncino logoro e sporco di sangue incrostato. I jeans, anch’essi insanguinati, avevano un grande strappo verticale lungo il ginocchio.

Ma il suo corpo era intatto. Non avvertiva alcun dolore.

Harry si alzò in piedi, immerso in una nebbiolina luccicante, e scoprì di trovarsi sotto un’enorme, maestosa cupola di vetro, della quale non riuscì a intravedere la fine. Gli parve che lo spazio si generasse ad ogni suo passo.

Il pavimento si delineò sotto i piedi: migliaia di mattonelle bianche, intatte e pulite, si incastrarono le une con le altre fino a formare un lungo percorso che conduceva fuori dalla cupola.

<< Ragazzo, mio caro ragazzo.>>

Si voltò di scatto. Albus Silente era lì, a pochi passi da lui. Era comparso dal nulla e stava avanzando nella sua direzione, incalzante e diritto, avvolto in una lunga tunica color pervinca. La sua barba argentea oscillava legata nella corda alla sua cintola. E i suoi occhi, schermiti da un paio di occhiali a mezzaluna, lo scrutavano divertiti.

<< Questa volta sono morto davvero.>> ansimò Harry. Non era una supplica né un lamento, ma un’amara analisi della situazione.

<< Harry.>> Silente spalancò le braccia. Un sorriso radioso si aprì sul suo volto scarno. << Meraviglioso ragazzo. Uomo di enorme coraggio. Camminiamo.>>

A Harry parve di aver già udito quelle parole. Migliaia di volte. Ma la sua mente aleggiava nella stessa nebbia che avvolgeva la stazione di King’s Cross. O il suo Paradiso.

Sbigottito, lo seguì.

<< Professore, la prego, mi dica la verità. Sono morto, non è vero?>>

<< Oh, sì.>> proferì Silente, ma il sorriso non accennò a scomparire dal suo volto.

<< Sì?>>

<< Sì.>> ripeté Silente. Si sistemò gli occhiali a mezzaluna sul naso adunco. << La signorina Granger ti ha ricordato più volte quanto sia pericoloso scorrazzare a bordo di quegli attrezzi babbani – altobomili, mi pare - ma tu non le hai mai dato ascolto.>> Sembrava gioioso. Felice che Harry fosse lì, morto, al suo fianco, dopo essersi schiantato a duecento all’ora chissà dove mentre sfuggiva a tre Dissennatori. << Non dubito del tuo buon cuore, ragazzo. Lo stavi facendo per una nobile causa. Ma coloro che sorpassano il limite troppe volte, prima o poi devono pagarne le conseguenze.>>

<< Rimarrò bloccato qui?>> domandò Harry, lo stomaco attanagliato in una morsa.

<< Ogni cosa a suo tempo.>>

<< Con tutto il rispetto, Professore, ma credo lei abbia una concezione del tempo leggermente distorta.>>

Il vecchio sorrise affabilmente. Fece girare i pollici, senza mai smettere di passeggiare lungo i binari della stazione immersa nella nebbia.

<< Bellatrix è viva!>> strepitò Harry, ansioso. << Come farò adesso? Devo avvisare Hermione. Devo avvisare tutti quanti!>>

<< Bellatrix Lestrange. Un’anima dannata.>> sciamò il vecchio preside. << E’ stata una mia alunna nel 1962. Era una Serpeverde molto promettente, forse una delle migliori studentesse del suo corso. La sua follia è pari alla sua proverbiale astuzia. Se Bellatrix è rinata dalle ceneri della Seconda Guerra Magica, a capo dei Mangiamorte sopravvissuti, un altro conflitto potrebbe essere alle porte.>>

<< Lei, insomma, da quassù può vedere tutto ciò che accade nel nostro mondo?>>

<< Quassù.>> Silente levò gli occhi al cielo, come se ripetesse quel termine nella mente per assaporarlo a pieno. << E’ buffo, Harry. Tu lo chiami quassù. Ma potrebbe essere anche quaggiù, o laggiù. O chissà dove. In realtà noi non ci troviamo in nessun luogo.>>

<< E’ sicuro che noi non possiamo fare niente?>>

<< Niente.>>

<< Non esiste nessun modo per ritornare?>>

<< Tu sei morto, in un certo senso, ma non sei costretto a rimanere qui.>>

Harry lo scrutò, confuso. << Mi spieghi, allora.>>

<< E’ la seconda volta che accade una cosa del genere. Ma né Voldemort né i suoi Horcrux possono aiutarti, al momento. Ma c’è una cosa, una scappatoia, alla quale possiamo appigliarci.>> Silente sospirò profondamente. << La conoscenza di Voldemort e di Bellatrix è terribilmente lacunosa! Ciò che non ritengono importante, non si danno pena di comprenderlo. Di amore, fiabe e Babbani non conoscono niente. Niente. Ci sono poteri che vanno oltre le Arti Oscure. Oltre la magia stessa.>>

<< Quali poteri?>>

<< Mio caro ragazzo, ti sei mai chiesto che cosa c’è dopo la morte?>>

Harry tacque. Avrebbe voluto rispondere “King’s Cross Station” immersa nella nebbia. O “Il Silenzio”. Ma entrambe le risposte gli parvero troppo stupide per essere menzionate in presenza di uno Stregone saggio e potente come Silente, che di sicuro la sapeva lunga al riguardo.

Gli occhi di Silente lo scrutarono con gioia attraverso gli occhiali a Mezzaluna. Aveva le lacrime agli occhi. << Il potere dell’Anima. Della coscienza. Sei cresciuto Harry. Sei un uomo. E, come molti altri Uomini prima di te, sei stato posto di fronte a un bivio. Una scelta molto importante, alla quale tu e solo tu potrai rispondere.>>

<< Cosa sta dicendo?>> chiese Harry, stupito dal tono del Preside, dalle lacrime improvvise dei suoi occhi.

<< Sto dicendo, caro ragazzo, la vita è semplicemente un mero passaggio, l’infanzia della nostra immortalità. Per certe persone, però, non è ancora giunto il momento di morire. Ad esse è concesso di scrivere pagine importanti della loro vita, tasselli mancanti che la morte impedirebbe loro di incastrare correttamente nel puzzle della loro esistenza. Persone che hanno una missione da compiere. Per altre, invece, giunta la loro fine non c’è alcun motivo per essere rispedite indietro. Prendi me, per esempio. Sono morto alla veneranda età di centosedici anni. Senza rimpianti, né alcun genere di pentimento. Che motivo avrei avuto per tornare laggiù, fra i vivi?>>

Harry lo scrutò torvo, confuso, e non riuscì ad aprire bocca. Silente era esasperante, a volte. Quel discorso, quel luogo, tutto ciò che aveva ascoltato nella nebbia non aveva alcun senso. Era morto? Era vivo? Che cosa diavolo era?

<< Il tuo momento non è ancora giunto.>> proferì Silente. << Perciò sei tenuto a fare la tua scelta.>>

<< Quale scelta?>>

<< Rimanere qui, insieme a me. Insieme a tutti gli altri.>> E Silente spalancò le braccia in un gesto ampio e maestoso, indicando la vastità di spazio attorno a loro. Non c’era nessun altro. Harry immaginò le decine di migliaia di persone che ogni giorno morivano e si ritrovavano alla Stazione di King’s Cross, in compagnia di un saggio traghettatore che li accompagnava nell’aldilà. Forse la sua immaginazione stava galoppando troppo. << Oppure ritornare indietro. Affrontare il dolore. Il sacrificio. La guarigione. E il male.>>

<< Io devo avvisare il Ministero.>> disse Harry a denti stretti. << Bellatrix si è finta morta per anni e nel frattempo si è rafforzata, ha radunato un esercito di Mangiamorte scampati ad Azkaban per vendicare Voldemort. La Terza Guerra Magica potrebbe scoppiare da un momento all’altro, se non avviso in tempo mia moglie!>>

<< Lo prendo come un sì.>> mormorò affabilmente Silente. E schioccò le dita ossute.

In un lampo, l’immensa cupola che lo circondava iniziò a sgretolarsi come un castello di carte spazzato dal vento. E Silente, alto e flessuoso nella sua tunica, divenne sfocato, intangibile, incorporeo come un fantasma.

<< Che cosa sta succedendo?>> farfugliò Harry, terrorizzato. Si guardò le mani. Anch’esse erano diventate poco visibili. Trasparenti. Non poté fare a meno di urlare.

<< Buon viaggio.>> gli augurò Silente, con una strizzatina d’occhi.

La luce divenne sempre più intensa, fino ad accecarlo. Harry indietreggiò. Chiuse gli occhi e avvertì una brutale sensazione di vuoto allo stomaco.

Poi il buio.

 

*°*°*°*°*°

   `•.¸¸.•´´¯`••._.•  The Apple's Corner `•.¸¸.•´´¯`••._.•  

Ecco qui il primo capitolo di una FF composta complessivamente da cinque capitoli. Forse sei. Ne ho scritti quattro, e devo terminarla con le ultime battute.
Sto aspettando l'esito degli esami per l'abilitazione alla professione di geometra, sono molto tesa. Ma scrivere, ho scoperto, è un ottimo modo per distrarmi.
Essendo il primo capitolo non ho ringraziamenti da fare. Anche perchè, in un certo senso, questa FF è interamente farina del mio sacco. Non ho voluto né preteso aiuti.
E, purtroppo, non ho potuto contare sui miei soliti Beta a me molti cari, essendo questo un concorso.

Spero vi piaccia. Attendo commenti e/o critiche (costruttive). Un enorme abbraccio dalla vostra Anima Nera.

AUROR POWER!

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Capitolo 2
*** Rinascite ***


Anima Nera_prologo



 

Le luci intermittenti, sfocate, scorsero veloci davanti ai suoi occhi.

Harry era immobile, sdraiato. Un lenzuolo gli copriva gran parte del corpo. Delle voci, attorno a lui, farneticavano parole incomprensibili.

Si aprì una porta. Un’altra. Poi un’altra ancora.

Le voci si fecero più frenetiche e insistenti, ma Harry non riuscì a capire cosa stavano dicendo. Era come se il tempo procedesse al rallentatore. Percepì l’odore acre di disinfettante nell’aria, accompagnato dal ronzio sordo dei neon appesi al soffitto.

<< Respira. Sta respirando!>> strillò una voce femminile.

Una fitta di dolore lo colpì allo stomaco. Gli si diffuse ovunque, bruciante, come se decine di lame acuminate e roventi gli avessero trafitto ogni fibra del corpo. Il suo cuore prese il volo e iniziò a battere come le pale di un elicottero; sembrava pronto a sbriciolargli le costole. Il dolore intenso lo tramortì, sciolse le briglie del suo forzato autocontrollo e gli diffuse un’innata sensazione di vuoto. Stanchezza. Come se, d’improvviso, le sue forze si fossero esaurite.

<< Harry.>> ansimò un’altra voce. << Harry. Harry. Ti prego. Non ci lasciare.>>

Harry avrebbe voluto rispondere che no, chiunque fosse, non l’avrebbe mai lasciata. Era appena tornato fra i vivi, perché mai avrebbe dovuto far visita a Silente? Tentò di dire qualcosa, ma le sue labbra erano congelate e dalla sua bocca fuoriuscì solo un lamento soffocato. Impercettibile. Lieve come un soffio di vento.

<< Harry, amore mio, ti prego. Ti prego.>>

Un’altra porta venne spalancata e un immenso fiotto di luce gli invase gli occhi. Le sue iridi verde smeraldo vennero accecate da una lampada, che qualcuno proiettò nella sua direzione. Alla sua destra, poco distante dall’orecchio, c’era una grossa scatola nera che emetteva un ticchettio sinistro. Altro dolore. Una puntura al braccio. Poi qualcuno disse: << Il battito si sta regolarizzando.>> Ci fu un’altra sequenza di parole e anime sfocate che transitavano intorno a lui, vicino a lui, senza mai toccarlo.

Per Harry iniziò una lotta interiore: una parte di lui si stava lentamente assopendo, ma il cuore batteva sempre più svelto, andando incontro al fuoco minaccioso che gli ardeva le viscere.

<< Rigenerus Totalis.>>

Un altro lampo accecante.

Harry inarcò la schiena, dimenandosi con le poche forze rimaste in preda agli spasmi. Urlò. Un grido silenzioso, inerme, inespressivo. Il fuoco si fece più circoscritto e gli pervase il petto, come se avesse consumato tutto ciò che aveva incontrato lungo il cammino. Il cuore balbettò altri tiepidi battiti. Due. Ancora uno. Poi il Silenzio.

Non c’era più alcun suono. Alcun respiro.

Harry aprì gli occhi, sorpreso, e scrutò terrorizzato parecchie paia di occhi chinati su di lui, visi protetti da mascherine, e aghi. Aghi dovunque, collegati a macchinari di cui non conosceva nemmeno l’esistenza. Avrebbe voluto ricominciare a urlare, ma non ne ebbe la forza.

<< E’ tutto a posto.>> disse una voce. Delle dita si serrarono attorno al suo polso. << Si trova al San Mungo, signor Potter. La faremo tornare come nuovo.>>

 

 

*°*°*°*°*

 

<< Il tuo momento non è ancora giunto.>> Il viso sottile di Silente comparve davanti ai suoi occhi, affabile e sorridente. I suoi limpidi occhi azzurri lo osservarono gioiosi attraverso gli occhiali a mezzaluna. << Perciò sei tenuto a fare la tua scelta.>>

 

Harry si svegliò.

L’aveva fatta eccome, la sua scelta.

Dalla beatitudine e silenziosa stazione di King’s Cross immersa nella nebbia si ritrovò sdraiato su un letto del San Mungo, in una camera dal soffitto bianco e asettico, le pareti verniciare di un fastidioso color verde marcio. Perché poi i muri degli ospedali erano tinteggiati sempre di verde? E’ distensivo. Gli aveva spiegato Seamus Finnigan, un paio di mesi prima, caporeparto del Pronto Soccorso Magico del San Mungo.

Distensivo un cazzo.

<< Harry.>>

Poi quella voce. Quella presenza, al suo fianco, cambiò ogni cosa.

La sua visuale venne oscurata da una folta e riccia chioma castana. E dai suoi occhi, di una delicata sfumatura nocciola, che lo osservarono umidi di lacrime. << Finalmente.>> Hermione, il suo angelo, la sua migliore amica. Allungò delicatamente una mano sulla sua fronte, scompigliandogli la chioma corvina. E quel semplice tocco gli diffuse un innato calore.

<< Hermione, per favore, non soffocarlo.>> sbottò la voce di Ron, alle loro spalle.

Nonostante la luce fosse ancora accecante, Harry riuscì a distinguere ogni particolare del viso di Hermione. Ogni neo, ogni minima imperfezione della pelle. Poi i suoi occhi, così radiosi, scintillanti di gioia, felici di riflettersi nei suoi. Per un attimo dimenticò del tutto la presenza di Ron. E i Dissennatori, Bellatrix, Silente e tutto il resto. Voleva baciarla. Voleva stringerla a sé e ripeterle all’infinito quanto la amava.

<< Hermione.>> riuscì a mormorare in un sussurro poco percettibile. Cercò di alzarsi in posizione seduta, ma lei gli premette prontamente le mani sul petto e lo ricacciò indietro sul cuscino.

<< Sei ancora troppo debole.>>

<< Cosa… cosa mi è successo?>> farfugliò Harry. Aveva la gola arida. Allungò una mano tremante sul comodino e recuperò gli occhiali. La sua vista migliorò notevolmente.

Tutto era così nitido. Limpido. Definito.

<< Schiantato.>> disse Ron, che sedeva con il suo sorriso allegro a un bordo del letto. Indossava un maglione color prugna con un’enorme “R” dorata ricamata sul petto, dalla quale trapelava il colletto stropicciato di una camicia.

<< Con l’Aston Martin e tutto il resto.>> soggiunse Hermione, le labbra strette in una smorfia.

<< Avevamo concordato che gliel’avresti detto dopo.>> le bisbigliò Ron.

<< Via il dente, via il dolore.>>

<< Aspettate.>> Harry fece forza sui gomiti e tentò di tirarsi su. La testa iniziò a girargli vorticosamente e fu costretto a sdraiarsi di nuovo, in preda a un conato di vomito. Un freddo pungente gli penetrò fin sotto la pelle. << La mia Aston Martin?>>

<< Distrutta.>> disse Hermione, con noncuranza, mentre gli stringeva forte una mano fra le sue. << Oh, Harry. Tu stai bene, per fortuna. Non m’importa nient’altro.>>

<< Distrutta?>> Harry impallidì.

<< Tu stai bene.>> ripeté Hermione, con un sibilo minaccioso. La presa sulla sue dita si fece più salda, soffocante, fino a fargli male. << Ne ricompreremo un’altra. Adesso pensa a rimetterti in forze. I Medimaghi hanno detto che sei scampato alla morte per un soffio. Sono stata così male, Harry. Non sapevo cosa fare. Mi sentivo impotente.>>

<< Te la sei scampata un’altra volta.>> Ron gli strizzò l’occhio. Poi si alzò dal letto e sbadigliò sonoramente, stiracchiandosi come un gatto. Hermione gli lanciò un’occhiata accigliata.

<< Da quanto tempo mi trovo in ospedale?>>

<< Tre giorni.>>

<< Tre giorni?>>

<< Avevi bacino, braccia e costole fratturate.>> sospirò Hermione. << Dopo l’incidente sei stato trasportato d’urgenza al San Mungo mentre gli Obliviatori si occupavano di rimettere a posto la faccenda a Londra. Ero in ufficio al Quartier Generale quand’è successo. Kingsley mi ha avvisata e mi ha accompagnata subito qui. Ero… terrorizzata.>>

<< Terrorizzata è dir poco.>> fu il sagace commento di Ron. In cambio gli fu indirizzato un altro sguardo indispettito. << Oh, andiamo, Hermione!>> esclamò. << Tutto bene quel che finisce bene. Il nostro Eroe ne ha passate di peggio. Come l’Ungaro Spinato. Voldemort. Il Basilisco. Voldemort. I Dissennatori. Voldemort. E poi Harry sta bene. Non è vero, Harry?>>

<< Sì.>> mentì Harry, che aveva male dappertutto.

<< Hai visto? Presto si riprenderà e potrà tornare a giocare.>>

<< La tua sensibilità è paragonabile a quella di un cucchiaino, Ronald.>>

<< Cos’ho detto di male?>> la rimbeccò Ron, le orecchie paonazze. << Le Fenici d’Argento non sono le stesse senza il Miglior Cercatore della Prima Divisione. Nemmeno il vecchio Oliver Baston dei Glasgow Rangers è riuscito a catturare così tanti Boccini a metà campionato.>>

<< Grazie.>> mormorò sommessamente Harry, che gli sorrise.

<< Uomini.>> sbottò Hermione. << Come potete pensare alle automobili e al Quidditch prima ancora della vostra salute?>>

Harry non riuscì a proferire parola del suo viaggio alla stazione di King’s Cross, né tantomeno di Silente, Bellatrix e tutto il resto. Conservava nella sua testa un ricordo sfocato della vicenda, e più si sforzava di concentrarsi per ricordare più il ricordo si faceva nebuloso.

Si sentiva meglio, era al fianco della persona che amava, stava andando tutto bene. Perché rovinare quel momento?

Ron tornò ai Tiri Vispi a metà pomeriggio, promettendogli di fare ritorno l’indomani con una scatola di Cioccorane alla Menta. << E’ una tiratura limitata per celebrare il duecentesimo anniversario di Edmund Testaquercia, creatore della Fabbrica di Mielandia.>> disse tutto allegro, prima di scomparire nel corridoio.

Quando il sole rossastro tinteggiò di un bagliore color sangue le veneziane della finestra, Harry iniziò ad avvertire un vuoto opprimente allo stomaco. Aveva fame. Come se non si cibasse da mesi interi. L’esito delle analisi dei Medimaghi fu positivo e gli fu permesso di trangugiare una minestrina di cipolle e una fetta di formaggio di Noce. Non fu granché, ma perlomeno mise a tacere i fastidiosi borbottii del suo stomaco.

Hermione gli raccontò del trambusto sollevato dalla Gazzetta del Profeta in seguito al suo incidente. << L’hanno paragonato alla trovata di un folle viziato e egocentrico, che non è nemmeno in possesso della patente babbana.>> A quanto pareva Rita Skeeter non si era ancora data per vinta, lottando ferocemente alla ricerca di uno scoop che compromettesse irrimediabilmente l’immagine eroica di Harry Potter. << Cagna schifosa.>> commentò acidamente Hermione. E strinse così forte le lenzuola del letto che le sue nocche divennero bianche. << Oh, Harry, ma cosa importa? Stai bene.>>

<< Sono stufo di quella donna.>> sbottò Harry, che si issò lentamente sui gomiti. << Voglio dire, sono quasi morto. Non è divertente. E poi l’ha patente babbana ce l’ho eccome.>>

<< Comunicherò a Santford di inviare un esposto al Profeta.>>

<< Non ti disturbare. Rita Skeeter non si fermerà mai, nemmeno davanti agli Auror.>>

Si guardarono per un lungo istante, poi scoppiarono a ridere.

Harry si mise a seduto sul letto e le fece scorrere un braccio attorno alle spalle, sollevando la mano libera per accarezzarle una guancia. Quella pelle, morbida e setosa. I suoi occhi. Il suo profumo di pesca e miele. Aveva rischiato di non vederla mai più, ed un baratro interiore gli squarciò il petto. Come sarebbe stato non esistere?

Hermione gli scompigliò affettuosamente i capelli. Si chinò, radunando la borsa e le sue cose sparse nella camera. La gioia nel suo sguardo palesava una profonda stanchezza. Era stata lì chissà quanto, senza dormire.

Sua moglie.

Com’era bello poterlo dire. Nella gioia e nel dolore, per sempre, lì al suo fianco.

<< Và a casa.>> sussurrò debolmente Harry, che le strizzò l’occhio. << Sto bene.>>

Il contatto con i cuscini gli trasmise un quieto torpore. Un formicolio gli invase gli arti, addentrandosi fino alle costole. Fu seguito da un fremito, poi da una profonda fitta di dolore che lo costrinse a strizzare gli occhi. Ripagò caro lo sforzo di essersi alzato.

Hermione indossò il soprabito color crema allacciato alla cintola con un nastro d’argento, che le fasciava elegantemente il corpo esile e slanciato. Si sistemò i capelli con una mano, rimirando il proprio riflesso nella finestra. Poi tornò a guardarlo. Con quegli occhi. Con lo sguardo che solo lei era in grado di rivolgergli. << Ci vediamo domani.>>

Harry si sentì pervadere l’anima. No. No. Doveva dirglielo. Subito.

<< C’è una cosa che devi sapere. E’ molto importante. Riguarda, ecco… l’incidente.>>

<< Abbiamo tutto il tempo, amore. Ora cerca a riposare.>> Hermione si chinò su di lui. Le loro labbra si incontrarono. << Domattina ho una riunione con Kingsley. Mi libererò verso le dieci. Verrò qui il prima possibile e, per l’amor del cielo, non accettare dolciumi o schifezze di alcun genere da Ron. Sei debole. La tua alimentazione deve essere controllata.>>

<< Lo farò.>> le promise Harry.

Un ultimo sorriso. Poi Hermione comparve dietro il tonfo attutito della porta, e Harry si ritrovò a scrutare il soffitto buio, sentendosi solo e impotente come un fantasma ferito. La sua salute stava migliorando, ma una parte nascosta di lui si domandò come avesse fatto a ritornare fra i vivi. Era un fantasma? Un Angelo Caduto? Forse, niente di tutto ciò. Semplicemente un uomo che aveva compiuto una scelta: quella di incamminarsi sui suoi vecchi passi, perché quella era la cosa giusta fare.

Perché aveva solo ventisette anni, dopotutto, e una moglie. E… un segreto.

 

*°*°*°*°*°*

 

Incidente automobilistico per Harry Potter.

Il ragazzo sopravvissuto perde il controllo della vettura. E’ grave al San Mungo.

 

LONDRA – L’incidente è avvenuto nel tardo pomeriggio di mercoledì, quando Harry Potter, Eroe del Mondo Magico e astro nascente delle Fenici d’Argento, rincasava dall’allenamento pomeridiano con la squadra presso il SilverFox Stadium di Myfair a bordo della sua auto babbana. << Un bolide.>> ha confermato il Professor Barney Hipkiss, ricercatore e Capo dell’Ufficio per l’Uso Improprio dei Manufatti Babbani. << Un’automobile del genere – modello Aston Martin DBS – è in grado di eguagliare la potenza di tre Nimbus 2001. E’ senza dubbio un oggetto molto pericoloso, che va maneggiato con estrema cura.>>

Lo schianto lungo l’Autostrada M25, nei pressi del Mills Hill Golf Club. Il veicolo di Potter ha perso il controllo per l’eccessiva velocità, sfondando la paratia divisoria tra le carreggiate e invadendo la corsia opposta. Lo schianto laterale con un camion è stato inevitabile, a detta di alcuni testimoni. Gli Obliviatori e i Medimaghi sono intervenuti tempestivamente sul luogo dell’incidente. Harry Potter è stato trasferito d’urgenza all’ospedale San Mungo, le sue condizioni sono apparse gravi. 

<< La famiglia del Signor Potter, lo staff e i compagni delle Fenici d’Argento Quidditch Club hanno deciso di mantenere un doveroso riserbo per quanto accaduto stamane.>> ha riferito il Presidente delle Fenici d’Argento, Ezius Aistrael. << Pertanto non abbiamo altre dichiarazioni da rilasciare in merito.>>

Secondo le prime stime, la possibilità che Potter abbia perso il controllo a causa della velocità eccessiva del veicolo è la più ricorrente presso l’Ufficio per l’Uso Improprio del Manufatti Babbani. A tal proposito, il Professor Barney Hipkiss si è raccomandato: << L’uso di tali veicoli è assolutamente proibito se non si è in possesso della patente babbana. Svolgeremo i doverosi accertamenti. Consiglio a tutti i maghi e streghe, lettori del Profeta, di acquistare Manici di Scopa. In assoluto il mezzo di trasporto più sicuro.>>

 

Hermione interruppe la lettura dell’articolo con uno sbadiglio esausto.

Depositò la copia spiegazzata del Profeta sul comodino; il viso sorridente di Harry, ritratto in prima pagina, le restituì un sorriso smagliante: era a cavallo della sua Firebolt 2.0, il boccino svolazzante stretto nel suo pugno, con la casacca scarlatta delle Fenici d’Argento. La didascalia della foto diceva: “Harry Potter. Genio e sregolatezza. La scamperà anche questa volta?

Hermione ricacciò un epiteto in gola. Rita Skeeter. Un giorno - ne era certa - si sarebbe vendicata.

Si sfilò gli occhiali da vista, con i quali era costretta a convivere da un paio di mesi a causa dello stress accumulato in ufficio, e si rigirò fra le lenzuola del letto matrimoniale. Allungò istintivamente una mano sul materasso, avvertendo una brutale sensazione di solutine quando non percepì la presenza di Harry al suo fianco.

Era stato fortunato. Sarebbe bastato un soffio di vento, un tassello del destino andato storto, e la vita di Harry sarebbe terminata in quel tunnel. Il solo pensiero le congelò il cuore. No. Non avrebbe mai potuto vivere senza di lui. Perciò era meglio evitare di pensarci.

*°*°*°*°*°

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Di seguito, un altro capitolo. Spero vi piaccia.
Grazie a Kia85, Merygreis e Kiki per le recensioni :D

Nient'altro da aggiungere, se non:


AUROR POWER!

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Capitolo 3
*** Vendette ***


Anima Nera_prologo



 

Due nere figure comparvero dal nulla a ridosso di una collina erbosa, a pochi metri di distanza l’una dall’altra.

La prima era alta, flessuosa, avvolta in un mantello color pece rattoppato, il volto interamente oscurato dal cappuccio. Le sue dita sottili e ossute stringevano una bacchetta.

<< Possiamo procedere, Mia Signora?>> domandò la seconda figura.

<< No.>> sciamò Bellatrix Lestrange, gli occhi folli, incavati, del tutto fuori controllo che fecero capolino dal cappuccio. << Una nuova alba sta per sorgere, Rockwood. Seguimi.>>

S’incamminarono lungo un sentiero tortuoso che s’inerpicava su per la collina. Bellatrix avanzò respirando affannosamente, come se non riuscisse a contenere la gioia di quel momento, la disperata soddisfazione di essere giunta a un traguardo importante. I capelli neri, arruffati, sudici le ricadevano sul viso come un ammasso di serpenti annodati. Rockwood caracollò alle sue spalle, incespicando nel mantello.

<< Come ben saprai, Rockwood, il Ministro della Magia – il buon, vecchio Shaklebolt – né tantomeno tutti gli altri suoi stupidi leccapiedi del Ministero, non hanno la minima idea della nostra esistenza. Nessuna, Rockwood. Noi siamo fantasmi.>>

<< Rinascenti, mia Signora.>> proferì il Mangiamorte, in tono ossequioso.

<< Nessuno è a conoscenza del nostro Piano. Nessuno deve sapere.>>

<< Così sia, Mia Signora.>>

<< Oh, taci un istante, stupido idiota!>> lo zittì bruscamente Bellatrix. Arrestò la sua camminata all’improvviso, e Rockwood rischiò di travolgerla. << Lo senti?>> La strega levò lo sguardo verso il cielo tinteggiato dei primi bagliori dell’alba. Un pallido sole stava sorgendo al di là della linea frastagliata delle montagne in lontananza. << Lo senti, Rockwood?>>

Il Mangiamorte, il volto schermito da una maschera di ferro, scosse timidamente il capo.

Bellatrix strinse la labbra in una smorfia. I suoi occhi incavati rotearono follemente lungo il sentiero. << L’odore della vittoria.>> sussurrò, con una vocina stridula simile a quella di una bambina. Poi, sorreggendo un lembo della lunga gonna di pizzo e merletti che trapelava sotto il mantello, iniziò a correre per giungere sulla sommità della collina.

<< Laggiù, Rockwood. Laggiù.  Tanti piccoli, stupidi, pidocchiosi mezzosangue.>> E additò con l’indice ossuto la vallata sottostante, battuta da una brezza autunnale.

Ai piedi della collina, oltre un lago, sorgeva un piccolo insediamento di case, ammonticchiate le une accanto alle altre. C’era una chiesa dal campanile decadente, un magazzino, una villetta bifamiliare dall’aspetto pericolante.

<< Ecco perché ti ho condotto qui, fratello Rinascente, amico fidato.>> disse dolcemente. << Laggiù, Rockwood, è Willgrave Lane. E’ il posto dove sono nata.>>

Il Mangiamorte, che l’aveva rincorsa durante tutto il tragitto, era piegato in avanti, le mani premute sulle ginocchia e il fiato rotto dallo sforzo.

<< E’ una fogna! Un covo di sporchi mezzosangue!>> strillò Bellatrix. Tornò a indicare follemente il paesino, gli occhi scintillanti come due tizzoni ardenti. << Inizieremo da Willgrave Lane, Rockwood. Chiama gli altri. Ordinagli di raggiungerci.>>

<< Come ha detto, Mia Signora?>> domandò Rockwood, incredulo, con un filo di voce.

<< Mi hai sentito bene, lurido idiota. Chiama gli altri!>> abbaiò lei. << Siamo rimasti nell’Ombra per troppo tempo. E’ giunto il momento di presentarci al nuovo Mondo.>>

Rockwood esitò. Indietreggiò di qualche passo, l’espressione inorridita nascosta dietro la maschera. Lentamente, arrotolò la manica della veste e mostrò il marchio nero tatuato sull’avambraccio sinistro.

<< Arriveranno a decine.>> Bellatrix gli rivolse uno sguardo addolcito, le labbra strette in un’espressione intenerita, come una studentessa alle prese con una cotta adolescenziale. Era palesemente squilibrata. << Insieme, alleati contro il Nemico, potremo fare grandi cose. Riscriveremo la Storia della Magia dell’ultimo Secolo. Riabbracceremo il Nostro Eterno Signore Oscuro.>> Detto ciò levò in alto la bacchetta e, con un gesto teatrale ed elaborato, la puntò sul Marchio Nero di Rockwood.

Nell’aria strepitò un sibilo, simile al rumore di uno strappo di pergamena, o del tubo di scolo di un lavandino.

Nel prato tutt’intorno a loro comparvero con uno schiocco di frusta decine di figure incappucciate, le une accanto alle altre in formazione serrata, i volti schermiti da maschere di ferro intarsiate. E i loro occhi, rossi come rubini, scintillanti sotto il cappuccio.

<< Amici miei!>> strillò Bellatrix, gioiosa. Ed allargò le braccia, le sopracciglia sollevate, un sorriso folle dipinto sul suo volto scarno. << Amici miei! Rinascenti! Mangiamorte! Fedeli sostenitori del nostro Eterno Signore Oscuro! Benvenuti. Benvenuti all’epico epilogo di Willgrave Lane, e del marciume mezzosangue che attanaglia la nostra stirpe.>>

I Mangiamorte rimasero immobili come statue di cera. Alcuni di loro si limitarono ad annuire in silenzio, ma la maggior parte pareva avere troppo timore della figura di Bellatrix per contraddire un suo ordine.

<< Usciamo dal nostro Guscio, dall’ombra che ci ha celato agli occhi del Ministero per due lunghi anni. Uccidiamoli. Uccidiamoli tutti.>> L’espressione estasiata di Bellatrix, le sue braccia levate, diedero inizio alla Guerra.

Con un ordine, un urlo di rivalsa, una stridula richiesta di morte; insieme, compatti, i Mangiamorte discesero la collina, sorpassarono il lago e si riversarono a Willgrave Lane. Ci furono urla, grida di sofferenza, terrore, strilli così disperati da essere uditi a miglia di distanza, ovattati dagli lampi di luce verde che rischiararono a giorno il villaggio. I Rinascenti obbedirono fedelmente al volere di Bellatrix: diedero fuoco alle case, uccisero chiunque capitasse loro a tiro. E i pochi maghi presenti non riuscirono a difendersi, vennero spazzati via insieme al resto degli abitanti, e nel giro di mezz’ora il tranquillo paesino di Willgrave Lane, sperduto nella brughiera inglese, divenne un teatro di morte.

<< Rinascenti!>> strillò Bellatrix, facendo irruzione nel villaggio in fiamme. Era allegra, energica, quasi elettrizzata. << Questa è la nostra Guerra! E’ la nostra rivincita!>> Spalancò le braccia, gli occhi folli rigati di lacrime di gioia. << Chiamate i Dissennatori! Voglio far visita al Ministero.>>

<< Al Ministero?>> strepitò Rockwood, che era rimasto al suo fianco e si era tenuto distanza dagli scontri. << Mia Signora… sono ignari della nostra presenza, questo è certo… ma sarebbe troppo rischioso! Moriremo tutti.>>

<< Taci.>> sibilò Bellatrix. Poi tornò a sorridere, affabile. Avanzò lungo il viottolo a piedi nudi, marciando attraverso la distesa di cadaveri di uomini, anziani, donne, bambini. Una scia di sangue tracciò il suo cammino. << Noi siamo in grado di fare grandi cose. Non c’è bisogno di aspettare la mossa del nemico. Bisogna colpirlo quando meno se lo aspetta, evitando una serie di tediose strategie militari. Violenza, sangue, vendetta! Saranno i tre capisaldi della nostra Guerra!>> E levò un pugno in alto, seguita dal resto dei Mangiamorte che la accerchiarono, urlanti e soddisfatti come segugi addestrati.

<< Vendetta!>> urlò Bellatrix, sovrastando le voci di tutti gli altri. << E’ giunto il momento di vendicare il nostro Eterno Signore! Marciamo verso il Ministero, fratelli miei, insieme ai Dissennatori e ai Giganti delle Montagne Rocciose. Marciamo verso il nostro futuro, che sarà finalmente nelle nostre mani.>>

 

*°*°*°*°*

 

<< Coraggio, Ronald. Ancora un tentativo. Al mio tre. Uno… due… tre!>>

Con un rantolo soffocato, Arthur e Ron Weasley sollevarono un pesante, polveroso baule di legno, sul quale erano iscritte le iniziali “A.P.W.” – Arthur Percivalt Weasley – bisnonno di Arthur, vecchio leone di guerra durante la Secessione Magica di Scozia del 1859.

Avanzarono a stento per un paio di metri e lo depositarono con un tonfo in un angolo del capanno degli attrezzi, accanto a una libreria stracolma di vecchie scatole di scarpe. Da una di esse, ammonticchiata sullo scaffale più alto, proveniva uno strano odore di gomma bruciata. E Ron, stremato, si chiese se non fosse il caso di fare pulizia.

<< E’ una follia, papà.>> sbottò, avvilito, la fronte imperlata di sudore. Si rimboccò le maniche della camicia. Suo padre era snervante, a volte. E parecchio testardo.

Arthur Weasley non gli prestò attenzione. Oltrepassò il vecchio baule e trotterellò allegramente verso il rottame di lamiere arrugginite che occupava gran parte del magazzino. Avevano lavorato cinque lunghe ore per spostare tutte le cianfrusaglie nel capanno e far spazio a quell’aggeggio. E Ron si chiese che cosa diavolo se ne facesse. Un tempo doveva essere stata un’auto babbana, ma ora della carrozzeria non ne rimane altro che un ammasso di ferraglia accartocciata. Il muso era completamente inesistente, i vetri sfondati e i sedili, arsi dal fuoco, erano anneriti. La parte posteriore dell’auto si era salvata, ed era rimasta pressoché intatta. Si poteva leggere chiaramente la targa. E il logo, simile alle ali di un’aquila stilizzata, recava la scritta “Aston Martin”.

Aston Martin?

<< Papà.>> fece Ron, risoluto. << Dove l’hai trovata?>>

<< Oh, perbacco, è stato un affare.>> disse Arthur, che stava esaminando minuziosamente il rottame. Fece scorrere le dita lungo il profilo del tettuccio ammaccato, sfiorandolo come se fosse costituito di un materiale prezioso. << Me l’ha offerta il vecchio Mundungus Fletcher per dieci galeoni. Dice che, con un paio di incantesimi Svita e Monta, tornerà come nuova.>>

<< Non era finito ad Azkaban per essersi finto un Infernus durante un furto?>>

<< E’ tornato in libertà un paio di mesi fa.>>

<< Giusto in tempo per fregarti un’altra volta, vero papà?>>

<< Sciocchezze!>> esclamò Arthur, offeso. Ron notò che le sue orecchie erano diventate paonazze. << La Ford Anglia era in condizioni disperate, quando Mundungus me l’ha proposta poco prima dell’elezione di Caramell. Eppure sono riuscito ad aggiustarla. E’ stato un affare.>>

<< La tecnologia babbana è cambiata, pà.>> Ron indicò il rottame dell’Aston Martin con un cenno del capo. Gli aveva ripetuto quel discorso un discreto centinaio di volte. << E poi, un’ultima cosa. Non vorrei rovinarti la sorpresa, né tantomeno dubito che tu sia capace a rimetterla a posto. Ma quest’auto credo appartenga a Harry.>>

Ne seguì un lungo istante di silenzio. Arthur dapprima rimase immobile, inebetito, e ricambiò lo sguardo del figlio con occhi vuoti. Poi il suo sguardo s’animò di una rabbia improvvisa, latente. Scagliò un calcio sulla fiancata dell’auto, poi batté forte il pugno nel palmo della mano, come se avesse compreso a fondo il perché di quel mirabolante affare. << Mundungus, sporco ladruncolo! Me la pagherà.>>

Ron scrollò le spalle. Si sforzò di trattenere un sorriso divertito. << Cerca di vedere il lato positivo della faccenda. Hai ritrovato l’automobile di Harry. Ne sarà entusiasta, quando sarà dimesso dal San Mungo. Ti restituirà volentieri i dieci galeoni.>>

<< Ma io volevo un’automobile.>> ribatté Arthur, con il tono deluso di un bambino al quale era stato negato un sacchetto di caramelle di Mielandia.

<< L’avrai, papà.>> Ron gli posò una mano sulla spalla. << Ne cercheremo una. Ma tu, per favore, promettimi che lascerai perdere quel vecchio impostore. Se Harry scopre che ha rivenduto illegalmente la sua automobile, bé… potremo dirci di esserci liberati per sempre di Mundungus.>>

<< Cosa se ne farà Harry di questo rottame? Il solo pensiero che ci fosse dentro, durante l’incidente, mi mette i brividi.>>

<< Potresti provare ad aggiustarlo.>> Ron diede una pacca sulla portiera ammaccata. << Se Harry non la vorrà indietro, bé… sarà tua.>>

Suo padre era andato in pensione dopo quarant’anni di onorato servizio il mese prima. I primi giorni erano stati uno spasso, per lui. Un Paradiso, una liberazione. Ma poco tempo dopo, irrimediabilmente, era sciamata in lui una profonda depressione. Si sentiva inutile. Vecchio. E spingerlo a impegnarsi a fondo per rimettere in sesto quell’Aston Martin era l’idea giusta per trascinarlo fuori dal baratro depressivo.

<< Bè… in effetti… potrei. Ma non ne sono sicuro, Ronald. Potrebbero occorrere mesi.>>

<< Fai un tentativo. Un piccolo tentativo. Perlomeno, se ti arrendi, potrai sempre dire di averci provato, giusto?>>

Il viso di Arthur Weasley si aprì in un radioso sorriso. << Hai ragione, figliolo.>>

<< Lo so.>>

<< Ah, Ron. Un’altra cosa.>>

<< Tranquillo. La mamma non saprà niente.>>

 

*°*°*°*°*

 

Uno scoppio. Il fragore lontano di un tuono.

Hermione sollevò la penna d’oca dalla pergamena, spostando gli occhi sulla finestra dell’ufficio. Pesanti gocce di pioggia picchiettavano ferocemente contro i vetri. Il Quartier Generale si trovava nel cuore dei sotterranei londinesi, ma grazie a un potente incantesimo le finestre erano in grado di mostrare le condizioni meteorologiche esterne. Il paesaggio incantato della brughiera inglese fu scosso da un lampo.

Hermione scosse il capo, tornando a concentrarsi sulla Relazione riguardante un caso di Trafficanti illegali di Calderoni Esplosivi. Non vedeva l’ora di terminarla, afferrare il soprabito e correre al San Mungo.

Un altro scoppio, seguito da un frastuono di sottofondo. Delle urla.

<< Colin.>> mormorò Hermione nell’interfono sulla scrivania.

Colin Canon, giovane recluta Auror, piombò in ufficio con la velocità dei fulmini che si abbattevano fuori dalla finestra. Era cresciuto parecchio, alto e dinoccolato, con una folta chioma di capelli color paglia e i denti sporgenti. << Serve aiuto, Comandante?>>

<< Chiamami Hermione, Colin. Per favore.>>

<< Hermione.>> si corresse lui, impacciato. Sembrava nutrire nei suoi confronti un profondo timore reverenziale, come se dovesse fronteggiare il Primo Ministro. << Serve… aiuto?>>

<< C’è qualche problema al Ministero? Manutenzione, voglio dire. Sento dei… rumori.>>

<< Non che io sappia.>> replicò prontamente Colin. << Gradisce che mi informi con l’Ufficio Manutenzione?>>

Hermione soppesò l’idea per qualche istante. Poi pensò a Harry, all’impellente bisogno di fuggire dal Quartier Generale dopo una pesante giornata lavorativa. Dopo la riunione mattutina, Kingsley aveva insistito per presentarle la delegazione Magica Rumena in visita al Ministero della Magia per un progetto di ricerca e protezione sui Draghi. E la visita al San Mungo era tristemente saltata.

<< Non ce n’è bisogno.>> mormorò distrattamente Hermione, che prese a scribacchiare frettolosamente sulla pergamena. Agitò la mano libera in un cortese cenno di congedo. << Ti chiedo scusa, Colin. Puoi andare.>>

Canon annuì, abbozzando a un inchino ossequioso. Un attimo dopo era sparito nel corridoio.

La punta della sua penna d’oca tracciò eleganti ghirigori in calce al documento. Hermione firmò con un elaborato scarabocchio, poi arrotolò il documento e lo sigillò con la bolla del Quartier Generale. Aveva finito. Sospirò, sentendosi privata di un peso.

E in quel momento accade di nuovo: la scrivania, il pavimento sotto i suoi piedi e le pesanti librerie che occupavano due pareti dell’ufficio presero a tremare. Decine di volumi caddero a terra con un tonfo, seguiti da alcuni quadri appesi alle pareti.

Hermione s’alzò in piedi di scatto, impugnando la bacchetta. Non era un semplice terremoto. Era come se, in una parte nascosta della sua coscienza, una vocina le avesse sussurrato di fuggire il prima possibile dal Ministero. Come poteva obbedirle? Lei era il Comandante degli Auror. L’ultima persona al mondo a dover abbandonare una barca mentre affondava.

<< Comandante Granger!>> Dwalish, Savage e Smith piombarono nell’ufficio, mentre i vetri delle finestre iniziarono a tremare. << Sono dappertutto! Mangiamorte!>>

Crack. La pace nel Mondo dei Maghi si era appena spezzata.

<< State calmi, maledizione.>> Hermione prese un sospiro profondo. Era stata addestrate per gestire razionalmente ogni situazione di pericolo. Un altro sospiro. Mangiamorte. Il cuore iniziò a batterle all’impazzata nel petto. << Quanti Auror sono di turno?>>

<< Una ventina, Comandante.>> rispose Savage. << Canon, Finley, Rowles, Spencer…>>

<< Voi due.>> tagliò corto Hermione. << Avvisate immediatamente Kingsley e il suo staff del Primo Livello. La sicurezza del Ministro della Magia ha la priorità assoluta.>>

<< Sissignora.>>

<< Canon, Spencer e Doyle penseranno ad avvisare tempestivamente il resto del Ministero. Questo posto è un fortino, le misure di sicurezze e gli incantesimi protettivi sono abbondantemente efficaci per contrastare qualsiasi minaccia esterna. Non dobbiamo perdere la calma. Per nessun motivo. E’ chiaro?>>

<< Sissignora.>> ripeterono Dwalish e Savage in coro.

<< La situazione è sotto controllo.>> ripeté Hermione, più a sé stessa che ai due Auror. Puntò la bacchetta alla gola e mormorò: << Sonorus.>> La sua voce strepitò in tutto il Quartier Generale, maestosa e metallica come se provenisse da un enorme, gracchiante microfono. << Codice di sicurezza dieci. L’intera squadra con me. Veloci.>>

Dagli uffici adiacenti provenne un latente brusio. Qualcuno urlò.

Hermione raccolse frettolosamente alcuni incartamenti dalla scrivania, cacciandoli senza ritegno nella borsa da lavoro. Indossò il soprabito e il Mantello d’Ordinanza. Poi, prima di abbandonare l’ufficio insieme a Dwalish e Savage, rimediò due caccabombe dei Tiri Weasley abbandonate ai piedi della libreria.

I corridoi erano assiepati di gente. Il panico si era diffuso a macchia d’olio nel giro di una manciata di minuti, e la maggior parte dei maghi era fuggita dai loro cubicolo per riversarsi senza ritegni negli atri ascensori di ogni livello. La paura regnava sovrana.

La squadra di Auror abbandonò il Quartier Generale in formazione serrata, le bacchette sguainate e i mantelli svolazzanti, eseguendo alla regola il massimo protocollo di sicurezza previsto dal Ministero. Hermione apriva la fila, affiancata da Dwalish e Savage. La folla si diradò al loro passaggio, e parecchie paia di occhi vennero proiettati nella loro direzione.

<< I Mangiamorte! I Mangiamorte sono tornati!>> strillò l’anziana Tadarida Jonson, dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. E agguantò l’avambraccio di Dwalish, gli occhi proiettati fuori dalle orbite e una maschera di terrore dipinta sul volto rugoso.

A fatica, ostacolati dalla folla, gli Auror raggiunsero l’Atrium del Ministero. Ad attenderli, scuri in volto, c’erano lo Stregone capo del Wizengamot – Elphias Doge – insieme a Ludo Bagman e il suo intero staff dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici. Quest’ultimo, che indossava un abito color senape, aveva perduto ogni bagliore di gioia che aveva contraddistinto negli anni la sua figura. Il suo volto rotondo apparve scolorito, nervoso, terrorizzato.

<< Comandante Granger.>> irruppe l’anziano Elphias Doge.

<< Dov’è il Ministro?>> domandò Hermione.

<< Non è in Ufficio, al momento.>> sospirò il mago. Le mani ossute che stringevano la bacchetta tremavano vistosamente. << Il Ministero è precipitato nel caos. Niente e nessuno è in grado di sedare il panico, temo.>>

 << Sono… fuori.>> squittì Bagman. << Dissennatori. Mangiamorte. Come possiamo mantenere la calma, in una situazione del genere?>>

 << Ordinate a tutti i dipendenti di rientrare nei loro Uffici.>> proseguì Hermione, con tono ferreo, evitando con cura lo sguardo di Bagman. << Ci sono adeguate protezioni. Non riusciranno mai a entrare. Finché rimarrete all’interno del Ministero non ci sarà alcun pericolo per la vostra incolumità. Ve lo garantisco.>>

<< Comandante.>> Bagman la trattenne per la manica della divisa. << E se ci fossero delle… Talpe?>>

<< Egidius Pratt e i suoi collaboratori dell’Ufficio per l’Archiviazione Magica sono stati rinchiusi ad Azkaban per Alto Tradimento l’anno scorso. Giudico alquanto improbabile che dei folli abbiano deciso di aiutare i Mangiamorte nel Dopoguerra, a meno che essi non diano la benché minima importanza alla vita.>>

<< E se riuscissero a entrare?>> ribadì Bagman. Il suo viso rassomigliava a una grossa, paonazza forma di formaggio. << Saremmo perduti.>>

<< Questo non accadrà.>> ruggì Hermione, divincolandosi dalla presa. << Elphias, la prego, contatti Kingsley. In qualsiasi modo. Temo che la posta via gufo non sia abbastanza rapida. Ho bisogno di lui.>>

L’anziano Stregone Capo annuì sommessamente, chinando il cranio calvo in un cenno d’assenso.  Osservò Hermione attraverso la spessa montatura di corno, dalla sua bocca comparve un sorriso accennato. << Faccia vedere di che pasta è fatto un Eroe, Granger.>> sussurrò, prima di incamminarsi a grandi passi verso un Camino.

Un Eroe…

La gola di Hermione si strinse in una morsa. Harry. Fu il suo unico pensiero. Dimenticò, per un breve istante, l’importanza della vita delle decine di migliaia di membri del Ministero. Harry era al San Mungo, debole, esposto al pericolo. Avrebbe gettato alle fiamme il distintivo per Smaterializzarsi al suo fianco. Ma… non poteva. I gradi dorati di Comandante scintillanti sulle sue spalle le ricordarono il suo ruolo. Doveva preservare l’incolumità della comunità Magica. Non esclusivamente quella di Harry. La scelta le provocò un profondo vuoto allo stomaco.

<< Contattate lo staff ministeriale. Dite a Percy Weasley di assicurarsi che il San Mungo, Hogwarts e tutte le principali Istituzioni siano adeguatamente controllate. I Mangiamorte non sono stupidi come Troll di Montagna: potrebbero attaccare contemporaneamente agendo secondo un piano di sommossa. Potrebbero…>>

<< Comandante.>> la interruppe Savage, alle sue spalle. << Sta arrivando il Ministro…>>

In lontananza, comparso nel bagliore di fumo verdastro di un camino, comparve la figura di Kingsley Shacklebolt. Era alto, massiccio, avvolto in una vestaglia di flanella e dall’aspetto piuttosto stanco e provato. Il Ministro della Magia ciabattò rumorosamente nella loro direzione, senza preoccuparsi degli sguardi curiosi che gli venivano indirizzati dai funzionari nell’Atrium. Dal suo sguardo grave Hermione dedusse che fosse al corrente della situazione.

<< Hermione!>> esclamò trafelato. Ignorò ogni altra persona presente al suo cospetto. << Nel mio ufficio. Subito.>>

Hermione trascorse il resto del tragitto ad illustrargli minuziosamente i possibili piani di sommossa per difendersi dagli attacchi esterni, e tutte le azioni di sicurezza preventive da mettere in atto per agevolare l’evacuazione totale della struttura. Kingsley si limitò ad annuire timidamente, senza aprire bocca. Giunto nell’Ufficio del Ministro al Primo Livello, un’ampia sala circolare che si affacciava su un paesaggio magico innevato, Kingsley si lasciò cadere stancamente sulla poltrona dietro alla scrivania. << Vai al San Mungo.>> proferì, greve, senza darle il tempo di ribattere. << Qui ci penserò io. Sono il Ministro, dopo tutto. Un’Auror. E questa è senza dubbio la mia casa. Ho combattuto due Guerre, di certo reprimere l’attacco di una pazza scellerata sarà una passeggiata.>> Sorrise. Un riso pallido e cortese. << Potter ha eliminato Voldemort, e ciò lo rende il bersaglio numero uno di Bellatrix Lestrange. Se ha deciso di attaccare adesso, probabilmente è a conoscenza del ricovero di Potter in ospedale. Il profeta l’ha sbandierato a mezzo mondo, dannazione. Corri da lui, per favore. Difendilo.>>

<< Ma Kingsley…>>

<< No.>> Lui scosse energicamente il capo. Poi allungò un mano, sfiorandole l’avambraccio. << Conosco Harry abbastanza bene da dedurre che agirà senza riflettere. Impediscigli di fare delle idiozie, Hermione. Del tipo farsi ammazzare.>>

Hermione annuì. Il cuore prese a batterle all’impazzata nel petto. << Lo farò.>>

<< Era un ordine, Comandante.>> Kingsley la congedò con una strizzatina d’occhio. Poi la sua espressione tornò solenne e risoluta, di un capitano pronto a impedire alla propria barca di affondare. << Non c’è tempo da perdere.>> Batté energicamente un pugno nel palmo della mano. << Eliminiamo quella stupida puttana una volta per tutte.>>

 

*°*°*°*°*°*

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Grazie mille per le recensioni, a tutti quanti. Questo è quello che definisco un capitolo un po' "noioso", di passaggio, ma di azione nel prossimo ce ne sarà molta.
Grazie all'allegra banda della pagina facebook "cercando chi dà la roba alla Rowling". Siete delle grandi :D

Nient'altro da aggiungere, se non:


AUROR POWER!

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Capitolo 4
*** Fuga ***


Anima Nera_prologo



 

Harry aprì gli occhi.

Fuori dalle finestre il cielo era tinteggiato da un fioco chiarore lunare.  

Si tirò su fra le lenzuola nel silenzio irreale della camera d’ospedale, tastando alla cieca il comodino alla ricerca degli occhiali. Inforcò le lenti con una smorfia.

Aveva sognato di correre a bordo di una moto babbana sull’acqua di un fiume. Il torrente impetuoso l’aveva condotto inspiegabilmente sotto una cascata, ma non i suoi vestiti erano rimasti asciutti. Dall’altra parte, ad attenderlo appollaiata fra le rocce, c’era Bellatrix Lestrange. Era viva. Pazza come non mai. E, senza troppe pretese, aveva cercato di ucciderlo.

Harry si era risvegliato poco prima che una maledizione senza perdono lo centrasse in mezzo agli occhi. Ed i battiti accelerati del suo cuore ne furono una tetra conferma.

Ho sete. Una sete dannata.

Rimirò rassegnatamente il bicchiere vuoto ammonticchiato sul comodino. Agguantò il minuscolo interfono legato al letto e premette con veemenza il tasto di accensione. << Infermiere.>> mormorò. << Mi sentite? Avrei bisogno di una bottiglia d’acqua, per favore.>>

Dall’altro capo provenne uno crepitio sordo. Ma nessuno rispose. 

Deve essersi addormentato. Pensò Harry, desolato. Riprovò un’altra volta a richiamare un infermiere, ma l’esitò fu negativo. Ora che ci pensava, nei corridoi fuori dalla sua stanza regnava uno strano silenzio, come se l’intero ospedale fosse stato evacuato.

Azionò inutilmente l’interruttore. Era saltata la corrente, e le uniche fonti di luce erano delle candele sospese a mezz’aria che emanavano un bagliore azzurrino.

Che cosa stava succedendo?

Il suo stomaco si inondò di una sgradevole sensazione di panico. Lentamente, i brividi gli si diramarono lungo la spina dorsale. Aveva freddo. Il sistema di riscaldamento era spento, così come tutti i macchinari ai quali era attaccato. Nessun segnale, nessun segno di vita. Niente di niente. La paura venne sostituita dalla fredda razionalità. Un terremoto? Un’inondazione?

Forse stavano solo mettendo in atto una prova di evacuazione. Entro breve le luci avrebbero illuminato ogni ambiente e il solito viavai di Medimaghi e Infermieri avrebbe invaso i corridoi. Harry passò l’ora seguente in silenzio, nell’oscurità più completa, senza udire altro al di fuori dei battiti accelerati del suo cuore. No, si stava sbagliando di grosso. Non c’era nessuna cazzo di evacuazione.

<< Harry Potter.>>

Una voce cupa, metallica, esplose nell’interfono accanto al letto. Harry trasalì.

<< Il mio nome non è tanto diverso dal tuo. Mi chiamo Flynn. Harry Flynn. Sono un Auror e il mio compito è quello di pattugliare l’ospedale. Harry Potter, se sei ancora lì, dì qualcosa.>>

Harry agguantò l’oggettino, simile a una tonda ricetrasmittente. Le sue mani tremarono. Pervaso da dubbi, prima di parlare, si inumidì le labbra la lingua. << Sono io.>> mormorò. << Cosa diavolo sta succedendo qui?>>

<< Grazie al cielo.>> dall’altro capo della chiamata si udì un sospiro profondo. Il suo tono era serio e concitato, come se fossero nel bel mezzo di una guerriglia sanguinosa. << Tua moglie mi ha ordinato di scortarti fuori da questo posto. E’ rimasta bloccata a Ovest, vicino alla chiesa. I Dissennatori hanno circondato il San Mungo.>>

<< Dissennatori?>>

Harry non si accorse di aver urlato. Dissennatori. Sempre e solo Dissennatori. Quei luridi, schifosi esseri incappucciati avevano distrutto la sua macchina, l’avevano spedito all’ospedale con qualche osso rotto e, non felici, erano tornati alla carica per dargli il colpo di grazia. Stavano forse agendo per conto di qualcuno?

<< Io… non credo ci sia un modo giusto per dirlo.>> disse di rimando l’Auror. << E’ scoppiata una Guerra, Potter. I Mangiamorte sono tornati.>>

Oh, forte. Davvero. Una Guerra?

Calma e sangue freddo, gli avrebbe detto Hermione. Il palazzo era al buio, circondato da Dissennatori assetati di sangue? Calma e sangue freddo. Si ripeté. D’altronde, che motivo c’era per preoccuparsi? C’era Flynn, da qualche parte: un solo Auror in un covo di creature oscure. L’avrebbe aiutato.

<< Ho due aghi nel braccio, Flynn.>> sbottò Harry nell’interfono. << I Medimaghi mi hanno attaccato a dei macchinari per monitorare la mia salute. Ho la bacchetta, ma ho bisogno di aiuto per liberarmi da questi aggeggi. Dove ti trovi?>>

<< In un gabbiotto nel Reparto Ustioni.>>

<< Io non ho idea di dove mi abbiano ricoverato.>>

Dall’altro capo provenne un sibilo. Poi l’eco di una fredda risata. Flynn urlò. E fu l’urlo più atroce e raccapricciante che Harry avesse mai udito: fu come se la vita di un uomo gli fosse stata strappata via, pezzo dopo pezzo, rimbombando dolorosamente nelle sue orecchie. La risata si fece più forte, e qualcuno agguantò l’interfono provocando sinistri stridii.

<< Harry, caro ragazzo.>> cantilenò la vocina acuta di Bellatrix Lestrange. Flynn emise un altro urlo agghiacciante. <<  So che sei lì, da qualche parte… ma non temere. Zia Bella sia arrivando a trovarti.>> Rise, poi parve agguantare qualcosa e sbatterlo con foga su una superficie dura. Si udì l’eco di ossa spezzate. << Giochiamo a nascondino, Potter?>>

Harry avrebbe voluto urlare, ma dalla sua bocca non fuoriuscì alcun suono. Iniziò a dimenarsi nel letto, strappandosi di dosso gli aghi che lo tenevano ancorato al macchinario ospedaliero. Gridò dal dolore e lottò contro il forte giramento di testa mentre s’alzò seduto sul materasso, raccogliendo alla rinfusa tutto ciò che gli capitò a tiro sul comodino. Infilò una felpa, poi allungò una mano insanguinata e si riappropriò della bacchetta.

<< E’ inutile che cerchi di scappare, Potter.>> sibilò Bellatrix dall’interfono. << Qui non c’è nessuno che potrà aiutarti. Nessuno che sia abbastanza… vivo.>>

Harry si precipitò fuori nel corridoio buio. L’unica fonte di luce era una plafoniera al neon che penzolava dal soffitto. << Lumos.>> Avanzò rapido alla ricerca di una via d’uscita. Il pavimento era sgombro e dalle camere non proveniva alcun rumore.

Harry rabbrividì. La sua bacchetta illuminò una pozza di sangue ai suoi piedi, che proseguiva zigzagando in una scia rossastra lungo il pavimento del corridoio, fino a svoltare nella camera numero 119. La porta era socchiusa e una mano trapelava dall’ingresso, inerme e insanguinata.

La risata di Bellatrix strepitò in ogni interfono del soffitto.

<< Che effetto fa, Potter, sapere di essere tremendamente solo?>>

Harry la ignorò. Oltrepassò il corridoio senza trovare il coraggio di ispezionare le camere, ma la puzza di morte regnava sovrana e le sue narici vennero nauseate dal puzzo tremendo di una carcassa di animale, barbaramente abbandonata nel pianerottolo. Un gufo. O quel che ne rimaneva.

<< Il Signore Oscuro sarà vendicato.>>

Harry smanacciò per allontanare le mosche e proseguì di sotto, scalzo, imboccando la rampa di scale che conduceva al piano sottostante. Ma l’uscita gli fu sbarrata da un cumulo di barelle ammassate le une sulle altre sui portelloni antincendio, e Harry fu costretto a rimuoverle ricorrendo a un incantesimo di appello.

Irrequieto, creò un varco fra le barelle abbandonate e sgattaiolò nell’atrio del secondo piano. Lì giacevano altri corpi abbandonati a terra. Una barella rovesciata in un angolo precedeva il corpo di un Medimago disteso prono sul pavimento, il volto insanguinato e le iridi terrorizzate perse nel vuoto.

La situazione non cambiava: l’impianto elettrico era saltato e l’oscurità lambiva sovrana ogni stanza, accompagnata dai tetri fiotti di luce lunare che trapelava dai finestroni del corridoio.

Harry si sentì in trappola. Ma la sua testa saettò a Hermione. Non pensò ad altro al di fuori di lei, e si chiese se Bellatrix avesse cercato di farle del male.

<< Nascondino… nascondino… dove si trova Potterino?>>

Un esplosione alle sue spalle lo fece trasalire. Il quadro elettrico incastonato nella parete saltò per aria con uno schiocco di fucile e l’ambiente venne illuminato a giorno.

Harry venne sbalzato a terra. Avvertì un forte bruciore al viso.

<< Morire per mano di una maledizione sarebbe una fine troppo gloriosa, Potter. Io ti spegnerò lentamente. Arriverai a pregarmi di ucciderti.>>

Nel corridoio umido, illuminato fiocamente da un neon intermittente, comparve dal nulla Bellatrix Lestrange. E con lei, stretta fra i suoi artigli, c’era Hermione.

<< No!>> urlò Harry, ed allungò una mano tremante nella loro direzione.

Bellatrix sogghignò, premendo la punta della bacchetta sulla tempia di Hermione. I suoi occhi incavati e folli lo osservarono con enfasi vittoriosa. Poi, con un gesto teatrale, disse dolcemente: << Avada Kedavra.>>

Un lampo di luce verde gli oscurò la visuale, ma Hermione non urlò. Non accennò ad alcuna reazione, limitandosi ad incassare il colpo il silenzio, quasi si fosse offerta volontaria in quel macabro gioco di morte. Harry si rimise in piedi sulle gambe tremanti e corse verso di lei, ma quando la luce si diradò non vide altro che un ammasso di vestiti sudici ammonticchiati a terra. E un ratto, poco distante, riverso al suolo privo di vita.

<< Vieni fuori!>> abbaiò Harry, che strinse con foga la bacchetta. << Ne ho abbastanza di questa messa in scena. Vieni fuori e facciamola finita.>>

<< Potterino Potterino… credi sia così semplice? Ho impiegato anni per architettare tutto questo. Anni. Credi che i Dissennatori fossero lì per caso?>>

<< Io… sono l’unico rimasto?>> boccheggiò Harry.

Dagli altoparlanti del corridoio provenne una risata fredda e folle.

<< Avevi forse dei dubbi, Potter?>>

 

*°*°*°*°*

 

Cinquantacinque Auror addestrati del Quartier Generale comparvero l’uno affianco all’altro con repentini schiocchi di frusta sotto la pioggia cocente, seguiti a ruota da venti Indicibili del Settimo Livello e da Kingsley, che insistette per fronteggiare la minaccia in prima persona. Mai prima di quel momento un Ministro della Magia aveva osato disporsi nelle prime linee di guerra. E lui, con il viso grave piegato in una smorfia, accettò silenziosamente l’incarico di Comandante della truppa e passò in rassegna ognuno di loro, scrutandoli attentamente negli occhi.

A chiudere la fila c’era Hermione. Tesa, devastata, con i gradi di Comandante a scintillarle sul petto. Quando Kingsley le passò dinnanzi, lottò con tutta sé stessa per trattenere le lacrime. Il nervoso la pervase come un’ondata in piena.

<< Non c’è tempo per i discorsi cavallereschi.>> disse Kingsley, che additò la vallata dalla quale si poteva intravedere il politecnico San Mungo immerso nel verde di un parco. << Sapete che cosa dovete fare. Andiamo.>>

<< Auror in formazione!>> urlò Hermione, che levò in alto l’avambraccio.

E tutti i suoi ragazzi, con un urlo unanime, la seguirono di corsa giù per il sentiero tortuoso nascosto fra gli arbusti, distanti dall’obbiettivo non meno di un miglio. Corsero silenziosi e agili nella notte, tenendosi a debita distanza dai Mangiamorte che pattugliavano gli ingressi e i muri di cinta che separavano il polo ospedalieri dal resto del villaggio magico di Sleepy Crown, alle porte di Londra, del tutto invisibile ai babbani.

I primi a fronteggiare lo scontro diretto furono Dwalish e Savage, che colsero alle spalle un Mangiamorte e lo schiantarono silenziosamente sul colpo. Il suo corpo si afflosciò a terra come un sacco privo di vita e i due Auror fecero cenno agli altri di dividersi. Hermione si unì a Dwalish, Smith, Raynold e il giovane Colin Canon, che tremava vistosamente come una foglia e faticava a tenere la bacchetta in mano.

<< Stai calmo.>> lo esortò lei, glaciale.

<< Scusami.>> proferì in risposta Canon. << Io… non volevo. E’ solo che… mio padre è un Medimago. E’ di turno in ospedale. Credo l’abbiano presto in ostaggio insieme agli altri.>>

Hermione e gli altri Auror rimasero in silenzio.

<< Là dentro c’è mio marito, come credi mi senta?>> fece lei, infine, che gli posò una mano sulla spalla. << Li troveremo.>>

Oltrepassarono un viottolo, al fianco al quale una cascata magica sfavillava rigogliosa in un’aiuola fiorita, e puntarono dritti verso le mura del San Mungo. Lì, ad attenderlo, c’era una formazione di dieci Mangiamorte di guardia e, non appena li videro, non esitarono ad aprire il fuoco con lampi di bagliore verde. Incantesimi saettarono dovunque, gli Auror si ripararono fra le case e sfruttarono gli spazi stretti del paese per aggirarli.

<< Avada Kedavra!>> urlò un Mangiamorte, che direzionò la bacchetta verso Colin Canon. Ma Hermione intervenne tempestivamente per evitare il peggio, agguantò il ragazzo e insieme rotolarono nel prato. Prima che il Mangiamorte potesse sopraggiungere per finirli, lei lo schiantò. La saetta rossastra lo centrò nel viso e ne seguì un rumore di ossa spezzate, poi il nemico precipitò all’indietro e s’accasciò al suolo.

<< Andiamo avanti!>> ululò Dwalish, che stava facendo loro da scudo per reprimere altri tre Mangiamorte staccati dal resto del gruppo. << Dobbiamo entrare dentro!>>

Hermione e Colin Canon si fecero largo nella mischia di urla, corpi ammonticchiati a terra, sangue e maledizioni. Dwalish e Savage si unirono a loro e, in quattro, riuscirono a oltrepassare il primo muro di maghi oscuri. Schiantarono un Mangiamorte che piantonava il cancello e procedettero oltre, mentre ai piedi delle mura la guerriglia proseguì incessante.

<< Aspettatemi!>> ululò Reynolds, che stava fronteggiando due nemici. Riuscì a schiantarle uno, e colpì il secondo con una poderosa testata. << Siete troppo pochi, maledizione.>>

S’affrettò a oltrepassare i cancelli del San Mungo e li raggiunse. Aveva il volto coperto di sangue e una profonda ferita alla tempia. << E’ un inferno.>>

<< Hai visto Kingsley?>> domandò Hermione, concitata.

<< Sì, a dire il vero. Ma non ho davvero idea di dove…>>

Luce verde. Un calore intenso seguito da un boato, come uno sparo.

La maledizione proveniente dall’alto s’abbatté violentemente su Reynold, che fu sbalzato via dalla scalinata di pietra e piroettò per qualche metro in aria prima di infrangersi a terra, il collo piegato in una posizione innaturale rispetto al resto del corpo, privo di vita.

Hermione si portò istintivamente le mani alla bocca in un urlo silenzioso.

<< Andiamo!>> Dwalish la afferrò da dietro a la costrinse a proseguire. << Comandante, non possiamo rimanere qui. Dannazione, ci uccideranno!>>

Hermione annuì sommessamente. Sfondarono un portone secondario e s’inerpicarono per una stretta scala a chiocciola che li condusse in un atrio buio. Il freddo là dentro era cocente, gli Auror attorno a lei visibilmente scossi, e nessuno di loro parlò.

<< Credi che là dentro ci sia Harry, da qualche parte?>> squittì timidamente Colin Canon.

Hermione sospirò profondamente. << Per forza.>> disse. << E noi lo troveremo.>>

 

*°*°*°*°*



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Capitolo 5
*** Mangiamorte ***


Anima Nera_prologo



 

Due giorni prima era stato un ragazzo felice. Un marito sereno.

Due giorni prima mai avrebbe ipotizzato la fitta serie di eventi che l’avevano condotto in quell’ospedale, al buio, con le mani sporche di sangue e una pazza omicida nascosta in qualche angolo oscuro, pronta a giocare un folle nascondino di morte.

Due giorni prima, nello specifico, Harry aveva presenziato la conferenza stampa al Myfair Stadium delle Fenici d’Argento con l’Amministratore Delegato della squadra e il coach, in un turbinio di sorrisi e di false strette di mani, di flash abbaglianti, di bugie velate. Un mondo di ipocrisie ricoperto di soldi, ecco che cos’era. E, nonostante Harry non avesse mai avuto problemi economici, si era ritrovato inghiottito dal loro “potere”.

Con il primo stipendio aveva acquistato un’automobile babbana di modeste dimensioni, con la quale si era mosso più agevolmente nel mondo babbano. Con il secondo stipendio aveva pensato che, tutto sommato, una moto da corsa non sarebbe stata poi così male. Con il terzo erano arrivati i vestiti alla moda, gli abiti griffati dagli stilisti magici, un set di manici di scopa da corsa Firebolt 5.0 e la sua Aston Martin. Dopo un anno, Harry aveva acquistato un loft ristrutturato a Diagon Alley a un passo dal Ghirigoro. E aveva chiesto a Hermione di sposarlo.

Era successo tutto all’improvviso, e nemmeno se n’era reso conto per davvero: aveva accompagnato Hermione per le scale del pianerottolo tenendola per mano, accertandosi che non sbirciasse oltre la benda di stoffa che le schermiva gli occhi. Aveva aperto piano la porta e l’aveva condotta nel loft spazio e ben arredato, poi le aveva sfilato la benda: la sua reazione era stata ben al di fuori di quello che aveva previsto. Aveva riso, poi aveva pianto, poi l’aveva abbracciato. In silenzio. Senza una sola parola. Come se, da un lato, Hermione adorasse quello stile di vita agiato, la possibilità di andare fino in campo al mondo, solo per sfizio personale; ma dall’altra, nei suoi occhi castani Harry aveva letto rimorso, delusione.

<< Che ti prende?>> le aveva domandato, accarezzandole una guancia. << Questo posto è nostro. Solo nostro.>>

<< Niente.>> aveva risposto lei. << E’ bellissimo. Oh, Harry, non credevo che saresti arrivato a tanto. E’ solo che… io amo il vecchio Harry.>>

Il vecchio Harry.

Ed in quel momento aveva capito: i soldi, la fama, il successo, la carriera e tutti i flash fotografici di quel mondo maledetto altro non erano che fumo negli occhi, a confronto di lei. E Harry, come un idiota, stava per rovinare tutto.

<< Sposami.>> le aveva detto, d’istinto. << Senza di te non ci sarà nessun vecchio Harry.  Perché sono uno stupido. Senza di te, Hermione, credo di poter nemmeno respirare.>>

Hermione aveva strabuzzato gli occhi gonfi, umidi, e l’aveva guardato in silenzio a lungo.

<< Sposami.>> le aveva ripetuto, posandole le mani sulle spalle. << Ti prego.>>

<< Harry, io non…>>

<< Basta dire di sì. E’ semplice, non trovi?>>

Lei gli aveva sorriso. Con quel sorriso, che riservava solo a lui.

Poi, senza aggiungere nient’altro, gli aveva gettato le braccia al collo e l’aveva baciato con trasporto, senza quasi concedergli il tempo per respirare.

Quella notte, era pronto a giurarlo sulla sua Firebolt, era stata la notte più bella (e intensa) della sua vita.

Harry aprì gli occhi, faticando ad abituarsi all’oscurità dell’ambiente.

Era sdraiato sulla schiena sul pavimento freddo. Da qualche parte, qualcosa gocciolava dal soffitto con un ticchettio ritmico e sordo, unica fonte di rumore nei dintorni.

<< Bentornato nel mondo dei vivi, Potter.>> sibilò una voce nel buio.

Era Bellatrix Lestrange.

Ma Harry non riuscì a vederla, né tantomeno capì da dove provenisse la sua vocina folle. Avvertì, semplicemente, la sua presenza a pochi passi da lui. Un brivido freddo gli percorse la spina dorsale. Cos’era successo?

<< Potterino, Potterino… ti domandi perché sei ancora vivo, forse?>> Bellatrix rise. Folle, fuori di testa, ma mai tanto reale, palpabile, con un respiro affannoso inghiottito nell’oscurità del corridoio. << Sei sopravvissuto alla Guerra, sei riuscito a vincere contro il Signore Oscuro. L’hai sconfitto, Potter, di questo devo dartene atto. Hai tirato fuori quel poco di coraggio che t’era rimasto. Ma non è abbastanza.>>

<< Abbastanza?>> ringhiò Harry, che lottò per rimettersi in piedi. Le gambe risposero miracolosamente al suo controllo e, lentamente, si artigliò al corrimano nella parete e si alzò. Harry si tastò le tasche del pigiama: la bacchetta era sparita.

<< Non preoccuparti, non ne avrai bisogno.>> sghignazzò lei, che emerse dall’ombra. Era sola, avvolta in un abito nero aderente, i capelli incolti e indomabili che parevano serpenti. << E’ giunto il momento di mettere le cose a posto. Vendicherò il Signore Oscuro.>>

<< Che novità.>>

<< L’ironia non ti manca nemmeno quando sei prossimo alla morte, vero Potter?>>

Harry avanzò di un passo. Nella sua testa, nient’altro al di fuori di Hermione.

<< Ti manca?>> sciamò dolcemente Bellatrix, come se gli avesse letto nel pensiero. Rise freddamente, poi schioccò le dita e fece comparire a mezz’aria una sfera luminosa, simile a una grossa bolla di sapone. Al suo interno, l’immagine di una battaglia.

Harry avanzò ancora con passi tremolanti, inforcando gli occhiali fracassati per mettere a fuoco le scene di battaglia all’interno del nucleo fluorescente. Riconobbe le mura di cinta del San Mungo, il suo monumentale ingresso di pietra. Dappertutto c’erano Mangiamorte e Auror intenti a combattere ferocemente a colpi di bacchetta, scie verdi e rosse dovunque, poi urla, spari, e scene di grida strazianti e di morte. Vide dei corpi. Un giovane Auror, affiancato da mantelli neri ammonticchiati a terra.

Harry trattenne il fiato. << Dov’è lei?>> ringhiò.

Bellatrix rise. Si portò l’indice sul labbro inferiore in un gesto infantile, fingendo di lambiccarsi il cervello. << Ti riferisci alla tua mogliettina? Non lo so. Credo sia morta.>>

Harry non vide più niente. In preda alla rabbia, con le poche forze rimase, levò una mano in alto con il palmo spalancato e gridò: << Accio Bacchetta!>>

Inspiegabilmente, l’incantesimo funzionò.

Da una tasca interna del vestito di Bellatrix ci fu un sibilo, poi la sua bacchetta saettò nell’aria e attraversò veloce il corridoio, piombando nelle sue mani.

<< Stupeficium!>> urlò Harry, e dalla punta della sua bacchetta scaturì un fiotto di luce rossastra che si abbatté con violenza nell’angolo di corridoio dov’era comparsa Bellatrix. Udì la sua fredda risata, la vide scomparire nel nulla con una Smaterializzazione repentina, per poi ricomparire a qualche metro di distanza. L’incantesimo di Harry mandò in frantumi una porzione di parete. Una tubatura venne tagliata di netto e un generoso fiotto d’acqua zampillò sul pavimento.

<< Sei così insulsamente prevedibile.>> disse Bellatrix. << Crucio!>>

Harry si gettò a terra. La maledizione lo sorvolò pericolosamente, sfiorandogli la testa, e terminò la sua corsa sui portelloni in fondo al corridoio, che fuoriuscirono dai cardini e precipitarono a terra con un gran fracasso. Il rumore parve attirare dei Mangiamorte. Ci fu un bieco rumore di passi su per una rampa di scale, poi due nere figure incappucciate comparvero alle spalle di Harry, che trasalì. Tre contro uno. Sarebbe morto di certo.

<< Stupeficium!>> gridò Harry. Vide uno dei due Mangiamorte stramazzare al suolo, mentre l’altro corse a ripararsi dietro un tavolo rovesciato.

<< Crucio!>> ululò Bellatrix.

E, per la seconda volta, Harry scartò rapido di lato ed evitò l’incantesimo. Poi un altro. E un altro ancora. Generò un incantesimo scudo e lo proiettò nella direzione del Mangiamorte rimasto, deviando una maledizione verdastra che frantumò il soffitto. Dall’alto piovvero calcinacci e frammenti di tubature.

Harry ne approfittò per concentrare le forze e Smaterializzarsi. E in quell’attimo, nella calca generale che urlava nel buio del corridoio, una mano fredda gli artigliò un braccio.

Bang.

Harry e Bellatrix si Materializzarono sul tetto dell’ospedale San Mungo, sotto la pioggia cocente. Rotolarono insieme sulle tegole spioventi sferrandosi calci, pugni alla cieca e i suoi artigli gli graffiarono la pelle degli avambracci di Harry, il suo volto insanguinato, come due bestie feroci perse in una lotta selvaggia; finché il tetto ebbe termine, ed entrambi furono costretti ad appigliarsi alla meglio alla linea di gronda per non precipitare nel vuoto.

<< Espandio!>> urlò Harry, che utilizzò l’unica mano libera per proiettare la bacchetta verso il terreno, venti metri più in basso. Dalla punta fuoriuscì un turbine argenteo che lo sollevò nell’aria, proiettandolo in salvo pochi istanti prima che un’altra maledizione di Bellatrix gli trafiggesse il cranio. Disperato e infreddolito, si artigliò alle tegole e corse quanto più veloce riuscì. L’aria bruciò all’interno dei suoi polmoni mentre Harry spiccò un balzo che lo proiettò nel vuoto, e un attimo più tardi si appese al cornicione di una finestra prospiciente la tettoia. Ruppe il vetro con un colpo di bacchetta, e si ritrovò all’interno dell’ospedale.

Perfetto. Posso Smaterializzarmi.

Ma non ci riuscì. Il suo corpo era stanco, arrendevole, scosso da profonde ferite.

Harry si lasciò cadere in ginocchio, sollevando il braccio tremante verso l’alto. << Accio manico di scopa!>> urlò disperatamente, nella vana speranza che esistesse una Nimbus nei dintorni che potesse proiettarlo fuori da quell’incubo il più velocemente possibile.

<< Potterino crede di essere invincibile.>> sibilò Bellatrix, che gli si Materializzò davanti con una risata degna di un film dell’orrore.

<< Dov’è… Hermione.>> biascicò Harry.

<< Nel posto che merita. All’inferno.>>

<< L’hai… uccisa?>>

Lei soffocò un borbottio concitato. << Che t’importa, Potter? Presto la raggiungerai.>>

Harry annuì a stento. Era finito. Era tutto finito. Lottare era servito a ben poco: prima o poi la sua ora sarebbe giunta, e si convinse che quelli erano i suoi ultimi respiri. Hermione… morta. La testa era vuota e avvolta in un leggero ronzio silenzioso. Non riuscì a percepire dolore, né ansia, né paura.

Voleva solo farla finita, e stare con lei. In qualunque modo.

All’inferno o nel Paradiso. Non gli importava un bel niente.

<< Avada Kedavra!>> ruggì Bellatrix, ed un lampo di luce verde abbagliò il corridoio.

Harry respirò profondamente e si preparò a morire.

Poi, un fragore lontano. Un rumore di vetri infranti. Harry udì Bellatrix urlare, sollevò il viso e la vide: una Firebolt, dal manico intarsiato, saettò come un proiettile nella sua direzione e colpì la nuca di Bellatrix con una tale violenza da proiettarla violentemente contro la parete. Il manico di scopa terminò la sua corsa e inchiodò dinnanzi a Harry, che era inginocchiato a terra, mentre Bellatrix era stesa al suolo.

<< No!>> strillò una voce lontana.

Harry raccolse le forze e si rialzò in piedi, scalciando la bacchetta della strega a qualche metro di distanza. Rise. Rise nervosamente mentre le sue dita si stringevano attorno al legno levigato della sua arma, e la orientò con foga verso la donna che aveva ucciso Hermione.

<< Crucio!>>

Bellatrix urlò e si contorse a terra. Emise rantoli agghiaccianti, poi prese a sussultare e tremare, bava bianca le schiumò dalla bocca. Urlò finché la voce non le venne meno, e si ritrovò a strisciare per terra.

<< No!>> urlò ancora la voce lontana.

Pochi istanti dopo qualcosa lo afferrò per le spalle, obbligandolo a interrompere il contatto. Harry compì un mezzo giro su sé stesso, ormai ridotto in condizioni precarie di equilibrio, e si ritrovò dinnanzi al sorriso terrorizzato di Hermione.

Era lì, davanti a lui, con indosso la divisa d’ordinanza, gli occhi color nocciola illuminati di un bagliore luccicante, commosso, devastato. Non si dissero nulla. Lei gli gettò le braccia al collo e trasse un lungo, profondo sospiro di sollievo.

<< Sei vivo.>> disse, in un sussurro.

<< Io… credevo fossi…>>

<< E’ il suo gioco.>> sentenziò lei, aspra. E volse lo sguardo al corpo tramortito di Bellatrix. << Il suo scopo era quello di dividerci, di ucciderci nel peggiore dei modi facendoci soffrire. Ha architettato un piano per poterti uccidere da solo, braccandoti dentro il San Mungo mentre i suoi Mangiamorte pattugliavano l’esterno. Sono morti quasi tutti, e i sopravvissuti sono stati arrestati.>>

<< Manca solo lei.>> ruggì Harry.

<< No.>> disse Hermione, risoluta. << Merita di pagare per ciò che ha fatto. La morte sarebbe solo una piacevole conseguenza delle sue stragi.>>

<< Ma Hermione…>>

Lei non lo ascoltò. Agitò la bacchetta e delle funi dorate comparvero dal nulla, attanagliandosi attorni al corpo di Bellatrix fino ad impedirle ogni movimento. << Verrà condannata all’ergastolo, e sconterà il resto dei suoi giorni ad Azkaban. E non evaderà, questa volta.>>

Harry annuì. A dire il vero, non ci stava capendo più nulla.

<< Ti amo.>> le disse, senza pensare al resto. E le sorrise.

Hermione parve sconvolta da quella frase, forse fuori contesto. Rispose a sua volta con un flebile sorriso. << Anch’io, che domande.>> mormorò. << E’ la seconda volta che ti salvo la vita.>>

<< La seconda?>>

<< Chi è stato, secondo te, a stregare il sistema di sicurezza della tua Aston Martin per renderla più sicura agli incidenti automobilistici?>>

<< Ti amo il doppio, allora.>>

 

*

 

 

<< C’è Moran… passa la pluffa a Darley, che evita magistralmente un bolide… ancora Moran, che segna! DIECI a zero per le Fenici d’Argento!>>

Il Cacciatore irlandese compì due piroette in aria, tracciando un cerchio nel cielo che sovrastava l’imponente Myfair Stadium inghiottito nel centro londinese, sapientemente nascosto dagli occhi dei Babbani con incantesimi protettivi di notevole fattura. La folla accolse il gol con giubili ruggenti.

<< Merda.>> sbottò Ron, contrariato, che sprofondò sul seggiolino.

<< La partita è appena iniziata.>> obiettò Hermione, con un sorriso. Gli sferrò un pugno amichevole sulla spalla. << Non eri tu quello che diceva che “la partita finisce solo quando l’arbitro fischia?”>>

<< Attenzione, brutto fallo di Stevens su Debuchy. Il Battitore dei Cannoni di Chudley riceve un cartellino giallo: ammonito!>> strillò lo speaker, la cui voce risuonava dalle centinaia di altoparlanti collocati nelle tribune. << Il gioco riprende. Pluffa in mano a Moran, che smista verso Darley. Ancora Moran. Che sintonia fra i due giocatori! Agguanta la Pluffa Debuchy… intercetta Darlynn dei Cannoni, che apre il gioco verso il bulgaro Dorhof. C’è il lancio magistrale… DIECI a DIECI!>>

<< Visto?>> fece Hermione, con un gran sorriso.

<< Attenzione!>> urlò ancora il cronista, che sembrò letteralmente balzare sulla sedia. Il suo urlo venne accompagnato dalle sonore ovazioni della folla. E, in alto, stanziato sotto il cielo stellato, la figura lontana del Cercatore in tenuta argentea si era mossa fulminea verso la tribuna Est, come se avesse trovato il Boccino. << Potter si è mosso!>>

Il Cercatore dei Cannoni di Chudley non tardò a lanciarsi all’inseguimento.

<< Potter sta correndo un enorme rischio, Smith gli sta alle calcagna e la sua corporatura più minuta e leggera gli consente una maggiore rapidità di spostamento! I due ingaggiano una lotta per inseguire il Boccino. Che sfida! Si lanciano in picchiata…>>

Hermione si portò le mani alla bocca, terrorizzata; mentre Ron, al suo fianco, scattò in piedi e afferrò con così tanta enfasi la ringhiera protettiva da far diventare bianche le sue nocche.

Il pubblico trattenne il fiato. I due Cercatori procedettero in picchiata a velocità sostenuta, sferrandosi spallate a vicenda… finché Harry non deviò all’ultimo e tornò in quota, mentre Smith andò così in basso da sfiorare il manto erboso con i piedi.

Harry approfittò del vantaggio per librarsi in aria verso la tribuna Ovest. Un istante dopo le sue mani stringevano il Boccino d’Oro.

<< PREEEEEEEEEESO!>> strillò lo speaker. E lo stadio scoppiò in un caos sonoro invidiabile, applausi e urla accompagnarono il termine rapido di una partita, che era iniziata da appena dieci minuti. << Harry Potter conquista il boccino d’oro. Centossessanta a Dieci per le Fenici, che volano in solitudine al comando del campionato!>>

<< Visto?>> mugolò Ron, gelido, che gettò a terra la sua sciarpa dei Cannoni di Chudley.

Hermione rise.

Bellatrix era in cella, insieme al resto dei Mangiamorte sopravvissuti.

Harry aveva finalmente smesso i panni dell’eroe per indossare quelli di Cercatore che, in un certo senso, parevano calzargli a pennello.

Hermione rise ancora, da sola, voltando le spalle a Ron furibondo. Si sfiorò delicatamente la pancia, sotto la maglietta.

Tutto, finalmente, stava andando nel verso giusto. In tutti i sensi.

 

*


THE APPLE'S CORNER

Grazie mille a tutti coloro che hanno recensito, o che recensiranno.

Mi scuso con i lettori perchè questa storia non è il risultato del massimo delle mie "potenzialità", sono stata costretta ad apporre dei tagli alla trama per rientrare nei tempi di pubblicazione del Contest.
Mi scuso, inoltre, per la presenza di eventuali errori di battituta. Sono arrivata fino all'ultimo con l'acqua alla gola, e so già che questo sarà un grave errore.

In ogni modo, AUROR POWER a tutti

                                                                                                                                                Apple90

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