Everywhere

di LarcheeX
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (parte 1) ***
Capitolo 2: *** Prologo (parte 2) ***
Capitolo 3: *** 1. Il triumvirato dei mezzi ***
Capitolo 4: *** 2. Dovrei essere felice. ***
Capitolo 5: *** 3. Smistata dalla parte sbagliata ***



Capitolo 1
*** Prologo (parte 1) ***


Everywhere.

 

Prologo (parte 1).

 

L’aria frizzante della sera sembrava tranquillamente immobile, nella Foresta Proibita. Gli alunni di Hogwarts cenavano tranquillamente in sala grande e non sembravano percepire nulla.

Ma due aure demoniache si stavano addentrando nella Foresta, all’insaputa di tutta la scuola. Era strano che nessuno si fosse accorto di niente, perché una delle due era davvero potente, sterminata e invincibile; anche l’altra sembrava forte, ma veniva in qualche modo oscurata dalla prima.

Un’altra cosa strana era che queste due aure erano estremamente simili, come se fossero sorelle. Procedevano a grandi balzi e riuscivano a percorrere in poco tempo una grande distanza, con una velocità davvero elevata.

“Inuyasha!” gridò il primo, nella corsa, il possessore dell'aura più elevata: “Ancora non ho capito perché stiamo scappando!” dal tono scettico sembrava non approvare la scelta dell’altro.

La creatura chiamata Inuyasha non rispose subito, perché era voltato a controllare che nessuno li vedesse, nel paese chiamato Hogsmeade. “Sei ferito. E sono in troppi.” Osservò infine, puntando lo sguardo sulla figura del fratello, di cui vedeva solo la schiena insanguinata. Il ragazzo ferito sbottò in una cupa risata: “Sono un demone maggiore, stupido, credi che una ferita del genere mi possa fermare? Avrei potuto ucciderli con un semplice attacco!”

Inuyasha, pur correndo, alzò gli occhi al cielo: l’orgoglio di Sesshomaru non gli avrebbe mai permesso di farsi vedere in difficoltà. Ma, orgoglio o no, Sesshomaru era stato colpito da un sectusempra e la ferita sulla spalla sembrava terribilmente profonda, e continuava a sanguinare e sporcargli la camicia, ma nonostante ciò il demone aumentò ancora la velocità, tuffandosi a capofitto nella foresta vicino al Castello.

“Sesshomaru, cosa intendi fare? Lì si nascondono i loro alleati, non possiamo entrarci!” gridò, cercando di fermarlo, ma non fu degnato di ascolto. Poi, l’odore di cavalli giunse anche alle suo naso. Centauri.

I centauri erano esplicitamente dalla parte dei due, poichè il loro orgoglio non permetteva loro di accettare alcun dominatore, e a giudicare dall’odore che riusciva a percepire erano almeno un centinaio. Era lì che Sesshomaru voleva andare.

Arrivarono in poco tempo nel bel mezzo del covo dei loro alleati, ma non videro nessuno. “Il loro odore è improvvisamente scomparso.” Sussurrò a mezza voce Inuyasha, dando le spalle a Sesshomaru. Il fratello annuì.

All’improvviso, furono circondati.

I due fratelli indietreggiarono fino a trovarsi schiena contro schiena, quella sporca di sangue, magra e muscolosa di Sesshomaru contro quella più bassa e tesa di Inuyasha. Intorno a loro, si materializzarono come fantasmi una trentina di figure incappucciate, sghignazzanti per essere riusciti a incastrare i figli del famoso demone cane Inu no Taisho.

“Sesshomaru.” Chiamò quello che sembrava il capo: “Davvero non me l’aspettavo. Non eri uno dei demoni dalla parte del sangue puro?” lo rimproverò, con un ghigno divertito celato dal cappuccio. La voce era strascicata e moderata dalla freddezza, ma lasciava comunque trasparire una vena di disprezzo. Il demone sbuffò, a metà tra il divertito e l’annoiato: “Mi sembra che ci sia qualcosa di più importante della purezza del sangue, Draco.” Constatò inespressivo, mettendosi all’erta. Quello scoppiò a ridere: “Forse. Allora è per questo che ti sei messo in combutta con il tuo caro fratellino mezzodemone.” Sibilò l’ultima parola con disgusto, come se fosse il nome di un orrenda creatura indegna di esistere, come se fosse l’esatto contrario di sé stesso, come se preferisse sprofondare nell’inferno piuttosto che essere in contatto con una tale feccia. E probabilmente fu questo a urtare particolarmente Inuyasha, perché estrasse Tessaiga e la puntò contro il viso celato di Draco: “Bada a come parli, schifoso mangiamorte! Sarò anche un mezzodemone, ma nulla mi impedisce di farti a fettine.” ringhiò, lievemente rosso per essere stato preso in giro. Essere considerato inferiore solo per la sua natura mezza umana lo faceva arrabbiare come pochi.

Scoppiarono tutti a ridere: “Eh, piccoletto… ci sai fare a minacce!” intervenne una voce femminile con tono sfottente, anche se piuttosto gracchiante. “Neanche la metà dei miei anni e già pretende di esigere rispetto. Ed è un mezzosangue per di più!” inveì, latrando il suo disgusto con una voce piuttosto acuta. “Basta Bellatrix, il Signore Oscuro ci ha dato ordini ben precisi.” l’ammonì Draco, con uno scatto del braccio, prendendo la bacchetta fra le dita.

“E il vostro Signore Oscuro è così vigliacco da non prendere nemmeno l’iniziativa di annientare un demone e un mezzodemone?” chiese Inuyasha, sprezzante.

“Oh, ma certo che la prendo, mio caro Inuyasha.” Esclamò una voce gelida, suadente e affabile che sembrava provenire dall’alto, quanto era potente, ma ben presto fu riconducibile ad un individuo che emerse subito dopo dal folto della foresta.

Era un uomo alto, anche se di umano conservava ben poco, considerati i tratti serpentini del volto e gli occhi rossastri. Tutti i mangiamorte si inchinarono immediatamente, lasciando che lo sguardo di Sesshomaru incontrasse quello freddo di Lord Voldemort, che sembrava enormemente soddisfatto: “Sesshomaru… quale piacere incontrare il figlio del mio acerrimo nemico.” Sussurrò affabile, prendendo la bacchetta in pugno, mentre il demone posava la mano su Tenseiga, fiutando il pericolo. Sentiva qualcos’altro nell’aria, come un ulteriore aura oppressiva, che andava ben oltre quella dei mangiamorte. Ma non capiva cosa fosse. Sentì la schiena del fratello irrigidirsi contro la sua per la tensione.

Estrasse Tenseiga, mentre l’ilarità scoppiava tra i mangiamorte: “Tu… Sesshomaru, vuoi davvero uccidermi con una spada che non riesce nemmeno a tagliare una rapa?” ridacchiò Voldemort, con un sorriso ironico sulle labbra bianche. Ma non riuscì a trovare una risposta, perché Inuyasha, irritato ulteriormente dall’essere stato ignorato perché mezzodemone, aveva già attaccato alcuni maghi con un fendente micidiale di Tessaiga, dando inizio alla battaglia.

Inuyasha non si curò molto degli incantesimi di ostacolo che qualcuno gli aveva lanciato, perché, essendo un mezzodemone, su di lui avevano un effetto assai limitato, ma doveva stare attento alle Maledizioni che fendevano l’aria in scintille verdognole, perché quelle uccidevano. Gettò uno sguardo fugace sul fratello, che era impegnato in un confronto corpo a corpo con sette mangiamorte e Voldemort stesso, e decise che era ora di dargli man forte. Quando si diresse verso di lui vide che il laccio lucente che Sesshomaru stava comandando aveva già ucciso un avversario. Rischiavano di farlo arrabbiare sul serio, quelli lì. E se non volevano vedere un Sesshomaru in forma completa conveniva loro andarsene, e subito.

Il demone si muoveva con grande agilità, nonostante la ferita sulla spalla che non accennava a smettere di sanguinare, e aveva massacrato senza pietà gli altri suoi avversari, rimanendo a fronteggiare il più pericoloso dei suoi nemici in mezzo ai loro cadaveri.

Lo guardò con odio, lo stesso odio che tre anni prima aveva sempre riservato al proprio fratellastro che si era intromesso tra lui e suo padre. Ma il Generale era stato ucciso proprio dall’uomo che in quel momento lo scrutava con un ghigno affabile. La sua natura demoniaca esigeva una vendetta, desiderava il suo sangue per lavare via l’onta che era stata fatta alla sua stirpe, e sapeva che avrebbe fatto di tutto per ottenere ciò che voleva.

Le sue orecchie a punta sentirono uno scalpiccio di zoccoli al galoppo e pensò immediatamente che i rinforzi fossero finalmente arrivati. Si mosse per disarmare Voldemort della propria bacchetta ma non lo trovò perché scomparve e si materializzò dietro di lui, minacciandolo sul collo. Fece in tempo a mollargli un calcio per liberarsi e osservò che la scena dei combattimenti era assai critica: Inuyasha era circondato da nemici e lottava con tutte le sue forze, anche se lo stavano, lentamente, sopraffacendo. Era pur sempre una sola persona contro dieci. Ma non era questo quello che lo sconvolse. I centauri erano arrivati, sì, ma stavano combattendo per i mangiamorte.

Non appena riuscì a realizzare che avrebbero di sicuro perso si accorse del sorriso vittorioso del Signore Oscuro, che si allontanò leggermente da lui, immobilizzandolo con una Maledizione, e di un centauro che gli puntava l’arco al petto, da lontano.

Non riuscì ad opporsi: il suo corpo non riusciva a contrastare le Tre Maledizioni Senza Perdono, e per di più era indebolito dalla ferita che, lo capiva solo in quel momento, gli aveva fatto versare più sangue del dovuto.

Successe tutto al rallentatore: la freccia fu scoccata, e raggiunse la sua spalla dopo un tempo che gli sembrò infinito, in cui Inuyasha si girava e spalancava gli occhi, proprio mentre il demone comprese che quella non era una freccia per uccidere, ma un sigillo. Rimase impotente a subire la propria carcerazione, maledicendosi per non essersi accorto dell’inganno di Voldemort.

La freccia lo inchiodò all’albero che aveva di spalle, un albero del vino, sollevandolo di qualche metro da terra. Subito sentì il proprio corpo inaridirsi, come se stesse perdendo la propria energia demoniaca, e percepì le proprie palpebre farsi pesanti. Quella sarebbe stata la sua fine, inchiodato, sigillato a un albero dal quale non sarebbe mai sceso. La foresta in cui si trovava era così immensa e misteriosa che nessuno si sarebbe mai addentrato per vedere cosa ci fosse. Sarebbe stato lì per sempre, non vivo, ma nemmeno morto. Sentì le urla di giubilio dei mangiamorte.

L’ultima cosa che vide fu il fratello in fuga. Bastardo. Fu l’ultimo dei suoi pensieri. Non lo avrebbe aiutato. Aveva fatto male a fidarsi di lui. Sarebbe fuggito con la sua vita, mentre lui rimaneva lì, appeso come uno stupido che si era fatto gabbare.

Inuyasha… mi vendicherò! Poi il buio e l’incoscienza lo portarono con loro.

 

In quello stesso momento, a Londra, Albus Severus Potter vedeva nascere la propria figlia.

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Avevo un'insana voglia di postare questa storia, che durerà assai e assai.

bene, direi che ho finito le cose da dire. rm rm rm.

spero che questo gigantesco crossover che inserisco qui vi piaccia. alla prossima.

*ninjapoof*

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Capitolo 2
*** Prologo (parte 2) ***


Prologo (parte 2).

 

“Non credi che in cambio di questa obbedienza io possa chiederti… qualcosa?”

Meido sentì la voce scivolarle sul collo, fino alla scollatura della camicia, cominciando a farsi strada sul suo corpo. Odiava quella vita. Odiava quel modo di fare. Purtroppo era l’unico che funzionava, in quella scuola corrotta.

“Ferma gli ippogrifi, tesoro.” Mormorò, divincolandosi dalla stretta possessiva del mago di fronte a lei. Attraverso il buio riuscì a distinguere i capelli biondi e il tipico baluginio lussurioso degli occhi del suo professore di Arti Magiche di Attacco. Verme schifoso. Guarda te cosa era costretta a fare per qualche protezione legale. “Prima l’attestato di Intoccabilità.”

Lui sorrise, e, dopo quale mescolamento in un cassetto lì vicino, tirò fuori un plico legato con un nastro rosso. “E ora…” mormorò, prendendola per un polso, ma lei si divincolò ancora: “Scusa tanto, ma prima preferirei leggerlo.”

L’uomo, accontentandola di nuovo, accese con un rapido movimento della bacchetta le candele della stanza, fermandosi poi ad osservare la figura sinuosa della ragazza, scorrendo con lo sguardo sui suoi lunghissimi capelli biondo cenere, gli occhi color mare intenti nella lettura, il seno dall’abbondante profilo, i fianchi morbidi ed eleganti, i glutei sodi e muscolosi, le gambe lunghe e ben disegnate, pensando poi che si vedeva lontano un miglio il fatto che quel corpo così perfetto fosse quello di un demone e non di una donna umana. Lei sembrò convincersi del fatto che l’attestato fosse autentico, come in effetti era, e lo infilò in una tasca della tunica da strega, che sfilò subito dopo.

“E ora che ne dici di provare quel materasso?” disse, quasi innocentemente, afferrandola per i fianchi e comprimendola tra le sue mani e il proprio bacino pulsante. Meido decise di dover stare al gioco, e infilò una mano nei pantaloni del proprio insegnante, graffiandolo lievemente con i suoi artigli demoniaci. Lui non si aspettava certo un’azione così decisa da parte di lei, e si lasciò guidare fino al letto, permettendosi solo di cominciare a denudarla.

Meido si sistemò a cavalcioni sopra di lui, iniziando a muoverglisi sopra con movimenti lenti ed estenuanti, fino a raggiungere un ritmo serrato, che lo spinsero al limite della sopportazione.

Lui voleva averla in quel momento, seduta stante. Sentì le sue mani salirle al di sotto della gonna, afferrandole con forza le natiche, stuzzicandola nell’interno, strappandole via gli ultimi indumenti. Lei rise, di una risata calcolata e carica di malizia, cristallina eppur torbida di eccitazione: “Siamo già al limite, Dohor?” ridacchiò, prendendolo in giro, facendo pressione sull’area del suo corpo ancora troppo chiusa dagli indumenti: “Vorresti questo?” mormorò, abbassandogli di scatto i pantaloni e l’intimo, facendo sfiorare le loro due intimità, ma ritraendosi ad un tentativo di affondo che lui avanzò spingendo in avanti il bacino. Rise ancora, sempre più divertita: “Come siamo impazienti!”

“Piantala!” ringhiò lui, a metà tra l’irritato e l’ansimante. C’era una sorta di incantesimo nel corpo nudo di quel demone, un incantesimo attraente e letale, tanto da ridurre in uno stato di completa obbedienza anche uomini che non si lasciavano facilmente sottomettere, come lui. C’era qualcosa nel suo tocco malizioso e leggero, nelle sue dita artigliate che scorrevano con una facilità allarmante sul suo membro, qualcosa da affascinare non solo lui, che in quel momento godeva di quelle attenzioni estenuanti, ma anche qualsiasi altra persona nella scuola, qualsiasi studente, professore o inserviente, che, si vedeva, gettavano lunghe e desiderose occhiate nell’ammirare quel corpo capace di chissà quale potenza demoniaca, di chissà quale lussurioso piacere.

Meido sapeva tutto questo, mentre si lasciava lascivamente violare ancora una volta per salvarsi la pelle, lo sapeva e ne approfittava, capendo ormai che nel mondo in cui viveva era fortunata ad avere un mezzo del genere per imporsi. Trattenne un gemito nel sentire un’altra estranea presenza dentro di sé, ma, nonostante l’impulso sempre più violento di gettarsi via, lontano dal carnale piacere di cui era capace, cominciò a far leva sui propri muscoli per finire ciò che aveva cominciato. Si lasciò penetrare fino in fondo, sempre più velocemente, guidando quella danza monotona di spinte e ansiti che ormai aveva praticato così tante volte fino alla fine. Sono una puttana pensò, inarcando la schiena nella foga dell’apice solo una puttana.

Scivolò lontano da lui prima che potesse pretendere il bis, rivestendosi velocemente aiutata dalla nascente e ritrovata vergogna e dalla rapidità congenita della sua stirpe di demoni e correndo fuori, nel parco.

Ad un certo punto, esattamente il momento in cui il suo carattere freddamente fiero, calcolatore e malizioso riprese il sopravvento, sentì un tumulto, una sorta di sconclusionata lotta per la sopravvivenza, ma soprattutto un’aura demoniaca di estensione mirabile venir soppressa all’improvviso, con un suono secco come uno schiocco.

“Sta accadendo qualcosa, laggiù.” Si disse, guardando la foresta. Se fosse stata una veggente sarebbe scappata a gambe levate.

 

Arlene guardava con disincanto la foresta che le si proponeva davanti, attratta da qualcosa che non avrebbe potuto definire. Forse una persona, dall’altra parte, bramava in incontrarla, o forse era semplicemente il casuale sguardo che avrebbe potuto incontrare se avesse eliminato tutti gli alberi di fronte a lei.

“Muoviti, numero XII.” Rivolse un’occhiata di puro odio al proprietario di quell’ordine perentorio, sibilando: “Non mi pare di essere io, quella lenta e vecchia, Even.”

L’uomo la squadrò come per dire “giovane maleducata” ma non proferì parola.

“Devi comunque sbrigarti, l’esperimento deve essere cominciato, e sai quanto Xehanort odi i ritardatari.” Soggiunse un’altra voce, appartenente ad un ragazzo dai capelli blu e due felini occhi gialli, che squadrava i due come traditori solo per colpa di quel lieve ritardo. “Ho capito, ho capito!” esclamò la ragazza, muovendo la mano per reprimere in anticipo ogni altra parola. “Aggrappati a me.” Disse, rivolgendosi all’unico umano del gruppo, e Even si ancorò con forza alle spalle apparentemente esili della loro compagna di esperimenti.

“Londra arriviamo!” trillò lei, ritrovando quella scatenata passione che tanto la caratterizzava, cominciando a correre ad una velocità disumana, seguita dal ragazzo dai capelli blu, verso un serpente di binari che, lo sapeva, li avrebbe direttamente condotti da Hogwarts a King’s Cross.

Ebbra del vento e dell’eccitazione data dall’esperimento gridò, scherzosa, rivolgendosi all’uomo che portava sulla schiena: “E non mi palpare il culo!”

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e qui è finito il prologo.

è stato introdotto il personaggio di MEIDO ZANGETSUHA, inventato da me e di mia esclusiva proprietà. il nome viene da una tecnica di Tessaiga, la spada di Inuyasha in "Inuyasha", e difatti, nel mio immaginario, Meido sarebbe la figlia di Shishinki, il vero inventore del Passaggio per l'Aldilà nel manga e nell'anime creato da Rumiko Takahashi.

chi poi volesse utilizzare questo personaggio deve prima chiedermi il permesso. Ne sono molto gelosa perchè ha una caratterizzazione peculiare che mi è costata due mesi di ponderamenti.

Arlene, Even il compagno dai capelli blu e il citato Xehanort sono i personaggi di KH II che poi diventeranno alcuni membri dell'Organizzazione XIII, quelli che si leggono qui sono i loro nomi da umani, prima di diventare Nessuno.

ebbene, spero che il fututo sviluppo della storia possa in qualche modo ispirare qualche recensione.

Buon Natale e Buon Anno Nuovo.

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Capitolo 3
*** 1. Il triumvirato dei mezzi ***


11 years later…

1. Il triumvirato dei mezzi.

 

“Sei sicuro di quello che fai?” chiese Sephiroth, guardandolo dall’alto della sua invidiabile statura. Rise: “Non ti preoccupare, mio caro Sephiroth. Non posso certo tirarmi indietro, ora che sono qui.”

Le due figure, una alta e muscolosa, l’altra piccola e quasi invisibile nella notte, seguite da altre quattro che non si riuscivano a definire per il mantello, si diressero con rapidità verso l’ingresso secondario del Ministero della Magia.

“Che squallido.” Commentò l’uomo dai capelli argentati: “Un’entrata in un bagno.” Ma, nonostante quanto avesse detto, infilò senza proteste i piedi nella tazza e tirò la catena, seguito dalla piccola figura che si celava ancora dietro un cappuccio di una tunica nera e rossa.

“Che schifo!” squittì una voce acuta e querula scappata da sotto uno dei quattro mantelli, e il proprietario di quella schifata esclamazione fece un passo indietro. Un altro degli ammantati lo minacciò con qualcosa di molto simile ad una spada: “Muoviti.” Gli altri due sembrarono voler difendere il primo, ma la figura in tunica li redarguì con voce dura: “Non è il momento di litigare, e per quanto non possiate andare d’accordo dovete collaborare. Riku, riponi immediatamente la tua arma, prima che qualcuno ti veda.”

Gli ordini giunsero secchi e senza possibilità di replica agli orecchi dei quattro, che, riposto ogni bollente spirito, entrarono nei bagni e tirarono la catena.

Trovarono Sephiroth e una vecchia donna ad attenderli. La donna era davvero molto vecchia, sembrava doversi sgretolare tra le sue rughe da un momento all’altro, ma nei suoi occhi ancora traspariva ciò che si poteva definire energica e spassionata determinazione.

“Sono Bellatrix Lestrange.” Si presentò: “Il Signore Oscuro mi ha incaricato di portarvi nella sala del consiglio.”

Sephiroth, da brava guardia del corpo del proprio padrone, si guardò intorno per captare pericoli ma, a parte l’aura maligna che permeava ormai su tutto il mondo magico, non rilevò nulla. La figura con la tunica aspettò che il suo sguardo si facesse più tranquillo, poi disse: “Va bene.”

Camminarono attraverso le sale lignee del Ministero della Magia con una sorta di aria d’attesa che spirava dai loro corpi, mista anche alla curiosità degli impiegati che si affaccendavano attorno a loro.

Procedettero in silenzio e in fila indiana per tutto il percorso fino alla sala del consiglio, e lì furono introdotti da qualche parola di Bellatrix, poi fu permesso loro di entrare.

Era una sala circolare piuttosto grande con un soffitto altissimo, quasi invisibile, verso il quale sembravano volersi protendere le otto gradinate sulle quali avevano già trovato posto una decina di persone, in attesa. Quelli dovevano essere i principali generali del Signore Oscuro.

C’era un uomo in particolare che attirò la sua attenzione: era completamente ammantato da una folta e bianca pelliccia di babbuino e sedeva scomposto, con i piedi appoggiati sul tavolo. Doveva essere abbastanza importante, per potersi sistemare in una tale maniera senza ricevere un ammonimento.

Voldemort stava al centro della prima scalinata, su uno scranno intarsiato, e guardava con interesse il piccolo gruppo di persone che si era affacciato alla porta. Aveva capito che quello che doveva essere il capo era anche quello apparentemente più piccolo e fragile di statura, e cercò di capire di quale potere fosse capace per ottenere l’obbedienza di un guerriero come quello dai lunghi capelli argentati, che tutto sembrava tranne qualcuno incline alla cieca sottomissione.

Anche l’uomo dalla pelliccia di babbuino, da sotto il cappuccio peloso, sebbene sembrasse, dalla posizione, qualcuno con poca voglia di lavorare e concentrarsi, cercò di focalizzare chi era venuto a visitarli così all’improvviso. Voldemort si accorse della sua reazione, e avrebbe voluto chiedergli cosa ne pensasse, ma si rivolse invece al proprio ospite: “Chi sei?”

Lui per tutta risposta si cavò il cappuccio, mostrando il proprio liscio volto di impubere circondato da una folta chioma di capelli blu e pieni di boccoli che cadevano su due iridi smeraldo.

A quella vista l’uomo con la pelliccia di babbuino cominciò a ridacchiare, mentre Voldemort, irritato sia da quella risata profonda che dal fatto di essere stato disturbato a riunire il consiglio per uno stupido ragazzino, esclamò: “Non ho intenzione di sprecare il mio tempo a subire le chiacchiere di un moccioso! Aria!”

Il ragazzo non si lasciò intimorire dalle sue parole e, anzi, sorrise. Ma c’era qualcosa di terribilmente spaventoso nel suo sorriso, tanto che l’uomo che prima rideva smise immediatamente. C’era qualcosa di perverso e contorto in quel sorriso all’apparenza così innocente che il silenzio si fece così fermo da risultare soffocante.

Soddisfatto per aver conquistato l’attenzione del suo importante pubblico, cominciò a parlare: “Il mio nome è Aster e, a dispetto di ciò che dice il mio aspetto, ho quarantasette anni.”

Il silenzio di fece imbarazzato e curioso. Un uomo piuttosto anziano dai capelli color platino strabuzzò gli occhi. Aster continuò il proprio discorso: “Sono un mago che ha deciso di non andare ad Hogwarts né ad altre scuole di magia per sviluppare da autodidatta il proprio potere, e vengo qui a proporre un’alleanza.”

“La cosa si fa interessante.” Commentò l’individuo impellicciato, levando i piedi dal tavolo e posando un gomito sulla scrivania, ancora seduto di sbieco. La sua voce era così profonda da risultare distorta, ma quasi nessuno ci fece caso, tanto erano abituati a sentire quel modo di parlare in cui qualsiasi cosa fosse stata detta sarebbe risultata spaventosa.

“Non accetto alleanze con chicchessia.” Sibilò il Signore Oscuro, ancora diffidente. Aster ebbe modo di allargare il suo sorriso: “Oh, ma avrete tempo per esaminare le mie straordinarie qualità, dopo che avrò parlato.” Si godette appieno la reazione alle proprie parole, poi tornò serio e cominciò a spiegare il proprio contratto: “So che voi state cercando di aprire l’Abisso con le vostre forze, ma io potrei collaborare con voi, dato che serve un mago abbastanza potente da incanalare tutta la magia che fuoriuscirà dalla Porta.” ammiccò a Voldemort: “So anche che voi volete rinascere per davvero, dato che ora la vostra esistenza è legata a uno Shinigami. Io potrei perfino tagliare questo contatto tra voi e il vostro tutore del mondo dei morti.”

Voldemort, si alzò, irato e punto sul vivo su quanto riguardava la sua terza esistenza sulla Terra: “Come hai fatto a radunare così tante informazioni, lurido mezz'elfo?”

Uno degli incappucciati al servizio di Aster fremette, sapendo che il proprio padrone avrebbe resistito a tutto tranne che a quell’insulto, e strinse la mano al suo compagno. Sephiroth posò la mano sull’elsa della spada, pronto a sedare una qualsiasi esplosione sia dalla sua parte che da quella avversaria.

Aster chinò il capo, e, quando lo rialzò, il suo sguardo affabile e conciliante risultò trasformato in una rabbia incontenibile e furibonda, con così tanto veleno da domare con un’occhiata il Platano Picchiatore, una rabbia che lasciava presagire solo una morte tra le più atroci, uno sguardo tanto spaventosamente tenebroso da far tremare un momento la sicurezza di Voldemort, così temibile che perfino le mura sembravano voler crollare. Ma la cosa davvero preoccupante era l’aura di magia che si stava alzando da quel corpo all’apparenza fragile e minuto: nemmeno Voldemort era capace di tanta nera e nefasta capacità magica. Tutto quello che un mago ordinario possedeva – concentrazione, potere magico e buoni riflessi – in quella manifestazione di potere risultavano centuplicati e resi ancora più terribili dal largo uso di magia nera che ormai permeava ogni fibra dei suoi riccioli color crepuscolo, ogni muscolo e ogni singolo neurone che si nascondeva dietro a quei tanto affascinanti occhi verdi.

Voldemort scese dal suo scranno e si precipitò di fronte ad Aster, facendo intendere che non si sarebbe certo fatto scoraggiare da quella straordinaria manifestazione di malvagità, perché infondo lui era capace delle stesse cose. Il fatto era che, seguendo il consiglio di quel ragazzino, aveva partorito l’idea di rinascere davvero, ma in un modo tutto suo: avrebbe sfruttato al massimo il suo potenziale magico e poi, al momento giusto, lo avrebbe assorbito come aveva fatto con la Strega Bianca.

“E, in cambio di questa generosa disponibilità tu cosa desideri?”

L’aura magica sparì all’improvviso, domata a perfezione: “Due cose: voglio che facciate sterminare tutti i mezz'elfi non ancora morti.” Silenzio: “Poi, a Hogwarts, una studentessa è un mezz'elfo ma ancora non è stata riconosciuta, dato che si tinge i capelli: il suo nome è Nihal Fromthewind. Sono stato costretto da una maledizione, la stessa che mi tiene il corpo in questo stato, a un destino uguale al suo, quindi se lei muore muoio anch’io.”

“Bella magagna.” Commentò il tipo avvolto nella pelliccia, avvicinatosi con un balzo. Aster cercò di individuare almeno gli occhi di quel nuovo interlocutore ma, trovando solo il buio di un cappuccio, si rivolse di nuovo a Voldemort: “Lei è la Sheireen dei mezz'elfi, e la sua missione è uccidere me. Come la mia missione è uccidere lei. Voglio un modo per rompere questa maledizione, dato che non può essere spezzata dal diretto interessato.”

Voldemort guardò velocemente il suo alleato nascosto dal mantello bianco, dopodiché, avendo intuito un cenno d’assenso, disse, con voce chiara: “D’accordo. Ti nomino secondo in comando.”

Sephiroth sembrò borbottare qualcosa a riguardo del secondo in comando, ma non disse nulla di particolarmente udibile.

“Loro chi sono?” chiese Voldemort, indicando i quattro incappucciati e Sephiroth. Aster mosse una mano per invitarli ad avvicinasi: “Lui” e posò una mano sul braccio dell’uomo dai capelli d’argento: “è la mia guardia del corpo. Starà ovunque io sarò, quindi non proverete nemmeno ad allontanarlo. Mentre loro” e lì i quattro si levarono il cappuccio, mostrando i volti di un giovane dai capelli chiarissimi, e tre ragazzi molto simili tra loro, uno basso con una lunga treccia nera, uno mingherlino ed effeminato e un uomo dai capelli a spazzola. “sono Riku, Bankotsu, Jakotsu e Suikotsu, apprendisti.” Poi guardò l’interlocutore che ancora giaceva nell’anonimato, in attesa di una presentazione.

“Oh, giusto.” Ridacchiò lui, alzando un braccio per levarsi il cappuccio, mostrando un viso d’alabastro incorniciato da una lunga chioma corvina mossa come il cupo vento della notte più fredda, un viso dalla sfumatura di perfida ironia sul quale spiccavano due braci rosse dall’anima calcolatrice e avida di potere. “Io sono Naraku, e sembra che saremo colleghi.” Si presentò, con un ghigno per niente rassicurante. Aster ricambiò con un sorriso ugualmente pericoloso.

Voldemort non poté non pensare che si era scelto due alleati assai potenti e utili, ma che avrebbe anche dovuto concentrarsi per captare ogni minimo movimento, perché di doppio gioco ne aveva già subito uno e di sicuro non voleva fare la stessa fine.

La camera del consiglio, dopo qualche minuto e un secco ordine di Voldemort, si svuotò delle altre, inutili persone che avevano svolto solo la funzione di muti spettatori, lasciando i tre componenti di quel pericoloso triumvirato da soli a squadrarsi.

Persino Sephiroth fu congedato, anche se rimase a vegliare fuori dalla porta mentre gli altri quattro venivano scortati alla mensa da Bellatrix, e appoggiò un orecchio alla porta per captare qualsiasi segnale di un litigio.

“Sei un demone?” chiese Aster a Naraku, che era tornato a sedersi in maniera scomposta su una delle scalinate, liberandosi dell’impiccio del mantello lanciandolo sullo scranno del Signore Oscuro.

Lui non rispose subito, prima di proferir parola si passò una mano in un punto preciso del polso, come a voler controllare la presenza di qualcosa. Stava per rispondere, ma il suo superiore lo anticipò: “È un mezzodemone.”

Lo sguardo del diretto interessato si posò con ira sul volto bianco di Voldemort, ma non disse nulla.

I due maghi cominciarono a discutere sulla maledizione che incombeva sul nuovo adepto, cercando di carpirne i punti deboli senza entrare troppo nel particolare, e ben presto si persero in discorsi banali su bacchette e fabbricanti.

Naraku, invece, sembrava tutto assorto nelle proprie valutazioni: “Un mezz'elfo” alzò l’indice, con un sorriso misterioso, ammiccando ai propri alleati che erano stati interrotti dalla sua penetrante voce: “Un mezzodemone.” E alzò il medio, a formare un vittorioso due: “E un mago mezzosangue.” E a quel punto, alzando l’anulare, fissò lo sguardo sull’uomo a cui aveva giurato fedeltà: “Curioso che siamo noi a voler purificare la razza, no?”

Aster valutò con scarso interesse la constatazione del nuovo collega, provando a indagare più che altro sulla sua vera natura: gli era parso infatti che quell’essere dagli occhi rossi fosse un attore, che recitasse mille parti e che si divertisse a confondere la gente con i suoi volubili modi di fare, e che non avesse punti deboli proprio per quello. Quale sarebbe mai potuto essere il suo obiettivo?

 

Quando le tre metà

Si uniranno

L’oscurità

Divorerà

I sette cuori

Della luce.

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ed è qui che mi domando: c'è qualcosa che non va nella storia? come mai nessuno tiene a lasciare commenti? D:

dunque, qui i cattivoni sono stati presentati >:D c'è Naraku, c'è Aster, c'è Sephiroth, c'è Voldemort e io sono tanto felice :DD (Larchy non ha mai tifato per i cattivi. noo) se all'inizio può sembrare lento, vi garantisco che poi prenderà una bella piega u.u

vorrei inoltre ringraziare ReMShipping e Targul per aver messo la storia nelle seguite. grazie ^^

se volete inserire un personaggio che vi sta a cuore, se non l'ho già fatto lo farò.

sayonara!

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Capitolo 4
*** 2. Dovrei essere felice. ***


2. Dovrei essere felice.

 

Rin si svegliò presto, quella mattina, per due motivi: uno, perché la fenice che era stata adottata da lei si mise a fischiare, agitata, e due perché quello era la mattina in cui avrebbe preso il treno che l’avrebbe portata ad Hogwarts. Con ancora le immagini di un sogno irrilevante ad offuscarle gli occhi, si alzò, tastando qua e là per premunirsi in caso di spigolo e, barcollante, si diresse verso la gabbia dell’uccello: “Fanny, fai silenzio, ti prego.” Mormorò: “O sveglierai la strega!”

“Rin, fai tacere quella bestia o la farò al forno per la festa del ringraziamento!”

Eccola, la strega americana. Rin chinò il capo. Non avrebbe mai potuto accettare la presenza di quella donna, anche se era la nuova moglie di suo padre.

Solo il fatto che era trattata alla pari di un cane, con un sacco di doveri e poco svago le faceva automaticamente odiare sia lei che la progenie estranea a sé, la prima figlia, venuta fuori dal nuovo matrimonio di suo padre. Non che David e il piccolo Micheal le avessero fatto qualcosa, però il fatto che venissero manipolati dalla strega americana per fare in modo che lei stesse sempre lontana da suo padre la faceva soffrire, e lei questo non lo poteva sopportare.

“Sorellina, già sveglia?” borbottò David, col quale divideva la stanza, alzando il capo dal cuscino, ma lei lo zittì con un freddo “dormi” senza nemmeno guardarlo, cominciando a rovistare tra le coperte alla ricerca dei vestiti che si era preparata la sera prima.

Maglietta, jeans, maglione. Bagno.

Si guardò allo specchio, e questo non poter far altro che restituirle una ragazzina di undici anni dal viso piccolo e pallido, circondato da una folta chioma di capelli scuri come gli occhi, bassa e mingherlina, spalle esili, gambe magre e fianchi ancora stretti. Si stropicciò gli occhi, reprimendo uno sbadiglio e aprendo la porta per far entrare la fenice prima che la strega americana potesse protestare per il lieve picchiettio del becco sulla porta del bagno.

“Dovrei essere felice.” Si disse, guardando Fanny come se potesse diventare la sua interlocutrice, anche se in effetti la era diventata da quando Albus Severus le parlava così poco, e il volatile ricambiò il suo sguardo come se capisse davvero quello che lei diceva, quasi con aria grave. “Sì, infondo è il primo giorno di scuola.” Continuò, per auto convincersi, ma c’era un fatto che frenava ogni sua emozione riguardante la scuola: il suo essere mezzosangue. Suo padre le aveva detto che la sua prima moglie, la donna che l’aveva partorita, era una babbana uccisa per il suo essere una normale umana, e quindi, in teoria, lei era più che fuorilegge. Era feccia. Doveva essere soppressa in quanto unione di un mago con un essere inferiore.

Tutti sapevano che, con la nuova ascesa di un Voldemort tornato dai morti al potere, con l’uccisione di un beneamato Eroe come Harry Potter, che tra l’altro era anche suo nonno – altro motivo per cui doveva essere soppressa –, con la disgregazione del vecchio governo, i mezzosangue di ogni tipo, mezzodemoni, mezz'elfi, mezzi maghi, magonò e altri sul genere erano stati quasi tutti sterminati. Ma rimanevano ancora persone che, in barba a quell’ordine di caotica perfidia, continuavano la loro vita in clandestinità, pur sognando e sospirando un mondo diverso, lei era un esempio. Tutti la conoscevano come una strega al cento per cento, ed era bene che così rimanesse, se voleva restare viva.

Ma, ora che ci ripensava, non era quello a preoccuparla, perché infondo era al sicuro finché la sua irrilevante natura rimaneva nascosta, ma le prepotenze e gli insulti che le avrebbero rivolto per il suo cognome: Potter. La famiglia dell’Indesiderabile numero uno, la famiglia ultima tra i maghi.

“Che schifo.” Mormorò, con le palme appoggiate ai bordi del lavabo e il capo chino. Lei, giovane e innocente undicenne, era stata contaminata da tutti quei pensieri orribili fin da quando era bambina, e in quel momento, nonostante la giovane età, capiva più cose di quante avrebbe dovuto.

Il piccolo orologio ticchettò fino alle otto e, dopo essersi lavata velocemente il viso, scese in cucina.

La strega americana si affaccendava intorno ai fornelli, e, quando la vide, la rimandò subito indietro, ordinandole: “Vai a svegliare gli altri.”

Era di cattivo umore perché per un po’ Rin sarebbe stata da sola con suo padre, dato che David e Micheal erano troppo piccoli per andare ad Hogwarts e lei doveva rimanere con loro. L’unica cosa positiva della giornata.

Poco dopo si ritrovarono tutti attorno alla tavola di legno, e mangiavano con appetito, esclusa Rin. Le si era chiuso lo stomaco. Sbocconcellava di malavoglia un pezzo di pane che sembrava essere infinitamente enorme, rispetto alla sua fame, annaffiandosi lo stomaco con lunghe sorsate di succo di frutta.

“Così ti sentirai male, ricordati che ci toccano due ore e mezza di macchina.” Commentò Albus Severus, con un sorriso divertito ad illuminargli gli occhi verdi. Rin gli lanciò uno sguardo carico d’apprensione, e posò il bicchiere accanto la piatto, costringendosi a mangiare un altro boccone di pane. Lui le sorrise, comprensivo.

“Anch’io voglio andare a Hogwarts!” esclamò David, cominciando per l’ennesima volta un capriccio ben conosciuto alla famiglia Potter. “Tra due anni.” Disse Albus Severus, spalmandosi il burro sulla fetta tostata. “Ma io ci voglio andare adesso!” strillò, cominciando a piangere. Allora Rin si alzò, puntandogli contro l’indice: “Guarda che Hogwarts è un posto pieno di mostri alieni!” disse, con voce tenebrosa: “Che, non appena ti avvicini, ti mangiano!” e allargò le braccia per aumentare la dimensione drammatica del suo racconto.

David era ammutolito. “Davvero?” chiese, dopo un po’. Rin sapeva che il suo fratellastro era molto suggestionabile, quindi fece lavorare la fantasia per allungare il brodo in una storia ancora più incredibilmente spaventosa, per evitare che quelle proteste nascenti diventassero un capriccio, il capriccio i genitori che cercavano di calmarlo, il contrattempo in ritardo ed altre disastrose conseguenze sul tema: “Certo, per questo io ho inventato uno speciale incantesimo protettivo.” Disse, con aria saputa: “Solo chi ha il proprio incantesimo protettivo può entrare a Hogwarts, quindi comincia a inventarlo.”

Il silenzio era calato pesantemente sui quattro, che la guardavano attoniti. La strega la fissava come se fosse scema, ma non disse nulla perché David sembrava davvero essersi calmato.

“Bene.” Disse Albus Severus: “Noi andiamo. Ciao tesoro.” Salutò sua moglie con un bacio sulla guancia, e, presa Rin per mano, uscirono.

In silenzio entrarono in macchina, si sedettero e si guardarono. “Tra due anni ce lo trascini tu fino alla ferrovia.” Disse lui, e scoppiarono a ridere.

 

“Devo proprio andare?” chiese, tenendo la mano di Albus Severus in una spasmodica stretta carica d’ansia. Lui grugnì qualcosa a riguardo delle dita che gli si intorpidivano per la forza disperata della sua piccola mano, ma poi le sorrise: “Non ti preoccupare, andrà tutto bene.” Ma, agli occhi di Rin, quelle parole risultavano vuote ed esattamente contrarie al loro significato, e il sorriso sembrava forzato. Infondo suo padre non poteva che essere preoccupato per lei: quando lui era a scuola il Signore Oscuro era risalito al potere e il suo vecchio era stato trucidato, ed era ovvio che si sentisse inquieto. Avvertiva che qualcosa di terribilmente grande per il corpo minuto di sua figlia si sarebbe abbattuto su di lei, e, se avesse potuto, l’avrebbe portata via e messa al sicuro, ma, il quel momento, nulla poteva fare per trascinarla lontano da quella folla rumoreggiante e cattiva, per proteggerla dal caotico tran tran della stazione. Chissà quanto avrebbe dovuto soffrire, quegli anni che avrebbero dovuto essere i più belli della sua esistenza.

“Dai” Disse, guardando nervosamente l’orologio che segnava le undici meno cinque: “ti aiuto a caricare il baule dentro.” Lei annuì, ma non proferì parola, tanto era nervosa.

Sgomitarono tra la folla per poter entrare in una delle carrozze fumanti di ragazzini urlanti, con la gente che si scostava sdegnosamente appena riconosceva in loro dei Potter, e fecero del loro meglio per trovare un posto in uno scompartimento, anche se invano.

La locomotiva fischiò la partenza, e Albus Severus schioccò un bacio sulla fronte della figlia: “Mi raccomando” si rassicurò: “Non dire a nessuno quello che sai, stai attenta e bene preparata, sii brava a scuola ed evita i guai quando puoi.” Era commosso, in un qualche senso, infondo era la sua prima figlia che sarebbe partita per un temibile ignoto. Rin lo abbracciò. “Ciao papà.”

La ragazzina guardò attonita la persona a lei più cara scendere dal treno e sistemarsi sulla banchina vicino alla sua carrozza, e fu quando un ragazzo più grande la colpì per sbaglio con la borsa che si riscosse e cominciò a trainare il proprio baule e la gabbia con la fenice fino ad uno scompartimento all’apparenza vuoto.

Data la pienezza degli altri, decise di entrare, pur trovandoci un uomo dai capelli lunghi e biondi che tutto sembrava tranne che un uomo che amava essere interrotto, tanto era concentrato nella lettura di un plico. “M-mi scusi” esordì, sentendosi pugnalata dallo sguardo di ghiaccio che le fu rivolto: “potrei sedermi qui? Tutto il resto è occupato.”

Lui la squadrò con l’aria di chi non vede l’ora di appioppare un secco ‘no’, ma riportò la propria attenzione al plico, cosa che Rin prese come un ‘fa’ come ti pare’ e, dopo aver sistemato il baule sulla reticella non senza una certa fatica, si sedette con la gabbia di Fanny sulle gambe. L’animale sembrava davvero inquieto: becchettava sulle piccole sbarre che la imprigionavano, cercava di aprire le ali e dimenava la coda, emettendo versi striduli come se stesse per morire. Rin decise di liberarla, dato che era stata stranamente tranquilla fino a quel momento, e, aperto il finestrino con la piccola manovella, lasciò che la fenice si librasse crogiolandosi tra le mille correnti del cielo.

L’uomo dai capelli biondi osservò l’animale con stupore, ma soprattutto con una scintilla di scientifica curiosità negli occhi, analizzandone con curiosità il piumaggio vermiglio, le zampe sottili e forti, il becco appuntito e lievemente ricurvo.

Sembrava così interessato che quasi faceva intendere che non ne avesse mai vista una. “Le avevo solo studiate.” Le rispose, secco, con una voce calma eppure lievemente irritata per essere stato soggetto di studi, seppur quelli di una ragazzina che sembrava più impaurita che incuriosita dalla sua vista.

Dopo qualche minuto che lei passò a torturarsi nervosamente un lembo del maglione blu il treno si mise in moto e, sbuffando volute di fumo candido, si diresse, sempre più veloce, verso l’uscita del tunnel della stazione. Rin si alzò di scatto, per paura di non riuscire a salutare in tempo suo padre e, sbracciandosi dal finestrino appena aperto, gridò, incurante dell’uomo che la guardava come se fosse pazza: “Ciao papà! Ti scriverò un sacco di lettere!” e l’ultima cosa che sentì fu il: “Ti voglio bene!” che l’accompagnò per tutto l’anno.

Non fece in tempo a sedersi che l’uomo le disse, con noncuranza: “Sei del primo anno.”

Lei, sorpresa per essere stata letta così velocemente, si accasciò di schianto sul sedile di fronte a lui, con sguardo perso in chissà quale timore: “Sì.” rispose con voce atona.

“Non era una domanda. Se ne accorgerebbe chiunque: tremi come una foglia.” Borbottò, tornando al proprio foglio. C’era qualcosa di strano nel modo di esprimersi di quell’uomo, non che usufruisse di un lessico ricercato od elaborato, ma perché parlava come se, qualsiasi cosa potesse uscirgli dalla bocca, non gli importasse. Una voce talmente fredda e vuota da far venire i brividi.

“Non lo sai che è scortese fissare la gente?” alzò la testa dalla propria lettura, infastidito, e lei si ritrovò ad arrossire: “Oh, m-mi scusi!” esclamò, ritraendosi il più possibile verso l’interno del sedile, abbassando lo sguardo: “S-solo che mi chiedevo se lei sarà uno dei miei futuri professori.”

Fu guardata come se avesse appena detto una schifezza, ma alla fine ricevette una breve e laconica risposta affermativa.

Annuì, segno che aveva capito, profondamente imbarazzata dal fatto che fosse così vicina a un docente, e forse fu quell’imbarazzo a turbarlo, tanto che si alzò e uscì.

Rimase sola. Era una cosa molto piacevole, contando il fatto che il resto della fauna di Hogwarts consisteva in Serpeverde boriosi e altezzosi, così giganteschi in confronto alla sua piccola statura, ma avrebbe voluto qualcuno con cui chiacchierare un po’, magari una voce amica che la rassicurasse.

Come risposta ai propri pensieri, la porta dello scompartimento si aprì di scatto, e davanti a lei apparve una ragazza dal portamento così fiero e sicuro di sé che la prima cosa che le venne in mente fu quella di andarsi a cercare un altro posto per lasciare il suo all’ego sconfinato che la sua visitatrice dimostrava. “Ciao.” Disse e, chiusasi dietro lo scorrevole trasparente, occupò il posto prima occupato dall’uomo dai capelli biondi. Rin non trovò il coraggio di replicare a quel saluto cordiale, tanto l’aspetto perfettamente plasmato della ragazza la intimoriva. Dimostrava sì e no diciassette anni, era alta, con i capelli lunghissimi biondo scuro che sventolavano fino ai polpacci ad ogni suo movimento, e aveva le gambe lunghe e il corpo di una Veela, tanto risultava seducente nell’insieme.

Si rannicchiò sul proprio posto, accanto alla gabbia vuota di Fanny.

Lei, accorgendosi della sua reazione, ridacchiò: “Oh, non devi aver paura di me!” esclamò: “Sono un demone ma non ti mangio!” e concluse il suo discorso con un sorriso rassicurante.

“D-demone?!” squittì, spaventata, cosa che non fece altro che divertire ancora la sua nuova compagna di viaggio, che ridacchiò esprimendosi con un breve ‘ah, non te n’eri accorta?’ e avvicinò una mano al suo viso. Rin chiuse gli occhi, intimorita dal fatto che quelle cinque dita fossero munite di artigli demoniaci, ma l’unica cosa che sentì fu una carezza che le scompigliava i capelli. “Sei una primina.” Disse, con tenerezza, per rassicurarla: “Non ti preoccupare, andrà tutto bene.” E le sorrise. Aveva assunto un atteggiamento diverso rispetto a quello scherzoso e lievemente strafottente che prima l’aveva tanto caratterizzata, una sorta di materna apprensione, nonostante fosse la prima volta che la vedeva.

Rin si sentiva in imbarazzo per l’ennesima volta: era così strano sentir fluire un affetto estraneo in quella mano pericolosa, e la cosa ancora più strana era tutta quella confidenza espansiva nei suoi confronti.

Dopo qualche secondo la mano si ritrasse.

“Mi chiamo Meido Zangetsuha.” Si presentò, tornando all’aria di fiera bellezza di prima: “Tu sei una Potter, vero?”

Rin rimase basita. Non sapeva come Meido avesse scoperto la sua natura, ma la cosa la preoccupava: se riconoscerla era così semplice, come avrebbe potuto sopravvivere agli insulti? “Sì.”

Disse, poi, chinando il capo: “Mi chiamo Rin.”

“Rin.” Ripeté lei, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle palme aperte: “Suona come un campanellino di cristallo.” Valutò, guardandola negli occhi.

“Me lo dice sempre mio padre.”

“Allora ho ragione.”

 

Meido si rivelò essere un demone dal linguaggio colorito e i modi di fare colmi di seducente malizia, aveva una personalità molto ironica e adorava fare del sarcasmo, ma era una persona con la quale era molto piacevole stare. Sarà stato per il suo carisma coinvolgente o per l’energia dei suoi occhi azzurri, ma la sensazione che dava alla gente, non solo a Rin, era quella di essere così stabile nelle proprie convinzioni e genuina nel modo di pensare da sembrare come il vento tempestoso di aprile: forte ma tiepido e piacevole. Chiacchierava molto e si vedeva che, di argomenti di cui parlare, ne aveva fin troppi.

Le aveva raccontato un sacco di cose sulla scuola che lei considerava corrotta, ma poche sul proprio conto. Sembrava una persona che adorava farsi i fatti degli altri ma che aborriva parlare dei propri, come se la disgustassero.

Per Rin, incontrarla fu una specie di incoraggiamento: non era l’unica a pensare di dover studiare in una scuola priva dei valori che insegnava una volta, e aveva l’impressione che Meido sapesse fin troppo bene cosa significasse essere una reietta nel mondo dei maghi, tanto che le era sembrato che l’avesse presa in simpatia e sotto la sua ala protettrice. Doveva essere abbastanza influente.

Avrebbe continuato a chiacchierare per molto se, verso le quattro del pomeriggio, non si fosse aggiunta un’altra passeggera. Bussò al loro scompartimento con una specie di autoritaria movenza, come se pensasse che entrare fosse un suo diritto.

Era una ragazza dai capelli corti marrone scuro, che producevano uno sconnesso contrasto con i suoi occhi viola, un fisico asciutto e magrolino, anche se sembrava piuttosto muscoloso, tanto che portava la gabbia di una civetta e il baule con una mano sola, mentre con l’altra portava la giacca. Aveva un viso appuntito, dai lineamenti spigolosi e freddi, ma i suoi occhi erano carichi di tanta ribelle e furba astuzia. “Salve.” Sorrise, mostrando dei denti bianchissimi, sorriso che non convinse affatto Meido, che invece si irrigidì e mostrò le zanne in un sarcastico saluto: “Ciao.”

“Inutile che mi attacchi così, vengo in pace.”

“Oh, ma io ti stavo semplicemente salutando alla maniera dei demoni.”

“Allora scusa se non me ne sono accorta.”

Rin seguì quel sarcastico combattimento verbale con gli occhi spalancati: il demone tanto cordiale e gentile con il quale aveva chiacchierato fino a quel momento si era trasformato in un feroce animale di rara selvaggia bellezza, con tanto di zanne.

“E perché tu non ci saluti alla maniera dei mezz'elfi, Nihal?” disse Meido, come se la sapesse lunga.

La ragazza chiamata Nihal per un momento fu terrorizzata, poi, forte di una rabbia incontenibile, estrasse la bacchetta: “Ripetilo.” Ringhiò, puntandola contro Meido, che stava ancora seduta con le gambe elegantemente accavallate, e lei scoppiò a ridere. Era così fredda e limpida nella sua risata da far accapponare la pelle: “Non lo sai che i demoni sono immuni a quasi tutte le magie?” chiese, divertita. La sua voce aveva acquisito una vena di pungente cattiveria.

“Non alle Maledizioni Senza Perdono.” Minacciò Nihal, rafforzando la presa sulla bacchetta. Meido sorrise, immune al tono pericoloso dell’avversaria: “Avanti, allora.”

Rin era sicura che Nihal non se lo sarebbe fatto ripetere due volte, era sicura che avrebbe immediatamente attaccato briga, e, per evitare di rimaner coinvolta in spargimenti di sangue prima che cominciasse l’anno, si alzò e si frappose tra le due, ben cosciente che il suo corpo mingherlino avrebbe potuto resistere ben poco alla forza che le braccia nude di Nihal sembravano esprimere con dei muscoli sodi e scattanti.

Invece si spostarla con la forza, Nihal ripose la bacchetta chinando la testa, come se niente fosse, fissò il baule e la gabbia col gufo sulla reticella e si sedette vicino a lei.

Anche Meido sembrava essersi dimenticata degli attacchi verbali appena pronunciati, e si rilassò contro lo schienale del suo sedile, allungando le gambe sul resto dei posti liberi. Guardando prima fuori dalla finestra e poi fissandola negli occhi, disse a Nihal: “Avevo sempre desiderato conoscerti, Fromthewind.”

“E offendi la gente, per conoscerla?” replicò lei, alzando il sopracciglio, cosa che sembrò divertire il demone: “Beh, mi devo prima premunire se sia una persona che non devo far arrabbiare.”

La ragazza annuì, non del tutto convinta, ma decisa a lasciar correre. Sapeva bene che Meido Zangetsuha era una specie di celebrità, a Hogwarts, e sapeva anche che era un po’ strana. Ma in quel momento si era accorta che non era strana, ma solamente lunatica e calcolatrice. Si rivolse a Rin: “E tu chi sei? Non mi pare di averti mai visto.”

Sentendosi chiamata in causa, Rin arrossì e riuscì solo a mugugnare: “Mi chiamo Rin. E sono al primo anno.”

“Devi dire anche il tuo cognome, tesoro.” Le disse Meido, sorridendo. Lei prese quel sorriso come una protezione, e disse, un po’ più sicura: “Rin Potter.”

Nihal, più che schifata da quel cognome tanto tristemente famoso, sembrò deliziata: “Oh.” Disse: “Credevo di essere l’unica fuorilegge, qui.” E, chiuso lo scorrevole dello scompartimento, decise di confessare. Infondo, se Meido Zangetsuha sapeva già che lei fosse un mezz'elfo e non l’aveva detto in giro significava che non aveva interesse a farla morire, e Rin sembrava così piccola e innocente da non poter nemmeno partorire un’idea del genere. “Hai ragione.” Spiegò, rivolgendosi a Meido, mentre si sistemava una ciocca scura dietro l’orecchio: “Sono un mezz'elfo. Sono qui solo perché mio padre aveva deciso così per me da quando sono nata.”

“E io invece sono qui perché una profezia predice che qui potrò realizzare ciò che desidero più al mondo. Ma non so quando succederà, quindi sto qua da quasi dodici anni, per monitorare la zona.” A Meido parve giusto scambiare il proprio segreto con quello di Nihal, per farle capire che avrebbe mantenuto il suo. Sembrava che una specie di patto stesse per compiersi.

Poi guardarono entrambe la piccola Rin, che arrossì enormemente nel constatare che avrebbe dovuto dire ciò che non avrebbe mai dovuto rivelare. “Ehm… io…” balbettò: “Sono una strega mezzosangue. Mia madre era babbana.”

L’atmosfera si gelò immediatamente, le due la fissarono come se fosse destinata ad una fine terribile e lei se ne sentì immediatamente turbata, tanto che si pentì immediatamente di aver parlato. “Povera piccola.” Disse Meido, acquistando una seconda volta il tono materno: “Ti scopriranno subito.” Aveva una strana compassione negli occhi. E la cosa non le piaceva affatto: “C-cosa?” balbettò, passando dal rosso dell’imbarazzo al bianco pallore della paura, e a risponderle fu Nihal: “Il Cappello Parlante” disse: “è stato scucito e riassemblato in modo da guardare nel corpo delle persone e dichiarare il loro stato di sangue.”

“E allora tu come hai fatto?” biascicò Rin, con la voce tremante per le lacrime e il terrore. Nihal era un mezz'elfo, e allora perché era ancora lì? Non era stata accettata anche lei?

“Io ho questo.” Le spiegò la ragazza, mostrandole un grosso medaglione che teneva riposto sotto la maglietta, ben nascosto. Era tondo pieno di pietre colorate: “Funziona solo con le persone con sangue elfico, è in grado di creare illusioni indistruttibili, anche per la magia.”

Disperata, la piccola strega rivolse uno sguardo supplicante a Meido: “Ti prego” le disse: “Fai qualcosa.”

Rin aveva aspettato a lungo il momento in cui sarebbe potuta entrare a Hogwarts. Era una scuola corrotta e senza valori, è vero, ma ancora serbava quell’alone di magica atmosfera che la rendeva quasi mistica, ambita da tutti, bella nella sua sporcizia. Sapeva benissimo che sarebbe stata vittima di prese in giro, scherzi e prepotenze di ogni genere, ma si era sempre cullata nella speranza che avrebbe sopportato volentieri tutto quello per la dolce soddisfazione che lo studio della magia le dava, invece in quel momento si vedeva sbarrata la strada dall’ombra minacciosa del Cappello Parlante, per il quale non solo avrebbe perso l’occasione di studiare, e magari anche ridar lustro al suo cognome tanto disprezzato, ma anche la sua stessa vita. Le mancava ancora così tanto da fare: non avrebbe mai cavalcato un drago, né una scopa, non avrebbe mai giocato a Quidditch, non avrebbe mai potuto sentire il felice sollievo delle vacanze estive, non avrebbe mai vissuto la favola dell’amore come gliela raccontavano le storie che le leggevano la sera.

Meido, in un certo modo, percepì il suo terrore, e si avvicinò a lei, abbracciandola. Non era mai stata gentile con nessuno, ma quella piccola bambina le infondeva una certa tenerezza, tipica delle sorelle maggiori che vogliono proteggere e coccolare le sorelline più piccole e indifese, allontanarle dalle amare tristezze della vita e tenerle sempre strette al petto, cullandole nella certezza che tutto si sarebbe sistemato. Per Rin non aveva altro conforto che quello di un abbraccio: sapeva che quel cappello, corrotto come la scuola che rappresentava, non avrebbe certo avuto pietà di lei, come non ne aveva avuta per gli altri bambini innocenti che erano stati massacrati davanti all’assemblea degli studenti dell’unica Casa, inerti e impossibilitati nell’agire.

Avrebbe voluto saperlo prima. Avrebbe voluto salvarla, utilizzando il suo mezzo di corruzione più efficace, ma in quel momento l’unica cosa che poteva fare era stare a guardare. Nulla avrebbe potuto fare per lei, se non complicare le cose.

“Sono sicura che andrà tutto bene.” Cercò di rassicurarla Nihal, ma dalle sue parole smorte non poté uscire altro che una mera illusione.

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Dunque, dunque, dunque

FINALMENTE qualcuno recensisce ç^ç

(Dark Egor Aster 97, se vuoi inserire un personaggio che vorresti vedere, hai l'onore di potermelo chiedere u.u)

Howevah qui comincia l'avventura, il sentiero in cui mi perderò di sicuro, questo guazzabuglio di parole e personaggi sta cominciando a srotolarsi! festeggiate con me! (?) diciamo che Rin è rimasta uguale a quella che era, Meido è entrata in scena e Nihal è sempre fantastica (anche se noialtri malvagi veneriamo Aster u.u)

ora scrivo la provenienza di tutti i personaggi avuti fin qui, in modo da semplificare le cose, ecco.


Sesshomaru, Inuyasha, Rin, Bankotsu, Jakotsu, Suikotsu: "Inuyasha" di Rumiko Takahashi

Dohor, Nihal, Aster: "Le Guerre del Mondo Emerso" saga, di Licia Troisi

Voldemort, Bellatrix, Draco Malfoy: "Harry Potter" saga, di J. K. Rowling

Arlene (Larxene), Even (Vexen), Isa (Saix), Riku, Sephiroth: "Kingdom Hearts" saga, di Testuya Nomura

Meido Zangetsuha: "la mia mente folle" u.u

abbiamo saltato qualcuno?

quando ne incontreremo altri aggiornerò questo simpatico elenchino °3°

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Sayonara :D

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Capitolo 5
*** 3. Smistata dalla parte sbagliata ***


3. Smistata dalla parte sbagliata.

 

“Eccola!” – “Guardala!” – “Minuscola!” – “Potter” – “Potter” – “Potter”.

Erano quelle le voci che si attorcigliavano al suo passaggio, rendendo vani i suoi desideri di passare inosservata.

“Dai Rin.” La incoraggiò Meido, passandole un braccio intorno alle spalle e avvicinandola a sé. Per Rin fu imbarazzante constatare che le arrivava ai fianchi.

Dopo la sconvolgente notizia del Cappello Parlante erano passate altre due ore, che avevano passato a mangiare ciò che Meido aveva comprato dalla tipa dei dolci e a parlare/sparlare di ogni professore.

Per Rin, che a colazione e a pranzo non aveva mangiato nulla, trovarsi sotto tutto quel cibo fu una benedizione; si saziò con cioccorane, caramelle, bacchette di liquirizia, galeoni di zucchero e delizie di ogni genere, annaffiando il tutto con succo di zucca freddo e dissetante. Era triste per lei pensare che quello sarebbe potuto essere il suo ultimo pasto, anzi, quasi sicuramente l’ultimo, perché a cena non ci sarebbe arrivata e, pensato quello, aveva smesso di mangiare e aveva fissato il finestrino con aria stralunata.

Anche la compagnia di Nihal si rivelò piacevole: era una ragazza piena di sogni ambiziosi e ambizioni da sogno, con volontà ferrea e salda nelle proprie speranze, e cadeva in uno stato estatico quando raccontava o sentiva raccontare storie. Aveva una fantasia unica e si lasciava trasportare con commozione ed entusiasmo dai racconti di ogni genere, era brava nelle imitazioni e si lanciava in lunghe avventure verbali su quello che avrebbe fatto dopo Hogwarts. Aveva provato di tutto per sollevare un pochino l’animo abbattuto di Rin, e ci era riuscita alla grande, tanto che la piccola strega non si era risparmiata grasse risate e narrazioni emozionanti. Giocare con lei sarebbe stato fantastico, arrivò a pensare la ragazzina, avrebbe potuto farle piombare in un fantastico regno incantato solo descrivendo i paesaggi e i personaggi. Ebbe la visione di lei, Rin, e Nihal, bambine, scorrazzare per un cortile alla ricerca di un misterioso tesoro o di una nave da prendere sotto arrembaggio, dimenare spade di legno e gridare il loro divertimento al mondo.

“Dovresti fare la scrittrice.” Le consigliò Meido, lanciando al mezz'elfo una delle cioccorane rimaste, per le quali aveva capito la passione di lei: “Hai troppa fantasia.”

Nihal rise, lusingata: “Lo farei di sicuro, se fosse un lavoro un po’ più retribuito.”

Rin vedeva il loro futuro: una scrittrice di successo, ricca di fama e storie da raccontare, e una modella alta e sensuale, bella e accattivante. Il suo avvenire, invece, sembrava un burrone sul quale era in bilico.

In bilico come quei passi che faceva sempre più tesa e incerta, stringendosi contro il corpo saldo di Meido e cercando di non perdere di vista Nihal.

“Ehi, Zangetsuha!” gridò una voce, dura come l’aria fredda della sera che fendevano con il loro incedere, e le tre si girarono verso la figura di un ragazzo biondo cenere che aveva tutte le cattive intenzioni di questo mondo: “Quella è la Potter?” chiese, sputando le quattro parole con un disgusto indicibile. Per tutta risposta Meido avvicinò Rin di più a sé: “Giù le mani Yaxley, lei è con me.” Dichiarò con voce limpida e priva di ogni rimpianto. La ragazzina vide lo sguardo cattivo di Yaxley posarsi su di lei e squadrarla come se fosse indegna d’esistere: “E chi metterebbe mai le mani su una feccia del genere?”

“Oh, ma tutti sappiamo che le vorresti mettere su di me, le tue mani.” Cinguettò il demone, gettandogli un’occhiata maliziosa e canzonatoria e il ragazzo, per quanto potesse cercare di essere duro, ammutolì e si morse il labbro. Rin sentì qualche risata, ma poi gli sguardi tornarono a fissarla come se fosse un mostro, e lei si sentiva sempre più piccola e indifesa.

Nihal non era in una situazione migliore: era continuamente schernita dalle ragazze, che forse non avevano a genio la sua andatura militare e il suo corpo tutt’altro che femmineo e delicato, e presa in giro dai ragazzi, che la chiamavano “draga”, ma lei sembrava più fortificarsi di tutte quelle invettive che offendersi.

Come le invidiava: una era così bella e desiderata da poter tranquillamente fare il buono e il cattivo tempo senza sentire proteste, mentre l’altra così forte e indipendente da essere indistruttibile nell’autostima.

Prima di poter provare a parlare, Rin sentì qualcosa passarle vicino al viso, e fece appena ad accorgersi che quel qualcosa era una fattura in piena regola che Meido la lanciò verso Nihal con il braccio con cui la teneva vicina e poi, sempre con la stessa mano, fece per tirare qualcosa contro Yaxley, che si trovava a qualche passo da loro e stava con la bacchetta sguainata. Il suo, sembrava solo un movimento di dita, un rapido guizzo del gomito verso il nemico, e l’effetto del suo muoversi sembrò rimanere nell’aria per qualche secondo. Dopodiché si aprì sopra di loro un enorme varco dimensionale del quale si riusciva solo a intravedere il buio fondale costellato da qualche oscura e sconosciuta galassia. Sembrava che gli studenti presenti intorno a loro conoscessero bene quel passaggio, tanto che cominciarono a mettersi al riparo appena la devastante e invincibile forza d’attrazione dell’attacco li cominciò a tirare verso una morte sicura.

“Ripeto in caso non fossi stata sufficientemente chiara:” disse Meido, immobile e immune al vento che trascinava tutti quanti verso quel pericoloso buco nero: “giù le mani, lei è con me.”

Nihal aveva appena fatto in tempo a trasportarsi, con Rin attaccata ad un braccio, verso un albero non soggetto a quella calamità mortifera. Sapeva, come tutti del resto, che Meido era un demone del Passaggio, e che quindi il suo unico potere era saper creare in mille modi un passaggio per l’Aldilà e ne sapeva fare di così potenti che qualche anno prima aveva quasi distrutto il campo da Quidditch.

“Ehi, non vale il Passaggio!” strillò Yaxley, mentre se ne stava aggrappato ad un palo. “Non vale?” squillò lei, e Rin poté notare che il lato feroce e bestiale del suo carattere, lo stesso che aveva usato per canzonare Nihal, era spuntato fuori insieme alle zanne, che sembravano più evidenti di prima, rese più lunghe e pericolose dalla smorfia sadicamente gioiosa che le si era dipinta sul viso. Per tutta risposta alla protesta impaurita del proprio avversario, Meido lanciò un altro Passaggio dentro al primo, che venne risucchiato e andò ad amplificare la forza di quello nuovo.

“E dimmi, vigliacco, questo vale?”

Ma non udì mai la risposta, perché una mano gigantesca le si schiaffò sulla nuca, mandandola a sbattere contro una delle carrozze destinate a trasportare gli studenti fino alla scuola. Il passaggio si chiuse di colpo. Meido non subì ferite o contusioni, anzi, fece leva sul proprio atterraggio per lanciarsi a capofitto sul proprio nuovo avversario. Nihal capì immediatamente che Meido non era una di quelle persone a cui piaceva perdere.

Il proprietario della gigantesca mano era un uomo altrettanto enorme ruvido di una barba grigio-nera e vestito con un pastrano rattoppato, e sembrò sorpreso quando quella furia incontenibile che era diventata Meido gli si avventò contro, spedendolo a terra. Chissà quale forza era contenuta in quelle gambe affusolate e in quel corpo ben formato e sottile, dato che quel fisico all’apparenza così esile aveva appena mandato al tappeto uno che ne misurava il quadruplo se non di più.

“Piantala Mei… Zangetsuha!” tuonò la voce dell’uomo da sotto la barba, alzandosi di scatto, prendendole un polso e tenendola in alto in modo da non darle possibilità di attaccare. Il demone, dopo quella furiosa follia che le aveva completamente tinto gli occhi di un rosso sanguigno, si acquietò e si lasciò deporre a terra. “Oh. Perdo sempre la pazienza con quello là.” Si giustificò, borbottando: “Penso che sia stato il fatto di aver attaccato Rin alle spalle ciò che mi ha fatto tanto arrabbiare.”

L’uomo sembrò volerla rimproverare, ma poi si accorse degli altri studenti ancora immobili a fissare la giovane con occhi impauriti e stralunati, tanto che si mise a gridare, dimenando le braccia come un goffo vigile urbano: “Lo spettacolo è finito! Muoversi, muoversi!” e, dopo un attimo di ferma indecisione, la folla fluì lontano dai quattro.

Meido si rivolse al punto in cui aveva visto Nihal e Rin nascondersi prima di venir risucchiate dal Passaggio: “Potete uscire, non vi mangio.” E c’era qualcosa nel suo tono da spaventare le due.

Rin non poteva crederci: la donna gentile e materna che l’aveva consolata sul treno, che le aveva offerto la merenda e che l’aveva protetta da Yaxley era diventata per quei furiosi secondi qualcosa che era il più lontano possibile da tutto ciò che precedentemente aveva mostrato, e fu per quel motivo che non le si avvicinò troppo, perché aveva sviluppato un certo timore nei suoi confronti. Era un timore più che giustificato, infondo Meido Zangetsuha era un demone. Quello significava che tutti i demoni tenevano quel sottofondo rossastro di furiosa follia? Tutti, se infastiditi troppo, reagivano a quel modo?

“A proposito” cominciò l’uomo, rivolgendosi al demone: “Da quanto non mangi?” Lei non rispose, si limitò a chinare il capo e osservare con tristezza la reazione di repulsione che Rin le aveva rivolto. Doveva essersi spaventata abbastanza. “Beata te che ti fai spaventare da questo.” Mormorò, passandole una carezza sul capo.

 

Rin arrivò alla cerimonia dello smistamento per il rotto della cuffia. Aveva fatto in tempo a calcarsi in testa il cappello e precipitarsi nella Sala Grande che l’uomo dai capelli biondi che le aveva fatto compagnia per un breve tratto di viaggio chiamò il suo nome: “Potter Rin.”

Inutile dire che tutti i presenti, preside e professori compresi, la fissarono insistentemente. Doveva essere un bello spettacolo: piccola, piccolissima, resa ancora più minuscola dalla divisa più grande, rossa per l’imbarazzo e ansimante per la corsa, tremante e sull’orlo delle lacrime.

Vedeva la faccia della morte, che sembrava bianca e fredda come quella dell’uomo biondo che reggeva il cappello, così impassibile da risultare irreale e obliqua. Con passo pesante si diresse verso il proprio destino, mentre il gruppetto dei nuovi studenti davanti a lei si faceva sdegnosamente indietro, e un braccio misterioso la scaraventò avanti con un rude spintone.

“Potter Rin.” Ripeté l’uomo, seccato, mentre reggeva bene in alto il Cappello Parlante, in modo che fosse visto da tutti, e per lei fu inevitabile avanzare ancora, fino a sedersi sullo sgabello di legno predisposto allo smistamento.

Cercò di visualizzare la Sala Grande nel suo splendore: i due grandissimi tavoli riempiti da individui inerti dalla nera uniforme, le mura di marmo dorate dalla luce delle candele e dei candelabri, le figure pallide dei fantasmi immobili nell’aria. Riuscì persino a trovare tra quelle facce Meido, distinguibile per la sua camicia bianca e la gonna corta indossate al posto della più canonica veste da mago, e Nihal, sedutale vicino: avevano entrambe una faccia pallida e grave. Cercò di imprimersi i loro sorrisi nella mente, non tralasciando ovviamente l’espressione materna del demone mentre l’abbracciava e nemmeno l’aria estatica del mezz'elfo mentre raccontava i propri sogni.

Le fu posato il cappello sulla testa, ma era così grande che le scivolò fino al naso, coprendo gli occhi.

Un sibilo strisciante si diffuse nella sua testa, come se qualcuno le stesse parlando all’orecchio, nascosto da tutti: “Potter.” Ghignò: “Da quanto è che non esamino un Potter?” ma, subito dopo quella domanda retorica, cominciò la propria analisi. Rin lo ascoltava col cuore in gola.

Rin Potter. Un carattere timido e determinato al tempo stesso, fragile eppur convinto delle proprie idee… c’è del bello in questa testa tua, ma è passato il tempo in cui valutavo l’indole per assegnare la casa… vediamo…” ci fu un attimo di silenzio, suo, del cappello e della sala, poi il magico artefatto le si rivolse, sempre in segreto, con voce alterata dallo stupore: “Sei l’ultima mezzosangue di Gran Bretagna, lo sai? O comunque lo sei stata fino ad adesso.

Fece per gridare il suo stato di sangue al mondo, ma ad un certo punto si bloccò. Negli occhi di Rin offuscati dall’oscurità apparve qualcosa di bianco, freddo e potente, tanto da attirare l’attenzione del Cappello: “Ma questo…

 

Non ucciderla!

 

La voce che solo lei e il Cappello sentirono fu indescrivibile: dura, altissima e assordante, potente ed amplificata, con la nota corrugata che solo un uomo di discreta età poteva possedere. Se per Rin fu un tono nuovo e mai sentito, al Cappello doveva essere ben noto, tanto che gridò in annuncio, obbediente: “PUROSANGUE UMANO!”

Quel peso al cuore che si era impossessata di lei quando aveva sentito quel verbo al passato scomparve all’improvviso, volatilizzandosi come un frettoloso stormo di uccelli liberato dalla gabbia che li aveva tenuti prigionieri. Era così stupita dall’essere tornata a vivere che non poté non esclamare, attonita: “Eh?”

La sala rimase sospesa nel silenzio, le uniche che sembravano vagamente sollevate erano Nihal e Meido, che si scambiarono un’occhiata sorpresa e felice. L’uomo dai capelli biondi, sfilandole il cappello dal capo, la spinse giù dallo sgabello e chiamò lo studente successivo.

Rin ebbe un attimo di smarrimento: vicino a chi avrebbe potuto sedersi, dato che ogni persona si ritraeva schifata ad ogni suo passo? Poi vide le braccia di Meido e Nihal affaccendarsi per chiamarla e invitarla a sedersi con loro e la neo strega, in un frullio di mantello, corse verso di loro e si lasciò abbracciare.

“Strilliamo dopo, eh?” sussurrò Meido, posando il gomito sul tavolo. Chissà perché, ma era felice che Rin fosse sana e salva. Guardò di sottecchi la ragazzina, chiedendosi cosa avrebbe mai potuto influenzare un oggetto magico potente come il Cappello Parlante, ma non c’era nulla nel suo modo di fare, né tanto meno nell’aspetto fisico che potesse lasciar trapelare enorme potere o capacità magica. Era semplicemente una piccola e fragile ragazzina, con gli occhi che facevano trasparire un’aria impaurita e con le mani incapaci di far del male.

“Ehi, Zangetsuha” esordì una voce ferma dietro di lei, e la ragazza fu costretta a girarsi da un paio di rozze mani dalle dita lunghe, ritrovandosi davanti un uomo dai capelli biondi e gli occhi di un freddo ghiaccio. “Professore.” Sibilò, con aria sgarbata ma che comunque capisce che la persona che si sta offendendo è l’unica in grado di aiutarla. “Il trattato di quest’anno sta per scadere.”

Parlava a voce ferma e decisa, anche se volutamente bassa per non farsi sentire da volontà indiscrete. Non le lasciò nemmeno il tempo di replicare che si guardò intorno e le disse, come se sapesse come quella storia sarebbe andata a finire: “Ti aspetto domani sera.”

Nihal si accorse di quel discreto scambio di parole ma abbassò la testa, segno che non ne voleva avere nulla a che fare, e guardò Rin. Sembrava serena, in un qualche modo. Con un moto di straordinaria pietà per quell’innocenza buttata al vento, mormorò: “Ben presto ti accorgerai di essere all’inferno.”

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arieccomi qui con il terzo capitolo di Everywhere, e dopo questo capitolo lasceremo Rin, Meido e Nihal per un po' e ci andremo a imboscare da qualche altra parte, contenti? Eh, chissà chi potremmo incontrare nel prossimo capitolo!

intanto aggiorniamo l'elenco con i personaggi.

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Sesshomaru, Inuyasha, Rin, Bankotsu, Jakotsu, Suikotsu, Naraku: "Inuyasha" di Rumiko Takahashi

Dohor, Nihal, Aster: "Le Guerre del Mondo Emerso" saga, di Licia Troisi

Voldemort, Bellatrix, Draco Malfoy, Hagrid, il Cappello Parlante: "Harry Potter" saga, di J. K. Rowling

Arlene (Larxene), Even (Vexen), Isa (Saix), Riku, Sephiroth: "Kingdom Hearts" saga, di Testuya Nomura

Meido Zangetsuha: "la mia mente folle" u.u

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Ringrazio quelle cinque anime buone che hanno aggiunto la mia storia tra le seguite **

Bon, credo di aver finito, alla prossima!

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RAMBLE ON!

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