Memories...you were always on my mind.

di Leuviah_Utopia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


La notte tiepida di una primavera quasi al limite infrangeva le mura possenti dell’enorme castello di Camelot. Nessun movimento percepibile dava il ben che minimo disturbo alla gente che viveva all’interno di quelle mura, perché quel posto, oramai lo sapeva chiunque avesse varcato le porte di quella cittadina, era un luogo sicuro.
Due guardie se ne stavano appostate nei rispettivi lati dell’ingresso principale. Chiacchieravano, a bassa voce, scandendo parola per parola per far si che la lontananza tra i due, di circa 4 metri, rendesse la loro discussione più comprensibile. Parlavano dell’imminente condanna a morte di una donna che, a quanto pare, era accusata di stregoneria.
Damon, senza farsi notare, si avvicinò di qualche metro alle guardie e, con uno scatto impercettibile, balzò sul ramo di un albero che sorgeva proprio accanto la colonna destra dell’ingresso principale. Il giovane aveva fame, molta fame, perché aveva viaggiato senza sosta per oltre due miglia. Spezzò un ramoscello dal ramo su cui si trovava e lo lanciò nella porta opposta a lui.
Le guardie sentirono un rumore provenire da dietro dei cespugli e si guardarono insospettiti.
«C’è qualcuno lì?», domandò una delle guardie. Ovviamente non ci fu alcuna risposta. «Tu aspetta qui, intanto io vado a controllare», continuò la guardia rivolgendosi al collega che annuì con un lieve movimento del capo.
La guardia “coraggiosa”, come l’aveva da poco definita Damon, cominciò ad avvicinarsi al cespuglio sospetto. Il piano del giovane stava funzionando.
Intanto, Damon con rapidità felina si avventò sulla guardia che era rimasta al suo posto e, con ferocia, si attaccò con i lunghi canini alla carotide dell’uomo che non ebbe nemmeno il tempo di lanciare un urlo.
L’altra guardia si voltò sentendo il rumore di qualcosa sbattere contro un muro, ma non vide niente, o meglio, nessuno. «Ehi!»
Damon se ne stava nascosto nell’ombra proiettata dall’arcata del portone ed un lieve sorriso si fece spazio nel suo volto non appena sentì l’uomo chiamare il collega, avvicinandosi verso la sua direzione. I suoi occhi neri e lucenti sembrarono ingigantirsi, mentre i capelli neri gli ricadevano sul viso. Non appena ci furono pochi passi a separarli, Damon uscì allo scoperto e si avventò alla gola della povera guardia che sobbalzò facendo un passo indietro, ma non ebbe il tempo necessario per darsela a gambe.
Stavolta, però, Damon decise di non uccidere l’uomo, come aveva fatto con l’altro poco prima, ma lo soggiogò, perché il vampiro, aveva altre intenzioni. Damon, infatti, si era recato a Camelot perché aveva saputo della buona nomina che la città possedeva per quanto riguardava la sicurezza e l’unione del popolo, l’interesse benevolo dei sovrani nei confronti dei sudditi e, soprattutto, per quanto riguardava il cibo che era di rado mancare. Su quest’ultimo punto Damon ci sperava fermamente, anche se il cibo che preferiva lui non era di certo una zuppa o un maiale arrosto. «Va’ dal tuo re e digli che qualcosa di terribile minaccia la tranquillità del suo regno. Digli anche che sei stato attaccato, ma che non ricordi cosa l’abbia fatto…forse un animale». Damon teneva l’uomo per le spalle, guardandolo fisso negli occhi. «Digli che siete tutti in pericolo», concluse infine, con un sadico sorriso. L’uomo assentì e Damon lo lasciò andare, così da far recapitare il messaggio al destinatario.
Il giovane si sentiva abbastanza sazio dopo aver prosciugato un’intera guardia ed era euforico per via della situazione in cui aveva deciso, spontaneamente, di cacciarsi. Non essendoci ancora guardie in giro, Damon si avviò all’interno delle mura, nella cittadella costruita ai piedi del castello. Cominciò ad aggirarsi furtivamente nell’oscurità attendendo l’allarme che non tardò ad arrivare. «Ce l’hai fatta, amico», disse Damon soddisfatto. «Bel lavoro».
Improvvisamente, una dopo l’altra, le fievoli luci delle candele nelle case cominciarono ad accendersi. L’oscurità si andava via, via allontanando e Damon non poteva correre il rischio di farsi scoprire, perché avrebbe destato sicuramente qualche sospetto. Velocemente, si infilò in una piccola via che, per fortuna, non era minimamente illuminata e attese lì pensando al successivo passo che avrebbe dovuto compiere.
Per le strade iniziarono ad affollarsi le guardie che, per prima cosa, si recarono all’ingresso principale. Poi, si separarono a gruppi di 4 o 5 persone iniziando a perlustrare la cittadella, entrando nelle case e, ovviamente, uscendo a mani vuote. Il caos stava già venendosi a formare tra la gente che, irrequieta, chiedeva spiegazioni a qualche guardia, ricevendo solo “Non preoccupatevi, non è niente di grave!” come risposta.
«Lo decido io se preoccuparsi o meno», disse Damon tra sé e sé.

***

Intanto, al castello, re Uther sedeva sul proprio trono aspettando di ricevere informazioni dalle sue guardie. Essere svegliato nel cuore della notte lo rendeva più nervoso di quello che era già e sapere che qualcosa o qualcuno minacciava il suo regno mutava il suo nervosismo in irrequietezza.
Le porte della sala in cui si trovava Uther si aprirono e il suo medico di corte gli fu subito accanto. «Sire, dov’è la guardia? Voglio esaminarlo».
«Gaius, cosa credi stia succedendo?», domandò Uther turbato.
«Non lo so Sire, ma ho bisogno di vedere comunque l’uomo», fu l’unica risposta di Gaius.
Uther fece chiamare la guardia che, terribilmente sconvolta, raggiunse il suo re inginocchiandosi ai suoi piedi. «Ripeti cosa ti è capitato», ordinò fermamente il re.
«C-c’è qualcosa di terribile che minaccia il nostro regno. Siamo tutti in pericolo, Sire!».
«Cosa vi hanno fatto?», domandò Gaius incerto.
«Sono stato attaccato», rispose l’uomo.
«Cosa ti ha attaccato?», chiese Gaius, con assoluta calma.
«Non ricordo cosa sia stato…forse un animale».
Gaius non fu soddisfatto da quella vaga risposta, così si avvicinò all’uomo e prese ad osservare il punto in cui era stato attaccato e restò spiazzato dalla sua scoperta.
«Cosa c’è Gaius? Si tratta di stregoneria?», la tipica domanda di re Uther.
«Sire, vedete questo morso?». Uther si avvicinò per controllare la ferita impasticciata di sangue. «Sono due piccoli fori che distano l’uno dall’altro di circa due, tre centimetri».
«E quindi? Cosa intendi con questo?».
«È una distanza che un per un animale è anomala, ma è la stessa distanza tra i canini di un uomo», rispose Gaius.
«Vuoi dire che è stato un uomo ad aggredirlo?», domandò Uther con sorpresa.
«Non posso dirlo per certo, ma anatomicamente sembrerebbe così».
«Può darsi che sia stato un druido…», commentò Uther con un tono turbato e arrabbiato nello stesso tempo.
«Non credo. Perché mai un druido avrebbe dovuto far questo? Ho saputo che l’altro uomo è stato ucciso. Se non vi dispiace vorrei esaminare il cadavere». Gaius era un uomo accuratamente colto, soprattutto in campo medico e…alchemico.
«Certo, fai pure! Lo farò portare nel tuo alloggio», rispose il re distogliendo lo sguardo dall’uomo che, ancora, stava ai suoi piedi. «Tu, intanto, puoi andare. Se ricordi qualcosa in più di ciò che ti è successo non esitare a dirmelo». L’uomo annuì e si precipitò verso l’uscita della sala.
«Se non vi dispiace andrei anche io», disse Gaius inchinandosi rispettosamente al re.
«Si, vai Gaius. Non appena scopri qualcosa corri a darmi notizie».
«Lo farò senz’altro, Sire».

***

«Forza, voi andate da quella parte, mentre noi andiamo da questa! Se vedete qualcosa o qualcuno di sospetto attaccate, ma non uccidetelo». Una voce altezzosa e risoluta rimbombava per strada. La voce di un uomo, un ragazzo forse, che, sicuramente, aveva il diritto e il dovere di dare degli ordini.
Damon si sporse leggermente a guardare chi fosse costui e vide un giovane che, più meno, doveva avere due o tre anni in meno di lui, se faceva un calcolo dal punto di vista “umano”. Un giovane dai capelli biondi come il grano e un paio di occhi azzurri come un cielo estivo, facilmente notabili anche di notte. Reggeva una spada che sembrava essere stata costruita apposta per lui, ed aveva un portamento a dir poco elegante e aggressivo allo stesso tempo.
«Principe Arthur, abbiamo perquisito tutte le case della cittadella, ma non abbiamo trovato niente!». Una guardia era corsa incontro al giovane informandolo della situazione attuale.
Sei il principe! Adesso è tutto chiaro.
Pensò Damon osservando il giovane, ignaro del fatto che, proprio colui che stavano cercando, fosse vicino a loro e che, in quel preciso istante, li stava guardando.
«Allora assicuratevi che non ci sia gente per strada. Dite a tutti di entrare nelle proprie case e che noi saremo qui a proteggerli», concluse Arthur con fermezza.
Damon si mise il cappuccio del mantello nero e rientrando nell’oscurità da cui era lievemente uscito, scomparve all’istante, nel nulla.

***

Il vento soffiava leggero cullando dolcemente le foglie degli alberi della foresta che, in primavera, sembrava essere un luogo incantato ed isolato dal resto del mondo. I versi degli animali echeggiavano liberi in quella natura che elargiva pace e serenità in ogni angolo.
Morgana se ne stava seduta in una piccola radura ricoperta da fiori bianchi. Poco distante c’era un ruscello limpido in cui i pesci nuotavano contro corrente, come se aspettassero di raggiungere un meta trasparente come quell’acqua che scorreva senza sosta.
«Che serenità! Ci passerei tutta la vita qui», Morgana parlava molto spesso da sola e Uther, suo padre, l’aveva rimproverata molte volte, dicendole che simili comportamenti non si addicevano ad una donna del suo rango. Discutevano sempre per queste cose, ma si dibattevano anche per altro.
La ragazza raccolse un fiore da quel prato paradisiaco, lo odorò e se lo mise fra i capelli. Voleva creare una coroncina in realtà, ma alla fine la noia prese il sopravvento e si accontentò di quel semplice gesto.
Morgana guardava la sua immagine riflessa sul ruscello. Vedeva sempre la stessa figura: una ragazza molto bella, così dicevano tutti almeno, dai capelli corvini lunghi fin sotto il seno, con occhi verde smeraldo così profondi da lasciare il segno a chiunque osasse guardarli più del normale, con la pelle chiara e candida da far invidia a tutte le donne del regno. Già, era questa Morgana Pendragon. Lei, però, non voleva essere soltanto una semplice donna figlia di un re. Lei, ogni volta che si vedeva riflessa in uno specchio o, in questo caso, in un ruscello, desiderava vedere qualcosa di più, qualcosa che la caratterizzasse di più del suo aspetto esteriore.
Mentre continuava a pensare a ciò che avrebbe potuto renderla unica, uno strano gracchio arrivò dalla fitta foresta che, adesso, sembrava essersi fatta più profonda e…oscura. Morgana si mise in piedi, scrutando quell’oscurità che sembrava avvicinarsi. «Chi va là?», domandò incerta la giovane.
Improvvisamente un corvo sbucò da quegli alberi e si avventò verso la ragazza che, istintivamente, si fece scudo al volto con le braccia. Per fortuna, il colpo non arrivò.
Morgana abbassò lentamente gli arti, assicurandosi che il corvo non le fosse davanti, pronto a beccarle gli occhi. Si guardò intorno e notò che l’uccello se ne stava appollaiato su di un ramo. Si sentì terribilmente intimorita da quell’animale, ma non perché l’aveva quasi aggredita, bensì per il fatto che se ne stava lì di fronte a fissarla e la fissava come quando un uomo la osservava solitamente, con la stessa bramosia di possederla e con la stessa maliziosità. Un brivido le percorse la pelle, fino a giungere alla colonna vertebrale, che la fece sussultare lievemente.
Morgana cercò un sassolino e glielo lanciò contro, mancandolo di qualche centimetro, ma il corvo non si mosse. Non sembrò per niente impaurito da quel gesto che, di solito, faceva volar via tutti gli uccelli. «Va’ via!». La ragazza gli fece segno con la mano, cercando di cacciarlo, ma niente…era inutile. Quel corvo era di dimensioni anomale rispetto ai suoi simili ed il colore delle sue penne era così lucido da rispecchiare la luce del sole, ed aveva qualche sfumatura più chiara lungo il corpo. «Bene, se non vai tu vorrà dire che andrò via io!». Morgana fece per incamminarsi verso il bosco, quando quel corvo si avventò nuovamente verso di lei e, questa volta, la ragazza sapeva che il colpo sarebbe arrivato.
«Lasciami!», la voce di Morgana echeggiò nella sua stanza come il vento durante le notti di tempesta. La giovane si mise, con uno scatto, seduta sul proprio letto. Aveva avuto un incubo.
«Lady Morgana! State bene? Avete fatto un brutto sogno!». Ginevra, la sua serva, era subito corsa da lei e aveva poggiato una mano nella fronte della Lady. «Avete la fronte che scotta. Vado a prendere una panno e dell’acqua e sono subito da voi». Gwen, come tutti oramai la chiamavano, si allontanò momentaneamente per adempire al suo compito.
Intanto Morgana sentiva il suo cuore battere all’impazzata. Quello non era un semplice incubo, bensì una visione. E si, perché Lady Morgana non era una semplice e bella ragazza come tutti la vedevano. Lei riusciva ad avere visioni sul futuro, nei suoi sogni…o incubi, in questo caso. Ovviamente non lo sapeva nessuno, a parte il medico di corte Gaius, che cercava di alleviare il suo peso preparandole delle medicine fatte apposta per lei, ma che, sfortunatamente, le servivano ben poco.
«Eccomi qui. Scusate se ci ho messo troppo». Gwen era tornata con l’occorrente che le serviva. Aveva inzuppato il panno con l’acqua e l’aveva poggiato con delicatezza nella fronte di Morgana.
«Grazie Gwen». Morgana sorrise dolcemente alla sua serva che, oramai, era divenuta un’amica per lei. «Potresti farmi un favore?».
«Certo, dite pure Milady».
«Va’ a chiamare Gaius e digli che ho avuto un altro dei miei incubi. Lui saprà cosa fare». Morgana prese la mano di Gwen e l’avvicinò a se. «Non farne parola con nessun altro, però». Gwen assentì chinandosi leggermente e si avviò verso la porta della camera.
Morgana si guardò intorno, focalizzandosi su alcune zone della sua stanza che erano completamente oscurate dal buio della notte. Sentì nuovamente lo stesso brivido che le aveva percorso la schiena nella sua visione.
«Cosa mai vorrà dire? Cosa rappresenta quel corvo?». Morgana cominciò a porsi una serie di domande a cui, però, non seppe dare alcuna risposta.

Note d'autore:

Bene. E rieccomi con una nuova fanfiction. E' un pò insolita, lo so, ma è da tanto tempo che desidero scrivere una storia con i miei personaggi preferiti di due mondi diversi.
Non posso ancora aggiungere altro perchè non vorrei togliervi il piacere di fare le vostre supposizoni su questa storia >.<
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto o, quantomeno, vi abbia interessato ed incuriosito anche in minima parte =)
Faccio una premessa a tutti coloro che decideranno di seguire o meno questa mia storia: l'aggiunta dei capitoli non sarà in versione "uno dopo l'altro", perchè purtroppo non riesco a trovare il tempo materiale per mettermi al pc e scrivere =( e poi c'è anche il fattore "ispirazione" che influenza il periodo di pubblicazione -.-"
See you soon ;)

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Durante l’intera notte, per tutta Camelot, un intero esercito di guardie aveva affollato quel luogo quieto. La gente aveva ascoltato il consiglio del principe e si era rifugiata nelle proprie case, attendendo la fine di quella notte che sembrava mai finire. Per fortuna il sole era sorto all’alba, illuminando di luce l’intero castello e tutto ciò che vi stava ai piedi. La brezza del mattino rendeva luccicanti le foglie degli alberi e l’erba sottile che circondava le mura. Un orizzonte apparentemente lontano mostrava un infinito senza inizio, con solo una prospettiva che faceva apparire minuscola ogni cosa che lo circondava.
Damon, però, non vedeva un simile spettacolo da tanto tempo. Già, perché l’essere un vampiro aveva anche molti lati negativi e questo, per Damon, era il peggiore, anzi, forse l’unico che gli faceva odiare la sua natura demoniaca.
Il giovane aveva cercato un posto in cui rifugiarsi durante il giorno e l’aveva trovato, ovviamente. Aveva soggiogato una fanciulla che viveva insieme al padre, che aveva soggiogato pure, facendosi ospitare per tutto il tempo che gli serviva e, non c’erano dubbi, aveva anche fatto una scorpacciata di sangue nutrendosi dai due.
L’uomo, padrone della casa, aveva da poco passato la mezza età, con capelli di un castano scuro aggrovigliati per via della scarsa pulizia, probabilmente. Aveva occhi color nocciola ed una carnagione olivastra con un accenno di barba sul mento. Era un uomo dalla corporatura robusta e un abbigliamento simile a quello di un falegname…forse lo era. Comunque non era, senza ombra di dubbio, uno degli uomini più affascinanti che Damon avesse mai visto. Lo stesso, però, non si poteva dire della giovane figlia. Una ragazza dal corpo esile e minuto. La sua pelle era bianca come la cera ed i capelli biondo cenere erano legati in una treccia lasciata cadere, lenta, sulla spalla sinistra. Doveva somigliare alla madre, perché di suo padre non ne mostrava un evidente accenno se non fosse stato per gli occhi, anch’essi color nocciola che davano a vedere quanto la fanciulla fosse docile ed ingenua.
Damon fu subito compiaciuto quando la ragazza, senza essere stata soggiogata, lo fece entrare nella sua casa senza il ben che minimo scrupolo, bensì con un lieve sorriso che le arrossava candidamente il volto. Una volta entrato il padre gli era quasi saltato addosso, forse per gelosia nei confronti della figlia, ma Damon lo aveva facilmente bloccato e ipnotizzato all’istante.

***

«Allora Gaius, avete scoperto qualcosa?», il giovane mago Merlino, dai capelli castano scuro abbastanza corti e un paio di occhi azzurri tendenti ad un verde acqua, si avvicinò curioso al suo maestro.
«Purtroppo i libri accennano soltanto qualcosa, ma sono tutte teorie assurde», rispose Gaius allontanando con il braccio il ragazzo dalla corporatura esile.
«Se si parla di magia, sapete meglio di me che non esiste niente di assurdo», replicò Merlino invadendo nuovamente lo spazio dell’anziano medico.
«Non riesco a trovare, in nessun libro, qualcosa che riguardi demoni antichi capaci di mutare in animali. Ho trovato solamente vecchi appunti di studiosi che “affermano” di aver visto uno di questi demoni, ma…».
«Perché state cercando qualcosa di simile? Come mai siete finito in un indice in cui ci si riferisce al mutamento di forma? C’entra qualcosa con l’aggressione di stanotte?». Merlino aveva sgranato gli occhi per via dell’euforia che stava leggermente facendo innervosire Gaius, un po’ stanco in quanto non aveva fatto alcuna pausa dopo la visita fatta a Lady Morgana.
«Vedi, Merlino… oggi sono stato chiamato da Gwen per visitare Lady Morgana che ha avuto un’altra delle sue-».
«Previsioni.», azzardò Merlino con cautela.
«Si, esatto. Ovviamente tu devi sempre far finta che non ne sei a conoscenza», lo ammonì Gaius che ottenne un “certo” smorzato dall’allievo. «E mi ha detto di aver visto uno strano corvo che le si avventava contro e, subito dopo, prendeva ad osservarla come se fosse stato una persona, con la stessa intensità nello sguardo».
«E con questo che volete dire? Non capisco», commentò Merlino.
«Lasciami finire Merlino!… ho capito subito che ciò stava a significare qualcosa, così ho cercato in qualche libro, ma tutto quello che sono riuscito a trovare è quello che ti ho spiegato poco fa: demoni capaci di mutare la propria forma,ma, soprattutto, che si cibano di sangue… prevalentemente umano», rispose Gaius con assoluta rigidità ed irrequietezza nella voce.
«Questo potrebbe spiegare i due fori sul collo delle due guardie!».
«Esatto Merlino! Dobbiamo, però, scoprire qualcos’altro, altrimenti non ne ricaveremo niente», aggiunse il medico di corte riprendendo le lenti da lui stesso costruite e poggiandole agli occhi.
«Cosa posso fare?», chiese Merlino.
«MERLINO!». Una voce isterica si andava via, via facendo più forte al di fuori della porta.
«Ecco cosa devi fare», rispose Gaius con un insolito sorriso divertito stampato sul volto.
«Oh no, avevo dimenticato che avrei dovuto lucidargli l’armatura! Adesso mi ucciderà!». Merlino era diventato pallido in viso ed aveva perso qualsiasi espressione.

***

Stare seduta su quel trono alla sinistra del padre metteva Morgana quasi sempre sottopressione. In realtà le piaceva sentirsi una persona importante, ma non le piaceva che qualcuno le stesse addosso, proprio come faceva tutta la gente di fronte a lei.
«Come ben sapete ieri notte due persone sono state attaccate all’interno delle mura di Camelot. Non sappiamo ancora cosa o chi sia stato e farlo, ma, molto probabilmente, potrebbe trattarsi di qualche forma di stregoneria». Uther se ne stava nella sua tipica posizione risoluta, con il mento lievemente all’insù.
Per lui si tratta sempre di stregoneria…lo odio quando fa così!
Morgana non sopportava quella testarda fissazione che suo padre aveva nei confronti della gente capace di usare la magia, della gente con il dono…proprio come lei. Ovviamente Uther questo non lo sapeva, perché Morgana non era così stupida da rivelarlo a colui che odiava la magia più di qualunque altra cosa al mondo. La Lady era convinta che, se Uther l’avesse saputo, sarebbe stata messa al rogo anche lei, pur essendo la figlia, proprio come gli altri.
«Comunque sia sto prendendo provvedimenti su questa assurda faccenda. Ho incaricato mio figlio stesso, il principe Arthur, di cercare il colpevole, insieme ai cavalieri. Vi prometto che tutto finirà presto». Uther aveva deciso di comunicare la situazione al popolo, quindi aveva fatto disporre i troni sopra la grande scalinata del castello. I sudditi cominciarono a fare domande incomprensibili perché, più che altro, erano delle urla indistinte. «Non abbiate paura. Camelot è, e resterà, un luogo sicuro!». Detto questo il re si alzò e si avviò all’interno del castello e Morgana, dopo aver dato un’occhiata al suo popolo, seguì il padre reggendo la sua veste per evitare di inciampare durante “l’inseguimento”.
«Credete di tenerli buoni soltanto con qualche frase rassicurante?». Morgana si fermò di scatto dopo aver pronunciato quelle parole. «Perché pensate sempre che c’entri la magia ogni qualvolta che succede qualcosa a Camelot?».
«Ormai dovresti sapere cosa penso della stregoneria, Morgana. Porta soltanto guai e questo ne è un esempio!», rispose Uther, adirato.
«Ma non ne siete per niente certo! È facile trovare una soluzione, o meglio, delle risposte in tal modo!», replicò Morgana.
«Figlia mia». Uther si avvicinò alla ragazza e poggiò le mani sulle sue spalle. «so che sei una donna giusta, per questo non voglio che ti faccia condizionare da ciò che vedi. Capisco che non sopporti le condanne che emano per gli stregoni, ma sono necessarie per far si che nessuno si faccia incantare dalla malvagità».
«Ma chi vi dice che tutti usano la magia per scopi malvagi?».
«La magia è una terribile condanna per questo mondo. Chiunque la usa è complice della sua distruzione. Adesso non voglio più ritornare su questo punto». Con queste parole Uther lasciò la presa dalle spalle di Morgana e andò via, lasciandola nel bel mezzo del corridoio che si stava facendo buio perché, oramai, la sera era quasi giunta.

***

Arthur era in giro per le strade di Camelot a perlustrare ogni luogo possibile ed immaginabile, nell’attesa che il responsabile si facesse vivo. «Merlino, da quanto tempo siamo qui fuori?».
Merlino lo guardò sbadigliando, «Da tutto il pomeriggio, credo. Adesso è notte».
«Già. Credi si farà vivo?».
«Spero proprio di no», rispose Merlino con un sorriso sarcastico che Arthur interpretò male.
«Sei un idiota vigliacco, Merlino! Non so se hai più paura tu o quest’insetto qua sotto». Arthur indicò il piccolo animale ai piedi del suo servo.
«Vi ringrazio del complimento, Sire». Stavolta il sorriso di Merlino era ironicamente irritato.
«Del tutto voluto», commentò Arthur con un’insolita smorfia.
Arthur e il suo, oramai, amico fidato si incamminarono, sempre con cautela, vicino l’ingresso del castello in cui, la sera prima, era avvenuto l’accaduto così tanto discusso. Come sempre il principe e Merlino si lanciavano le solite frecciatine pungenti che nessuno dei due sapeva spegnere, quando, ad un tratto, sentirono un rumore provenire da dietro le loro spalle. Arthur impugnò velocemente la spada e fece a Merlino l’unico segnale che riusciva a capire: “Chiudi il becco!”. Il giovane principe si avvicinò sul posto dalla quale era giunto il rumore e con un velocissimo scatto si ritrovò dietro il muro e afferrò qualcuno. «Ti ho preso!», disse Arthur soddisfatto. Merlino, intanto, aveva preso la sua spada e si era messo proprio di fronte la persona che il principe aveva bloccato con le braccia che gli aveva stretto attorno al collo. «Su Merlino, togligli il cappuccio». Merlino eseguì l’ordine e non appena fece ciò che Arthur gli aveva ordinato impallidì vedendo il volto della persona che si trovava davanti.
«Ops…», fu l’unica esclamazione del giovane mago.
«Che c’è?», domandò Arthur voltando grezzamente la sua “vittima”. Improvvisamente il suo viso divenne ancora più pallido di quello di Merlino. «M- M-».
« “M-M-“ …brutto imbecille! Lasciami andare! O hai ancora intenzione di tenermi bloccata in questo modo?». Quella voce fece raggelare la pelle di Merlino, mentre Arthur lasciò subito la presa.
«Morgana! Ma tu cosa ci fai fuori, a quest’ora? È pericoloso per te!». Il giovane principe sembrava aver ripreso il suo tono severo, ma era ancora imbarazzato per quella tremenda figura che aveva fatto.
«È vero Milady. Sapete che in giro c’è qualcuno che attacca la gente senza il ben che minimo motivo. Potrebbe succedervi qualcosa», aggiunse Merlino con inconsueta autorevolezza.
«Certo che è pericoloso, soprattutto se ci sono due come voi in giro per Camelot!», replicò Morgana scocciata.
«Avrei potuto farti male. Questo lo sai, vero?». Arthur aveva deposto la sua spada ed aveva incrociato le braccia al petto.
«Questo perché sei un incapace!», rispose Morgana con fermezza.
«Come..?!», il giovane principe fece un profondo respiro. «Torna al castello adesso ed io non dirò niente al re».
«Questa è una minaccia?», chiese Morgana con uno sguardo che mostrava la voglia di sfida nei suoi profondi occhi verde smeraldo.
«No. È un ordine», rispose Arthur con un sorriso malefico che Morgana odiava terribilmente.
Intanto Merlino assisteva divertito alla scena, anche se sapeva che se non fosse intervenuto il più presto possibile sarebbe successo il fini mondo.
«Sentite, io credo che-».
«Chiudi il becco, Merlino!». Due voci altezzose si rivolsero al giovane mago con arroganza. In quel momento Merlino sembrò divenire molto piccolo, proprio come quell’insetto che poco prima Arthur gli aveva mostrato.
«Perché sei in giro a tarda ora?».
«Non sono affari che ti riguardano!», rispose Morgana con una strana scintilla negli occhi.
«Non è che devi incontrarti con qualcuno, di nascosto?». Arthur si era fatto più vicino a Morgana, per guardarla dritto negli occhi. La ragazza arrossì improvvisamente e sia Merlino che Arthur se ne accorsero.
«È così?». Merlino non potè far a meno di domandare, in quanto rimase stupito dalla reazione di Morgana.
«Merlino…!», l’ammonì Arthur. Il giovane mago abbassò il viso, capendo che questi non erano affari suoi.
«Non devo incontrare nessuno. Sono solamente uscita per prendere un po’ d’aria».
«Si, come no. Avresti potuto aprire la finestra della tua camera e prenderla…l’aria.», replicò il principe con una smorfia che fece innervosire ancora di più Morgana.
«Senti Arthur, vuoi lasciarmi in pace? Sei davvero odioso certe volte, lo sai? Bene, vorrà dire che tornerò nella mia stanza, ma se avrò problemi di mancamento d’aria sappi che il responsabile sarai tu in prima persona!». Morgana spinse Arthur con tutta la forza che aveva in quel momento e lo fece sbattere alla parete. «Andate al diavolo! Tutti e due!».
«Stavolta si è proprio arrabbiata…», disse Merlino guardando la figura di Morgana che si allontanava verso il castello. Arthur non rispose, ma un sorriso soddisfatto prese spazio nel suo volto.

***

Stupidi. Credevate davvero che ve l’avrei data vinta?!
Morgana aveva fatto il giro attorno al castello, stavolta attenta a non farsi scoprire da quei due guasta feste o da qualcun altro.
Riuscì a varcare le porte delle mura e si ritrovò fuori Camelot. Non potè far a meno di sospirare sollevata.
Sapeva che ciò che stava facendo poteva essere pericoloso. Sapeva che non era un buon momento per allontanarsi da sola, nel bel mezzo della notte, da Camelot. Sapeva anche, però, che ne aveva un assoluto bisogno. E comunque, Morgana era brava ad usare la spada, quindi non avrebbe avuto problemi a difendersi da qualche male intenzionato o… “dall’allarme vivente” che faceva parlare di sé in quel momento.
La ragazza si incamminò per il bosco, con il chiarore della luna piena che faceva da illuminazione naturale in quell’atmosfera ammaliante e tenebrosa contemporaneamente. Per un attimo Morgana si sentì osservata ed un brivido le percorse il corpo, ma subito dopo scomparve.
Non avere paura Morgana. È il panico che gioca brutti scherzi. Non c’è niente. Niente che tu non possa affrontare!
La giovane continuava ad avanzare nella fitta foresta e la luce della luna si faceva sempre più debole. Arrivò in quella radura che tanto amava e si sedette accanto il ruscello da cui, per via dell’oscurità, non riusciva a scorgere il suo riflesso. Nessuno sapeva di quel posto, perché era fin troppo nascosto, quindi Morgana si sentiva abbastanza al sicuro in quel luogo, perché lo sentiva suo.
Rimase lì, immobile, per circa mezz’ora. Riflettere le faceva bene, perché al castello non riusciva mai a farlo ed era per questo motivo che si sentiva sempre concitata.
Pensò a molte cose in quell’arco di tempo. Pensò a suo padre, Uther, che la teneva al castello come un uccello chiuso in gabbia; pensò al suo “dono” che doveva tenere nascosto a tutti; pensò alla sua solitudine all’interno di quelle mura; pensò ad Arthur che poco prima l’aveva fatta innervosire. Le sarebbe tanto piaciuto trovare qualcuno che la capisse, a parte Gaius. Qualcuno che l’accettasse così com’era e che l’aiutasse nei momenti difficili in cui la solitudine spalancava più facilmente la porta del suo cuore. Non voleva più sentirsi un uccello in gabbia. A proposito di uccelli, Morgana riuscì a notare un corvo sul ramo di un abete non molto distante da lei. In un primo momento non gli diede tanta importanza, ma poi ricordò il suo “incubo”, in cui vi era appunto un corvo come quello ad osservarla e proprio in quella stessa radura.
La ragazza scattò subito in piedi e sentì la sua pelle raggelarsi.
Suvvia, è solo un corvo.
Diceva la sua parte razionale, mentre quella istintiva la incitava a correre via il più veloce possibile. Cosa doveva fare, adesso? Scappare e tornare a piangere silenziosamente in quella gabbia d’oro, oppure restare lì ed affrontare le sue paure? «Vuoi spaventarmi?».
Il corvo rimase lì, a scrutarla con curiosità, inclinando talvolta il capo verso destra o sinistra. La ragazza si avvicinò all’albero in cui l’uccello era appollaiato e si mise a fissarlo a sua volta. Gli occhi scuri del corvo si raddrizzarono su quelli chiari di lei ed un qualcosa di inspiegabile, in quell’istante, avvenne. Il corvo era scomparso. «Bene, ho vinto io».
Morgana si avviò verso gli alberi della foresta, per tornare a casa, quando un’ombra sbucò da dietro un albero. La ragazza fece impulsivamente un passo indietro ed inciampò in un sasso, prendendo una storta e cadendo per terra.
A quel punto l’ombra si avvicinò di più, fino a raggiungere Morgana. Quella figura oscura era, in realtà, un giovane abbastanza alto, con capelli molto scuri, sembravano neri al buio o forse lo erano. La sua pelle sembrava quasi risplendere sotto il candore della luna e i suoi occhi erano neri, ma lucenti come un diamante sotto la luce del sole. Era vestito con abiti scuri, coperti da un mantello nero e sembrava non avere alcuna arma con sé. «State bene?», chiese il giovane. Il suo tono di voce era rassicurante e terribilmente seducente, così tanto da attrarre in modo incondizionato la ragazza che stava ai suoi piedi. «Lasciate che vi aiuti». Avvicinò una mano a Morgana, invitandola ad afferrarla e la ragazza non esitò a farlo, continuando a guardarlo negli occhi.
«Grazie». Morgana si rimise in piedi e si passò una mano lungo l’abito che, sicuramente, si era sporcato d’erba.
«Cosa ci fate da sola nella foresta, a quest’ora? Lo sapete che potrebbe esserci qualche mascalzone in giro?», il ragazzo assunse un tono di voce calmo, ma quasi da rimprovero.
«Avevo bisogno d’aria», rispose Morgana utilizzando la stessa spiegazione che aveva dato ad Arthur.
«Capisco…comunque, il mio nome è Damon. Damon Salvatore».
«Io sono…be’, sono Lady Morgana». Il giovane prese la mano di Morgana e la baciò sulla parte dorsale, con delicatezza.
La visione di quella bellissima ragazza fece venire a Damon un appetito insolito, così decise che era ora di “cenare”. Si avvicinò lentamente alla giovane e prese a fissarla negli occhi, per tentare di soggiogarla. «Avrei un po’ di fame, che voi avete stuzzicato ancora di più. Avete un odore delizioso. Adesso vi farò mia». Con un lieve movimento il vampiro avvicinò il suo viso a quello di Morgana, ma la ragazza gli diede uno schiaffo che lo prese completamente alla sprovvista. «Ma che…?».
«Cosa avete intenzione di fare? Credete di potervi approfittare di me soltanto perché mi avete trovata da sola nel bosco? Vi sbagliate!». Morgana si allontanò dallo sconosciuto e prese il pugnale che le aveva regalato Arthur, che nascondeva nel cinturino di cuoio attaccato al mantello rosso.
Non sono riuscito a soggiogarla. Com’è possibile?
«Che cosa siete, voi?», domandò Damon avvicinandosi nuovamente alla ragazza.
«Non avvicinatevi!».
«Non siete un’umana qualsiasi. L’ho percepito anche dall’odore diverso del vostro sangue. Che cosa siete, in realtà?».
«Non capisco di cosa state parlando. Io sono la figlia di re Uther e se verrà a sapere che mi è capitato qualcosa vi cercherà e vi troverà e a quel punto non ci sarà alcuna grazia per voi!», lo minacciò Morgana nel tentativo di prendere del tempo.
Damon guardò la giovane donna, sorpreso.
«Quindi siete la figlia del re…molto bene, ancora meglio. A quanto pare ciò che è successo ieri non vi ha spaventato». Damon sorrise cinicamente alla ragazza che gli stava di fronte. Voleva farla spaventare, ma la giovane sembrava non voler cedere.
«Siete stato voi ad attaccare le guardie di Camelot?», chiese Morgana conoscendo già la risposta. Damon annuì, continuando a sorridere con quel movimento quasi impercettibile delle labbra. «Siete ricercato, sapete? Non vi conviene accrescere la rabbia di Uther commettendo un’altra stupida azione».
«Mi piace cacciarmi nei guai. È per questo motivo che sono venuto a cercarli e…voi siete perfetta per farmeli trovare». Damon si avvicinò di un altro passo a Morgana. Adesso la distanza tra di loro era soltanto di un misero passo che Damon tagliò subito. Morgana si ritrovò quel viso, quegli occhi vicinissimi ai suoi e non riuscì a spostarsi verso dietro perché, senza accorgersene, aveva raggiunto il tronco di un albero che la bloccava da dietro. «Adesso direi che siete in trappola». Il giovane cominciò ad inclinare la testa con un movimento che Morgana trovò familiare.
Il corvo! Ma è mai possibile?
«Ma voi cosa siete?».
«È la stessa domanda che vi ho fatto io poco fa. Voi rispondete alla mia, mentre io risponderò alla vostra…se ne avrò voglia». A questo punto il giovane bloccò Morgana tra il ramo e il proprio corpo e l’ultima cosa che vide la ragazza prima di chiudere gli occhi fu un corvo volare via.

Note d'autore:

Salve! Questo è il secondo capitolo di una storia che spero abbia un senso per voi lettori >.<
Mi auguro che vi sia piaciuto e che continuerete a seguirla, sperando di sorprendervi sempre di più :)
Non ho molto da dire, quindi ringrazio coloro che hanno avuto il tempo di leggere questa mia invenzione e spero, almeno, di avervi fatto passare del tempo in modo piacevole!
Ringrazio meiousetsuna per averla inserita tra le ricordate e per aver recensito il capitolo precedente! Spero ti piaccia anche questo ;)
See u soon!

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