Come il Serpente ed Adamo

di Lavi Bookman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Veleno ***
Capitolo 2: *** Bloodstream ***
Capitolo 3: *** "E l'assenza di un insieme, è il vuoto" ***
Capitolo 4: *** Adamo's Anthem ***
Capitolo 5: *** "A forza di ferirci siamo diventati consanguinei" ***
Capitolo 6: *** E solo in seconda sede la realtà mi circonda. ***
Capitolo 7: *** Remember, I always love you. ***
Capitolo 8: *** Broken Hymns ***
Capitolo 9: *** Quello che non c'è ***
Capitolo 10: *** "Heaven help me, I need to make it right." ***
Capitolo 11: *** Dio, Eva, Adamo ***
Capitolo 12: *** Quell'8 rovesciato ***
Capitolo 13: *** Live, that's all you can ***
Capitolo 14: *** Personaggi ***
Capitolo 15: *** So far away ***
Capitolo 16: *** Late Goodbye ***
Capitolo 17: *** Questo, fu il mio amore ***



Capitolo 1
*** Veleno ***


Faceva abbastanza caldo quel giorno. Non il caldo afoso che rende difficili anche i movimenti più semplici, non quel caldo torrido da sopprimerti le parole in gola, era un caldo semplice, accettabile per essere a fine settembre.
Frugò brevemente in tasca alla ricerca delle chiavi di casa sino a trovarle. Le rigirò nella toppa con fare automatico ed aprì la porta. Sapeva cosa avrebbe trovato al suo interno. Era sempre così, una di quelle abitudini che non cambiano neanche a pagarle, neanche a chiedere in ginocchio che vengano dimenticate e taciute... E lui sapeva che, nonostante tutto, l'avrebbe ritrovata in casa, sul divano davanti alla televisione. Sbuffò leggermente assaporando il profumo di mandorle e vaniglia del suo shampoo.
Provò il desiderio di uscire scappando, nuovamente, ma probabilmente ciò non l'avrebbe allontanata. Probabilmente sarebbe solo riuscito a rendersi ancora più impotente difronte alla spiazzante semplicità di lei.
La amava, certo, ma probabilmente non come lei sperava. Avrebbe voluto, e preferito, amarla sinceramente, senza nessun compromesso, senza nessun presentimento che Dio potesse metter parola a riguardo di ciò che facevano. Non aveva mai creduto in Dio, o quanto meno non aveva mai pensato che potesse interessarsi a lui, ma da quando era diventato parte di un 'loro' con la persona sbagliata, aveva cominciato a pensare che, forse, attirava maggiormente l'attenzione anche ai piani alti.
- Mel, che scusa hai inventato questa volta? - chiese con voce stanca togliendosi la giacca.
La ragazza comparve da dietro il muro che divideva il salotto dall'ingresso, sorridendo.
- Oggi sono da una mia amica a consolarla perchè il suo ragazzo l'ha lasciata! -
- Prima o poi se ne accorgerà, lo sai anche tu... -
Gli si avvicinò, protendendo le braccia e avvinghiandole al suo collo abbracciandolo. Ed in quell'abbraccio c'era più intimità che in qualsiasi altro gesto. C'erano la sua disperazione, il suo dolore, la sua innocenza mal celata e la sua stupidità, tanta tanta stupidità.
- Non ha importanza... - disse stringendosi maggiormente a lui, sperando che ricambiasse l'abbraccio, ma, come era ovvio, non lo fece.
- Ha importanza se ogni volta inventi scuse su scuse per andare avanti, non credi? -
- Ma che cazzo ti prende oggi? Le altre volte stavi più zitto -
- Non ho niente - disse sciogliendosi velocemente dall'abbraccio ed allontanandosi in cucina. Sapeva benissimo il genere di espressione che aveva in volto lei, e sapeva altrettanto bene che non sarebbe bastata una risposta seccata a farla desistere.
- Niisan, che cos'hai? -
La voce della ragazza apparve più innocua di quello che in realtà era, e il sorriso sul suo volto aveva lasciato spazio ad una preoccupazione sciocca, inutile. La risposta l'aveva avuta mille volte, eppure non era mai riuscita ad imprimersela nella mente.
- Dannazione, non chiamarmi 'niisan'! Sai benissimo che non basta chiamarmi così in giapponese per cambiare le cose! Tu sei mia sorella, cazzo, ficcatelo in testa. Ecco cos'ho, sono stanco di te! -
- Non è vero. -
- Tu cosa ne sai, eh? Vieni qui e ti aggrappi a me come se io fossi il tuo ragazzo, come se io potessi rappresentare davvero per te qualcosa al di sopra del fratello maggiore.  Io non posso, capisci? E tu non puoi obbligarmi ad esserlo, non puoi... -
Si avvicinò a lui, fissandolo e vedendo la rabbia che gli distruggeva gl'occhi. Sorrise. Era ciò che meglio le riusciva: sorridere. Glielo aveva insegnato lui: sorridi, sempre. Lo trovava difficile, doverlo fare anche quando in realtà aveva voglia di tirare pugni al muro, e quello era uno di quei momenti.
- Vuoi che me ne vada? -
Bastarono quelle parole per farlo scattare. La prese per le spalle, spingendola contro il muro e poggiò la fronte contro la sua clavicola.
Rimasero immobili per qualche secondo, qualche interminabile secondo. Alla fine, lo abbracciò ancora. Gli accarezzò i capelli, dolcemente.
- Se vuoi che me ne vada, dillo... -
- Voglio che te ne vada -
- Allora spostati, per favore – e provò a premere sul petto del fratello, invitandolo ad alzarsi da lei – sei un dannato stupido, cazzo. Stupido, stupido, stupido! –.
- Lo so... -
Passò circa un minuto perchè si decidesse a lasciarla andare, ad allontanarsi da quel corpo che in realtà avrebbe vuoluto avere ancora e ancora. Perchè, infondo, lui non voleva lei. Non voleva l'amore che sarebbe stata disposta a dargli, quello era troppo da accettare senza condizioni e compromessi da elaborare.

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Capitolo 2
*** Bloodstream ***


I think I might have inhaled you
I could feel you behind my eyes
You've gotten into my bloodstream
I could feel you floating in me

[ Bloodstream - Stateless ]

 


- Quando vorrai qualcosa in più, da me, io ci sarò – disse lei all'improvviso, continuando a sorridergli, ma non con gli occhi.
- Non posso volere di più da te, Mel. Torna da Andrè. -
Sembrò pensarci davvero, per qualche secondo, per poi concludere con una leggera scrollata di spalle, come se avesse messo il punto ad un concetto che aveva appena pensato.
- Give me a kiss before you...
- e si alzò in punta di piedi, avvicinandosi a lui maggiormente - ... Tell me goodbye – e lo baciò sulle labbra senza pretese, saggiandone la consistenza e la morbidezza.
Ricambiò al bacio, più per automatismo che per altro. Ormai la bocca di lei era
casa, nonostante non lo tollerasse. Il suo profumo era casa, così come le coperte mai a posto sopra il letto.
Era casa la sua capacità di sdramatizzare, la sua genuina ingenuità nel chiedergli '
mi ami?', e l'insistente pretesa di essere voluta. Lei era ciò che più si avvicinava ad essere l'unico appiglio sicuro della sua esistenza, lei che la sua esistenza l'aveva presa e accartocciata per poi soddisfare le proprie voglie. E la odiava. Dio, la odiava da morire. Lei l'aveva portato a quella che è considerata 'perdizione'. Era stato indotto. Tempo prima aveva letto su un libro di diritto che “il contratto può essere annullato, e l'annullabilità è prevista se uno dei contraenti è incapace o sottoposto a vizi di volontà, quali “dolo” “errore” e “violenza”. Il dolo vi è quando uno dei contraenti accetta la stipulazione di un contratto, che in altro momento non avrebbe mai firmato, poichè indotto con a inganni e raggiri”, e cos'era quella relazione se non un contratto annullabile per dolo? Lei lo aveva raggirato, e la stipulazione del contratto non era stata altro che il primo bacio. L'oggetto del contratto poi era il sesso. Anche l'amore forse, ma principalmente il sesso. Ricordava inoltre che, sempre come riportava il libro “l'invalidità del contratto tramite l'annullabilità non solo non rende possibile il protrarsi degli effetti eventualmente posti in atto dalla sua stipulazione, ma grazie al principio della retroattività dell'annullabilità, tutti gli effetti precedenti alla sentenza del tribunale sono cancellabili”, voleva forse dire che annullando, eliminando, distruggendo, atterrando il rapporto con Mel, Dio l'avrebbe perdonato?

Non si era neanche accorto di essersi staccato dalle labbra di lei quandò tentò di biascicare qualcosa riguardo all'idea appena avuta. Avrebbe voluto urlarle tutta la sua frustrazione, farle capire quanto velenosa poteva essere per lui. Avrebbe voluto prenderla per le braccia e squoterla tanto da farla tremare dall'interno.
Avrebbe voluto. E invece si limito a fissarla, scrutandone i lineamenti e provando ad immaginare l'odio che da se refluiva in lei, spiazzandola, uccidendola. Lasciandola sconcertata come un cervo spuntato in mezzo alla strada ed accecato dagli abbaglianti di una macchina.
Fallo, urla”, continuava a consigliare la sua coscienza, ed invece tutta la sicurezza non trovava parole per uscire. Sicurezza insicura.
Ossimoro.
- Tu pensi troppo, lo sai? - disse Mel risvegliandolo dai propri pensieri.
- Mi è stato detto, sì – rispose girandosi nuovamente verso la cucina e tutto gli sembrò un po' più semplice. La stanza improvvisamente non si limitava più a lei, e ringrazio se stesso per aver tenuto aperta la finestra prima di uscire di casa: l'aria era diventata irrespirabile, o forse era semplicemente la sua angoscia che si mostrava in tutta la sua asfissiante presenza.

 

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Capitolo 3
*** "E l'assenza di un insieme, è il vuoto" ***


Rimasero in silenzio per un lasso di tempo interminabile. Un minuto, due minuti, mezz'ora? Non lo sapeva, guardare l'orologio nell'attesa sarebbe sembrato esageratamente...“qualcosa”. Non sapeva cosa, ma di sicuro sarebbe stato troppo. Avrebbe mostrato la propria insicurezza davanti a sua sorella, e segnare sul tabellone 1-0 per lei, non lo esaltava troppo.
Per quanto ancora sarebbe riuscito a resistere? Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che quella relazione lo consumasse dall'interno, lacerandogli gli organi una volta finito con l'anima?
Quando era iniziata quella tortura era sicuro di poter smettere in qualsiasi momento. Era sicuro che fosse tutto semplicemente un gioco, sadico e perverso, ma pur sempre un gioco.
Ed ora era come un
droga, con quel viso dai lineamenti angelici, dalla pelle liscia e perfetta, dai capelli scuri che alternandosi tra ciocche ricce e mosse, le ricadevano sulle spalle e lungo la schiena quasi a volerne esaltare la figura minuta in un modo a lui sconosciuto. Il solco tra i suoi seni, la lunga cicatrice ormai sbiadita che da sotto il suo seno riconduceva al basso ventre che più e più volte aveva seguito con le dita, premendo leggermente con i polpastrelli sulla sua carne, arrossando la parte in netto contrasto con la carnagione diafana. Gli occhi neri che non richiedevano l'applicazione di alcun tipo di trucco e la bocca evidenziata da un leggero tocco di burro cacao alla fragola – come diceva lei, voleva sentirne il profumo per quei pochi minuti che riusciva a tenerlo senza leccarselo via.
Si sentiva un
drogato, incapace di reagire e di pensare. E anche pensando, non sarebbe riuscito a cambiare la situazione, ma solamente a ribadire quanto la odiasse. Forse avrebbe formulato piani di azione, parole da dirle, concetti da esporle. Sarebbe addirittura riuscito a immaginarsi una possibile conversazione con lei, riuscendo a trovare il modo di smontarle ogni convinzione, aggiudicandosi così la vittoria, ma già sapeva che Mel non avrebbe ascoltato. Non lo faceva mai. Capiva ciò che voleva, convincendo gli altri a cambiare la propria idea.
Poggiò le mani al lavandino di fronte a se, resistendo alla voglia e alla necessità di squotere il capo e battere i pugni.
- Dovresti dormire un po'... -
- Sì, sono d'accordo. Dovrei dormire nel mio letto, nella mia camera, in casa mia, con la mia tranquillità. E se proprio dovessi dormire con qualcuno, sarebbe un qualcuno scelto da me senza alcun tipo di grado di parentela – disse, parlando così in fretta da non essere neanche sicuro di aver realmente aperto bocca.
E lei incassò il colpo, leccandosi le labbra come se l'udire quelle parole le avesse lasciato una sensazione amara e sgradevole in bocca, seccandole le labbra.
- Sei cattivo, ma ti amo lo stesso... -
- Nessuno te lo ha chiesto Mel, nessuno. Se tu smettessi
ora di amarmi, di girarmi sempre intorno e mi lasciassi andare... -
- Tu verresti a cercarmi, lo sai – intervenne prima che potesse finire la frase, accogliendo in sè una serietà che non le apparteneva. Non doveva appartenerle. Non sarebbe dovuta neanche esistere sul volto di una ventenne – lo sai che hai bisogno di me. Lo sai. Lo neghi, mi rifiuti, mi vorresti sputare addosso la tua rabbia -e lo fai-, e vorresti abbandonarmi a me stessa, magari convincendoti che ne soffrirei – e lo fissò con una freddezza tale che gli occhi diventarono improvvisamente due semplici pozze d'acqua nera, senza alcun fondo – ma tu, senza di me, saresti l'equivalente del nulla. Io sono diventata il tuo tutto,
e l'assenza di un insieme, è il vuoto. -.
- Tu non sei il mio tutto, non crederlo neanche per scherzo. Sei mia sorella, e ti voglio bene, ma non ti amo e non ti voglio. Non come intendi tu, quanto meno ... -
- L'altro ieri non mi sembravi di questo avviso. -
- Ogni volta che ti vedo è una coltellata allo stomaco perchè sò cosa vuoi – disse sollevando lo sguardo, immergendosi in quello di lei.
- Chi ti assicura che io sia qui per il sesso? Le sorelle vanno a trovare i fratelli. Io sono qui, non faccio nulla. Acconsento a ciò che tu vuoi fare. Io non istigo, agisco solo alla fine, quando ormai tu hai già decretato come finirà... -
Adamo, si era sentito così? Fottuto da Eva e dal serpente?
Trattenne lo sguardo un attimo di troppo perchè lei potesse leggervi confusione e stanchezza, e rendendosene conto abbracciò l'idea di lasciar perdere.
Non voleva combattere ancora, sopratutto se non aveva argomentazioni adatte a ribattere.

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Capitolo 4
*** Adamo's Anthem ***


- Teo, devo parlarti... -
Con quelle tre parole il mondo aveva cominciato a crollare. Piano piano, lentamente. Ogni cosa aveva perso stabilità, ed era piombata in uno spazio simile al petrolio: scuro e viscido.
Poteva leggere la sofferenza negli occhi della zia, e la paura. Dentro di sè sapeva cosa voleva dirgli e non era affatto certo di voler ascoltare.
Rimase in silenzio, trovando inutile chiedere "cosa?" e si limitò a fissare la donna distrutta che aveva davanti.
- La tua mamma e il tuo papà sono morti, Teo... Hanno... Hanno fatto un... -
Le era così difficile dire "sono morti"? Era più straziante quella scena che la notizia che voleva dargli. Non spostò lo sguardo e non pianse, non corrugò la fronte, e non andò a nascondersi come avrebbe dovuto fare un bambino di otto anni; perchè a quell'età la morte non la si accetta, non la si capisce, e le si sfugge rintanandosi sotto il piumone del letto.
Il dolore non trovò strada sul suo volto, neanche nei mesi a seguire, e forse fu questo a convincere gli adulti a mandarlo da uno psicologo specializzato. Un tizio alto e calvo, di corporatura tanto grande da farlo sembrare più un ottimo buttafuori vestito a festa. Volevano che piangesse, che urlasse. Lo psicologo stesso alla centesima visita diede segno di resa chiedendogli "ma tu puoi soffrire?" con voce esausta. Lui lo considerò come un punto a suo favore. Chissà da quanto quell'omone si teneva dentro la fatidica domanda, finalmente era riuscito a spazientirlo abbastanza da fargliela dire a voce alta.
Soffriva? Dio, sì. Aveva tutti i ricordi della madre stampati in mente, e portava in tasca la catanina del padre. Quando cambiava pantaloni, la spostava nel paio nuovo. Avrebbe voluto indossarla al collo, avrebbe voluto scrivere una lettera alla madre in Paradiso -come aveva consigliato lo psicologo- e avrebbe voluto piangere e buttare tutto in aria... Ma a quel punto, chi avrebbe insegnato a Mel a sorridere?
Se avesse indossato la catenina lei l'avrebbe riconosciuta, e avrebbe chiesto ancora del padre. Se avesse scritto una lettera alla madre, e lei l'avesse trovata? Se avesse pianto e distrutto ogni cosa, come sarebbe potuto essere valido lo sforzo che stava facendo per lei? Per lei, solo per lei. Ogni giorno si alzava dal letto per prepararle la colazione e la merenda. Le comprava sempre un gioco quando poteva permetterselo, e se qualcuno di sconosciuto la avvicinava lui si metteva tra loro squadrando il mal capitato dall'alto in basso. Non doveva sentire la mancanza dei loro genitori. Lei meritava di vivere felice.
La notte andava a dormire tardi per stendersi a letto con lei ed accarezzarle il capo sino a farla addormentare. Il primo mese dopo l'incidente non aveva mai dormito per poter accudire la sorella durante i lunghi ed estenuanti pianti.
Ma i grandi non capivano. Loro non potevano capire o quanto meno non potevano proteggerli. Coccolavano Mel, e la amavano, ma poi era suo il compito di asciugarle le lacrime.
Col senno di poi, avrebbe pianto. Sarebbe salito all'ultimo piano del condominio e avrebbe urlato con tutta la forza, la rabbia e la disperazione di cui disponeva. Mel l'avrebbe raggiunto in lacrime cercando di farlo scendere dal cornicione, pregandolo e promettendogli l'anima. Non avrebbe cercato di distruggere tutto ciò che aveva intorno, ma bensì se stesso. Da quel cornicione scese solo fisicamente, ma rimase ancorato al suo male, che quel pezzo di mattoni ben rappresentava.
Cominciò a bere cercando nell'alcol la risposta. Lo infastidiva essere così fragile, così stupido e così bastardo da pensare più a se stesso che a quella -ormai- ragazza che ogni giorno era costretta a trovare nel sacchetto dell'immondizia almeno una bottiglia di whisky o rum.
Non gli diceva nulla. Lo guardava bere. Si sedeva di fronte a lui quando lo trovava con la bottiglia in mano, e lo fissava.
Gli dava fastidio. Non doveva farsi vedere così da lei. E alla fine, le moriva tra le braccia, lasciando che gli accarezzasse i capelli, sussurrando al suo orecchio quanto lo amasse. Come poteva amarlo in quelle condizoni, questo per lui era sempre stato un mistero, ma non aveva mai la forza necessaria a ribattere.
Un giorno la baciò. Il loro primo bacio sappe di alcol e sangue. Di violenza, bisogno e dolore. Era puro rammarico misto a stanchezza.
Mel era sempre lì, seduta sulla poltrona davanti al divano e lo fissava. Lui si alzò di scatto gettando la vodka a terra, prendendola per le spalle e costringendola a baciarlo. La buttò sul pavimento mettendosi a cavalcioni sopra il suo corpo, e commise l'errore di guardarla negli occhi.
Un aguzzino non deve mai guardare la vittima in volto.
Lei lo amava. In quel momento, lei lo amava lo stesso.
La sera stessa buttò tutto l'alcol presente in casa, chiamò la zia e avvertì l'imminente arrivo della sorella a casa sua. Chiusa la telefonata chiamo un taxi ed andò a farle le valige.
A nulla valsero le sue proteste e lamentele.
Passò un anno prima che andasse a riprenderla.
Il campanello di casa riportava ancora il cognome dell'ex marito di sua zia nonostante si fossero separati già da due anni. Suonò e riconobbe subito la voce della sorella quando rispose.
- Ti riporto a casa. -
Calò il silenzio intervallato solo da alcuni singhiozzi e dal rumore del citofono riattaccato. L'attimo seguente la porta della grande villa si aprì e ne uscì lei. Era poco più alta dell'ultima volta -ma comunque bassa-, e i capelli erano più lunghi, portati in una coda di cavallo che le raggiungeva il bacino.
La abbracciò e Dio solo sa quanto le era mancata.
Sino a quel momento non si era accorto di quanto potesse essere indispensabile il profumo della sua pelle.

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Capitolo 5
*** "A forza di ferirci siamo diventati consanguinei" ***


Si aggirava per la casa senza motivo. O comunque, senza un motivo reale. Continuava a spostare gli oggetti come se le posizioni che avevano precedentemente non fossero soddisfacenti, e poi li rimetteva meticolosamente al loro posto.
Andò avanti così per un'ora. Era diverso, questa volta. Aveva superato il limite di sopportazione ed era sicuro che tornare indietro fosse pressochè impossibile. Ormai la casa intera aveva il suo profumo e non vi era angolo che non gliela ricordasse. Nonostante quella fosse solo casa sua ormai sembrava la casa di entrambi e la cosa lo irritava -distruggeva-.
S'avviò verso il salotto a passo spedito con la ferrea intenzione di mandarla via. Questa volta ce l'avrebbe fatta, non come due ore prima.
Aprì la porta e si avvicinò al divano dove era stesa e per un attimo il respirò gli si bloccò.
"Devo solo dirle di andarsene, non è difficile", e ripeterlo a se stesso sembrava l'unica soluzione -inutile-.
- Mel? -
Silenzio.
- Senti, è inutile che fingi di non sentirmi, devo parlarti. -
Si avvicinò alla sorella e la scosse leggermente ad una spalla. Dormiva. Lei, ovviamente, riusciva a dormire. Lui era agitato e nervoso, e lei dormiva.
Si sistemò davanti a lei per svegliarla e non riuscì a non pensare a quanto sembrasse beata in quel momento... A quanto potesse somigliare ad un angelo, più che in qualsiasi altro contesto e momento. Le accarezzò il volto con i polpastrelli e avvertì il calore della sua pelle. Percepiva il suo respiro e il suo alito da quanto le si era avvicinato, e rendendosene conto si tirò indietro togliendo velocemente la mano come se si fosse scottato.
Ranicchiata lì, su quel minuscolo divano, sembrava una bambola di porcellana riposta male e decise di prenderla in braccio per portarla a letto, ma al solo tentativo di alzarle il capo si ritrovò il suo sguardo addosso.
- Volevo portarti a letto, qui sarai scomoda. - Lasciò la presa dandole modo di alzarsi a sedere con fare meccanico.
- Sì... Scusa, non volevo addormentarmi, ma ero troppo stanca... -
- Non è un problema... - "diglielo, diglielo, diglielo!"
Mel si piegò poco in avanti, sporgendosi verso di lui, e lo abbracciò come una bambina, aggrappandosi a lui con tutta se stessa. E lui ricambiò, con il bisogno estenuante di entrare nel suo corpo e non doverne più uscire.
Era amaro. Se quell'abbraccio avesse potuto avere un gusto, sarebbe stato sicuramente amaro. E insufficiente per accettare le proprie perdite -morali e psicologiche-.
- Se io... -
- Cosa? -
- Se non fossi tua sorella, mi ameresti? -
Arrestò il respiro per un secondo, giusto il tempo di decidere se voleva realmente affrontare quella discussione. Era così difficile convincerla a lasciar perdere, così doloroso farle comprendere che era impossibile tutto ciò, che non aveva alcun senso e che, seppur tutto fosse andato per il meglio, loro sarebbero stati destinati a non potersi avere.
Non era uno che credeva nei lieto fine, nè tanto meno uno che rimaneva ore fermo a pensare a come andare avanti. Affrontava i problemi e, per così dire, il gioco era fatto. Eppure in una situazione simile si sentiva costretto da se stesso a non barattare la propria voglia di libertà e normalità con i sentimenti di sua sorella. Lei era più importante di tutto il resto, e probabilmente anche del giusto
e sbagliato.
- Tu fai sempre domande seccanti, eh? -
- E tu le eviti con una certa maestria solitamente...-
- Non ti amerei, no. -
E per un attimo, solo per un attimo, ebbe libero accesso al dolore di sua sorella solamente guardandola negli occhi.
Fu uno di quei momenti che nolente o velente, un buon osservatore sa cogliere. Quel dolore così palpabile era sfuggito il secondo dopo, come se in realtà fosse superficiale e non meritasse attenzione.
Lei gli sorrise, inclinando il capo di lato e lasciando che i capelli le cadessero leggermente sulla spalla e scrollò le spalle come se volesse togliersi un peso.
- Lo dici per farmi desistere. - Era una frase che non lasciava spazio a compromessi, era così e basta. E più lui la guardava, più trovava complicato ideare altre risposte, altre motivazioni, altre
scuse.
La scrutò in volto, soffermandosi sulle labbra e sulla loro leggera inclinazione verso l'alto.
- Perchè sorridi, Mel? -
- “
Sorridi, sempre”, me lo hai detto tu... -
- Io ti dico tante cose, eppure quasi mai mi dai retta -
Mel lo fissò come se dovesse ragionare sulla risposta, ma solo per formulare ciò che lei sapeva in un pensiero capibile.
- Nessuna delle altre cose ti ha quasi ucciso... -
Il suo sguardo s'irrigidì e girò il capo per evitare il suo sguardo. Lei non poteva dimenticare, eppure avrebbe voluto lo facesse. Avrebbe voluto che il periodo al quale risaliva quella frase le sembrasse solo un incubo, che l'essere orfani e l'essere soli non le tornasse più alla mente. Impossibile, ne era cosciente, eppure non sopportava ciò che lei ricordava.
O forse, semplicemente, ogni ricordo era la conferma che ciò che lui era diventato in seguito era reale.
- Ti amo,
niisan. -
- Smettila, e vattene. Credo sia ora di tornare a casa – e detto ciò fece per alzarsi ed incamminarsi verso le scale per andare nella stanza da letto, ma la ragazza lo anticipò piazzandosi davanti a lui, con gl'occhi lucidi ed urlando “questa è casa, non un'altra, TU sei casa” con la voce strozzata dal pianto imminente. E in quel momento desiderò abbracciarla nuovamente, e fermare il pianto sul nascere, ma si obbligò a restare immobile fissandola con indifferenza. Doveva riuscire a proteggerla. Non doveva rovinarla, e se l'avesse stretta, sarebbe stato tutto più difficile. Dirle addio, avrebbe ucciso entrambi, sì.
E lei continuava ad urlare e gridare. E a piangere. E a chiedere perdono per essere una
stupida. E più piangeva e più le parole le uscivano a raffica, senza neanche lasciar spazio a ragionamenti sensati. Gesticolava come se cercasse di trattenersi dal tirare pugni al muro, e dava la colpa prima a se stessa, poi a lui e poi al mondo e poi ancora a se stessa.

Ti voglio, ti voglio, ti voglio...
Adamo era ceduto, mangiando la mela offerta da Eva.
Lui amava più Dio o sua sorella?


(Regola ^5: e, Dio, ti prego, se provi qualcosa, stai zitta.)






Spazio Autrice:

Il titolo è una citazione da una canzone m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-a delle Luci della Centrale Elettrica, Guerra Fredda.

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Capitolo 6
*** E solo in seconda sede la realtà mi circonda. ***


Don't resent me
And when you're feeling empty
Keep me in your memory...
Leave out all the rest,
Leave out all the rest.-

Poteva farcela. Sì, o almeno questo si ripeteva da tanto tempo. Troppo. Giorni?, Mesi?.
E lei non c'era. E sentiva l'ansia salire, e la paura, e la frustrazione, e il pentimento, e il terrore e nuovamente la paura. Stava lì ore, con i gomiti puntati sul tavolo e il culo sulla sedia, senza alcuna possibilità di muoversi. Con la semplice sensazione di mancanza.
Descriveva a se stesso quello stato d'animo come "la giusta punizione" ed intanto si fustigava immaginandola ovunque girasse il capo. E forse era per quello che non distoglieva l'attenzione dal muro. Nonostante il sonno, nonostante gli occhi r ossi, nonostante la voglia di bere.
Stava lì, immobile come una statua, aspettando il momento esatto. Quello che lo avrebbe portato alla redenzione e che non lo avrebbe trascinato definitivamente nell'oblio. E aspettava sua sorella, perchè sperava che lei tornasse, egoisticamente. Ma passavano le ore, i giorni, le settimane, e lei non varcava la soglia di casa urlando frasi di canzoni a casaccio giusto per farsi sentire. Non tornava, e non chiamava.
Lui l'aveva abbandonata, mandandola dalla zia. Perchè mai avrebbe dovuto pensare ad un suo ritorno? Non aveva senso. L'aveva mandata via per un motivo, ed ora si sentiva morire lentamente.
Lanciò un'occhiata all'orologio sopra la sua testa e rilasciò cadere il capo a penzoloni.
Lei, l'aveva rovinato. Lei e solo lei.
Non era vero, però era un ottimo modo per non sentirsi in colpa.
E l'ansia tornava, ed ecco dietro l'angolo l'attacco di panico. Ma lui sapeva controllarlo. Lo sapeva fare, lo poteva fare. E cominciava a respirare più lentamente, senza sforzarsi. Ed ecco che defluiva lentamente dal suo corpo.
Defluiva-dolcemente-via-da-se.

Lei non aveva mai amato scrivere. Odiava i ragazzi della sua età che amavano definirsi "scrittori" dopo neanche tre pagine postate su un qualche sito per "giovani autori". Li odiava. Cosa avevano da scrivere? Cosa poteva esserci di così straordinario nelle loro vite da poter essere dedicato al mondo? Oppure, come potevano inventarsi tutte quelle cazzate senza neanche preoccuparsi di imparare la grammatica?
Lasciava la scrittura agli scrittori. Ma leggeva, Dio solo sa quanto leggeva. Ma non amava dire neanche questo. In linea teorica voleva spacciarsi per una ragazzina stupida e superficiale. Essere come tutti. Amare come tutti. Appartenere a "tutti" e non a se stessa. Si sopportava quel tanto che bastava per non prendersi a craniate contro il muro, infondo.
Aveva letto che era la fase dell'adolescienza a causare questi stati d'animo. Che sarebbe passata, come amava ripeterle da due mesi sua zia. Insomma, da quando era entrata in casa la prima volta. Una parte di se lo sperava davvero, ma l'altra sapeva che non era così. E lei non si diceva mai bugie. Qualsiasi fosse il prezzo da pagare, lei era sincera. O almeno ci provava.
A volte ripensava a lui, suo fratello. Voleva dimenticarlo perchè lui equivaleva ad un amore troppo brutto, troppo sbagliato e troppo "allo stato brado". L'ultima definizione non aveva senso, ma ogni volta che ci pensava non trovava di meglio. Era sua, eppure non poteva esserlo e si sentiva schiacciata e compressa e divisa e tagliata.
Comprendeva i compromessi a cui sarebbe dovuto scendere suo fratello per poter accettare i suoi stessi sentimenti e non perchè fosse così anche per lei, ma semplicemente perchè lui era quello più ferito dei due. Quello che alla fine, per sopravvivere e resistere, aveva dovuto mettere davanti a se dei paletti e delle convinzioni talmente forti da lacerargli l'anima soltanto sfiorandoli. E lei... Lei era la ragazza che aveva visto e seguito passo passo la disfatta dell'unica colonna portante della sua famiglia, ma andata così tante volte in chiesa in quei due mesi "per purificarsi l'anima", accompagnata sempre da qualcuno (-sai mai che si faccia anche il prete-), che aveva avuto modo di trovare i sermoni del parroco simili a torture. E se le torture sono operate dal Diavolo, beh, che motivo aveva di sottrarsi a ciò che offriva quest'ultimo. Aveva abbandonato la voglia di ascoltarlo già dopo la prima volta che era andata in confessionale, ovvero quando aveva confidato al prete la situazione con suo fratello e questo aveva raccontato tutto a sua zia.
Aveva lasciato la rabbia defluire il giorno stesso, accettando e annuendo senza badare alla scenata isterica della sua momentanea tutrice.
Avrebbe così tanto voluto tornare a casa, che aveva paura anche solo a chiamare. Se l'avesse fatto, sarebbe stato punto e a capo con suo fratello.
E aveva così tanto bisogno di piangergli in grembo. Di stringersi a lui, lasciandosi abbracciare e reprimendo la voglia di urlare schiacciando viso, labbra, naso, occhi contro il suo collo.
Avrebbe solo voluto poter sperare ancora, almeno un po'.
E-lei-aspettava.

Era passato un anno e pregò Dio di non portarlo mai più a soffrire così. Aveva preso la patente, anche se con circa due anni di ritardo rispetto ai suoi coetanei, e aveva iniziato l'università.
Scienze politiche internazionali sembrava un'ottima scelta, decisamente. Studiava così tanto da non riuscire a pensare, e più leggeva di trattati e di leggi e di default e guerre, e più si sentiva libero e non in colpa con se stesso.
Lì aveva conosciuto Anna, una ragazza come tutte le altre ed abbastanza attraente. Era stato con lei per circa tre mesi prima di lasciarla con la scusa del "tra noi non funziona come pensavo". E i suoi amici gli avevano dato dell'idiota, aggiungendo "dove la trovi ancora una bionda, alta e con una quarta abbondante?". Come se non bastasse era anche tra le migliori studentesse universitarie. Rappresentava tutto ciò che si sarebbe definito un ottimo partito.
E lei probabilmente si stava innamorando di lui, nonostante le sue scuse e i suoi segreti. Nonostante le sue assenze e i suoi "sono cazzi miei".

Metà non vede l'altra metà che affonda.

E poi quella mattina quando decise di tornare a riprendere Mel.
L'angoscia tornò a farsi sentire dopo mesi, ma ormai aveva imparato a controllarla abbastanza per non farsi prendere alla sprovvista.
Salì in macchina e partì, pensando che le quattro ore di strada sarebbero state nulla. Un nulla noioso, ma pur sempre un nulla.
E alla fine, si ritrovò a fissare la villa di sua zia con i suoi sgargianti colori celeste e giallo canarino ed il giardino perfettamente curato. E non provò nulla, in quel momento la paura aveva creato il vuoto.

Non si era ambientata troppo nella nuova scuola. No, ok, li odiava praticamente tutti quei petulanti ed assillanti idioti che le passavano vicino. Non si credeva superiore, semplicemente trovava insulso il loro modo di voler apparire e nonostante questa visione ottimistica del mondo, aveva incontrato Andrè.
Era seduta sulla gradinata della palestra ad aspettare il suo turno per la partita di pallavolo quando le si era avvicinato pronunciando con accento francese "è libero questo posto?" Istintivamente gli avrebbe voluto rispondere "non per te", ma stava cercando di controllare il proprio carattere e si limito ad un gesto d'assenso con il capo, continuando a guardare la partita senza degnarlo di uno sguardo per i restanti cinque minuti, prima di venire chiamata dall'insegnante per il cambio. E lui l'aveva aspettata per chiederle il nome.
Prima di ottenere un qualcosa di simile ad un appuntamento aveva dovuto aspettare due mesi e circa cinquanta inviti, tutti andati a cattivo fine.
Lei lo sopportava, ma cominciava a non riuscire più a starne senza, e lui era innamorato. Diceva di esserlo da quel giorno sulle gradinate, ma lei non ci credeva minimamente.
Il sesso era ottimo, la compagnia pure, eppure non era Teo. Non sarebbe mai stato Teo, per quanto ci provasse con tutta se stessa ad amarlo almeno un po'.
E poi ci fu quella mattina.
Ricordava solo il "Ti riporto a casa", e la corsa fuori. E il suo volto, le sue braccia, i suoi occhi ed il suo sorriso. E la zia urlare che avrebbe chiamato i servizi sociali, e i vicini che guardavano incuriositi, e lei che si stringeva a lui come da un anno desiderava fare. Ed il "Sì" prima del pianto.

- Vuoi qualcosa? - Chiese Teo avvicinandosi al frigo e tirandone fuori una bottiglia di thè alla pesca.
- No, grazie... -
Non ce la faceva a guardarla senza sentirsi in colpa. Era stato così stupido, così sprovveduto... E se fosse stato troppo presto? Chi gli assicurava di aver fatto abbastanza passi indietro per poterle stare vicino solo e semplicemente come fratello maggiore?
Guardò il profilo del suo volto, scendendo con lo sguardo sino al collo liscio, e scendendo ancora al seno. Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per distogliere lo sguardo e versarsi il thè nel bicchiere senza farlo traboccare.
Era diventata ancora più bella, se possibile. Aveva lasciato gli incubi alle spalle, e si vedeva. O almeno lui vedeva questo.
- La finisci di fissarmi così? - sbottò Mel ridacchiando.
- Ma che vuoi? Vatti a fare una doccia piuttosto, così poi ceniamo...-
- Vieni con me? -
Teo si girò pronto a risponderle con una battuta. Tutto sembrava tornato a prima, quando erano semplicemente fratello e sorella e l'unico passatempo ovvio era quello di prendersi in giro. Eppure, non era così. Era così seria, e con un'espressione così diversa da quella che ricordava.
- Vai a farti la doccia, Mel - disse prima di andare a porre due piatti sulla tavola. Troppo vicino a lei, troppo.
Non fece tempo a tirarsi indietro che lei lo abbracciò, stringendosi a lui. Quello che da fuori poteva somigliare ad un normale scambio d'affetto, per loro era qualcosa di più e lo dimostrava il leggero strusciamento e la pressione che esercitava lei con il seno contro il torace di lui.
- Ripeto: vieni con me, Teo? - chiese sussurrandogli la frase all'orecchio.
- Mel... Può essere tutto normale... Potremmo essere normali... -
- Non voglio esserlo. Voglio te. -
E lo baciò, lasciandolo incapace di dire "no", ed incapace di controllare completamente i suoi istinti mentre la sollevava di peso e la poggiava a sedere sul tavolo. Mentre l'assaporava scendendo a leccarla sul collo, dando dei leggeri morsi ad ogni suo sospiro e la stringeva a se facendo scivolare una mano sotto la sua maglietta sulla schiena per poi slacciargli il reggiseno ed accarezzarle il ventre con l'altra mano.
E lei lasciava fare, aggrappandosi con le gambe e spingendosi con il ventre più a contatto con lui, ansimandogli all'orecchio e cercando di slacciargli i pantaloni.
- Sei vergine? -
- No... -
- Con chi...? -
- Davvero vuoi parlarne ora? -
E ripresero a baciarsi mentre si toccavano e tastavano come per riconoscersi e per dire basta alla separazione forzata. Erano uno dell'altra in quel momento, e non gli importava di altro.
I vestiti furono stracciati sul pavimento dopo pochi minuti, e lei stesa a gambe divaricate davanti a lui che le accarezzava l'entro coscia e si posizionava per penetrarla. Avrebbe voluto andare piano e non farle male, ma la voglia di averla senza alcuna limitazione distrusse il suo desiderio, facendola urlare e gemere e ansimare e facendola nominare Dio più volte di quante mai avesse fatto in vita sua.
Continuarono a urlare per tutto il tempo, mentre lui giocava con i suoi capezzoli e scendeva a leccarle e baciarle il seno, trascinandola poi sul pavimento e mettendola sopra di se, in modo che fosse lei a muovere il bacino.
Finì un'ora dopo, con loro due sudati ed esausti abbracciati a terra.
- Ti amo, Teo. -
- Siamo due idioti, cazzo. -
Ed iniziò il loro nuovo incubo.



Spazio Autrice:
E' stato difficile. Un capitolo fottutamente difficile e per farlo ho dovuto mettere da parte tante cose di me, difficili da sistemare lontane per quel po' di tempo che mi è servito per scriverlo.

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Capitolo 7
*** Remember, I always love you. ***


Era da solo. Lei era andata via, probabilmente da Andrè -di nuovo-. Ogni volta agognava così tanto la sua uscita di scena, che poi si sorprendeva sempre quando ne sentiva la mancanza. C'era ancora il suo odore sul divano su cui era steso -cercando inutilmente di dormire-.
Si stiracchiò leggermente ed allungò la mano a prendere il telecomando sul tavolino accanto. Accese la televisione e fece zapping senza sapere cosa voleva realmente guardare sino ad addormentarsi -finalmente-.
Venne risvegliato mezz'ora dopo dallo squillare incessante del telefono di casa, ma si rifiutò di rispondere, ancora troppo preso dalla stanchezza anche soltanto per immaginare di alzare un braccio.
Sentì all'improvviso il cellulare vibrargli nella tasca e con una forza per lui sovraumana decise di rispondere, trasmettendo all'interlocutore tutta la sua aria stizita.
- Eh? -
- Parla il Signor Teo Crozier? -
- Sì, con chi parlo? -
- Luis, può chiamarmi così. Sono della polizia. Abbiamo trovato sua sorella, ha fatto un incidente e la stiamo trasportando in ospedale. -
Lui conosceva perfettamente la sensazione di vuoto, e sapeva scapparvi. Era abile a non pensare per giusto cinque minuti e poi ragionare e sezionare la situazione sino a renderla appetibile per il cervello. Era un Dio in questo.
"Sorridi, sempre". Sempre, sempre, sempre.
- Parto ora da casa -
- Va bene, allora noi...-
- ... Come sta? -
- L'airbag le ha salvato la vita, ma è rimasta ferita dai vetri del finestrino. Ha battuto forte la testa, comunque. L'hanno portata al Mary Hospital. Abbiamo avvisato anche il suo fidan... -
Lasciò cadere la conversazione e si mise velocemente il cellulare in tasca. Non si era accorto di essere già entrato in macchina. Non ricordava di essersi alzato dal divano dopo la telefonata.
Si trovò nel parcheggio dell'ospedale in meno di venti minuti, durante i quali non aveva avuto idea di quali pensieri la sua mente avesse potuto elaborare. Salì velocemente le scale dopo aver parcheggiato, dimenticandosi dell'esistenza dell'ascensore.

La sala d'attesa era così chiara. Pulita, e chiara. Così fastidiosa. Silenziosa, apparte per il frustrante trascinare delle barelle in lontananza.
- Cosa faceva a casa tua? -
Alzò lo sguardo verso il ragazzo alto e biondo che si ergeva sopra di se e tornò con il capo a penzoloni tra le gambe, accennando ad un sorriso di scherno che lui sicuramente non poteva notare. Era arrivato anche lui, ovviamente.
- Come stai, Andrè? -
Potè notare il movimento del suo piede che indietreggiava e poggiava meglio a terra, e il sospiro stanco che emise gli lasciò credere che avesse capito tutto.
- Perchè Teo, perchè? Ogni volta che ci incontriamo lei sta male - e fece una breve pausa, cercando di calmare il tono della voce e degluttendo - perchè non mi dice "vado da mio fratello"? Capisco il vostro rappor... -
- Non dirlo! - Improvvisamente la voce lacerò l'aria e i suoi occhi si puntarono su quelli di Andrè, il quale si limitò a fissarlo, lasciando nuovamente ricadere il silenzio su di loro. - Non ci provare. Tu non capisci. E chiedilo a lei perchè, a lei, non a me! -
- La stanno operando. E finita l'operazione sarà in un letto d'ospedale. Non avrà voglia di parlarne... - e lasciò vagare lo sguardo alla ricerca di qualcosa su cui bloccarlo.
- Neanche io ho voglia di parlarne -
- Lei ti ama molto più di quanto potrà mai amare me... -
Per un attimo il respiro gli si mozzò in gola e gli venne necessario stringere i pugni e costringersi a non ridere. Lo amava. Lei lo amava.
- Mi ama, eh? - e lo guardò, mantenendo un'espressione seria e risoluta, per quanto possibile.
Andrè non rispose. Ricambiò lo sguardo, ma nei suoi occhi Teo poteva leggere solamente "lo so, e sai che lo so". E leggeva la rabbia di un uomo disperato. Perchè Mel lo uccideva così? Infondo era un bravo ragazzo, o almeno così venivano spesso definiti i tipi come lui. E bello. E interessante. E Mel lo stava lentamente spegnendo, con tutti i suoi inganni e le sue bugie. Le sue odiose frasi di circostanza per impedirgli di fare troppe domande, e le sue commedie. I suoi "non puoi capire" e "lo so che fa male, ma se stai con me questo è il prezzo". E le sue telefonate notturne fatte di pianti e scuse inutili per salvarsi la coscienza. Mel era il Diavolo all'interno della coppia.
- Vattene Teo... Ti prego... - pronunciò quasi in un sussurro, come se avesse paura di essere sentito.
- Sono il fratello, ho il diritto e dovere di stare qui. E' mia sorella quella sotto i ferri. -
- Sotto i ferri a causa tua, probabilmente. -
Ed avrebbe voluto ucciderlo, spargere sangue per tutta quella sala tanto bianca, eppure lui aveva semplicemente detto a voce alta ciò che la vocina nella sua testa continuava a ripetere da circa tre ore. Era colpa sua. Da quando era arrivato aveva solo saputo da Luis, l'agente, che era andata contro ad un guard rail e sfondato quello si era scontrata contro un albero poco lontano.
- Quando si sveglierà, vorrà vedermi - disse come se niente fosse. Se c'era una cosa che aveva imparato da Mel, era come farsi vedere indifferenti a tutto.
- Perchè pensi che possa voler vedere te e non me? - chiese Andrè senza celare l'astio nella voce. Ogni vibrazione che emetteva parlando avrebbe potuto strappargli un pezzettino di pelle.
- Non ho detto che vorrebbe vedere solo me, ma anche. Sono suo fratello ti ripeto. -
- Un fratello non si scopa la sorella. -
Nuovamente, calò il silenzio. Aveva perso il conto di quante volte era successo durante quella discussione. Se avesse risposto, probabilmente non sarebbe riuscito a mentire così spudoratamente, ma in fin dei conti "chi tace acconsente".
Sentì l'agitazione crescere e le possibilità di fuga scomparire in sequenza.
- Io non faccio sesso con Mel, se ti tradisce lo fa con qualcun altro -
- Non sono stupido. Io sto zitto, ma non sono stupido Teo. Sicuramente mi tradisce anche con altri, ma questo non cambia il fatto che non si trattenga neanche con te. -
"Sicuramente mi tradisce anche con altri". Si appuntò la frase accertandosi di non esserne geloso. Oltretutto, suonava più come provocazione che dato certo.
- Andrè, sono stanco e preoccupato e non ho voglia di sentire le tue cazzate, quindi ora siediti da qualche parte e stai zitto. -
- Quando l'ho conosciuta tu l'avevi già distrutta, lentamente -
Stava per rispondere, quando dalla grande porta della sala dove stavano operando sua sorella uscì un dottore. Veniva verso di loro, con i guanti in mano e del sangue sul camice.
- Chi è il fratello? -
- Io - disse respingendo la voglia di urlare - ... Sta bene? -
- Vorrei parlarle in privato. -

Ti amo.

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Capitolo 8
*** Broken Hymns ***


Era così complicato riuscire a districare i pensieri. Riuscire a convertire i suoni che sentiva uscire dalla gola dell'uomo davanti a se, convincendosi che le parole non fossero buttate lì a caso. Era conscio dell'espressione idiota che probabilmente aveva assunto il suo volto, e si stava chiedendo perchè il dottore ancora non gli avesse chiesto "ma davvero vai in giro con questa faccia?", ma anche se l'avesse fatto lui non l'avrebbe percepito. In un momento simile chiunque starebbe bene attento ad ogni singola parola che viene detta ed usata, a come vengono organizzati gli spazi all'interno delle frasi, le pause, i cali di tono, il ritmo della discussione, la voce con toni troppo alti, la posizione delle mani e dei piedi, le spalle ricurve o ritte, l'andare e venire del respiro nel petto, i movimenti delle labbra -se magari nascondono un sorriso-, se lo sguardo si ferma sui suoi occhi o è basso... Molte persone, tutti, si sarebbero soffermati a osservare e ascoltare tutto ciò. Ma lui no, ci provava, ci provava davvero a farlo, ma non riusciva. Era tutto così ovattato che riusciva a prestare realmente attenzione solamente al sangue che sentiva scorrergli nelle orecchie.
E Dio, Dio! Lui la amava. Fino al giorno prima si era detto che era un amore diverso, un semplice amore fraterno con qualche sfumatura in più, un amore semi-normale. Ed ora che lei era su quel tavolo mentre degli sconosciuti la toccavano molto più affondo di quanto avrebbe mai potuto fare lui, ora si accorgeva di amarla davvero. Questo non cambiava le cose in meglio, non lasciava che la loro storia -o qualunque cosa fosse- prendesse il volo, non significava matrimonio e tanti figli. Questo, peggiorava tutto.
Eva era riuscita a conquistare Adamo. Il serpente aveva conquistato Adamo. Eva e il serpente erano uguali.
- Ha capito cosa ho detto? -
Teo scosse la testa come per risvegliarsi da un'ondata di pensieri-informazioni troppo diretti, troppo poco lucidi e troppo difficili. Fece ingenuamente segno di "no" con il capo e trattenne la voglia di tirare su con il naso. Si sentiva un bambino, uno di quei ragazzini che tornano a casa da mamma e papà dopo aver fatto a botte a scuola e non si rassegnano a dire dove sono stati feriti, nonostante i loro tentativi di trattenere le lacrime siano inutili.
- Sua sorella non sta bene. Ma non sta neanche male... Avrà bisogno di cure, mesi e mesi di riabilitazione, e per ora non potrà muoversi dal letto, neanche dopo che verrà dimessa - l'uomo si soffermò, e per un attimo Teo pensò che avesse finito lì. Per quel secondo di tempo che intercorse tra l'ultima parola a quella successiva, si sentì sollevato. Non era grave. - Ma potrebbe aver perso la memoria. Avremo la certezza di questo entro poche ore, quando si sveglierà. -
Se possibile, crollò poco di più. Leggermente, con fatica, lasciò che anche l'ultima informazione si legasse alle altre trasformandosi entro pochi secondi in un qualcosa di astratto e irreale. E non avvenne. Rimase lì, in superficie.
- La memoria... Le tornerà? -
- Anche questo è da vedere. A lei e al ragazzo che vedo seduto lì in fondo - e fece segno con il capo per indicarlo - chiedo di avere tanta pazienza. -

Era tornato a sedersi da più di un'ora, e da più di un'ora Andrè era in silenzio a fissarsi le mani, scuotendo la testa di tanto in tanto.
- Perchè stai con Mel, nonostante tutto? -
- Tu, perchè ci stai? -
Colpito e affondato. Rimase zitto pentendosi di aver provato ad approcciarsi con lui. Ogni parola detta da quel ragazzo lo irritava, lo faceva infuriare, lo infastidiva, lo uccideva. Forse semplicemente perchè lui era il suo ragazzo, quel ragazzo che poteva stare con Mel davanti a chiunque e non si costringeva a non provare nulla per lei.
- Non sto con mia sorella... -
Andrè, lentamente, voltò il capo verso Teo e non parlò. Aveva gli occhi lucidi, ma non di quel lucido pre-pianto, piuttosto di quello post-pianto. Un pianto di chissà quanto tempo prima.
- Ci impiegai quattro mesi - disse improvvisamente e sorridendo lievemente. - Quattro mesi solo perchè lei la smettesse di evitarmi ogni volta che ci incontravamo.
Prima che si decidesse a farmi un sorriso, a chiedermi "come stai?". Quattro mesi. -
- E' sempre stata una ragazza difficile... -
- No, era ferita. Non è difficile, è ferita. E a me piaceva comunque, i suoi "no", le sue scuse per non uscire, i suoi "sono già fidanzata" non erano importanti. A me, comunque, andava bene... Poi un giorno mi chiamò ubriaca. Lei, ubriaca. Odiava l'alcol con tutta se stessa eppure si era ubriacata. Mi disse "ti amo", piangendo e aggiungendo qualcosa sul voler fare sesso con me in quell'esatto momento. -
E Teo rimase in silenzio, ascoltando. Avrebbe voluto in realtà urlare per soverchiare la voce dell'altro, oppure alzarsi e andare via, ma si costrinse a rimanere anche con il rischio che gli uscisse sangue dalle orecchie.
- Andai alla festa dove mi aveva detto che era. Sapevo di doverla trascinare via da quel posto con la forza, anche a costo di trasformare il suo "ti amo" in un "ti odio". Com'è ovvio, non era sola, e spaccai la faccia a quello che le era sopra sul divano. Io non ho molta forza, ma ci vollero tre ragazzi grossi il doppio di me per togliermi da quel tipo. Il risultato era il suo viso gonfio e sanguinante e il mio corpo ricoperto di ematomi e sangue forse neanche mio. La trascinai via, sentendola piangere dietro di me e la feci dormire con me quella notte. Non la toccai neanche per sbaglio. -
Teo abbozzò un sorriso, annuendo istintivamente con il capo. Sentiva lo sguardo del ragazzo bruciargli addosso.
- Come pensavo, tu sei davvero un bravo ragazzo Andrè... -
- Eppure quel ti amo avrebbe voluto dirlo a te, quella notte. -
- Non dire stronz... - e venne interrotto dalla risata isterica di Andrè che lo colse alla sprovvista, costringendolo ad alzare lo sguardo. Rideva tanto sguainatamente da mostrare al mondo le corde vocali. E notò gli occhi, notò il pre-pianto.
- "Teo casa" e "Teo cell". Prima della chiamata verso il mio numero, erano memorizzate queste due. Io, anche quella volta, ero solo un ripiego. -

Se lui era Adamo, e lei era Eva -o il serpente-, Andrè doveva assolutamente essere qualcosa di molto simile a Dio, un Dio che amava Eva con tutto se stesso e aveva punito lei e il suo amante per una sciocchezza come la mela solo per potersi allontanare almeno un po' dal loro amore sbagliato. Forse, la Genesi doveva andare rivista.


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Capitolo 9
*** Quello che non c'è ***


- Teo? -
- Sì? -
- Tu credi nella reincarnazione? -
- No. -
- Io credo che se due persone si sono amate veramente, nella vita passata, allora una volta che si rincontrano in quella attuale possono riconoscersi all'istante e stare insieme... -
- Se uno diventa una pianta di rosmarino e l'altro un mollusco, vedo difficile anche l'incontro, Mel. -


Lei invece lo credeva veramente e per anni anni e anni aveva voluto pensare che il suo principe azzurro dell'altra sua vita, fosse stato Teo. Sotto altro aspetto, nome, carattere, ma con sempre lo stesso odore e sempre quell'espressione perennemente corruciata che lo rendeva lui.
Non era credente, anche se per un breve periodo aveva pensato di cominciare a chiedere aiuto a Dio, però sapeva che Teo in qualche modo a lei sconosciuto le apparteneva molto più di quanto potesse assicurare un rapporto di sangue come quello fratello-sorella. Teo era suo, e lei non poteva essere di nessun altro. Non poteva essere di Andrè, ad esempio, anche se lui era la cosa più bella che gli fosse capitata.
Era innegabile che lui la considerasse la sua principessa, e lei spesso si chiedeva se confidando la sua visione del destino al proprio ragazzo, questo le avrebbe risposto “allora tu eri la ragazza che amavo anche prima di adesso”. In tal caso sarebbe stato demotivante dirgli “non hai un buon olfatto”.

 

- Teo?-
- Hnh? -
- Mi manchi. -
- Ma se sono qui con te, Mel! -
- Nell'altra vita, mi eri sicuramente più vicino... -



Non aveva mai capito cosa Teo potesse provare realmente per lei. Amore, odio, rabbia, rassegnazione, confusione. Facendo la lista, le sembrava così ovvio notare che erano quattro sentimenti negativi contro solo uno di positivo, e faceva male notare quanto poco lui potesse essere felice in presenza sua. “La droga uccide, eppure questo ad un drogato non interessa”, si ripeteva in continuazione dando quella come scusa.
Lo avrebbe aspettato.

Riconosceva l'impossibilità del suo amore e la propria stupidità nell'insistere. Sapeva che per Teo era più difficile dopo che per anni aveva lottato per tenerla vicina a se e proteggendola, e sapeva che era spaventato da ciò che sarebbe potuto succedere. Lui, infondo, era quello riflessivo, sicuro delle proprie decisioni. Il ragazzo che non può sbagliare, mai. E lei? Lei era quella che rovinava l'equilibrio, che spargeva il caos con una facilità disarmante.
Era così difficile non riuscire ad accettare un “no” come risposta per andare avanti. Insisteva, insisteva e insisteva, come se la propria esistenza si basasse sulla seduzione. Non era in grado di creare rapporti con le altre persone che poi non sfociassero in un qualcos'altro da parte di questi. E lei li odiava, li odiava tutti perchè era inutile dirgli “basta”.
Quando conobbe Andrè pensò che fosse come tutti loro. Fastidioso, stupido, arrogante. Inutile.
Eppure, tutti i giorni lo trovava all'uscita di scuola ad aspettarla con
sempre una scusa nuova, e lei puntualmente si chiedeva come facesse a non ripetersi mai. Nonostante questo, non gli rispondeva, continuando a camminare senza neanche ascoltare troppo ciò che diceva.
Dopo il terzo mese di continui incontri
casuali cominciò a rallentare il passo, lasciandosi accompagnare a casa. E l'unica voce a rompere il silenzio, era quella di lui.
“Mel, ma chi è quel ragazzo? E' così carino!
“Nessuno”
“Sono tua zia, puoi dirmelo!”
“Infatti te l'ho detto: non è nessuno”

Ormai aveva perso il conto di quanti appuntamenti gli avesse chiesto Andrè. Cinquanta? Sì, probabilmente la cifra si aggirava lì. E quante volte si era sentita dire “non serve che mi rispondi, io sarò lì”. Si chiese se realmente ci fosse sempre andato, aspettando un suo arrivo.

Più lo guardava e più si accorgeva di quanto fosse stressante non potergli parlare. Di quanto avrebbe voluto dire almeno “grazie”. Era così bello che quando passava le ragazze si giravano facendo commenti di ogni genere tra di loro e non appena si avvicinava a lei le sentiva sospirare accompagnando ciò con dei “com'è fortunata!”.
Poi un giorno, al ritorno da scuola sentì una macchina sterzare poco dietro di se e si girò spaventata. In quell'istante, vedendolo seduto a terra con gli occhi sgranati si rese conto di avere paura e il “
boom boom boom” del suo cuore era l'unica cosa che riusciva ad avvertire. Corse da lui, aiutandolo ad alzarsi tra le imprecazioni dell'autista.
- Come stai? -
- Andiamo a casa tua, presentami tua zia e dammi un bicchiere d'acqua. Poi starò bene. -
E così fece.

- Teo... -
- Dimmi -
- Ti amo. -
- Stai con Andrè da una settimana, Mel. Dagli tempo... -
- Ti amo. -

- Mel? -
- Che c'è? -
- Tempo fa mi parlavi del destino dicendo che secondo te due anime sono legate, o qualcosa del genere. Insomma, dicevi che anche se due muoiono poi quando tornano in vita in altri corpi e s'incontrano per caso, si riconoscono... -

- Mhmh, sì, quindi? -
- Riconosceresti me o Andrè? -
- Sei geloso? -
- Semplice curiosità... -

Un po', forse, lui la amava.




Spazio Autrice:

Il cambio di grandezza della scrittura, non è voluto. Nonostante continui a mettere "carattere 12" per l'intero testo, mi esce così. Nonostante questo noto che non ci sta male, quindi lo prendo come intervento divino asd

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Capitolo 10
*** "Heaven help me, I need to make it right." ***


Aveva aperto gli occhi, si era svegliata. E i medici avevano dato prima il permesso di entrare ai familiari. Teo si alzò dalla sedia diventata sempre più scomoda con il passare delle ore e si accorse di avere lo sguardo di Andrè fisso su di lui. Ricambiò l'occhiata mostrando il vuoto che aveva in se. Avrebbe voluto che ci annegasse dentro, che capisse una minima parte di ciò che provava. Gli piaceva immaginare che così lo avrebbe ucciso, facendogli ingoiare il suo dolore.
Andrè, dal canto suo, non distolse lo sguardo, ma diede libero sfogo al suo nulla. E all'odio. E sbagliò, perchè mostrò un'emozione. Teo non aveva bisogno di mostrarne per vincere, spostare l'attenzione dal suo vuoto all'odio, era inutile. Il primo sarebbe sempre stato più forte del secondo.
- Ti chiamo se chiede di te, ok? - chiese un sorrisino sprezzante senza aspettare la reazione dell'altro ed incamminandosi direttamente verso la porta della stanza di Mel.
Entrò pensando a cosa avrebbe potuto dire. “Mi dispiace”-”scusa”-”come stai?”-”
ti ricordi chi sono?”. Si guardò le mani rendendosi conto del lieve tremore che le pervadeva e se le strusciò contro i jeans. Fece un cenno d'assenso all'infermiera che l'aveva accompagnato all'interno, andando vicino al letto dove era distesa sua sorella. Gli venne il magone quando vide le garze intorno alla testa e alle braccia.
- Mel? -
Non ricevette risposta subito. Vide il suo capo girarsi verso di lui con una lentezza dolorosa.
- Sì? -
Vide il marrone dei suoi occhi leggermente più chiaro del solito e il rossore sulle guance.
- Stai piangendo... -
- Sei Teo, vero? -
Se possibile, il vuoto crebbe maggiormente fino a fargli mancare il respiro e con tutte le sue forze strinse il bordo del letto con le mani, facendo il possibile per non guardarla in volto. La gara di sguardi tra loro finiva sempre in parità e ogni volta era sfiancante. Non poteva lasciare che
ora lei lo guardasse. Sarebbe stato come mandare un soldato in guerra senza armi e munizioni.
- Sono Teo, sì... -
- Va bene... Ci sei solo tu? -
- Andrè è fuori, lo chiamo se vuoi -
- Chi è Andrè? -
E per un attimo avrebbe voluto dirgli “nessuno, non è nessuno”. Gli balenò alla mente di riscrivere la storia, di ridisegnare tutto come se la ragazza davanti a se non fosse altro che una tela bianca. La scrutò in volto, in silenzio. E lei non lo interruppe quasi avvertisse il peso dei suoi pensieri.
Lui era lo scrittore, la penna, il pittore ed il pennello.
- Andrè è il ragazzo che ami, Mel – disse abbassando lo sguardo alle nocche delle mani ormai bianche.
- Ah... Scusami, scusami. Io credo di essere confusa al momento... - disse squotendo la testa e portandosi una mano alla fronte.
- Non c'è problema... Dormi un po', forse è meglio se i... -
- Non andartene! - disse sporgendosi verso di lui e cercando di afferrargli il polso. Aveva gli occhi così lucidi che si chiese se veramente fosse così bianca e immacolata come tela. Era così logico pensare che avesse dimenticato tutto, eppure guardandola avvertiva ancora palpabile il suo male.
La vide subito arrossire e contrarre i muscoli del corpo come se fosse stata colpita da una scarica di elettricità. Le leggeva negli occhi la paura e la sorpresa. Si portò entrambe le mani al capo cominciando a piangere con la bocca semi aperta come se non riuscisse ad urlare. Le andò vicino, sedendosi accanto a lei e abbracciandola tanto forte da soffocarle ogni gemito.
Andrà tutto bene, Mel” le ripeteva mentre le passava una mano lungo la schiena, impigliandosi a volte tra i capelli. Sentiva piano piano le sua spalle rilassarsi e le braccia mollare leggermente la presa ferrea di pochi istanti prima intorno al suo addome.
- Teo... Fa male, fa tanto male... -
- La testa? Chiamo l'infermiera? -
Mel scosse la testa lievemente stringendosi nuovamente al corpo di Teo.
- C'è qualcosa che devo ricordare... Ma non so cos'è... -
Non era una tela bianca. Era più un foglio bianco ma con delle cancellature, ecco. Se solo fosse riuscita a scoprire cosa vi era sul foglio prima della gomma, sarebbe tornata punto e a capo. E lei più di chiunque altro meritava di stare bene e avere una vita normale.
- E forse so cos'è, sai? -
Lei si limitò a fissarlo con uno sguardo interrogativo. Ed era così vicina che dovette trattenersi con tutta la forza di cui disponeva per non baciarla.
- Volevi dire ad Andrè cosa realmente provi per lui... Lui non sa ancora che lo ami, sai? – concluse sorridendo, posando la bocca sulla sua fronte in modo che non potesse guardarne l'espressione.
- Quindi lo amo... -
E nell'annuire perse ancora un po' di se da donare su un piatto d'argento a sua sorella. Così avrebbe funzionato, sarebbe stato tutto normale, finalmente. Biascicò un “scusa, devo uscire un attimo” prima di alzarsi di colpo lasciandola afferrare l'aria e si lasciò la porta alle spalle. Si avviò verso l'uscita della corsia e poco prima si fermò davanti ad Andrè.
- Lei dirà di amarti, tu fingi di non saperlo e ricominciate tutto da capo. -
- Eh? -
- Questa sera passo per casa tua a prendere i suoi vestiti e le sue cose e le porto da me. Quando tornerà a casa chiedile di venire ad abitare con te, poi passate da me per riprendere le sue cose. -
- Io... Non capisco... Lei sta bene? -
Teo girò la testa puntando lo sguardo sui suoi occhi e gli diede la possibilità di vedere tutto ciò che aveva dentro. Il vuoto, il nulla, ogni mancanza e ogni perdita, compresa l'ultima di pochi istanti prima. Lasciò andare tutto come se lui se lo meritasse, e riprese a camminare verso l'uscita, lasciandolo lì, in piedi e solo. Andrè, per la prima volta, si sentì davvero morto.

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Capitolo 11
*** Dio, Eva, Adamo ***


Passò più di una settimana prima che Mel avesse il permesso per tornare a casa, e Teo lo seppe solo grazie alla chiamata di Andrè: “uno di questi giorni veniamo a prendere le sue cose.”
E quel giorno era arrivato tanto velocemente e tanto all'improvviso -nonostante l'avvertimento- da essere paragonato ad un pugno alla bocca dello stomaco.
Il campanello suonò e lui fece lo slalom tra gli scatoloni che doveva ridare loro per andare ad aprire.
Poggiando la mano alla maniglia fece un sussulto. L'avrebbe nuovamente rivista, dopo quel giorno. Era pronto a soffrire? No, sicuramente non lo era. Spalancò di colpo la porta ritrovandoseli davanti. Lui con un sorriso così falso da poter far rabbrividire i migliori attori di Hollywood... E lei. Con quel suo sguardo basso, e la frangia che le copriva gli occhi. Aveva dimenticato tutto, tutto! E sentì la rabbia fluire nelle vene e lottare per scaraventarsi contro Andrè.
Trattenne.
- Possiamo entrare, Teo? -
- Certo... - e si scostò dall'uscio per farli passare. Sentì il profumo di vaniglia non appena lei gli passò accanto e d'istinto le prese il polso, stringendo le dita attorno ad esso e ricordando quante volte l'aveva bloccata in quel modo in passato, per poi ritirarla sotto le coperte. Ricordò come quel gesto gli facesse capire che lei, che lo volesse o meno, era
sua. Ritirò la mano poco dopo, come se ne fosse rimasto scottato, limitandosi a guardare sua sorella negli occhi. E li trovò così vuoti da lasciarlo senza parole.

Sentì la voce di Andrè richiamarlo all'attenzione chiedendo “sono solo queste le sue cose?”.
- No... Altre sono di sopra, prima porta a destra. -

Vide con la coda dell'occhio il ragazzo allontanarsi e si rese conto di quanto fosse complicato restare lì, fermo davanti a Mel.
- Non sei più tornato... - esordì lei fissandosi la punta delle scarpe.
- Sono stato impegnato, scusami -
- … Ti ho forse fatto qualcosa di male? -
Piangere. Avrebbe voluto piangere aggrappandosi a lei e stringerla. E rimase zitto, in silenzio a guardare i suoi occhi chiedendosi quanto avesse potuto resistere ancora prima di crollare.
Si allontanò da lei. La sua piccola, inconsapevole Eva. Il suo ingenuo serpente. Ora, solo lui era sporco. Solo lui era sotto accusa.
Sentì improvvisamente il corpo di lei premersi contro la sua schiena. Sentiva le sue lacrime e i suoi gemiti trattenuti.
Fermo. Immobile. Non doveva e non poteva fare nulla.

Il tempo perse importanza, tutto perse importanza. Anche la sua maglietta bagnata dietro non aveva più importanza.

- Ok M... - Andrè si bloccò in cima alle scale e si riparò dietro al muro per non farsi vedere. Gli faceva male tutto ciò. Vedere la ragazza che amava abbracciata a suo fratello. Si chiese se non avesse magari ingigantito tutto e per un attimo volle crederlo con tutto se stesso. Eppure poteva vedere il dolore di Mel e Teo, poteva palparlo e lui si sentiva il coltello pronto a recidere ogni cosa.
La stretta di lei era così salda, e il suo pianto così silenzioso e così straziante. Si chiese come facesse Teo a non girarsi verso di lei per abbracciarla. Come facesse a resistere senza muoversi. Come potesse non piangere anche lui.
E poi se ne accorse.
Vide le lacrime di lui scendergli lungo le guance. Senza alcuna espressione dilaniante sul volto, senza nessun rumore. E rivide il vuoto nei suoi occhi. Quel vuoto che l'aveva lasciato senza fiato giorni prima ora era lì, e pensò a quanto avrebbe potuto uccidere Mel.

- Teo, parlami! Parlami! Scusami, ti prego... Io non so cosa ho fatto, non lo ricordo... - piangere le era così dannatamente facile in quel periodo. E trovava così confortante poterlo fare contro di lui che ad ogni singulto gli si premeva maggiormente contro.
Sentiva che le mancava qualcosa, e quel qualcosa doveva avere a che fare con suo fratello.
Gli passò le mani sull'addome, afferrando la maglietta e poi lasciandola per accarezzarlo nuovamente. Lo aveva già fatto, tutto ciò.
- Teo... -
Sentì il suo corpo irrigidirsi e continuò ad accarezzarlo come a volerlo tranquillizzare. Era così normale, il suo corpo sapeva esattamente come muoversi per farlo stare bene. Si mise in punta di piedi arrivando all'altezza dell'orecchio di lui e gli sussurrò “voltati”. E non si sorprese quando lui lo fece, quasi fosse ipnotizzato. E una volta a pochi centimetri da distanza, il suo corpo sapeva ancora cosa fare. Non lei. Lei non lo riusciva a capire.
 

- Teo... -
- … Dimmi.-
- Tu lo sai, lo sai più di me. -

 

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Capitolo 12
*** Quell'8 rovesciato ***


Aveva sempre temuto un po' i diciotto anni di sua sorella. In generale, aveva sempre temuto tutti i suoi compleanni. Non per un qualche motivo in particolare, forse piuttosto perché non era un tipo da regali e feste. E il raggiungimento della maggiore età lo considerava come un evento sacro, qualcosa per cui valesse la pena donare il proprio portafoglio al negoziante prescelto.
Aveva fatto il giro di almeno una decina di posti, alternandosi tra negozi di vestiti, gioiellerie, articoli strani come fate e gnomi, e pasticcerie. Doveva essere perfetto, almeno in quel poco che poteva fare.
Alla fine era riuscito a comprarle un ciondolo d'oro bianco, con catenina annessa, a forma di infinito. Si era chiesto se non fosse stato troppo smielato da parte sua, ma infondo, per come poteva interpretarlo lei, poteva essere “infinito” anche l'affetto che provavano l'uno per l'altra, e non necessariamente l'amore. Avvampò al solo pensiero di una reazione da parte di sua sorella e scosse violentemente la testa attirando gli sguardi sorpresi dei passanti. Si tastò il pacchetto all'interno della tasca e fece un sospiro di rassegnazione.
Guardò l'orologio che faceva le 18:00 e si affrettò verso la fermata della metropolitana.

<< Arrivo un po' tardi, scusami! >> rispose al messaggio in automatico chiedendo se fosse tutto apposto, quasi come se sospettasse un qualche problema. Non fece tempo a rimettersi il cellulare nella tasca esterna del giaccone che questo gli vibrò in mano.
<< Andrè aveva voglia di litigare, così sono partita un po' più tardi. Ora è tutto ok. >>
Lasciò scorrere le dita sui tasti per scrivere un misero “ok” e si appoggiò con la schiena contro la parete della carrozza, fissando la propria immagine riflessa sul finestrino davanti a se. “Cosa stai facendo Teo, cosa cazzo stai facendo?!” e sbuffò.
Odiava Andrè dal primo istante in cui sua sorella gli aveva detto “mi vedo da un po' di tempo con un ragazzo”. No, anzi. Non lo odiava, lo trovava irritante e stupido e arrogante. E non lo aveva mai visto, non ci aveva mai parlato e non sapeva nulla di lui. Sorrise al pensiero di essere così di parte da perdere istintivamente la ragione. Non era da lui, non lo era affatto. Eppure sapeva che se l'avesse visto anche solo una volta abbracciare di sfuggita sua sorella, l'avrebbe ucciso.
Strinse le dita intorno alla scatola regalo e si decise a non pensarci troppo.
 

<< Ti amo >>
 

Lei arrivò con oltre due ore di ritardo. La cena ormai fredda non fu neanche degnata di uno sguardo. Gli si buttò tra le braccia e stette in quella posizione così a lungo da fargli credere che fosse morta.
- Mi dispiace... -
- Di cosa? Non c'è problema per il ritardo, su -
La sentì stringersi maggiormente a lui e tentare di nascondere il proprio volto contro il suo petto. Era così piccola, innocente e fragile. All'apparenza.
Le poggiò una mano sul capo scompigliandole gentilmente i capelli e la spostò quel tanto che bastava per estrarre il regalo dalla tasca dei pantaloni.
- Smettila di piagnucolare e apri! - disse con un ghigno sul volto.
- Se fai quella faccia mi fai pensare ad un vibratore molto piccolo, sai? -
Cancellò mentalmente “innocente” dalla lista di aggettivi da propinarle.

 

<< Grazie per il regalo, non lo tolgo mai! >>
 

Era rimasta a casa sua per tre giorni e due notti. E le era mancata così tanto che non gli sembrava naturale il suo “non so quando ci vedremo... Sono pur sempre quattro ore di viaggio. Ah, e sì... Poi ogni volta è una litigata con Andrè, e no, non posso dirgli che vengo qui...”.
Dormirono separati solo la prima notte, poi lei
decise di aver paura del buio e di dover passare le successive nel suo letto. Lui lasciò fare. Sapeva che era sbagliato, ma non aveva importanza.

 

<< … “sbagliati”? Tu dici? >>

 

Ed ora era di nuovo come quel giorno. Era come tutte le volte. Non avrebbe dovuto cedere, sarebbe dovuto rimanere fermo o al massimo allontanarla. Lei non avrebbe compreso, non avrebbe pensato “non mi ama”, perché neanche si ricordava lei di averlo amato.
- Va tutto bene Mel. Davvero, è tutto ok... -
Si sentì accarezzare la guancia e appoggiò il volto contro la mano. Lasciò che i propri occhi riprendessero un po' più di vita ora che erano incatenati a quelli di lei. L'ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stata spaventarla.

- Smettila di fingere sempre, smettila... Non va tutto bene -

- Mel, aiutami a mettere tutte le tue cose in macchina! - esclamò all'improvviso Andrè scendendo dalle scale e dando la possibilità a Teo di riacquistare abbastanza lucidità per sottrarsi all'abbraccio di sua sorella.
- Aspetta, passami lo scatolone che stai portando, così lo carico io direttamente – disse avvicinandosi all'altro, il quale si spostò brutalmente, fissandolo.
Da quel momento lui e Mel non ebbero più un solo minuto da rimanere soli.

Erano passate più di quattro ore da quando gli altri due se ne erano andati. Rimaneva solo lui a fissare il soffitto del salotto, sdraiato sul divano. C'era voluto così poco per cambiare tutto ciò che lui aveva cercato di cambiare per anni e si diede dello stupido. Tutto ciò che aveva sempre voluto era a portata di mano, ora era libero davvero.
Prese il proprio cellulare e scorse la rubrica sino al nome “Anna” e premette istintivamente “chiama”.
- Teo? Oh beh, chi non muore si rivede! -
- Sei libera? -
- E' l'una di notte e tu abiti ad un'ora da casa mia -
- Sarò lì tra meno di tre quarti d'ora -
- Non ti fai sentire da due anni, cazzo! -
- E' un “non venire”? -
- E' un “muoviti, idiota” -
- Arrivo -
Chiuse la chiamata e si accorse di aver ricevuto nel frattempo un messaggio. Entrò nella sezione “
Ricevuti” e gli si gelò il sangue.
Mel: << Chiamami, ora >>
Fece un sospiro profondo e lanciò il cellulare nella poltrona davanti a se. Non aveva intenzione di sentirla, di parlarle, di sentirne la voce. Poi vide lo schermo illuminarsi nuovamente con la scritta lampeggiante “
Chiamata in entrata: Mel”.
- Scusa, stavo dormendo, dimmi Mel -
- Eri sveglio -
- Dormivo
- Cosa c'era tra noi, prima dell'incidente, Teo? -
Ed ecco, Eva piano piano tornava ad uccidere.

 

 

<< Teo, tu credi nella reincarnazione? >>

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Capitolo 13
*** Live, that's all you can ***


Aspettò circa cinque secondi prima di deglutire e rispondere fingendo una voce disinteressata chiedendo “in che senso?”. Si sentì pronto a chiudere la conversazione non appena avesse ricevuto una qualche domanda imbarazzante, ma quando capitò si limitò a chinare il capo.
- Ti amavo? -
- Tutti i fratelli si amano, alla fin fine, no? -

- Ti amavo, Teo? -
Si costrinse ad allontanare il cellulare dall'orecchio e premere “fine conversazione” l'attimo dopo aver detto “no” e si prese il capo tra le mani. Mel continuava a chiamarlo anche al telefono di casa e si decise a staccare la spina.
Non credeva possibile che stesse ricapitando, ancora e così velocemente.

 

  •  - Mel, non mi hai ancora detto chi riconosceresti... -
    - Perchè è ovvio, no? -
    - Lo fosse, non lo chiederei! -
    - Te, riconoscerei sempre te... -

 

Indossò velocemente le scarpe da ginnastica e prese dal tavolo in cucina le chiavi della macchina. Uscito di casa venne colpito da un'afa soffocante e dovette ricordarsi il motivo per cui stava partendo di notte, per convincersi a non tornare indietro dove lo aspttava l'aria condizionata.
Non vedeva Anna da molto tempo. Era sempre stata la tipica ragazza perfetta, senza alcun difetto e se non fosse stato per Mel, probabilmente la storia con lei sarebbe andata avanti per molto. Aveva un corpo slanciato, ben tornito e tonico. I lunghi capelli biondi -naturali- incorniciavano il suo viso da bambina e gli occhi color miele erano in grado di farla sembrare seducente solo con uno sguardo. Ed il seno, la sua quarta abbondante, era solo un altro dono che ne valorizzava maggiormente la figura. Assaporò il momento in cui quella notte l'avrebbe avuta ancora e accellerò di poco. Avrebbe potuto ricominciare con lei. Mel non c'era più nella sua vita. Non sarebbe più piombata a casa sua all'improvviso costringendolo a rimandare gli appuntamenti che organizzava con Anna. Quei tre mesi in cui era stato fidanzato con lei erano da dimenticare per non sbagliare ancora.
Guardò il cellulare appoggiato sul sedile accanto a se e notò di aver appena ricevuto un messaggio. Già sapeva il mittente.

<< Sto venendo da te >>
<< Non sono a casa, sono appena uscito >>
<< Ho le chiavi, ti aspetterò lì... >>
Ripartì con la macchina e prima di rispondere aspettò di arrivare ad un altro semaforo rosso. Usava quella come scusa per ragionare. Avrebbe potuto dirle che passava la notte fuori? Sì, dannazione, sì!
<< Passo la notte da una, fai prima a lasciar perdere... >>
Il messaggio di Mel arrivò dopo più di dieci minuti in cui si stava convincendo di aver fatto bene ad essere sincero.
<< Non farlo, torna a casa Teo >>
<< Stai male? >>
<< Credo mi dia fastidio... >>
Non rispose più. Maledicendo ed imprecando contro cellulare, sua sorella, Andrè, se stesso.

- Sei puntuale – disse la voce al citofono – sai già il piano -.
Salì le scale e si fermò davanti la porta di casa di Anna. Sentì il cellulare vibrargli nella tasca ma non ci fece caso, dicendosi che avrebbe controllato poi. Bussò e venne accolto da lei in slip rosa e maglia dei Gun's and Roses nera con il logo delle due pistole. Le aveva sempre riconosciuto un ottimo gusto in quanto a gruppi musicali.
- Mi lasci entrare? -
- Sì, certo, fa pure – disse lei annuendo con il capo e stroppicciandosi le mani. Era nervosa.
- Scusa per non essermi più fatto sentire... -
- Io... Ti faccio un caffè, ok? - e vide la ragazza dirigersi verso la cucina senza neanche aspettare una sua risposta. Disse di sì, ma avrebbe anche potuto stare in silenzio. Sorrise lievemente nel vederla più impacciata di quanto ricordasse e la prese per una spalla. La sentì sussultare e bloccarsi di colpo.
“Faccio a lei l'effetto che Mel fa a me...”. Cercò di cancellare il pensiero appena formulato.
- Sei agitata... E' tutto ok, Anna -
Sentì il respiro della ragazza aumentare di poco e i suoi occhi diventare languidi. La bocca socchiusa e leggermente arrossata per la pressione del sangue che veniva pompato dal cuore gli fece capire che era completamente in balia a quello che lui avrebbe deciso di fare.
Si avvicinò alle sue labbra e poco prima di entrarvi a contatto si spostò verso il suo collo, dove passò dolcemente la lingua. Le mordicchiò il lobo dell'orecchio e la sentì contrarsi e ansimare. Strinse il suo corpo contro di se facendole sentire la sua eccitazione e la attirò verso la camera da letto.
Quandò la vide stesa sul letto si rese conto di quanto Anna somigliasse a Mel. Nonostante i capelli e gli occhi di colore diverso, e il metro e settanta della prima confronto al metro e sessanta della seconda, erano davvero simili. Non lasciò tempo al cervello di elaborare un modo per evitare simili considerazioni che salì sopra alla ragazza baciandola con foga e passandole lievemente una mano tra le coscie. Sentendola umida premette un dito contro la stoffa degli slip e la vide inarcare di poco la schiena. Continuò a strofinare due dita sino a farla pregare “spogliami”.
Le tolse quel poco che aveva addosso e fece lo stesso con i suoi vestiti, presentandole davanti una forte erezione. Vide le mani di lei avvicinarsi all'asta e cominciare a muoversi
su e giù, su e giù. Le mise una mano dietro la nuca invitandola ad avvicinarsi con la bocca e questa non fece altro che aprirla eseguendo il tacito ordine impartito dal ragazzo. Come ricordava, era dannatamente brava. Succhiava e leccava con velocità ma, come se sapesse i punti più delicati, rallentava appena ne vedeva l'occasione per farlo impazzire. Ruotava con la lingua sulla punta e con le mani massaggiava i testicoli abbassandosi a volte per insalivarli.

La spinse indietro facendola ancora stendere sul letto e si posizionò tra le sue gambe divaricate, scendendo prima a mordicchiarle i capezzoli.
 

<< Credo mi dia fastidio... >>

 

Con una spinta troppo forte la penetrò e la sentì urlare, riconoscendo un grido di dolore e non di piacere. Si bloccò immediatamente guardandola in volto e continuò a spingere non appena vide che i muscoli del corpo di lei si stavano rilassando. Le poggiò un dito sul clitoride e lo massaggiò, venendo poco dopo avvinghiato dalle sue braccia.
 

<< Ti amavo, Teo? >>

 

Baciò Anna con tutta la forza che aveva in corpo, facendola girare poi a pancia in giù e riprendendo a penetrarla con ancora più vigore. Lei, da canto suo, dava leggere spinte all'indietro continuando a gemere e dare piccoli urletti di godimento. Cercò più volte di prendere la mano di Andrè, ma ogni volta lui trovava il modo per evitare qualsiasi contatto simile.

 

<< Torna a casa... >>

 

- Usi ancora la pillola? - chiese con voce roca mentre un rivolo di sudore gli scendeva dalla tempia. La vide annuire.
Non ci volle molto tempo perchè le venisse dentro inarcandosi e stringendola ancora di più a se.
Andarono avanti così altre quattro ore, tra una pausa e l'altra. Tra mani che non si intrecciavano, ricordi, gemiti sottomessi, baci dolorosi e graffi sulla schiena.
- Puoi restare qui ancora un po', se vuoi... -
- Devo andare, scusa -
- Ancora lei? -
- Mel non c'entra, no -
- Quella ragazza prova per te un qualcosa di malato Teo, forse dovresti allontantarla... Te lo dissi anche tempo fa... -
Si infilò entrambe le scarpe,sistemandosi con le mani i vestiti e lanciandole un'occhiata cattiva. Rendendosene conto si girò dalla parte opposta e rispose freddamente: - ho detto che Mel non c'entra. Ora vado. -
Si ricordò del messaggio ricevuto ore prima e che non aveva neanche aperto.
<< Ho
bisogno di te... >>

Si precipitò fuori di casa dicendo “ti chiamo io”. Lei sapeva che lo avrebbe fatto. Ne era certa. Il problema era solo il quando.
Entrò in macchina dicendosi da solo di calmarsi e partì andando a tutta velocità. Le strade vuote gli consentivano di passare agli incroci con il rosso, e di fregarsene dei segnali stradali. Fu a casa in mezz'ora e concluse da se che sicuramente i giorni a seguire avrebbe visto recapitarsi a casa una qualche multa.
Scese dalla macchina e ad ogni passo che lo avvicinava alla porta dell'abitazione sentiva l'agitazione aumentare. L'avrebbe realmente trovata lì? Tornò a leggere i messaggi per assicurarsi che non fosse stato tutto frutto della propria immaginazione.

Mise la chiave nella toppa e girò piano cercando di non fare rumore.
Mandorle e vaniglia.
Andò vicino al divano e la trovò lì, raggomitolata come una bambina, con ancora la t-shirt che usava per dormire, dei jeans così corti da sembrare culotte e i capelli trattenuti da una treccia morbida. Si mise in ginocchio davanti a lei.
- Scema... -
Vide gli occhi di sua sorella aprirsi e la bocca muoversi come se volesse dire qualcosa. Sentì l'abbraccio di lei, le sue braccia intorno al collo e il suo corpo schiacciato contro di se.
- La risposta è sì, Mel... -
- Anche tu? -
- . -

 

 

Spazio autrice:

Volevo solo togliere ogni dubbio e fare Capitan Ovvio. La parte finale dove lui allude ad una “risposta” si tratta della domanda fatta da Mel (“ti amavo, Teo?”). Ne viene da se il significato di quel “anche tu?” - “si”. Ok, ora ho l'anima in pace.

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Capitolo 14
*** Personaggi ***


Teo. Ecco, per me è esattamente così. Da quando ho cominciato ad ideare questa storia, ho sempre pensato a Louis Garrel come perfetto interprete di Teo. E' bello, ma non di quella bellezza sfrontata, e ha un espressione corrucciata che caratterizza il mio personaggio in tutto e per tutto. Sarà per il ruolo che aveva in The Dreamers, dove amoreggiava con la propria sorella? E' molto molto probabile.  Alto 1.83 cm, fisico ben definito di natura, occhi e capelli scuri.  Innamorato di sua sorella, anche se inizialmente non lo ammette ed ha paura di sbagliare tutto con lei, e con un passato da alcolizzato.  Ha costretto Mel a lasciarlo solo per un anno dopo averla baciata con violenza da ubriaco, e studia Politica Internazionale all'università, dove conosce Anna, ragazza bellissima con cui sta solo tre mesi -durante i quali sua sorella, dopo essere tornata ad abitare con lui, lo costringe a  far saltare ogni appuntamento con questa pur di stare lei con lui. Ahhh, la gelosia, questo mostro dagli occhi verdi!-. Orfano di entrambi i genitori. Dopo che Mel perde la memoria decide di rinunciare al suo amore per lei, pur di farle avere una vita normale con Andrè.

TEO:
Ecco, per me è esattamente così. Da quando ho cominciato ad ideare questa storia, ho sempre pensato a Louis Garrel come perfetto interprete di Teo. E' bello, ma non di quella bellezza sfrontata, e ha un espressione corrucciata che caratterizza il mio personaggio in tutto e per tutto. Sarà per il ruolo che aveva in The Dreamers, dove amoreggiava con la propria sorella? E' molto molto probabile.
Alto 1.83 cm, fisico ben definito di natura, occhi e capelli scuri.
Innamorato di sua sorella, anche se inizialmente non lo ammette ed ha paura di sbagliare tutto con lei, e con un passato da alcolizzato.
Ha costretto Mel a lasciarlo solo per un anno dopo averla baciata con violenza da ubriaco, e studia Politica Internazionale all'università, dove conosce Anna, ragazza bellissima con cui sta solo tre mesi -durante i quali sua sorella, dopo essere tornata ad abitare con lui, lo costringe a far saltare ogni appuntamento con questa pur di stare lei con lui. Ahhh, la gelosia, questo mostro dagli occhi verdi!-.
Orfano di entrambi i genitori.
Dopo che Mel perde la memoria decide di rinunciare al suo amore per lei, pur di farle avere una vita normale con Andrè.



Ma quanto è bella questa modella? Secondo me è Mel. Dovrebbe chiamarsi Mel anche nella realtà, ecco. Forse avrei dovuto mettere un'immagine dove sorrideva e ci avevo seriamente riflettuto sul farlo, però questa è ottima. E' bella, aggraziata e mi da la sensazione di essere in lotta, con quello sguardo.  Silenziosa, introversa e fredda con chiunque al di fuori di suo fratello, con cui al contrario è sfacciata e tenta in ogni modo di tentarlo. Innamorata di lui da sempre, e non manca di farglielo notare anche a costo di sentirsi rifiutata.  Alta 1.60 cm, seno non troppo abbondante ma fisico perfetto e minuto. Non pratica attività sportiva, se non pallavolo durante durante l'ora di educazione fisica a scuola e corsa. In seguito alla perdita di memoria causata dall'incidente, viene convinta ad amare Andrè e a vivere con lui -all'oscuro del fatto che in realtà già ci viveva-, ma piano piano comincerà a rendersi conto che qualcosa non quadra nel rapporto con Teo. (“Tu credi nella reincarnazione, Teo?”) Orfana di entrambi i genitori.

MEL:
Ma quanto è bella questa modella? Secondo me è Mel. Dovrebbe chiamarsi Mel anche nella realtà, ecco. Forse avrei dovuto mettere un'immagine dove sorrideva e ci avevo seriamente riflettuto sul farlo, però questa è ottima. E' bella, aggraziata e mi da la sensazione di essere in lotta, con quello sguardo.
Silenziosa, introversa e fredda con chiunque al di fuori di suo fratello, con cui al contrario è sfacciata e tenta in ogni modo di tentarlo.
Innamorata di lui da sempre, e non manca di farglielo notare anche a costo di sentirsi rifiutata.
Alta 1.60 cm, seno non troppo abbondante ma fisico perfetto e minuto. Non pratica attività sportiva, se non pallavolo durante durante l'ora di educazione fisica a scuola e corsa.
In seguito alla perdita di memoria causata dall'incidente, viene convinta ad amare Andrè e a vivere con lui -all'oscuro del fatto che in realtà già ci viveva-, ma piano piano comincerà a rendersi conto che qualcosa non quadra nel rapporto con Teo. (“Tu credi nella reincarnazione, Teo?”)
Orfana di entrambi i genitori.



Che dire? Fosse il mio vicino di casa gli chiederei spesso il sale, lo zucchero o qualsiasi altra cosa. E questo lo dico nonostante non sia una grande amante di Andrè. Ma sono di parte, io tifo per la coppia principale, come credo sia ovvio. Comunque, ho scelto lui perchè ha l'aria da bravo ragazzo ma anche da “più bello della scuola”. Innamorato di Mel e disposto a sopportarne capricci e tradimenti.  Insistente e deciso in quello che vuole e disposto ad aspettare quattro mesi anche solo per un suo saluto. Alto 1.80 cm, fisico slanciato ma non troppo muscoloso. Vive con Mel da mesi, ma dopo la perdita di memoria di questa interpreta il tutto come un nuovo inizio.  E' in continua lotta con Teo dopo aver capito il rapporto incestuoso che vi è tra lui e la sua ragazza.

ANDRE':
Che dire? Fosse il mio vicino di casa gli chiederei spesso il sale, lo zucchero o qualsiasi altra cosa. E questo lo dico nonostante non sia una grande amante di Andrè. Ma sono di parte, io tifo per la coppia principale, come credo sia ovvio. Comunque, ho scelto lui perchè ha l'aria da bravo ragazzo ma anche da “più bello della scuola”.
Innamorato di Mel e disposto a sopportarne capricci e tradimenti.
Insistente e deciso in quello che vuole e disposto ad aspettare quattro mesi anche solo per un suo saluto.
Alto 1.80 cm, fisico slanciato ma non troppo muscoloso.
Vive con Mel da mesi, ma dopo la perdita di memoria di questa interpreta il tutto come un nuovo inizio.
E' in continua lotta con Teo dopo aver capito il rapporto incestuoso che vi è tra lui e la sua ragazza.


 

Non ero così sicura di aggiungere anche Anna, ma probabilmente non sarà solo un personaggio di margine, non saprei. Comunque lei -boh, è Hilary Duff? - mi sembra molto adatta e rispecchiante la descrizione. Non ho mai pensato troppo a come me la immaginavo... Però credo sia accettabile, ecco. Ex ragazza di Teo -con cui vi è stata solo tre mesi-. Dà la colpa della fine del loro rapporto a Mel, in quanto a parer suo questa prova per il fratello un amore malato.  Intelligente, una delle migliori studentesse dell'università frequentata da Teo. Alta 1.70 cm, fisico disegnato alla perfezione -non so che sport pratica, lo scoprirò poi-, quarta abbondante di seno, bionda naturale. Amava Teo, ora non si sa, nonostante la notte passata con lui dopo non averlo sentito per molto tempo. Ottimi gusti musicali.

ANNA:
Non ero così sicura di aggiungere anche Anna, ma probabilmente non sarà solo un personaggio di margine, non saprei. Comunque lei -boh, è Hilary Duff? - mi sembra molto adatta e rispecchiante la descrizione. Non ho mai pensato troppo a come me la immaginavo... Però credo sia accettabile, ecco.
Ex ragazza di Teo -con cui vi è stata solo tre mesi-. Dà la colpa della fine del loro rapporto a Mel, in quanto a parer suo questa prova per il fratello un amore malato.
Intelligente, una delle migliori studentesse dell'università frequentata da Teo.
Alta 1.70 cm, fisico disegnato alla perfezione -non so che sport pratica, lo scoprirò poi-, quarta abbondante di seno, bionda naturale.
Amava Teo, ora non si sa, nonostante la notte passata con lui dopo non averlo sentito per molto tempo.
Ottimi gusti musicali.

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Capitolo 15
*** So far away ***


E per una volta lasciò che sua sorella potesse arrivare da sola alle conclusioni, senza bloccarla, senza dirle “no, non è come pensi”. La sua coscienza gli continuava ad urlare nelle orecchie nel cervello e nel cuore di lasciarla libera. Era come se l'involucro esterno avesse vita propria, e non rispondesse ai comandi degli organi principali. Lasciava che sua sorella lo fissasse con quello sguardo incuriosito e spaventato, senza voltare vigliaccamente lo sguardo. L'avrebbe baciata, e di questo ne era certo. Era anche sicuro che l'iniziativa sarebbe stata sua di lei.
- Quindi noi... Stavamo insieme? -
Sembrò pensarci prima di rispondere: - Insieme? No, non credo che potessimo descriverci una coppia. -
- Ma ci amavamo, giusto? -
- Tu mi amavi, io non te lo dissi mai. Facevamo sesso, anche se cercavo spesso di evitarlo. -
Mel girò leggermente il capo di lato corrugando la fronte. Per qualche secondo sembrò riflettere su ogni parola detta, poi rilassò le spalle e sorrise.
- Ora però lo hai detto! -
Sentì l'orrore di quella realtà scivolargli lungo la spina dorsale e irrigidirgli i muscoli. La paura fece capolino davanti a se e aveva l'aspetto slavato di una ragazza di vent'anni spettinata e assonnata. Rigettò l'idea di contraddirsi da solo e mentire ancora. Fece cenno d'assenso con il capo e mantenne l'espressione seria.
- Io non voglio più stare con Andrè... - confessò Mel abbassando lo sguardo.
- Perchè? -
Il brivido si ripresentò lungo la schiena appena sua sorella rispose “io amo te”.
Si alzò in piedi raggiungendo la cucina. Prese la moka del caffè e svuotò il filtro facendolo battere un po' sul lato del cestino, dopodichè lo lavo accuratamente, rimanendo sotto l'acqua tiepida per molto più tempo del necessario. Lo riempì, aggiungendo poi il caffè e accendendo il fuoco. E aspettò. Come sempre. Per un attimo fece una strana accostazione di idee “caffè-sorella”. Si era messo d'impegno per lavare e preparare quella bevanda così come aveva fatto cercando di crescere lei. Entrambi erano infondo due eccitanti e se presi a dosi maggiori del necessario, dannosi.
Si voltò verso la ragazza ancora seduta a terra con la schiena poggiata contro il divano e non la riconobbe. Lo sguardo basso a fissarsi le ginocchia, i capelli scompigliati e l'espressione insopportabilmente arresa sul volto. Lei, Mel, era confusa.
Pensò a non troppo tempo prima, quando era lui ad esserlo, quando uno solo sguardo di sua sorella era in grado di farlo smettere di ragionare. Aveva perso tutto con quell'incidente. La possibilità di una vita normale sembrava essersi comunque allontanata, nonostante i suoi tentativi di resistere e le sue bugie per spingerla tra le braccia di Andrè. Ora di lei rimaneva un contenitore con un miscuglio di sentimenti, sensazioni e paure.
“Sorridi sempre” ormai sembrava essere una stupida frase di circostanza e non più la base della sua vita, del suo modo di essere. E non aveva il coraggio di spiegarle tutto da capo, ancora. Aveva provato solo una volta in seguito all'incidente e omettere le parti più dolorose sembrava essere stata la scelta migliore. Lei non avrebbe mai saputo nulla più del necessario della loro vita precedente.
Versò il caffè in due tazze e tornò accanto a Mel.
- Non credo che lasciare Andrè sia una buona idea -
- A te lui neanche piace, Teo... - e si voltò piano verso suo fratello sorridendo sommessamente.
- Non sono io che devo starci, infondo. Rimani con lui -
- Non lo amo. Davvero vuoi questo per me? - chiese scivolando sul pavimento sino ad appoggiare il capo sul cuscino.
- Se lo lascerai, comunque non staremo insieme... - ammise Teo fissandosi le mani con falso interesse.
- Lo so, so che non vuoi neanche quest'altra alternativa... -
Fece un sospiro lungo. Ripensò a tutto ciò che era successo in quel periodo. Era stato così sicuro di non amarla, di non provare per lei nient'altro che affetto e attrazione sessuale, così sicuro di volerla abbandonare al suo male noncurante del resto. Così sicuro di volersi riprendere la propria vita, una vita dove lei non era calcolata.
L'aveva detestata così tanto che ora trovava inspiegabile l'essere lì, seduti entrambi sul pavimento del salotto a parlare del loro futuro-non-insieme come se fosse la rincuncia al Paradiso, e non la rivincita per l'insistenza passata di lei nel voler stare con lui. Era distrutta e la vedeva annegare tra i suoi pensieri.
- Vorrei che tu potessi sapere cosa eravamo prima, forse. Che tu ricordassi almeno una piccola parte di tutto ciò che siamo stati. -
- Mi dispiace... -
- Non è colpa tua, scema – e le scompigliò i capelli guidandole poi il capo contro la propria spalla. Avrebbe voluto tenerla così tutta la notte, raggomitolata contro di se. Se non fosse stata sua sorella, davvero non avrebbe voluto avere alcuna relazione con lei? E se ciò che provava fosse stato solo un sentimento amplificato dalla condizione in cui si trovavano?
- Teo? -
- Sì? -
Lasciò che sua sorella si sottraesse alla lieve stretta e la vide posizionarsi in ginocchio davanti a se. Lesse il labbiale senza alcun bisogno di ascoltare le parole sussurrate. “Ti amo”.
- Come puoi esserne sicura? Infondo per te sono quasi uno sconosciuto da dopo l'incidente... - e sentì le proprie parole prendere le sembianze di un pugno allo stomaco.
- Ora, con te, io sono a casa. -
Lo squillo del cellulare di Mel interruppe la conversazione facendoli sobbalzare entrambi. Svogliatamente andò gattonando fino a raccogliere il telefono infondo alla stanza e si sedette a gambe incrociate fissando lo schermo. Chiamata in entrata: Andrè.
- ... Perchè ti sta chiamando alle sei di mattina? -
Mel alzò il capo trovando gli occhi di Teo fissi sull'oggetto che teneva in mano. Vide una piccola rottura, una crepa, dentro suo fratello. Scosse il capo.
- Sa che sei qui? -
Non ricevette risposta, se non l'abbassarsi del capo.
- Mel... Perchè ora? -
- Si starà chiedendo perchè non sono a letto con lui immagino. Ma prima che tu possa dire qualsiasi cosa, sappi che gli ho lasciato un biglietto! - ammise la ragazza giocherellando con le mani che aveva in grembo.

- Sei una stupida, cazzo! Una stupida! - sbottò Teo guardandola dall'alto in basso. Sicuramente Andrè sapeva che Mel era lì, così come era altrettanto sicuro che fosse già in macchina per andare a riprenderla. - Quando arriverà, cosa credi di dirgli, eh? -
Vide la sorella alzarsi a fissarlo. Ancora non era alla sua altezza ma era già un miglioramento. Notò la rabbia e l'incazzatura farsi avanti e per un momento ebbe il tempo di stupirsi e pensare a quanti lati del suo carattere non aveva mai dato spazio prima di uscire. A quanto si fosse dovuta trattenere sorridendo e basta. E si stupì di vedere per la prima volta in vita sua quell'espressione sul suo volto.
- Non abbiamo fatto niente di male! - urlò puntando bene i piedi a terra e scagliandosi a pochi centimetri dal volto del fratello – siamo fratello e sorella, cazzo! E' normale che se ho dei brutti momenti vengo da te a sfogarmi! - e si avvicinò ulteriormente, stringendo tra le mani la stoffa della maglia di Teo. - E'... E' normale... No? E' normale... Sì... -
Avrebbe pianto e lui non era sicuro di essere in grado di sopportarlo in quel momento in cui sentiva la stanchezza e la pesantezza di giorni, mesi e anni gravargli sulle spalle. Non avrebbe retto alle lacrime della sorella. Le mise una mano dietro il capo e glielo spinse contro, facendole poggiare la fronte al torace, cingendole le spalle con l'altra mano.
- E' normale Mel, hai ragione, è normale... -
Le mani di lei strinsero più forte la presa per qualche istante, poi le lasciò scivolare lungo la schiena del fratello, stringendolo come se fosse l'unica cosa che potesse farla respirare.
Rimasero per così, fermi. Lei capace di piangere in silenzio, e lui incapace di non sentire. La spostò un po' per guardarla in viso e le alzo il mento con l'indice. Sapeva che aveva violentato se stesso standole lontano. Non stringendola, baciandola, non vedendola per più di due settimane. Ricordava la sensazione di astinenza, l'amaro della consapevolezza e l'acidità della realtà. Ricordava ogni singola cosa. E riconosceva il momento di cedimento ormai, e sapeva che stava facendo crollare tutto. Ancora poco e si sarebbero baciati, dicendo addio per l'ennesima volta alle loro -sue- fatiche.
- Anche questo è... Normale, quindi? - chiese lei senza sottrarsi alla presa del fratello.
- Possiamo fermarci qui, non abbiamo ancora fatto nulla... -
- ... Resterei nella mia innocenza -
Ed ora, con un ribaltamento inaspettato delle parti, era lui Eva, era lui a tentare un Adamo al femminile ancora rivestito di purità. E Dio era in strada per raggiungerli e separarli. Si chiedeva quando li avrebbe lasciati andare, quando avrebbe smesso di accettare i loro continui morsi a quella mela e li avrebbe cacciati dall'Eden.
- Sì -

Gli dava possibilità di scelta. Faceva ricadere su di lei ogni responsabilità, preparandosi sia per una che per l'altra eventualità. Se si fossero baciati sarebbe stata la rottura della promessa di lasciarla fuori da tutto quello schifo. In tal caso, sarebbe davvero stato in grado di perdonarsi? Non gli importava, non era abbastanza importante in quel momento. Al contrario, se si fosse rifiutata e tirata indietro l'avrebbe capita, così come avrebbe capito di aver perso sua sorella.
- Cosa devo fare, Teo? -
- Tu, cosa vuoi fare Mel? -

Avvertì sul proprio petto le mani della sorella a palmi aperti che con una leggera resistenza lo spingevano lontano. Rilassò le proprie braccia lasciandola libera di muoversi.
- Forse dovrei andarmene... Andrè si starà preoccupando -

- Sì, hai ragione... Vado a prenderti una maglia, credo che fuori piova... -
Si allontanò dal corpo di lei forse troppo velocemente, ma non gli importò. Salì le scale misurando la velocità del passo così da non farle capire la sua frustrazione, per poi ripararsi dietro il muro in cima, appoggiandosi alla parete.
L'aveva persa. Il momento in cui lui sarebbe stato disponibile a cedersi con tutto se stesso, il momento in cui aveva ammesso a se stesso liberamente di essere pronto ad accettare le conseguenze di tutto, lei lo respingeva. Lei che per anni lo aveva rovinato. Lo aveva portato ad essere un peccatore, ed ora era “il” peccatore. L'unico.
Cercò di razionalizzare la cosa, sezionando gli eventi e guardando la situazione dal di fuori. La capiva: doveva capirla. Mel aveva deciso la cosa migliore per entrambi, e lui non era stato capace.
Si diresse verso l'armadio in camera tirandone fuori una felpa nera con zip e uscì dalla stanza lasciando la porta aperta come l'aveva trovata.
Era ancora al primo gradino quando si accorse che sua sorella non era più in salotto. E lo sapeva, era certo, che non fosse neanche più in casa.
Si sedette su quel gradino, e pianse.

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Capitolo 16
*** Late Goodbye ***


Guardò così spesso nello specchietto retrovisore della macchina di Andrè che si chiese se quella fosse la volta buona che memorizzava ogni singolo particolare della strada che stava percorrendo, e che percorreva da anni. Le salì la nausea a pensare che non poteva essere suo quel pensiero. Lei non sapeva se aveva mai imparato i particolari di quella strada, era solo una delle tante informazioni “di base” che le avevano propinato.
Aveva fatto la scelta migliore, quella più giusta. Quella che le avrebbe permesso di continuare a vederlo. Non avrebbe rischiato un giorno di svegliarsi e trovare la polizia alla porta. Non avrebbe dato a nessuno le chiavi della propria cella con un ottimo motivo per spedirci dentro lei e suo fratello.
Avrebbe continuato a guardare Teo da lontano, accarezzandone l'ombra e amandone il pensiero.

Il cellulare squillò per la centesima volta e si decise a rispondere.
- Ci sono, ci sono... -
- Ora, ci sei ora. Eri da lui, vero? -
- Sto tornando da te, no? - disse evitando di avvertire il magone in gola. Cercando di camuffare la voce e di sacrificare se stessa per un qualcosa che forse le avrebbe portato un futuro migliore. Forse, forse.
- Non vederlo più. Non farlo. -
Chiuse la conversazione senza rifletterci troppo su. Sapeva benissimo cosa doveva e non doveva fare, senza che lui glielo ricordasse. Si chiese se le scelte che aveva fatto sino a quel momento fossero sempre state così dure o se quella era un prova di maggiore impatto.
Erano passate due ore dalla sua partenza quando accostò la macchina e posò la fronte contro il volante. Il respiro divenne più affannoso e avvertì nuovamente quella sensazione forte e precisa di nausea. E lì, come uno strisciante e taciturno serpente avvertì un ricordo poco preciso. Lui, Teo, sul cornicione di un edificio che non era sicura di riconoscere. Sentiva le sensazioni lasciarle una bava appiccicaticcia addosso -sudore-, e cercò di interrogare maggiormente il momento che stava rivivendo. Lei era lì, lo vedeva così vicino dal buttarsi. Lo vedeva piangere e non sapeva perché.
“Teo... Smettila, smettila, basta!”, urlava. “Scendi, ho bisogno di te”, continuava insistendo, “scendi, Teo, ti amo”.
Sentì il rinculo della propria anima, la quale si spezzava, distruggeva, aggiustava, deteriorava, assemblava, con una velocità disarmante.
Provò a rialzare il capo ma venne nuovamente pervasa dai suoi mali che sembravano volerle spaccare il corpo in due lacerandola dall'interno. Aveva avuto già prima dei ricordi ma era sempre riuscita, bene o male, a controllarli. Non si era mai ridotta a piangere e urlare in macchina, sul bordo della strada.

Voltò piano, pianissimo, la testa verso il cellulare che aveva estratto dalla tasca, senza neanche ricordarsi quando ve l'avesse riposto, e fece per comporre il numero di suo fratello. Si bloccò lanciando un urlo che la fece piegare in due. Ebbe a malapena l'accortezza di volgersi verso lo specchietto retrovisore e notare che la strada era troppo trafficata. Si distese lungo il sedile del passeggero e aprì lo sportello che dava verso una radura, uscendo con la testa quel tanto che bastava per vomitare e vomitare e vomitare.
Richiuse la macchina e riprese a piangere. Ricordò una donna che le parlava di amore e preghiere, di suo fratello e i suoi genitori.
E la stessa donna che le aveva parlato dell'amore fraterno poi le aveva anche detto che lei e Teo vivevano nel peccato.
Ricordò quando lei, da piccola, veniva stretta da suo fratello. Un miscuglio, un cumulo, un disastro di ricordi e di macerie che si scaraventavano disordinatamente contro la sua scatola cranica e trovavano come unica via d'uscita la sua bocca, e in mancanza delle parole adatte la facevano urlare e pregare silenziosamente di smettere.
“Sorridi, sempre” fu una di quelle frasi che si rincorrevano nella sua testa senza un significato da attribuirgli.
Riprese a vomitare.
Aspettò cinque minuti sempre nella stessa posizione e riprese il cellulare con una difficoltà irritante.
Avrebbe dovuto chiamare Andrè, dirgli “sono per strada, sto male, vieni qui” e aspettarlo. Non fu così.
- … Hai dimenticato qualcosa qui? -
E non rispose. Trattenendo l'impulso di sembrare così smielata da urlargli “il mio cuore”, e sopratutto l'impulso di riprendere a piangere e vomitare.
- Mel? Cosa vuoi? -
Ancora silenzio, se solo avesse tentato di aprire la bocca per parlare i suoi mostri avrebbero afferrato l'ottima occasione per squarciarla in due lì, in quel momento. Se solo li avesse conosciuti meglio, quei mostri che erano solo ed esclusivamente suoi.
- Devo raggiungerti? -
Fece cenno di sì con il capo rendendosi conto che lui non poteva vederla.
- Sento che respiri, so che sei lì e che mi stai ascoltando. Dimmi se devo raggiungerti, Mel -
E lo fece. Aprì la bocca, anche se di poco, giusto per dire “sì, Teo, sì”. Avvertì che le ripercorrevano la pancia, la schiena, il cervello, su per la gola. Ed ecco che si presentavano nuovamente al mondo, i suoi mostri. E pianse, pianse ancora e ancora fra un “sì” e un “aiutami” e un “ti prego, vieni qui”, mentre stringeva tanto saldamente il volante della macchina da rendere bianche come latte le nocche delle mani.
Capì che l'unico che poteva farla smettere era l'unico che l'aveva fatta iniziare.
E capì quanto erano stati crudeli, l'un l'altro.
Come si può insegnare ad amare così tanto, così forte, così male, così difficilmente, e poi non insegnare anche a proteggersi da un amore tanto disorientante? E' crudele, crudele, sì.
Rimase ferma in auto, indecisa se frugare o meno nella sua mente alla ricerca di qualcosa che in quel momento non chiedeva altro che uscire allo scoperto per abbagliarla, ucciderla, straziarla.
Aspettò che arrivasse facendo come le aveva detto lui poco prima di riattaccare per raggiungerla: “non muoverti, sto arrivando. Se stai peggio chiama un'ambulanza nel frattempo”, spostandosi sui sedili dietro.
E lui arrivò, trovandola raggomitolata lì, probabilmente addormentata. Maledì lei e se stesso. Dormire a lato della strada era una delle cose più sciocche che avesse mai fatto. Le bussò sul finestrino facendo sì che lei si svegliasse e gli aprisse la portiera.
- Cosa è successo? -
- Non mi chiedi perché me ne sono andata? - chiese lei appoggiando il capo contro il poggiatesta.
- Se ha a che fare con il tuo stato attuale, te lo chiedo, sennò faccio a meno -
E lei sorrise, lasciando intravvedere il volto di una ragazzina ingenua nascosto dalla frangia e dai capelli disordinati. - Sei sempre così perfetto, Teo... Ti odio, sai? -
- Ti odio anche io, a volte... -
- Non abbastanza, mai abbastanza. Non puoi odiarmi più di quanto mi ami, perché tu sei fatto così... Sei sbagliato, sbagliato... - e volse lo sguardo verso fuori, non mostrandosi a lui.
- Mi hai chiamato per dirmi questo? - tagliò corto lui irritandosi. - Piangevi, urlavi, dimmi che hai e basta, o torno a casa mia. -
- Stai male? - e si girò a guardarlo negli occhi. Le sembrò che le pupille di suo fratello si rimpicciolissero a sentire la domanda.
- Sei tu quella che stava qui a distruggersi, non io... - e abbassò lo sguardo per poi rialzarlo l'istante successivo.
- Ho paura, Teo... Se ora rimanessi con te, sarebbe per sempre, e per sempre è tanto tempo. E... - deglutì e provò ad assaggiare il gusto della propria saliva – … Non pensi mai che sarebbe un “per sempre” molto breve? -
Rimase in silenzio, senza alcuna certezza di aver capito cosa intendesse dire sua sorella. Parlava di amore, morte forse, paura, dolore, e tutto cominciava ad assomigliare ad una tragedia degna di uno spettacolo dell'Antica Grecia.
E la amava, anche in quel momento in cui lei parlava di cose che non voleva ascoltare. Anche in quel momento, l'amava.
- Devi andare da Andrè, Mel. Abbiamo due macchine, se vuoi posso seguirti con la mia fin da lui per assicurarmi che il viaggio vada bene e tu non abbia più... Problemi -
Sentì le lacrime cominciare a punzecchiarle gli occhi ma riuscì a vincerle. Il passo seguente sarebbe stato parlare, una cosa alla volta.
Fece tre tentativi prima di riuscire a parlare senza mostrarsi ferita.
- Vado da sola -
Si complimentò con se stessa per il successo e sorrise, a fatica. Sapeva che lui sapeva. Sapeva che in faccia doveva aver scritto “se mi uccidevi, mi facevi meno male”, ma aveva ragione Teo: dovevano lasciarsi e basta. Ed era un bene che lui non avesse insistito per accompagnarla. Doveva farcela da sola.
Era arrivata addirittura a metà strada prima di crollare e chiamarlo. Lui le stava dando la possibilità di continuare anche l'altra metà, di portare a termine i suoi buoni propositi. Doveva essere forte e basta. Amarlo, e basta. Lasciarlo, e basta.
E basta. E doveva farsi bastare quel “e basta”.
Lo vide scendere dalla macchina e avviarsi verso la propria.
Avrebbe voluto scendere anche lei, raggiungerlo, baciarlo, tornare a casa con lui. E invece rimase lì, limitandosi a passare nel posto del guidatore. Accese il motore e partì, di nuovo, in compagnia del cellulare accanto a se che ininterrottamente vibrava mostrando sul display “Chiamata in entrata: Andrè”.

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Capitolo 17
*** Questo, fu il mio amore ***


This was my worst love,
you'll be the first to go,

and when she leaves you for dead,
you'll be the last to know.”

 

Tre anni a seguire.

 

- Mel, lascia andare il gatto! -, sbraitò Andrè entrando nella stanza pronto a separare la ragazza dal cucciolo che da poco più di un mese si erano presi in casa, - è piccolo, ha bisogno di dormire! -
- Ma che palle che sei! Quando sei tu a coccolarlo però, nessuno può dire “a” che subito ti metti sulla difensiva! - protestò lei girandosi stizzita dall'altra parte dandogli così le spalle.
- Oh beh... Allora se sei così arrabbiata, credo non avrai assolutamente voglia di andare al centro commerciale a scegliere il tuo regalo di compleanno... - e un sorrisino compiaciuto si disegnò sulle sue labbra vedendo l'irrigidimento delle spalle della propria ragazza, -... Giusto? -.
- … Beh, credo di poter dedicare un po' di tempo anche a te, visto che la causa richiede un particolare impegno da parte mia -
- Sei un'approfittatrice, altroché... - asserì Andrè appena si ritrovò le braccia di Mel attorno al collo. E la baciò gentilmente, prima sulla fronte, poi sulla punta del naso e infine sulle labbra.
- Vado a prepararmi, dammi cinque minuti e scendo – annunciò staccandosi dal corpo di lui. Sorrideva.
- Tra cinque minuti avrai al massimo deciso che reggiseno indossare, non prendermi per il culo illudendomi... -
Si disse che stavano davvero bene, in quel momento. Ormai erano passati tre anni da quando tutto era finito, da quando erano riusciti
insieme a superare tutto (a superare Lui).
Era stato orrendo il primo anno: pianti, litigi, urla, ricordi che continuavano a ridurla a letto con un catino per vomitare. Avevano fatto la conoscenza di almeno una decina di medici diversi e tutti riportavano la stessa identica frase: “la paziente non soffre di alcuna malattia fisica evidente, se non quella psicofisica” che era traducibile in “malata mentale”.
Il secondo anno, se possibile, era stato peggiore sotto il punto di vista della sopportazione mentale prettamente di Andrè. Chiedeva di Teo, sempre, ogni giorno. Ogni giorno si svegliava e appena lo vedeva si rattristava, e poteva leggerle in faccia la delusione per stare con lui e non con suo fratello. Si chiese come avesse fatto a resistere a quell'impulso straziante di chiamarlo, di andare da lui.
Quando pensò “chi mi assicura non lo abbia fatto?” decise anche di accettare tale idea passivamente, come si accetta che un bicchiere di vetro che cade a terra si rompe nel 99% dei casi.
E il terzo anno era la rinascita, l'espiazione delle colpe, i sorrisi, le giornate passate a parlare, i ricordi belli. Era loro, quell'anno, solo loro. In quell'anno
Lui non c'entrava più nulla.
- Sono pronta! -, annunciò una voce da infondo al corridoio. E la vide venire avanti. Indossava un vestito corto blu che evidenziava perfettamente ogni sua forma, compreso il seno che era aumentato almeno di due taglie. Risalì con lo sguardo dalle gambe affusolate magre e toniche, si soffermò sui fianchi involontariamente ondeggianti, salì sul seno conscio della propria espressione compiaciuta, avanzò verso il volto. Era sorridente, davvero sorridente. Gli occhi scuri ora non sembravano più minacciare chiunque le si avvicinasse. Era leggermente truccata, con un poco di rossetto color pesca.
E i capelli. I suoi capelli lunghissimi li aveva tagliati durante il primo anno: durante una crisi aveva preso una forbice e si era chiusa in bagno a
tagliare tagliare tagliare.
Quando era uscita con le ciocche in mano e gli occhi segnati da occhiaie e gonfi per le lacrime, lui era tornato a casa. Si guardarono un attimo prima di crollare entrambi a terra piangendo; lei vicina alla porta del bagno e lui alla porta di casa.
E piansero, appoggiandosi ognuno alla porta che aveva accanto.
Sfiniti. Persi. Sconosciuti.

Ora le erano ricresciuti e le arrivavano sino alle scapole, sempre scuri. E stava bene, sembrava più adulta così.
Ricordava ancora quando per la prima volta l'aveva vista, a scuola. Ricordava il volto imbronciato che sembrava suggerire “sono fottutamente incazzata con il mondo”. Ed ora, era lì. Stava con lei, con quella ragazza che aveva scelto quel giorno.
- … Andrè?! Ma mi stai sentendo? - chiese sbuffando lei mentre si raccoglieva i capelli in una coda, davanti allo specchio.
- Eh? Ah, sì, certo. Prendi le chiavi della macchina, arrivo subito! -
- Ma devi ancora dirmi dove andiamo -
- Dopo vedi! -
Si diresse per andare a cercare una felpa quando bussarono alla porta. E avvertì una fitta improvvisa, un qualcosa di non spiegabile ma formato da puro istinto.
Suono del campanello.

Tok. Tok. Tok.
Si girò e vide Mel avviarsi verso la porta.
- Ferma! Mel, apro io, credo sia per me! -, urlò anticipandola e lasciandola stupita, - è... E' per me, tranquilla, finisci di prepararti che sennò facciamo tardi, su -
- Andrè, e lasciami scemo, ormai sono pronta! -
E aprì, sorridendo.
E qualcosa in lei si ruppe. Ancora.
- Ciao, Mel -
E non rispose, solo fece scomparire ogni piegatura delle labbra rimanendo impassibile. Lasciò che Andrè le tenesse le spalle e la stringesse a sé più del dovuto. In quel momento, avrebbe lasciato che succedesse qualsiasi cosa.
- Mel, rientriamo, vatti a mettere una giacca. Fuori fa freddo. -, e fece per chiudere la porta prima che lei gli bloccasse il movimento e liberandosi dalla sua stretta si gettasse addosso al corpo di Teo.
- Mel! Smettila, smettila! - le urlò Andrè strattonandola per un braccio. - Smettila, basta, Mel! -
E Teo non parlava, guardava la scena come se fosse al di fuori. Reggeva il corpo della sorella mentre le si premeva contro il suo addome come se fosse di nuovo a
casa.
Vide le spalle di Andrè curvarsi e la rabbia offuscargli gli occhi. Riconobbe in lui un cambiamento profondo, che lo aveva reso capace di sostenere anche il suo sguardo. Si chiese cosa avesse dovuto sopportare durante quel periodo.
E la porta di casa si chiuse, lasciando fuori i due fratelli, mentre da dentro si sentivano le urla e i vasi rompersi a terra.
Rimasero così per un'ora. Lui fermo, lei tremante. Zitti.
- Mel... Mi sposo -
Si irrigidì. E la senti smettere di respirare. E le gambe piegarsi. Le unghie conficcarsi nelle sue braccia.
- Ok. Ok... -, continuò a dire annuendo con il capo. - Io... Devo andare da Andrè... Io abito qui... Abito con Andrè... Andiamo a prendere un regalo per il mio compleanno... Ora entro in casa, sì... -
E si raccolse, si tirò su, si riassemblò
. Si girò e bussò contro la porta, da prima piano e poi sempre più forte, senza dire nulla.
- Mel... Ti prego, guardami, parliamone -
- Ma farò tardi, e Andrè potrebbe arrabbiarsi... Ne parliamo un'altra volta, domani, ok? -, e si girò sorridendogli e continuando a battere -dare pugni- alla porta.
E la tirò nuovamente a sé con la forza, schiacciandole il volto contro il suo petto e affondando il volto tra i suoi capelli.
- Mi sei mancata così tanto... Dio, quanto mi sei mancata... -
- Tu ti sposi... E io devo andare a prendere il mio regalo... Il... Il mio regalo... -, e singhiozzò, guardandolo spaventata, pronta a crollare.

 

This was my worst love.

 

La strinse tanto da farla tossire. E ascoltò in silenzio mentre lei continuava a parlare e parlare e parlare. Quando parlava del suo regalo, del fatto che era tardi, di Andrè che si sarebbe arrabbiato. Parlava di cosa avrebbe voluto ricevere. Di cosa aveva bisogno: un vestito rosso che aveva visto in vetrina giorni prima, di un profumo che le aveva consigliato una sua amica, di una catenina che aveva visto su un giornale... E parlava, non stava mai zitta, nonostante lui la stringesse.
- Volevo solo dirtelo di persona... Sono stato uno stupido... Avrei dovuto mandarti l'invito, come ho fatto con tutti gli altri. Scusami. -, e la lasciò andare con la sensazione di averla abbandonata nuovamente. E la vide cadere a terra e stringersi le gambe al petto.
E da dentro casa le urla non cessavano e si stupì di quanti oggetti fragili possedessero.
- Chi è? -
- Anna -
- Alla fine, hai riconosciuto lei - *
- La reincarnazione non esiste... -

 

You'll be the first to go.


Si alzò dal gradino di casa dove era seduta, e lo baciò.
- Spero tu sia felice, almeno un po'. Ti amo. Ora vado. E anche tu. -
Si girò e riprese a battere contro la porta fino a farsi aprire. Entrò e si avviò verso la camera da letto senza dare peso alle stanze distrutte, solo camminando e andando avanti per inerzia.

La porta fu chiusa.

 

And when she leaves you for dead,
you'll be the last to know.

 

 

 




* Mel fa riferimento ad un discorso di ancora tempo prima, quando lei insisteva dicendo che due persone, se si sono amate davvero, si riconoscono anche nella vita dopo.
Lui rispondendo che la reincarnazione non esiste, lascia intendere che non ha scelto chi aveva amato inizialmente, nella sua vita precedente.

E' una storia che ho amato con tutta me stessa e che anche ora non sono sicura di voler chiudere davvero. C'è così tanto di me dall'inizio alla fine, che mi sembra quasi di dover nascondere nel cassetto un diario (no, non ho nessun fratello, ma ci sono svariati riferimenti più o meno espliciti alla mia vita presi in prestito come ispirazione).
L'ho amata perché scrivendola potevo liberarmi e lasciarmi andare, ma ora è giusto che metta la parola “
fine” per non distruggerla poi.
Grazie a chi ha letto, e a chi ha commentato (a cui devo almeno metà del coraggio che ho avuto nel continuarla anche quando faceva male scrivere una sola riga in più.
A te, grazie di cuore: questa storia è anche tua).
E grazie a me stessa per aver ideato Teo e Mel, per avergli dato delle sembianze nella mia testa e dei sentimenti che forse non sono sempre stati comprensibili.
Grazie per essermi concessa di essere il loro Dio.


Fine.

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