Eternal Night

di HarleyQ_91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jodi Black ***
Capitolo 2: *** Fuori Posto ***
Capitolo 3: *** Inondazione ***
Capitolo 4: *** Istinto ***
Capitolo 5: *** Codardo ***
Capitolo 6: *** Frainteso ***
Capitolo 7: *** Discussione ***
Capitolo 8: *** Rivelazione ***
Capitolo 9: *** Ordine Inaspettato ***
Capitolo 10: *** Ibrido ***
Capitolo 11: *** Fiducia ***
Capitolo 12: *** Sonya ***
Capitolo 13: *** Passato ***
Capitolo 14: *** Insieme ***
Capitolo 15: *** Ritrovo ***



Capitolo 1
*** Jodi Black ***


CAPITOLO 1
- JODI BLACK -

 

Salve a tutti!^^ Sono HarleyQ_91 e sono nuova di EFP!
Questa è la mia prima fanfiction, ma spero ugualmente riesca a soddisfarvi!
Beh, non voglio farvi perdere altro tempo, buona lettura!^^

******

Il vento mi faceva volare i capelli sotto il casco slacciato che indossavo.
La mia moto – regalo di mio padre per i miei diciassette anni – correva indisturbata sulla strada verso Forks.
Ero eccitatissima all’idea di frequentare il nuovo liceo. Nella riserva di La Push, dove vivevo, la scuola era per il novanta per cento maschile e le poche ragazze non erano altro che semplici burattini nelle mani degli uomini.
Non ho mai capito questo atteggiamento maschilista, era snervante.
Mio padre non voleva che andassi a Forks. Era un tipo protettivo e preferiva tenermi dove il suo occhio vigile poteva controllarmi. In più aveva paura che, in un posto come Forks – per me ancora sconosciuto – potessi cacciarmi in qualche guaio, diciamo… per le mie stranezze.
La mia famiglia infatti non era una cosiddetta normale famiglia americana. Mio padre, Jacob Black, discendeva dai lupi e aveva l’abilità di prendere quelle sembianze quando lo riteneva opportuno. Era il capo del suo branco.
Sinceramente La Push era piena di licantropi, quindi la particolarità di mio padre non destava alcuna agitazione. Era mia madre la vera novità.
Renesmee Cullen, per gli amici Nessie – nomignolo datole da mio padre – discendeva da una famiglia alquanto singolare, nemica della riserva e, per tanto tempo – e credo ancora adesso – bandita da La Push.
I Cullen venivano chiamati freddi, o più volgarmente vampiri, nemici giurati dei licantropi. Nessie tuttavia non era un vampiro completo – altrimenti lei e mio padre si sarebbero trovati disgustosi a vicenda –. Mia nonna, Bella Swan, la concepì prima che mio nonno, Edward Cullen, la trasformasse in vampiro. Dunque in mia madre scorreva anche sangue umano.
Sebbene il mio cognome fosse Black, sapevo che una parte di me moriva dalla voglia di conoscer l’altro lato della mia famiglia.
Per tutta la mia infanzia Jacob non mi permise mai di andare a Forks; diceva che tanto i Cullen se ne erano andati da un pezzo perché, non mutando mai di aspetto, a lungo andare qualcuno avrebbe potuto insospettirsi.
Circa un mese fa però mia madre ricevette una curiosa telefonata. Rimasi colpita quando non ne fece parola con Jacob – di solito tra loro non si nascondevano mai nulla – e quando le chiesi che l’avesse chiamata, la risposta mi chiarì ogni cosa.
“Era mia madre”. Mi disse “Mi ha avvertito che, dopo vent’anni, i Cullen sono pronti per tornare a Forks”.
Nessie era eccitatissima all’idea di rivedere i suoi genitori. E lo ero anch’io.
I Cullen partirono subito dopo le nozze dei miei e non si fecero più né vedere né sentire. Mio padre naturalmente voleva che frequentassi solo La Push, poiché tanto a Forks non c’era nulla che potesse interessarmi. Ma ora che i Cullen erano tornati, volevo assolutamente conoscerli.
“D’accordo, andremo a fargli visita… un giorno”. Aveva detto Jacob quando lo avevo messo al corrente della mia decisione.
“Io voglio andare a scuola a Forks, papà… non mi accontento di una semplice visita”.
“Ma perché? Credevo che alla scuola di La Push ti trovassi bene”.
“Sì infatti. Però… ci sono troppi licantropi”.
Jacob storse il naso appena finii la frase. Lui stesso era un licantropo perciò si sentiva toccato nel profondo.
Però allora cosa avrei dovuto dire io? In me scorreva tanto sangue umano quanto quello di un licantropo e di un vampiro.
A La Push nessuno me lo faceva pesare, ma io me ne rendevo conto da sola che non mi vedevano di buon occhio. Ero troppo… diversa!
A Forks invece non mi conosceva nessuno e con un cognome come Black – che era circoscritto alla riserva – nessuno avrebbe sospettato di un mio legame con i Cullen.
Alla fine mio padre acconsentì al mio trasferimento nel liceo di Forks, però mi estorse la promessa di non entrare in contatto con nessuno dei Cullen senza il suo consenso.
Jacob si fidava di loro – conosceva bene soprattutto Bella – sapeva che non mi avrebbero fatto mai del male, ma voleva essere presente durante il nostro primo incontro, per valutare la reazione dei vampiri alla notizia di una discendente un po’ vampiro, un po’ licantropo ed un po’ umana.
Sinceramente non ero del tutto certa che avrei mantenuto la promessa.

Parcheggiai la moto sotto una tettoia, così che anche in caso di pioggia – e a Forks pioveva spesso – non si sarebbe bagnata.
Entrai nell’edificio 1 e mi diressi verso la segreteria per chiedere l’elenco delle mie lezioni.
Prima ora: biologia.
Entrai in aula e mi sedetti nell’unico posto libero che c’era. Il ragazzo accanto a me non si mosse. Non sembrava nemmeno essersi accorto del mio arrivo. Erano tutti così ospitali nel liceo di Forks?
Il professore passò tra i banchi e distribuì dei fogli in cui dovevamo finire di compilare l’elenco delle ossa del corpo umano. Era un esercizio da eseguire col proprio compagno di banco, ma il ragazzo accanto a me rimase sempre immobile, con le spalle appoggiate allo schienale della sedia e le braccia incrociate sul petto.
Mi sentivo il suo sguardo addosso, ma non avevo il coraggio di ricambiarlo, mi metteva un po’ in soggezione.
Aveva gli occhi color ambra, profondi e, almeno così mi sembravano, un po’ arrabbiati. Le sopracciglia leggermente aggrottate sotto i capelli castano scuri, non abbastanza tuttavia da evitare qualche riflesso color miele sotto la luce delle lampade al neon.
Sembrava essere concentrato su qualcosa, ma non si trattava del compito assegnato di biologia. Sembrava concentrato… su di me.
“Ehm… credo che dovremmo fare l’esercizio”. Mi azzardai a dire.
Lui rilassò la fronte e assunse un’espressione più serena. La pelle bianca gli dava uno strano fascino. Era bello, ma sembrava finto.
“Era ora!” Disse. La voce pacata e melodiosa mi colpì particolarmente. “Credevo di avere qualche problema, invece ti sei finalmente decisa a fare ciò che ti ho ordinato”.
Lo guardai stranita. Il suo atteggiamento era tanto singolare quanto il suo aspetto.
“Ordinato? Ma se non mi hai rivolto la parola fino ad ora?”
I suoi occhi si arrabbiarono di nuovo; ci guardammo per qualche attimo, poi abbassò lo sguardo e contrasse la mascella.
“Comunque il compito bisogna farlo… quindi diamoci una mossa!” Gli porsi il foglio e una penna. Poi avvicinai lentamente la mia sedia alla sua.
Il suo sguardo rabbioso mi fissò di nuovo.
“Dovesti farlo tu!” Mi disse.
“No, dobbiamo farlo insieme!”
“Ma io ti avevo…” serrò la mascella come per impedire a delle parole di uscirgli dalla bocca. Adesso mi stavo arrabbiando anche io.
“Lasciamo stare”. Ringhiò. Prese il foglio e la penna e si mise a scrivere. Non cambiò la sua espressione per tutto il tempo in cui lo vidi eseguire l’esercizio. Lo finì nel giro di pochi minuti, poi tornò alla sua posizione iniziale, composto e con le braccia conserte.
Non ci rivolgemmo la parola per tutto il resto dell’ora. Suonata la campanella lo vidi sbuffare, come se non vedesse l’ora di liberarsi di me.
Lo accontentai. Presi la mia roba ed uscii dall’aula. Volsi lo sguardo verso di lui un’ultima volta prima di varcare la soglia della porta: era ancora seduto e gli si erano avvicinati altri due studenti. Un ragazzo ed una ragazza, restai sbalordita dalla loro bellezza.
Non li avevo notati prima perché occupavano i posti più nascosti della classe, ma di certo non era gente che passava inosservata.
“Tu sei Jodi Black, giusto?”
Distolsi lo sguardo dal trio che sembrava appena uscito dal cast di un film e mi voltai dall’altra parte.
Una ragazza minuta, con i capelli legati in una coda alta mi fissava sorridendo. Non mi sorprese che sapesse il mio nome. Sapevo che a Forks le notizie giravano in fretta.
“In persona”. Risposi ricambiando il sorriso.
“Scusami, avrei dovuto accoglierti all’entrata, ma sono arrivata in ritardo e tu già non c’eri più. Comunque non mi sembra che tu abbia avuto problemi ad orientarti”.
“Tranquilla, me la sono cavata abbastanza bene”.
Il senso dell’orientamento era una delle mie migliori qualità – ereditata dai geni canini di Jacob – saprei ritrovare la strada di casa anche nella più buia e fitta foresta.
“Io sono Eva Newton e sono la responsabile del comitato di benvenuto per i nuovi studenti. Se vuoi ti posso accompagnare alla tua prossima lezione, cos’hai?”
Senza chiedermi niente prese il modulo dei miei orari e gli diede un’occhiata.
“Filosofia. Fantastico, ce l’ho anch’io. Allora andiamo insieme”.
Annuii sorridendo, ma non ero del tutto convinta di passare la prossima ora con Eva. Di carattere non ero una persona solitaria, mi piaceva stare insieme alla gente, ma Eva Newton mi sembrava un po’ troppo esuberante per i miei gusti.
“Sai, mio padre è il capo della polizia di Forks, mentre mia madre gestisce un negozio di cosmetici a Port Angeles. Se non hai nulla da fare potremmo andarci. Forks non è molto equipaggiata per lo shopping”.
“Credo che dopo scuola tornerò alla riserva di La Push. In più sto con la moto ed il tempo non promette bene”.
Proprio in quel momento un lampo squarciò il cielo e lo seguì un tuono assodante che fece sobbalzare Eva.
“Beh, se hai intenzione di rimanere a Forks, ti ci dovrai abituare”. Mi disse.
Sorrisi leggermente. Anche a La Push pioveva spesso, ma la presenza del mare mitigava un po’ il clima. Forks era molto più fredda.
Entrammo in classe e ci sedemmo vicine. La professoressa stava già scrivendo qualcosa alla lavagna intanto che l’aula si riempiva di studenti.
“Eccoli che arrivano”. Sentii mormorare dalla ragazza davanti a me nell’orecchio della compagna – l’udito sopraffino era un'altra qualità che avevo ereditato dai miei singolari genitori –
Alzai lo sguardo e vidi entrare due ragazzi. Capii immediatamente per quale motivo attiravano tanto interesse.
Il primo era alto e robusto, di sicuro raggiungeva i due metri, ma dal viso gentile. Il secondo invece era più basso – giù visto nell’ora di biologia mentre parlava con il mio teorico compagno di corso – aveva i capelli ramati e gli occhi castano-dorati, le labbra sottili aperte in un leggero sorriso.
“Belli, vero?” Eva mi distolse dalle mie considerazioni. “Se fossi in te non ci perderei troppo tempo, sia Edward che Emmett sono fidanzatissimi”.
“Io non ho detto niente”. Le feci notare.
“Lo so, ma ogni ragazza che vede i Cullen pensa sempre la stessa cosa”.
“I Cullen?” La mia voce doveva apparire molto agitata perché mi sentii rimbalzare il cuore in gola.
“Sì, Emmett ed Edward Cullen. Li conosci?”
Scossi immediatamente la testa e mi misi a seguire la lezione. Le parole della professoressa però mi scivolavano addosso senza che mi entrassero in testa.
Il mio sguardo era fisso sui due ragazzi bellissimi che si erano seduti in fondo all’aula.
Non passò neanche un minuto che il più basso si voltò verso di me e mi lanciò un’occhiata incuriosita.
Non c’erano dubbi, lui era Edward Cullen. Adesso mi sembrava così assurdo non averlo riconosciuto subito quando lo avevo visto a biologia.
Mi ricordai immediatamente del suo potere speciale. Se davvero riusciva a leggermi nel pensiero allora si era già accorto che io li conoscevo. Sapevo che i Cullen erano tutti vampiri.
Mi voltai verso la professoressa e tentai di mantenere la mente occupata prendendo appunti, così che Edward non potesse ascoltare altro che concetti su Hobbes e Locke.
Suonata la campanella Eva mi chiese di farle compagnia per pranzo. Acconsentii senza batter ciglio e uscii di corsa dalla classe. Non volevo che i miei pensieri avessero il tempo di pendere posto nella mia mente. Dovevo assolutamente distrarmi prima che Edward scoprisse tutto su di me.
Anche se mi costava molto, non volevo infrangere la promessa fatta a mio padre, altrimenti lo avrei deluso.
“Sai Eva, ripensandoci credo che oggi pomeriggio potremmo andare a Port Angeles”. Dissi mentre mi sedevo ad un tavolo della mensa.
“Davvero?” I suoi occhi si illuminarono. Mi conosceva da nemmeno un’ora e già le facevo questo effetto? Forse l’avevo giudicata male. Anche se era un po’ troppo esuberante, non significava che non potesse rivelarsi una buona amica.
“Credo che mia madre non avrà nulla in contrario se mi faccio dei nuovi amici”.
Naturalmente questi amici non dovevano chiamarsi Cullen. “Perciò mi piacerebbe venire a fare un giro per negozi con te”.
Dagli occhi di Eva capii che non poteva aspettarsi una frase migliore. Mi prese le mani tra le sue e le strinse forte. Aveva un sorriso che la faceva sembrare un’idiota, ma il suo sguardo era affettuoso.
“Ti divertirai da morire, vedrai”. Mi disse non accennando a togliersi quel sorriso dalla faccia. “Chiamo anche due mie amiche, se per te non è un problema, ovviamente”.
Scossi la testa. “Certo che no. Più gente conosco, più ho possibilità di farmi degli amici”.
Il mio sguardo si mosse involontariamente verso la porta d’ingresso della mensa. Mi si bloccò il respiro.
Il primo ad entrare fu Edward, mano nella mano con quella che di sicuro era Bella Swan; Li seguirono Emmett e la sua ragazza – mi pare si chiamasse Rosalie, se non sbaglio – ed altri due vampiri che, per esclusione, dovevano trattarsi di Alice e Jasper.
Si sedettero tutti ad un tavolo nel fondo della sala. La gente li teneva a distanza e nessuno gli aveva ancora rivolto la parola da quando erano entrati.
Tuttavia me li immaginavo più cupi. Invece erano lì, seduti – senza mangiare né bene niente, ovviamente – che ridevano e scherzavano come qualsiasi altro liceale.
Passato qualche minuto, ai Cullen si avvicinò un ragazzo. Lo riconobbi all’istante, era lo stesso con cui avevo passato l’ora di biologia.
Jasper gli fece posto e lo fece accomodare sulla panca accanto a lui.
Come mai non ci avevo pensato prima? Era così ovvio: la pelle pallida, gli occhi ambrati e profondi, i tratti somatici degni di un modello… anche quel ragazzo era un vampiro.
Però non avevo riscontrato la sua presenza nei racconti di mia madre. Doveva trattarsi di un membro accolto da poco.
“Ancora intenta a fissare i Cullen?”
Distolsi lo sguardo e lo posai su Eva. Aveva ragione, mi ero lasciata di nuovo abbindolare da quella famiglia così affascinante, dopo che mi ero ripromessa di pensarci il meno possibile.
“Parliamo d’altro, per favore?” Mi affrettai a dire prima che altri pensieri sui Cullen potessero assalirmi.
Eva si strinse nelle spalle e sorrise.
“Allora Jodi, perché hai deciso di venire a Forks? Il clima di La Push mi sembra migliore rispetto a questo, no?” Con il dito indicò fuori dalla finestra e vidi la pioggia scontrarsi violentemente contro il vetro, mentre folate di vento agitavano gli alberi nel giardino antistante la mensa.
“Non è poi tutta questa differenza”. Dissi, contenta che Eva avesse esaudito il mio desiderio di cambiare argomento senza chiedermi il perché. “E poi il liceo di La Push non mi piaceva. Diciamo che non mi ero ambientata bene”.
“Come mai?”
“Troppi pregiudizi, credo”.
Eva abbassò lo sguardo come se fosse dispiaciuta.
“E’ perchè tuo padre riveste un ruolo importante,vero?”
Rimasi perplessa qualche secondo prima di comprendere il significato di quelle parole. Mio padre in effetti era una specie di capo-branco, ma non riuscivo a capire cosa c’entrasse questo con il mio trasferimento a Forks.
“Sai, anche io a volte non vengo vista di buon occhio”. Continuò. “Quando tuo padre è un personaggio importante a livello pubblico, tutti cominciano a pensare che i tuoi successi siano dovuti solo da raccomandazioni”.
Ora capivo. Eva cedeva che io me ne fossi andata da La Push per evitare che qualcuno mi considerasse una privilegiata.
Mi commosse vedere come si preoccupava per me.
“Beh, qualcosa del genere”. Risposi. Le lasciai credere di avermi compreso perfettamente per renderla contenta. E poi, se le avessi risposto di no, avrei dovuto dare altre spiegazioni, rischiando così di tradirmi.
Mi sentii degli occhi puntati addosso. Sapevo che provenivano dal tavolo dei Cullen, ma avevo troppa paura di voltarmi. Se fosse stato Edward significava che era rimasto in ascolto per tutto il tempo.
La paura di essermi lasciata scappare qualche pensiero di troppo mi assalì.
“Daniel Cullen guarda verso di noi”. Sentii mormorare Eva.
“Chi?” La domanda mi venne spontanea, come se la voce mi fosse uscita dalla bocca senza che io glielo avessi ordinato.
“Daniel Cullen”. Ripeté Eva.
Ancora una volta il nome non mi rievocò nessuno dei racconti di mia madre. Doveva sicuramente trattarsi del mio compagno di biologia.
Ci avevo visto giusto, era un Cullen!
“Credo stia fissando te, Jodi. Il tuo arrivo deve aver incuriosito anche gli impassibili Cullen”. Eva rise leggermente.
“Per favore Eva, ti avevo chiesto di non parlare dei Cullen”.
Lei si mise una mano davanti alla bocca e con lo sguardo mi fece capire che le dispiaceva.
“Ma posso sapere il perché?”
Ecco la domanda che speravo non arrivasse mai.
“Te lo spiego oggi pomeriggio a Port Angeles”. Le feci cenno con la testa di non poter palare perché i diretti interessati erano presenti.
Eva mi rispose con l’occhiolino e si mise a parlare d’altro. Non prestai attenzione a ciò che diceva, a volte non era facile tenere a bada i miei pensieri e, per quanto mi sforzassi, i Cullen erano sempre al centro di essi.
Dopo la pausa pranzo avevo l’ora di chimica. Eva si diresse verso l’aula di spagnolo dicendomi di aspettarla all’uscita alla fine delle lezioni.
Entrata in classe notai subito Bella ed Edward nel banco più in fondo. Lui la teneva per mano e le parlava all’orecchio, lei rideva dolcemente con una voce che assomigliava più ad una melodia.
Non riuscii a reprimere un sorriso di tenerezza. Era bello vedere quanto si amassero, – soprattutto dopo tutto quello che avevano passato – si meritavano di essere felici.
Appena conclusi questo pensiero, Edward si voltò verso di me ed aggrottò le sopracciglia.
Ops.
Mi sbrigai a sedermi ad un banco e cominciai a leggere le strane formule scritte alla lavagna, giusto per tenere la mente occupata.
“Rilassati, non serve sforzarsi tanto”.
Mi voltai e vidi Daniel Cullen sedersi accanto a me. Poggiò le braccia sul banco e rise leggermente.
“Perché ridi?”
“Sei buffa”. Mi disse senza togliere quel sorriso dalla faccia. “Fai di tutto per reprimere i tuoi pensieri così che Edward non possa ascoltarli”.
Maledizione, allora non c’ero riuscita.
“Ma la cosa divertente è che è tutta fatica inutile”.
“Non ci posso credere”. Esclamai. “Mio padre mi uccide!”
“Scema”. Commentò lui.
“Ehi, piano con le offese”. Gli dissi aggrottando le sopracciglia. Lui di tutta risposta riprese a ridere.
“Smettila di ridere, io sono nei guai fino al collo”.
“No che non lo sei, tranquilla”. Daniel tentò di soffocare un’altra risata, riuscendoci appena. Tuttavia vederlo ridere non mi innervosiva, anzi il suo viso sembrava ancora più bello. Mi ripresi immediatamente al pensiero che Edward avesse potuto sentire anche questo.
“Edward non riesce a sentirti”. Mi disse. “O meglio non ci riesce completamente. Ti sente a tratti, però qualcosa è riuscito a cogliere”.
Dicendolo mi si avvicinò un po’ al viso ed il mio cuore cominciò ad accelerare il battito. Tentai di rimanere lucida.
“Che… che cosa ha sentito esattamente?” Riuscii infine a dire, poi mi morsi il labbro inferiore ed abbassai lo sguardo. Ero sollevata dal fatto che, almeno in parte, la mia mente era al sicuro.
“Ha sentito che già sai chi siamo, o meglio cosa siamo”.
Mi si bloccò il respiro.
“Ma non è riuscito a sentire altro”. Abbassò lo sguardo senza smettere di sorridere.
“Quindi anche io… come Bella…” Riuscivo solo a balbettare, ancora incredula.
“Oh no,” mi contraddisse Daniel. “Con Bella era buio totale. Niente di niente. La tua mente invece ha qualche spiraglio di luce, anche molto chiaro a volte, ma sentire pensieri saltuariamente non ci permette di capire tutto”.
“Quindi non avete capito… il perché io sappia tutte queste cose su di voi”. Riuscii a riprendere un po’ il controllo di me stessa.
“In effetti no”. Disse sogghignando. “E’ terribilmente frustrante”.
Risi leggermente. “Questa l’hai rubata ad Edward”.
Mi ricordai di uno dei tanti racconti di mia madre: quando Edward non riusciva a sentire i pensieri di Bella diceva sempre che trovava la cosa terribilmente frustrante.
“Edward e Bella hanno paura che tu possa crearci qualche problema”.
“Oh no, no”. Mi sbrigai a dire. “Non dirò niente, fidatevi. Non potrei mai dirlo a nessuno”.
Daniel annuì, poi scrisse qualcosa che il professor aveva appena detto sul quaderno che aveva aperto davanti a sé. Dopo qualche istante riportò il suo sguardo su di me.
“L’immunità mentale è dunque una qualità ristretta a Bella Swan”. Considerai ad alta voce.
“Sì, teoricamente. Però, quando vuole, Bella riesce a far ascoltare i suoi pensieri ad Edward. Nel corso degli anni si è allenata molto per riuscire a padroneggiare il suo scudo. Adesso riesce addirittura ad annullarlo”.
“Davvero? Questo non lo sapevo”.
“Tu non dovresti sapere tante cose, Jodi”.
Appena pronunciò il mio nome mi sentii rimbalzare il cuore in gola.
“Bella comunque non abbassa quasi mai il suo scudo e, quando lo fa, è solo per far ascoltare qualcosa ad Edward. Tra loro c’è un legame indissolubile”.
Daniel contrasse la mascella come se si fosse sforzato nel dire le ultime parole.
Io annuii dolcemente. Era bello vedere due persone che si amavano così tanto, anche se si trattava di una coppia di vampiri.
“Comunque, se ti può consolare”. Riprese Daniel. “Un’immunità ce l’hai anche tu. Non con Edward, ma con me!”
Spalancai gli occhi. “Come? Cosa? Di cosa stai…?”
“Niente, lascia stare”.
In quell’istante suonò la fine dell’ora e Daniel si alzò di scatto, uscendo dalla classe senza nemmeno lasciarmi il tempo di chiedere altre spiegazioni.
Mi alzai anch’io, sbuffando.
Il mio primo giorno al liceo di Forks era finito e di cose ne erano successe fin troppe.
“Jodi! Jodi!” Riconobbi la voce di Eva. Mi chiamava dalla parte opposta del corridoio e mi fermai per aspettare che mi raggiungesse. “Senti, per Port Angeles… credo ci convenga andare con la macchina, visto il tempo…”
La pioggia non accennava a diminuire.
“Ma la mia moto non posso lasciarla qui”. Esclamai, come se fosse l’unica cosa che mi importasse. In effetti mi padre mi avrebbe ucciso se fosse capitato qualcosa alla mia motocicletta, dopo tutto il tempo che ci aveva speso per rendermela perfetta.
“Andiamo Jo, chi vuoi che te la rubi?”
Aggrottai la fronte. Non volevo nemmeno pensare alla possibilità che qualcuno potesse portarmela via.
“Con questa pioggia comunque non credo che riusciresti a guidare”. Eva abbassò un po’ il tono di voce, come se avesse capito di avermi offeso.
“Non preoccuparti, guiderò piano fino a casa e poi prenderò l’autobus per tornare qui. Non dovrei metterci tanto. Facciamo tra un'ora nel parcheggio della scuola?”
Eva annuì senza battere ciglio.
“La macchina ce l’hai, vero?” Chiesi, venendomi il dubbio di come ci saremmo mosse una volta a Forks per arrivare a Port Angeles.
“Sì, ci penso io”. La sua voce divenne d’un tatto monotona, come una cantilena, e non faceva altro che annuire.
Mi preoccupai quando vidi il suo sguardo perso nel vuoto. C’era qualcosa che non andava.
Scorsi Daniel dietro di lei, intento ad aprire il suo armadietto. Ma sapevo che con la coda dell’occhio guardava verso di noi, e sorrideva.
Eva sbatté le palpebre di nuovo e mi tranquillizzai.
“Ci vediamo dopo, allora”. Uscì da scuola andando sparata verso il parcheggio. Continuai ad essere certa che qualcosa non andasse.
Puntai lo sguardo su Daniel. Doveva ancora spiegarmi in che cosa consisteva la mia immunità su di lui. Una mano fredda tuttavia si posò sulla mia spalla, bloccandomi prima che riuscissi a fare un passo.
“Jodi Black, posso parlarti un secondo?”
Mi ritrovai davanti una bellissima ragazza. Occhi ambra che tuttavia avevano delle sfumature castane e dei capelli scuri un po’ arruffati che si posavano perfettamente sul suo viso tondo e pallido.
“Bella Swan”. Riuscii a sussurrare.
“Ormai nessuno mi chiama più così”. Disse sorridendo e facendomi segno di seguirla. “Ormai sono Bella Cullen”.
“Giusto, è vero”. In fondo lei ed Edward erano sposati.
Entrammo in un’aula completamente deserta e Bella si sedette su un banco, facendomi un po’ di posto perché mi ci sedessi anch’io.
“Se conosci il mio nome di battesimo significa che sai davvero tutto… intendo tutto ciò che mi è successo con i Cullen, giusto?”
“Più o meno”. Non mi sembrava vero di stare davanti a mia… nonna – soprattutto per via dell’aspetto – però non provavo soggezione, mi sentivo stranamente tranquilla.
“C’è Jasper da qualche parte, per caso?” Mi azzardai a chiedere.
“E’ qui fuori con Edward e Daniel”. Mi disse Bella.
Compresi allora il perché di quella innaturale tranquillità. Jasper aveva il potere di influire sugli stati d’animo delle persone, poteva alterarle o tranquillizzarle a suo piacimento.
“Sai anche dei nostri poteri”. Continuò Bella, facendomi tornare l’attenzione su di lei. “Non sono qui per chiederti spiegazioni. Nessuno nella mia famiglia ci aveva ancora pensato, ma a me è venuta in mente una teoria… se ho visto giusto, ti prego di dirmelo”.
(Nota dell’Autrice: anche da vampira Bella non demorde con le teorie! XD)
Rimasi con gli occhi puntati su di lei. Il suo sguardo era identico a quello di mia madre, stessa intensità e bontà. Mi prese una stretta al cuore.
“Il tuo cognome è Black, dunque provieni dalla riserva. Può darsi chetai sentito parlare di noi da uno degli anziani di La Push, no?”
Bella aveva collegato il mio cognome alla riserva, ma non a Jacob. Eppure sapevo che loro due erano molto amici. La cosa comunque era di sicuro un vantaggio per me.
“In effetti sì”. Mentii. “Mi sono fatta raccontare tutto il possibile delle leggende dei Quileute e naturalmente anche di voi… freddi. Ero così ansiosa di conoscervi che non ho perso tempo e sono venuta qui a Forks”.
“Ti sei trasferita in questo liceo solo per incontrarci? Mi sento lusingata”.
Bella rise dolcemente. “Comunque il motivo per cui ti volevo parlare è uno solo: siamo ritornati da poco e vorremmo restare qui per parecchio tempo. Ti pregherei quindi di non spargere la notizia del nostro ritorno a La Push. Anche se da più di vent’anni esiste una tregua tra vampiri e licantropi, tenere la nostra presenza lontana dalle menti della riserva non può far altro che agevolare le cose”.
Annuii e sorrisi.
“Certo, capisco”. Dissi. “Non vi preoccupate, non parlerò a nessuno di voi. Immagino che non possiate ancora avvicinarvi a La Push”.
“Il patto non è stato ancora sciolto”. Mi fece notare. “E i Cullen non vogliono mancare di rispetto ai Quileute”.
Detto questo si alzò in piedi e si diresse verso la porta dell’aula, da dove il volto di Edward fece capolino nello stesso istante.
“Contiamo sulla tua discrezione, Jodi”. Disse lui sorridendomi.
La miriade di racconti di mia madre, per quanto dettagliata che fosse, non poteva di certo eguagliare la realtà. Edward era bello da togliere il fiato!
Chissà perché da antenati così attraenti – anche se attraenti è riduttivo – doveva nascere una come me?
I miei genitori erano entrambi molto belli, per non parlare dei miei nonni, e allora perché io ero così… mediocre?
Capelli corvini ed occhi marroni, pelle olivastra e gambe lunghe, troppo lunghe forse. Non avevo nemmeno diciotto anni e già sfioravo il metro e ottanta.
La cosa non mi piaceva per niente.
“Secondo me sei carina”.
La frase di Edward mi destò completamente dai miei pensieri.
“Come? Cosa… cosa hai sentito?”
“Che ti chiedi perché sei così… mediocre”.
Imitò anche il tono della voce nel modo in cui lo avevo pensato, rimasi sbalordita.
“Nient’altro?”
“Che sfiori il metro e ottanta e una cosa che non ti piace per niente”.
“Wow”. Fu l’unica cosa che riuscii a dire.
Edward rise leggermente, poi prese Bella per mano ed uscì dalla classe.
A scuola erano rimasti pochi studenti – alcuni bloccati dalla pioggia, altri dalle lezioni supplementari –.
Il parcheggio era ormai vuoti e la mia moto stava isolata sotto la tettoia della palestra, esattamente dove l’avevo lasciata.
Mi infilai il casco e la giacca in modo da coprire il più possibile i capelli, mi infilai i guanti e salii in sella.
La feci rombare due volte, poi girai l’acceleratore con decisione e partii sulla strada verso La Push.
Benché avessi promesso ad Eva che sarei stata prudente, non rallentai neanche un secondo.
La fortuna di essere la figlia di un licantropo e di un mezzo vampiro era che di sicuro i riflessi non mi mancavano.

******

Rieccomi qua!
Spero che il primo capitolo sia stato di vostro gradimento, aspetto con ansia le vostre recensioni!
Vedrò di postare il secondo prima di Natale (forse domani stesso).
Spero continuiate a seguire la mia storia e che vi piaccia!^^
Un saluto

*HarleyQ_91*


 

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Capitolo 2
*** Fuori Posto ***



Buongiorno a tutti!^^
Rieccomi qua con la mia fanfiction sulla saga di Twilight!
Oggi pomeriggio avrei un esame, ma ero stufa di ripassare (tanto l'ultimo giorno che cose si sanno o non si sanno, c'è poco da fare, purtroppo!xD) così ho pensato di aggiornare!^^
Comunque sono davvero contenta che la mia storia sia stata letta ed apprezzata da parecchi di voi!
Devo fare dei ringraziamenti, ma li metterò alla fine, per nn togliervi altro tempo alla lettura!^^
Ora godetevi il capitolo e, naturalmente, fatemi sapere che ne pensate!

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CAPITOLO 2
- Fuori Posto -

 

Tornai a casa con la Mercedes, insieme a Jasper ed Alice. erano gli unici che non mi facevano sentire il terzo incomodo.
Nella Volvo con Edward e Bella i discorsi sfioravano il patetico, frasi troppo smielate - e ogni giorno che passava era sempre peggio - Nella Cabriolet con Rosalie e Emmett invece era tutto il contrario. Nessun discorso platonico, però parlavano solo tra loro, tagliandomi completamente fuori.
Alice e Jasper almeno evitavano proprio di parlare. Certo, la cosa era un po' deprimente, ma il lato positivo era che non mi sentivo escluso.
Essere l'ultimo arrivato non era facile. Mi sentivo come se nella famiglia Cullen ancora non ci fosse un posto per me.
Esme continuava a ripetermi di non farmi problemi inutili, loro mi volevano bene come se avessi sempre fatto parte della famiglia, ma non potevo evitare di sentirmi ancora un po' a disagio.
"E' tutto il giorno che ci provo, ma non riesco ancora a vedere niente".
La voce di Alice fece distogliere il mio sguardo da fuori il finestrino. Notai che lei e Jasper si tenevano per mano. La cosa mi provocò un leggero fastidio.
"Forse sei distratta da qualcosa che non ti permette di concentrarti".
"Non dire assurdità, Jasper". Rispose lei con determinazione. "Conosco il mio potere e so come utilizzarlo. Su Jodi Black però non ha alcun effetto, non vedo niente".
Di nuovo quella ragazza. Era dalla mattina che si parlava solo di lei. Era curioso che conoscesse così tante cose - diciamo pure tutte - sui vampiri e soprattutto sui Cullen.
"Forse è un licantropo, in fondo viene dalla riserva, no?" Ipotizzò Jasper.
"Le mie visioni svaniscono solo quando i licantropi assumono le sembianze di lupi. Lei era umana oggi a scuola, eppure non vedevo nulla lo stesso".
Entrambi tacquero. Era innaturale come le loro conversazioni si concludessero ogni volta. Erano brevi, concise - a volte anche senza senso - ma tuttavia lasciavano trapelare l'enorme intesa che c'era tra di loro.
Mi venne la nausea a forza di pensarci e tornai a guardare fuori dal finestrino.
Dovevo chiedere a Carlisle una macchina tutta mia, ormai avevo capito che anche con Alice e Jasper mi trovavo fuori posto.
Arrivammo alla villa dei Cullen neanche un quarto d'ora dopo aver lasciato la scuola. Entrati nel salotto trovammo Carlisle ed Esme seduti con i volti un po' preoccupati.
"Ancora niente?" Disse Edward sedendosi accanto al padre. Bella lo seguì e rimase in piedi dietro di lui.
Carlisle scosse la testa. "In ospedale c'è ancora del personale di vent'anni fa, non posso ripresentarmi a loro - anche con falso nome - la somiglianza sarebbe troppo palese, desterei dei sospetti".
"Il che è proprio quello che dobbiamo evitare". Intervenne Rosalie. "Io l'avevo detto che era troppo presto per tornare a Forks, ma nessuno mi dà mai ascolto".
Emmett le cinse il collo con il robusto braccio, come per consolarla e placarle il nervosismo che la stava assalendo.
"Lo sai che non potevamo fare altrimenti". Ribatté Esme con voce dolce. "Era la soluzione migliore, soprattutto per Daniel".
A sentir pronunciare il mio nome mi irrigidii.
Era proprio così, i Cullen avevano fatto ritorno nella piovosa Forks per me. Per far sì che mi abituassi il prima possibile allo stile di vita vegetariano.
Difatti Forks era il luogo ideale. Poco abitata, circondata da foreste colme di bestie da cacciare e, dettaglio più importante, confinante con la riserva dei Quileute.
Se solo mi fossi azzardato a mordere un umano, si sarebbe scatenata la guerra con i licantropi.
Solo qui c'erano le condizioni necessarie per mantenere l'astinenza dal sangue umano.
Non che la tentazione, in effetti, fosse debole, ma tutte queste precauzioni che i Cullen prendevano nei miei confronti mi davano l'idea che non si fidassero di me. Forse ero più pericoloso di quanto io stesso credessi.
"Non farti problemi inutili". Edward mi fissò. Il suo tono di voce era di conforto, ma non mi sentii affatto sollevato.
"Vuoi dirmi che non è così?" Chiesi con un pizzico di strafottenza. Ero sicuro che i Cullen mi considerassero un pericolo.
"Ci siamo passati tutti, presto ti abituerai". Le parole di Edward continuavano a non suscitarmi alcun conforto, anzi stavano cominciando ad irritarmi.
Sbuffai e salii in camera mia - prima era la stanza di Edward, ma ora lui e Bella avevano una casa tutta loro - e mi stesi sul letto.
Sapevo che era superfluo, in fondo non mi serviva per dormire, ma era comodo e mi rilassava.
Le voci dal piano di sotto mi giungevano nitide come se la conversazione si stesse svolgendo davanti ai miei occhi.
L'argomento era ancora quello che aveva occupato le nostre menti per tutta la mattinata: Jodi Black.
In fondo ero grato a quella ragazza. Con il suo arrivo il mio problema era passato in secondo piano.
Sentivo Bella che rassicurava Esme. Quella donna diventava sempre ansiosa quando la sua famiglia veniva minacciata da un pericolo - mi sembrava strano che non provasse ansia per me -
"Ci ha assicurato che non parlerà con nessuno". Continuò Bella. "Non so perché, ma mi fido di lei".
"Avete capito come mai sa tutte queste cose?" Chiese Carlisle.
"Viene da La Push, avrà sentito parlare di noi". Bella continuava con questa tesi sin da quando eravamo a scuola.
"Ma i licantropi non erano vincolati al segreto come noi?" Mi sorprese sentire Emmett fare una domanda intelligente. Di solito preferiva far lavorare i muscoli piuttosto che il cervello.
Ci fu qualche attimo di silenzio ed il dubbio cominciò a pervadere anche me.
La ragazza ci aveva mentito? Non era venuta a sapere di noi attraverso i Quileute? Ma allora chi l'aveva messa al corrente dei Cullen? E perché era così ansiosa di conoscerci?
Possibile che fosse un nostro nemico?
Mi resi conto che intorno a quella ragazza c'erano troppi punti interrogativi. E pormi domande senza ricevere alcuna risposta era una cosa che mi innervosiva da morire.
In più c'era anche da appurare il motivo per cui sia il potere di Alice che il mio non avevano effetto su di lei. Per non parlare di Edward che percepiva i suoi pensieri solo a volte, senza mai capirci niente.
Dovevo vederci chiaro. Dovevo capire.
Guardai fuori dalla finestra, pioveva ancora, ma non con la stessa intensità della mattina. Uscii dalla mia stanza ed andai di sotto senza dire niente a nessuno, sapevo che Alice già si era accorta della mia decisione, ma non me ne interessai. Non mi avrebbero fermato.
"Come pensi di andarci?" Mi disse Edward, doveva aver letto la mente di Alice, perché ancora nessuno aveva parlato.
"Se sei così gentile da prestarmi la Volvo, ci vado con la tua macchina". Risposi sarcastico.
Passato un millesimo di secondo mi lanciò le chiavi che teneva in tasca e le afferrai con un gesto automatico. Sorrisi leggermente per come era stato facile convincerlo.
"Sta' attento. Evita di fermarti in posti troppo affollati e, soprattutto, evita di farti scoprire".
Eccole come sempre. Le raccomandazioni che mi davano tanto fastidio. Serrai la mascella e annuii senza batter ciglio. Anche se avessi risposto "Non preoccupatevi" sarebbe stato inutile. Si sarebbero preoccupati comunque.
Entrai in garage e salii in macchina nel giro di cinque secondi. Anche se non ero più nella stessa stanza con loro, percepivo gli sguardi ansiosi che mi rivolgevano; mi colpivano come tante lame che mi si conficcavano nello stomaco.
Mi tornò la nausea mentre accendevo il motore della Volvo.
Era in momenti come quello che desideravo scappare. Mi sentivo così fuori posto a casa Cullen. Un peso, ecco cos'ero.
Andandomene avrei risolto molti problemi: i Cullen non sarebbero più stati costretti a vivere a Forks, rischiando di essere scoperti, ed io non mi sarei più sentito fuori posto.
Sarebbe stata la soluzione migliore, ma ero troppo codardo per attuarla.
I Cullen erano stati i primi ad accettarmi per quello che ero. Benché il mio stile di vita era completamente diverso dal loro, riposero in me le speranze che potessi diventare vegetariano. Andandomene non avrei fatto altro che dimostrare la mia poca forza di volontà. Li avrei delusi tutti.
No, deluderli non era tollerabile.
Accesi lo stereo mentre tentavo di mettere ordine nei miei pensieri e
di rilassarmi.
Mi ci sarebbe voluta un po’ di musica rock, ma in macchina di Edward la cosa più esaltante che trovai fu la nona sinfonia di Beethoven e dovetti accontentarmi.
Il sole stava già tramontando quando con la Volvo varcai il confine con Port Angeles.

******

Beh, come avrete notato il narratore è cambiato!^^
Forse la cosa a qualcuno non è piaciuta, ma io ad essere sincera ho preferito mettere anche il punto di vista di Daniel, per rendere la storia più completa.
Spero di non aver deluso nessuno e che il capitolo sia piaciuto lo stesso... ammetto che questa prima parte della storia non è molto movimentata, è più di assestamento e di presentazione dei personaggi, ma c'è ancora tanto da scoprire!xD

P.S. Con grande gioia ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia fanfiction e che, se vorranno, continueranno a leggere.
       Un grazie anche a quelli che hanno inserito la mia fanfiction tra i preferiti o tra le storie seguite!
      
P.P.S. Infine, ma non meno importante, un ringraziamento speciale va a Lely_Cullen, che ha recensito e ha spazzato via quella insicurezza che mi tratteneva dall'aggiornare così presto!^^

Un saluto a tutti, ci risentiamo nel prossimo capitolo!^^

*HarleyQ_91*

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Capitolo 3
*** Inondazione ***


E siamo giunti al terzo capitolo!^^
Diciamo che sto aggiornando in fretta ora, perché so che poi dal 28 in poi non avrò molto tempo per farlo!
Preferisco avvantaggiarmi col lavoro...così da non tenervi troppo in sospeso!
Beh, ora vi lascio al capitolo. Buona lettura!^^

******


CAPITOLO 3
- Inondazione -


Arrivai a La Push con l’intenzione di posare la moto, cambiarmi e uscire di nuovo prima che Jacob o Nessie potessero chiedermi qualcosa.
A dire il vero quello che mi preoccupava era mio padre, perché sapevo che mamma, se pure le avessi raccontato tutto, non avrebbe avuto nulla in contrario.
Entrai in casa e notai che era immersa nel silenzio più assoluto.
Che strano, mi sarei aspettata un agguato da parte di Jacob, seguito da un interrogatorio con tanto di lampada abbagliante puntata in faccia.
Tirai un sospiro di sollievo quando appurai che stavo realmente da sola.
Mi affrettai a cambiarmi e a sistemarmi i capelli – tra la pioggia e la moto non sapevo cosa li avesse scompigliati di più –.
Nell’istante in cui uscii dalla mia stanza si aprì la porta di casa. Mi preoccupai quando vidi l’espressione tormentata sul viso di Nessie.
“Mamma, ma cosa…?”
Non riuscii a finire la frase che mia madre mi prese tra le braccia e mi strinse al petto. Le lacrime cominciarono a sgorgarle dagli occhi ed io mi preoccupai ancora di più.
“Jodi, grazie al cielo! Non immagini nemmeno quanto fossi in pena”.
“Mamma che ti prende?” Non ero abituata a vederla così sconvolta, di solito era molto brava a reprimere le sue emozioni.
“Ero preoccupata da morire. Non ha smesso un secondo di piovere e tu stavi con la moto…”
“Lo sai che la pioggia non è un problema per me!” La rassicurai.
“Sì, ma se si fosse allagata la scuola? Ho pensato al peggio”.
Scoppiai a ridere. “Ma che razza di idee ti vengono in mente?”
Si sedette su una poltrona del salotto e portò la testa tra le mani. Non vedevo più scendere le lacrime, ma l’espressione sconvolta continuò a persistere sul suo volto.
“Stamattina un’onda ha travolto le case sulla spiaggia, mezza popolazione di La Push è rimasta senza un posto dove vivere”.
“Oh mio dio!” Non mi uscì niente di meglio dalla bocca. Mi sedetti accanto a lei e le cinsi le spalle con un braccio.
“E’ da ore che io e tuo padre stiamo aiutando gli sfollati”. Continuò. “Poi però ha cominciato a salirmi l’ansia e sono tornata a casa per vedere se fossi sana e salva”.
“Lo sai che non devi preoccuparti per me. So cavarmela”.
Nessie annuì. “Sì, lo so. Ma mi preoccupo lo stesso. Evita quindi di uscire quando il tempo è così brutto, così risparmi un infarto a tua madre”.
Il suo tono sarcastico non mi fece ridere. Mi alzai in piedi e tentai di replicare. “Ma mamma, io oggi pomeriggio devo uscire. Ho promesso ad un’amica che…”
“Jodi Black, non ammetto contestazioni!”
Ahia, quando mia madre chiamava sia per nome che per cognome era meglio non contraddirla, neanche mio padre si era mai azzardato a farlo.
Abbassai lo sguardo e incrociai le braccia sul petto.
E adesso? Mi ero anche dimenticata di chiedere ad Eva il suo numero di cellulare.
Già me la immaginavo: lei da sola, nel parcheggio della scuola ad aspettarmi. Di sicuro non avrebbe preso bene la mia assenza all’appuntamento.
“Dai Jodi, ora non arrabbiarti. Fallo per la tua dolce mamma”.
Sbatté le palpebre ripetutamente e si sporse leggermente verso di me. Sogghignai appena, non volevo darle la soddisfazione di riuscire a tirarmi su il morale.
“Dolce? Da quando sei dolce?”
Nessie si alzò in piedi e mi mise una mano su una spalla.
“Avrai altre occasioni per uscire con le tue nuove amiche, vedrai”.
“Non credo che mi farò tanti amici se continuerò a non presentarmi agli appuntamenti”.
“Non farla tanto tragica. Domani quando sarai a scuola e dovrai scusarti ti autorizzo ad incolparmi di tutto”.
“Mi sembra il minimo!” Sbuffai e mi lasciai cadere sul divano, con le braccia ben strette al petto.
Avrei capito se a dover uscire fosse stata una ragazza normale, senza alcuna abilità particolare. Ma io non correvo alcun pericolo! Ero molto più agile, scaltra e responsabile di quanto potesse esserlo una qualsiasi altra adolescente. E in più, nel corso degli anni, avevo sviluppato un istinto di sopravvivenza tale da farmi percepire il pericolo a distanza.
Di cosa diavolo c’era da preoccuparsi tanto?
“Quindi ti sei fatta delle amiche”. Nessie si sedette accanto a me come se la nostra conversazione di poco prima non fosse mai avvenuta. Io però volevo continuarla, forse con un po’ di fortuna sarei riuscita a convincerla a farmi uscire.
“Per il momento una… e non credo che il numero aumenterà se mi barrico in casa ogni volta che cade qualche goccia di pioggia”. Il mio tono era sprezzante ed acido. Doveva capire che mi aveva offeso profondamente.
“Dai Jodi, togli quel muso e raccontami come hai passato il tuo primo giorno a Forks. Hai incontrato qualcuno di interessante?”
Capii immediatamente dove voleva arrivare. Per tutta la nostra conversazione Nessie non aspettava altro, a lei importava sapere solo una cosa!
“Se ti stai chiedendo se ho incontrato i Cullen, la risposta è sì”. Dissi disinvolta. “Ma non dirlo a papà, lo sai che non vuole”.
Nessie restò per qualche istante come impietrita, poi batté ripetutamente le palpebre e tentò di rilassarsi. Forse le avevo dato la notizia troppo bruscamente, ma non ero mai stata una ragazza piena di tatto.
“Tranquilla tesoro,” Disse. “Rimarrà un segreto tra noi. Ma adesso dimmi tutto: chi hai visto? Ci hai parlato? Che impressione ti hanno fatto?”
“Mamma calmati. C’erano tutti, anzi nel corso degli anni hanno aggiunto un altro membro, Daniel”.
Nessie sorrise dolcemente. “Carlisle non è cambiato affatto. Accoglie sempre chi ha bisogno di una famiglia”.
“Non ho idea di quale sia la sua storia”.
Una strana curiosità cominciò ad assalirmi. Perché Daniel era diventato un Cullen? Anzi perché era diventato un vampiro?
“Hai visto anche… Edward e Bella dunque”. Nessie pronunciò i nomi dei suoi genitori con voce tremante.
“E Alice, Jasper, Rosarie ed Emmett”. Sorrisi. “Erano tutti lì”.
“E come ti sono sembrati? Insomma, sei riuscita ad avvicinarli o si sono tenuti a distanza, come loro solito?” Pronunciò le ultime parole sogghignando.
“Ho parlato un po’ con Daniel, anche le la nostra non si può chiamare una vera e propria conversazione”. Sbuffai al solo pensiero. “Più che altro mi prendeva in giro”.
“Perché?”
“Mi sforzavo di non pensare ai Cullen per evitare che Edward mi sentisse”. Non riuscivo proprio a chiamarlo nonno. Era più forte di me. “Ma ho scoperto che i miei pensieri vengono captati saltuariamente, quindi i miei sforzi non servivano a un tubo”.
“Curioso”. Fu l’unica cosa che disse mia madre in proposito. “Hai parlato con qualcun altro?”
Esitai un secondo prima di rispondere. “Con Bella”.
Vidi Nessie irrigidirsi. Non disse nulla, ma sapevo che moriva dalla voglia di conoscere che cosa ci eravamo dette io e sua madre.
“Si è solo voluta assicurare che io non spifferassi a nessuno del loro ritorno. Credono che conosca il loro segreto solo perché sono di La Push, non perché sono la figlia di Jacob Black. Non sanno che sono tua figlia”.
Nessie annuì. “Per il momento va bene così, Jodi”.
In quell’istante entrò Jacob in casa con la sua solita delicatezza da elefante, ci mancò poco che buttò giù la porta. Era completamente zuppo e perennemente a petto nudo – avrebbe sentito caldo anche se si fosse trovato in mezzo ad una tempesta di neve –.
“Oh Jodi, sei arrivata”. Il sorriso che gli apparve sulla faccia mi sembrò al quanto sinistro. “Sembri di buon umore. Deduco che oggi a scuola sia andato tutto bene”.
Di buon umore? Io? A me non sembrava proprio. Sicuramente stava nascondendo qualcosa.
“Papà, che cos’hai?” Chiesi con tono diffidente. Questa sua innaturale gentilezza mi intimoriva di più del suo solito tono grave.
“Niente, sono felice che mia figlia sia felice”.
Dopo questa frase mi venne seriamente il dubbio che mio padre fosse impazzito.
“Jacob, ti senti bene?” Intuii che Nessie la pensava esattamente come me.
Prima che riuscisse a rispondere, sentimmo dei colpi contro la porta di casa. Vidi Jacob irrigidirsi e sorridere ancora. Quel sorrisetto mi stava dando seriamente sui nervi.
“Jake apri questa porta”. Sentii urlare da fuori. “Mi sto fracicando tutto, maledizione!”
Riconobbi la voce di Quil, ma quando mio padre lo fece entrare notai che non era solo.
Un ragazzo completamente bagnato e con gli occhi puntati verso il basso varcò la soglia di casa mia e si appoggiò con la schiena al muro del salotto, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
Avrà avuto all’incirca la mia età – mi parve di averlo anche incontrato qualche volta al liceo di La Push – gli occhi scuri e la carnagione abbronzata facevano risaltare ancor di più i suoi corti capelli biondi, zuppi di pioggia.
“Lui è Samuel Harris, Jodi”. Disse Jacob, forse si era accorto della mia curiosità verso il ragazzo. “Resterà da noi per un po’!”
“Cosa?” Non feci in tempo nemmeno a replicare che mio padre era già sparito in cucina con Nessie dicendole un “ti devo parlare” che lasciava intendere che quel “per un po’” in realtà racchiudeva un arco di tempo molto più lungo.
Quil era rimasto tra me e Samuel senza saper bene cosa fare, ci guardò entrambi, poi posò una mano sulla spalla del ragazzo e gli sorrise.
“Torno giù alla spiaggia. Sono sicuro che ti troverai bene dai Black”.
E cos’era casa mia, un albergo? Ora capivo perché mio padre faceva tutto il gentile poco prima. Voleva prepararmi all’accoglienza di un nuovo… inquilino.
Samuel alzò leggermente lo sguardo appena Quil uscì di casa e mi fissò. Io lo fissai a mia volta e cercai di capire che tipo fosse – di solito ero parecchio intuitiva –. A La Push non si vedeva spesso in giro ed anche a scuola me lo ricordavo insieme ad uno o al massimo due amici con cui chiacchierava in disparte.
“Jodi Black…” pronunciò il mio nome con un filo di voce, ma lo percepii ugualmente. Samuel alzò la schiena da addosso al muro e cominciò a fare qualche passo verso di me, finché non mi fu abbastanza vicino da prendermi la mano e portarla all’altezza delle sue labbra.
“Che cosa fai?” Chiesi ritraendo immediatamente la mano. Dalla cucina uscirono subito i miei genitori chiedendo cosa stesse succedendo.
“Samuel voleva… baciarmi la mano”. In effetti non era una cosa tanto tragica, però non ero abituata a certe… galanterie.
“Non volevo baciarti”. Mi contraddisse lui. “Ti stavo annusando”.
“Cosa?” D’istinto mi strinsi la mano al petto, come per proteggerla da quel ragazzo che sicuramente aveva qualche rotella fuori posto.
“L’ho notato appena sono entrato” Continuò Samuel. “Tu puzzi di vampiro”.

******

Bene, è entrato in scena un nuovo personaggio e, roba da non credere, vivrà insieme a Jodi!xD
Non voglio svelarvi niente, solo dirvi che la storia non è proprio così scontata come sembra!^^ (spero di avervi incuriosito ancora di più xD)
Cmq ringrazio ancora tutti quelli che seguiono la mia fanfiction o che l'hanno posta tra i preferiti!
Naturalmente un grazie anche a chi ha recensito, mi lusinga sapere che la mia storia sia stata apprezzata così tanto, è un incentivo per continuare a pubblicarla!
Un saluto a tutti, ci risentiamo nel prossimo capitolo!^^

P.S. Oddio, domani è vigilia, che emozioneeee!!xD Nel caso domani non riuscissi a postare nessun capitolo, ve lo dico ora:
      BUON NATALE A TUTTI!!!^^

*HarleyQ_91*

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Capitolo 4
*** Istinto ***


Innanzi tutto, BUON NATALE a tutti!^^
Perdonatemi se non ho aggiornato ieri, ma è stata una giornata frenetica (sapete, i regali all'ultimo momento!^^').
Poi il giorno della Vigilia a Roma esci di casa la mattina e non sai quando e SE riuscirai a rientrare!xD
Comunque oggi mi godo la giornata con più calma e per questo ho il tempo di postare il nuovo capitolo.
Spero che lo leggiate e che commentiate per farmi sapere le vostre opinioni!^^

******

CAPITOLO 4
- Istinto -


Cercai a lungo per le strade di Port Angeles, forse ore, ma non arrivai a capo di nulla.
Non percepivo l’odore di Jodi Black da nessuna parte, eppure non ero mai stato tanto male come segugio… anche se quelli erano altri tempi.
Non potevo aver capito male il luogo dell’appuntamento. Jodi e la sua amica – Eva Newton mi pare che si chiamasse – ne avevano parlato durante la pausa pranzo.
Allora dove diavolo erano finite?
Che avessero cambiato i loro piani? In effetti non era una possibilità da sottovalutare, considerando che pioveva a dirotto. Forse avevano preferito rintanarsi in casa di qualche loro amica e passare lì il pomeriggio.
Che stupido ero stato a pensare di seguirla. Per fare cosa poi?
Per tentare ancora una volta di sottoporla al mio potere? Era curioso il fatto che ne fosse immune. Ma c’era qualcos’altro, perché anche il potere di Alice non aveva effetto su di lei?
Se solo non avesse abitato nella riserva, sarei potuto andare a casa sua e scoprire cosa nascondeva spiandola. Ma era impensabile per un vampiro entrare a La Push.
Senza accorgermene mi fermai davanti ad una caffetteria. Sentivo la gente chiacchierare, ridere e gustarsi le loro ordinazioni senza alcuna preoccupazione.
A volte mi divertivo a pensare a come avrebbero reagito se avessero saputo che dietro la porta del locale in cui sedevano tranquilli e beati, si nascondeva un vampiro capace di dissanguarli tutti nel giro di pochi istanti.
La gola mi divenne secca e bruciò leggermente. Sapevo che certi pensieri non bisognava farli – se ci fosse stato Edward mi avrebbe di sicuro fatto una ramanzina – ma a volte era più forte di me.
In fondo non ero diventato vegetariano da molto.
Quando la porta della caffetteria si aprì, un odore acre di sangue mi pervase su per il naso.
Dovevo andarmene. Dovevo allontanarmi da quel posto troppo affollato prima che l’istinto prendesse il sopravvento su di me.
Quando le tre ragazze che uscirono richiusero la porta, l’odore si attenuò. Ma ormai il bruciore alla gola era cominciato e ci sarebbero voluti minimo venti minuti perché scomparisse.
“Avete saputo di La Push?” La voce di una delle ragazze destò la mia attenzione, mi sembrava di conoscerla. “Stamattina la spiaggia è stata travolta da un’onda anomala, l’hanno detto anche al notiziario”.
Un’onda anomala? A La Push?
E se Jodi ne fosse rimasta coinvolta?
Che stupido, lei era a scuola nel frattempo. Ma se a rimanerne coinvolto fosse stato qualche suo parente? Si spiegherebbe il motivo per cui non era venuta a Port Angeles.
“Non è di La Push quella tua amica che ci volevi far conoscere?” Chiese un’altra ragazza.
La sete mi offuscava la vita, ma riuscii lo stesso a mettere a fuoco le sagome delle tre ragazze. Una la riconobbi all’istante. Non mi ero sbagliato quando mi sembrò di conoscerla. Era Eva Newton.
“Sì, infatti penso non sia venuta oggi proprio perché c’è stata l’inondazione”.
La seconda ragazza aveva i capelli biondi sciolti lungo le spalle ed un viso un po’ allungato. Chissà perché qualcosa in lei mi ricordava Rosalie.
“Sta a vedere che adesso è rimasta senza casa”. Disse sogghignando.
Contrassi la mascella nel tentativo di reprime un improvviso attacco di rabbia. Il bruciore nella gola crebbe.
Non sapevo il perché, ma non doveva permettersi di fare certe battute su Jodi Black, mi davano tremendamente fastidio.
“Quanto sei maligna, Michelle”. La terza ragazza le diede una leggera gomitata. Si chiamava Ann Johnson, ricordavo di averla vista nella mia stessa aula di chimica, ma non ci avevo mai parlato.
“E’ una ragazza simpatica”. Intervenne Eva.
Forse non era giusto che origliassi i loro discorsi, ma tutto ciò che riguardava Jodi Black attirava la mia attenzione.
“Io non credo sia poi questa gran cosa”. Ricominciò Michelle. “Insomma, l’avete vista? Viene a scuola con la moto come un maschiaccio, si veste come un maschiaccio. Non credo nemmeno che sappia cosa vuol dire la parola fondotinta”.
Il bruciore alla gola divenne quasi insopportabile, la mia sete stava pian piano spingendo tutto il mio corpo a fare qualcosa che non avrei dovuto fare.
Di solito riuscivo a controllarmi perché c’erano i Cullen con me. A scuola, ad esempio, pur essendoci miriadi di possibili prede, ero controllato a vista. Edward teneva sotto controllo i miei pensieri, Alice era pronta ad intervenire nel caso la mia mente progettasse chissà quale omicidio e Jasper attenuava i miei istinti, tranquillizzandomi ogni volta che l’odore del sangue diventava troppo forte.
Ma ora non c’era nessuno di loro lì con me. Nessuno che tenesse sotto controllo i miei istinti. Nessuno che mi fermasse dall’uccidere.
“Michelle non te la prendere”. Disse poi Ann. “Lo sappiamo che ce l’hai con lei solo perchè oggi l’hai vista chiacchierare con Daniel Cullen”.
Uscì dalla macchina nello stesso istante in cui sentii pronunciare il mio nome. Non mi scomposi e camminai lentamente verso le tre ragazze.
Queste si voltarono tutte verso di me. Nonostante la pioggia, dovevano avermi riconosciuto subito, perché spalancarono gli occhi incredule.
“Parli del diavolo…” Disse Ann sogghignando. Forse sperava che non sentissi, ma la sua voce era arrivata chiara e tonda alle mie orecchie.
“Ciao Daniel!” Michelle si fece avanti con l’ombrello e mi riparò dalla pioggia. “Se continui a stare sotto l’acqua ti ammalerai”.
Con la mano si spostò una ciocca di capelli dietro la spalla e sfoggiò un bel sorriso.
“Grazie”. Le dissi guardandola storto. Il bruciore non accennava a diminuire, anzi, ripensando a ciò che Michelle aveva detto su Jodi, aumentava.
Eva e Ann si scambiarono un sguardo d’intesa e sorrisero.
“Michelle tu aspettaci qui”. Disse Eva. “Io e Ann andiamo un attimo al negozio di mia madre che le devo chiedere una cosa”.
“Tu resta pure con Daniel, altrimenti come lo ripari dalla pioggia?” Intervenne Ann sogghignando.
Come scusante non reggeva molto. Ma era evidente che Michelle non aveva alcuna intenzione di ribattere.
Io tacqui. Ero indeciso su cosa fare.
Il bruciore alla gola era insopportabile e in più queste ragazze mi stavano servendo una preda su un piatto d’argento.
La voglia di morderla era dovuta più dal fatto che Michelle mi irritava piuttosto che dal desiderio del suo sangue. Ma sempre di mordere si trattava.
Che l’avessi fatto per sete o per vendetta non contava. Io volevo morderla!
Quando rimanemmo soli, Michelle mi indicò una panchina sul retro della caffetteria. Sembrava fatto tutto apposta. Era come se sapesse che avevo intenzione di ucciderla e mi stesse facilitando le cose.
“Qui stiamo più tranquilli, no?” Disse sedendosi.
Io restai in piedi. Una parte di me ancora ragionava. Sapeva che se mi fossi seduto accanto a lei, le probabilità di lasciarla in vita sarebbero state ancora più scarse.
“C’è qualcosa che non va?” Disse. “Sei così… teso!”
Lo ero, lo ero davvero. Ma non per lo stesso motivo che sicuramente pensava lei.
“Perché sei venuto a Port Angeles? Insomma, voi Cullen non vi muovete quasi mai da Forks. E quando lo fate è per andare a fare trekking in montagna”.
“Stavo cercando una persona”. Risposi schietto, tentando di inalare meno aia possibile.
La mia gola reclamava sangue.
“E l’hai trovata?” Continuò a chiedere. La sua determinazione ad attaccare discorso con me era quasi patetica.
Mi limitai a scuotere la testa, così da non dover aprire la bocca.
“Ma chi cerchi? Dimmelo, magari l’ho visto”.
Scossi di nuovo la testa. “Non credo”.
“Beh prova, dimmi chi è!” Sapevo che non le interessava darmi indicazioni. Ciò che voleva lei era capire chi era la persona che aveva il potere di farmi andare fino a Port Angeles a cercarla.
Gelosia? Forse. La cosa certa era che aumentava il bruciore nella mia gola.
“Jodi Black”. Dissi. E appena pronunciai quel nome capii che il destino di Michelle era segnato.
Come immaginai aggrottò la fronte e scattò in piedi.
“Perché la cerchi?” Tentava di mantenere un tono di voce calmo, ma si sentiva che ribolliva di rabbia. Mi strinsi nelle spalle e non le risposi.
Anche se probabilmente da lì a poco l’avrei morsa, continuavo imperterrito a non respirare. Nella speranza che il bruciore si attenuasse.
Tuttavia sarebbe bastata una semplice ingiuria verso Jodi e sarei scattato.
“Non ci posso credere”. Disse Michelle ridendo malignamente. “Sono stata sovrastata da… da un… maschiaccio!”
All’improvviso divenne tutto buio.
L’istinto prese il sopravvento su di me e tutto ciò che avevo tentato di evitare si manifestò in quel momento.
Ciò che accadde precisamente non lo saprei dire.
L’unica cosa che mi rimase impressa nella mente fu il sapore del sangue quando con i miei denti morsi il suo collo.

******

Beh, forse il capitolo non è proprio a sfondo... come dire... natalizio, comunque spero sia piaciuto lo stesso!xD
Eh già, a quanto Daniel è piuttosto irascibile, fossi in voi nn lo farei arrabbiare!
Comuque, spero che il capitolo vi sia piaciuto che mi diciate le vostre impressioni!
Un grazie a tutti quelli che seguono, preferiscono e commentano le mie storie!
Ancora auguroni a tutti!

*HarleyQ_91*

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Capitolo 5
*** Codardo ***


Perdonate l'attesa, ma purtroppo ho avuto la febbre e non avevo la forza nemmeno di accendere il pc!xD
Cooomunque eccomi qua, spero abbiate passato delle belle feste (io ho mangiato davvero troppo!)
Vi lascio al capitolo 5, buona lettura!^^

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CAPITOLO 5
- Codardo -


Quella mattina Jacob si ostinò ad accompagnarmi a scuola con la macchina. La scusa era che con la moto mi sarei bagnata e poi Nessie non avrebbe fatto che preoccuparsi, ma sapevo che in realtà l’unico scopo di mio padre era quello di controllarmi.
Da quando Samuel gli aveva detto che puzzavo di vampiro si era insospettito. Pensava che a Forks fossi entrata in contatto con i Cullen.
Io avevo tentato di spiegargli che probabilmente l’odore che Samuel sentiva era dovuto alla mia parte vampiresca, ma non c’era stato verso di convincerlo.
“Tu non sei un vampiro”. Mi disse mentre fermava la macchina davanti al parcheggio della scuola. “Altrimenti sentirei la puzza anch’io”.
“Non hai mai pensato che forse è il tuo fiuto ad avere qualche problema?”
Jacob aggrottò le sopracciglia e strinse le mani intorno al volante. Lo avevo fatto davvero arrabbiare, avevo toccato un tasto dolente. Ormai era parecchio tempo che non si trasformava in lupo e i suoi sensi si stavano un po’ indebolendo.
“Io non ho alcun problema!” Mi contraddisse. “E’ Samuel che ha l’olfatto più sviluppato rispetto ai comuni licantropi”.
Fantastico, doveva capitarmi il licantropo con l’olfatto sopraffino per complicarmi le cose.
A scuola non potevo evitare di incontrare i Cullen – ammetto di essergli stata più vicino di quanto avrei dovuto – ma il loro odore sarebbe entrato in contatto con me comunque.
Samuel non aveva alcun diritto di mettere pulci nell’orecchio a mio padre.
Poi anche volendo evitarli – e non volevo – avevo Daniel come compagno di corso sia a biologia che a chimica, dovevo quindi per forza stargli accanto.
Scesi dall’automobile infilandomi subito il cappuccio del cappotto, non aveva smesso di piovere nemmeno un secondo quella mattina.
“Jodi, mi raccomando”. Le ultime parole di Jacob mi fecero sbuffare.
Lui rimise in moto l’auto ed uscì dal parcheggio, senza neanche avermi augurato buona giornata.
Davvero non capivo, perché non voleva che incontrassi i Cullen se non con lui? Eppure – che io sappia – non erano in cattivi rapporti.
Certo, secondo natura erano nemici giurati, ma io avevo il diritto tanto di stare con i licantropi che con i vampiri.
“Toh, chi si vede!” Eva mi si presentò davanti appena varcai la soglia dell’edificio 1. Il suo tono tuttavia non era acido come mi aspettavo. Mi immaginavo una ramanzina coi fiocchi, invece sembrava tranquilla.
“Eva… scusa per ieri, io…”
“Non preoccuparti Jodi. Ho visto quello che è successo a La Push, non devi spiegami niente”. Mi mise una mano sulla spalla e sorrise.
Non riuscii nemmeno a ringraziarla che un’altra ragazza si intromise nella nostra conversazione.
“Tu sei Jodi, vero? Eva mi ha parlato di te”. Aveva i capelli corti castani con qualche riflesso rossiccio, due occhi azzurri e delle lentiggini sparse sul piccolo naso che la facevano sembrare una studentessa delle medie piuttosto che una liceale.
“Lei è Ann Johnson”. La presentò Eva. “Era lei una delle mie amiche che ti volevo far conoscere. L’altra è Michelle O’Connor ma oggi non c’è. Sai, ieri è successa una cosa…”
Una leggera gomitata di Ann la interruppe. “Zitta Eva. Le abbiamo promesso di non spargere la voce”.
“Oh, ma Jodi non lo dirà a nessuno”. Poi guardò verso di me. “Vero?”
Scossi subito la testa. Non avevo la più pallida idea di cosa stessero parlando, ma doveva trattarsi di un fatto molto personale.
In fondo ero contenta che Eva volesse parlamene, significava che, pur conoscendomi da poco, già si fidava di me.
“Ti dispiace se ti raccontiamo tutto a pranzo?” Disse Ann prendendo Eva sottobraccio. “Ora abbiamo lezione e poi…” Con un cenno della testa indicò la porta d’ingresso e sia io che Eva ci voltammo. “… sta arrivando il codardo!”
Daniel Cullen stava percorrendo il corridoio principale con la sua solita aria diffidente e lo sguardo rivolto verso il basso.
Mi passò a fianco senza salutarmi – non che fosse tenuto a farlo, ma una parte di me ci sperava – ed entrò nell’aula di biologia.
Salutai Eva ed Ann e lo seguii.
Codardo? Perché codardo? Forse era una reputazione che si era costruito a posta per evitare che qualcuno scoprisse la sua natura di vampiro? Mi sembrava piuttosto stupida come soluzione.
Un vampiro codardo? Sinceramente, non riuscivo nemmeno ad immaginarlo.
Entrata in aula il professore mi indicò un posto diverso da quello che occupai il giorno prima.
“Ma io credevo… di essere in coppia con Cullen”. Cercai di spiegargli, ma lui non sprecò nemmeno una parola per rispondermi e continuò ad indicare il posto in cui voleva che mi sedessi.
Sbuffai indispettita. Daniel occupava un banco singolo nel fondo dell’aula. Sembrava che volesse di proposito stare solo.
Non sedergli accanto significava rimanere meno in contatto con il suo odore – il che forse mi avrebbe salvato dal fiuto di Samuel – ma significava anche non poterci parlare.
Era l’unico dei Cullen di cui ancora non sapevo nulla. Chi era da umano? Da quanto tempo e come era diventato un vampiro? Come conobbe i Cullen e decise di aggregarsi al loro stile di vita?
Erano tutte domande alle quali, presto o tardi, Daniel Cullen avrebbe dovuto rispondere.
Passai tutta l’ora a fissarlo con la coda dell’occhio. Tentai il più possibile di essere discreta, ma non ero certa che – con i suoi sensi da vampiro – non mi avesse notata.
Tuttavia non staccò mai lo sguardo da fuori la finestra e stranamente il professore non gli diceva nulla. Restava immobile, senza neanche voltarsi una volta verso di me – chissà perché poi mi aspettavo tanto che lo facesse – solo ogni tanto batteva le palpebre lentamente, ma sicuramente era un vizio che gli era venuto vivendo a stretto contatto con gli umani, sapevo che per loro non era indispensabile.
La campanella suonò e tutti gli studenti si precipitarono nei corridoi. Edward e Bella uscirono prima di me, senza nemmeno guardare Daniel. Non sapevo il perché, ma la situazione mi sembrava strana.
In sala mensa ebbi la conferma delle mie supposizioni.
Daniel Cullen era seduto ad un tavolo isolato, in un angolo della stanza. Distante dai suoi fratelli, che non lo degnavano di uno sguardo.
“Guardalo, deve sentirsi davvero uno schifo”. Disse Ann mentre addentava un trancio di pizza.
“Da una parte è giusto che si senta in colpa”. Intervenne Eva. “Michelle stava per rimanerci secca”.
La conversazione attirò la mia attenzione. Cosa c’entrava Michelle con Daniel?
“Ehm… scusate, ma di cosa state parlando?”
Eva si voltò verso di me, poi posò la sua mano sulla mia e parlò a voce molto bassa.
“Promettimi che ciò che sto per dirti non lo dirai a nessuno!”
Con un gesto della mano feci segno di serrarmi le labbra come avessero una chiusura lampo e attesi che Eva continuasse.
“Ieri sera a Port Angeles abbiamo incontrato Daniel Cullen. Non so che cosa ci facesse lì – è strano vedere un Cullen che si sposta da Forks – fatto sta che io ed Ann lo abbiamo lasciato da solo con Michelle”.
“Sai, Michelle è cotta di lui dal primo giorno che lo ha visto”. Commentò Ann.
Eva le lanciò un’occhiata di disappunto per aver interrotto il suo racconto e riprese a parlare.
“Quando siamo tornate da loro però Daniel non c’era più e Michelle stava a terra svenuta con delle ferite sanguinanti, ci è preso un colpo!”
Sgranai gli occhi. “Che cosa le era successo?”
“I dottori pensano che sia stata aggredita da qualche animale selvatico”. Spiegò Ann.
“Ed ora come sta?”
“Non è in pericolo di vita”. Mi tranquillizzò Eva. “Ha solo perso molto sangue, ma con delle trasfusioni tornerà sana come un pesce”.
“E’ un miracolo che non sia morta, ed il merito non è certo di Cullen”. Intervenne acida Ann.
Io la guardai perplessa e sicuramente capì che volevo maggiori informazioni.
“Non capisci, Jodi? Daniel è scappato come un codardo, senza chiamare aiuto o preoccuparsi per Michelle. Se l’è data a gambe lasciando la nostra amica al suo destino, quel bastardo!”
La voce tagliente ed arrabbiata si Ann mi fece deglutire. Davvero Daniel aveva avuto paura? No, non potevo crederci.
C’era sicuramente una spiegazione plausibile per un simile comportamento, e l’unico modo per venirne a capo era chiedere informazioni direttamente alla fonte.
“Scusatemi un secondo”. Dissi alzandomi dal tavolo e prendendo il mio vassoio.
Dovevo trovare una scusa per sedermi al suo tavolo, ma non mi veniva in mente niente.
“Hai già finito?” Chiese Eva incredula. “Ti sarai mangiata minimo un quintale di cibo. Dove la metti tutta quella roba?”
Mi limitai a sorridere ed andai a posare il vassoio vuoto sopra gli altri posti al lato della porta d’ingresso. Ero abituata a mangiare tanto e velocemente – d’altronde ero sempre la figlia di un lupo –.
“Jodi, ho saputo di La Push”. Non ci fu bisogno di voltarmi per capire a chi appartenesse la voce che mi chiamava da dietro. “Come stanno nella riserva? Sai se qualcuno è rimasto coinvolto?”
Bella posò il vassoio sopra il mio, con la differenza che lei il cibo non lo aveva nemmeno sfiorato.
“Non che io sappia”. Le risposi. “Solo che alcune famiglie sono rimaste senza casa ed ora i capi tribù si stanno organizzando per sistemarle da qualche altra parte”.
Bella tirò un sospiro di sollievo. Era naturale che si preoccupasse, visto che dove era avvenuta l’inondazione ci abitava sua figlia.
“Senti Bella, posso chiederti una cosa?” Domandai timorosa. Lei annuì dolcemente. “Cosa è successo a Daniel? Come mai oggi sta sempre da solo?”
Abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore. “Vedi Jodi…”
In quell’istante arrivò Rosalie con altri due vassoi che andarono ad incrementare la pila formatasi accanto alla porta della mensa.
“Daniel ormai non ci riguarda più, Bella”. Disse non permettendo all’altra vampira di rispondermi. “Perciò evita di parlarne!”
“In che senso,scusa?” Chiesi non avendo capito ciò che intendeva Rosalie.
La bellissima vampira bionda mi rivolse uno sguardo diffidente e sbuffò leggermente.
“Ancora non hai capito, ragazzina?” Mi disse con tono superiore. “Daniel non fa più parte della famiglia Cullen!”

******

Beh... come al solito lascio in sospeso! Spero non me ne volgiate, prometto che aggiornerò prestissimo (se ce la faccio, domani stesso, altrimenti dopodomani al massimo)!
Scusatemi ma sotto capodanno ho ancora i ritmi più frenetici che sotto Natale!xD
Beh, grazie ancora a tutti quelli che seguono, recensiscono e che hanno messo la mia storia tra i preferiti!
Un saluto e a presto!

*HarleyQ_91*

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Capitolo 6
*** Frainteso ***


Salve a tutti!^^
So che dico sempre di non sapere quando aggiornerò ma alla fine aggiorno presto (diciamo che siete anche voi che mi spingete a farlo), però ammetto anche che sto sfruttando questi ultimi giorni perché credo proprio che dopo capodanno per qualche giorno non potrò mettere nessun capitolo (cause capodanno, appunto, e studio xD)
Ciò non toglie che questa mia ultima frase venga poi smentita dalle mie azioni!xD Si vedrà...
Intanto godetevi il capitolo 6!^^

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CAPITOLO 6
-Frainteso-

 

La frase di Rosalie mi colpì come un pugno nello stomaco. Ma in fondo me l’ero andata a cercare.
“Rosalie, non dire assurdità!” Smentì Bella. “Daniel lo sa che può sempre contare su di noi!”
“Però se ne è andato”. Ribatté Rosalie. “E’ lui che non vuole più essere un Cullen!”
“E’ stata una sua scelta?” Intervenne Jodi, poi si voltò verso di me.
Io continuai a guardare fuori dalla finestra come avevo fatto per tutto il tempo della pausa pranzo, non volevo incontrare il suo sguardo.
Sarebbe stato sicuramente compassionevole ed io non volevo far pena proprio a nessuno.
“Credete che… possa andare a parlarci?” Chiese Jodi timidamente.
In quel momento mi voltai, vidi Rosalie stringersi nelle spalle e ritornare al tavolo, mentre Bella posò una mano sulla spalla della ragazza ed annuì.
No! Non volevo!
Non volevo parlare con nessuno, soprattutto con Jodi Black. Era a causa sua – o meglio di ciò che la gente diceva su di lei – che l’istinto aveva preso il sopravento su di me.
Nella mia mente continuai ad ordinarle di andarsene per tutto il tempo in cui la vidi dirigersi verso di me. Ma era tutto inutile. Arrivò con passo lento fino al mio tavolo e mi si sedette di fronte.
Ripresi a guardare fuori dalla finestra.
“Allora…” cominciò. Ecco, già mi immaginavo le miriadi di domande che voleva pormi: perché di punto in bianco me ne ero andato, perché mi ero separato dai Cullen, eccetera. Domande a cui non mi andava affatto di rispondere.
“Devi ancora spiegarmi in cosa consiste la mia immunità!”
Sgranai gli occhi. Non mi aspettavo una domanda del genere, eppure non ero un tipo tanto facile da pendere in contropiede. Tuttavia non capivo cosa c’entrasse la sua immunità col fatto che me ne fossi andato dalla famiglia Cullen.
“Cos’è quella faccia? Ti sei morso la lingua?” Mi chiese sogghignando.
Dovevo avere davvero un’espressione da idiota.
“Credevo fossi qui per chiedermi come mai non sto con i Cullen”. Ammisi.
“Anche per quello”. Rispose. “Avevo in mente di arrivarci durante la conversazione, ma se vuoi parlarne ora… prego, ti ascolto!”
Poggiò i gomiti sul tavolo e mise le mani sotto il mento, continuando imperterrita a guardarmi e sorridere.
“Pensi davvero che ti dirò tutto?” Chiesi sarcastico.
“Lasciamelo almeno sperare”.
Restammo qualche attimo in silenzio, sostenendo il nostro sguardo a vicenda. Poi lei abbassò il suo e notai che le arrossirono un po’ le guance.
“Vuoi che me ne vada?” Mi chiese con un filo di voce, tenendo lo sguardo basso.
“E’ da quando ti sei alzata dal tuo tavolo che ti sto ordinando di non venire da me. Ma, come al solito, è tutto inutile”.
“Spiegati meglio, per favore”. Rialzò lo sguardo su di me ed aggrottò le sopracciglia.
“Sono abituato a dar ordini alla gente”. Cominciai a spiegarle. Perché, in fondo, una qualche spiegazione gliela dovevo. “E questa li esegue senza potersi ribellare. È una capacità molto utile!”
“In poche parole, strumentalizzi le persone!” Minimizzò lei.
Non riuscii a trattenere una piccola risata. “Diciamo di sì”.
“Ma con me non ci riesci”.
Scossi leggermente la testa e, senza accorgermene, mi ritrovai di nuovo a sorridere.
Jodi inarcò le sopracciglia stupita e riprese a sostenere il mio sguardo.
“Quindi puoi far fare alle persone tutto ciò che vuoi?” Chiese incuriosita.
“In effetti sì”. Risposi. “Rosalie ce l’ha a morte con me per questo”.
“Perché?”
Sogghignai appena. “Ogni volta che Esme mi dà una faccenda da sbrigare a casa, la faccio svolgere a lei. Ci credo che non vedeva l’ora che me ne andassi”.
“Quindi te ne sei andato perché hai litigato con Rosalie”. Ipotizzò lei. La vedevo che era confusa. Cercava in tutti i modi di capire cosa mi era successo, perché avevo preso una decisione così drastica e così all’improvviso.
Voleva che mi confidassi, voleva che capissi di potermi fidare di lei.
“No, me ne sono andato perché non sono più degno di essere un Cullen”.
La mia risposta la confuse ancora di più. Notai tuttavia che, oltre alla confusione, aumentò anche la sua curiosità.
Il mio istinto mi diceva che potevo fidarmi. Anche se avendogli dato ascolto già una volta non finì bene, provai a rischiare ancora. D’altronde questa era una situazione del tutto diversa e poi, raccontandole la verità, forse si sarebbe allontanata da me.
“Solo perché sei fuggito da un animale selvatico?” Disse alzando un sopracciglio. “Capisco che da un vampiro non te lo aspetti, ma ognuno ha le sue debolezze. Non sentirti in colpa per questo”.
Non riuscii a trattenere una leggera risata. Si stava preoccupando per me? Non potevo crederci.
“Davvero credi a quella storia? Pensavo conoscessi meglio i vampiri”.
“Non è andata così?”
Sembrava sul serio convinta che la versione dei fatti che le avevano raccontato fosse quella vera. Forse era talmente abituata all’idea dei Cullen come vampiri “vegetariani” che non le passava minimamente per la testa la possibilità che uno di loro potesse rivelarsi ancora “carnivoro”.
“Michelle è stata aggredita da un animale, sì”. Cominciai cauto. Volevo che sapesse la verità così da tenerla lontana dal pericolo di un mio attacco – agli altri lo ordinavo semplicemente, mentre con lei non potevo – ma l’idea di terrorizzarla mi faceva crescere un senso di angoscia di cui non concepivo il motivo.
“Ma non era un animale selvatico”.
“Allora cos’era?”
La sua espressione incuriosita non svanì mai dal suo volto neanche un secondo. I suoi occhi marroni e profondi sembravano potermi scrutare anche l’anima – sempre che l’avessi –. Possibile che non ci arrivasse?
“Andiamo Jodi, pensaci”. Dissi. “Eravamo soli, io e Michelle, di sera… non è difficile”.
Sostenni il suo sguardo ancora dubbioso e per qualche attimo mi parve che nella mensa calò l’assoluto silenzio, ero concentrato solo su di lei. Mi immaginavo la sua razione: avrebbe urlato? Sarebbe scappata il più velocemente possibile? Tutte reazioni comprensibili.
Era ciò che volevo.
Di scatto spalancò gli occhi e raddrizzò la schiena. Ecco, doveva aver capito.
Deglutì un paio di volte, poi si portò una mano davanti la bocca e tentò di parlare.
“Sei… sei stato… tu!” Sussurrò appena. Il suo volto era visibilmente scosso, finalmente si era resa conto di che bestia aveva davanti.
Che strano, credevo che mi sarei sentito sollevato una volta raccontatole la verità, invece l’angoscia continuò a persistere dentro di me.
“Però… non l’hai uccisa. Anzi ho saputo che si rimetterà presto, quindi le hai inferto una ferita superficiale”.
La guardai sconcertato. Stava ancora cercando di consolarmi? Come poteva rimanere ancora seduta davanti a me dopo che le avevo confessato di aver morso un’umana?
“Non l’ho uccisa, è vero”. Dissi stringendo i denti. “Ma se Alice non mi avesse visto e non fosse intervenuta con gli altri a fermarmi, avrei finito per dissanguarla”.
Jodi abbassò lo sguardo e cominciò a strofinarsi le mani l’una contro l’altra.
“Beh però… ci sarà stato un motivo per cui l’hai attaccata. In fondo, se sei vegetariano, dovresti aver sviluppato un certo autocontrollo. Cos’è che ti ha fatto perdere la pazienza?”
Sorrisi leggermente. “Parlava troppo per i miei gusti!”
“Adesso non fare il cretino!” Ribatté aggrottando le sopracciglia. Mi sorprese con quanta disinvoltura ancora mi si rivolgeva. Davvero non aveva paura?
“Ma che cosa vuoi da me, eh Jodi?” Le chiesi schietto alzando un po’ la voce, ma in mensa nessuno fece caso a me. “Che ti importa del perché l’ho morsa? Fatto sta che l’ho morsa! È questo ciò che conta”.
“Per me ti fai problemi inutili”. Disse incrociando le braccia sul petto. “Non mi sembra una cosa così grave da dover addirittura allontanarti dalla tua famiglia”.
“Non è così grave?” Le feci eco. Non riuscivo a crederci. La considerava una cosa da nulla. Il fatto che avessi morso un’umana a lei non faceva scattare nessun campanello di allarme.
“Io sono un assassino”. Le dissi tra i denti.
“No, non lo sei”. Mi contraddisse. “Non l’hai uccisa”.
“Ho comunque ucciso prima di diventare un Cullen”. Ammisi.
“E questo che c’entra? Ciò che hai fatto prima di essere un Cullen appartiene al passato. Il fatto che tu abbia morso Michelle non lo riguarda. Non devi sentirti in colpa per questo”.
La fissai per qualche attimo e compresi perfettamente ciò che voleva dirmi.
Aveva frainteso ogni mia parola.
Aveva tentato di consolarmi per tutto il tempo, senza rendersi conto che non era quello il modo.
Ancora non aveva capito il motivo per cui mi ero allontanato dai Cullen.
“Davvero credi che mi senta in colpa?” Chiesi sorridendo leggermente della sua ingenuità.
“Perché… non è così?”
Scossi la testa. “Sapevo che, anche dopo averli delusi, i Cullen avrebbero continuato ad accettarmi nella loro famiglia. Bastava che mi pentissi”. Presi una leggera pausa. “Ma è proprio questo il punto. Io non mi sono minimamente pentito di ciò che ho fatto!”

******

Perdonatemi, forse è un po' corto (e ad essere sincera le mie amiche mi hanno già linciata per come ho fatto finire questo capitolo!xD)
Però far finire i capitoli in sospeso mi rende più facile scrivere i successivi, quindi non siate troppo severi con me!^^

Un grazie a
Larina
Lely_Cullen
Nene Cullen
Paolina
Verunka


Che hanno messo la mia storia tra le preferite!^^
E anche, naturalmente a
CheyenneB
DeAnna
FlaR
Kiish
Lali28cullen
Sararossetto
Tayloryuk11
_PectusInane_


Che l'hanno messa tra le seguite!^^ Spero continuiate a leggere la mia fanfiction e ad apprezzarla!^^
Un bacione a tutti!

*HarleyQ_91*


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Capitolo 7
*** Discussione ***


Lo so, lo so... è parecchio che non aggiorno e mi dispiace!xD
Sotto capodanno però non potevo proprio e poi mi sono rimessa a studiare!
Comunque vi auguro buon anno, anche se in ritardo e una buona Epifania...
ora credo sia meglio non dilungarmi, vi ho fatto già aspettare molto!^^

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CAPITOLO 7
- Discussione -

 
Nei giorni a seguire il sole riapparve sulla riserva e sulla fredda e piovosa Forks.
Naturalmente i Cullen non si fecero vedere. Nessie mi aveva raccontato che quando un vampiro si espone alla luce del sole la sua pelle comincia a brillare come fosse ricoperta di diamanti. Chissà se un giorno ne avrei mai visto uno?
Tuttavia non avevo mai desiderato tanto la pioggia in vita mia. Era passata una settimana da quando io e Daniel avevamo avuto la nostra conversazione e sinceramente avevo paura che, oltre ad allontanarsi dai Cullen, avesse deciso di andarsene anche da Forks.
In fondo, se davvero non era un “vegetariano” non poteva restare nel luogo vincolato dal patto coi licantropi.
Però non volevo che se ne andasse.
L’unico fatto positivo era che, non vedendo i Cullen a scuola, Samuel non sentiva più la loro puzza sulla mia pelle. Da quel che avevo capito, il suo olfatto sviluppatissimo riusciva a distinguere l’odore proveniente dal mio sangue – ossia della mia parte vampiresca – da quello della mia pelle, cioè dovuto da contatti esterni.
La convivenza con lui comunque si stava rivelando più facile di quanto mi aspettassi. Era un tipo piuttosto taciturno.
Venire poi a sapere che aveva perso entrambi i genitori quando aveva sette anni e che aveva vissuto con lo zio finché, divenuto maggiorenne, non decise di andare a vivere da solo per non essergli più di peso, mi rese più transigente e comprensiva nei suoi confronti.
Certo, se avesse evitato di spifferare a mio padre che puzzavo di vampiro mi avrebbe fatto un gran favore.
Jacob ormai aveva capito che non desideravo altro che conoscere – diciamo pure conoscere ufficialmente – i Cullen.
E poi c’era Nessie. Erano anni che non vedeva i suoi genitori e per quanto potessero sentirsi per telefono – il che non capitava spesso perché i Cullen si spostavano di continuo facendo ogni qual volta perdere le loro tracce – non era come parlarci direttamente.
Avevo provato a chiedere a mia madre di andare ad incontrarli solo noi due, anche all’insaputa di Jacob se occorreva, ma lei aveva sempre rifiutato.
“Non credo sia il momento adatto”. Mi diceva. “L’inondazione ha sconvolto tutta La Push e non voglio lasciare tuo padre da solo a prendersi sulle spalle tutto il lavoro di riorganizzazione della riserva”.
Come sempre metteva mio padre davanti ad ogni cosa. D’accordo che tra di loro c’era un legame indissolubile – il famoso imprinting di cui Jacob mi aveva accennato una volta, ma non ne sapevo molto – però Nessie avrebbe dovuto pensare anche un po’ alla sua vita, no?
“Ehi meticcia… posso entrare?”
Mi voltai verso la porta della mia stanza, ma prima che potessi rispondere Samuel era già entrato e si era seduto sulla sedia davanti alla mia scrivania.
“Non ti azzardare più a chiamarmi in quel modo!” Lo minacciai mentre posavo il libro che stavo leggendo sul comodino.
Ogni tanto si divertiva a stuzzicarmi. Perché poi? Gli piaceva tanto farmi arrabbiare?
“Nervosetta oggi, eh?” Chiese sarcastico.
“Non sono nervosa, sono incazzata!” Risposi schietta e incrociando le braccia sul petto.
“Ancora per la storia dei Cullen?”
“Certo! Non capisco che cosa aspetti mio padre per farmeli incontrare. Anche mia madre è ansiosa di rivedere i suoi genitori, non capisce che così la fa soffrire?”
“Jacob è solo preoccupato”. Disse disinvolto e con un sorriso.
“Che cosa ne puoi sapere tu?” Era venuto in camera mia per farmi la morale? Oh no, da lui proprio non l’avrei accettato!
“Ti ricordo che, quando siamo entrambi trasformati in licantropi, io e tuo padre possiamo leggerci nel pensiero. So bene ciò che prova”.
“Ma davvero?” Chiesi sarcastica. La sua aria superiore mi dava ai nervi. “Allora, ti prego, illuminami”.
Samuel sbuffò, di certo resosi conto del mio sarcasmo, e si sedette al contrario sulla sedia, appoggiando le braccia incrociate sullo schienale.
“Hai mai pensato che a Jacob non vada a genio tutto questo interesse per i Cullen? Insomma, loro sono vampiri e lui è un licantropo. Come la prenderesti se tua figlia smaniasse tanto per incontrare il tuo nemico giurato?”
“Ma Jacob lo sa che i Cullen sono buoni”. Risposi sorridendo, come se l’osservazione fosse ovvia. “E poi doveva pensarci prima di sposarsi un mezzo vampiro, non credi? Praticamente è stato proprio lui a volersi imparentare con i suoi nemici giurati!”
Samuel scosse la testa. “L’imprinting non si può controllare, Jacob non poteva sapere che si sarebbe innamorato di Renesmee. Ma la natura detta leggi molto chiare: i licantropi e i vampiri non possono far parte di una stessa famiglia”.
Mi misi seduta sul letto ed aggrottai le sopracciglia. Avevo i nervi a fior di pelle.
Non ne potevo davvero più. Dovevo andare a chiedere spiegazioni direttamente a mio padre. Se davvero gli dava così fastidio che avessi rapporti con i Cullen, perché mi aveva permesso di trasferirmi a Forks?
Uscii dalla mia stanza e percorsi il corridoio con passo pesante, così che i miei genitori in salotto potessero capire che stavo arrivando e che ero di pessimo umore.
Difatti trovai Jacob seduto sul divano con lo sguardo rivolto verso di me e le braccia incrociate sul petto, pronto ad accogliere qualsiasi cosa dovessi dirgli. Nessie era seduta sul bracciolo accanto a lui e gli cingeva le spalle con il braccio.
“Papà adesso mi spieghi per quale motivo non vuoi che io incontri i Cullen!” Cominciai fredda e decisa, fulminandolo con lo sguardo. Lui inarcò le sopracciglia e sorrise leggermente.
“Jodi, tesoro, non è vero che non voglio. È solo che questo è un periodo critico per la riserva. Cerca di capire, non posso abbandonare la gente di La Push”.
“Piantala con questa scusa idiota!” Lo incalzai sedendomi sulla poltrona di fronte a lui. Davvero mi credeva così stupida? “Si tratterebbe di andarli a trovare un pomeriggio. Pure oggi stesso, tanto è domenica e c’è il sole, quindi stanno sicuramente a casa”.
Jacob si alzò in piedi e prese per mano mia madre. “Modera il tono, signorina!”
Ammetto che la sua struttura possente e la voce profonda mi incutessero un po’ di paura, ma non dovevo lasciarmi abbattere.
“Ti ho promesso che li andrai a trovare, ma io dovrò essere presente. Ed in questi giorni non è possibile”.
“Ma perché? Hai paura che possano mordermi?”
“Non dirlo neanche per scherzo, Jodi!” Lasciò la mano di mia madre e se la portò davanti alla bocca.
“E’ questo dunque. Non ti fidi di loro”. Poi mi voltai verso mia madre. “Mamma ma lo senti che cosa dice? Perché non ribatti? Ti sta praticamente costringendo a non vedere la tua famiglia”.
“Tua madre è libera di vedere i suoi genitori quando vuole”. Intervenne di nuovo Jacob. “Io non l’ho mai costretta a far nulla. Quella di non incontrarli è una sua scelta”.
“Perché sa che ti darebbe un dispiacere!” Commentai.
Doveva essere per forza colpa dell’imprinting. Da quel che riuscivo a capire questo fenomeno faceva innamorare un licantropo con la sua anima gemella, ma a quanto pareva la donna era destinata a sottostare al volere dell’uomo. Io l’avevo sempre detto che La Push era un covo di maschilisti.
“Adesso piantala, Jodi!” La voce ferma di Nessie mi fece irrigidire totalmente. “E’ vero, tuo padre non manda giù il fatto che sia imparentato con dei vampiri. Non lo ha accettato e forse non lo accetterà mai. Ma non puoi aggredirlo per questo”.
“Ma se lui non vuole avere niente a che fare con loro, a me sta bene”. Risposi abbassando un po’ il tono di voce. Con Nessie non riuscivo a vestire i panni della ragazza in collera. “Però non può negarmi di incontrarli. In fondo in me scorre anche il loro sangue”.
“Per una minima parte”. Intervenne Jacob quasi ringhiando. “Per metà sei licantropo e solo per un quarto vampiro”.
“Sì, lo so”. Sbuffai. Doveva sempre precisare ogni cosa. “Però resta il fatto che un po’ vampiro lo sono. Quindi ho tutto il diritto di conoscere i Cullen”.
In quel momento presi una decisione. Mi diressi verso l’appendiabiti e presi in mio cappotto.
“Li conoscerai, ma non oggi”. Continuò Jacob. Ma io non gli davo ascolto, ormai avevo deciso.
Mi infilai la giacca, dopodiché presi Samuel per un polso e lo trascinai dietro di me – stranamente non si oppose. Meglio così, il suo fiuto infallibile mi sarebbe stato di grande aiuto –.
“Papà, pensala come vuoi. Ma io sono stufa”. Dissi aprendo la porta di casa. “Non intendo aspettare oltre, mi dispiace”.
Mi chiusi la porta alle spalle, pronta a partire in quarta se Jacob avesse voluto seguirmi. In parecchie gare che avevamo fatto, avevo riscontrato di essere più veloce di lui. Ma, passato qualche minuto e notando che non usciva nessuno da casa, presi la mia moto e salii in sella.
“Sei disposto a farmi da guida?” Chiesi a Samuel, mentre mi infilavo il casco.
“Seguire l’odore dei vampiri è una cosa che mi disgusta, ma resisterò”. Aveva la mascella serrata ed i tendini tirati. Si stava preparando per trasformarsi.
“A che devo tutta questa gentilezza?” Chiesi sarcastica.
“Ho sentito spesso parlare dei Cullen e non voglio perdere la possibilità di incontrarli”.
In quell’istante si lanciò dentro il piccolo bosco antistante la mia casa per poi riuscirne in una forma animale di circa tre volte più grande di lui e di sicuro meno attraente.
Accesi la moto e partii. A dire il vero mi sembrava assurdo andare a conoscere una famiglia di cui già conoscevo la maggior parte dei componenti – mi mancavano solo Carlisle ed Esme –. Forse erano più loro che avrebbero conosciuto me, chi ero realmente.
In fondo, ero intenzionata a raccontargli tutta la verità.

******

Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto!^^
Credo però che servano delle precisazioni:
- Ho fatto dei cambiamenti nel carattere di Jacob, come credo si sia notato, ma è stata una scelta a scopo narrativo e (speziamo una lancia in favore del lupacchiotto) in fondo c'è da dire che, per quanto possa rispettare i Cullen, in fondo restano sempre i suoi nemici giurati - la natura non gli permette di fidarsi completamente di loro - perciò è solo preoccupato per la figlia e per la moglie!xD
- Anche il fatto di aver reso l'imprinting un fattore di semi-servilismo femminile è solo a scopo puramente narrativo! Anche se, ad essere sincera, l'ho sempre visto un po' così, anche mentre leggevo i libri!xD
  Vabbè, non credo ci sia altro da dire!^^
  Aspetto le vostre opinioni!
Un saluto!

*HarleyQ_91*

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Capitolo 8
*** Rivelazione ***


Salve a tutti!^^
Beh... ecco un nuovo capitolo... mi scuso già per il fatto che non sia molto lungo... spero comunque che vi piaccia lo stesso!^^
Devo dire che l'ho scritto in un periodo molto particolare, perciò scusatemi se non è proprio il massimo come capitolo!
Beh, a voi l'ardua sentenza!


******

CAPITOLO 8
- Rivelazione -


Stavo seduto sul divano davanti alla televisione accesa.
Era passata più di una settimana da quando avevo morso Michelle e nessun notiziario sembrava averne fatto parola. Ne fui sollevato, almeno i licantropi non potevano in alcun modo scoprire che avevo infranto il patto.
Edward era al pianoforte intento a suonare l’ennesima melodia per Bella e lei non si stufava mai di ascoltarlo. Seguiva il ritmo con movimenti impercettibili della testa e canticchiava sopra le note con la sua voce melodiosa.
Chissà se anch’io ero capace di suonare qualche strumento. Sinceramente non avevo mai provato.
“Se vuoi posso darti qualche lezione”. Disse Edward non smettendo di suonare. Ormai le sue mani si muovevano sui tasti senza più bisogno nemmeno della minima concentrazione.
“Non preoccuparti”. Gli dissi riprendendo a guardare distrattamente la televisione. “Non credo sia una buona idea. Sono pessimo”.
“Se non provi non lo saprai mai”. Mi incalzò smettendo di suonare ed alzandosi dallo sgabello per lasciarmi il posto.
Tuttavia non riuscii nemmeno a fare un passo che un odore nauseante mi inondò le narici obbligandomi a tapparmi il naso.
Edward si voltò di scatto verso di me e sgranò gli occhi.
“Vai in camera tua, Daniel”. Mi disse con tono che non ammetteva replica. “E restaci finché non te lo dico io!”
Ero più abituato a dare ordini piuttosto che riceverne, ma Edward sembrava così sconvolto che non me la sentii di ribattere.
“Amore, credi che si stiano dirigendo qui?” Sentii chiedere Bella mentre salivo le scale.
“I licantropi non vengono a Forks se non per motivi seri, d’importanza vitale”. Carlisle era entrato nel salotto, seguito dal resto dei Cullen. “Inoltre sono trasformati, perché Alice non riesce a vederli”.
“Com’è possibile che l’abbiano scoperto?” Chiese Bella con voce ansiosa. “Credevo che avessimo cancellato ogni traccia che potesse ricondurre a noi. Non è che la ragazza si è trasformata?”
“No Bella,” la rassicurò Edward. “Carlisle le ha succhiato via tutto il veleno. Siamo stati molto attenti da questo punto di vista”.
“E allora perché stanno venendo qui?”
Nel salotto calò il silenzio.
Anche se non parlavano ero certo che in realtà tutti stavano pensando a me.
I licantropi avevano scoperto che ero venuto meno al patto con i Quileute, stavano venendo a prendermi per poi uccidermi.
Sinceramente io non vedevo tutta questa tragedia. Con il mio potere avrei potuto far tornare i lupi sui loro passi senza bisogno di discussioni o, peggio, spargimenti di sangue. Era tutto sotto controllo.
“No che non lo è!” Mi contraddisse Edward. E tutti si accorsero che ero rimasto per le scale ad origliare. “I licantropi non sono stupidi. Troveranno un modo per arrivare a te comunque, per questo è meglio parlare con loro e sperare che ritirino la loro decisione”.
“E nel frattempo io dovrei starmene con le mani in mano? Senza sapere se verrò fatto a pezzi oppure no?” Volevano tenermi in disparte. Anche se nessuno lo diceva ero sicuro che avessero paura che potessi complicare ulteriormente le cose. Non si fidavano di me, questo era il punto.
“Daniel, ti prego”. Esme mi prese il braccio tra le mani lo strinse delicatamente. “Fa’ come dice Edward, va’ su in camera tua. Parliamo noi con i Quileute”.
Non ero abituato a certe dimostrazioni di affetto familiare, ma lo sguardo preoccupato e supplichevole di Esme mi fece tenerezza, tanto che le sorrisi e – mio malgrado – mi diressi al piano di sopra.
L’odore di lupo era forte anche una volta che mi chiusi nella mia stanza. Non avevo mai visto un licantropo – e sinceramente non ci tenevo ad incontrarlo – ma a volte i Cullen mi avevano parlato delle tribù che vivevano nella riserva.
Tuttavia avevano tralasciato il fatto che puzzassero in questa maniera. Oddio, era insopportabile!
Sentii aprire la porta di casa. Eccoli, erano venuti a prendermi.
“Jodi? Che cosa ci fai qui?” La domanda di Bella mi lasciò di sasso. “Come hai potuto portare qui un licantropo?”
Non potevo crederci. Jodi mi aveva tradito!
Io le avevo confessato la mia colpa e lei era andata a riferirlo ai suoi amici lupi.
Beh, l’idiota in effetti ero stato io. Sapevo che abitava nella riserva e, sebbene sembrasse molto affascinata dai Cullen, non significava che dovevo trattarla come un’alleata. Invece mi ero fidato di lei.
Anche se le avevo confessato tutto per tenerla lontana, non avevo per niente pensato all’idea che potesse tradirmi.
Ma che imbecille! Le avevo anche detto che non mi sentivo in colpa per aver morso quella Michelle. Praticamente mi ero scavato la fossa da solo.
“Oh, tranquilli”. La voce di Jodi mi sembrava un po’ troppo serena considerando il motivo che l’aveva portata qui. “Samuel mi serviva per trovarvi. Il mio olfatto non è in grado di sentire il vostro odore”.
Quindi era venuta da sola – un licantropo contro otto vampiri non era nemmeno da considerare – forse non mi aveva tradito come credevo. Allora perché era qui? Era venuta per avvertirmi di scappare perché alla riserva avevano scoperto tutto?
Stranamente mi ritrovai a sperare.
Uscii dalla mia stanza e mi diressi al piano di sotto. Avevo bisogno di parlare con lei, dovevo sentirmi dire le sue intenzioni direttamente dalla sua bocca.
“Io vi devo dire una cosa”. La sentii parlare mentre scendevo le scale. “E’ una faccenda… molto importante, almeno per me”.
Appena entrai nel salotto il suo sguardo s’incrociò quasi meccanicamente col mio. La vidi sorridere e mi sembrò che tutta la mia sicurezza e forza da vampiro si sciogliessero in quell’istante.
Era da più di una settimana che non la vedevo, e solo adesso mi rendevo conto che mi era mancata.
“Daniel, tu qui?” Mi disse sorridendo ancora. “Quindi non… non te ne sei andato”.
“Carlisle è molto persuasivo”. Intervenne Edward al posto mio, forse ascoltando i miei pensieri si era reso conto che non sarei stato in grado di spiccicare una parola.
L’atmosfera si stava facendo un po’ troppo imbarazzante.
“Quindi non sei qui per uccidere Daniel?!” Emmett ci riportò alla cruda realtà.
“Io ucciderlo? Perché? Non potrei…” Non smise di guardami per tutto il tempo. “Daniel… qualcuno vuole ucciderti?” Il suo tono di voce si era fatto più ansioso.
Scossi la testa e sorrisi. “Temevamo che tu avessi raccontato ai licantropi che avevo morso Michelle”.
“Certo che no! Se avessi parlato si sarebbe scatenata una guerra ed io non ho intenzione di mettere in pericolo nessuno di voi”.
Senza accorgercene ci eravamo avvicinati l’uno all’altra, adesso ci separavano neanche una ventina di centimetri.
“Soprattutto te!”
Entrambi ci voltammo verso Edward che si portò una mano davanti alla bocca. “Ops, forse era un pensiero che volevi tenerti per te, Jodi?”
Partii a ridere mentre lei abbassò lo sguardo e sorrise.
“Scusate se disturbo…” Il ragazzo che era con Jodi le si avvicino e le pose una mano sulla spalla. Lo incenerii con lo sguardo – sia per il gesto che per l’odore nauseante che emanava –.
“Ho capito bene? Questo… pipistrello ha infranto il patto?”
“Ehi, pipistrello a chi?” Sbottai. “Modera i termini, cane rognoso!”
“Dobbiamo dirlo a Jacob, immediatamente!” Continuò a dire quel lupo puzzolente senza degnarmi di uno sguardo.
Jodi scosse la testa, ma non riuscì a proferire parola perché Bella la precedette. “Jacob? Jacob Black? Lo conoscete?”
Edward sgranò gli occhi. Forse aveva già sentito nella mente del lupastro la risposta.
“Jacob Black è mio padre”.
Mi voltai verso Jodi e spalancai gli occhi anch’io. Come un idiota non dissi nulla, ma notai che lei si era avvicinata a me ancora di più.
“Ero venuta qui apposta per dirvelo. Io sono la figlia di Jacob Black e Renesmee Cullen".


******

Prometto di aggiornare presto (domani o dopodomani al massimo) così da farmi perdonare per la "cortezza" del capitolo e anche per non lasciarvi troppo in sospeso!^^
Un saluto a tutti!^^

*HarleyQ_91*



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Capitolo 9
*** Ordine Inaspettato ***


Salve a tutti!^^
Avrei dovuto aggiornare l'altro ieri e non l'ho fatto, perdonatemi ma ho avuto un imprevisto!!^^
Comunque ecco il nuovo capitolo!

******

CAPITOLO 9
- Ordine Inaspettato -


La prima a reagire alla mia rivelazione fu Bella.
Mi abbracciò e mi strinse forte a lei – sarei sicuramente soffocata se non avessi avuto una costituzione tanto robusta – e sorrise di gioia.
“Oddio non riesco a crederci”. Disse in preda all’euforia. “Tu sei… oh mio dio, tu sei… mia nipote!”
Mi strinsi nelle spalle e sorrisi leggermente.
In quel momento mi si avvicinarono tutti i Cullen – tranne uno – e cominciarono a guardarmi più da vicino.
“Beh, in effetti, se la si guarda meglio, assomiglia un po’ a Jacob”. Disse Emmett mettendomi una mano sotto il mento e alzandomi leggermente il viso.
“Però ha lo stesso sguardo di Nessie, non c’è dubbio”. Intervenne Carlisle. “Chissà perché non ci abbiamo fatto caso da subito”.
“Non avevamo la più pallida idea che Nessie e Jacob avessero una figlia”. Disse Esme sbalordita e continuando a sorridere. Io non sapevo cosa fare. Tutti i loro sguardi erano puntati su di me e non mi mollavano mai, la situazione si stava facendo un po’ imbarazzante.
“Perché non ci hanno detto niente?” Intervenne Edward un po’ imbronciato. “Insomma… dovevano metterci al corrente di essere diventati… nonni”.
Bella rise leggermente e gli si avvicinò.
“Beh, papà non era sicuro di come l’avreste presa”. Spiegai io ancora un po’ imbarazzata da tutte quelle attenzioni. “Voleva essere presente al momento della rivelazione, ma la cosa stava andando un po’ troppo per le lunghe così ho pensato di venirvelo a dire io, da sola!”
“Che vuol dire che non eri sicura di come Jacob l’avrebbe presa?!” Ripeté Bella incrociando le braccia sul petto. “Io e quel lupacchiotto dobbiamo fare un bel discorsetto un giorno di questi”.
In salotto partì una risata dolce e melodiosa – dalla bocca dei Cullen uscivano solo toni soavi – notai però Samuel appoggiato al muro con lo sguardo cupo. Poverino, lo avevo condotto in un covo di vampiri e per di più sentiva deridere la sua specie, forse era un po’ troppo per lui.
“Samuel, se vuoi puoi tornare a La Push”. Gli dissi mettendogli una mano su una spalla. “Tanto la strada di casa la so ritrovare, non serve che resti. Immagino che per te non sia una buona compagnia questa”.
Si strinse nelle spalle e ringhiò leggermente. “Non ti preoccupare per me, sto bene. E poi credo che Jacob non mi perdonerebbe mai se mi vedesse tornare senza di te. Per cui, se non è un problema, ti aspetto!”
“Basta che tocchi il meno possibile”. Intervenne Rosalie. “Non voglio ritrovarmi con la roba che puzza di lupo”.
Samuel le rispose con un ringhio e riprese a guardare verso il basso.
Alice si era già attivata per preparare una festa – ogni scusa era buona per festeggiare – e aveva acceso la musica.
Bella cominciò a chiedermi di Nessie e Jacob, voleva sapere che cosa avevano fatto in tutti questi anni che loro erano stati lontani, se tra loro erano tutto a posto. Io per risposta mi limitavo a dire un “Va tutto bene” che nascondeva a mala pena il mio imbarazzo per certe domande.
“Com’è Jacob come padre?” Chiese d’un tratto Edward sedendosi accanto a me sul divano.
“Un po’ severo”. Ammisi. “Ma se gli faccio gli occhi dolci si scioglie come burro al sole”.
“Anche Edward è così”. Puntualizzò Bella. “Quando Renesmee era piccola e combinava qualche guaio lui la sgridava, poi però bastava che lei lo guardasse con lo sguardo dispiaciuto e tutta la rabbia svaniva”.
Mi voltai verso Edward ed inarcai le sopracciglia. “Non riesco ad immaginarmi Edward arrabbiato”. Dissi sorridendo.
“Perché? Ti sembra strano?” Mi chiese lui.
“E’ solo che sei sempre così…” Esitai per cercare il vocabolo più adatto. “equilibrato. Non riesco ad immaginarmi te che perdi le staffe”.
“Allora dovevi vederlo quando si è infuriato con Daniel”. Rosalie entrò nel salotto portando dalla cucina una ciotola di patatine – solo per me, perché loro naturalmente non mangiavano –. “Ci mancava poco che lo mangiasse”.
In quell’istante cominciai ad ispezionare ogni angolo del salotto alla ricerca di Daniel, ma lui non c’era. Ero stata troppo occupata a seguire le reazioni dei Cullen per accorgermi che lui se ne era andato.
“Lui dov’è?” Chiesi tentando di nascondere l’ansia. Averlo rivisto in casa Cullen mi aveva fatto provare una tale felicità che nemmeno immaginavo, non capivo allora perché non vederlo nel salotto mi avesse provocato quel senso di angoscia. Forse la paura che non l’avrei più rivisto mi faceva desiderare di averlo sempre davanti agli occhi.
“E’ andato in camera sua”. Disse Edward indicando il piano di sopra. “Credo che sia rimasto un po’ scioccato, come tutti noi del resto!”
Mi alzai dal divano e guardai verso le scale. “Credete che posso…”
“Ma certo”. Mi disse Bella senza lasciarmi neanche finire la frase. “Primo piano, seconda stanza sulla sinistra”.
Samuel si staccò dal muro dove era appoggiato e tentò di dirigersi verso di me, forse voleva seguirmi. Tuttavia Emmett lo afferrò per una spalla e lo costrinse a sedersi su una poltrona.
“Dove credi di andare, bello?” Gli disse alzando il sopracciglio. “Tu resti qui, altrimenti ci impregnerai tutta la casa col tuo odore nauseante”.
“Quelli con l’odore nauseante siete voi”. Ribatté Samuel incrociando le braccia al petto.
Mentre salivo le scale sentivo la discussione che continuava ma non ci facevo più caso. Adesso mi interessava ben altro che i battibecchi tra vampiri e licantropi.
Seconda stanza, sulla sinistra.
Bussai delicatamente ed aprii la porta senza aspettare che qualcuno da dentro mi dicesse di farlo. Tanto lo avrei fatto anche se mi avesse respinta.
Lo trovai seduto sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera e le braccia dietro la nuca. Aveva gli occhi chiusi, ma sapevo che non dormiva.
Mi avvicinai a lui lentamente e mi sedetti all’angolo del materasso, guardandolo di tanto in tanto. Daniel rimase immobile come una statua.
“Carina la tua stanza”. Dissi per spezzare quel silenzio troppo pesante ed imbarazzante per i miei gusti.
“Grazie”. Rispose secco senza muovere un muscolo.
Di nuovo silenzio. Cominciai ad innervosirmi.
“Perché non sei rimasto giù?” Mi azzardai a chiedere. Ero disposta a tutto pur di farlo parlare.
“Le scene di riconciliazione non sono il mio forte”. Mi spiegò. Finalmente aprì gli occhi. “E poi ero di troppo. Io non c’entro niente con Bella, Edward e la loro progenie”.
Mi sentii ferita. Quella progenie includeva anche me?
“Sì, ma… tu sei comunque un Cullen, fai parte della famiglia”.
“Così dicono”. Sorrise leggermente ed alzò la schiena dalla testiera del letto. “A dire il vero mi fa strano considerarmi un vegetariano, anzi non mi ci sento proprio. Il fatto di aver morso Michelle poi mi rende ancora meno degno di questa famiglia”.
“Ancora con questa storia?” Sbuffai. “Loro ti hanno perdonato. È questo ciò che conta”.
Daniel mi guardò e sorrise. Con la mano poi mi fece segno di avvicinarmi di più a lui ed io obbedii all’istante.
“Non capisco, allora ogni tanto il mio potere funziona”. Disse sarcastico.
“Credo dipenda da ciò che ordini”. Risposi non smorzando il sarcasmo.
Lui avvicinò ancora di più il suo volto al mio e per qualche istante temetti che il cuore potesse esplodermi.
“Se ti ordinassi di baciarmi, lo faresti?”
Inarcai le sopracciglia e non spiccicai una parola. Ero troppo sbalordita per poter parlare.
Lui avvicinò pian piano le labbra alle mie, tanto da poter percepire il suo debole respiro – il mio si era completamente fermato – e si bloccò ad un paio di millimetri di distanza.
Chiusi gli occhi ormai pronta a ricevere il bacio. Volevo mostrarmi calma e sicura, ma ero certa che Daniel percepisse perfettamente il frenetico battito del mio cuore.
“Ehi Jodi, il tuo amichetto puzzolente ti reclama”. La voce di Emmett smorzò totalmente l’atmosfera e sia io che Daniel ci ritrovammo a guardare verso il basso.
Ero ancora troppo agitata per parlare. L’ordine di Daniel era stato davvero inaspettato, mi aveva lasciata di stucco. E la cosa sorprendente era che stavo anche per obbedirgli!
“Vai prima che il lupastro appesti tutta casa”. Commentò sarcastico lui rimettendosi nella posizione in cui lo avevo trovato appena entrata in camera.
Mi limitai ad annuire e mi alzai dal letto. Lo salutai con un leggero cenno della mano e mi accinsi ad uscire dalla stanza.
“Jodi, un’ultima cosa”. Mi voltai di scatto verso di lui e, senza accorgermene, mi ritrovai a sperare in un altro ordine inaspettato. “Domani mettiti vicino a me nell’ora di chimica e biologia, sono stufo di starmene da solo”.
Sorrisi e mi strinsi nelle spalle, come per lasciargli il dubbio – anche se qualcosa mi diceva che aveva già intuito la mia intenzione di soddisfare quel suo ordine – e mi diressi al piano di sotto.
“Finalmente”. Era palese la voglia di andarsene di Samuel. “Possiamo andarcene, per favore? La puzza sta diventando insopportabile”.
Io aggrottai le sopracciglia. “Ti avevo detto che potevi andare, se volevi”.
“Ma perché pensi di rimanere? Si sta facendo buio e lo sai che tuo padre non vuole che vai in giro con la moto di notte”.
Sbuffai e, mio malgrado, dovetti dargli ragione. Anche se ero certa che Jacob non si sarebbe arrabbiato solo perché avevo guidato ad un’ora tarda.
Presi il giubbotto ed il casco e mi diressi verso la porta d’ingresso.
“Beh, allora… ci vediamo domani”. Dissi con un filo di voce, ma tanto i Cullen mi avevano sentita lo stesso.
Bella mi abbracciò e sorrise per l’ennesima volta. “Salutami Renesmee e Jacob. E digli di venirci a fare visita, mi raccomando. Non vedo l’ora di rincontrarli”.
Annuii ed uscii dalla casa seguita da Samuel che tirò immediatamente un grosso respiro riempiendosi i polmoni d’aria. “Finalmente aria pulita”. Esclamò appena la porta di casa Cullen si chiuse dietro le nostre spalle.
Io mi infilai il casco e salii in moto senza dire una parola.
“Cos’hai Jodi?” Mi chiese Samuel mentre si dirigeva verso il bosco per andare a trasformarsi. “Tutto d’un tratto sei silenziosa”.
Continuai a fissare la strada e non fiatai, non volevo di certo raccontargli cos’era successo con Daniel.
“Sei preoccupata per quello che dirà Jacob, vero? Beh, ti capisco. Sei in un bel guaio, signorina!”
Aveva ragione. Ero nei guai con mio padre. Ero andata dai Cullen senza che lui mi avesse dato il permesso. Tuttavia in quel momento la punizione che Jacob mi avrebbe dato era l’ultimo dei miei pensieri.

******

Uhuu... sembra proprio che Daniel si stia dando da fare!xD
Beh... spero vi sia piaciuto... aggiornerò al più presto!!!^^


*HarleyQ_91*

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Capitolo 10
*** Ibrido ***


Wow... già al capitolo 10... come vola il tempo!^^
Vabbè... nn vi tolgo altro tempo.. ci si risente a fine capitolo!^^

*******

CAPITOLO 10
- Ibrido -


Quella mattina decisi di andare a scuola con la Volvo insieme ad Edward e Bella.
Non avendo ancora una macchina mia – dovevo fare un bel discorso con Carlisle al riguardo – scroccavo passaggi un po’ ovunque e, se ero fortunato, mi facevano addirittura guidare.
“Che macchina vorresti chiedere a Carlisle?”
Mi chiese Edward guardandomi dallo specchietto retrovisore.
“Mercedes nera SLK”. Risposi deciso.
“Wow, ti accontenti di poco”. Intervenne sarcastica Bella.
Sbuffai leggermente. Che c’era di tanto strano a desiderare una bella macchina? La mia intenzione non era certo quella di andare da Carlisle e costringerlo a comprarmela, solo che mi sarei sentito più libero, più… indipendente.
“Non lo metto in dubbio”. Intervenne Edward interrompendo, come sempre, i miei pensieri. “La userai anche per portarci in giro Jodi?”
Per fortuna nello stesso istante entrammo nel parcheggio della scuola ed io scesi dalla macchina prima ancora che le ruote si fermassero completamente. Non mi andava di rispondergli, così mi precipitai nell’edificio scolastico senza aspettare – come era consuetudine – che arrivassero anche gli altri.
Edward sapeva cosa era successo – o meglio cosa sarebbe successo se non ci avessero interrotto – tra me e Jodi e, sebbene non lo avesse detto a nessuno – tranne che a Bella, ovviamente – ogni tanto se ne usciva con battute che mi facevano irrigidire ed incuriosivano tutti.
Non volevo che gli altri Cullen sapessero della mia debolezza verso quella ragazza, sarei diventato lo zimbello della famiglia – mi veniva la nausea solo al pensiero delle battutine di Emmett –.
Il vampiro che si innamora di una mezza licantropo che altri non è che la nipote di Edward e Bella. Era una situazione troppo strana e sinceramente avrei preferito metter chiarezza dentro di me prima di allarmare il resto dei Cullen.
Non ricordavo nemmeno io con esattezza ciò che avevo provato quel pomeriggio, quando lei venne nella mia stanza. Le uniche cose che mi rimasero bene impresse furono i battiti del suo cuore che cominciarono ad accelerare e l’immagine delle sue labbra rosee e carnose semidischiuse che attendevano immobili, come il resto del suo corpo.
Sebbene l’ordine provenisse da me, fui io stesso ad avvicinarmi a lei. Anche se l’ordine prevedeva che lei baciasse me, ero io che stavo per baciare lei!
Scossi la testa arrendendomi ormai all’evidenza ed entrai nell’aula di biologia.
Lei era già lì, seduta al banco da sola, attendendo che qualcuno le si sedesse accanto. Appena i nostri sguardi si incrociarono sorrise e tolse il suo zaino da sopra la sedia su cui mi sedetti io. Si era anche preoccupata di tenermi il posto nel caso qualche altro studente si fosse voluto sedere, la cosa mi provocò un delicato piacere.
“Come va?” Mi chiese mentre poggiava i libri di biologia sul banco.
“Bene!”
In quel momento ci passarono accanto Edward e Bella. Forse Jodi non li aveva percepiti, ma io avevo visto benissimo i loro sguardi. Speravo che Edward avesse pensato bene di chiudere la ricetrasmittente – come chiamavo di solito la sua abilità di leggere nel pensiero – almeno durante il tempo che passavo con Jodi. Non mi piaceva l’idea di essere costantemente controllato a vista.
Sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla.
“Tanto verrei a sapere tutto comunque”.
Sbuffai e non risposi. Era inutile parlare con lui, alla fine me la faceva sempre.
Bella si mise a ridere. “Dai amore, lasciali stare”. Poi guardò verso Jodi. “Ci vediamo alla fine della lezione. Mangi con noi, vero?”
La ragazza annuì senza esitare, dopodiché i miei “fratelli” si andarono a sedere nel loro solito posto in fondo all’aula.
“Che voleva Edward?”
Guardai Jodi con sguardo scocciato e scossi la testa per lasciare la risposta in sospeso. Non volevo parlare di Edward. Adesso eravamo io e lei, gli altri Cullen non dovevano far parte delle nostre conversazioni.
“Jacob si è arrabbiato quando sei tornata a casa?” Chiesi iniziando un discorso basato solo sulla mia voglia di parlare con lei. Se fossi rimasto in silenzio troppo a lungo avrei cominciato a far vagare i pensieri e, con Edward in ascolto, non mi sembrava proprio il caso.
“Non più di quanto immaginassi”. Mi rispose sorridendo e mettendo entrambe le mani sotto il mento. “La sua paura era quella che non mi avreste accettato, ma quando gli ho detto della vostra reazione si è tranquillizzato”.
“Ha davvero così poca fiducia nei Cullen?” Chiesi inarcando le sopracciglia.
“Evidentemente sì. Mio padre è sempre stato un uomo diffidente, poi vista la mia natura credeva proprio che fosse impossibile per voi accettarmi”.
Vista la sua natura? Parlava come se si considerasse un esperimento di laboratorio riuscito male.
“Ma perché, scusa? Che c’è che non va in te?”
Jodi aprì le braccia e si strinse nelle spalle, come se io da un gesto del genere avessi potuto capire la sua risposta. Scossi la testa confuso.
“Andiamo Daniel. Non sono un vampiro, non sono un licantropo e non sono un’umana. Però al tempo stesso sono tutti e tre”.
Sorrisi leggermente. “Sei speciale!”
“No, sono un’insalata russa, Daniel.”
Mi sfuggì una risata. Sarà anche stata un'insalata russa, come si definiva lei, ma a me piaceva proprio per questo.
“Diciamo piuttosto che sei un ibrido”. La corressi dandole un vocabolo più appropriato.
Lei annuì dolcemente e mi sorrise.
In quell’istante entrò il professore e cominciò la lezione. Io tuttavia non gli prestai molta attenzione e continuai a parlare.
“Anche tua madre comunque non è un essere completo, eppure non mi sembra che se la passi tanto male”.
“Mia madre è un caso a parte”. Rispose mentre tentava di prendere appunti sulla lezione. Non era facile per lei stare attenta e, allo stesso tempo, tenere una conversazione con me. “Appena nata ha avuto l’imprinting, quindi ha trovato subito il suo posto in questo mondo. Il suo posto era con mio padre”.
E con questo cosa voleva dire? Che lei non aveva ancora trovato il suo? All’improvviso mi parve come se solo io potessi comprenderla veramente. Anch’io mi sentivo fuori posto, sebbene i Cullen facessero di tutto per farmi sentire a mio agio. Io non ero un Cullen. E non ero certo che lo sarei mai diventato.
“E se il tuo posto fosse con me?”
Jodi alzò la testa dal quaderno dove stava scrivendo gli appunti e mi guardò spalancando gli occhi. La riconobbi, era la stessa espressione di quando le ordinai di baciarmi in camera mia. Il suo cuore aveva cominciato ad aumentare i battiti e per qualche secondo le si bloccò il respiro.
Rimanemmo così, immobili a guardarci, finché lei non partì in una leggera risata.
“Di’ la verità, tu mi vuoi morta”. Disse continuando a sogghignare.
“Cosa?” Perché se ne era uscita con una frase del genere? Come potevo volere io la sua morte?
“Se ogni volta che parliamo te ne esci con frasi del genere, prima o poi mi verrà un infarto. So che è impercettibile, ma ho anche una parte umana, sai?”
Cominciai a ridere anch’io. “Vedrò di moderarmi, allora. Se tu dovessi morire, Edward e Bella non me lo perdonerebbero mai”. Istintivamente mi voltai verso l’ultimo banco. Stavano mano nella mano a sghignazzare tra di loro. Sembrava che non gli importasse nulla di noi, ma tanto era inutile pensare che non ci stessero ascoltando. Ero convinto che Edward avesse lasciato la ricetrasmittente sempre in funzione.
“Senti… volevo chiederti una cosa”. Jodi attirò di nuovo la mia attenzione – che in verità non si era mai distolta totalmente da lei – e tornò a parlarmi con tono serio. “Volevo chiedertela l’altro giorno a casa tua, ma poi… beh, diciamo che non c’è stata l’occasione”.
Sorrisi d’istinto nel vederla arrossire. Mi divertiva la sua espressione imbarazzata. Benché sembrasse una ragazza determinata e sicura, davanti a me si mostrava sempre un po’ impacciata.
Evidente segno che non le ero indifferente. La cosa mi inorgogliva parecchio.
“E’ vero che, quando hai morso Michelle, Edward si è infuriato con te?” Chiese spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Perché vuoi sapere una cosa del genere?”
“Beh, perché non riesco ad immaginarmi Edward arrabbiato e poi, da come mi ha detto Rosalie, pare che tu te la sia vista davvero brutta con lui”.
Sorrisi. Si stava preoccupando?
“Rosalie esagera. Sì, Edward si è arrabbiato, ma nulla di allarmante”. La vidi rilassarsi. “Ha urlato un po’ qua e là per casa, dicendo che non avrei dovuto più avvicinarmi ad un umano prima di essere completamente sicuro di poter resistere alla tentazione di morderlo. Però in fondo come biasimarlo? Anche se mi avevano perdonato, li avevo comunque messi in pericolo. Lui cercava solo di prendere precauzioni”.
“Beh, però non c’è riuscito. Altrimenti non ti avrebbero fatto uscire di casa, giusto?” Poi si bloccò per qualche secondo ed aggrottò le sopracciglia. “Non è che per caso c’è di mezzo il tuo potere? Gli hai ordinato di farsi gli affari suoi o roba del genere?”
Non riuscii a trattenere una leggera risata. Man mano che passavo del tempo con lei mi rendevo conto che stavo cominciando a sorridere sempre più spesso.
“No, il mio potere non c’entra. Anche se ammetto che il pensiero di usarlo mi aveva sfiorato. Comunque è tutto merito di Jasper”.
“Jasper?”
“Sì. Ha preso le mie parti contro Edward. Si è messo a difendermi. Sinceramente non me lo aspettavo. Credo lo abbia fatto perché gli ricordo quando anche lui, i primi tempi con i Cullen, si trovava in difficoltà con lo stile vegetariano. È stato bello, per una volta, avere qualcuno dalla mia parte”.
D’un tratto Jodi posò la sua mano sulla mia e, benché la differenza di temperatura fosse evidente, non si scompose. “Io sono sempre dalla tua parte!” Mi disse fissandomi negli occhi.
Mi irrigidii di colpo.
“Wow, e poi sarei io quello che fa prendere gli infarti? Se avessi avuto un cuore a quest’ora si sarebbe fermato da un pezzo”.
Jodi scoppiò in una risata che investì completamente l’aula. Ci fu qualche attimo di imbarazzo e lei si tappò immediatamente la bocca con la mano. Poi, grazie ad un mio ordine, tutti tornarono a far lezione come se non fosse successo nulla.
“Ogni minuto che passa sono sempre più convinta che il tuo potere sia una bomba”. Mi disse mentre tentava di sopprimere ancora qualche risatina.
“Sì, beh… ammetto che mi facilita parecchio le cose, a volte”.
Volevo far cadere il discorso il più presto possibile. Non mi stava piacendo la piega che stava prendendo la conversazione.
“Ti facilita parecchio le cose?” Mi fece eco lei. In quel momento capii che il mio desiderio di cambiare argomento non sarebbe stato esaudito. Perché diavolo il mio potere con lei non funzionava? “Insomma, puoi far fare alla gente tutto ciò che vuoi. Potresti essere il padrone di tutto, te ne rendi conto?”
“Possiamo parlare d’altro, per favore?” Chiesi sfrontatamente ed alzando forse un po’ troppo la voce. Ordinai a tutti i presenti di non girarsi verso di me – i loro sguardi non mi avrebbero di certo fatto sentire meglio – naturalmente Jodi era un’eccezione.
“S-scusami, non… non volevo offenderti”. Mi disse guardandomi con sguardo rammaricato.
“Su, non fare quella faccia”. Le dissi cercando di risollevarla. Quell’espressione mi stava facendo sentire uno schifo. “Non mi hai offeso. Solo che… preferisco non parlare di alcune cose, tutto qui”.
Jodi abbassò lo sguardo sul suo quaderno e riprese a scrivere appunti. Non parlammo per tutto il resto dell’ora.
Avevo rovinato tutto, me ne rendevo conto benissimo. Eravamo finalmente entrati in confidenza, potevo starle accanto senza problemi… ma quella frase… potresti essere il padrone di tutto, te ne rendi conto… mi aveva fatto tornare in mente delle cose che avevo deciso di lasciarmi alle spalle.
Sapevo di poter mettere tutti ai miei piedi se solo lo avessi voluto e ci fu un periodo del mio passato in cui credevo di poter conquistare il mondo, ma, mio malgrado, fu proprio in quel periodo che il mondo mi crollò addosso.

******

ZAN ZAN ZAN... io l'avevo detto che su Daniel c'era ancora parecchio da scoprire!! Uhuhuh...
Beh... ringrazio tutti quelli che leggono la mia fanfiction, la seguono o l'anno messa tra le preferite e ricordate!^^
Un ringraziamento speciale a Nico Blair e a DeAnna, che mi hanno fatto sapere che cosa ne pensavano dell'ultimo capitolo e natuiralmente grazie anche a tutti gli altri che hanno recensito la mia storia!^^
Aggiornerò il prima possibile, lo prometto!^^
Un bacione

*HarleyQ_91*

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Capitolo 11
*** Fiducia ***


Sono imperdonabile, lo so!^^'
Purtroppo con la neve il mio pc è andato completamente in tilt e mi hanno riattaccato la connessione ora!^^
Spero comunque che continuerete a seguire la mia storia!^^

******

FIDUCIA
- Capitolo 11° -


Suonata la campanella mi diressi fuori dalla classe per andare verso l’aula di filosofia. Eva, Ann e Michelle – dimessa dall’ospedale da un paio di giorni – mi stavano sicuramente già aspettando.
Aprii il mio armadietto per prendere i libri della prossima lezione e quando lo richiusi mi ritrovai Daniel accanto con la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte.
“Ti sei offesa?” Mi chiese con voce monotona, non riuscivo a capire se si stesse scusando oppure fosse una semplice domanda di curiosità.
“No, non mi sono offesa”. Risposi dirigendomi verso l’aula di filosofia.
“Allora perché tutto ad un tratto hai smesso di parlare? Credevo che fossimo entrati, come dire… in sintonia noi due”.
Mi fermai sulla porta prima di entrare in classe e lo guardai sorridendo.
“Mi hai detto che ci sono argomenti che non ti piace affrontare, giusto? Allora perché dovrei parlare rischiando così di ferirti? Preferisco aspettare in silenzio che sia tu il primo a farti avanti”.
La professoressa era entrata ed era pronta a cominciare la lezione. Stavano aspettando tutti me.
Mi sentivo gli occhi puntati addosso, soprattutto quelli delle mie nuove amiche. Qualcosa mi diceva che dovevo aspettarmi una specie di interrogatorio da tutte loro. Nel liceo di Forks i Cullen erano belli quanto irraggiungibili per cui chiunque entrasse in contatto con loro diventava fonte di pettegolezzi.
Personalmente non avevo mai trovato fastidioso ritrovarmi al centro dell’attenzione, non che fossi propriamente egocentrica, ma in fondo a chi dà veramente fastidio qualche adulazione? Non intendevo di certo diventare reginetta del liceo o roba del genere – certe nomine le trovavo addirittura stupide – ma riuscire a farsi una nomina – buona, ovviamente – non era un’idea che mi disgustava.
“Dicendo che non volevo affrontare certi argomenti non intendevo vietarti di parlare”.
Le parole di Daniel mi destarono dai miei pensieri. A volte viaggiavo un po’ troppo con la fantasia, ne ero consapevole.
A cosa mi serviva la popolarità? A me bastava stare con Daniel. E la cosa che mi rendeva ancora più felice era vedere che anche a lui piaceva stare con me.
“Vorrà dire che riprenderemo a parlare nella pausa pranzo”. Gli dissi alla svelta, rendendomi conto che stavo facendo tardi a lezione.
“Appunto di questo volevo parlarti…” Daniel non finì la frase, o forse non riuscii a sentirla tutta, perché la professoressa chiuse la porta dell’aula lasciandolo fuori.
“Continuerà i suoi comodi alla fine dell’ora, signorina Black”. Mi disse la… Miller mi pare che si chiamasse – dovevo ancora impararmi bene i nomi dei vari professori – “Adesso ci faccia l’onore di prendere posto ed assistere alla lezione”.
Mi diressi alla svelta accanto ad Eva e posai i libri sul banco, sbuffando.
“Jodi, mi sa che dovrai spiegarmi un po’ di cose”. Cominciò Eva con tono malizioso. Eccola che cominciava. L’interrogatorio stava per avere inizio.
“Senti, credo che se ci mettessimo a parlare ora e la prof ci beccasse saremmo nei guai entrambe. Quindi che ne dici di rimandare le domande a dopo?”
Non ero sicura che funzionasse, ma valeva la pena tentare.
Eva mi guardò storto per qualche secondo, poi disse: “D’accordo. Ma a pranzo mi racconti tutto!”
Abbassai lo sguardo imbarazzata e chiusi gli occhi al solo pensiero della reazione che avrebbe avuto la mia amica a ciò che stavo per dirle. Ma dovevo dirglielo per forza.
“A pranzo mangio con i Cullen”. Esclamai d’un fiato, come se dicendoglielo più velocemente avesse potuto non sentire.
“Che cosa?” Mi voltai e vidi Ann con la bocca aperta, incredula. Ci aveva ascoltate fino a quel momento. Accanto a lei Michelle sembrava non far caso a noi, continuava a prendere appunti con sguardo serio. Ogni tanto però alzava gli occhi su di me e mi fissava, come se avessi avuto qualcosa sulla faccia.
Forse le dava fastidio che ero così in confidenza con Daniel. In fondo non doveva starle molto simpatico visto che – secondo la versione che conosceva lei – Daniel l’aveva lasciata in fin di vita in preda ad una bestia selvatica.
Da ciò dedussi che non dovevo starle simpatica nemmeno io, visto che frequentavo un codardo.
Fantastico, ero arrivata da poco più di una settimana e già mi ero inimicato qualcuno.
Anche se l’avevo pregata di rimandare le domande, Eva continuò a parlarmi per tutta l’ora di filosofia, io non l’ascoltavo e sinceramente non sarei stata in grado di ripetere nemmeno una parola di ciò che mi aveva detto. I miei pensieri erano rivolti tutti verso un’unica persona.
Ripensandoci a mente lucida – ossia senza la figura di Daniel davanti che non faceva altro che mandarmi in confusione – il fatto che lui non volesse parlarmi di alcune cose un po’ mi infastidiva. Significava che ancora non si fidava ciecamente di me – ed essere la figlia di un licantropo non mi aiutava di certo a conquistare la sua fiducia – tuttavia continuavo a sperare che Daniel si lasciasse andare. D’altronde adesso conosceva ogni aspetto della mia vita, mentre io di lui sapevo pochissimo.
Fargli domande a bruciapelo era troppo rischioso. Lo avrei di sicuro fatto allontanare ancora di più. Il modo per far sì che si aprisse con me era uno solo: doveva comprendere di potersi fidare ciecamente di me.
Suonata la campana della pausa pranzo, Edward si materializzò d’incanto davanti al mio banco. Presa dai miei pensieri mi ero quasi dimenticata che lui ed Emmett frequentavano il mio stesso corso di filosofia.
“Emmett è già uscito?” Dissi non vedendolo.
“Sì, è andato ad aspettare Rosalie fuori dall’aula di fisica”.
“Cavolo, non l’ho proprio visto”. Esclamai.
Edward rise leggermente. “Beh… quando vogliamo sappiamo essere molto rapidi”.
Annuii comprendendo le sue parole e mi accorsi che Eva, Ann e – anche se tentava di nasconderlo – Michelle erano rimaste pietrificate dal mezzo sorriso del vampiro.
“Oh, gli altri stanno già dirigendosi in mensa, andiamo Jodi”.
Edward si stava già incamminando verso la porta ed io ero in procinto di seguirlo, quando mi sentii trattenere per un braccio. “Poi mi spieghi come hai fatto”. Mi disse Eva nell’orecchio.
Io sorrisi ed annuii semplicemente, dopodiché uscii dall’aula.
In corridoio io ed Edward camminavamo fianco a fianco. Non parlavamo ma probabilmente lui era riuscito a cogliere qualcosa dalla mia mente.
Sebbene mi fossi ripromessa di non fare domande, non potevo impedire a me stessa di chiedersi miriadi di spiegazioni su Daniel e sul perché fosse ancora avvolto da quell’alone di mistero che sembrava invalicabile per me.
“Daniel è un tipo riservato”. Esordì Edward. Come immaginavo era riuscito a percepire qualche mio pensiero. “Forse il vampiro più riservato che i Cullen abbiano mai avuto in famiglia”.
“Ma c’è qualcuno con cui parla? Insomma, dovrà pur sfogarsi a volte, no?”
“Ogni tanto si confida con Jasper, ma solo relativamente alle difficoltà dello stile vegetariano. Anche se fa parte della nostra famiglia ormai da qualche anno, nessuno conosce il suo passato – a parte me, ovviamente – ma non perché me ne abbia parlato di sua spontanea volontà, sia chiaro”.
Fissai Edward ed inarcai il sopracciglio. “Con te non c’è proprio privacy”.
“Dovevo assicurarmi che non fosse pericoloso, per cui i primi tempi ho tenuto la sua mente sotto controllo”.
Mi misi a ridere nel vedere Edward intento a stringersi nelle spalle per giustificarsi. Era… buffo.
“Non sono buffo. E poi non è colpa mia se Daniel fa cose per cui è bene tenerlo sempre sotto controllo”.
Abbassai lo sguardo. “Ti riferisci a quello che è successo con Michelle?”
“Anche”.
La risposta di Edward mi fece aggrottare la fronte. “C’è dell’altro?”
Daniel aveva forse morso qualcun altro senza che io ne fossi venuta a conoscenza?
“Si tratta del passato di cui lui non ama parlare. Non sono fatti molto piacevoli da raccontare. E nemmeno da leggere nella mente, credimi”.
“Sono davvero così terribili?” Cominciai a sentire una stretta al cuore e sarebbero potute uscirmi anche delle lacrime se solo Bella non ci avesse interrotti.
“Amore, non tenerti Jodi tutta per te”. Disse. “La pausa pranzo è breve e non ho altri momenti nella giornata per passare del tempo con lei”.
Mi prese per mano e mi portò al tavolo dove gli altri Cullen si erano già seduti.
Daniel occupava il posto più lontano ed isolato ed aveva lo sguardo un po’ arrabbiato.
“E’ successo qualcosa?” Chiesi in generale mentre mi sedevo tra Bella ed Edward.
“Non far caso a lui”. Intervenne Emmett. “Ce l’ha con noi perché non gli abbiamo permesso di passare la pausa pranzo da solo con te”.
“Come?” Non ero sicura di aver capito bene. Daniel voleva davvero restare da solo con me?
Scossi la testa velocemente per non farmi tornare in mente quel pomeriggio in camera sua. Arrossire davanti a tutti sarebbe stato imbarazzante.
“Dai Daniel, non prendertela”. Lo consolò Bella sorridendo dolcemente. “Non capita tutti i giorni di scoprire di avere una nipote. Se per Jodi non è un problema, passerete insieme la pausa pranzo di domani”.
Annuii senza esitazione. In fondo non aspettavo altro.
Daniel sbatté le mani sul tavolo e si alzò. “Allora, visto che questa è una riunione di famiglia, io me ne vado in macchina ad ascoltare un po’ di musica”.
Mi alzai anch’io e lo afferrai per un braccio. “Non andartene”. Furono le uniche parole che riuscii a dire. Anche se non eravamo da soli, mi avrebbe reso immensamente felice passare la pausa pranzo con lui.
Lui si voltò e mi sorrise sfiorandomi leggermente una guancia con l’indice della mano. “Tanto poi all’ora di chimica staremo insieme di nuovo”.
Non mi accorsi nemmeno che la mia mano non afferrava più la sua maglietta. Non sapevo se essere felice o rattristata. Daniel mi lasciava sempre in bilico con le mie emozioni.
Andai di nuovo a sedermi al mio posto.
“Non far caso al suo comportamento”. Mi disse Emmett. “Ammetto che è un tipo strano, ma credo faccia così solo perché non riusciamo a capirlo fino in fondo”.
Tutti i Cullen – tranne Rosalie, che sembrava non interessarsi all’argomento – sospirarono. Allora anche a loro, come a me, dava fastidio che Daniel si tenesse tutto dentro.
“Ma, che voi sappiate, c’è mai stato qualcuno con cui si sia aperto completamente?” La domanda mi uscì spontanea, ma mi pentii subito di averla pronunciata.
Edward annuii, ma lo vidi titubante. Non sapeva se dirmi tutto oppure no.
Dopo qualche attimo di esitazione, si decise.
“C’è stata una… ragazza”.
All’improvviso sentii come se il cuore mi fosse stato stretto in una morsa.
C’era stata una ragazza? Una con cui Daniel si era aperto confessandole tutti i pensieri più intimi e nascosti. Una con cui non aveva avuto paura di aprirsi. Una di cui si era fidato. Fidato ciecamente.
Una ragazza… che non ero io.


******

Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto!^^
Aggiornerò prestissimo, questa volta avete la mia parola!
Un bacione a tutti!

*HarleyQ_91*

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Capitolo 12
*** Sonya ***


Era ora che aggiornassi, scusatemi!
Perdonate il mio ritardo, ma tra esami e problemi vari non ce l'ho proprio fatta!^^'
Comunque spero vivamente che appreziate il capitolo 12 e mi facciate sapere cosa ne pensate!
Buona Lettura!

******

CAPITOLO 12
- SONYA -

 
Jodi si sedette accanto a me rivolgendomi un lieve sorriso. La cosa mi sembrò subito alquanto strana. A pranzo non voleva che me ne andassi e ora che potevamo stare l’uno vicino all’altra per tutta l’ora di chimica sembrava non importarle.
“Che hai?” Le chiesi. Doveva essere successo qualcosa mentre non c’ero, altrimenti non sapevo in che altro modo spiegarmi questo suo cambio d’umore improvviso.
Jodi si limitò a scuotere la testa e ad abbassare lo sguardo.
“E’ successo qualcosa?” Continuai. “I Cullen ti hanno detto qualcosa che ti ha infastidita? Scommetto che è stato Emmett, però non te la devi prendere. A volte parla un po’ a sproposito, ma non è cattivo”.
“No, Emmett non c’entra niente. I Cullen non c’entrano niente”. Continuava ad avere lo sguardo basso. Perché non mi guardava in faccia? Aveva paura di incontrare il mio sguardo? Allora forse la causa del suo malumore ero io.
“E’ per me, allora”. Sentenziai obbligandola a guardarmi alzandole il mento con la mano.
Lei non rispose.
“Ho azzeccato, vero?”
Tacque ancora. Il suo silenzio mi stava facendo impazzire.
“Mi spieghi una volta per tutte cosa ti ho fatto? Ce l’hai con me ancora per la storia che stavamo affrontando prima a biologia?”
Il fatto che io non volessi toccare certi argomenti perché mi riportavano alla mente ricordi spiacevoli. Credevo che Jodi però avesse compreso, non poteva prendersela per una cosa del genere.
“No, lascia stare”. Rispose. Beh, almeno si era degnata di parlare. “Non c’entri niente nemmeno tu”.
Mentiva, si vedeva benissimo che non stava dicendo il vero.
Mi alzai all’istante ed uscii dalla classe ordinando a tutti di non far caso a me e di continuare la lezione. Jodi naturalmente cercò di fermarmi per capire quali fossero le mie intenzioni, ma non gli risposi.
Cercai l’aula di letteratura inglese e, appena la trovai, la aprii senza nemmeno bussare.
Feci segno ad Edward di uscire e lui obbedì all’istante, mentre agli altri ordinai di rimanere ai propri posti.
“Che cosa è successo a Jodi?” Chiesi ad Edward appena si chiuse la porta dell’aula dietro le spalle.
“Perché? Che cos’ha?” Il suo tono innocente non mi incantava.
“Andiamo Edward, tu sai sempre tutto. Cosa è successo nella pausa pranzo mentre io non c’ero?”
Di tutta risposta si strinse nelle spalle e si voltò per tornare in classe. Gli ordinai immediatamente di fermarsi.
“Bada bene che se non mi dici tutto di tua spontanea volontà, posso sempre estorcertelo con un ordine”. Sapevo che poteva leggere i miei pensieri, quindi era a conoscenza dell’ansia che provavo verso Jodi. Quella ragazza stava pian piano inoltrandosi sempre più nel mio cuore che ormai era fermo e – almeno così credevo – privo di sentimenti. Edward non era il tipo da farmi passare l’agonia che lui stesso aveva provato per Bella.
“No, è vero”. Esordì lui. Lo sapevo che era in ascolto. “Non sono il tipo. Ma la tua situazione è differente rispetto a quella che c’era tra me e Bella. Tu non esiti, tu non hai paura”.
“E questo cosa c’entra? Sono venuto qui per sapere cosa è successo a Jodi, non per fare un’analisi dei miei sentimenti. Che cosa l’ha ferita?”
“Non è ferita, è delusa”. Finalmente si era degnato di rispondermi una volta per tutte.
“Spiegati meglio, per favore”. Lo incitai.
Edward esitò ancora, poi incrociò il mio sguardo che stava cominciando ad adirarsi e si decise a parlare.
“Le ho detto di Sonya”.
Spalancai gli occhi all’istante e mi irrigidii. Sonya? Cosa c’entrava Sonya? Come aveva potuto parlarle di Sonya in mia assenza.
“Non le ho specificato esattamente il nome e, se può farti star meglio, non le ho raccontato nulla di quello che le è successo”.
“Non mi fa star meglio per niente”. Sbottai dando un pugno su un armadietto. “Come ti sei permesso? E cosa le hai detto esattamente?”
Edward aveva lo sguardo basso. Per quanto fossi consapevole che le sue azioni non venivano mai dettate da malignità o secondi fini, non riuscii a trattenere l’indignazione che mi assaliva in quel momento.
“Voleva sapere se c’era mai stata una persona con cui ti fossi aperto senza esitazioni. Di cui ti fossi fidato ciecamente. Ed io le ho risposto che c’è stata una ragazza, nient’altro. Non sa nulla della vicenda di Sonya, né di cosa è successo tra voi”.
“Però sa della sua esistenza”. Commentai non riuscendo a trattenere la rabbia. “Maledizione!” Sferrai un altro pugno sull’armadietto, ammaccandolo.
“Daniel, ammetto di essermi comportato in un modo imperdonabile”. Edward mi posò una mano su una spalla e mi parlò con tono fermo. “Ma non credi che Jodi abbia il diritto di sapere di Sonya? Se davvero i tuoi sentimenti verso di lei sono profondi, dovresti essere totalmente sincero”.
Scossi la testa. “Mi disprezzerà”.
Mi voltai ed appoggiai la schiena all’armadietto ammaccato, provocando un leggero cigolio del metallo. Edward era di fronte a me e, per la prima volta da quando avevamo cominciato la discussione, mi sorrise.
“Anch’io avevo paura di confidare a Bella la mia vera natura”. Mi disse appoggiandosi accanto a me. “Ma poi trovai il coraggio di essere sincero e lei mi accettò all’istante. Sono sicuro che se Jodi prova per te lo stesso sentimento che tu provi per lei, non avrà problemi ad accettare il tuo passato”.
Sbuffai ed incrociai le braccia al petto. “Bel discorso, complimenti”. Dissi con una vena di sarcasmo. “Certe cose sono facili da dire. È metterle in pratica che è difficile”.
Edward scosse la testa e sorrise. “Andiamo Daniel, ti credevo più risoluto. Hai avuto il coraggio di chiederle di baciarti, senza pensare alla possibilità di poterla ferire o addirittura uccidere, ed hai paura di raccontale di Sonya?”
Abbassai lo sguardo e contrassi la mascella. Il fatto che io non avessi paura di avvicinami a lei non significava che non potesse disprezzarmi.
Se le avessi raccontato del mio passato, sarebbe sicuramente fuggita.
“Jodi però la vede in un altro modo”. Mi voltai immediatamente verso Edward attendendo che proseguisse. “Crede che tu non voglia parlarle del tuo passato perché non ti fidi di lei”.
“E allora cosa dovrei fare?” Chiesi alzandomi dalla fila di armadietti e stringendomi nelle spalle.
“Te l’ho già detto. Devi essere sincero, non c’è altra soluzione. Adesso, per favore, mi lasci tornare in classe?”
Per risposta andai ad aprirgli la porta e gliela richiusi alle spalle.
Essere sincero, aveva detto. Si trattava solo di trovare il coraggio.
Ritornai in classe e nessuno mi degno di uno sguardo, Jodi naturalmente faceva sempre la differenza. Le passai alle spalle per raggiungere il mio posto, nel farlo però mi chinai su di lei e le sussurrai all’orecchio : “Mi fido di te!”
Forse parlarle di Sonya e del mio passato avrebbe portato alla rovina il rapporto che speravo tanto s’instaurasse tra noi, ma non volevo che pensasse che non avevo fiducia in lei.
“E questo che significa?” Si appoggiò allo schienale della sedia ed incrociò le braccia al petto.
“Quello che ho detto”. Risposi cercando di sembrare disinvolto. “Mi fido di te!”
Non capivo perché lo trovasse tanto stano. Pensavo fosse ciò che desiderava sentirsi dire.
“Perché te ne sei uscito con una frase del genere così all'improvviso? A volte – anzi quasi sempre – non ti capisco proprio!”
Sorrisi lasciando intravedere i canini appuntiti sotto le labbra e mi si avvicinai un po' al suo volto. Lei irrigidì di colpo.
“A me sta bene se non mi capisci”.
Mi diede una leggera spinta sulla spalla – forse pensava bastasse la sua poca forza per farmi indietreggiare – ma non mi mossi di un millimetro. “Non fare il cretino adesso”.
Alzai il sopracciglio e la guardai non distogliendo neanche per un secondo i miei occhi dai suoi.
“Non sto facendo affatto il cretino”. Le dissi rendendo la mia voce volontariamente sensuale. Forse non era molto galante da parte mia ma mi piaceva parecchio vedere la sua espressione imbarazzata. “Prima ho parlato con Edward e mi ha detto che temi che io non riesca a fidarmi di te. Non capisco come ti possano venire in mente certe cose”.
Abbassò lo sguardo e tentò di coprirsi il volto con il colletto della camicetta. Voleva nascondere il rossore che, come avevo previsto, le spuntò sulle guance, ma non ci riuscì affatto bene.
Davvero, come aveva potuto credere che non mi fidassi di lei? Ero sempre stato un vampiro riservato e taciturno, avevo sempre avuto difficoltà ad aprirmi con le persone perché io per primo non volevo che gli altri sapessero le miriadi di oscenità che avevo compiuto, ma lei... con lei era diverso. Per la prima volta mi ritrovavo a non avere la più pallida idea di cosa fare. Non dirle nulla significava mentirle per l'eternità, dirle tutto significava mettere a repentaglio il rapporto che si stava formando tra noi, rischiando di spaventarla a tal punto che non avrebbe più voluto vedermi per il resto de suoi giorni.
Avevo dalla mia parte l'esempio di Edward, lui aveva trovato il coraggio di confessare a Bella il suo segreto e lei lo aveva accettato. Jodi però non era Bella ed era anche figlia di un licantropo, perciò non ero assolutamente certo che potesse reagire come aveva fatto in passato sua nonna. Tuttavia ero stufo di sentirmi un codardo. Grazie al mio potere potevo sviare i problemi quando si presentavano – almeno nella maggior parte dei casi – senza affrontarli direttamente. Ma con Jodi volevo che fosse diverso. Non volevo sembrare un codardo ai suoi occhi, esattamente come lo sembravo a miei. E tenendole nascosto il mio passato avrei di sicuro fatto quella fine. Doveva sapere tutto.
Le misi una mano sotto il mento obbligandola ad alzare il viso.
“Finite le lezioni potresti rimanere a Forks un altro po'? Vorrei parlarti”.
Annuì senza esitazione e le tolsi la mia mano fredda dal volto. Serrai la mascella tentando di nascondere l'agitazione.
Essere sincero. Dovevo solo essere sincero.
Non sembrava poi una cosa tanto difficile, anche se una parte di me non faceva altro che sperare di non doverne pagare le conseguenze.

******

Beh, che dire, adoro i dialoghi tra Daniel e Edward!xD
Vabbè, a parte questo, spero che il capitolo sia piaciuto e vedrò di aggiornare presto (università permettendo)^^
Un bacione a tutti!

*HarleyQ_91*

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Capitolo 13
*** Passato ***


Sì lo so... sono in tremendo ritardo, ma spero vivamente che non vi siate dimenticati di Jodi e Daniel!^^
Comunque per farvi contenti vi posterò due capitoli (inizialmente era uno solo, ma poi ho trovato più comodo dividerlo, anche se tra loro sono collegati)
Buona lettura.

******

CAPITOLO 13
- Passato -


L'ora di chimica non mi era mai sembrata così lunga. Attendevo con ansia la campanella della fine delle lezioni per poter finalmente ascoltare ciò che Daniel aveva da dirmi.
Mi avrebbe raccontato del suo passato? Speravo tanto di sì.
Volevo sapere tutto di lui. Anche i fatti più intimi e riservati, e non per gelosia verso “l'altra ragazza”- che però avrei tanto desiderato sapere chi fosse – ma per una ragione molto più semplice: mi ero resa conto di amarlo.
Forse mi ero innamorata di lui fin dalla prima volta in cui l’avevo visto. Non sapevo descrivere in quale modo fosse nato il mio amore, all’inizio i battiti accelerati del mio cuore credevo fossero dovuti all’irresistibile fascino che ogni vampiro esercita sulle sue prede, ma quando mi chiese di baciarlo mi sentii ribollire il sangue nelle vene. Un sentimento ben diverso dalla semplice attrazione verso qualcosa di affascinante, volevo sfiorarlo, toccarlo, stargli accanto. E chiunque fosse stata questa fatidica ragazza di cui mi aveva accennato Edward, non avrebbe mai potuto competere con l’amore che provavo per Daniel.
“Forza andiamo”.
La sua mano fredda sulla mia mi fece tornare alla realtà. Non mi ero nemmeno resa conto del suono della campanella tanto ero presa dai miei pensieri.
Percorremmo il corridoio in una manciata di secondi. Per fortuna mi teneva per mano altrimenti me lo sarei perso in mezzo a quella folla di studenti inferociti che non vedeva l'ora di uscire da scuola.
Attraversammo la segreteria, dopodiché Daniel mi fece salire per una rampa di scale.
“Ma dove stiamo andando?” Quell'ala dell'edificio scolastico non l’avevo ancora vista.
“In un posto dove sono sicuro che nessuno ci disturberà”.
Intendeva dire in un posto isolato dove saremmo stati solo io e lui?
Il cuore cominciò a battermi a mille.
In cima ai gradini vi era una possente porta blindata – che Daniel però aprì senza il minimo sforzo – e dava su un'immensa terrazza.
Quando uscii una folata di vento mi scompigliò i capelli. Non pioveva – miracolosamente – ma il cielo era comunque coperto.
“Per fortuna da oggi pare che ricominci il brutto tempo”. Esclamò Daniel alzando il volto verso l'alto e chiudendo gli occhi.
“Sì, beh... per voi vampiri deve essere una seccatura dover rimanere ogni qual volta rintanati in casa”. Dissi con un filo di voce. La mi mano si trovava ancora nella sua e non c'era verso di far rallentare i battiti del mio cuore.
“Jodi, non hai capito”. Si voltò verso di me e mi alzò il volto con la mano che gli era rimasta libera. “Prima rimanere a casa nei giorni soleggiati non mi creava alcun problema, ma da quando ti ho conosciuta ho cominciato a detestarli. Perché mi tengono lontano da te”.
Il suo volto si avvicinò pian piano al mio ed a me – esattamente come era accaduto quel pomeriggio in camera sua – mi si bloccò il respiro.
“Posso baciarti?” Mi chiese in un sussurro che però arrivò alle mie orecchie come un suono melodioso.
“Credevo impartissi solo ordini”. Risposi sarcastica mentre mi ritrovavo le sue labbra a pochi centimetri dalle mie.
Lui sorrise leggermente. “Alcune cose mi piace conquistarle lealmente”.
Appena le sue labbra si posarono sulle mie sentii un brivido attraversarmi l'intero corpo. Non dovuto dalla sua bocca gelida, ma dalla mia agitazione. Il cuore ormai stava per scoppiarmi.
Con la lingua si fece dolcemente spazio nella mia bocca, mentre passava le mani tra i miei capelli. Io gli cinsi il collo con le braccia e mi sollevai in punta di piedi. Non mi ero mai resa conto fino a quel momento di quanto fosse alto.
Con gentilezza poi si distanziò leggermente da me ed io riaprii gli occhi.
“Ti avevo portata qui perché dovevo parlarti”. Mi disse continuando però a tenere la mia testa fra le sue mani.
“Eh? Cosa? Davvero?”
Non potevo crederci. Non ero capace nemmeno di proferire una frase d senso compiuto.
Daniel sorrise ed annuii. “Però se preferisci che non parliamo, per me va bene lo stesso”.
Mi distanziai un po' da lui e ripresi, almeno in parte, coscienza di me stessa.
“No, aspetta!” Dissi alzando le mani davanti a me e chiudendo gli occhi per evitare che il suo sguardo mi mandasse per l'ennesima volta nel mondo dei sogni. “Lo hai fatto apposta?”
“Cosa?” Chiese lui non avendo capito quello che intendevo dire.
“Mi hai baciata apposta per mandarmi in confusione evitando così di parlarmi”. Aggrottai la fronte. ”Sei veramente meschino, lo sai?”
Daniel partì a ridere. Che cosa ci trovava di così divertente in quella situazione proprio non lo capivo.
“Guarda che non ho macchinato nulla. Devo davvero parlarti e devo anche farlo alla svelta altrimenti temo di non riuscire più a trovare il coraggio”.
“E allora il bacio?”
Si avvicinò di nuovo a me e mi sfiorò leggermente le labbra con la sua bocca.
“Era da parecchio che volevo farlo”.
Il suo sussurro mi fece sobbalzare il cuore in gola.
Mi diede un leggero bacio a stampo, dopodiché andò a sedersi sul muretto di mattoni che circondava la terrazza.
“Immagino che tu abbia delle domande da farmi!” Sentenziò incrociando le gambe.
“In effetti…” Eravamo lì per parlare, no? Allora perché non approfittarne per chiedergli qualche spiegazione.
“Forza, chiedimi tutto quello che vuoi”.
“Tutto quello che voglio?”
Chissà perché preferii avere un’ulteriore conferma prima di cominciare. Daniel annuì e mi fece segno di sedermi accanto a lui.
“Beh... a dire il vero, non so da dove cominciare… ho parecchie domande da farti”.
“Comincia con la prima”. Mi suggerì.
Io allora presi un bel respiro e cominciai.
“Chi eri da umano? Insomma, te lo ricordi?”
Daniel ci pensò qualche secondo. “Un aristocratico francese. Penso però di aver fatto anche esperienza nell'esercito, così si spiegherebbe la mia predisposizione a dare ordini”.
“Sei francese?” Questa non me l'aspettavo proprio.
“Di origine, ma ho vissuto poco in Francia”. Rispose. “Comunque, se proprio lo vuoi sapere, il mio nome dovrebbe pronunciarsi con l'accento sull'ultima sillaba”.
“Danièl?” Dissi per fare una prova.
Lui annuì. “Ma personalmente preferisco il mio nome all'americana, quindi niente Danièl, d'accordo?”
Annuii, poi passai ad un'altra domanda. “Come sei diventato vampiro?”
“Mi trasformò una donna”. Disse abbassando lo sguardo. Compresi che stavano cominciando i ricordi più brutti del suo passato quando vidi il suo viso rabbuiarsi.
“Anche lei era una nobile e sicuramente quando mi morse era ancora una neonata. Non aveva intenzione di trasformarmi, voleva soltanto bere”.
“Allora come mai si è fermata?”
“Quei giorni non li ricordo molto bene. Comunque credo sia stata infastidita da qualcuno, che poi è lo stesso che mi ha portato in un posto sicuro dove completare la trasformazione”.
Deglutii, poi presi un bel respiro e chiesi: “Chi?”
“Sonya”. Rispose semplicemente lui.
Non sapevo ancora nulla di questa ragazza – a parte il nome – ma qualcosa mi diceva che c'era un legame speciale tra lei e Daniel.
“Anche lei era un vampiro?”
“No, era umana. Tuttavia il padre era un cacciatore di vampiri, quindi aveva già incontrato creature come me. Poi al tempo della Rivoluzione Francese la Francia ne era piena”.
“R-rivoluzione Francese?” Spalancai gli occhi ed inarcai le sopracciglia. Feci velocemente un calcolo nella mia mente e rimasi ancora più sbalordita. “Hai più di duecento anni!?”
Daniel sorrise. “Me li porto bene, vero?”
Mi partì una leggera risata, ma più per lo shock che per la battuta.
“E cosa hai fatto in tutti questi anni?” Chiesi, anche se sinceramente un'idea già ce l'avevo.
“Ho fatto il vampiro”.
Le sue risposte secche stavano cominciando a darmi sui nervi. Non lo capiva che volevo sapere tutto?
“Non potresti scendere un po' più nei particolari?”
“Non ti piacerebbero i particolari!”
“Mettimi alla prova!” Lo fissai con sguardo di sfida e lo vidi serrare la mascella. Poi si schiarì la voce e cominciò a parlare.
“I primi tempi, quando ero ancora un neonato, rimasi in Francia sotto la supervisione di Sonya e suo padre. Però non era facile tenermi sotto controllo con un potere come il mio. Ben presto mi feci un nome in tutta Parigi come il cacciatore migliore di tutta la Francia. Mi bastava dare un ordine per far sì che fossero le mie stesse vittime ad offrirmi il collo”.
Abbassai lo sguardo e deglutii appena, provando ad immaginare quante persone avesse potuto uccidere con il suo metodo. Provavo pena per loro, ma stranamente non ero affatto spaventata.
“Quando cominciai a prendere coscienza di ciò che ero diventato”. Continuò. “Il padre di Sonya mi pregò di andarmene perché avevo creato fin troppi problemi. Finché c'era stata la Rivoluzione, la presenza dei vampiri non fu smascherata. Moriva gente ogni giorno e nessuno si preoccupava di controllare come. Ma quando la rivolta finì dovevamo darci tutti un calmata se non volevamo far intervenire i Volturi”.
“La nobile famiglia di vampiri italiani?” Lo interruppi, ricordandomi di aver già sentito quel nome nei racconti di mia madre.
Daniel annuì. “Me ne andai senza sapere se fossero davvero intervenuti. La cosa non mi preoccupava, con il mio potere avrei comunque potuto cacciarli in qualsiasi momento. A quel tempo ero davvero senza scrupoli. Se ci fossimo conosciuti allora, avresti avuto paura persino ad avvicinarmi”.
“Non è vero”. Lo ripresi io un po’ indignata. Ero certa che sarei rimasta affascinata da lui anche se fosse stato un assassino sanguinario. “E poi non è vero che eri senza scrupoli. A Sonya e a suo padre, ad esempio, non hai fato nulla”.
Daniel mi rivolse uno sguardo di disappunto. “Ne sei davvero così sicura?”
Spalancai gli occhi. “Perché? Che gli hai fatto?”
“Al padre di Sonya nulla. Furono altri neonati ad ucciderlo in uno delle tante notti in cui era uscito a caccia. Sonya era così rimasta da sola – sua madre era morta dandola alla luce – e pensai quindi di portarla con me. Sai, io e lei eravamo migliori amici, siamo cresciuti insieme e le nostre famiglie avevano intenzione di farci sposare. Sebbene non l'amassi, non mi dispiaceva l'idea di passare la mia vita con lei. Diventato vampiro però la cosa divenne impossibile, tuttavia lei mi rimase accanto”.
“Lei ti amava, giusto?” Chiesi seppur fossi quasi certa che la cosa fosse ovvia.
“Sì, per questo tentò spesso di convincermi a farla diventare un vampiro. Ma io ero ancora troppo inesperto e non ero sicuro che sarei riuscito a trasformarla. E' grazie alla sua continua vicinanza che mi sono abituato all'odore umano. Almeno adesso posso starti accanto senza alcuna paura”.
Fantastico, dopo aver passato anni e anni con il ragazzo che amavo, dovevo anche ringraziarla.
“Un giorno però mi assillò a tal punto che l'accontentai”.
“La trasformasti?” Chiesi stupita.
Daniel annuì. “I primi tempi la tenei a bada dandole ordini su ordini. Poi cominciò ad essere pian piano sempre più indipendente. Trasformava vampiri su vampiri. Si era messa in testa che con il mio potere avrei potuto mettere in riga tutti i neonati e diventare il padrone del mondo. Il suo piano era quello di sconfiggere i Volturi così da essere proclamato signore indiscusso tra vampiri”.
“Progetto ambizioso”. Commentai.
“Sì. E il problema era che io lo condividevo in pieno”.
“E come finì? Intervennero i Volturi?”
“Accadde qualcosa di molto peggio”. Il suo sguardo divenne immensamente triste. Stava per rivelarmi la cosa terribile che celava nel suo passato. Bloccai per qualche attimo il respiro.
“Sia Sonya che i vampiri che avevamo creato mi si rivoltarono contro”.
“Come? Perché Sonya si ribellò?” Avevo la sensazione di essermi persa qualche passaggio.
“Vedi, il mio potere ha, come dire, degli effetti collaterali”. Tentò di spiegarmi. Tra le sue sopracciglia si formò una piccola ruga. Mi rendevo conto che si stava sforzando molto per raccontarmi tutto questo. “Se usato troppo a lungo su una persona può schiacciare completamente la sua forza di volontà”.
“In che senso?”
“Posso far diventare la gente pazza!”

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Capitolo 14
*** Insieme ***


Per chi non lo avesse visto, c'è il capitolo 13 prima di questo... se lo avete saltato andare a leggerlo!^^

CAPITOLO 14
- Insieme -


Jodi si alzò dal muretto e venne di fronte a me, poggiando le mani sulle mia ginocchia.
“Daniel, non serve che ti sforzi a volermi raccontare tutto”. Mi disse sorridendo. “Se per te è troppo doloroso, puoi smettere. Il semplice fatto che tu ti sia aperto con me mi ha reso immensamente felice”.
Io le accarezzai una guancia con la mano. “Non è un problema per me”. Le dissi abbozzando un sorriso. “Mi ero ripromesso che sarei stato completamente sincero ed io sono sempre stato un vampiro di parola”.
E poi mi ero reso conto che era semplicemente il fatto di averla accanto a farmi trovare il coraggio.
“Sai, sono contento che il mio potere su di te non abbia effetto”. Ammisi mentre prendevo il suo volto tra le mani e lo avvicinavo al mio. “Almeno non rischi di perdere la ragione”.
Jodi sorrise, ma non certo per la mia battuta di cattivo gusto. Sorrideva per compassione.
“I vampiri che ti si sono rivolti contro che fine hanno fatto?” Anche se la domanda era generale, sapevo che si stava riferendo ad un un’unica persona. Voleva sapere che fine avesse fatto Sonya.
“Ho dovuto ucciderli”. Risposi. “Te l’ho detto che ero senza scrupoli”.
“Ma non ti bastava ordinar loro di non attaccarti?”
“Una volta folli il mio potere non ebbe più effetto su di loro. Per fortuna però avevo più esperienza e, sebbene ci impiegai parecchio tempo, presto li uccisi tutti”.
“Tutti?”
Il suo volto voleva una conferma. Io abbassai lo sguardo e chiusi gli occhi.
“No, non tutti”. Dissi. Sentii il suo respiro bloccarsi. Le stavo per confessare la cosa che di più temeva. A cosa serviva sperare che mi rimanesse ancora accanto dopo averle detta tutta la verità?
“Non riuscii ad uccidere Sonya. Fu più forte di me, il mio legame verso di lei mi impedì di mettere fine alla sua esistenza, seppur da folle”. Mi coprii gli occhi con una mano. “Faccio schifo”.
All’istante mi ritrovai le braccia di Jodi attorno al collo che mi stringevano in un caloroso abbraccio. “Non torturarti in questo modo, ti prego”.
La presi per le spalle e la allontanai da me. “Non immagini neanche come l’ho ridotta”. Le dissi. “Lei era sempre stata una ragazza gentile e timida. Tutti le volevano bene e la consideravano una ragazza dolcissima. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi di me ed io l’ho resa un mostro”.
“Non potevi sapere che effetto le avrebbe fatto il tuo potere, non è colpa tua”. Jodi si riavvicinò a me.
“Non è solo per averla resa pazza che mi faccio schifo”. Confessai. “Ma anche per quello che le ho fatto dopo”. Jodi poggiò di nuovo le mani sulle mie ginocchia e le chiuse a pugni. “Sonya mi è stata accanto nel periodo più brutto della mia vita. Non ha avuto paura di me come neonato e neanche quando le uccidevo la gente davanti agli occhi. Io però non l’ho ripagata con la stessa moneta. Quando capii che non avrei più potuto ordinarle nulla, sebbene non ebbi la fermezza per ucciderla, fui così codardo da scappare. Dopo tutto quello che aveva fatto per me, l’abbandonai”.
Jodi spalancò gli occhi e si portò una mano davanti alla bocca. Lo sapevo, adesso mi disprezzava. Ma d’altronde come biasimarla? Era finalmente venuta a conoscenza di quanto io fossi egoista e codardo. E benché fosse passato un secolo, certi difetti ancora non li avevo corretti.
“N-non hai idea di dove sia ora?” Mi chiese con un filo di voce.
Rilassai i muscoli del volto. Una parte di me era sollevata dal vedere che Jodi non mi aveva ancora dato addosso. Come al solito pensavo solo a me stesso.
“Credo sia ormai morta”. Dissi. “Non penso che, nelle condizioni in cui si trovava, potesse andare avanti per molto”.
Jodi annuii ed abbassò lo sguardo.
Perché non parlava, maledizione. Quel silenzio mi stava uccidendo.
“Ti faccio schifo?” Chiesi ridendo interiormente di me per la stupida domanda.
Lei alzò il volto di scatto. “No, certo che no!”
La sua reazione immediata mi fece sobbalzare. Non era facile pendermi in contropiede, ma tanto Jodi era un’eterna eccezione.
“Sono solo, ecco… dispiaciuta. Sonya doveva essere davvero una persona d’oro. Ma tu non mi fai schifo, assolutamente”.
Chissà perché mi dava la sensazione che volesse più che altro autoconvincersi.
“Andiamo Jodi, ho tradito la mia migliore amica. L’ho abbandonata lasciandola al suo destino solo per salvarmi la pelle. Sono spregevole”.
“Perché parli al presente?” La sua domanda mi lasciò perplesso. “Si tratta del passato. Triste, tragico, ma comunque passato. Bisogna lasciarselo alle spalle”.
Senza accorgermene me la ritrovai tra le braccia e la strinsi. Perchè mi bastava sfiorarla per sentirmi subito meglio?
“Quindi non mi odi?” Le sussurrai. Lei scosse la testa.
“Non potrei. Anche perché, pensandoci bene, io mi sarei comportata esattamente allo stesso modo”.
Mi baciò dolcemente le labbra. Il sollievo che mi pervase in quel momento me la fece stringere ancora di più al corpo. Le avevo finalmente detto tutto e lei lo aveva accettato. In quel momento mi sentii uno stupido ad essermi fatto tanti problemi. Edward me lo aveva detto che si sarebbe risolto tutto, ma la mia natura diffidente non aveva voluto dargli ascolto.
Gli dovevo delle scuse.
“Daniel, ahi… lasciami, mi stai stringendo troppo”.
Allentai la presa all’istante e la vidi rilassarsi. Scesi immediatamente dal muretto e le poggiai delicatamente le mani sui fianchi.
“Scusami”. Dissi allarmato. “Ti ho fatto male? Ti sei rotta qualcosa? Ti porto immediatamente da Carlisle così ti visita”.
Se le avessi fatto del male non me lo sarei mai perdonato.
“No, è tutto a posto”. Mi disse sorridendo. “Mi sono solo sentita mancare l’aria. Ti ricordo che sono più forte delle comuni ragazze umane”.
Mi cinse la vita con le braccia ed appoggiò la testa sul mio petto.
“Avrei un’ultima domanda”. Disse mentre con le mani cominciai ad accarezzarle i capelli.
“Dimmi pure”. Ormai non avevo più paura di risponderle.
“Perché ti sei unito ai Cullen?”
Ci pensai qualche secondo. “Penso per il semplice desiderio di cambiare. Dopo ciò che avevo fatto a Sonya non me la sentivo di instaurare rapporti con nessun altro, ma a lungo andare la solitudine diventa insopportabile. Tuttavia i vampiri che incontravo sulla mia strada erano solo esseri rozzi, poco più che belve e, sebbene mi considerassi loro simile, non volevo aver niente a che fare con loro. Quando mi imbattei nei Cullen invece fu tutto diverso. Furono gentili e mi diedero subito la possibilità di far parte della famiglia – a condizione ovviamente che smettessi di cibarmi del sangue umano –. Carlisle fu molto convincente, mi disse che non mi sarei sentito più solo e che qualsiasi problema io avessi avuto, lo avrebbero affrontato con me. Era una proposta allettante, non credi?”
Jodi annuì e sentii le sue braccia stringersi ancora di più attorno alla mia vita.
“Non è da molto comunque che sono un Cullen, un paio d’anni forse. Infatti ogni tanto il desiderio del sangue umano mi torna. Prima ti ho detto che per me non è difficile stare accanto agli umani perché la vicinanza di Sonya mi ci aveva fatto abituare, tuttavia se mi arrabbio e lascio prendere il sopravvento all’istinto potrei finire per mordere qualcuno”.
“Come è successo con Michelle?”
Annuii. “Quella ragazza mi aveva fatto innervosire davvero tanto e non posso far altro che pensare che una lezione se la meritava”.
“Ma che ti ha fatto di male, si può sapere?”
Aggrottai la fronte e sbuffai ripensando alle parole che quella mocciosa aveva detto.
“Ha cominciato a parlar male di te, ti ha dato del maschiaccio!”
Jodi partì a ridere. “E tu l’avresti morsa per questo? Non fraintendere, sono lusingata. Ma rischiare di ucciderla mi sembra una reazione esagerata”.
“Te l’ho detto che se mi lascio sopraffare dall’istinto non ragiono più”.
Lei rise di nuovo, più leggermente questa volta, e si protese verso di me per baciarmi di nuovo.
D’un tratto partì la suoneria di un cellulare. Jodi lo tirò fuori da una tasca dei jeans e sbuffò prima di rispondere, avendo visto il numero del mittente.
“Pronto, dimmi papà”.
“Jodi, ma dove sei? Dovresti essere a casa da un pezzo. È successo qualcosa?”
La voce di Jacob era parecchio alterata. Forse ancora non mandava giù il fatto che la figlia avesse deciso di frequentare un liceo con dei vampiri.
“No, papà. È tutto a posto. Mi sono solo fermata qui…” Si voltò verso di me ed incrociò il mio sguardo. “… con delle amiche. Tra un po’ torno”.
“No Jodi, tu torni qui immediatamente, se non vuoi che venga a prenderti io!”
Jodi sbuffò. “D’accordo arrivo”.
Attaccò e si infilò di nuovo il cellulare nella tasca dei jeans.
“E’ meglio che torni a casa prima che mio padre vada in escandescenza”.
“E’ un tipo irritabile, da quanto ho sentito”. Sorrisi leggermente.
“Esatto. E non oso pensare a cosa farebbe se sapesse che io e te stiamo insieme”. Poi si portò una mano davanti alla bocca come per riprendersi le parole che aveva appena detto. “No, cioè… io non volevo dire che… insomma, io e te stiamo insieme?”
Mi avvicinai a lei e le diedi un leggero bacio sulle labbra.
“Certo”. Risposi. “Io e te staremo insieme per sempre!”

******

Purtroppo non ho molto tempo oggi, comunque ringrazio tutti quelli che leggono la mia storia e l'hanno messa tra i preferiti o seguiti.
A presto (spero)xD

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Capitolo 15
*** Ritrovo ***


Salve a tutti!
Ecco qui il capitolo 15!
Avrei voluto pubblicarlo prima, ma purtroppo ci sono stati degli inconvenienti! -.-'
Mi si era cancellato e l'ho dovuto riscrivere!
Spero che vi piaccia, buona lettura!

***********

RITROVO
- Capitolo 15° -



“Ti sei divertita?”
Jacob era seduto sul divano a guardare le partite di baseball in tv, mentre sorseggiava ogni tanto la sua birra in lattina – vizio ereditato da mio nonno Billy – e non si era voltato nemmeno per guardarmi in faccia. Era arrabbiato, si vedeva lontano un miglio.
“Sì, molto”. Risposi. “Siamo andate a prenderci una cioccolata calda. Sai, con questo freddo è l’ideale”.
Mio padre annuì dando un altro piccolo sorso alla sua birra e si concentrò sulle partite. Quando era arrabbiato non riusciva a tenere una conversazione troppo a lungo.
Pensai che era meglio così. In fondo non mi andava di sorbirmi una sua ramanzina solo perché avevo fatto un po' tardi. E poi ero troppo felice per litigare.
Nella mia testa c’era soltanto Daniel.
Mi diressi verso la mia stanza, quando vidi Samuel appoggiato allo stipite della porta.
“Vatti a fare una doccia”. Mi disse con espressione schifata. “Puzzi più del solito. Oggi devi essere stata davvero molto vicina a quei… pipistrelli”.
Scossi la testa e sorrisi. Non riuscivo proprio ad arrabbiarmi, nemmeno con le frecciatine di Samuel.
Entrai in camera mia e chiusi la porta. Mi gettai sul letto e nascosi la testa nel cuscino. Al solo pensiero del volto di Daniel cominciai ad arrossire come un peperone. Lui si era finalmente aperto con me, si era fidato, ed io non potevo essere più felice.
Bussarono alla porta ed io non ebbi nemmeno il tempo di alzare il volto dal cuscino che la testa di mia madre fece capolino nella mia stanza.
“Posso entrare?” Mi chiese dolcemente. Io, per tutta risposta, le feci segno di venirsi a sedere accanto a me.
“Come mai ti sei rintanata nella tua stanza? Credevo venissi in cucina”.
Avevo l’abitudine di fermarmi a chiacchierare con mia madre in cucina ogni giorno dopo la scuola, per darle il resoconto di tutto ciò che avevo fatto. Tra me e lei c’era un bellissimo rapporto, non le nascondevo mai nulla – anche perché se lo avessi fatto se ne sarebbe accorta subito – e sinceramente ero tentata di raccontarle ciò che era successo tra me e Daniel.
“Oggi ho pranzato con i Cullen”. Esordii sfoggiando un gran sorriso. Era meglio prenderla alla larga, chissà perché avevo la sensazione che se le avessi dato la notizia così di getto le sarebbe venuto un colpo. “Sono davvero fantastici, poi Bella ed Edward sono così premurosi”.
Vidi Nessie abbassare lo sguardo e sorridere appena.
Che stupida. Dovevo immaginare che ci sarebbe rimasta male, in fondo erano i suoi genitori e lei non li aveva ancora visti.
Sbuffai e mi alzai dal letto.
“Mamma, perché non andiamo da loro?” La esortai. “Possiamo andarci anche adesso!”
Nessie si alzò. “Non lo so, dovrei chiedere a tuo padre…”
“Andiamo mamma”. Sbottai. “Capisco che tra te e papà ci sia un legame indissolubile che ti impedisce di fare qualsiasi cosa non piaccia anche a lui. Ma stiamo parlando dei tuoi genitori! Insomma, per anni siete stati a miglia e miglia di distanza, credo che anche Bella ed Edward abbiano una voglia matta di riabbracciarti”.
Vidi mia madre abbassare lo sguardo pensierosa. Ma tanto anche se mi avesse risposto di no, ero pronta a trascinarla a casa Cullen con la forza. Certo, avrei dovuto affrontare mio padre – ed in effetti non era un problema da poco – ma ce l’avrei messa tutta per far rincontrare mia madre con i suoi genitori.
“Sai una cosa, mi hai convinta!”
Sul mio viso si aprì un gran sorriso ed abbracciai forte mia madre. Uscimmo entrambe dalla mia stanza e ci dirigemmo a prendere i cappotti.
“Uscite?” Chiese mio padre, ancora intento a guardare la tv.
“Sì, andiamo dai Cullen”. Gli risposi io. Non mi importava che cosa avrebbe detto. Ormai la decisione era stata presa. Speravo solo che Nessie non si facesse abbindolare dalle parole di Jacob e cambiasse idea.
“Se non torniamo per cena, ti ho lasciato l’arrosto nel forno. Devi solo scaldarlo un po’. Anche se credo non avresti problemi nemmeno se fosse congelato”.
Mi partì una leggera risata. Quanto adoravo mia madre quando faceva così!
Nessie si infilò il cappotto e prese chiavi dell’auto.
“Aspettate un secondo”. Ecco, lo sapevo. Era naturale che Jacob non ci avrebbe lasciato andare liberamente. Dovevo aspettarmi un suo rimprovero. “Vengo anch’io”.
Rimasi stupefatta. E dovevo avere di sicuro ancora un’espressione incredula quando lo vidi chiedere a mia madre le chiavi della macchina.
“E Samuel? Lo lasciamo da solo?”
“Per me può anche venire. Ma non credo che sopporterebbe la puzza un’altra volta”.
Appena sentì pronunciare il suo nome, Samuel entrò in salotto e si appoggiò al muro con una spalla.
“No, grazie”. Disse. “Per questa volta passo”.
Salimmo in macchina alla svelta, tranne mio padre che non sembrava eccitato più di tanto, e ci dirigemmo verso casa Cullen.
Il cuore cominciò a battermi più forte non appena imboccammo il viale della bellissima villa in stile moderno, con ampie vetrate che si affacciavano sul bosco (Sì, quella del film XD). Ero emozionata all’idea che finalmente mia madre avrebbe riabbracciato i suoi genitori, ma le mie guance avvamparono di rossore non appena realizzai che avrei rivisto Daniel da lì a pochi minuti.
Jacob parcheggiò davanti all’entrata principale. Tuttavia non facemmo in tempo nemmeno a chiudere le portiere una volta scesi, che vedemmo la porta di casa aprirsi.
“Jodi, tu e il tuo amico siete torna…”
Bella si bloccò di colpo e spalancò gli occhi. Nessie invece si portò entrambe le mani davanti alla bocca e cominciò a piangere di gioia.
Le due donne si corsero incontro e si abbracciarono strette. Sebbene non potesse, ero certa che anche Bella avrebbe pianto.
Io e mio padre rimanemmo l’uno accanto a l’altra a vedere la scena. Ben presto uscì anche Edward e, esattamente come aveva fatto sua moglie, si precipitò ad abbracciare la figlia.
Dopo di lui, tutti i Cullen uscirono fuori. Tutti tranne lui.
Dovevo immaginarlo, me lo aveva detto che le riconciliazioni non erano il suo forte.
Carlisle venne verso di noi e strinse la mano a mio padre, che – non potevo crederci – ricambiò caldamente il saluto con un ampio sorriso.
“Immagino che qui fuori tu senta un po’ freddo, Jodi”. Mi disse il vampiro dai capelli ossigenati.
In quell’istante un brivido mi attraversò la schiena e tremai leggermente. Carlisle mi fece cenno con la testa. “Entra forza, ho chiesto a Daniel di accendere il camino non appena vi abbiamo sentiti arrivare”.
Appena sentii quel nome corsi immediatamente dentro casa. D’accordo, forse avrei dovuto partecipare di più alla gioia di mia madre. Ma cosa potevo farci se Daniel occupava tutti i miei pensieri?
Entrata nel salotto un’ondata di calore mi invase ed io mi tolsi il cappotto. Il camino era acceso, ma non c’era nessuno. Stavo per dirigermi al piano superiore, pensando che – come la prima volta che ero stata lì – si fosse andato a rintanare in camera sua, quando due braccia fredde mi circondarono la vita.
“Daniel…” Sussurrai.
Anche se non lo avevo ancora visto in volto, ero certa che fosse il mio vampiro.
Appoggiò il mento sulla mia spalla e mi diede un bacio su una guancia.
“Mi sei mancata”. Mi bisbigliò all’orecchio.
Io risi leggermente. “Sono passate a mala pena un paio d’ore da quando ci siamo visti”.
“Troppo”. Rispose lui. “Se solo tu non abitassi nella riserva, potrei stare con te ogni istante”.
Mi voltai e lo guardai negli occhi. Non erano dorati come sempre, tendevano un po’ al nero.
“Hai sete?” Gli chiesi quasi come se le parole mi fossero uscite dalla bocca senza pensarci.
“Un po’. In effetti avevo deciso di andare a caccia, ma poi siete arrivati voi…”
“Bé, allora vai!” Lo interruppi all’istante. Non volevo che soffrisse la sete solo perché voleva starmi accanto, anche se la cosa mi rendeva immensamente felice.
“Adesso non mi va più”. Disse sorridendo. “Ora che sei qui non mi va di allontanarmi. Pensa che mi era anche passata per la testa l'idea di inoltrami nella riserva”.
“Ma sei matto?” Lo rimproverai. “Vuoi farti ammazzare?”
“Se è per una giusta causa…”
“Promettimi che non lo farai!” Lo guardai dritto negli occhi con espressione decisa.
Lui partì in una leggera risata. “D’accordo, d’accordo. Vedrò di resistere”.
Mi accarezzò dolcemente la guancia con la mano gelida e si protese verso di me per baciarmi. Il tocco freddo delle sue labbra sulle mie mi fece impazzire come la prima volta, se non di più.
Con le mani poggiate sui miei fianchi mi attirava verso di sé, mentre io gli circondavo il collo con le braccia.
Con la lingua riprese il contorno delle mie labbra, poi si spostò più in basso e cominciò a baciarmi il collo.
Sussultai quando la sua mano fredda si fece spazio sotto la mia maglietta, toccandomi la schiena.
“Daniel… ma che fai?” Gli chiesi con un filo di voce. “Gli altri possono entrare da un momento all’altro”.
Lui tornò col volto all’altezza del mio. “E’ da quando sei arrivata che non faccio altro che ordinar loro di rimanere fuori. Poi ho ordinato a Carlisle di farti entrare, così che saremmo rimasti soli”.
Arrossii al pensiero che si fosse preso tanto disturbo solo per me. Ma non mi sembrava giusto lasciare tutti lì fuori. Forse per mio padre ed il resto dei Cullen non vi era alcun problema, ma mia madre era mezza umana, avrebbe finito col congelarsi.
“Per favore, falli entrare”. Dissi a Daniel, sciogliendomi dall’abbraccio.
“Perchè? Non ti va di rimanere con me?”
“Certo che mi va”. Risposi all’istante. “Ma non credo sia giusto far rimanere tutti fuori, soprattutto mia madre che è per metà umana e, come me, soffre il freddo”.
Sbuffò leggermente. “D’accordo, come vuoi”.
Non passarono nemmeno cinque secondi che tutti i Cullen fecero rientro nel salotto.
Mio padre venne subito da me e mi poggiò una mano su una spalla.
“Lui è quello nuovo?” Mi chiese, ma non aspettò nemmeno che gli rispondessi che allungò la mano verso Daniel. Quest’ultimo gliela strinse.
“Sono Daniel, mentre lei è il fantomatico Jacob Black”.
“In persona”.
In quel momento arrivò anche mia madre, che si presentò e sorrise stringendogli la mano. Sprizzava felicità da tutti i pori. Ero davvero felice per lei.
Jacob si sedette su una poltrona e non scansò mai la sua mano dalla mia schiena. Mi fece sedere sul bracciolo accanto a lui e mi prese la mano. Da fuori potevano sembrare gesti affettuosi di un padre verso una figlia – e in fondo era così – ma contemporaneamente era un modo per farmi capire che mi teneva sotto controllo, sempre.
Alzò lo sguardo verso di me, poi d’un tratto lo vidi spostarsi verso Daniel. Forse si era insospettito perché eravamo rimasti da soli in casa per un po’ di tempo.
Non sapevo che cosa significasse esattamente, ma cominciò a pervadermi una strana sensazione.
Quello sguardo non avrebbe portato nulla di buono.

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