As old as time

di Melchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


 

As old as time

 

 

 

 

È la storia più vecchia del mondo. Lui ama lei, che ama l’altro. E l’altro è quasi sempre il tuo migliore amico.

(Notte prima degli esami)

 

 

 

 

 

 

 

 

Rose aveva sonno, quel sonno che la faceva sentire come se già stesse sognando e il parco fosse solo una proiezione mentale di quello che vedeva dalle finestre del castello per la maggior parte dell’anno.

 

“Rose, fammi copiare.”

Non si premurò nemmeno di aprire gli occhi, e rispose al vento che gli portava la voce di Scorpius con lo stesso tono che avrebbe usato nella realtà.

“Potrei alzarmi e nascondermi il quaderno sotto la testa per non fartelo prendere dopo che mi sarò addormentata, ma per farlo dovrei alzarmi. Fai quello che ti pare, stupido.”

 

Una specie di grugnito l’avvertì che era arrivata la seconda e ultima persona in grado di tenerla sveglia in un momento simile, quando l’odore dell’erba le stava già pungendo il cervello abbastanza forte da convincerla che non si sarebbe mai più alzata da lì.

“Ti si vedono le mutandine” le fece notare Albus preoccupato.

“Non ho intenzione di muovermi per abbassare la gonna.”

Prima che suo cugino replicasse Rose sentì una specie di “tsk”, di quelli che riuscivano così bene solo ai doppiatori di cartoni animati babbani (erano una delle passioni segrete di Albus, quindi anche lei se ne era sorbiti una quantità traumatica), e poi lo sfregare della stoffa sulle cosce.

Albus sospirò e si buttò accanto a lei, mentre Scorpius lasciava la sua gonna per allungarsi a prendere il quaderno di Storia della Magia.

 “Dobbiamo anche finire Pozioni.” Continuò Albus, col tono di quando non ci credeva nemmeno lui.

“Incolpa Eagle e vedrai che non succede nulla.”

“Un giorno o l’altro Lumacorno smetterà di dargliele tutte vinte.” Protestò Albus, che sembrava sul  punto di cominciare la solita tiritera su come anche il vaso di Lumacorno avrebbe finito per traboccare e inondarli con una pericolosissima cascata di punizioni e punti tolti alle Case.

O come lo avrebbe fatto quello della vicepreside, non appena avesse scoperto che continuavano a ignorare i compiti di Pozioni anche dopo essere convocati e strigliati (un incontro davvero profondo, il cui culmine era stato un seccatissimo “piantatela”).

“Non credo che lo farà mai.” rispose Rose, continuando a tenere gli occhi chiusi “Stancarsi, intendo. È ancora preoccupato per la storia di non averlo considerato per un anno intero prima di arrendersi all’evidenza.” Sorrise all’erba sotto la sua bocca.

“Solo perché…” cominciò Albus.

“Vi ricordo che sono qui davanti e sento quello che dite.” Li interruppe Scorpius, che a giudicare dal rumore di carta grattata si era messo a ricopiare i suoi appunti di buona lena già da un po’. Rose era convinta che provasse il suo tono annoiato la sera prima di andare a dormire, per essere sicuro di avere sempre l’intonazione giusta.

 

Lei fece quel verso strano a metà tra uno sbuffo e un ghigno rumoroso che invece le veniva d’istinto.

“Come dimenticarlo, magico Scorpius Malfoy? Sento sguardi di grifondoro rancorose che decidono se lanciarmi o no il malocchio e prendersi una punizione collettiva da quando mi hai sistemato la gonna”.

Albus rise dietro un colpo di tosse.

“Esageri sempre.” Rispose il diretto interessato.

“No che non lo faccio. Al, cosa ti hanno detto le vostre amiche quando gli hai chiesto se avevano visto la mia cravatta?”

“Non sono nostre amiche.” Ribatté lui, calcando bene l’ultima parola.“Comunque hanno detto che potevi recuperarla con un Accio, visto quanto sei dotata.” aggiunse infine, prima di lasciarle cadere la cravattina nera sui capelli spettinati.

Rose continuò a sorridere da dietro gli occhi chiusi.

“Solo?”

Albus borbottò qualcosa che la fece ridere più forte.

 

“Riguardo a Lumacorno, allora anche stasera gli diamo buca?” La voce strascicata di Scorpius li interruppe di nuovo, senza che il rumore della piuma che grattava sulla pergamena s’interrompesse.

“Penso che sarebbe educato andarci.” Rispose Albus senza entusiasmo. Rose respirava nel segreto delle sue braccia incrociate. Adesso se non andava errata, e a suo legittimassimo parere non lo faceva quasi mai, Albus si era messo a strappare fili d’erba aspettando i loro dinieghi.

“Gli abbiamo già dato buca due volte in un mese. Sarebbe carino farci vedere, ogni tanto.” Aggiunse mogio, cogliendola di sorpresa. Probabilmente temeva veramente che Lumacorno ci rimanesse male. Beh, una volta ogni tanto anche Rose poteva permettersi di sbagliare; quantomeno non era ancora ascesa al grado di Dio onnisciente. Doveva lavorarci su.

“Non vedo perché dare soddisfazione a un tipo simile.” Gli rispose. Poi sentì un tonfo attutito sull’erba, e di nuovo la voce di Scorpius.

“La prossima volta che mio padre mi fa notare come sia tipico per la sua nobile Casa capire sempre come sfruttare le situazioni a proprio vantaggio, gli riferisco la tua risposta.”

La cosa grave era che conoscendolo l’avrebbe fatto davvero.

Rose riuscì a sentire il tono esitante di Albus prima che lui aprisse bocca. “Non penso che sia una buona idea.” Disse pochi momenti dopo, con tutta la delicatezza di cui era capace.

 “Altresì detto”, tradusse lei “Eagle, amico mio adorato, perché vuoi litigare con il tuo rispettabilissimo padre?

“Mi limito a esporgli le cose come sono.”

 

Rose si girò a pancia in su, senza sollevare le palpebre di un millimetro.

“Ve l’ho ripetuto non so quante volte che il Cappello ha scelto dove assegnarmi sulla base del non avere la più pallida idea di quale fosse la cosa migliore. Quindi non sono un campione attendibile per niente di quello che dico, Eagle.”

Come facesse a formulare frasi così complicate mentre cercava allo stesso tempo di dormire era qualcosa che non avrebbe mai svelato a nessuno di loro.

Scorpius tacque. Era irritato come ogni volta che veniva fuori l’argomento, apparentemente disinteressato al fatto che lo aveva tirato fuori lui, e Albus le si accoccolò più vicino, come se temesse che Rose al quarto anno soffrisse ancora all’idea di essere stata assegnata alla propria Casa.

Di nuovo, la cosa grave era che conoscendolo lo temeva davvero.

“È una Casa comoda, quante volte ve l’ho detto? Sarei stata antipatica alle Grifondoro comunque, invece qui nessuno mi stressa perché sono troppo occupati a leccare piedi e malignare a caso. Se l’avessi saputo subito non avrei fatto tante storie, all’inizio.”

In effetti uno dei pochissimi rimpianti di Rose Weasley, se non l’unico, era il mese di piagnistei che si era fatta al primo anno dopo essere stata assegnata a Serpeverde.

Il fatto che fosse stata accolta a braccia aperte da tutti gli studenti della sua Casa dotati di un cervello non aveva minimamente scalfito la disperazione, forse perché già allora si era accorta delle pupille a forma della P di Prestigio scolpite nei loro occhietti vispi e avidi. In effetti per non rendersene conto avrebbe dovuto essere molto, molto stupida. O Albus.

E per rendersi conto che aveva fatto il terno al lotto magico, le era bastato il tempo di smettere di evitare suo cugino.

Ovvero il tempo di farsi bloccare sulle scale da Scorpius Malfoy.

 

 

“Weasley, devo parlarti un momento.”

Si era sentita chiamare per cognome da una voce che non conosceva, e questo non era il modo migliore per metterla di umore collaborativo. Alzare gli occhi dai gradini era stato uno sforzo tremendo, e quando ci era riuscita aveva pensato che non ne era valsa la pena.

Parkinson aveva risposto per lei, e consigliato al suo lontanissimo cugino di millesimo grado di levarsi dai piedi.

“Nemmeno ti conosco, perciò scusami…” aveva aggiunto lei un momento dopo, vedendo che Malfoy non sembrava intenzionato a spostarsi dal mezzo delle scale.

Poi aveva fatto per scansarlo e proseguire, seguita dalla sua scorta personale e prodiga di bisbigli offensivi, pronunciati abbastanza forte da farsi sentire da quel montato di Malfoy.

“Si tratta di tuo cugino.”

Lei si era fermata prima di accorgersi di quello che il suo corpo stava facendo. Era un colpo basso, e qualcosa di impreciso nella sua voce la rese certa che lui lo sapeva.

“Oltre che stupido sei anche sordo? Weasley non vuole parlare con te, perciò…”

“William, aspetta un momento.”

Il ragazzino aveva fatto per replicare, ma poi Rose lo aveva fissato senza dire niente e le era sembrato che quella grossa P gli luccicasse negli occhi, ricordandogli che non era una cosa furba contrariare l’adorata figlia dell’amichetto del cuore/fratello di fatto del Salvatore del Mondo Magico.

 

Avevano tutti undici anni, e le teste così piene di ammonizioni da ritrovarsi il cervello clonato per tre quarti da quello dei propri padri.

 

Scese qualche gradino a fianco del ragazzino biondo, stando attenta a camminare piano (vuoi mai che diventasse ancora più visibile), ed evitò di guardare in faccia lui o qualsiasi paia d’occhi che le stesse bruciando la nuca come un fiotto di Lumus troppo potente. Negli ultimi mesi aveva scoperto che spesso il pavimento è quanto di più interessante, e salvifico, possa mai esistere. Cieli, lavagne, piatti d’oro: niente era indifferente e caro quanto lui. Avrebbe potuto diventare una piastrellista, un giorno non così lontano.

Si fermarono a un paio gradini dal pavimento dell’Ingresso, e a quel punto Rose si azzardò ad alzare di nuovo lo sguardo e impiegare una minuscola parte della sua mente cosciente su quello che stava succedendo.

“Allora, mio cugino cosa?”

 

Guardò Scorpius massaggiarsi gli occhi con indice e pollice. Per essere un ragazzo, aveva delle dita davvero sottili. Le venne da chiedersi se avesse mai impugnato qualcosa di ruvido come un manico di scopa (che sciocca, anche fosse sarebbero stati levigati come tutti i manici di lusso).

La sua voce strascicata. La stessa che suo padre derideva sempre quando parlava di Draco Malfoy: le parve un ammonimento, un altro, e per un momento provò una fitta d’odio potente come non le era mai capitato. Non pensava che il rancore potesse mozzare il respiro, ma guardando quello che avrebbe dovuto essere al suo posto, con un fazzoletto rosso che sporgeva appena da una delle tasche della divisa, sentì di odiarlo tanto da volerlo ferire in un modo violento e irrazionale che non aveva nulla a che fare con la magia.

 

Scorpius non sembrò accorgersi di niente di tutto questo.

“Lui non sa che sono qui, anche se penso che lo scoprirà prima che finisca questa frase. Ho cercato di trovare un luogo e un momento tranquillo per parlarti, ma è praticamente impossibile incontrarti da sola.”

Rose annuì. “E quindi?”

“Quindi”, riprese lui, guardandola come se trovasse l’aria dietro di lei più interessante della sua faccia, “volevo solo chiederti di smetterla con questa sottospecie di voto del silenzio familiare. Non sono affari miei e la cosa non mi riguarda, ma Potter non fa che attaccare bottone a tutti i Serpeverde che incontra per chiedere di te. Adesso ha cominciato a passare mezzo galeone al giorno a uno del secondo anno per sapere di che umore sei, e a questo punto direi che si è oltrepassata la soglia del ridicolo.”

Rose si morse forte il labbro inferiore, cercando di ignorare il rossore che le stava invadendo la faccia per la vergogna. Non aveva problemi a immaginare più di una sua compagna disposta a prendere soldi da Albus per riferirgli se la notte piangeva contro il cuscino oppure cominciava a farsi degli amici.

 

Poi, nel bel mezzo delle sue elucubrazioni sulla piaga zuppa di pus che era diventata la sua vita, fece l’errore di guardare di nuovo in faccia quel ragazzo bellissimo e annoiato, che le parlava tenendo le mani nelle tasche cucite ad arte della divisa e gli occhi grigi puntati da qualche parte che poteva essere ovunque, ma di certo non la sua patetica figura ingobbita.

Si sforzò di ingoiare la bile che sentì salirle in gola.

 

“È molto carino che ti preoccupi per mio cugino.” Sputò fuori “Puoi dirgli che va tutto bene, sono solo molto presa dalle lezioni. Tutto qui. Adesso scusa, sta per suonare…”

Prima ancora di fare un passo si sentì patetica, ma così patetica come ancora non le era capitato dall’inizio di quell’inferno che tutti le avevano sempre raccontato e promesso che sarebbe stato una specie di sogno avventuroso e favolistico chiamato Hogwarts.

Sua madre le aveva sempre detto che sarebbe andata bene qualunque Casa, ma lei sapeva che non era vero. Era una di quelle cose che si raccontano ai propri figli, ma che arrivati alla resa dei conti non devono accadere.

Passava il tempo con gente che nel migliore dei casi era interessata a raccontare a mamma e papà come fosse riuscita a farsela amica, studiava in Sala Grande perché i colori della propria Sala Comune le facevano venire il mal di pancia. Non parlava con Albus da due settimane perché si vergognava e non voleva che lui la vedesse in quello stato.

 

Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e pregò Merlino e tutti i grandi maghi di questo mondo di non mettersi a frignare in mezzo al corridoio davanti a tutti, e a Malfoy. Fino a quel momento pensava di essere arrivata a raschiare il fondo di tutti i fondi, ma si sbagliava, proprio come si era sbagliata nell’andare verso il Cappello Parlante pensando che in fondo non poteva davvero essere assegnata a qualcosa di diverso da Grifondoro; andiamo, sarebbe stato troppo assurdo. Certe cose non succedono davvero.

Aveva passato gli ultimi dieci anni della sua vita a sentirsi ripetere che era proprio come sua madre, non poteva che accadere che Serpeverde. 

 

“Vieni.”

Malfoy le aveva preso un polso, con delicatezza, ma abbastanza deciso da non darle l’illusione di avere scelta.

Rose si lasciò tirare per corridoi e scale che non riconosceva, seguendo uno strano vento biondo e grigio. Non vide Parkinson e le altre due ragazzine che erano con lei, e pensò solo a non inciampare nella tunica di Scorpius che le svolazzava sui piedi.

 

“Dove stiamo andando?” gli chiese dopo un bel po’, cercando di tenere ferma la voce.

Scorpius non le rispose, e disse solo: “Sic est, sic semper erit” davanti a una macchia sfocata sulla parete, che con molta immaginazione poteva essere un quadro nascosto dal velo delle sue lacrime. Si asciugò la faccia un momento prima di vederlo infilare la testa nel buco della parete e chiedere a qualcuno di chiamargli Albus.

Rose si era appena resa conto di essersi lasciata trascinare all’incontro che temeva di più da quando era lì. Avrebbe dovuto arrivarci, ma al momento non era nello stato mentale per fare collegamenti diversi da “è giorno. Non voglio alzarmi”.

Scorpius non commentò quando Al scavalcò goffamente la cornice del ritratto e corse ad abbracciarla.

 

A quel punto Rose Weasley, l’undicenne Serpeverde Rose Weasley, scoppiò a piangere come la stupida mocciosa che era.

Rimase abbracciata a suo cugino davanti allo sguardo impassibile di Scorpius Malfoy, che nel frattempo si era premurato di chiudere il quadro e trascinare in fondo al corridoio deserto Albus, e quindi lei per inerzia.

“Rose, non ce la facevo più, era…”

Mentre continuava a ripetere una litania interrotta di scuse per una tale somma di cose che se gli avessero chiesto di enumerarle non sarebbe stata capace di farlo, Rose pensò che forse non era andato tutto in malora. Non ancora. Non proprio.

 

 

 

“Comunque sia” riprese, finalmente con gli occhi aperti buttati verso il cielo senza nuvole “potrebbe essere divertente, questa cosa di Lumacorno.”

Scorpius la guardò, e anche senza vederlo Rose sentì la scintilla di quando era curioso che luccicava nelle nuvole scure che aveva al posto degli occhi. “A cosa stai pensando?”

Albus sbatté qualcosa, probabilmente una mano sulla sua stessa faccia, e aggiunse che non era sicuro di volerlo sapere.

“Potremmo convincere Lumacorno a portarci fuori sabato.”

Non le servivano occhi nemmeno per sapere che Albus stava storcendo il naso. “Manca solo una settimana all’uscita regolare.” Disse, infatti.“E poi non credo che sia persuasibile, su un argomento del genere…”

“Invece potrebbe funzionare.” Lo interruppe Scorpius “E a me piacerebbe uscire. Basta che Rose sia gentile con lui e tu parli di quanto piaccia Hogsmeade a tuo padre.”

Rose si rimise carponi giusto in tempo per vedere Albus guardarlo fisso, e rendersi conto troppo tardi che Scorpius aveva capito cosa stava pensando. Aprì la bocca per rimediare in un qualsiasi modo umanamente e non conosciuto, ma Rose lo precedette sbuffando col suo miglior tono da attrice consumata.

“Sì, sì, Scorpius lo sa che non intendevi pensare o mio dio ragioni proprio come un serpeverde quando vuoi e volevi solo dire che è un genio e lo adori a livelli masochistici e blablabla. Adesso il momento drama è concluso e possiamo decidere come organizzarci per stasera.“

Albus, che era diventato dello stesso colore della bandiera cinese dopo la storia dell’adorare, balbettò qualcosa d’incomprensibile e poi si zittì, rannicchiandosi su se stesso in quella specie di bozzolo che nel suo speciale e malato linguaggio corporeo significava “sto per piangere perché sicuramente Scorpius ora mi odia”.

 

Rose non si diede nemmeno la pena di ricominciare a parlare, e guardò Scorpius che si alzava senza dire una parola, dritto come una statua che è ferma in quella posizione da milioni di anni, srotolava la sciarpa dai libri intorno ai quali l’aveva avvoltolata prima di gettarli come massi per terra e avanzava fino ad Albus. Cercò di non concentrarsi sul suo crampo alla pancia mentre lo guardava avvolgergliela intorno al collo magrissimo, perché “hai la pelle d’oca stupido, copriti o stasera hai di nuovo la febbre”, prima di sedersi dietro di lui e piegare le gambe a v contro le sue.

“Sei ghiacciato.” Aggiunse poi, e gli soffiò sulla frangia dall’alto dei suoi cinque centimetri di differenza, solo per infastidirlo.

Rose avvertì quella cosa odiosa che le viveva nel petto e pungeva forte stritolarle le interiora.

Si trattenne dal dire qualcosa come “chiaramente sono di troppo” solo perché sentiva la bocca asciutta come un deserto, e fece per alzarsi, pronta a inventare una bugia idiota qualsiasi per allontanarsi dai suoi migliori amici che tubavano come bellissimi piccioncini.

Era a metà strada, con le gambe piegate e pronte ad alzarsi, quando due mani la strattonarono.

Una forte come può esserlo il becco di un uccellino che sta morendo di fame e si vede offrire la briciola di pane più grande che abbia mai visto, l’altra forte e basta, come quella di chi tiene fermo l’universo.

 

“Non sono mica una mocciosa bisognosa d’affetto, sapete?” sbuffò, senza nemmeno fingere di resistere mentre veniva trascinata sull’erba umida e fredda.

Appoggiò la testa su una gamba di Albus, e chiuse di nuovo gli occhi quando sentì le dita di Scorpius arrotolare uno dei suoi ricci scomposti intorno a un dito.

In effetti, ai preparativi potevano pensarci dopo.

 

 

 

-*-

 

 

Nota di Melchan:

Bonjour! ^^

Ci sarebbero delle vere e proprie (lunghissime) note, ma ho preferito metterle a fine storia <3 Quindi per ora via con i commenti a caldo è_é

Innanzitutto, avviso di servizio: la fic è già finita, quindi si tratta solo di postare i capitoli uno per uno fino alla fine. L'avevo pensata come una one-shot, ma è diventata talmente lunga (una specie di miracolo, per me) che ho deciso di postarla in capitoletti separati, anche se imho abbastanza lunghi ^^ (ho sempre avuto ai nervi le fic a mini-capitoli).

Non bazzicando molto al momento il fandom come lettrice, non so bene se la visione di una Rose a Serpeverde sia strana o no °_° , comunque ho visto di quelle cose che forse potete immaginare, nel fandom di HP, che non me lo fanno sembrare troppo difficile da accettare per chi si mette a leggere XD

Quindi d'uh, ecco il primo capitolo *commenti profondi*

 

Se siete arrivati a leggere qui suppongo abbiate letto anche il capitolo, perciò niente, aggiungo solo che ovviamente mi fareste un grande piacere facendomi sapere che ne pensate <3



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Capitolo 2
*** 2. ***


Scorpius dimostrava un’età imbarazzante. Rose guardò il suo completo scuro, i capelli pettinati all’indietro e la mascella fine e granitica nella sua serietà.

 

“Sei pronta?” le chiese Albus, dando una tiratina al suo cravattino nero. Rose annuì e gli disse di lasciare in pace quel povero pezzo di stoffa, se non voleva strapparlo prima di arrivare ai quartieri di Lumacorno.

Lui rispose incupendosi (più del solito, cioè), e mentre Scorpius li seguiva come se facesse la guardia, strisciò i piedi per seguirla lungo il corridoio illuminato da fiaccole che lo facevano sembrare la sala d’attesa per lo studio di Satana.

Rose sentiva il nervosismo crepitargli attorno come piccole scosse di energia elettrica. 

“Calmati”.

“Non sono agitato.” Mentì lui “Solo che come ben sapete odio questo piano.” Okay, era ancora arrabbiato. Nel caso avessero potuto commettere l’imperdonabile errore di dubitarne.

Parlare con Lumacorno non gli era mai piaciuto, e secondo lui la cosa giusta sarebbe stata lasciare che ci pensasse Scorpius. Col particolare che le parole “papà sarebbe così felice di saperlo”, dove papà era Harry Potter, avrebbero persuaso Lumacorno a permettere un’infrazione abbastanza spinosa con molta più facilità di qualsiasi altra cosa.

Adesso bastava che se ne convincesse anche lui.

 

La verità era che Albus non era abituato a fare niente che non volesse, o anche solo non gli andasse.

Era sempre stato il cocco di papà, cosa che gli aveva evitato un’infanzia infelice a prescindere, ma un fratellone con la tempra di James e una madre certa che gli scherzi di un maggiore fossero insopportabili quanto le zanzare in confronto alle scemenze di sei fratelli marca Weasley, lo avevano abituato alla sopportazione.

Gli anni di allenamento al fastidio si erano disgregati, ridotti in polvere e brandelli adatti al cassonetto appena arrivati a Hogwarts.

Rose non c’era, quando Albus e Scorpius erano diventati amici. Era persa nei meandri della sua mente depressa, e aveva ripreso contatto con la loro realtà quando aveva incontrato Scorpius Malfoy sulle scale. Del prima, sapeva solo stralci e aneddoti provenienti dalle bocche degli interessati e da quelle dei pochissimi altri Grifondoro con cui aveva rapporti, parenti compresi.

 

Fatto sta che Scorpius aveva fatto a pezzi con tenacia invidiabile tutta la capacità di sopportazione di suo cugino. Lo aveva viziato fino al vomito, in poche parole.

Aveva preso ogni briciolo di male che poteva essere rivolto ad Albus e lo aveva polverizzato. Aveva tenuto lontani i pettegoli e le malelingue, che a Grifondoro erano molto meno attenti alle apparenze e molto più disponibili alle cattiverie faccia a faccia, e affatturato abbastanza bulli da mettere paura quantomeno a quelli del proprio anno e del secondo. Dopo il Natale del primo anno, a nessun giovane studente di Hogwarts sarebbe passato per la testa di andare a infastidire Malfoy e il suo amichetto del cuore.

Rose non sapeva che cosa gli fosse preso quando aveva conosciuto il suo cugino preferito, ma era dell’opinione che qualcosa che porta un undicenne a fare quello che aveva fatto Scorpius non fosse da sottovalutare.

 

Rose non aveva avuto bisogno di un angelo custode, passate le prime tragiche due settimane, visto che grazie alla famosa P nessuno della sua Casa aveva seriamente provato a sfotterla o infastidirla. A dirle cattiverie nei corridoi erano tuttora solo le Grifondoro del suo anno. Stavano attente a farlo lontane da Scorpius, mentre avevano meno problemi a lasciarsi sentire da Albus, che scatenava la stessa tema di un cucciolo di koala e aveva l’acrimonia di un cucchiaio di Nutella. Il dubbio che riferisse comunque commenti e amenità a lei e Scorpius doveva averle sfiorate, ma vedendo l’assenza di serie ripercussioni non si erano fatte problemi a continuare.

Rose aveva maturato con gli anni la convinzione, no, la certezza che il loro comportamento non fosse dovuto alla pura e onorevole indifferenza nei confronti del prestigio che esserle amiche, o quantomeno non ostili, avrebbe potuto procurar loro.

Era una visione quasi piacevole della realtà, delle coraggiose ragazzacce sfrontate con cui avrebbe anche potuto fare amicizia, ma tristemente improbabile.

 

Secondo lei la realtà era molto meno affascinante: troppo stupide per preoccuparsi delle conseguenze, le bruciava dentro il non essere riuscite a entrare nelle grazie del tranquillo Albus Severus Potter e l’essere ignorate da Scorpius Malfoy. James come Mr. Popolarità amico di tutti  faceva per dieci, certo, ma questo mitigava solo uno smacco che nessuno si aspettava.

Rose avrebbe sempre potuto sbagliarsi, ma meno una cosa accade tanto più si fa fatica a crederci.

 

Fatto sta che a forza di strada spianata ora Albus le camminava accanto mogio mogio. Cercò di immaginarlo con la barba, per curiosità, e non ci riuscì. L’espressione ingrugnata peggiorava la sua situazione, ma anche a cose normali pareva un dodicenne piccolino, delicato e con un viso adorabile e sempre un po’ triste.

- Ti ricordi come attaccare il discorso? – gli chiese, per liberarsi da elucubrazioni più o meno deprimenti.

- Me lo ricordo per forza, con tutte le volte che l’ho ripetuto. – sbottò in risposta. Erano poche battute da recitare a memoria, ma da come ne parlava Albus sembrava che avesse dovuto imparare tutte le battute dell’Otello in un pomeriggio. Non aveva paura, ma era nervoso.

La paura era una cosa diversa, che da quando frequentavano Hogwarts Rose aveva visto in faccia ad Albus molto di rado.

I loro piani comprendevano sempre una buona dose di rischio, ma a correrlo di solito era Scorpius, e lei si prendeva gli avanzi. Non che Albus non partecipasse in prima persona o facesse sempre il palo. Solo, Scorpius ogni volta faceva in modo di essere insieme a lui nei momenti rischiosi. E avere paura con Scoprius vicino, era molto, molto difficile.

Faceva in modo di essere anche con Rose, certo, ma c’era la differenza che di lei e della sua furbizia si fidava: di quella di Albus, invece, no.

 

Scorpius era un ragazzo estremamente intelligente. Aveva accennato al fatto che il Cappello gli avesse parlato anche di Corvonero, durante lo smistamento, ma a Rose era sembrata un’ovvietà, non una conferma. Lui per certi versi le ricordava sua madre.

Non c’era nient’altro che li accomunasse, ma il modo freddo di ragionare, la mente agile e sempre un passo o un campo da Quidditch più in là del suo interlocutore, era la stessa.

Anche lei era molto intelligente, altrimenti non avrebbe avuto ragione così spesso, ma Scorpius aveva qualcosa di diverso, ciò che fa la differenza tra un forte acume e un'agilità mentale che si avvicina molto al genio.

Li interruppe prima che Rose cominciasse a rispondere male al suo cugino.

 

- Sorridi mentre parli di tuo padre. – disse – Se vedi che ti dà corda aggiungi che ha scritto di voler passare dal villaggio questo o il prossimo weekend. –

Albus annuì, le sopracciglia sempre aggrottate, stavolta per la ritrovata determinazione. – Okay. – rispose, serio come se fosse stato messo al corrente di un nuovo particolare di importanza stratosferica.

A Rose venne voglia di chiedergli se la sera si faceva anche cantare la ninnananna, da Scorpius. Decise che avrebbe dovuto chiedere a suo fratello, e sorrise senza accorgersene immaginando la scena.

 

Guardandoli camminare, uno serissimo e l’altro con la sua espressione da sono-figo-e-niente-mi-tange, Rose trovò ancora più ironica del solito la certezza che Albus non avesse idea della portata dell’opera di bonificazione da pericoli, cattiverie, scherzi idioti che Scorpius aveva compiuto per, e intorno, a lui.

Era partito zuppo di preoccupazioni per lo Smistamento, poi si era visto assegnare a Grifondoro, e aveva trovato Scorpius.

Scorpius.

Uno che era diventato il suo amico del cuore nell’arco di un mese, che gli si sedeva accanto all’ora di pranzo dopo nemmeno una settimana dall’inizio delle lezioni, e aveva risolto l’ultimo grosso problema di Albus e della sua vita scolastica, quello chiamato Rose.

Un ragazzo che tutta la sua allargatissima famiglia conosceva di nome e con cui nessuno aveva mai parlato nemmeno per sbaglio, e si era rivelato la botta di fortuna più grande della sua vita.

 

Albus sembrava convinto che per una sorta di miracolo a Hogwarts la vita avesse cominciato a girare dalla sua parte, dopo avergli dato una famiglia incredibile e un fratello tremendo: Scorpius faceva semplicemente parte dei grandi doni della sorte.

Rose avrebbe scommesso praticamente tutto sul fatto che Al avesse mai anche solo pensato che a far andare le cose sempre per il verso giusto fosse stato proprio quel dono biondo e grifondoro.

 

Vedeva i binari lindi e puliti della propria vita scolastica, ma non Scorpius che li ripuliva volandoci sopra in sella alla sua scopa sempre un secondo prima che lui inciampasse in un sassolino bastardo.

 

-*-

 

Quando arrivarono davanti alla porta degli appartamenti di Lumacorno, Rose sentì Albus fare un sospiro profondo per calmarsi. D’istinto gli prese la mano e diede una strizzatina. Albus ricambiò subito.

Lo facevano da quando erano piccoli e volevano farsi coraggio tra loro.

 

“Pensa a Mielandia.” Gli bisbigliò, senza dubitare nemmeno per un secondo che Scorpius sentisse tutto quello che dicevano “La Burrobirra. Andremo dove ci pare.”

Al sorrise. Ci stava pensando.

 

“Ragazzi!”

Lumacorno spalancò la porta e mise subito le braccia grassocce sulle spalle di Albus e Scorpius. Al sprofondò un poco sotto la pressione del suo braccio; Scorpius si sforzò di restare immobile, come se non sentisse niente. A Rose venne da ridere vedendo quanto teneva le spalle rigide per resistere, dritto come un fuso alla sua sinistra.

Lumacorno, felice come una Pasqua, la osservò con lo sguardo benevolo di un vecchio zio.

“Signorina Weasley, è un incanto! I suoi due cavalieri dovranno stare attenti, o stasera farà strage di cuori”.

Rose fece il suo speciale sorriso-da-brava-ragazza, si passò un ciuffetto di capelli dietro un orecchio e disse che avrebbe tenuto gli occhi aperti lei per prima.

Lumacorno rise ancora, e li fece entrare.

 

Si potevano dire molte cose di lui, pensò Rose, ma non che fosse un cattivo organizzatore.

C’erano dozzine di dolci adagiati su tovaglie colorate, succhi di frutta che riposavano nelle caraffe di vetro trasparente e scintillante, e centinaia di piccole luci che illuminavano la stanza a giorno come piccoli fuochi.

Lumacorno aveva lasciato un angolo per permettere di ballare, vicino alle finestre della saletta, e un giradischi che sembrava nuovo stava già diffondendo una musica allegra che Rose non conosceva.

 

Non erano i primi: un paio di Corvonero dell’ultimo anno sedeva già sui divanetti vicini al camino, una coppia si teneva per mano con aria un po’ ingessata vicino alla finestra più grande e Parkinson (che era e rimaneva uno dei più portati pozionisti di Hogwarts) la salutò festante dal tavolo del buffet.

 Rose gli rispose con un sorriso minuscolo, sussurrò ad Al “Datti da fare” e prima che lui la guardasse male si voltò per raggiungere William. Immaginava che le avrebbe chiesto un ballo, e avrebbe anche potuto farlo contento.

Si rifiutava di ammettere che gli importasse qualcosa di uno qualsiasi dei suoi compagni di Casa, ma la scomoda verità era che un angolo demente del suo cervello tendeva a rallegrarsi quando parlava con William. Rose sapeva che succedeva solo perché era stato il primo compagno a essere carino con lei, P o non P, ma questo non le impediva di provare un sentimento non richiesto nei suoi confronti. Sarebbe stato tutto più semplice, se Parkinson non avesse avuto la fastidiosa caratteristica di essere un ottimo attore.

Così bravo che a volte Rose vacillava davanti al suo viso, perché le sembrava di vedere dell’orribile, impossibile e non previsto affetto sincero, nei suoi occhioni neri come la morte.

E Rose non ammetteva che qualcosa la facesse vacillare.

 

Stava andando verso di lui, che aveva già cominciato a versare un secondo bicchiere di succo di zucca con entusiasmo che a chiunque fosse stato un po’ più ingenuo sarebbe sembrato sincero, quando sentì Scorpius tirarle una mano.

Si voltò a guardarlo, e lui la strinse più forte. Si lasciò portare verso la zona di parquet dove la coppia aveva già cominciato a dondolarsi a tempo.

 

Rose alzò gli occhi al cielo.

Lo fece perché era più facile ingoiare quello che le era rimasto impigliato in gola, così.

 

Mentre lui le appoggiava una mano sul fianco e faceva il primo passo non disse niente.

Riaprì bocca solo dopo un paio di minuti buoni. “E questa?” gli chiese, sorridendo.

“Penso tu preferisca ballare con me che con il tuo spasimante preferito.” Rispose lui, serio come solo Scorpius Malfoy sapeva essere mentre parlava per scherzo.

“Non lo so”, Rose increspò le labbra come se stesse riflettendo “non è che come al solito sei troppo sicuro di te?”

“Non ce n’è bisogno.” Rispose Scorpius, e la fece girare in una piroetta perfetta.

 

Rose rise, senza preoccuparsi di nascondere il rumore. Non era la prima volta che ballavano insieme, era già successo anche a un’altra festa di Lumacorno. Si sentiva a suo agio, e una delle molteplici qualità di Scorpius era saper ballare qualsiasi tipo di ballo di società.

Girandosi vide Lumacorno e Albus, che li guardava dal suo fianco con aria stanca, e fece un sorriso a tutti e due.

Ballare con Scorpius la metteva sempre di umore stupidamente allegro. Le piaceva ballare con un bravo ballerino, ecco.

Pensò che al primo anno sarebbe morta d’imbarazzo, ma da quando aveva deciso che sembrare una stronzetta era più divertente che piangere e chiedersi sempre cosa avrebbero pensato tutti gli altri, aveva scoperto che fare cose imbarazzanti poteva essere assurdamente piacevole.

 

Quando la canzone finì Scorpius disse di aver sete, e si diresse subito verso Al. Non le lasciò mai la mano.

Lumacorno fece un sorriso ancora più largo dei precedenti.

 

“Signorina Weasley, che dire? Siete degli splendidi ballerini! Signor Malfoy, per caso prende lezioni?” Scorpius guardò il vecchio professore come se fosse la domanda più insignificante sulla faccia della Terra e rispose “Sì, mia madre ci ha sempre tenuto.”

Lumacorno annuì con aria saputa: “Non mi stupisce. La signorina Asteria ha sempre avuto un portamento elegantissimo, è splendido che abbia voluto cercare di trasmetterne la bellezza anche a suo figlio.”

“Mh, è vero. Comunque ho parlato con il professore.” Attaccò Albus, guardando l’uomo di sbieco con uno sguardo che diceva “parli di argomenti che non piacciono al mio amico e ce l’ho a morte con te”.  Poi storse un po’ il naso e continuò: “Ha detto che potrebbe organizzare qualcosa per Hogsmeade già sabato pomeriggio, sapete?”

 

Lumacorno fece uno sguardo sornione e annuì. Rose guardò il volto funereo di Albus e si chiese quanto quell’uomo fosse accecato dalle sue personali idee su di lui, per non riuscire a interpretare il tono della sua voce come quello che era: sembrava un bambino pessimo a raccontare balle che ne dice una. E il bello era che si stava impegnando, Rose non ne dubitava. Albus poteva essere viziato, ma non avrebbe mai preso la sua parte in uno dei loro piani con leggerezza solo per ripicca. Questo mai, e Rose non si sarebbe permessa di dubitarne nemmeno un secondo.

 

 

 

 

 

 

You'd think that people would have had enough of silly love songs.

But I look around me and I see it isn't so.

                                                                                                                    

(Paul McCartney)

 

 

 

 

Note di Melchan:

Okay, palesemente erano eoni (traducibili, in tempo reale, in un anno) che non pubblicavo niente di HP, e l'esperienza mi ha lasciata abbastanza °_° Nel senso che ho pubblicato la storia e qualcosa come venti minuti dopo era a pagina due XD Non è esattamente una cosa che gioia, ma bon, ovviamente ho iniziato e arrivo in fondo a postare i capitoli, al diavolo l'amarezza :3 Solo, vedere dei riscontri, positivi o negativi (dico davvero, non m'incacchio se dite che non vi piace, quello che vorrei sarebbe scoprire che l'avete letta ^^), sarebbe un po' incoraggiante in questo oceano di roba, ecco ''XDDD

Thank you :*

 

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Capitolo 3
*** 3. ***


 

3.

 

 

 

 

 

"La violenza può avere un effetto sulle nature servili, ma non sugli spiriti indipendenti."

 (Benjamin Jonson)

 

 

 

 

L’ultima volta che erano usciti era partita con un disastro.

Mentre attraversavano il cortile talmente pieno di neve da non riuscire a camminare bene, Rose si era sentita chiamare. E aveva anche sentito un minuscolo nodo allo stomaco che non avrebbe mai ammesso a voce alta.

Sapeva già cosa stava per accadere, e sapeva anche che avrebbe preferito mangiare una Tuttigusti al cerume che affrontare ancora una volta William e i suoi dannati occhi.

- Rose! – l’aveva chiamata tutto allegro – Ehi Rose! Merlino, si gela qua fuori. –

Si era stretto meglio sciarpa e tunica intorno, poi aveva continuato a rivolgerle quel gran sorriso.

- Che ne dici di prenderci una Burrobirra? –

 

- Non saprei, Will. – Non capiva mai se chiamarlo col nomignolo migliorava o meno la situazione, se lo illudeva o lo rinfrancava. Se fosse giusto preoccuparsi dell’effetto che aveva una qualsiasi cosa su William Parkinson.

I nomignoli sapevano essere dannatamente frustranti.

- Forse più tardi. Dopo che ho comprato un paio di cose con… con gli altri. –

Stava cercando la voglia di guardarlo in faccia, mentre lo diceva, quando due o tre Grifondoro si erano avvicinate ridendo come cretine. Del resto sono cretine, si era detta, cercando di sembrare quieta come il lago ghiacciato a pochi metri da loro.

 

- Poverino. – ridacchiò una passandogli accanto.

- Parkinson, ma non lo sai che quando una donna dice dopo vuol dire mai e poi mai? – trillò l’altra, con il tono di voce più alto possibile.

- Non badarci. – aveva detto William, continuando a sorriderle come il ragazzo più allegro della Terra. – Sono solo delle stupide ragazzine che finiranno a lavorare in brutti negozi babbani o divorziate da politici ancora più brutti superati i quarant’anni. Ignorale. –

Era in momenti come quello che Rose trovava la prova che sì, quella di William era tutta una farsa, e no, il Cappello Parlante non aveva problemi di senilità e non aveva buttato un Tassorosso in bocca a quella Casa.

 

Gli aveva risposto con un verso senza significato e poi aveva tentato di sorridere anche lei.

Non era riuscita a guardarlo negli occhi nemmeno una volta.

 

Adesso che erano solo loro e il professore si sentiva leggera come se avesse perso dieci chili. L’idea di libertà che le trasmetteva essere fuori mentre il resto (tutto il resto) della scuola stava chiuso nelle aule le faceva venire voglia di ridere come una scema e buttarsi nella neve a fare angeli e casino.

Mentre Albus rispondeva a una domanda di Lumacorno che lei non aveva ascoltato, cercò Scorpius con lo sguardo. Avanzava con la schiena dritta, come se sapesse già dove la neve era più profonda, e non aveva detto una parola da quando avevano incontrato il professore davanti alla porta del suo ufficio.

- Scorpius, sembra che ti abbiano infilato una palla di neve giù per il maglione. Rilassati. –

Lumacorno scoppiò a ridere. - Il suo senso dell’umorismo zittirebbe chiunque, signorina Weasley. – diss, con un’allegria irritante che le ricordò gli occhi bovinamente felici di Will. La cosa triste secondo Rose era che anche lui ci credeva davvero, in quel che diceva. - Si dice che le donne adorino un uomo che le fa ridere, ma lei di sicuro è capace di fare per due. -

Mugugnò qualcosa, occupata com’era a liberarsi dal mucchio di neve dove si era impantanata e a prendere la bacchetta per impermeabilizzarsi le scarpe.

Forse nemmeno quella era poi una gran giornata. Trovava tristissimo che Lumacorno ridesse a battute che non facevano ridere solo perché le faceva lei, e demenziale l’uscita sulle donne, che era proprio del tipo che suo padre sciorinava di tanto in tanto.

A irritarla era soprattutto il fatto di sapere bene che razza d’idiozie fossero.

Teddy quando era piccolo e aveva una giornata di spiccato buonumore, riusciva a far sganasciare dalle risate gli adulti e a far divertire tanto i piccoli che quelli si dimenticavano di andare in bagno e finivano per farsi la pipì addosso.

Quello a cui succedeva più spesso era James, che aveva cercato di diventare anche lui un grande barzellettiere per tutta l’infanzia, fallendo miseramente e riuscendo a guadagnarsi solo pacche sulla testa di zii vari durante pranzi e cene di famiglia (quindi almeno una volta alla settimana) e frequenti “James, taci” da zia Ginny quando esagerava.

Quando si era reso conto che le sue speranze di imitare Teddy alla perfezione erano nulle aveva ripiegato sugli scherzi più di prima, e palesemente si era sentito molto più nel suo ambiente. Il fatto che di solito oltre a lui facessero ridere solo Teddy sembrava che fosse abbastanza.

Da questa storia Rose ne aveva ricavato la convinzione che James era proprio stupido, e che se le risate che Teddy le suscitava erano spassosissime ma molto rischiose per la sua vescica.

Adorava il suo l’umorismo, e adesso aveva risolto anche il problema del bagno, ma non aveva mai avuto una cotta per suo cugino più grande. Nemmeno per sbaglio.

Poi ovviamente era andata a Hogwarts, e aveva scoperto che gli occhi più seri e risoluti del mondo erano capaci di smontare definitivamente ogni leggenda metropolitana sui gusti di chi ha una vagina.

Un momento dopo si rese conto di aver messo le parole vagina e un’allusione a Scorpius nella stessa frase, e si sentì male.

 

- Professore, le va bene se una volta arrivati facciamo un giretto? Prometto che non compreremo Whisky Incendiario. -

Albus la guardò di sbieco. A volte si faceva schifo da sola.

- Vorrei ben vedere, Signorina! Comunque si può fare, su. L’idea è di tenervi vicini, ma con questo freddo un goccetto per scaldarmi non mi dispiacerebbe. Voi potete bere una Burrobirra mentre mi occupo di un piccolo affare ai Manici di Scopa. -

Come non detto, Rose a volte si adorava da sola.

 

Finirono per fare molto più che bersi una Burrobirra. Albus chiese il permesso di passare dal negozio degli zii, e lo ottenne da un Lumacorno molto allegro e molto ansioso di presentarlo al Medimago con cui stava bevendo e giocando a carte.

Quando riuscirono a staccare il professore dal suo pupillo il cielo ormai era di un bluastro chiaro, e i lampioni si erano appena accesi.

Rose era abbastanza sicura che se Lumacorno fosse stato del tutto sobrio non li avrebbe lasciati uscire da soli a quell’ora, ma per loro era meglio così.

 

Passarono subito dal negozio, senza restare molto perché Scorpius in presenza dei loro parenti diventava ancora più muto del soluto, e poi andarono a svaligiare Mielandia. Rose approfittò dell’occasione per comprare il manuale Incantesimi Perfezionati appena uscito, e Scorpius si prese del lucido nuovo per la scopa.

Si fermarono di fronte a un chioschetto a ruote per comprare delle cioccolate calde, e mentre Albus finiva la sua lei diede un'occhiata al nuovo manuale, appoggiata al muro accanto al baracchino: c'erano Incantesimi previsti solo per il secondo tremestre, e si buttò avidamente sulle istruzioni per uno di Mimesi, a metà tra il capitolo sugli Incanti di Veglia e quello sugli Incantesimi di Attrazione avanzati.

 

Si rimisero in marcia verso I Tre Manici di Scopa con i sacchetti di acquisti che sbatacchiavano sulle ginocchia, cercando di coprirsi la faccia con baveri e giacche. Si era alzato un vento da Nord che pungeva la pelle libera come un bisturi.

L’idea di entrare nel brutto a pochi metri dal pub fu, strano a dirsi, di Albus. Apparentemente venne fuori il suo istinto da gazza ladra.

- C’è qualcosa che brilla! – disse, e arrancò nella neve che si era accumulata ai bordi della strada per entrare nel vicoletto. A un’occhiata più attenta il brillio si rivelò un contenitore di caramelle di Mielandia che qualcuno aveva abbandonato lì.

Rose a quel punto capì che era saltato qualcosa. Tipo il cervello di suo cugino, che all'improvviso si comportava come un bambino di quattro anni che vede una cosa buffa per terra e la vuole. Le si rizzarono i peli del collo, come quando aveva i brividi o si sentiva osservata in una stanza vuota (con i fantasmi che c’erano a Hogwarts non era una cosa rara).

Arricciò il naso. “Andiamo, questo posto puzza.”

Non voleva fare la figura di quella che se la fa addosso nei vicoli bui, ma prima uscivano da lì prima il suo senso del pericolo avrebbe smesso di ronzarle nelle orecchie come un mezzo sciame di api isteriche.

Albus si era ficcato le mani sotto le ascelle per scaldarle. “Qui però non batte il vento. Aspettiamo un momento, se il Professore ci avesse voluto trovare lo avrebbe già fatto.”

“Possiamo andare nel locale, genio. È a mezzo metro, ci congeliamo l’anima e basta.”

 

Poi lo sentì anche Scorpius. O forse gli venne la stessa idea che colpì il cervello di Rose come un tram in piena fronte: Incantesimi Attraenti avanzati. Aveva letto pochi minuti prima, ma il suo istinto le urlava che se ne'era ricordata troppo tardi.

Scorpius disse “Via.”, e Rose si stava già girando quando l’aria davanti all’entrata del vicolo brillò, e il suo stomaco capì che da lì non sarebbe più uscito nessuno.

“Che diav-“

Li vide piovere giù come gigantesche e orribili gocce umane. Erano due uomini, stupidamente simili a Stanlio e Olio. Uno grasso e uno magro, ma chissà perché dubitava che volessero farli ridere.

Atterrarono con l’agilità di chi è allenato a saltare da altezze sconsigliabili, e Rose non fece in tempo a estrarre la bacchetta dalla tasca della divisa che Scorpius le diede uno spintone. Picchiò la faccia contro il muro di mattoni, finendo nell’angolo tra il muro normale e quello magico (il rimbalzo che ci fece il suo braccio le confermò che c’era), ma quando si toccò il mento d’istinto vide che non c’era sangue. I suoi sacchetti si sparpagliarono sulla neve.

 

Lo chiamò prima di cercare la bacchetta. “Albus.”

Vide che era finito dall’altra parte del vicolo, con la sua bacchetta in mano e la faccia spaventata e determinata insieme. Più spaventata, però. Senza nessun motivo le venne in mente di quando avevano saltato la corda in giardino a sette anni, e lui era inciampato e si era messo a piangere, anche se non voleva. Aveva ripreso a saltare con la faccia accartocciata per il male e non aveva smesso finché non era riuscito a fare dieci salti di fila, come faceva lei.

In effetti forse c’era un motivo, se le veniva in mente proprio adesso.

L’uomo che gli stava davanti, un tizio di cui Rose non riusciva a mettere a fuoco la faccia, urlò Expelliarmus e poi lo prese per la collottola. Vide la bacchetta di Albus rimbalzare sul muro invisibile dietro di lui e finire sulla neve.

Mentre suo cugino cercava di strattonargli via la mano l’uomo puntò la bacchetta contro di lei e urlò Incarceramus. Rose sentì le catene affondarle nella carne, nonostante gli strati di vestiti in mezzo. Si rese conto di non aver mai avuto paura in vita sua, non davvero, e che solo adesso si stava facendo un’idea di cosa volesse dire.


Poi si ricordò che anche lei aveva avuto una bacchetta magica con cui fare cose orribili alla gente, e si dimenò per sentire dove era finita. Si accorse di non averla più addosso.

Doveva essere caduta quando Scorpius l’aveva spinta indietro.

Si sforzò di non cedere al panico totale e si guardò intorno per capire cosa stava succedendo ancora: Albus continuava ad agitarsi tra le mani del tizio che lo aveva afferrato per il collo della divisa, che sembrava divertirsi a guardarlo annaspare e dimenarsi, come un coglione di cattivo da cartone animato babbano. Sembrava trovarlo troppo comico anche solo per legarlo come aveva fatto con lei.

 

Scorpius invece si urlava incantesimi con quello che doveva essere l’intelligente della compagnia, il tizio magro. Vide che occhi spiritati aveva e pensò che non doveva essersi aspettato la complicazione di un quattordicenne cresciuto in una famiglia che insegnava incantesimi di Magia non propriamente bianca ai suoi pargoli come fossero Lumus.

Ma la cosa davvero importante era che Scorpius era agile. Schivava i getti d’incantesimi, che andavano a sfracellarsi sui muri di mattoni o in aria (il tizio aveva abbastanza cervello da non lanciarli alla cieca e rischiare di colpirsi da solo), e rispondeva con altri che Rose non riusciva ad afferrare. Le fischiavano forte le orecchie.

Sentì bene invece il cuore sbatterle ancor più in gola quando Albus le finì accanto, buttato contro il muro come un sacco di stracci vecchi. Aveva la faccia rossa come una mela, e gli occhi verdi gli brillavano come quando aveva la febbre.

Cercò subito di alzarsi, tirando allo stesso tempo una delle catene che la stringevano per cercare di liberarla, ma l’uomo che lo aveva scaraventato lì li raggiunse in un passo e gli annodò le braccia dietro la schiena.

Rose sentì le ossa delle spalle scricchiolare come bastoncini di zucchero spezzati a metà.

 

Albus voleva sempre la parte curva.

 

 

“Lui lo aprirò in due. Le rosse si vendono benissimo.” Disse quello, ridendo come un giullare ritardato.

Strinse più forte le braccia di Albus e lui urlò.

 

Imperio!”

Rose sentì la voce dell’uomo che duellava con Scorpius urlare l’Incantesimo come se si stesse strozzando con la voce.

Aveva colpito Scorpius al petto.

Albus invece cercava di non dire niente, ma le braccia dovevano fargli così male che continuavano a uscirgli di bocca lamenti strazianti.

Lei non disse niente; non lo aveva ancora fatto, dopo aver chiamato Albus, perché sapeva che era sarebbe stato inutile e al massimo avrebbe peggiorato la situazione. Fissò Scorpius, invece, per cercare di capire se e quanto riuscisse a opporsi all’Imperio: aveva gli occhi furibondi e stava immobile con le braccia abbandonate lungo i fianchi, la bacchetta ancora stretta nella mano sinistra. Ne dedusse che aveva i movimenti bloccati, ma non il cervello, o almeno non tutto quanto.

Il tipo che aveva incantato Scorpius si stava asciugando la fronte madida di sudore con una manica, e nel mentre lo fissava. Rose si rese conto solo dopo qualche secondo che doveva essere per mantenere il contatto visivo e non far indebolire l’Incantesimo. Aveva pensato d’istinto a qualche ragione romantica, tipo il cattivo che osserva con odio il suo rivale anche dopo averlo battuto.

Nella testa si urlò della stupida.

 

Lo vide digrignare i denti. “Razza di idiota, stendi il ragazzino!”

“Non ci penso proprio” protestò quello grande e grosso che teneva stretto Albus. “Questo cosino è divertente. Voglio…”

 

Il capo continuò a fissare Scorpius negli occhi, che sembravano enormi, e lo interruppe alzando solo una mano.

“L’hai già detto, non me ne frega un cazzo. Scordati di fare qualunque cosa prima di ritornare indietro.”

 

“E con Malfoy?”

“Lo schianto dopo, a questo punto.” rispose, senza staccare gli occhi da quelli di Scorpius “È il più stronzetto dei tre. Ti ricordi cosa pensano i Malfoy dei sangue sporco, no? Sono anche peggio di quell’altra feccia.”

L’uomo più grosso grugnì, e diede uno strattone ad Albus, come se si fosse ricordato di qualcosa di spiacevole che lui gli aveva fatto.

Albus non riuscì a ingoiare un grido.

 

“Voglio fargli vedere.” Continuò “Se gli capiterà di tornare a casa avrà tante cose da dire a mamma e papà su quello che sanno fare i figli di babbani con una bacchetta in mano. Adesso Schianta gli altri due.”

 

E Albus gridò di nuovo, le prime parole intellegibili da Aspetta un momento: “ROSE, CE L’HO FATTA!”

Si girò di scatto, ma vide che non era cambiato nulla tranne la faccia di Albus, che adesso la fissava con gli occhi sgranati come quelli di Scorpius.

Era un’idea idiota che poteva funzionare solo con degli idioti, ma non le venne in mente niente di meglio.

Prima che la voce di Albus si spegnesse tirò lo strillo più alto che le riuscì, senza sapere se questo rendesse la recita più convincente o più demenziale: “Adesso, Albus!”

Forse lo avevano infastidito le grida e lui non era abbastanza addestrato a concentrarsi sulla sola cosa importante. O forse aveva creduto davvero che avessero trovato un modo per liberarsi, ma il risultato fu lo stesso: girò lo sguardo su Albus.

La testa no, ma la catenella che lo univa a Scorpius si spezzò.

Fu abbastanza.

Rose guardò Eagle puntargli addosso la bacchetta e gridare Expelliarmus, correre verso la bacchetta mentre l’uomo magro si fissava la mano vuota con le dita ancora piegate. La prese mentre rimbalzava sul muro (Rose non aveva idea di quanto c’entrasse la fortuna e quanto l’attenzione alle traiettorie di Scorpius), poi la spezzò in due.

 

Il colorito pallido dell’uomo che aveva tenuto sotto Imperio Scorpius per quanto?, due minuti?, divenne cereo.

Mentre Scorpius gli puntava la bacchetta addosso sputò “merde, purosangue di merd…”, e prima che la parola finisse era scomparso.

Scorpius non perse tempo e pronunciò Pietrificus Totale, con la bacchetta puntata contro quello rimasto, che aveva dimostrato ulteriormente il suo acume restando a guardare lo svolgimento degli ultimi dieci secondi a bocca aperta.

Se fosse stato solo un po’ più sveglio sarebbe potuto finire tutto in modo molto poco romanzesco, ma non lo era.

 

Capita anche questo, allora.

 

 

Rose si sentiva muta. Non riusciva a nemmeno ad aprire la bocca.

Mentre l’uomo cadeva a terra come un morto, lasciando libere le braccia di Al, Scorpius indirizzò la bacchetta sul suo petto e disse “Diffindo”. Si sfracellò sulla neve, letteralmente, come se invece di esserne stato liberato il suo corpo avesse ceduto a un peso improvviso. L’angolo del suo libro le premeva contro una guancia.

Accanto a lei Albus si stava toccando le spalle, come se temesse che fossero scomparse mentre non poteva controllarle.

Lei aspettò che la sensazione di pesantezza diminuisse un briciolo e con gli arti che pulsavano raccattò la sua bacchetta dalla neve.

 

 

Scorpius era immobile, in piedi.

Guardava il corpo dell’uomo steso a terra, a cui minuscoli fiocchi di neve finivano sulla faccia enorme.

Rose si schiarì la voce, per cercare di allontanare la sensazione di mutismo. Non sapeva cosa ci fosse da dire, ma quel silenzio era spaventoso.

Era sicura, sapeva, che non avrebbero potuto trovarsi in un momento peggiore di quello.

Aveva ascoltato le storie dei suoi e dello zio un mucchio di volte, ma una parte di lei, sotterrata, e potente, le diceva che niente poteva essere peggio di quello che stava succedendo.

 

Sì schiarì di nuovo la voce, per dire ”Scorpius” adesso, ma non fece in tempo.

                                                                                                         

- Scorps. –

Albus stava fermo in piedi, e guardava Scorpius. Aveva appena detto l’unica cosa che potesse dimostrare che la parte sotterrata e potente di Rose si sbagliava completamente.

Rose lo guardò. Sentiva la gola secca, oltre alla voglia di urlare contro Al. Era di nuovo del tutto in possesso delle sue facoltà verbali.

 

 

Si era sentita sola per il primo mese di scuola al primo anno, e in nessun’altra occasione per tutti i suoi quattordici anni di vita. Perché c’era sempre stato Al.

Ma quando lui, proprio lui, diceva quell’unica parolina di sei lettere, a Rose sembrava che qualcuno le ficcasse una mano schifosa e ossuta nel petto e le strattonasse quel che c’era dentro per portarglielo via e farla affogare nel suo stesso sangue.

Avevano appena vissuto un tentativo di rapimento (nel migliore e più improbabile dei casi), si era sentita spersa nell’Universo mentre stavano tutti e tre lì ritti come statue a guardare un criminale rincoglionito e violento steso da un Incantesimo che si impara al primo anno, e lei si sentiva morire perché Albus aveva chiamato Scorpius Scorps. Sapeva che miserabile era la parola giusta per definirsi.

 

Ogni cosa la facevano in tre, prima l’avevano fatta in due. Da quando avevano cominciato a stare insieme se avevano lezioni diverse parlavano attraverso due pergamene che Scorpius aveva incantato apposta. Dormivano sul prato incrociandosi le gambe tra loro. Rose aveva accarezzato i capelli biondi di Scorpius tutte le volte che era stata sicura che lui fosse addormentato e Albus non stesse guardando, Scorpius sapeva che aveva delle mutandine coi cuoricini e lei che Albus non aveva mai baciato una ragazza.

Ma c’era una sola persona al mondo che chiamava Scorpius Scorps, e non era lei. Ecco tutto.

Un nomignolo simpatico, nient’altro che una cosa giocosa e che avrebbe dovuto divertire tutti, o al massimo scatenare un’atmosfera di complicità generale, le faceva solo venir voglia di urlare.

 

Guardò Al tirare Scorpius per una manica dell’uniforme, per convincerlo a venire via. Guardò Scorpius, che lei aveva provato a strappare da lì nel momento giusto e nello stesso identico modo, guadagnandoci una spinta all’indietro, per essere protetta, come una stupida fanciulla in difficoltà buona solo a guardare il suo amore che duella per lei. Lo fissò mentre si voltava verso Albus e recuperava uno sguardo umano, o quantomeno vicino a quello che era tipico di lui.

 

- Andiamo a casa. - disse Albus. Cercava di tenere un tono determinato, ma sembrava che gli tremassero le corde vocali. – Non mi piace qui, e nemmeno a Rose. Andiamocene via. –

Scorpius lo ignorò. - Ti ha fatto del male? - chiese, come se non avesse già deciso la risposta.

Albus scosse la testa. – Non è nulla. Andiamo via e basta. Lasciamolo qui. -

 

Scorpius guardò ancora l’uomo per terra. Aveva gli occhi dilatati e la stessa espressione di prima, ed era ovvio, visto che si trovava sotto Pietrificus Totale. Ma Scorpius lo guardò lo stesso, come se volesse essere sicuro di memorizzare i suoi lineamenti, dal naso storto agli occhi così chiari da sembrare ciechi.

Non abbassò la bacchetta.

 

Rose sapeva cosa stava pensando, e lo sapeva anche Albus.

 

Faceva lo sbruffone.

Voleva farci paura.

Quello pericoloso era l’altro.

È un idiota.

 

Era tutto vero, e a Scorpius non importava niente.

“Lui lo aprirò in due. Le rosse si vendono benissimo.”

Lo aprirò in due.

Lo aprirò in

Le rosse

- Scorpius, ti prego! Scorps, andiamo a casa… -

 

Rose sentì della bile risalirle lo stomaco e bruciarle la gola come vomito rancido. Fece un verso orribile mentre Albus stringeva forte il braccio di Scorpius e spingeva la faccia contro la parte più alta del suo braccio che riuscisse a raggiungere.

- Ti prego, andiamo. –

 

Scorpius non lo guardò. Non serviva. Con gli occhi che le lacrimavano per il sapore che aveva in gola Rose lo vide ficcarsi la bacchetta in tasca, girarsi mentre Al lasciava andare il suo braccio con la manica macchiata dove prima aveva pigiato gli occhi.

Rose chiuse i suoi.

Sì lasciò sollevare, non fece un verso.

 

Quando fu sicura che la voce le reggesse, disse: “A Lumacorno diciamo che sono inciampata.” Scorpius non rispose, continuando a tenerla come se la neve non rendesse una fatica assurda portare una persona a braccia.

Albus usò la mano libera dai loro sacchetti di acquisti fradici per prenderle un momento una mano, e gliela stritolò.

Rose pensò solo che era davvero in una situazione di merda.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di Melchan:

Ecco la terza e penutilma parte ^^!

Spero qualcuno ne sia contento xD

 

A questo proposito, ragazzi, parliamonr un attimo: io lo so che la sezione HP qui è quello che è, e infatti nemmeno sono così scema da rimanerci male solo perché non raggiungo le millemila letture con la mia fic piccia a rating né carne né pesce (imho il giorno in cui uno pubblica con quell'angoscia gli conviene cercarsi qualcosa di diverso da fare che non gli causi pare).

Il fatto è che non riesco a capire se continuare a pubblicare i capitoli qui abbia senso o no °_°'' Nel senso, se la fic non piace o altro è comprensibilissimo, solo che se non me lo dite io non lo posso sapere, e quindi continuo a pubblicare sperando in bene e col dubbio che stia facendo schifo a tutti quelli che provano a leggere ''XDD Quindi se mi sto rendendo un unt antino ridicola nel perseverare nel caso perfavore ditemelo, okay? Okay.

Scusate, è solo che questa situazione mi confonde x_x

Spero di capirci qualcosa a breve, intanto vi saluto :3


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Capitolo 4
*** 4. ***


4.

 

 Lumacorno ci credette, perché credeva a tutto quello che veniva dalla bocca di Albus.

Rose passò la notte in infermeria. Si era solo storta una caviglia quando Scorpius l’aveva spinta, non era nemmeno slogata, e di sicuro in camera le sue compagne si sarebbero prodigate in tutte le attenzioni del mondo per mostrarle che brave amiche erano; proprio per quello Rose accettò senza proteste la proposta di Madama Chips di rimanere in osservazione per la notte.


Non riusciva a prendere sonno. Sapeva che sarebbe successo, ma la faceva diventare matta restare lì stesa a rigirarsi nel letto, facendo anche attenzione a non muovere la caviglia.

Non voleva svegliare Madama Chips per chiedere una pozione, ma si sentiva sempre più frustrata, sdraiata in quello stupido letto in una stupida notte quasi senza luna.

Bisbigliò un’imprecazione, e sentì una voce non troppo lontana mormorare che non era una bella parola.

“Mi chiedevo quanto ci avresti messo.” Bisbigliò ad Albus.

“Il tempo di rivestirsi.” Rispose Scorpius da un punto che col buio Rose non riusciva vedere. Parlò con il suo tono normale, e lei capì che aveva fatto un Incantesimo per silenziare la stanza.

Si sistemò contro i cuscini, e fece posto ai lati del letto per lasciarli sedere.

 

 Dopo qualche secondo di silenzio, mentre Al si sistemava alla sua sinistra, Scorpius si passò una mano sulla bocca e disse:

- Ti ho spinta troppo forte. Mi dispiace. -

Era la prima volta in quattro anni che sentiva Scorpius dire “mi dispiace”.

E questo è solo mio.

Si sentì stupida, e pure in colpa, per averlo pensato.  Era un pensiero da stupide mocciose, e lei non era una stupida mocciosa.

È una soddisfazione divertente.

Ecco, quel pensiero andava molto meglio.


- Delle scuse, che onore. –gettò le sopracciglia verso l’alto come se fosse shockata. – Ma non serve. Eri troppo preso dalla parte dell’eroe senza macchia e senza paura, questo è stato solo un effetto collaterale. –

Albus rise. Si girarono tutti e due a guardarlo, senza capire.

- In effetti, Scorpius – disse lui, e fece quel sorriso che piaceva da pazzi a Rose – tu e mio padre avete molto da spartire sotto quel punto di vista. –

Questa volta scoppiò a ridere Rose. Aveva voglia di piangere, ma invece quella frase, e il rendersi conto che Al aveva ragionissima, la fece ridere così forte che se non ci fossero stati incantesimi Madama Chips sarebbe saltata dal letto come se l’avesse punta uno scorpione.

- Tu e mio zio dovreste farvi una bella chiacchierata sui metodi migliori di salvare la gente quando la situazione è disperata, questo è sicuro. Potreste scambiarvi aneddoti interessanti. –

Scorpius emise un pesante sbuffo molto poco regale, e disse loro che erano degli idioti. - Parlando di cose importanti – continuò subito dopo, ignorando il “certo, certo” di Rose – avete intenzione di non raccontare nulla a nessuno dei vostri parenti, riguardo a oggi? –

Rose rimase un momento in silenzio.

Non aveva ancora deciso. Voleva evitare con una probabilità d’errore dello zero per cento drammatiche e plateali cacce all’uomo, ma da quello che aveva detto l’uomo che era riuscito a fuggire doveva esserci dietro qualcosa di più losco di un attentato da parte di due fanatici idioti.


- Penso che dovremmo dirlo almeno a mio padre. Non credo che finirà qui, è possibile che ci riprovino. – disse Albus. Stava seduto sul suo lato immobile come uno stoccafisso, nemmeno gli avessero incollato le lenzuola al sedere.

 - Magari sabato prossimo durante la gita vera e propria. –

Anche il tono era tirato, come se quelle parole gli costassero una gran fatica; Rose capì che avrebbe preferito chiudere la questione con un “meno male è andata bene, non parliamone più”, ma non era abbastanza stupido per farlo.

Rose Sospirò. – È vero. Potrebbero provarci con Hugo e Lily. Mandagli una lettera riservata, Al. -

- Se la manda a lui lo scopriranno anche i tuoi genitori, Rose. Sei sicura che sia una buona idea farlo per lettera? -

Scorpius non sembrava agitato, ma di certo l’idea di dire tutto al clan Potter-Weasley non gli sembrava buona quanto a loro. In effetti non sembrava mai entusiasta di niente che riguardasse il coinvolgimento dell’allegra e gigantesca truppa composta dalla loro famiglia.

- È vero che mio padre non la prenderà per niente bene, - ragionò Rose  – ma mamma e mio zio riescono a calmarlo quasi sempre. L’alternativa è far venire davvero lo zio Harry a Hogsmeade sabato prossimo, e a quel punto sarebbe comunque pericoloso. Nel tempo che noi impiegheremmo a spiegargli cos’è successo potrebbero riprovarci. –

 

Scorpius non rispose subito. Rose e Al rimasero in silenzio, come se potessero sentire il suo cervello mettere a punto qualcosa di importante.

- Potrei trasformarmi – disse dopo un po’– pattuglierei la zona mentre voi parlate con lui. Seguirei i vostri parenti e in caso di pericolo verrei ad avvertirvi. –

- È troppo pericoloso. - ribatté subito Al, quasi senza lasciarlo finire.

- Però è un’idea fattibile. - Rose sentiva il cuore batterle in modo fastidioso. Bastava Albus come fidanzatina timorosa, lei era il caso che pensasse con lucidità. Ma l’immagine di Scorpius che volava metri sopra i loro fratellini che girellavano allegri per Hogsmeade e poi veniva abbattuto come niente fosse da una maledizione, schiantandosi a terra come un piccione morto, le faceva tornare la bile di quel pomeriggio su per lo stomaco.

 

- C’è sicuramente un altro modo. - insistette Albus - Intendo qualcosa che non faccia rischiare la vita a nessuno. -

- Questa però è la possibilità migliore che abbiamo, Albus. L’alternativa è far rischiare quello che è successo oggi ai tuoi parenti. - commentò Scorpius.

- Non voglio mettere in pericolo nessuno di loro, ma nemmeno te. -


Rose avrebbe voluto non aver già mangiato tutte le Ciocciorane che aveva avuto dietro, tanto per fare qualcosa. Visto che doveva assistere a litigi romantici senza la possibilità di alzarsi e andar via, almeno avrebbe mangiucchiato qualcosa.

- Sono la tua famiglia, - continuò Scorpius irremovibile - È semplice. Ed io non mi lascerò vedere. Non c’è altro da dire, ora possiamo pensare all’organizzazione. -

E allora, per la seconda volta nell’arco di un giorno Rose fece per parlare, e per la seconda volta nell’arco di un giorno Albus la precedette. Mentre lei sceglieva le parole, lui stava già dicendo tutto quel che c’era da dire.

- Ma tu sei il nostro migliore amico, Scorpius. –

Il loro migliore amico sbuffò. – E come ho già detto e ripetuto, loro sono la vostra famiglia. Se io vengo fatto fuori potete partecipare al funerale, fare un bel discorso sul mio coraggio e poi passare oltre. Se rapiscono e fanno fuori tua sorella la cosa cambia. Perciò non c’è altro da dire. –

Rose sforzò gli occhi per riuscire a vedere bene la faccia di Al nel buio. Sembrava che stesse per scoppiare in lacrime.


- Eagle, quando te ne esci con queste cose saresti da ammazzare sul serio, lo sai? – parlò con una dolcezza che non le era propria, ma quando se ne accorse era troppo tardi. – Se tu morissi Albus passerebbe il resto della sua deprimente vita a piangere sulla tua tomba, minuzia che causerebbe guai a tutta la famiglia di cui parlavi, e oserei dire anche alla tua. Quindi no, sabato non volerai qua e là con un bersaglio praticamente attaccato in fronte. Troveremo un’alternativa, e se per farlo il grado di sicurezza dei nostri fratelli passerà dal cento per cento al novanta, sarà un rischio accettabile. –

Quando si acquietò, a Rose sembrò di sentire tutta la stanza piombare in un silenzio assurdo. Intanto l’unico pezzettino di luna disponibile era tornato visibile, e illuminava il loro letto e quelli di lato con una luce bianchiccia e un po’ tetra.

 - Mi fa piacere sapere che tu non vedresti la minima attrattiva nella mia tomba, sai Rose? – lo spezzò Scorpius

Questa volta risero tutti e tre. Nel senso che lei e Al risero, Scorpius fece l’aria superiore che faceva sempre nei momenti di ilarità generale, con il solito angolo della bocca che tentava in tutti i modi di risalirgli il volto facendolo sembrare troppo bello per essere vero.

Smettila.


- Non vedo l’ora di imparare a trasformarmi anch’io. – brontolò Albus quando smise di ridere - Spero di diventare qualcosa di figo e utile, tipo un lupo. -

Rose non trattenne un ghigno: - Certo Al, e io sarò una pantera, così potremo andarcene in giro tutti e tre, un’aquila, un lupo e una pantera, a vagabondare indisturbati  per le vie di Hogsmeade. -

- Potremmo farlo. – rispose Albus, decisissimo – e poi… niente. Sarebbe grandioso, ecco, e noi… -

- E poi cosa, Al? – lo interruppe lei, attentissima.

E poi… niente. L’ultima volta che Albus aveva detto così era venuto fuori che voleva chiederle se secondo lei sua madre preferiva James a lui, perché era, beh, così James.

- Nulla. - insistette Albus.

- Cosa c’è? - domandò Scorpius

Albus lo guardò, poi decise che fissare il piumone del lettino su cui erano accampati tutti e tre era l’idea migliore del mondo.

- Ho detto che non è nulla. È un’idiozia. Solo… - tentennò un momento – è solo che non vedo l’ora di avere anch’io un soprannome. Un soprannome vero dico, tipo Eagle. L’avevo detto che era una scemata, perciò non ridete. –


Scorpius disse solo “Sciocco.”

Rose invece lo guardò e basta. Cercò di capire. Non poteva farlo apposta, ma….

Niente Ma.

Al era rosso come se avesse avuto un tramonto in faccia, e fissava le sue coperte con tutta l’ostinazione del mondo.

Non l’aveva sul serio detto apposta; non aveva nemmeno capito quello che faceva a lei sentirlo usare certi nomignoli.

E non aveva capito nemmeno che Scorpius lo trattava come se fosse la cosa più preziosa mai apparsa nel mondo.

Anzi, lui si rodeva perché lei a volte chiamava Scorpius Eagle.


Rose Weasley aveva voglia di ridere. E aveva voglia di piangere.

Ma, più di ogni altra cosa, aveva voglia di dare un pugno in testa a suo cugino.

 

Lo guardò continuare a fissare le sue coperte. Poi guardò Scorpius chinarsi verso di lei e darle un bacio veloce sulla fronte.

Ed erano due prima volta in quattro anni.

 

- Adesso è meglio che dormi. Torniamo domani per discutere su come chiudere questa storia. –

Parlò con un tono marziale che stonava del tutto con ciò che aveva appena fatto, poi si voltò, disse “Andiamo” e percorse la saletta ad ampi passi.

Lei non disse nulla. Non si fidava del tono della sua voce.

Albus invece si chinò e l’abbracciò. Lei lo strinse con la stessa forza che stava usando lui, e non si scostò quando a sua volta le diede un bacino sulla guancia, come quando erano piccoli.

 

Rimasta sola nella stanza, Rose si asciugò una guancia bagnata per motivi stupidi e sognò il giardino di fuori e una luna con gli occhi grigi e i capelli neri. Sorrideva.

 


Fin


-*-




Note di Melchan:

Bon, siamo arrivati alla fine.

Spero che chi se l'è letta, e se la leggerà nel bailamme della sezione (grande lui se riesce a beccarla \O/), apprezzerà almeno un minimo il gran casino in cui campa la Rose Weasley di questo verse (che non è il mio personale&interiore canon del nuovo trio, comunque XD).

Ci sarebbero molte cose da dire, ma sinceramente al momento non sono nel mood giusto. Giusto una cosa: so che il finale è quantomeno aperto, ma la storia, As old as time, finiva proprio così.

Forse scriverò un seguito, forse no, la cosa è toalmente in BO @_@

Per il momento bye, riguardo ai commenti fate quello che vi sentite e bon.

^^/°

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