Il Diario di Flor di Danicienta (/viewuser.php?uid=135397)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caro Diario ... ***
Capitolo 2: *** Quella Fatidica Panchina ***
Capitolo 3: *** Un Poco de Esperanza ***
Capitolo 4: *** Vorrei solo attraversare i Confini della Realtà ***
Capitolo 5: *** Recuerdos ***
Capitolo 6: *** Tra Frutta e Verdura verso il Passo della Fortuna ***
Capitolo 7: *** Fliquity Malconessi ***
Capitolo 8: *** Conosciamoci un po' ... ***
Capitolo 9: *** Io Canto?! ***
Capitolo 10: *** Io Non Sono Pazza ***
Capitolo 11: *** Guai In Vista ***
Capitolo 12: *** Incidente o Accidente? ***
Capitolo 13: *** Quel Piccolo Fiore di Bruin ***
Capitolo 14: *** Los Hermanos Fritzenchuchen ***
Capitolo 15: *** Perchè Non Lo Fa Più Spesso? ***
Capitolo 16: *** Sotto Minaccia ***
Capitolo 17: *** Solo un Desiderio ***
Capitolo 18: *** Un Bacio non Deve Fare Male ***
Capitolo 19: *** Parola di Marinaio ***
Capitolo 20: *** Segreto Sussurrato ... Cuore Spezzato ***
Capitolo 21: *** Te lo Prometto, Papà ***
Capitolo 1 *** Caro Diario ... ***
___Caro Diaro___
“Abbandonate ogni speranza o voi che leggete”
No, forse Dante è troppo antico.
Proviamo con “Egregi Lettori e Lettrici, Stimatissimi
Studenti e Lavoratori”
potrebbe anche starci, ma secondo me è meglio Cordiali
lettori ... ehm ... ehm ... Ok, basta! Lasciamo da parte il protocollo
e diamo il benvenuto a questi miei nuovi carissimi amici!!!
Allora? Partiamo con le presentazioni? Ok! (Ah, mi sembra di parlare da
sola!!! ahahahahah) Io sono Florencia ... Flor ... Florencia ...
insomma scegliete voi come chiamarmi e posso dire che sono una
normalissima ragazza argentina, beh, normalissima non direi proprio, ma
"normale" a modo mio sì! Però questo
starà a voi deciderlo accompagnandomi in questa mia nuova
vita.
Ho deciso di dare un taglio netto al mio passato, un passato un po'
triste.
Ho perso la mia mamma quando avevo solo quindici anni ed il mio
papà se n'è andato, straziato dal dolore,
abbandonandomi e permettendo di rinchiudermi in un orfanotrofio!
Così la mia adolescenza non è stata una delle
migliori, anche se ho conosciuto delle persone fantastiche che
porterò dentro al cuore per sempre. Per ora lasciamo da
parte il mio passato, quindi, eccomi qui, all'età di 18
anni, su una panchina a godermi una fresca notte di marzo,
fantasticando sulla mia nuova vita ... già me la immagino:
scommettiamo che sarà un magico intruglio di euforia,
energia e naturalmente allegria e felicità? Le fantastiche
doti che una “vita” dovrebbe avere! L'idea di
iniziare da capo con gli occhi bendati mi elettrizza dalla testa
all'ultimo peletto striminzito del mignolino!! Anche se, devo ammettere
un po' di nostalgia dell'orfanotrofio comincio ad averla ... stamattina
al pensiero di poter essere libera, spruzzavo gioia da tutti i pori!
Perfino sul bus tranne che immaginare il mio futuro non ho fatto altro,
ma mi sembra di avere un enorme buco nello stomaco, e non è
fame, ma nostalgia e ormai questo sentimento è diventato il
mio eterno accompagnatore, spero di abbandonarlo prima o poi, di
perderlo lungo la strada, insomma qualcosa di
simile!
Le bellissime immagini dei momenti passati con i ragazzi del collegio
mi hanno accompagnato per tutto il tragitto: Brigidia, con il suo
sorriso argentato, Juanito con il suo caratterino fin troppo socievole
(e cercate di capirmi con quel “troppo socievole”),
Conshita, che annuisce sempre come una povera ebete, e anche Pacorro,
che noi tutti prendevamo in giro per il suo stranissimo nome! Oppure
c’era Dominga, con tutti quei suoi discorsi e pettegolezzi,
io credo che sapesse tutti i gossip e gli intrighi del collegio, ed
è la migliore amica di Estebana, la fidanzatina del
“guapissimo” Sabino! Moro e occhi verdi! Chi
potrà mai scordarli … Ripensandoci anche le urla
di quella racchia della Señorita Holga mi mancano,
sarà preoccupante? La Señorita Holga
era "colei" che più volte mi ha bocciata in
matematica, probabilmente le stavo proprio antipatica, ma non era colpa
mia se nella sua materia non ci capivo un fliquity! Tutti quei numeri e
quelle formule impossibili! Ma lasciamo perdere, ora la scuola
è finita e per sempre, per
fortuna!
Tante chiacchiere per parlarvi un po’ di me, però
spero di esservi almeno un po’ simpatica. Non pretendo tanto,
ma mi auguro che non mi abbandoniate subito al primo impatto, ma che
iniziate questo nuovo viaggio con me, con la vostra Flor!
Devo dire che l’aria primaverile di una notte argentina
è veramente stupenda e rinfrescante: ti fa riflettere,
pensare e creare nuove idee per il futuro. Vi chiederete il
perché non mi muovo a cercare una casettina per passarci la
prima notte di libertà? Vediamo se indovinate …
Mi piace il freddo? Adoro dormire sotto le stelle (anche se stasera ne
vedo pochissime)? Viaggio col saccopelo? No, siete proprio lontanissimi
... beh il fatto è che non ce l'ho una casetta calda
caldina, ma non voglio la vostra compassione, perché questa
è la mia nuova vita, ed è meraviglioso iniziarla
in un piccolo parco della grande metropoli argentina, Buenos Aires!
Adesso vado a nanna, che le stelle veglino su di me e su di voi
…
Notte carissimi Amici Un bacio Florencia ... Flor ... Florencia ...
Flor, insomma chiamatemi come volete!”
Ecco come iniziò la mia storia …
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Capitolo 2 *** Quella Fatidica Panchina ***
___Quella
Fatidica Panchina___
Dalla morte di mia madre, mi capitavano spesso avvenimenti strani, come
per esempio il fatto di sognare più volte angeli ricoperti
di un’aurea argentata e dalle ali luminose, piuttosto che
lucine colorate che mi gironzolavano attorno, bisbigliandomi qualcosa
di incomprensibile, che poi ricomparivano anche nella vita reale. Non
tutti però credono nel paranormale o in tutte queste
creaturine fantastiche, ma cosa dire, quando poi ti capitano sotto gli
occhi? Vieni trasportato automaticamente in una nuova
realtà, e sei costretto a crederci.
Come tutte le notti, anche in quella, sulla panchina di legno, sognai
più volte lucine e angeli, che trasportavano in
continuazione immagini riguardanti il mio passato: meraviglioso, certo,
ma anche doloroso. Ripercorrere ciò che è stato,
è veramente terribile, sopratutto, quando si è
stati abbandonati e rimpiazzati dal mare. In quegli anni, passati al
collegio, non avevo mai accusato nulla a mio padre per
l’avermi lasciata al destino. Lo amavo molto e avrei fatto
qualsiasi cosa per vederlo felice e sorridere ancora per una volta: se
io ero stata malissimo per la perdita della mamma, mio padre era caduto
in un vero abisso di tristezza, dal quale solo il mare avrebbe potuto
salvarlo. Così mio padre aveva preferito a me il mare,
l’oceano o qualsiasi cosa di azzurro con i pesciolini dentro.
Quel giorno lo porterò nel mio cuore per sempre:
all’improvviso fui staccata dalla mia quotidianità
e dal mio affetto come un bimbo dal suo biberon. Fu terribile ma
peggiore fu lo sguardo triste di mio padre, mentre mi allontanavo. Quei
suoi occhi bui, che avevano perso il blu profondo del mare e quel suo
viso malinconico, le cui rughe esaltavano ancora la sua
infelicità. Orribile …
Quegli angioletti che tentavano di riportare a galla quelle terribili
immagini, erano proprio dei diavoletti; così, come in tutte
le notti, cercai di scacciare quei fastidiosi ricordi. Quando
finalmente il sonno mi invase, ci pensò uno spaventoso
prurito alla naso a farmi svegliare. Pian piano aprii gli occhi ancora
addormentati, che misero a fuoco un bastoncino. Si avete letto bene, un
bastoncino, di puro legno, con tanto di ramoscelli. Quando anche la mia
vista si ampliò, riconobbi davanti a me un ragazzo, moro,
occhi neri, e un divertito sorriso sulle labbra
«Ciao»
incredula, stropicciai i miei poveri
occhietti. A quanto pare i miei sogni stavano diventando
realtà con quei terribili angioletti perseguitatori, oppure
avevo veramente bisogno di un paio di occhiali e di un apparecchio per
udito «Scusa?
E tu chi sei?» domandai quando
già mi ero seduta sulla fatidica panchina
«Damían,
piacere!»
«Se sei una di
quelle persone che ti seguono per renderti la
vita impossibile, ti prego lasciami in pace! Non ho nulla da darti e
…» quel
“fanciullo” che ormai
aveva preso posto accanto a me, mi tappò la bocca con un
qualcosa «E’
una brioche, la puoi
mangiare! E’ buona sai? E comunque tranquillizzati
perché non sono uno
stalker»
«Un
che?» farfugliai incuriosita dalla strana
parola appena sentita, incomprensibile chiaro, ma curiosa pura
«Uno stalker,
un criminale, una di quelle persone che hai
detto prima!»
«Ah, ora
capisco! Usare parole più semplici,
no?» lo vidi sorridere e abbassare lo sguardo,
per
giocherellare con quel maledetto bastoncino «Come ti
chiami?»
«Chi? Io? Mi
chiamo Florencia, Flor, Florencia, insomma come
vuoi!»
«Flor, cosa
stai facendo qui su una panchina?» lo
guardai storta «Mangiando,
non vedi?» gli mostrai
la brioche alla marmellata, già mezza inghiottita
«Intendo a
dormire»
«Ah, questo!
Inizio la mia nuova vita, sto scrivendo un nuovo
capitolo della mia esistenza, sto creando il mio futuro,
intendi?» il ragazzo mi guardò un po’
male «Allora sei nuova di questo quartiere?»
«Diciamo di si,
anche se credo di conoscerlo abbastanza
bene» finalmente deglutì pure
l’ultimo
boccone della brioche «Sai,
la mia mamma aveva
l’abitudine di scrivere un piccolo diario, che portava sempre
con sé. Qui descriveva e parlava spesso del Barrio Boca,
questo quartiere, credo …» mi guardai
intorno
cercando di individuare un cartello, che mi desse una spiegazione,
invano «Esatto!
El Barrio Boca! E qui siamo nella zona
più gettonata: El Pasaje de los
Besos!»
«Il Passaggio
dei Baci?» il nome tanto assurdo, ma
allo stesso tempo, così romantico, mi sembrava
troppo frutto della fantasia «Carino, vero?
- si
alzò e mi aiutò a raggiungerlo - Te lo hanno mai
detto che il nostro quartiere è una leggenda?» la
curiosità si stava impadronendo del mio cervellino
«Cosa
intendi?»
«Il Passaggio
dei Baci, nasce da una leggenda molto antica,
che risale addirittura alla fine dell’ottocento»
«Davvero? Mi
piacciono le
leggende!!!»
Da sempre favole, fiabe, leggende e qualsiasi altra storia, mi facevano
entusiasmare dalla cima dei miei capelli fino all’ultimo pelo
striminzito del mignolino! La mamma aveva l’abitudine di
raccontarmele sempre prima di andare a letto: fate, cavalieri,
principi, principesse, creature magiche e streghe, erano sempre i
benvenuti nella mia fantasia; e non potevo permettermi di addormentarmi
se prima non c’era una bellissima “cuento de
hadas” ad accompagnarmi tra le braccia di Morfeo. La mamma mi
aveva cresciuta così: prima i sogni e la fantasia e dopo
tutto il resto.
La fontanina davanti ai nostri occhi spruzzava l’acqua
cristallina, dai nasini di quei due bellissimi angioletti abbracciati
l’uno all’altro, che l’adornavano
«Vedi questi?
Sono i due simboli del Passaggio dei Baci. La
leggenda vuole che ogni coppia di fidanzati non possa resistere a darsi
un bacio davanti a questa statua, carina vero?»
sfiorai
imbambolata i due piccoli personaggi, mentre un velo di ricordi mi
avvolse: in orfanotrofio tante mie compagne mi raccontavano di piccole
storie estive, baci rubati, frasi sussurrate al vento, dolci sogni,
trepidazioni, bisbigli ricchi d’emozione, di sensazioni che
mai e poi mai avevo potuto provare. Mi chiedevo se un giorno o
l’altro avrei trovato quel ragazzo in grado di farmi battere
il cuore, quello stesso ragazzo che mi avrebbe insegnato ad amare,
baciare, insomma, il mio piccolo Principe Azzurro, l’uomo
della mia vita, il padre dei miei figli, il nonno dei miei nipoti, il
padrone del mio cane … «Bene,
il mio turno
riprende ora. Ci si vede, Flor!» il tempo era
proprio volato
con quel simpatico ragazzone robusto, mi ero proprio divertita e avrei
voluto passare un istante ancora tra le sue chiacchiere, ma a quanto
pare il dovere lo chiamava e, detto sinceramente, anch’io mi
dovevo occupare di qualcosa di importante. Ero una giovane appena
maggiorenne, orfana di madre e senza nulla in mano. Forse il mio
destino mi diceva che era ora di rimboccarmi le maniche e mettermi a
cercare un lavoretto, per quanto insulso poteva essere, era pur sempre
un mestiere e io ne avevo bisogno, lo
necessitavo!
«Ciao
Damí!!» una ruga coprì
il viso del ragazzo, che sembrava essere un po’ arrabbiato
«Eh no!
Damí proprio no! Bata per gli amici! -
cercai una risposta in quei suoi due occhi neri - Sono il genio della
batteria!» un nuovo sorriso aveva occupato il
suo viso
«Modesto il
ragazzo» ricambiai
l’espressione. Era bello avere un nuovo amico! Amico, amico,
forse ancora no, ma una persona con cui parlare, conversare e che,
comunque, conoscevo, era un passo avanti per il mio futuro, quel futuro
che avevo in mente. Insomma, una piccola base per quel castello che
sarebbe stata la mia vita «Allora
ci si vede, Flor»
lo vidi allontanarsi sempre di più verso il centro del
quartiere, finché anche il puntino nero della sua presenza
svanì nel nulla. Ero nuovamente sola, in un quartiere che
conoscevo solo grazie alle descrizioni della mamma, in poche parole che
non conoscevo
affatto!
Quando mio padre partì, mi consegnò quello che io
avevo definito in quegli anni il diario di mia madre. Era un semplice
taccuino di cuoio colorato, arricchito da una marea di margherite
bianche e gialle di cartone. Quella strana presentazione aveva portato
la mia curiosità a sfogliarlo e poi a leggerlo. Fu
così che scoprii tantissime cose di mia madre: che aveva
vissuto per anni nel Barrio Boca, che aveva un’amica del
cuore Titina e che quando aveva finalmente incontrato
l’amore, aveva deciso di seguirlo e non farlo scappare; per
questo motivo ero cresciuta in un’altra città,
anzi un piccolo paesino “Esperanza”, come quella
che da sempre avevo nel cuore. Non c’era tanto su quel
piccolo diario, era tutto così approssimativo, ma a me non
interessava. Per me ciò che era importante, era il fatto di
avere con me un piccolo ricordo della mamma, e ancora di
più, ritornare nel luogo da lei tanto amato, tentando di
ricominciare una nuova vita, la mia!
«Mi
scusi?» avevo deciso di cominciare dal provare
a cercarmi una casetta e ne avevo trovata una niente male, accanto al
parco pubblico. L’insegna nera con inscritto “Da
Pancha” penzolava un poco verso destra, ma la condizione
dell’edificio non era poi tanto brutta. Pigiai il campanello
e, dopo pochi istanti, una donna megagalattica uscì
dall’uscio in legno vecchio «Che vuoi?»
immediatamente la paragonai a quella sfilza di film che mio padre aveva
l’abitudine di farmi vedere, dove i protagonisti erano
creature orribili, belve feroci, animali indomabili, e lei somigliava
proprio ad un buffo uomo delle nevi, o meglio la stampa mal riuscita di
una buffa donna delle nevi, “L’abominevole Donna
delle Nevi”. Scossi la testa per scacciare quel terribile
pensiero, non ero la persone che giudicava spesso e volentieri la
gente, ma forse, c’erano alcune eccezioni, come quella, per
esempio «Salve,
Signora. Ecco, io ero venuta a chiedere se
è possibile alloggiare nella sua pensione. Vede, sono
rimasta senza casa e avrei bisogno di un posto dove dormire»
la donna mi guardò un po’ annoiata, i suoi occhi
sparavano interminabili scosse di elettricità, sembrava
odiarmi! «Che
hai?» quella volta ero io a guardarla
male: non capivo nulla di quello che mi diceva! Avevo paura che da un
momento all’altro si sarebbe accanita su di me, devastandomi
con le sue zanne imbevute di bava disgustosa, e allora si, che sarei
stata finita e il mio futuro incenerito «Che
intende?» cercai di essere gentile il
più
possibile, anche se ormai la tremarella stava salendo per tutto il mio
corpo «Soldi!
Quei fogli verdi che si usano per pagare!
Quanto hai?»
«Ehm,per il
momento non ho un gran ché, ma appena
trovo un lavoretto le salderò tutto
quanto!»
«Mi dispiace ma
senza soldi qui non si entra!»
«Le prometto
che appena troverò un lavoro le
pagherò l’affitto, ma la prego mi faccia restare
qui e oggi stesso inizierò a cercare lavoro»
«Non se ne
parla nemmeno, ragazzina! Ne ho visti altri come
te. Vengono fanno il faccino dolce e se ne vanno senza pagare. Mi
dispiace, ma non ci casco più!»
«La prego, sono
sola al mondo. Le chiedo solo di aspettare
fino a quando non ho un lavoro, dopo le pagherò il dovuto.
Le prometto che
…»
«Non mi servono
le tue promesse! E adesso vattene,
ragazzina!» la donna, anzi
l’abominevole donna
delle nevi, mi chiuse la porta in faccia ed io ero lì, come
una tonta, che non sapevo ne dove andare ne cosa fare. Inutile dire di
averle tentate tutte! Prima di bussare a quella porta
“marcia” avevo chiesto al centro di informazione se
c’erano delle pensioni con posti liberi, e la signorina,
gentilmente, mi aveva detto che ciò che rimaneva era nella
casetta mostruosa di Pancha! Ora capivo tutto: nessuno voleva passare
il resto dei suoi giorni in un edificio a rischio valanghe, ed io non
volevo essere di certo l’unica persona esistente sulla faccia
della Terra, con questo sogno nel cassetto!
Disillusa e sconsolata più che mai, ripresi la strada verso
la fatidica panchina. La mia solita fortuna voleva la mia sfortuna e
quella che era la mia “casa” si era trasformata in
un rifugio per vecchietti innamorati. Ancora più sconsolata
cambiai direzione: ero convinta che una bella passeggiata
all’aria fresca mi avrebbe schiarito le idee. Mi sentivo come
una mucca in preda ad una tromba d’aria: confusa, delusa e
sola più che mai! Nessuno poteva aiutarmi, nemmeno
Damí, o meglio Bata, che in quel momento era in un altro
posto, con altri problemi. Era impossibile per me riflettere, ero
troppo incavolata con quella donna delle bufere che non mi aveva dato
asilo politico! Ciò che mi faceva più rabbia era
il fatto che esistessero persone tanto egoiste al mondo, che non
pensavano alla vita altrui. Da sempre la mamma mi aveva insegnato a
mettere il prossima di noi stessi e che la felicità altrui,
arricchiva ancora di più la nostra …
Camminavo come sempre sovra pensiero, ripensando ai vari ed importanti
insegnamenti della mia mamma, quando un botto mi riportò
alla realtà «Sta
più attenta,
figliola!!!» una donna alta e formosa mi
aiutò a
rialzarmi da terra (probabilmente ero caduta durante
l’impatto). La prima cosa che mi balzò
all’occhio fu l’acconciatura: capelli rossi, ricci,
raccolti in uno chignon spettinato, che mettevano ancora più
in risalto l’azzurro oceano degli occhi. Tra le mani
tremanti, delle buste della spesa facevano capolino «Tutto
bene, figliola? Ti sei fatta male?»
improvvisamente riconobbi
la donna, quella signora tanto descritta da mia madre nel suo
“diario” «Titina?»
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Capitolo 3 *** Un Poco de Esperanza ***
___Un Poco de
Esperanza___
Forse stavo sognando, oppure quello era un altro scherzo di quei
terribili angioletti, eppure davanti a me vedevo la copia identica
della migliore amica di mia madre, la Titina del diario. Mi sembrava di
essere tornata indietro nel tempo e di sfiorare col solo pensiero i
ricordi di mia madre, dove quella donna dalla corporatura paffuta e i
capelli rossi, ne era la protagonista «Titina?»
sussurrai sorpresa più che mai «Ci conosciamo,
cara?» non c’era più
dubbio, quella signora che stavo ormai squadrando da un bel
po’ di tempo era Titina, l’amica di mia madre. Mi
trovavo di fronte ad un bivio: raccontarle la verità e avere
un possibile aiuto per compassione, oppure avvicinarmi con cautela. Non
avevo mai apprezzato la compassione altrui, soprattutto quando
dall’altra parte c’erano differenti
opportunità, che si potevano cogliere, per così
dire, “al volo”.
«Ehm, io sono
Florencia! Il fatto è che mi hanno mandata da lei per una
… un…insomma…»
«Look
romantico? Oppure una semplice permanentina? Quei tuoi capelli hanno
proprio bisogno di una sistematina-ina-ina-ina! Piacere Teresa Ramos,
parrucchiera eccezionale!» la guardai un
po’ storta: era propria “pazza” come la
descriveva mia madre.
Sorrisi al pensiero di aver accanto la persona che nascondeva i segreti
della donna a me più cara. Per me era un sogno il fatto di
poter legare un pochino del mio presente ad un pezzo del passato della
mia famiglia, un sogno che avrei voluto durasse nel tempo, quello
stesso sogno che avrei voluto diventasse il desiderio per il mio
diciannovesimo compleanno.
«Allora?»
vidi la mia immagine riflettersi nello specchio dalla cornice dorata,
del negozio da parrucchiera, in cui “gentilmente”
ero stata ospitata. I capelli lunghi e leggermente mossi mi scendevano
lungo le spalle, mentre la frangetta completamente liscia si divagava
per la mia fronte, corrugata dall’emozione «Fantastico! Stupenda!
Anzi, perfetta!» ormai anche il mio sorriso
aveva contagiato quell’immagine «Non scherzo quando mi
definisco: e-c-c-e-z-i-o-n-a-l-e! Così, il tuo nome
è Florencia! Sei sicura che non ci siamo mai viste
prima?» lo sguardo curioso della donna mi
raggiunse l’anima: si vedeva proprio che era una
parrucchiera, pettegola e curiosa allo stesso tempo «Non credo»
mentii, anche se sapevo che in quella piccola bugia si nascondeva una
verità: io quella donna non l’avevo mai vista
prima d’ora, ma la conoscevo grazie a mia madre! Speravo solo
che non mi riconoscesse: non era proprio il momento di avere la
compassione altrui! Certo, volevo collegare il mio passato al mio
presente, però ero sicura che quella era la mia vita e avevo
bisogno di viverla con i miei errori e le mie possibilità!
Mi intendete?
«Non so, hai un’aria così famigliare. Da
dove
vieni?»
«Da un piccolo
paesino! “Esperanza” si chiama, però ho
vissuto tanti anni in un collegio»
un’ombra coprì completamente il viso di Titina «Mi dispiace,
figliola!» la vidi portarsi una mano al cuore e
prendere posto su una delle poltroncine accanto a me, probabilmente
destinate a qualche altra
cliente.
Durante “il taglio” dei capelli, non mi ero accorta
del fantastico posticino in cui mi trovavo: era un negozietto semplice,
piccolo, ma molto accogliente. La carta da parati maculata donava un
tocco di femminilità all’ambiente, decorato
minuziosamente in ogni piccolo dettaglio: dal bancone rosa, sul fondo,
alle vetrate a strisce gialle e marroni, dalle poltroncine maculate,
perfettamente in tono con le pareti, agli specchi dorati. In quel luogo
ogni minimo particolare dava l’idea di sentirsi in un posto
dove l’affetto e l’amore facevano capolino e Titina
ne era la regina, una specie mamma chioccia
“pettegola”, pronta ad accogliere ogni suo piccolo
cliente nel suo nido famigliare … una cosa bellissima!
«Mia madre
morì quando avevo soltanto quindici anni e mio padre decise
di imbarcarsi per raggiungere il mare, il suo sogno più
grande»
«Abbandonandoti
in un collegio ... »
«E’
brutto da dire, ma è così!»
«E
cosa ci fai qui? Intendo, nel nostro
quartiere?»
«Ecco, mia
madre era molto legata a questo posto. Nel Passaggio dei Baci trascorse
la sua infanzia, ed io ho deciso di ripartire da zero, proprio da qui,
dal suo posticino» la donna accennò
un nuovo sguardo curioso «Dici
che ha vissuto qui per anni? Anche io abito qui da una vita, magari
l’ho conosciuta! Come si chiamava?» Mi
ero messa nell’ennesimo pasticcio! Purtroppo avevo ed ho
tutt’ora il terribile vizio di non saper frenare la lingua
quando mi parte! Il problema è che parlo, parlo e parlo
senza mai intravedere il traguardo finale: una cosa terribile!
Così, come in ogni altra situazione della mia vita, mi
ritrovai nel fliquity dell’imbarazzo: non sapevo cosa
risponderle. Cercavo di trovare una soluzione nelle pareti maculate,
nel bancone, continuavo a spostare i miei occhi da destra a sinistra e
da sinistra a destra, senza mai trovare una risposta a quella domanda!
La pressione mi stava torturando le vene e mi sentivo come dentro un
fliquity di calore. Speravo che da lassù uno spirito, un
angelo o una fatina di quelle delle fiabe mi lanciasse un incantesimo
per svanire nell’aria, o semplicemente mi aiutasse a
sviarmela, così, con quei monologhi che solo nei film
possono funzionare per scampare da un guaio. Nulla, dal soffitto
nemmeno una lucina colorata venne in mio aiuto! Persino fuori, in
strada, non c’era nessuno! Era come in uno di quei film
western, durante una sfida tra cowboy, dove il silenzio ti divora i
fliquity, e tu stai lì e stai lì, fissando la tua
prossima vittima, mentre un’enorme palla di paglia passa
davanti a te, mi correggo, un’enorme palla di paglia
insignificante! Pensate che quella palla passò anche davanti
a me quel giorno … un silenzio terribile!
«Mamma!
Mamma!» Bata entrò nel negozio
grondante di sudore «Flor?»
lo guardai allibita: il mio nuovo amico aveva appena chiamato la
vecchia amica di mia madre mamma! Più che allibita ero
decisamente scioccata! In un certo senso era come se io e Bata fossimo
cugini!
«Voi due vi
conoscete?» Titina spostò prima lo
sguardo sul suo “presunto” figlio e poi su di me,
che in quel preciso istante non stavo più capendo nulla «Sì, siamo
per così dire amici! Mamma, ero venuto a chiederti se, Flor,
poteva appunto fermarsi a pranzo con noi!» Bata
mi strizzò l’occhio e gli sorrisi in forma di
gratitudine «Certo!
Come no? Gli amici di mio figlio sono sempre i benvenuti, soprattutto
quando sono così carini come te, cara»
la mia testa era peggio che una mucca in una tromba d’aria!
Dovevo solo lasciarmi andare e seguire ciò che il destino
aveva scelto per me: pranzare con la vecchia amica di mia madre e Bata,
l’unica persona che fino a quel momento conoscevo! Che fosse
un segno? «Te
la posso rapire?» chiese Bata alla madre,
riferendosi a me. Vidi la donna annuire sorridendo e improvvisamente
sentii la mia mano stretta da quella di
Damían.
Attraversammo l’intero quartiere, e percorrendo un piccolo
sentiero ci ritrovammo in una radura in collina «Dove mi stai portando?
Non vorrai rapirmi veramente?» chiesi
preoccupata dai chilometri e chilometri appena fatti «In effetti sì! Voglio
farti vedere l’anima del nostro quartiere, il luogo magico
d’eccezione! Ecco siamo arrivati!» Bata
era davanti a me, mi ci volle ancora qualche secondo per raggiungerlo:
non ero molto sportiva, anzi avevo sempre odiato lo sport, amavo
cantare, ballare e tutto ciò che riguardasse la musica, ma
lo sport, proprio
no!
«Flor, ti
presento “El Rio Azul”!» un
enorme corso d’acqua cristallina aveva preso forma davanti ai
miei occhi. La luce del sole si rifletteva ambiziosa in tutta quella
sua limpidità, tanto da farlo sembrare incantato, fatato, di
un barlume magico «Ti
piace?» non avevo parole: la meraviglia che
avevo davanti era indescrivibile «E’
meraviglioso! Non credevo che nella vita esistessero ancora certe
bellezze!»
«Questo
è il cuore dei sogni argentini. Qui ogni persona viene a
esprimere un desiderio, poiché la leggenda narra che le sue
acque argentee nascondano le lacrime di una donna che tanto
soffrì per amore. La storia vuole che se un desiderio
è espresso con il cuore, prima o poi questo si
realizzerà»
«Bata,
è meraviglioso. Questo quartiere nasconde mille segreti e
leggende ed è tutto così … magico. Che
ne dici, lo posso esprimere un desiderio?» il
mio nuovo amico acconsentì e mi avvicinai pian piano alla
ringhiera, con la paura di cadere nell’acqua. Anche se il
fiume aveva un aspetto a dir poco stupendo, io non avevo un bel
rapporto con l’acqua, perciò era meglio che io le
stessi alla larga, molto alla larga. Pensai a lei, all’unica
luce che ancora splendeva dentro di me, a quella figura che tanto amavo
e che solo avrebbe voluto il mio bene “Mamma, mi
impegnerò a riportare alla luce ogni nostro secondo
trascorso assieme, conservando per sempre nel cuore il tuo sorriso.
Spero di poter provare ciò che tu hai sempre provato per
papà, un giorno. Spero di essere felice come lo sei stata tu
…” una lacrima mi percorse il viso e si confuse
con le acque del fiume.
Da anni il parlare con la mia mammina era sempre un’emozione
particolare, e legarla a un desiderio, la faceva sentire ancora
più parte di me. Improvvisamente sentii due forti braccia
stringermi, e un nuovo senso di quiete mi percorse il cuore «Tutto bene,
Flor?» annuii singhiozzando. Per fortuna avevo
trovato Bata, il ragazzo più comprensivo che io avessi mai
conosciuto.
Quel giorno parlammo affacciati a quel fiume, dimenticandoci
completamente del pranzo in comune. Gli raccontai del mio passato, di
mia madre, del fantastico amore che la univa a mio padre. Gli narrai
piccoli aneddoti relativi alla mia infanzia ed io ascoltai curiosa i
suoi. Ricorderò per sempre quel pomeriggio, passato a ridere
e a scherzare, accantonando quella tristezza che da anni occupava i
nostri cuori: il mio legato al velo della morte di mia madre ed il suo
affondato nel divorzio dei propri genitori, separati da ben dieci anni
e divisi da un po’ di più. Titina raccontava
spesso al figlio che solo e soltanto la sua nascita aveva portato un
po’ di pace e tranquillità in quel matrimonio e
che la separazione, avvenuta qualche anno dopo, era stata la miglior
scelta per entrambi. Sebbene fosse trascorso un fliquity di tempo, Bata
ancora non lo aveva accettato, ed era sicuro che, se avesse avuto
l’occasione di riavvicinarli, l’avrebbe colta al
volo, senza alcun pensiero.
Non so come, ne perché, ma quel giorno Bata ed io diventammo
inseparabili, amici per la pelle, come due fratelli, che, a quanto pare
il tempo aveva diviso, ma il destino unito ...
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Capitolo 4 *** Vorrei solo attraversare i Confini della Realtà ***
___Vorrei solo attraversare i confini della
realtà___
Il palazzo si innalzava sfavillante davanti ai miei occhi. La luce
della luna, donava a quell’immagine una timida somiglianza ai
castelli incantati delle fiabe, quelle fiabe che spesso e volentieri
amavo sognare e portare dentro al cuore con un dolce sorriso.
Incuriosita dalla magia che circondava quell’affascinante
luogo, salii lo scalone e, varcando la soglia, mi trovai in una
luminosa sala da ballo, addobbata minuziosamente a festa: luci soffuse
illuminavano le migliaia di “non ti scordar di me”
che facevano da cornice al luogo; tra questi, mille puntini colorati:
piccoli grappoli di biancospini, che con la loro grazia donavano
all’ambiente quel pizzico di fantasia in più,
sbocciando tra ammalianti fiordaliso.
Percepii nell’aria il leggero profumo di cannella,
lasciandomi trasportare da lievi ricordi e profonde emozioni. Il
pavimento, brillante, rispecchiava temerario la mia immagine: sembravo
essere appena uscita da una delle mie fiabe preferite, sembravo una
vera e propria principessa!
Indossavo un elegantissimo vestito color fiamma arricchito
dallo sfavillante tulle amaranto sul fondo. Con un dito mi sfiorai il
capo: un diadema mi luccicava tra i capelli ricci, che dolcemente mi
scendevano lungo la schiena. Abbassai lo sguardo e vidi che ai piedi
portavo le mie comodissime snakers multicolore e un sorriso mi riempii
il viso di gioia: non ero per nulla al mondo la tipica ragazza
diciottenne che amava andarsene in giro, agitando rumorosamente le
proprie natiche, con l’atroce obbiettivo di mettere in mostra
il nuovo acquisto del giorno fatto di un
“comodissimo” tacco a spillo!
Diciamo che ero più una ragazza che amava sentirsi
a proprio agio, indossando abiti convenienti e scarpe utili: le mie
snakers!
Accompagnata da quella strana magia soprannaturale, alzai eccitata lo
sguardo verso il soffitto, rimanendone completamente incantata: piccole
costellazioni tempestavano l’intenso cielo blu notte,
riflettendo alcune margherite che sembravano formare una lucente Via
Lattea; solo in quell’istante mi accorsi che i scintillanti
fiori aveva formato una strada che portava allo scalone principale,
ricoprendolo interamente. La curiosità riempiva i battiti
del mio cuore, mentre avanzavo agitata per quell’immensa
gradinata dai mille profumi e colori. Non sapevo cosa mi avrebbe
aspettata lassù, ne come e quando sarei arrivata! Non
sembrava, ma quelle scalinate, per quanto belle e fragranti fossero,
non erano per nulla semplici da percorre!
E per quanto amassi in quel momento sentirmi una vera principessa, la
brillante gonna arancione sembrava darmi un po’ di fastidio;
ma, come diceva la mamma “Vorrei solo attraversare i confini
della realtà e soltanto vedere cosa potrebbe succedere: solo
curiosità!
In quel momento sembrava che ogni gradino nascondesse in se piccoli
aneddoti della mia infanzia: man mano salivo, più immagini
quotidiane della mia vita passata si coloravano dentro di me; sembrava
che la mia mamma mi stesse guidando verso un non so che di importante,
un qualcosa di misterioso, ma portatore di gioia ed io ero il burattino
nelle sue mani: incantata, seguivo gli ordini e procedevo con un timido
sorriso, per l’interminabile scalone, lasciando il via libera
ad ogni emozione
passata.
Con ancora il viso illuminato di ricordi, raggiunsi, finalmente, la
fine della gradinata: il cuore mi batteva forte nel petto e
quell’improvviso desiderio di sapere, conoscere il mistero
che credevo mi nascondesse mia madre, mi stava lacerando
l’anima. Avevo fretta, voglia di correre e raggiungere quel
sogno curioso, di afferrarlo e stringerlo forte tra le mani, solo per
sussurrare “Sei mio” e conoscere così la
verità di tutto quel mistero; ma purtroppo, qualcuno voleva
che facessi le cose con calma, che prendessi il mio tempo, e
più sprecavo energie per avanzare velocemente,
più le mie forze diminuivano, facendomi camminare sempre
più a
rallentatore.
Due profondi corridoi si aprivano davanti a me: il primo a destra era
costituito di un tappeto di incredibili e brillanti fiori gialli,
mentre il secondo, sul lato opposto, formato da tantissimi boccioli
bianchi.
Conoscevo bene il significato dei fiori: mia madre spesso mi aveva
insegnato i segreti che quei piccoli esseri
“magici” volevano trasmettere a noi uomini,
educandomi principalmente ai sentimenti affettivi della natura. Sapevo
che mi trovavo per l’ennesima volta davanti ad un bivio,
davanti ad una scelta, che dovevo portare avanti nuovamente da sola!
L’indecisione avanzava per la mia povera testolina, con
estrema facilità: cosa scegliere tra speranza e
verità? Tra fiducia e lealtà? Tra illusione e
realtà? Tra ciò che era giallo e ciò
che era bianco?
Mi giravo e rigiravo cercando di intuire in quei fiocchi colorati la
soluzione, fino a quando i miei pensieri furono distratti dalla
comparsa di un giovane nel corridoio destro, come un segnale di mia
madre, un simbolo, una risposta alle mie domande «Ehi!
Fermati!» gli gridai, cercando di attirare la
sua attenzione verso di me, invano. L’eccitazione mi era
salita alle stelle, finalmente avevo scoperto uno dei mille enigmi di
mia madre: la strada gialla!
Senza pensarci su due volte, corsi nella direzione dell’uomo,
questa volta, nemmeno le forze a rallentatore potevano fermarmi, anzi
ero io a fermare loro, con il mio bel sorriso sul viso, che si
accendeva sempre di più, ogni volta che un gruppo di fiori,
al mio passo, si illuminava, come per confermarmi la scelta:
previdenza, fortuna, determinazione e amore materno, ecco cosa volevano
comunicarmi quei bellissimi boccioli dorati!
Improvvisamente l’uomo svanì nel nulla, come
risucchiato da una di quelle forze fliquitate dal rallenting, ed io mi
ritrovai nuovamente sola, in un corridoio buio, dalle alti pareti
bordeaux e, illuminato a mala pena da piccole stelle luccicanti «Dove sei?» chiesi
spaventata dall’eco, che riproduceva la mia voce, ma
l’unica risposta che ottenni, fu un terribile silenzio
devastante.
D’un tratto, le pareti, che fino a quel momento mi avevano
dato, anche se piccolo, un senso di protezione, svanirono nel nulla,
lasciando spazio ad una porta enorme, che timidamente aprii senza
esitare «C’è
qualcuno?» chiesi insospettita
dall’atroce oscurità che mi ricopriva da cima a
fondo. Sembrava un banalissimo scherzo del destino: prima la mamma che
mi faceva trovare in un castello incantato, costringendomi a ricordare
i momenti più belli della mia infanzia; poi i fiori,
portatori di significati illogici, ma naturali ed infine
l’uomo misterioso, preso da una voglia matta di correre e
vincere una maratona! In quel momento maledii tutti i fliquity
esistenti al mondo, non era possibile che solo a me potevano succedere
certe cose, così PARANORMALI!
«Pronto?
C’è qualcuno?» riprovai,
riguardando quelle mie tremanti parole, quasi sospirate e ricche di
tensione: se per un istante, quel momento era sembrato magico come in
una fiaba, ora si stava trasformando in un incubo atroce e questa cosa
mi faceva letteralmente paura. Un pallino verde, dalla luce intensa e
brillante, comparì improvvisamente in quell’enorme
e devastante oscurità «Chi
sei? - chiesi, esitando un poco prima di
riprendere - Sei un
fantasma? Ho sentito parlare di voi palle magiche, che vagate
nell’oscurità, facendo morire di terrore chi vi
vede! Sappiate che siete proprio delle burlone insopportabili! Come
potete prendervi gioco delle altre persone, per di più vive!
Rispondimi! Forza, vediamo cosa dirai in tua colpa, piccola Palla
Fantasma? - in risposta quella lucina luminosa
iniziò a girare vorticosamente su se stessa, provocando un
bagliore immenso che mi obbligò a coprire gli occhi - Ma che razza di fliquity
…»
Quando riaprii gli occhi, fui inebriata dal profumo immenso di tutti
quei piccoli fiorellini, che decoravano animatamente il labirinto che
si era creato davanti a me. Probabilmente quella che avevo incontrato
prima, non era una Palla Fantasma cattiva, ma era semplicemente una
lucina buona, che mi aveva portata nel suo mondo! «Incredibile!»
sussurrai guardando lo splendido paesaggio che mi circondava:
d’un tratto quella terribile atmosfera che mi aveva torturato
il cuore, pochi attimi prima, si era trasformata, in
un’emozione di pace e quiete. Era vera
l’affermazione “I
fiori danno pace e speranza”, proprio come il
piccolo bocciolo che, dolcemente colsi e legai ai capelli.
Piccole rondini, canterine e festanti, danzavano attorno a me,
riempiendo di felicità il mio cuore, ma c’era un
non so che di strano in uno di quegli uccellini primaverili, strabuzzai
gli occhi, cancellando quello strano pensiero. Gli esserini, volarono
all’interno del labirinto e, guidata dal loro dolce canto, mi
inoltrai al loro inseguimento. Mi sembrava di essere una di quelle
principesse che tanto avevo ammirato nelle bellissime storie che, da
piccola, mia madre mi raccontava; quelle principesse, tal volta,
coraggiose, che affrontavano il proprio cammino con
serenità, per raggiungere il proprio principe azzurro
… eh già, perché sempre in una fiaba
c’era un principe azzurro, ma non nella mia …
Il canto delle rondini si interruppe solo nel momento in cui raggiunsi
il centro del labirinto con una piccola fontana in marmo bianco, in cui
l’acqua cristallina scorreva, dando all’ambiente
quel pizzico in più di naturalezza, che già si
respirava nell’aria. Riconobbi quell’imponente
oggetto: era la stessa fontana del Passaggio dei Baci, solo che
più bella e più grande, ma non riuscivo proprio a
capirne il motivo. Un dubbio mi afferrò la mente: di nuovo
quella rondine, di nuovo quel suo sguardo intrigante, di nuovo quel suo
musetto tanto diverso dalle altre, che mi fissava, mi interrogava e mi
faceva sentire strana. Quando anche gli altri uccelli si unirono in un
vortice attorno a quell’esserino, rimasi di pietra davanti
allo spettacolo che stavo vedendo: un uomo, un uomo che si nascondeva
dietro un gigantesco mazzo di calle e garofani. Imbarazzata
dall’immagine divina, indietreggia: non riuscivo a percepire
nulla di quel ragazzo, se non lo smoking nero e raffinato, i
capelli biondi, leggermente brillanti nati e lo sguardo …
quel suo sguardo misterioso e allo stesso momento dolce, profondo e
superficiale contemporaneamente, in cui solo vedevo me stessa, il mio
semplice riflesso, devastato dall’imbarazzo e da una
sensazione strana che mi stringeva il cuore, ma della quale ancora non
conoscevo il nome «Quei
fiori sono … - mi indicai ancora più
impacciata, mentre quell’uomo in nero, annuiva, coperto
interamente da quell’enorme bouquet e avanzava lentamente
verso di me - Un momento
… ci conosciamo? Non è per cattiveria, ma non so
se posso accettare regali da uno sconosciuto, capito? Non è
per te, cerca di capirmi, magari se potessi vedere quel tuo faccino,
potrei conoscerti un po’ di più, sapere se sei
bello o brutto … Fliquity! Adesso penserai che sono una
ragazza superficiale, che ama solo l’apparenza, ma non
è così, credimi! Ecco, io, non volevo criticarti,
anche perché se tu non fossi stato poi tanto bello, io ti
avrei … non importa, tanto lo sai meglio tu di me che
l’amore è cieco, giusto?»
lo avevo fatto di nuovo, parlare senza freno e arrampicarmi sugli
specchi per nascondere il fattaccio. Ero un caso perso, soprattutto, lo
sconosciuto era un caso perso: mi guardava freddo, distaccato, come se
non gli importasse nulla ne di me ne delle parole sparate al vento che
mi stavano perseguitando. Velocemente mi portai una mano alla bocca per
bloccare quell’insignificante fiume di parole, mentre
quell’uomo tanto misterioso proseguiva nel silenzio
più assoluto. Che avesse fatto voto di silenzio? Lo vidi
avanzare verso di me, con cautela, lentamente, senza timore, ne
rancore, senza preoccupazione, e distrazione, ma soltanto con
indifferenza. Non riuscivo a muovermi, quei suoi occhi freddi, ma dolci
di calore, non permettevano al mio corpo di muovere un solo arto: ero
bloccata, completamente bloccata da uno sconosciuto!
Sentii un qualcosa di caldo stringermi la mano pietrificata, un tocco,
un semplice tocco che mi fece nuovamente perdere dentro i suoi occhi
color miele: non mi ero mai accorta di quanto il miele fosse profondo e
dolce fino a quel momento, ero sicura che da quel giorno
sarei diventa ghiotta di miele, quella era una certezza. Mi
rispecchiavo, vedevo ogni mio movimento, ogni mio pensiero, come se
quell’uomo sconosciuto fosse in grado di leggermi il
pensiero. Spaventata da quello strano aggrovigliarsi di emozioni,
indietreggiai, perdendo, non so come, l’equilibrio: non mi
ero accorta che tutto intorno a noi aveva cambiato luce e colore,
l’oscurità si era divorata il labirinto con la sua
incantata realtà, ed ora si stava prendendo anche me. Un
passo, solo un passo ed un’improvvisa confusione
accompagnarono quella piccola perdita di equilibrio e in un istante mi
ritrovai a cadere nel vuoto, in cui tutto era distante, io ero distante
dal labirinto, lontana da quello sconosciuto e dal suo magico profumo
di colonia che mi aveva invaso l’anima … lui era
distante, lontano da me, una “principessa” un poco
distratta … Una scena rimase nella mia mente, una sola,
quell’uomo dagli occhi color miele, intento a recuperarmi da
quella strana situazione con quel suo bellissimo mazzo di fiori, che
ancora gli copriva il viso e la sua mano, quella mano che poco prima mi
aveva sfiorata … quella mano che ora scompariva nel buio,
portandosi con sé lo sconosciuto e quel magico sogno
… perché era stato un solo e semplice sogno ...
«Flor -
una voce famigliare risuonò nella mia testa confusa. Avevo
solo bisogno di ancora un attimino per riprendere coscienza di
quell’uomo, un attimino per ritornarlo a sognare, anche se
solo per un poco - Flor
… Florencia » le parole si fecero
sempre più decise e rumorose, fui così costretta
a prendere uno dei miei cuscini a forma di cuore e nascondere il mio
visetto addormentato - Flor,
è mattina!» rassegnata al fatto di
non poter ritornare tra le braccia di quel Principe, aprii gli occhi:
Titina, la mia salvatrice, che mi aveva accolta con amore nella sua
pensione, nonostante il mio passato ed i miei problemi economici, mi
accarezzava dolcemente la frangetta, un po’ scompigliata «Buongiorno,
dormigliona! Il Signor Molina ti aspetta!» quel
nome mi fece letteralmente raddrizzare anche gli ultimi fliquity
addormentati, e con un balzo mi alzai velocemente dal letto .
Quel giorno compievo un anno dal mio arrivo al Passaggio de Baci, era
stato un anno fantastico, ricco di imprevisti e di e sogni realizzati
… un anno di eventi che avevano costruito le fondamenta del
mio castello, il mio futuro …
ANGOLO
AUTRICE: Prima di tutto voglio
ringraziare personalmente flori186 e piccolavenere96 per aver sempre
commentato e poi volevo informarvi che ho "tentato" di migliorare un
po' la grafica, mettendo un po' in evidenza i dialoghi. In questo
capitolo ho dato un po' più di importanza alle descrizioni,
se sono sembrata noiosa, vi prego di scusarmi! Nel frattempo vi auguro
una Buona Lettura
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Capitolo 5 *** Recuerdos ***
___Recuerdos___
Guardavo spensierata alla finestra: era incredibile quante cose fossero
cambiate dal mio arrivo al Passaggio dei Baci! Molte mie preoccupazione
se n’erano andate, come ad esempio il
“piccolo” problema della casa. Damían
aveva fatto tutto per me, come un vero amico, anche andare a chiedere
al proprietario del capannone del mercatino delle pulci, il permesso di
farmi alloggiare nella sua proprietà. Quell’uomo
sulla mezza età sembrava non darci mai retta, ma sapete come
ero fatta e dopo lunghissimi giri di parole, riuscii finalmente a
convincere quel vecchio fliquitato di donare un luoghicino anche a me.
In quel periodo sembrava che la mia vita stesse prendendo la piega
giusta: non ero più sola, bensì accompagnata da
un’intera comitiva!
«Flor! Eccoti,
finalmente! Voglio presentarti alcune persone»
mi disse Bata quel giorno con uno splendido sorriso sul viso «Delle persone? Vado
bene così?» svolazzai agitata la
gonna marrone, intonata alla maglietta brillante più del
giallo del sole, ormai alto nel cielo «Perfetta! Coraggio,
vieni, Flor! Cosa aspetti?» mi prese per mano e
mi portò al capannone del Passaggio dei Baci «Allora?»
chiesi agitata, vedendo che oltre a noi non c’era nessuno «Allora,
cosa?»
«Bata! Quelle
persone! Dove sono? Sono brave? Hanno un non so che di particolare?
Dovrei essere forse più elegante? Non capisco il
perché di così tanto
mistero»
«Flor, i
ragazzi dovrebbero arrivare a minuti, stai
calma!»
«Minuti, ore,
giorni e anni! E intanto noi invecchiamo aspettando che un asino voli
alto nel cielo! Non ci avranno mica dato buca?»
Bata mi fermò di colpo. Quando ero agitata mi muovevo a
scatti, sembrava che il mio fiume di parole scorresse ad alta
velocità e non trovasse uno scoglio a fermarlo. Parlavo,
parlavo e parlavo, senza nemmeno rendermi conto di ciò che
dicevo e solitamente stava alla persona che mi era vicino darmi un
taglio. Al mio adorato cervellino, bastava solo una piccola reazione
per capire di smetterla «Flor,
non ci hanno dato buca! Se adesso non ti calmi, ti riporto a casa! Sei
troppo capricciosa!» un grumolo di rabbia si
mosse dalla mia gola «Io
non sono capricciosa! E’ che non mi dici mai niente! Vivo
sempre nel mistero! Ti sembra una cosa giusta?»
«Ah,
eccoli! Ciao ragazzi!» urlò Bata,
indicando un gruppo di giovani che si avvicinavano velocemente a noi.
Una ragazza dai capelli corti e tinti di non so quale colore, sembrava
capitanare il gruppo: borchie, lacci e catene erano il suo
abbigliamento. Percepii una strana sensazione quando la guardai negli
occhi neri come la pece: non ero una di quelle persone che giudicavano
prima di conoscere, ma quella ragazza aveva dei seri fliquity mentali
se tutte le volte che incontrava una persona la guardava con stizza e
odio profondo, sputandole in faccia, e sottolineo lo sputare in faccia,
i residui di cicca. Quando mi squadrò, ricambiai con un
semplice sguardo “assassino” «Lei è Flor,
una mia amica!» notai che nessuno dei quattro
ragazzi parlava, mentre la ragazza dai capelli colorati continuava a
masticare la sua cicca immonda «Bata,
mi meraviglio di te! Da quando sei caduto così in basso e
frequenti uno simile scempio?» l’ira
si stava impossessando di me! Non solo quella ragazzina maleducata
sputava cicche a più non posso, ma in più si
permetteva di giudicarmi e di chiamarmi scempio! Che fliquity! «Come hai detto,
scusa?» sbottai io, con il mio ingenuo sguardo canino
«Havoc? Slaughter? Scempio! Sei semplicemente uno scempio!
Comunque Carina, piacere!»
«Carina ti ci
faccio diventare io immergendoti
nell'acido»
«Flor! Carina!
Ora calmatevi! Siamo qui per presentarci, non per litigare!» cercai
di riprendere il controllo delle mie fliquitate respirazioni: il cuore
mi stava battendo all’impazzata, non mi ero mai comportata
così, nemmeno con quella biscia morta di Dulcina al
collegio! Com’era possibile che tutte le serpi acide avessero
un nome così … così …
dolce? «Che
fate? Non parlate? Svegliatevi! Presentatevi!»
guardavo adirata come quella ragazzina
“capel-so-tutto-io” dava ordini sia a destra che a
sinistra, e quei poveri tre, che impalati, le davano retta «Clara
…» disse annoiata una giovane bionda,
più o meno sui diciassette anni, guardandomi come se avessi
una rara malattia «Io
sono Renata, ma per gli amici Nata!» sorrisi a
quella ragazzina mora dagli occhioni leggermente a mandorla «Nata, come la
crema?»
«Si! Mi piace
essere
dolce»
«Attenta che
non ti mangino!» ridemmo insieme, come se
fossimo amiche da sempre! Fino a quel momento sembrava
l’unica ragazza a posto del gruppo, oltre a Bata naturalmente
«Nata!
Zittisciti!» di nuovo quella racchia depressa!
Era proprio una maleducata impertinente, e lo dico con affetto,
credetemi «Io
sono Danilo, ma tutti mi chiamano Facha, è un piacere
conoscerti!» disse l’ultimo dei tre,
agitando quei suoi mossi capelli neri al vento «Ed è il mio
ragazzo, quindi non osare mettere quel tuo lurido sguardo su di
lui!» Carina stava marcando il territorio, ma la
cosa che ancora non aveva capito, era che a me del suo fidanzatino non
mi importava nulla! Certo, era un ragazzo carino: alto, muscoloso,
abbronzato, ma non era per me! A quanto pare ambivo ad altro «Carina, ora basta! Ti
riaccompagno a casa!» la rimproverò
Facha, strattonandola per un braccio «Non mi trattare come
una bambina! Io sono una donna! Una donna indipendente ed ambiziosa! Se
volessi ti potrei lasciare come un cane a marcire in strada,
chiaro?!» li vedevo allontanarsi sempre
più. Ero rimasta completamente scioccata dal comportamento
di quella ragazza: oltre che a bisbeticare e sputare cicche non era in
grado di fare nulla! Nel giro di pochi minuti era riuscita a battere il
record di Dulcina: insultare con accurati dettagli ben cinque persone!
Pazzesco! «Ma
è sempre così?» domandai
ai ragazzi rimasti con me «E’
un pochino acida, ma è una brava persona»
strabuzzai gli occhi, sconvolta «Una
brava persona? Ma se vi ha appena trattati come dei cani? Senza offesa
per tutti i cagnolini che sicuramente sono più dignitosi!
Possibile che non le diciate niente?» mi faceva
rabbia quando un prepotente se la prendeva sempre con i deboli del
gruppo e sapevo che quella Carina non era poi tanto
“carina”: il mio sesto Fliquity non sbagliava mai,
di solito ero io a sbagliare «Su,
Flor! Non esagerare! Ha ragione Nata, è solo un
po’ acida, tutto
qui!»
«Bata, ma ti
senti quando parli? Vedo che le fette di prosciutto che avete sugli
occhi sono belle grosse!» la risata si
impadronì pazzamente di quei miei nuovi tre amici: li vedi
quasi torcersi dalle risate e questa cosa mi rendeva un poco felice «Che
c’è? Perché ridete? Ho detto qualcosa
di
sbagliato?»
«No, Flor! Sei
solo un po’ troppo “normale”!»
disse Nata, completamente fuori di sé dal
ridere.
Quando anche il sorriso di Bata si spense, mi raccontarono della strana
situazione di Carina. Era una ragazza giovane, che viveva sola in una
pensione; i suoi genitori erano sempre in viaggio per lavoro e la
viziavano in continuazione con gioielli, mance esagerate e abiti
eleganti, che lei puntualmente stracciava o bruciava per vendicare
quella mancanza d’affetto, che tanto desiderava. Carina
mascherava così i suoi sentimenti: dietro
un’abilissima faccia di piercing, borchie e catene, ma in
realtà era solo una ragazza normale, bisognosa di amore, ma
non un amore qualsiasi, bensì quello dei genitori! Ascoltai
pietrificata le parole di Clara Domínguez, la cugina, che
uscivano imperterrite e ricche di sofferenza e di speranza, quella
piccola speranza che un giorno la cugina sarebbe potuta
cambiare.
Sospirai ancora una volta davanti a quella finestra. Il sole mi
illuminava con i suoi splendidi raggi primaverili. Pensavo che ora era
diverso, non tutto, ma qual cosina si! Carina e i ragazzi avevano
formano anni addietro una piccola band musicale: a quanto pareva la
passione che li univa era la musica, ma secondo me era diventato
più uno svago per la capogruppo, nonché cantante,
che ormai si era guadagnata la mia compassione. Con la scusa del gruppo
e della mia amicizia con Bata, mi ero inserita facilmente tra quelle
persone: Nata era la più “dolce” del
gruppo, amava studiare, leggere, scrivere e tutto ciò che
riguardasse la scuola, ma era diversa dalle solite saputelle dei
collegi, come quelle che avevo avuto modo di conoscere! Se non capivi
una cosa, lei era pronta a parlarne, scoprendo tutti i tuoi dubbi e
cercando di saziarli. Era forse la più normale del gruppo.
C’era poi Clara, con lei un giorno eri sul melo, e
quell’altro sul pero , sembrava seguisse gli influssi della
luna. Sicuramente mia madre avrebbe detto “Donna e luna, oggi
serena, domani bruna”, una cosa pazzesca!
Facha invece era troppo carino: sempre premuroso e al
contrario di Clara, seguiva solo e soltanto la luna buona, quella della
musica e della generosità. Uno zuccherino!
Se poi parlavo di Carina, bhè, dovevate preparare un
ombrello, perché l’acquazzone di parole sarebbe
stato ultrapotente!
Quando anch’io ero entrata a far parte della band
(non come cantante ovvio, la mia voce era uno schifo! Sembrava che le
mie corde fossero state levigate dal canto delle mandragore,
anziché degli angioletti celesti) come stilista
(perché io adoravo cucire, gli abitini me li facevo tutti
io, uno per uno, con queste belle manine) avevo tentato di avvicinarmi
a lei, cercando anche di capire la sua situazione, di andarle incontro,
ma niente! Ciò che ricevevo era sempre e solo
un’orribile porta in faccia!
Non voleva essere aiutata e in più mi odiava, credevo che se
mi fossi avvicinata ancora di più del dovuto, mi avrebbe
ammazzata con un rapido gesto: veloce ed
indolore!
L’aria che respiravo era veramente fresca, amavo affacciarmi
alla finestra e riflettere, prima di andare al lavoro dal signor
Molina. Grazie a Bata e ai miei nuovi amici avevo trovato un piccolo
impiego come verduraia, in un piccolo negozio in centro. Verduraia,
verduraia, proprio no, ma come fattorina di verdura e frutta si! Non
prendevo molto, ma mi bastava per pagare l’affitto alla
pensione “Cielo Abierto”, la pensione della mia
cara Titina. Avete letto proprio bene, dietro al proprio negozio,
Teresa, custodiva una bellissima pensione, colorata e accogliente come
quel posto dove tanto mi ero trovata bene la prima volta. Vi chiederete
il perché non mi abbia ospitato prima, ma purtroppo, la
sfortuna voleva, che i posti fossero finiti e che io non avessi mai
più messo piede nel glaciale castello
dell’Abominevole Donna delle Nevi, perciò il
capannone in quel periodo fu la mia unica salvezza, fino a quando
…
Guardavo emozionata uno dei tanti ricordi della mamma: i suoi amuleti,
le sue fiabe scritte tra le pagine di alcune lettere, i suoi piccoli
oggetti o semplicemente una sua foto. La vedevo sorridere in quel
ritratto in bianco e nero, ma la luce dei suoi occhi sembrava
trasmettermi i colori che le avevano riempito d’amore
l’intera vita. Mi sorrideva lei, con quel suo viso
leggermente tempestato dal dolore per la malattia, ma sorrideva,
sorrideva riempiendomi di felicità e speranza, speranza che
un giorno o l’altro, forse l’avrei rincontrata. In
un sogno magari
...
Ero talmente concentrata in quella foto, che nemmeno mi accorsi che nel
capannone era entrato qualcuno, quel qualcuno era Titina, che
probabilmente era venuta a portarmi il pranzo del giorno. La donna con
cautela si avvicinò ad una me, completamente assorta nei
propri pensieri: fu un istante, sentii un sospiro e il rumore
assordante di un piatto rotto. Mi girai di colpo e vidi Titina, quella
donna che fino a quel momento si era dimostrata sempre forte e piena di
energia, tremare come una foglia, ansimare e singhiozzare ad ogni passo
«Ma quella
è …» la sentii pronunciare
straziata dal dolore «E’
mia madre, Titina. Mia madre, Margarita»
L’aiutai ad accomodarsi lentamente sul divano rosso del
capannone. La luce del sole non filtrava e il buio donava
all’atmosfera ancora più tensione «Perché non
me lo hai detto, figliola? - disse Titina con ancora la
voce tremante - Tu
lo sapevi? Sapevi che ero un’amica di tua madre,
perché me lo hai tenuto nascosto?» le
presi dolcemente la mano ed iniziai ad accarezzargliela lentamente «Mi dispiace, Titi, ma
non volevo, come dire? Non volevo la tua compassione, potrai mai
perdonarmi?» le chiesi supplicante, mentre
cercavo di incrociare i suoi occhi blu «Io ti ho
già perdonata, Flor, ma la compassione di cosa?
E’come se fossi una nipotina per me!»
gli occhi iniziarono a brillarmi per l’emozione «Avevo bisogno di aiuto
e non volevo approfittare della
situazione»
«Piccola mia, tu non sei così! Devi sapere che a
volte capita di essere in difficoltà, e di essere obbligati
a chiedere aiuto, ma questo non vuol dire certo approfittarsi di una
situazione»
«Ma io
…»
«Flor, sei
proprio come tua madre! Come ho fatto a non capirlo prima?
“Gli altri prima di tutto”! Cerca di pensare un
po’ anche a te stessa, non fa male, lo sai cosa diceva un
filosofo? - scossi leggermente la testa, mentre alcune
lacrime cominciavano a scorrermi lungo il viso - La vera felicità
è solo e soltanto in noi - la vidi sorridermi e
in quel sorriso, ritrovai un po’ di quella mamma che avevo
perso tanti anni fa - Senti,
si sarebbe liberato un posticino alla pensione, verresti?»
la guardai fissa negli occhi, non credevo alle mie orecchie, uno dei
miei sogni si stava per realizzare. In quelle notti fredde al capannone
avevo sempre sperato che un giorno sarei andata a vivere lì,
con Bata e i ragazzi: “un sueño que se hecho
realidad”.
«Ma
Titina …» gli occhi blu di Teresa mi
fulminarono «Non
tirare fuori l’ennesima storia della compassione e
dell’approfittarsi, mia bella signorina! Che cosa credi che
fossi venuta a fare qui? A portarti il pranzo sì, ma anche a
darti la bella notizia che uno dei miei affittuari era partito per un
lungo viaggio, lasciando libera giusto, giusto una stanzettina per
te!» l’abbracciai, stringendola
talmente forte per poter respirare quell’invitante profumino
di cibo che sempre le ruotava attorno, per avvicinarla di
più a me, per farla ancor più essere la mia Zia
…
Sospirai delicatamente: quell’anno la mia favola aveva avuto
un lieto fine: i ragazzi, la band, Titina, la pensione, insomma una
vera e propria favola, ma senza Principe Azzurro, quel Principe che
poco prima avevo sognato e che ora speravo di incontrare di nuovo, ma
chissà dove e quando … Sorrisi dolcemente a quel
sole che aveva fatto da cornice ai miei ricordi «Chissà dove
e quando …» sussurrai al vento
primaverile, portando un piccolo angelico pensiero a lui, il Principe
Azzurro e a lei, la mia mamma
…
Angolo
Autrice: Un grazie speciale a chi
ha commentato! Grazie per esserci! In questo capitolo c'è
stata un po' di confusione tra presente e passato, spero capiate ...
Buona Lettura!!
|
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Capitolo 6 *** Tra Frutta e Verdura verso il Passo della Fortuna ***
___Tra
Frutta e Verdura
verso il Passo della Fortuna___
«Florencia! Florencia! - la voce del Signor
Molina mi distrasse completamente da quella specie di finocchio, che
stavo cercando, con “pazienza”, di conficcare in
una borsetta di plastica per la consegna a una di quelle solite
famiglie riccone, che popolavano da anni la piccola periferia di Buenos
Aires - Florencia! Mi
vuoi rispondere?» stavo letteralmente
sclerando: già quel giorno non era stato uno dei migliori,
avevo nuovamente litigato con Carina, per il suo comportamento con i
ragazzi, poi quella specie di finocchio spelacchiato, che per dare
retta ai suoi quattro peli, mi faceva tribolare e infine quel vecchio
del Signor Molina, che oltre a strillare dalla mattina alla sera non
faceva nient’altro!
Fliquity!
«Che
c’è? Che c’è? E’
esattamente mezz’ora che mi sta chiamando? Si può
sapere cosa vuole? Non vede che sto litigando con uno stupido finocchio
?» dissi guardando quella specie di verdura
marcia,che sembrava sorridere alla mia sfortuna «Florencia! Lascia
perdere quel dannato finocchio, ho un lavoro importante per
te!» ora ero io a sorridere soddisfatta al
cavolino infinocchiato «Ma
come? E i ricconi?» avevo da anni il sogno di
entrare in una di quelle ville principesche, dove i più
avari damerini argentini vivevano, preoccupandosi solo della loro
pancia e del loro portafogli, ma purtroppo non ne avevo ancora avuto
l’occasione. Speravo in quella «Sei pagata per fare
quello che ti dico, quindi taci e acconsenti!»
credevo di non essere l’unica ad essermi svegliata male quel
giorno: in fin dei conti, compativo quell’uomo, era solo: la
moglie lo aveva abbandonato anni fa e la figlia , dopo il matrimonio
con un imprenditore, se n’era andata a vivere in Europa. Il
Signor Molina meritava un po’ di comprensione ed io non
dovevo comportarmi come una sciocca vipera acida, quindi, dopo aver
gettato il maledetto finocchio nella cassa dell’immondizia,
annuii senza
esitare.
«Vai al
capannone, giraci attorno e imbocca quella specie di stradina segreta
che si vede nell’angolo, percorrila dritta, dritta e seguila
fino a raggiungere un piccolo parco chiamato "Candado" ... fin qui ci
sono, ed ora? La fa facile il Singor Molina, ma per una povera
fliquitata come me, che non è del posto, è
impossibile orientarsi! Santo Fliquity aiutami tu! Questa
città è un labirinto!»
unii le dita in segno di preghiera, sperando che almeno uno di quegli
esseri misteriosi venisse in mio aiuto, ma nulla. Giovani coppiette
passeggiavano mano nella mano per le vie del boschetto che vi era al
centro, sussurandosi parole dolci, come solo gli innamorati potevano
fare; ma i miei occhi si posarono su due dolcissimi anziani che,
abbracciati su una panchina, assaporavano un caffè,
mormorandosi quanto si amavano. Sorrisi immaginandomi i miei genitori
sulla stessa panchina, abbracciati, durante l'attesa della mia nascita:
chissà quanto papà amava la mamma?
Chissà come lei lo vedeva? Come si sentiva e cosa provava a
stargli accanto? Scrollai quelle strane domande, per intraprendere il
mio lavoretto: portare un pranzo pronto
all’Università di moda!
«Coraggio,
Flor! Devi solo trovare il ciliegio!»
Incuriosita esplorai l'ambiente, in cerca di ciò che doveva
essere anche abbastanza "grosso" e lo trovai! Avanzai per la collinetta
che costeggiava quel "dolce" boschetto «Fliquity! Che fatica!
Per tutte le lumache scalatrici! Qui non esistono strade
piane?»
L'albero si manifestava in tutta la sua
maestosità ed il profumo si percepiva perfino in lontananza.
Innamorata di quel golosissimo aroma, mi avvicinai sempre di
più «Lo
sai cosa dice la leggenda del ciliegio?» cercai
di identificare la giovane che stava parlando dietro all'albero,
poiché incuriosita dal fatto che il posto dove ora vivevo,
fosse ricco di “strane” leggende «Qual cosina so. Ma
vorrei che me lo dicessi tu, piccola» un ragazzo
dai lunghi capelli neri, abbastanza mossi si avvicinò alla
ragazza che dava di spalle all’alberello «La saggezza
è come il ciliegio in fiore: rallegra l'animo dei
giusti» osservai la scena con estrema dolcezza:
probabilmente mi trovavo nel parco dei cosiddetti “innamorati
primaverili” ed io ero sola, fin troppo sola «Tu ci credi?»
la voce della ragazza sembrò essere sempre più
timida «Non
proprio» ne seguì un silenzio e,
detto sinceramente anche io ci rimasi un po' male: non era per niente
carino comportarsi così sfacciatamente con quella che doveva
essere la tua ragazza «Per
quanto un fiore di ciliegio possa essere bello, non vale quanto una
giornata passata con la tua allegria, piccola»
vidi la giovane circondare le proprie braccia intorno al collo del
ragazzo «Ti
voglio bene»
«Anche io,
Maya» ero rimasta di stucco di fronte a
così tanta dolcezza: nemmeno nei film romantici avevo visto
così tanto amore. Ero completamente sciolta, peggio di un
ghiacciolo al sole: magari qualcuno mi avesse detto quelle meravigliose
parole!
Già mi immaginavo quel giorno, in cui il mio Principe
Azzurro, mi dichiarava il suo amore con un bellissimo mazzo di fiori e
con quel suo sguardo misterioso, completamente innamorato come una
bella tortora, una tortora dalle piume blu, se no, che Principe Azzurro
era?
Ero talmente concentrata nel visualizzare quella paradisiaca visione,
che nemmeno mi accorsi di quanto i due ragazzi mi stessero guardando
male: Maya, credevo si chiamasse così, mi stava guardando
con una certa espressione di ribrezzo, mentre il lui in considerazione,
beh, lasciamo stare! L’unico pensiero che mi gironzolava per
la testa era il semplice fatto di essere stata scoperta, la mia solita
fortuna sfacciata! Intimidita dallo sguardo scettico della
coppia, indietreggiai, accennando soltanto un imbarazzato sorriso «Ci stavi
spiando?» la voce della ragazzina era
terribilmente scossa dalla rabbia «Io
... ecco ... non è come sembra, cioè stavo
aspettando ... ehm come dire ... la mia Tortora, cioè il
Principe, ecco il mio
...»
«Lascia
perdere! Taglia corto e vattene zoticona!» fino
a quel momento, a trattarmi male, ci aveva pensato solo e soltanto una
persona in particolare: Carina, e quella ragazza le si avvicinava
molto, che Fliquity! «Io
non sono una zoticona, stavo solo passando di qui per caso e
…»
«E ascoltando
le conversazioni altrui! Ma dacci un taglio e smettila di arrampicarti
sui vetri, spiona!» cercai di controllare i
fliquity che salivano alle stelle, ma era un momento di tensione, ed il
mio obbiettivo si faceva molto difficile. Feci per andarmene per poi
girarmi di colpo «Ah,
dimenticavo: gli unici maleducati che qui vedo siete voi! Non si tratta
così una persona, potreste trovare il Tiracravatte di turno
e allora si che sarebbero guai!»sbuffai
lasciandomi dietro quell’isterica coppietta «Comunque è
Rompiscatole!» la voce scettica di quella
“Maya” fece da “saluto” «Fliquity! Per tutte le
caprette infuriate, oggigiorno non esistono più giovani
gentili ed educati, ma solo coppiette di tortore isteriche, che
rinfacciano l’amore alle povere single come me! Ah che nervi
elettrici! Ecco, ho camminato per 500 metri e adesso? Destra o
sinistra? Quei due mi hanno fatto perdere la testa! Flor, rifletti:
destra, la mano della ragione o sinistra, la mano del cuore?»
indecisa guardai sia a destra che a sinistra: non me ne ero accorta, ma
era già da un pezzo che avevo lasciato quel parco di
tortore. Ora mi trovavo su un enorme marciapiede,
costeggiante un'immensa carreggiata, dove le automobili correvano
all'impazzata.
Era così diversa quella nuova parte di Buenos Aires: se il
Passaggio dei Baci era un luogo tranquillo, ricco di persone che si
conoscevano tra di loro, pronte sempre ad aiutare il prossimo, questa
nuova strada era completamente l’opposto. La gente si muoveva
immersa nei propri pensieri più remoti ed io li guardavo,
come una polla in un covo di volpi. Mi sentivo sola, completamente
estranea alla situazione, spaesata era il termine giusto: non sapevo,
dove mi trovassi e come sempre la mia “super”
memoria mi aveva abbandonato!
Sicuramente il Signor Molina mi aveva spiegato la direzione successiva,
ma la mia testolina chissà dov’era? Probabilmente
in un abisso di nuvole! «Dove
dovrò andare? Destra o sinistra?»
quella insolita situazione mi ricordava stranamente il sogno che avevo
fatto la notte: semplicemente il ricordo della scelta dei sentieri
fioriti, il ricordo del mistero della speranza-verità, della
fiducia-lealtà, dell’illusione-realtà e
del giallo-bianco? Un incredibile coincidenza? «Scusi, sa
dov'è l'Università di Moda?»
una ragazza dalla lunga coda di cavallo, i cui occhi erano nascosti da
enormi occhiali da sole, mi scrutò da cima a fondo,
facendomi rabbrividire dal mio primo capello riccio al mio ultimo pelo
del piede striminzito
«Secondo te, io ho del tempo da perdere? Forza, scansati,
mocciosa!» con un gesto di ribrezzo si
allontanò da me. Guardai sconcertata quel suo modo strano di
darsi delle arie, alzai gli occhi al cielo «Fliquity! Che donna!
Non si è mai guardata allo specchio. Agita le natiche come
una foca in un circo! Uffa, che gente!!! Povere foche, sempre
paragonate a certe persone!» mi
voltai: un uomo anziano in una salopette da lavoro, aspettava
di attraversare la strada, ma le macchine irrefrenabili, non davano
cenno di volersi fermare. Volenterosa, mi avvicinai: come si poteva non
far passare un povero vecchietto?
«Le serve un
aiutino?» il vecchietto mi sorrise: tante
piccole rughe gli tempestavo il viso, esaltando ancora di
più quei suoi occhi di un azzurro pallido.
Sembrava aver sofferto tanto nella vita, eppure quel suo sorriso ricco
di non so che, diceva
tutt’altro.
Finalmente, dopo il mio gesto di pazzia quotidiano (gettarmi in mezzo
la strada, bloccando il traffico, sotto gli sguardi minacciosi degli
automobilisti e ricevere svariati clacson) aiutai
l'anzianetto ad attraversare la strada «Grazie, fanciulla!
Non so quando avrei attraversato senza il tuo aiuto»
mi guardava in uno strano modo, come se mi conoscesse, ma non ci feci
più di tanto caso: magari conosceva la mia
sosia!
«E' sempre un
piacere aiutare! Mi scusi, sono un po’ imbranatella, sa, dove
si trova l'Università di Moda?» il
vecchietto mi sorrise, squadrando il mio "fantastico" abbigliamento «Una giovane
stilista?» scossi leggermente il capo guardando
la borsetta in plastica che tenevo tra le mani «No, una
consegna»
«L'Università
... dunque devi andare sempre dritta per il viale, fino ad arrivare al
primo incrocio, poi giri a sinistra e la vedrai, anche
perché occupa tutto lo spazio! Non ti puoi
sbagliare!» felice della risposta e della
tenerezza dell'uomo lo abbracciai calorosamente «Grazie! Mi ha tolto da
un bel
guaio!»
«Dovrei io
ringraziare te! Arrivederci!» lo salutai con la
mano, mentre si allontanava per la via opposta «Coraggio, Flor!
Riprendi il viaggio» sussurrai, convinta che in
poco tempo avrei raggiunto quella fatidica Università e poi
me ne sarei tornata a casina: avevo una voglia matta di distendermi sul
mio lettuccio ed iniziare a scrivere qualcosa. Ultimamente le frasi in
rima tartassavano la mia testolina e sentivo uno strano bisogno di
scriverle, metterle su carta e dare loro vita con la musica: un
sogno!
Ancora con le note in testa, mi volta soprapensiero. Fu un istante, un
istante doloroso, un tonfo
«Accidenti, mocciosa! Guarda, dove metti i piedi!»
Sbattei contro qualcosa o qualcuno, ritrovandomi per terra a
massaggiare delicatamente quel mio povero didietro che si era preso
tutto il dolore dell’accaduto. Sentendo la voce maschile,
alzai incuriosita lo sguardo. Davanti a me c’era il sogno, il
sogno della mia vita …
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Capitolo 7 *** Fliquity Malconessi ***
___I
Fliquity Malconnessi___
Credevo che i sogni fossero solo illusioni, fantasticherie
o
semplicemente il timido vagheggiare di cose desiderate o
irrealizzabili, come spesso avevo letto sul dizionario. Forse
però mi sbagliavo oppure il caldo primaverile aveva
cominciato ad annebbiarmi i fliquity, se si considerava il fatto che
davanti a me c’era una visione ultraterrena, una proiezione
terribilmente paradisiaca: il mio sogno!
Alto, biondo, in giacca e cravatta, perfetto in tutto il suo essere
come nel sogno.
Era lui, il protagonista della mia fantasia prima e
dell’allucinazione ora. Era lui, che potevo guardare in tutta
la sua figura, non più nascosto da un mazzo di calle e
garofani. Era lui che ora mi guardava, mi osservare in un modo strano,
ma non avevo il tempo di decifrarne lo sguardo: ero troppo concentrata
in quei sue due occhi color miele, che tanto avevo sperato di
incontrare, talmente concentrata che nemmeno mi ero alzata da terra e
l’unico a risentirne era il mio povero didietro «Scusa, ti vuoi
scansare? - la sua voce, quella voce così
grave, che sembrava essere uscita da una canzone d’amore - Mi stai ascoltando?
Scansati!» mi prese per mano e mi fece alzare di
colpo, come se mi volesse salvare da quel sogno, quel sogno in cui
cadevo nell’oscurità, quel sogno dove lo
sconosciuto misterioso, agitava inspiegabilmente le braccia per
aiutarmi! Era forse la continuazione di quella magnifica illusione?
Domande, dubbi, perplessità e fantasticherie si alternavano
nella mia mente, mentre ancora lo guardavo ipnotizzata, persa nel suo
sguardo enigmatico «Sei
sicura di star bene? - continuava lui con quella melodia
soprannaturale, ma era inutile, io non sentivo nulla che non fossero i
battiti del mio cuore: non sapevo cosa mi stesse succedendo - Mi dispiace, ma non ti posso
accompagnare all’ospedale! Ho ben altro da fare!»
un manichino, ero peggio di un manichino morto e stecchino al forno!
Non riuscii nemmeno a muovere un dito, ad aprire bocca; non era da me
non agitarmi, non emozionarmi, non saltare o semplicemente non parlare.
Quella visione mi aveva completamente paralizzata, bloccata,
pietrificata: era come un incantesimo delle fiabe, una magia: ero
stregata, stregata da quella visione paradisiaca che ora mi stava
abbandonando in mezzo ad un marciapiede colmo di gente. Scrollai le
spalle, strabuzzai gli occhi, cercai di riprendere i fliquity della
realtà, ma era troppo tardi il mio Principe se
n’era andato!
Mi girai di colpo, in cerca di quei suoi capelli biondi,
di quella sua giacca blu scuro, ma niente, quello che vedevo in
lontananza era soltanto un puntino cobalto, che se ne stava andando in
fretta e furia, abbandonandomi nuovamente al dubbio: Che fossi
diventata pazza? Che avessi strane visioni? Forse avevo solo bisogno di
riposare un pochino o forse il caldo mi faceva veramente
brutti scherzi! Mi pizzicai il braccio, per capire se ciò
che avevo visto fosse stato soltanto un sogno o
un’incredibile realtà: non c’era
nessuno,mi sembrava di essere sola, in una strada sconosciuta e lui non
c’era, il Principe dei miei sogni non c’era!
L’Università
di moda era davanti a me: un edificio maestoso, solare e tipicamente
argentino. Un enorme parco lo circondava, un’immensa radura
verde, dove studenti di ogni età e carattere passeggiavano
sereni, studiacchiando qua e la, o semplicemente chiacchierando un
pochino con una mela tra le mani.
Per tutto il viaggio non avevo fatto altro che pensare a ciò
che era accaduto poco tempo prima. Il dubbio di essere completamente
impazzita mi torturava la testa: Possibile che gli angioletti avessero
previsto un manicomio nel mio futuro? Certamente non sarei mai voluta
finire in uno di quei luoghi di torture mentali, dove ti tagliano i
capelli per fare parrucche pulciose! Eppure ero convinta che quella non
fosse stata una semplice visione da ospedale psichiatrico! Io ero
sicura di aver visto quell’uomo, quello stesso uomo che mi
era apparso nel sogno e questo sicuramente era un segnale, un segnale
che le creaturine mi avevano mandato per mettermi in guardia! Ora
l’importante era capirne il motivo, capire se quel bellissimo
e principesco uomo fosse buono o cattivo! Questi pensieri mi avevano
talmente torturata per tutto il tragitto, che avevo rischiato
più volte di sbattere contro un albero o qualche altro
oggetto non identificabile: orribile!
«Flor!
Che ci fai
qui?» la voce di una delle mie più
care amiche mi riportò alla realtà «Nata! Che ci fai tu
qui?» i suoi occhi a mandorla mi guardarono
sorpresi «Io
qui ci lavoro! Non ti ricordi? le sorrisi imbarazzata. Mi
ero scordata che Nata aveva trovato un piccolo lavoretto come aiutate
designer nell’Università. Chissà quante
volte me ne aveva parlato ed io puntualmente me n’ero
scordata - Flor, tutto
bene? Ti vedo un po’ pallida» chiusi
gli occhi e tirai un sospiro per riprendere la calma «Si, scusami! Il
lavoro, il caldo e poi ancora il lavoro! Questa cosa è
così stressante, ma così stressante che mi fa
stare male, malissimo!» dovevo nasconderle la
mia pazzia, altrimenti chissà cosa avrebbe pensato di me:
una folle da rinchiudere in un manicomio! Terribile «Ah, si, il caldo,
gioca brutti scherzi! Parliamo d’altro, cosa ci fai qui,
Flor?» con tutto quel trambusto avevo messo in
secondo piano la consegna. Svogliata alzai il braccio destro dove
tenevo la borsa di plastica «Una
consegna …»
«Ah, sempre il lavoro! E dove hai le cose?»
Nata sembrava tanto volenterosa quanto orba: possibile che non vedesse
la borsettina bianca «Qui!»
le indicai la mano, sbalordita: la mia consegna non c’era
più! Tra le mani non avevo nulla, niente di niente! Come
avevo fatto a perdere una borsa grande quanto una casa!
«Flor,
tranquillizzati!
Vedrai che tutto si risolverà!» mi
muovevo agitata per il parco, cercando di ricapitolare i posti
dov’ero stata e il probabile luogo dove l’avevo
abbandonata «Se
vai avanti così ti viene una
sincope!»
«Se non trovo
quella dannata borsa, sarà il Signor Molina a farmi venire
una sincope! Come posso essere così
stupida?»
«Non sei stupida! Sei solo un
po’distratta!»
«Questa mia
distrazione mi porterà al licenziamento! Santo Fliquity,
aiutami tu!» una luce mi illuminò il
viso, oscurando tutto intorno a me «La
calma è potere, Flor! Tranquillizzati, noi siamo con te
…» una voce dolce,
soave, quasi trasportata dal vento mi riempii del suo affetto, della
sua protezione. Mi sentivo leggera, lieve, semplicemente diversa:
più pacata e calma, così strana,
perché? Mille domande mi attraversavano la mente, ma quella
strana sensazione di protezione era in grado di placarle, saziarle e
donarmi una piccola speranza in più. Era proprio vero la
calma era potere!
Irradiata da un nuovo senso di freschezza, aprii dolcemente gli occhi:
Nata era davanti a me e mi guardava in modo strano «Tutto bene,
Flor?» la guardai scioccata, poi le indicai il
luogo dove quella piccola pallina lucente era apparsa «L’hai vista
anche tu?» la mia amica mi guardava dubbiosa,
come se non capisse di cose stessi parlando «La luce? Quella
pallina luminosa? Quella che svolazzava, che mi ha parlato!»
Nata scuoteva il capo sempre più confusa, ma in
realtà, la persona che doveva essere più confusa
ero io! «Flor,
io credo che tu debba andare a casa e riposarti un pochino! Il caldo ti
fa davvero brutti scherzi!»
«Mi
stai dando della pazza?» misi le mani sui
fianchi, dandomi le arie di una pazza scatenata furiosa, come solo io
sapevo fare in certe occasioni «Nata!!!»
una nuova voce si intromise nella nostra conversazione. Una voce che mi
sembrò di conoscere: femminile, giovanile e nel suo piccolo
frizzante. Vidi una ragazzina appiccicata al collo della mia amica
dagli occhi a mandorla. Cercai di identificarla, ma era inutile, anche
se l’abbigliamento mi sembrava famigliare: una gonnellina
cobalto e una magliettina a righe blu e azzurre, intonate alla fascia
che le raccoglieva i capelli in una coda un po’ spettinata.
Una serie di immagini sfuocate mi tornarono alla mente, ma non riuscivo
a collegarle tra di loro: la visione paradisiaca del Principe prima e
quella soprannaturale della luce dopo, mi avevano completamente scossa,
mettendo in subbuglio i miei poveri fliquity a malapena connessi tra di
loro. La ragazzina si voltò pian paino verso di me: gli
occhi leggermente a mandorla, l’espressione stizzita sul
viso, quello sguardo odioso e colmo di rabbia «Tu?»
esclamammo all’unisono, mentre una sensazione di collera
prese piede per tutto il mio corpo!
Angolo Autrice:
Un grazie speciale a Freezer19_96
per aver commentato lo scorso capitolo!!! Grazie!!!!!!! Un bacio!!!!!
Buona Lettura
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Capitolo 8 *** Conosciamoci un po' ... ***
___Conosciamoci un po'___
Quella giornata si stava facendo
tremendamente nervosa: credevo di scoppiare da un momento
all’altro e allora sì che Nata e i ragazzi
avrebbero dovuto rinchiudermi in una camicia di forza e portarmi al
manicomio! Stropicciai gli occhi, ma quell’insensata
apparizione sembrava non voler sparire, forse era davvero
realtà? Forse qualche esserino dispettoso si era messo
d’accordo per farmi venire una sincope! Squadrai la ragazzina
che mi guardava con un odio accigliato, quasi scontroso: era lei, la
tortorina del parco, la passerotta innamorata, era Maya! «Voi due vi
conoscete?» Nata ci osservava confusa, i suoi
timidi occhi a mandorla si fermavano interrogativi su di me,
osservandoci inquieti e desiderosi di chiarimenti. Abbassai lo sguardo,
cercando di calmare i fliquity alle stelle, respirai profondamente,
sentivo la rabbia impadronirsi di me, ma dovevo stare tranquilla o
altrimenti sì che avrei fatto una brutta fine «La troppa
curiosità spinge l'uccello nella rete, giusto
Spiona?» sentii a malapena fuoriuscire dalle
labbra della giovane una lieve domanda, probabilmente rivolta a me «Spiona? Flor, cosa sta
dicendo?»
«Appunto! Prima di tutto Flor è il mio nome,
mocciosetta e secondo sai anche tu che è
stata una situazione un po' complicata … e poi, mia bella
tortorina innamorata, non ingrandire il tutto, è stata una
pura e semplice coincidenza che io mi trovassi in un LUOGO PUBBLICO ad
assistere alle TUE smancerie con l'altro passerotto!!!!
CHIARO???!!» non era da me sfogarmi tutta
d’un colpo, ma a volte si sa che fa male tenersi tutto
dentro, anche se a quanto pareva, quella che stava più male
era Nata, la povera e dolce Nata, che dall’espressione
sconvolta, sembrava dovesse strapparsi i capelli da un momento
all’altro «Quale
passerotto, Maya?» la ragazzina
abbassò intimidita la vista «Cuginetta, non
è quello che sembra, certe spione hanno la lingua lunga,
però ti posso spiegare!» i fliquity
correvano e correvano per la mia testa, cercando una specie di
comunicazione tra di loro. La parola “cugina” si
era stampata nella mia mente e continuava a girare e rigirare in preda
a strani fliquity di confusione: come era possibile che uno zuccherino
come Nata fosse imparentato con un frutto acerbo come Maya?
C’era solo una risposta: le strane coincidenze della vita «Come si
chiama?»la voce di Nata, spazzò via
ogni mio pensiero «Gonzalo»
disse la ragazzina con una certa eccitazione «E lo sa tuo
fratello?»
«Quale dei
mille? Franco, Nico, Tincho o Tomás?»
pensare che credevo che le famiglie numerose esistessero solo nel
cartone animato della carica dei 101, invece mi sbagliavo anche qui: io
e il mio sesto fliquity! «Maya,
il maggiore?» l’idea che avesse ancora
un fratello mi rabbrividì: non avevo mai pensato ad una
famiglia come un vagone domestico «Ah,
Fede! No, no, figurati ! Se glielo avessi detto a quest’ora
non sarei qui con voi!»
«Flor,
tutto bene? Sembri pallida» e mai avevo pensato
all’idea di conoscere un giorno la sorella di un killer
spietato «Ma
fa sempre così? Una spiona musona!
Com’è strana la vita, eh?»
alzai pian piano lo sguardo per poter incontrare il suo poi tirai un
enorme sospiro, come per prendere la carica «Insomma, smettila
di chiamarmi Spiona! E' stato un caso, un accidente, un imprevisto,
ok?! Scusami, scusami!!! Fliquity, che noiosa! Perdonami, ma ti prego,
basta chiamarmi Spiona! Te l’ho già
detto, il mio nome è FLOR, FLORENCIA, FLOR, insomma chiamami
come vuoi tu, ma basta spiona!» scostai
violentemente la frangetta che nel mio lungo monologo, mi era finita
casualmente sul viso, ed incrociai lo sguardo delle ragazze: sembravano
esterrefatte. Quella era già la seconda volta in un giorno
che scoppiavo e probabilmente non sarebbe stata neanche
l’ultima, ma questa cosa mi preoccupava un poco: cosa sarei
stata in grado di fare?
«Comunque tutto bene,
Nata» sussurrai imbarazzata dalla reazione
passata «Sciallati,
quanta tensione accumulata, FLORENCIA» Maya si
avvicinò alla mia schiena ed iniziò a
massaggiarmi delicatamente le spalle «E’ una
tecnica tailandese, aiuta chi è irrequieto -
sentivo i fliquity sciogliersi e pian piano gettarsi spaesati nelle
acque rilassanti della mente, fino giù, giù e
ancora giù nel profondo dell’anima - Tranquilla, ti avevo
già perdonata da un pezzo, ma mi piaceva stuzzicarti un
pochino» Maya mi fece un divertito occhiolino,
non più scontroso e ricco di odio, no, questa volta dolce e
perché no? Affettuoso? Quella ragazzina mi stava cominciando
a piacere: sembrava strano, ma
sotto quella maschera di acciaio si nascondeva uno spirito dolce e
ribelle. Ero sicura che se ci fossimo conosciute un po’ di
più, saremmo diventate subito amiche.
Passarono alcuni mesi da
quell’incontro-scontro e il mio sesto fliquity non
sbagliò: come previsto io e Maya diventammo inseparabili! Mi
veniva spesso a trovare alla pensione e stavamo ore ed ore a parlare, a
consigliarci, ma soprattutto a conoscerci: l’aiutai molto ad
aprirsi e ad affrontare la cruda realtà che ormai da sette
anni la circondava. C’era una spiegazione se quella ragazzina
dai capelli ribelli si comportava come se avesse messo un dito nella
corrente elettrica! Tutti quei suoi comportamenti acidi derivavano
dalla morte prematura dei genitori, quei genitori che avevano lasciato
tutto a carico del fratello maggiore Federico: impresa, beni, casa e
famiglia. Mi ero lamentata molto dell’orribile passato che il
destino mi aveva assegnato, ma non avevo mai pensato
nell’esistenza di persone messe molto peggio di me: Maya
viveva in una famiglia numerosa, erano ben sei fratelli, sei teste
diverse, sei caratteri distinti e sei cuori completamente
opposti.
Il primo, Federico, doveva essere una persona molto fredda dai
“grandi” fliquity lavorativi, sempre pronto ad
aggiungere uno zero in più ad un assegno invece che
preoccuparsi della famiglia; era questa l’idea che mi ero
fatta: un uomo alto, grasso e perché no? Con degli enormi
occhiali che gli coprivano gli occhi neri, scuri come la pece e pieni
di rancore per non aver potuto passare i suoi
“ultimi” anni di libertà.
Un orco!
Maya mi aveva raccontato spesso che quel “Babau”
insopportabile la metteva spesso in punizione per scappatelle o
discussioni varie, senza mai prendere in considerazione i suoi
sentimenti e già per questo non lo sopportavo: un
capofamiglia ignorante dei problemi dei fratelli, una visione terribile!
Martin e Tomás erano i piccoli della famiglia, le uniche
persone che più avevano risentito della scomparsa dei
genitori: se il “birbante” dei fratelli era
riuscito a nascondere il dolore dietro un’infanzia ricca di
sogni e fantasie, poiché all’epoca appena nato, il
fratello, poco più grande di lui, si era rifugiato nella
psicologia, chiudendosi in se stesso per sempre.
Ci dovevano essere poi i gemelli della famiglia, Franco e Nicolas, che
teneramente Maya aveva soprannominato “i Gemelli
diversi”. Franco il tennista, me lo aveva descritto come un
principe azzurro; alto biondo, muscoloso e dall’animo
più buono del pane «Te
ne innamorerai!» mi diceva sempre con una strana
luce negli occhi «E’
l’unico che si preoccupa per noi! Naturalmente anche
Nico» Nicolas, completamente diverso dal
gemello, l’anatroccolo dei fratelli: alto, biondo come il
fratello, ma … non andò mai oltre a questo,
finché un giorno …
«Vieni a casa
mia!» alzai lo sguardo dal sacchetto dei miei
amuleti più cari «Dai,
Flor! Non guardarmi con quella faccia da carogna. Vieni, cosa ti
costa?» Maya si agitava sul letto della mia
cameretta «Nulla,
non mi costa nulla, però …»
«Però
cosa? Hai paura della mia famiglia? Ah no, so di cosa hai paura, di
Federico, giusto?» rigirai tra le mani
l’amuleto a forma di coccinella che da anni conservavo,
sognando un po’ di fortuna «E’ che lo
hai descritto così … come dire? Così
“strano”…» Maya
si avvicinò e prese le mie mani «E’ umano,
Flor e anche se ho detto più volte che è un orco,
un mostro o un …»
«Un
Mangiabambini!» guardai paurosa quella ragazzina
che mi osservava con fare sospetto «Si,
un Mangiabambini, però …»
mi strappò dalle dita il talismano «Però questo
non ti serve!» disse lanciando quella pietra a coccinella nel
sacchetto «E ora su, vieni! Tanto Federico non
c’è, sarà al lavoro!»
«Se
lo dici tu …»
Ecco come mi ritrovai per la prima volta davanti a quella
gigantesca villa che fingeva da dimora della famiglia Fritzen e
qualcosa.
Guardai esterrefatta quell’immenso edificio in mattoni,
completamente circondato da un’altissima siepe, che
nascondeva il tutto. Sapevo che Maya era ricca, ma non così!
«Che
c’è? Hai perso la lingua, Flor? Ah, la villa! Fa
sempre questo effetto anche a Vale ogni volta che la vede! Bella,
vero?» annuii senza emettere alcun suono «Coraggio,
vieni!» aprii il cancello in ferro battuto che
separava quel castello da fiaba dall’effettiva
realtà, lo varcammo e una determinante ombra ci invase: era
come se avessi varcato il mio sogno. Quelle stesse emozioni, quelle
stesse sensazioni le stavo provando in quel preciso istante: calle,
garofani e “non ti scordar di me” profumati
rallegravano quel meraviglioso giardino. Conoscevo Maya e non sarebbe
rimasta lì a guardarmi, aspettando una semplice reazione;
infatti sentii una forte stretta per il braccio, per poi ritrovarmi
davanti ad una grande porta in legno bianco «Cavolo! Le chiavi! Me
le sono scordate!» Maya cercava e ricercava
nelle sue tasche, ma nulla «Non
le trovi? E il cancello? Come hai fatto ad aprirlo?»
chiesi, ricordando di essere entrata liberamente nel
“giardino dei sogni” «Qualcuno lo
avrà lasciato aperto! Aspetta un attimo, torno
subito» e Maya sparì. Mi aveva
abbandonata davanti all’uscio di casa, così, come
si abbandona una carta in strada, che tristezza!
“Sarà andata a cercare le chiavi! E
perché non ha bussato? Bah, quella ragazza è un
mistero!” pensai, scrollando le spalle così come
ogni mia riflessione, ero stufa di scervellarmi senza mai arrivare ad
una logica conclusione «E
tu chi saresti?» talmente stufa che nemmeno mi
ero accorta che, nel frattempo, la porta si era spalancata, lasciando
posto ad una donna. Una donna sulla mezza età, alta, magra e
molto somigliante ad una barbie: capelli neri, accuratamente piastrati
le scendevano sulle spalle, neri corvino, come
l’abbigliamento. Un brivido mi percorse il corpo: Crudelia de
Mon esisteva veramente?!
Spaventata indietreggiai «Mi
spiace, ma noi non compriamo nulla! Tornatene da dove sei venuta,
mocciosa!» eh sì, a quanto pare
Crudelia de Mon aveva fatto ritorno nelle sale cinematografiche «In realtà
sono un’amica, mi hanno invitata ed ecco io
…» la vidi squadrarmi da cima a
fondo, con una specie di orrore negli occhi «Che gente! Come
può permettere Federico certe oscenità! Fai
quello che vuoi, mocciosa: se vuoi entrare, entri, se non vuoi entrare,
non entri! Non so cosa dirti! Ma ora lasciami passare che il mio
Pepillo non aspetta! - la osservai inorridita - Ah! Cosa può capire
una mocciosa come te? Arrivederci!» vidi
allontanarsi schifata quella “perfetta” donna «Spero non sia parente
di Maya!» sorrisi e vedendo l’enorme
porta bianca aperta, la varcai.
Un salotto gigantesco si era aperto dinnanzi a me: non solo era ricca
quella famiglia, ma aveva pure buon
gusto! Quadri colorati decoravano l’intero salotto, ma di
bello ce n’era solo uno, un enorme dipinto ritraente una
meravigliosa donna bionda, dallo sguardo misterioso, ma allo stesso
tempo affettuoso, protettivo era la parola giusta. Sembrava essere la
guardiana della casa, come un altarino religioso, posta su una delle
pareti principali e pronta a difendere, con il suo sguardo, la
famiglia, abitante del castello, come in una fiaba!
Mi guardai attorno: in casa sembrava non esserci nessuno, cosa molto
strana visto che Maya me l’aveva descritta come un
incasinatissimo “andirivieni” di gente. Passeggiai
per quel gigantesco salotto: era proprio vero“Nè cavalli
nè giardini sono fatti per i poverini”!
Sicuramente se avessi abitato in quella casa, non so se mi sarei
abituata facilmente a tutte quelle ricchezze: vasi, ornamenti vari,
quadri d’epoca, divani lussuosi e per di più
bianchi e chi più ne ha più ne metta! «Certe persone o
nascono ricche o nascono povere - dissi ammirando
malinconicamente tutto quel bendiddio - E questa? - la mia
attenzione si focalizzò su una cornice argentata sul
tavolino davanti al divano centrale -
Saranno i genitori di Maya» sorrisi rivedendo la
bellissima donna del dipinto abbracciata ad un uomo alto e bruno. Erano
proprio loro, i genitori di quella pazza famiglia e si amavano, lo si
leggeva prima negli occhi affettuosi della madre e poi in quelli
misteriosi del padre, occhi che mi ricordavano qualcosa o meglio,
qualcuno. Scrollai ogni pensiero e posai timidamente la fotografia sul
tavolino. Ritornai a guardare la stanza: vi era una scala al centro,
una scala normalissima certo, ma molto somigliante a quella del mio
sogno, il sogno che tanto tempo prima avevo fatto, quel sogno che mai
mi ero scordata, quel sogno che ancora celava
l’identità del mio Principe Azzurro. Una voglia
matta di percorrerla mi prese l’anima:
“chissà se lo incontrerò come nel
sogno?” continuavo a chiedermi mentre man mano salivo
dolcemente ogni gradino. Era come se mi ritrovassi nel sogno:
l’ambiente, il vestito da principessa, la scala e lui. Lui,
quel Principe tanto sognato, che dal primo gradino mi guardava con quel
suo nobile sguardo, nascosto dal meraviglioso mazzo di calle e
garofani. Quello sconosciuto, che tempo prima mi sembrò di
vedere per la strada, quell’uomo che ora avanzava verso di
me, con modi di fare eleganti, raffinati, che solo un Principe delle
fiabe poteva permettersi.
«Necessita di
un cavaliere, Angioletto» un braccio forte e
muscoloso mi cinse attorno a se. Aprii velocemente gli occhi,
sbattendoli fino a farli lacrimare: Maya mi aveva parlato tanto del
fratello, ma non pensavo fosse così …
ANGOLO
AUTRICE:
Scusate il ritardo nella pubblicazione, ma ho avuto un po'
da fare. Ringrazio di cuore Freezer
19_96 per i suoi commenti!!!!!! Un bacio e
Buona Lettura!
|
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Capitolo 9 *** Io Canto?! ***
___Io Canto?!___
Guardavo allibita il giovane biondo che ormai mi teneva
stretta a se. I
capelli mossi e dorati scendevano scompigliati e ribelli, su quelle
enormi spalle; spalle perfette, perfette come la stretta che mi legava
talmente tanto a lui da non farmi respirare, ma quello non era il
momento ne di respirare, ne di
emettere alcun suono. Scrutai confusa il viso: quello che avevo davanti
a me, non era un semplice ragazzo biondo con gli occhi blu, lui era IL
ragazzo biondo con gli occhi blu per eccellenza!
Quei suoi occhi turchesi, di
un celeste
caldo, vellutato, che sapevano essere più azzurri del cielo,
più cristallini del mare, più profondi
dell’oceano e più smaglianti di quel sorriso, che
ormai faceva parte di quel magnifico corredo d’uomo «Ciao, io sono
Franco!» mi guardò con quella sua
strana, ma rassicurante allegria. Franco,quante volte avevo sentito
Maya parlare di lui? Sicuramente un miliardo, eppure mai avrei pensato
di trovarmi davanti l’immagine spiccicata di un principe
delle fiabe, per di più reale, non come quello sconosciuto
misterioso, apparso nella mia vita solo e soltanto per far disperare i
miei fliquity! Franco non era così, ne ero sicura: lo diceva
il mio sesto fliquity e di lui mi fidavo «Che
c’è? Ti hanno morso la lingua? - non
riuscivo ad articolare alcuna parola, al contrario riuscii ad
allontanarmi, soltanto quando sentii che Franco, probabilmente
preoccupato dalla mia reazione, allentò la presa,
permettendomi di scendere i gradini e raggiungere il soggiorno - Ti ho fatto male?»
scossi leggermente la testa, sorridendo di fronte a così
tanta dolcezza «No,
non ti preoccupare! Ah, io sono Florencia, Flor, Florencia, insomma
chiamami come vuoi tu!» gli strinsi timidamente
la mano e lo baciai teneramente sulla guancia in segno di saluto:
finalmente ero tornata me stessa, in fin dei conti bastava poco per
riportare i fliquity a camminare spensierati sulla terra «Sei anche tu qui per
la festa?» guardai confusa quel biondino dagli
occhi blu: Maya non mi aveva parlato di nessuna festa «Quale festa, scusa?»
«Si! Anche lei
è qui per la festa! Che bello che sei tornato,
fratellone!» vidi Maya scendere le scale di
corsa e gettarsi tra le braccia del ragazzo, che la ricevette con il
suo solito smagliante sorriso «Non
sai quanto mi sei mancato!»
«Modestamente sono insostituibile!»
«E
dacci un taglio, “Narciso”»
li vidi scoppiare a ridere e chiudersi nuovamente in un affettuoso
abbraccio: era fantastico vedere due fratelli così uniti,
un’emozione indescrivibile «Allora? E’
tutto pronto? Hai chiamato i ragazzi?»
«Le
ragazze, vorrai dire?» Maya diede una piccola
spinta allo sportivo di casa «Va
bene, va bene, la smetto! Comunque sì, i ragazzi dovrebbero
arrivare tra un’oretta. Nella playroom troverai
l’occorrente per le decorazioni. Ora vado a prendere le
bibite e qualche dolcetto, a dopo!» lo vidi
allontanarsi e fermarsi di colpo. Mi raggiunse e dolcemente mi prese la
mano, baciandola «Non
scappare, Angioletto» chiuse la porta con un
lieve tocco e, abbassai lo sguardo imbarazzata, riguardandomi la mano
in questione«Maya,
di quale festa parlava? Mi devi spiegare subito tutto!»
mi girai verso Maya con fare minaccioso: non mi piaceva quando le
persone mi nascondevano qualcosa, specialmente una festa «Shhh! Flor, abbassa
quella dannata voce!Un secondo, vieni con me …»
le bloccai il braccio, facendola indietreggiare «No! Ora!» mi
sorrise «Non fare la capricciosa che non ti si addice!
Seguimi!» non mi lasciò nemmeno dire
la mia, che con tutta la sua ribelle energia, aveva già
rigirato le carte a suo favore: ora era la mia mano ad essere posseduta
da quella della ragazzina.
Attraversammo velocemente il salotto, che mi
aveva nascosto un meraviglioso pianoforte a coda in legno nero, proprio
sul lato destro della stanza. Lo guardai sbalordita, ma ormai mi
trovavo già a percorrere uno stretto corridoio: quando Maya
si metteva in testa qualcosa era difficile farle cambiare idea.
Nuovamente quadri, tavolini preziosi ornati da fotografie
impercettibili, e insignificanti vasi con insignificanti fiori finti?
Fiori finti? Terribile!
Raggiungemmo la gigantesca sala da pranzo: un tavolo di
legno scuro ne possedeva la magnificenza; semplice, palese, ma con un
tocco tipico di ricconi: i fiori finti!
«Eccoci!
Ti presento la playroom, where the plays are so cool!»
ammirai esterrefatta la stanza che mi circondava: giochi ovunque,
passatempi di ogni genere sparsi qua e la, intrattenimenti
dalle diverse forme e divertimenti, si sparpagliavano
allegramente sul pavimento o sui due divani bianchi che ne occupavano
l’ingresso «Cosa
hai detto, Maya?» sentii la mia amica sbuffare
annoiata dal mio ennesimo tentativo fallito di apprendere la lingua
inglese «Ah,
lascia perdere, Flor, sei un caso perso! Tieni questo
…» mi porse un pennarello nero «Io ed i miei fratelli
abbiamo deciso di dare un “piccola” festa e tu ci
devi aiutare!» la guardai stupefatta: conoscevo
tutti i lati di Maya, ma quello minaccioso non ancora «E tuo
fratello?» la mia voce tremante si fece largo
tra il silenzio della stanza «Fede?
It isn’t a problem! Ha una cena di lavoro con un importante
non so che! Ascolta, il piano è
…»
Il “Piano”,
come lo
aveva definito Maya, era semplicissimo: festeggiare l’arrivo
di Franco, ma io sapevo che mi
nascondeva qualcosa. Sapevo che i suoi occhi color mandorla, celavano
un enigma legato a quella festa, ma a quanto pareva non ero tenuta a
saperlo e questa cosa mi faceva leggermente rabbia: era forse un
segreto di famiglia? Scrollai l’oscuro pensiero, mentre anche
l’ultimo cartellone colorato veniva fissato accanto al quadro
della madre di Maya: era veramente una bellissima donna, e dalla cima
della scala in ferro, riuscivo ad ammirarla in tutta la sua persona.
Gli occhi chiari, simili a quelli di Franco, balzavano allo sguardo e
quel sorriso, un sorriso enigmatico, misterioso, che non so dove, ma
avevo già visto «Bella,
vero?» una voce maschile mi fece sobbalzare e
perdere l’equilibrio in quel fliquity pensieroso. Chiusi gli
occhi, fu un istante, ma invece che atterrare sul parquet duro e
estremamente solido, finii su un qualcosa di molto più
morbido: Franco, la causa del mio incidente. Mi teneva stretta tra le
sue braccia, come una principessa, e mi sorrideva allegramente, con
quei suoi dolcissimi occhi celesti «Non
prendere il volo, Angioletto! Potresti farti male!»
mi rimise accuratamente con i piedi per terra. Ancora lo osservavo
confusa: se non ci fosse stato Franco a salvarmi, a quest’ora
sarebbe stata Maya a raccogliermi con il cucchiaino.
Avevo i brividi!
«Non ci
provare, Franco! Lei è una mia amica!»
disse Maya con tono di rimprovero «Se sono tutte
così le tue amiche, mia cara sorellina, me le dovresti
presentare più spesso!» mi sorrise, strizzandomi
l’occhiolino «Taci,
“Latin Lover”! La band?»
«Eccola!»
dalla porta d’ingresso, ormai tempestata da
palloncini colorati, entrarono quattro ragazzi, truccati fino al
midollo e completamente mascherati: li guardai allibiti. Il batterista
portava un semplicissimo costume d’arlecchino,
così come le altre due ragazze che indossavano abiti
collegati all’ambiente circense; mentre microfoni, mixer e
attrezzature varie erano trasportate da un oscuro pirata, con un enorme
cicatrice sul viso (naturalmente finta). Fin qui nulla di strano, ma la
ragazza che entrò da quella porta bianca, in stile
“sfilata di moda”, agitando vorticosamente il suo
vestito da tipica fata del vento, no, quella proprio no! I lunghi
capelli verdi le scendevano lungo i fianchi, completamente intonati al
“bellissimo” abitino di stracci verdi e blu:
un’oscenità! Un flash mi percorse il corpo: la
ragazza tacco a spillo e stracci in seta non era nient’altro
che la mia “carissima amica” Carina, accompagnata
da quell’inconfondibile seguito dei miei compagni
d’avventura «Benvenuti
a casa Fritzenwalden!» Franco baciò
la mano ad ognuna delle ragazze e sorridente come non mai, mi
strizzò l’occhiolino «Franco, la vuoi
piantare di fare il cascamorto con tutte! Se ti togliessi la maschera
di pesce lesso che indossi, potresti anche accorgerti che sotto il
costume da pagliaccio ci sarebbe tua cugina, Nata!»
la mia cara vecchia amica si tolse la maschera, svelando la sua
identità «Nata!»
vidi Franco gettarsi tra le braccia della cugina «Quanto
tempo, cuginetta! Come sei cresciuta, e guarda che
meraviglia!» disse facendole fare una breve, ma tenera
giravolta «Mi
trovo tra le mani un gioiello di famiglia!» per
la prima volta, da quando avevo messo piede in quel
“castello” cominciavo a vedere in Franco tutto
ciò che Maya mi aveva sempre detto: “Gli occhi
sono la finestra dell’anima” e sapevo che il
celeste profondo di Franco, calzava a pennello con la sua dolcezza
«Sei sempre il solito cugino rubacuori!» sorrise
Nata, ancora tra le braccia del biondino «Che ci posso fare se
la gente mi ama così …»
«Franco!»
un ragazzo alto biondo, scese correndo le scale del soggiorno «Cos’è
tutto questo baccano? E questi chi sono?»
Nicolas, il gemello di Franco. Ora capivo le delicate e
“accurate” parole di Maya sull’argomento:
povero fliquity, sicuramente non era Franco, ma ero sicura che dietro a
quella maschera di brutto anatroccolo si celasse qualcun altro di un
po’ più tenero? «Sciallati, Nico! Ti
ricordi? La festa in onore a Franco» Maya
guardò il fratello annoiata «Io credevo fosse uno
scherzo»
«Ieri ti
sembravo comica?» probabilmente quello era il
fatidico giorno delle scoperte: un altro lato nascosto di Maya era
venuto a galla, quello burlesco!
«Flor,
ma
dov’eri? E’ tutto il pomeriggio che ti stiamo
cercando!» Nata mi passò uno dei
travestimenti rimasti «Ero qui con tua cugina a organizzare
la festa! Piuttosto, perché non mi hai detto che suonavate
qui?»
«Volevamo dirtelo, ma sei sparita!»osservai
quello strano costume «Cos’è
questo?»
«Una
Tigre, no? Coraggio, indossalo che siamo già in
ritardo»
Mi guardavo allo specchio con un briciolo di orrore sul viso: quel mio
povero viso tremendamente truccato per più somigliare ad una
tigre, una tigre, le cui righe nere si erano sbiadite col tempo,
lasciando spazio ad un insignificante manto arancione. Se questa era
vita?
Raggiunsi
imbarazzata il soggiorno, dove urla, canti e balli si alternavano
freneticamente: chissà quando era arrivata tutta quella
gente? Pensai mentre guardavo strabiliata la moltitudine di persone che
occupava divertita il soggiorno del “castello
fatato”: le luci e le coloratissime decorazione avevano
cambiato completamente l’aspetto dell’ambiente.
Sembrava magico!
«Sono
proprio bravi!» Maya mi indicò la
band: un mantello nero luccicante le copriva l’intero corpo e
due simpaticissimi canini le spuntavano vivaci dalle labbra rosso
fuoco. Le annuii, invidiando un po’ quei miei compagni di
avventura che si divertivano spudoratamente sul piccolo palcoscenico
ricavato nella sala: anche se la mia voce era
“divinamente” stridula, mi sarebbe piaciuto danzare
e cantare con loro, solo per il gusto di passare del tempo assieme, con
una passione in comune. La musica! «Flor,
ma che hai? E’ una festa, non un funerale!»
mi portai una mano al petto: mi sentivo strana,
un’inspiegabile fitta mi prese il cuore e un giramento di
testa mi colpì.
Improvvisamente immagini sfuocate penetrarono i miei soliti fliquity
tranquilli: immagine colorate, stordite, ancora una volta legate a
quello strano sogno, che mesi prima mi aveva confuso le idee. Il
misterioso sconosciuto si aggirava affascinante per la mia mente, come
una visione: il sorriso, lo sguardo, il mazzo di fiori … era
come se una tromba d’aria stesse trasportando ogni piccolo
dettaglio di quella fantasia, era come una visione «Tranquilla, Flor!
E’ normale …» nuovamente
quella voce femminile, la voce confortante di quella lucina che mi
aveva sorpresa all’Università! Ancora una volta si
agitava abbagliante davanti a me, rassicurandomi
sull’inspiegabile situazione che stavo vivendo e oscurando il
mondo attorno a me. Sbattei intontita le palpebre, chiedendomi se
stessi sognando «Sei
sicura di stare bene? Hai una faccia!» la voce
di Maya mi confermò che ero stata di nuovo vittima di un
sogno. Le sorrisi, nascondendole ogni mia preoccupazione: non volevo
essere rinchiusa in un manicomio alla mia tenera età.
Ballavo. Ballavo tra la folla.
Ballavo
guardando l’energia della piccola ragazza ribelle che, vivace
si muoveva tra le note della band davanti a me. Ballavo sorridendo
confusa a Maya. Ballavo ripensando
a quelle strane visioni: Titina mi aveva parlato spesso delle strane
presenze che solitamente mia madre avvertiva. Le chiamava fate o
semplicemente angeli. Diceva che erano gli esserini che sua madre le
aveva inviato per proteggerla ed accompagnarla nella vita, per
affrontare qualsiasi cosa: decisioni, scelte, fatti positivi o
negativi; guardiani “speciali” dai colori
sgargianti, pronti sempre a tutto per rassicurare e confortare il loro
“affidato”, cercando in tutti i modi di
assicurargli una serena ed eterna felicità. Forse le luci
che vedevo erano fate, le fate di mia madre? Forse mia madre me le
aveva inviate per guidarmi? Tutto cominciava ad avere un senso: le
visioni, i sogni, le luci, le mie sensazioni …
Un urlo stridulo distrasse i miei pensieri. Guardai perplessa prima
Maya e poi la band che improvvisamente aveva smesso di suonare: Carina
aveva una mano alla gola e tentava invano di emettere suoni sotto gli
sguardi inquieti degli invitati, desiderosi di musica. Vedevo la
ribelle “fata” agitarsi, dimenarsi, fare il
possibile per diffondere note o semplicemente parole.
Ma nulla.
Un insopportabile silenzio crollò nel salone della
villa.
Tutti erano in attesa di qualcosa.
I miei amici, con ancora gli strumenti tra le mani, cercavano di
avvicinare la cantante, di invogliarla a riprendere la canzone, ma
probabilmente non avevano capito che quello di Carina non era uno
scherzo: la ragazza non riusciva più a cantare e la cosa si
stava facendo molto seria. Unii le mani in segno di preghiera,
chiedendo un piccolo aiuto a quelle “fate” su cui
tanto avevo riflettuto, le fate della mamma. Aprii gli occhi per vedere
se qualcosa era cambiato, se qualche luce strana aveva abbagliato i
presenti causando uno shock totale, oppure se era avvenuto un puro e
semplice miracolo. Nulla. Nemmeno un povero alieno disperso nello
spazio era intervenuto!
Le fate non esistevano, mi ero tolta il dubbio!
Improvvisamente vidi Carina scendere le scale del palco e sparire tra
folla: i ragazzi gridavano il suo nome, chiedendole di restare.
Osservai il mio carissimo amico Facha seguirla, sotto gli occhi
indiscreti di un pubblico fin troppo invadente. Ne seguirono urla,
boati e nuovamente implorazioni musicali. Sapesati di fronte a tanta
confusione, vidi i miei poveri compagni d’avventura indecisi
sul da farsi.
Un brivido mi invase: avevo una voglia matta di seguire Carina,
consolarla, farla ragionare e sperare in un nuovo giorno. So che era
strano pensare una cosa simile, viste le nostre ultime
“chiacchierate”, ma non potevo di certo vedere
soffrire così una persona, soprattutto se era
un’amica, una specie di “amica”. Mi
voltai per mischiarmi tra la folla alla ricerca della coppia di
piccioncini, ma una mano mi bloccò «Lasciala stare, Flor!
Sai anche tu che ti caccerebbe» forse Maya aveva
ragione e forse Carina mi avrebbe attaccata con il suo solito fare
canino, insultandomi per l’ennesima volta. Indietreggiai
sconvolta dalla “nuova” rivelazione «Perché non
ci vai tu?» osservai Maya con un timido sorriso
sul volto «A
far cosa?»
«A
cantare, cosa se no?» sbarrai gli occhi «Hai una bella voce,
anzi canti che è una meraviglia! Perché non ci
vai e fai a vedere a tutti chi sei? -
probabilmente quella dannata ragazzina ribelle si era bevuta il
cervello, io stonavo, non cantavo -
E non tirare fuori la storia delle corde vocali inceppate,
perché neanche i muri ti credono!»
«Ma,
Maya … »
«Ma, Maya un
corno! Coraggio “campana” facci vedere chi sei! -
mi spinse tra la folla e in men che non si dica ci ritrovammo di fronte
al piccolo palcoscenico -
Ehi Bata! Flor vorrebbe cantare!» il batterista
arlecchino mi guardò in stranito «Tu canti?»
gli sorrisi annuendo: era l’unico modo di evitare le minacce
di Maya «Dai
vieni!» mi disse Bata porgendomi divertito la
mano.
Salii sul palco: da lassù il mondo sembrava completamente
diverso, altro che pubblico! «Ragazze,
Flor prenderà il posto di Carina, ok?»
vidi Nata e Clara assentire un poco sorprese dalla novità.
Afferrai al volo il microfono che le due majorette mi avevano lanciato,
raggiunsi il centro del palco e avanzai verso la fine: la folla
acclamava la nuova canzone ed io li guardavo sorridenti, terrorizzata
dall’orribile figuraccia che stavo per commettere. Nel mio
cuore solo una certezza: avrei ucciso Maya!
«Ed ora Pobres
Los Ricos!» la voce energetica di Bata con il
suono delle sue inconfondibili bacchette mi fece intuire che non avevo
più tempo: il patibolo mi era vicino!
Le note partirono. Conoscevo la canzone, l’avevo cantata un
miliardo di volte sotto la doccia e davanti allo specchio, ma cosa
più importante sola, completamente sola, senza una miriade
di occhi puntanti su di me: mi sentivo osservata …
improvvisamente la musica mi invase: felicità, allegria,
spensieratezza e amore, sensazioni che ero solita provare quando il
volume dello stereo di casa si accendeva al massimo. Le gambe iniziarono
a muoversi, prima lentamente e poi a ritmo della musica: sembrava che
ogni mio pensiero sfuggisse da quella mia pazza mente fliquitata.
All’improvviso il desiderio di “uccidere”
Maya svanì nel nulla, portandosi con sé quel
terrore inaspettato del pubblico, quel terrore che da anni portavo
dentro di me.
«COSA
STA SUCCEDENDO QUI?» la musica si
fermò di colpo, io mi arrestai di colpo. Seguii lo sguardo
degli invitati, diretto in un angolo in penombra della villa
principesca «Fuori
tutti di qui! SUBITO!!» quel nuovo urlo mi
stordì ancora di più, mi tappai le orecchie,
chiudendo gli occhi per non vedere quella terrificante scena: odiavo i
film horror!
Quando li riaprii mi imbattei nell’uomo
più arrabbiato, anzi, infuriato, che mai avessi incontrato
nella mia vita. Terrorizzata, indietreggiai e solo allora lo riconobbi:
il Principe dei miei sogni …
ANGOLO
AUTRICE:
Un grazie infininito a __Shadow__
e a freezer19_96 per
i loro meravigliosi commenti! Spero di avervi soddisfatto con questo
capitoletto! Buona Lettura!
Ps: sono un po'
imbranata con l'intestazione della pagina! Vi prego di perdonarmi se
uscirà un po' maluccio!!!
|
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Capitolo 10 *** Io Non Sono Pazza ***
NON SoNo PAZZA!
Non credevo ai miei occhi:
alto, biondo, bellissimo,
insomma, il mio Principe Azzurro esisteva veramente, non mi aveva
abbandonata
in un’illusione, lui era lì, davanti a me, in
tutta la sua magnificenza ed
estrema eleganza. Allora non stavo diventando pazza? Allora non mi
dovevo
preoccupare di essere rinchiusa in un manicomio? Allora i sogni
potevano
diventare realtà? Allora si, che tutto cominciava ad avere
un senso, anche le
mie visioni. Ero sicura che le fate di mia madre avevano voluto
inviarmi
segnali, richiami e avvisaglie, semplicemente per annunciarmi
l’arrivo di quel
misterioso uomo, quello sconosciuto che mi stava guardando con estremo
odio «E
tu chi saresti?» sorrisi, cercando di trovare
parole a quella stupida domanda,
ma il cuore mi batteva freneticamente ed i fliquity sembravano talmente
posseduti da una forza sconosciuta, che erano entrati in una specie di
trance.
Lo vedevo sorridere, ma non ero convinta che fosse divertito, anzi
sembrava
completamente straziato dal nervosismo: la rabbia gli scintillava negli
occhi e
il suo estremo tentativo di mascherarsi dietro ad un sorriso ironico,
lo
trovavo assurdo. Ma non mi importava. Ciò che più
desideravo in quel momento
era solo e soltanto catturare quella principesca immagine nella mia
testolina e
ogni volta riviverla, sentirla vicina, per potermi sussurrare“Esiste Flor! Il Tuo Principe Azzurro
esiste! Non sei pazza!”
«Te
ne vuoi andare?» rimanevo imbambolata, bloccata
da quel suo sguardo misterioso,
da quei suoi due occhi color miele che tranne che lanciarmi fiamme
infuocate,
non facevano altro «I
tuoi amici se ne sono già andati, ti pregherei di
andartene! VATTENE!» con una leggera spinta mi
svegliò dalla realtà che mi ero
creata, viaggiando per quei profondi occhi e solo allora realizzai di
quanto
fosse scorbutico quel Principino Azzurro. Lo fulminai con lo sguardo,
cercando
di incutergli terrore
«Come hai detto, scusa?» lo vidi
alzare un sopraciglio,
probabilmente sorpreso dalla mia grottesca reazione «Vattene! V-A-T-T-E-N-E
D-A
C-A-S-A M-I-A! Leggi le mie labbra e sparisci di
qui!» anziché indietreggiare
impaurita, avanzai verso quell’orco vestito da Principe:
nessuno poteva
trattarmi così! Nemmeno Carina e Dulcina avevano mai osato
dire certe cose: un
conto era prendersi a calci dalla mattina alla sera, ma un altro era
insultare
una persona senza motivo «Senti,
signorino mio bello, non è educazione mettere
le mani addosso ad una signora, chiaro?»
alzò gli occhi al cielo, forse ancora
più adirato di prima. Improvvisamente mi prese violentemente
il polso:
cominciavo a pentirmi della mia reazione. Forse sarebbe stato meglio
non
intromettersi, non parlare, non urlare, ma soltanto scappare. Le gambe
cominciavano a tremare più del cuore: avrei voluto
dimenarmi, muovermi,
correre, fuggire da quel mostro che si era divorato il mio Principe, ma
lui era
troppo forte e se mi fossi spostata anche solo di un centimetro, se ne
sarebbe
accorto e allora si che avrei fatto una brutta fine.
«Darling,dove
sei?» solo all’udire quella voce
femminile, sentii l’uomo allentare la presa:
con la barba folta in viso, sembrava essere uscito da una fiaba horror!
Indietreggiai un poco spaventata, ma ancora mi teneva stretta a
sé: ero in
trappola! Possibile che il Principe di Cenerentola si fosse trasformato
in un
orco al loro primo appuntamento? Ero in confusione: i fliquity del mio
cervellino si muovevano pazzerellamente e stavo mettendo in dubbio ogni
cosa
che mi circondava. Solo allora notai che il salone era vuoto: gli
invitati se
n’erano andati, i miei amici se n’erano andati! Mi
avevano abbandonata per
seguire le urla strampalate di un Principe-Orco nevrotico!
Perché doveva
capitare tutto a me? Non solo ero sfortunata dai capelli in
giù, ora mi toccava
pure trasformarmi nella cena del più sanguinoso dei
predatori «Eccoti,
My Life! Ho trovato la mia pochette! Che sbadata! L’avevo
dimenticata in
stanza» una ragazza giovanissima, alta e
perfettamente magra, abbracciò lo
sconosciuto, che definitivamente mi lasciò libera. Squadrai
da cima a fondo
quella donna, mi sembrava di averla già vista prima di
allora: la raffinata
coda di cavallo nera le scendeva lungo i fianchi, perfettamente
contenuti
nell’abito blu notte. Purtroppo le luci da spettacolo ancora
attive nella sala,
assemblate a quel fastidiosissimo trucco da
“tigre”, non mi permettevano di
distinguerle bene il viso «Cosa
è successo?Cos’è questo
orrore?» la donna si guardava
sconcertata attorno: non si era salvato nulla! Del meraviglioso salotto
ricco
era rimasta solo e soltanto una “raffinata”
sporcizia, probabilmente non ben
voluta «Appunto!
Delfina possibile che non ti sia accorta di nulla?»
lo
sconosciuto guardò la giovane leggermente turbato «Del soggiorno o di
questa
volgare tigre?» la vidi squadrarmi da cima a
fondo. Un brivido mi percorse ogni
piccolo fliquity del corpo: avevo solo voglia di scappare e
rinchiudermi nella
mia cameretta e piangere! Quel giorno era stato un completo shock!
Prima una
festa, poi il rubacuori di famiglia, infine scoprire che il tuo
Principe
Azzurro era un orco travestito brutalmente, senza contare poi i lati
misteriosi
di Maya! Un vero e proprio trauma!
Indietreggiai
ancora una volta, mentre sentivo le due persone discutere
davanti a me. Mi voltai, lasciandomi alle spalle tutto e tutti.
Abbandonando
quel sogno, abbandonando il Principe dei miei desideri, e quella
maledetta voglia
pazza di conoscerlo e stringerlo forte al cuore, abbandonando quello
strambo
desiderio, ma soprattutto abbandonando in quel salone il mio cuore
straziato, addolorato,
tanto a pezzi, che nemmeno un creatore di puzzle sarebbe stato in grado
di
ricostruirlo. Una lacrima mi scese sul viso, bagnando il mio cuore di
tristezza, quella tristezza dal terribile sapore di delusione, quello
sconforto
talmente ghiacciato che nemmeno il sole estivo avrebbe potuto scaldare.
Mi gettai furiosamente sul
letto della pensione. Guardavo
inerme la mia stanzetta: quando ero triste ero solita rifugiarmi nel
brillante
colore degli oggetti per
lasciarmi
accarezzare dai ricordi più remoti di mia madre, ricordi che
mi rallegravano il
cuore, dandomi quella forza in più per affrontare la vita.
Di solito riuscivo a
perdermi in quei raggianti pensieri, ma quella volta no!
Ogni
riflessione, ogni
pensiero, puntualmente ricadeva sull’immagine confusa del
Principe. Mi chiedevo
se era possibile rimanere turbata da una persona al primo sguardo. Se
era
possibile sentire ancora battere il proprio cuore
all’impazzata, cadere a vuoto
in un abisso di confusione assoluta. Non riuscivo più a
controllare le miei
emozioni: fissavo a vuoto quegli innumerevoli oggetti ora privi di vita
ed
allegria. Li fissavo, li osservavo, rivedendo in loro quel piccolo
riflesso,
tanto somigliante quanto sconvolto. O forse ero io ad essere sconvolta?
Sensazioni
ed emozioni che mai avevo provato nella mia vita. Era come se un camion
mi
fosse passato sopra senza rendermene conto ed io ero lì,
stesa, immobile, con
il cuore all’ombra di quella patetica confusione che mi stava
uccidendo.
Ripensavo all’istante in cui il mio sguardo
incrociò quello del Principe, al
momento in cui i nostri occhi si cercarono, ma non riuscivo a
capacitarmi di
quello strano batticuore che mi aveva fatta entrare in trance. Come era
possibile rimanere affascinata da un Principe travestito da orco?
Nessuno mi
aveva trattata con così tanto disgusto e questo mi faceva
male, soprattutto il
suo atteggiamento prepotente. Era come se Cappuccetto Rosso fosse
rimasta
attratta dal Lupo! Che storia sarebbe? Impossibile. Ecco quale era la
risposta:
Impossibile...
«Ma
proprio una musona ci dovevano assegnare?!»
alzai gli occhi, ancora
confusi, ed intravidi una piccola luce rossa ronzarmi attorno, molto
somigliante allo stesso bagliore che vidi tempo fa
all’Università «Devi
essere
più delicata Lumbre, altrimenti si
paventerà» apparve luminosa
più cha mai una
pallina di un giallo più vivace del sole «Siete sicure che ci
veda? A me sembra
un po’ tonta» i due raggi brillanti
furono raggiunti da un terzo colore: il
verde «Tranquilla
Brisa, nessuno può essere più tonto di
te!»
«Ragazze,
basta litigare! Dobbiamo compiere una missione, ricordate?»
guardavo allibita
quelle quattro lucine brillanti svolazzare, come se niente fosse,
davanti ai
miei occhi. Rosso, giallo, verde e blu si alternavano energicamente in
quella
stanza, semplicemente balzando da un lato all’altro,
riempiendo di fliquity la
mia mente fin troppo confusa.
«Ragazze!
Basta litigare! Al mio tre vi trasformo tutte in troll verdi!
Quanto è vero che mi chiamo Hadita Suelo!»
improvvisamente vidi la pallina
gialla bloccarsi di colpo e le altre tremare preoccupate probabilmente
dall’affermazione
di quest’ultima «No!
In Troll no!» urlò la lucetta verde,
agitandosi per tutta
la stanza «Io
quei cosi verde marcio non li posso vedere! Ma le hai viste quelle
verruche che hanno sul naso? Che schifo!» la
lucina rossa volò accanto a quella
blu «Si e poi
quell’odore d’immondizia! Orribile!»
«Appunto! Se
non volete fare la fine
di Alma, datevi una calmata e smettetela, attacca brighe che non siete
altro!» Dictum
Factum, i tre colorini si fermarono di colpo. Vidi la lucina gialla
avvicinarsi
senza esitazione verso di me. Non riuscivo a muovermi, sembravo
bloccata da una
strana magia, come se quelle “cose” colorate mi
avessero stregata «Tutto
bene,
Tesoro?» la pallina più brillante del
sole mi scostò la frangetta, accarezzandomi
dolcemente il viso. Annuii senza emettere alcun suono: ero ancora
stordita da
quella fin troppo strana situazione «Tu
e la tua fiamma a luci rosse, siete le
solite! Fate sempre spaventare la gente! Che insolenti!»
una vocina stridula, ma accuratamente contenuta, come se fosse
nell’acqua,
si intromise volontariamente «Non
incominciare, Linfa! Non vedete che è
terrorizzata? E tu, piccola Flor, non devi essere preoccupata noi siamo
buone,
ci ha mandate la tua mamma per starti vicino»
«Sempre!
Giorno e notte, lontane e vicine, sia sopra che sotto
…»
spostai lo sguardo sulla pallina verde «Come
dei violenti cani da guardia …» poi
su
quella rossa «Ma
non nel fango, bella
mia, io lì proprio non ci entro!» poi
su quella blu «Non
ascoltarle Flor, noi
siamo le fate che Margarita, la tua mamma ha scelto per accompagnarti
nella vita, nell’amore, nella gioia e nel dolore
…»
«Finché
morte non ci separi, Amen!» le tre lucette si
girarono indignate verso la
pallina verde «Cosa
ho detto?» chiese brillando più
stupita che mai «Nulla
Brisa, nulla!» la pallina gialla
ritornò a riscaldarmi con la sua tenera
energia: scintillava talmente tanto da produrre piccole e lucenti
faville «E
tu, piccolina, non dissimulare ciò che senti,
poiché è di valore inestimabile e
capita solo una volta nella vita … Carpe Diem, dicevano gli
antichi … Carpe Diem …» le
quattro palline colorate svanirono nel nulla, lasciandomi sola nella
stanza che per un attimo era riuscita a riacquistare quel pizzico di
allegria
in più che le mie cianfrusaglie avevano perso. Scossi
violentemente la testa,
mi stropicciai gli occhi e conclusi il tutto con un bel pizzicotto sul
braccio:
dovevo capire se quello che avevo appena visto era uno dei miei soliti
sogni
oppure realtà! Risultato? Ero viva e vegeta e pure sveglia!
Le fate esistevano
veramente! Eccome se esistevano!
Passarono settimane da quel
traumatico giorno. Le fatine
della mamma venivano a trovarmi quasi tutti i giorni: tra urla,
giochetti e
bisticci si assicuravano che io stessi bene e che avessi ripreso la mia
vita di
sempre, dopo quell’incontro che chiamavano empaticamente
“El Milagro de lo de
siempre”. A capirle le fatine! Suelo, Lumbre, Brisa e Linfa
erano diventate
come delle piccole sorelle che mai avevo avuto. Stavano con me,
chiacchieravano
e mi parlavano spesso della mamma, di quanto fosse felice in Cielo, di
quanto
fosse preoccupata della mia felicità e di quanto mi amasse
da lassù. In fin dei
conti parlare con le fatine, era come avere la mamma davanti a me, con
quel suo
smagliante sorriso, che percepivo nella luminosità di quelle
vivaci palline
colorate.
Non
frequentai più la villa di Maya. Purtroppo
il fratello maggiore aveva impedito ai fratelli qualsiasi relazione
extrafamiliare in casa e quindi, quelle poche volte che vedevo Maya e
Franco,
era perché scappavano di casa. Che miti!
In
quanto al Principe-Orco beh, lo accantonai in un angolo del mio cuore,
certa
che non lo avrei mai più incontrato nella mia vita.
ANGOLO
AUTRICE: Questo capitolo è molto introspettivo
e volevo scusarmi per la mancanza di avvenimenti importanti, ma vi
prometto che farò meglio la prossima volta! Intanto
ringrazio tutte le persone che commentano, non sapete quanto mi
facciano piacere le vostre recensioni: Flori186__Shadow__
e Freezer19_96
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Capitolo 11 *** Guai In Vista ***
GUAI IN VISTA
«Florencia! Vieni subito qui!»
ultimamente le mie giornate
iniziavano così: con un tremendo urlo del Signor Molina, che
invocava, con
quella sua dannata voce lacerante, di raggiungerlo al secondo piano del
negozio. Svogliatamente giunsi alla porticina che dava sulle scale:
possibile
che avesse tutti i giorni qualcosa da rinfacciarmi? Se non era il
pomodoro
troppo secco, era il melone troppo acerbo, se poi ci si metteva a
pulire le
patate senza il suo permesso, allora si, che erano guai “Ti
pago per
consegnare, non per lucidare patate!”
Scrollai l’orribile
immagine che ritraeva un Signor Molina alquanto
arrabbiato e corsi lungo le scale per raggiungere quello che lui
chiamava “il
suo ufficio”, ma che più assomigliava ad un ovile
vegetale. Respirai
profondamente prima di aprire la porta: come immaginavo il Signor
Molina era
seduto sulla sua sedia a dondolo dietro alla scrivania in vimini e ben
nascosto
da piante di ogni tipo. Fino a quel momento avevo contato ben cento
specie di
vegetali diversi: pazzesco!
Cercai
di
individuare quel suo ciuffetto bianco dietro un cactus un po’
“strinato” e lo
salutai timidamente con la mano «Florencia,
ti devo parlare» tipica frase da
guai in vista. Sebbene non avessi fatto ancora tanto nella mia vita,
ogni volta
che sentivo quella frase, un maledetto brivido mi percorreva la
schiena. Sapevo
che mi stava per succedere qualcosa di brutto, era come un fliquity,
si, il mio
sesto fliquity. “Ti devo parlare” aveva tanti
significati che facilmente potevo
associare alle persone che da tempo mi circondavano: Titina e i suoi
favori
imposti, i ragazzi e i problemi della band o ancora più
semplice il Signor
Molina e la sua sfarzosa verdura. Un incubo!
«Si-Signore!»
assunsi la posizione del tipico cadetto per nascondere la mia
preoccupazione
«Non mi
prendere in giro! La cosa è seria, Florencia!»
ritornai alla posizione
iniziale, sistemandomi la mia bellissima gonnellina verde menta «Si, però un
po’ di comicità non guasta mai!»
«Ti ripeto che la cosa
è seria, molto seria»
«Va
bene, va bene, la smetto! Però lei arrivi al sodo,
perché tutte queste pause mi
mettono una certa ansia, proprio qui, dentro al petto, una cosa
insopportabile!» mi portai una mano al cuore,
cercando di giustificare la mia insensata
reazione «Florencia,
tu sei licenziata!» strabuzzai gli occhi,
incredula alle
parole del mio capo: licenziata? Io? Ma se ero una delle migliori
fattorine del
paese, se non l’unica! «Come?»
il Signor Molina si dondolò su quella sedia che
tranne che scricchiolare dalla mattina alla sera non faceva altro «Quello che
ti ho appena detto: sei licenziata!»
«Aspetti,
lei mi sta cacciando?» lo vidi annuire senza
esitare, con le mani congiunte e
gli occhi abbassati: sapevo che non sarebbe mai tornato indietro, ma
“Mai
perdere la Speranza” diceva sempre mia madre «Un motivo? Adesso
voglio vedere
dove arriva! Lavoro come una matta dalla mattina alla sera, preparo le
cassette
della frutta, pulisco quelle della verdura e in più se
c’è bisogno faccio anche
il lavoro degli altri! Cosa c’è che non va, Signor
Molina? Sono forse troppo
sgobbona? Lavoro troppo? E’ questo forse il problema? Va
bene, farò del mio
meglio per …»
«Curiosa, impicciona,
imbranata, svampita, devo andare avanti?
Florencia, è vero che lavori tanto e che sei brava nel tuo
mestiere, ma sei
troppo goffa per i miei gusti! Ti muovi, fai cadere una cesta di mele,
parti
con la bicicletta e perdi metà consegna, credimi che non si
può andare avanti
così!» cercai il suo sguardo e
trasformai il mio in quello di un povero
cucciolo abbandonato «La
prego, un’altra possibilità! Le giuro che non se
ne
pentirà questa volta! Solo una …»
scosse la testa con gli occhi fissi sul
cactus già bello che morto «Vivi in una costante
possibilità, Florencia! La tua
vita è una possibilità che fino ad ora non ti ho
mai negato!» alzai gli occhi
al cielo invocando l’aiuto delle mie fatine, sperando che un
miracolo potesse
salvarmi da quell’orribile situazione. Non ottenendo nulla,
riportai lo sguardo
al Signor Molina «Su
via, Rogelio, cosa ti costa darmi ancora un’altra
opportunità?
Non ti chiedo di scalare l’Everest, solo una piccola
possibilità,
piccolina-ina-ina!» per l’ennesima
volta scosse il viso, ma questa volta
incrociò i suoi occhi neri con i miei e solo allora intuii
la sua buona fede
«Non
è rancore personale, cerca di capirmi, Florencia! Ho preso
la saggia
decisione di allargare lo spaccio e ho bisogno di personale
all’avanguardia,
non di gente che mi faccia perdere più tempo che
vita!» abbassai lo sguardo,
trattenendo le lacrime: a quanto pareva non gli servivo più «Non è per
te,
Florencia! Tu sei una brava ragazza, gentile e fin troppo generosa, e
se vuoi
anche un po’ goffa, ma in questo momento non ho bisogno del
tuo lavoro per
andare avanti» sentii una lacrima corrermi lungo
il viso «Non
ora … non più» lo
sentii pronunciare, mentre ancora tentavo di trattenere quelle piccole
ed acide
goccioline. Ma non c’era bisogno di piangere, la mia era
tutta tensione, tutto
quello stress accumulato per tutte quelle persone che in
realtà senza o pur
volerlo mi davano una bella e grossa badilata. Come Isidro, quante
volte lo
avevo coperto con il Signor Molina per permettergli di vedere la sua
bella?
Così mentre lui terminava la sua ultima consegna del giorno,
io finivo le mie
per sempre.
Abbandonai il
negozio con il mio piccolo scatolone tra le mani: sembrava una
sciocchezza
eppure, in quell’ovile vegetale ero riuscita a creare il mio
piccolo spazio,
fatto di cartaccie colorate e amuleti che poi più di tanta
fortuna non mi
avevano dato. Restituii le chiavi di “Artemisia”,
la bicicletta in affitto, e
mi avviai verso casa.
Che
strano che era il Destino: prima ti dava
una cosa con estremo sorriso e poi te la toglieva facendoti patire le
pene
dell’inferno. Camminavo lungo il viale “9 de
julio”, vedevo la gente sorridere,
passeggiare spensierata, mentre io? Io cos’ero? Solo una
povera disoccupata,
cacciata per la sua goffaggine!
L’intenzione di aprire un nuovo capitolo della mia
storia si stava
facendo realtà e avevo già in mente un titolo:
“Cercasi lavoro disperatamente”
«Credi che dovremmo
farli incontrare?» sentii delle voci
provenire dalla mia stanzetta, probabilmente le fatine mi erano venute
a far
visita come di consueto. Incuriosita dalla strana conversazione, mi
appoggiai
leggermente alla porta, ancora chiusa a chiave, per origliare un
pochino.
Sapevo che l’ascoltare senza permesso non era cosa buona e
giusta, però a volte
la curiosità superava qualsiasi limite e poi diciamocelo,
non lo avrebbe mai
scoperto nessuno «Ma
no, ma lo hai visto il biondino occhi blu? Io voto per
quello!» riconoscevo in lontananza la tipica
voce imbottigliata di Linfa «Si,
ma se non è Destino, non è Destino! Tagliamo la
testa al toro e facciamo quello
che dobbiamo fare!» l’arroganza di
Lumbre si sarebbe riconosciuta, anche lontana
un miglio: non avrei mai pensato che le fatine potessero avere certe
presunzioni «Ragazze,
è inutile litigare! Diamo tempo al tempo
…» se da un lato
le fatine insolenti si distinguevano dalla società,
dall’altro quelle
rassicuranti come Suelo, facevano della vita un mondo migliore. Pacata,
tranquilla e fin troppo protettiva, a volte, quando guardavo quella
sfavillante
lucina gialla, era come se incontrassi nuovamente la mamma «Si, ma se
aspettiamo quella pigrona di Flor, possiamo invecchiare e morire sul
colpo!»
«Lumbre! Modera il
linguaggio, per favore!» ormai mi ci ero
abituata,
non facevo più caso agli insulti insensati di Lumbre e ai
richiami
sconclusionati di Suelo. I battibecchi tra le fate erano ormai
all’ordine del
giorno «E tu,
Birsa non hai nulla da dire?» chiese con
dolcezza la “madrina”
delle creaturine «Chi?
Io? Di cosa stavamo parlando?» mi faceva troppa
tenerezza quella fatina verde un po’ svampita e se dovevo
essere sincera con me
stessa, un po’ mi somigliava: goffa e imbranata come piaceva
a me, perfetta! «Mi
sa che mi sono persa …» segui un
silenzio improvviso, ma proprio quando decisi
di aprire la porta, una nuova vocina mi bloccò «In
effetti ha ragione Lumbre!
Se quella ragazza non si da una svegliata, mi sa che il Destino non
potrà fare
il suo corso» origliavo e ascoltavo contemporaneamente, ma
come mio solito, non
capivo nulla delle conversazioni altrui. Cosa centravo io con il
Destino? Cosa
sapevano le fatine? Ma soprattutto con chi mi dovevo incontrare io?
Domande e
mille dubbi assalivano la mia testa in continuazione: volevo spingere
quella dannata
maniglia e chiedere spiegazione a quelle fatine chiacchierone, ma
sapevo che
entrando con quello spirito confuso che mi ritrovavo in testa, non mi
avrebbero
detto niente «Margarita
ci maledirà» disse sconsolata Linfa «Non vi
preoccupate, ho un piano» Suelo sapeva sempre
come risolvere una situazione e
per questo l’ammiravo. Improvvisamente non sentii
più nessuna voce, nessun
discorso, nessun battibecco: che se ne fossero andate? Spinsi
leggermente la
maniglia, provocando un tremendo scricchiolio, mentre scorgevo a
malapena l’ingresso
della mia piccola abitazione: vidi quattro batuffoli colorati svanire
improvvisamente, producendo una danza di vivaci brillantini variopinti.
Scostai
leggermente la porta «Sono
io» sibilai a bassa voce per non farle
spaventare «Mamma
mia! Per tutti i troll infiammati di questo mondo! Che spavento! Quasi,
quasi
mi saltava la corolla di ninfea!» un pallino blu
spuntò da dietro la specchiera
«Che
scansafatiche! Un’avvisaglia? Un richiamo? E’
impossibile per te fare uno
sforzo, Florencia?» la lucetta rossa si accese
sopra il letto, spiccando dalla
trapunta rosa shocking «Potremmo
fare come gli agenti segreti: trovare una
parola d’ordine o un gesto riconoscibile solo da noi cinque,
che ne dite?»
Brisa sbucò da una delle mie scatole colorate
«Te lo do io il gesto
se non la
pianti di dire stupidate!» guardavo stupita
l’ennesimo battibecco giornaliero:
possibile che la mamma mi avesse affidata alle
“cure” di fate così
“strane”? «Ehi,
noi non siamo strane, chiaro?» il fuoco, a
malapena percepibile, sul pallino
rosso, iniziò a brillare più che mai. Mi portai
una mano alla bocca, cercando
di fermare il mio solito fiume di parole o dovrei dire pensieri? «Coraggio
Lumbre, non terrorizzarla sempre con il tuo baccano! Perdonaci Flor, se
non te
lo abbiamo detto prima, è che …»
«E’
che cosa? Che leggete nel pensiero senza chiedere il permesso? Voi
sapete esattamente ciò che una persona prova, sente,
ingegna, progetta, insomma
voi conoscete tutto di tutti e non me lo avete mai detto?»
vedevo le quattro
lucine annuire in silenzio. Possibile che mi avessero tenuta nascosta
una cosa
simile? Che non mi avessero detto nulla? A quanto pareva si «Voi conoscete ogni
mio pensiero, ogni mie emozione, insomma tutto …»
camminavo nervosa per la stanza,
cercando di assimilare quella piccola ma traumatica rivelazione «Quindi sapevate
del sogno e delle visioni?»
«In realtà
eravamo noi ad inviartele, credo si chiami “Enesueño”?»
«Sapevate anche delle
mie strane percezioni, di quelle strambe cose che provavo
ogni volta che lo rivedevo, che lo sentivo vicino, che
…» le fatine annuivano
in silenzio, non perdendo mai le staffe o scaricandosi il barile
viceversa «Anche
quella era opera nostra!» disse senza esitazione
Suelo «Allora
lo conoscevate?
Sapevate del Principe? Sapevate tutti i fliquity della storia! O santo
Fliquity, come è possibile?» la
lucina rossa mi arrivò a tre centimetri dal
viso e mi diede una leggera scossa, facendomi sobbalzare «Sveglia! Siamo
fate!»
«Allora siete a
conoscenza anche del mio licenziamento, del fatto che il Signor Molina
si sia
stufato della mia goffaggine?» continuavo a
girarmi e a rigirarmi per tutta la
stanza «Adesso,
non siamo mica delle veggenti!» rise la piccola
luce blu «Però
sapevate che io ero dietro la porta ad origliare! Che
fliquity!»
«Eri dietro la porta ad
origliare?» ops, avevo fatto un’altra
delle mie gaffe: ora potevo stare sicura
che non mi avrebbero mai più detto niente. Perché
tutto a me?
«Flor, ho una
novità!» Maya giocherellava con uno
dei miei
amuleti preferiti: la biglia della speranza «Quando fai
così mi preoccupi»
guardavo spensierata fuori dalla finestra, cercando tra le nuvole lo
sguardo
sereno della mamma «Non ti devi preoccupare! Senti, tu sei
senza lavoro, vero?
Ho la soluzione ai tuoi problemi!» mi girai di scatto verso
la mia cara amica «Cosa
vuoi dire?»
«A casa abbiamo bisogno
di una bambinaia! Sai com’è mio fratello:
sergente e carabiniere allo stesso tempo! Vuole tenere
sotto’occhio tutto e
tutti e dato che la governante di casa è stufa di tutti noi,
Fede sta cercando
un’assistente» squadrai da cima a
fondo quella ragazzina appena quattordicenne
che sembrava avere il cervello di una della mia età: il suo
sorriso era reso
ancor più pazzerello dai codini elettrici che le davano
un’aria un po’ troppo
pestifera. Le sorrisi
«Mi stai offrendo un
lavoro?»
«Lavoro,
lavoro proprio no. Ti sto solo proponendo di fare un colloquio con mio
fratello
e poi si vedrà! Sono sicura che ti assumerà
subito, nessuno può resisterti! Nemmeno
quel rubacuori di Franco! Sai, è cotto a pennello!»
arrossii improvvisamente,
come potevo dimenticare le avance romantiche del gemello dei Fritzen e
qualcosa
«Maya! Franco
non è cotto a pennello! E’ solo un po’
…»
«Innamorato?»
la fulminai con lo sguardo «No,
affettuoso»
«Ah,
Flor, smettila di dire
cavolate! Ma se non ci credi neanche tu! Comunque, cambiando discorso,
accetti?»
guardai il soffitto per poi prendere un bel respiro «No»
Maya strabuzzò gli
occhi «Come
no?»
«No!
Non posso accettare»
«Ma Flor, saresti
perfetta per il ruolo di bambinaia! Sono sicura che i
miei fratelli ti amerebbero fin dal primo momento! Già ne
hai stecchito uno!»
sorrise maliziosamente, probabilmente riferendosi a Franco «Si, anche io amerei
i tuoi fratelli fin da subito …»
«Ma
c’è un però …»
annuii abbassando lo sguardo «Però
non mi piace avere la
compassione altrui! Non è personale Maya, anzi ti ringrazio
per aver pensato a
me, però mi dispiace, ma non posso accettare e poi
…»
«E poi
c’è Fede, giusto? Tu hai
paura di mio fratello, vero? Ma Flor, è umano, non ti
farà niente, altrimenti
avrebbe già spedito me ed i miei fratelli in un collegio in
Mongolia! Non ti
devi preoccupare! Devi solo pensare a te, ai soldini, a me e ai miei
fratelli!
Devi pensare ad essere felice!»
«Sembri diversa
Maya» mi sorrise, scuotendo energicamente i due
codini «Sono
grande! Ormai sono una donna!» presi uno dei
miei cuscini a forma di cuore e
glielo lanciai in viso «Colpita
Donna!» iniziammo una lotta sfrenata tra
solletico e
cuscini. Un vero e proprio divertimento, finché esauste ci
gettammo sul mio
morbidissimo letto ormai coperto da centinaia e centinaia di piume «Grazie,
Flor!» guardai la mia cara amica «E di
cosa?»
«Era
una vita che non mi divertivo così! Grazie!»
la strinsi forte a me, per poi
unirci in un tenerissimo abbraccio: che bella che era
l’amicizia, il sentimento
più forte e duraturo al mondo. Come diceva la mia mamma
“Esempi e benefici
fanno gli amici” e Maya era una di questi.
«Come stai?»
chiesi a Facha, seduto solo e abbandonato su
una delle panchine del Passaggio dei Baci «E come vuoi che
stia?» mi sedetti
accanto a lui «Vuoi
parlarne?» lo vidi unire le mani e con queste
coprirsi il
volto «Sto
male, Flor! La band va male, sembra che nessuno ci voglia promuovere
e in più abbiamo finito i soldi del fondo benefico! Sta
andando tutto male!»
«Non è poi
così male non essere presi da nessuna parte! Possiamo farci
una vera e propria gavetta e poi adesso che sono disoccupata proveremo
di più e
miglioreremo se necessario!» lo dissi con un
velo di tristezza nel cuore:
disoccupata con un sogno nel cassetto lontano dal realizzarsi. Ero
messa
proprio bene! «Non
è poi così male? Certo proveremo, proveremo e
riproveremo fino
alla nausea e poi? Poi verrà un produttore come Leonardo e
ci dirà: “Voi non
siete commerciali! Non ho
bisogno di diavolerie, ho bisogno di altro, di oro
puro!”? Dovremmo provare per sentirci dire questo?»
«Lascia perdere
Leonardo! Quello era solo un imbroglione da quattro
soldi!» già, Leonardo Torres,
cinquantenne povero e senza futuro, che si
definiva “produttore discografico”. Si era finto
d’oro, quando aveva il cuore
solo pieno di bugie! Ci aveva ingannati, usati, maltrattati,
promettendoci una
carriera musicale “fenomenale” come la chiamava
lui. Leonardo Torres un nome e
mille menzogne! «Facha,
non dobbiamo mollare! Se questo è il nostro sogno,
questo deve rimanere! Se sarà necessario proveremo,
suderemo, ma poi vedrai che
arriveremo sul picco dell’Everest» mi
guardò sdegnato «Il
picco dell’Everest?»
«Si, il picco! Insomma
la vetta, il
successo, chiamalo come vuoi tu! Ma non dobbiamo arrenderci! Ma non
puoi
nascondermi che stai male per altro, giusto?» lo
vidi annuire in silenzio.
Quando vedevo un amico addolorato per me era matematicamente
impossibile farmi
gli affari miei: ci stavo male, era questo il problema. Mi si stringeva
il
cuore e un improvviso magone mi prendeva l’anima: dovevo
aiutarli «E’
per
Carina, non è vero?» lo vidi ancora
una volta assentire, con il volto
completamente coperto dalle mani tremanti. Non lo dava a vedere, ma
stava
piangendo «Se
n’è andata! Mi ha lasciato, ha lasciato tutti noi
senza dire
niente a nessuno! Dalla sera della festa non è
più stata la stessa: frignava,
piangeva, lamentandosi fino alla nausea!»
“Perché non lo aveva mai fatto prima
d’ora” pensai tra me e me «Ho cercato di
parlargli, di confortarla, ma nessuno
è riuscito a rassicurarla, tanto meno io e così
se n’è andata»
«Mi dispiace,
Facha! Non sai quanto mi dispiace che tu soffra per la sua partenza, ma
forse è
meglio così, non credi? Non possiamo nascondere che
trattasse bene te e i
ragazzi, dai, sarebbe una falsissima bugia e tu lo sai bene!
E’ anche vero che
se l’amavi …»
«No,
non l’amavo!» rimasi sorpresa
dall’inaspettata risposta di Facha: in fin dei
conti la loro coppietta di innamorati era vista in tutto il quartiere
come la
più bella degli ultimi cinque anni. Era come dire? La coppia
della Telenovela
perfetta «Non
l’amavo, Flor! Mi dispiace ammetterlo, ma stavo con lei per
compassione! Aveva bisogno di una persona su cui contare, una spalla su
cui
piangere, un amico. Ecco cos’eravamo amici …
semplici e affettuosi amici …»
ascoltavo senza parole la confessione di Facha: chi l’avrebbe
mai detto? Io no
di sicuro «Ciao
Facha! Ti posso rubare Flor? Si che posso! Ciao!»
non ebbi
nemmeno il tempo di rendermene conto che Maya mi aveva già
rapita dal Passaggio
dei Baci. Povero Facha, per l’ennesima volta abbandonato solo
sulla panchina!
«Aspettami qui, che
vado a vedere se ti può ricevere, ok?»
fissavo Maya sdegnata, schifata dal fatto che era riuscita a portarmi
alla
dannata villa per affrontare il colloquio con il fratello maggiore. Ero
abbastanza arrabbiata con lei: prima mi aveva interrotto in
un’importante
conversazione consolatoria con uno dei miei amici più cari,
poi mi aveva rapita
dal Passaggio dei Baci ed infine mi aveva obbligata a presentarmi ad un
colloquio di lavoro, non ben voluto «E
non guardarmi come se avessi mangiato un
pugno di mosche! Lo faccio per il tuo bene!»
disse Maya prima di aprire la
porta d’ingresso «Bene
vuol dire mettere un amico a proprio agio, non
accompagnarlo al patibolo!»
«Oh Flor, come la metti
giù dura! Vedrai che mi ringrazierai! Aspettami
qui, ok? Sai, per il problema delle relazioni extrafamiliari! Tu resta
qui, non ti muovere!» chiuse la porta dietro di
se e mi lasciò sola fuori dall’uscio,
aspettando impaziente l’ora della mia morte. Pensavo a quanto
fosse cocciuta
quella ragazzina: quante volte le avevo detto che non avevo piacere a
conoscere
quel suo fratello alto, brutto e per di più sergente?
Migliaia! Ma a lei non
importava! Lei mi voleva come bambinaia a casa sua
“Così possiamo stare insieme”
diceva con quel suo tipico sorrisetto che ora come ora, avrei voluto
spaccare a
metà. Inoltre non avevo bisogno di un lavoro! Potevo
benissimo arrangiarmi da
sola! Chissà quante persone disoccupate si iscrivevano nel
registro cosiddetto “inattivo”
per avere lavoro? Migliaia! Ed io non avevo bisogno della compassione
di
nessuno! Tanto meno di quella di un fratello mal voluto in famiglia! Improvvisamente
sentii delle urla provenire dal giardino dei
“sogni”. Aguzzai l’udito:
sembravano le grida di un bambino, un bambino che chiedeva aiuto.
Pensai alla frase di Maya «Non ti muovere un
Fliquity! Io ci vado!» Senza
pensarci su due volte corsi verso quella voce straziante. Attraversai
cespugli,
alberi e arbusti di calle e garofani (come nel sogno): non avrei mai
pensato
che dei ricconi potessero avere una villa del genere! Sembrava che il
giardino
non finisse più! Finché, finalmente, giunsi a
quel luogo dove sembravano
provenire le urla. Guardai il gazebo, al centro del giardino, ma non
c’era nessuno.
Guardai la fontanina, dalla parte opposta del chiosco, ma anche
lì, non c’era
anima via. Infine gettai l’occhio sulla piscina, che occupava
gran parte del
territorio, mi avvicinai, vedendo un certo movimento
nell’acqua: un bambino
implorava aiuto ed io? Beh io avevo una certa paura
dell’acqua. Che fare?
ANGOLO
AUTRICE: Questo capitoletto è ricco di
avvenimenti abbastanza importanti, spero di non avervi confuso troppo
le idee!!! Intanto ringrazio __Shadow__
Flori186 e
piccolavenere96 ! Grazie ragazze, spero che
questo capitolo sia di vostro gradimento!!! Ciao e Buona
Lettura
Ps: ho fatto un nuovo tentativo con l'intestazione, perchè
non mi piceva l'allineamento... non so cosa uscirà, incorcio
le dita!
|
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Capitolo 12 *** Incidente o Accidente? ***
INCIDENTE O
ACCIDENTE?
Fin da piccola ebbi sempre
quello strano terrore dell’acqua.
Di solito si associa quest’inspiegabile paura a qualche
evento particolare o ad
un semplice incidente, ma come avete capito fino ad ora, io non sono
una
persona normale e tanto meno lo è la mia storia. In quel
giorno primaverile io
e la mia famiglia decidemmo di trascorrere un piacevole pomeriggio
all’aria
aperta in campagna. Avevo circa cinque anni e adoravo passare la
maggior parte
del tempo tra l’affetto della mia mamma e del mio
papà, soprattutto quando
insieme organizzavamo dei fantastici pic-nic. Sono soltanto vaghi
ricordi,
flashback sbiaditi, privi di colori e di una logica ben espressiva, ma
ben
ricordo quell’immagine,l’immagine che intravidi
specchiandomi quel giorno nello
stagno del parco, quel volto annientato dalla malattia, quel viso
pallido,
triste, le cui occhiaie violacee davano un evidente segno di debolezza
e
stanchezza. Un uomo, un uomo di mezza età, capelli bianchi,
spettinati,
talmente corti da farlo sembrare calvo e una macchia, quella macchia
rossa
sulla parte sinistra della fronte, una chiazza purpurea, simile ad una
voglia,
che ogni giorno vedevo crescere sul mio viso, nella stessa
posizione.
Guardavo
agitata quella piccola figura divincolarsi nell’acqua azzurra
della piscina. Implorante, quel bambino in preda al panico, chiedeva
soccorso,
supplicava aiuto ed io, impacciata più di un bradipo
inanimato non riuscivo a
muovermi. Portai confusa una mano alla fronte, dove quella piccola
macchia
scarlatta aveva preso forma nel tempo: la paura di rivedere quel volto
riflesso
nell’acqua mi terrorizzava. Non sapevo chi fosse ne cosa
volesse da me, sapevo
solo che era un fantasma venuto dall’aldilà con
chissà quale scopo nella vita!
Da piccola adoravo dar da mangiare alle paperelle dei laghetti, o
giocherellare
con la mamma mentre mi faceva il bagno. Purtroppo
quell’essere macabro mi aveva
allontanata da ciò ed io non ero stata mai più in
grado di avvicinarmi al mio
riflesso in acqua.
Il
bambino stava affogando e le sue urla strazianti riempivano di angoscia
il
giardino dei “sogni”. Mi guardai attorno in cerca
di un qualcosa che potessi
gettare in acqua per aiutarlo, ma tranne che arbusti e piante colorate,
non
c’era nient’altro. L’unica
possibilità che avevo era correre a cercare aiuto,
ma sapevo che se mi fossi allontanata da quella dannata piscina, non
sarebbe
stato sicuro trovare la persona giusta al momento giusto, per aiutare
il
piccino, anche perché la casa di Maya era un labirinto
disumano!
«Resisti!»
riuscii solo ad urlare, forse più per tranquillizzare me
stessa che il bambino “Resisti” ripensai. Ero una
vera e propria buona a nulla:
possibile che i problemi sorgessero solo e soltanto in mia presenza?
Possibile
che quel fantasma raccapricciante ce l’avesse solo con me?
Vagavo confusa avanti e indietro, davanti a quell’orribile
piscina in
preda ad una marea di dubbi: era evidente che il bambino non fosse
durato
ancora per molto «Aiuto!»
urlai con tutta la voce che avevo in corpo «Qualcuno mi
aiuti!» grida imploranti, ecco cosa ero solo
brava a fare: strilla
scongiuranti e nulla più.
Il bambino
divincolava le mani, io urlavo a più non posso e
puntualmente nessuno era la
persona giusta al momento giusto! “La mia solita sfortuna
sfacciata” pensai
mentre, scorsi dietro ad una colonna dell’incredibile portico
della villa, un
bastone. Corsi per afferrarlo: mi sentivo osservata. Intravidi
un’ombra dietro
ad uno degli innumerevoli pilastri color mattone «C’è
qualcuno?» chiesi con la
voce tremante. Che il fantasma mi fosse venuto a prendere? Scrollai
ogni
pensiero: probabilmente la paura giocava brutti scherzi. Afferrai
quella specie
di asta blu scuro con un strana spazzola spelacchiata e mi avvicinai
con
cautela all’acqua «Coraggio,
piccolino, resisti!» Pian piano allungai il
bastone, facendolo immergere lentamente nell’acqua per farlo
arrivare al
bambino. Avanzai adagio verso la piscina, tenendo chiusi gli occhi
terrorizzata
«Coraggio,
piccolino! Afferra l’asticella!»
Scivolai:
ormai credevo che il fantasma si fosse impossessato di me, del mio
corpo, della
mia anima e di tutto ciò che possedevo, invece no!
Semplicemente il Destino o
ancora più semplicemente le fatine, avevano deciso di farmi
fare un bel tuffo
in piscina. Il tocco dell’acqua fu tragico: sprofondai in
quell’immensa
freschezza, toccando con la punta del piede il fondo. Aprii gli occhi
esterrefatta e probabilmente l’istinto animale o della
sopravvivenza mi salvò.
Mi diedi una leggera spinta verso l’alto, riemergendo per lo
meno fino al
collo. Se io ero in pericolo anche il bambino lo era. Cercai di
raggiungerlo come
mi fu possibile: bracciate ampie manate. Era come una tortura!
A
fatica raggiunsi il piccino. Era una scena terribile: si agitava fino
all’esasperazione. Allungai la mano per attirarlo a me. Presa
debole, tentativo
inutile. Mi sporsi ancora un po’ più in
là e riuscii a cingergli i fianchi e a
bloccare quei suoi movimenti bruschi «Un ultimo sforzo,
piccolino!» con la voce
ormai debole per il troppo sforzo, allungai velocemente la mano per
afferrare
il bordo in cotto bagnato: con tutta quell’azione,
l’acqua agitata, ci aveva
spostati un po’ più al margine. Sprofondai e
questa volta volontariamente.
Aprii gli occhi, mi guardai attorno in cerca di un aiuto per portare il
bimbo
sulla terra ferma. Improvvisamente lo vidi. Nuovamente lui,
quell’uomo di mezza
età con quella macabra macchia che mi sorrideva. Che ridesse
della mia morte?
Stavo forse per andarmene?
Scrollai la testa violentemente per ritornare alla
realtà: ero
sott’acqua, senza fiato e con gli occhi brucianti per il
troppo cloro «Tomás!»
una voce maschile, debole, forse imbottigliata dalla troppa acqua nelle
orecchie, chiamò qualcuno. Speravo che si fossero accorti di
noi, del traumatico
incidente. Il desiderio di respirare ancora una volta unito al voler
spiegare
l’accaduto a quella voce misteriosa, mi diede
l’impulso di risalire a galla. Mi
diedi una piccola spinta come la prima volta, agitando le braccia per
trovare
più facilmente l’uscita a
quell’aggrovigliarsi di sforzi inutili. Mi dimenavo,
mi muovevo, scuotevo braccia e gambe, ma da quella dannata piscina non
uscivo:
ero come bloccata. Come se non bastasse gli occhi mi bruciavano e, cosa
molto
più importante, non riuscivo a respirare, mi mancava
l’aria!
«Aiuto»
sussurrai debolmente, mentre una scarica di bolle fuoriuscivano
dalla mia bocca, inspiegabilmente colma d’acqua. Il pensiero
di morire mi
sfiorò la mente: cosa ne sarebbe stato di me? Ma soprattutto
l’idea di non aver
minimamente vissuto mi riempiva il cuore di tristezza. Mi sentivo
imbottigliata, intrappolata, catturata, come un moscerino preda di un
famelico
ragno. I battiti del mio cuore diminuivano lentamente ed ogni movimento
aumentava inaspettatamente la mia voglia di respirare e
l’incontenibile acqua
nei polmoni. Sentivo quel liquido freddo, omicida, scorrermi per le
vene e la
testa pulsare, battere talmente tanto da non provarne dolore. Credevo
di
morire, anzi forse già lo ero, visto che
un’incredibile sensazione di pace mi
prese l’anima. Pacatamente chiusi gli occhi, le palpebre mi
si erano fatte
pesanti e l’inverosimile voglia di schiacciare un pisolino mi
avvolse …
«Flor, coraggio,
svegliati!» aprii lentamente gli occhi in
cerca della voce a me tanto cara. Una luce intensa si
impossessò del mio viso,
che dovetti coprire con entrambi le mani «E se avesse perso gli
occhi? Sapete
l’impatto con l’acqua, il fatto di essere quasi
annegata …» non riuscivo a
vedere nulla, quel bagliore vigoroso mi aveva completamente oscurato la
vista
«Se non la
smetti di dire cavolate, ti annego io con queste mie bellissime
manine, chiaro?»
«Ragazze,
per favore, non vedete quanto sta male? Piccola Flor, ti senti
bene?» scossi leggermente
il capo. La testa mi doleva ancora e sentivo i miei fliquity confusi
arrampicarsi per ogni minimo spazio del mio cervellino «Rilassati, che ora
tutto
passa …» sentii un leggero calore
avvolgermi gli occhi, completamente diverso
da quell’insistente bagliore precedente. Un tepore dolce,
mite, quasi come una
carezza mi avvolse totalmente. Aprii
gradualmente gli occhi: mi trovavo in un enorme giardino
fiorito,
ammaliato da un’affettuosa luce azzurrina, che rendeva
l’atmosfera surreale.
Piccole cascate riempievano di naturalezza il paesaggio, donando quel
tocco di
magia in più a quei bellissimi fiori che dipingevano
l’erba estiva. Voltai lo
sguardo e intravidi un esserino famigliare «Brisa?»
vidi la lucetta verde
muoversi agitata davanti ai miei occhi «Ragazze, come mai mi
vede?» la fatina si
guardava attorno spaesata, quasi frastornata ed io più
confusa di lei,
osservavo ogni suo battito d’ala «E te lo chiedi anche?
Sei solo una
scimunita!» una pallina rossa si
materializzò dal nulla «Lumbre!»
dissi stupita
da quell’incantevole magia «Vedi qualcun altro che
mi somiglia? Ah, ci sono
anche Linfa e Suelo nascoste da qualche parte! Dai buone a nulla venite
fuori!»
divertite risatine presero spazio nell’ambiente «Devi fare
più pratica con
“Illusio”!» rise la
più schizzinosa delle fate «Non prendiamola in
giro, povera
Brisa! Ha una vita davanti a se e mille e una possibilità
per sbagliare e
imparare!» osservai dolcemente le lucette
battere becco ed ala
contemporaneamente: era bello trovarsi con delle amiche, serena,
tranquilla in
un posto familiare. “In un posto familiare”
ripensai un poco confusa, mentre
riguardavo il paesaggio azzurrino che mi circondava “Io non
sono in un posto
familiare!” Suelo
probabilmente
si accorse della mia preoccupazione e mi volò accanto «Tutto bene,
piccina?»
fissavo il vuoto, ripensando alla tragica scena della piscina. Che
fosse stato
tutto un sogno, o meglio un incubo? Eppure l’acqua sembrava
così reale, così
fredda e stavo male veramente, non era una finzione … «Sputa quel rospo che
ti
intossica la gola e dicci cos’hai!»
guardai Lumbre, poi Brisa, Linfa ed infine
Suelo «Sono
morta?» le quattro fatine scoppiarono in una
sonora risata, mentre
io, confusa più che mai, le guardavo perplessa «Morta tu? Ahahah, ma
non farmi
ridere! Ma se sei più viva di una fata
chiacchierina!» quanto mi sarebbe
piaciuto avvolgere le mani attorno a quell’arrogante pallina
rossa e stringerle
forte, ma talmente forte da sentire un lieve crack «Piccola mia, non sei
morta!
Ti abbiamo salvato in tempo, prima che tu passassi a miglior vita
…»
«Scusate,
ma se migliorava la sua vita, perché non l’abbiamo
lasciata andare?»
vidi Lumbre divampare inesorabilmente le fiamme della sua luce «Sciocca, tonta,
svampita, rintontita, beota, balorda, tonta …»
la sentii sussurrare con la sua
solita insolenza, ma non ci feci più di tanto caso, ormai la
conoscevo!
«Se
non sono morta, dove
mi trovo?» gettai ancora una volta lo sguardo a
quel meraviglioso giardino che
mi circondava «Che
fatine sbadate! Perdona la nostra ostile accoglienza! Flor,
benvenuta nella nostra casa!» strabuzzai gli
occhi, sorpresa dall’ennesima
rivelazione «La
vostra casa?» possibile che mi trovassi nel Pese
delle Fate?
Probabilmente avevo dei seri problemi mentali «E dove abitate,
scusa?» cercavo
di scorgere, che ne so, una casetta, un posticino confortevole, una
dimora piacevole
o semplicemente una foglia secca dove poter schiacciare un pisolino, ma
tranne
che fiori, erba ed acqua non vedevo nient’altro «Oh, che pensa che tu
sia così
poco informata sulla nostra storia! Non importa! Noi fate amiamo la
natura e
tutto ciò che la riguarda. Per esempio io mi occupo della
terra, dei germogli e
del cambio delle stagioni. Lumbre è la protettrice del
fuoco, il fuoco
frizzante della passione e della superbia. Linfa porta con
sé la purezza
dell’acqua, mentre la nostra tenera Brisa, nasconde la forza
del vento! Devi
sapere che a noi fate vengono assegnati importanti poteri fin dalla
nascita e
durante il corso della vita, abbiamo il dovere di proteggerli,
coltivarli ed
esprimerli con tutto l’amore possibile. Viviamo per la
natura, ma soprattutto
per voi esseri umani! Sono i vostri cari che ci affidano le vostre
vite, per
accompagnarmi nel vostro Destino»
«Come mia madre
…»
«Esatto,
Margarita tempo fa ci chiese gentilmente di darti una piccola
occhiata!» segui
Linfa
«Occhiata? Spiarla vorrai dire? Mi chiedo il
perché sia nata fata? C’erano
così tanti mestieri migliori nella vita!» come
sempre nessuno fece caso alle
parole di Lumbre «Ah,
tesoro, questo è un regalo della tua mamma …»
Suelo si
avvicinò a me, mi chiese dolcemente di aprire la mano
destra. Nuovamente quel
tepore dolce mi avvolse e quando aprii gli occhi vidi una piccola noce
argentata «Una
noce?»
«Non una noce
qualsiasi, ma la noce della tua mamma!» sorrise
Suelo «Perché?»
domandai fissando malinconica quel frutto dal colore lucente «Perché non
è lei
a consegnarmela? Perché non è lei a farsi vedere?
Perché non è lei a starmi
vicino? Perché non è lei a prendersi cura di me?
Perché?» crollai in un pianto
profondo. Sapevo che sarebbe successo prima o poi, immaginavo di non
poter
nascondere la mia malinconia ancora per molto. Le lacrime scendevano
irritanti
sul viso. Mi faceva male sapere che mia madre c’era, era
presente, ma usava
particolari intermediari per comunicare con me, perché?
Perché non si
materializzava come quegli esserini colorati e mi consegnava lei i suoi
regali?
Perché?
«Su, piccola,
Flor, non essere triste! La tua mamma vorrebbe coccolarti
e prendersi cura di te, è solo che non gli è
permesso! Sai come sono ottusi là
sopra!» Suelo mi indicò divertita il
cielo «Vorrei
solo vederla ancora per una
volta, solo una …» volevo sentirla
vicina, ascoltarla, accarezzarla,
accoccolarmi al suo ventre per provare ancora quella dolce sensazione
di essere
amata. Volevo la mia mamma tutta per me. Solo e soltanto per me.
«Asciugati
quei lacrimoni e preparati!» Linfa mi
scaldò dolcemente con la sua luce,
cercando probabilmente di cancellare quelle goccioline acide «Prepararmi per
cosa?»
«Piccina
mia, non sai quanto ci dispiace, ma l’ora del the
è già passata
ed è scaduto il tempo!» «L’ora
del the? Tempo
scaduto? Non capisco …»
«Tieniti
pronta! Ah, ricorda il cuore ti dirà quando sarà
im momento giusto per piantare la noce! Ricorda, la pianterai solo per
esprimere un desiderio, solo uno!» un enorme
luce colorata mi avvolse completamente da
cima a fondo. Chiusi velocemente gli occhi, oscurando ogni piccola
possibilità
di vedere ciò che mi stava accadendo. Un forte prurito
attaccò violentemente il
mio stomaco: era come se una miriade di farfalle si divertisse a
svolazzare per
tutto il mio corpo. Mai sentita così, neanche sulle montagne
russe! L’improvviso
dolore alla testa mi colpì nuovamente e questa volta
sì che faceva male,
sembravo uno straccio nella lavatrice da tanto ero scossa su e
giù, destra e
sinistra, avanti e indietro. Solo di una cosa ero certa: mai viaggiare
con la
compagnia delle fate!
«Un, due, tre
… Un, due, tre … Un, due, tre»
mi sentivo
strana, le farfalline continuavano imperterrite a svolazzare per lo
stomaco ed
io? Io mi sentivo insolita, troppo insolita «Un, due, tre!
Dannazione! Matias
chiama un’ambulanza!» quella voce
maschile mi trasmise un non so che di
protettivo. Serena, tranquilla, pacata, lievemente trasportata da
quella voce «Coraggio!
Riprenditi! Forza! Un, due, tre!» sentii una
leggera pressione sullo sterno,
come se qualcosa mi stesse schiacciando «Dai!»
improvvisamente i polmoni si riempirono
d’aria. Spinta da un’incredibile energia, aprii
spontaneamente gli occhi,
tossendo acqua ovunque. Respiravo affannosamente, mentre mi guardavo
attorno in
cerca di qualcosa di famigliare: una decina di persone mi guardava
attonita,
preoccupata forse per me. Riconobbi Maya, la mia cara amica: il suo
viso
nervoso, angosciato, preoccupata per me. Avrei voluto alzarmi, correre
ad
abbracciarla, tranquillizzarla, ma se non avevo nemmeno la forza di
pensare e
parlare, tanto meno potevo avere quella di camminare, no? Mi faceva ancora troppo
male la testa e come
se niente fosse, facevo fatica a respirare: era come se
l’acqua mi avvolgesse
ancora con quel suo desiderio omicida, terribile!
«Fate largo
ragazzi! Lasciatela respirare! Via! Come ti senti?»
voltai
lo sguardo verso la voce, la voce che poco prima mi aveva donato la
forza
giusta per rivivere «Stai
bene?» strabuzzai gli occhi: bere mi dava
qualche
problema di sobrietà! Davanti a me il biondo, bellissimo,
affascinante, nonché
attraente Principe-Orco!
Non
un uomo qualsiasi, non un ragazzo qualsiasi, ma lui, il mio Principino
tanto
bello quanto Orco, che mi guardava con aria preoccupata, probabilmente
desideroso di sapere del mio stato. Che bello vederlo così,
tanto vicino a me,
lontano da quella collera che lo aveva invaso tempo addietro. Non mi
importava
il suo carattere scontroso, ne il perché si fosse arrabbiato
in così malo modo,
non mi importava, perché in quel momento c’eravamo
solo lui ed io. Io bagnata
fradicia da cima a fondo, che ancora sputavo acqua ovunque e lui con
quel suo
bellissimo sguardo magnetico, che mi fissava ansioso di sapere. Mi
persi ancora
una volta nei suoi occhi, il mio cuore accelerò e la vista
mi si annebbiò.Cos’era
successo ora?
ANGOLO
AUTRICE: Ho avuto molto da fare in questi giorni,
perciò eccomi qui con il nuovo capitoletto (molto strano,
devo dire, ma mi è uscito così!) un po' in
ritardo! Perdonatemi, ma non ce l'ho proprio fatta a pubblicarlo prima
di adesso! Spero almeno sia di vostro gradimento! Un grazie di cuore a
chi ha commentato la scorsa volta! Buona Lettura!
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Capitolo 13 *** Quel Piccolo Fiore di Bruin ***
____________Quel Piccolo
Fiore di Bruin___________
«Sarà
morta?» man mano che prendevo conoscenza le voci
accanto a me si facevano sempre più marcate, quasi
fastidiose «Apoplessia,
Roberta! Si chiama apoplessia!» per quanto mi
sforzassi di aprire gli occhi,
per curiosare, non ne ricavavo nulla «Apople che?»
ero paralizzata: le palpebre
pesanti, l’incessante voglia di dormire e
l’impossibilità di muovermi mi
bloccavano completamente «Basta!
Il dottore ha detto che deve riposare e se
continuate con queste chiacchiere inutili, va a finire che
sarò io a
paralizzarvi!» a stento riconobbi
l’inconfondibile voce di Maya: era proprio
una ragazza forte. Per quanto fosse delusa e amareggiata dal suo
passato,
sempre dava il meglio di se. Sapevo che sarebbe diventata una grande
donna un
giorno «E’
simpatica?» domandò per niente
intimidita la voce della probabile
bimba accanto al letto in cui mi trovavo «Sì»
rispose svogliatamente Maya «E’
buona?» continuò l’unico
ragazzino nella stanza «Fin
troppo» sentii un leggero
peso accanto al mio piede: Maya aveva accomodato svogliatamente i
gomiti sulla
coperta e sbuffò sconsolata. Quella ragazza era sempre
così facilmente
suscettibile: se toccava il cielo con un dito, il secondo dopo stava
già
attraversando l’inferno. Fin da quando la conoscevo,
affrontava alcuni argomenti
rispondendo a monosillabi, come se non le importasse nulla di tutto e
di tutti
«Quanti anni
ha?» la voce della bimba si fece quasi
più insistente
«Diciannove»
«E
…»
«E
cosa?» Maya stava perdendo la pazienza «E come si
chiama?»continuò il
ragazzino «Mi
sembrate parenti di vostro fratello! Che c’è? Ha
mandato voi per
il mio terzo interrogatorio quotidiano?» segui
un silenzio abbastanza incomodo,
dato che io potevo ascoltare gli altri senza che si accorgessero della
mia
presenza. Possibile essere goffa anche in occasioni così
“particolari”? A
quanto pareva si! E secondo dati certi la paralisi colpiva solo una
persona su
cento, naturalmente quella persona ero io!
«E …?»
ero completamente sicura
che Maya stesse fulminando la bimba senza alcun riguardo «Flor!
Si chiama Flor! Non avete di meglio da fare? Coraggio Nanerottoli,
filate via!»
anche ad occhi chiusi mi sembrava di vedere la scena: Maya accucciata
accanto
al letto che guardava irritata i due bimbi, invitandoli scortesemente a
lasciare la stanza «A far che?»
domandò
la piccina «Plays,
Toys, Games?»
«Credo che ci stia
bandendo»
«Sì,
vi sto bandendo! Ed ora smammate di qui e sappiate che non voglio
più vedervi
fino all’ora di cena!» uno scatto
improvviso e la porta si chiuse. Maya sbuffò
esausta «Santo
Cielo! Che Nanerottoli sconclusionati!» mi prese dolcemente
la
mano «Ah Flor, che ti è successo? Sai una cosa?
Non mi sembra vero vederti lì
come un cadavere in un cimitero» sorrise «Adesso
sto iniziando a parlare come
te! - sentii la presa più forte - Ci hai fatti preoccupare tutti
quanti e
credimi, far preoccupare l’intero battaglione Fritzenwalden
non è cosa da poco,
ma tu ci sei riuscita! Se sapessi cosa ha fatto mio fratello? Si, il
Mangiabambini come lo chiami tu, proprio lui! Sai cosa ha fatto? Quando
ha
visto che tu e Tomás eravate in pericolo non ha aspettato un
istante per
gettarsi in acqua a salvarvi! Sai, è grazie a lui se siete
ancora qui! Gli
unici a non averla presa bene siete tu e Tomás! Per fortuna
non te la stai
passando male come lui! Povero, dovresti vedere che febbre ha!
E’ da due giorni
che dorme senza mai svegliarsi a causa di quella maledetta febbre che
non si
abbassa! Sono preoccupata, Flor … molto preoccupata
… » riuscii leggermente a
muovere la testa. Tomás doveva essere il bambino che avevo
cercato di salvare
l’altro giorno e l’idea che stesse male, un
po’ anche a causa mia, mi
terrorizzò paurosamente. Il piccolino aveva passato questi
due probabili giorni
a cercare di recuperare le forze, come me d'altronde, però
senza riuscire ad
ottenere niente. Inoltre la mia carissima amica Maya stava male: la sua
voce
tremava ed era particolarmente preoccupata sia per la mia sorte che per
quella
del fratello. Come potevo restare lì impalata, incollata ad
un misero letto,
senza muovere nemmeno un dito? Non era da me e questo sia io che le
fatine lo
sapevamo bene, anzi molto bene. Il meglio che potessi fare era
svegliarmi e andare
ad assistere quel piccolino, anche perché sapevo che il
Mangiabambini lo aveva
abbandonato a se stesso! Non avrei mai permesso che Tomás
non si riprendesse da
quella dannata febbre, presa un po’ anche a causa mia! Quanto
era vero che mi
chiamavo Florencia Fazarino!
Con i
pensieri
ancora confusi, concentrai un piccola preghiera di aiuto alle fatine,
sperando
di non imbattermi nell’ennesimo pasticcio. Sapevo che
nonostante la loro
goffaggine e grossolanità, si sarebbero preoccupate di
starmi accanto nel bene
e nel male, come la mia mamma li aveva gentilmente imposto. Come ormai
di
consueto, quella strana energia mi percorse il corpo, facendomi
recuperare
anche le ultime forze. Con ancora la mano tra quelle di Maya, riuscii
pian
piano ad aprire gli occhi e ad imbattermi nel sorriso spigliatissimo
della mia
cara amica: per la prima volta nella loro vita le fatine mi avevano
aiutata!
«Flor!»
Maya mi
abbracciò energicamente: le ero mancata «Finalmente! Non sai
quanto mi hai
fatto preoccupare! Per un poco ho pensato che preferissi dormire che
ascoltare
i miei problemi di cuore!» entrambe sorridemmo
amichevolmente. Sapevo quanto
Maya fosse legata all’amore e in modo particolare a Gonzalo,
ma purtroppo non
sempre le cose vanno come vogliamo e anche le tortore innamorate prima
o poi
perdono il volo e la loro coppietta stava facendo questa brutta fine.
«Come
ti senti?» scorsi nuovamente preoccupazione in
quei suoi occhi nocciola
«Abbastanza
bene, direi! Mi gira un po’ la testa, ma quella
sarà colpa dei
fliquity, no?»
«Ah
Flor, non sai quanto mi sei mancata!» mi riavvolse
teneramente nelle sue
braccia «Non ho potuto parlare con nessuno oltre che con
Vale! Quella ragazza è
una chiacchierona, ma una chiacchierona …»
«Credevo fosse
tua amica!»
«E lo
è!» tornò a fissarmi
dolcemente «Ma
a volte è così pesante da digerire!»
la sua faccia buffa
nell’imitare Valentina mi fece sorridere «Fliquity! Tuo
fratello!» mi alzai
velocemente dal letto, cercando disperatamente le mie scarpette per la
stanza
«Flor, non
credo che le troverai …» non feci
caso alle parole di Maya, ero
troppo concentrata nell’ammirare la meravigliosa camera nella
quale mi trovavo
«Dove sono?» chiesi imbambolata
nell’osservare l’incantevole quadro accanto al
letto «Nella
camera di Fede!» sorrise maliziosamente Maya «Il
Mangiabambini?!»
esclamai terrorizzata, allontanandomi schifata dal letto
che poco prima avevo
occupato «C’è
da aver paura a vivere in questa stanza! Santo Fliquity hai un
cavernicolo come fratello!» guardai esterrefatta
la specie di coperta di pelo
distesa sul letto «Ha
ucciso qualche Mammut?» «Ah Flor, non cambierai
mai! Non so nulla del Mammut di mio fratello, però ti posso
offrire una bella
coscia di bradipo rustico al profumo di tigre dai denti a
sciabola!» vidi
sorridere Maya «Mi
prendi in giro?» entrambe scoppiammo in una
sonora risata
«Fliquity!
Tomás! Avevo promesso alle fatine che mi sarei presa cura di
lui!
Ah, dove sono le mie scarpe!»
«Delfina le ha
buttate!» fulminai
Maya di colpo «Come?
Delfina chi?» l’adrenalina stava
prendendo parte del mio
corpo «A chi
cavolo prende il fliquity di buttare le mie scarpe?!»
«Flor, cerca
di calmarti!» mi
invitò Maya, prendendomi per le spalle «Calmarmi? Come posso
calmarmi se le mie
scarpette preferite sono state barbaramente gettate nella
spazzatura?» dissi
portandomi una mano disperata al naso e fingendo un pianto nervoso «E si può
sapere perché lo ha fatto?» chiesi recuperando un
po’ la calma «Per il fango …»
sussurrò Maya sorridendo «Ma
il fango non è un motivo valido per buttare delle
scarpette praticamente nuove!»
«Ma
c’è dell’altro, ha detto anche che erano
fuori moda e antiqualità! Non
guardarmi così, Flor! Ho cercato di convincerla e di
riprendermi le scarpe, ma
la fidanzata di mio fratello quando si mette in testa una cosa, sa
essere
molto, ma molto aggressiva e testarda! Te le ricomprerò,
tanto con la paghetta
di Fede posso comprarmi anche un intero armadio con tutte le firme di
questo
mondo! Quindi non mi costerà nulla usarla per
un’amica come te» sorrisi di
fronte a tanta dolcezza. Non era per il fatto di avere delle scarpe
nuove, anzi
le mie snakers non si potevano nemmeno comparare
all’incredibile e affettuosa
amicizia di Maya!
L’abbracciai dolcemente «Non fa niente! Era
solo per dire!» a piedi
scalzi mi diressi verso la porta, poi mi voltai verso la mia carissima
amica
«Dove sta
Tomás?»
«Percorri il corridoio,
è la seconda porta a destra» la
ringraziai
ricevendo un bell’occhiolino.
«Sciocco
moccioso» mi avvicinai alla porta indicatami da
Maya «Non sai
quanto mi dispiace di averti addolorato» una
voce femminile e
particolarmente impudica si udiva nella probabile stanza del bambino «Un
incidente eh? Sapessi che spiacevole disgrazia, my dear! Eppure
vedendoti lì,
pacato, tranquillo con quel viso morso dal dolore mi da un non so che
di
piacevole …» incuriosita dalla
sgradevole conversazione entrai pian piano nella
camera da letto «E’
permesso?» dissi timidamente,
nell’istante in cui una coda
di cavallo nera si girò per lasciare spazio ad una donna
estremamente
sofisticata. Indossava un completo blu scuro, che si dileguava lungo i
suoi
fianchi terribilmente femminili, nonché l’esatti
opposti dei miei fliquity
goffi! Congiungeva raffinatamente le mani all’altezza del
bacino e cadeva
perfettamente in quei tacchi a spillo dello stesso blu profondo
dell’abito: in
confronto sembravo un’otaria straziata per il troppo lavoro
al circo!
«Disse
la strega quando Il Principe liberò la Principessa e vissero
per sempre felici e
contenti» la giovane mi sorrise raffinatamente,
mentre metteva una mano sulla
fronte di Tomás, addormentato nel letto. Mi si
avvicinò, squadrandomi da cima a
fondo, mettendo a fuoco ogni centimetro della mia pelle e percorrendolo
solamente con lo sguardo, fermandosi definitivamente nei miei occhi «E così tu
saresti la “Salvatrice”?» mi
guardava come un leone osservava la sua preda.
«Anche se di
eroina non hai poi tanto! Non so come i fratelli di Federico si
ostinino tanto a considerarti tale …»
si avvicinò alla porta della stanza,
dandomi completamente le spalle, segno di maleducazione, anzi, di
estrema
maleducazione. Il suo asfissiante profumo di cannella
intorpidì l’ambiente,
causandomi un impervio attacco di tosse «Grossolana!»
sussurrò schifata «Ah!»
si girò guardandomi smorfiosa «Appurato il tuo stato
fisico, ti ringrazierei se
andassi a congedarti da Federico! Quel prodigo del mio fidanzato si
preoccupa
sempre per gli altri, un giorno lo faranno Santo!»
sospirò elevando le mani al
cielo, sempre raffinatamente «Ah,
dimenticavo! E’ maleducazione non salutare,
perciò stammi bene!» girò
i tacchi e se ne andò, per fortuna, da quella stanza:
l’aria si stava facendo leggermente pesante e non solo per il
profumo!
Alzai gli
occhi al cielo, pregando le fatine che quella vipera biforcuta trovasse
un
rimedio alla sua acidità, poi rivolsi lo sguardo al
piccolino che giaceva privo
di sensi in uno dei due letti blu che occupava la stanza.
Tomás dormiva
tranquillo e beato con un panno bagnato sul viso, probabilmente per
agevolare
l’abbassamento della temperatura. Mi faceva tenerezza la sua
tipica espressione
da angioletto addolorato: come si poteva far star male una creaturina
tanto
gracile come innocente?
«Mi sa che hai bisogno di
cure!» mi avvicinai al lettino blu scuro, come
l’intera stanza naturalmente, e, dopo aver preso il panno e
averlo bagnato nel
catino sul comodino, glielo posai dolcemente sulla fronte. Il piccolo
fece una
smorfia di dolore e per proteggerlo da quella tanta sofferenza febbrile
lo
consolai stringendoli teneramente la mano.
Quando
ero solita ammalarmi, mia madre sempre mi coccolava con una delle mie
fiabe
preferite: Cenerentola. Diceva che se stavi male, il meglio che si
potesse fare
era pensare a qualcosa che ti facesse sorridere: nel mio caso le fiabe.
Non
sapevo se al bimbo avrebbe fatto piacere ascoltare una storia di
principi e
principesse, ma era ovvio che tentar non nuoce, quindi alternando il
racconto,
alle coccole e al cambio del panno, narrai la fiaba che fin da piccola
mi aveva
fatto sognare ad occhi aperti. Chi nella propria infanzia non si era
mai
affezionato ad una storia in particolare? Chi non aveva mai sognato di
somigliare un po’ alla fanciulla sporca di fuliggine, ma
amabile e generosa? E
infine chi non aveva mai sperato di aprire gli occhi e trovarsi a
danzare in un
meraviglioso palazzo con un affascinante principe? Cenerentola sembrava
avere
tutti i buoni requisiti per essere la mia fiaba preferita e sicuramente
sarebbe
piaciuta anche a quel piccolino che giaceva nel letto inerme.
«Vedo che stai
meglio» una voce mi fece trasalire. Mi girai
di colpo, portandomi una mano al cuore per lo spavento appena ricevuto
e mi
imbattei nella perfetta figura del Principe. Con il suo fascino ed
estremo
pudore mi guardava dallo stipite della porta, come meravigliato dalla
mia
presenza in quella stanza. Indossava un completo grigio con una
cravatta blu,
perfettamente intonata ed i capelli biondi, leggermente corti,
mettevano in
risalto la vigorosa barba sul viso. Entrò lentamente nella
stanza e si sedette ai
piedi del letto, mentre osservavo ogni suo movimento sbigottita per
averlo così
vicino e non riuscire nemmeno ad articolare parola «Come stai?»
mi chiese,
mentre accarezzava dolcemente la fronte del piccolo «Bene» sussurrai
visto la
mancanza di fiato dall’emozione «Con tutti questi
incidenti non ci siamo ancora
presentati» sorrise nervoso, ma già
morivo di fronte a tanta tenerezza
«Federico Fritzenwalden» mi porse educatamente la
mano, che accettai timorosa «Flor
… encia! Ehm,
volevo dire
Flor, cioè Florencia!» "Federico Fritzenwalden fidanzato" pensai
sconsolata ricordando le parole della giovane coda di foca.
«Flor
o
Florencia?» chiese in tono scherzoso «Flor, ehm, Florencia! Insomma,
come vuoi tu!» mi odiavo per quanto potessi
essere noiosa ed estremamente goffa
di fronte agli altri. Mi odiavo per essermi distinta così
facilmente e
negativamente davanti al Principe dei miei sogni che aveva finalmente
un viso,
il viso del fratello di Maya! Altro che Mangiabambini brutto, grasso e
cattivo,
lui era la perfetta copia del Principe di Cenerentola: bello, bello e
bello,
possedeva proprio tutte le qualità dell’uomo
perfetto, un sogno!
«Ti dirò
subito che non sono abituato né a scusare
né a ringraziare, nonostante ciò, sappi solo che
hai tutta la mia fiducia e
gratitudine!» alzai lo sguardo incontrandomi con
il suo: sarà stato anche un
Principe bello, bello e bello, ma di umiltà ne aveva una
gran, bella e poca
«Non so, chi in
una situazione del genere avesse fatto quello che hai fatto tu!
Dimmi una cosa, Flor, tu non sai nuotare, vero?»
annuii in silenzio «Lo
immaginavo, grazie al Cielo Maya è venuta ad avvisarmi prima
del peggio!»
«Grazie!»
incalzai timidamente «Io
invece sono abituata a ringraziare per qualsiasi cosa
e tu mi hai salvato la vita, per tanto grazie!»
abbassò lo sguardo abbastanza
nervoso, mentre allentava con la mano il nodo della cravatta. Dopo
qualche
istante di silenzio, passato a contemplare quella sua dannata bellezza,
fu lui
il primo a interromperlo «Bene,
credo sia giunto il momento di salutarci» disse
alzandosi dal letto e raggiungendo la porta della stanza, non prima
sicuro che
il panno sulla fronte del bimbo fosse umido «Greta, la mia
governante ti
accompagnerà alla porta. Per qualsiasi cosa
…» abbassai gli occhi intravedendo
i miei pugni fortemente contratti «Io
non me ne vado!» sussurrai flebilmente
«Come
scusa?» alzò un sopracciglio,
probabilmente meravigliato «Ho
detto che io
non me ne vado di qui prima che Tomás si sia completamente
ristabilito!» non
ero mai stata così decisa e diretta in tutta la mia vita che
in quel momento «Tu
mi stai dicendo che vuoi restare qui, in casa mia a prenderti cura di
mio
fratello? Hai tutta la mia fiducia e la mia gratitudine, certo, ma cosa
ti fa
credere che te lo permetterò?» mi
alzai dalla sedia che avevo occupato
precedentemente per prendermi cura del bambino e mi avvicinai
cautamente a
Federico «Per
colpa, sensi di colpa! Avrei potuto salvarlo se avessi voluto, ma
la mia paura ha vinto ancora ed ora Tomás sta male a causa
mia!»
«E
tu credi che lascerei mio fratello nelle mani di una
sconosciuta?» «Flor non
è una sconosciuta!» Maya si intromise
di soppiatto nella camera da letto,
attirando completamente l’attenzione mia e del Principe
«Flor
è una mia amica
ed è una persona estremamente affidabile e generosa! Se
dovessi affidare le
cure di mio fratello ad una persona, sicuramente eleggerei Flor come la
migliore!» Maya mi strizzò
l’occhio ed io le sorrisi «E
da quando tu
frequenti
gente più grande di te?» chiese il
fratello alla mia amica, che nervosa si passò una mano tra i
capelli «Mi
stai
dando della vecchia?» Federico mi
guardò sconsolato ed abbassai lo sguardo
un po’ imbarazzata «E’
anche simpatica! Su Federico, dalle l’opportunità
di
rimediare ai suoi errori, in fin dei conti starebbe qui solo per pochi
giorni,
intanto che Tomás recupererebbe le forze! Coraggio, Federico
… » Maya e la sua
buffa faccia da coniglietto erano entrate nuovamente in scena solo e
soltanto
per il povero Principe spaesato «Devo
parlarne con Delfina» a sentire quel nome
mi morsi la lingua «A
proposito di Delfina, dille che
ciascuno
pensi agli affari suoi e non si impicci di quelli degli altri,
perché le scarpe
nuove me le va a ricomprare lei!» Federico
guardò male prima me e poi Maya
«Lasciala
perdere, Fede! Ascoltami, non hai bisogno delle idee assurde della
tua fidanzata per permettere a Flor di stare qui per qualche
giorno!»
«Maya,
devi capire che devo sapere cosa ne pensa a riguardo! Le porto
una sconosciuta in casa!»
«Federico, questa casa non è la sua,
bensì la nostra, per tanto non devi
assolutamente chiedere permesso a nessuno per far restare qui qualcuno,
anzi,
dovresti chiederlo ai tuoi fratelli, soprattutto a quello
più piccolo che muore
di febbre nel letto! Ah, cosa sto qui a spiegartelo!»
così come era venuta,
Maya se n’era andata. Forse aveva ragione, a quanto pare il
Principe vigoroso
dei miei desideri esisteva solo e soltanto nei sogni, nella
realtà lo aveva
sostituito un brusco vigliacco!
Federico si appoggiò
all’armadio bianco della stanza, riflettendo forse
sul da farsi. Non passò nemmeno qualche secondo che
già mi fissava
imperterrito. Le gambe mi tremavano: il fatto di essere sottoposta a
quegli
occhi color miele mi inquietava e non poco «Resterai solo finché
Tomás non
riprenderà le forze e poi te ne andrai! E quando dico te ne
andrai, dovrai
farlo anche dalla vita di Maya! Non mi piace che una ragazza come lei
frequenti
gente molto più grande e di un …»
alzai lo sguardo nascondendo la mia rabbia
dietro una stupida ironia «Un
diverso stato sociale? E’ questo quello che forse
vuoi dire? Bene, non si preoccupi che il mio misero stato sociale non
interferirà in alcun modo con quello della sua
famiglia!»
«Esatto non
dovrai interferire in alcun modo con la mia famiglia! Ti
farò preparare una
camera da Greta»
«Non ne ho bisogno,
rimarrò accanto al bambino a costo di dormire in
piedi come un cavallo, in questo modo la mia
“povertà” non sporcherà il
vostro
letto pulito» lo provocai ironicamente «Per qualsiasi cosa,
domanda alla
servitù del mio studio, io sarò
lì!» uscì dalla stanza
portandosi accuratamente
la coda tra le gambe «Che
presuntuoso! Non dovrai interferire in alcun modo con
la mia famiglia» lo canzonai mentre riprendevo
posto sulla sedia e bagnavo
accuratamente il panno per rimetterlo sulla testa del bambino «Che si nasconda
pure nel covo della bestia, tanto io sarò qui e lui
lì, chi potrà mai
permettermi di interferire con la sua famiglia? Solo e soltanto la sua
presunzione!»
«Eccomi
Flor!» Maya uscì da quello che fino a pochi
secondi
prima avevo scambiato per un armadio «Maya, che ci fai
qui?» chiesi urlando a
bassa voce per non svegliare il piccolo Tomás «Ti ho portato
l’occorrente!» mi
mostrò la mia borsa in jeans che chissà dove
avevo sconfinato e, in preda
all’eccitazione l’afferrai di colpo. Controllai
velocemente se ci fossero tutte
le mie cosine e cosette e, solo dopo aver confermato il tutto, tirai un
enorme
sospiro di sollievo «Grazie
Maya, credevo l’avesse presa tuo fratello! A
proposito di fratello, tu non dovresti essere qui! Te l’ho
già detto che non
voglio problemi con quel presuntuoso di Federico, chiaro?»
Maya prese posto
accanto a me sul letto del piccolo Tomás «Ma se già
ti piace! Comunque sono
venuta per una toccata e fuga» guardai Maya
sconcertata «Ah
sì? E sentiamo,
qual è questa “toccata e
fuga”?»
«La
mia toccata e fuga si chiama Roberta!» mi
strizzò l’occhio, supplicandomi di
reggerle il gioco «Roberta,
dici? Io non conosco nessuna Roberta, ma potresti
sempre presentarmela, che ne dici?» poi guardai
dolcemente la porta-armadio,
che probabilmente nascondeva sia Roberta che un’altra stanza «Chissà se
Roberta
permetterà che una misera donna come me la
conosca?» scherzai ironicamente con
un pizzico di dolcezza. La porta-armadio si aprii e sbucò
una bambina in
salopette colorata e codini frizzanti dello stesso colore delle
mandorle. Senza
un briciolo di vergogna ci raggiunse davanti al letto, poi
guardò Maya
indicandomi «E’
lei Flor, vero?» la mia amica annuì
sorridendo. La bambina,
divertita e senz’alcun imbarazzo mi porse la mano «Ciao Flor! Io sono
Roberta»
l’afferrai rallegrata «Piacere
mio, Roberta!» le strizzai l’occhio,
mentre Maya
la faceva accomodare dolcemente sulle sue ginocchia, accarezzandole
amorevolmente la testa. Osservai il piccolo Tomás. Dormiva
beato e la febbre si
era per lo meno abbassata quasi tutta. Avevo passato gli ultimi due
giorni a
prendermi cura di lui, evitando il più possibile di uscire
dalla stanza anche
solo per inghiottire qualcosa. Nonostante la presunzione del padrone di
casa,
dovevo ammettere che il gusto non gli mancava. Greta, la governante
straniera,
educata principalmente a non parlare, mi portava rispettivamente a
pranzo e
cena un vassoio con stuzzichini di vario tipo. Avevo cercato
più volte di parlarle,
ma era stato talmente difficile che l’unica risposta che
avevo ottenuto
era una specie di
“Non parlare, essere
ordina di Herr Federika!”.
Sorrisi al ricordare
la buffa espressione sul viso di quella donna grassottella dai capelli
a
caschetto. Era solita portare tailleur molto ampi e tristemente molto
simili.
Il suo viso la diceva tanto: doveva avere sì o no sessanta
anni, ma a causa
dell’atteggiamento un po’ troppo freddo e
distaccato, sembrava mostrarne molti
di più! Avendo poi un capo presuntuoso come il suo,
sicuramente si era
irrigidita col tempo: non pensavo che un uomo potesse ghiacciare anche
il sole!
Sì, perché quella donna era dolce, dolce e
affettuosa, questo glielo si leggeva
negli occhi, parola di Fliquity!
«E’ guarito?»
mi chiese Roberta con un briciolo di tristezza in quegli
occhi che sembravano mandorle
rotonde
«Quasi, aspetta
solo un attimo!» afferrai la mia borsa e frugai
alla ricerca di
uno dei miei pazzi amuleti. Vittoriosa lo alzai al cielo: un piccolo
fiorellino
in agata nera, regalatomi dalla mia mamma «Cos’è?»
Roberta mi guardava stupita «Lascia
perdere! E’ un altro dei suoi pazzi talismani!»
incalzò seccata Maya
«Non dire
così! Sai anche tu che non sono pazzi!
– rigirai tra le dita il
fiorellino mostrandolo prima a Maya e poi alla bambina - Dovete sapere che ogni
piccolo amuleto ha un potere straordinario! Ci sono amuleti che
proteggono
dalla sfortuna e altri che te la causano. Amuleti che aiutano ad
acquisire pace
ed altri che fanno entrare nel caos! Questo è uno di
quelli!» mostrai il
piccolo oggetto in agata nera
«Ah si? E cosa fa?» domandò
Roberta eccitata
«Questo
è il Bruin!
L’amuleto contro i mali fisici! Hai un mal di testa
terribile da non riuscire più a pensare? Ti senti un nodo
alla gola che non ti
fa parlare? Ecco a voi la soluzione: Il Bruin!»
«Ti hanno ingaggiata per una
televendita?»
incalzò Maya e scoppiammo in una sonora ristata
attente a non svegliare il
malaticcio «Quindi
se ho capito bene è magia?» chiese
Roberta con aria da
mestrina «Magia
e non solo! Ma per far si che funzionino bisogna crederci ed
è
quella la parte più difficile!»
«Io ci credo!»
affermò Roberta stringendo il pugno energicamente «Vediamo
– frugai
nella borsa – Prima
mi devi parlare un po’ di te!» sorrisi
vedendo la bimba
scendere dalle ginocchia di Maya e prendere il centro
dell’attenzione agitando
freneticamente i codini «Mi
chiamo Roberta Espinosa, ho dieci anni e adoro il
gelato!» la fermai con la mano «Stop! Ho
già capito tutto! Apri la mano, chiudi
gli occhi, tira fuori la lingua – seguiva passo
a passo ogni mia parola, mentre
cautamente nella mano le ponevo una pietra a forma di goccia
– Ed ora
chiudi la
mano ed apri gli occhi!» la bimba
guardò estasiata l’amuleto, girandolo e
rigirandolo tra quelle sue piccole dita, poi, orgogliosa del regalo, lo
alzò in
aria vittoriosa «Hai
visto, Maya? Ho anche io un amuleto!» la mia
amica mi
sorrise compiaciuta «Mi
raccomando d’ora in poi non dovrai mai perderlo,
sarà
la tua protezione! Mi prometti che lo terrai sempre con te?»
le chiesi
dolcemente «Si,
te lo prometto! Quanto è vero che mi chiamo
Roberta!» mi
abbracciò teneramente: era una bambina squisita ed ero
soddisfatta del mio
“lavoro”. Mi avevano sempre detto che avevo un dono
“speciale” con i bambini ed
ora capivo il perché. Era bello vederli sorridere divertiti
davanti alle tue
parole, era bello preoccuparsi della loro persona e del loro benessere.
Federico doveva ritenersi fortunato a vivere in una famiglia ricca di
ragazzi e
bambini, se fossi stata in lui, a custodire questi bambini avrei fatto
i salti
di gioia.
«Grazie, Flor! Ciao!»
Roberta uscì correndo dalla stanza, agitando
compiaciuta il mio piccolo regalo «Bene,
sarà meglio che vada anch’io! Se Fede mi
vede qui con te, altro che viaggio in Alaska! Non sai che ramanzina mi
sono
beccata per avere amici “grandi” come te! Va beh,
vado! Ciao, a dopo!» dopo un
affettuoso bacio sulla guancia, restai nuovamente sola nella camera da
letto
dei bambini.
Guardai malinconica il fiorellino
nero, poi gli diedi un grosso bacio e
lo nascosi dolcemente sotto il cuscino di Tomás. Il bambino
sembrava stare
meglio ed ero sicura che con l’aiuto del mio amuleto sarebbe
guarito il più
presto possibile. Dopo averlo accarezzato dolcemente, posai la nuca sul
letto e
mi addormentai sognando la mia mamma.
«Ehi! Ehi tu!»
girai pian piano il viso, ancora mezzo
addormentato sul letto «Che
c’è?» domandai un
po’ scocciata dalla brusca
sveglia «Sai
cos’è questo?» mi
stropicciai gli occhi. Il bambino che poco prima
giaceva inerme sul letto, ora indossava uno smagliante sorriso e teneva
tra le
mani il mio fiorellino nero «E’
un portafortuna!» sussurrai mentre gli
scompigliavo teneramente i capelli «Ah!»
sibilò in uno sbadiglio «Tu
come
stai?»
«Bene!
Più forte di un leone e più sveglio di un
procione!» sbadigliò sfrontatamente
«Un procione
non credo proprio!» sorrisi divertita da quel
buffo nanerottolo
«Scusa, ma
posso farti una domanda?» chiese accucciandosi sul letto
«Certo,
dimmi!»
«Ma
tu chi sei?» lo guardai accigliata
“Non dovrai interferire in alcun modo con la
mia famiglia” le parole di Federico mi echeggiavano
canzonanti per la testa. In
quei pochi giorni avevo stretto amicizia con Roberta e rafforzato
quella con
Maya. In poche parole avevo disubbidito agli ordini del sergente, cosa
che se
fosse stata scoperta, mi avrebbe causato un non facile problema.
Tomás mi
guardava con i suoi occhioni dolci, molto simili a quelli del fratello,
anzi a
dir la verità mi sembrava un piccolo Federico in miniatura.
Capelli biondi,
spettinati e un po’ più lunghi, occhi color miele,
più amabili rispetto a
quelli del fratello e un viso terribilmente carino! Quando sarebbe
diventato
grande sarebbe stato la copia identica del fratello, chissà
se almeno avrebbe
avuto un po’ di umiltà in più?
Scrollai le spalle, cancellando ogni traccia della mia fervida
immaginazione e mi concentrai nel bimbo che avevo dinnanzi, impaziente
di una
risposta. Analizzai la situazione, tanto un nome in più cosa
poteva fare di
male? Nulla e poi quel giorno in cui Federico fosse venuto a conoscenza
della
mia amicizia con Roberta e Tomás, sicuramente io sarei stata
lontana anni luci
dalla sua famiglia. Questa era una certezza!
«Flor,
un’amica!» porsi la mano in segno di
saluto e il piccolo me la strinse
energicamente «Un’amica
di Fede? – scossi la testa sconsolata
– Magari
mio fratello avesse un’amica simpatica come te, invece di
circondarsi di
streghe acide e presuntuose!» in quel momento mi
resi conto di quanto quel
bambino avesse appreso il vero valore della vita! Fliquity che sveglio!
«Tu
sai cosa mi è successo?» raccontai a
Tomás la storia dell’incidente, del mio
tentativo di dargli il mio aiuto e del salvataggio finale di Federico,
naturalmente sotto i suoi occhi increduli «Cavolo mio fratello
è meglio dei
bagnini di Baywatch!» si meravigliò
il bimbo. Intenerita da quell’affermazione,
gli scompigliai divertita i capelli, per poi finire a farci solletico
sul
letto. Ormai stava bene e avrei fatto di tutto per vedere in quella
miniatura,
il sorriso che Federico mai mi avrebbe potuto dare.
«Vedo
che stai meglio, Campione!» il Principe
entrò in stanza seguito dalla giovane
che pochi giorni prima avevo visto accanto al letto di
Tomás. Federico
indossava un suo ormai tipico abito gessato e la barba incolta, gli
dava
qualche anno in più. La giovane posava delicatamente una
mano sulla spalla del
principe, fulminandomi letteralmente con uno sguardo acido e
insopportabilmente
pungente. La sua mini gonna in jeans unita all’aderente
camicia bianca, esaltava
ancora di più le sue curve femminili: volevo sprofondare
«Si, Fede! Sto
che è
una meraviglia! Flor è una grande! E’ troppo
divertente!» sorrisi
imbarazzata di fronte a così tanta tenerezza, mentre
Federico si avvicinava al
letto, avvolgendo il fratello in abbraccio affettuoso «Mi hai fatto
preoccupare, Tommy!» gli sussurrò
all’orecchio, nello stesso istante in cui,
agitando raffinatamente la sua coda di cavallo nera, la giovane
prendeva posto
sul letto, scansandomi bruscamente e mormorando uno sferzante
“Oh, Scusa!”, già
non la sopportavo!
«Anche io ho avuto tanta paura!»
rispose il piccolino avvolte dalle
braccia possenti del fratello «Però
per fortuna c’è il mio eroe a
proteggermi!» mi stavo
sciogliendo davanti a così tanto amore, soprattutto quando
Federico baciò
dolcemente il piccolo Tomás. Non nascondo che avrei voluto
anche io essere al
posto del bambino, ma mi accontentavo di vedere la scena alla lontana,
visto
che quella bisbetica coda di foca si stava avvicinando alla coppietta
come una
sanguisuga «Oh
piccolo Tommy! Quanta preoccupazione ci hai dato!»
disse
accarezzando “dolcemente” la nuca del bimbo.
Tomás in risposta, la scansò
violentemente, rifugiandosi ancora una volta tra le braccia del
fratello «Zitta
brutta strega! So che sei stata tu a spingermi in piscina!»
tutti gli sguardi
si posarono sulla giovane che, indignata, mostrò uno dei
suoi sorrisi pungenti.
ANGOLO AUTRICE:
Ciao ragazze! Perdonate il ritardo, ma ho voluto lavorarci un po' di
più nella speranza di dare ad ogni personaggio il proprio
carattere! Volevo ringraziere __Shadow__
flori186 piccolavenere96 e _Mooney_ per
i meravigliosi commenti! A voi dedico questo capitolo! Buona Lettura!
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Capitolo 14 *** Los Hermanos Fritzenchuchen ***
__LOS
HERMANOS FRITZENCHUCHEN__
Ecco come mi trasformai nella bambinaia goffa di casa Fritzenchucchen
Guardai la mia nuova stanzetta curata graziosamente in ogni minimo
dettaglio. Avevo passato l'ultimo mese a cercare e ricercare di
renderla perfetta, trasformarla nel mio nido, nel mio luogo perfetto.
Le pareti celesti coccolavano graziosamente l'ambiente, arricchito di
ogni mia piccola me: amuleti acchiappasogni appesi ovunque, talismani
contro gli spiriti maligni decoravano la porta bianca e foto graziose
della mia mamma accarezzavano affettuosamente i comodini accanto al
letto.
Era meraviglioso svegliarsi la mattina con il suo delicato sorriso sul
viso. Sembrava sussurrarmi con quelle sue dolci parole "Piccola Flor,
oggi è un giorno nuovo! Vivilo e rendilo speciale!"
Era come averla lì, accanto, pronta a vegliare su di me, a
coccolarmi, a riempirmi del suo dolce affetto materno, ad amarmi...
anche se ...
Anche se non la vedevo.
La sentivo, ma non la vedevo.
La noce che mi avevano donato le fatine, rendeva la mia mamma
più visibile e il suo cuore più accessibile, ma
avrei fatto qualsiasi cosa, se non donare la mia anima, pur di essere
riabbracciata ancora una volta, respirare nuovamente quel suo profumo
dolce o semplicemente pronunciare ancora quella parola: "Mamma" ...
Mi affacciai alla finestra imbattendomi nell'immenso giardino dei
Fritzenchucchen. Era già passato un mese dal mio arrivo in
quella casa.
La mia vita era completamente cambiata.
Se prima mi occupavo solamente di stupidi finocchi, ora dovevo pensare
a ben cinque anime diverse!
Franco, Nico, Maya, Thomás e Roberta ...
Maya ci era riuscita. Per l'ennesima volta aveva raggiunto il suo scopo.
Ero diventata la bambinaia di casa Fritzenchucchen.
Era passata appena una settimana dall'indimenticabile incidente in
piscina e dal mio incredibile soggiorno "segregato" in casa
Fritzenchucchen ed ero ritornata alla mia vecchia vita nella mia umile
pensione.
Persa nel riordinare la mia cameretta le immagini di quei giorni
giravano e rigiravano senza sosta nella mia mente "malata".In quei due
interminabili giorni avevo imparato un po’ a conoscere
Federico Fritzenchcchen, un principe sì, ma trasformato in
una bestia senza
scrupoli!
Purtroppo il mio documentario si era basato solo ed esclusivamente su
una ricerca uditiva, poiché chiusa e rinchiusa nella camera
del piccolo Tommy, avevo dovuto accontentarmi dei miei fliquity
percettivi e ascoltare le continue conversazioni della
“tranquilla” famigliola della quale ero ospite.
Mi ero fatta una strana idea dei personaggi che abitavano quel regno
inaccessibile per chiunque non avesse il permesso del sergente maggiore
Federico.
Scorbutico, nevrotico, irascibile, scontroso e tremendamente instabile.
Forse era una tipica immagine da pazzo schizzofrenico, ma di lui
conoscevo solo e soltanto le urla isteriche e squilibrate delle quali i
fratelli minori ne erano vittime.
Ricordavo perfettamente quel suo viso principesco: lo vedevo prendere
vita tra le pagine delle riviste, i fogli nei quali conservavo le mie
canzoni e fin qui nulla di strano. Federico era proprio un bel ragazzo,
scorbutico, certo, ma pur sempre un meraviglioso ragazzo. La cosa si
faceva preoccupante quando anche nelle foto, il sergente maggiore
continuava a perseguitarmi. I volti dei miei amici, di mio padre o
ancor peggio di mia madre, assumevano pian piano il volto
"meravigliosamente" mascolino di Federico.
Strano.
Molto Strano.
Io mi sentivo strana.
Com'era possibile rimanere scioccata a prima vista da un uomo
così scontroso?
Com'era possibile dimenticare quel suo viso principesco tentando di
nasconderlo tra le pagine del mio diario segreto?
Com'era possibile promettersi di dimenticarlo quando anche nei sogni mi
appariva con quel suo sorriso improbabile?
Mi ero rovinata.
Letteralmente rovinata.
Per quanto mi impegnassi a cacciarlo dalla mia mente, i fliquity
perversi di non so quale paese, vagavano disperati alla ricerca
sovrannaturale di quell'incantevole bestia. Perchè Federico
Fritzenchucchen era questo: un'incantevole bestia!
Riluttante, ostile, avverso, senza scrupoli.
Non era delicato, non aveva ne tatto ne delicatezza, anzi probabilmente
era imparentato con un elefante titolare di un negozio di porcellane!
Non aveva avuto nemmeno il minimo riguardo. Mi aveva letteralmente
cacciata dalla villa, come quando ci si libera di uno straccio troppo
vecchio per essere ancora usato!
Aveva sussurrato uno sfrontato "Arrivederci" chiudendomi la porta in
faccia, come solo la matrigna di Cenerentola era riuscita a fare,
abbandonandomi alla sorte del Destino! Perchè io cos'ero?
Una povera disoccupata.
Solo e soltanto una povera disoccupata in balia delle onde del Destino.
Gurdai il modello della rivista che stavo sfogliando. Ancora una volta
il viso di Fritnzenchucchen prese piede tra quei coloratissimi fogli:
possibile che anche la collezione autunno-inverno potesse essere presa
così di mira dalla bestia?
«Fliquity!»
chiusi violentemente il magazine e lo lancia contro il letto della
pensione. Afferrai il mio infallibile amuleto scacciapensieri e lo
posai sul cuore. Lo sentivo battere. Battere e invitarmi dolcemente a
recuperare la rivista per rivedere Federico "Sì, Federico -
pensai - I suoi capelli biondi, il suo sorriso, quella sua barbetta ...
Ah - mi morsi il labbro sognante - me lo mangerei di ... - aprii gli
occhi e guardai sconsolata l'amuleto "infallibile" - sì, me lo mangerei di
badilate! - guardai infuriata quel talismano che, per la
prima volta, aveva fallito la sua missione - Altro che scacciapensieri, sei
tu che mi fai frullare in testa strani Fliquity!»
Improvvisamente sentii il campanello suonare: la pensione di Titina era
un vero e proprio andirivieni di persone, perciò non ci feci
poi tanto caso, anzi, continuai nella mio fatidico intento di sistemare
la mia stanzetta. Naturalmente con la speranza di cacciare il Principe
dalla testa!
«Flor!
Flor!» Titina entrò velocemente nella
mia stanza, nemmeno chiedendo permesso. La fulminai, ma quando la vidi
sosprirare per la "faticosa" corsetta, le sorrisi dolcemente «Cosa c'è,
Titi? Hai visto un ghepardo?»
«Ma quale
ghepardo, ghepardo! Io direi di aver visto di meglio!»
scorsi una lieve scintilla maliziosa nei suoi occhi color cielo «Titina, mi
preoccupi» mi alzai dal pavimento, dove stavo
sfogliando le fatidivhe riviste e mi avvicinai «Sono io quella che si
dovrebbe preoccupare figliola! - si mise le mani sui
fianchi - Se mi porti un
giovanotto così in famiglia, chissà quanti bei
nipotini vedrò giocare in cortile!»
«Non capisco
questo tuo salto nel futuro, Zia»
«Sono io che
non ti capisco, figliola! Hai conosciuto un giovanotto che sembra
essere uscito da un film holliwoodiano e nemmeno me lo dici! Che brava
nipote che ho!»
«Continuo a non
capire, Titi. Potresti spiegarti senza tutti questi giri di
parole?» Titina sospirò, portandosi
una mano al cuore «Hai
ragione! Altrimenti se aspettiamo ancora un po' il bel giovanotto si
trasforma in uno scheletrino! Corri in salotto, figliola! Hai
visite!» Titina mi diede una spinta, facendomi
finire nel corridoio della pensione.
Il cuore mi batteva forte. Che visita aspettavo? Di che giovanotto
parlava la Zia? Capisco che a volte la cecità colpisca gente
più o meno giovane, però, per quanto ne sapessi,
Titina aveva una vista ferrea!
Fliquity ronzanti strampalavano sempre di più la mia testa.
L'immagine di Federico ancora mi perseguitavano e quei pazzi fliquity
si ostinavano ogni qualvolta ad esaltarne ancora di più la
bellezza principesca «Perchè?»
sussurrai quando raggiunsi la porta del salotto.
Allungai curiosa la vista lungo tutta la stanza: seduto di spalle sulla
poltrona preferita della zia c'era un uomo. Il tramonto ne oscurava la
nuca ed io non potevo di certo immaginarmi chi fosse!
Avanzai lentamente e sussurrai un timido "Buonasera". L'uomo si
alzò velocemente dalla poltrona, si sistemò i
pantaloni e si voltò verso di me «No!»
mi portai una mano alla bocca «Insomma,
non è possibile! - alzai gli occhi al cielo,
rivolgendomi completamente alle fatine - Chi siete per farmi questo?
Qual'è il vostro obbiettivo nella vita? Farmi diventare
pazza? Se fosse così vi pregherei di cambiare rotta,
perchè siete sulla strada sbagliata! - guardai
quell'ologramma di cui si era impossessato Federico Fritzenchucchen,
chiusi gli occhi e pensai positivo - Tu sei solo un'illusione! Solo e
soltanto una tremenda illusione. Sparirai, io ti dico sparirai ... al
mio tre sparirai. Uno, due e tre!» aprii gli
occhi nella speranza che quell'incubo terminasse, credendo che prima o
poi mi sarei ritrovata nel mio lettino, sotto le mie copertine a
ringraziare il Cielo e le Fatine per avermi dato il pizzicotto, ma non
era così.
Federico Fritzechucchen, o quello che poteva essere il suo ologramma,
mi guardava sconcertato. Disorientato portò le mani nelle
tasche dei pantaloni neri e mi osservò sbigottito «Buonasera anche a te,
Flo ...»
«Florencia»
lo corressi indignata, nascondendomi sotto un timido sorriso e troppo
imbarazzata per attacar briga «Giusto,
Florencia! Come stai?»
"Prima che tu apparissi meglio, ora non so" «Bene! E tu?»
la nostra conversazione non stava portando a nulla di buono. Ma
d'altronde cosa ci si poteva aspettare da due completi sconosciuti, o
meglio, una bestia in un negozio di porcellane e uno straccio troppo
vecchio per essere usato? Il nulla, perfino il Fliquity più
vuoto al mondo si sarebbe vergognato per noi.
Che Tristezza!
«Bene
- sussurrò guardandosi nervoso le scarpe - Senti, io -
gettò uno sguardo alla finestra, io lo seguii e scorsi delle
strane figure - Io
...» fissò i suoi occhi color miele
su di me, osservandomi da cima a fondo per poi sospirare irrequieto «Vuoi del
caffè, tè o qualcosa di simile?» cercai
di essere il più genitle possibile. Dovevo recuperare punti
dopo la mia fuguraccia!
«Sì,
un caffè con due zollette di zucchero»
"Altro che due zollette di zucchero servono qui!" «Arrivo
subito!»
Poco dopo tornai nel salotto con il cuore che batteva più di
prima. Per tutto il tragitto mi ero chiesta che cosa ci facesse
Federico Fritzenchucchen nella pensione di Titina a chiedere di me? Io
e lui non avevamo nulla da dirci e la "magra" conversazione di qualche
minuto prima lo aveva dimostrato!
Posai timidamente il vassoio con i due caffè sul tavolino
del soggiorno e presi posto sul divanetto rosso fuoco, di fronte alla
poltrona rustica in cui Federico sedeva altezzoso come sempre. Le gambe
accavallate, il viso chino e lo sguardo perso nel vuoto. Era nervoso,
troppo inquieto per i miei gusti!
«Eccoci qui!
- cercai di rompere il ghiaccio - Ehm,
qual buon vento ti porta qui?» sorrisi isterica:
quella situazione cominciava a pesarmi.
Imbarazzata, confusa, turbata, irrequieta, irritata e per lo
più nevrastenica!
Ecco come mi sentivo sotto il suo sguardo magnetico.
«Non stiamo
passando un buon momento a casa - si passò una
mano tra i capelli, ancora più splendenti sotto il sole del
tramonto - la mia
famiglia ha bisogno di aiuto, Tomás aveva bisogno di aiuto e
tu non ti sei negata a darglielo» sapevo dove
voleva arrivare. La bestia ostile e orgogliosa era anche timida e
paurosa.
«L'ho fatto
perchè mi andava di farlo, tutto qui!»
rise nervoso «Non
ti immagini che cosa hanno fatto i miei fratelli! -
chinò il viso - Maya
mi ha obbligato a venire qui!»
«Già,
Maya sa essere molto convincente!»
«Da quanto
tempo vi conoscete?» mi imbattei in quei suoi
due bellssimi occhi color del grano «Un
po', non ricordo precisamente quando, ma non importa! Ciò
che importa, invece è il legame che ci unisce! So che siamo
diverse, che abbiamo caratteri distinti e che lei è
più piccola di me, però non so dove sarei se non
ci fosse stata Maya - sospirai dolcemente - E' stata la mia prima vera amica!
Insieme abbiamo affrontato l'argomento dei ... - lo
guardai un po' titubante per la reazione che potesse avere - dei nostri genitori e con Franco,
poi ...»
«Conosci anche
lui?»
«E'dolcissimo
ed è un bravo ragazzo ...» ripensai a
quei sue due fari stellati: proprio per questo lo avevo soprannominato
"Farolito". Mi morsi il labbro, rivendomelo lì, sorridendomi
come solo lui sapeva fare «Il
mio Farolito ...» sussurrai, mentre vedevo
Federico sistemarsi sulla poltrona rustica di Titina «E' in viaggio ora, ha
una forza quel ragazzo, che a volte invidio!»
sembrava che quel cubetto di ghiaccio si stesse sciogliendo. A quanto
pareva mi aveva presa per il suo confessionale.
«E i tuoi
fratelli? Dico gli altri, come stanno?»
«Ti riferisci a
Tomás?»
«Mi riferisco a
Tomás, a Nico e a Roberta!»
«Ah
sì, ma Roberta non è mia sorella -
sorrise - comunque si
stanno tutti bene, anzi fin troppo bene! Sono qui per loro! Questa
settimana è stata infernale, un incubo! Feste, scherzi,
baraonde, casino ...»
«Ah, sono
proprio così felici!?» un velo di
tristezza mi colpì. Loro felici come una Pasqua ed io sola e
disoccupata.
Bello!
«Felici non
proprio! Li vedi? Sono là fuori! - mi
indicò la finsetra, dove prima avevo scorso delle
ombre: svelato il mistero - mi
hanno costretto a venire a farti un colloquio di lavoro a
domicilio» sgranai gli occhi stupefatta «Un collo
che?»
«Maya mi ha
spiegato che il giorno dell'incidente eri venuta per presentarti al
collquio di lavoro come bambinaia. Io mi sono comportato veramente male
e ...» lo guardai in viso: era troppo bello per
essere vero «Male,
male direi proprio no! Insomma, mi hai salvato la vita! Ricordami che
sono in debito con te!» sorrise. Mi morsi il
labbro dal colpo al cuore: era un Principe «Ero agitato, nervoso e
ancora sotto shok per l'incidente di mio fratello»
«Ti capisco,
anche io mi sarei comporatata così istericamente!
- mi guardò male - cioè
istericamente, istericamente no! - malissimo - che poi non ti sei comportato
istericamente, diciamo che i fliquity ti hanno dato alla testa e il
risultato ... - altro che male - Stavi dicendo?»
«Iniziamo
questo colloquio?» annuii, cercando di prendere
coraggio, ma la paura mi saliva impertinente per tutto il corpo, come
degli insipidi ragnetti.
Che fifa!
Mi chiese della mia famiglia, dei miei studi, dei miei lavori
precedenti e della mia vita attuale.
Sorpresa dalla mia forza d'animo, gli parali di mia madre e del
rapporto con mio padre. Gli spiegai che scolasticamente non ero molto
preparata, dato che al colleggio ero solita far pratica in economia
domestica che in altro.Parlai del Singor Molina e della sua follia,
naturalmente tralasciando stupidi finocchi e goffaggine di troppo.
Alla fine bevvi l'ultimo goccio di caffè e posai la tazzina
sul vassaio «Questo
è tutto!»
«Bhe, una vita
abbastanza movimentata» terminò il
suo caffè e mi porse la tazzina, che unii alla mia
«Movimentata? Insomma, mi vedi? Più monotona di me
non c'è nessun'altro al mondo! Perfino i troll rumorosi
delle caverne si divertono più di me e della mia vita
"movimentata"» sorrisi sarcastica «Non credo proprio,
Florencia. Hai passato situazioni abbastanza particolari in questi
ultimi anni. Un po' ti capisco, la perdita di tua madre deve essere
stata molto dura ...» abbassai lo sguardo
inspirando profondamente per scacciare l'onda di malinconia «Dura. Ma adesso non ne
parliamo più,ok? - mi mascherai con un sorriso
carico di energia, presa da non so dove - Allora, sono assunta?»
Federico mi guardò timoroso «Solo una cosa,
Florencia. Ti piacciono i bambini?»
Il sole stava tramontando come quel giorno. Sorrisi al ricordare
quell'indimenticabile conversazione con Federico. Non era una cattiva
persona, anzi, si era dimostrato premuroso e gentile, certo, pur
restando nei limiti del suo corpo da bestia, però un po'
più docile lo era stato.
Federico Fritzenchucchen.
Un nome e mille maschere da scoprire.
Bello e intrigante.
Tutto un Principe Azzurro.
E Maya mi aveva dato l'opportunità di scoprirlo, di
conoscerlo meglio, di svelare ogni piccolo segreto che nascondeva quel
viso tanto principesco. Perchè di una cosa ero certa:
Federico poteva essere una bestia senza scrupoli, ma a tutti si dava
una seconda opportunità per cambiare e lui era il mio
Principe Azzurro.
Sì, proprio il mio!
In quel mese avevo cercato di avvicinarmi a lui, anche solo per
osservarlo, ma purtroppo, non si sa per quale motivo, ero sempre e
costantemente rifiutata. Sembrava quasi che il Federico del "colloquio
a domicilio" fosse svanito tutto d'un tratto, per lasciare spazio al
cavernicolo di sempre.
Infuriato, irrequieto si chiudeva nello studio a far chissà
che cosa e solo raramente lo si vedeva gironzolare per il salotto.
Terribile e assolutamente diverso da Franco!
Franco
...
Come ero fortunata a conoscerlo! Era un ragazzo dolcissimo, orgoglioso,
ma estremamente modesto, anzi fin troppo modesto. Possente e poderoso,
fisicamente, ma fragile e delicato sentimentalmente. Sì
perché Franco, pur essendo un cocciuto di alti livelli come
la sorella Maya, e tenace al punto giusto, aveva un cuore tipicamente
instabile. Franco era la tipica bandiera tra il detto “Va
dove tira il vento e dove porta il cuore”. Tipico
diciassettenne con dei sogni nel cassetto legati al tennis, ma
indirizzati alle ragazze: mora, bionda o rossa che fosse, le antenne
del mio carissimo amico si drizzavano ed allora si che Cupido faceva
faville!
Ma purtroppo Franco non c'era quasi mai!
Il tennis lo portava lontano e lontano anni luce, ma, come dice il
detto "Non
c'è distanza e non ce n'è mai abbastanza se
l'amicizia è un'anima che vive in due corpi" ed
è quello che lega me e Franco: un'amicizia indescrivibile!
Non so cosa avrei fatto senza l'appoggio suo e di Maya, la
principessina viziata di casa!
Cocciuta più del fratello ed irresistibilmente convincente!
Nessuno poteva dirle di no, neanche il terribile Federico!
Nonostante questo sapeva essere oltre che una ragazza tenerissima,
anche un'amica d'oro! L'unica cosa in cui andava un po' maluccio erano
le situazioni sentimentali, quelle non erano il suo forte. Vedasi
Gonzaolo: un continuo tira e molla all'insaputa di Federico,
perchè se solo il maggiore dei Firtzenchucchen fosse venuto
a conoscenza di Romeo e Giulietta allora sarebbe stata la fine del
mondo, sopratutto se Giulietta aveva quindici anni e Romeo
ventiquattro. Ma l'amore non ha età, quindi facevo del mio
meglio per coprire la mia amica e permetterle le fatidiche scappatelle
amorose, che non nascondo, sarebbero piaciute anche a me!
Orgogliosa e terribilmente sbarazzina, Maya nascondeva nella sua
tenacia uno spirito, oltre che ribelle, anche protettivo nei confronti
dei fratelli minori Martìn e Tomás e della
cuginetta Roberta!
I tre Nanerottoli passavano la maggior parte del loro tempo a
gironzolare per la casa, inventando trucchi e parrucchi per divertirsi,
ossia scherzi e giochi per le Streghe come le chiamavano loro, ossia
Delfina Santillán, la fidanzata viscida del Principe e Maria
Laura Torrés Oviedo, la madre carogna!
Nicolas era l'unico che si distingueva nella famiglia. Gemello di
Franco, considerato in famiglia estremamente insignificante, Nico,
passava le sue intere giornate appiccicato ad una scatola elettronica
scrivendo chissà ché, senza degnarsi minimamente
del mondo che lo circondava. Sembrava essersi creato una sorte di
realtà immaginaria, che solo quella scatola grigia e
rumorosa sapeva dargli!
Curiosa per quel suo comportamento associale, tentavo in tutti i modi
di intrapprendere una conversazione sensata, pensando che magari avesse
solo bisogno di aprirsi e parlare con qualcuno, ma nulla! Rifiutata,
respinta e aggressivamente ripudiata!
Avevo trovato un Federico adolescente sul cammino!
Per l'amor del Cielo, non era una persona cattiva, ma solo e soltanto
un po' troppo aggressiva e scontrosa come il fratello!
Quindi rinunciai al tentativo dedicandomi solo e soltanto alle
attività ricreative per i bambini, evitando completamente i
padroni, donne carogne comprese!
«Floricienta!»
mi girai verso la porta leggermente aperta. La governante di casa
Fritzenchucchen mi osservava preoccupata. Greta Van e qualcosa era da
anni al servizio della famiglia, viveva a Buenos Aires da una vita, ma
quella specie di accento tedesco le era rimasto e, trasformava quella
sua aria da aristocratica europea, in bizzaria pura.
Un mito Greta!
«Floricienta,
dove essere finita?» da un mese ormai storpiava
stramapalatamente il mio nome, associandomi dolcemente alla favola di
Cenerentola,la mia preferita!
«Sì,
scusami, Greta! Sto riordinando la camera! Che c'è? Mi vuoi
dare una mano?» chiesi divertita
dall'attaggiamento scrobutico della governante cicciottella «Nein, nein! Ma che
dire? Povera Greta avere già tanti doveri da fare! Fraulein
Delfino volere te!» alzai gli occhi al Cielo,
imprecando l'aiuto delle fatine, più viste ormai da un mese!
Delfina Santillàn. Ventitré anni, alta, magra e
incredibilmente bella. Con tutte le qualità inimmaginabili
che solo un principe come Federico potesse desiderare per la tipica
moglie perfetta.
Un solo difetto?
Strega!
Strega, ipocrita, bugiarda e terribilmente schizzinosa!
Amava sputare il suo viscido veleno sui fratelli Fritzenchucchen e sul
personale della villa, naturalmente a buon occhio di Federico.
L'unico tonto che non si accorgeva di nulla perchè troppo
preso dal restare chiuso nel suo studio.
Guardai Greta, sospirando profondamente «La Strega Minore ha
deciso di passare la serata a dare ordini?»
«No chiamare
così futura sposa Fritzenwalden! Essere molto
maleducante!»
«Maleducato,
Greta! Il fatto è che mi fa venire un nervoso quella donna!
Strilla dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina, è
troppo insopportabile» mi scostai la frangetta
scocciata dalla situazione - Cosa
aveva stamattina?»
«Unghia
rotta!»
«Appunto! Cosa
interesserà a noi della sua unghia rotta! Santo Fliquity
aiutami tu!» dissi implorante al Cielo «Non dire qveste cose,
Floricienta! Tu no dovere lamentare, tu dovere lavorare! E smettere di
guradare soffitta sporca!» mi prese per mano e
uscimmo dalla stanza.
Delfina e Sofia, la sorella minore della Strega, condividevano la
stanza degli ospiti tra urla, grida e pianti isterici. Il rosa
principesco era il colore che prevaleva su tutto, che poi di
principesco la strega non aveva nulla a parte il corpo!
Entrai sorridento infastidita ed incontrai la "padrona" stesa sul letto
con un viscido serpente peluche tra le braccia «Finalmente, Florencia!
Dove eri finita?» mi osservò con il
suo solito sguardo schizzinoso «Quante
volte ti ho detto di indossare la divisa da cameriera?»
sospirai cercando di trattenere la mia ira funesta. Da un mese ormai
criticava e criticava il mio abbigliamento, definendolo volgare e
sporco. Ma non le davo retta, tanto era inutile tentare di farle
cambiare idea!
«Singor
Federico!» entrai nello studio, come sempre
senza bussare. Il Principe alzò il viso dalla scrivania in
mogano che occupava il fondo della stanza e mi guardò
leggermente scocciato «Quante
volte ti ho detto, Florencia, di bussare prima di entrare? Non dirmelo,
migliaia!» strinse i denti un po' arrabbiato «Lo so, lo so, ma
è urgente, importantissimo! - mi avvicinai alla
scrivania, scavalcando in modo sgarbato i due divani bianchi
aristocratici dello studio - Sono
volgare?» chiesi senza indignazione ne imbarazzo
«Che?»
Federico alzò un sopraciglio e mi guardò
accigliato «Dico,
sono volgare? - mostrai la mia vivacissima gonna rossa,
abbinata ad una felpa fuxia - Allora?»
il mio tono sembrava insistente.
Federico si portò le mani alla bocca meditativo, mi
analizzò da cima a fondo, per poi fissare il suo sguardo
magnetico nei miei occhi leggermente accecati dal nervosismo «No»
incrociai le braccia furibonda «A
lei vado bene così? - annui - Sicuro, sicuro? No,
perchè ci sono persone in questa casa che continuano ad
insinuare la mia volgarità nel modo di vestire, ma lei mi
aveva garantito che, essendo bambinaia, non avrei dovuto indossare
nessun abito in particolare, giusto?»
«Sì,
esatto» mormorò freddo Federico,
dondolandosi disinteressato sulla sua poltrona in pelle.
«Federico, vita
mia! Posso?» Delfina entrà
raffinatamente nello studio e, con un gesto felino,
abbracciò affettuosamente il Principe: quella vipera stava
marcando il territorio!
«Stavo parlando
con Florencia, è importante?» la coda
di foca iniziò a coccolarlo sotto il mio sguardo: baci,
bacini e bacetti sulle guance irsute di Federico, metre mi guardava con
il suo solito sguardo acido, odioso e tipicamente suo «Delfina, per
favore»
«Che
c'è? Volevo solo salutarti» disse
stampadogli un lieve bacio sulle labbra, al quale il Principe non si
ritirò affatto, sotto i miei occhi lucidi: ero persa ...
«Delfina, trovi
Flor volgare?» sospirò Federico «Chi? Florencia? Ma se
è più signorile di un persiano»
si avvicinò a me e mi pizzicò dolcemente la
guancia «In
realtà lei aveva detto che ...»
«In
realtà io avevo detto che mi saresti piaciuta diversamente
- iniziò a camminare per lo studio con le sue solite mani al
bacino - Ma va bene
così! Anche le verduraie, ops, bambinaie hanno uno stile di
vita - si diresse verso la porta - Federico, perdona l'intrusione,
volevo vederti» chiuse la porta e se ne
andò agitando le sue natiche da foca "Gatta morta!" pensai
frtustata dall'ipocrisia che circondava quella donna.
«Visto? Tutto a
posto. Continua pure il tuo lavoro, a dopo»
Chiusi la porta scocciata, infuriata, furibonda, estremamente
arrabbiata!
Se avessi potuto parlare!
«Florencia!
Florencia, insomma vuoi concentrarti in quello che stai facendo?! Quasi
mi raspi un dito!»
"Ops, scusami gatta morta! Potresti limartele tu le tue unghie feline!
Non è questo quello che fanno i gatti?" mi morsi il labbro
inferiore trattenendo la rabbia che mi stava mangiando il fegato!
Delfina mi aveva chiamata per ritoccarle la manicure che la sua
estetista "incapace", come l'aveva soprannominata lei, non era stata in
grado di farle.
Ed io?
Io ero lì, come una sguattera a strapazzarmi per rendere
felice, anzi per non sentire i capricci di quella fastidiosa vipera
viscida! Che orrore!
«Delfina, la
cena è pronta - Federico entrò in
stanza bussando la porta già leggermente aperta - Flor, cosa stai facendo?
- indossava una smagliante camicia bianca, leggermente aperta sul petto
e i pantaloni neri, gli cadevano a pennello: sembrava un Dio! - Delfina, cosa significa
questo?» sembrava irritato, molto irritato.
Un punto a mio favore!
«Una manicure,
vita mia! Una semplice ed innocua manicure. Qualche problema?»
«Delfina, tu mi
stai dicendo che la bambinaia dei miei fratelli è la tua
estetista? - Federico spostò il suo sguardo
sdegnato su di me - Per
favore, Florencia, lasciaci soli! - sussurrai un "con
permesso" e rimassi nascosta dietro la porta della stanza degli ospiti
- Delfina, Flor
è la bambinaia dei miei fratelli! Io la pago per questo non
per farti quella dannata manicure!»
«Ma
è solo per oggi, amore mio! Ho solo approfittato della
libertà di un tuo dipendente, tutto qui»
«Tutto qui un
corno, Delfina! Flor è la babysitter dei miei fratelli e
come tale deve comportarsi, non come una tua inserviente! Non voglio
assolutamente vederla fare i tuoi comodi - lo sentii
avvicinarsi alla porta - Mai
più!» aprii la porta, mentre i
fingevo di pulire il profilo di una statua del corridoio.
Mi guardò e sbuffò profondamente prima di
andarsene.
Lo vidi allontanarsi lungo il corridoio.
Federico mi aveva difesa.
Federico Fritzenchucchen in persona mi aveva difesa, salvata e protetta
da quell'insipida vipera velenosa per la prima volta nella sua vita.
Mi morsi il labbro osservando svanire anche l'ultimo suo ciuffo biondo «Grazie»
sussurrai mentre prendevo il corridoio opposto per raggiungere la
cucina e servire la cena.
«Benvenuta,
Flor! Qual buon vento ti porta al Passaggio dei "Poveri"»
Damìan spolverava un vaso in ceramica, probabilmente da
esporre per il Mercatino delle Pulci in cui lavorarava «Dai Bata, non mi
trattare così» qualche giorno
l'incidente con Delfina, avevo deciso di fare un salto al Passaggio dei
Baci per rivedere la mia comitiva. Naturalmente il privilegiato era
Bata, il mio amico di sempre!
«E come ti devo
trattare? E' da una settimana che non ti fai vedere! I ragazzi sono
furiosi, per non parlare di mia madre che invoca magie ultraterrene per
avere tue notizie! Flor si può sapere dove sei
finita?» la sua maglietta arancione esaltava
ancora di più quei suoi due occhi neri, che brillavano
preoccupati per me «Bhè,
scusa se mi sono data per dispersa, ma in villa c'è sempre
un caos! Se non è per i bambini, è per Greta. Se
non è per Greta è per la Strega Minore che si
lamenta con la Strega Maggiore e poi c'è Federico e tutta la
famiglia che è una pazzia e ...»
«Flor non
è che a stare con quei ricconi, stai diventando pazza anche
tu?» strabuzzai gli occhi «Bata! Ma che, che,
maleducato! Come puoi dare della pazza a me? A Flor, la tua amica di
sempre? E poi scusa, conosci anche tu i ragazzi e non sono per niente
pazzi!» mi scostai la frangetta nervosa «Loro non di sicuro, ma
quell'altro! Fernando si chiama, giusto?»
«Federico e
comunque non è pazzo è solo un Principino, ehm,
un padroncino vittima dei capricci della fidanzata scorbutica! Quella
sì che è una gatta morta!»
«Danita? E' una
bomba quella ragazza!»
«Delfina!
- lo corressi alzando gli occhi al Cielo - Ma che fliquity ti ha preso oggi?
Prima storpi tutti i nomi di questo mondo e poi dai della bomba a
Delfina! Hai la febbre?»
«Flor, non
cambierai mai! - sistemò l'anfora su un
tavolino in legno - Allora?
Cosa ci fai qui?» mi sistemai la gonna celeste «Ho delle commissioni
da sbrigare e poi passavo a farvi un saluto - mi guardai
attorno in cerca del gruppo - Gli
altri? Dove sono?» Bata mi guardò
sdegnato «E'
mattina! Ti ricordo che Clara frequenta il liceo e Nata studia
all'università, quindi ...» un lieve
falshback riportò la mia mente al primo incontro che ebbi
con Federico. Quel giorno mi stavo recando proprio
all'Università di Nata e, quando lo vidi, lo scambiai per un
sogno.
Un sogno che ormai era realtà.
Esisteva!
«E
Facha?» Bata sospirò amareggiato «Non so, l'ultima volta
che l'ho visto è stata ... - si
portò una mano al mento pensieroso - due giorni fa, credo! Era triste!
Ha perfino chiuso il chiostro!» mi
indicò il piccolo bar di cui Facha era dipendente. Era
vuoto. Un piccolo spazio chiuso, che per lo meno assumeva un po'
più di vivacità quando c'era quel pazzo di Facha.
«Non ti ha
detto nulla? E' per Carina?» Carina, svanita nel
nulla dopo l'incidente alla festa. Povera donna!
«No, non credo
che sia per Carina! Parlava di una ragazza, un po' più
piccola di noi! Un amore impossibile, ha detto! Ora, non chiedermi il
nome, perchè non so dirtelo, però il nostro
povero Facha è a K.O per il cuore!»
mi portai una mano al petto «Poverino!
Deve stare malissimo! Un po' lo capisco ...»
ripensai al mio adorato principino! Quanto era divino con quel suo
visino fiabesco destinato solo e soltanto a quella coda di foca!
«Non dirmi che
ti piace qualcuno?» strabuzzò gli
occhi incredulo «Ma
che dici? Io non sono innamorata di nessuno!»
«Infatti io non
ho detto "innamorata" io ho usato il verbo "piacere" che è
molto diverso!» mi strizzò l'occhio
divertito. Damìan Garcìa, da tutti chiamato Bata,
per il suo amore indescrivibile per la Batteria!
Paziente e affettuoso mi conosceva fin troppo bene! Con la sua faccina
da cagnolino indifeso era sempre pronto a togliermi da situazioni
imbarazzanti o ancor peggio il primo a ficcarmici dentro!
Una canaglia!
«E da quando
tu, ti intendi di grammatica? - incrociai le braccia e
gli scompigliai divertita i capelli - Sarà meglio che vada
da Titina, altrimenti mi traformerà in colazione!»
«Uova
strapazzate?» mi sorrise Bata «Esatto!» lo
salutai con la mano mentre raggiungevo il negozio della mia cara Zia.
Chussatz, riportava l'insegna ritraente due bellissimi modelli. Una lei
bionda dal viso d'angelo e un lui divino, per niente paragonabile al
mio Principino.
Prima che potesse giocarmi il brutto scherzo della trasformazione
varcai la porta del negozio.
Titina era in piedi con le braccia rivolte al Cielo, sussurrante
chissà quali parole. I capelli rossi erano accuratamente
raccolti in uno chignon e il completo maculato che indossava le
garantiva una forma ancora più paffutella. L'espressione
stanca e malinconica sul volto le esaltava ancora di più
quei suoi occhioni blu, ora intenti in preghiere profane.
Sorrisi, divertita da quella scena un po' troppo "buffa" «Titi?!»
la donna mi guardò sorpresa ed un enorme sorriso le si
stampò sul viso «Oh
Santa Carmela protettrice! Grazie del miracolo! - mi
abbracciò forte forte - Mia
piccola Flor, dove ti eri cacciata?» inspirai
profondamente quel suo profumo dolce di torta al cioccolato, prima di
parlare «Sono
stata un po' occupata alla villa, tutto qui!»
«Non
è tutto qui, Flor! Ti sei data per dispersa! Io non ti ho
più sentita, Bata non sapeva che fine avessi fatto, Nata era
impegnata a scuola e gli altri erano spariti! Piccolina, non mi devi
più fare un così brutto scherzo,
chiaro?» le annuii, mentre mi fondevo ancora in
un abbraccio affettoso.
«Allora? Che te
ne pare?» mi guardai allo specchio: i capelli
prima mossi mi scendevano lisci lungo la schiena, rendendomi il viso
più paffutello rispetto a prima.
"Per rimediare al tempo perduto" mi aveva detto Titina, costringendomi
a sottopormi alla sua "magia di forbice" come la chiamava lei!
«Con questo
nuovo look, conquisterai sicuramente quel brillante
giovanotto!» sbarrai gli occhi: si ricordava
ancora di Federico?
«Titi, ti ho
già detto che non gli interesso e poi, poi è
fidanzato e, e innamorato e ...»
«Ma io non sto
parlando del tuo capo! Quello è uno scorbutico senza limiti!
Io, sto parlando di quei due fari luminosi! Quegli occhi azzurro mare!
Quelle stelle cadenti per la troppa bellezza»
sgranai gli occhi incredula alle mie orecchie «Franco?!»
«Ah, quel
giovanotto è divino! E poi, figliola, diciamocelo lo tieni
in pugno!»
«Ma quale
pugno, pungo! Franco è un amico, punto e basta!»
«Sì,
un amico con due occhi divini che ti sbavano dietro! Su, pensaci! Se
fossi in te non mi farei scappare un'opportunità del
genere!» mi scostai la frangetta «Titina, ma non stiamo
mica parlando di svendite promozionali e Franco non mi sbava
dietro!»
«Se lo dici tu!
- mi accarezzò dolcemente il viso - Oh, è tardi, Tesorino!
Vieni qui, dammi il bacino e vai al villino che l'Orco ti
aspetta!»
Salutai Titina e presi il viale che mi avrebbe portato direttamente a
casa Fritzenchucchen.
Ripensai a Titina e al suo imbarazzante discorso. Franco era di certo
un bravo ragazzo e per di più stupendo! Un vero gentiluomo,
però ...
Però c'era un però ...
Quel però era Federico!
Mi piaceva tutto di lui ... proprio tutto ... dall'aspetto fisico di un
degno Principe al carattere burrascoso dell'Orco dei fagiolini magici!
Ogni volta che lo pensavo, il cuore mi palpitava, batteva
così tanto e così forte che prendeva spazio tra
tutti i miei pensieri, mandando in tilt i miei fliquity perversi che
gironzolavano per la testa inquieti e desiderosi di rivederlo ancora
una volta, ma sopratutto subito!
Perchè? Perchè? Perchè tutto a me?
Perchè avevo una voglia matta di vederlo?
Perchè se mi fissava una miriade di fliquity mi prendevano
lo stomaco, facendomi venire il più brutto mal di pancia del
secolo?
Perchè prima di passare davanti a lui, controllavo che i
capelli fossero a posto, che gli abiti fossero in ordine ed io felice e
sorridente?
Lo vedevo e tutto quello che prima era grigio, prendeva improvvisamente
colore.
Lo vedevo e non capivo più nulla.
La testa leggera, il cuore tra le nuvole, le vertigini, i brividi per
tutto il corpo, le grambe tremanti ...
Erano forse sintomi di una malattia rara?
Cosa mi stava succedendo?
Entrai in villa e lo vidi lì, in tutta la sua
maestosità seduto sul divano, con le gambe accavallate, la
camicia leggermente sbottonata ed i capelli un po' spettinati.
Aveva gli occhi chiusi: si stava rilassando ...
Il cuore iniziò a battermi sempre più veloce fino
a ritrovarmelo in gola.
Credevo di svenire ...
Mi sentivo strana.
Troppo strana.
ANGOLO
AUTRICE: Ciao a tutti! Scusate il ritardo nel pubblicare
la storia, ma ho voluto lavorarci un po' di più e forse ho
sistemato anche la grafica (Spero e incrocio le dita)
Ringrazio di cuore Flori186
piccolavenere96
Federika21
per i loro specialissimi commenti!
Grazie, ogni vostra recensione è molto gradita, anzi super
gradita!
Spero di aver soddisatto le vostre aspettative anche questa volta!
Un bacio e Buona Lettura
PS: Questo capitolo è un continuo flashback, spero capiate!
Altrimenti sarò felice di spegarvi!
|
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Capitolo 15 *** Perchè Non Lo Fa Più Spesso? ***
ddd
___PERCHE'
NON LO FA PIU' SPESSO?___
Entrai in stanza sbattendo la porta furiosamente e mi gettai stanca e
frastornata sul mio caldo lettino, certa di poter ritrovare un po' di
calma, persa in quel giorno autunnale!
Per l'ennesima volta Federico mi aveva dato la colpa per un qualcosa
che non avevo fatto!
Presi il mio diario segreto ed iniziai a disegnare e marcare insensate
linee nere per sfogare quella rabbia che mi stava mangiando il fegato!
«Strega!»
sussurrai a denti stretti per contenere quell'ira irrefrenabile.
Come di consueto stavo spolverando la cucina.
Ultimamente ero convinta che qualche presenza oscura ce l'avesse con me!
Ogni giorno strati inconfondibili di polvere si formavano
inspiegabilmente sui ripiani e mensole della cucina della villa!
Antonio, lo chef di casa, mi aveva accusata più volte, con
quei suo baffetti tipicamente italiani, di essere una buona a nulla nei
mestieri domestici e di cambiare assolutamente lavoro!
Ma sapevo ed ero certa che quel cuoco dall'accento italiano era in
realtà una buonissima persona dedia solo ed esclusivamente
alla cucina, la sua travolgente passione!
Alto e paffuto, Antonio Rivoira, torinese d'origine, garantiva di
essere un cuoco esperto già dall'età di cinque
anni, quando ghiotto di dolci, offriva il proprio aiuto alla madre
cameriera di un importante ristorante italiano.
un gene di famiglia, quindi!
Amabile e delizioso, come le sue leccornie, nessuno sapeva il motivo
del suo arrivo in Argentina e ancor meno quello in casa Fritzenchucchen!
"C'è sempre
stato!" si azzardava a dire ogni tanto Maya a tavola "Come Greta!"
completava poi.
E perchè darle torto?! Greta era preistorica ormai! Diceva
di essere giunta a casa Fritzenchucchen in una sera piovosa di
trent'anni prima ...
Una storia lunga e noiosa che qualsiasi membro di famiglia conosceva a
menadito e si rifiutava altamente a riascoltare!
Antonio e Greta non andavano d'amore d'accordo, vivevano sotto lo
stesso tetto e condividevano lo stesso ambiente (la cucina), ma avrebbe
fatto volentieri a meno l'uno dell'altra!
In un'altra vita, naturalmente, visto che ormai in questa tutti
conoscevano il loro odio-amore!
Strofinai anche l'ultima macchia sul bancone, dove lo Chef di casa
aveva appena terminato il manicaretto del giorno.
Respirai dolcemente quel delizioso profumo di cannella, ricordandomi
della mia adorata Zia, le cui delizie erano impossibili da comparare
con il cibo genuino di Antonio, ma quella era un'altra storia.
Mi passai una mano sulla fronte, asciugandomi le piccole goccioline di
sudore «Santo
Fliquity! Che fatica!» sistemai i portabiscotti
in acciaio, prendendone uno per zittire il mio sotmachino!
Guardai fuori dalla finestra che dava sul giardino della villa.
Federico, in tuta da ginnastica, stava parlando al cellulare.
Sembrava tranquillo e uno strano sorriso divertito gli colorava il
viso, riempiendomi il cuore di felicità.
Parlava, parlava e parlava, mentre io sorridevo e vagavo disperatamente
alla ricerca del suo sguardo.
Ultimamente pensavo un po' troppo a lui.
Riflettevo su ciò che mi stava accadendo, riflettevo su cosa
fossero tutte quelle emozioni che magicamente prendevano spazio nella
mia anima ogni qualvolta che lo vedevo, riflettevo e puntualmente
l'unico pensiero che mi gironzolava in testa era uno sfaticato "E' impossibile!"
Era matematicamente impossibile il fatto di essermi presa una cotta per
quell'uomo scorbutico e terribilmente freddo, eppure ...
Eppure lo vedevo così prode, virile e valoroso come un
cavaliere.
Così bello, forte e intrigante come un Principe.
Così scorbutico e sgradevole tanto da farmi battere il cuore.
Perchè lui era in grado di farmi toccare il Cielo con un
dito prima e soffrire le pene dell'Inferno poi e stranamente solo e
soltanto con i suoi gesti.
Era un uomo impossibile e ...
e lui sorrideva ed io morivo, mentre la viscida coda di foca marcava il
territorio.
Orribile.
Mi morsi il labbro quando lo vidi riprendere gli esercizi fisici per
mantenere in forma quel suo meraviglioso fisico.
Rimasi ancora un istante ad osservare ogni suo movimento «Fliquity!»
escalamai alzando gli occhi al Cielo «Dove siete, Fatine? Ho
bisogno di voi!»
«Fate? Che
stupida mocciosa! - Malala fece il suo ingresso
"trionfante" nella cucina - Da
quando le verduraie insulse come te, credono alle fate? -
mi appoggiai annoiata alla scopa che poco prima avevo utilizzato per le
pulizie - Lo sai, che le
Fate non esistono e che se esistessero non aiuterebbero una
fruttivendola indecente e lasciva come te? - camminava
perfetta per la stanza, agitando quella sua orribile chioma nera - Ops, perdonami, non volevo
insultarti!» la guardai per un istante, poi
alzai gli occhi al Cielo, impolorante che quella tortura disumana
finisse "Peccato che lo abbia già fatto!"
Maria Laura Torrès Oviedo, per tutti Malala, era la persona
più spregevole della villa, ancor peggio della figlia!
Cinquant'anni e alle spalle una perfidia indescrivibile.
Mi odiava ed io odiavo lei!
Da quando avevo messo piede in quella casa lei e la figlia avevano
fatto di tutto per cacciarmi: scherzi organizzati, cattiva luce davanti
a Federico, insulti su insulti e ancor peggio attentati alla mia vita.
Ma io ero stata zitta!
Mi ero cucita la bocca ed ero andata avanti!
Avevo bisogno di quel lavoro e anche se non lo ammettevo
esplicitamente, non volevo per nulla al mondo allontanarmi da quella
famiglia, dai bambini, ma ancor di più da Federico!
Malala.
Madre "affettuosa" di Delfina e Sofia, ma Strega Maggiore di casa!
Odiosa, perfida, malvagia ed egoista fino al midollo!
Una carogna spregevole che contagiava con la sua meschinità
la figlia maggiore, nonchè coda di foca per eccezione!
Insopportabili entrambe con quelle urla strappaorecchie che avrebbero
reso pazze perfino le mura di quella villa. Inosopportabili e
terribilmente affiatate!
Cruedelia Demon e la sua cagna dell'infamia!
La tarantola e la sua ragnetta!
Unite nel bene e nel male, o forse più nel male che nel
bene?!
«Cosa fai? Alzi
gli occhi al Cielo? Lo sai che è maleducazione?
- mi passò acccanto e mi diede un buffetto sulla guancia - Ah, già, dimenticavo!
Che educazione hai ricevuto, mia cara? Quella di un morto di
fame?»
«La prego di
smetterla!» le ordinai scocciata «Tu preghi me? Ah,
povera cucciola indifesa - passò un dito sul
bancone da lavoro, analizzando il mio lavoro - Stavi pulendo?»
«Sì»
«D'altronde
è il tuo lavoro ed è l'unica cosa che ti puoi
permettere!» sogghignò la perfida «Si può
sapere perchè ce l'avete tanto con me?»
sbottai trattenendo a stento le lacrime.
Quella donna mi stava insultanto pesantemente, sopratutto moralmente,
straziandomi il cuore. Nemmeno Dulcina e Carina avevano mai toccato
questo fondo!
Mi sentivo umiliata.
«Ce l'avete?
Che linguaggio sozzo! Comunque non capisco cosa vuoi dire,
cucciolina!»
«Perchè
lei e sua figlia Delfina mi odiate?»
«Ti sbagli,
piccolina! Noi non ti odiamo! E' solo un affetto diversamente
ordinario, intendi? - scossi il capo ancor più
umiliata di prima - Goffa,
imbranata, impertinente, impacciata, maleducata e insulsa! Vuoi che
continui? - vagava raffinata per la stanza - presuntuosa, indecente, villana,
ma sopratutto profittatrice!» feci per andarmene.
Tutto quello era troppo.
Veramente troppo!
«Non ho ancora
finito!» disse trattenendomi con un tono di voce
ancora più cattivo.
Prese il sacchetto della spazzatura e, sotto i miei occhi increduli, lo
svuotò sul pavimento. Con il restante si sporcò
un poco gli abiti ed il viso «Non
si fa, Florencia» mi mostrò uno dei
suoi sorrisi più crudeli.
Indietreggiai. Avevo capito il suo piano, l'ennesimo scherzo
giornaliero!
«FEDERICO!
FEDERICO! AIUTAMI!» urlò con la voce
più stridula e nociva che avevo mai sentito in tutta la mia
vita!
Scossi il capo, incredula di fronte a così tanta cattiveria.
Come si poteva capire una donna del genere?
Come si poteva parlarle? O ancor peggio ...
Come si poteva considerarla mamma?
«Malala! Cosa
succede?» Federico entrò in cucina,
passando dalla porta di servizio.
Lo sguardo perso e ancora evidenti i segni dello sforzo fisico.
Osservò irritato la "mamma" di casa, per poi passare il suo
sguardo gelido ed impassibile su di me. Mi scrutò
trattenendo la rabbia che vedevo sgorgare dal miele dei suoi occhi «FLORENCIA! NEL MIO
STUDIO!»
Marcai ancora più furiosa una delle ormai migliaia di linee
nere.
Strega,quella parola che echeggiava nella mia testa, iscritta nei miei
fliquity più malevoli.
Strega, sei lettere che rimanevano incise sulle pagine bianche del mio
diario con tutta la mia rabbia e tutta la mia umiliazione.
Strega era Malala, che ancora una volta aveva vinto la battaglia!
«Florencia,
dimmi qualcosa! - Federico fissava a vuoto la sua
scrivania, mentre tamburellava nervoso le dita sul legno - Coraggio!Parla! -
ruggì, facendomi sobbalzare dal piccolo nascondiglio che mi
ero creata con l'incrocio delle braccia: mi sentivo protetta - Santo Cielo, Florencia! Vuoi
almeno difenderti?! - alzai timidamente lo sguardo per
incontrarmi con due occhi assetati di furia.
Lo riabbassai intimidita - Anzi
no! Stai zitta! - iniziò a camminare
isterico per tutta la stanza fredda e gelida come lui - Lo sai che potrei cacciarti per
quello che hai fatto? - continuavo in silenzio: quella era
l'ennesima ramanzina che mi spettava dopo gli scherzi delle streghe - come puoi minimamente pensare di
comportarti così?! Io proprio non ti capisco! Cosa ti hanno
fatto Malala e Delfina per meritare tutto il tuo odio? -
mi si avvicinò con cautela, la mano posata sul mento irsuto
e gli occhi persi nel vuoto - Insomma
vuoi parlare?! PARLA!» mi ordinò
disperato.
Scattai all'indietro spaventata dalla sua reazione «Insomma, devo o non
devo parlare? Prima mi dice una cosa, poi ne fa un'altra ed io rimango
qui confusa peggio che una mucca travolta da una tromba
d'aria!» il Principe mi posò una mano
sulle labbra, sentivo il suo calore accarezzare il mio «Shhh! Non
incominciare!» gli spostai violentemente il
dito, presa da una rabbia indescrivibile «E invece io inizio!
Come e quando voglio! La sa una cosa, Signor Federico? Lei è
una persona così ottusa, ma talmente ottusa da non poter
vedere la realtà che la circonda! Passa ore ed ore, giornate
e giornate in questo studio, nel suo mondo, e poi pretende che tutto
vada bene e segua perfettamente i suoi piani! Ma sa una cosa? La vita
non è così, Federico e se le dicessi che non sono
stata io a sporcare la Signora Malala, lei mi crederebbe?
- Federico rimase impassibile, freddo come sempre - No che non mi crederebbe,
perchè lei è troppo accecato dal suo lavoro, dai
suoi interessi per potersi interessare alla bambinaia dei suoi
fratelli! Perchè Florencia Fazarino è una stupida
e sciocca verduraia, goffa ed impertinente che ne combina di tutti i
colori! - gelido e rigido, insensibile e fin troppo
glaciale - E le dico
un'altra cosa! Le dico che sono stufa ed arcistufa di farmi prendere
per il naso da tutti in questa casa e prima che ancora qualcuno riesca
ad umiliarmi e a prendersi gioco di me, sarò io a dire basta
- lo fissai dritto negli occhi - Me
ne vado!» sbattei violentemente la porta dello
studio, mentre le lacrime scendevano confuse sul mio viso furioso.
In salotto incrociai l'artefice di tutto sogghignare soddisfatta per la
vittoria «Me
ne vado! N'è felice?!» la mia era
più una domanda retorica, sapevo già quale
sarebbe stata la risposta della strega.
Mi allontanai adirata diretta nella mia stanzetta sotto le risate
fragorose di quella che fino ad allora era stata una delle mie rovine:
Maria Laura Torrès Oviedo!
«Strega!
- ripassai ancora una volta infuriata la scritta ormai permanente sul
foglio e in me - Vipera
viscida e velenosa! Accidenti a te e a tutta la tua stirpe! -
scaraventai violentemente il diario dal letto e mi rifugiai tra le
braccia del mio cuscino a forma di cuore.
Singhiozzi interminabili accompagnavano quel malinconico silenzio che
faceva da cornice alla mia stanza.
Singhiozzi che credevo non si sarebbero più fermati, che
sarebbero rimasti scritti nell'anima per la troppa umiliazione.
Singhiozzi che nemmeno l'amuleto o l'incantesimo più potente
avrebbe potuto curare.
«Missione
compiuta! - una vocina risuonò in
quell'interminabile silenzio di lacrime - che
c'è? Cosa ho sbagliato adesso?» alzai
la testa dal cuscino, mi asciugai lentamente le lacrime, mentre ancora
il pianto mi divorava l'anima.
Una lucina verde brillava davanti a me «Oltre
ad essere tonata sei anche inopportuna! - la pallina rossa
prese posto accanto a me - Tonta ed
inopportuna!» mugugnò annoiata «Tacete!
Non avete visto che la nostra piccola sta male? - il
chiarore del sole mi inebriò della sua energia - Cosa
è successo, piccola Flor?» mi chiese
con la sua solita dolcezza «Suelo
- sussurrai mentre ancora le lacrime prendevano spazio sul mio viso
addolorato. Avrei voluto abbracciare qualcuno in quell'istante,
sentirmi protetta, curata e sopratutto, amata - l'ho fatto davvero, Suelo?! Mi
sono licenziata!»
«Come
ti sei licenziata?!» esclamarono all'unisono
Lumbre, Brisa e Linfa «Shhh,
ragazze! Fatela parlare! - Suelo si avvicinò a
me e dolcemente mi accarezzò il viso - Cosa
è successo, piccolina?»
«Ero stufa ... stufa ed umiliata per colpa di quelle due
streghe»
«Malala
e Delfina» sbarrai gli occhi «Voi lo sapevate? -
vidi le quattro lucette annuire - E
allora perchè non mi avete aiutata? E' un mese ormai che
tento inutilmente di rintracciarvi e voi? Voi vi date per disperse!
Fliquity!» mi strinsi al cuscino triste ancora
più di prima
«L'impollinazione dei fiori richiede molto tempo»
«Brisa!
Taci!» la voce di Linfa sembrava essere
più stridula del solito «Perdonaci,
Flor! Credevamo che te la saresti cavata con quelle due signore! Sei
forte, coraggiosa e piena di te!»
«Imbranata e
goffa allo stesso tempo! Suelo! Come potevo difendermi ed insultarle
davanti a Federico! Lui è così cieco,
così ottuso da far venire il mal di stomaco, Santo
Fliquity!»
«No,
Flor! Non dire così! Tu non sei ne goffa ne imbranata, sei
...» Suelo mi fissò un istante «Sei
una babbea!»
«LUMBRE!
Per tutti i troll callosi di questo mondo! O TACI O TI TRASFORMO IN UNA
VIPERA VISCIDA E PIENA DI RUGHE!»
«Scusami,
Suelo! Non volevo ...» la lucetta rossa
svanì nel nulla «Lasciala
perdere! E' un po' acida per l'impollinazione poco riuscita!»
«Vuoi
fare la sua stessa fine, Brisa? - la pallina verde si
scosse leggermente - Flor,
guardami - alzai gli occhi ancora pieni di lacrime - hai
fatto la scelta giusta!»
«Come?!
Suelo, stai scherzando?! - sbottò sarcastica
Linfa - Allora
tutto il nostro lavoro non è servito a nulla? Allora la
missione "El Milagro de lo de siempre" è fallita? Tutto il
nostro paino è fallito! Incredibile! Abbiamo fatto un sacco
di sforzi per cosa? Per avere una babbea ancora più depressa
di prima? No! Io non ci sto!» rimasi di stucco
mentre anche la lucetta blu si volatilizzava.
Di quale fliquity di piano stavano parlando?
Ma sopratutto, perchè Lumbre e Linfa erano così
arrabbiate? Avevano fallito, sì, ma in che cosa?
«Flor,
non dare retta a certe Fate Infuriate! Possono dire tante di quelle
menzogne che neanche i diavoletti riescono a contare!»
Tutto stava prendendo il colore di un mistero ed io ero sempre
più triste e sconsolata.
Preparavo demoralizzata i bagagli.
Ripensavo al tempo trascorso in villa con i ragazzi, così
poco, quasi impercettibile e incalcolabile.
Quanto mi sarebbero mancati i ragazzi? Quanto mi sarebbero mancati i
bellissimi momenti passati assieme, ridendo e scherzando o inventando
piccole burle innocue per le streghe. Sì, perchè
la mia unica ancora di salvezza in quel castello erano i ragazzi,
nemmeno Federico si salvava!
Lui era il peggiore di tutti, il Dracula della situazione ed io non lo
sopportavo!
Piegai l'ultima magliettina e la inserii nella borsa.
«Flor! Flor! -
Tomás entrò di corsa nella mia cameretta - Eccoti qui! Dov'eri finita? E'
tutto il giorno che Roberta ed io ti stiamo cercando!»
cercai di nascondere i bagagli. Odiavo gli addii.
«Cosa sono
questi? - la furbetta di casa mi indicò le
valige ormai pronte - Non
te ne stai andando, vero?» le sorrisi come un
ebete «In
realtà Federico mi ha dato una settimana di vacanza! Sapete
il troppo lavoro stressa ed il meglio è riposare
...»
«Non sei brava
a raccontare le bugie, Flor! - Tomás
incrociò le braccia - dicci
la verità!»
Raccontai ai bambini l'ennesima buffonata di Malala, ignara che
qualcuno dietro la porta ci stava ascoltando.
«Ma Flor, tu
devi dirlo a Federico! - Tomás mi
abbracciò quasi disperatamente - Non te ne puoi andare! Devi
restare con me!»
«E con me!
Flor, lo sanno tutti che Malala e Delfina sono due streghe senza scopa,
non vedo il perchè dire la verità ti
spaventi?!» mi asciugai l'ennesima lacrima «Già,
lo sanno tutti tranne Federico! Non ha detto nulla, è
rimasto impassibile come sempre! Non mi ha nemmeno chiesto di
restare!»
Osservai i bambini che ormai mi sedevano di fronte sul letto. La
salopette colorata di Roberta non corrispondeva al suo animo
angosciato. Gli occhi scuri le brillavano e tratteneva a stento le
lacrime.
Il piccolo Tommy, nella sua tenacia, nascondeva una piccola debolezza,
che ancora non avevo scoperto. Gli occhi, nonostante la loro ombra
scura, celavano tristezze e sofferenze a me ancora sconosciute.
Ma il tempo era scaduto ed io non avrei avuto più la
possibilità di scoprirle.
«E' Federico -
sospirò il piccolino - Il
problema è Federico! Se non fosse per la sua
stupidità a quest'ora le streghe se ne sarebbero
già andate!»
«E' vero!
Federico non si accorge di quanto male ci vogliono Malala e Delfina! E
tu devi aiutarlo, Flor! Non te ne puoi andare così! Se ci
abbandoni, qui è la fine! Solo tu ci puoi aiutare!»
«E
come?» domandai cosciente ormai dei bambini
d'oro che tenevo tra le braccia «Stando
con noi, Flor! Convincerlo che si può essere
felici!»
«Credi che non
ci siamo accorti di nulla? Tutti sappiamo che Federico non è
più lo stesso da anni - Tomás si
asciugò una lacrima - E'
triste, cattivo e per di più non gli importana niente di
noi»
«Non dire
così, Tommy» lo strinsi ancora
più forte a me «Flor,
lui non era così! Qualche anno fa, prima che la mamma mi
abbandonasse, venivo tutte le estati qui da loro e Fede era felice,
certo, non come una Pasqua, ma di sicuro con un sorriso più
largo di quello che ha adesso!»
«Sì,
Flor! Roberta ha ragione! E' tutta colpa di quella strega di Delfina se
Fede è così! Sono sicura che gli ha fatto qualche
incantesimo malefico, perchè questo non è il mio
fratellino!»
«Sei solo tu
che ci puoi aiutare a far ritornare Fede come era prima! -
Roberta sospirò - Sei
la persona più buona che conosca al mondo e non ci puoi
abbandonare proprio adesso!»
«Ci prometti
che rimani?» gli occhi di Tomás
brillavano nell'oscurità della mia stanzetta. Era il bambino
più bello che avessi mai visto in tutta la mia vita. Bello e
coraggioso come il fratello. Due sosia indescrivibili.
«Allora?!»
insisté Roberta
«Ve lo prometto - sorrisi vedendo nascere una
nuova felicità negli occhi dei bimbi - parlerò con Federico
- li vidi avvicinarsi alla porta - alt!
Dove credete di andare senza prima darmi due bei bacini sulla guancia?!
- i due cuginetti mi si avvicinarono e mi stamparono due teneri baci
sulle guance - Molto
meglio! - se ne andarono lasciando spalancata la porta - E ora che faccio?! -
con le mani mi coprii il viso disperata - Ah, fatine dei guai datemi una
mano voi!»
«Florencia,
possiamo parlare?» Federico entrò di
soppiatto nella mia stanzetta. Strabuzzai gli occhi incredula della sua
presenza, dopo il litigio furibondo di qualche ora prima «Ehm, qualunque cosa
sia successa non è colpa mia! Sono rimasta chiusa in camera
fino ad ora e Greta può testimoniarlo!»
«No, non
preoccuparti! Non è successo niente»
sospirai sollevata dal fatto che per una volta la colpa non ricadesse
su di me.
Finalmente.
«Mi
dispiace» Federico rimase impassibile poggiato
allo stipite della porta con le braccia conserte e lo sguardo perso nel
pavimento «Le
dispiace?! - strabuzzai gli occhi ancora più
incredula di prima! Se poco prima Federico era entrato in stanza dopo
un litigio furioso, calmo e pacato come sempre, ora che si stava
scusando, aumentava dei seri fliquity dubbiosi in me. era veramente
insolito - Si sente bene?
- guardai fuori dalla finestra - Mi
sa che stasera verrà un temporalone di quelli!»
«Florencia, per
favore! Non rendermi le cose più difficili di come sono
già!»
«Ah,
perchè adesso chiedere scusa è difficile
- mi alzai pian piano dal letto e mi avvicinai a lui gesticolando
freneticamente con il dito - Ma
per favore! Chiedere scusa è la cosa più semplice
che una persona possa fare! E' segno di umiltà e
generosità! Chi non lo fa è veramente un
orco!» sbottai arrabbiata ancora più
di prima «E'
questo quello che pensi di me? - Federico mi
guardò - che
sono un orco?» mi scostai nervosa la frangetta «Bhe, è
quello che penso di lei adesso! E mi scuso se l'ho offesa, non era mia
intenzione!» Federico si sedette lentamente sul
letto che la piccola Roberta occupava accanto al mio ormai da tempo «Lo vedi? Per te
è così semplice chiedere scusa. Come fai? Sei
così ... così ...» sospirai «Lo so, sono
così strana!» sorrise scuotendo
lentamente il capo «No,
ti sbagli! Sei così diversa! - si fermò un
istante - Sei pazza, stravagante, imbranata, impertinente ...»
lo bloccai «Ehi,
ci vada piano!»
«Scusami»
«Lo vede? E'
così semplice chiedere scusa - sospirai
emozionata per quel magnifico piccolo momento "intimo" - Ah, Singor Federico!
Perchè è così freddo?»
alzò un sopraciglio sorpreso «Io non sono
freddo»
«Ma non si
guarda mai allo specchio? Sempre così imbronciato, cupo, con
quel musone che potrebbe benissimo arrivare in Europa! -
mi bloccai pensierosa - un
cubetto di ghiaccio! Ecco cosa mi ricorda, un Freezer, un cubetto di
ghiaccio - lo vidi sorridere alla mia battuta - Ah, ma lo vede come è
bello quando ride?! Ehm,
volevo dire come cambia? Le si illumina il viso talmente tanto che
sembra che il sole sia sceso in terra! Perchè non lo fa
più spesso?» alzò il
sopraciglio questa volta sorridente «Cosa?»
«Sorridere!»
«Già,
sorridere ...»
«Sorridere e
radersi quella barba, per esempio! Le hanno mai detto che somiglia ad
un cavernicolo moderno?»
«Flor, adesso
non esagerare» mi sorrise ancora una volta.
Quanto era bello?!
«Io le sto solo
dicendo la verità! Solo e soltanto la verità -
incrociai le dita e le baciai di fronte a lui - senza offesa,
naturalmente!»
Segui un lungo silenzio, in cui ognuno probabilmente pensava ai fatti
suoi.
Non so lui, ma io rivedevo impresso nella mente quel suoi sorriso
indimenticabile.
Bello e raggiante: un Sogno, come quello che ci fece incontrare la
prima volta!
«Vi stavo
ascoltando prima - sbarrai gli occhi - tu ed i ragazzi»
«Prima? E ...e
- balbettavo - e ...
cosa ha sentito?»
«Purtroppo non
tutto - sospirai sollevata - ma avrei voluto sentire di
più! - si passò nervoso una mano tra
i capelli biondi - Perchè
non mi hai detto la verità? In fondo non ti costava
nulla»
"Mi costava, eccome se mi costava!" «Ha
sentito?»
«Ho sentito che
Malala ti ha fatto un brutto scherzo! Ancora non capisco come la mia
madrina possa aver fatto una cosa simile?! - si
passò una mano sul viso - Malala -
sospirò - comunque
sia non preoccuparti, con lei ho già parlato e mi ha
garantito che non si ripeterà più. Stai
tranquilla! - si prese ancora un istante - Mi dispiace, Flor»
«E di cosa,
Federico? Non è che adesso ha preso il giro e si
andrà avanti a scusare per tutta la vita?»
«Mi dispiace
che ti sia ritrovata in situazioni sconcertanti e - mi
guardò fissa negli occhi, sentivo il cuore salirmi in gola -
e mi dispiace di non
averti creduto! - eravamo una di fronte all'altro, i
nostri occhi si fissavano a vicenda ed io mi sentivo morire.
Improvvisamente lo vidi prendermi le mani: credevo di svenire. Il suo
tocco tiepido, forte e così principesco tra le mia mani, un
poco screpolate a causa dei continui detersivi - Vorrei che tu restassi»
«N'è
è sicuro? Perchè altrimenti i bagagli sono
già pronti!» strinse ancora
più dolcemente le mie mani tra le sue «Flor, Tommy e Roberta
hanno bisogno di te ed anche io - il color miele dei suoi
occhi risplendeva alla luce del tramonto: era un momento
così romantico - come
tutti i miei fratelli d'altronde - sospirò credo un po'
confuso - ti prego resta»
Riflettei un istante non so se per decidere o per sentire ancora le sue
possenti mani cingere le mie, ma il silenzio che segui fu
indimenticabile. I nostri occhi erano un libro aperto: io leggevo i
suoi, imploranti e probabilmente lui sfogliava i miei. Quello che lesse
non so, ma rimanemmo lì immobili, mentre i minuti
trascorrevano, mentre il tempo passava accarezzandoci dolcemente sotto
quel tramonto da favola.
«FEDERICO!
FEDERICO!» ancora una volta la coda di foca si
era intromessa, rovinando completamente quel piccolo passo in
più nel rapporto tra me e Federico.
Una gatta morta guasta feste!
«Devo
andare» si alzò lentamente,
lasciandomi le mani, per poi avvicinarsi alla porta. Prima che se ne
andasse lo bloccai «Resto»
sussurrai con la voce ancora interrotra dai battiti irrefrenabili del
cuore.
Mi sorrise, strizzandomi dolcemente l'occhio e bisbigliandomi un timido "Grazie".
Quando se ne andò, mi chiusi in stanza, gettandomi euforica
su letto.
Federico stava cambiando ed io ero cotta di lui!
ANGOLO AUTRICE:
Ce l'ho fatta!!!!!!
W me!!!!!!! La grafica è finalmente uscita perfetta!!!!!!!!!
Mi scuso per i capitoli precedenti, ma ora non ci sarà
neanche più un errore nell'intestazione (almeno credo) XD
Voglio ringraziare tutte le persone che nella mia storia lasciano
sempre un segno, naturalmente gradito!
biby_ef
piccolavenere96
flori186
Federika21
freezer1996
Un grazie di cuore ragazze!!!!!
Alla prossima ....
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Capitolo 16 *** Sotto Minaccia ***
____________Sotto
Minaccia___________
«Flor? Flor, mi stai ascoltando?» Maya
muoveva esasperata una mano davanti al mio viso in cerca di attenzione.
Lo avevo fatto ancora: Federico aveva colpito di nuovo ed i miei
fliquity si erano persi allegramente nei meandri più segreti.
Accompagnata dalla mia incontrollabile immaginazione, mi ero creata un
piccolo mondo, un mondo fatato, incantanto, pieno di colori, fantasie e
sorrisi. Un mondo dove la felicità era a portata di mano e i
sogni si realizzavano a colpo di bacchetta. Le fate rallegravano la
vita quotidiana con la loro magia colma d'amore e le streghe,
nonostante le verruche repellenti sul viso, avevano un bonbon al posto
del cuore e un bastoncino zuccherato per scopa!
Il Castello reale ne dominava l'intero paesaggio, dimostrando a tutti i
sudditi la maestosità e l' eleganza del possente
proprietario: il Principe!
Il Principe.
Federico.
L'unico Principe dai poteri soprannaturali, l'unico essere in grado di
bloccare il tempo e i battiti dei cuori innamorati delle fanciulle che
erano nelle sue vicinanze.
Mi bastava sentire il suo nome che il portale di quel mondo si apriva e
per me non c'era più nulla da fare, ero persa, troppo
concentrata nell'immaggine perfetta del Principe, che con quei suoi
capelli dorati, con quei suoi occhi dolci più del miele, con
quel suo viso poderoso, mi fissava teneramente e con fare innamorato mi
sussurrava un soave "Ti
amo"
«Ti amo
...» ripetevo ogni volta con un sorriso
tremendamente ebete, del quale ancora oggi mi vergogno.
Quel giorno Maya se ne accorse, ma giustamente io no!
«Grazie, Flor!
Anch'io ti amo! - sbarrai gli occhi sentendo quella
"strana" rivelazione - Non
fare quella faccia da pesce lesso, sto scherzando! - prese
una caramella dal cestino della scrivania di camera mia - Piuttosto, chi
è?» masticò con gusto il
dolcetto sotto il mio sguardo inquieto. Avevo paura della sua
insitenza, conoscevo Maya e sapevo che non aveva limiti.
Mai!
«E'
buona?» cercai di sviare l'argomento per
sfuggire ad una conversazione abbastanza imbarazzante «Mmm, sì,
anche se il porcellino potrebbe conservarle meglio»
disse prendendo un'altra caramella «Fuffi
non è un porcellino qualsiasi! E' un facocero rosa ed
è bravissimo nel suo lavoro!»
sospirai nervosa per l'insulto al facocerino che avevo trovato tempo
prima al mercatino delle pulci.
Non era un contenitore qualunque e per questo aveva attirato la mia
attenzione. Tenero, con quei suoi occhioni a mandorla, e sbarazzino al
tempo stesso per la criniera nera. Me ne ero innamorata!
Il nostro incontro era avvenuto in uno dei tanti mercatini delle pulci
del quartiere. Quel giorno Bata mi aveva consigliato di andarci per una
particolare svendita di oggetti d'epoca che io adoravo!
Quando i nostri sguardi si incrociarono io avevo già
terminato tutto il denaro a disposizione e guardavo assorta quei
bellissimi occhioni nocciola che con fare irresistibilmente amabile
sembravano dirmi "Comprami,
fammi tuo". Mi morsi il labbro immaginandomelo posto sul
tavolino della stanzetta che occupavo alla pensione: il colore rosa del
corpicino paffutto si sarebbe intonato alla perfezione con le pareti e
poi, poi un contenitore così particolare mi mancava prorpio!
"Che peccato" pensai riguardando il color pastello sul viso del
dolcissimo facocero «Carino,
vero?» una voce
si scolpì dietro di me. Incuriosita, mi voltai, imbattendomi
in un uomo alto, robusto e molto simile ad un cow-boy!
Lo scrutai attentamente, incapace di sibilare parola: era un ragazzo
giovane, forse con qualche anno in più di me, ma il cappello
western e i capelli castani impeccabilmente ribelli gli coprivano la
maggior parte del viso. Preoccupata indietreggiai.
«Phacochoerus
Africanus li chiamano in Africa, ma qui da noi sono dei semplici
Facoceri - alzò pian piano il viso per
imbattersi nel mio, rimasi inerme quando incontrai i suoi occhi verde
cielo - Max è
il mio nome e il vostro, Principessa?» mi si
avvicinò, mentre mi sorrideva galantemente. Avvertivo le sue
braccia dietro la schiena, sembrava volermi cingere in un abbraccio da
un momento all'altro «Non
le importa il mio nome - balbettai spaventata - e non mi chiami
Principessa!»
«Ecco fatto!
- alzò trionfante il contenitore rosa con uno smagliante
sorriso sulle labbra - Cinque
pesos, vero? - sorrise all'ambulante consegnando una
banconota - Grazie
- le fece un occhiolino mieloso, lasciandola incantata e poi si diresse
a me - Che peccato che
tu non mi voglia dire il tuo nome! - romantico e
terribilmente smielato - Sai,
sono molto premuroso e amo fare regali alle Principesse come
te!» mi misi le mani sui fianchi e guardai
infuriata l'energumeno che avevo di fronte «Che peccato che io non
sia una Principessa che accetta regali dagli sconosciuti!»
«Aggressiva e
nevrotica come piace a me!» gli sorrisi
sarcastica «Sbruffone
e antipatico come NON piace a me! Coraggio, se ne vada, che la svendita
promozionale di giovani ragazze aggressive si svolge da un'altra
parte!» sbuffai sconvolta e lo scorbutico
scoppiò in una sonora risata «E sei anche simpatica!
- guardò curioso le borse di plastica degli acquisti appena
fatti - hai fatto
compere, Principessina?» lo fulminai con lo
sguardo «Non
sono affari tuoi, Principino!» dissi in tono
sarcastico, troppo esasperata per pensare «Oh, sì che
lo sono! - si avvicinò alle borse, alzando il
cappello western - Fammi
dare un'occhiata!?» mi allontanai sconvolta «Ma come si permette,
maleducato che non è altro! - mi sorrise
maliziosamente - Chi si
crede di essere? - galantemente mi fece un cenno con il
cappello e si voltò, deciso a lasciare la discussione in
sospeso - Dove sta
andando? Qui non abbiamo ancora finito, maleducato che non è
altro! - mi salutò dal dietro augurandomi uno
sfacciato "Hasta la
vista" - Maschilista!
- gridai esasperata, vedendolo allontanarsi tra la gente, che osservava
ogni mio gesto incuriosita.
Tornata a casa, svuotai ancora arrabbiata le borsette «E questo?
- osservai l'oggetto che tenevo tra le mani - Cosa ci fai tu qui?
- il facocerino dei miei sogni mi osservava con i suoi incantevoli
occhi a mandorla - Non
sarà che ... - mi portai una mano alla bocca -
lo sbruffone!»
Rigirai tra le mani ancora incredula quell'oggetto tanto desiderato. Lo
sfacciato del mercatino delle pulci mi aveva fatto un regalo oltre alla
sua tremenda aria da corteggiatore: Fuffi!
Avevo deciso di chiamare così quel pensierino, come il
cagnolino che il mio papà mi aveva regalato al mio quarto
compleanno!
Era tenerissimo un maltesino bianco come il latte e dolce come lo
zucchero, un amore!
Purtroppo non somigliava molto al farfallone del mercatino,
però ...
«Bah, per me
rimane sempre un maiale! - sorrise Maya, inghiottendo
l'ennesima caramella - Allora,
mi dici chi è?» la osservai sdegnata:
la coda spettinata e gli occhi impiccioni, garantivano a quel suo viso
sbarazzino una solenne curiosità. Sviai impotente lo
sguardo, dedicandomi ad una scusa plausibile «Chi è
chi?»
«Non fare la
finta tonta, Flor! "C'è che mi sono innamorata di te
..."» canzonò allegramente, mentre
io scoppiavo a ridere, troppo divertita «Non sono innamorata,
Maya!» sorrisi trattenendo a stento le lacrime «Ah, non sei
innamorata, eh? - mi scrutò da cima a fondo - testa leggera? Cuore tra le
nuvole? Vertigini? Farfalle nello stomaco? Mal di pancia improvviso?
Narcisismo? Non dirmi che non hai mai provato queste cose? -
pensai un istante a quanto Maya fosse perspicace, sembrava mi avesse
letto nel pensiero - dai,
Flor! Di me ti puoi fidare!» mi disse con fare
implorante.
La guardai per un momento, poi scossi leggermente il capo: se fosse
venuta a conoscenza della mia cotta segreta per suo fratello, allora si
che sarebbero stati guai!
«Ma se non
c'è nessuno!» Maya mi
scrutò, analizzando i miei occhi fino all'inimmaginabile «Non ti
credo!»
«Maya!»
mi nascosi dietro un sorriso isterico «Mi dispiace, Flor! Non
ti credo! Sai anche tu che i tuoi occhi non mentono mai e in questo
momento vedo solo riflessi due gicanteschi cuori rosa che mi dicono "Ti
amo, ti amo, ti amo" - gesticolò divertita - e poi la tua faccia da ebete non
se la scorda nessuno! Lo conosco?» mi chiese
afferrando l'ennesima caramella da Fuffi «Ehm, cosa fai di bello
stasera?»
«Non cercare di
cambiare argomento! Dai, lo conosco? - si
fermò un istante probabilmente ad analizzare i miei
movimenti, abbastanza irrequieti - Sì,
lo conosco! E' nella band? - abbassai lo sguardo per non
incrociare il suo, i miei occhi non mentivano mai, ero io a mentire! - No, non è nella band!
E allora chi è? Flor, non essere cattiva, sbaglio o sono una
tua amica?! Di me ti puoi fidare!» l'insistenza
di Maya si era trasformata in un'incredibile tenerezza da cucciolo
implorante «Ma
se non c'è nessuno!»
«"Ti amo, ti
amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo" Devo continuare?»
prese la mia spazzola e mi minacciò divertita «D'accordo, d'accordo! -
alzai le mani, consegnandomi definitivamente alla mia "poliziotta" - C'è qualcuno»
sospirai ormai arresa all'evidenza.
Maya salì sul letto in un battibaleno e, saltando a
più non posso, iniziò ad urlare energicamente «Ah, lo sapevo! Lo
sapevo! Maya Fritzenwalden non sbaglia MAI! - poi si
fermò di colpo e si gettò a peso morto sul mio
letto, osservandomi con un enorme sorriso stampato in faccia - chi è? Ah, non
dirmelo, non dirmelo! E' Bata! Era implicito che un'amicizia bella come
la vostra si trasformasse un giorno in amore e poi si dice che
l'amicizia non sta ad un passo dall'amore?! - sbarrai gli
occhi, esterrefatta: io e Bata innamorati?! Guardava troppi film
d'amore la mia carissima amica - Anzi
no, so chi è! E' ... Tah-dah Franco! - disse
farfallando le mani - Mio
fratello riesce sempre a far centro, come e quando vuole! Flor,
perchè mi guardi così?»
sbarrai gli occhi: non avevo mai pensato a Franco come un possibile
fidanzato.
Il gemello sportivo dei Fritzenchucchen era sempre stato piuttosto
affettivo nei miei confronti. Il nostro rapporto era quella semplice
amicizia scritta di mille gesti affettuosi e parole dolci. Un'amicizia
che si era rafforzata nel tempo, grazie alla distanza che ci separava.
Era da tempo ormai che non vedevo Franco, erano passati mesi dal suo
ultimo ritorno a casa e più passavano i giorni, man mano le
opportunità di sentirci per via telefonica erano diventate
quasi sempre improbabili. Il fuso orario, gli allenamenti ed il lavoro
erano stati degli ostacoli con non poca rilevanza nel nostro rapporto,
ma nonostante questo quando lui chiamava tutta la famiglia per un
saluto veloce, riuscivamo a scambiarci qualche parola, sotto l'occhio
indiscreto di Federico, che dall'alto del suo cospetto sempre
controllava tutto e tutti.
Franco era una persona dolcissima e si sentiva in colpa per questa sua
"mancanza di tempo" nei miei confronti, così, per farsi
"perdonare" mi inviava spesso dei piccoli souvenir dal posto in cui era
stato con allegati i rispettivi biglietti o cartoline. Fogli colorati,
in cui in poche, ma rilevanti parole, mi descriveva il suo successo
sportivo e l'importante affetto che sentiva per me. Possedevo una per
una quelle lettere colme di emozioni in una cassettina nel mio comodino
e quando sentivo sempre più distante il mio Farolito, mi
sedevo sul letto e con le lacrime agli occhi, mi immergevo in quelle
dolci parole, che sembravano avvicinarlo sempre di più al
mio cuore.
«Non
è lui, vero? - abbassò il viso,
vedendo il mio sguardo sconcertato - Oh no! - si
portò sbalordita una mano alla bocca - Non ci posso credere!
Perchè non ci sono arrivata prima?! Oh my God!
- si guardò attorno come se controllasse che non ci fosse
nessuno nei dintorni, poi con estrema calma, marcando ogni lettera, mi
sussurrò - F
E D E R I C O - annuii fuori dal mio controllo, come se
quel nome sussultasse un'incredibile magnetismo che neanche il mio
cuore poteva controllare - O
mio Dio! Fede! Il Mangiabambini! Ti sei inn ...» svegliandomi
dal coma profondo, le misi spaventata una mano sulla bocca «Zitta, Maya! Vuoi che
Federico mi scopra e mi mandi in gatta buia?!» le
liberai la presa «Ti
sei innamorata del Mangiabambini? - la sua era
più una domanda retorica, ormai sapeva tutto - Come ho fatto a non capirlo
prima! Ora che mi ci fai pensare è così
evidente!»
Ero seduta sul mio lettino a ripensare a qualche istante prima.
Finalmente Maya se n'era andata con i suoi fratelli a lezione di
tedesco ed io potevo respirare un po' di tranquillità.
Uno dei miei segreti più nascosti era stato svelato,
così dal niente era venuto a galla tutto e Maya lo sapeva.
Sapeva che mi ero presa una bella cotta per il fratello e non per
quello tanto dolce e affettuoso che tutti amavano, bensì per
quello odioso ed irrequieto che la famiglia disprezzava.
Un po' mi vergognavo.
«Gli opposti si
attraggono» mi aveva detto Maya, prima di
chiudere la porta. Forse aveva ragione, forse Federico ed io eravamo
tanto diversi quanto uguali, forse io mi ero innamorata di lui per
questo. Lui era un essere così freddo e scontroso da far
venire il mal di pancia ed io? Io cercavo di essere sempre solare,
pronta ad aiutare tutti per qualsiasi necessità, mostrando
un allegro sorriso, nonostante i miei problemi di cuore.
Ma che cos'era l'amore?
Domandai con l'inchiostro al mio Diario.
Cos'era ciò che veramente sentivo per Federico? Per quel
Freezer glaciale che nemmeno la fidanzata con tanti bacini e bacetti
aveva sciolto?
Improvvisamente il campanello iniziò a squillare a
più non posso, distraendomi dai miei pensieri più
contorti.
Posai la penna, sperando che Greta o Antonio andassero ad aprire al mio
posto, ma a quanto pareva non era la mia giornata e quel turno spettava
a me "di diritto" «Arrivo!
- mi alzai svogliatamente abbandonando il diario sul letto
- Fliquity, che
insistenza!» il campanello suonava all'impazzata
ed io ero più isterica del solito, poichè
interrotta in un mio momento di "pensiero contorto".
Raggiunsi il più velocemente possibile le scale e quando
vidi Federico uscire dallo studio, ormai avevo già iniziato
a scendere i gradini.
Io correvo e lui veniva.
Lui veniva ed io correvo.
Lo scontro fu devastante.
Sentii il tepore delle sue labbra posarsi sulle mie e le mie guance
arrossire all'impatto. Un formicolio percorse velocemente ogni vena del
mio corpo facendomi perdere l'intera cognizione del tempo.
Imbarazzati ci staccammo, ma io ero ancora tra le sue braccia,
inebriata completamente, oltre che dal suo profumo di colonia, anche da
tutti quei fliquity che pazzi correvano stravaganti per tutto il mio
corpo.
I suoi occhi color miele fissavano brillanti i miei, in cui quel colore
che tanto avevo amato, stava prendendo il bagliore del grano.
Lo guardavo estasiata e incapace di pronunciare alcuna parola, persa
nel suo sguardo, persa in quella marea improvvisa di emozioni, dove la
mia anima stava naufragando al ritmo dei battiti del mio cuore, persa
in quel bacio accidentale che io e il mio Principe ci eravamo appena
scambiati.
«Scusami,
Flor» sussurrò debolmente a pochi
centimetri dal mio viso, sentivo il suo respiro sulla pelle «No, mi scusi
lei» bisbigliai sempre più
ipnotizzata dalla limpidezza di quello sguardo.
Che cosa sarebbe rimasto di quell'incidente? Imbarazzo? Vergogna? Paura
o desiderio?
Quello era il mio primo bacio e stavo toccando il Cielo con un dito,
mentre ancora mi sentivo stretta tra le braccia del mio
Principe.
In collegio mi avevano spesso parlato di baci e carezze talmente
passionali da far venire la tremarella al solo pensiero, ma questo? Non
pensavo si potessero provare emozioni così forti al solo
sfiorare le labbra o ancora peggio sentire l’adrenalina
correre a mille nelle vene e invitare sgarbatamente a proseguire
ciò che il mio corpo desiderava più di qualsiasi
altra cosa al mondo.
Il bacio del Principe.
Ci guardavamo come se il tempo si fosse fermato, come se le parole non
servissero a spiegare quell'istante, come se anche lui provasse
qualcosa per me.
Ma lui, provava qualcosa per me?
«Federico ...
io ...» chiesi con la voce ancora tremante «Tu ...» continuò
lui con un filo di voce «Io
...»
«Floricienta!
Floricienta! Aprire dannata porta!» Greta
entrò con la sua aria tedesca nel salotto.
Imbarazzati, io e Federico ci allontanammo, interrompendo
definitivamente ogni contatto
«Greta! - rispose Federico ancora a disagio - stavo proprio invitando
Florencia ad aprire la porta - poi sì
passò nervoso le mani tra i capelli - Flor, la porta!»
mi risveglia dal sogno e annuii energicamente.
«Franco! -
esclamai all'aprire la porta - che
bello rivederti!» lo abbracciai forte, forte «Angioletto, non mi
abbracciare così, che altrimenti sarò
già con le ossa rotte prima dell'ora di cena!»
entrò in casa sotto gli occhi emozionati di un Federico teso
ed una Greta fin troppo allegra «Herr
Franka!» esclamò la tedesca, prima di
unirsi in un affettuoso abbraccio «Ah,
mia piccola Gretina, non piangere! - mi portai una mano al
cuore, emozionata da quella scena colma d'amore - Adesso Franco non ti
lascerà mai più, promesso –
osservò poi il fratello - Che c'è, Federico? Non
vieni a salutare il tuo fratello preferito?!»
disse con uno smagliante sorriso sulle labbra, degno del mio grande
amico, che preso dall'emozione aveva abbandonato i bagagli sull'uscio
della porta.
«Franco! -
strepitò il Freezer con le lacrime agli occhi dalla
felicità - Non
mi hai detto che saresti tornato oggi!»
«Diciamo che
volevo farvi una sorpresa! - mi fece l'occhiolino
divertito - e gli altri?
Dove sono?» si guardò attorno in
cerca dei fratelli "scomparsi" «Pichononi
essere andati a lezione di tedesco per imparare vocabolaria e
grammatico! - Franco, Federico ed io scoppiamo in una
sonora risata a sentire le parole accartocciate della povera governante
tedesca - che avere
detta di sbagliata, Greta?»
«Niente,
Gretina, tu non dici mai niente di sbagliato - Franco le
sorrise dolcemente, cingendole la spalla con una delle sue possenti
braccia - prepareresti
ai cari e buoni vecchi Fritzenwalden un tè alla
tedesca?!»
«Ja, Herr
Franca! Io andare subita! - Greta si voltò
verso di me, svolazzando il suo impeccabile caschetto moro - e tu, Floricienta, togliere
faccia da ebeto e venire ad aiutare povera Greta!»
Seguii la governante tedesca in cucina, ancora sottoshock. Possibile
che la mia vita avesse certi sbalzi imprevedibili?
Prima il Freezer, poi Franco ed ora?
Mentre preparavo il tè, ripensavo a tutte quelle emozioni
che mi avevano riempito l'anima.
Cinque mesi che ero in quella casa e già mi ero innamorata!
«Allora, questo
the?» la voce di Malala risuonò
acida e penetrante come sempre. Alzai gli occhi al Cielo, risentita per
i continui ordini della Strega Maggiore "Odiosa" farfugliai,
sistemando la tazza da tè in ceramica sul vassoio «Arrivo, Signora
Malala!» sbraitai, mentre percorrevo le scale,
osservando attentamente il tè gocciolare intrepido lungo la
tazza: non volevo combinarne un'altra delle mie!
«Florencia»
avevo raggiunto il corridoio del piano di sopra e, per la mia solita
sfortuna sfacciata, avevo incontrato la soluzione a tutti i miei
problemi «Signorina
Delfina! - esclamai più che sorpresa, un po'
irritata - Se mi lascia
passare, vado a consegnare il tè delle cinque a sua
madre!» cercai di essere il più
amabile possibile, anche se di fronte a così tanta
"stregoneria", anche la gentilezza d'animo si rifiutava di fuoriuscire
facilmente «Non
prima che ti abbia parlato» il suo tono aspro e
leggermente minaccioso mi fece rabbrividire «E di cosa dovremmo
parlare, io e lei, Signorina?» indietreggiai un
po' spaventata dallo sguardo accattivante dell'inspida coda di foca «Oh, abbiamo molte cose
di cui parlare, Florencia»
«E di cosa,
Signorina? Io e lei abbiamo in comune solo la sala da pranzo e la
cucina, che poi tanto nostra non è, se si considera il fatto
che Greta e Antonio...»
«Taci!»
grugnò agitando isterica la sua inquietante coda di cavallo
nera «Mi
scusi, volevo solo mettere in chiaro alcune cose»
«Sono io qui,
che devo mettere bene in chiaro alcune cose»
sibilò fulminandomi con lo sguardo «E Malala?
Cioè, mi scusi, e la Signora Malala? Il suo tè si
potrebbe freddare e ...»
«E che si
freddi allora! Tanto c'è quella tedesca buona nulla che lo
rifarà, no?»
«Non parli
così di Greta! Sarà anche un po' goffa e le
parole le si accartocceranno in gola, ma è pur sempre una
brava persona!»
«Non ti
innervosire tanto, Florcita - mi sorrise maliziosamente -
altrimenti quelle tue
deliziose guancette rosa prenderanno il colore del fuoco e noi non
vogliamo questo, giusto? - annuii preoccupata della
situazione - comunque,
questo non è un problema mio! Ma quello che ti sto per dire,
sì! - dal suo volto malefico, sparì
definitivamente l'espressione scaltra. Ora i suoi occhi sputavano solo
odio - ti ho vista
- con un gesto elegante si portò le mani al bacino - giù, da basso, con
Federico»
Sbarrai gli occhi incredula. La strega Minore aveva visto il piccolo
"incidente" di qualche ora prima e, naturalmente, in quel preciso
istante me lo stava rinfacciando con una snervante ostilità.
Ovviamente, degno di Delfina.
I suoi occhi neri mi scrutavano con risentimento, disprezzando ogni
centimetro della mia pelle fino ad incontrare i miei occhi verdi, che
in quel momento tremavano più del vassoio che ancora tenevo
tra le mani.
«Le posso
spiegare tutto, Signorina! - agitò lentamente l'indice della
mano destra - Non è come sembra! In realtà io
stavo ...»
«Shhh, Florencia
- si portò un dito sulle labbra - non ti stanchi mai di tutti
questi tuoi inutili giri di parole? - mi
fulminò adirata - Io,
non ho bisogno della tua fantasia e tanto meno delle tue facce da pesce
lesso che hai davanti al MIO Fidanzato!»
«Ecco ... vede,
io»
«Credi che non
mi sia accorta che provi una certa attrazione per Federico? Che quei
fari che ti ritrovi al posto degli occhi, si illuminano ogni volta che
il MIO Fidanzato è nelle vicinanze? - mi
sorrise maliziosamente - Mi
ricordi una piccola e dolce micetta in calore - si
coprì la bocca con la mano destra - Oh, povera micetta poco
apprezzata! Perchè tu sei questo, Florencia! Lo sai, vero?
Sai che mai e poi mai, neanche per tutto l'oro del mondo, Federico
s'interesserà ad una sporca verduraia come te, vero? Sai che
per quanto il MIO Fidanzato possa dimostrarsi gentile nei tuoi
confronti, mai ricambierà quel tuo ostile capriccio?
- le labbra mi tremarono spaventate, mentre sentivo gli occhi riempirsi
di lacrime - Oh, non te
la sarai mica presa, piccola, dolce, Flor?! Ma, amor mio, la vita
è questa, reale e piedi in terra e non la tipica fiaba dove
anche le sguattere hanno un posto nel cuore di chi le circonda! Devi
rassegnarti, micetta! - mi sorrise - Federico è MIO! Solo e
soltanto MIO!»
«Mi stai
offendendo, Delfina! - sentivo le lacrime cominciare a
scorrermi sul viso - e
questa volta ti parlo da persona a persona e non da inserviente a
padrona - sospirai, cercando di riprendere la calma - si può sapere
perchè ce l'hai tanto con me? - gesticolavo
nervosa, mentre i singhiozzi del pianto interrompevano ogni tanto le
mie parole - posso
sopportare i vostri insulti dalla mattina alla sera, posso sopportare
che mi chiamiate verduraia, cardo, immonda creatura, capisco anche
schifosa e sporca per il fatto di venire dal "popolo", ma ora basta!
- Delfina appariva disinteressata, fredda e indifferente, anzi sembrava
pure prendersi gioco di me - Sono
stanca di essere sempre nel mirino dei vostri assurdi
scherzi!» mi asciugai l'ennesima lacrima «Oh, perdonami,
Florencia! Hai frainteso le mie parole, io non volevo farti
assolutamente nulla!» farfugliò
ironica la Strega «Mi
sa che è lei che ha frainteso le mie di parole! Si
può sapere perchè mi odia tanto?»
«E non lo hai
ancora capito, eh? - si portò delicatamente le
mani ai fianchi e mi fissò divertita - La risposta è un solo
nome: F E D E R I C O» le barriere che mi
trattenevano dallo scurissimo oceano di lacrime si dileguarono
improvvisamente, ed io mi trovai a naufragare in quell'immenso manto di
tristezza.
Goccioline salate e ricche di angoscia mi rigavano completamente il
viso, mentre io, disperata per l'accaduto, cercavo inutilmente di
asciugarle con la maniche della maglietta ormai zuppa e fradicia per
tutto il polso.
Delfina osservava ogni mio gesto con un debole sorriso sulle labbra. Si
divertiva a far soffrire la gente.
Si divertiva a veder soffrire me!
«Flor? Delfina?
Cosa sta succedendo qui? - il vassoio mi
scivolò improvvisamente dalle mani per lo spavento, mentre
un Franco troppo spaesato, ci osservava, intento a capire
ciò che stava succedendo in quel luminoso corridoio. Il
rumore dei cocci interruppe quell'indigesto silenzio - Angioletto, perchè
piangi? - inaspettatamente i suoi occhi si colorarono di
un intenso colore blu, se non fossi stata certa dell'amicizia di
Franco, avrei giurato in quell'istante di avere davanti a me,
l'incarnazione di un lupo mannaro - Cosa
le hai fatto, Delfina?» sentii le forti braccia
di Franco cingere le mie. Sicura e protetta in quel gesto affettivo,
cercai di controllare i singhiozzi che mi stavano struggendo l'anima.
«Cosa le hai
fatto hai fatto, Delfina? Ma sentilo! - sibilò
la strega - Diciamo che
la tua bambinaia ha allungato un po' troppo il passo - mi sorrise
compiaciuta - qualcuno doveva metterle un freno, non credi?»
«E quel
qualcuno saresti tu, Delfina?» la coda di foca
si guardò attorno - E
chi altro vedi? Tuo fratello ha fin troppi problemi con l'azienda ed io
sono la sua fidanzata, per tanto sarò io a riportare
l'ordine assente da tempo in questa famiglia -
sospirò quasi stanca della sua carriera troppo esperta di
attrice - e
comincerò dal personale di servizio, Florencia ne fa parte,
non vedo dove sia il problema - nascose quella sua coda da
vipera in un sorriso raffinato -
Oh, non te la sarai mica presa, Florcita - si
voltò verso la camera della madre, dandoci completamente le
spalle - Buona serata,
ragazzi e - scosse la coda di cavallo nera - occhio a ciò che fai,
Florencia!»
Delfina si allontanò agitando appagata le sue natiche
"inferme" dirigendosi verso la camera che condivideva con la famiglia.
La minigonna stretta si univa perfettamente alla camminata da sfilata
di moda che le offriva la proprietaria: un disquilibrio tra anima e
corpo!
Sotto i nostri occhi scossi, si chiuse la porta alle spalle, non prima
di essersi controllata la manicure "Strega" pensai quando ormai anche
l'ultima lacrima si perdeva sulla spalla di Franco.
«Si
può sapere che diavolo ti ha detto, quella sfacciata? -
scossi ancora turbata il capo, percependo l'irritazione ormai evidente
del mio caro amico - Flor,
quell'insolente ti ha fatto piangere! Dimmi cosa è
successo!»
«Non
c'è bisogno che la insulti» respirai
a fondo il suo profumo delicato «Io sarò buono
finchè vuoi, ma stupido non lo sono ancora e quando si tocca
una persona a me cara, dimentico le buone maniere! -
sospirò irritato - Te
lo richiedo, cosa ti ha detto quella sfacciata di Delfina?
- al sentire un mio nuovo silenzio, si passò nervoso una
mano tra i capelli - Mi
vedo costretto ad andare a parlare con Federico»
«No! -
gridai esasperata, separandomi completamente dall'abbraccio - lei ... - osservai
il vassoio d'acciaio per terra con l'ormai tè freddo
rovesciato ed i cocci infranti ovunque. Sospirai, cercando di mantenere
la calma, mentre mi abbassavo lentamente per rimettere in sesto il mio
lavoro - è
passato tutto, Franco! Non c'è bisogno che ti scaldi tanto!
La Signorina Delfina mi ha ripresa per un lavoro svolto male e ha fatto
bene, se non lo fa lei, chi altri mantiene l'ordine in questa casa? -
lo vidi raggiungermi e con una stoffa bianca che ricopriva uno dei
mobiletti in legno del corridoio, per asciugare il disastro - Federico ha già troppi
grilli per la testa e ...»
«Sì,
Flor, ma questo non la giustifica a farti piangere!»
sembrava essersi tranquillizzato «Conosciamo
entrambi Delfina e sappiamo che non sa essere molto delicata nel fare
delle osservazioni e poi ... - sospirai per il troppo
bruciore degli occhi - e
poi sono un po' sensibile in questo periodo! Sarò allergica
a qualcosa, tutto qui!» ci alzammo all'unisono:
io con il vassoio in acciaio ed i cocci al suo interno e lui con il
panno bianco ormai giallastro. Mi sorrise indicandomi la stoffa «Pulizie fai da
te!»
«Sai sempre
come farmi ridere, Farolito» mi
abbracciò dolcemente, mentre posava le sue labbra delicate
sulla mia fronte
«Sei il mio Angioletto, Flor! - il mio volto era
completamente cinto dalle sue forti mani - Non scordartelo!»
si allontanò coprendosi a mo' di turbante il viso con il
panno bagnato «Che
sciocchino!» lo sgridai divertita, mentre lui mi
salutava con la mano «A
dopo, Flor!»
«Casa
Fritzenchucchen, ehm, volevo dire Fritzenwalden, chi parla?»
risposi al telefono di casa cercando di essere il più
prfessionale possibile, cosa che non mi riusciva per niente bene. Era
il mio lavoro e dovevo almeno tentare di essere una persona competente
e determinata, ma sopratutto perfetta davanti a Federico, viste le
continue minaccie della Stega.
«Ciao, Flor!
Sono io, Bata!» il volto mi si coprì
di un immenso felice: in tanto buio si potevano avere attimi di luce,
no?
«Bata! Come
stai?»
«Bene, bene, ma
ora non importa! Devi venire immediatamente al capannone»
«Come stai,
Flor? Oh, sto bene, Bata, grazie di avermelo chiesto, sei un vero
amico!» canzonai irritata dal fatto che al mio
amico non gli importava un emerito fliquity di me «Scusa, Flor! Ma non
abbiamo tanto tempo! Devi correre qui al passaggio, io ed i ragazzi ti
aspetteremo al capannone, ok?»
«E' successo
qualcosa? Mi sembri così preoccupato»
«Non so niente
neanche io! Mi ha avvertito Facha e dal tono della sua voce non era
nulla di buono» mi portai una mano al cuore «Cercherò di
sfuggire dalle grinfie di Federico, i ragazzi mi copriranno!»
riattaccai inquieta il telefono «Cosa
dovere coprire pichononi, Floricienta?»
sussultai impaurita «Greta!
- mi avvicinai alla governante sempre più
tedesca in quel suo tailleur verde scuro - qual buon vento la porta
qui?» l'accompagnai a sedersi su una delle sedie
che circondavano la penisola della cucina «Io lavorare in cucina!
- fece spallucce - Essere
mia lavora!»
«Ecco appunto!
Il suo lavoro è anche aiutarmi, non è vero,
Gretina?» chiesi mostrando uno dei miei migliori
sorrisi «Essere
tu, che dovere aiutare povera Greta!»
«Ma
sì, in fondo è la stessa cosa! - le
diedi un buffetto sulla guancia, che allontanò irritata - E comunque, si ricorda quella mia
vecchia Zia, tanto malata, che nemmeno un miracolo può
salvare? - la governante annuii - Ecco, mio cugino mi ha chiesto di
raggiungerlo al più presto per accudire la mia cara, povera
e malata Zia»
«E io che
dovere fare?» congiunse le braccia innervosita «Dovrebbe fare buon
viso a cattivo gioco!» esclamai compiaciuta «Buon visa a cattifa
gioca?!» un enorme punto interrogativo si
disegnò su quel viso prussiano «Mi deve coprire,
Greta, con il Signor Federico!» scosse il viso
passiva «Nein,
nein, io non mettere in pasticci di Floricienta, neanche
morta!» le accarezzai dolcemente i capelli «Le hanno mai detto che
questo suo nuovo look le dona moltissimo? E' un taglio che le da un
tocco sbarazzino e ...»
«Non
corrompere, governante Greta, bitte!» mi indicai
sorpresa «Io?
Corrompere? Ah, vede troppi film, Greta!»
«Nein, nein -
si alzò dalla sedie, sistemandosi accuratamente la gonna
verde "ufficio" - E ora,
con permessa, che Greta andare da pichononi per bagnetta!»
la bloccai per il braccio «No,
no, no Gretina - strinsi le mani a mo' di preghiera - Eh dai, Greta,
fammi questo favoretto piccolo, piccoletto!»
«Dare lei a
Greta!» ordinò risentita «Sì,
sì, del lei! - recuererai il mio infallibile
labbro tremolante - Per
favore, Gretina! In fondo è solo un modo per restituirmi il
favore di domenica scorsa quando lei se n'è dovuta andare
via per ...» alzò un sopraciglio e mi
sorrise «Essere
piccola ricattatrice, Floricienta!» l'abbracciai
soddisfatta e felice della mia persuasione ben riuscita «Ah, grazie, grazie,
grazie!» le stampai un enorme bacio sulla guancia
«Non allungare troppo, Floricienta!»
scoppiai a ridere, mentre vedevo la governante ripulirsi dallo shiocco
del gesto affettivo.
Mi guardai allo specchio velocemente: fuseaux grigi e t-shirt verde
oliva «Un
attimino ancora - sussurrai, mentre recuperavo dalla mia
scrivania l'amuleto spilla-spirale e lo inserivo delicatamente nella
magliettina - ecco
fatto! Un po' di energia non guasta mai» afferrai
la mia inseparabile borsa di jeans e "scappai" da casa Fritzenchucchen,
sperando di non incontrare nessun guasta feste!
Quando arrivai al Passaggio dei Baci erano già le cinque di
sera. Alcune persone passeggiavano allegre per le vie del quartiere,
altre restavano barricate nel proprio negozio aspettando la supposta
esistenza di qualche cliente «Che
triste - sospirai allungando l'occhio alla fontanina dei
due innamorati, i cui segni dell'autunno erano fin troppo evidenti - molto, molto triste»
Affrettai il passo per il freddo troppo pungente: la brezza di una
tipica sera autunnale si stava facendo troppo frizzante e la mia
mantellina gialla, non aveva i fliquity qualificati per riscaldarmi
completamente!
«Ciao ragazzi!
- Nata era seduta a gambe incrociate sul divano, mentre accarezzava
malinconicamente i capelli di Clara, immersa in un pianto triste, quasi
soffocante. Facha occupava uno degli scalini del palco e fissava
passivo il pavimento, come se anche il cemento tenesse un valore
inestimabile. Bata era invece poggiato ad un muro con le mani che gli
coprivano il viso «Cosa
sono tutte queste facce da funerale? Non è mica morto
nessuno!» ironizzai, gettando la borsa su un
delle poltrone rosse e occupandone un'altra «Flor, Carina
è ... - sussurrò Facha freddo - Carina è ...»
mi portai una mano al cuore, mentre gli occhi cominciavano a riempirsi
di un liquido caldo, quasi acido «Oh
no! Carina è ...»
«Carina
è in coma!» persi l'intero controllo
del mio corpo e le lacrime si abbandonarono al dolore.
Carina ed io non avevamo mai avuto un buon rapporto, lei era Marte ed
io ero Venere, due pianeti completamente distinti.
Io vivevo di sogni, di speranze, di affetto e di tutto ciò
che l'amore sapeva dare e lei questo non lo poteva sopportare. La sua
condizione famigliare troppo pessimista e il portafoglio troppo pieno
per essere vero, non l'avevano di certo aiutata a rafforzare quel suo
carattere talmente debole, da essere privo di affetto, di amore, che
quei suoi ostentati genitori non erano stati in grado di offrirle.
Carina.
Dark, emo, punk, goth, lolita, metallara.
Al limite dell'espressività, Carina cercava in tutti i modi
di attirare l'attenzione su di sè, mostrando ogni giorno
stili completamente diversi tra di loro, alternativi fino
all'esasperazione. Cambiare la propria immagine per piacere alla gente,
avere un'altra opportunità, una possibilità per
essere accettata dalla società, ma sopratutto dai genitori.
Ma non era il mondo a non accettarla. Non erano le persone ad odiarla
per quel suo stravagante modo di essere o di vestire, bensì
era lei!
Carina non si accettava, non si piaceva, non si amava e quante volte si
è sentito dire "La
prima regola per piacere, è piacere a se' stessi"
e questo lei non lo aveva capito.
Diciotto anni e alle spalle un'infanzia difficile, un abbandono paterno
e un’orribile voglia di essere diversa, di uccidere,
devastare e nascondere la Carina amabile, gentile, innamorata della
vita.
Lei era questo, n'ero sicura.
Ma purtroppo la vita ci pone di fronte a differenti situazioni, scelte
da compiere e strade da prendere e Carina aveva optato per quella
più semplice all'apparenza, ma più difficile al
percorrerla.
La droga.
La droga si era divorata quel suo essere, quella sua
amabilità, quella sua bontà di cuore,
tramutandola nell'essere più spregevole e odiato al mondo.
Ero venuta a conoscenza di questo enorme problema, qualche mese prima,
quando Facha era venuto dipserato alla villa, con la scusa di essermi
dimenticata qualcosa al negozio della Zia.
Triste, infelice, abbatutto e terribilmente deluso, mi aveva confessato
di aver soccorso Carina in circostanze alquanto "strane". Gli esami del
sangue ne avevano confermato la diagnosi: insufficienza cardiaca per
cocktail a base di alcohol e droga.
«Un mix perfetto»
aveva sogghignato, nascondendo la sua innocente preoccupazione.
Scappata dall'ospedale in preda ad un'insostenibile crisi di panico, da
allora non ci giunsero più sue notizie, fino ad a quel
momento.
Con le lacrime agli occhi raggiunsi le ragazze sul divano e unendo il
nostro dolore ci abbracciamo, lasciando percorre quell'inersorabile
sofferenza per le nostre vene.
Magari le lacrime avrebbero saziato quell’ ingiusto tormento
nell'attesa che da lassù un miracolo salvasse la vita della
nostra "amica".
ANGOLO AUTRICE: Ciao
Ragazze!!
Capitolo molto triste ... ma d'altronde ho voluto dare un'impronta un
po' suggestiva e malinconica ... scusate la confusione!
Nonostante questo i colpi di scena non sono mancati e spero vi siano
piaciuti!
Ringrazio di cuore chi di voi ha commentato lo scorso capitolo
flor186
biby-ef
Federika21
piccolavenere96
freezer1996
lovelyhead
Alla prossima ... e BUONA LETTURA
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Capitolo 17 *** Solo un Desiderio ***
sss
_____Solo
un Desiderio_____
Il corridoio dell'Ospedale era colmo di gente.
Le infermiere, nella loro divisa bianca, andavano e venivano, prese ad
assistere i pazienti che occupavano una per una le stanze del reparto
di Medicina Generale.
Le fissavo abbattuta, malinconica, intente nello svolgere al meglio il
proprio lavoro. Il ricordo di Carina mi attraversò la mente
e come per un brivido le mani iniziarono a tremare, come il mazzo di
achillee e veroniche che tenevo tra le mani.
Carina Dominiguez.
Carina che ora non c'era più.
Era un giorno autunnale qualunque a Buenos Aires e, dopo tante
suppliche dei bambini, ero riuscita ad allontanarmi da casa
Fritenchucchen per dare inizio al mio giorno libero.
Il Lunedì.
Quei lunedì che ultimamente occupavo di vedetta
all'Ospedale, accanto al corpo inerme di Carina.
Entravo nella stanza con passo felpato, controllando sempre che non ci
fosse nessuno, poi con fare malinconico depositavo nel piccolo vaso sul
comodino, i fiori freschi di campo appena colti.
Infine, il mio sguardo si posava timidamente su Carina.
Fragile, delicata in quel suo viso di porcellana, tenue in quei suoi
spettinati capelli biondi, che ancora portavano i riflessi blu della
sua ultima pazzia. Debole nella sua carnagione pallida, gracile e
malaticcia anche in quel suo sonno che sembrava ormai profondo da
settimane.
Completamente immersa in una voragine dalla quale solo con la forza
d'animo ci si poteva ancora aggrappare al filo della speranza,
voragine, dove solo Carina ed il suo carattere gagliardo avrebbero
trovato vittoria.
Presi posto accanto a lei e dolcemente le posizionai tra le mani
l'amuleto della prestanza, chiudendole leggermente per facilitare
l'influsso. Il piccolo ciondolo a scatola si accoccolò
lentamente bagnato dal sole del mattino che a malapena filtrava dalle
finestre. Le minuscole pietre azzurre, prendevano spazio in quel
bagliore, mettendo ancora più in risalto la forma circolare
di quell'amuleto dall'energia indescrivibile.
Forse con un mio piccolo aiuto, il sole sarebbe ritornato a splendere
anche per Carina.
Le scostai teneramente un ciuffo biondo, mentre osservavo il lenzuolo
candido ripercorrere lentamente la sua respirazione flebile.
Quanto aveva sofferto Carina?
Quanto dolore aveva provato quella ragazza?
Pensavo a quanto fosse difficile affrontare la realtà che la
circondava: genitori assenti, amici che ti considerano una pazza
maleducata «Già,
amici» sospirai, mentre vedevo la sua mano
stringere pacatamente la mia.
Che razza di amici eravamo stati? Io per prima mi ero comportata come
una squinternata insensibile!
Avevamo litigato, sbraitato, strappato i capelli, comportandoci come
due estranee. Due sconosciute!
"La guerra si fa in due" diceva un detto, ma in questo caso ero io che
combattevo con me stessa, con le paure di accettare una persona
problematica, di affrontare i suoi dubbi, le sue
perplessità. Paura di stringerla e coccolarla
finché anche il più stupido errore potesse
sembrare un'insignificante macchia.
Paura di esserle amica.
«Flor
...» Carina si mosse leggermente e i tubi che la
incatenavano al letto la seguirono passo a passo «Carina! -
esclamai, strabuzzando gli occhi e lasciando che l'amuleto scivolasse
via dalle nostre mani - Come
stai? Ti senti bene? Vuoi che chiami l'infermiera?»
«Shh, Flor! -
la sua voce sembrava debole, fragile - Parli sempre troppo, Slaughter
... sai, stavo pensando a tutte le nostre discussioni, i nostri litigi
- cercò di stringere ancora di più la mia mano.
Sembrava volesse dimostrare la sua forza, rassicurare se stessa di
essere ancora tenace in quella sua debolezza, ferma nei brividi della
malattia - bisticci
assurdi!» sospirò, mentre un lieve
sorriso le colorò il viso «Terribilmente
assurdi!»
«Assurdi e
inevitabili, Havoc! - i suoi occhi nocciola incrociarono i
miei - Perché,
Flor? Perché il tempo passa così in fretta?
- minuscole gocce salate le bagnarono il volto - Perché quando ci si
rende conto di aver sbagliato è troppo tardi?
Perché si è così ciechi da non poter
distinguere ciò che è giusto da ciò
che è sbagliato?» la sua voce tremava
«Forse
perché sbagliando si impara ... - sussurrai,
afferrando il mio dolore alle sue mani - forse perché nella
vita si hanno più opportunità, più
treni da prendere per capire i propri errori!»
«E quando la
vita finisce? Cosa rimane, quando la vita finisce? Quando tutto quello
che hai si sgretola davanti ai tuoi occhi? Quando tutto ciò
che hai fatto, pensato e desiderato non è nulla?»
«Io non so ... -
sibilai prontamente abbassando lo sguardo. Un silenzio inquietante
pervase l'intera stanza. Mi morsi il labbro, con tanta energia fino a
farlo tremare, poi alzai gli occhi per incontrare i suoi - Ma so una cosa! So che la vita
non finisce! Niente al mondo ha una fine, Carina! Niente!
- Carina scosse violentemente il capo - Ascoltami, Carina, niente ha una
fine! Noi esistiamo e viviamo per questo! Viviamo per la nostra vita,
per le nostre emozioni, i nostri sentimenti, i nostri pensieri e per i
nostri cari, i nostri amici e per tutte quelle persone che ci amano e
che ci stanno sempre accanto! Quello che facciamo, quello che pensiamo
e desideriamo rimane per sempre dentro i loro cuori, perché
è amore! E non un amore qualsiasi, ma è l'Amore
con l'A maiuscola, quello vero ...»
«Sei sempre
stata così tu, Slaughter! Piena di sogni, di ambizioni, di
... - sospirò - Amore!»
«Ma anche tu lo
sei! Hai una vita davanti, dei desideri da realizzare, dei sogni per
cui varrà la pena lottare!» Carina
scosse nuovamente il capo «Potrai
mai un giorno perdonarmi? - non aspettò una mia
risposta - Sì
che potrai, perché tu sei speciale, Flor! E il tuo cuore
è grande e c'è sempre spazio per una nuova amica
...»
«Tu sei una mia
amica! Non devo perdonarti di nulla ...»
«Ho fatto un
sogno sai, - deglutì lentamente - una spiaggia candida, un mare
turchino, una brezza estiva. Io che danzavo sulle note dolcissime di
Einaudi avvolta in uno scialle dorato. Danzavo senza mai fermarmi, con
frenesia, innamorata di quel bellissimo sole mi scaldava con i suoi
raggi brillanti. E un falò. Un falò dal fuoco
intenso, rosso e voi tutti attorno. Facha, Bata, Nata, Clara e tu,
intonavate una canzone a suon di chitarra, accompagnando la melodia del
pianoforte. Felici e spensierati danzavamo, incantati dall'Amicizia.
Poi una voce. La voce roca e affettuosa di mia Zia Christina che mi
invitava a proseguire, a danzare, a ballare verso di lei. Una luce
...»
«Carina?»
la chiamai notando che la forza della sua mano diminuiva «Shh, lo senti? Senti
questo sgorgare d'acqua? Questa pace? Questo ... ho tanto sonno,
Flor» le accarezzai dolcemente la fronte, mentre
irrefrenabili lacrime già scorrevano sul mio viso «Shh»
le labbra mi tremavano, un brutto presentimento percorse la mia mente «Ho le palpebre
così pesanti ... ho tanto sonno ...»
Carina chiuse gli occhi, cancellando anche l'ultima ruga di dolore sul
suo volto.
Il suono incessante della macchina medica che aveva accompagnato
l'intera conversazione divenne più insipido, opprimente,
quasi soffocante. Da tanta sorpresa, la voce mi si era bloccata in gola
e a malapena riuscivo a controllare il respiro.
Carina si era addormentata.
E questa volta era per sempre ...
"Salutami tutti" furono le sue ultime parole, prima che il velo del
sonno eterno le si calasse completamente addosso.
Posai dolcemente il mazzo di fiori sulla lapide "Che la luce di Dio continui a
illuminare la tua nuova strada" riportava il freddo marmo,
dove la foto di una sorridente Carina, faceva il suo ingresso. Capelli
biondi, spettinati e occhi color nocciola, ma sopratutto il sorriso,
quel sorriso che per molto tempo si era nascosto, ma che ora nemmeno la
morte aveva ucciso. Quel sorriso che sarebbe rimasto per sempre nei
nostri cuori.
Mi voltai, lasciando cadere i pensieri in qualche preghiera: Bata
fissava inerme la pietra, accucciato, con gli occhi lucidi e i pugni
tirati, adirato per non aver potuto partecipare a quel doloroso lutto.
Furioso come tutti, cacciati, banditi e allontanati per non avere il
cosiddetto "Sangue Blu". Così si era giustificata la madre
di Carina. Minacciosa, acida e terribilmente pungente. Pungente come
quelle parole che avevano straziato nuovamente i cuori di me e dei miei
amici.
Nata coccolava dolcemente Clara. Le accarezzava i capelli e ogni tanto
le picchiettava la mano sulla spalla in segno consolatorio. Entrambe
perse, smarrite in ricordi orami passati, ma per sempre inscritti in
noi.
Volsi lo sguardo all'orizzonte. Il cimitero era tranquillo, ma l'aria
frizzante d'autunno si faceva sentire. Mi strinsi ancora di
più nella mia mantellina olivastra "Che la luce di Dio continui a
illuminare la tua nuova strada".
"Che sciocchezza"
pensai. I genitori avevano fatto proprio centro!
la frase giusta al momento giusto!
Assenti, lontani, distanti, sia fisicamente che sentimentalmente e poi
pretendevano a tutti i costi di conoscere la figlia.
Mi morsi il labbro, scuotendo leggermente il capo «Dov'eravamo noi?
- i ragazzi si voltarono verso di me - Dov'eravamo quando Carina stava
male?» fissavo il vuoto, cercando di trattenere
a stento le lacrime «Flor,
calmati - Bata mi si avvicinò - calmati, cerca di stare
tranquilla»
«Tranquilla?
Come posso stare tranquilla quando una nostra amica se n'è
andata! - Bata avvolse affettuosamente la mia testa,
invitandola a posarsi sul suo torace - Carina è
morta!»
Piansi disperatamente tra le braccia del mio più grande
amico, fino quando anche l'ultima lacrima si seccò
ghiacciata dal vento flebile di quel giorno autunnale.
Il ricordo di Carina mi torturava di giorno e di notte, tra i corridoi
di casa e le vie del Passaggio, la sua figura esile, intenta in qualche
nuova sciocchezza, catturava la mia mente in ogni istante.
Vagavo assente e sconsolata di abitazione in abitazione, svogliata e
inanimata svolgevo il mio lavoro, ritrovandomi la sera a nascondere la
testa sul cuscino a dare sfogo nuovamente alla mia rabbia.
Suelo e le ragazze avevano fatto di tutto per consolarmi, per non
parlare dei fratelli Fritzenwalden, ma il mio cuore sentiva solo una
grande tristezza, un'angoscia che si poteva solo spiegare come senso di
colpa.
L'idea che Carina avrebbe potuto salvarsi, vivere la propria vita mi
faceva rabbrividire e causa di questo ero anche io.
Non ero stata in grado di aiutarla e questo mi mangiava il fegato.
Florencia Fazarino, sempre pronta ad aiutare gli altri, generosa fino
al midollo?
Ma per piacere!
Nemmeno le fatine più pazze al mondo avrebbero creduto ad
una simile sciocchezza!
Io, arrabbiata e furiosa prima e angosciata e afflitta ora!
Se non era egoismo questo!
«Flor! Flor!
- Tomas entrò nella mia stanza seguito come sempre da
Roberta - Ancora con
queste cose?» disse indicandomi gli amuleti con
i quali mi ero tappezzata anima e corpo «Sì! Ancora
con queste cose, mi aiutano a stare meglio, a vedere il mondo migliore,
a ... - incrociai le braccia - Come state?»
Da tempo ormai evitavo i bambini, non li assecondavo e li trattavo come
se fossero l'ultima ruota del carro. Mi chiedevano di giocare, di
portarli a passeggiare, ma la mia risposta era una perenne scusa. Tomas
e Roberta erano proprio due angioletti, sopportavano la mia tristezza e
la mia rabbia, senza opporsi ne dire nulla.
Loro erano i miei angioletti ed io dovevo assicurarmi che stessero bene
e invecchiassero ogni giorno di più con uno smagliante
sorriso che io, prima di tutti, li avevo tolto.
Dovevo sorridere, per loro.
«Insomma -
Tomas fece spallucce e prese posto accanto a me sul letto - nessuno vuole giocare con
noi!» si lamentò il piccolo,
giocherellando con uno dei mie amuleti scaccia-pensiero «E anche tu ti sei data
da fare!» la principessina di casa mi
osservò immusonita. I codini erano più perfetti
del solito e lo sguardo nocciola era lievemente scosso da un velo di
malinconia. Le feci cenno di sedersi sulle mie gambe e Roberta non
esitò un solo istante «Ah,
piccolini! Perdonatemi - mi accoccolai dolcemente tra i
capelli della bimba, inspirandone il profumo e sentendola ancora vicino
a me - Perdonate questa
strega malandrina!»
«Ah, Flor!
Finalmente sei tornata!» Tomas si unì
all'abbraccio in una lotta quasi divertente con la cugina per
accaparrarsi il posto sulle mie gambe. Ne seguì una
battaglia sfrenata e tra risate, solletico, carezze e cuscini finimmo
distrutti tra i due letti. Li osservai attentamente riprendere fiato:
il piccolo Tomas era completamente sudicio, sui capelli scompigliati,
arricciati sul fondo, si intravedevano brillanti goccioline di sudore.
Gli occhi erano chiusi, rivolti al soffitto, intenti in
chissà quali scherzi e fantasie future.
"Tomas"
pensai, mordendomi il labbro. Lo avevo abbandonato per pensare a me
stessa, avevo lasciato che cadesse nella solitudine come un tempo.
Strinsi i pugni con fermezza, certa che non sarebbe più
capitato!
Perché io volevo così e così sarebbe
stato!
In giardino l'aria era penetrante e, benché avvolta nel mio
giubbotto preferito blu elettrico, non riuscivo a scaldarmi.
Casa Fritzenwalden era completamente deserta e se era deserta era un
piccolo miracolo quotidiano!
I pargoletti di casa studiavano allegri nelle loro camerette, sotto gli
ordini scanzonati di una Greta "insegnante". Nico era chiuso in stanza
con la "Scatola elettronica" come l'avevo chiamata io, mentre Franco
era agli allenamenti. Per non parlare delle streghe! Volate con la loro
scopa in chissà quale centro estetico!
"Vipere"
pensai rivolgendo uno sguardo alla finestra dello studio e portandomi
una mano al cuore. Anche Federico era abbastanza strano in quei giorni:
si chiudeva nel suo rifugio e stava ore ed ore a parlare al telefono
con chissà chi, pronunciando frasi insensate e paroloni
talmente brutti da sembrare strafalcioni!
Und Kartofen, mit Kartofen, und Kartofen, mit Kartofen ... in quella
casa c'erano più cartocci e rottami che in una zona di
demolizione ! Tutti con questi Kartofen!
Scossi il capo.
Scherzi a parte, Federico era così strano perchè
aspettava una visita, mi avevano spiegato i ragazzi.
"Arriva
lo zio Tuti!" aveva urlato Maya, poco dopo che Federico
aveva annunciato la notizia a tavola, sotto gli occhi divertiti dei
ragazzi che sapevano quanto la ribelle Fritzenwalden fosse legata a
quell'amico di famiglia.
Matias si chiamava l'amico tedesco-italiano o italiano-tedesco di
Federico, che sarebbe ritornato a Buenos Aires dopo mesi di assenza a
causa del lavoro in Germania.
La luce dello studio era accesa «Libera!
- farfugliai mentre raggiungevo l'angolo del giardino più
vicino alla mia camera - Libera
dal Sergente Freezer!» ispezionai con cura
l'ambiente: avevo una missione da compiere ed essere l'agente perfetto
non sarebbe mai bastato se non ci fosse stato anche il luogo X, quello
perfetto.
La piscina, ormai coperta, mi dava le spalle e al mio cospetto solo
alberelli gracili e arbusti graziosi dalle forme più
bizzarre, resi ancora più elettrizzanti dal quel tipico
tramonto autunnale.
Sospirai, provocando un leggero fumo intorno a me "Sono i
vostri cari che ci affidano le vostre vite, per accompagnarmi nel
vostro Destino" misi una mano in tasca, accompagnata
dall'inconfondibile voce di Suelo, cercai disperatamente la piccola
noce, per poi estrarla e fissarla profondamente "Ricorda, la
pianterai solo per esprimere un desiderio, solo uno!"
«La noce della
mamma» i lineamenti argentei di quel piccolo
oggetto erano meravigliosi e bagnati da quel freddo sole autunnale,
sembravano riflettere gli occhi di mia madre. Quegli occhi che ogni
giorno prima di svegliarmi e di addormentarmi rivedevo con estrema
dolcezza. Quegli occhi color grano, angelici in quel loro riflesso blu,
ma sopratutto affettuosi in quel loro fondale d'amore. Occhi che quando
mi fissavano mi sapevano donare quella pace e quella speranza che a
volte mi sembrava di aver perso per strada.
Occhi che ora sentivo nella noce della mamma.
La rigirai tra le dita, cercando di memorizzare ogni suo dettaglio,
gettai poi lo sguardo davanti a me.
Una sensazione strana, un'emozione indescrivibile, il sesto fliquity
della situazione, guidarono i miei occhi all'angolo che cadeva
esattamente sotto la mia stanza: l'angolo X, il luogo perfetto!
Presa da un vortice di eccitazione mi avvicinai e, dopo essermi
inginocchiata sull'erba umida, scavai esaltata un buco nella terra, non
curante ne di niente, ne di nessuno, ma certa del miracolo che stava
per cambiare la mia vita!
"Solo
per esprimere un desiderio, solo quando lo vorrai" le
parole sussurrate al vento della mia fatina preferita, accompagnavano
la mia fervida immaginazione alla ricerca di quel desiderio nascosto, a
cui avevo donato ogni mio singolo pensiero dall'incontro poche ore
prima con i ragazzi.
Maya, con il suo intenso calore, Franco con il suo fervente vigore,
Nicolas con le sue problematiche strazianti, Tomas e Roberta e le loro
birichinate e Federico, Federico e quell'amore indissolubile che
provavo per lui, quell'amore che forse avrebbe trovato le radici come
la noce che ora come ora stavo piantando.
Misi lentamente le mani nella terra, stringendo con forza la nocetta.
Una sensazione dolce, calda e tremendamente frizzante mi invase corpo e
anima, le mani iniziarono a tremare e accompagnate dal suono del vento
sussurrai il mio desiderio.
Sussurrai il mio sogno più grande.
«Io vorrei
rinascere qui»
Sul mio letto, fissavo incredula l'oggetto che tenevo tra le mani,
mentre cercavo di trovare le parole giuste per completare la mia
ennesima pagina di diario. Con la penna piumosa in una mano e
l'oggettino dall'altra, somigliavo ad una vera e propria bambina alla
quale avevano appena fatto un regalino.
Lo giravo e rigiravo tra le dita ripensando a quanto accaduto pochi
istanti prima.
Ora, che stavo con i piedi per terra, nella mia stanza, sembrava che
ciò che era successo in giardino in realtà fosse
tutto un sogno.
Il desiderio, i fliquity compulsivi che mi avevano invaso l'anima, la
confusa frenesia dei miei pensieri e quel bagliore, il bagliore che con
il tocco della terra umida, mi aveva accecata e inondata di una marea
incontenibile di dubbi e perplessità.
Ora la risposta ai miei problemi la tenevo davanti agli occhi: il
regalo della mia mamma si era smaterializzato ed ora una brillante
metà noce bianco splendente aveva preso il suo posto.
In giardino tutta quella magia mi aveva spaventata, facendomi correre a
gambe levate, ma ora, con la mente fresca ed i fliquity calmi e
tranquilli, riflettevo su quanto la mia vita fosse strana.
Credevo nelle fate, nella mia mamma che dall'alto mi proteggeva,
credevo nei fliquity malconnessi, credevo in strani bagliori, ma
sopratutto credevo nella magia, nella magia che solo l'amore poteva
offrirmi. L'amore della mia mamma!
Era opera sua tutto questo ed io ero il suo miracolo.
Sorrisi, stringendo forte al cuore quella preziosa conquista.
"Rinasci,
rimanendo sempre te stessa" sembravano dirmi e canzonare i
fliquity pazzi del mio cervello. Annuii ubriaca di stupore, rimanendo
incantata a fissare ciò che ora stava aprendo le porte al
mio futuro «Florencia
- la voce di Federico mi fece sussultare - Florencia, posso
entrare?» il tocco delicato alla porta era nel
suo piccolo insistente. Nascosi il diario sotto il cuscino, lasciando
in bella vista solo e soltanto la penna piumosa, poi infilando la
nocetta in tasca, mi alzai velocemente dal letto «Arrivo, signor
Federico! Ora le apro! - mi diedi una ritoccatina allo
specchio della stanza, dove Fuffi sembrava strizzarmi l'occhio vivace
come sempre. Ricambiai il gesto e raggiunsi finalmente la porta.
Respirai a fondo una, due e tre volte, finché premetti la
maniglia - Buonasera,
signor Federico!»
«Ciao
Florencia, posso entrare» mi fissava
autoritario, con la sua solita aria indignata, poggiato lievemente allo
stipite della porta. Le braccia conserte in quella sua camicia color
paglia e i suoi occhi fissi su di me. Agitata, mi schiarii la voce «Certo, Signor
Federico! Entri pure – mi scostai lasciandogli
lo spazio per passare - Scusi
il disordine, ma stavo sistemando un po' tutto - sorrisi imbarazzata -
Si accomodi pure!»
Federico prese posto sul letto di Roberta e pian piano, con occhi
tremendamente dolci, accarezzò il copriletto colorato «Era di mia madre
- sospirò mentre un velo di malinconia si calava sul suo
viso - parlava sempre
della sua infanzia in Spagna, di quanto gli zii l'avessero aiutata a
crescere» mi sedetti sul mio letto, in modo da
rimanere di fronte a lui
«Le manca
davvero tanto, vero? Anche la mia mi manca tanto, anzi, tantissimo! Ci
sono dei momenti, in cui mi prendono un sacco di fliquity malinconici,
di una tristezza indescrivibile, proprio qui - mi portai
una mano al cuore - ed
è proprio in quei momenti che mi accorgo di non essere sola!
Che ci sono una marea di persone intorno a me, pronte ad ascoltarmi, a
consolarmi, a vedermi felice e allora parlo e parlo, finché
anche l'ultima parolina prende colore e poi bam - battei
le mani - tutto
passa!»
«E' un modo per
farmi parlare?» alzò il sopraciglio
incuriosito dalle mie parole «Beh,
non per forza con me! - abbassai lo sguardo, gettando gli
occhi sulle mie scarpette color pesca, poi lo rialzai incrociando
quello del Principe - Beh,
ecco, come dire? - mi scostai la frangetta nervosa - Il mio era un consiglio! Ad
esempio ... - mi allungai per recuperare la cornice in
legno rosa sul mio comodino - La
vede questa? Sa chi è? - Federico scosse
leggermente il capo, mentre scrutava interessato ogni piccolo dettaglio
della fotografia: i ricci biondi, gli occhi dorati e il viso celestiale
- Questa è la
mia mamma! - Federico sorrise - Era una donna meravigliosa!
Dolce, tenera, tutta rose e fiori! Si prendeva cura di me, mi
trasformava nella sua principessa e allora sì che il mondo
girava come volevamo noi! - portai la foto al cuore,
mentre i miei occhi si alzavano al cielo, perdendosi nuovamente in
lontanissimi ricordi - Lei
parlava e parlava e la mai mente viaggiava in luoghi sconosciuti, in
fiabe che nemmeno il tempo era riuscito a bloccare e lei era
lì, ad accarezzarmi, a coccolarmi, a stringermi forte e
sussurrarmi parole dolci! Era un angelo, una donna dal cuore d'oro, era
come ...»
«Te»
la voce di Federico mi riportò alla realtà, ma
ancora sotto shock, non afferrai le sue parole «La sto annoiando,
vero? E' che quando parlo della mia mamma mi prende il fliquity della
lingua lunga e parlo e parlo finché ... - mi
portai una mano alla bocca, cercando di bloccare quel fiume in piena di
parole - Mi scusi, l'ho
fatto di nuovo! Comunque tutto questo giro di parole per dirle che non
importa con chi o cosa parla, l'importante è che la sua
mente e il suo cuore siano con la persona cara - Federico
mi fissava, perso, smarrito in chissà quali pensieri, quasi
lontano dal mio torrente di consigli - Si sente bene, Signor
Federico?» il mio Principe scosse nuovamente il
capo, come se volesse allontanare il turbinio di pensieri che poco
prima lo stava avvolgendo
«Cosa, Florencia? Sì, sì, tutto
bene!» si alzò dal letto e si
passò nervoso le mani sui pantaloni «E' sicuro di stare
bene? - lo raggiunsi alla porta e mi portai una mano al petto - Ho
detto qualcosa che non va? Mi dispiace, io ...»
«No, sono solo
un po' stanco - si passò una mano tra i
capelli, guardandosi attorno, come per controllare che non ci fosse
nessuno nelle vicinanze - Senti,
ma ... tu, come stai?» alzai il sopraciglio,
incuriosita da tutti quegli strani atteggiamenti che stava adottando
ultimamente Federico e che mi stavano accompagnando da svariate
settimane. Come il caso, la strana coincidenza di aprire la porta della
mia stanza e ritrovarmelo lì, come un passerotto caduto dal
nido, che si nascondeva dietro scuse insensate: "E' pronta la cena",
quando era implicito che tutto il personale di servizio sapesse a
memoria ora per ora le abitudini della famiglia. "Cercavo Roberta",
quando la piccola era a scuola. "Uno
scarafaggio vagante" quando ormai era da tutto il giorno
che in casa ci si occupava delle pulizie o ancor peggio "Hai visto Greta?"
quando non ero tenuta a sapere dove si cacciasse il personale nei
giorni liberi.
A volte lo beccavo a fissarmi mentre parlavo con Antonio, quando
intrattenevo con fiabe e giochi i ragazzi o ancor più strano
quando lo sorprendevo in circostanze bizzarre, come il fatto di
origliare le mie conversazioni.
Se prima pensavo si trattasse di un test che mettesse alla prova il mio
lavoro e le mie capacità, ora avevo dei seri dubbi.
«E a lei? Cosa
le importa di come sto io? - incrociai le braccia,
alterata da quegli strani ricordi: Federico non si fidava di me e
quindi, non meritava di sapere ciò che pensavo,
ciò che desideravo e nemmeno ciò
provavo - O
è qui perché a rivisto lo scarafaggio gigante di
qualche giorno fa?» poggiato allo stipite della
porta, abbassò nervoso lo sguardo «Florencia, io
...»
«Non ho visto
né Roberta ne Greta, se è questo quello che vuole
sapere!» fissò i suoi occhi nei
miei, marcando una piccola smorfia sul suo viso divino «Perché devi
sempre fraintendermi? - sospirò irritato,
facendomi indietreggiare spaventata. Federico aveva sempre
quell'effetto su di me: prima mi infuriava e poi mi terrorizzava.
Tipico! - Sono venuto
qui per vedere come stavi. Mi sono preoccupato - lo
guardai intrigata - cioè
i ragazzi si sono preoccupati. Ti vedevano triste, malinconica
...»
«Infelice?
Un'amica se n'è andata per sempre» dissi
in tono freddo, pacato, cercando di appartare ogni mia emozione, legata
al ricordo di Carina «Mi
dispiace» sussurrò Federico
amareggiato «Anche
a me - lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi fissi sul
pavimento, che in quel momento sembrava nascondermi misteri
inimmaginabili - ora se
non le dispiace vorrei restare sola» nuovamente
quella malinconia, nuovamente quel vuoto, nuovamente quel velo di
tristezza che per giorni mi aveva turbata e che ora mi circondava con
il ricordo di Carina.
Sembrava fosse tutto tornata alla normalità, sembrava che
finalmente il mio cuore si fosse messo in pace, sembrava che Carina
fosse scritta nell’anima come un bel ricordo e non
più nella mente, invece ...
Invece era tutto il contrario.
Carina c'era, sia nel cuore che nella mente e quella ferita che
sembrava essersi rimarginata, ora sgorgava dolore ovunque.
«D'accordo»
disse tristemente Federico, mentre pian piano chiudevo la
porta, abbandonandolo dall'altra sponda.
Raggiunsi a tentoni il letto per poi sedermici sopra.
Fissai la camera: la scrivania, la specchiera addobbata a festa, i miei
amuleti, oggetti comuni che accompagnavano la vita di tutti i giorni,
ma c’era qualcosa di strano, di insolito.
Sembrava che tutto avesse nuovamente preso il colore grigio.
Pareti e tappezzerie si alternavano inspiegabilmente alle
indimenticabili immagini della morte di Carina. Ora sfuocate, ora
sbiadite, prima nitide e poi imprecisi. Immagini taglienti di sguardi
indiscreti che supplicavano perdono per una colpa mai avuta. Immagini
inquietanti di una malattia d’anima, quella malattia che
s’era portata via la mia amica. Immagini che riprendevano
ripetutamente i sorrisi, i gesti affettuosi, gli sguardi amorevoli che
solo due amiche, prima di un addio, avrebbero potuto scambiarsi con il
cuore in mano. Immagini di Carina e me, in
quell’insignificante stanza d’ospedale, dove anche
la luce del sole aveva smesso di brillare.
Immagini di lacrime che come ad allora, bagnavano lentamente le mie
guance.
Afferrai il diario della mia mamma, con l'intenzione di mascherare
quell'indescrivibile mestizia, tra le pagine dei suoi lontani giorni
felici
Feci scorrere lentamente le pagine, alla ricerca della frase che sempre
aveva fatto risplendere in me una nuova luce, quella frase che da anni
ormai accompagnava ogni mio singolo gesto, ogni mia emozione, ogni mio
sentimento.
Parole nere, lucide, corsive, di una calligrafia importante, elegante e
dolce erano incise sulle pagine ingiallite di quel diario. Parole sulla
vita, sull’amore, sulla crescita e sull’onore.
Parole che fina dal primo istante in cui quel diario entrò
in mio possesso, entrarono nella mia vita come una brezza estiva, come
una piccola fata, portatrice di buone novelle, come un raggio di luce
in mezzo a tanto buio.
“Ci sono
giorni pieni di vento, ci sono giorni pieni di rabbia, ci sono giorni
pieni di lacrime, e poi ci sono giorni pieni d’amore che ti
danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni,
perché l’arte della vita sta
nell’imparare a soffrire e nell’imparare a
sorridere.
Carpe Diem, diceva
Orazio. Cogli l’attimo, perché tutte le cose,
anche le meno interessanti, le più brutte, hanno un lato
piacevole. Bisogna solo saperlo e volerlo vedere. Ma non aver paura
della vita.
Credi invece che la vita
sia davvero degna di essere vissuta, e il tuo crederci
aiuterà a rendere ciò una verità.
Perché se ami la vita, la vita ricambia il tuo
amore”
Alberto, riportavano in genere queste speciali dediche, che
mia madre custodiva con estremo riguardo tra le pagine dei suoi segreti.
«Ma
dov’è? – sfogliavo ormai
con insistenza le facciate ingiallite dal tempo, ma della frase nemmeno
l’ombra –
Non venite a dirmi che adesso sono diventata pure cieca! –
sibilai con ironia – Ci
mancava anche questa! » chiusi violentemente il
diario e asciugai esasperata le lacrime.
Poi un flash, un ricordo, un deja-vu.
Riaprii lentamente il quadernetto fiorito e osservai attentamente, una
per una le pagine che anni prima mia madre aveva scritto con estrema
cura e pazienza «Ma
come?»
mi portai una mano alla bocca per avere il tempo di assimilare la
scoperta appena fatta. La frase, l’aforisma della vita era
scomparso e magicamente con lui anche altre facciate.
Qualcuno aveva visto il diario di mia madre e ne aveva strappato alcune
pagine.
Ma perché?
ANFOLO
AUTRICE
Ciao a tutti!
Eccomi ritornata da un "breve" periodo di vacanza e come promesso a
Settembre!
Spero che abbiate passato delle meravigliose vacanze, visto che la
scuola è dietro l'angolo (e non è per niente
buono!!) Scherzi a parte, scuola o no, ho dato la fine all'estate con
questo capitoletto!
Molto triste devo dire, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso e che
perdoniate tutta questa mia "introspettività"!
Che dire? Alla prossima e ... BUONA
LETTURA!
PS: Un grazie immenso a tutte le persone che commentano e si fanno
sentire!
Grazie!
NB: Per il "monologhetto" di Alberto, ho preso spunto da autori celebri
come:Romano
Battaglia,
William
James, Arthur
Rubinstein e Herman Hesse
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Capitolo 18 *** Un Bacio non Deve Fare Male ***
___Un Bacio non
Deve Fare Male___
Svegliata dal profumo amarognolo del tipico tè argentino, mi
alzai lentamente da letto e osservai il piccolo vassoio d'acciaio che
aveva occupato il mio comodino. La luce filtrava a malapena
dalle finestrelle della mia stanza, ma illuminava con
facilità l’invitante colazione energetica che ero
solita degustare ogni mattina: croissant appena sfornati e naturalmente
mate che in quel preciso momento era accompagnato da un fiore, una rosa
dal color pesca che sembrava mi invitasse a saziare quello spiacevole
languorino che si era creato nel mio stomaco.
«Finalmente ti
sei svegliata! – spostai la testa al letto
accanto. Roberta, già vestita e pettinata, mi osservava con
una certa euforia – Ce
ne hai messo di tempo! E’ Più di
mezz’ora che ti sto chiamando!» le
sorrisi estasiata al ricordo dell’ennesimo sogno dove un
Federico più che valoroso mi salvava da una strega
inferocita «Ero
un po’ occupata»
«Ah,
già, il tuo Principe – la piccola di
casa si sistemò il nastro delle treccine – Quando glielo dirai?»
spalancai gli occhi stupita «Cosa?»
«Che sei cotta
di lui! – si alzò dal letto e mi si
avvicinò schioccandomi un bacio sulla guancia – Ora vado, altrimenti quella cotta
sarò io! Ciao!»
Come un folletto intrepido, la bimba se l’era data a gambe
saltellando!
“Tipico di
Roberta” pensai, ricordando quanto quella
ragazzina fosse tremendamente audace e talvolta perfino impertinente.
Da quando aveva scoperto che ero innamorata di suo cugino, non aveva
fatto altro che far comunella con quella pazzoide di Maya, cercando in
tutti i modi di farmi dichiarare.
«E’
semplice vai lì, cerchi il suo sguardo, lo fissi negli occhi
con mistero, con estro e poi gli dici “Federico, mi sono
innamorata di te”» alzai gli occhi al
cielo, assistendo per l’ennesima volta a quella che sembrava
essere la rappresentazione scolastica della mia presunta
“dichiarazione” a Federico «Ma che dici, Maya!
– sbottò Roberta afferrando uno dei miei cuscini a
forma di cuore – questo
fa troppo “telenovelas argentinas” –
saltò sul letto, briosa – Flor, tu vai da
Federico, lo guardi negli occhi –
elevò il cuscino a pochi centimetri dal suo viso –
ti avvicini e
…» un sonoro schiocco
rimbombò per tutta la stanza, mentre una appassionata
Roberta si gettava impetuosa sul letto.
Roberta aveva suggerito un bacio e Maya ed io ci stavamo sbellicando
dalle risate.
Sorrisi a quel ricordo.
Quante me ne combinavano le donne di casa?
Ogni giorno era un passo in più verso la pazzia!
E mentre un Federico malinconico e furioso girava per i corridoi di
casa alla ricerca di una scusa logica per sfogare la sua ira, io e le
principessine di casa studiavamo le più strambe
giustificazioni che le Streghe usavano per spendere e spandere i
milioni dei Fritzenwalden.
Non immaginavo si potesse essere così brave a mentire senza
nemmeno essere attrici!
E così tra manicure, tisane alle erbe e creme
antinvecchiamento, i pesos del maggiore di casa si prosciugavano nel
nulla e un Federico, sempre più agitato e profondamente
confuso, vagava alla ricerca di risposte a quei resoconti fiscali i cui
zeri sembravano essere aumentati senza ragione.
La risposta?
Beh, semplice ed efficace.
“Non credevo
di aver speso tanto” “Pensavo fosse in
saldo” “Ne avevo proprio bisogno” o
peggio di tutte “Ero convinta di avere usato la mia di
carta!”
«Streghe!»
farfugliai allo specchio, mentre mi sistemavo il maglioncino giallo
pastello che Titina mi aveva regalato l’anno passato.
Possibile che Federico non si accorgesse del covo di vipere in cui si
era soggiogato?
«Vedo che ti
è piaciuto il mio regalo!» il sorriso
di Franco mi invase l’anima «Buongiorno,
Farolito!» lo abbracciai in segno di gratitudine «Buongiorno a te,
Angioletto! Allora, piaciuta la colazione a letto? - si
sistemò la felpa rosso porpora, per poi dedicarmi uno di
quei suoi sorrisi spaccapietre – Non sai che lotta ho dovuto fare
con mio fratello, ma poi si sa, Franco Fritzenwalden vince sempre,
no?»
Federico aveva l’ostinata capacità di interferire
sempre nelle vite altrui, in modo particolare nella mia!
Non vedevo nulla di male nei gesti affettuosi di Farolito, in
fin dei conti era un mio amico e come tale si comportava, tranne che in
alcuni momenti, quando sembrava volesse divorarmi con quei suoi occhi
azzurro Cielo. Ma questa era un’altra storia.
Tutto stava nel fatto che Federico vedesse malvagità
ovunque, tranne dove più gli sarebbe servito vedere.
Un caso disperato!
«Cosa
c’è, Flor? Non ti è piaciuto il mio
regalo?» agitai violentemente le mani, negando
con il capo «Oh
no! Che sciocca! Mi sono fatta prendere dai miei soliti fliquity! –
respirai a fondo – Comunque
no! Il tuo regalo è stato fenomenale, sopratutto il mate,
con tanto zucchero come piace a me!» Franco mi
si avvicinò lentamente «Così
ti piacciono le cose dolci, Angioletto!» sussurrò
accarezzandomi teneramente la guancia «Ehm
– indietreggiai imbarazzata, mentre mi perdevo nel mare blu
dei suoi occhi, fino a che le mie spalle toccarono l’anta
dell’armadio.
Corsa finita, Flor bloccata.
Abbassai sconcertata lo sguardo, ritrovandomi a fissare le mie
scarpette verde prato – ecco,
io credo che …»
«Dolci come te
– sibilò, mentre con un tocco lieve, mi sollevava
leggermente il mento per far ricadere il suo sguardo penetrante nel mio
– Ti hanno mai
detto che sei molto carina? - scossi il capo,
ribassandolo, decisa a non rispondere, ma Franco sembrava determinato e
molto sicuro di sé – Ebbene sì, sei molto,
ma molto carina! Un Angioletto caduto dal cielo per la troppa
bellezza!» mi sorrise, facendomi sciogliere il
cuore. Sapevo e sentivo che le distanze tra noi si stavano accorciando
e, anche se avevo una tremenda voglia di chiudere gli occhi e scappare
a gambe levate, sembrava che gli occhi magnetici della mia
“Lanterna” mi tenessero imprigionata.
Sentivo il suo profumo, il suo calore, perfino i battiti del suo cuore
sembravano talmente amplificati da rimbombare temerari nella mia testa.
Chiusi gli occhi, decisa a continuare ciò che la mia mamma e
le mie fatine probabilmente volevano.
Se quello era il desiderio del Destino, allora avrei giocato le carte
che mi erano state assegnate.
Decisa del bacio di Franco.
Anche se innamorata di Federico.
«Disturbo?»
la voce rauca di Federico irruppe nel silenzio della mia stanza.
Imbarazzata più che mai e con ancora il cuore in gola, mi
allontanai velocemente da Franco, ringraziando le mie fatine per non
avermi fatto compiere la più grande sciocchezza della mia
vita.
Sorrisi al Freezer, che dall’alto del suo cospetto mi
osservava indignato, talmente seccato da sembrare turbato. I capelli
spettinati, il viso corrugato in un’espressione acida, gli
donavano quel tocco principesco in più. Irresistibile in
quel suo maglione cobalto ispezionava petulante me ed il fratello.
Sbottai in una risatina isterica per cercare di salvare
l’irreparabile «Oh,
salve Signor Federico! Stavo appunto ringraziando Franco per il
pensierino, la colazione con le brioscine, la rosellina e …
- mi avvicinai al vassoio e afferrai il contenitore
d’acciaio, dove sicuramente qualche goccia di tè
si era depositata sul fondo – e la bevandina –
andai da Federico e gli infilai la bombilla in bocca – Coraggio, Federico, assaggi che
squisitezza il mate dolce! – se con una mano
sostenevo il recipiente, con l’altra disegnavo segni agitati
nell’aria – Così
gradevole, così delizioso, quasi angelico! –
fissai il Freezer che man mano deglutiva sorpreso la bevanda
– E guardi che
con questo il Cielo si può veramente toccare!
– spostai poi gli occhi su Franco, che da un momento
all’altro si sarebbe gettato in terra per dar sfogo alla sua
inesorabile risata. Lo fulminai con lo sguardo – Uno zuccherino! Non
trova?» Federico tossì, sputando
ciò che rimaneva del mate sulla moquette della mia stanza:
nemmeno il caldo del mate era riuscito a penetrare il gelido cuore del
Freezer!
Che fosse un caso?
«Oh, guardi qui
che disastro! S'è macchiato tutto quanto! Crede di stare
bene?» con fare preoccupato, afferrai un
tovagliolino di carta colorata e, con affrettata dolcezza, gli ripulii
la bocca, percorrendo lievemente il contorno delle sue labbra. I miei
occhi vagarono alla ricerca dei suoi.
Fu un errore.
Un errore fatale.
Le gambe iniziarono a tremarmi e il cuore smise di battere.
L’espressione dura, rude e seccata che avevo colto sul suo
viso pochi istanti prima, non lasciava la ben che minima traccia nel
suo sguardo. Nonostante il suo carattere freddo, introverso, ferreo e
terribilmente cocciuto, quel miele delicato dei suoi occhi nascondeva
una dolcezza indescrivibile. Bastava fissarli per capire quanta
sensibilità si celava dietro quella maschera di Freezer
insolente.
Tanta sofferenza, tanta tristezza, tanto amore da dare ma senza sapere
come.
Un Principe delle fiabe che aveva perduto il sogno di volare, volare
con l’amore.
«Florencia, non
permetterti più» sussurrò
Federico, mentre una me, ancora persa, cercava di ricomporsi.
Indietreggiai imbarazzata «Sì,
Signore» sibilai mentre abbassavo lo sguardo
scuotendo il capo per cancellare quelle strane sensazioni «Tutto questo casino
per due gocce di mate! Era almeno buono, fratellino?»
sdrammatizzò Franco.
Lui e il suo solito senso dell’umorismo, capaci anche di far
tornare il sorriso al più triste bradipo vagabondo.
Perché questo era Farolito!
Spiritoso e allegro al punto giusto, forse anche troppo!
L’unico difetto che lo caratterizzava era
quell’indescrivibile aria da corteggiatore che lo rendeva
esageratamente sdolcinato e anche insolito, decisamente insolito.
«Non ho chiesto
il tuo parere, Franco! – ruggì
Federico, avanzando lentamente verso il fratello – Florencia è una mia
dipendente e i suoi comportamenti non badano al rispetto di questa
casa!» me ne stavo zitta, mogia, mogia ad
ascoltare l’ira furiosa di quello che sembrava non
più essere il mio principe Azzurro, bensì
l’orco furibondo di una fiaba mal scritta!
«Certo,
Federico! – Il Franco arrabbiato sapeva essere
molto ironico e tremendamente sfacciato - Perché qui noi tutti
siamo i tuoi cagnolini, no? Ritti e cupi, come degli abili
robot?»
«Ah,
perché tu adesso sei diventato l’avvocato
difensore dei tuoi fratelli e del personale, giusto?»
«Tu non sai di
cosa sto parlando!» sospirò sdegnato
Franco «No, no,
so bene di cosa stiamo parlando! – Federico mi
osservò, scrutandomi da cima a fondo, per poi puntare i suoi
occhi freddi e gelidi sul fratello – Stiamo parlando di etica, di
comportamento e tu sei il primo a non rispettarla!»
L’ennesimo litigio, l’ennesima discussione basata
sempre sulla stessa inutile causa: la moralità!
Federico era testardo, cocciuto talmente ostinato da mettere i brividi.
E Franco non era da meno!
Non era la prima volta che litigavano a causa mia e purtroppo di questo
me n’ero resa conto.
Ogni piccola cosa che il gemello dei Fritzenwalden mi diceva o faceva,
rischiava di mandare in collera il mio principale. Non so se per
cattiveria o per lune storte o semplicemente per
“etica” come la chiamava lui.
Quell’etica che oscurava l’educazione prussiana
della famiglia. La stessa etica per cui un Fritzenwalden non poteva
essere amico di una dipendente, la stessa per cui la bambinaia di casa
doveva stare al suo posto, solo e soltanto ligia ai suoi doveri.
Cosa giusta, ma veramente nauseante, perché io volevo un
bene infinito ai ragazzi.
Ma il lavoro è lavoro, e nonostante le mie continue
discussioni con il maggiore dei Fritzenwladen al riguardo, la colpevole
di tutto e di tutti ero solo e soltanto io.
Come in quel preciso momento!
Spazientita e veramente esausta di ascoltare sempre le stesse accuse,
girai i tacchi e con fare terribilmente rabbioso abbandonai la stanza,
sbattendo violentemente la porta.
Ero infuriata e avrei preso a calci chiunque, se avessi potuto.
Ma avevo paura, paura che da un momento all’altro Federico e
Franco si sarebbe presi a cazzotti, lì, nella mia stanza.
Era troppo pericoloso e loro erano furiosi.
Sarebbe scorso del sangue?!
Muta, ma con i nervi a fior di pelle, rimasi ad origliare dietro la
porta.
«Ci risiamo,
Federico? – sbuffò Franco –
Ancora questa storia? Non
ti stufa ripetere sempre lo stesso disco? Perfino Florencia si
è stancata di ascoltarti e sinceramente la
capisco!»
«Florencia un
corno, Franco! Qui la cosa la dobbiamo risolvere noi!»
“O mamma mia,
qui si ammazzano” incrociai le dita, pregando
le fatine della pace, perché tutto si calmasse e ritornasse
la tranquillità.
«Sono
d’accordo! Le cose le dobbiamo risolvere noi ed io sono
stanco di girarci sempre intorno – Franco
sospirò e dopo qualche istante riprese a parlare –
Sono innamorato di
Florencia! E non mi guardare così, Federico! Che cosa farai
adesso? Mi caccerai? Mi ucciderai? O ancor peggio, mi priverai del
cognome dei Fritzenwalden?»
Strabuzzai gli occhi stupefatta.
Franco era innamorato di me.
Franco, il mio Farolito mi amava. Com’era possibile?
Lui era un amico, il mio amico ed ora?
Tutto aveva senso.
I suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti affettuosi nei miei
confronti, le sue parole, i suoi gesti, perfino i suoi incantevoli
sorrisi, prendevano un colore diverso. Sembrava tutto così
semplice, così ingenuo e invece tutto era rivolto a me, con
un solo scopo: stravolgermi il cuore.
Ed io?
Io che ero sempre stata distante, comportandomi semplicemente come
un’amica, poco prima, gli avevo fatto intendere che sarebbe
potuto esserci qualcosa tra di noi.
Lo stavo per baciare!
Corsi in giardino, senza intendere ne volere. Avevo solo un desiderio:
parlare.
Parlare con la mia mamma, con quella noce che, una volta piantata nel
terreno umido di casa, aveva dato vita ad un tenerissimo germoglio
smeraldo. Solo con lui potevo essere sincera e sentirmi a mio agio,
perché lui era frutto dell’amore della mia mamma
ed era come averla lì, accanto a me.
E quel piccolo simbolo d’affetto era tutto ciò che
in quel momento più desideravo al mondo.
«E così quel bonbon dagli occhioni celesti
è cotto di te, tesoruccio?» Titina mi
sistemò accuratamente un riccio un po’ troppo
ribelle «Già,
così sembrerebbe»
«E
perché quel faccino tanto triste?» scossi
il capo lentamente.
Nella mia testa risuonavano ancora le parole ambigue delle mie fatine «Parole
d’amore sussurrate al vento, prendono sapore dalle labbra da
cui escono» Titina si bloccò e
stranita, scrutò il mio sguardo «Che cosa hai detto,
Flor?» dondolai nervosa il capo «Ehm, no, niente di
particolare! Solo una stupida frase letta su un giornale, tutto
qui!» in realtà l’unica
cosa che ero riuscita a leggere era il mistero che quelle mie strambe
fatine erano solite aggrovigliare attorno ad una semplice frase!
Mi domandavo chi fosse stato l’inventore di quegli assurdi
rebus? Non era più semplice dire in faccia i problemi e
cercare di risolverli nel migliore dei modi? A quanto pareva no!
Le fatine preferivano arzigogolare, meditare, escogitare, fare le
“misteriose” in tutto e per tutto!
Ed io, perplessa, titubante, talmente scettica da farmi venire da sola
il mal di pancia!
Franco e la sua improvvisa dichiarazione d’amore avevano
mandato in completo tilt ogni fliquity caotico del mio povero cervello!
Quella strana confusione aveva poi lasciato spazio ad un indescrivibile
imbarazzo. Non sapevo cosa fare, come comportarmi e quando lo
incrociavo per casa, quando tentava di avvicinarsi a me, lo ignoravo,
cercavo di essere il più distante possibile, evitando ogni
suo piccolo gesto d’affetto.
Ma era giusto?
«E alla villa?
Come va in quella casa di matti?» presi il succo
di frutta dal bancone e ne bevvi un piccolo sorso «Come vuoi che vada?
– assaggiai uno dei tanti biscottini al cacao che occupavano
il vassoio di ceramica colorata – I bambini sono sempre
più dispettosi con quel loro visetto angelico, poi ci sono
le Streghe e la loro asfissiante acidità, Federico che mette
sempre il naso dove non deve metterlo e la mia mammina che tenta di
proteggermi da quell’aria viziata che si respira giorno e
notte in quella casa – depositai il bicchiere
sul bancone maculato del negozio – A proposito della mamma, hai
presente il suo diario segreto?– Titina
annuì, afferrando un biscotto alla marmellata –Ti ricordi che ti ho parlato
spesso di quell’Alberto che ne firmava alcune pagine? Sono
scomparse» la mia cara “Zia”
strabuzzò gli occhi, per poi inghiottire lentamente il
boccone «Come
scomparse?»
«Scomparse,
svanite – agitai le mani in aria – volatilizzate! Il problema
è che non so veramente chi potrebbe averle prese e nemmeno
il perché? – presi un tovagliolino di
carta e nervosa cominciai a torturarlo con le mani – Chi potrebbe essere
così interessato a un paio di vecchie pagine?»
«Non pensi che
possano essere stati i bambini? Magari uno scherzetto innocuo, un
qualcosa da niente» scossi lentamente il capo e
sorrisi al ricordo dei miei “docili” angioletti «No, i bambini non mi
farebbero mai una cosa del genere. Sanno quanto siano importanti per me
i ricordi di mia madre. Sono sicura che loro non centrano niente, forse
…»
«Forse chi?
Federico? Credi che il tuo datore di lavoro, abbia
…»
«Boh, non so!
In questi giorni è così strano che potrei pensare
di tutto, anche dargli dell’impiccione! Pensa che
l’altro giorno l’ho pure beccato in camera mia a
guardare alcune foto che tengo sul comodino»
«Si, ma non
è un ladro! – sbuffai nervosa
– Per quanto
possa essere un ficcanaso non lo ci vedo proprio nella parte di un
borseggiatore! Piuttosto, io non mi fiderei per nulla al mondo di
quelle due streghe! - afferrò un spazzola a
mo’ di arma – Quella
Delfina ha uno strano modo di fare e quella Maria Laura, scusami se te
lo dico, ma mi puzza un po’! –
agitò la sua abile “spada” – E poi non sei stata tu a dirmi
degli insulti e le varie minacce?! Se fossi in te, mia cara, affilerei
lo sguardo e starei più attenta, in quella casa si
nascondono fin troppe cose e fai qualcosa per questa macchia –
mi indicò la voglia che tenevo nascosta sotto la frangetta
– ogni giorno
sembra ingrandirsi sempre di più» osservai
Titina per un istante. Non avevo colto bene le sue parole.
La sua bocca mi diceva una cosa, ma gli occhi azzurri, sembravano
trasmettere altro.
Conoscevo da tempo Titina.
Conoscevo il suo carattere chiacchierone, così
propalatore, e leggermente logorroico ed era difficile pensare,anche
solo per un attimo, che potesse nascondermi qualcosa. Non ne era capace.
Perfino un pappagallo sarebbe riuscito a tacere più a lungo
di quella cicala della mia cara “Zia”.
Era impossibile che ne fosse capace, almeno così mi era
sembrato fino a quel momento.
«Titina –
fissai i miei occhi nei suoi – c’è qualcosa
che non so, ma che dovrei sapere?»
Malala conosceva mia madre.
Non si sapeva ne come ne perché, ma la donna che
più amavo al mondo e quella che più odiavo si
conoscevano e sembrava si fossero frequentate per un po’ di
tempo.
Ora, come poteva essere che la mia mamma, una donna dal cuore
d’oro, la cui bontà, superava quella di un dolce
appena sfornato, potesse aver stretto amicizia con Malala, malandrina
diplomata in magia nera e laureata in maledizioni?
«Tua madre mi
scrisse spesso di un’amica conosciuta poco tempo prima della
tua nascita. Disse che l’aiutò molto nella
gravidanza, dato che tuo padre era spesso via per lavoro. La descrisse
con pochi aggettivi, disse che era una brava persona,
un’anima generosa e un’amica confortante che
qualche anno dopo la tua nascita sparì nel nulla. Mi ricordo
ancora quando ironicamente mi scrisse di una parrucca che quella donna
era solita portare. Quel giorno mi sbellicai dalle risate,
immaginandomi Margarita fare altrettanto davanti alla sconosciuta. Per
non parlare del suo strano modo di vestire in lutto, sempre nero,
bianco, nero. Avrei giurato che me la paragonasse a Mortisia
Addams»
Alcune cose tornavano.
Il bianco e il nero erano sicuramente i colori preferiti da Malala, ma
se la Strega nascondesse la sua calotta pelata sotto una parrucca, non
lo sapevo e tanto meno sapevo se in qualche momento della sua vita
avesse trasmesso bontà ad altre persone che non fossero
bigliettoni verdi.
A quanto pareva il destino non me la stava raccontando
giusta, però Titina sì e una grande soddisfazione
si era appropriata del mio orgoglio.
Non era da tutti, togliere le fedi ad una pettegola discreta come la
mia cara “Zia”!
L’unico problema era “affilare” occhi e
orecchie e cercare di ricavare più informazioni possibili
dalla Strega Madre e dalla sua apprendista,
In fondo cosa ci voleva?
Sguardo indiscreto, udito perfetto e fortuna, tanta fortuna.
Fortuna che ultimamente non avevo!
Inserii le chiavi nella serratura della villa e con fare svogliato
entrai in soggiorno.
Crudelia Demon e la sua cagnetta giacevano in tutta la loro
vanità sul divano di casa, intente in una loro tipica
conversazione. Da un lato Malala e la sua aria ricca di presunzione e
dall’altro Delfina, pronta a dare sfogo ad ogni suo minimo
capriccio «E
così la nuova collezione di Gucci sarà presentata
questo Natale – Maria Laura
sorseggiò il cocktail verde limone, alzando superba il
mignolo destro – Sarebbe
un incanto poterci andare –
fissò una rivista poggiata sul tavolino – L’Europa. Moda,
benessere, qualità e ricchezza.»
«Versace,
Armani, Chanel, Dolce&Gabbana, Richmond e chi più ne
ha, più ne metta! – risero
spaventosamente isteriche – Mamma, chiamo subito!
– Delfina afferrò il telefono fisso della villa
– Vedrai,
Eveline non potrà dirci di no!»
“Arroganti
approfittatrici!” pensai, mentre Tarantola e
Ragnetto mi fecero un leggero cenno, prima di salire le scale e
rifugiarsi nel loro covo maligno.
Scossi il capo sempre più scoraggiata.
Mia madre non poteva aver frequentato quella donna, neanche nel
peggiore degli incubi!
«Greta!
– urlai quasi sdegnata – Sono a casa! Ho già
fatto io la spesa!» come volevasi dimostrare,
nessuna risposta!
In villa Fritzenchucchen si respirava una certa aria di egoismo fuori
dalla norma.
Tanta gente, tante teste, tanti cuori, ma ognuno indirizzato ai fatti
propri.
Una persona poteva parlare, gesticolare, mettersi a saltare fino a
toccare il cielo con un dito, che se non era ne il momento ne il luogo
adatto, potevano crollare i grattacieli, cadere i pianeti, annegare i
pesci che nemmeno il più ficcanaso dei muri ti prestava
attenzione.
Questo era uno di quei momenti.
E così, con l’autostima bassa e l’umore
quasi a terra, raggiunsi la cucina.
Federico seduto alla penisola, conversava animatamente con
un’altra persona, dandomi completamente le spalle.
Svogliata, poggiai la borsa della spesa accanto al lavandino e mormorai
un apatico buongiorno. Federico e l’uomo che gli sedeva
accanto si voltarono di colpo.
Ogni giorno che passava, mi rendevo sempre più conto di
quanto fossi innamorata di quel Principe dallo sguardo freddo e
indifferente, quello stesso sguardo che ora mi squadrava da cima a
fondo, in quella sua tenuta informale. Maglia verde e jeans marroni non
facevano di certo l’uomo d’affari che era, ma anche
se avesse indossato il più sudicio degli stracci, per me
sarebbe rimasto il più valoroso del cavalieri con o senza
spada, perché Federico era questo.
Il mio cavaliere freddo dagli occhi dolci come il miele.
Il mio Principe Azzurro.
Scossi il capo leggermente.
Forse mio, mio non proprio, ma un Principe Azzurro lo era di sicuro.
«Flor!
– Federico posò un braccio attorno al collo
dell’uomo – Ti
voglio presentare una persona»
Il sorriso del Principe era veramente indescrivibile, irresistibile,
solare, caloroso, quasi magico.
Sembrava che solo in quell’uomo dai capelli castani
e gli occhi timidamente chiari si nascondesse il segreto per far
sciogliere quel ghiacciolo congelato del Freezer. Un mistero talmente
sbalorditivo da trasformare il dolce miele dei suoi occhi nella cura
balsamica per il mio cuore.
Il suo sorriso era la cura alla mia solitudine, al mio dolore, alla mia
nostalgia, a tutti i miei mali.
«Flor, lui
è Matias, il mio migliore amico, nonché mio
avvocato – gli occhi dello sconosciuto si
illuminarono improvvisamente e un dolce sorriso gli colorò
il viso – Matias,
lei è Florencia, la bambinaia dei miei fratelli»
strinsi la mano dell’uomo, accompagnando il gesto da un
timido bacio di cortesia, come era solito fare in Argentina, poi lo
fissai per qualche istante.
Il maglione a collo lungo lo rendeva ancora più magro di
quanto sembrasse, mentre i pantaloni scuri gli cadevano perfettamente.
Trepidante, incrociai il suo sguardo. Uno sguardo dolce, affettuoso,
ricco di emozioni. Un blu notte, profondo, talmente vivo da penetrare
nell’anima. Un sguardo famigliare e che già una
volta avevo incontrato nella mia vita.
Lo sguardo di …
«Florchi!»
il giovane mi avvolse in un abbraccio caloroso, dal quale titubante e
tremendamente spaventata indietreggiai.
Solo una persona mi chiamava così. Solo una persona aveva
“osato” chiamarmi così.
Quella persona era …
«Matu!»
eccitata lo abbracciai con un’energia indescrivibile,
inspirando quel suo solito profumo agli agrumi. Sembrava che con un
semplice tocco, avessi varcato quella porta che mi separava dal
passato, perché fino a qualche secondo prima Matias era il
mio passato che ora si era fatto realtà.
Quanto era piccolo il mondo, quanto ci si poteva aspettare dal Destino,
ma soprattutto quanta bellezza c’era nel ritrovare un amico
perduto, un amico che pensavi disperso e che non avresti mai immaginato
di rincontrare, poterlo stringere, accarezzare, sentirlo vivo e accanto
a te.
Un Miracolo.
Un Miracolo nato tredici anni prima per le strade del barrìo
“Esperanza”, più precisamente dal
gelataio all’angolo in un pomeriggio d’estate.
Nonostante i miei sei anni appena compiuti, sapevo essere abbastanza
cocciuta da persuadere mia madre, convincendola anche dei
più bizzarri desideri e quel giorno i miei fliquity perversi
si erano focalizzati solo e soltanto nell’immagine di un
enorme e succulento gelato, di quelli grossi, ma talmente grossi da far
venire l’acquolina anche al più sazio degli
elefanti.
Panna e cioccolato, un classico, ma nella coppetta in fantasia,
prendeva un gusto tutto diverso.
Degustavo avida il mio desiderio, su una panchina del parco,
ciondolando divertita le gambe e progettandone già un
prossimo, mentre osservavo scocciata due marmocchi che, come due
moschettieri, agitavano giocosi due enormi spade di legno.
“Bello”
pensai, ma sicuramente non quanto il mio gelato, visto che mi ci
ributtai addosso famelica, creandomi una realtà parallela
dove solo io ed i gelati facevamo del mondo una cosa migliore.
«Andiamo,
Principino» una donna bionda irruppe nei miei
pensieri, riportandomi alla realtà. Con estrema eleganza, la
vidi avvicinarsi e accarezzare il biondino, che infastidito si
allontanò «Non
mi chiamare così! – puntò
la spada contro probabilmente la madre – Non mi piace!»
la donna, per niente arrabbiata dal tono spregevole adottato dal
figlio, gli scostò dolcemente la frangetta ribelle «L’auto ci
aspetta e Peter pure, non vogliamo far fare tardi a papà,
giusto Federico?» la donna si
accarezzò teneramente il ventre, leggermente gonfio «Sì,
però viene anche Tute!»
«Federico,
Matias deve andare a casa con la sua mamma, non può partire
con noi»
«Ma
…»
«Niente ma,
l’aereo ci sta aspettando e poi sono sicura che ti troverai
bene in Germania» il biondino fissò
il vuoto per qualche istante, prima che l’atro ragazzino lo
raggiungesse e gli dasse qualche colpetto sulla spalla in segno
consolatorio «Tanto
ci sentiamo, no? Ci sono l’e-mail!» i
due amici si abbracciarono dolcemente. Seguii la scena con il gelato
ormai finito, finché vidi sparire il biondino e la madre su
di una macchina scura.
L’altro ragazzino rincorse l’automobile, salutando
l’amico, fino all’esasperazione, poi quando anche
la vettura era un pallino indistinguibile, si accasciò a
terra, disegnando strane figura con la spada in legno.
Incuriosita, mi avvicinai timidamente al ragazzino. La mia mamma stava
parlando con il gelataio e non mi avrebbe sgridata se mi fossi
allontanata per qualche istante. Gli picchiettai un dito sulla spalla e
il bambino si voltò, fissando i suoi occhi blu nei miei «Sei triste?
– domandai, mentre con un polso mi pulivo la boccuccia ancora
sporca di gelato. Il bimbo, leggermente disgustato, annui – Perché?
Perché sei triste?»
«Perché
il mio migliore amico se n’è andato in
Germania» farfugliò il ragazzino «E
cos’è la Germania?» mi
accucciai accanto a lui «E’
un Paese Europeo, al di là dell’Oceano»
«Ah
- osservai curiosa la scritta che il bimbo con la spada aveva fatto
pochi minuti prima - A
.. M .. I ..» tentai di leggerla «Amigos,
amici» mi corresse malinconico, mentre studiavo
ed analizzavo quella strana scrittura «E tu non hai altri
amici? - chiesi con la discretezza che solo un bambino
può avere. Il ragazzino scosse leggermente il capo
– e ti va di
essere mio amico?»
Il bambino mi sorrise «Matias»
mi porse la mano. La scrutai, cercando di capire cosa fare, poi,
ricordandomi i film visti con la mamma, la strinsi decisa «Florencia»
E così Matias Ripamonti era stato il mio primo ed unico vero
amico. Ci eravamo fatti compagnia a vicenda. Io alla ricerca di una
persona con cui divertirmi, passare il tempo e giocare spensierata e
lui in attesa del ritorno del suo amico.
Trascorrevamo la maggior parte del tempo assieme. Io ero entrata a far
parte della sua vita e lui della mia. Le nostre famiglia si
apprezzavano e amavano vederci ridere e scherzare, senza parlare poi
dei pranzi e delle cene condivise, in cui l’allegria era
all’ordine del giorno.
Ana e Bartolomeo erano due persone squisite e facevano di Matias la
persona più preziosa al mondo. Li ricordavo con estrema
dolcezza. Lei con i suoi capelli rosso fuoco, talmente ribelli da
essere paragonati ai serpenti della dea “Medusa” e
Bartolomeo, speciale in quei suoi due occhi blu mare, ma esile in quel
suo corpo alto quasi come un “grattacielo”, come
ero solita dire da piccola.
Credo che quegli otto anni furono senz’altro i migliori della
mia vita.
Poi, però, come tutte le cose, anche quelle belle devono
finire e qualche anno prima della morte di mia madre, Matias dovette
trasferirsi e di lui non ebbi più notizie, tranne un orsetto.
Esatto, un piccolo orsetto di peluche.
«Guarda cosa ho
qui per te» Matias afferrò una
borsetta di cartone colorato che aveva delicatamente posato su letto di
Roberta qualche istante prima.
Dopo l’effettivo shock della cucina, dove un Federico alzava
il sopraciglio sempre più sconcertato, io ed il mio amico di
sempre, eravamo riusciti a sfuggire alla sua intrepida scarica di
domande, rifugiandoci nel luogo più sicuro della casa: la
mia stanza.
Un piccolo batuffolo bianco prese piede davanti ai miei occhi
«Un orso di
peluche! – emozionata lo presi tra le
braccia ed inspirai dolcemente quel profumo di arancia e
cannella, tanto famigliare. Sorrisi a Matias – Ah, grazie Matu! Grazie! Grazie
mille! - mi gettai al suo collo e, presa dal fliquity
dell’affetto compulsivo, iniziai a riempirli il viso di
piccoli bacetti giusti, giusti per dimostrargli la mia gratitudine,
finché incrociai il suo sguardo ed imbarazzata
indietreggiai, mentre cercavo di ricompormi il prima possibile
– E
così, te ne sei ricordato?» deviai
gli occhi all’orsettino. Matias si alzò pian piano
dal letto e iniziò a passeggiare curioso per la mia stanza «E come non potevo?
E’ sempre stato il simbolo della nostra amicizia
– si soffermò allo specchio della scrivania e mi
scrutò pensieroso – E poi il 26 agosto è
un giorno importante, non trovi?» fissai i suoi
occhi blu e sorrisi emozionata da tanta dolcezza «Il mio compleanno –
sussurrai – Ho
sempre ricevuto i tuoi orsetti, sai? – pensai
nostalgica agli ultimi anni trascorsi in orfanotrofio, dove Matias e i
suoi regalini erano diventati un semplice ricordo – Tranne che in questo ultimo
periodo» la mia voce nascondeva una certa
tristezza. Speravo solo che il mio amico di sempre non si fosse
accorto, non era tempo ne di lacrime ne di ripensamenti «Flor, solo
perché non hai più avuto mie notizie, non vuol
dire che io ti abbia dimenticata – si
accucciò davanti a me e dolcemente prese le mie mani tra le
sue – Ti ho
cercata, Flor – con le sue dita forti e
possenti accarezzava con cura le mie – Ti ho cercata, ma non ti ho mai
trovata! Da quando mi trasferii, sei anni fa, non
c’è stato un solo giorno nella mia vita, in cui
non abbia pensato a noi, alla nostra amicizia, ai bei momenti passati
insieme ed ora – abbassò lo sguardo
per poi rialzarlo ed incentrarlo nel mio – Ed ora, che siamo qui, faccia a
faccia, come due adulti, vorrei che accantonassimo per un attimo il
passato per pensare con chiarezza alla nostra amicizia, al presente che
finalmente potremo rivivere»
Le sue parole erano così sincere e così pure da
farmi brillare gli occhi.
Era sempre stato questo suo strano modo di porsi a colpirmi. La sua
dolcezza, la sua franchezza, quell’autentico e genuino modo
di vedere le cose sotto un altro aspetto. Quel suo ostinato ottimismo,
talmente persuasivo da confondere anche il più testardo dei
muli.
Era bello avere di nuovo a che fare con quel suo temperamento
perseverante, con quel suo tono di voce pacato, chiaro, limpido come le
acque profonde che albergavano nei suoi occhi.
Gli sorrisi.
Era strano, anzi stranissimo, trovarsi lì, a fissarsi dopo
parecchi anni come se niente fosse, come se il tempo non fosse passato,
come se il tempo si fosse fermato, permettendoci di cancellare ogni
brutto ricordo, tra questi anche la morte della mamma.
Era strano osservarlo, vedere riflessi i miei occhi nei suoi, come due
specchi d’acqua, pur sapendo che anche per noi, come per i
ricordi, il tempo era passato. Sapendo che non eravamo più
dei mocciosi giocherelloni che si divertivano scherzando e passando il
tempo insieme. Questa volta, a specchiarsi, non erano più
degli occhi infantili, fanciulleschi, bensì occhi adulti e
maturi.
Era questo che eravamo diventati.
Due adulti.
«Vedo che li
conservi ancora» Matias giocherellava con uno
dei miei amuleti, lo raggiunsi e con aria di sfida glielo levai dalle
mani «Esatto!
Sai come sono e sai anche che non ci si deve permettere di toccarli
– mi scostai la frangetta – senza il mio permesso,
chiaro!»
«E quelle
lucine che dicevi di vedere? – mi sorrise
divertito – Ti
fanno ancora compagnia?»
«Ah, tu stai
parlando delle fatine, giusto? – sistemai
l’amuleto “alalà” nel
contenitore apposito – Potrei
definirle come delle guide, delle accompagnatrici, sai, sono come certi
segnali stradali che ti mostrano qual è la strada giusta da
fare quando hai perso il tuo navigatore personale»
«E il tuo,
Florchi? Che fine ha fatto il tuo navigatore personale?»
scossi leggermente il capo «Purtroppo
l’ho perso con la morte di mia madre» gli
occhi di Matias si riempirono di piccoli brillantini «Mi dispiace
– sussurrò – avrei dovuto esserci»
«Non importa,
è acqua passata. E tu? Passi sempre così il tuo
tempo? Italia-Germania, Germania-Italia-Buenos Aires?»
il sorriso di Matias sembrava nascondere una certa aria di malinconia «Lavoro con Federico da
tempo ormai. Ci conosciamo da una vita ed è una brava
persona – ricordai i due bambini che giocavano
spensierati in quel parco come due veri moschettieri – Diciamo che sono di famiglia qui
e anche in Germania ed in Italia, vado spesso per lavoro. Ma dimmi,
Flochi, cosa ci fai qui dai Fritzenwalden?»
Fu così, che tra una risata e un’altra, gli
raccontai per filo e per segno la mia piccola avventura dal collegio
all’arrivo in villa, naturalmente passando per Titina, Bata e
i ragazzi e accennando la triste storia di Carina, ma evitando
volontariamente la mia piccola – grande cotta per Federico.
Era il suo migliore amico!
«Com’è
piccolo il mondo» Matias scosse lentamente il
capo «Già,
piccolo ed imprevedibile. Chi l’avrebbe mi detto di
ritrovarci qui, dopo anni e anni senza vederci, a ricordare i vecchi
tempi?»
«E pensare che
ho passato anni a cercarti, senza mai ottenere risultati e poi, tutto
d’un tratto ti ritrovo a lavorare come bambinaia a casa del
mio migliore amico, se non è destino questo?!»
«A proposito di
casa, quanto tempo resterai? Mi piacerebbe che passassimo un altro
po’ di tempo assieme, noi due, che ne dici?» Matias
si portò una mano al mento pensieroso, poi sorrise
sarcastico «Federico
mi incatenerà come un povero matto! E’ uno schiavo
del lavoro e ama schiavizzare anche il suo staff, per tanto credo che
rimarrò qui per un po’ di tempo e penso proprio
che lo passeremo insieme – mi si
avvicinò con cautela e lentamente mi avvolse tra le sue
braccia – Mi
sei mancata, Florchi»
«Anche tu,
Matu»
La porta di camera mia si aprì improvvisamente ed una Maya
si gettò energicamente su Matias, che nell’impatto
interruppe l’abbraccio, finendo faccia a faccia sul mio
lettino «Ciao
Tuti!» l’adolescente di casa
solleticò il mio caro amico, che in risposta le
scompigliò animatamente i capelli, raccolti in una coda di
cavallo. Li osservavo divertita.
Maya sembrava così bambina e di certo anche Matias.
«E allora? Come
sta la Principessina di casa?»
domandò Matu, rincorporandosi sul letto «Ma quale
principessina, principessina, sono una donna, sai?
– Maya si alzò e, dopo essersi sistemata la gonna
in jeans, sfoggiò le sue doti femminili in una piccola
sfilata – visto?
– si accucciò poi ai piedi del letto
esibendo il più perfetto labbro da coniglio – Allora? Cosa mi hai portato di
bello dalla Germania? Non dirmi una di quelle salsicce bianche grasso
di maiale, perché ti scotenno! Piuttosto, mi aggraderebbe
qualcosa di italiano, come non so – Maya si
portò un dito al mento e alzò lo sguardo
pensierosa – Una
borsa o un cappello o ancor meglio, un profumo!»
Matias sospirò divertito «Giù,
nello studio, nella borsa rosa - Maya drizzò
le antenne e con uno smagliante sorriso abbandonò la stanza
a tutta velocità – E non farti vedere da tuo
fratello!»
«Maya!»
l’urlo di Federico spezzò il silenzio. Guardai
Matias divertita «Troppo
tardi»
«Allora? Che te
ne pare?» balzai davanti a Matias, bloccandogli
completamente il passaggio di ritorno alla villa «Allora, cosa?
– mi scrutò da cima a fondo – Stai parlando del tuo abbinamento
piumino pesca e gonna menta o della tua irrefrenabile mania per le
snakers?»
«E dai! –
gli diedi un buffetto sulla spalla - Il mio abbigliamento è
i-n-s-u-p-e-r-a-b-i-l-e e poi sai benissimo di cosa sto
parlando!» Matias si portò le mani in
tasca e mi sorrise divertito «Sempre
la stessa, eh?»
«Tale e quale! –
mi sistemai il berretto in lana rosa scuro – Adesso dimmi come ti è
sembrato il gruppo!»
Gli attesissimi saluti al nuovo ospite di casa Fritzenwalden, avevano
portato una nuova brezza di allegria alla villa, rendendone
l’aria molto più respirabile rispetto agli altri
giorni. I ragazzi sembravano aver preso con filosofia
l’arrivo di Matias e ogni giorno che passava lo trattavano
come un membro in più della famiglia. Con la sua amichevole
dimestichezza, Matu era l’armistizio di casa. Un tiepido velo
di “tranquillità” sembrava aver coperto
l’intera abitazione, nascondendo in chissà quale
angolo sotto il tappeto quella maledetta polvere di acidità
che aveva dominato per tanto tempo. Sembrava si fosse creato un enorme
specchio dove la felicità dei ragazzi si rifletteva come un
manto di isterismo negli occhi delle due perfide streghe, nascoste nel
loro covo alla ricerca della prossima vittima.
Federico aveva cambiato la sua attitudine da perfetto oppresso
convulsivo in una semplice mancanza di affetto che faceva ricadere solo
sulle spalle del povero Matias.
In quanto a me, beh, avevo dedicato tutto il mio tempo a ristabilire
l’amicizia con Matu, accantonando rimpianti e rancori in un
reparto speciale del mio cuore. Il cosiddetto
“Dimenticatoio” dove c’era sempre meno
spazio dovuto alle marachelle dei bambini e alle ormai noiose e
canzonate urla pungenti delle Streghe.
Un record da non poco conto.
E Matias conosceva tutto di me: il mio carattere, la mia famiglia, i
miei amuleti, perfino le mie fatine. Ciò che volevo
mostrargli, non era più il mio passato, bensì il
mio presente, la mia nuova vita.
Bata, Facha, Nata e Clara ne facevano parte e con loro il mio fervido
desiderio di cantare e ballare e perché no? La mia vita.
«Quelle quattro
campane da dormitorio? - guardai Matias sconcertata
– Sto
scherzando, Florchi! – sorrisi – La verità è
che mi siete sembrati incredibili! L’idea di creare un band
musicale è stata veramente incredibile e la tua voce
– alzò un sopraciglio – Si può sapere quando
è nato questo talento improvviso? Che io mi ricordi, eri
peggio di una chitarra scordata!»
«E invece hai
davanti a te l’ugola d’oro della famiglia
Fazarino!» entrambi scoppiammo in una sonora
risata «A
parte gli scherzi, Flor, da quando canti così bene? Hai
preso lezioni?» ripresi il cammino verso casa,
seguita dal mio accompagnatore «Ma
quali lezioni, lezioni?! Sai meglio di me che i soldi non piovono dal
Cielo! Diciamo che la mia è stata una passione nata
così dal niente!»
«Beh, se anche
io iniziassi a cucinare così dal niente e ti invitassi,
preparati a venire con un bell’estintore a portata di mano!
Non so quale grado di incendio potrei causare!»
sorrisi all’immagine di un Matias ai fornelli con un
simpaticissimo grembiule a fiorellini «Cantavo sotto la
doccia, tutto qui!» Matu mi prese a braccetto «Bene, Signori e
Signore da domani tutti a cantare sotto la doccia, perché
così la fama di cantante invidiabile è
assicurata!»
«Eh, dai! Non
prendermi in giro!» osservai sorridente
l’uscio della villa, poi spostai lo sguardo sul mio grande
amico. Avvolto in un confortante cappotto nero, cercava di scaldarsi le
mani, avvicinandole alla bocca, in un gesto un poco infantile. Poi, con
fare professionale sbirciò l’orologio da polso «Prepara
l’asse sulla schiena, Florchi. Abbiamo fatto leggermente
ritardo»
«Suvvia, le
undici non saranno un problema per Federico! Sommetto che tutti avranno
già raggiunto le braccia di Morfeo»
Matias mi guardò perplesso «Tu dici?»
Quando la porta si aprì, fummo invasi da
un’impressionante penombra. Sembrava che il velo della notte
fosse caduto su casa Fritzenchucchen, solo la luce della luna, faceva
il suo timido ingresso dalle finestre. In salotto nemmeno il minimo
rumore.
Avanzammo cauti, prudenti nel non fare baccano e più che
contenti nel non aver trovato ad aspettarci il
“Mangiabambini”. Dopo tanti giorni passati rendere
partecipe Federico delle nostre più
“intime” conversazioni, dandogli spiegazioni sul
Cosa, Dove, Quando e Perché della nostra amicizia,
finalmente potevamo respirare e sentirci sollevati e liberi. Due adulti
amici e liberi di volersi bene e trascorrere insieme delle piacevoli
serate, senza motivarle al proprio datore di lavoro.
“Impiccione di un Freezer!” pensai al varcare la
porta.
«Ben
tornati» un’ombra si elevò
dalla poltrona che dava sull’ingresso. I capelli scompigliati
e leggermente bagnati dalla luce notturna, rendevano il suo sguardo
ancora più magnetico e decisamente seccato. Il viso
nascondeva delle sottili rughe e quel giallo che indossava
come maglietta, era svanito nel crepuscolo, perdendone completamente la
vivacità.
«Federico»
sussurrò quasi spaventato Matias, mentre ancora mi teneva
per mano, nella tentata entrata furtiva di qualche istante prima «Vi sembra questa
l’ora di rientrare a casa?» fece un
passo in avanti, sprofondando nella candida luce della luna. I capelli
biondi, quasi schiariti dall’effetto luminoso, brillavano
quasi come il colore del latte e gli occhi, infastiditi e leggermente
stizziti, splendevano di luce propria.
Il cuore iniziò a battermi.
«Ci dispiace –
abbassai lo sguardo, nervosa – ma sa com’è
Signor Freezer …»
«Ti ho detto di
non chiamarmi così!»
ordinò bisbigliando. Alzai le spalle indicando la mia
innocenza «Beh,
sa com’è Signor Federico, una chiacchiera tira
l’altra e un gelatino pure – cercai lo
sguardo di Matias – molto
buono devo dire, e comunque – fissai i miei
occhi su Federico – e
passa così velocemente la serata, ma talmente veloce che
nemmeno ti rendi conto di quanto le lancette avanzino
sull’orologio e fanno tic-toc, tic-toc e tic e toc ma sei
talmente concentrato nella conversazione che …»
«Zitta,
Florencia, zitta! – con lo sguardo fulminante
mi indicò il patibolo – Nello …»
«Studio
– continuai, avviandomi al mio destino e ricevendomi
un’occhiataccia dal Freezer – Che c’è?
E’ l’abitudine!»
Svogliata entrai nel laboratorio di Federico e presa da una fobia
indescrivibile non so se più per il buio o più
per il “Mangiabambini” ancora in salotto, cercai
l’interruttore della luce «Ah,
Fatine delle condanne a morte, fate che non chieda la mia testa, per
favore» implorai quando finalmente
l’oscurità sparì.
Dal salotto si udiva un leggero borbottio, e, incuriosita dalla
situazione, mi affacciai alla porta chiusa «Non prendertela con
lei – la voce di Matias suonava grave e
supplicante – E’
colpa mia se abbiamo ritardato. Le avevo promesso un gelato, ma voleva
rientrare a casa presto, per i bambini, capisci? L’ho pregata
io perché venisse, contro il suo volere»
«Contro il suo
volere, certo – Federico sospirò
– Non capisco
cosa ci troviate tu e Franco nel difendere così tanto il
personale di questa casa?» ne seguì
uno schiocco di dita «Ehi,
Flor farà parte anche del personale di questa casa, ma prima
di tutto è una persona, in modo particolare
un’amica e io non sono il suo avvocato difensore,
chiaro?»
«Ah certo,
un’amica! – Federico rise quasi
isterico – “Flor
vieni qua, andiamo di la, vieni che ti offro un gelato, se vuoi
possiamo uscire, tanto al Signor Freezer non deve interessare quello
che facciamo, giusto?”»
«Esatto,
Federico, non ti deve interessare quello che facciamo! Oggi
è il nostro giorno libero e non siamo obbligati a rimanere
incatenati né alla tua né alla vita dei tuoi
fratelli, sai?» una risatina ironica pervase
l’ambiente
«Incatenati alla mia vita e a quella dei miei fratelli, bella
questa! Chi te le scrive le battute, uno di quei tuoi amici
sceneggiatori?»
«Cosa
c’è, Federico? Non ti basta già
controllare la vita dei tuoi fratelli, vuoi anche controllare quella
del personale?»
«Sai come sono.
Mi interesso alla vita delle persone che vivono in questa
casa»
«Interessato o
paranoico? Nei giorni che ho trascorso in questa casa, non hai fatto
altro tranne che controllare la vita di Florencia. Che
c’è, Tedesco, ti piace quella ragazza?»
Sbarrai gli occhi, mentre il cuore sembrava volesse uscirmi dal petto
per saltare tre metri sopra il Cielo.
«Ma che dici?
– Federico rise nervoso – Piacermi Florencia? Non ti passa
per quella tua mente malata, il fatto che io sia già
felicemente fidanzato?»
Una pugnalata dritta e pungente, raggiunse il mio cuore, perforandolo
completamente.
«Beh, questo
spiegalo al tuo ego, perché stai rovinando la vita a quella
ragazza e io questo non te lo permetterò mai! Sei il mio
migliore amico, ma anche lei lo è e per tanto io ti voglia
bene come ad un fratello, il mio cuore ascolterà solo il
suo. Mettiti l’ego in pace, Federico e fai chiarezza in
quella tua testolina paranoica, perché è ora di
pulizie!»
I passi di Matias lungo la scalinata centrale, interruppero il silenzio
che si era formato dopo quella pesante discussione.
Ma tutte quelle parole, tutte quelle frasi sussurrate alla notte, non
erano pesanti quanto il mio cuore. Mi sentivo oppressa, affaticata,
asfissiata da quell’indigesto sentimento che mi stava
torturando l’anima.
Io e quella mia ostinata capacità a vedere cose che non
esistevano, a crearmi luoghi, situazioni ed emozioni senza nessun
fondamento nella realtà. Io e quelle mie stupide illusioni,
quei miei stupidi sogni che non facevano altro che farmi prendere il
volo verso l’inferno.
Federico amava la Strega con tutto il suo cuore e tutta la sua anima.
Come potevo credere ancora nelle fiabe? Come avevo potuto minimamente
pensare che come nei sogni, il capo si interessasse alla dipendente
goffa? E infine, come avevo potuto illudermi così, dal
niente, in un mare di utopia, dove le chimere regnavano senza peccato,
dove il rapporto capo-inserviente era così ben definito da
rimanere tale e quale nel tempo.
Il battito della porta mi riportò alla realtà.
Con il viso coperto dalle mani, Federico entrò in stanza
farfugliando chissà quale maledizione. Indietreggiai
inquieta, quasi spaventata dalla possibile reazione che avrebbe potuto
scatenare quell’abominevole Mangiabambini.
«Che ci fai
ancora qui? – ruggì con il suo
solito tono disprezzante – Vattene, Florencia,
vattene» la sua sembrava più una
supplica che un ordine. Mi avvicinai a lui, intenerita da
quell’improvvisa trasformazione da mostro a bambino.
Anche Federico sapeva essere dolce e tornare bambino e quel suo modo
rude e selvaggio di apparire era la conferma che nel suo cuore giaceva
ancora quello spirito ribelle di un normale diciassettenne, lo stesso
spirito che probabilmente non lo aveva mai abbandonato.
Non lo potevo incolpare per aver scelto la Strega. In fin dei conti
sappiamo tutti che l’Amore è cieco e lui aveva
optato per un mondo fatto di incantesimi e pozioni magiche.
Cosa potevo fare io?
Aiutarlo.
Aiutarlo a entrare in quel mondo e accompagnandolo se necessario.
Da quel momento io, Florencia Fazarino, avrei fatto di tutto per
dimenticarmi di Federico Fritzenwalden, anche a costo di vendere il
cuore e l’anima.
«Mi dispiace,
Signor Federico – gli posai una mano sul gomito
e lo vidi osservarmi con estremo disgusto - Avrei dovuto rientrare prima. Mi
prendo le mie responsabilità, costi quel che costi, anche
raggiungere il patibolo e consegnarle la testa se necessario,
l’importante è che non mi incarichi della manicure
alla sua fidanzata. La Signorina Delfina, sa essere veramente isterica
quando le si passa scarsamente il lima unghie»
«Chi ti da
questo diritto, Florencia?» Federico mi si
avvicinò adirato, furioso, quasi come un cane funesto. Lo
sguardo inviperito, fiammante, pronto ad afferrarmi e a farmi sparire
con una semplice scintilla. Gli occhi color miele si erano tinti di
sangue. Sembrava un assassino, un assassino in preda ad un istinto
omicida. Il giallo della sua maglietta era vivo, accesso di rabbia come
il suo viso, un viso le cui rughe intimavano, spaventavano,
terrorizzavano.
Ancora una volta avevo fatto una
gaffe.
«Chi mi da il
diritto di che? - indietreggiai – Di limare le unghie alla
Signorina Delfina? – la mia voce tremava come
una foglia – O
di prendermi le mie responsabilità?»
Federico mi prese per le braccia, scuotendomi, fino a farmi incontrare
il suo sguardo con il mio «Chi
ti da il diritto di prendermi in giro? Di entrare nella mia vita come
un uragano e spazzare via ogni minima certezza? Di farmi litigare con
il mio migliore amico? Di farmi dubitare di ciò che sento,
di ciò provo – lasciò la
presa e si girò di scatto, passandosi una mano tra i capelli
biondi, leggermente sudati – e perfino di ciò che
penso – raggiunse uno scaffale dello studio e,
dopo aver fissato ed accarezzato dolcemente la foto dei suoi
genitori, mi osservò con indignazione – Da quando sei arrivata qui hai
cambiato tutto a tua immagine e somiglianza. I miei fratelli, il
personale, perfino me! Mi domando chi ti da il diritto di venire qui e
di imporre il tuo modo di vivere e di essere?»
Lo guardavo tremante, spaventata, come se il bambino di qualche istante
prima, si fosse nascosto per dare spazio ad un uomo rozzo, villano,
arrabbiato più con se stesso che con il resto del mondo. Un
uomo insoddisfatto della vita che gli stava regalando il più
bel piacere che si potesse mai avere, ma che lui stava accantonando e
gettando per lasciare spazio all’isterismo che solo lo stress
del lavoro e le due Streghe potevano offrirgli. Il piacere e la
bellezza di vedere crescere i propri fratelli.
Trattenevo a stento le lacrime.
Per l’ennesima volta mi stava dando la colpa di tutto e di
tutti.
Deglutii, prendendo lentamente il respiro «Mi cacci
– allontanai una lacrima con un dito – Se è il mio modo di
essere, il mio modo di vivere, il mio modo di prendermi cura dei suoi
fratelli, mi cacci! Se è questo che la fa star male, le sto
dando l’opportunità di prendere il toro per le
corna, la colga! – alzò un
sopraciglio - Anziché
stare qui a sbraitarmi dal mattino alla sera come uno squalo dannato,
colga l’opportunità di stare bene lei e di far
star bene anche a me, mi cacci, mi mandi via, lontano da questa casa,
dal suo mondo e da tutta la sua famiglia e le garantisco che non mi
vedrà mai più, mai più»
Solo quando mi bloccò nuovamente con quelle sue enormi
braccia potenti, frenai il mio ennesimo fiume di parole, anche se le
lacrime scorrevano incontrollabili sul viso, senza pudore, ne decenza.
Mentre il mio sguardo si era perso un’altra volta nel suo.
Notai un brillio strano in quei suoi due occhi miele, poi lo vidi
avvicinarsi finché dolcemente mi sigillò le
labbra con un bacio.
Una scarica elettrica percorse il mio intero corpo e immediatamente,
come ipnotizzata, mi avvicinai sempre di più a lui.
Il cuore mi batteva all’impazzata e
un’indescrivibile nube si era appropriata
completamente della mia mente, scollegando ogni minimo
fliquity. Poveri neuroni impazziti!
Cellule emozionate che fluttuavano ebbre, gioiose tremendamente
infatuati per le vie del mio cervellino, offuscato da enormi cuori che
palpitavano all’unisono, perfettamente innamorati.
Incrociai le braccia per il suo collo e istintivamente aprii
leggermente le labbra per corrispondergli il bacio. Federico
sospirò sulle mie labbra e mi strinse i fianchi. Sembrava
che il bacio si stesse facendo sempre più profondo,
appassionato e il mio cuore batteva, così come il suo.
Lo sentivo, dal suo petto al mio, palpitare, pulsare, martellare come
un dolce brivido, un tiepido sussulto, una delicata pelle
d’oca.
Era un bacio.
Era dolcezza, tenerezza, delicatezza, gioia, passione e Amore.
Ci separammo lentamente quando anche l’ultima goccia di fiato
ci venne a mancare.
Incrociai i miei occhi con i suoi e arrossii leggermente.
Federico mi sorrise e dolcemente mi accarezzò il viso. Lo
seguii e ne imitai il gesto «La
tua barba? Non c'è più»
sussurrai con stupore. Federico mi sorrise teneramente «Solo ora te ne
accorgi? Un bacio non deve fare male» e
nuovamente si impossessò delle mie labbra.
Uno sciame di farfalle inondò la mia mente.
ANGOLO AUTRICE:
Ciao
Ragazzi!!!
Eccomi tornata con un
nuovo capitolo!
Come prima cosa volevo
scusarmi per il ritardo, ma il mio povero computer è stato
confiscato per svariate settimane in terapia intensiva ... ma spero di
essermi fatta perdonare a mio modo!
In tal caso e un po'
in ritardo BUONA LETTURA!
PS: Ringrazio
pubblicamente biby_ef ... flori186 ...
freezer1996 ... federika21 per
il bellissimo segno che lasciate sempre nei miei capitoletti.
Un ringraziamento
speciale anche a plume,
per la recensione inaspettata e il commento veramente emozionante.
Prometto che appena potrò mi cimenterò in un
qualcosa tutto mio ... ho già in mente qualcosina. ma per
ora mi dedico alla mia eroina!
A tutti un bacio
speciale
Dani
|
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Capitolo 19 *** Parola di Marinaio ***
...Parola di Marinaio...
Bacio.
Dicono che un bacio è la tenerezza se si dona ad un bimbo,
l'affetto se si dona ad un amico, una carezza sulle labbra, che fa
fremere il cuore e arriva all'anima di chi si ama.
Dicono che un bacio nasconde parole non dette, che è per
eccellenza il linguaggio dell’Amore, un apostrofo rosa tra le
parole “ti amo”.
Dicono anche che raggiunge le porte del Paradiso con un semplice, ma
meritato silenzio. E’ un istante breve, ma intenso che ognuno
vorrebbe non finisse mai. Un piccolo segreto sussurrato sulle labbra.
Fermare il tempo. Arrestare il cuore. Svuotare la mente e cavalcare
indescrivibili emozioni.
Rileggevo le frasi di mia madre, rispecchiandomi dentro. Sfogliavo il
suo diario con ancora il cuore in gola, lo sentivo battermi dentro il
petto, bloccarsi come per riprendere fiato e poi ripartire alla
velocità della luce. Tra le sue pagine, i suoi ricordi
sembravano unirsi ai miei in quella danza di emozioni e poi ancora lei,
mia madre. I suoi occhi dorati risplendevano nei miei, sorridendomi e
felicitandosi per quel sentimento che fino a qualche istante prima mi
aveva completamente svuotato l’anima.
Mi girai nel letto, cercando di prendere sonno.
Inutile. I miei occhi rimanevano fissi, immobili e rivolti
completamente al soffitto, mentre le mie labbra si schiudevano
inebetite stampando un esuberante sorriso, che nemmeno la
Strega munita del più grande incantesimo, avrebbe potuto
cancellare.
Un sorriso fatto di magiche emozioni che sicuramente avrei ricordato
per tutta la vita. Sembrava che qualche bell’angioletto
innamorato avesse schioccato una freccia dritta, dritta al mio cuore e
che un Federico provvisto di corona e mantello, ne padroneggiasse il
centro.
Tale e quale ad un Principe.
Ancora una volta in quella notte, i fliquity si aggrovigliarono nella
mia testa per dare vita alle immagini incantate di quella che ormai
definivo “la sera più bella della mia
vita”.
Io e il mio Principe.
Il mio Principe ed io.
Nello studio.
A litigare.
E poi …
E poi, Federico e quella sua stretta poderosa, quelle sue braccia
vigorose e quei suoi muscoli scolpiti, netti, decisi come ogni sua
carezza.
Federico e quel suo profumo inebriante, quella sua colonia dolciastra,
quel suo fresco respiro sul mio viso, quello stesso respiro degno del
suo habitat glaciale.
Federico e quel dolce miele dei suoi capelli, quel fervido grano dei
suoi occhi, quella sua bocca di fragola, sottile e fatata come ogni suo
bacio, ogni suo tocco e ...
«Flor» la sua voce sembrava una timida
carezza tra i miei capelli, dolcemente posati sul suo torace. Alzai
lentamente il viso solamente per incontrare il suo sguardo «Sì?»
sussurrai dipingendo un lieve sorriso al vedere brillare il miele dei
suoi occhi «Flor,
io … - alzai il sopraciglio notando
l’arresto improvviso di ogni sua attenzione – Ecco, io …» mi
scostò dolcemente la frangetta, mentre una me sorridente si
rifugiava ancora una volta tra le sue braccia «Ah Federico, non sai
da quanto tempo aspettavo questo momento –
sospirai, stringendo ancora di più le braccia intorno alla
sua vita – Sapevo
che prima o poi sarebbe successo! La mia mamma, le mie fatine, i miei
amuleti, tutto mi indicava che tu eri il mio Principe, l’uomo
della mia vita, il padre dei miei figli, il nonno dei miei nipoti
…»
«Flor, io
…»
«Shh, Federico!
Lasciami finire – lo rimproverai dolcemente
– Dapprima mi
rifiutavo di credere che un uomo della tua, per così dire
“altezza”, con tutti quei suoi principi vichinghi,
si potesse interessare ad una bambinaia goffa come me. Beh, ma poi, si
sa, tutto non è mai come sembra e come in una di quelle
fiabe dove malvagie stregonerie impediscono al Principe di confessare i
propri sentimenti alla Principessa, abbiamo anche noi la nostra fiaba!
Non trovi anche tu, che un bacio valga più di mille parole? –
sospirai, inspirando lievemente il suo profumo - Ah Federico, io me lo sentivo! Me
lo sentivo che prima o poi saremmo stati insieme, che, era come se
nell’aria si respirasse uno strano venticello primaverile,
una sensazione indescrivibile che sembrava volesse soffocare il cuore e
sai per cosa? – non ottenendo risposta
continuai – Per
tanto Amore, tanto sincero Amore»
«Amore
… - ripeté Federico con una certa
rassegnazione, prima di interrompere definitivamente
l’abbraccio. Si passò una mano tra i capelli, ora
scompigliati, poi incentrò i suoi occhi nei miei –
Flor, scusami»
alzai il sopraciglio, cercando di intuire un qualcosa in più
in quella sua espressione leggermente remissiva. Incrociai le braccia e
sospirai quasi divertita «Non
mi devi chiedere scusa. Delfina sarà obbligata ad accettare
il nostro Amore – posai la mano sul suo
braccio, ma Federico mi evitò quasi indignato – Federico, mia madre diceva sempre
che non c’è pietra che possa arrestare il passo
dell’Amore e …» Federico
scosse leggermente il capo «Mi
dispiace, Flor – titubante mi si
avvicinò, poi con fare dubbioso mi stampò un
leggero bacio sulla fronte – Buonanotte»
si coprì l’intero viso con le mani e, dandomi
definitivamente le spalle, abbandonò lo studio, lasciandomi
in preda ad una marea di dubbi.
Il perché del suo comportamento non aveva il ben che minimo
senso.
Federico sapeva essere testardo, ostinato e a volte perfino
impertinente, ma, forse, quel suo essere così rude e
così dolce allo stesso tempo e tal volta anche
“leggermente” contradditorio, faceva di lui la
persona speciale che tutti apprezzavano, per il suo carisma e quel suo
speciale fascino “reale”. La stessa persona dal
carattere misterioso e tremendamente polemico della quale mi ero
perdutamente innamorata.
Scrollai ogni pensiero, per lasciare spazio ad un sorriso ebete.
Mi portai una mano sulle labbra «Federico
mi ha baciata? – chiesi in un sussurro
– Federico mi
ha baciata – ripetei leggermente incredula,
reagendo poi con una dilatazione del sorriso classificata come di
estrema deficienza.
Rimasi così per chissà quanto tempo.
Mezz’ora, un’ora, due ore?! Quel che so
è che tornai in camera mia saltellando come un canguro in
preda ad un attacco spastico.
Sì, ma non come un canguro qualsiasi.
Un canguro con due enormi cuori al posto degli occhi.
E con questo dolce pensiero, finalmente, mi donai completamente a
Morfeo.
«Piantala, Tomas – nonostante fossero
appena le sette, in casa Fritzenwalden già si respirava la
pura pazzia. Lampade a tutta illuminazione, corridoi che sembravano
aver smarrito il senso dell’orientamento, porte in preda ad
attacchi di panico e note scanzonate che Maya dedicava a
tutta la famiglia nei primi dieci minuti di sveglia mattutina.
Chiamarlo caos sarebbe stato solo un piccolo complimento.
Passai accanto alla stanza di Maya, sospirai. Nella testa per tutto il
giorno ci avrebbero accompagnati le strofe dei Black Eyed Peas. Sorrisi
al sentire la giovane dei Fritzenwalden canticchiare qualche parole.
Per quel giorno avrei lasciato perdere qualsiasi rimprovero. Mi ero
promessa che dal momento in cui i miei occhi si sarebbero spalancati,
l’Amore sarebbe albergato per sempre in villa. Rimproveri,
punizioni, litigi, discussioni non servivano a nulla nella vita.
Portavano solo stress e nervosismo rovinando di passo in passo il cuore
delle persone. Federico ne era una dimostrazione, ma
l’eccezione conferma la regola e, anche il macigno
più solido e il ghiacciolo più freddo,
sciogliendosi al contatto dell’Amore avevano dato vita ad un
uomo migliore.
Sospirai nuovamente. Quanto poteva essere meravigliosa la vita? Quanto
potevano rallegrare e portare al Cielo un cuore i piccoli gesti come un
bacio?
Istintivamente strinsi i pugni. La famiglia Fritzenwalden aveva
già sofferto tanto, forse anche troppo. Ragazzi giovanissimi
che si erano trovati ad affrontare le disgrazie della vita. Ben o male
io avevo avuto mio padre e, anche se per poco, mi era stato accanto con
tutto il suo amore e anche solo il fatto di averlo lì, con
un falso sorriso sul viso, ad accarezzarmi il capo, dava una speranza
in più alla mia vita, una speranza legata al “non tutto
è perduto” e al che “dopo un acquazzone
sarebbe tornato a risplendere il sole”.
Ma loro … Federico era giovanissimo.
Diciassette anni e alle spalle mille sogni, mille desideri, ambizioni
passeggere, ma con grandi fondamenta nel presente. Sogni che
probabilmente sarebbero anche diventati realtà, con il tempo
… magari …
Si era sentito come un padre all’improvviso. Un enorme
coraggio, una forte speranza, l’amore per i suoi genitori, le
promesse fatte loro, uno spirito valoroso, lo avevano portato alla
coscienza di tutto ciò. Diciassette anni e la grande
responsabilità di diventare padre dei suoi fratelli.
In fin dei conti, Tomas aveva pochi anni di vita.
Federico era stato un gran bravo a cogliere al volo questa nuova
realtà. Ma tra dire e fare c’è di mezzo
il mare, si sa, e Federico, tutto solo e soletto, era riuscito a
gestire al meglio gli affari di famiglia, ma non
quest’ultima. Nonostante questo, si era guadagnato oltre che
il rispetto dai fratelli, anche un affetto incondizionato. Da Franco a
Tomas, i giovani Fritzenwalden avrebbero fatto di tutto, anche dare la
vita, per il loro fratellone maggiore, ma lui …
Lui aveva accantonato i suoi sogni, i suoi desideri per la famiglia.
Era ammirevole ed io Florencia Fazarino mi sarei occupata della sua
felicità e perché no? Anche di quella di tutti
loro.
«Insomma,
Tomas, piantala! Vattene! – le urla provenivano
dalla camera da letto dei gemelli – Il computer è mio,
allontanati, cretino!» frastornata dalle urla
isteriche, spalancai la porta. Nicolas il più giovane dei
gemelli minacciava il piccolo Tomas con uno dei suoi libri di scuola «Solo un
minuto»
«Allontanati!»
l’espressione sul viso di Nicolas mi rabbrividì.
Da quando ero andata a lavorare alla villa, non avevo mai visto quel
ragazzo così tanto arrabbiato, sembrava che il fliquity
dell’ira funesta gli avesse offuscato completamente i
connotati. Potevo sorprendermi nel vedere fuoriuscire le orbite dagli
occhi, per non parlare anche delle vene del collo:
l’incredibile Hulk in versione ridotta.
Spaventata, avanzai, coprendo Tomas, in un gesto difensivo «Nico, ma cosa stai
facendo?! – urlai quasi disperata, mentre il
giovane mi squadrava da cima a fondo con due pupille scintillanti
d’ira – Ti
sembra questo il modo di comportanti?» Nicolas
abbassò il libro, si passò una mano tra i capelli
e sospirò quasi irritato «Che
cosa avete tutti oggi? Non vi sopporto – si
portò le mani sul viso – Non sopporto più
nessuno!» con gesto furioso
scaraventò il libro a terra e lasciò la stanza
correndo come un lepre inviperita «Nicolas!
– feci appena in tempo ad urlare, ma il ragazzo era
già sparito. Preoccupata, osservai Tomas che, tenendosi una
mano sul gomito destro, fissava perso il pavimento – Ehi, Tommy, tutto bene? –
gli occhi del piccolo continuavano persi nel nero della moquette. Gli
sollevai lentamente il viso, per incentrare il suo sguardo – Ti ha fatto male?»
vedevo brillare le lacrime in quei suoi occhi dorati, potevo
addirittura percepirne la paura e Tomas, tremava, tremava angosciato,
sconvolto, ferito da tutto ciò che era appena successo. Lo
vidi gettarsi tra le mie braccia, con tutta la forza che un bambino
può recuperare dalla sua paura «Shhh –
gli accarezzai dolcemente il capo, quando lo sentii piangere
– E’
tutto passato, piccolo»
«Flor,
è stato terribile –
singhiozzò Tomas stretto al mio collo – Io … volevo solo
vedere … se avevo vinto il concorso … ma
… lui … mi ha preso per il braccio e
…» nuovamente scoppiò a
piangere «Tommy,
calmati, ora è tutto passato. Parlerò io con
Nicolas, vedrai che sarà stato solo un po’ nervoso
– cercai di rassicurare più me stessa che il
bambino – Adesso
fai un bel sorriso a Flor» Tomas scosse
leggermente il capo «Non
ci riesco» gli scompigliai dolcemente i capelli,
poi mi slacciai il ciondolo che mi ero messa la mattina stessa «Niente è
impossibile – glielo misi dolcemente
– Vedrai che
con i raggi del Glimlag, ti ritornerà la forza di
sorridere» Tomas fece dondolare il ciondolino a
forma di sole «Dici,
davvero?»
«Ti ho mai
detto una bugia? - il bambino mi fissò con
aria dubbiosa –
Tomas!» lo rimproverai divertita «E dai, Flor, stavo
solo scherzando – si strofinò il
naso con il polso – Sai,
sto già meglio, mi sa che il tuo Sole Sorriso, funziona
veramente!» mi fece l’occhiolino, poi
dopo avermi stampato un bel bacio sulla guancia, corse da Pedro per
andare a scuola.
Volevo fare qualcosa, distrarmi, togliermi dalla testa
l’orribile scena appena vissuta. Avevo assistito a diversi
litigi tra fratelli Fritzenwalden, per non parlare poi delle Streghe,
ma mai nessuno, era stato così scioccante. Forse, la villa
rappresentava per filo e per segno la famiglia di cui tutti facciamo
parte e non è per niente scandaloso parlare di discussioni,
litigi e battibecchi vari, perché tra parenti è
la cosa più normale al mondo.
In villa era così, sia di giorno che di notte …
se non era Roberta che faceva uno scherzo a Tomas, era Tomas che lo
faceva a Delfina, e Martin che con la sua intelligenza scatenava
l’ira di tutti i fratelli, per non parlare poi di Maya che
amava sfogare le sue doti beffarde su Franco, meccanismo che faceva
scattare l’ira di Federico.
Sistemai anche l’ultimo letto, poi rimasi a fissare per
qualche istante la stanza dei gemelli.
Il problema non era la villa in preda agli attacchi bisbetici di ogni
pazzo membro, no, il problema era Nicolas. Mentre gli altri suoi
fratelli passavano intere giornate a vivere di giochi e scherzi, lui
trascorreva le sue ore libere chiuso in camera, solo, attaccato a
quella dannata scatola elettronica che tranne che rimbecillirlo non
faceva altro.
Esasperata, mi portai le mani suoi fianchi “Povero
ragazzo” pensai. Nicolas, il gemello di casa
Fritzenwalden uno sventurato emarginato sociale ed era colpa nostra se
il poverino si comportava come un cucciolo a cui avevano appena tolto
l’osso dei suoi sogni.
Le pareti rosse sembravano descrivere con il loro colore, gli occhi
furenti di Nicolas.
Nicolas si stava perdendo i migliori anni della sua vita, se non anche
i momenti più belli trascorsi con la sua famiglia ed io,
bambinaia incaricata, dovevo fare qualcosa, dovevo aiutarlo.
«Flor, cos’hai? – Facha mi
passò una mano davanti al viso - Mi sembri un po’
persa»
«Sì,
è dieci minuti che fissi il pavimento, si può
sapere cos’hai?» fulminai Clara, quel
pomeriggio più isterica che mai. Sembrava aver superato alla
grande la morte di Carina «Scusatemi
ragazzi, ero sovrappensiero»
«E’
successo ancora qualcosa con quello scorbutico di
Fritzenwalden?» Bata fece voltare le sue due
bacchette «No,
Federico oggi nemmeno l’ho visto, il fatto è che
mi preoccupa Nicolas»
«Il brutto
anatroccolo?» l’ironia di Clara mi
fece rabbrividire, ma per fortuna nessuno sembrò ascoltarla «Flor, a me dispiace
che i miei cugini ti preoccupino, però ora dobbiamo decidere
cosa fare per il concorso, il termine dell’iscrizione
è domani e noi non abbiamo ancora scelto la canzone da
portare!»
«Nata ha
ragione, se andiamo avanti così, la vetta del successo ce la
possiamo anche scordare!» Facha si fece
scivolare sul divano in pelle rossa «Beh,
ragazzi, non è colpa mia se c’è chi
preferisce farsi i cavoli degli altri anziché
provare!»
«Clara, la
colpa non è di nessuno» Bata
colpì il disco della batteria, provocando un rumore sordo «Ah no? E allora chi
ha il coraggio di spiegarmi il perché in questo ultimo mese
non abbiamo nemmeno provato un minimo straccio di canzone, eh? –
Clara balzò in piedi, poi, furiosa più che mai,
punto il dito su di me – Nessuno,
perché tutti sappiamo che in realtà la colpa di
tutto è di Flor e di quella pazza vita che le gira intorno!
Per lei tutto è più importante della band, se non
è per i mocciosi, è per il viziatino di turno, ma
mai, mai si ricorda di avere dei compagni che l’aspettano
anche quando decide di darli buca, mai!»
«Clara, ti stai
costruendo un castello senza fondamenta! – Bata
la minacciò con una delle sue bacchette – Sai benissimo che quando abbiamo
deciso di formare il gruppo, lo abbiamo fatto per passione, come un
hobby, pur sapendo che ognuno di noi aveva delle priorità a
cui dedicarsi. Non siamo tutti dei mantenuti come
te!»
Frastornata da quegli insulsi battibecchi, balzai in piedi
dal divano «Adesso
basta! – il silenzio rimbombò nel
capannone – Clara
ha ragione, e non sapete quanto mi dispiace di non essermi occupata di
voi e della band»
«Solo?»
ignorai nuovamente Clara «In
questo ultimo mese ho avuto un sacco di problemi gironzolarmi per la
testa e mi dispiace tantissimo per questo, perché non era
quello che avrei voluto ne per me, ne per voi –
presi posto al tavolino davanti al divano, poi afferrai carta e penna
– Allora,
Kikirikì o Chaval Chulito?»
I ragazzi mi osservarono allibiti.
Avvolsi un fiocco celeste al gambo del mio nuovo amuleto «Ecco fatto»
annodai bene, bene, finché i petali vistosi del fiorellino
ciondolarono.
Avevo passato l’ultima settimana a minacciare i fliquity del
mio cervellino, affinché trovassero una soluzione al mio
dilemma; plasmon, spinaci, more e mirtilli, sembravano aver fatto il
loro effetto, dando completamente senso al detto della mia cara zia
Titina “Mens
sana in corpore sano”. Così dopo
giorni e giorni di affaticamento celebrale, stavo per sciogliere il
terribile nodo della scatola elettronica: un nuovo amuleto per
ristabilire l’equilibro nella vita di Nicolas. Il Diario
della mamma aveva parlato chiaro “Per
chi si mette in viaggio, la Clematide disegna il passaggio”.
Sicuramente il bluette della spilla a fiore avrebbe tranquillizzato
l’animo nervoso del gemello dei Fritzenwalden e magari
chissà, aiutandolo anche a trovare la strada giusta per
trovare se stesso … Nicolas aveva bisogno di un navigatore
speciale ed il mio Lakuar lo avrebbe accompagnato ovunque, anche dove i
miei fliquity non riuscivano ad arrivare «Flor, sei
qui?» un tocco lieve alla porta mi fece
scivolare dalle mani il talismano, mentre con poco fiato in gola,
sibilavo un leggero sì.
La porta si aprì.
Con i suoi ricci biondi sempre spettinati, Franco sgattaiolò
nella mia stanza con fare furtivo, era preoccupato, lo leggevo nel blu
dei suoi occhi, così blu da farmi rabbrividire,
perché ero io la causa della sua preoccupazione.
Imbarazzata, abbassai lo sguardo, giocherellando con la spilla «Flor, ti ho cercata
ovunque – Franco si inginocchiò
davanti al mio letto per catturare la mia attenzione. Mi era vicino,
sentivo il suo calore, il cotone del suo maglioncino bianco
accarezzarmi le gambe, ma non avevo il coraggio nemmeno di fissarlo,
rimanevo imperterrita – Flor,
io non ce la faccio più, sono settimane che mi eviti, ti
allontani da me ed io … ho fatto qualcosa che non dovevo
fare? - avevo paura, paura di alzare gli occhi ed
incontrarmi con i suoi, paura dei suoi pensieri, dei suoi gesti
… lui mi amava - Flor,
per favore guardami – mi accarezzò
dolcemente il viso, provocandomi un tiepido brivido, poi mi
sollevò lentamente il mento per incentrare il suo sguardo,
ma nuovamente lo evitai – Flor,
che cosa ho fatto? Perché non mi rispondi? Almeno guardami -
rinunciai al gioco di sguardi, Franco e il suo dolcissimo modo di
proporsi mi facevano pena, se continuavo così gli avrei solo
fatto del male e basta. Finalmente, fissai i suoi occhi. Erano blu e
non celesti come al solito, anzi, brillavano di tristezza,
quell’inquietudine che ero stata in grado di procurargli
– Angioletto,
cosa ti ho fatto?» mi scostai nervosa la
frangetta «Franco
– sussurrai – io … mi dispiace, mi
sono comportata come una stupida, non dovevo fare così, il
fatto è che …» non trovavo
le parole adatte per spiegare al mio carissimo amico il mio stato
d’animo. Io gli volevo bene, ma non come lui a me «Il fatto è
che?» sospirai nervosa «Ah, lasciamo perdere,
facciamo finta che non sia successo niente e ricominciamo da capo,
ok?»
«Flor, ti
conosco, e i tuoi occhi mi dicono che ti ho fatto qualcosa, per favore,
dimmelo»
«Poco tempo fa,
per sbaglio, ho sentito una conversazione tra te e Federico»
Franco mi fulminò «Per
sbaglio, eh?» alzai le spalle «Che
c’è? Ero lì per caso! Io non sono di
certo una spiona che origlia le conversazioni altrui, ma per chi mi hai
preso, scusa?» Franco sorrise divertito, poi
allungò la mano lungo il mio viso, accarezzandolo dolcemente
«Per un
bellissimo Angioletto»
«Ah, Flor,
ancora con questa storia!» portò la
testa all’indietro sbuffando annoiato.
Ancora una volta mi ero salvata. Se solo avessi osato dire la
verità, chissà come avrebbe reagito sapendo che
io, ero a conoscenza della sua cotta per me. Meglio tenere segreto
ciò che doveva rimanere segreto, perché si era
sempre a tempo a rovinare una bellissima amicizia come la nostra e
Franco non si meritava di soffrire.
Così, viva le bugie! Bugie a fin di bene naturalmente e poi
fondate sulla realtà. Franco sapeva che odiavo quando
qualcuno prendeva le mie veci di fronte al "sergente universale",
perché mi conosceva ed io, ero e sono tutt’ora una
donna indipendente, in grado di difendersi da sola da orchi senza cuore
e principi insanguinati, per tanto, amicizia o no, la spada della legge
l’avrei alzata solo con la forza delle mie belle manine.
Gli amici servivano per altro.
«Sì,
Farolito caro, ancora con questa storia! E’ la miliardesima
volta che te lo ripeto: sono grande e vaccinata, indipendente, so
difendermi da sola e di sicuro non mi faccio venire la tremarella per
le urla isteriche di un Mangiabambini malato di nervi!»
Franco rise divertito «Mangiabambini
malato di nervi? Questa me la devo segnare, così la prossima
volta che litigo con Federico, ho la battuta pronta»
«Eh no, mio caro
– alzai l’indice - certe cose le posso dire solo
io!» Franco mi abbassò il dito «Una specie
di tuo dizionario?»
«Una specie
- sentivo il calore della sua mano avvolgere la mia. Sembrava che
l’amicizia di una volta fosse tornata a regnare tra di noi
– Farolito?»
«Mm?»
alzò lo sguardo, prima intento a fissare le nostre mani, per
poi incentrarlo nei miei occhi «Tuo
fratello? Come sta?»
«Chi? Federico?
- annuii, trattenendo il nodo che mi si era formato in
gola.
Dalla sera del meravigliosissimo bacio che ci eravamo scambiati non lo
avevo più visto.
La mattina seguente lo avevo cercato per tutta la villa, sperando in un
suo sorriso, in una sua carezza, ma la mia illusione era svanita quando
Matias mi aveva comunicato che il mio Principino era dovuto partire per
un improvviso viaggio di lavoro. Fin qui tutto normale, se si
considerava il fatto che Federico era un importante uomo
d’affari, ma il problema sorgeva nel sapere che ad
accompagnarlo era andata quella coda di foca di Delfina. Al pensare a
quei due soli e soletti in chissà quale parte della terra,
riempiva ogni fliquity del mio corpo di un’angoscia
indescrivibile. Mi fidavo di Federico, lo amavo e non me
l’ero presa più di tanto per il fatto di non
avermi portata con sé, anzi, confidavo in una rottura doc
con quella serpe di Delfina. Nel mio cuore sapevo che quando sarebbe
tornato, il nostro amore sarebbe uscito alla luce del sole e solo
così, tra un sorriso ed un altro, avremmo condiviso i giorni
nella nostra vita abbracciati tra un fratello Fritzenwalden e un altro
…
«Credo che stia
bene, per quel che ne so, l’affare con i Francesi
è andato a importo. Ora si spera solo che
l’impresa dei Chateaubriand …»
«Salute!»
«Flor,
è un cognome francese, non uno starnuto guasto!»
scoppiammo entrambi in una sonora risata.
Io e le lingue straniere non andavamo molto d’accordo,
soprattutto se si parlava di inglese, tedesco e francese. Quegli
europei puntigliosi amavano complicarsi la vita. Perché si
ostinavano a vivere di lingue sconosciute a livello mondiale, quando lo
spagnolo avrebbe risolto tutti i loro problemi? Perché
arricchire il proprio vocabolario celebrale, quando bastava sapere la
propria lingua? Bah, tutto ciò rimaneva un mistero, tranne
il fatto di sapere che l’Europa era un Paese di matti. Forse
era il perfetto rifugio in cui Malala e Delfina amavano volare con le
loro scope. Parigi non è mica in Europa?
«E questo? –
Franco prese tra le dita il mio amuleto – un nuovo fermaglio per i
capelli?» glielo afferrai «Ma quale fermaglio
dei capelli, questo è un talismano potentissimo che non devi
azzardarti a toccare, nemmeno con un dito!» il
giovane strabuzzò gli occhi «Quando fai
così mi spaventi»
«Beh, allora
spaventati, perché i miei amuleti sono potentissimi e se non
usati nel modo giusto, possono essere pericolosissimi»
Franco rise «E
questo è un amuleto per che cosa?»
strinsi forte il fiorellino azzurro, poi fissai concentrata gli occhi
azzurri del mio carissimo amico «Farolito,
ti presento Laukar, l’amuleto dei viaggiatori. Per chi si
è perduto, questo è un piccolo aiuto»
«E aiuta anche
con le ragazze?» gettai uno sguardo al mio
sacchetto contenente tutti i miei amuleti «Beh, no
– posai la spilla sul letto ed iniziai a frugare – per questo tipo di cose
c’è solo una cosa che ti può aiutare –
alzai la piccola bacca rossa che tenevo con cura legata ad un
fiocchetto giallo – il
Fruta è la soluzione a molti di questi problemi, ti da
coraggio ed elimina ogni paura o timore che sia, aiutandoti ad
affrontare ciò che più ti indispone, anche le
ragazze, sai? La portavano gli antichi faraoni al centro del petto,
poiché dono di Iside – gliela posai
al centro del palmo della mano – funziona solo se la tieni stretta
al cuore»
Franco chiuse il palmo con ancora la mia mano poggiata alla sua «E per un
bacio?» lo vedevo sorridere, mentre si
avvicinava a me, mentre accorciava leggermente la distanza tra di noi, mentre i
suoi occhi coloravano di blu i miei «Per un bacio?
– sussurrai nervosa – Che cosa intendi
per un bacio?»
Il campanello dei Fritzenwalden rimbombò nuovamente per i
corridoi della villa.
Sospirai percorrendo velocemente le scale. Grazie alle fatine degli
amuleti mi ero salvata da Franco e la sua aria da corteggiatore. Non mi
ero mai resa conto di quanto fosse facile inventarsi delle scuse per
evitare le persone. Ci sono cose che nessuno può mai capire
nella vita, ma fortunatamente ogni giorno s’impara sempre
qualcosa di nuovo. Che siano amuleti, talismani o portafortuna, una
piccola bugia può sempre aiutare a cavarsela anche nelle
situazioni più imbarazzanti e se non si è proprio
dei grandi attori, tentar non nuoce, no?
Alzai gli occhi al Cielo, ringraziando le fatine, poi mi diressi alla
porta d’ingresso. Quando la spalancai, le goccioline
trasportate dal vento tempestarono il mio viso «Titina, cosa ci fai
qui?» i capelli rossicci raccolti in una
crocchia si agitavano come le foglie che lo sbuffo autunnale muoveva in
giardino. Tremava, tremava come i suoi occhi celesti, che mi
osservavano cupi, turbati, come impressionati da un qualcosa che solo
la mia cara Zia poteva conoscere. Solo dopo qualche istante mi avvolse
in un abbraccio disperato «Oh
tesoro mio, sei tutta intera, grazie al Cielo –
sentivo il suo profumo di cannella invadermi l’anima, ma ero
troppo confusa per preoccuparmene – Mio Dio, grazie al Cielo, stai
bene!» mi scrutò da cima a fondo. Ora
i suoi occhi sembravano più tranquilli, ma io no «Titina, certo che sto
bene, mi sa che qui quella che non è molto in forma sei tu,
sei così pallida»
«Oh, Flor cara!
- si lanciò nuovamente tra le mie braccia – avresti da offrirmi un buon
tè?
La tazza fumante del tè tremava come una foglia tra le mani
di Titina. La mia cara Zia era talmente fuori di sé che si
stringeva a tutto il suo corpo come fosse il suo ultimo appiglio. La
osservavo sorseggiare, deglutire e qualche volta sospirare, cercando di
trovare le parole per spiegare quell’inquietudine che
brillava nei suoi occhi celesti. Perfino la cucina di casa
Fritzenwalden sembrava essere caduta in preda ad un terribile silenzio
e di certo il tempo non aiutava, visto che dalle finestrelle deboli
tuoni echeggiavano come per dare atmosfera.
Titina sospirò ancora una volta, poi estrasse dalla sua
borsa leopardata una busta colorata e oscillando la mise sul tavolo.
Senza nemmeno esitare, l’afferrai quasi di colpo. Velocemente
lessi il mittente «Titina,
ma è di mio padre - la zia annuii sconcertata.
Impaziente, aprii la busta, dalla quale estrassi un cartoncino
colorato. Le parole erano chiare, in stampatello, come amava scrivere
mio padre. Poche lettere, il cui inchiostrò sembrava essersi
divorato la carta, così come era successo al mio stomaco
– Cosa
significa che sono in pericolo?»
L’ultima volta che avevo visto mio padre era stata cinque
anni addietro, prima che le autorità mi segregassero in un
collegio.
Mio padre era un uomo fantastico, amava ridere e scherzare e nei miei
fliquity celavo ancora bellissimi ricordi della mia famiglia insieme,
ma ahimé, la sua chimera era il mare e come dice il detto “Chi non sa pregare
vada in mare a navigare”, quindi chimera o no,
mio padre aveva gettato il dolore della perdita di mia madre
tra le onde dell’Oceano.
Ricordavo ancora quei suoi occhi neri, che sorridevano ad ogni mia
marachella e quelle sue sopraciglia folte, scure come la notte, che il
più delle volte si corrugavano in un’espressione
divertita, ma nel suo sguardo, anche il più ignorante degli
asini avrebbe potuto scorgere malinconia, perché si sa “Per chi in mare cade,
non è facile montare” …
Ma ripeto e ribadisco, per me, Eduardo Fazarino era l’uomo
più importante della mia vita, anche prima del Freezer,
perché lui era il mio super papà. Quello stesso
papà che di notte mi raccontava una fiaba prima di
addormentarmi, che mi stringeva tra le sue forti braccia per
coccolarmi, che mi lanciava in aria, ogni qualvolta si rallegrava, che
mi prendeva per la mano per una passeggiata, quello stesso
papà che amava la mia mamma e l’aveva resa felice
come una dolce pernice.
Titina scosse velocemente il capo «L’ho
ricevuta questa mattina, probabilmente tuo padre sapeva del tuo ritorno
al Passaggio dei Baci. L’importante è che tu, mia
cara Flor, stai bene. E’ successo qualcosa? Una di quelle
serpi velenose ti ha fatto o detto qualcosa?»
negai col capo «No,
quella Strega di Delfina è andata con Federico in Europa, e
la tarantola della madre è in una Spa»
«Strano»
ironizzò Titina, cercando di mantenere la calma «Sai, in fin dei conti
non mi meraviglio se papà sa dove sono –
sorrisi – ha
avuto sempre un buon fiuto per sapere dove si trovava sua figlia -
Titina sbottò in una risatina isterica.
C’era ancora qualcosa che la mia cara zia mi nascondeva, e se
il mio sesto fliquity non errava, era qualcosa che riguardava la
lettera di mio padre «Titina,
secondo te perché mio padre ti ha mandato questo messaggio,
voglio dire, è anni che non lo sento, e poi si presenta con
una specie di biglietto intimidatorio, mi chiedo se non ci sia sotto
qualcos’altro – osservai la zia
tentennare sulla sedia – Titi,
mio padre ha qualche problema?»
Papà era un uomo troppo buono per il mondo marittimo. Mi
chiedevo spesso come faceva a resistere a tutti quegli squali che
divoravano senza pietà. In questi anni mi ero documentata
più volte sui marinai e la realtà che li
circondava. Nei libri li descrivevano come dei “barbanera
indiavolati” alla ricerca di chissà quale tesoro
delle sette leghe. Ora, non che credevo che mio padre fosse un
barbanera indiavolato, anzi, per me era solo una povera vittima di
questi mangia pesci, perché ripeto, era troppo buono e mi
chiedevo come faceva a resistere … prima o poi sarebbe
rimasto divorato (parola di marinaio)
«Che io sappia
no, ma Flor cara, dove hai detto di aver vissuto con la tua
famiglia?» alzai il sopraciglio «Titina, cosa centra
con la lettera?»
«Eccome se
centra, questa lettera è stata spedita da
“Esperanza”, il paese in cui hai vissuto per molto
tempo!» strabuzzai gli occhi incredula «Cosa? Mio padre
è qui?»
Angolo
Autrice:
Hola Chicos!!!!
Eccomi tornata questa volta con un piccolo capitolo!
Scusate il tardo ritardo, purtroppo scuola e lavoro non mi permettono
di dedicare tanto tempo alla scrittura, ma spero di essermi fatta
perdonare ... già vi premetto che per il prossimo
capitoletto bisognerà aspettare ancora un po', spero mi
capiate ;)
In questo capitolo c'è stato poco romanticismo, ma non vi
preoccupate, perchè nel prossimo molti segreti verranno a
galla ... seguitemi!!
Un grazie a tutti ...
Un Bacio
Dani
|
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Capitolo 20 *** Segreto Sussurrato ... Cuore Spezzato ***
°°°Segreto
Sussurrato ... Cuore Spezzato°°°
Il viaggio in autobus sembrava non finire più.
Avevo passato gli ultimi dieci minuti a fissare le mie sneakers rosse
con lo sguardo perso: gli occhi fissi nel vuoto ed il cuore palpitare
lentamente, come se l’emozione di incontrare mio padre dopo
tanti anni, non sfiorasse minimente la mia immaginazione.
Strinsi fortemente il fascio di lettere che tenevo tra le mani.
Erano passate due settimane dal primo biglietto che Titina mi aveva
consegnato con gli occhi terrorizzati dalla paura, ma non era stato
neanche l’ultimo.
Mio padre era sconvolto, le sue parole erano chiare come
l’acqua: ero in pericolo.
Non conoscevo ancora il motivo di questa sua preoccupazione, e
benché avessi fatto di tutto per contattarlo e affrontare il
problema, mio padre, l’uomo di mare, si era trasformato in un
vero e proprio vagabondo. Le lettere erano state spedite ogni qualvolta
da posti differenti, impedendomi di rintracciarlo;
quest’ultima nuovamente da Esperanza.
Era un’emozione tornare nel quartiere dove avevo passato la
mia infanzia e ricordare i bellissimi momenti trascorsi quando ancora
mia madre era in vita, ma il mio umore non calzava perfettamente nella
commozione.
Era così triste trovarsi nel paese di tutta una vita e non
poter minimamente tracciare un sorriso.
Il mio cuore parlava chiaro: non c’era posto per ricordare,
perché quelli che erano i miei ricordi si erano polverizzati
con le parole di Federico qualche giorno prima.
Sospirai, perdendomi in quell’oblio di dolore.
«Torna Fede!» esclamarono
all’unisono Tomas e Roberta correndo giù per le
scale a tutta felicità. Con estrema frenesia si gettarono su
di me e mi divorarono di abbracci «Flor,
non vedo l’ora che entri da quella porta!»
il piccolo di casa si spaparanzò con un cuscino tra le
braccia «Ah
sì? E come mai tutta questa fretta?»
i bambini si scambiarono uno sguardo complice «Per i
regali!» risposero contemporaneamente, mentre lo
schiocco della serratura annunciava l’arrivo tanto sperato.
Un enorme sorriso si colorò sul mio viso.
Finalmente rivedevo il mio Principe Azzurro dopo un’intera
settimana.
Era bellissimo in quel suo giubbotto blu scuro, mentre si scuoteva
freneticamente la neve di dosso.
«Federico!»
i bambini lo raggiunsero, gettandosi tra le sue braccia. Tomas e
Roberta scoppiarono in una sonora risata quando il Freezer li
sollevò in aria giocosamente.
Osservai la scena con il cuore in mano. Non avevo mai amato
così tante persone nella mia vita, ma non volevo di certo
tornare indietro, vista la meravigliosa opportunità che mi
era stata offerta.
Mi guardai intorno alla ricerca di Delfina, ma non ve n’era
neanche l’ombra, così nell’istante in
cui Federico rimise a terra i bambini, gli corsi incontro
stringendolo con tutto l’amore che il mio cuore sprizzava.
Sentivo il suo dolce profumo invadermi l’anima. Chiusi gli
occhi decisa a salutarlo con un lieve bacio, sotto gli sguardi
incuriositi dei piccoli di casa.
Non mi ero accorta di quanto Federico fosse freddo … nemmeno
mi aveva ricevuta con un sorriso, ma è il bello delle
sorprese, no?
«Staccati da
lì cardo immonda!» la voce stridula
della coda di foca si intromise come un pugnale volante nella mia
mente.
Ancora abbracciata a Federico, voltai il capo incredula «Tu?»
sibilai con il fiato bloccato in gola.
Delfina mi fulminò inviperita «Sì! Io,
Delfina Santillàn Torres Oviedo, futura sposa del mio
fidanzato, Federico Fritzenwalden» sbarrai gli
occhi stupita.
Federico e Delfina di nuovo insieme? Dopo quel bacio?
Ero impietrita, completamente scioccata, mentre toglievo le braccia dal
collo di Federico. Spostai lo sguardo sui ragazzi, che scuotevano il
capo sdegnati, poi su Federico, sempre più distaccato ed
infine su quella coda di foca che sorrideva con estrema soddisfazione.
Certo, come potevo interessare ad uomo come Federico? Un uomo che
preferiva l’eleganza di una miniabito invernale pittore di un
corpo degno di rivista, al burlesco di una gonna marrone muralista di
una babysitter mal riuscita?
Strinsi i pugni con forza. Contenevo la rabbia a stento, ero
più al limite che alla concessione, mi sentivo un diavolo
per capello «Mi
scusi – mormorai perplessa, mentre gettavo uno
sguardo furioso a Federico – Avevo scambiato il Signor
Federico per … Franco» sospirai.
Federico alzò un sopraciglio, mentre Delfina mi squadrava da
cima a fondo con un lieve sorriso sulle labbra. Come una gatta morta,
si avvicinò al Freezer e gli avvolse le braccia intorno al
collo, adottando una postura per così dire elegante «Ah –
sospirò sul collo del Principe come per marcare il
territorio – vita
mia, l’hai sentita? Che tesoro, ti ha scambiato per il tuo
fratellino minore. Non è un amore?»
Federico annuì meccanicamente «Siamo simili»
curvai le mie labbra in una smorfia “Similissimi”
pensai “come
il giorno e la notte”
«Oh cara Flor
– sibilò nuovamente la Strega – non ci avevi parlato della tua
storia con Franco»
Io e Franco?
Mi coprii il viso con le mani: guai in vista!
Poco dopo l’intera famiglia era riunita
nell’elegantissima sala da pranzo della villa.
Sospirai, entrando con una delle meravigliose delizie di Antonio. Il
dolce profumo del cioccolato inebriava ogni mio senso, forse solo in
questo modo avrei trattenuto le lacrime. La glassa di vaniglia era
chiara e, adornata da ciliegine rosso porpora, disegnava in quel mare
oscuro di cacao la bianca scritta “22
Giugno 2004 … Ti amo”.
Un nodo mi si formò nello stomaco, mentre depositavo con
mani tremolanti la torta sul tavolo, proprio di fronte a Federico.
Sentivo addosso il suo sguardo freddo ed impassibile, era una tortura
sopportare tutto quello, soprattutto se alla mia destra avevo una
tremenda coda di foca che sorrideva come una iena in piena savana
tropicale.
«Scusate»
Delfina si schiarì la voce, mentre con un campanellino
richiamava l’attenzione dei presenti «E taci, Strega!
– Tomas ingoiò il suo ultimo pezzo di pane
– Non ci lasci
nemmeno mangiare in pace!» Federico lo riprese
con il suo solito tono scontroso
«Tommy caro – riprese la gatta morta
– sarà
solo per poco, dopo di ché potrai tornare –
gettò uno sguardo al posto che il piccolo sedeva a tavola
completamente impataccato – alle tue delizie
culinarie» sorrise poi schifata.
«Ma quali
delizie del …»
«Tomas!
- lo riprese nuovamente Federico, mentre l’intera famigliola
rideva a crepapelle, poi con fare rigido e robotico, afferrò
“dolcemente” la mano della Strega – continua pure, Delfina»
Sull’intera sala da pranzo calò il silenzio.
Si sapeva ciò che stava per accadere, per tanto
l’unica persona che sembrava veramente interessata alla
situazione era Crudelia de Mon, che dall’alto del suo
cospetto, sorrideva compiaciuta ai ragazzi, l’uno
più disinteressato all’altro. Nicolas fissava a
vuoto il piatto, i bambini giocherellavano con i tovaglioli, Maya si
mangiava le unghie, Sofia ingoiava il pane restate in tavola, mentre
Franco … beh, lui mi fissava con quei suoi due occhi
turchesi.
La coda di foca prese posto alle spalle di Federico, che cinse
dolcemente «So
che non è una novità, perché ormai io
e vostro fratello ci conosciamo da una vita e sempre siamo stati
l’uno innamorato dell’altra, però non
c’è mai stata occasione per parlarne apertamente,
vero amore? – Delfina cercò lo
sguardo di Federico, stranamente incrociato al mio. Rabbrividii, mentre
il Freezer annuiva meccanicamente – Ora è giunto il
momento che la nostra relazione sia realtà. Io e Federico ci
sposiamo»
Istanti di silenzio accompagnarono il sorriso appagato della iena
tropicale.
Tremavo, ma non per il freddo, se non per la consapevolezza che un tir
carico di mucche giganti mi aveva appena travolta, scaraventandomi per
chissà quanti chilometri.
Solo dopo qualche secondo Malala si alzò e
applaudì freneticamente, invitando poi in modo
“gentile” la figlia minore a seguire il suo esempio
«Beh
– riprese poi Federico, passando lo sguardo per ognuno dei
suoi fratelli – Non
dite niente?» i ragazzi si fissarono per qualche
momento. Improvvisamente Franco abbandonò la sua sedia per
unirsi in un abbraccio caloroso con il Freezer «Bella là,
fratellone! – gli diede un buffetto in viso,
poi stampò due baci di felicitazione a Delfina – Non ci siamo conosciuti molto,
però ti auguro di essere felice! - e con un
sorriso sulle labbra mi si avvicinò – a più tardi,
Angioletto!»
«Franco
– Federico sembrò fulminarlo con lo sguardo
– non rimani
per il brindisi?»
«No, ho da
fare» e abbandonò la sala.
«Ah, Herr
Federika, potere io dare bacio di aggradamento? - Il
Freezer sorrise accogliendo tra le sue braccia una Greta umida di
lacrime – Ah,
Federika, non sapere da quanto tempo Greta aspettare qvesta momenta –
si soffiò il naso con il fazzoletto che Federico le aveva
offerto poco prima – Essere
tanta felice sua vecchia pampinaia! Essere tanta piccola, Herr
Federika, tanta piccola quando Greta essere venuta in qvesta casa in
qvel giorno tanto piovoso e ora, lei essere cresciuta, stare per
sposare, fare sua propria famiglia e povera Greta
… essere tanta vecchia e felice per suo picionono!»
Greta si soffocò in un nuovo pianto, che riuscì a
calmare solo tra le braccia di Federico.
«Sono contento
per te - mormorò in seguito Nicolas con un
lieve applauso - che
siate felici» e senza esitare si alzò
e seguì le orme del gemello «Che
cos’avranno da fare quei due questa sera?
– chiese Federico passandosi una mano per i suoi capelli
biondi – Florencia,
tu ne sai qualcosa? – mi risvegliai dallo stato
di trance che avevo raggiunto e, afferrando quella poca forza che mi
era rimasta, scossi leggermente il capo – E voi? Maya, Martin, non vi
congratulate?»
Maya fissò il fratello indignata «Io non ho molto da dire
– disse con ancora un dito in bocca – la vita è la tua e sai
benissimo che cosa farne, se hai deciso di buttarti direttamente nel
cassonetto, non è un mio problema –
bevve un sorso d’acqua per poi ritornare alla coppia
– Comunque
felicitazioni»
Federico era rimasto turbato dal tono aspro della sorella tanto quanto
me. Ma cosa ci potevo fare se tranne che dire la verità la
giovane dei Fritzenwalden non aveva fatto altro?
«Federico,
Delfina – il Freud di famiglia si
sistemò gli occhiali leggermente fuori posto – Approvo ciò che nel
gergo comune si definisce “relazione congiunta” per
quanto il vostro rapporto si basi su una lunga serie di anni trascorsi
insieme, ma ciò non vuol dire che mi rendiate
l’uomo più felice sul nostro Pianeta, per non
parlare di Galassia, atrimenti sfiderei le leggi della fisica atomica–
un enorme punto di domanda si disegnò su ognuno dei nostri
volti – Cerco
di spiegarmi. Per tanto io consideri la tua fidanzata, Delfina, una
persona non adatta al ruolo che le hai assegnato, piegherò
il mio intelletto ad accettare questa situazione alquanto sollecita–
sospirò - per
tanto, felicitazioni» una smorfia si
disegnò sul viso di Federico, mentre la Strega sollevava
indignata gli occhi al Cielo «Io
non c’ho capito un’emerita mazza!» ruggì
Tomas a braccia conserte «Cosa
essere che picionono non capire? Herr Federika sposare»
«Appunto!»
il bambino nascose gli occhi sotto
un’espressione imbronciata, mentre Greta lo osservava
incuriosita «Quello
che il mio socio vuole dire –
continuò poi la piccola Roberta agitando i suoi codini
ribelli – è
che Federico non può sposarsi con Delfina!»
«Perché?»
esclamarono all’unisono gli adulti di famiglia «Perché Fede
è innamorato di Flor e anche Flor lo è di
lui!» quando involontariamente incrociai gli
occhi del Freezer, abbassai il viso imbarazzata.
Volevo morire, anzi, avrei voluto strangolare con le mie stesse mani
quei due mocciosi dalla lingua lunga, qualcuno doveva insegnarli quando
era giusto parlare e quando invece no!
Il panorama del barrio Esperanza
era tale e quale a qualche anno prima, solo la torre
d’ingresso aveva perso il suo giallo vivace, per dare vita a
piccole crepe del tempo. Finalmente il pullman attraversò
l’arco, segno che ero quasi arrivata a destinazione.
Le campagne argentine erano simili a tutti i luoghi che avevo visto, ma
forse, per il troppo tempo trascorso in città, ne avevo
dimenticato la bellezza.
Enormi distese verdeggianti, costeggiavano con la loro rigorosa natura
la carreggiata che stavo percorrendo e solo a volte, sbucava dal nulla
qualche fattoria colorata per ricordare l’impronta umana
sulla terra.
Sospirai, stringendo la borsa di jeans dove avevo riposto il fascio di
lettere.
Ero arrabbiata, triste e arrabbiata … e per di
più senza casa.
Ebbene sì, avevo deciso di andarmene.
Il dolore era troppo forte per essere trascurato, il mio cuore era
straziato, a pezzi ed ero sicura che se avrei continuato a vedere come
il Freezer “succhiava” le labbra di
quell’insipida Strega, non sarei più riuscita
rimetterne insieme i cocci.
Non avevo detto addio a nessuno, se non a Federico e … per
sempre.
Vedere come gli occhi dei miei ragazzi si riempivano di lacrime e
sentire le loro suppliche di restare, non mi avrebbe fatto altro che
male. Ero partita così, qualche soldo da parte, i miei due
bagagli (momentaneamente rifugiati da Titina) e le lettere di mio padre.
Il mio futuro sarebbe iniziato con un passo nel passato,
chissà, forse solo così avrei potuto ricominciare
con un po’ di fortuna.
E ancora.
Un bel sole alto nel cielo, di un giallo splendente quasi simile
all’oro, al … miele degli occhi di Federico.
Sospirai mentre una lacrima correva sulla mia guancia …
«Flor, possiamo
parlare? - sobbalzai lasciando cadere il piumino. Mi
riabbassai per riprenderlo e continuai nella pulizia del vaso di non so
quale epoca –
Per favore, io … non so come dirtelo»
la voce di Federico era una carezza tra i miei capelli, ma una
pugnalate al mio cuore. Non lo degnai di uno sguardo e passai a
spolverare il corrimano della scala.
Uhuhu, era in legno. Non me n’ero mai accorta!
Era da un po’ di giorni che ignoravo Federico e quel suo
bizzarro modo di presentarsi davanti a me qual volta gli sembrasse
giusto, ma ero arrabbiata, furiosa, mi sentivo presa in giro per ogni
fliquity del mio cervello, insomma, non volevo vedere Federico
Fritzenwalden nemmeno in fotografia!
Ma lui no, non si dava per vinto e il suo ronzio era talmente
insopportabile da triplicare la mia rabbia!
Mi giravo ed era dietro di me, m’incamminavo per il corridoi
e lui faceva lo stesso dalla parte opposta, uscivo dalla stanza ed era
lì e sempre con il solito ZzZzZzZzZzZ di
un’ape a cui hanno appena staccato un’ala.
Insopportabile!
«Flor,
maledizione noi dobbiamo parlare!» in un batter
d’occhio mi ritrovai a fissare i suoi occhi color miele,
mentre sentivo la sua mano stingere il mio polso. Anche arrabbiato
Federico sapeva essere il più bel Principe delle fiabe ed i
miei occhi non facevano altro che tremare al solo fatto di averlo
vicino.
Abbassai lo sguardo turbata «Non
abbiamo nulla di cui parlare, Signore»
Federico mi sollevò dolcemente il mento «Flor, io non so come
spiegarti che …»
«Spiegarmi
cosa, Signor Federico?! - mi scostai violentemente da
lui. Quell’uomo mi avrebbe rovinata anche lontana mille
miglia, chissà vicini come pappa e ciccia – Che gli asini volano e gli
uccelli ragliano? Ma per favore, guardi, non ho tempo da perdere in
discussioni inutili, devo continuare a pulire …
- mi rigirai e continua a lucidare il corrimano – Mmmm … che
sporco!»
«Flor –
me lo ritrovai nuovamente alle spalle – non sono discussioni inutili, noi
… - si passò una mano tra i capelli
– noi dobbiamo
parlare, dobbiamo chiarire quello che c’è stato
tra di noi» mi bloccai di colpo, respirai
profondamente e mi girai, incrociando i suoi occhi dorati «Non so di cosa parla,
Signore – cercai di essere il più
ferma possibile – Non
capisco, tra di noi c’è il nulla, ci separano
monti e mari, cieli e fiumi e … mi scusi, ma il corrimano mi
aspetta» feci per ritornare suoi miei passi
quando Federico mi prese per il braccio «Per favore, Florencia,
è importante» alzai gli occhi al Cielo
«Quanti mosconi girano in casa … eh anche belli
grossi …»
«Flor,
è importante» ribadì lui
sempre più serio «D’accordo,
nello studio?» chiesi indicandogli il patibolo «Nello studio»
confermò.
Quando presi posto sul candido divanetto dello studio, un fastidioso
silenzio separava me ed il mio capo. Io seduta con il volto poggiato ai
gomiti e lui, da un lato all’altro della stanza, camminava
nervoso con le mani sul viso
«Allora? Qual è la cosa importante di cui mi
voleva parlare? Devo cambiare storie ai bambini? Sono forse troppo
violente, ci sono forse troppe Streghe e Principi maledetti?»
«Florencia, sai
benissimo che non è di questo che ti devo parlare e per
favore, per una buona volta nella tua vita, lascia da parte la tua
ironia» alzai il dito a mo’ di
maestrina «Guardi
che quella che lei chiama la mia “ironia”
è l’unica cosa che mi fa sorridere quando sto con
lei!» lo vidi inginocchiarsi davanti a me e
prendermi dolcemente le mani «Flor,
mi dispiace – furiosa voltai il viso in
un’altra direzione e lo sentii sospirare – io … non so cosa mi
è preso quel giorno, ero confuso e tu parlavi tanto
…»
«Certo che
parlavo – voltai il capo per dirigere la mia
ira solo e soltanto a lui - e
parlo anche adesso, perché come “quel
giorno” mi sta accusando di qualcosa che non ho
fatto!» Federico alzò un sopraciglio
scioccato «Ma
che … Flor, non fare la finta tonta, ci siamo baciati
…
«Mi hai
baciata» lo corressi fulminandolo con lo
sguardo «Ti ho
baciata e ti ho ferita e questo non me lo perdonerò mai, il
fatto è che … ero stanco e …»
«Insomma, ti
vuoi decidere? Eri confuso o stanco? – mi alzai
scostandolo all’impatto, feci per andarmene, poi mi rigirai
osservando come Federico si era portato una mano al mento pensieroso
– Senta,
Signor Federico, facciamo finta che non sia mai capitato nulla tra di
noi– lo vidi avvicinarsi a me – perché tra di noi non
c’è nulla – la mia voce si
armonizzava ad ogni suo passo - che
… che … che … quel meravigliosissimo
bacio non ci sia mai stato – era sempre
più vicino, il suo sguardo si era incontrato con il mio
– che
… che … i tuoi capelli, i tuoi occhi, la tua
bocca sono degne di un Principe delle fiabe e che …»
le parole mi si bloccarono quando lo vidi mettermi l’indice
sulle labbra, a pochi centimetri da me «Shh –
la sua voce era un sussurro – Flor, mi sposerò con
Delfina, lei è la donna perfetta per me, l’hanno
scelta i miei genitori ed io l’amo, però
…»
«Però
che?» ero ipnotizzata dalle fiamme che ardevano
nell’oro degli occhi del mio Principe «Però non lo
posso evitare» spostò il suo sguardo sulla mia
bocca «Cosa?» sussurrai stregata «Questo»
Si appropriò delle mie labbra e mi baciò, come se
la primavera fosse ritornata a risplendere in quella stanza buia e
fredda.
Sentivo il cuore palpitare ovunque ad ogni sua carezza: petto,
orecchie, mani e piedi tremavano, io tremavo alle sue dita ferme sui
miei fianchi e alle mie giocose tra i suoi capelli. Tremavo sentendomi
la donna più importante del mondo, più
desiderata, più amata …
Sospirai sulle sue labbra prima di rispondergli nuovamente con la
passione alle stelle, con tutta l’ansia per
quell’uomo che non avrei mai avuto nella mia vita,
perché lontano, perché diverso, perché
di un’altra.
Federico grugnì e mi avvicinò ancora di
più al suo corpo, mentre copriva il mio viso di dolci baci.
“Baci?!”
pensai.
Quei baci potevano essere molto pericolosi, erano artiglieria pesante
per il mio cuore malato d’amore … dovevo finire
quella piacevole tortura, altrimenti addio a qualsiasi possibile cura.
Probabilmente Federico notò la mia rigidezza e con piccoli
sospiri, terminò quello che ormai consideravo il mio
supplizio «Scusami»
sussurrò poi con un lieve sorriso, passandomi infine un dito
sulle labbra
«Federico, è meglio che io me ne vada» mi
scostò dolcemente la frangetta «Sì,
è tardi, domani i bambini andranno a scuola e
…»
«No, Federico
– mi scostai da lui, cercando di riprendere il controllo
della situazione – è
meglio che io me ne vada e per sempre …»
feci per andarmene, ma mi prese per la mano «Flor, io …
- si passò una mano trai capelli - non credo sia una buona
idea e i ragazzi? Non sopporteranno l’idea che tu te ne vada
e …»
«E’
meglio per entrambi, anche se …»
«Anche
se?» pensai a me, a lui, e a quel sentimento
fortissimo che ormai aveva fatto il nido nel mio cuore, ma …
purtroppo non tutti gli uccellini spiccavano il volo alla nascita ed il
mio amore era nato già con un’ala rotta, una
barchetta appena naufragata nell’Oceano.
Scossi il capo freneticamente «Niente,
preferirei che restasse tra di noi, sono sicura che quando
sarà il momento troverai le parole giuste»
Federico annuì silenziosamente, poi prima di chiudere la
porta, incrociai i suoi occhi con i miei «Addio»
Attraversai il vicolo deserto, incontrandomi finalmente con
l’insegna del piccolo bar scelto da mio padre. Ocho7ocho riportava
la scritta gotica, tipicamente a caratteri pirateschi. Non mi stupii
più di tanto nel vedere i colori così rustici
tipici dei lupi di mare, Esperanza
era il quartiere dei cosiddetti “Marineros”,
poiché, tempo addietro, diceva mio padre, affacciava
sull’Oceano Atlantico. Per tanto botti di legno, galeoni,
funi attorcigliate, nodi da marinaio e polene erano
all’ordine del giorno.
Mi avvicinai al portico che dava sulla viuzza del centro del barrio: uomini di
tutte le età gorgheggiavano boccali di non so quale
diavoleria, serviti da giovincelle in stracci colorati. Le gitane erano
di casa con i loro gesti stravaganti e danzavano sulle note del
flamenco per intrattenere i lupi di mare, già ubriachi alle
cinque del pomeriggio.
Mi strinsi nel mio cappotto marrone e, sospirando varcai
l’ingresso nel bar.
Un vento tiepido scaldò le mie guance rossastre, mentre
un’ondata di fumo nauseabondo raggiungeva le mie narici
già intorpidite per il freddo. Gettai l’occhio al
bancone centrale, dove una donna di mezza età versava
boccali di birra ad una coppia di anziani «Casimiro, Casimiro,
te lo dissi che ci avresti rimesso il dito»
mormorò sistemandosi lo scialle blu «Taci, zingara
– l’uomo alzò la mano fasciata, mentre
sorseggiava la bevanda giallastra – la tua è solo
fortuna!» scoppiò in una sonora
risata, alla quale si unì poi l’altro anziano «Rie bien quien rie
ultimo, cari miei hermanos Ortega e ahora sciò
– gli indicò la porta – filatevene a casa che vuestras
mujeres ve aspettano sanos e salvos» la donna
lasciò il bancone, ma l’uomo con la mano fasciata
la bloccò «Ma
come Almundina, non ce l’hai un bacetto per me?»
la donna lo strattonò, regalandogli poi un sorriso «Neanche por
suenño Casimiro e ahora sciò, no vees? –
la donna mi indicò - Una
donzela chiede de mi, adios tìos!»
Avvolta nel suo scialle blu cobalto, la proprietaria del bar mi si
avvicinò, ondeggiando la sua lunga gonna nera a fresie blu «Hola, chiquita!
– esclamò mentre mi racchiudeva tra le sue
braccia, stampandomi due leggeri baci sulle guance, mentre mi
sussurrava di reggerle il gioco – Como estas? Era da un poquito che
non ti vedevo. Y tu mamà? Scommeto que es una reina come
tanto tempo fa – sospirò
accompagnandomi ad un tavolo all’angolo – Ahy niñita,que bueno
averti incontrato aqui en el mio bar – quando
prese posto accanto a me, mi sorrise, mostrando una fila di denti
ammaccati e neri come la pece – Gracias por averme retto el
gioco, carita de Angel, como te llamas?» le
ricambiai il sorriso un po’ nervosa «Florencia,
Signora»
«Oh por favor
– agitò una mano all’aria – no me llames asì, para
ti soy Almundina, “la dama del misterio”
– la squadrai da cima a fondo: il trucco pesante le regalava
sicuramente qualche anno in più, ma il rossetto bordeaux era
un velo di eleganza in quel viso abbronzato. Gli occhi neri facevano
pan- dan con i capelli corvini e leggermente ondulati, dove una fresia
celeste spuntava in tutto il suo splendore – Chiquita, no te preocupes,soy
buena, misteriosa, pero buena y tu? Cosa ci fa una carita de
muñeca acà, en un posto rico de gente
orrible?»
«Cerco mio
padre» sussurrai stringendo ancora di
più la mia borsa di jeans, mentre la donna si portava una
mano alle labbra «Tu
papa?»
«Si, mio padre,
forse lo conosce, si chiama Eduardo Fazarino»
Almundina alzò gli occhi al Cielo «Oh, ojos de cielo,
como no puedo conocer a “Barba Negra”»
strabuzzai gli occhi «Barba
Negra?»
«Sì –
la donna si alzò dal tavolo e mi prese le mani – esperame aqui, niñita,
tu papa volverà pronto –
gettò uno sguardo alle mie mani, poi mi sorrise – eres afortunata, carita de Angel,
tu futuro es como aquello de Cenicienta! La conoces la historia de
Cenicienta?» annuì scioccata.
Come poteva dirmi certe cose? Certo, le gitane sapevano leggere le
mani, e tante volte non sbagliavano, ma da qui a dirmi di avere un
futuro come Cenerentola, passavano leghe e mari, stando in tema. E come
se non bastasse in un periodo dove sembrava che un autobus di cento
tonnellate mi aveva appena schiacciata a tutta velocità.
Federico, i ragazzi, mio padre, le lettere … cose che altro
che portarmi problemi non stavano facendo altro.
«Un futuro di
cenere vorrà dire?» la donna scosse
leggermente il capo «So
que non puedo legerte la mano si tu no quieres, pero es ineviable
… tu manita tiene una figura tan graciosa y como he dicho
prima, tu futuro serà rico de flores amarillas …
descubreràs secreto que el pasado ocultò,
però seràs feliz, tienes solo que estar fuerte
porquè el presente serà muy duro y muy
dificil, mas con tu sonrisa asì encantadora, so que
riusciràs ad affrontarlo … ahora tengo que irme
– mi fece l’occhiolino – debo avisar a tu papa»
Sospirai al vedere Almundina girare l’angolo. Cosa intendeva?
“Scoprirai
segreti che il tuo passato ha nascosto”
… centrava forse con i biglietti intimidatori?
E come poteva il mio futuro essere di rose e fiori, quando il Principe
della mia vita aveva preso il primo cavallo per scappare dalla Strega
di Biancaneve?
Scossi il capo.
No, di certo quella gitana aveva visto troppe mani fino a vedere doppio
e poi diciamocelo, avere a che fare con degli ubriachi porterebbe
squilibri mentali a chiunque …
Mi portai una mano alle labbra “Ops,
sto parlando come Martìn”
Al pensare ai miei ragazzi mi si formò un nodo in gola. I
“fari” di Franco, le urla di Nico, le teologie di
Tincho, le marachelle dei mocciosi …
Deglutii lentamente come per scacciare ogni immagine.
«Florsicuchi»
avrei riconosciuto quella voce anche lontano mille miglia.
Aspra, amara, rauca, era la voce di mio padre.
Mi voltai.
Un uomo basso dal sorriso smagliante aprii le sue braccia pronte a
ricevermi in un abbraccio.
Senza esitare mi lanciai verso di lui, disinteressandomi del grembiule
bianco che indossava completamente sudicio di cibo.
«Papà!»
inspirai il suo profumo, mentre sentivo la folta barba nera pungermi la
fronte (solo ora capivo il vero significato del suo soprannome).
Era esile, più gracile di cinque anni prima ed i capelli che
credevo ancora corvini, ora avevano assunto un colore più
simile all’argento. Lo strinsi ancora di più a me
con il timore che mi abbandonasse ancora una volta.
«Anche
se in mare è, anche se in mare è, anche se in
mare è lui pensa sempre alla sua Flor»
alzai gli occhi completamente lucidi «Ah papà,
quanto mi sei mancato!» mi accarezzò
dolcemente la nuca
«Lo so, piccolina, ma ora sono qui … per
te» mi baciò dolcemente la fronte «Vamos chicos!
– Almundina si precipitò nella nostra direzione
con un vassoio ricco di delizie – Non so vosotros, pero ahora es el
tiempo para la merienda, adelante – disse
indicandoci il tavolo che poco prima avevo occupato – “Barba Negra”
no sapevo que tenìa una niñita asì,
creo que se parece muy a la Cenicienta del cuento de Hadas»
mi fece un occhiolino «Florsicuchi
è la mia Cenerentola»
«Lo
sabìa, lo sabìa –
depositò due tazze fumanti di cioccolata - ahora me voy, creo que debeis
parlar, adios tìos!» e in uno
sbatter di scialle se ne andò.
«E’
simpatica» sussurrai mentre mio padre mi
prendeva le mani tra le sue
«Già, Almundina è una grande
donna» sospirai «Come la
mamma» mio padre mi sorrise «Come la mamma
… Le somigli sempre di più, sai?»
«Titina me lo
dice sempre, “Tale madre, tale figlia”»
canzonai al ricordare i ricci rossi della mia cara Zia «Quando ho saputo che
ti eri trasferita al Passaggio dei Baci speravo che incontrassi la
migliora amica di tua madre. Titina è una bravissima persona
e voleva bene a tua madre, sapevo che ti avrebbe aiutata in un modo o
nell’altro»
«A proposito di
Titina, è successo qualcosa? Perché non ti sei
più fatto sentire? Credevo che dopo la maturità
ti saresti presentato almeno per salutarmi …» mio
padre incrociò i suoi occhi neri con i miei «Tesoro, sai che
“per chi …”»
«“per
chi cade in mare, non è facile montare”,
sì, lo so ma neanche per tua figlia?»
mi sorrise tristemente «Ci
sono stati dei problemi» alzai gli occhi al
Cielo «Lo
sapevo! Sapevo, papà, che eri finito in un qualche guaio!
Ancora quel Nestor?»
Poco prima della morte di mia madre, papà aveva avuto dei
“piccoli” problemi economici che lo avevano portato
a chiedere un aiuto ad uno di quegli aguzzini mangia fegato della
periferia di Buenos Aires. Le terapie di mia madre costavano e, una
volta saldati i debiti, lavorammo per qualche tempo per restituire il
dovuto. Ma ancora ricordo le minacce di quello strizzacervelli
maleodorante, le discussioni, le urla di mio padre e poi …
la luce e quel Nestor liquidato con quel suo avido bottino di
bigliettoni.
Era inspiegabile quanto la gente potesse essere attaccata al denaro.
«No, Nestor non
centra nulla, per fortuna» il suo viso
disegnò una smorfia «E
allora? Cosa sta succedendo? Perché sono in
pericolo?» mi accarezzò dolcemente il
volto «Flor,
tu stai bene? So che hai trovato lavoro in una casa di un imprenditore
famoso»
«Avevo, non ci
lavoro più» la mia voce tremava
ancora di rabbia e tristezza «Ma
come? – alzò un sopraciglio
– Cosa
è successo? Ti hanno trattata male? Non ti
pagavano?» scossi il capo «Mi sono innamorata,
papà» sospirò «Fammi indovinare, del
tuo capo?» annuii «Sì e per di
più fidanzato, ma è una storia senza futuro e
prima che qualche cuore ci rimetta la vita, ho preferito
andarmene»
«Hai fatto la
cosa giusta, Florsicuchi. Ti ricordi la storia che ti raccontavo sempre
da piccola?»
«Quale? Quella
della Principessa triste?» quanto amavo quella
fiaba. Era una delle mie preferita e mio padre me la raccontava sempre
prima di andare a letto …
«Esatto,
proprio quella … perché amore mio, devi sapere
che non piove per sempre, che un giorno quei nuvoloni grigi che
occupano il Cielo, si sposteranno per far splendere un Sole
meraviglioso …»
«Che ti
scalderà il cuore … - continuai io
–
papà …»
«Mmm?»
«L’amore
fa male» abbassai il viso mentre una lacrima
scese dai miei occhi e mio padre l’asciugò
dolcemente con il suo pollicione «Lo
so e per questo devi essere forte, soprattutto per quello che ti
dirò ora …» alzai lo
sguardo intimorita dalle sue parole «Papà,
così mi preoccupi – frugai nella mia
borsa di jeans e posai sul tavolo il fascio di lettere – mi vuoi dire cosa sta succedendo?
- mio padre si portò all’indietro, incrociando le
braccia – Cosa
è stato della tua vita da marinaio? Cosa ci fai qui come
cuoco? Perché tutto questo mistero?»
«Florsicuchi, i
soldi vanno più che vengono, ma io sono qui per te»
«Perché?»
riuscii a malapena a sussurrare «Amore
mio, quello che sto per dirti non ti piacerà per niente
– sospirò passandosi una mano tra i capelli
– Le fiabe
sempre acquistano un significato importante, sembrano sogni e per
quanto possano essere d’immaginazione, nascondo un fondo
nella realtà»
«Non ti
capisco»
«Tesoro mio,
ricordi? L’arte della vita sta nell’imparare a
soffrire e nell’imparare a sorridere –
annuii – promettimi
che quello che ti dirò non cambierà la
meravigliosa persona che sei, promettimi che saprai vedere oltre le
apparenze»
«Continuo a non
capire»
«Tu
promettilo» mi portai un dito alle labbra e lo
bacia in segno di promessa «Giurin
giurello te lo prometto con una mano sul petto»
mio padre sorrise, poi sospirò «Quando conobbi tua
madre tu avevi pochi mesi di vita – il cuore
smise di battermi – e
c’era una donna con lei, si chiamava Maria Bonita, era come
una tua balia … - osservai mio padre
asciugarsi con il polso gli occhi – tua madre era così
dolce, così buona, una persona eccezionale ed io me ne
innamorai, non mi importava che avesse già una figlia, io
l’amavo, ma quella donna, quella donna non mi piaceva, anche
dopo il matrimonio le girava sempre intorno, le riempiva la testa di
cavolate e … - si portò una mano al
viso – quando
tua madre mi chiese di darti il cognome, non ci pensai minimamente due
volte. Eri la figlia che avrei voluto sempre avere ed eri
così bella, così piccola, così di
Margarita ed io vi amavo, ma quella donna era l’arca
dell’infamia … - le parole di mio
padre erano come degli enormi aghi infilati nella pelle – ci controllava, ci persuadeva,
faceva di tutto per portarci sulle sue idee e … Argh che
stupido! Che stupido sono stato a …»
scossi il capo, mentre sentivo le lacrime già coprirmi
l’intero viso «No,
che stupida io, che stupida io a giurare, a credervi, a sognare in
quella che era l’illusione di una famiglia felice, una
famiglia che non è mai esistita!»
«No
– l’uomo cercò di prendermi la mano, ma
lo evitai – Florsicuchi,
ascoltami. Ti sto dicendo tutto questo perché sei in
pericolo»
«Ah,
perché se non fossi mai stata in pericolo probabilmente la
verità non sarebbe mai venuta a galla»
ribattei ironicamente «Quella
donna, Maria Bonita, si è rifatta viva, ti cerca e non per
prendere un tè con dei biscotti» i
miei occhi si annebbiarono nuovamente di lacrime «Mi avete mentito, te
ne rendi conto? E non per una caramella rubata o per un voto nascosto a
scuola, mi avete mentito sulla mia identità, per
vent’anni!»
«Lo so, ma tua
madre …»
«Non scaricare
la colpa solo su mia madre, lei ora non c’è
più e stava a te dire la verità»
«Ero
combattuto, non sapevo cosa fare e per di più ho avuto
qualche problema e …»
«Chi
è?»
«Chi,
tesoro?»
«Non mi
chiamare tesoro. Chi è mio padre? - Eduardo si
passò una mano tra i capelli nervoso per poi posare sul
tavolo un altro fascio di lettere leggermente ingiallite. Ne presi una
e la lessi velocemente con il fiato in gola - Alberto»
mormorai con gli occhi sbarrati «Tua
madre non parlò mai di quest’uomo, era un
argomento che non voleva mai toccare, mi disse solo che
…» si bloccò per qualche
istante «Che?
Cosa ti disse?» l’uomo
sospirò «Che
era … sposato» nuovamente il cuore
fece un balzo nel mio petto «Ah,
bene – ironizzai – ricercata e per di più
bastarda! Cosa chiedo di più alla vita?»
Eduardo fece per riprendermi la mano, ma lo scansai «Amore mio
…» lo fulminai con lo sguardo «Non mi chiamare amore
mio, Eduardo, non sono tua figlia, quindi smettiamola di dire
diavolerie, ho già vissuto una vita piena di menzogne, non
vorrei che il mio futuro se ne riempisse nuovamente» sul
suo viso si disegnò una smorfia di dolore «Flor, so come ti
senti, sei arrabbiata, furiosa, triste e forse non vorrai neanche
più vedermi, ma ti prego, stai attenta, quella donna
è cattiva, lei … lei causò la morte di
tua madre con quegli intrugli e …»
«Vattene»
sussurrai con la poca forza rimasta «Flor,
ma …»
«Voglio
rimanere sola»
«Flor, ma
…»
«Se
vorrò sapere di più mi metterò in
contatto con te» lo vidi alzarsi e dirigersi
verso la porta della cucina, poi si voltò «Riguardati e stai
attenta, ah – ritornò al tavolo e vi
posizionò sopra una vecchia fotografia in bianco e nero
– è
una foto di tua madre e quella donna, se la vedi, stanne alla larga, ma
soprattutto non dirle di essere figlia di Margarita Valente»
quando anche il suo grembiule bianco sparì dietro la porta
della cucina, mi abbandonai ad un terribile pianto isterico.
Mio padre non era mio padre.
Quello che invece lo era si chiamava Alberto, lo stesso del diario di
mia madre, era uno sconosciuto e per di più la ingannava ed
io? Beh, questo era il colmo dei colmi, io, Florencia ex-Fazarino,
ricercata e per di più bastarda!
E poi la mia vita era come quella di Cenerentola!
Ma per favore, perfino quella spazzacamini aveva più
dignità di me …
L’aria fresca inebriava la mia pelle completamente secca per
le troppe lacrime versate. Ma il freddo della notte non era
paragonabile al gelo che sentivo nel cuore.
Ero stata ingannata, prima da Federico ed ora da quella che era la mia
famiglia …
Non sapevo chi ero, da dove venivo, qual’era la mia storia,
mi sentivo come una mucca in preda ad una tromba d’aria, un
piccolo piccione a cui avevano appena tolto la piazza, tremendamente
confusa.
La luna si rifletteva ambiziosa nell’acqua cristallina
del Rio Azul.
Non sapevo il perché, ma quel luogo mi trasmetteva in un
certo senso la tranquillità che mi mancava da anni.
Cosa potevo fare? Cosa dovevo fare? Cercare mio padre, salutarlo con la
manina, presentarmi e poi dirgli “Ciao
papino, sono Flor, tua figlia”
O starmene lì, chiusa nel guscio della mia angoscia e
starmene allerta da quella Maria Bonita?
Titina credeva veramente a Eduardo, in realtà anche lei
n’era a conoscenza, ma bocca mia cuciti e avanza.
Poco prima avevo litigato anche con lei, ma la Zia non aveva tanta
colpa come l’aveva Fazarino, quell’uomo mi aveva
ingannata per ben vent’anni, comportandosi come il padre che
non avevo mai avuto e trattandomi per quello che non ero: una figlia.
Mi aveva mentito, usata per vestire i panni di quella figlia che
avrebbe voluto avere da mia madre.
Come poteva dire di amarmi? Come poteva chiamarmi figlia, pur sapendo
che non lo ero? Come aveva potuto nascondere così tante
bugie in così tanti anni?
E quella donna?
Chi era quella Maria Bonita che mi cercava? E perché? Cosa
centrava con la morte di mia madre?
Io non la conoscevo e non la ricordavo quando ancora la mamma era in
vita …
E infine Alberto.
Chi era? Perché si era preso gioco di mia madre?
Perché ci aveva abbandonate? Perché aveva
ingannato sua moglie …
Troppi dubbi, troppa tristezza, troppo dolore …
«Troppe
domande, cara Flor» una lucina giallo sole,
illuminò la notte argentina «Suelo!
– esclamai – non
sono dell’umore adatto per essere sgridata»
la pallina colorata mi volò incontro «Oh
piccolina, ma non sono venuta qui per sgridarti, qui la confusione
è lecita ed era ora che venisse tutto a galla»
mi scostai la frangetta nervosa «Parli
tu, perché il tuo cuore è sano e salvo»
«Flor,
credi che non mi faccia male vederti triste? Credi che da
lassù la tua mamma non soffra a vedere le lacrime bagnare il
tuo viso? – scossi il capo – Flor, so
che è dura da accettare, che il destino ti sta ponendo
davanti un cammino difficile e tortuoso, ma quello che tu chiami
inganno, in realtà è la meraviglia della vita
… hai la possibilità di indagare, scoprire chi
sei ed essere felice»
«Essere felice?
Con una donna alle calcagna? Ma per chi mi hai preso, Suelo, per un
monaco Zen? Sai che odio le bugie e qui a quanto pare mi hanno mentito
già da quanto ero ancora una creaturina del Cielo e non
è bello!»
«Lo
so, so che non è bello e che è difficile da
accettare, ma è il Destino, quello stesso Destino che ti ha
portata in casa Fritzenwalden, che ti ha fatto conoscere
l’Amore, l’Affetto, l’Amicizia, ma che
soprattutto ti ha portata a credere in quello che sono i sogni, i
desideri, ma soprattutto nei sentimenti –
abbassai il viso malinconica, mentre Suelo si posò sulla mia
mano – Flor
Devi essere forte e accettare tutto questo, perché in te hai
la speranza, l’amore di tua madre e tutto il nostro
appoggio. Sono fiamme che mai si spegneranno. Non
è bello vivere di menzogne, devi affrontare la
realtà e fare chiarezza nella tua anima, perché
il miglior alleato che avrai in questa battaglia
sarà te stessa …» pochi
istanti dopo Suelo era già scomparsa in una nube dorata,
mentre una fogliolina incantata si posò tra le mie dita.
Sulla sua superficie luccicante, eleganti lettere si aprivano a passo
di danza.
E’ il tempo che passa per ogni secondo
la vita è
scarsa se non hai speranza
nel sole del mondo
La strinsi forte al cuore.
Sapevo cosa fare.
Avrei trovato quell’Alberto, giusto per togliermi la
soddisfazione di vedere il suo viso e cantargliene quattro per aver
lasciato mia madre. Poi mi sarei dedicata a capire chi era quella donna
che tanto spaventava Eduardo e per l’Amore … beh,
per quello non c’era ne tempo ne spazio, perché il
mio cuore si era fermato e aveva già un proprietario,
Federico.
Nota Autrice:
Ciao a tutti!!
Ben trovati alla mia storia! Sono stata abbastanza veloce? Spero di
sì, visto che mi sono buttata a capofitto in quest'ultima
settimana XD
Tutto sommato credo di aver risolto un sacco di dubbi in questo
capitolo, ma di avervene creati di altri ... cattiva, eh? ;)
Un ringraziamento speciale a Federika21 e Dilpa93!
Perdonatemi se non sono riuscita a rispondervi, appena pubblico avrete
mie notizie :D
Intanto vi ringrazio di cuore per i vostri commenti e mando un
abbraccio a chi segue con il cuore questa storia!
Ciao, alla prossima ...
Dani
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Capitolo 21 *** Te lo Prometto, Papà ***
Te
lo prometto, Papà
Lentamente
aprii
gli occhi.
Un sole
primaverile, dai brillanti raggi dorati,
m’illuminò il viso, disegnando davanti a me
un’enorme distesa di fiori colorati.
Mi alzai e cercai
di sistemarmi la gonnellina rosa e arancio.
La brezza
delicata mi accarezzò i capelli, dolcemente accoccolati
lungo la mia schiena.
«Flor
…» mi voltai
all’indietro. Nulla, solo un piccolo cespuglio di iris
celesti, che il sole bagnava con la propria luce.
Mi avvicinai a
passo felpato.
Quei piccoli
boccioli blu sembravano così preziosi e brillanti in quella
luce quasi incandescente.
«Flor
…» sentii nuovamente.
Aguzzai lo
sguardo verso uno dei fiorellini.
Era
così delicato il suo profumo e così vivo il suo
colore … lo colsi, stringendolo delicatamente tra le mie
dita. Era una vera e propria esplosione di colori, un arcobaleno
com’erano soliti ricordare i greci ed era proprio vero.
Il dorato dei
petali, allungati e disposti a ventaglio, donavano a quel suo delicato
blu opaco, una lucentezza in più, mentre il verde dei gambi
giocherellava animatamente con i raggi del sole.
«Flor
…» mi guardai intorno, alla
ricerca di quella voce, ma il panorama che mi si offriva era soltanto
un semplice prato. Vedevo solo fiori di ogni genere e colore,
percorrere la distesa e poi salire, lungo la collina e circondare con
il loro profumo ogni albero e cespuglio.
Improvvisamente
la mia attenzione fu catturata da un’ombra che a passo lento
scendeva dalla collina.
Sforzai
gli occhi, cercando di individuarne l’identità, ma
la luce del sole era troppo forte e fui costretta a chiuderli «Flor
… -
continuò la voce, questa volta più delicata
– cara,
mia piccola Flor – i raggi si
fecero più tenui e finalmente riuscii a mettere a fuoco
l’immagine. Quella che poco prima credevo fosse
un’ombra, ora aveva preso le sembianze di un uomo.
Un uomo tozzo,
dal corpo robusto e particolarmente massiccio mi sorrideva timidamente.
Indossava un abito formale, con tanto di giacca e cravatta, che non
riuscivano di certo a nascondere la pancia leggermente gonfia.
Il viso era
leggermente corrugato in un’espressione docile, serena, quasi
delicata, ma che non ne occultava il pallore e le occhiaie violacee,
sottostanti agli occhi celesti. Un cappello di lusso, tipicamente
classico, gli copriva interamente il capo, impedendomi di vedere oltre
quello che era il suo volto –come
sei bella. Bella e fresca, come ti ho sempre immaginata …
Dolce e mite come tua madre, impulsiva e ambiziosa come me, un
miscuglio di magia ed emozioni come una rosa dal colore del pesco –
sospirò –Ti ho
sempre sognata ed ora eccoti qua, ti stavo proprio aspettando e non sai
da quanto tempo, ma ora che parte della verità è
venuta a galla ho trovato il modo di incontrarti – si
portò lentamente una mano al capo e con un certo tremolio,
si tolse quello che era il cappello di lusso.
Mi coprii la
bocca sconcertata. Non credevo a quello che stavo vedendo.
Scioccata,
indietreggiai, mentre focalizzavo il mio sguardo sulla macchia rossa,
disegnata sulla parte sinistra della fronte, quella chiazza purpurea,
simile ad una voglia che avrei riconosciuto ovunque. Quella stessa
chiazza che ogni giorno vedevo crescere sul mio viso, nella stessa
posizione –Non
avere paura –
sussurrò l’uomo, i cui capelli bianchi erano
talmente corti da farlo sembrare calvo – La
paura è questione di un attimo, poi passa, lasciando il
posto a ciò che è la realtà –
indietreggiai sempre più spaventata - La
verità è tanto più difficile da
sentire quanto più a lungo la si è taciuta. Per
lei si piange, si litiga, si soffre e talvolta ci si rende infelici, ma
ricorda, piccola Flor, è meglio una verità
dannosa che un errore utile, poiché il dolore
durerà solo per qualche istante, mentre la verità
porterà ad altre conoscenze, quali la felicità
… » avrei riconosciuto
quelle parole ovunque.
L’uomo
dalla chiazza rossa stava ripetendo le stesse frasi che per anni avevo
letto nel diario di mia madre, frasi che più volte erano
state firmate da un certo Alberto.
Spalancai gli
occhi sbalordita.
Quell’uomo
non era solo il riflesso che vedevo in acqua, no, lui era Alberto, mio
padre «Diciamo
che l’acqua mi ha sempre affascinato» mi sorrise dolcemente.
Mi guardai
intorno sempre più scioccata. Non capivo ciò che
stava accadendo, mi sentivo come intrappolata in una bolla senza
ossigeno, confusa, intorpidita, spaventata, neanche io sapevo come ben
definirmi.
Sentivo solo il
sangue ribollirmi nelle vene ed il cuore accelerare ad ogni secondo.
Solo una certezza in questo caos: sapevo chi era mio padre.
«Fatine – chiamai le
burlone di turno – so che
è un altro dei vostri scherzi, quindi saltate fuori
e fatevi vedere!» Alberto
scoppiò in una sonora risata «Oh,
sicuramente le fatine di tua madre centrano in tutto questo» mi portai le mani ai
fianchi «Non
lo trovo per niente divertente, Signore»
«Non
chiamarmi Signore, così mi fai sentire vecchio e alla mia
età non è certamente un complimento. Sai chi sono
e mi piacerebbe che mi prendessi in considerazione» camminò nella
mia direzione. Mi portai le mani alle tempie, massaggiandole in cerca
di un po’ di tranquillità «Sono
così confusa, così perplessa, ho i fliquity che
mi stanno dando al cervello ed è tutto così
strano!»
«Shhh,
so come ti senti e so anche che tutto questo è difficile da
accettare, ma presto farai chiarezza in te stessa e tutto
riprenderà colore – rise
divertito - è
inutile che chiami le tue fatine, non verranno – mi prese
dolcemente le mani ed incentrò i suoi occhi celesti nei miei
– Mi
dispiace che tu stia vivendo tutto questo, ma devi sapere che prima o
poi, nella propria vita, una persona è tenuta ad affrontare
la realtà – le sue mani
tremavano ed erano estremamente fredde – è
una battaglia, Flor – nei suoi
occhi un brillio speciale, quasi magnetico, era come se Alberto
splendesse di luce propria – una
battaglia che dovrai vivere e vincere, una battaglia che si chiama vita – il suo tocco
era dolce, così delicato da cancellare
quell’angoscia che si era creata nel mio cuore,
così soave, da riaccendere in me quella speranza che si era
spenta poco prima – Devi
credere che la vita … »
«Sia
davvero degna di essere vissuta –continuai io,
stringendo di più le sue mani - e il
tuo crederci aiuterà a rendere ciò una
verità. Perché se ami la vita, la vita ricambia
il tuo amore , papà» con frenesia ripetei le
parole che più volte avevo letto. Alberto mi sorrise, per
poi accarezzarmi dolcemente il viso «E’
stato tutto un inganno, mio piccolo Fiore, sta a te sciogliere quelli
che sono i nodi, ma promettimi una cosa» gli occhi iniziarono a
brillarmi di lacrime. Mio padre era un uomo speciale, ma soprattutto
sincero. Era incredibile quanto uno sguardo potesse descrivere
un’anima «Cosa,
papà?»
«Perdona,
sii felice, e non dubitare mai dell’Amore, perché
è la cosa più sincera che esista al
mondo»
lo abbracciai, liberandomi di quel pianto che da troppo tempo ormai
trattenevo «Te
lo prometto, papà» mi stampò un
lieve bacio sul capo.
“Sta
a te sciogliere quelli che sono i nodi” le parole del sogno
turbinavano nella mia mente come spirali impazzite, mentre rigiravo tra
le dita la fotografia che Eduardo mi aveva consegnato qualche settimana
prima.
Cosa si poteva
capire da una semplice fotografia in bianco e nero?
Meno che niente,
considerando il fatto che delle due donne protagoniste riconoscevo solo
mia madre. Il suo sorriso era inconfondibile: ne avrei potuti vedere
altri mille, che il suo non me lo sarei mai scordata.
Mia madre era una
persona incredibile: mai una lacrima, mai una lamentela, mai una
smorfia di dolore, perfino il giorno in qui se n’era andata,
lo aveva fatto con un sorriso sulle labbra.
Dove trovava
quella forza di sorridere, di continuare a sperare, pur sapendo che la
vita le aveva dato una disgrazia dopo l’altra?
Eppure lei era
lì, con i suoi boccoli dorati e i suoi occhi vivaci a
sorridere alla fotocamera, abbracciata a quella Maria Bonita, anche lei
sorridente, in posa sul portico della casa di Esperanza. I capelli scuri,
tagliati leggermente a caschetto, donavano al suo viso una certa
rotondità. In effetti, un po’ tutto il suo corpo
era abbastanza “rotondo” e quelle curve che cercava
di nascondere sotto un golfino nero, seguivano perfettamente il taglio
della veste presumibilmente bianca a pois scuri. Scrutai il volto della
donna: le sue labbra carnose disegnavano più un ghigno che
un sorriso. Mi incentrai negli occhi della donna e un brivido mi
percorse la schiena.
Un sguardo
vendicativo, oscuro, che lanciava fiamme d’ira da entrambe le
pupille.
Solo una volta
nella mia vita avevo incrociato due occhi simili, il cui risentimento
traboccava ovunque.
Occhi attenti
come quelli di una Tarantola, occhi severi e oscuri come quelli di
Crudelia Demon, occhi furenti e misteriosi come quelli di Maria Laura
Torres Oviedo, la madre di Delfina.
Mi alzai dalla
panchina del parco che avevo occupato poco prima.
L’immagine
di Titina, intenta nel testarmi una nuova pettinatura, irruppe nei miei
pensieri.
«Tua
madre mi scrisse spesso di un’amica conosciuta poco tempo
prima della tua nascita. Disse che l’aiutò molto
nella gravidanza, pochi aggettivi, una brava persona,
un’anima generosa e un’amica confortante ... e poi
sparì nel nulla. Mi ricordo ancora quando ironicamente mi
scrisse di una parrucca che quella donna era solita portare. Per non
parlare del suo strano modo di vestire in lutto, sempre nero, bianco,
nero. Avrei giurato che me la paragonasse a Mortisia Addams»
Voltai la foto,
dove una calligrafia delicata marcava in nero la scritta “Beba
e Margie 1984”
Malala conosceva
mia madre, l’aveva sicuramente frequentata, ma da
lì a pensare che fosse Maria Bonita, non riuscivo proprio ad
immaginarmelo. La strega maggiore era alta, magra, slanciata,
di portamento elegante, al contrario Maria Bonita, era il completo
opposto e per quanto potessero avere in comune la parrucca ed un amore
insensato per il colore nero, fisicamente non si somigliavano neanche
un po’.
Tranne per lo
sguardo.
Quegli occhi
avrebbero messo inquietudine a chiunque, anche al leone più
affamato della savana!
Sul fatto che
Malala centrasse in tutto questo non v’era dubbio, conosceva
mia madre e questo era già un dato di fatto. Il problema
stava nel capire se la Strega Maggiore avesse mai incontrato Maria
Bonita e se si, persuaderla a trovarla.
In gioco
c’era la mia identità.
Era giunto il
momento di svelare il mistero di una verità taciuta da ormai
vent’anni.
«Signorina
Fazarino?» alzai il viso dal
tessuto che stavo lavorando. Un uomo di mezza età, in
pantaloni beige e camicia nera entrò nel capannone mi alzai
e, come di consuetudine argentina, gli stampai due leggeri baci sulle
guancie «Sì,
sono io»«Sono Fabricio Alquila,
l’organizzatore della serata “Polvo de
Estrellas”, posso parlarle? - gli indicai il divano in
pelle rossa al centro dello stanzone – stava
lavorando ai costumi di scena?» chiese l’uomo
poggiando lo sguardo ai tessuti sparsi qua e la per il suolo «Diciamo
di sì
– sorrisi – la
nostra band gioca molto sulla fantasia»
«La
fantasia è alla base di tutto, soprattutto della musica –
un’espressione divertita si disegnò sul viso
affusolato dell’uomo, marcando ancora di più
quelle che erano le rughe dell’età –
però tal volta bisogna essere anche realisti e rimettere i
piedi a terra» Alquila estrasse da una
cartelletta un plico di fogli e un paio di riviste «E’
successo qualcosa con il concorso?» chiesi preoccupata «Oh
no
– scosse il capo – il
concorso è programmato tra due settimane. Sono venuto per
farle firmare i permessi per la privacy. Il comitato organizzativo ha
votato per formalizzare la serata, quindi ci saranno fotografi,
giornalisti e gazzettieri del mensile del quartiere. Come sa, la nostra
intenzione sarebbe poi, oltre quella di includere un contratto
discografico, anche di finalizzare il tutto ad enti benefici. Dato che
i vostri volti non rimarranno sconosciuti, non vorremmo che voi
partecipanti vi alteraste al vedervi tra le prime pagine del
“Pasaje news” che per tanto poco noto che sia, pur
sempre un giornale rimane»
«Mi
sembra corretto. Fidarsi è bene, ma non fidarsi è
meglio, c’è così tanta gente permalosa
in giro …» Alquila mi
passò una penna «E’
lei la capogruppo?»
«Beh,
io sono la cantante principale, non so se questo vale anche come
capogruppo» l’uomo
alzò un sopraciglio brizzolato «Credo
proprio di sì. Se è d’accordo con la
privacy, le chiederei un piccola firmetta qui» mi indicò una
x in fondo alla pagina «Cioè
che se io firmo, la band verrà fotografata e
filmata?»
«Esattamente,
semplice, no?» mi sorrise «Semplicissimo»
Una volta
firmato, mi mostrò le riviste che poco prima aveva estratto
dalla sua cartelletta «Le
ho portato l’articolo che la prossima settimana
uscirà sul giornale locale» sbarrai gli occhi «Perché?
Devo firmare anche questo?» Alquila
scoppiò in una sonora risata «Certo
che no! Si ricorda le fotografie che le abbiamo scattato insieme alla
sua band?»
Qualche giorno
prima un tal Francisco era venuto al capannone con una di quelle
macchine fotografiche professionali. Si era presentato ai nostri occhi
increduli con un cappellino colorato e un enorme borsone di pelle nera
e, mettendosi in un angolino dello stanzone, aveva montato in quattro e
quattr’otto un set fotografico, compreso di sala trucco (una
sedia con un bauletto pieno di trucchi) e camerino (un posticino
ricavato dallo stand dei vestiti).
«Sì
–
sorrisi al ricordare come quel giovanotto dal borsone di Mary Poppins,
scattava flash a più non posso – sì,
me le ricordo»
«Il
fotografo le ha passate alla redazione del giornale locale che ha
preparato quest’articolo degno di uno
Saint-Vincent!» alzai un sopraciglio «Un
che?»
«Oh,
non perdiamo tempo in chiacchiere, e guardi qui – mi
passò la rivista – Questi
sono i direttori musicali, gli organizzatori d’eventi e gli
sponsor scelti per la pubb…»
«Sì,
sì, non perdiamo tempo in chiacchiere – Alquila mi
osservò stupefatto – Lei mi
sta dicendo che io e i ragazzi andremo su un giornale?» chiesi con la voce
tremante dall’emozione, mentre con frenesia iniziai a
sfogliare le pagine della rivista «Sì
è così, ma attenzione, così la rompe
…» mi fermai proprio quando
ai miei occhi balzarono le immagini della mia band.
Era incredibile
quanto fossimo affiatati.
In una foto
apparivo abbracciata a Bata, che sosteneva le sue bacchette di legno a
mo’ di sfida. In un’altra Clara e Nata intorno ad
un microfono con le bocche spalancate, pronte per cantare, poi
c’era Facha travestito da gallo che più che
innamorato sembrava sofferente e accigliato ed infine quella di gruppo,
dove uniti più che mai, sorridevamo a più non
posso, lasciando trasparire l’emozione che ci attorniava «E
non è ancora finita, signorina» Alquila voltò
la pagina seguente.
Mi portai una
mano alla bocca.
Una fotografia mi
ritraeva sorridente nel vestito blu che la mia cara Zia Titina mi aveva
regalato per il Natale passato «E’
incredibile» riuscii a malapena a
sussurrare, mentre i miei occhi erano alla ricerca di ogni minimo
dettaglio.
Era un primo
piano che nel suo piccolo occupava l’intera pagina e ne ero
io la protagonista dai capelli sciolti al vento. Il vestito mi cadeva
perfettamente tanto da farmi sembrare una vera e propria modella,
addolcita da quella scarpetta indaco che mi accerchiava il collo in una
forma così elegante e soave da cancellare
l’espressione malinconia che avevo disegnata in viso.
«Il
redattore l’ha trovata talmente fantastica che non ha potuto
non dedicarle un tale spazio. Cosa ne pensa?» la vista mi si
annebbiò lievemente di lacrime «E’
incredibile …» sussurrai.
Mi chiedevo cosa
avessero pensato i miei genitori se mi avessero vista su quella
rivista. Cosa avesse detto mia madre, cosa avesse fatto mio padre
… sicuramente sarebbero stati felici, ora dovevo renderli
orgogliosi, vincendo il concorso, solo così li avrei uniti
ancora una volta, dopo che inganni e passato li avevano divisi.
«Posso
averne delle copie?» chiesi con insistenza.
Alquila mi sorrise «Ma
certo, signorina»
Poche ore prima,
avevo chiamato Matias, per raccontargli tutto per filo e per segno. Il
poverino non aveva capito neanche una parola del mio discorso,
così preoccupato della mia esuberanza mi aveva dato
appuntamento al suo appartamento di vìa
Campo,
una piccola stradina alla periferia del barrio Villa
Mitre,
nel centro di Buenos
Aires.
Matias abitava in
un condominio tranquillo, di quelli alti ed impotenti, con tanto di
portieri, per di più simpaticissimi e ascensori metallizzati
a porte scorrevoli. Se non avessi saputo che quell’edificio
di cubi incastrati tra di loro, dotati di balconi più simili
a terrazze e finestre di forme strane era un palazzo, lo avrei
sicuramente scambiato per una scultura abbandonata da un pittore
piuttosto smemorato.
Non mi
meravigliai quando all’entrata i due portieri Gustavo e
Delmar, con tanto di tesserino di d’identità, mi
confermarono la presenza di Matias, in fin dei conti il mio carissimo
amico era sempre stato noto, fin dall’infanzia per i suoi
gusti del tutto raffinati, raffinati ed eleganti come la sua
personalità. Quando lo avevo nominato ai custodi,
rispettivamente marito e moglie, notai nascere su quei loro visi
leggermente longevi un dolce sorriso.
Gustavo
inarcò le sue sopraciglia grigiastre, mormorando sorpreso «Il
Signor Ripamonti riceve sempre poche visite»
Ed era vero,
soprattutto quando non si era mai liberi, a causa di un tuo capo,
spesso irritato e nevrastenico, che ti sottopone quotidianamente ad ore
ed ore di lavoro incondizionato.
Se la sua non era
una vita da poche visite, non mi sarei mai meravigliata di
vedere un asino volare.
«L’avvocato
è sempre così occupato –
continuò poi la moglie – ma a
quanto pare non lo sarà ancora per tanto» Delmar mi sorrise
maliziosamente.
Intuite le sue
allusioni, negai il più velocemente possibile con il capo «Oh
no, io e Matias siamo solo due vecchi amici
d’infanzia»
«Già,
due buoni vecchi amici - Matias raggiunse la
portineria e dopo avermi stampato un lieve bacio sulla guancia, si
rivolse ai due anziani – Gustavo,
Delmar, è arrivato qualcosa per me?» l’anziano si
chinò lievemente ad afferrare un pacco incartato che poi
depositò sul bancone «E’
arrivato questo, Signore» Matias storse il naso «Fammi
indovinare, Fritzenwalden s.p.a?» l’uomo sorrise
«La
medesima»
«Beh,
intanto vi ringrazio – prese il
pacco, gettandogli un’occhiata fugace – a
più tardi Signori Tocos, buona giornata»
I due coniugi ci
salutarono con un cenno di capo.
Sentivo i loro
occhi seguirci ad ogni nostro passo. Odiavo essere al centro
dell’attenzione, mi faceva sentire a disagio, soprattutto
quando sapevo che stavano proprio parlando di me.
Quando finalmente
anche le porte dell’ascensore si chiusero, sospirai
sollevata. Matias pulsò il bottone del settimo piano.
Sbiancai
all’eventualità di dover fare le scale
… "Un
altro proposito per il Natale"pensai. Dovevo
assolutamente ringraziare l’ideatore degli ascensori con una
bella torta farcita al cioccolato … un così
grande gesto non poteva di certo essere trascurato. Non era da tutti
giorni aiutare gente bisognosa, progettando oggetti di una simile
utilità e per la torta ... beh, nessuno la poteva rifiutare!
Gettai
l’occhio al pacco che Matias portava stretto sotto il braccio
«Non
ne aveva abbastanza di caricarti in ufficio? Adesso si da pure il
permesso di torturarti a casa?» bofonchiai «Parli
di Federico?»
«Il
medesimo
– ironizzai, ripetendo le parole del portiere – Ma
non ti annoi mai a stare con un tipo così
isterico?» Matias sorrise «Dici
così per quello che è successo tra di
voi»
abbassai il viso per nascondere il mio rossore «No,
ti sbagli!
– incrociai le braccia – Lo
dico perché lo penso veramente»
«Flor,
ti conosco e so bene come sei fatta, quindi non provare a
mentirmi»
«Beh,
a quanto pare non mi conosci abbastanza – le porte
dell’ascensore si aprirono, lasciando intravedere un
corridoio lungo e stretto, sulle cui pareti spuntavano delle applique
di ogni genere e forma – comunque
non sono venuta per parlare di quel … »cercai un insulto nel mio
vocabolario degno di quel ghiacciolo senza cuore «Freezer?» mugugnò
divertito Matias. Lo fulminai con lo sguardo «No,
Fritzenwalden!» Matias rise divertito
dal mio isterismo cronico, poi, una volta raggiunta la porta 1025,
inserì le chiavi nella serratura e
l’aprì.
Improvvisamente
con un suo battito di mani, la luce si accese «Wow
–
esclamai scioccata – Tute,
ma che …»
«Carino,
vero? -
Matias posò le chiavi sull’angoliera in legno
dell’ingresso –
Tecnologia allo stato puro»
Ero sconcertata.
Sapevo che Matias
aveva una predisposizione per tutto ciò che era considerato
moderno, ma non credevo che la sua per così dire attualità
lo
avesse portato ad avere certi poteri «Dammi
il numero di quel potente mago che ti ha fatto tutto questo? – sibilai,
mentre ispezionavo accuratamente ogni piccolo dettaglio
dell’abitazione.
«Beh,
appena lo trovo te lo darò»
Era un piccolo
appartamento di città, anche se in realtà di
piccolo aveva ben poco, considerando l’imponente divano
bianco che dominava il centro del salotto. C’era poi
la cucina, che occupava interamente la parete retrostante il
sofà, dove un’isola in candido marmo lucente,
spuntava come un fungo, per fungere da tavolo. Sfiorai con le mani la
statua in ebano scuro che accantonava il divano.
Feci una smorfia
leggermente schifata al comprovare l’identità
della figura «Non
posso credere che tu ce l’abbia ancora» mugnai, ricordandomi
l’ignoto dal capo gigante e pelato che ero solita vedere
all’ingresso della vecchia casa dei genitori di Matias.
Quella statua, se statua si poteva chiamare con
quell’espressione da cane bastonato che si ritrovava, mi
aveva sempre suscitato una certa inquietudine per via di quei suoi due
occhi grandi e terribilmente rabbiosi che sembravano sempre
dire Toccami
e ti ammazzo!
A quel ricordo,
ritrassi mortificata la mano.
Riconoscendo
probabilmente il mio gesto, Matias scoppiò in una sonora
risata «Voleva
rivederti
– ironizzò, mentre maledicevo in silenzio
– Eh
dai, Florchu, non fare quella faccia, accomodati e fa’ come
se fosse casa tua» vidi Matias togliersi il
cappotto color fuliggine ed appoggiarlo al divano «Con
quel coso che mi fissa?» dissi puntando il pelato
arrabbiato «Raul
è innocuo – feci una
smorfia sotto le risate di Matias – Vuoi
qualcosa da bere?» negai velocemente con il
capo «Prima
parlo, prima mi tolgo dallo sguardo assassino del tuo amico»
Entrambi
prendemmo posto sul divano, incredibilmente morbido «Allora,
mi vuoi dire cos’è questa storia che hai trovato
tuo padre?» Matias
incentrò il suo sguardo preoccupato nel mio. Curvai le
labbra disegnando un abbondante sorriso «Si
chiama Alberto
– Tute inarcò le sopraciglia per farmi continuare
– e
l’ho sognato!» sbarrò gli
occhi confuso «Lo
hai sognato?!»
Gli raccontai per
filo e per segno il sogno, cercando di essere il più precisa
possibile, a causa dei continui fliquity infiammati d’euforia
che mi offuscavano completamente petto e mente. Ad ogni mio gesto
frenetico, Matias annuiva zitto, zitto e quando terminai, lo vidi
poggiare la schiena al divano e fissare a braccia conserte il vuoto
«Era lui – esclamai
ancora emozionata – e
aveva una macchia proprio qui, come me» dissi indicando la
piccola chiazza marcata sulla mia fronte.
Matias storse le
labbra in una smorfia «Flor,
è un’assurdità – spalancai
gli occhi incredula - non
puoi fidarti di un sogno! I sogni solo l’interpretazione del
nostro inconscio, quello che solo noi vogliamo vedere»
«Non
è vero – scossi il
capo – Io so
che è lui, lo dice mia madre» strinsi la gonna in
fantasia che indossavo con rabbia «Flor
–
Matias sospirò tristemente, poi, prendendomi le mani,
incentrò i suoi occhi azzurri nei miei – tua
madre non c’è più, è
… è ora che tu te ne faccia una ragione» gli occhi cominciarono a
brillarmi «E’
da tempo che so che mia madre è morta, Matias, ma non per
questo non la ritrovo nel mio cuore, ogni volta che la cerco. Tute,
cerca di capirmi, ho appena scoperto che Eduardo non è mio
padre, ho passato due settimane infernali ed ora, che finalmente vedo
uno spiraglio di luce in tutto questo buio, non ti fidi di
me?»
Matias dondolò il capo «Io
mi fido di te, Florchu – mi
accarezzò dolcemente il viso –
è dei sogni che non mi fido. Il fatto è che
… -
si portò una mano al mento pensieroso – sono
sogni e basta» gli sorrisi rassegnata «Questo
è quello che pensi tu, ma io ci credo e so che
l’uomo del sogno è mio padre – sospirai
– è
il mio sesto fliquity che me lo dice, capisci?» Matias mi sorrise, poi
spostò lo sguardo al pelato testa di legno «Che
ne dici, Raul, diamo retta a quella pazza di Flor?» mi gettai tra le braccia
di Matias
«Grazie,Tute sei un vero amico» mi scostò
leggermente «Ma
ad una condizione - accigliai il viso
– domani
andremo in ospedale ad informarci sulla tua nascita, magari questo
Alberto ha lasciato qualche documento» lo fissai confusa,
ancora tra le sue braccia «Cosa
intendi?»
«Beh,
qualcosa che parli della tua adozione, una carta che affermi la tutela
di Eduardo e Margarita» mi morsi il labbro
nervosa, ritornando a stringere la gonna, questa volta con meno ferocia
«Matias,
c’è una cosa che non ti ho detto – Matias
sospirò preoccupato – Mio
padre, Alberto, è sposato» Tute
strabuzzò gli occhi perplesso
«Questo complica le cose» annuii «Lo
so»
Matias chiuse la
porta a chiave, pigiò il bottone dell’ascensore e
quando raggiungemmo il piano terra lo bloccai «Un
momento» Matias mi
osservò preoccupato «Ti
sei ricordata ancora qualcosa?» gli lanciai
un’occhiata decisamente molto scaltra «Sì,
non credo che sia stato tu a fare tutto quello?» dissi puntando in alto
con il dito «Tutto
quello cosa?»
«L’appartamento,
Tute. Non mi inganni sai, per quanto tu sia elegante e raffinato, non
arriveresti mai ad essere così perfetto»
«Flor!
–
mi riprese per poi lasciare ricadere le spalle in un gesto del tutto
remissivo –
D’accordo –
iniziò a frugare nella tasca del suo cappotto, poi mi porse
un bigliettino bianco, che afferrai di scatto – Ecco
il nome del mago» spalancai gli occhi «Nicolas?!»
«Già,
proprio lui! Altro che hacker associale, quel ragazzo è un
vero e proprio designer, ci sa fare con i disegni e le planimetrie
virtuali»
«Virtuali?» sibilai scioccata «Sì,
gli arredatori di oggi, usano il computer per progettare case e stanze
varie, hanno un programma apposta. Sweet Home 3D, credo si chiami,
è uno sballo!» esclamò
divertito Matias, mentre riuscivo a malapena a sorridere.
Altro che ragazzo
associale dai fervidi complessi di solitudine (definizione
spudoratamente copiata da Martin), il poverino altro che
lavorare, sgobbava tutto il giorno, dalla mattina alla sera e dalla
sera alla mattina per realizzare un suo sogno.
E noi che lo
avevamo giudicato male “Devo
sostituire il Laukar e fargli avere quello della speranza, sono sicura
che lo aiuterà”, pensai.
«Flor?
–
mi riprese Matias, agitando una mano davanti il mio viso – Andiamo?» annuii.
Ci incamminammo
verso l’uscita del palazzo a braccetto, solo come due amici
affiatati potevano fare «E
per Maria Bonita, cosa faccio?» chiesi poi a Matias,
dopo aver salutato i portinai con un piccolo movimento del capo «Beh,
la foto è un inizio, posso risalire a qualcosa»
«E
poi?»Matias
mi sorrise «E
poi si vedrà» mi accoccolai a lui per
ripararmi dal vento gelido di dicembre.
Ci stavamo
dirigendo alla sua macchina quando sentii Matias allentare il passo
fino a bloccarsi «Tedesco, cosa ci fai qui?» il mio
cuore sobbalzò ad incontrare gli occhi incredibilmente
dorati di Federico.
Con il suo
cappotto grigio era poggiato al cofano della macchina con un plico di
fogli tra le mani. Aveva la cravatta blu perfettamente annodata ed i
capelli caramellati erano leggermente scossi dal vento.
Un brivido mi
percorse l’intero corpo.
«Flor?»
chiese
inarcando un sopraciglio «Federico»
lo
salutai io, stringendomi a braccia conserte nel mio giubbotto viola.
Federico si ricompose e con pochi passi ci raggiunse «Cosa
ci fai tu qui?» chiese portando il plico
sotto il braccio, mentre i suoi occhi fissavano imperterriti i miei.
Voltai lo sguardo
in un’altra direzione, per evitare quel tremendo contatto
«Sono con un mio amico, non vedi?» mi agganciai a Matias in
modo affettivo, provocando una scintilla nello sguardo dorato del
Freezer «E
due amici escono di casa abbracciati?» il suo tono era
maledettamente seccato. Con la coda dell’occhio osservai
Matias passare in rassegna ognuno di noi e, battere il piede destro con
fare preoccupato. Istintivamente lo strinsi ancora di più
come per tranquillizzarlo, poi spostai l’attenzione a
Federico che aspettava titubante una mia risposta.
Gli sorrisi «Beh,
non vedo che cosa ci sia di strano» mi fulminò
con lo sguardo «Due
amici non si abbracciano» mugugnò a
denti stretti.
Mi scostai
leggermente da Matias «Non
tutta la gente è fredda come te» se non ci fosse stato
Federico, probabilmente mi sarei sbellicata dalle risate per quel tono
così arrogante che avevo adottato.
«Per
lo meno io non vado in giro ad abbracciare tutta la gente che
incontro» portai furiosa le
braccia ai fianchi, avvicinandomi di pochi centimetri a lui
«Ah sì?» Federico fece lo stesso e
in men che non si dica, i nostri respiri si incrociarono
«Sì» tuonò lui
risoluto.
Saette e fulmini
partivano ed arrivavano dai nostri sguardi.
Non
c’erano parole, solo fuoco e fiamme, ribollire prima nei miei
e poi nei suoi occhi. Vedevo il miele fremere in quelle sue pupille
assetate di sangue: se io ero furiosa, lui lo era di più «Che
c’è, Fritzenwalden, sei geloso?» sussurrai con un piccolo
sorrisino sulle labbra. Il sussulto di Federico fu quasi impercettibile.
Matias si
schiarì la voce imbarazzato «Ehm,
Tedesco, come mai sei qui?» Federico ed io ci
ricomponemmo contemporaneamente. Sentivo le guance accaldate ed il
cuore ancora palpitarmi per i pochi minuti prima.
Non volevo
ammetterlo, ma quel gelido del Freezer non mi sarebbe mai stato
indifferente. Forse neanche una testa di cocco caduta in testa, mi
avrebbe fatto scordare quegli occhi dorati.
Gettai lo sguardo
a Federico, anche lui leggermente arrossato, e lo vidi passarsi una
mano nervoso per i capelli, poi sospirò «Come
mai sono qui?
– Matias gli sorrise di soppiatto, mentre, il Freezer gli
mostrava il plico di fogli – sono
arrivati questi in azienda. Erano abbastanza importanti e ho deciso di
farteli avere prima di domattina»
«Non
ne hai abbastanza di torturarlo al lavoro? Devi anche seguirlo fino a
casa?»
ero furiosa, anzi, i nervi a fior di pelle che avevo erano furiosi.
Se Matias non lo
avesse fermato, a quell’ora avrei saputo tutta la
verità.
Fremevo di
conoscere il verdetto finale, perchè la gelosia si sa, si
prova solo quando nel cuore batte un sentimento importante. Non mi
importava se quello stupido di Federico non avrebbe mai ammesso
ciò che provava nei miei confronti, ma saperlo ed avere una
certezza mi avrebbe risolto una parte di problemi. Lo scopo? Beh, lui
amava Delfina ed io … io, beh io non so cosa o chi ero, ma
il mio scopo era semplice e molto arduo: stuzzicarlo fino
all’esasperazione e poi chissà, forse solo
così i suoi veri sentimenti sarebbero venuti a galla.
Federico mi
gelò con lo sguardo, poi ritornò a fissare
Matias, consegnandogli i documenti «Guardali
e fammi sapere
– si voltò per far ritorno alla sua macchina, ma
si bloccò, rigirandosi nuovamente – domani
sera io e Delfina usciremo a cena, se vi va potete venire, non ci fa
altro che piacere» chiusi gli occhi fino a
ridurli a piccole fessure.
Cosa aveva in
mente?
«Ehm,
io veramente …» Matias
balbettò confuso. Lo fermai, stringendogli il polso «Ci
saremo»
Nota Autrice:
Salve
a tutti!
Ecco a voi un
piccolo pensierino per il Natale: un capitolo sotto l'Albero
...è il mio regalo per voi, tutte quelle quelle persone che
leggono e recensiscono la mia storia e alle quali voglio dire un Grazie
di cuore!
Vi auguro un
felicissimo Natale, da passare allegramente con la vostra famiglia!
Dani
PS:
Ricordatevi
che Natale è sempre, purchè viva in
ogni nostro sorriso ...
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