Il Diario di Flor

di Danicienta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caro Diario ... ***
Capitolo 2: *** Quella Fatidica Panchina ***
Capitolo 3: *** Un Poco de Esperanza ***
Capitolo 4: *** Vorrei solo attraversare i Confini della Realtà ***
Capitolo 5: *** Recuerdos ***
Capitolo 6: *** Tra Frutta e Verdura verso il Passo della Fortuna ***
Capitolo 7: *** Fliquity Malconessi ***
Capitolo 8: *** Conosciamoci un po' ... ***
Capitolo 9: *** Io Canto?! ***
Capitolo 10: *** Io Non Sono Pazza ***
Capitolo 11: *** Guai In Vista ***
Capitolo 12: *** Incidente o Accidente? ***
Capitolo 13: *** Quel Piccolo Fiore di Bruin ***
Capitolo 14: *** Los Hermanos Fritzenchuchen ***
Capitolo 15: *** Perchè Non Lo Fa Più Spesso? ***
Capitolo 16: *** Sotto Minaccia ***
Capitolo 17: *** Solo un Desiderio ***
Capitolo 18: *** Un Bacio non Deve Fare Male ***
Capitolo 19: *** Parola di Marinaio ***
Capitolo 20: *** Segreto Sussurrato ... Cuore Spezzato ***
Capitolo 21: *** Te lo Prometto, Papà ***



Capitolo 1
*** Caro Diario ... ***


                     ___Caro Diaro___
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“Abbandonate ogni speranza o voi che leggete”
No, forse Dante è troppo antico.
Proviamo con “Egregi Lettori e Lettrici, Stimatissimi Studenti e Lavoratori”
potrebbe anche starci, ma secondo me è meglio Cordiali lettori ... ehm ... ehm ... Ok, basta! Lasciamo da parte il protocollo e diamo il benvenuto a questi miei nuovi carissimi amici!!!
Allora? Partiamo con le presentazioni? Ok! (Ah, mi sembra di parlare da sola!!! ahahahahah) Io sono Florencia ... Flor ... Florencia ... insomma scegliete voi come chiamarmi e posso dire che sono una normalissima ragazza argentina, beh, normalissima non direi proprio, ma "normale" a modo mio sì! Però questo starà a voi deciderlo accompagnandomi in questa mia nuova vita.
Ho deciso di dare un taglio netto al mio passato, un passato un po' triste.
Ho perso la mia mamma quando avevo solo quindici anni ed il mio papà se n'è andato, straziato dal dolore, abbandonandomi e permettendo di rinchiudermi in un orfanotrofio! Così la mia adolescenza non è stata una delle migliori, anche se ho conosciuto delle persone fantastiche che porterò dentro al cuore per sempre. Per ora lasciamo da parte il mio passato, quindi, eccomi qui, all'età di 18 anni, su una panchina a godermi una fresca notte di marzo, fantasticando sulla mia nuova vita ... già me la immagino: scommettiamo che sarà un magico intruglio di euforia, energia e naturalmente allegria e felicità? Le fantastiche doti che una “vita” dovrebbe avere! L'idea di iniziare da capo con gli occhi bendati mi elettrizza dalla testa all'ultimo peletto striminzito del mignolino!! Anche se, devo ammettere un po' di nostalgia dell'orfanotrofio comincio ad averla ... stamattina al pensiero di poter essere libera, spruzzavo gioia da tutti i pori! Perfino sul bus tranne che immaginare il mio futuro non ho fatto altro, ma mi sembra di avere un enorme buco nello stomaco, e non è fame, ma nostalgia e ormai questo sentimento è diventato il mio eterno accompagnatore, spero di abbandonarlo prima o poi, di perderlo lungo la strada, insomma qualcosa di simile!                                 
Le bellissime immagini dei momenti passati con i ragazzi del collegio mi hanno accompagnato per tutto il tragitto: Brigidia, con il suo sorriso argentato, Juanito con il suo caratterino fin troppo socievole (e cercate di capirmi con quel “troppo socievole”), Conshita, che annuisce sempre come una povera ebete, e anche Pacorro, che noi tutti prendevamo in giro per il suo stranissimo nome! Oppure c’era Dominga, con tutti quei suoi discorsi e pettegolezzi, io credo che sapesse tutti i gossip e gli intrighi del collegio, ed è la migliore amica di Estebana, la fidanzatina del “guapissimo” Sabino! Moro e occhi verdi! Chi potrà mai scordarli … Ripensandoci anche le urla di quella racchia della Señorita Holga mi mancano, sarà preoccupante? La Señorita Holga era  "colei" che più volte mi ha bocciata in matematica, probabilmente le stavo proprio antipatica, ma non era colpa mia se nella sua materia non ci capivo un fliquity! Tutti quei numeri e quelle formule impossibili! Ma lasciamo perdere, ora la scuola è finita e per sempre, per fortuna!                                                      
Tante chiacchiere per parlarvi un po’ di me, però spero di esservi almeno un po’ simpatica. Non pretendo tanto, ma mi auguro che non mi abbandoniate subito al primo impatto, ma che iniziate questo nuovo viaggio con me, con la vostra Flor!  Devo dire che l’aria primaverile di una notte argentina è veramente stupenda e rinfrescante: ti fa riflettere, pensare e creare nuove idee per il futuro. Vi chiederete il perché non mi muovo a cercare una casettina per passarci la prima notte di libertà? Vediamo se indovinate … Mi piace il freddo? Adoro dormire sotto le stelle (anche se stasera ne vedo pochissime)? Viaggio col saccopelo? No, siete proprio lontanissimi ... beh il fatto è che non ce l'ho una casetta calda caldina, ma non voglio la vostra compassione, perché questa è la mia nuova vita, ed è meraviglioso iniziarla in un piccolo parco della grande metropoli argentina, Buenos Aires! Adesso vado a nanna, che le stelle veglino su di me e su di voi …                                                                               

Notte carissimi Amici Un bacio Florencia ... Flor ... Florencia ... Flor, insomma chiamatemi come volete!”


Ecco come iniziò la mia storia …

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Capitolo 2
*** Quella Fatidica Panchina ***


                        ___Quella Fatidica Panchina___
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Dalla morte di mia madre, mi capitavano spesso avvenimenti strani, come per esempio il fatto di sognare più volte angeli ricoperti di un’aurea argentata e dalle ali luminose, piuttosto che lucine colorate che mi gironzolavano attorno, bisbigliandomi qualcosa di incomprensibile, che poi ricomparivano anche nella vita reale. Non tutti però credono nel paranormale o in tutte queste creaturine fantastiche, ma cosa dire, quando poi ti capitano sotto gli occhi? Vieni trasportato automaticamente in una nuova realtà, e sei costretto a crederci.

Come tutte le notti, anche in quella, sulla panchina di legno, sognai più volte lucine e angeli, che trasportavano in continuazione immagini riguardanti il mio passato: meraviglioso, certo, ma anche doloroso. Ripercorrere ciò che è stato, è veramente terribile, sopratutto, quando si è stati abbandonati e rimpiazzati dal mare. In quegli anni, passati al collegio, non avevo mai accusato nulla a mio padre per l’avermi lasciata al destino. Lo amavo molto e avrei fatto qualsiasi cosa per vederlo felice e sorridere ancora per una volta: se io ero stata malissimo per la perdita della mamma, mio padre era caduto in un vero abisso di tristezza, dal quale solo il mare avrebbe potuto salvarlo. Così mio padre aveva preferito a me il mare, l’oceano o qualsiasi cosa di azzurro con i pesciolini dentro. Quel giorno lo porterò nel mio cuore per sempre: all’improvviso fui staccata dalla mia quotidianità e dal mio affetto come un bimbo dal suo biberon. Fu terribile ma peggiore fu lo sguardo triste di mio padre, mentre mi allontanavo. Quei suoi occhi bui, che avevano perso il blu profondo del mare e quel suo viso malinconico, le cui rughe esaltavano ancora la sua infelicità. Orribile …

Quegli angioletti che tentavano di riportare a galla quelle terribili immagini, erano proprio dei diavoletti; così, come in tutte le notti, cercai di scacciare quei fastidiosi ricordi. Quando finalmente il sonno mi invase, ci pensò uno spaventoso prurito alla naso a farmi svegliare. Pian piano aprii gli occhi ancora addormentati, che misero a fuoco un bastoncino. Si avete letto bene, un bastoncino, di puro legno, con tanto di ramoscelli. Quando anche la mia vista si ampliò, riconobbi davanti a me un ragazzo, moro, occhi neri, e un divertito sorriso sulle labbra «Ciao» incredula, stropicciai i miei poveri occhietti. A quanto pare i miei sogni stavano diventando realtà con quei terribili angioletti perseguitatori, oppure avevo veramente bisogno di un paio di occhiali e di un apparecchio per udito «Scusa? E tu chi sei?» domandai quando già mi ero seduta sulla fatidica panchina «Damían, piacere!»                                                                                 
«Se sei una di quelle persone che ti seguono per renderti la vita impossibile, ti prego lasciami in pace! Non ho nulla da darti e …» quel “fanciullo” che ormai aveva preso posto accanto a me, mi tappò la bocca con un qualcosa  «E’ una brioche, la puoi mangiare! E’ buona sai? E comunque tranquillizzati perché non sono uno stalker»                    
«Un che?» farfugliai incuriosita dalla strana parola appena sentita, incomprensibile chiaro, ma curiosa pura «Uno stalker, un criminale, una di quelle persone che hai detto prima!»  
«Ah, ora capisco! Usare parole più semplici, no?» lo vidi sorridere e abbassare lo sguardo, per giocherellare con quel maledetto bastoncino «Come ti chiami?»
«Chi? Io? Mi chiamo Florencia, Flor, Florencia, insomma come vuoi!»                                                     
«Flor, cosa stai facendo qui su una panchina?» lo guardai storta «Mangiando, non vedi?» gli mostrai la brioche alla marmellata, già mezza inghiottita «Intendo a dormire»                                                                               
«Ah, questo! Inizio la mia nuova vita, sto scrivendo un nuovo capitolo della mia esistenza, sto creando il mio futuro, intendi?» il ragazzo mi guardò un po’ male «Allora sei nuova di questo quartiere?»
«Diciamo di si, anche se credo di conoscerlo abbastanza bene» finalmente deglutì pure l’ultimo boccone della brioche «Sai, la mia mamma aveva l’abitudine di scrivere un piccolo diario, che portava sempre con sé. Qui descriveva e parlava spesso del Barrio Boca, questo quartiere, credo …» mi guardai intorno cercando di individuare un cartello, che mi desse una spiegazione, invano «Esatto! El Barrio Boca! E qui siamo nella zona più gettonata: El Pasaje de los Besos!»                                                                                                         
«Il Passaggio dei Baci?» il nome tanto assurdo, ma allo stesso tempo, così romantico, mi sembrava troppo  frutto della fantasia «Carino, vero? - si alzò e mi aiutò a raggiungerlo - Te lo hanno mai detto che il nostro quartiere è una leggenda?» la curiosità si stava impadronendo del mio cervellino «Cosa intendi?»                       
«Il Passaggio dei Baci, nasce da una leggenda molto antica, che risale addirittura alla fine dell’ottocento»
«Davvero? Mi piacciono le leggende!!!»           

Da sempre favole, fiabe, leggende e qualsiasi altra storia, mi facevano entusiasmare dalla cima dei miei capelli fino all’ultimo pelo striminzito del mignolino! La mamma aveva l’abitudine di raccontarmele sempre prima di andare a letto: fate, cavalieri, principi, principesse, creature magiche e streghe, erano sempre i benvenuti nella mia fantasia; e non potevo permettermi di addormentarmi se prima non c’era una bellissima “cuento de hadas” ad accompagnarmi tra le braccia di Morfeo. La mamma mi aveva cresciuta così: prima i sogni e la fantasia e dopo tutto il resto.

La fontanina davanti ai nostri occhi spruzzava l’acqua cristallina, dai nasini di quei due bellissimi angioletti abbracciati l’uno all’altro, che l’adornavano «Vedi questi? Sono i due simboli del Passaggio dei Baci. La leggenda vuole che ogni coppia di fidanzati non possa resistere a darsi un bacio davanti a questa statua, carina vero?» sfiorai imbambolata i due piccoli personaggi, mentre un velo di ricordi mi avvolse: in orfanotrofio tante mie compagne mi raccontavano di piccole storie estive, baci rubati, frasi sussurrate al vento, dolci sogni, trepidazioni, bisbigli ricchi d’emozione, di sensazioni che mai e poi mai avevo potuto provare. Mi chiedevo se un giorno o l’altro avrei trovato quel ragazzo in grado di farmi battere il cuore, quello stesso ragazzo che mi avrebbe insegnato ad amare, baciare, insomma, il mio piccolo Principe Azzurro, l’uomo della mia vita, il padre dei miei figli, il nonno dei miei nipoti, il padrone del mio cane … «Bene, il mio turno riprende ora. Ci si vede, Flor!» il tempo era proprio volato con quel simpatico ragazzone robusto, mi ero proprio divertita e avrei voluto passare un istante ancora tra le sue chiacchiere, ma a quanto pare il dovere lo chiamava e, detto sinceramente, anch’io mi dovevo occupare di qualcosa di importante. Ero una giovane appena maggiorenne, orfana di madre e senza nulla in mano. Forse il mio destino mi diceva che era ora di rimboccarmi le maniche e mettermi a cercare un lavoretto, per quanto insulso poteva essere, era pur sempre un mestiere e io ne avevo bisogno, lo necessitavo!                         
«Ciao Damí!!» una ruga coprì il viso del ragazzo, che sembrava essere un po’ arrabbiato «Eh no! Damí proprio no! Bata per gli amici! - cercai una risposta in quei suoi due occhi neri - Sono il genio della batteria!» un nuovo sorriso aveva occupato il suo viso «Modesto il ragazzo» ricambiai l’espressione. Era bello avere un nuovo amico! Amico, amico, forse ancora no, ma una persona con cui parlare, conversare e che, comunque, conoscevo, era un passo avanti per il mio futuro, quel futuro che avevo in mente. Insomma, una piccola base per quel castello che sarebbe stata la mia vita «Allora ci si vede, Flor» lo vidi allontanarsi sempre di più verso il centro del quartiere, finché anche il puntino nero della sua presenza svanì nel nulla. Ero nuovamente sola, in un quartiere che conoscevo solo grazie alle descrizioni della mamma, in poche parole che non conoscevo affatto!                                                                                                                                              
Quando mio padre partì, mi consegnò quello che io avevo definito in quegli anni il diario di mia madre. Era un semplice taccuino di cuoio colorato, arricchito da una marea di margherite bianche e gialle di cartone. Quella strana presentazione aveva portato la mia curiosità a sfogliarlo e poi a leggerlo. Fu così che scoprii tantissime cose di mia madre: che aveva vissuto per anni nel Barrio Boca, che aveva un’amica del cuore Titina e che quando aveva finalmente incontrato l’amore, aveva deciso di seguirlo e non farlo scappare; per questo motivo ero cresciuta in un’altra città, anzi un piccolo paesino “Esperanza”, come quella che da sempre avevo nel cuore. Non c’era tanto su quel piccolo diario, era tutto così approssimativo, ma a me non interessava. Per me ciò che era importante, era il fatto di avere con me un piccolo ricordo della mamma, e ancora di più, ritornare nel luogo da lei tanto amato, tentando di ricominciare una nuova vita, la mia!

«Mi scusi?» avevo deciso di cominciare dal provare a cercarmi una casetta e ne avevo trovata una niente male, accanto al parco pubblico. L’insegna nera con inscritto “Da Pancha” penzolava un poco verso destra, ma la condizione dell’edificio non era poi tanto brutta. Pigiai il campanello e, dopo pochi istanti, una donna megagalattica uscì dall’uscio in legno vecchio «Che vuoi?» immediatamente la paragonai a quella sfilza di film che mio padre aveva l’abitudine di farmi vedere, dove i protagonisti erano creature orribili, belve feroci, animali indomabili, e lei somigliava proprio ad un buffo uomo delle nevi, o meglio la stampa mal riuscita di una buffa donna delle nevi, “L’abominevole Donna delle Nevi”. Scossi la testa per scacciare quel terribile pensiero, non ero la persone che giudicava spesso e volentieri la gente, ma forse, c’erano alcune eccezioni, come quella, per esempio «Salve, Signora. Ecco, io ero venuta a chiedere se è possibile alloggiare nella sua pensione. Vede, sono rimasta senza casa e avrei bisogno di un posto dove dormire» la donna mi guardò un po’ annoiata, i suoi occhi sparavano interminabili scosse di elettricità, sembrava odiarmi! «Che hai?» quella volta ero io a guardarla male: non capivo nulla di quello che mi diceva! Avevo paura che da un momento all’altro si sarebbe accanita su di me, devastandomi con le sue zanne imbevute di bava disgustosa, e allora si, che sarei stata finita e il mio futuro incenerito «Che intende?» cercai di essere gentile il più possibile, anche se ormai la tremarella stava salendo per tutto il mio corpo «Soldi! Quei fogli verdi che si usano per pagare! Quanto hai?»    
«Ehm,per il momento non ho un gran ché, ma appena trovo un lavoretto le salderò tutto quanto!»                 
«Mi dispiace ma senza soldi qui non si entra!»
«Le prometto che appena troverò un lavoro le pagherò l’affitto, ma la prego mi faccia restare qui e oggi stesso inizierò a cercare lavoro»
«Non se ne parla nemmeno, ragazzina! Ne ho visti altri come te. Vengono fanno il faccino dolce e se ne vanno senza pagare. Mi dispiace, ma non ci casco più!»
«La prego, sono sola al mondo. Le chiedo solo di aspettare fino a quando non ho un lavoro, dopo le pagherò il dovuto. Le prometto che …»                                                                                                                            
«Non mi servono le tue promesse! E adesso vattene, ragazzina!» la donna, anzi l’abominevole donna delle nevi, mi chiuse la porta in faccia ed io ero lì, come una tonta, che non sapevo ne dove andare ne cosa fare. Inutile dire di averle tentate tutte! Prima di bussare a quella porta “marcia” avevo chiesto al centro di informazione se c’erano delle pensioni con posti liberi, e la signorina, gentilmente, mi aveva detto che ciò che rimaneva era nella casetta mostruosa di Pancha! Ora capivo tutto: nessuno voleva passare il resto dei suoi giorni in un edificio a rischio valanghe, ed io non volevo essere di certo l’unica persona esistente sulla faccia della Terra, con questo sogno nel cassetto!
Disillusa e sconsolata più che mai, ripresi la strada verso la fatidica panchina. La mia solita fortuna voleva la mia sfortuna e quella che era la mia “casa” si era trasformata in un rifugio per vecchietti innamorati. Ancora più sconsolata cambiai direzione: ero convinta che una bella passeggiata all’aria fresca mi avrebbe schiarito le idee. Mi sentivo come una mucca in preda ad una tromba d’aria: confusa, delusa e sola più che mai! Nessuno poteva aiutarmi, nemmeno Damí, o meglio Bata, che in quel momento era in un altro posto, con altri problemi. Era impossibile per me riflettere, ero troppo incavolata con quella donna delle bufere che non mi aveva dato asilo politico! Ciò che mi faceva più rabbia era il fatto che esistessero persone tanto egoiste al mondo, che non pensavano alla vita altrui. Da sempre la mamma mi aveva insegnato a mettere il prossima di noi stessi e che la felicità altrui, arricchiva ancora di più la nostra …
Camminavo come sempre sovra pensiero, ripensando ai vari ed importanti insegnamenti della mia mamma, quando un botto mi riportò alla realtà «Sta più attenta, figliola!!!» una donna alta e formosa mi aiutò a rialzarmi da terra (probabilmente ero caduta durante l’impatto). La prima cosa che mi balzò all’occhio fu l’acconciatura: capelli rossi, ricci, raccolti in uno chignon spettinato, che mettevano ancora più in risalto l’azzurro oceano degli occhi. Tra le mani tremanti, delle buste della spesa facevano capolino «Tutto bene, figliola? Ti sei fatta male?» improvvisamente riconobbi la donna, quella signora tanto descritta da mia madre nel suo “diario” «Titina?»  

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Capitolo 3
*** Un Poco de Esperanza ***


                           ___Un Poco de Esperanza___
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Forse stavo sognando, oppure quello era un altro scherzo di quei terribili angioletti, eppure davanti a me vedevo la copia identica della migliore amica di mia madre, la Titina del diario. Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo e di sfiorare col solo pensiero i ricordi di mia madre, dove quella donna dalla corporatura paffuta e i capelli rossi, ne era la protagonista «Titina?» sussurrai sorpresa più che mai «Ci conosciamo, cara?» non c’era più dubbio, quella signora che stavo ormai squadrando da un bel po’ di tempo era Titina, l’amica di mia madre. Mi trovavo di fronte ad un bivio: raccontarle la verità e avere un possibile aiuto per compassione, oppure avvicinarmi con cautela. Non avevo mai apprezzato la compassione altrui, soprattutto quando dall’altra parte c’erano differenti opportunità, che si potevano cogliere, per così dire, “al volo”.
«Ehm, io sono Florencia! Il fatto è che mi hanno mandata da lei per una … un…insomma…»
«Look romantico? Oppure una semplice permanentina? Quei tuoi capelli hanno proprio bisogno di una sistematina-ina-ina-ina! Piacere Teresa Ramos, parrucchiera eccezionale!» la guardai un po’ storta: era propria “pazza” come la descriveva mia madre.
Sorrisi al pensiero di aver accanto la persona che nascondeva i segreti della donna a me più cara. Per me era un sogno il fatto di poter legare un pochino del mio presente ad un pezzo del passato della mia famiglia, un sogno che avrei voluto durasse nel tempo, quello stesso sogno che avrei voluto diventasse il desiderio per il mio diciannovesimo compleanno.

«Allora?» vidi la mia immagine riflettersi nello specchio dalla cornice dorata, del negozio da parrucchiera, in cui “gentilmente” ero stata ospitata. I capelli lunghi e leggermente mossi mi scendevano lungo le spalle, mentre la frangetta completamente liscia si divagava per la mia fronte, corrugata dall’emozione «Fantastico! Stupenda! Anzi, perfetta!» ormai anche il mio sorriso aveva contagiato quell’immagine «Non scherzo quando mi definisco: e-c-c-e-z-i-o-n-a-l-e! Così, il tuo nome è Florencia! Sei sicura che non ci siamo mai viste prima?» lo sguardo curioso della donna mi raggiunse l’anima: si vedeva proprio che era una parrucchiera, pettegola e curiosa allo stesso tempo «Non credo» mentii, anche se sapevo che in quella piccola bugia si nascondeva una verità: io quella donna non l’avevo mai vista prima d’ora, ma la conoscevo grazie a mia madre! Speravo solo che non mi riconoscesse: non era proprio il momento di avere la compassione altrui! Certo, volevo collegare il mio passato al mio presente, però ero sicura che quella era la mia vita e avevo bisogno di viverla con i miei errori e le mie possibilità! Mi intendete? «Non so, hai un’aria così famigliare. Da dove vieni?»                                                                                                  
«Da un piccolo paesino! “Esperanza” si chiama, però ho vissuto tanti anni in un collegio» un’ombra coprì completamente il viso di Titina «Mi dispiace, figliola!» la vidi portarsi una mano al cuore e prendere posto su una delle poltroncine accanto a me, probabilmente destinate a qualche altra cliente.                                                     
Durante “il taglio” dei capelli, non mi ero accorta del fantastico posticino in cui mi trovavo: era un negozietto semplice, piccolo, ma molto accogliente. La carta da parati maculata donava un tocco di femminilità all’ambiente, decorato minuziosamente in ogni piccolo dettaglio: dal bancone rosa, sul fondo, alle vetrate a strisce gialle e marroni, dalle poltroncine maculate, perfettamente in tono con le pareti, agli specchi dorati. In quel luogo ogni minimo particolare dava l’idea di sentirsi in un posto dove l’affetto e l’amore facevano capolino e Titina ne era la regina, una specie mamma chioccia “pettegola”, pronta ad accogliere ogni suo piccolo cliente nel suo nido famigliare … una cosa bellissima!
«Mia madre morì quando avevo soltanto quindici anni e mio padre decise di imbarcarsi per raggiungere il mare, il suo sogno più grande»
«Abbandonandoti in un collegio ... »
«E’ brutto da dire, ma è così!» 
«E cosa ci fai qui? Intendo, nel nostro quartiere?»                                                                             
«Ecco, mia madre era molto legata a questo posto. Nel Passaggio dei Baci trascorse la sua infanzia, ed io ho deciso di ripartire da zero, proprio da qui, dal suo posticino» la donna accennò un nuovo sguardo curioso «Dici che ha vissuto qui per anni? Anche io abito qui da una vita, magari l’ho conosciuta! Come si chiamava?» Mi ero messa nell’ennesimo pasticcio! Purtroppo avevo ed ho tutt’ora il terribile vizio di non saper frenare la lingua quando mi parte! Il problema è che parlo, parlo e parlo senza mai intravedere il traguardo finale: una cosa terribile! Così, come in ogni altra situazione della mia vita, mi ritrovai nel fliquity dell’imbarazzo: non sapevo cosa risponderle. Cercavo di trovare una soluzione nelle pareti maculate, nel bancone, continuavo a spostare i miei occhi da destra a sinistra e da sinistra a destra, senza mai trovare una risposta a quella domanda! La pressione mi stava torturando le vene e mi sentivo come dentro un fliquity di calore. Speravo che da lassù uno spirito, un angelo o una fatina di quelle delle fiabe mi lanciasse un incantesimo per svanire nell’aria, o semplicemente mi aiutasse a sviarmela, così, con quei monologhi che solo nei film possono funzionare per scampare da un guaio. Nulla, dal soffitto nemmeno una lucina colorata venne in mio aiuto! Persino fuori, in strada, non c’era nessuno! Era come in uno di quei film western, durante una sfida tra cowboy, dove il silenzio ti divora i fliquity, e tu stai lì e stai lì, fissando la tua prossima vittima, mentre un’enorme palla di paglia passa davanti a te, mi correggo, un’enorme palla di paglia insignificante! Pensate che quella palla passò anche davanti a me quel giorno … un silenzio terribile!
«Mamma! Mamma!» Bata entrò nel negozio grondante di sudore «Flor?» lo guardai allibita: il mio nuovo amico aveva appena chiamato la vecchia amica di mia madre mamma! Più che allibita ero decisamente scioccata! In un certo senso era come se io e Bata fossimo cugini!                                              
«Voi due vi conoscete?» Titina spostò prima lo sguardo sul suo “presunto” figlio e poi su di me, che in quel preciso istante non stavo più capendo nulla «Sì, siamo per così dire amici! Mamma, ero venuto a chiederti se, Flor, poteva appunto fermarsi a pranzo con noi!» Bata mi strizzò l’occhio e gli sorrisi in forma di gratitudine «Certo! Come no? Gli amici di mio figlio sono sempre i benvenuti, soprattutto quando sono così carini come te, cara» la mia testa era peggio che una mucca in una tromba d’aria! Dovevo solo lasciarmi andare e seguire ciò che il destino aveva scelto per me: pranzare con la vecchia amica di mia madre e Bata, l’unica persona che fino a quel momento conoscevo! Che fosse un segno? «Te la posso rapire?» chiese Bata alla madre, riferendosi a me. Vidi la donna annuire sorridendo e improvvisamente sentii la mia mano stretta da quella di Damían.                                                                                                                                                        

Attraversammo l’intero quartiere, e percorrendo un piccolo sentiero ci ritrovammo in una radura in collina «Dove mi stai portando? Non vorrai rapirmi veramente?» chiesi preoccupata dai chilometri e chilometri appena fatti «In effetti sì! Voglio farti vedere l’anima del nostro quartiere, il luogo magico d’eccezione! Ecco siamo arrivati!» Bata era davanti a me, mi ci volle ancora qualche secondo per raggiungerlo: non ero molto sportiva, anzi avevo sempre odiato lo sport, amavo cantare, ballare e tutto ciò che riguardasse la musica, ma lo sport, proprio no!                                      
«Flor, ti presento “El Rio Azul”!» un enorme corso d’acqua cristallina aveva preso forma davanti ai miei occhi. La luce del sole si rifletteva ambiziosa in tutta quella sua limpidità, tanto da farlo sembrare incantato, fatato, di un barlume magico «Ti piace?» non avevo parole: la meraviglia che avevo davanti era indescrivibile «E’ meraviglioso! Non credevo che nella vita esistessero ancora certe bellezze!»                                                 
«Questo è il cuore dei sogni argentini. Qui ogni persona viene a esprimere un desiderio, poiché la leggenda narra che le sue acque argentee nascondano le lacrime di una donna che tanto soffrì per amore. La storia vuole che se un desiderio è espresso con il cuore, prima o poi questo si realizzerà»   
«Bata, è meraviglioso. Questo quartiere nasconde mille segreti e leggende ed è tutto così … magico. Che ne dici, lo posso esprimere un desiderio?» il mio nuovo amico acconsentì e mi avvicinai pian piano alla ringhiera, con la paura di cadere nell’acqua. Anche se il fiume aveva un aspetto a dir poco stupendo, io non avevo un bel rapporto con l’acqua, perciò era meglio che io le stessi alla larga, molto alla larga. Pensai a lei, all’unica luce che ancora splendeva dentro di me, a quella figura che tanto amavo e che solo avrebbe voluto il mio bene “Mamma, mi impegnerò a riportare alla luce ogni nostro secondo trascorso assieme, conservando per sempre nel cuore il tuo sorriso. Spero di poter provare ciò che tu hai sempre provato per papà, un giorno. Spero di essere felice come lo sei stata tu …” una lacrima mi percorse il viso e si confuse con le acque del fiume.
Da anni il parlare con la mia mammina era sempre un’emozione particolare, e legarla a un desiderio, la faceva sentire ancora più parte di me. Improvvisamente sentii due forti braccia stringermi, e un nuovo senso di quiete mi percorse il cuore «Tutto bene, Flor?» annuii singhiozzando. Per fortuna avevo trovato Bata, il ragazzo più comprensivo che io avessi mai conosciuto.
Quel giorno parlammo affacciati a quel fiume, dimenticandoci completamente del pranzo in comune. Gli raccontai del mio passato, di mia madre, del fantastico amore che la univa a mio padre. Gli narrai piccoli aneddoti relativi alla mia infanzia ed io ascoltai curiosa i suoi. Ricorderò per sempre quel pomeriggio, passato a ridere e a scherzare, accantonando quella tristezza che da anni occupava i nostri cuori: il mio legato al velo della morte di mia madre ed il suo affondato nel divorzio dei propri genitori, separati da ben dieci anni e divisi da un po’ di più. Titina raccontava spesso al figlio che solo e soltanto la sua nascita aveva portato un po’ di pace e tranquillità in quel matrimonio e che la separazione, avvenuta qualche anno dopo, era stata la miglior scelta per entrambi. Sebbene fosse trascorso un fliquity di tempo, Bata ancora non lo aveva accettato, ed era sicuro che, se avesse avuto l’occasione di riavvicinarli, l’avrebbe colta al volo, senza alcun pensiero.

Non so come, ne perché, ma quel giorno Bata ed io diventammo inseparabili, amici per la pelle, come due fratelli, che, a quanto pare il tempo aveva diviso, ma il destino unito ...

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Capitolo 4
*** Vorrei solo attraversare i Confini della Realtà ***


         ___Vorrei solo attraversare i confini della realtà___

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Il palazzo si innalzava sfavillante davanti ai miei occhi. La luce della luna, donava a quell’immagine una timida somiglianza ai castelli incantati delle fiabe, quelle fiabe che spesso e volentieri amavo sognare e portare dentro al cuore con un dolce sorriso. Incuriosita dalla magia che circondava quell’affascinante luogo, salii lo scalone e, varcando la soglia, mi trovai in una luminosa sala da ballo, addobbata minuziosamente a festa: luci soffuse illuminavano le migliaia di “non ti scordar di me” che facevano da cornice al luogo; tra questi, mille puntini colorati: piccoli grappoli di biancospini, che con la loro grazia donavano all’ambiente quel pizzico di fantasia in più, sbocciando tra ammalianti fiordaliso.
Percepii nell’aria il leggero profumo di cannella, lasciandomi trasportare da lievi ricordi e profonde emozioni. Il pavimento, brillante, rispecchiava temerario la mia immagine: sembravo essere appena uscita da una delle mie fiabe preferite, sembravo una vera e propria principessa!
 Indossavo un elegantissimo vestito color fiamma arricchito dallo sfavillante tulle amaranto sul fondo. Con un dito mi sfiorai il capo: un diadema mi luccicava tra i capelli ricci, che dolcemente mi scendevano lungo la schiena. Abbassai lo sguardo e vidi che ai piedi portavo le mie comodissime snakers multicolore e un sorriso mi riempii il viso di gioia: non ero per nulla al mondo la tipica ragazza diciottenne che amava andarsene in giro, agitando rumorosamente le proprie natiche, con l’atroce obbiettivo di mettere in mostra il nuovo acquisto del giorno fatto di un “comodissimo” tacco a spillo!
 Diciamo che ero più una ragazza che amava sentirsi a proprio agio, indossando abiti convenienti e scarpe utili: le mie snakers!                        
Accompagnata da quella strana magia soprannaturale, alzai eccitata lo sguardo verso il soffitto, rimanendone completamente incantata: piccole costellazioni tempestavano l’intenso cielo blu notte, riflettendo alcune margherite che sembravano formare una lucente Via Lattea; solo in quell’istante mi accorsi che i scintillanti fiori aveva formato una strada che portava allo scalone principale, ricoprendolo interamente. La curiosità riempiva i battiti del mio cuore, mentre avanzavo agitata per quell’immensa gradinata dai mille profumi e colori. Non sapevo cosa mi avrebbe aspettata lassù, ne come e quando sarei arrivata! Non sembrava, ma quelle scalinate, per quanto belle e fragranti fossero, non erano per nulla semplici da percorre!
E per quanto amassi in quel momento sentirmi una vera principessa, la brillante gonna arancione sembrava darmi un po’ di fastidio; ma, come diceva la mamma “Vorrei solo attraversare i confini della realtà e soltanto vedere cosa potrebbe succedere: solo curiosità!
In quel momento sembrava che ogni gradino nascondesse in se piccoli aneddoti della mia infanzia: man mano salivo, più immagini quotidiane della mia vita passata si coloravano dentro di me; sembrava che la mia mamma mi stesse guidando verso un non so che di importante, un qualcosa di misterioso, ma portatore di gioia ed io ero il burattino nelle sue mani: incantata, seguivo gli ordini e procedevo con un timido sorriso, per l’interminabile scalone, lasciando il via libera ad ogni emozione passata.                                         
Con ancora il viso illuminato di ricordi, raggiunsi, finalmente, la fine della gradinata: il cuore mi batteva forte nel petto e quell’improvviso desiderio di sapere, conoscere il mistero che credevo mi nascondesse mia madre, mi stava lacerando l’anima. Avevo fretta, voglia di correre e raggiungere quel sogno curioso, di afferrarlo e stringerlo forte tra le mani, solo per sussurrare “Sei mio” e conoscere così la verità di tutto quel mistero; ma purtroppo, qualcuno voleva che facessi le cose con calma, che prendessi il mio tempo, e più sprecavo energie per avanzare velocemente, più le mie forze diminuivano, facendomi camminare sempre più a rallentatore.                                 
Due profondi corridoi si aprivano davanti a me: il primo a destra era costituito di un tappeto di incredibili e brillanti fiori gialli, mentre il secondo, sul lato opposto, formato da tantissimi boccioli bianchi.
Conoscevo bene il significato dei fiori: mia madre spesso mi aveva insegnato i segreti che quei piccoli esseri “magici” volevano trasmettere a noi uomini, educandomi principalmente ai sentimenti affettivi della natura. Sapevo che mi trovavo per l’ennesima volta davanti ad un bivio, davanti ad una scelta, che dovevo portare avanti nuovamente da sola!
L’indecisione avanzava per la mia povera testolina, con estrema facilità: cosa scegliere tra speranza e verità? Tra fiducia e lealtà? Tra illusione e realtà? Tra ciò che era giallo e ciò che era bianco?   
Mi giravo e rigiravo cercando di intuire in quei fiocchi colorati la soluzione, fino a quando i miei pensieri furono distratti dalla comparsa di un giovane nel corridoio destro, come un segnale di mia madre, un simbolo, una risposta alle mie domande «Ehi! Fermati!» gli gridai, cercando di attirare la sua attenzione verso di me, invano. L’eccitazione mi era salita alle stelle, finalmente avevo scoperto uno dei mille enigmi di mia madre: la strada gialla!
Senza pensarci su due volte, corsi nella direzione dell’uomo, questa volta, nemmeno le forze a rallentatore potevano fermarmi, anzi ero io a fermare loro, con il mio bel sorriso sul viso, che si accendeva sempre di più, ogni volta che un gruppo di fiori, al mio passo, si illuminava, come per confermarmi la scelta: previdenza, fortuna, determinazione e amore materno, ecco cosa volevano comunicarmi quei bellissimi boccioli dorati!
Improvvisamente l’uomo svanì nel nulla, come risucchiato da una di quelle forze fliquitate dal rallenting, ed io mi ritrovai nuovamente sola, in un corridoio buio, dalle alti pareti bordeaux e, illuminato a mala pena da piccole stelle luccicanti «Dove sei?» chiesi spaventata dall’eco, che riproduceva la mia voce, ma l’unica risposta che ottenni, fu un terribile silenzio devastante.
D’un tratto, le pareti, che fino a quel momento mi avevano dato, anche se piccolo, un senso di protezione, svanirono nel nulla, lasciando spazio ad una porta enorme, che timidamente aprii senza esitare «C’è qualcuno?» chiesi insospettita dall’atroce oscurità che mi ricopriva da cima a fondo. Sembrava un banalissimo scherzo del destino: prima la mamma che mi faceva trovare in un castello incantato, costringendomi a ricordare i momenti più belli della mia infanzia; poi i fiori, portatori di significati illogici, ma naturali ed infine l’uomo misterioso, preso da una voglia matta di correre e vincere una maratona! In quel momento maledii tutti i fliquity esistenti al mondo, non era possibile che solo a me potevano succedere certe cose, così PARANORMALI!
«Pronto? C’è qualcuno?» riprovai, riguardando quelle mie tremanti parole, quasi sospirate e ricche di tensione: se per un istante, quel momento era sembrato magico come in una fiaba, ora si stava trasformando in un incubo atroce e questa cosa mi faceva letteralmente paura. Un pallino verde, dalla luce intensa e brillante, comparì improvvisamente in quell’enorme e devastante oscurità «Chi sei? -  chiesi, esitando un poco prima di riprendere - Sei un fantasma? Ho sentito parlare di voi palle magiche, che vagate nell’oscurità, facendo morire di terrore chi vi vede! Sappiate che siete proprio delle burlone insopportabili! Come potete prendervi gioco delle altre persone, per di più vive! Rispondimi! Forza, vediamo cosa dirai in tua colpa, piccola Palla Fantasma? - in risposta quella lucina luminosa iniziò a girare vorticosamente su se stessa, provocando un bagliore immenso che mi obbligò a coprire gli occhi - Ma che razza di fliquity …»  
Quando riaprii gli occhi, fui inebriata dal profumo immenso di tutti quei piccoli fiorellini, che decoravano animatamente il labirinto che si era creato davanti a me. Probabilmente quella che avevo incontrato prima, non era una Palla Fantasma cattiva, ma era semplicemente una lucina buona, che mi aveva portata nel suo mondo! «Incredibile!» sussurrai guardando lo splendido paesaggio che mi circondava: d’un tratto quella terribile atmosfera che mi aveva torturato il cuore, pochi attimi prima, si era trasformata, in un’emozione di pace e quiete. Era vera l’affermazione “I fiori danno pace e speranza”, proprio come il piccolo bocciolo che, dolcemente colsi e legai ai capelli.
Piccole rondini, canterine e festanti, danzavano attorno a me, riempiendo di felicità il mio cuore, ma c’era un non so che di strano in uno di quegli uccellini primaverili, strabuzzai gli occhi, cancellando quello strano pensiero. Gli esserini, volarono all’interno del labirinto e, guidata dal loro dolce canto, mi inoltrai al loro inseguimento. Mi sembrava di essere una di quelle principesse che tanto avevo ammirato nelle bellissime storie che, da piccola, mia madre mi raccontava; quelle principesse, tal volta, coraggiose, che affrontavano  il proprio cammino con serenità, per raggiungere il proprio principe azzurro … eh già, perché sempre in una fiaba c’era un principe azzurro, ma non nella mia …
Il canto delle rondini si interruppe solo nel momento in cui raggiunsi il centro del labirinto con una piccola fontana in marmo bianco, in cui l’acqua cristallina scorreva, dando all’ambiente quel pizzico in più di naturalezza, che già si respirava nell’aria. Riconobbi quell’imponente oggetto: era la stessa fontana del Passaggio dei Baci, solo che più bella e più grande, ma non riuscivo proprio a capirne il motivo. Un dubbio mi afferrò la mente: di nuovo quella rondine, di nuovo quel suo sguardo intrigante, di nuovo quel suo musetto tanto diverso dalle altre, che mi fissava, mi interrogava e mi faceva sentire strana. Quando anche gli altri uccelli si unirono in un vortice attorno a quell’esserino, rimasi di pietra davanti allo spettacolo che stavo vedendo: un uomo, un uomo che si nascondeva dietro un gigantesco mazzo di calle e garofani. Imbarazzata dall’immagine divina, indietreggia: non riuscivo a percepire nulla di quel ragazzo, se non lo smoking  nero e raffinato, i capelli biondi, leggermente brillanti nati e lo sguardo … quel suo sguardo misterioso e allo stesso momento dolce, profondo e superficiale contemporaneamente, in cui solo vedevo me stessa, il mio semplice riflesso, devastato dall’imbarazzo e da una sensazione strana che mi stringeva il cuore, ma della quale ancora non conoscevo il nome «Quei fiori sono … - mi indicai ancora più impacciata, mentre quell’uomo in nero, annuiva, coperto interamente da quell’enorme bouquet e avanzava lentamente verso di me - Un momento … ci conosciamo? Non è per cattiveria, ma non so se posso accettare regali da uno sconosciuto, capito? Non è per te, cerca di capirmi, magari se potessi vedere quel tuo faccino, potrei conoscerti un po’ di più, sapere se sei bello o brutto … Fliquity! Adesso penserai che sono una ragazza superficiale, che ama solo l’apparenza, ma non è così, credimi! Ecco, io, non volevo criticarti, anche perché se tu non fossi stato poi tanto bello, io ti avrei … non importa, tanto lo sai meglio tu di me che l’amore è cieco, giusto?» lo avevo fatto di nuovo, parlare senza freno e arrampicarmi sugli specchi per nascondere il fattaccio. Ero un caso perso, soprattutto, lo sconosciuto era un caso perso: mi guardava freddo, distaccato, come se non gli importasse nulla ne di me ne delle parole sparate al vento che mi stavano perseguitando. Velocemente mi portai una mano alla bocca per bloccare quell’insignificante fiume di parole, mentre quell’uomo tanto misterioso proseguiva nel silenzio più assoluto. Che avesse fatto voto di silenzio? Lo vidi avanzare verso di me, con cautela, lentamente, senza timore, ne rancore, senza preoccupazione, e distrazione, ma soltanto con indifferenza. Non riuscivo a muovermi, quei suoi occhi freddi, ma dolci di calore, non permettevano al mio corpo di muovere un solo arto: ero bloccata, completamente bloccata da uno sconosciuto!
Sentii un qualcosa di caldo stringermi la mano pietrificata, un tocco, un semplice tocco che mi fece nuovamente perdere dentro i suoi occhi color miele: non mi ero mai accorta di quanto il miele fosse profondo e dolce fino  a quel momento, ero sicura che da quel giorno sarei diventa ghiotta di miele, quella era una certezza. Mi rispecchiavo, vedevo ogni mio movimento, ogni mio pensiero, come se quell’uomo sconosciuto fosse in grado di leggermi il pensiero. Spaventata da quello strano aggrovigliarsi di emozioni, indietreggiai, perdendo, non so come, l’equilibrio: non mi ero accorta che tutto intorno a noi aveva cambiato luce e colore, l’oscurità si era divorata il labirinto con la sua incantata realtà, ed ora si stava prendendo anche me. Un passo, solo un passo ed un’improvvisa confusione accompagnarono quella piccola perdita di equilibrio e in un istante mi ritrovai a cadere nel vuoto, in cui tutto era distante, io ero distante dal labirinto, lontana da quello sconosciuto e dal suo magico profumo di colonia che mi aveva invaso l’anima … lui era distante, lontano da me, una “principessa” un poco distratta … Una scena rimase nella mia mente, una sola, quell’uomo dagli occhi color miele, intento a recuperarmi da quella strana situazione con quel suo bellissimo mazzo di fiori, che ancora gli copriva il viso e la sua mano, quella mano che poco prima mi aveva sfiorata … quella mano che ora scompariva nel buio, portandosi con sé lo sconosciuto e quel magico sogno … perché era stato un solo e semplice sogno ...

«Flor - una voce famigliare risuonò nella mia testa confusa. Avevo solo bisogno di ancora un attimino per riprendere coscienza di quell’uomo, un attimino per ritornarlo a sognare, anche se solo per un poco - Flor … Florencia » le parole si fecero sempre più decise e rumorose, fui così costretta a prendere uno dei miei cuscini a forma di cuore e nascondere il mio visetto addormentato - Flor, è mattina!» rassegnata al fatto di non poter ritornare tra le braccia di quel Principe, aprii gli occhi: Titina, la mia salvatrice, che mi aveva accolta con amore nella sua pensione, nonostante il mio passato ed i miei problemi economici, mi accarezzava dolcemente la frangetta, un po’ scompigliata «Buongiorno, dormigliona! Il Signor Molina ti aspetta!» quel nome mi fece letteralmente raddrizzare anche gli ultimi fliquity addormentati, e con un balzo mi alzai velocemente dal letto .

Quel giorno compievo un anno dal mio arrivo al Passaggio de Baci, era stato un anno fantastico, ricco di imprevisti e di e sogni realizzati … un anno di eventi che avevano costruito le fondamenta del mio castello, il mio futuro …


ANGOLO AUTRICE: Prima di tutto voglio ringraziare personalmente flori186 e piccolavenere96 per aver sempre commentato e poi volevo informarvi che ho "tentato" di migliorare un po' la grafica, mettendo un po' in evidenza i dialoghi. In questo capitolo ho dato un po' più di importanza alle descrizioni, se sono sembrata noiosa, vi prego di scusarmi! Nel frattempo vi auguro una Buona Lettura

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Capitolo 5
*** Recuerdos ***


                                      ___Recuerdos___
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Guardavo spensierata alla finestra: era incredibile quante cose fossero cambiate dal mio arrivo al Passaggio dei Baci! Molte mie preoccupazione se n’erano andate, come ad esempio il “piccolo” problema della casa. Damían aveva fatto tutto per me, come un vero amico, anche andare a chiedere al proprietario del capannone del mercatino delle pulci, il permesso di farmi alloggiare nella sua proprietà. Quell’uomo sulla mezza età sembrava non darci mai retta, ma sapete come ero fatta e dopo lunghissimi giri di parole, riuscii finalmente a convincere quel vecchio fliquitato di donare un luoghicino anche a me. In quel periodo sembrava che la mia vita stesse prendendo la piega giusta: non ero più sola, bensì accompagnata da un’intera comitiva!

«Flor! Eccoti, finalmente! Voglio presentarti alcune persone» mi disse Bata quel giorno con uno splendido sorriso sul viso «Delle persone? Vado bene così?» svolazzai agitata la gonna marrone, intonata alla maglietta brillante più del giallo del sole, ormai alto nel cielo «Perfetta! Coraggio, vieni, Flor! Cosa aspetti?» mi prese per mano e mi portò al capannone del Passaggio dei Baci «Allora?» chiesi agitata, vedendo che oltre a noi non c’era nessuno «Allora, cosa?»                                                                                                       
«Bata! Quelle persone! Dove sono? Sono brave? Hanno un non so che di particolare? Dovrei essere forse più elegante? Non capisco il perché di così tanto mistero»                                                                
«Flor, i ragazzi dovrebbero arrivare a minuti, stai calma!»                                                                                   
«Minuti, ore, giorni e anni! E intanto noi invecchiamo aspettando che un asino voli alto nel cielo! Non ci avranno mica dato buca?» Bata mi fermò di colpo. Quando ero agitata mi muovevo a scatti, sembrava che il mio fiume di parole scorresse ad alta velocità e non trovasse uno scoglio a fermarlo. Parlavo, parlavo e parlavo, senza nemmeno rendermi conto di ciò che dicevo e solitamente stava alla persona che mi era vicino darmi un taglio. Al mio adorato cervellino, bastava solo una piccola reazione per capire di smetterla «Flor, non ci hanno dato buca! Se adesso non ti calmi, ti riporto a casa! Sei troppo capricciosa!» un grumolo di rabbia si mosse dalla mia gola «Io non sono capricciosa! E’ che non mi dici mai niente! Vivo sempre nel mistero! Ti sembra una cosa giusta?»
«Ah, eccoli! Ciao ragazzi!» urlò Bata, indicando un gruppo di giovani che si avvicinavano velocemente a noi. Una ragazza dai capelli corti e tinti di non so quale colore, sembrava capitanare il gruppo: borchie, lacci e catene erano il suo abbigliamento. Percepii una strana sensazione quando la guardai negli occhi neri come la pece: non ero una di quelle persone che giudicavano prima di conoscere, ma quella ragazza aveva dei seri fliquity mentali se tutte le volte che incontrava una persona la guardava con stizza e odio profondo, sputandole in faccia, e sottolineo lo sputare in faccia, i residui di cicca. Quando mi squadrò, ricambiai con un semplice sguardo “assassino” «Lei è Flor, una mia amica!» notai che nessuno dei quattro ragazzi parlava, mentre la ragazza dai capelli colorati continuava a masticare la sua cicca immonda «Bata, mi meraviglio di te! Da quando sei caduto così in basso e frequenti uno simile scempio?» l’ira si stava impossessando di me! Non solo quella ragazzina maleducata sputava cicche a più non posso, ma in più si permetteva di giudicarmi e di chiamarmi scempio! Che fliquity! «Come hai detto, scusa?» sbottai io, con il mio ingenuo sguardo canino «Havoc? Slaughter? Scempio! Sei semplicemente uno scempio! Comunque Carina, piacere!»
«Carina ti ci faccio diventare io immergendoti nell'acido»                                                                    
«Flor! Carina! Ora calmatevi! Siamo qui per presentarci, non per litigare!» cercai di riprendere il controllo delle mie fliquitate respirazioni: il cuore mi stava battendo all’impazzata, non mi ero mai comportata così, nemmeno con quella biscia morta di Dulcina al collegio! Com’era possibile che tutte le serpi acide avessero un nome così … così … dolce? «Che fate? Non parlate? Svegliatevi! Presentatevi!» guardavo adirata come quella ragazzina “capel-so-tutto-io” dava ordini sia a destra che a sinistra, e quei poveri tre, che impalati, le davano retta «Clara …» disse annoiata una giovane bionda, più o meno sui diciassette anni, guardandomi come se avessi una rara malattia «Io sono Renata, ma per gli amici Nata!» sorrisi a quella ragazzina mora dagli occhioni leggermente a mandorla «Nata, come la crema?»                                                                                                                       
«Si! Mi piace essere dolce»                                                                                                                 
«Attenta che non ti mangino!» ridemmo insieme, come se fossimo amiche da sempre! Fino a quel momento sembrava l’unica ragazza a posto del gruppo, oltre a Bata naturalmente «Nata! Zittisciti!» di nuovo quella racchia depressa! Era proprio una maleducata impertinente, e lo dico con affetto, credetemi «Io sono Danilo, ma tutti mi chiamano Facha, è un piacere conoscerti!» disse l’ultimo dei tre, agitando quei suoi mossi capelli neri al vento «Ed è il mio ragazzo, quindi non osare mettere quel tuo lurido sguardo su di lui!» Carina stava marcando il territorio, ma la cosa che ancora non aveva capito, era che a me del suo fidanzatino non mi importava nulla! Certo, era un ragazzo carino: alto, muscoloso, abbronzato, ma non era per me! A quanto pare ambivo ad altro «Carina, ora basta! Ti riaccompagno a casa!» la rimproverò Facha, strattonandola per un braccio «Non mi trattare come una bambina! Io sono una donna! Una donna indipendente ed ambiziosa! Se volessi ti potrei lasciare come un cane a marcire in strada, chiaro?!» li vedevo allontanarsi sempre più. Ero rimasta completamente scioccata dal comportamento di quella ragazza: oltre che a bisbeticare e sputare cicche non era in grado di fare nulla! Nel giro di pochi minuti era riuscita a battere il record di Dulcina: insultare con accurati dettagli ben cinque persone! Pazzesco! «Ma è sempre così?» domandai ai ragazzi rimasti con me «E’ un pochino acida, ma è una brava persona» strabuzzai gli occhi, sconvolta «Una brava persona? Ma se vi ha appena trattati come dei cani? Senza offesa per tutti i cagnolini che sicuramente sono più dignitosi! Possibile che non le diciate niente?» mi faceva rabbia quando un prepotente se la prendeva sempre con i deboli del gruppo e sapevo che quella Carina non era poi tanto “carina”: il mio sesto Fliquity non sbagliava mai, di solito ero io a sbagliare «Su, Flor! Non esagerare! Ha ragione Nata, è solo un po’ acida, tutto qui!»                               
«Bata, ma ti senti quando parli? Vedo che le fette di prosciutto che avete sugli occhi sono belle grosse!» la risata si impadronì pazzamente di quei miei nuovi tre amici: li vedi quasi torcersi dalle risate e questa cosa mi rendeva un poco felice «Che c’è? Perché ridete? Ho detto qualcosa di sbagliato?»                                                       
«No, Flor! Sei solo un po’ troppo “normale”!» disse Nata, completamente fuori di sé dal ridere.                   
Quando anche il sorriso di Bata si spense, mi raccontarono della strana situazione di Carina. Era una ragazza giovane, che viveva sola in una pensione; i suoi genitori erano sempre in viaggio per lavoro e la viziavano in continuazione con gioielli, mance esagerate e abiti eleganti, che lei puntualmente stracciava o bruciava per vendicare quella mancanza d’affetto, che tanto desiderava. Carina mascherava così i suoi sentimenti: dietro un’abilissima faccia di piercing, borchie e catene, ma in realtà era solo una ragazza normale, bisognosa di amore, ma non un amore qualsiasi, bensì quello dei genitori! Ascoltai pietrificata le parole di Clara Domínguez, la cugina, che uscivano imperterrite e ricche di sofferenza e di speranza, quella piccola speranza che un giorno la cugina sarebbe potuta cambiare.              

Sospirai ancora una volta davanti a quella finestra. Il sole mi illuminava con i suoi splendidi raggi primaverili. Pensavo che ora era diverso, non tutto, ma qual cosina si! Carina e i ragazzi avevano formano anni addietro una piccola band musicale: a quanto pareva la passione che li univa era la musica, ma secondo me era diventato più uno svago per la capogruppo, nonché cantante, che ormai si era guadagnata la mia compassione. Con la scusa del gruppo e della mia amicizia con Bata, mi ero inserita facilmente tra quelle persone: Nata era la più “dolce” del gruppo, amava studiare, leggere, scrivere e tutto ciò che riguardasse la scuola, ma era diversa dalle solite saputelle dei collegi, come quelle che avevo avuto modo di conoscere! Se non capivi una cosa, lei era pronta a parlarne, scoprendo tutti i tuoi dubbi e cercando di saziarli. Era forse la più normale del gruppo.
C’era poi Clara, con lei un giorno eri sul melo, e quell’altro sul pero , sembrava seguisse gli influssi della luna. Sicuramente mia madre avrebbe detto “Donna e luna, oggi serena, domani bruna”, una cosa pazzesca!
 Facha invece era troppo carino: sempre premuroso e al contrario di Clara, seguiva solo e soltanto la luna buona, quella della musica e della generosità. Uno zuccherino!
Se poi parlavo di Carina, bhè, dovevate preparare un ombrello, perché l’acquazzone di parole sarebbe stato ultrapotente!
 Quando anch’io ero entrata a far parte della band (non come cantante ovvio, la mia voce era uno schifo! Sembrava che le mie corde fossero state levigate dal canto delle mandragore, anziché degli angioletti celesti) come stilista (perché io adoravo cucire, gli abitini me li facevo tutti io, uno per uno, con queste belle manine) avevo tentato di avvicinarmi a lei, cercando anche di capire la sua situazione, di andarle incontro, ma niente! Ciò che ricevevo era sempre e solo un’orribile porta in faccia!
Non voleva essere aiutata e in più mi odiava, credevo che se mi fossi avvicinata ancora di più del dovuto, mi avrebbe ammazzata con un rapido gesto: veloce ed indolore!                                         

L’aria che respiravo era veramente fresca, amavo affacciarmi alla finestra e riflettere, prima di andare al lavoro dal signor Molina. Grazie a Bata e ai miei nuovi amici avevo trovato un piccolo impiego come verduraia, in un piccolo negozio in centro. Verduraia, verduraia, proprio no, ma come fattorina di verdura e frutta si! Non prendevo molto, ma mi bastava per pagare l’affitto alla pensione “Cielo Abierto”, la pensione della mia cara Titina. Avete letto proprio bene, dietro al proprio negozio, Teresa, custodiva una bellissima pensione, colorata e accogliente come quel posto dove tanto mi ero trovata bene la prima volta. Vi chiederete il perché non mi abbia ospitato prima, ma purtroppo, la sfortuna voleva, che i posti fossero finiti e che io non avessi mai più messo piede nel glaciale castello dell’Abominevole Donna delle Nevi, perciò il capannone in quel periodo fu la mia unica salvezza, fino a quando …

Guardavo emozionata uno dei tanti ricordi della mamma: i suoi amuleti, le sue fiabe scritte tra le pagine di alcune lettere, i suoi piccoli oggetti o semplicemente una sua foto. La vedevo sorridere in quel ritratto in bianco e nero, ma la luce dei suoi occhi sembrava trasmettermi i colori che le avevano riempito d’amore l’intera vita. Mi sorrideva lei, con quel suo viso leggermente tempestato dal dolore per la malattia, ma sorrideva, sorrideva riempiendomi di felicità e speranza, speranza che un giorno o l’altro, forse l’avrei rincontrata. In un sogno magari ...                               
Ero talmente concentrata in quella foto, che nemmeno mi accorsi che nel capannone era entrato qualcuno, quel qualcuno era Titina, che probabilmente era venuta a portarmi il pranzo del giorno. La donna con cautela si avvicinò ad una me, completamente assorta nei propri pensieri: fu un istante, sentii un sospiro e il rumore assordante di un piatto rotto. Mi girai di colpo e vidi Titina, quella donna che fino a quel momento si era dimostrata sempre forte e piena di energia, tremare come una foglia, ansimare e singhiozzare ad ogni passo «Ma quella è …» la sentii pronunciare straziata dal dolore «E’ mia madre, Titina. Mia madre, Margarita»                                                    
L’aiutai ad accomodarsi lentamente sul divano rosso del capannone. La luce del sole non filtrava e il buio donava all’atmosfera ancora più tensione «Perché non me lo hai detto, figliola? - disse Titina con ancora la voce tremante  - Tu lo sapevi? Sapevi che ero un’amica di tua madre, perché me lo hai tenuto nascosto?» le presi dolcemente la mano ed iniziai ad accarezzargliela lentamente «Mi dispiace, Titi, ma non volevo, come dire? Non volevo la tua compassione, potrai mai perdonarmi?» le chiesi supplicante, mentre cercavo di incrociare i suoi occhi blu «Io ti ho già perdonata, Flor, ma la compassione di cosa? E’come se fossi una nipotina per me!» gli occhi iniziarono a brillarmi per l’emozione «Avevo bisogno di aiuto e non volevo approfittare della situazione»     «Piccola mia, tu non sei così! Devi sapere che a volte capita di essere in difficoltà, e di essere obbligati a chiedere aiuto, ma questo non vuol dire certo approfittarsi di una situazione»                                 
«Ma io …»                                                                                                                                                       
«Flor, sei proprio come tua madre! Come ho fatto a non capirlo prima? “Gli altri prima di tutto”! Cerca di pensare un po’ anche a te stessa, non fa male, lo sai cosa diceva un filosofo? - scossi leggermente la testa, mentre alcune lacrime cominciavano a scorrermi lungo il viso - La vera felicità è solo e soltanto in noi - la vidi sorridermi e in quel sorriso, ritrovai un po’ di quella mamma che avevo perso tanti anni fa - Senti, si sarebbe liberato un posticino alla pensione, verresti?» la guardai fissa negli occhi, non credevo alle mie orecchie, uno dei miei sogni si stava per realizzare. In quelle notti fredde al capannone avevo sempre sperato che un giorno sarei andata a vivere lì, con Bata e i ragazzi: “un sueño que se hecho realidad”.
 «Ma Titina …» gli occhi blu di Teresa mi fulminarono «Non tirare fuori l’ennesima storia della compassione e dell’approfittarsi, mia bella signorina! Che cosa credi che fossi venuta a fare qui? A portarti il pranzo sì, ma anche a darti la bella notizia che uno dei miei affittuari era partito per un lungo viaggio, lasciando libera giusto, giusto una stanzettina per te!» l’abbracciai, stringendola talmente forte per poter respirare quell’invitante profumino di cibo che sempre le ruotava attorno, per avvicinarla di più a me, per farla ancor più essere la mia Zia …

Sospirai delicatamente: quell’anno la mia favola aveva avuto un lieto fine: i ragazzi, la band, Titina, la pensione, insomma una vera e propria favola, ma senza Principe Azzurro, quel Principe che poco prima avevo sognato e che ora speravo di incontrare di nuovo, ma chissà dove e quando … Sorrisi dolcemente a quel sole che aveva fatto da cornice ai miei ricordi «Chissà dove e quando …» sussurrai al vento primaverile, portando un piccolo angelico pensiero a lui, il Principe Azzurro e a lei, la mia mamma …                 

Angolo Autrice: Un grazie speciale a chi ha commentato! Grazie per esserci! In questo capitolo c'è stata un po' di confusione tra presente e passato, spero capiate ... Buona Lettura!!

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Capitolo 6
*** Tra Frutta e Verdura verso il Passo della Fortuna ***


___Tra Frutta e Verdura verso il Passo della Fortuna___
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«Florencia! Florencia! -
la voce del Signor Molina mi distrasse completamente da quella specie di finocchio, che stavo cercando, con “pazienza”, di conficcare in una borsetta di plastica per la consegna a una di quelle solite famiglie riccone, che popolavano da anni la piccola periferia di Buenos Aires - Florencia! Mi vuoi rispondere?» stavo letteralmente sclerando: già quel giorno non era stato uno dei migliori, avevo nuovamente litigato con Carina, per il suo comportamento con i ragazzi, poi quella specie di finocchio spelacchiato, che per dare retta ai suoi quattro peli, mi faceva tribolare e infine quel vecchio del Signor Molina, che oltre a strillare dalla mattina alla sera non faceva nient’altro!
Fliquity!
«Che c’è? Che c’è? E’ esattamente mezz’ora che mi sta chiamando? Si può sapere cosa vuole? Non vede che sto litigando con uno stupido finocchio ?» dissi guardando quella specie di verdura marcia,che sembrava sorridere alla mia sfortuna «Florencia! Lascia perdere quel dannato finocchio, ho un lavoro importante per te!» ora ero io a sorridere soddisfatta al cavolino infinocchiato «Ma come? E i ricconi?» avevo da anni il sogno di entrare in una di quelle ville principesche, dove i più avari damerini argentini vivevano, preoccupandosi solo della loro pancia e del loro portafogli, ma purtroppo non ne avevo ancora avuto l’occasione. Speravo in quella «Sei pagata per fare quello che ti dico, quindi taci e acconsenti!» credevo di non essere l’unica ad essermi svegliata male quel giorno: in fin dei conti, compativo quell’uomo, era solo: la moglie lo aveva abbandonato anni fa e la figlia , dopo il matrimonio con un imprenditore, se n’era andata a vivere in Europa. Il Signor Molina meritava un po’ di comprensione ed io non dovevo comportarmi come una sciocca vipera acida, quindi, dopo aver gettato il maledetto finocchio nella cassa dell’immondizia, annuii senza esitare.                                           
«Vai al capannone, giraci attorno e imbocca quella specie di stradina segreta che si vede nell’angolo, percorrila dritta, dritta e seguila fino a raggiungere un piccolo parco chiamato "Candado" ... fin qui ci sono, ed ora? La fa facile il Singor Molina, ma per una povera fliquitata come me, che non è del posto, è impossibile orientarsi! Santo Fliquity aiutami tu! Questa città è un labirinto!» unii le dita in segno di preghiera, sperando che almeno uno di quegli esseri misteriosi venisse in mio aiuto, ma nulla. Giovani coppiette passeggiavano mano nella mano per le vie del boschetto che vi era al centro, sussurandosi parole dolci, come solo gli innamorati potevano fare; ma i miei occhi si posarono su due dolcissimi anziani che, abbracciati su una panchina, assaporavano un caffè, mormorandosi quanto si amavano. Sorrisi immaginandomi i miei genitori sulla stessa panchina, abbracciati, durante l'attesa della mia nascita: chissà quanto papà amava la mamma? Chissà come lei lo vedeva? Come si sentiva e cosa provava a stargli accanto? Scrollai quelle strane domande, per intraprendere il mio lavoretto: portare un pranzo pronto all’Università di moda!
«Coraggio, Flor! Devi solo trovare il ciliegio!» Incuriosita esplorai l'ambiente, in cerca di ciò che doveva essere anche abbastanza "grosso" e lo trovai! Avanzai per la collinetta che costeggiava quel "dolce" boschetto «Fliquity! Che fatica! Per tutte le lumache scalatrici! Qui non esistono strade piane?»
L'albero si manifestava in tutta la sua maestosità ed il profumo si percepiva perfino in lontananza. Innamorata di quel golosissimo aroma, mi avvicinai sempre di più «Lo sai cosa dice la leggenda del ciliegio?» cercai di identificare la giovane che stava parlando dietro all'albero, poiché incuriosita dal fatto che il posto dove ora vivevo, fosse ricco di “strane” leggende «Qual cosina so. Ma vorrei che me lo dicessi tu, piccola» un ragazzo dai lunghi capelli neri, abbastanza mossi si avvicinò alla ragazza che dava di spalle all’alberello «La saggezza è come il ciliegio in fiore: rallegra l'animo dei giusti» osservai la scena con estrema dolcezza: probabilmente mi trovavo nel parco dei cosiddetti “innamorati primaverili” ed io ero sola, fin troppo sola «Tu ci credi?» la voce della ragazza sembrò essere sempre più timida «Non proprio» ne seguì un silenzio e, detto sinceramente anche io ci rimasi un po' male: non era per niente carino comportarsi così sfacciatamente con quella che doveva essere la tua ragazza «Per quanto un fiore di ciliegio possa essere bello, non vale quanto una giornata passata con la tua allegria, piccola» vidi la giovane circondare le proprie braccia intorno al collo del ragazzo «Ti voglio bene»
«Anche io, Maya» ero rimasta di stucco di fronte a così tanta dolcezza: nemmeno nei film romantici avevo visto così tanto amore. Ero completamente sciolta, peggio di un ghiacciolo al sole: magari qualcuno mi avesse detto quelle meravigliose parole!
Già mi immaginavo quel giorno, in cui il mio Principe Azzurro, mi dichiarava il suo amore con un bellissimo mazzo di fiori e con quel suo sguardo misterioso, completamente innamorato come una bella tortora, una tortora dalle piume blu, se no, che Principe Azzurro era?                                                                    
Ero talmente concentrata nel visualizzare quella paradisiaca visione, che nemmeno mi accorsi di quanto i due ragazzi mi stessero guardando male: Maya, credevo si chiamasse così, mi stava guardando con una certa espressione di ribrezzo, mentre il lui in considerazione, beh, lasciamo stare! L’unico pensiero che mi gironzolava per la testa era il semplice fatto di essere stata scoperta, la mia solita fortuna sfacciata!  Intimidita dallo sguardo scettico della coppia, indietreggiai, accennando soltanto un imbarazzato sorriso «Ci stavi spiando?» la voce della ragazzina era terribilmente scossa dalla rabbia «Io ... ecco ... non è come sembra, cioè stavo aspettando ... ehm come dire ... la mia Tortora, cioè il Principe, ecco il mio ...»                  
«Lascia perdere! Taglia corto e vattene zoticona!» fino a quel momento, a trattarmi male, ci aveva pensato solo e soltanto una persona in particolare: Carina, e quella ragazza le si avvicinava molto, che Fliquity! «Io non sono una zoticona, stavo solo passando di qui per caso e …»                                                                                           
«E ascoltando le conversazioni altrui! Ma dacci un taglio e smettila di arrampicarti sui vetri, spiona!» cercai di controllare i fliquity che salivano alle stelle, ma era un momento di tensione, ed il mio obbiettivo si faceva molto difficile. Feci per andarmene per poi girarmi di colpo «Ah, dimenticavo: gli unici maleducati che qui vedo siete voi! Non si tratta così una persona, potreste trovare il Tiracravatte di turno e allora si che sarebbero guai!»sbuffai lasciandomi dietro quell’isterica coppietta «Comunque è Rompiscatole!» la voce scettica di quella “Maya” fece da “saluto” «Fliquity! Per tutte le caprette infuriate, oggigiorno non esistono più giovani gentili ed educati, ma solo coppiette di tortore isteriche, che rinfacciano l’amore alle povere single come me! Ah che nervi elettrici! Ecco, ho camminato per 500 metri e adesso? Destra o sinistra? Quei due mi hanno fatto perdere la testa! Flor, rifletti: destra, la mano della ragione o sinistra, la mano del cuore?» indecisa guardai sia a destra che a sinistra: non me ne ero accorta, ma era già da un pezzo che avevo lasciato quel parco di tortore.  Ora mi trovavo su un enorme marciapiede, costeggiante un'immensa carreggiata, dove le automobili correvano all'impazzata.                                                                               
Era così diversa quella nuova parte di Buenos Aires: se il Passaggio dei Baci era un luogo tranquillo, ricco di persone che si conoscevano tra di loro, pronte sempre ad aiutare il prossimo, questa nuova strada era completamente l’opposto. La gente si muoveva immersa nei propri pensieri più remoti ed io li guardavo, come una polla in un covo di volpi. Mi sentivo sola, completamente estranea alla situazione, spaesata era il termine giusto: non sapevo, dove mi trovassi e come sempre la mia “super” memoria mi aveva abbandonato! 
Sicuramente il Signor Molina mi aveva spiegato la direzione successiva, ma la mia testolina chissà dov’era? Probabilmente in un abisso di nuvole! «Dove dovrò andare? Destra o sinistra?» quella insolita situazione mi ricordava stranamente il sogno che avevo fatto la notte: semplicemente il ricordo della scelta dei sentieri fioriti, il ricordo del mistero della speranza-verità, della fiducia-lealtà, dell’illusione-realtà e del giallo-bianco? Un incredibile coincidenza? «Scusi, sa dov'è l'Università di Moda?» una ragazza dalla lunga coda di cavallo, i cui occhi erano nascosti da enormi occhiali da sole, mi scrutò da cima a fondo, facendomi rabbrividire dal mio primo capello riccio al mio ultimo pelo del piede striminzito «Secondo te, io ho del tempo da perdere? Forza, scansati, mocciosa!» con un gesto di ribrezzo si allontanò da me. Guardai sconcertata quel suo modo strano di darsi delle arie, alzai gli occhi al cielo «Fliquity! Che donna! Non si è mai guardata allo specchio. Agita le natiche come una foca in un circo! Uffa, che gente!!! Povere foche, sempre paragonate a certe persone!» mi voltai:  un uomo anziano in una salopette da lavoro, aspettava di attraversare la strada, ma le macchine irrefrenabili, non davano cenno di volersi fermare. Volenterosa, mi avvicinai: come si poteva non far passare un povero vecchietto?
«Le serve un aiutino?» il vecchietto mi sorrise: tante piccole rughe gli tempestavo il viso, esaltando ancora di più quei  suoi occhi di un azzurro pallido. Sembrava aver sofferto tanto nella vita, eppure quel suo sorriso ricco di non so che, diceva tutt’altro.                                                      
Finalmente, dopo il mio gesto di pazzia quotidiano (gettarmi in mezzo la strada, bloccando il traffico, sotto gli sguardi minacciosi degli automobilisti e  ricevere svariati clacson) aiutai l'anzianetto ad attraversare la strada «Grazie, fanciulla! Non so quando avrei attraversato senza il tuo aiuto» mi guardava in uno strano modo, come se mi conoscesse, ma non ci feci più di tanto caso: magari conosceva la mia sosia!                                               
«E' sempre un piacere aiutare! Mi scusi, sono un po’ imbranatella, sa, dove si trova l'Università di Moda?» il vecchietto mi sorrise, squadrando il mio "fantastico" abbigliamento «Una giovane stilista?» scossi leggermente il capo guardando la borsetta in plastica che tenevo tra le mani «No, una consegna»                                     
«L'Università ... dunque devi andare sempre dritta per il viale, fino ad arrivare al primo incrocio, poi giri a sinistra e la vedrai, anche perché occupa tutto lo spazio! Non ti puoi sbagliare!» felice della risposta e della tenerezza dell'uomo lo abbracciai calorosamente «Grazie! Mi ha tolto da un bel guaio!»                
«Dovrei io ringraziare te! Arrivederci!» lo salutai con la mano, mentre si allontanava per la via opposta «Coraggio, Flor! Riprendi il viaggio» sussurrai, convinta che in poco tempo avrei raggiunto quella fatidica Università e poi me ne sarei tornata a casina: avevo una voglia matta di distendermi sul mio lettuccio ed iniziare a scrivere qualcosa. Ultimamente le frasi in rima tartassavano la mia testolina e sentivo uno strano bisogno di scriverle, metterle su carta e dare loro vita con la musica: un sogno!                                                                           
Ancora con le note in testa, mi volta soprapensiero. Fu un istante, un istante doloroso, un tonfo «Accidenti, mocciosa! Guarda, dove metti i piedi!» Sbattei contro qualcosa o qualcuno, ritrovandomi per terra a massaggiare delicatamente quel mio povero didietro che si era preso tutto il dolore dell’accaduto. Sentendo la voce maschile, alzai incuriosita lo sguardo. Davanti a me c’era il sogno, il sogno della mia vita …  

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Capitolo 7
*** Fliquity Malconessi ***


                         ___I Fliquity Malconnessi___

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Credevo che i sogni fossero solo illusioni, fantasticherie o semplicemente il timido vagheggiare di cose desiderate o irrealizzabili, come spesso avevo letto sul dizionario. Forse però mi sbagliavo oppure il caldo primaverile aveva cominciato ad annebbiarmi i fliquity, se si considerava il fatto che davanti a me c’era una visione ultraterrena, una proiezione terribilmente paradisiaca: il mio sogno!
Alto, biondo, in giacca e cravatta, perfetto in tutto il suo essere come nel sogno. 
Era lui, il protagonista della mia fantasia prima e dell’allucinazione ora. Era lui, che potevo guardare in tutta la sua figura, non più nascosto da un mazzo di calle e garofani. Era lui che ora mi guardava, mi osservare in un modo strano, ma non avevo il tempo di decifrarne lo sguardo: ero troppo concentrata in quei sue due occhi color miele, che tanto avevo sperato di incontrare, talmente concentrata che nemmeno mi ero alzata da terra e l’unico a risentirne era il mio povero didietro «Scusa, ti vuoi scansare? - la sua voce, quella voce così grave, che sembrava essere uscita da una canzone d’amore - Mi stai ascoltando? Scansati!» mi prese per mano e mi fece alzare di colpo, come se mi volesse salvare da quel sogno, quel sogno in cui cadevo nell’oscurità, quel sogno dove lo sconosciuto misterioso, agitava inspiegabilmente le braccia per aiutarmi! Era forse la continuazione di quella magnifica illusione? Domande, dubbi, perplessità e fantasticherie si alternavano nella mia mente, mentre ancora lo guardavo ipnotizzata, persa nel suo sguardo enigmatico «Sei sicura di star bene? - continuava lui con quella melodia soprannaturale, ma era inutile, io non sentivo nulla che non fossero i battiti del mio cuore: non sapevo cosa mi stesse succedendo - Mi dispiace, ma non ti posso accompagnare all’ospedale! Ho ben altro da fare!» un manichino, ero peggio di un manichino morto e stecchino al forno! Non riuscii nemmeno a muovere un dito, ad aprire bocca; non era da me non agitarmi, non emozionarmi, non saltare o semplicemente non parlare. Quella visione mi aveva completamente paralizzata, bloccata, pietrificata: era come un incantesimo delle fiabe, una magia: ero stregata, stregata da quella visione paradisiaca che ora mi stava abbandonando in mezzo ad un marciapiede colmo di gente. Scrollai le spalle, strabuzzai gli occhi, cercai di riprendere i fliquity della realtà, ma era troppo tardi il mio Principe se n’era andato!                                                                               
Mi girai di colpo, in cerca di quei suoi capelli biondi, di quella sua giacca blu scuro, ma niente, quello che vedevo in lontananza era soltanto un puntino cobalto, che se ne stava andando in fretta e furia, abbandonandomi nuovamente al dubbio: Che fossi diventata pazza? Che avessi strane visioni? Forse avevo solo bisogno di riposare un pochino o forse il caldo mi faceva  veramente brutti scherzi! Mi pizzicai il braccio, per capire se ciò che avevo visto fosse stato soltanto un sogno o un’incredibile realtà: non c’era nessuno,mi sembrava di essere sola, in una strada sconosciuta e lui non c’era, il Principe dei miei sogni non c’era!   

L’Università di moda era davanti a me: un edificio maestoso, solare e tipicamente argentino. Un enorme parco lo circondava, un’immensa radura verde, dove studenti di ogni età e carattere passeggiavano sereni, studiacchiando qua e la, o semplicemente chiacchierando un pochino con una mela tra le mani.                                  
Per tutto il viaggio non avevo fatto altro che pensare a ciò che era accaduto poco tempo prima. Il dubbio di essere completamente impazzita mi torturava la testa: Possibile che gli angioletti avessero previsto un manicomio nel mio futuro? Certamente non sarei mai voluta finire in uno di quei luoghi di torture mentali, dove ti tagliano i capelli per fare parrucche pulciose! Eppure ero convinta che quella non fosse stata una semplice visione da ospedale psichiatrico! Io ero sicura di aver visto quell’uomo, quello stesso uomo che mi era apparso nel sogno e questo sicuramente era un segnale, un segnale che le creaturine mi avevano mandato per mettermi in guardia! Ora l’importante era capirne il motivo, capire se quel bellissimo e principesco uomo fosse buono o cattivo! Questi pensieri mi avevano talmente torturata per tutto il tragitto, che avevo rischiato più volte di sbattere contro un albero o qualche altro oggetto non identificabile: orribile!                                              

«Flor! Che ci fai qui?» la voce di una delle mie più care amiche mi riportò alla realtà «Nata! Che ci fai tu qui?» i suoi occhi a mandorla mi guardarono sorpresi «Io qui ci lavoro! Non ti ricordi? le sorrisi imbarazzata. Mi ero scordata che Nata aveva trovato un piccolo lavoretto come aiutate designer nell’Università. Chissà quante volte me ne aveva parlato ed io puntualmente me n’ero scordata - Flor, tutto bene? Ti vedo un po’ pallida» chiusi gli occhi e tirai un sospiro per riprendere la calma «Si, scusami! Il lavoro, il caldo e poi ancora il lavoro! Questa cosa è così stressante, ma così stressante che mi fa stare male, malissimo!» dovevo nasconderle la mia pazzia, altrimenti chissà cosa avrebbe pensato di me: una folle da rinchiudere in un manicomio! Terribile «Ah, si, il caldo, gioca brutti scherzi! Parliamo d’altro, cosa ci fai qui, Flor?» con tutto quel trambusto avevo messo in secondo piano la consegna. Svogliata alzai il braccio destro dove tenevo la borsa di plastica «Una consegna …»            
«Ah, sempre il lavoro! E dove hai le cose?»
Nata sembrava tanto volenterosa quanto orba: possibile che non vedesse la borsettina bianca «Qui!» le indicai la mano, sbalordita: la mia consegna non c’era più! Tra le mani non avevo nulla, niente di niente! Come avevo fatto a perdere una borsa grande quanto una casa! 

«Flor, tranquillizzati! Vedrai che tutto si risolverà!» mi muovevo agitata per il parco, cercando di ricapitolare i posti dov’ero stata e il probabile luogo dove l’avevo abbandonata «Se vai avanti così ti viene una sincope!»          
«Se non trovo quella dannata borsa, sarà il Signor Molina a farmi venire una sincope! Come posso essere così stupida?»                                                                         
«Non sei stupida! Sei solo un po’distratta!»                                                      

«Questa mia distrazione mi porterà al licenziamento! Santo Fliquity, aiutami tu!» una luce mi illuminò il viso, oscurando tutto intorno a me «La calma è potere, Flor! Tranquillizzati, noi siamo con te …» una voce dolce, soave, quasi trasportata dal vento mi riempii del suo affetto, della sua protezione. Mi sentivo leggera, lieve, semplicemente diversa: più pacata e calma, così strana, perché? Mille domande mi attraversavano la mente, ma quella strana sensazione di protezione era in grado di placarle, saziarle e donarmi una piccola speranza in più. Era proprio vero la calma era potere!                                                                              
Irradiata da un nuovo senso di freschezza, aprii dolcemente gli occhi: Nata era davanti a me e mi guardava in modo strano «Tutto bene, Flor?» la guardai scioccata, poi le indicai il luogo dove quella piccola pallina lucente era apparsa «L’hai vista anche tu?» la mia amica mi guardava dubbiosa, come se non capisse di cose stessi parlando «La luce? Quella pallina luminosa? Quella che svolazzava, che mi ha parlato!» Nata scuoteva il capo sempre più confusa, ma in realtà, la persona che doveva essere più confusa ero io! «Flor, io credo che tu debba andare a casa e riposarti un pochino! Il caldo ti fa davvero brutti scherzi!»
«Mi stai dando della pazza?» misi le mani sui fianchi, dandomi le arie di una pazza scatenata furiosa, come solo io sapevo fare in certe occasioni «Nata!!!» una nuova voce si intromise nella nostra conversazione. Una voce che mi sembrò di conoscere: femminile, giovanile e nel suo piccolo frizzante. Vidi una ragazzina appiccicata al collo della mia amica dagli occhi a mandorla. Cercai di identificarla, ma era inutile, anche se l’abbigliamento mi sembrava famigliare: una gonnellina cobalto e una magliettina a righe blu e azzurre, intonate alla fascia che le raccoglieva i capelli in una coda un po’ spettinata. Una serie di immagini sfuocate mi tornarono alla mente, ma non riuscivo a collegarle tra di loro: la visione paradisiaca del Principe prima e quella soprannaturale della luce dopo, mi avevano completamente scossa, mettendo in subbuglio i miei poveri fliquity a malapena connessi tra di loro. La ragazzina si voltò pian paino verso di me: gli occhi leggermente a mandorla, l’espressione stizzita sul viso, quello sguardo odioso e colmo di rabbia «Tu?» esclamammo all’unisono, mentre una sensazione di collera prese piede per tutto il mio corpo!

Angolo Autrice: Un grazie speciale a Freezer19_96 per aver commentato lo scorso capitolo!!! Grazie!!!!!!! Un bacio!!!!! Buona Lettura


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Capitolo 8
*** Conosciamoci un po' ... ***


                         ___Conosciamoci un po'___

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Quella giornata si stava facendo tremendamente nervosa: credevo di scoppiare da un momento all’altro e allora sì che Nata e i ragazzi avrebbero dovuto rinchiudermi in una camicia di forza e portarmi al manicomio! Stropicciai gli occhi, ma quell’insensata apparizione sembrava non voler sparire, forse era davvero realtà? Forse qualche esserino dispettoso si era messo d’accordo per farmi venire una sincope! Squadrai la ragazzina che mi guardava con un odio accigliato, quasi scontroso: era lei, la tortorina del parco, la passerotta innamorata, era Maya! «Voi due vi conoscete?» Nata ci osservava confusa, i suoi timidi occhi a mandorla si fermavano interrogativi su di me, osservandoci inquieti e desiderosi di chiarimenti. Abbassai lo sguardo, cercando di calmare i fliquity alle stelle, respirai profondamente, sentivo la rabbia impadronirsi di me, ma dovevo stare tranquilla o altrimenti sì che avrei fatto una brutta fine «La troppa curiosità spinge l'uccello nella rete, giusto Spiona?» sentii a malapena fuoriuscire dalle labbra della giovane una lieve domanda, probabilmente rivolta a me «Spiona? Flor, cosa sta dicendo?»   
«Appunto! Prima di tutto Flor è il mio nome, mocciosetta e secondo
sai anche tu che è stata una situazione un po' complicata … e poi, mia bella tortorina innamorata, non ingrandire il tutto, è stata una pura e semplice coincidenza che io mi trovassi in un LUOGO PUBBLICO ad assistere alle TUE smancerie con l'altro passerotto!!!! CHIARO???!!» non era da me sfogarmi tutta d’un colpo, ma a volte si sa che fa male tenersi tutto dentro, anche se a quanto pareva, quella che stava più male era Nata, la povera e dolce Nata, che dall’espressione sconvolta, sembrava dovesse strapparsi i capelli da un momento all’altro «Quale passerotto, Maya?» la ragazzina abbassò intimidita la vista «Cuginetta, non è quello che sembra, certe spione hanno la lingua lunga, però ti posso spiegare!» i fliquity correvano e correvano per la mia testa, cercando una specie di comunicazione tra di loro. La parola “cugina” si era stampata nella mia mente e continuava a girare e rigirare in preda a strani fliquity di confusione: come era possibile che uno zuccherino come Nata fosse imparentato con un frutto acerbo come Maya? C’era solo una risposta: le strane coincidenze della vita «Come si chiama?»la voce di Nata, spazzò via ogni mio pensiero «Gonzalo» disse la ragazzina con una certa eccitazione «E lo sa tuo fratello?»               
«Quale dei mille? Franco, Nico, Tincho o Tomás?» pensare che credevo che le famiglie numerose esistessero solo nel cartone animato della carica dei 101, invece mi sbagliavo anche qui: io e il mio sesto fliquity! «Maya, il maggiore?» l’idea che avesse ancora un fratello mi rabbrividì: non avevo mai pensato ad una famiglia come un vagone domestico «Ah, Fede! No, no, figurati ! Se glielo avessi detto a quest’ora non sarei qui con voi!»      
«Flor, tutto bene? Sembri pallida» e mai avevo pensato all’idea di conoscere un giorno la sorella di un killer spietato «Ma fa sempre così? Una spiona musona! Com’è strana la vita, eh?» alzai pian piano lo sguardo per poter incontrare il suo poi tirai un enorme sospiro, come per prendere la carica «Insomma, smettila di chiamarmi Spiona! E' stato un caso, un accidente, un imprevisto, ok?! Scusami, scusami!!! Fliquity, che noiosa! Perdonami, ma ti prego, basta chiamarmi Spiona! Te l’ho già detto, il mio nome è FLOR, FLORENCIA, FLOR, insomma chiamami come vuoi tu, ma basta spiona!» scostai violentemente la frangetta che nel mio lungo monologo, mi era finita casualmente sul viso, ed incrociai lo sguardo delle ragazze: sembravano esterrefatte. Quella era già la seconda volta in un giorno che scoppiavo e probabilmente non sarebbe stata neanche l’ultima, ma questa cosa mi preoccupava un poco: cosa sarei stata in grado di fare? 

«Comunque tutto bene, Nata» sussurrai imbarazzata dalla reazione passata «Sciallati, quanta tensione accumulata, FLORENCIA» Maya si avvicinò alla mia schiena ed iniziò a massaggiarmi delicatamente le spalle «E’ una tecnica tailandese, aiuta chi è irrequieto - sentivo i fliquity sciogliersi e pian piano gettarsi spaesati nelle acque rilassanti della mente, fino giù, giù e ancora giù nel profondo dell’anima - Tranquilla, ti avevo già perdonata da un pezzo, ma mi piaceva stuzzicarti un pochino» Maya mi fece un divertito occhiolino, non più scontroso e ricco di odio, no, questa volta dolce e perché no? Affettuoso? Quella ragazzina mi stava cominciando a piacere: sembrava  strano, ma sotto quella maschera di acciaio si nascondeva uno spirito dolce e ribelle. Ero sicura che se ci fossimo conosciute un po’ di più, saremmo diventate subito amiche.

Passarono alcuni mesi da quell’incontro-scontro e il mio sesto fliquity non sbagliò: come previsto io e Maya diventammo inseparabili! Mi veniva spesso a trovare alla pensione e stavamo ore ed ore a parlare, a consigliarci, ma soprattutto a conoscerci: l’aiutai molto ad aprirsi e ad affrontare la cruda realtà che ormai da sette anni la circondava. C’era una spiegazione se quella ragazzina dai capelli ribelli si comportava come se avesse messo un dito nella corrente elettrica! Tutti quei suoi comportamenti acidi derivavano dalla morte prematura dei genitori, quei genitori che avevano lasciato tutto a carico del fratello maggiore Federico: impresa, beni, casa e famiglia. Mi ero lamentata molto dell’orribile passato che il destino mi aveva assegnato, ma non avevo mai pensato nell’esistenza di persone messe molto peggio di me: Maya viveva in una famiglia numerosa, erano ben sei fratelli, sei teste diverse, sei caratteri distinti e sei cuori completamente opposti. 
Il primo, Federico, doveva essere una persona molto fredda dai “grandi” fliquity lavorativi, sempre pronto ad aggiungere uno zero in più ad un assegno invece che preoccuparsi della famiglia; era questa l’idea che mi ero fatta: un uomo alto, grasso e perché no? Con degli enormi occhiali che gli coprivano gli occhi neri, scuri come la pece e pieni di rancore per non aver potuto passare i suoi “ultimi” anni di libertà.
Un orco! 
Maya mi aveva raccontato spesso che quel “Babau” insopportabile la metteva spesso in punizione per scappatelle o discussioni varie, senza mai prendere in considerazione i suoi sentimenti e già per questo non lo sopportavo: un capofamiglia ignorante dei problemi dei fratelli, una visione terribile!
Martin e Tomás erano i piccoli della famiglia, le uniche persone che più avevano risentito della scomparsa dei genitori: se il “birbante” dei fratelli era riuscito a nascondere il dolore dietro un’infanzia ricca di sogni e fantasie, poiché all’epoca appena nato, il fratello, poco più grande di lui, si era rifugiato nella psicologia, chiudendosi in se stesso per sempre. 
Ci dovevano essere poi i gemelli della famiglia, Franco e Nicolas, che teneramente Maya aveva soprannominato “i Gemelli diversi”. Franco il tennista, me lo aveva descritto come un principe azzurro; alto biondo, muscoloso e dall’animo più buono del pane «Te ne innamorerai!» mi diceva sempre con una strana luce negli occhi «E’ l’unico che si preoccupa per noi! Naturalmente anche Nico» Nicolas, completamente diverso dal gemello, l’anatroccolo dei fratelli: alto, biondo come il fratello, ma … non andò mai oltre a questo, finché un giorno …

«Vieni a casa mia!» alzai lo sguardo dal sacchetto dei miei amuleti più cari «Dai, Flor! Non guardarmi con quella faccia da carogna. Vieni, cosa ti costa?» Maya si agitava sul letto della mia cameretta «Nulla, non mi costa nulla, però …»                                                                                                                                                                
«Però cosa? Hai paura della mia famiglia? Ah no, so di cosa hai paura, di Federico, giusto?» rigirai tra le mani l’amuleto a forma di coccinella che da anni conservavo, sognando un po’ di fortuna «E’ che lo hai descritto così … come dire? Così “strano”…» Maya si avvicinò e prese le mie mani «E’ umano, Flor e anche se ho detto più volte che è un orco, un mostro o un …»                                                                                                              
«Un Mangiabambini!» guardai paurosa quella ragazzina che mi osservava con fare sospetto «Si, un Mangiabambini, però …» mi strappò dalle dita il talismano «Però questo non ti serve!» disse lanciando quella pietra a coccinella nel sacchetto «E ora su, vieni! Tanto Federico non c’è, sarà al lavoro!»                              
«Se lo dici tu …»                                                                                                                                                                           
Ecco come mi ritrovai per la prima volta davanti a quella gigantesca villa che fingeva da dimora della famiglia Fritzen e qualcosa. 
Guardai esterrefatta quell’immenso edificio in mattoni, completamente circondato da un’altissima siepe, che nascondeva il tutto. Sapevo che Maya era ricca, ma non così! «Che c’è? Hai perso la lingua, Flor? Ah, la villa! Fa sempre questo effetto anche a Vale ogni volta che la vede! Bella, vero?» annuii senza emettere alcun suono «Coraggio, vieni!» aprii il cancello in ferro battuto che separava quel castello da fiaba dall’effettiva realtà, lo varcammo e una determinante ombra ci invase: era come se avessi varcato il mio sogno. Quelle stesse emozioni, quelle stesse sensazioni le stavo provando in quel preciso istante: calle, garofani e “non ti scordar di me” profumati rallegravano quel meraviglioso giardino. Conoscevo Maya e non sarebbe rimasta lì a guardarmi, aspettando una semplice reazione; infatti sentii una forte stretta per il braccio, per poi ritrovarmi davanti ad una grande porta in legno bianco «Cavolo! Le chiavi! Me le sono scordate!» Maya cercava e ricercava nelle sue tasche, ma nulla «Non le trovi? E il cancello? Come hai fatto ad aprirlo?» chiesi, ricordando di essere entrata liberamente nel “giardino dei sogni” «Qualcuno lo avrà lasciato aperto! Aspetta un attimo, torno subito» e Maya sparì. Mi aveva abbandonata davanti all’uscio di casa, così, come si abbandona una carta in strada, che tristezza! “Sarà andata a cercare le chiavi! E perché non ha bussato? Bah, quella ragazza è un mistero!” pensai, scrollando le spalle così come ogni mia riflessione, ero stufa di scervellarmi senza mai arrivare ad una logica conclusione «E tu chi saresti?» talmente stufa che nemmeno mi ero accorta che, nel frattempo, la porta si era spalancata, lasciando posto ad una donna. Una donna sulla mezza età, alta, magra e molto somigliante ad una barbie: capelli neri, accuratamente piastrati le scendevano sulle spalle, neri corvino, come l’abbigliamento. Un brivido mi percorse il corpo: Crudelia de Mon esisteva veramente?!
Spaventata indietreggiai «Mi spiace, ma noi non compriamo nulla! Tornatene da dove sei venuta, mocciosa!» eh sì, a quanto pare Crudelia de Mon aveva fatto ritorno nelle sale cinematografiche «In realtà sono un’amica, mi hanno invitata ed ecco io …» la vidi squadrarmi da cima a fondo, con una specie di orrore negli occhi «Che gente! Come può permettere Federico certe oscenità! Fai quello che vuoi, mocciosa: se vuoi entrare, entri, se non vuoi entrare, non entri! Non so cosa dirti! Ma ora lasciami passare che il mio Pepillo non aspetta! -  la osservai inorridita - Ah! Cosa può capire una mocciosa come te? Arrivederci!» vidi allontanarsi schifata quella “perfetta” donna «Spero non sia parente di Maya!» sorrisi e vedendo l’enorme porta bianca aperta, la varcai.
Un salotto gigantesco si era aperto dinnanzi a me: non solo era ricca quella famiglia, ma aveva pure  buon gusto! Quadri colorati decoravano l’intero salotto, ma di bello ce n’era solo uno, un enorme dipinto ritraente una meravigliosa donna bionda, dallo sguardo misterioso, ma allo stesso tempo affettuoso, protettivo era la parola giusta. Sembrava essere la guardiana della casa, come un altarino religioso, posta su una delle pareti principali e pronta a difendere, con il suo sguardo, la famiglia, abitante del castello, come in una fiaba!
Mi guardai attorno: in casa sembrava non esserci nessuno, cosa molto strana visto che Maya me l’aveva descritta come un incasinatissimo “andirivieni” di gente. Passeggiai per quel gigantesco salotto: era proprio vero
Nè cavalli nè giardini sono fatti per i poverini”!
Sicuramente se avessi abitato in quella casa, non so se mi sarei abituata facilmente a tutte quelle ricchezze: vasi, ornamenti vari, quadri d’epoca, divani lussuosi e per di più bianchi e chi più ne ha più ne metta! «Certe persone o nascono ricche o nascono povere - dissi ammirando malinconicamente tutto quel bendiddio - E questa? - la mia attenzione si focalizzò su una cornice argentata sul tavolino davanti al divano centrale - Saranno i genitori di Maya» sorrisi rivedendo la bellissima donna del dipinto abbracciata ad un uomo alto e bruno. Erano proprio loro, i genitori di quella pazza famiglia e si amavano, lo si leggeva prima negli occhi affettuosi della madre e poi in quelli misteriosi del padre, occhi che mi ricordavano qualcosa o meglio, qualcuno. Scrollai ogni pensiero e posai timidamente la fotografia sul tavolino. Ritornai a guardare la stanza: vi era una scala al centro, una scala normalissima certo, ma molto somigliante a quella del mio sogno, il sogno che tanto tempo prima avevo fatto, quel sogno che mai mi ero scordata, quel sogno che ancora celava l’identità del mio Principe Azzurro. Una voglia matta di percorrerla mi prese l’anima: “chissà se lo incontrerò come nel sogno?” continuavo a chiedermi mentre man mano salivo dolcemente ogni gradino. Era come se mi ritrovassi nel sogno: l’ambiente, il vestito da principessa, la scala e lui. Lui, quel Principe tanto sognato, che dal primo gradino mi guardava con quel suo nobile sguardo, nascosto dal meraviglioso mazzo di calle e garofani. Quello sconosciuto, che tempo prima mi sembrò di vedere per la strada, quell’uomo che ora avanzava verso di me, con modi di fare eleganti, raffinati, che solo un Principe delle fiabe poteva permettersi.                                                            
«Necessita di un cavaliere, Angioletto» un braccio forte e muscoloso mi cinse attorno a se. Aprii velocemente gli occhi, sbattendoli fino a farli lacrimare: Maya mi aveva parlato tanto del fratello, ma non pensavo fosse così …

ANGOLO AUTRICE: Scusate il ritardo nella pubblicazione, ma ho avuto un po' da fare. Ringrazio di cuore Freezer 19_96 per i suoi commenti!!!!!! Un bacio e Buona Lettura!

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Capitolo 9
*** Io Canto?! ***


                                          ___Io Canto?!___

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Guardavo allibita il giovane biondo che ormai mi teneva stretta a se. I capelli mossi e dorati scendevano scompigliati e ribelli, su quelle enormi spalle; spalle perfette, perfette come la stretta che mi legava talmente tanto a lui da non farmi respirare, ma quello non era il momento  ne di respirare, ne di emettere alcun suono. Scrutai confusa il viso: quello che avevo davanti a me, non era un semplice ragazzo biondo con gli occhi blu, lui era IL ragazzo biondo con gli occhi blu per eccellenza!

Quei suoi occhi turchesi, di un celeste caldo, vellutato, che sapevano essere più azzurri del cielo, più cristallini del mare, più profondi dell’oceano e più smaglianti di quel sorriso, che ormai faceva parte di quel magnifico corredo d’uomo «Ciao, io sono Franco!» mi guardò con quella sua strana, ma rassicurante allegria. Franco,quante volte avevo sentito Maya parlare di lui? Sicuramente un miliardo, eppure mai avrei pensato di trovarmi davanti l’immagine spiccicata di un principe delle fiabe, per di più reale, non come quello sconosciuto misterioso, apparso nella mia vita solo e soltanto per far disperare i miei fliquity! Franco non era così, ne ero sicura: lo diceva il mio sesto fliquity e di lui mi fidavo «Che c’è? Ti hanno morso la lingua? - non riuscivo ad articolare alcuna parola, al contrario riuscii ad allontanarmi, soltanto quando sentii che Franco, probabilmente preoccupato dalla mia reazione, allentò la presa, permettendomi di scendere i gradini e raggiungere il soggiorno - Ti ho fatto male?» scossi leggermente la testa, sorridendo di fronte a così tanta dolcezza «No, non ti preoccupare! Ah, io sono Florencia, Flor, Florencia, insomma chiamami come vuoi tu!» gli strinsi timidamente la mano e lo baciai teneramente sulla guancia in segno di saluto: finalmente ero tornata me stessa, in fin dei conti bastava poco per riportare i fliquity a camminare spensierati sulla terra «Sei anche tu qui per la festa?» guardai confusa quel biondino dagli occhi blu: Maya non mi aveva parlato di nessuna festa «Quale festa, scusa?»
«Si! Anche lei è qui per la festa! Che bello che sei tornato, fratellone!» vidi Maya scendere le scale di corsa e gettarsi tra le braccia del ragazzo, che la ricevette con il suo solito smagliante sorriso «Non sai quanto mi sei mancato!»                                                   
«Modestamente sono insostituibile!»
                                                                       
«E dacci un taglio, “Narciso”» li vidi scoppiare a ridere e chiudersi nuovamente in un affettuoso abbraccio: era fantastico vedere due fratelli così uniti, un’emozione indescrivibile «Allora? E’ tutto pronto? Hai chiamato i ragazzi?»                                                                        
«Le ragazze, vorrai dire?» Maya diede una piccola spinta allo sportivo di casa «Va bene, va bene, la smetto! Comunque sì, i ragazzi dovrebbero arrivare tra un’oretta. Nella playroom troverai l’occorrente per le decorazioni. Ora vado a prendere le bibite e qualche dolcetto, a dopo!» lo vidi allontanarsi e fermarsi di colpo. Mi raggiunse e dolcemente mi prese la mano, baciandola «Non scappare, Angioletto» chiuse la porta con un lieve tocco e, abbassai lo sguardo imbarazzata, riguardandomi la mano in questione«Maya, di quale festa parlava? Mi devi spiegare subito tutto!» mi girai verso Maya con fare minaccioso: non mi piaceva quando le persone mi nascondevano qualcosa, specialmente una festa «Shhh! Flor, abbassa quella dannata voce!Un secondo, vieni con me …» le bloccai il braccio, facendola indietreggiare «No! Ora!» mi sorrise «Non fare la capricciosa che non ti si addice! Seguimi!» non mi lasciò nemmeno dire la mia, che con tutta la sua ribelle energia, aveva già rigirato le carte a suo favore: ora era la mia mano ad essere posseduta da quella della ragazzina.
Attraversammo velocemente il salotto, che mi aveva nascosto un meraviglioso pianoforte a coda in legno nero, proprio sul lato destro della stanza. Lo guardai sbalordita, ma ormai mi trovavo già a percorrere uno stretto corridoio: quando Maya si metteva in testa qualcosa era difficile farle cambiare idea.                                      
Nuovamente quadri, tavolini preziosi ornati da fotografie impercettibili, e insignificanti vasi con insignificanti fiori finti? Fiori finti? Terribile!                                                  
Raggiungemmo la gigantesca sala da pranzo: un tavolo di legno scuro ne possedeva la magnificenza; semplice, palese, ma con un tocco tipico di ricconi: i fiori finti!             
«Eccoci! Ti presento la playroom, where the plays are so cool!» ammirai esterrefatta la stanza che mi circondava: giochi ovunque, passatempi di ogni genere sparsi qua e la, intrattenimenti  dalle diverse forme e divertimenti, si sparpagliavano allegramente sul pavimento o sui due divani bianchi che ne occupavano l’ingresso «Cosa hai detto, Maya?» sentii la mia amica sbuffare annoiata dal mio ennesimo tentativo fallito di apprendere la lingua inglese «Ah, lascia perdere, Flor, sei un caso perso! Tieni questo …» mi porse un pennarello nero «Io ed i miei fratelli abbiamo deciso di dare un “piccola” festa e tu ci devi aiutare!» la guardai stupefatta: conoscevo tutti i lati di Maya, ma quello minaccioso non ancora «E tuo fratello?» la mia voce tremante si fece largo tra il silenzio della stanza «Fede? It isn’t a problem! Ha una cena di lavoro con un importante non so che! Ascolta, il piano è …» 

Il “Piano”, come lo aveva definito Maya, era semplicissimo: festeggiare l’arrivo di Franco, ma io sapevo che  mi nascondeva qualcosa. Sapevo che i suoi occhi color mandorla, celavano un enigma legato a quella festa, ma a quanto pareva non ero tenuta a saperlo e questa cosa mi faceva leggermente rabbia: era forse un segreto di famiglia? Scrollai l’oscuro pensiero, mentre anche l’ultimo cartellone colorato veniva fissato accanto al quadro della madre di Maya: era veramente una bellissima donna, e dalla cima della scala in ferro, riuscivo ad ammirarla in tutta la sua persona. Gli occhi chiari, simili a quelli di Franco, balzavano allo sguardo e quel sorriso, un sorriso enigmatico, misterioso, che non so dove, ma avevo già visto «Bella, vero?» una voce maschile mi fece sobbalzare e perdere l’equilibrio in quel fliquity pensieroso. Chiusi gli occhi, fu un istante, ma invece che atterrare sul parquet duro e estremamente solido, finii su un qualcosa di molto più morbido: Franco, la causa del mio incidente. Mi teneva stretta tra le sue braccia, come una principessa, e mi sorrideva allegramente, con quei suoi dolcissimi occhi celesti «Non prendere il volo, Angioletto! Potresti farti male!» mi rimise accuratamente con i piedi per terra. Ancora lo osservavo confusa: se non ci fosse stato Franco a salvarmi, a quest’ora sarebbe stata Maya a raccogliermi con il cucchiaino. 
Avevo i brividi! 
«Non ci provare, Franco! Lei è una mia amica!» disse Maya con tono di rimprovero «Se sono tutte così le tue amiche, mia cara sorellina, me le dovresti presentare più spesso!» mi sorrise, strizzandomi l’occhiolino «Taci, “Latin Lover”! La band?»                                  
«Eccola!» dalla porta d’ingresso, ormai tempestata da palloncini colorati, entrarono quattro ragazzi, truccati fino al midollo e completamente mascherati: li guardai allibiti. Il batterista portava un semplicissimo costume d’arlecchino, così come le altre due ragazze che indossavano abiti collegati all’ambiente circense; mentre microfoni, mixer e attrezzature varie erano trasportate da un oscuro pirata, con un enorme cicatrice sul viso (naturalmente finta). Fin qui nulla di strano, ma la ragazza che entrò da quella porta bianca, in stile “sfilata di moda”, agitando vorticosamente il suo vestito da tipica fata del vento, no, quella proprio no! I lunghi capelli verdi le scendevano lungo i fianchi, completamente intonati al “bellissimo” abitino di stracci verdi e blu: un’oscenità! Un flash mi percorse il corpo: la ragazza tacco a spillo e stracci in seta non era nient’altro che la mia “carissima amica” Carina, accompagnata da quell’inconfondibile seguito dei miei compagni d’avventura «Benvenuti a casa Fritzenwalden!» Franco baciò la mano ad ognuna delle ragazze e sorridente come non mai, mi strizzò l’occhiolino «Franco, la vuoi piantare di fare il cascamorto con tutte! Se ti togliessi la maschera di pesce lesso che indossi, potresti anche accorgerti che sotto il costume da pagliaccio ci sarebbe tua cugina, Nata!» la mia cara vecchia amica si tolse la maschera, svelando la sua identità «Nata!» vidi Franco gettarsi tra le braccia della cugina «Quanto tempo, cuginetta! Come sei cresciuta, e guarda che meraviglia!» disse facendole fare una breve, ma tenera giravolta «Mi trovo tra le mani un gioiello di famiglia!» per la prima volta, da quando avevo messo piede in quel “castello” cominciavo a vedere in Franco tutto ciò che Maya mi aveva sempre detto: “Gli occhi sono la finestra dell’anima” e sapevo che il celeste profondo di Franco, calzava a pennello con la sua dolcezza «Sei sempre il solito cugino rubacuori!» sorrise Nata, ancora tra le braccia del biondino «Che ci posso fare se la gente mi ama così …»  
«Franco!» un ragazzo alto biondo, scese correndo le scale del soggiorno «Cos’è tutto questo baccano? E  questi chi sono?» Nicolas, il gemello di Franco. Ora capivo le delicate e “accurate” parole di Maya sull’argomento: povero fliquity, sicuramente non era Franco, ma ero sicura che dietro a quella maschera di brutto anatroccolo si celasse qualcun altro di un po’ più tenero? «Sciallati, Nico! Ti ricordi? La festa in onore a Franco» Maya guardò il fratello annoiata «Io credevo fosse uno scherzo»                                                              
«Ieri ti sembravo comica?» probabilmente quello era il fatidico giorno delle scoperte: un altro lato nascosto di Maya era venuto a galla, quello burlesco!

«Flor, ma dov’eri? E’ tutto il pomeriggio che ti stiamo cercando!» Nata mi passò uno dei travestimenti rimasti «Ero qui con tua cugina a organizzare la festa! Piuttosto, perché non mi hai detto che suonavate qui?»
«Volevamo dirtelo, ma sei sparita!»
osservai quello strano costume «Cos’è questo?»
«Una Tigre, no? Coraggio, indossalo che siamo già in ritardo»                                                                                                          
Mi guardavo allo specchio con un briciolo di orrore sul viso: quel mio povero viso tremendamente truccato per più somigliare ad una tigre, una tigre, le cui righe nere si erano sbiadite col tempo, lasciando spazio ad un insignificante manto arancione. Se questa era vita?                                                                             

Raggiunsi imbarazzata il soggiorno, dove urla, canti e balli si alternavano freneticamente: chissà quando era arrivata tutta quella gente? Pensai mentre guardavo strabiliata la moltitudine di persone che occupava divertita il soggiorno del “castello fatato”: le luci e le coloratissime decorazione avevano cambiato completamente l’aspetto dell’ambiente. Sembrava magico!                                                                                       
«Sono proprio bravi!» Maya mi indicò la band: un mantello nero luccicante le copriva l’intero corpo e due simpaticissimi canini le spuntavano vivaci dalle labbra rosso fuoco. Le annuii, invidiando un po’ quei miei compagni di avventura che si divertivano spudoratamente sul piccolo palcoscenico ricavato nella sala: anche se la mia voce era “divinamente” stridula, mi sarebbe piaciuto danzare e cantare con loro, solo per il gusto di passare del tempo assieme, con una passione in comune. La musica! «Flor, ma che hai? E’ una festa, non un funerale!» mi portai una mano al petto: mi sentivo strana, un’inspiegabile fitta mi prese il cuore e un giramento di testa mi colpì. 
Improvvisamente immagini sfuocate penetrarono i miei soliti fliquity tranquilli: immagine colorate, stordite, ancora una volta legate a quello strano sogno, che mesi prima mi aveva confuso le idee. Il misterioso sconosciuto si aggirava affascinante per la mia mente, come una visione: il sorriso, lo sguardo, il mazzo di fiori … era come se una tromba d’aria stesse trasportando ogni piccolo dettaglio di quella fantasia, era come una visione «Tranquilla, Flor! E’ normale …» nuovamente quella voce femminile, la voce confortante di quella lucina che mi aveva sorpresa all’Università! Ancora una volta si agitava abbagliante davanti a me, rassicurandomi sull’inspiegabile situazione che stavo vivendo e oscurando il mondo attorno a me. Sbattei intontita le palpebre, chiedendomi se stessi sognando «Sei sicura di stare bene? Hai una faccia!» la voce di Maya mi confermò che ero stata di nuovo vittima di un sogno. Le sorrisi, nascondendole ogni mia preoccupazione: non volevo essere rinchiusa in un manicomio alla mia tenera età.

Ballavo. Ballavo tra la folla. Ballavo guardando l’energia della piccola ragazza ribelle che, vivace si muoveva tra le note della band davanti a me. Ballavo sorridendo confusa a Maya.  Ballavo ripensando a quelle strane visioni: Titina mi aveva parlato spesso delle strane presenze che solitamente mia madre avvertiva. Le chiamava fate o semplicemente angeli. Diceva che erano gli esserini che sua madre le aveva inviato per proteggerla ed accompagnarla nella vita, per affrontare qualsiasi cosa: decisioni, scelte, fatti positivi o negativi; guardiani “speciali” dai colori sgargianti, pronti sempre a tutto per rassicurare e confortare il loro “affidato”, cercando in tutti i modi di assicurargli una serena ed eterna felicità. Forse le luci che vedevo erano fate, le fate di mia madre? Forse mia madre me le aveva inviate per guidarmi? Tutto cominciava ad avere un senso: le visioni, i sogni, le luci, le mie sensazioni … 
Un urlo stridulo distrasse i miei pensieri. Guardai perplessa prima Maya e poi la band che improvvisamente aveva smesso di suonare: Carina aveva una mano alla gola e tentava invano di emettere suoni sotto gli sguardi inquieti degli invitati, desiderosi di musica. Vedevo la ribelle “fata” agitarsi, dimenarsi, fare il possibile per diffondere note o semplicemente parole. 
Ma nulla. 
Un insopportabile silenzio crollò nel salone della villa. 
Tutti erano in attesa di qualcosa. 
I miei amici, con ancora gli strumenti tra le mani, cercavano di avvicinare la cantante, di invogliarla a riprendere la canzone, ma probabilmente non avevano capito che quello di Carina non era uno scherzo: la ragazza non riusciva più a cantare e la cosa si stava facendo molto seria. Unii le mani in segno di preghiera, chiedendo un piccolo aiuto a quelle “fate” su cui tanto avevo riflettuto, le fate della mamma. Aprii gli occhi per vedere se qualcosa era cambiato, se qualche luce strana aveva abbagliato i presenti causando uno shock totale, oppure se era avvenuto un puro e semplice miracolo. Nulla. Nemmeno un povero alieno disperso nello spazio era intervenuto! 
Le fate non esistevano, mi ero tolta il dubbio!                                                                        
Improvvisamente vidi Carina scendere le scale del palco e sparire tra folla: i ragazzi gridavano il suo nome, chiedendole di restare. Osservai il mio carissimo amico Facha seguirla, sotto gli occhi indiscreti di un pubblico fin troppo invadente. Ne seguirono urla, boati e nuovamente implorazioni musicali. Sapesati di fronte a tanta confusione, vidi i miei poveri compagni d’avventura indecisi sul da farsi.                                                  
Un brivido mi invase: avevo una voglia matta di seguire Carina, consolarla, farla ragionare e sperare in un nuovo giorno. So che era strano pensare una cosa simile, viste le nostre ultime “chiacchierate”, ma non potevo di certo vedere soffrire così una persona, soprattutto se era un’amica, una specie di “amica”. Mi voltai per mischiarmi tra la folla alla ricerca della coppia di piccioncini, ma una mano mi bloccò «Lasciala stare, Flor! Sai anche tu che ti caccerebbe» forse Maya aveva ragione e forse Carina mi avrebbe attaccata con il suo solito fare canino, insultandomi per l’ennesima volta. Indietreggiai sconvolta dalla “nuova” rivelazione «Perché non ci vai tu?» osservai Maya con un timido sorriso sul volto «A far cosa?»                                           
«A cantare, cosa se no?» sbarrai gli occhi «Hai una bella voce, anzi canti che è una meraviglia! Perché non ci vai e fai a vedere a tutti chi sei? -  probabilmente quella dannata ragazzina ribelle si era bevuta il cervello, io stonavo, non cantavo - E non tirare fuori la storia delle corde vocali inceppate, perché neanche i muri ti credono!»                           
«Ma, Maya … »                                                                                        
«Ma, Maya un corno! Coraggio “campana” facci vedere chi sei! - mi spinse tra la folla e in men che non si dica ci ritrovammo di fronte al piccolo palcoscenico - Ehi Bata! Flor vorrebbe cantare!» il batterista arlecchino mi guardò in stranito «Tu canti?» gli sorrisi annuendo: era l’unico modo di evitare le minacce di Maya «Dai vieni!» mi disse Bata porgendomi divertito la mano. 
Salii sul palco: da lassù il mondo sembrava completamente diverso, altro che pubblico! «Ragazze, Flor prenderà il posto di Carina, ok?» vidi Nata e Clara assentire un poco sorprese dalla novità. Afferrai al volo il microfono che le due majorette mi avevano lanciato, raggiunsi il centro del palco e avanzai verso la fine: la folla acclamava la nuova canzone ed io li guardavo sorridenti, terrorizzata dall’orribile figuraccia che stavo per commettere. Nel mio cuore solo una certezza: avrei ucciso  Maya!                                                                                              
«Ed ora Pobres Los Ricos!» la voce energetica di Bata con il suono delle sue inconfondibili bacchette mi fece intuire che non avevo più tempo: il patibolo mi era vicino!                      
Le note partirono. Conoscevo la canzone, l’avevo cantata un miliardo di volte sotto la doccia e davanti allo specchio, ma cosa più importante sola, completamente sola, senza una miriade di occhi puntanti su di me: mi sentivo osservata … improvvisamente la musica mi invase: felicità, allegria, spensieratezza e amore, sensazioni che ero solita provare quando il volume dello stereo di casa si accendeva al massimo. Le gambe  iniziarono a muoversi, prima lentamente e poi a ritmo della musica: sembrava che ogni mio pensiero sfuggisse da quella mia pazza mente fliquitata. All’improvviso il desiderio di “uccidere” Maya svanì nel nulla, portandosi con sé quel terrore inaspettato del pubblico, quel terrore che da anni portavo dentro di me.

«COSA STA SUCCEDENDO QUI?» la musica si fermò di colpo, io mi arrestai di colpo. Seguii lo sguardo degli invitati, diretto in un angolo in penombra della villa principesca «Fuori tutti di qui! SUBITO!!» quel nuovo urlo mi stordì ancora di più, mi tappai le orecchie, chiudendo gli occhi per non vedere quella terrificante scena: odiavo i film horror!                                  
Quando li riaprii mi imbattei nell’uomo più arrabbiato, anzi, infuriato, che mai avessi incontrato nella mia vita. Terrorizzata, indietreggiai e solo allora lo riconobbi: il Principe dei miei sogni …

ANGOLO AUTRICE: Un grazie infininito a __Shadow__ e a freezer19_96  per i loro meravigliosi commenti! Spero di avervi soddisfatto con questo capitoletto! Buona Lettura! 
Ps: sono un po' imbranata con l'intestazione della pagina! Vi prego di perdonarmi se uscirà un po' maluccio!!!


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Capitolo 10
*** Io Non Sono Pazza ***


                  NON SoNo PAZZA!                       

Non credevo ai miei occhi: alto, biondo, bellissimo, insomma, il mio Principe Azzurro esisteva veramente, non mi aveva abbandonata in un’illusione, lui era lì, davanti a me, in tutta la sua magnificenza ed estrema eleganza. Allora non stavo diventando pazza? Allora non mi dovevo preoccupare di essere rinchiusa in un manicomio? Allora i sogni potevano diventare realtà? Allora si, che tutto cominciava ad avere un senso, anche le mie visioni. Ero sicura che le fate di mia madre avevano voluto inviarmi segnali, richiami e avvisaglie, semplicemente per annunciarmi l’arrivo di quel misterioso uomo, quello sconosciuto che mi stava guardando con estremo odio «E tu chi saresti?» sorrisi, cercando di trovare parole a quella stupida domanda, ma il cuore mi batteva freneticamente ed i fliquity sembravano talmente posseduti da una forza sconosciuta, che erano entrati in una specie di trance. Lo vedevo sorridere, ma non ero convinta che fosse divertito, anzi sembrava completamente straziato dal nervosismo: la rabbia gli scintillava negli occhi e il suo estremo tentativo di mascherarsi dietro ad un sorriso ironico, lo trovavo assurdo. Ma non mi importava. Ciò che più desideravo in quel momento era solo e soltanto catturare quella principesca immagine nella mia testolina e ogni volta riviverla, sentirla vicina, per potermi sussurrare“Esiste Flor! Il Tuo Principe Azzurro esiste! Non sei pazza!”                                                 
«Te ne vuoi andare?» rimanevo imbambolata, bloccata da quel suo sguardo misterioso, da quei suoi due occhi color miele che tranne che lanciarmi fiamme infuocate, non facevano altro «I tuoi amici se ne sono già andati, ti pregherei di andartene! VATTENE!» con una leggera spinta mi svegliò dalla realtà che mi ero creata, viaggiando per quei profondi occhi e solo allora realizzai di quanto fosse scorbutico quel Principino Azzurro. Lo fulminai con lo sguardo, cercando di incutergli terrore «Come hai detto, scusa?» lo vidi alzare un sopraciglio, probabilmente sorpreso dalla mia grottesca reazione «Vattene! V-A-T-T-E-N-E  D-A  C-A-S-A  M-I-A! Leggi le mie labbra e sparisci di qui!» anziché indietreggiare impaurita, avanzai verso quell’orco vestito da Principe: nessuno poteva trattarmi così! Nemmeno Carina e Dulcina avevano mai osato dire certe cose: un conto era prendersi a calci dalla mattina alla sera, ma un altro era insultare una persona senza motivo «Senti, signorino mio bello, non è educazione mettere le mani addosso ad una signora, chiaro?» alzò gli occhi al cielo, forse ancora più adirato di prima. Improvvisamente mi prese violentemente il polso: cominciavo a pentirmi della mia reazione. Forse sarebbe stato meglio non intromettersi, non parlare, non urlare, ma soltanto scappare. Le gambe cominciavano a tremare più del cuore: avrei voluto dimenarmi, muovermi, correre, fuggire da quel mostro che si era divorato il mio Principe, ma lui era troppo forte e se mi fossi spostata anche solo di un centimetro, se ne sarebbe accorto e allora si che avrei fatto una brutta fine.                 
«Darling,dove sei?» solo all’udire quella voce femminile, sentii l’uomo allentare la presa: con la barba folta in viso, sembrava essere uscito da una fiaba horror! Indietreggiai un poco spaventata, ma ancora mi teneva stretta a sé: ero in trappola! Possibile che il Principe di Cenerentola si fosse trasformato in un orco al loro primo appuntamento? Ero in confusione: i fliquity del mio cervellino si muovevano pazzerellamente e stavo mettendo in dubbio ogni cosa che mi circondava. Solo allora notai che il salone era vuoto: gli invitati se n’erano andati, i miei amici se n’erano andati! Mi avevano abbandonata per seguire le urla strampalate di un Principe-Orco nevrotico! Perché doveva capitare tutto a me? Non solo ero sfortunata dai capelli in giù, ora mi toccava pure trasformarmi nella cena del più sanguinoso dei predatori «Eccoti, My Life! Ho trovato la mia pochette! Che sbadata! L’avevo dimenticata in stanza» una ragazza giovanissima, alta e perfettamente magra, abbracciò lo sconosciuto, che definitivamente mi lasciò libera. Squadrai da cima a fondo quella donna, mi sembrava di averla già vista prima di allora: la raffinata coda di cavallo nera le scendeva lungo i fianchi, perfettamente contenuti nell’abito blu notte. Purtroppo le luci da spettacolo ancora attive nella sala, assemblate a quel fastidiosissimo trucco da “tigre”, non mi permettevano di distinguerle bene il viso «Cosa è successo?Cos’è  questo orrore?» la donna si guardava sconcertata attorno: non si era salvato nulla! Del meraviglioso salotto ricco era rimasta solo e soltanto una “raffinata” sporcizia, probabilmente non ben voluta «Appunto! Delfina possibile che non ti sia accorta di nulla?» lo sconosciuto guardò la giovane leggermente turbato «Del soggiorno o di questa volgare tigre?» la vidi squadrarmi da cima a fondo. Un brivido mi percorse ogni piccolo fliquity del corpo: avevo solo voglia di scappare e rinchiudermi nella mia cameretta e piangere! Quel giorno era stato un completo shock! Prima una festa, poi il rubacuori di famiglia, infine scoprire che il tuo Principe Azzurro era un orco travestito brutalmente, senza contare poi i lati misteriosi di Maya! Un vero e proprio trauma!                                     Indietreggiai ancora una volta, mentre sentivo le due persone discutere davanti a me. Mi voltai, lasciandomi alle spalle tutto e tutti. Abbandonando quel sogno, abbandonando il Principe dei miei desideri, e quella maledetta voglia pazza di conoscerlo e stringerlo forte al cuore, abbandonando quello strambo desiderio, ma soprattutto abbandonando in quel salone il mio cuore straziato, addolorato, tanto a pezzi, che nemmeno un creatore di puzzle sarebbe stato in grado di ricostruirlo. Una lacrima mi scese sul viso, bagnando il mio cuore di tristezza, quella tristezza dal terribile sapore di delusione, quello sconforto talmente ghiacciato che nemmeno il sole estivo avrebbe potuto scaldare.

Mi gettai furiosamente sul letto della pensione. Guardavo inerme la mia stanzetta: quando ero triste ero solita rifugiarmi nel brillante colore degli oggetti  per lasciarmi accarezzare dai ricordi più remoti di mia madre, ricordi che mi rallegravano il cuore, dandomi quella forza in più per affrontare la vita. Di solito riuscivo a perdermi in quei raggianti pensieri, ma quella volta no!                       Ogni riflessione, ogni pensiero, puntualmente ricadeva sull’immagine confusa del Principe. Mi chiedevo se era possibile rimanere turbata da una persona al primo sguardo. Se era possibile sentire ancora battere il proprio cuore all’impazzata, cadere a vuoto in un abisso di confusione assoluta. Non riuscivo più a controllare le miei emozioni: fissavo a vuoto quegli innumerevoli oggetti ora privi di vita ed allegria. Li fissavo, li osservavo, rivedendo in loro quel piccolo riflesso, tanto somigliante quanto sconvolto. O forse ero io ad essere sconvolta?                                  Sensazioni ed emozioni che mai avevo provato nella mia vita. Era come se un camion mi fosse passato sopra senza rendermene conto ed io ero lì, stesa, immobile, con il cuore all’ombra di quella patetica confusione che mi stava uccidendo. Ripensavo all’istante in cui il mio sguardo incrociò quello del Principe, al momento in cui i nostri occhi si cercarono, ma non riuscivo a capacitarmi di quello strano batticuore che mi aveva fatta entrare in trance. Come era possibile rimanere affascinata da un Principe travestito da orco? Nessuno mi aveva trattata con così tanto disgusto e questo mi faceva male, soprattutto il suo atteggiamento prepotente. Era come se Cappuccetto Rosso fosse rimasta attratta dal Lupo! Che storia sarebbe? Impossibile. Ecco quale era la risposta: Impossibile...                                                                                                                        «Ma proprio una musona ci dovevano assegnare?!» alzai gli occhi, ancora confusi, ed intravidi una piccola luce rossa ronzarmi attorno, molto somigliante allo stesso bagliore che vidi tempo fa all’Università «Devi essere più delicata Lumbre, altrimenti si paventerà» apparve luminosa più cha mai una pallina di un giallo più vivace del sole «Siete sicure che ci veda? A me sembra un po’ tonta» i due raggi brillanti furono raggiunti da un terzo colore: il verde «Tranquilla Brisa, nessuno può essere più tonto di te!»                                                                                    «Ragazze, basta litigare! Dobbiamo compiere una missione, ricordate?» guardavo allibita quelle quattro lucine brillanti svolazzare, come se niente fosse, davanti ai miei occhi. Rosso, giallo, verde e blu si alternavano energicamente in quella stanza, semplicemente balzando da un lato all’altro, riempiendo di fliquity la mia mente fin troppo confusa.                           
«Ragazze! Basta litigare! Al mio tre vi trasformo tutte in troll verdi! Quanto è vero che mi chiamo Hadita Suelo!» improvvisamente vidi la pallina gialla bloccarsi di colpo e le altre tremare preoccupate probabilmente dall’affermazione di quest’ultima «No! In Troll no!» urlò la lucetta verde, agitandosi per tutta la stanza «Io quei cosi verde marcio non li posso vedere! Ma le hai viste quelle verruche che hanno sul naso? Che schifo!» la lucina rossa volò accanto a quella blu «Si e poi quell’odore d’immondizia! Orribile!»         
«Appunto! Se non volete fare la fine di Alma, datevi una calmata e smettetela, attacca brighe che non siete altro!» Dictum Factum, i tre colorini si fermarono di colpo. Vidi la lucina gialla avvicinarsi senza esitazione verso di me. Non riuscivo a muovermi, sembravo bloccata da una strana magia, come se quelle “cose” colorate mi avessero stregata «Tutto bene, Tesoro?» la pallina più brillante del sole mi scostò la frangetta, accarezzandomi dolcemente il viso. Annuii senza emettere alcun suono: ero ancora stordita da quella fin troppo strana situazione «Tu e la tua fiamma a luci rosse, siete le solite! Fate sempre spaventare la gente! Che insolenti!» una vocina stridula, ma accuratamente contenuta, come se fosse nell’acqua, si intromise volontariamente «Non incominciare, Linfa! Non vedete che è terrorizzata? E tu, piccola Flor, non devi essere preoccupata noi siamo buone, ci ha mandate la tua mamma per starti vicino»                                                                                                  
«Sempre! Giorno e notte, lontane e vicine, sia sopra che sotto …»  spostai lo sguardo sulla pallina verde «Come dei violenti cani da guardia …» poi su quella rossa «Ma  non nel fango, bella mia, io lì proprio non ci entro!» poi su quella blu «Non ascoltarle Flor, noi siamo le fate che Margarita, la tua mamma ha scelto per accompagnarti nella vita, nell’amore, nella gioia e nel dolore …»                                                                                                  
«Finché morte non ci separi, Amen!» le tre lucette si girarono indignate verso la pallina verde «Cosa ho detto?» chiese brillando più stupita che mai «Nulla Brisa, nulla!» la pallina gialla ritornò a riscaldarmi con la sua tenera energia: scintillava talmente tanto da produrre piccole e lucenti faville «E tu, piccolina, non dissimulare ciò che senti, poiché è di valore inestimabile e capita solo una volta nella vita … Carpe Diem, dicevano gli antichi … Carpe Diem …» le quattro palline colorate svanirono nel nulla, lasciandomi sola nella stanza che per un attimo era riuscita a riacquistare quel pizzico di allegria in più che le mie cianfrusaglie avevano perso. Scossi violentemente la testa, mi stropicciai gli occhi e conclusi il tutto con un bel pizzicotto sul braccio: dovevo capire se quello che avevo appena visto era uno dei miei soliti sogni oppure realtà! Risultato? Ero viva e vegeta e pure sveglia! Le fate esistevano veramente! Eccome se esistevano!

Passarono settimane da quel traumatico giorno. Le fatine della mamma venivano a trovarmi quasi tutti i giorni: tra urla, giochetti e bisticci si assicuravano che io stessi bene e che avessi ripreso la mia vita di sempre, dopo quell’incontro che chiamavano empaticamente “El Milagro de lo de siempre”. A capirle le fatine! Suelo, Lumbre, Brisa e Linfa erano diventate come delle piccole sorelle che mai avevo avuto. Stavano con me, chiacchieravano e mi parlavano spesso della mamma, di quanto fosse felice in Cielo, di quanto fosse preoccupata della mia felicità e di quanto mi amasse da lassù. In fin dei conti parlare con le fatine, era come avere la mamma davanti a me, con quel suo smagliante sorriso, che percepivo nella luminosità di quelle vivaci palline colorate.                                                                                                                                Non frequentai più la villa di Maya. Purtroppo il fratello maggiore aveva impedito ai fratelli qualsiasi relazione extrafamiliare in casa e quindi, quelle poche volte che vedevo Maya e Franco, era perché scappavano di casa. Che miti!                                                                      
In quanto al Principe-Orco beh, lo accantonai in un angolo del mio cuore, certa che non lo avrei mai più incontrato nella mia vita.  

ANGOLO AUTRICE: Questo capitolo è molto introspettivo e volevo scusarmi per la mancanza di avvenimenti importanti, ma vi prometto che farò meglio la prossima volta! Intanto ringrazio tutte le persone che commentano, non sapete quanto mi facciano piacere le vostre recensioni: Flori186__Shadow__ e Freezer19_96     

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Capitolo 11
*** Guai In Vista ***


            GUAI IN VISTA                    


«Florencia! Vieni subito qui!»
ultimamente le mie giornate iniziavano così: con un tremendo urlo del Signor Molina, che invocava, con quella sua dannata voce lacerante, di raggiungerlo al secondo piano del negozio. Svogliatamente giunsi alla porticina che dava sulle scale: possibile che avesse tutti i giorni qualcosa da rinfacciarmi? Se non era il pomodoro troppo secco, era il melone troppo acerbo, se poi ci si metteva a pulire le patate senza il suo permesso, allora si, che erano guai “Ti pago per consegnare, non per lucidare patate!”                                                                 

Scrollai l’orribile immagine che ritraeva un Signor Molina alquanto arrabbiato e corsi lungo le scale per raggiungere quello che lui chiamava “il suo ufficio”, ma che più assomigliava ad un ovile vegetale. Respirai profondamente prima di aprire la porta: come immaginavo il Signor Molina era seduto sulla sua sedia a dondolo dietro alla scrivania in vimini e ben nascosto da piante di ogni tipo. Fino a quel momento avevo contato ben cento specie di vegetali diversi: pazzesco!               Cercai di individuare quel suo ciuffetto bianco dietro un cactus un po’ “strinato” e lo salutai timidamente con la mano «Florencia, ti devo parlare» tipica frase da guai in vista. Sebbene non avessi fatto ancora tanto nella mia vita, ogni volta che sentivo quella frase, un maledetto brivido mi percorreva la schiena. Sapevo che mi stava per succedere qualcosa di brutto, era come un fliquity, si, il mio sesto fliquity. “Ti devo parlare” aveva tanti significati che facilmente potevo associare alle persone che da tempo mi circondavano: Titina e i suoi favori imposti, i ragazzi e i problemi della band o ancora più semplice il Signor Molina e la sua sfarzosa verdura. Un incubo!     «Si-Signore!» assunsi la posizione del tipico cadetto per nascondere la mia preoccupazione «Non mi prendere in giro! La cosa è seria, Florencia!» ritornai alla posizione iniziale, sistemandomi la mia bellissima gonnellina verde menta «Si, però un po’ di comicità non guasta mai!»           

«Ti ripeto che la cosa è seria, molto seria»                                                                        

«Va bene, va bene, la smetto! Però lei arrivi al sodo, perché tutte queste pause mi mettono una certa ansia, proprio qui, dentro al petto, una cosa insopportabile!» mi portai una mano al cuore, cercando di giustificare la mia insensata reazione «Florencia, tu sei licenziata!» strabuzzai gli occhi, incredula alle parole del mio capo: licenziata? Io? Ma se ero una delle migliori fattorine del paese, se non l’unica! «Come?» il Signor Molina si dondolò su quella sedia che tranne che scricchiolare dalla mattina alla sera non faceva altro «Quello che ti ho appena detto: sei licenziata!»                                                                                                                

«Aspetti, lei mi sta cacciando?» lo vidi annuire senza esitare, con le mani congiunte e gli occhi abbassati: sapevo che non sarebbe mai tornato indietro, ma “Mai perdere la Speranza” diceva sempre mia madre «Un motivo? Adesso voglio vedere dove arriva! Lavoro come una matta dalla mattina alla sera, preparo le cassette della frutta, pulisco quelle della verdura e in più se c’è bisogno faccio anche il lavoro degli altri! Cosa c’è che non va, Signor Molina? Sono forse troppo sgobbona? Lavoro troppo? E’ questo forse il problema? Va bene, farò del mio meglio per …»                                                                                                         

«Curiosa, impicciona, imbranata, svampita, devo andare avanti? Florencia, è vero che lavori tanto e che sei brava nel tuo mestiere, ma sei troppo goffa per i miei gusti! Ti muovi, fai cadere una cesta di mele, parti con la bicicletta e perdi metà consegna, credimi che non si può andare avanti così!» cercai il suo sguardo e trasformai il mio in quello di un povero cucciolo abbandonato «La prego, un’altra possibilità! Le giuro che non se ne pentirà questa volta! Solo una …» scosse la testa con gli occhi fissi sul cactus già bello che morto «Vivi in una costante possibilità, Florencia! La tua vita è una possibilità che fino ad ora non ti ho mai negato!» alzai gli occhi al cielo invocando l’aiuto delle mie fatine, sperando che un miracolo potesse salvarmi da quell’orribile situazione. Non ottenendo nulla, riportai lo sguardo al Signor Molina «Su via, Rogelio, cosa ti costa darmi ancora un’altra opportunità? Non ti chiedo di scalare l’Everest, solo una piccola possibilità, piccolina-ina-ina!» per l’ennesima volta scosse il viso, ma questa volta incrociò i suoi occhi neri con i miei e solo allora intuii la sua buona fede «Non è rancore personale, cerca di capirmi, Florencia! Ho preso la saggia decisione di allargare lo spaccio e ho bisogno di personale all’avanguardia, non di gente che mi faccia perdere più tempo che vita!» abbassai lo sguardo, trattenendo le lacrime: a quanto pareva non gli servivo più «Non è per te, Florencia! Tu sei una brava ragazza, gentile e fin troppo generosa, e se vuoi anche un po’ goffa, ma in questo momento non ho bisogno del tuo lavoro per andare avanti» sentii una lacrima corrermi lungo il viso «Non ora … non più» lo sentii pronunciare, mentre ancora tentavo di trattenere quelle piccole ed acide goccioline. Ma non c’era bisogno di piangere, la mia era tutta tensione, tutto quello stress accumulato per tutte quelle persone che in realtà senza o pur volerlo mi davano una bella e grossa badilata. Come Isidro, quante volte lo avevo coperto con il Signor Molina per permettergli di vedere la sua bella? Così mentre lui terminava la sua ultima consegna del giorno, io finivo le mie per sempre.                                                                                                                                                              

Abbandonai il negozio con il mio piccolo scatolone tra le mani: sembrava una sciocchezza eppure, in quell’ovile vegetale ero riuscita a creare il mio piccolo spazio, fatto di cartaccie colorate e amuleti che poi più di tanta fortuna non mi avevano dato. Restituii le chiavi di “Artemisia”, la bicicletta in affitto, e mi avviai verso casa.                                                                             Che strano che era il Destino: prima ti dava una cosa con estremo sorriso e poi te la toglieva facendoti patire le pene dell’inferno. Camminavo lungo il viale “9 de julio”, vedevo la gente sorridere, passeggiare spensierata, mentre io? Io cos’ero? Solo una povera disoccupata, cacciata per la sua goffaggine!                                                                                              L’intenzione di aprire un nuovo capitolo della mia storia si stava facendo realtà e avevo già in mente un titolo: “Cercasi lavoro disperatamente”

«Credi che dovremmo farli incontrare?» sentii delle voci provenire dalla mia stanzetta, probabilmente le fatine mi erano venute a far visita come di consueto. Incuriosita dalla strana conversazione, mi appoggiai leggermente alla porta, ancora chiusa a chiave, per origliare un pochino. Sapevo che l’ascoltare senza permesso non era cosa buona e giusta, però a volte la curiosità superava qualsiasi limite e poi diciamocelo, non lo avrebbe mai scoperto nessuno «Ma no, ma lo hai visto il biondino occhi blu? Io voto per quello!» riconoscevo in lontananza la tipica voce imbottigliata di Linfa «Si, ma se non è Destino, non è Destino! Tagliamo la testa al toro e facciamo quello che dobbiamo fare!» l’arroganza di Lumbre si sarebbe riconosciuta, anche lontana un miglio: non avrei mai pensato che le fatine potessero avere certe presunzioni «Ragazze, è inutile litigare! Diamo tempo al tempo …» se da un lato le fatine insolenti si distinguevano dalla società, dall’altro quelle rassicuranti come Suelo, facevano della vita un mondo migliore. Pacata, tranquilla e fin troppo protettiva, a volte, quando guardavo quella sfavillante lucina gialla, era come se incontrassi nuovamente la mamma «Si, ma se aspettiamo quella pigrona di Flor, possiamo invecchiare e morire sul colpo!»                                      

«Lumbre! Modera il linguaggio, per favore!» ormai mi ci ero abituata, non facevo più caso agli insulti insensati di Lumbre e ai richiami sconclusionati di Suelo. I battibecchi tra le fate erano ormai all’ordine del giorno «E tu, Birsa non hai nulla da dire?» chiese con dolcezza la “madrina” delle creaturine «Chi? Io? Di cosa stavamo parlando?» mi faceva troppa tenerezza quella fatina verde un po’ svampita e se dovevo essere sincera con me stessa, un po’ mi somigliava: goffa e imbranata come piaceva a me, perfetta! «Mi sa che mi sono persa …» segui un silenzio improvviso, ma proprio quando decisi di aprire la porta, una nuova vocina mi bloccò «In effetti ha ragione Lumbre! Se quella ragazza non si da una svegliata, mi sa che il Destino non potrà fare il suo corso» origliavo e ascoltavo contemporaneamente, ma come mio solito, non capivo nulla delle conversazioni altrui. Cosa centravo io con il Destino? Cosa sapevano le fatine? Ma soprattutto con chi mi dovevo incontrare io? Domande e mille dubbi assalivano la mia testa in continuazione: volevo spingere quella dannata maniglia e chiedere spiegazione a quelle fatine chiacchierone, ma sapevo che entrando con quello spirito confuso che mi ritrovavo in testa, non mi avrebbero detto niente «Margarita ci maledirà» disse sconsolata Linfa «Non vi preoccupate, ho un piano» Suelo sapeva sempre come risolvere una situazione e per questo l’ammiravo. Improvvisamente non sentii più nessuna voce, nessun discorso, nessun battibecco: che se ne fossero andate? Spinsi leggermente la maniglia, provocando un tremendo scricchiolio, mentre scorgevo a malapena l’ingresso della mia piccola abitazione: vidi quattro batuffoli colorati svanire improvvisamente, producendo una danza di vivaci brillantini variopinti. Scostai leggermente la porta «Sono io» sibilai a bassa voce per non farle spaventare «Mamma mia! Per tutti i troll infiammati di questo mondo! Che spavento! Quasi, quasi mi saltava la corolla di ninfea!» un pallino blu spuntò da dietro la specchiera «Che scansafatiche! Un’avvisaglia? Un richiamo? E’ impossibile per te fare uno sforzo, Florencia?» la lucetta rossa si accese sopra il letto, spiccando dalla trapunta rosa shocking «Potremmo fare come gli agenti segreti: trovare una parola d’ordine o un gesto riconoscibile solo da noi cinque, che ne dite?» Brisa sbucò da una delle mie scatole colorate

«Te lo do io il gesto se non la pianti di dire stupidate!» guardavo stupita l’ennesimo battibecco giornaliero: possibile che la mamma mi avesse affidata alle “cure” di fate così “strane”? «Ehi, noi non siamo strane, chiaro?» il fuoco, a malapena percepibile, sul pallino rosso, iniziò a brillare più che mai. Mi portai una mano alla bocca, cercando di fermare il mio solito fiume di parole o dovrei dire pensieri? «Coraggio Lumbre, non terrorizzarla sempre con il tuo baccano! Perdonaci Flor, se non te lo abbiamo detto prima, è che …»                                                             «E’ che cosa? Che leggete nel pensiero senza chiedere il permesso? Voi sapete esattamente ciò che una persona prova, sente, ingegna, progetta, insomma voi conoscete tutto di tutti e non me lo avete mai detto?» vedevo le quattro lucine annuire in silenzio. Possibile che mi avessero tenuta nascosta una cosa simile? Che non mi avessero detto nulla? A quanto pareva si «Voi conoscete ogni mio pensiero, ogni mie emozione, insomma tutto …» camminavo nervosa per la stanza, cercando di assimilare quella piccola ma traumatica rivelazione «Quindi sapevate del sogno e delle visioni?»                                                                                                      

«In realtà eravamo noi ad inviartele, credo si chiami “Enesueño”?»                       

«Sapevate anche delle mie strane percezioni, di quelle strambe cose che provavo ogni volta che lo rivedevo, che lo sentivo vicino, che …» le fatine annuivano in silenzio, non perdendo mai le staffe o scaricandosi il barile viceversa «Anche quella era opera nostra!» disse senza esitazione Suelo «Allora lo conoscevate? Sapevate del Principe? Sapevate tutti i fliquity della storia! O santo Fliquity, come è possibile?» la lucina rossa mi arrivò a tre centimetri dal viso e mi diede una leggera scossa, facendomi sobbalzare «Sveglia! Siamo fate!»                        

«Allora siete a conoscenza anche del mio licenziamento, del fatto che il Signor Molina si sia stufato della mia goffaggine?» continuavo a girarmi e a rigirarmi per tutta la stanza «Adesso, non siamo mica delle veggenti!» rise la piccola luce blu «Però sapevate che io ero dietro la porta ad origliare! Che fliquity!»                                                                                      

«Eri dietro la porta ad origliare?» ops, avevo fatto un’altra delle mie gaffe: ora potevo stare sicura che non mi avrebbero mai più detto niente. Perché tutto a me?

«Flor, ho una novità!» Maya giocherellava con uno dei miei amuleti preferiti: la biglia della speranza «Quando fai così mi preoccupi» guardavo spensierata fuori dalla finestra, cercando tra le nuvole lo sguardo sereno della mamma «Non ti devi preoccupare! Senti, tu sei senza lavoro, vero? Ho la soluzione ai tuoi problemi!» mi girai di scatto verso la mia cara amica «Cosa vuoi dire?»                                                                                                                                  

«A casa abbiamo bisogno di una bambinaia! Sai com’è mio fratello: sergente e carabiniere allo stesso tempo! Vuole tenere sotto’occhio tutto e tutti e dato che la governante di casa è stufa di tutti noi, Fede sta cercando un’assistente» squadrai da cima a fondo quella ragazzina appena quattordicenne che sembrava avere il cervello di una della mia età: il suo sorriso era reso ancor più pazzerello dai codini elettrici che le davano un’aria un po’ troppo pestifera. Le sorrisi

«Mi stai offrendo un lavoro?»                                                                                         

«Lavoro, lavoro proprio no. Ti sto solo proponendo di fare un colloquio con mio fratello e poi si vedrà! Sono sicura che ti assumerà subito, nessuno può resisterti! Nemmeno quel rubacuori di Franco! Sai, è cotto a pennello!» arrossii improvvisamente, come potevo dimenticare le avance romantiche del gemello dei Fritzen e qualcosa «Maya! Franco non è cotto a pennello! E’ solo un po’ …»                                                                                

«Innamorato?» la fulminai con lo sguardo «No, affettuoso»                                               «Ah, Flor, smettila di dire cavolate! Ma se non ci credi neanche tu! Comunque, cambiando discorso, accetti?» guardai il soffitto per poi prendere un bel respiro «No» Maya strabuzzò gli occhi «Come no?»                                                                                                          

«No! Non posso accettare»                                                                                               

«Ma Flor, saresti perfetta per il ruolo di bambinaia! Sono sicura che i miei fratelli ti amerebbero fin dal primo momento! Già ne hai stecchito uno!» sorrise maliziosamente, probabilmente riferendosi a Franco «Si, anche io amerei i tuoi fratelli fin da subito …»     

«Ma c’è un però …» annuii abbassando lo sguardo «Però non mi piace avere la compassione altrui! Non è personale Maya, anzi ti ringrazio per aver pensato a me, però mi dispiace, ma non posso accettare e poi …»                                                                                            

«E poi c’è Fede, giusto? Tu hai paura di mio fratello, vero? Ma Flor, è umano, non ti farà niente, altrimenti avrebbe già spedito me ed i miei fratelli in un collegio in Mongolia! Non ti devi preoccupare! Devi solo pensare a te, ai soldini, a me e ai miei fratelli! Devi pensare ad essere felice!»                                                                                                             

«Sembri diversa Maya» mi sorrise, scuotendo energicamente i due codini «Sono grande! Ormai sono una donna!» presi uno dei miei cuscini a forma di cuore e glielo lanciai in viso «Colpita Donna!» iniziammo una lotta sfrenata tra solletico e cuscini. Un vero e proprio divertimento, finché esauste ci gettammo sul mio morbidissimo letto ormai coperto da centinaia e centinaia di piume «Grazie, Flor!» guardai la mia cara amica «E di cosa?»                                            

«Era una vita che non mi divertivo così! Grazie!» la strinsi forte a me, per poi unirci in un tenerissimo abbraccio: che bella che era l’amicizia, il sentimento più forte e duraturo al mondo. Come diceva la mia mamma “Esempi e benefici fanno gli amici” e Maya era una di questi.

«Come stai?» chiesi a Facha, seduto solo e abbandonato su una delle panchine del Passaggio dei Baci «E come vuoi che stia?» mi sedetti accanto a lui «Vuoi parlarne?» lo vidi unire le mani e con queste coprirsi il volto «Sto male, Flor! La band va male, sembra che nessuno ci voglia promuovere e in più abbiamo finito i soldi del fondo benefico! Sta andando tutto male!»  

«Non è poi così male non essere presi da nessuna parte! Possiamo farci una vera e propria gavetta e poi adesso che sono disoccupata proveremo di più e miglioreremo se necessario!» lo dissi con un velo di tristezza nel cuore: disoccupata con un sogno nel cassetto lontano dal realizzarsi. Ero messa proprio bene! «Non è poi così male? Certo proveremo, proveremo e riproveremo fino alla nausea e poi? Poi verrà un produttore come Leonardo e ci dirà: “Voi non siete commerciali! Non ho bisogno di diavolerie, ho bisogno di altro, di oro puro!”? Dovremmo provare per sentirci dire questo?»                                                            

«Lascia perdere Leonardo! Quello era solo un imbroglione da quattro soldi!» già, Leonardo Torres, cinquantenne povero e senza futuro, che si definiva “produttore discografico”. Si era finto d’oro, quando aveva il cuore solo pieno di bugie! Ci aveva ingannati, usati, maltrattati, promettendoci una carriera musicale “fenomenale” come la chiamava lui. Leonardo Torres un nome e mille menzogne! «Facha, non dobbiamo mollare! Se questo è il nostro sogno, questo deve rimanere! Se sarà necessario proveremo, suderemo, ma poi vedrai che arriveremo sul picco dell’Everest» mi guardò sdegnato «Il picco dell’Everest?»                                          

«Si, il picco! Insomma la vetta, il successo, chiamalo come vuoi tu! Ma non dobbiamo arrenderci! Ma non puoi nascondermi che stai male per altro, giusto?» lo vidi annuire in silenzio. Quando vedevo un amico addolorato per me era matematicamente impossibile farmi gli affari miei: ci stavo male, era questo il problema. Mi si stringeva il cuore e un improvviso magone mi prendeva l’anima: dovevo aiutarli «E’ per Carina, non è vero?» lo vidi ancora una volta assentire, con il volto completamente coperto dalle mani tremanti. Non lo dava a vedere, ma stava piangendo «Se n’è andata! Mi ha lasciato, ha lasciato tutti noi senza dire niente a nessuno! Dalla sera della festa non è più stata la stessa: frignava, piangeva, lamentandosi fino alla nausea!» “Perché non lo aveva mai fatto prima d’ora” pensai tra me e me «Ho cercato di parlargli, di confortarla, ma nessuno è riuscito a rassicurarla, tanto meno io e così se n’è andata»                                                                                                                            

«Mi dispiace, Facha! Non sai quanto mi dispiace che tu soffra per la sua partenza, ma forse è meglio così, non credi? Non possiamo nascondere che trattasse bene te e i ragazzi, dai, sarebbe una falsissima bugia e tu lo sai bene! E’ anche vero che se l’amavi …»               

«No, non l’amavo!» rimasi sorpresa dall’inaspettata risposta di Facha: in fin dei conti la loro coppietta di innamorati era vista in tutto il quartiere come la più bella degli ultimi cinque anni. Era come dire? La coppia della Telenovela perfetta «Non l’amavo, Flor! Mi dispiace ammetterlo, ma stavo con lei per compassione! Aveva bisogno di una persona su cui contare, una spalla su cui piangere, un amico. Ecco cos’eravamo amici … semplici e affettuosi amici …» ascoltavo senza parole la confessione di Facha: chi l’avrebbe mai detto? Io no di sicuro «Ciao Facha! Ti posso rubare Flor? Si che posso! Ciao!» non ebbi nemmeno il tempo di rendermene conto che Maya mi aveva già rapita dal Passaggio dei Baci. Povero Facha, per l’ennesima volta abbandonato solo sulla panchina!

«Aspettami qui, che vado a vedere se ti può ricevere, ok?» fissavo Maya sdegnata, schifata dal fatto che era riuscita a portarmi alla dannata villa per affrontare il colloquio con il fratello maggiore. Ero abbastanza arrabbiata con lei: prima mi aveva interrotto in un’importante conversazione consolatoria con uno dei miei amici più cari, poi mi aveva rapita dal Passaggio dei Baci ed infine mi aveva obbligata a presentarmi ad un colloquio di lavoro, non ben voluto «E non guardarmi come se avessi mangiato un pugno di mosche! Lo faccio per il tuo bene!» disse Maya prima di aprire la porta d’ingresso «Bene vuol dire mettere un amico a proprio agio, non accompagnarlo al patibolo!»                                                                                            

«Oh Flor, come la metti giù dura! Vedrai che mi ringrazierai! Aspettami qui, ok? Sai, per il problema delle relazioni extrafamiliari! Tu resta qui, non ti muovere!» chiuse la porta dietro di se e mi lasciò sola fuori dall’uscio, aspettando impaziente l’ora della mia morte. Pensavo a quanto fosse cocciuta quella ragazzina: quante volte le avevo detto che non avevo piacere a conoscere quel suo fratello alto, brutto e per di più sergente? Migliaia! Ma a lei non importava! Lei mi voleva come bambinaia a casa sua “Così possiamo stare insieme” diceva con quel suo tipico sorrisetto che ora come ora, avrei voluto spaccare a metà. Inoltre non avevo bisogno di un lavoro! Potevo benissimo arrangiarmi da sola! Chissà quante persone disoccupate si iscrivevano nel registro cosiddetto “inattivo” per avere lavoro? Migliaia! Ed io non avevo bisogno della compassione di nessuno! Tanto meno di quella di un fratello mal voluto in famiglia!   Improvvisamente sentii delle urla provenire dal giardino dei “sogni”. Aguzzai l’udito: sembravano le grida di un bambino, un bambino che chiedeva aiuto. Pensai alla frase di Maya «Non ti muovere un Fliquity! Io ci vado!» Senza pensarci su due volte corsi verso quella voce straziante. Attraversai cespugli, alberi e arbusti di calle e garofani (come nel sogno): non avrei mai pensato che dei ricconi potessero avere una villa del genere! Sembrava che il giardino non finisse più! Finché, finalmente, giunsi a quel luogo dove sembravano provenire le urla. Guardai il gazebo, al centro del giardino, ma non c’era nessuno. Guardai la fontanina, dalla parte opposta del chiosco, ma anche lì, non c’era anima via. Infine gettai l’occhio sulla piscina, che occupava gran parte del territorio, mi avvicinai, vedendo un certo movimento nell’acqua: un bambino implorava aiuto ed io? Beh io avevo una certa paura dell’acqua. Che fare?

ANGOLO AUTRICE: Questo capitoletto è ricco di avvenimenti abbastanza importanti, spero di non avervi confuso troppo le idee!!! Intanto ringrazio __Shadow__ Flori186 e piccolavenere96 ! Grazie ragazze, spero che  questo capitolo sia di vostro gradimento!!! Ciao e Buona Lettura
Ps: ho fatto un nuovo tentativo con l'intestazione, perchè non mi piceva l'allineamento... non so cosa uscirà, incorcio le dita!

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Capitolo 12
*** Incidente o Accidente? ***


            INCIDENTE O ACCIDENTE?          

Fin da piccola ebbi sempre quello strano terrore dell’acqua. Di solito si associa quest’inspiegabile paura a qualche evento particolare o ad un semplice incidente, ma come avete capito fino ad ora, io non sono una persona normale e tanto meno lo è la mia storia. In quel giorno primaverile io e la mia famiglia decidemmo di trascorrere un piacevole pomeriggio all’aria aperta in campagna. Avevo circa cinque anni e adoravo passare la maggior parte del tempo tra l’affetto della mia mamma e del mio papà, soprattutto quando insieme organizzavamo dei fantastici pic-nic. Sono soltanto vaghi ricordi, flashback sbiaditi, privi di colori e di una logica ben espressiva, ma ben ricordo quell’immagine,l’immagine che intravidi specchiandomi quel giorno nello stagno del parco, quel volto annientato dalla malattia, quel viso pallido, triste, le cui occhiaie violacee davano un evidente segno di debolezza e stanchezza. Un uomo, un uomo di mezza età, capelli bianchi, spettinati, talmente corti da farlo sembrare calvo e una macchia, quella macchia rossa sulla parte sinistra della fronte, una chiazza purpurea, simile ad una voglia, che ogni giorno vedevo crescere sul mio viso, nella stessa posizione.                                                                                                 Guardavo agitata quella piccola figura divincolarsi nell’acqua azzurra della piscina. Implorante, quel bambino in preda al panico, chiedeva soccorso, supplicava aiuto ed io, impacciata più di un bradipo inanimato non riuscivo a muovermi. Portai confusa una mano alla fronte, dove quella piccola macchia scarlatta aveva preso forma nel tempo: la paura di rivedere quel volto riflesso nell’acqua mi terrorizzava. Non sapevo chi fosse ne cosa volesse da me, sapevo solo che era un fantasma venuto dall’aldilà con chissà quale scopo nella vita! Da piccola adoravo dar da mangiare alle paperelle dei laghetti, o giocherellare con la mamma mentre mi faceva il bagno. Purtroppo quell’essere macabro mi aveva allontanata da ciò ed io non ero stata mai più in grado di avvicinarmi al mio riflesso in acqua.                                       


Il bambino stava affogando e le sue urla strazianti riempivano di angoscia il giardino dei “sogni”. Mi guardai attorno in cerca di un qualcosa che potessi gettare in acqua per aiutarlo, ma tranne che arbusti e piante colorate, non c’era nient’altro. L’unica possibilità che avevo era correre a cercare aiuto, ma sapevo che se mi fossi allontanata da quella dannata piscina, non sarebbe stato sicuro trovare la persona giusta al momento giusto, per aiutare il piccino, anche perché la casa di Maya era un labirinto disumano!   
«Resisti!» riuscii solo ad urlare, forse più per tranquillizzare me stessa che il bambino “Resisti” ripensai. Ero una vera e propria buona a nulla: possibile che i problemi sorgessero solo e soltanto in mia presenza? Possibile che quel fantasma raccapricciante ce l’avesse solo con me?            
Vagavo confusa avanti e indietro, davanti a quell’orribile piscina in preda ad una marea di dubbi: era evidente che il bambino non fosse durato ancora per molto «Aiuto!» urlai con tutta la voce che avevo in corpo «Qualcuno mi aiuti!» grida imploranti, ecco cosa ero solo brava a fare: strilla scongiuranti e nulla più.                            
Il bambino divincolava le mani, io urlavo a più non posso e puntualmente nessuno era la persona giusta al momento giusto! “La mia solita sfortuna sfacciata” pensai mentre, scorsi dietro ad una colonna dell’incredibile portico della villa, un bastone. Corsi per afferrarlo: mi sentivo osservata. Intravidi un’ombra dietro ad uno degli innumerevoli pilastri color mattone «C’è qualcuno?» chiesi con la voce tremante. Che il fantasma mi fosse venuto a prendere? Scrollai ogni pensiero: probabilmente la paura giocava brutti scherzi. Afferrai quella specie di asta blu scuro con un strana spazzola spelacchiata e mi avvicinai con cautela all’acqua «Coraggio, piccolino, resisti!» Pian piano allungai il bastone, facendolo immergere lentamente nell’acqua per farlo arrivare al bambino. Avanzai adagio verso la piscina, tenendo chiusi gli occhi terrorizzata «Coraggio, piccolino! Afferra l’asticella!»                                                                                                         
Scivolai: ormai credevo che il fantasma si fosse impossessato di me, del mio corpo, della mia anima e di tutto ciò che possedevo, invece no! Semplicemente il Destino o ancora più semplicemente le fatine, avevano deciso di farmi fare un bel tuffo in piscina. Il tocco dell’acqua fu tragico: sprofondai in quell’immensa freschezza, toccando con la punta del piede il fondo. Aprii gli occhi esterrefatta e probabilmente l’istinto animale o della sopravvivenza mi salvò. Mi diedi una leggera spinta verso l’alto, riemergendo per lo meno fino al collo. Se io ero in pericolo anche il bambino lo era. Cercai di raggiungerlo come mi fu possibile: bracciate ampie manate. Era come una tortura!                                                                         
A fatica raggiunsi il piccino. Era una scena terribile: si agitava fino all’esasperazione. Allungai la mano per attirarlo a me. Presa debole, tentativo inutile. Mi sporsi ancora un po’ più in là e riuscii a cingergli i fianchi e a bloccare quei suoi movimenti bruschi «Un ultimo sforzo, piccolino!» con la voce ormai debole per il troppo sforzo, allungai velocemente la mano per afferrare il bordo in cotto bagnato: con tutta quell’azione, l’acqua agitata, ci aveva spostati un po’ più al margine. Sprofondai e questa volta volontariamente. Aprii gli occhi, mi guardai attorno in cerca di un aiuto per portare il bimbo sulla terra ferma. Improvvisamente lo vidi. Nuovamente lui, quell’uomo di mezza età con quella macabra macchia che mi sorrideva. Che ridesse della mia morte? Stavo forse per andarmene?                                                                                                                                             Scrollai la testa violentemente per ritornare alla realtà: ero sott’acqua, senza fiato e con gli occhi brucianti per il troppo cloro «Tomás!» una voce maschile, debole, forse imbottigliata dalla troppa acqua nelle orecchie, chiamò qualcuno. Speravo che si fossero accorti di noi, del traumatico incidente. Il desiderio di respirare ancora una volta unito al voler spiegare l’accaduto a quella voce misteriosa, mi diede l’impulso di risalire a galla. Mi diedi una piccola spinta come la prima volta, agitando le braccia per trovare più facilmente l’uscita a quell’aggrovigliarsi di sforzi inutili. Mi dimenavo, mi muovevo, scuotevo braccia e gambe, ma da quella dannata piscina non uscivo: ero come bloccata. Come se non bastasse gli occhi mi bruciavano e, cosa molto più importante, non riuscivo a respirare, mi mancava l’aria!                                                                                 «Aiuto» sussurrai debolmente, mentre una scarica di bolle fuoriuscivano dalla mia bocca, inspiegabilmente colma d’acqua. Il pensiero di morire mi sfiorò la mente: cosa ne sarebbe stato di me? Ma soprattutto l’idea di non aver minimamente vissuto mi riempiva il cuore di tristezza. Mi sentivo imbottigliata, intrappolata, catturata, come un moscerino preda di un famelico ragno. I battiti del mio cuore diminuivano lentamente ed ogni movimento aumentava inaspettatamente la mia voglia di respirare e l’incontenibile acqua nei polmoni. Sentivo quel liquido freddo, omicida, scorrermi per le vene e la testa pulsare, battere talmente tanto da non provarne dolore. Credevo di morire, anzi forse già lo ero, visto che un’incredibile sensazione di pace mi prese l’anima. Pacatamente chiusi gli occhi, le palpebre mi si erano fatte pesanti e l’inverosimile voglia di schiacciare un pisolino mi avvolse …

«Flor, coraggio, svegliati!» aprii lentamente gli occhi in cerca della voce a me tanto cara. Una luce intensa si impossessò del mio viso, che dovetti coprire con entrambi le mani «E se avesse perso gli occhi? Sapete l’impatto con l’acqua, il fatto di essere quasi annegata …» non riuscivo a vedere nulla, quel bagliore vigoroso mi aveva completamente oscurato la vista «Se non la smetti di dire cavolate, ti annego io con queste mie bellissime manine, chiaro?»      
«Ragazze, per favore, non vedete quanto sta male? Piccola Flor, ti senti bene?» scossi leggermente il capo. La testa mi doleva ancora e sentivo i miei fliquity confusi arrampicarsi per ogni minimo spazio del mio cervellino «Rilassati, che ora tutto passa …» sentii un leggero calore avvolgermi gli occhi, completamente diverso da quell’insistente bagliore precedente. Un tepore dolce, mite, quasi come una carezza mi avvolse totalmente. Aprii  gradualmente gli occhi: mi trovavo in un enorme giardino fiorito, ammaliato da un’affettuosa luce azzurrina, che rendeva l’atmosfera surreale. Piccole cascate riempievano di naturalezza il paesaggio, donando quel tocco di magia in più a quei bellissimi fiori che dipingevano l’erba estiva. Voltai lo sguardo e intravidi un esserino famigliare «Brisa?» vidi la lucetta verde muoversi agitata davanti ai miei occhi «Ragazze, come mai mi vede?» la fatina si guardava attorno spaesata, quasi frastornata ed io più confusa di lei, osservavo ogni suo battito d’ala «E te lo chiedi anche? Sei solo una scimunita!» una pallina rossa si materializzò dal nulla «Lumbre!» dissi stupita da quell’incantevole magia «Vedi qualcun altro che mi somiglia? Ah, ci sono anche Linfa e Suelo nascoste da qualche parte! Dai buone a nulla venite fuori!» divertite risatine presero spazio nell’ambiente «Devi fare più pratica con “Illusio”!» rise la più schizzinosa delle fate «Non prendiamola in giro, povera Brisa! Ha una vita davanti a se e mille e una possibilità per sbagliare e imparare!» osservai dolcemente le lucette battere becco ed ala contemporaneamente: era bello trovarsi con delle amiche, serena, tranquilla in un posto familiare. “In un posto familiare” ripensai un poco confusa, mentre riguardavo il paesaggio azzurrino che mi circondava “Io non sono in un posto familiare!”  Suelo probabilmente si accorse della mia preoccupazione e mi volò accanto «Tutto bene, piccina?» fissavo il vuoto, ripensando alla tragica scena della piscina. Che fosse stato tutto un sogno, o meglio un incubo? Eppure l’acqua sembrava così reale, così fredda e stavo male veramente, non era una finzione … «Sputa quel rospo che ti intossica la gola e dicci cos’hai!» guardai Lumbre, poi Brisa, Linfa ed infine Suelo «Sono morta?» le quattro fatine scoppiarono in una sonora risata, mentre io, confusa più che mai, le guardavo perplessa «Morta tu? Ahahah, ma non farmi ridere! Ma se sei più viva di una fata chiacchierina!» quanto mi sarebbe piaciuto avvolgere le mani attorno a quell’arrogante pallina rossa e stringerle forte, ma talmente forte da sentire un lieve crack «Piccola mia, non sei morta! Ti abbiamo salvato in tempo, prima che tu passassi a miglior vita …»                                                                           
«Scusate, ma se migliorava la sua vita, perché non l’abbiamo lasciata andare?» vidi Lumbre divampare inesorabilmente le fiamme della sua luce «Sciocca, tonta, svampita, rintontita, beota, balorda, tonta …» la sentii sussurrare con la sua solita insolenza, ma non ci feci più di tanto caso, ormai la conoscevo!                                       
«Se non sono morta, dove mi trovo?» gettai ancora una volta lo sguardo a quel meraviglioso giardino che mi circondava «Che fatine sbadate! Perdona la nostra ostile accoglienza! Flor, benvenuta nella nostra casa!» strabuzzai gli occhi, sorpresa dall’ennesima rivelazione «La vostra casa?» possibile che mi trovassi nel Pese delle Fate? Probabilmente avevo dei seri problemi mentali «E dove abitate, scusa?» cercavo di scorgere, che ne so, una casetta, un posticino confortevole, una dimora piacevole o semplicemente una foglia secca dove poter schiacciare un pisolino, ma tranne che fiori, erba ed acqua non vedevo nient’altro «Oh, che pensa che tu sia così poco informata sulla nostra storia! Non importa! Noi fate amiamo la natura e tutto ciò che la riguarda. Per esempio io mi occupo della terra, dei germogli e del cambio delle stagioni. Lumbre è la protettrice del fuoco, il fuoco frizzante della passione e della superbia. Linfa porta con sé la purezza dell’acqua, mentre la nostra tenera Brisa, nasconde la forza del vento! Devi sapere che a noi fate vengono assegnati importanti poteri fin dalla nascita e durante il corso della vita, abbiamo il dovere di proteggerli, coltivarli ed esprimerli con tutto l’amore possibile. Viviamo per la natura, ma soprattutto per voi esseri umani! Sono i vostri cari che ci affidano le vostre vite, per accompagnarmi nel vostro Destino»                      
«Come mia madre …»                                                                                          
«Esatto, Margarita tempo fa ci chiese gentilmente di darti una piccola occhiata!» segui Linfa «Occhiata? Spiarla vorrai dire? Mi chiedo il perché sia nata fata? C’erano così tanti mestieri migliori nella vita!» come sempre nessuno fece caso alle parole di Lumbre «Ah, tesoro, questo è un regalo della tua mamma …» Suelo si avvicinò a me, mi chiese dolcemente di aprire la mano destra. Nuovamente quel tepore dolce mi avvolse e quando aprii gli occhi vidi una piccola noce argentata «Una noce?»                                                                                          
«Non una noce qualsiasi, ma la noce della tua mamma!» sorrise Suelo «Perché?» domandai fissando malinconica quel frutto dal colore lucente «Perché non è lei a consegnarmela? Perché non è lei a farsi vedere? Perché non è lei a starmi vicino? Perché non è lei a prendersi cura di me? Perché?» crollai in un pianto profondo. Sapevo che sarebbe successo prima o poi, immaginavo di non poter nascondere la mia malinconia ancora per molto. Le lacrime scendevano irritanti sul viso. Mi faceva male sapere che mia madre c’era, era presente, ma usava particolari intermediari per comunicare con me, perché? Perché non si materializzava come quegli esserini colorati e mi consegnava lei i suoi regali? Perché?                                                                     
«Su, piccola, Flor, non essere triste! La tua mamma vorrebbe coccolarti e prendersi cura di te, è solo che non gli è permesso! Sai come sono ottusi là sopra!» Suelo mi indicò divertita il cielo «Vorrei solo vederla ancora per una volta, solo una …» volevo sentirla vicina, ascoltarla, accarezzarla, accoccolarmi al suo ventre per provare ancora quella dolce sensazione di essere amata. Volevo la mia mamma tutta per me. Solo e soltanto per me.                        
«Asciugati quei lacrimoni e preparati!» Linfa mi scaldò dolcemente con la sua luce, cercando probabilmente di cancellare quelle goccioline acide «Prepararmi per cosa?»                 
«Piccina mia, non sai quanto ci dispiace, ma l’ora del the è già passata ed è scaduto il tempo!»  «L’ora del the? Tempo scaduto? Non capisco …»                                                 
«Tieniti pronta! Ah, ricorda il cuore ti dirà quando sarà im momento giusto per piantare la noce! Ricorda, la pianterai solo per esprimere un desiderio, solo uno!» un enorme luce colorata mi avvolse completamente da cima a fondo. Chiusi velocemente gli occhi, oscurando ogni piccola possibilità di vedere ciò che mi stava accadendo. Un forte prurito attaccò violentemente il mio stomaco: era come se una miriade di farfalle si divertisse a svolazzare per tutto il mio corpo. Mai sentita così, neanche sulle montagne russe! L’improvviso dolore alla testa mi colpì nuovamente e questa volta sì che faceva male, sembravo uno straccio nella lavatrice da tanto ero scossa su e giù, destra e sinistra, avanti e indietro. Solo di una cosa ero certa: mai viaggiare con la compagnia delle fate!

«Un, due, tre … Un, due, tre … Un, due, tre» mi sentivo strana, le farfalline continuavano imperterrite a svolazzare per lo stomaco ed io? Io mi sentivo insolita, troppo insolita «Un, due, tre! Dannazione! Matias chiama un’ambulanza!» quella voce maschile mi trasmise un non so che di protettivo. Serena, tranquilla, pacata, lievemente trasportata da quella voce «Coraggio! Riprenditi! Forza! Un, due, tre!» sentii una leggera pressione sullo sterno, come se qualcosa mi stesse schiacciando «Dai!» improvvisamente i polmoni si riempirono d’aria. Spinta da un’incredibile energia, aprii spontaneamente gli occhi, tossendo acqua ovunque. Respiravo affannosamente, mentre mi guardavo attorno in cerca di qualcosa di famigliare: una decina di persone mi guardava attonita, preoccupata forse per me. Riconobbi Maya, la mia cara amica: il suo viso nervoso, angosciato, preoccupata per me. Avrei voluto alzarmi, correre ad abbracciarla, tranquillizzarla, ma se non avevo nemmeno la forza di pensare e parlare, tanto meno potevo avere quella di camminare, no?  Mi faceva ancora troppo male la testa e come se niente fosse, facevo fatica a respirare: era come se l’acqua mi avvolgesse ancora con quel suo desiderio omicida, terribile!                                                  
«Fate largo ragazzi! Lasciatela respirare! Via! Come ti senti?» voltai lo sguardo verso la voce, la voce che poco prima mi aveva donato la forza giusta per rivivere «Stai bene?» strabuzzai gli occhi: bere mi dava qualche problema di sobrietà! Davanti a me il biondo, bellissimo, affascinante, nonché attraente Principe-Orco!                                                                                   
Non un uomo qualsiasi, non un ragazzo qualsiasi, ma lui, il mio Principino tanto bello quanto Orco, che mi guardava con aria preoccupata, probabilmente desideroso di sapere del mio stato. Che bello vederlo così, tanto vicino a me, lontano da quella collera che lo aveva invaso tempo addietro. Non mi importava il suo carattere scontroso, ne il perché si fosse arrabbiato in così malo modo, non mi importava, perché in quel momento c’eravamo solo lui ed io. Io bagnata fradicia da cima a fondo, che ancora sputavo acqua ovunque e lui con quel suo bellissimo sguardo magnetico, che mi fissava ansioso di sapere. Mi persi ancora una volta nei suoi occhi, il mio cuore accelerò e la vista mi si annebbiò.Cos’era successo ora?

ANGOLO AUTRICE: Ho avuto molto da fare in questi giorni, perciò eccomi qui con il nuovo capitoletto (molto strano, devo dire, ma mi è uscito così!) un po' in ritardo! Perdonatemi, ma non ce l'ho proprio fatta a pubblicarlo prima di adesso! Spero almeno sia di vostro gradimento! Un grazie di cuore a chi ha commentato la scorsa volta! Buona Lettura!

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Capitolo 13
*** Quel Piccolo Fiore di Bruin ***


____________Quel Piccolo Fiore di Bruin___________
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«Sarà morta?» man mano che prendevo conoscenza le voci accanto a me si facevano sempre più marcate, quasi fastidiose «Apoplessia, Roberta! Si chiama apoplessia!» per quanto mi sforzassi di aprire gli occhi, per curiosare, non ne ricavavo nulla «Apople che?» ero paralizzata: le palpebre pesanti, l’incessante voglia di dormire e l’impossibilità di muovermi mi bloccavano completamente «Basta! Il dottore ha detto che deve riposare e se continuate con queste chiacchiere inutili, va a finire che sarò io a paralizzarvi!» a stento riconobbi l’inconfondibile voce di Maya: era proprio una ragazza forte. Per quanto fosse delusa e amareggiata dal suo passato, sempre dava il meglio di se. Sapevo che sarebbe diventata una grande donna un giorno «E’ simpatica?» domandò per niente intimidita la voce della probabile bimba accanto al letto in cui mi trovavo «Sì» rispose svogliatamente Maya «E’ buona?» continuò l’unico ragazzino nella stanza «Fin troppo» sentii un leggero peso accanto al mio piede: Maya aveva accomodato svogliatamente i gomiti sulla coperta e sbuffò sconsolata. Quella ragazza era sempre così facilmente suscettibile: se toccava il cielo con un dito, il secondo dopo stava già attraversando l’inferno. Fin da quando la conoscevo, affrontava alcuni argomenti rispondendo a monosillabi, come se non le importasse nulla di tutto e di tutti «Quanti anni ha?» la voce della bimba si fece quasi più insistente «Diciannove»                                                                                                                         «E …»                                                                                                                                     «E cosa?» Maya stava perdendo la pazienza «E come si chiama?»continuò il ragazzino «Mi sembrate parenti di vostro fratello! Che c’è? Ha mandato voi per il mio terzo interrogatorio quotidiano?» segui un silenzio abbastanza incomodo, dato che io potevo ascoltare gli altri senza che si accorgessero della mia presenza. Possibile essere goffa anche in occasioni così “particolari”? A quanto pareva si! E secondo dati certi la paralisi colpiva solo una persona su cento, naturalmente quella persona ero io!                                                                                                                «E …?» ero completamente sicura che Maya stesse fulminando la bimba senza alcun riguardo        «Flor! Si chiama Flor! Non avete di meglio da fare? Coraggio Nanerottoli, filate via!» anche ad occhi chiusi mi sembrava di vedere la scena: Maya accucciata accanto al letto che guardava irritata i due bimbi, invitandoli scortesemente a lasciare la stanza  «A far che?» domandò la piccina «Plays, Toys, Games?»                                                                                                           «Credo che ci stia bandendo»                                                                                                «Sì, vi sto bandendo! Ed ora smammate di qui e sappiate che non voglio più vedervi fino all’ora di cena!» uno scatto improvviso e la porta si chiuse. Maya sbuffò esausta «Santo Cielo! Che Nanerottoli sconclusionati!» mi prese dolcemente la mano «Ah Flor, che ti è successo? Sai una cosa? Non mi sembra vero vederti lì come un cadavere in un cimitero» sorrise «Adesso sto iniziando a parlare come te! - sentii la presa più forte - Ci hai fatti preoccupare tutti quanti e credimi, far preoccupare l’intero battaglione Fritzenwalden non è cosa da poco, ma tu ci sei riuscita! Se sapessi cosa ha fatto mio fratello? Si, il Mangiabambini come lo chiami tu, proprio lui! Sai cosa ha fatto? Quando ha visto che tu e Tomás eravate in pericolo non ha aspettato un istante per gettarsi in acqua a salvarvi! Sai, è grazie a lui se siete ancora qui! Gli unici a non averla presa bene siete tu e Tomás! Per fortuna non te la stai passando male come lui! Povero, dovresti vedere che febbre ha! E’ da due giorni che dorme senza mai svegliarsi a causa di quella maledetta febbre che non si abbassa! Sono preoccupata, Flor … molto preoccupata … » riuscii leggermente a muovere la testa. Tomás doveva essere il bambino che avevo cercato di salvare l’altro giorno e l’idea che stesse male, un po’ anche a causa mia, mi terrorizzò paurosamente. Il piccolino aveva passato questi due probabili giorni a cercare di recuperare le forze, come me d'altronde, però senza riuscire ad ottenere niente. Inoltre la mia carissima amica Maya stava male: la sua voce tremava ed era particolarmente preoccupata sia per la mia sorte che per quella del fratello. Come potevo restare lì impalata, incollata ad un misero letto, senza muovere nemmeno un dito? Non era da me e questo sia io che le fatine lo sapevamo bene, anzi molto bene. Il meglio che potessi fare era svegliarmi e andare ad assistere quel piccolino, anche perché sapevo che il Mangiabambini lo aveva abbandonato a se stesso! Non avrei mai permesso che Tomás non si riprendesse da quella dannata febbre, presa un po’ anche a causa mia! Quanto era vero che mi chiamavo Florencia Fazarino!                              Con i pensieri ancora confusi, concentrai un piccola preghiera di aiuto alle fatine, sperando di non imbattermi nell’ennesimo pasticcio. Sapevo che nonostante la loro goffaggine e grossolanità, si sarebbero preoccupate di starmi accanto nel bene e nel male, come la mia mamma li aveva gentilmente imposto. Come ormai di consueto, quella strana energia mi percorse il corpo, facendomi recuperare anche le ultime forze. Con ancora la mano tra quelle di Maya, riuscii pian piano ad aprire gli occhi e ad imbattermi nel sorriso spigliatissimo della mia cara amica: per la prima volta nella loro vita le fatine mi avevano aiutata!                                                                          «Flor!» Maya mi abbracciò energicamente: le ero mancata «Finalmente! Non sai quanto mi hai fatto preoccupare! Per un poco ho pensato che preferissi dormire che ascoltare i miei problemi di cuore!» entrambe sorridemmo amichevolmente. Sapevo quanto Maya fosse legata all’amore e in modo particolare a Gonzalo, ma purtroppo non sempre le cose vanno come vogliamo e anche le tortore innamorate prima o poi perdono il volo e la loro coppietta stava facendo questa brutta fine.                                                                                                        «Come ti senti?» scorsi nuovamente preoccupazione in quei suoi occhi nocciola «Abbastanza bene, direi! Mi gira un po’ la testa, ma quella sarà colpa dei fliquity, no?»                             «Ah Flor, non sai quanto mi sei mancata!» mi riavvolse teneramente nelle sue braccia «Non ho potuto parlare con nessuno oltre che con Vale! Quella ragazza è una chiacchierona, ma una chiacchierona …»                                                                                                  «Credevo fosse tua amica!»                                                                                                    «E lo è!» tornò a fissarmi dolcemente «Ma a volte è così pesante da digerire!» la sua faccia buffa nell’imitare Valentina mi fece sorridere «Fliquity! Tuo fratello!» mi alzai velocemente dal letto, cercando disperatamente le mie scarpette per la stanza «Flor, non credo che le troverai …» non feci caso alle parole di Maya, ero troppo concentrata nell’ammirare la meravigliosa camera nella quale mi trovavo «Dove sono?» chiesi imbambolata nell’osservare l’incantevole quadro accanto al letto «Nella camera di Fede!» sorrise maliziosamente Maya «Il Mangiabambini?!» esclamai terrorizzata, allontanandomi schifata dal letto che poco prima avevo occupato «C’è da aver paura a vivere in questa stanza! Santo Fliquity hai un cavernicolo come fratello!» guardai esterrefatta la specie di coperta di pelo distesa sul letto «Ha ucciso qualche Mammut?»    «Ah Flor, non cambierai mai! Non so nulla del Mammut di mio fratello, però ti posso offrire una bella coscia di bradipo rustico al profumo di tigre dai denti a sciabola!» vidi sorridere Maya «Mi prendi in giro?» entrambe scoppiammo in una sonora risata «Fliquity! Tomás! Avevo promesso alle fatine che mi sarei presa cura di lui! Ah, dove sono le mie scarpe!»                                                                                                                                 «Delfina le ha buttate!» fulminai Maya di colpo «Come? Delfina chi?» l’adrenalina stava prendendo parte del mio corpo «A chi cavolo prende il fliquity di buttare le mie scarpe?!»                                                                                                                                «Flor, cerca di calmarti!» mi invitò Maya, prendendomi per le spalle «Calmarmi? Come posso calmarmi se le mie scarpette preferite sono state barbaramente gettate nella spazzatura?» dissi portandomi una mano disperata al naso e fingendo un pianto nervoso «E si può sapere perché lo ha fatto?» chiesi recuperando un po’ la calma «Per il fango …» sussurrò Maya sorridendo «Ma il fango non è un motivo valido per buttare delle scarpette praticamente nuove!»                                                                                                                                   «Ma c’è dell’altro, ha detto anche che erano fuori moda e antiqualità! Non guardarmi così, Flor! Ho cercato di convincerla e di riprendermi le scarpe, ma la fidanzata di mio fratello quando si mette in testa una cosa, sa essere molto, ma molto aggressiva e testarda! Te le ricomprerò, tanto con la paghetta di Fede posso comprarmi anche un intero armadio con tutte le firme di questo mondo! Quindi non mi costerà nulla usarla per un’amica come te» sorrisi di fronte a tanta dolcezza. Non era per il fatto di avere delle scarpe nuove, anzi le mie snakers non si potevano nemmeno comparare all’incredibile e affettuosa amicizia di Maya!               
L’abbracciai dolcemente «Non fa niente! Era solo per dire!» a piedi scalzi mi diressi verso la porta, poi mi voltai verso la mia carissima amica «Dove sta Tomás?»                                           «Percorri il corridoio, è la seconda porta a destra» la ringraziai ricevendo un bell’occhiolino.

«Sciocco moccioso» mi avvicinai alla porta indicatami da Maya «Non sai quanto mi dispiace di averti addolorato» una voce femminile e particolarmente impudica si udiva nella probabile stanza del bambino «Un incidente eh? Sapessi che spiacevole disgrazia, my dear! Eppure vedendoti lì, pacato, tranquillo con quel viso morso dal dolore mi da un non so che di piacevole …» incuriosita dalla sgradevole conversazione entrai pian piano nella camera da letto «E’ permesso?» dissi timidamente, nell’istante in cui una coda di cavallo nera si girò per lasciare spazio ad una donna estremamente sofisticata. Indossava un completo blu scuro, che si dileguava lungo i suoi fianchi terribilmente femminili, nonché l’esatti opposti dei miei fliquity goffi! Congiungeva raffinatamente le mani all’altezza del bacino e cadeva perfettamente in quei tacchi a spillo dello stesso blu profondo dell’abito: in confronto sembravo un’otaria straziata per il troppo lavoro al circo!                                                                                                                                       «Disse la strega quando Il Principe liberò la Principessa e vissero per sempre felici e contenti» la giovane mi sorrise raffinatamente, mentre metteva una mano sulla fronte di Tomás, addormentato nel letto. Mi si avvicinò, squadrandomi da cima a fondo, mettendo a fuoco ogni centimetro della mia pelle e percorrendolo solamente con lo sguardo, fermandosi definitivamente nei miei occhi «E così tu saresti la “Salvatrice”?» mi guardava come un leone osservava la sua preda. «Anche se di eroina non hai poi tanto! Non so come i fratelli di Federico si ostinino tanto a considerarti tale …» si avvicinò alla porta della stanza, dandomi completamente le spalle, segno di maleducazione, anzi, di estrema maleducazione. Il suo asfissiante profumo di cannella intorpidì l’ambiente, causandomi un impervio attacco di tosse «Grossolana!» sussurrò schifata «Ah!» si girò guardandomi smorfiosa «Appurato il tuo stato fisico, ti ringrazierei se andassi a congedarti da Federico! Quel prodigo del mio fidanzato si preoccupa sempre per gli altri, un giorno lo faranno Santo!» sospirò elevando le mani al cielo, sempre raffinatamente «Ah, dimenticavo! E’ maleducazione non salutare, perciò stammi bene!» girò i tacchi e se ne andò, per fortuna, da quella stanza: l’aria si stava facendo leggermente pesante e non solo per il profumo!                                                                                                                                 Alzai gli occhi al cielo, pregando le fatine che quella vipera biforcuta trovasse un rimedio alla sua acidità, poi rivolsi lo sguardo al piccolino che giaceva privo di sensi in uno dei due letti blu che occupava la stanza. Tomás dormiva tranquillo e beato con un panno bagnato sul viso, probabilmente per agevolare l’abbassamento della temperatura. Mi faceva tenerezza la sua tipica espressione da angioletto addolorato: come si poteva far star male una creaturina tanto gracile come innocente?                                                                                                                       «Mi sa che hai bisogno di cure!» mi avvicinai al lettino blu scuro, come l’intera stanza naturalmente, e, dopo aver preso il panno e averlo bagnato nel catino sul comodino, glielo posai dolcemente sulla fronte. Il piccolo fece una smorfia di dolore e per proteggerlo da quella tanta sofferenza febbrile lo consolai stringendoli teneramente la mano.                                                   Quando ero solita ammalarmi, mia madre sempre mi coccolava con una delle mie fiabe preferite: Cenerentola. Diceva che se stavi male, il meglio che si potesse fare era pensare a qualcosa che ti facesse sorridere: nel mio caso le fiabe. Non sapevo se al bimbo avrebbe fatto piacere ascoltare una storia di principi e principesse, ma era ovvio che tentar non nuoce, quindi alternando il racconto, alle coccole e al cambio del panno, narrai la fiaba che fin da piccola mi aveva fatto sognare ad occhi aperti. Chi nella propria infanzia non si era mai affezionato ad una storia in particolare? Chi non aveva mai sognato di somigliare un po’ alla fanciulla sporca di fuliggine, ma amabile e generosa? E infine chi non aveva mai sperato di aprire gli occhi e trovarsi a danzare in un meraviglioso palazzo con un affascinante principe? Cenerentola sembrava avere tutti i buoni requisiti per essere la mia fiaba preferita e sicuramente sarebbe piaciuta anche a quel piccolino che giaceva nel letto inerme.
«Vedo che stai meglio» una voce mi fece trasalire. Mi girai di colpo, portandomi una mano al cuore per lo spavento appena ricevuto e mi imbattei nella perfetta figura del Principe. Con il suo fascino ed estremo pudore mi guardava dallo stipite della porta, come meravigliato dalla mia presenza in quella stanza. Indossava un completo grigio con una cravatta blu, perfettamente intonata ed i capelli biondi, leggermente corti, mettevano in risalto la vigorosa barba sul viso. Entrò lentamente nella stanza e si sedette ai piedi del letto, mentre osservavo ogni suo movimento sbigottita per averlo così vicino e non riuscire nemmeno ad articolare parola «Come stai?» mi chiese, mentre accarezzava dolcemente la fronte del piccolo «Bene» sussurrai visto la mancanza di fiato dall’emozione «Con tutti questi incidenti non ci siamo ancora presentati» sorrise nervoso, ma già morivo di fronte a tanta tenerezza «Federico Fritzenwalden» mi porse educatamente la mano, che accettai timorosa «Flor … encia! Ehm, volevo dire Flor, cioè Florencia!» "Federico Fritzenwalden fidanzato" pensai sconsolata ricordando le parole della giovane coda di foca.     «Flor o Florencia?» chiese in tono scherzoso «Flor, ehm, Florencia! Insomma, come vuoi tu!» mi odiavo per quanto potessi essere noiosa ed estremamente goffa di fronte agli altri. Mi odiavo per essermi distinta così facilmente e negativamente davanti al Principe dei miei sogni che aveva finalmente un viso, il viso del fratello di Maya! Altro che Mangiabambini brutto, grasso e cattivo, lui era la perfetta copia del Principe di Cenerentola: bello, bello e bello, possedeva proprio tutte le qualità dell’uomo perfetto, un sogno!                                               «Ti dirò subito che non sono abituato né a scusare né a ringraziare, nonostante ciò, sappi solo che hai tutta la mia fiducia e gratitudine!» alzai lo sguardo incontrandomi con il suo: sarà stato anche un Principe bello, bello e bello, ma di umiltà ne aveva una gran, bella e poca «Non so, chi in una situazione del genere avesse fatto quello che hai fatto tu! Dimmi una cosa, Flor, tu non sai nuotare, vero?» annuii in silenzio «Lo immaginavo, grazie al Cielo Maya è venuta ad avvisarmi prima del peggio!»                                                                                             «Grazie!» incalzai timidamente «Io invece sono abituata a ringraziare per qualsiasi cosa e tu mi hai salvato la vita, per tanto grazie!» abbassò lo sguardo abbastanza nervoso, mentre allentava con la mano il nodo della cravatta. Dopo qualche istante di silenzio, passato a contemplare quella sua dannata bellezza, fu lui il primo a interromperlo «Bene, credo sia giunto il momento di salutarci» disse alzandosi dal letto e raggiungendo la porta della stanza, non prima sicuro che il panno sulla fronte del bimbo fosse umido «Greta, la mia governante ti accompagnerà alla porta. Per qualsiasi cosa …» abbassai gli occhi intravedendo i miei pugni fortemente contratti «Io non me ne vado!» sussurrai flebilmente «Come scusa?» alzò un sopracciglio, probabilmente meravigliato «Ho detto che io non me ne vado di qui prima che Tomás si sia completamente ristabilito!» non ero mai stata così decisa e diretta in tutta la mia vita che in quel momento «Tu mi stai dicendo che vuoi restare qui, in casa mia a prenderti cura di mio fratello? Hai tutta la mia fiducia e la mia gratitudine, certo, ma cosa ti fa credere che te lo permetterò?» mi alzai dalla sedia che avevo occupato precedentemente per prendermi cura del bambino e mi avvicinai cautamente a Federico «Per colpa, sensi di colpa! Avrei potuto salvarlo se avessi voluto, ma la mia paura ha vinto ancora ed ora Tomás sta male a causa mia!»                                                                                                                 «E tu credi che lascerei mio fratello nelle mani di una sconosciuta?»                                  
  «Flor non è una sconosciuta!» Maya si intromise di soppiatto nella camera da letto, attirando completamente l’attenzione mia e del Principe «Flor è una mia amica ed è una persona estremamente affidabile e generosa! Se dovessi affidare le cure di mio fratello ad una persona, sicuramente eleggerei Flor come la migliore!» Maya mi strizzò l’occhio ed io le sorrisi «E da quando tu frequenti gente più grande di te?» chiese il fratello alla mia amica, che nervosa si passò una mano tra i capelli «Mi stai dando della vecchia?» Federico mi guardò sconsolato ed abbassai lo sguardo un po’ imbarazzata «E’ anche simpatica! Su Federico, dalle l’opportunità di rimediare ai suoi errori, in fin dei conti starebbe qui solo per pochi giorni, intanto che Tomás recupererebbe le forze! Coraggio, Federico … » Maya e la sua buffa faccia da coniglietto erano entrate nuovamente in scena solo e soltanto per il povero Principe spaesato «Devo parlarne con Delfina» a sentire quel nome mi morsi la lingua «A proposito di Delfina, dille che ciascuno pensi agli affari suoi e non si impicci di quelli degli altri, perché le scarpe nuove me le va a ricomprare lei!» Federico guardò male prima me e poi Maya «Lasciala perdere, Fede! Ascoltami, non hai bisogno delle idee assurde della tua fidanzata per permettere a Flor di stare qui per qualche giorno!»                                                                 «Maya, devi capire che devo sapere cosa ne pensa a riguardo! Le porto una sconosciuta in casa!»                                                                                                                                      «Federico, questa casa non è la sua, bensì la nostra, per tanto non devi assolutamente chiedere permesso a nessuno per far restare qui qualcuno, anzi, dovresti chiederlo ai tuoi fratelli, soprattutto a quello più piccolo che muore di febbre nel letto! Ah, cosa sto qui a spiegartelo!» così come era venuta, Maya se n’era andata. Forse aveva ragione, a quanto pare il Principe vigoroso dei miei desideri esisteva solo e soltanto nei sogni, nella realtà lo aveva sostituito un brusco vigliacco!                                                                                                        Federico si appoggiò all’armadio bianco della stanza, riflettendo forse sul da farsi. Non passò nemmeno qualche secondo che già mi fissava imperterrito. Le gambe mi tremavano: il fatto di essere sottoposta a quegli occhi color miele mi inquietava e non poco «Resterai solo finché Tomás non riprenderà le forze e poi te ne andrai! E quando dico te ne andrai, dovrai farlo anche dalla vita di Maya! Non mi piace che una ragazza come lei frequenti gente molto più grande e di un …» alzai lo sguardo nascondendo la mia rabbia dietro una stupida ironia «Un diverso stato sociale? E’ questo quello che forse vuoi dire? Bene, non si preoccupi che il mio misero stato sociale non interferirà in alcun modo con quello della sua famiglia!»                                
«Esatto non dovrai interferire in alcun modo con la mia famiglia! Ti farò preparare una camera da Greta»                                                                                                           
«Non ne ho bisogno, rimarrò accanto al bambino a costo di dormire in piedi come un cavallo, in questo modo la mia “povertà” non sporcherà il vostro letto pulito» lo provocai ironicamente «Per qualsiasi cosa, domanda alla servitù del mio studio, io sarò lì!» uscì dalla stanza portandosi accuratamente la coda tra le gambe «Che presuntuoso! Non dovrai interferire in alcun modo con la mia famiglia» lo canzonai mentre riprendevo posto sulla sedia e bagnavo accuratamente il panno per rimetterlo sulla testa del bambino «Che si nasconda pure nel covo della bestia, tanto io sarò qui e lui lì, chi potrà mai permettermi di interferire con la sua famiglia? Solo e soltanto la sua presunzione!»

«Eccomi Flor!» Maya uscì da quello che fino a pochi secondi prima avevo scambiato per un armadio «Maya, che ci fai qui?» chiesi urlando a bassa voce per non svegliare il piccolo Tomás «Ti ho portato l’occorrente!» mi mostrò la mia borsa in jeans che chissà dove avevo sconfinato e, in preda all’eccitazione l’afferrai di colpo. Controllai velocemente se ci fossero tutte le mie cosine e cosette e, solo dopo aver confermato il tutto, tirai un enorme sospiro di sollievo «Grazie Maya, credevo l’avesse presa tuo fratello! A proposito di fratello, tu non dovresti essere qui! Te l’ho già detto che non voglio problemi con quel presuntuoso di Federico, chiaro?» Maya prese posto accanto a me sul letto del piccolo Tomás «Ma se già ti piace! Comunque sono venuta per una toccata e fuga» guardai Maya sconcertata «Ah sì? E sentiamo, qual è questa “toccata e fuga”?»                                                                                                       «La mia toccata e fuga si chiama Roberta!» mi strizzò l’occhio, supplicandomi di reggerle il gioco «Roberta, dici? Io non conosco nessuna Roberta, ma potresti sempre presentarmela, che ne dici?» poi guardai dolcemente la porta-armadio, che probabilmente nascondeva sia Roberta che un’altra stanza «Chissà se Roberta permetterà che una misera donna come me la conosca?» scherzai ironicamente con un pizzico di dolcezza. La porta-armadio si aprii e sbucò una bambina in salopette colorata e codini frizzanti dello stesso colore delle mandorle. Senza un briciolo di vergogna ci raggiunse davanti al letto, poi guardò Maya indicandomi «E’ lei Flor, vero?» la mia amica annuì sorridendo. La bambina, divertita e senz’alcun imbarazzo mi porse la mano «Ciao Flor! Io sono Roberta» l’afferrai rallegrata «Piacere mio, Roberta!» le strizzai l’occhio, mentre Maya la faceva accomodare dolcemente sulle sue ginocchia, accarezzandole amorevolmente la testa. Osservai il piccolo Tomás. Dormiva beato e la febbre si era per lo meno abbassata quasi tutta. Avevo passato gli ultimi due giorni a prendermi cura di lui, evitando il più possibile di uscire dalla stanza anche solo per inghiottire qualcosa. Nonostante la presunzione del padrone di casa, dovevo ammettere che il gusto non gli mancava. Greta, la governante straniera, educata principalmente a non parlare, mi portava rispettivamente a pranzo e cena un vassoio con stuzzichini di vario tipo. Avevo cercato più volte di parlarle, ma era stato talmente difficile che l’unica risposta che avevo ottenuto era  una specie di “Non parlare, essere ordina di Herr Federika!”.                                                                                                                             
Sorrisi al ricordare la buffa espressione sul viso di quella donna grassottella dai capelli a caschetto. Era solita portare tailleur molto ampi e tristemente molto simili. Il suo viso la diceva tanto: doveva avere sì o no sessanta anni, ma a causa dell’atteggiamento un po’ troppo freddo e distaccato, sembrava mostrarne molti di più! Avendo poi un capo presuntuoso come il suo, sicuramente si era irrigidita col tempo: non pensavo che un uomo potesse ghiacciare anche il sole! Sì, perché quella donna era dolce, dolce e affettuosa, questo glielo si leggeva negli occhi, parola di Fliquity!           «E’ guarito?» mi chiese Roberta con un briciolo di tristezza in quegli occhi che sembravano  mandorle rotonde «Quasi, aspetta solo un attimo!» afferrai la mia borsa e frugai alla ricerca di uno dei miei pazzi amuleti. Vittoriosa lo alzai al cielo: un piccolo fiorellino in agata nera, regalatomi dalla mia mamma «Cos’è?» Roberta mi guardava stupita «Lascia perdere! E’ un altro dei suoi pazzi talismani!» incalzò seccata Maya «Non dire così! Sai anche tu che non sono pazzi! – rigirai tra le dita il fiorellino mostrandolo prima a Maya e poi alla bambina - Dovete sapere che ogni piccolo amuleto ha un potere straordinario! Ci sono amuleti che proteggono dalla sfortuna e altri che te la causano. Amuleti che aiutano ad acquisire pace ed altri che fanno entrare nel caos! Questo è uno di quelli!» mostrai il piccolo oggetto in agata nera «Ah si? E cosa fa?» domandò Roberta eccitata «Questo è il Bruin! L’amuleto contro i mali fisici! Hai un mal di testa terribile da non riuscire più a pensare? Ti senti un nodo alla gola che non ti fa parlare? Ecco a voi la soluzione: Il Bruin                                                                             «Ti hanno ingaggiata per una televendita?» incalzò Maya e scoppiammo in una sonora ristata attente a non svegliare il malaticcio «Quindi se ho capito bene è magia?» chiese Roberta con aria da mestrina «Magia e non solo! Ma per far si che funzionino bisogna crederci ed è quella la parte più difficile!»                                                                                                             «Io ci credo!» affermò Roberta stringendo il pugno energicamente «Vediamo – frugai nella borsa – Prima mi devi parlare un po’ di te!» sorrisi vedendo la bimba scendere dalle ginocchia di Maya e prendere il centro dell’attenzione agitando freneticamente i codini «Mi chiamo Roberta Espinosa, ho dieci anni e adoro il gelato!» la fermai con la mano «Stop! Ho già capito tutto! Apri la mano, chiudi gli occhi, tira fuori la lingua – seguiva passo a passo ogni mia parola, mentre cautamente nella mano le ponevo una pietra a forma di goccia – Ed ora chiudi la mano ed apri gli occhi!» la bimba guardò estasiata l’amuleto, girandolo e rigirandolo tra quelle sue piccole dita, poi, orgogliosa del regalo, lo alzò in aria vittoriosa «Hai visto, Maya? Ho anche io un amuleto!» la mia amica mi sorrise compiaciuta «Mi raccomando d’ora in poi non dovrai mai perderlo, sarà la tua protezione! Mi prometti che lo terrai sempre con te?» le chiesi dolcemente «Si, te lo prometto! Quanto è vero che mi chiamo Roberta!» mi abbracciò teneramente: era una bambina squisita ed ero soddisfatta del mio “lavoro”. Mi avevano sempre detto che avevo un dono “speciale” con i bambini ed ora capivo il perché. Era bello vederli sorridere divertiti davanti alle tue parole, era bello preoccuparsi della loro persona e del loro benessere. Federico doveva ritenersi fortunato a vivere in una famiglia ricca di ragazzi e bambini, se fossi stata in lui, a custodire questi bambini avrei fatto i salti di gioia.                                
        «Grazie, Flor! Ciao!» Roberta uscì correndo dalla stanza, agitando compiaciuta il mio piccolo regalo «Bene, sarà meglio che vada anch’io! Se Fede mi vede qui con te, altro che viaggio in Alaska! Non sai che ramanzina mi sono beccata per avere amici “grandi” come te! Va beh, vado! Ciao, a dopo!» dopo un affettuoso bacio sulla guancia, restai nuovamente sola nella camera da letto dei bambini.                                                                                                                 Guardai malinconica il fiorellino nero, poi gli diedi un grosso bacio e lo nascosi dolcemente sotto il cuscino di Tomás. Il bambino sembrava stare meglio ed ero sicura che con l’aiuto del mio amuleto sarebbe guarito il più presto possibile. Dopo averlo accarezzato dolcemente, posai la nuca sul letto e mi addormentai sognando la mia mamma.

«Ehi! Ehi tu!» girai pian piano il viso, ancora mezzo addormentato sul letto «Che c’è?» domandai un po’ scocciata dalla brusca sveglia «Sai cos’è questo?» mi stropicciai gli occhi. Il bambino che poco prima giaceva inerme sul letto, ora indossava uno smagliante sorriso e teneva tra le mani il mio fiorellino nero «E’ un portafortuna!» sussurrai mentre gli scompigliavo teneramente i capelli «Ah!» sibilò in uno sbadiglio «Tu come stai?»                                                                            «Bene! Più forte di un leone e più sveglio di un procione!» sbadigliò sfrontatamente «Un procione non credo proprio!» sorrisi divertita da quel buffo nanerottolo «Scusa, ma posso farti una domanda?» chiese accucciandosi sul letto «Certo, dimmi!»                                                                                                                                 «Ma tu chi sei?» lo guardai accigliata “Non dovrai interferire in alcun modo con la mia famiglia” le parole di Federico mi echeggiavano canzonanti per la testa. In quei pochi giorni avevo stretto amicizia con Roberta e rafforzato quella con Maya. In poche parole avevo disubbidito agli ordini del sergente, cosa che se fosse stata scoperta, mi avrebbe causato un non facile problema. Tomás mi guardava con i suoi occhioni dolci, molto simili a quelli del fratello, anzi a dir la verità mi sembrava un piccolo Federico in miniatura. Capelli biondi, spettinati e un po’ più lunghi, occhi color miele, più amabili rispetto a quelli del fratello e un viso terribilmente carino! Quando sarebbe diventato grande sarebbe stato la copia identica del fratello, chissà se almeno avrebbe avuto un po’ di umiltà in più?                                                                                                                       Scrollai le spalle, cancellando ogni traccia della mia fervida immaginazione e mi concentrai nel bimbo che avevo dinnanzi, impaziente di una risposta. Analizzai la situazione, tanto un nome in più cosa poteva fare di male? Nulla e poi quel giorno in cui Federico fosse venuto a conoscenza della mia amicizia con Roberta e Tomás, sicuramente io sarei stata lontana anni luci dalla sua famiglia. Questa era una certezza!                                                                                                           «Flor, un’amica!» porsi la mano in segno di saluto e il piccolo me la strinse energicamente «Un’amica di Fede? – scossi la testa sconsolata – Magari mio fratello avesse un’amica simpatica come te, invece di circondarsi di streghe acide e presuntuose!» in quel momento mi resi conto di quanto quel bambino avesse appreso il vero valore della vita! Fliquity che sveglio!       «Tu sai cosa mi è successo?» raccontai a Tomás la storia dell’incidente, del mio tentativo di dargli il mio aiuto e del salvataggio finale di Federico, naturalmente sotto i suoi occhi increduli «Cavolo mio fratello è meglio dei bagnini di Baywatch!» si meravigliò il bimbo. Intenerita da quell’affermazione, gli scompigliai divertita i capelli, per poi finire a farci solletico sul letto. Ormai stava bene e avrei fatto di tutto per vedere in quella miniatura, il sorriso che Federico mai mi avrebbe potuto dare.                                                                                                                 «Vedo che stai meglio, Campione!» il Principe entrò in stanza seguito dalla giovane che pochi giorni prima avevo visto accanto al letto di Tomás. Federico indossava un suo ormai tipico abito gessato e la barba incolta, gli dava qualche anno in più. La giovane posava delicatamente una mano sulla spalla del principe, fulminandomi letteralmente con uno sguardo acido e insopportabilmente pungente. La sua mini gonna in jeans unita all’aderente camicia bianca, esaltava ancora di più le sue curve femminili: volevo sprofondare «Si, Fede! Sto che è una meraviglia! Flor è una grande! E’ troppo divertente!» sorrisi imbarazzata di fronte a così tanta tenerezza, mentre Federico si avvicinava al letto, avvolgendo il fratello in abbraccio affettuoso «Mi hai fatto preoccupare, Tommy!» gli sussurrò all’orecchio, nello stesso istante in cui, agitando raffinatamente la sua coda di cavallo nera, la giovane prendeva posto sul letto, scansandomi bruscamente e mormorando uno sferzante “Oh, Scusa!”, già non la sopportavo!                           «Anche io ho avuto tanta paura!» rispose il piccolino avvolte dalle braccia possenti del fratello «Però per fortuna  c’è il mio eroe a proteggermi!» mi stavo sciogliendo davanti a così tanto amore, soprattutto quando Federico baciò dolcemente il piccolo Tomás. Non nascondo che avrei voluto anche io essere al posto del bambino, ma mi accontentavo di vedere la scena alla lontana, visto che quella bisbetica coda di foca si stava avvicinando alla coppietta come una sanguisuga «Oh piccolo Tommy! Quanta preoccupazione ci hai dato!» disse accarezzando “dolcemente” la nuca del bimbo. Tomás in risposta, la scansò violentemente, rifugiandosi ancora una volta tra le braccia del fratello «Zitta brutta strega! So che sei stata tu a spingermi in piscina!» tutti gli sguardi si posarono sulla giovane che, indignata, mostrò uno dei suoi sorrisi pungenti. 

ANGOLO AUTRICE: Ciao ragazze! Perdonate il ritardo, ma ho voluto lavorarci un po' di più nella speranza di dare ad ogni personaggio il proprio carattere! Volevo ringraziere __Shadow__  flori186  piccolavenere96 e _Mooney_ per i meravigliosi commenti! A voi dedico questo capitolo! Buona Lettura!
                                         

 

 

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Capitolo 14
*** Los Hermanos Fritzenchuchen ***


__LOS HERMANOS FRITZENCHUCHEN__
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Ecco come mi trasformai nella bambinaia goffa di casa Fritzenchucchen

Guardai la mia nuova stanzetta curata graziosamente in ogni minimo dettaglio. Avevo passato l'ultimo mese a cercare e ricercare di renderla perfetta, trasformarla nel mio nido, nel mio luogo perfetto.
Le pareti celesti coccolavano graziosamente l'ambiente, arricchito di ogni mia piccola me: amuleti acchiappasogni appesi ovunque, talismani contro gli spiriti maligni decoravano la porta bianca e foto graziose della mia mamma accarezzavano affettuosamente i comodini accanto al letto.
Era meraviglioso svegliarsi la mattina con il suo delicato sorriso sul viso. Sembrava sussurrarmi con quelle sue dolci parole "Piccola Flor, oggi è un giorno nuovo! Vivilo e rendilo speciale!"
Era come averla lì, accanto, pronta a vegliare su di me, a coccolarmi, a riempirmi del suo dolce affetto materno, ad amarmi... anche se ...
Anche se non la vedevo.
La sentivo, ma non la vedevo.
La noce che mi avevano donato le fatine, rendeva la mia mamma più visibile e il suo cuore più accessibile, ma avrei fatto qualsiasi cosa, se non donare la mia anima, pur di essere riabbracciata ancora una volta, respirare nuovamente quel suo profumo dolce o semplicemente pronunciare ancora quella parola: "Mamma" ...
Mi affacciai alla finestra imbattendomi nell'immenso giardino dei Fritzenchucchen. Era già passato un mese dal mio arrivo in quella casa.
La mia vita era completamente cambiata.
Se prima mi occupavo solamente di stupidi finocchi, ora dovevo pensare a ben cinque anime diverse!
Franco, Nico, Maya, Thomás e Roberta ...
Maya ci era riuscita. Per l'ennesima volta aveva raggiunto il suo scopo.
Ero diventata la bambinaia di casa Fritzenchucchen.


Era passata appena una settimana dall'indimenticabile incidente in piscina e dal mio incredibile soggiorno "segregato" in casa Fritzenchucchen ed ero ritornata alla mia vecchia vita nella mia umile pensione.
Persa nel riordinare la mia cameretta le immagini di quei giorni giravano e rigiravano senza sosta nella mia mente "malata".In quei due interminabili giorni avevo imparato un po’ a conoscere Federico Fritzenchcchen, un principe sì, ma trasformato in una bestia senza scrupoli!                                     
Purtroppo il mio documentario si era basato solo ed esclusivamente su una ricerca uditiva, poiché chiusa e rinchiusa nella camera del piccolo Tommy, avevo dovuto accontentarmi dei miei fliquity percettivi e ascoltare le continue conversazioni della “tranquilla” famigliola della quale ero ospite.
Mi ero fatta una strana idea dei personaggi che abitavano quel regno inaccessibile per chiunque non avesse il permesso del sergente maggiore Federico.
Scorbutico, nevrotico, irascibile, scontroso e tremendamente instabile. Forse era una tipica immagine da pazzo schizzofrenico, ma di lui conoscevo solo e soltanto le urla isteriche e squilibrate delle quali i fratelli minori ne erano vittime.  
Ricordavo perfettamente quel suo viso principesco: lo vedevo prendere vita tra le pagine delle riviste, i fogli nei quali conservavo le mie canzoni e fin qui nulla di strano. Federico era proprio un bel ragazzo, scorbutico, certo, ma pur sempre un meraviglioso ragazzo. La cosa si faceva preoccupante quando anche nelle foto, il sergente maggiore continuava a perseguitarmi. I volti dei miei amici, di mio padre o ancor peggio di mia madre, assumevano pian piano il volto "meravigliosamente" mascolino di Federico.
Strano.
Molto Strano.
Io mi sentivo strana.
Com'era possibile rimanere scioccata a prima vista da un uomo così scontroso?
Com'era possibile dimenticare quel suo viso principesco tentando di nasconderlo tra le pagine del mio diario segreto?
Com'era possibile promettersi di dimenticarlo quando anche nei sogni mi appariva con quel suo sorriso improbabile?
Mi ero rovinata.
Letteralmente rovinata.
Per quanto mi impegnassi a cacciarlo dalla mia mente, i fliquity perversi di non so quale paese, vagavano disperati alla ricerca sovrannaturale di quell'incantevole bestia. Perchè Federico Fritzenchucchen era questo: un'incantevole bestia!
Riluttante, ostile, avverso, senza scrupoli.
Non era delicato, non aveva ne tatto ne delicatezza, anzi probabilmente era imparentato con un elefante titolare di un negozio di porcellane!
Non aveva avuto nemmeno il minimo riguardo. Mi aveva letteralmente cacciata dalla villa, come quando ci si libera di uno straccio troppo vecchio per essere ancora usato!
Aveva sussurrato uno sfrontato "Arrivederci" chiudendomi la porta in faccia, come solo la matrigna di Cenerentola era riuscita a fare, abbandonandomi alla sorte del Destino! Perchè io cos'ero?
Una povera disoccupata.
Solo e soltanto una povera disoccupata in balia delle onde del Destino.
Gurdai il modello della rivista che stavo sfogliando. Ancora una volta il viso di Fritnzenchucchen prese piede tra quei coloratissimi fogli: possibile che anche la collezione autunno-inverno potesse essere presa così di mira dalla bestia?
«Fliquity!» chiusi violentemente il magazine e lo lancia contro il letto della pensione. Afferrai il mio infallibile amuleto scacciapensieri e lo posai sul cuore. Lo sentivo battere. Battere e invitarmi dolcemente a recuperare la rivista per rivedere Federico "Sì, Federico - pensai - I suoi capelli biondi, il suo sorriso, quella sua barbetta ... Ah - mi morsi il labbro sognante - me lo mangerei di ... - aprii gli occhi e guardai sconsolata l'amuleto "infallibile" - sì, me lo mangerei di badilate! - guardai infuriata quel talismano che, per la prima volta, aveva fallito la sua missione - Altro che scacciapensieri, sei tu che mi fai frullare in testa strani Fliquity!»
Improvvisamente sentii il campanello suonare: la pensione di Titina era un vero e proprio andirivieni di persone, perciò non ci feci poi tanto caso, anzi, continuai nella mio fatidico intento di sistemare la mia stanzetta. Naturalmente con la speranza di cacciare il Principe dalla testa!
«Flor! Flor!» Titina entrò velocemente nella mia stanza, nemmeno chiedendo permesso. La fulminai, ma quando la vidi sosprirare per la "faticosa" corsetta, le sorrisi dolcemente «Cosa c'è, Titi? Hai visto un ghepardo?»
«Ma quale ghepardo, ghepardo! Io direi di aver visto di meglio!» scorsi una lieve scintilla maliziosa nei suoi occhi color cielo «Titina, mi preoccupi» mi alzai dal pavimento, dove stavo sfogliando le fatidivhe riviste e mi avvicinai «Sono io quella che si dovrebbe preoccupare figliola! - si mise le mani sui fianchi - Se mi porti un giovanotto così in famiglia, chissà quanti bei nipotini vedrò giocare in cortile!»
«Non capisco questo tuo salto nel futuro, Zia»
«Sono io che non ti capisco, figliola! Hai conosciuto un giovanotto che sembra essere uscito da un film holliwoodiano e nemmeno me lo dici! Che brava nipote che ho!»
«Continuo a non capire, Titi. Potresti spiegarti senza tutti questi giri di parole?» Titina sospirò, portandosi una mano al cuore «Hai ragione! Altrimenti se aspettiamo ancora un po' il bel giovanotto si trasforma in uno scheletrino! Corri in salotto, figliola! Hai visite!» Titina mi diede una spinta, facendomi finire nel corridoio della pensione.
Il cuore mi batteva forte. Che visita aspettavo? Di che giovanotto parlava la Zia? Capisco che a volte la cecità colpisca gente più o meno giovane, però, per quanto ne sapessi, Titina aveva una vista ferrea!
Fliquity ronzanti strampalavano sempre di più la mia testa.
L'immagine di Federico ancora mi perseguitavano e quei pazzi fliquity si ostinavano ogni qualvolta ad esaltarne ancora di più la bellezza principesca «Perchè?» sussurrai quando raggiunsi la porta del salotto.
Allungai curiosa la vista lungo tutta la stanza: seduto di spalle sulla poltrona preferita della zia c'era un uomo. Il tramonto ne oscurava la nuca ed io non potevo di certo immaginarmi chi fosse!
Avanzai lentamente e sussurrai un timido "Buonasera". L'uomo si alzò velocemente dalla poltrona, si sistemò i pantaloni e si voltò verso di me «No!» mi portai una mano alla bocca «Insomma, non è possibile! - alzai gli occhi al cielo, rivolgendomi completamente alle fatine - Chi siete per farmi questo? Qual'è il vostro obbiettivo nella vita? Farmi diventare pazza? Se fosse così vi pregherei di cambiare rotta, perchè siete sulla strada sbagliata! - guardai quell'ologramma di cui si era impossessato Federico Fritzenchucchen, chiusi gli occhi e pensai positivo - Tu sei solo un'illusione! Solo e soltanto una tremenda illusione. Sparirai, io ti dico sparirai ... al mio tre sparirai. Uno, due e tre!» aprii gli occhi nella speranza che quell'incubo terminasse, credendo che prima o poi mi sarei ritrovata nel mio lettino, sotto le mie copertine a ringraziare il Cielo e le Fatine per avermi dato il pizzicotto, ma non era così.
Federico Fritzechucchen, o quello che poteva essere il suo ologramma, mi guardava sconcertato. Disorientato portò le mani nelle tasche dei pantaloni neri e mi osservò sbigottito «Buonasera anche a te, Flo ...»
«Florencia» lo corressi indignata, nascondendomi sotto un timido sorriso e troppo imbarazzata per attacar briga «Giusto, Florencia! Come stai?»
"Prima che tu apparissi meglio, ora non so" «Bene! E tu?» la nostra conversazione non stava portando a nulla di buono. Ma d'altronde cosa ci si poteva aspettare da due completi sconosciuti, o meglio, una bestia in un negozio di porcellane e uno straccio troppo vecchio per essere usato? Il nulla, perfino il Fliquity più vuoto al mondo si sarebbe vergognato per noi.
Che Tristezza!
«Bene - sussurrò guardandosi nervoso le scarpe - Senti, io - gettò uno sguardo alla finestra, io lo seguii e scorsi delle strane figure - Io ...» fissò i suoi occhi color miele su di me, osservandomi da cima a fondo per poi sospirare irrequieto «Vuoi del caffè, tè o qualcosa di simile?» cercai di essere il più genitle possibile. Dovevo recuperare punti dopo la mia fuguraccia!
«Sì, un caffè con due zollette di zucchero»
"Altro che due zollette di zucchero servono qui!" «Arrivo subito!»
Poco dopo tornai nel salotto con il cuore che batteva più di prima. Per tutto il tragitto mi ero chiesta che cosa ci facesse Federico Fritzenchucchen nella pensione di Titina a chiedere di me? Io e lui non avevamo nulla da dirci e la "magra" conversazione di qualche minuto prima lo aveva dimostrato!
Posai timidamente il vassoio con i due caffè sul tavolino del soggiorno e presi posto sul divanetto rosso fuoco, di fronte alla poltrona rustica in cui Federico sedeva altezzoso come sempre. Le gambe accavallate, il viso chino e lo sguardo perso nel vuoto. Era nervoso, troppo inquieto per i miei gusti!
«Eccoci qui! - cercai di rompere il ghiaccio - Ehm, qual buon vento ti porta qui?» sorrisi isterica: quella situazione cominciava a pesarmi.
Imbarazzata, confusa, turbata, irrequieta, irritata e per lo più nevrastenica!
Ecco come mi sentivo sotto il suo sguardo magnetico.
«Non stiamo passando un buon momento a casa - si passò una mano tra i capelli, ancora più splendenti sotto il sole del tramonto - la mia famiglia ha bisogno di aiuto, Tomás aveva bisogno di aiuto e tu non ti sei negata a darglielo» sapevo dove voleva arrivare. La bestia ostile e orgogliosa era anche timida e paurosa.
«L'ho fatto perchè mi andava di farlo, tutto qui!» rise nervoso «Non ti immagini che cosa hanno fatto i miei fratelli! - chinò il viso - Maya mi ha obbligato a venire qui!»
«Già, Maya sa essere molto convincente!»
«Da quanto tempo vi conoscete?» mi imbattei in quei suoi due bellssimi occhi color del grano «Un po', non ricordo precisamente quando, ma non importa! Ciò che importa, invece è il legame che ci unisce! So che siamo diverse, che abbiamo caratteri distinti e che lei è più piccola di me, però non so dove sarei se non ci fosse stata Maya - sospirai dolcemente - E' stata la mia prima vera amica! Insieme abbiamo affrontato l'argomento dei ... - lo guardai un po' titubante per la reazione che potesse avere - dei nostri genitori e con Franco, poi ...»
«Conosci anche lui?»
«E'dolcissimo ed è un bravo ragazzo ...» ripensai a quei sue due fari stellati: proprio per questo lo avevo soprannominato "Farolito". Mi morsi il labbro, rivendomelo lì, sorridendomi come solo lui sapeva fare «Il mio Farolito ...» sussurrai, mentre vedevo Federico sistemarsi sulla poltrona rustica di Titina «E' in viaggio ora, ha una forza quel ragazzo, che a volte invidio!» sembrava che quel cubetto di ghiaccio si stesse sciogliendo. A quanto pareva mi aveva presa per il suo confessionale.
«E i tuoi fratelli? Dico gli altri, come stanno?»
«Ti riferisci a Tomás?»
«Mi riferisco a Tomás, a Nico e a Roberta!»
«Ah sì, ma Roberta non è mia sorella - sorrise - comunque si stanno tutti bene, anzi fin troppo bene! Sono qui per loro! Questa settimana è stata infernale, un incubo! Feste, scherzi, baraonde, casino ...»
«Ah, sono proprio così felici!?» un velo di tristezza mi colpì. Loro felici come una Pasqua ed io sola e disoccupata.
Bello!
«Felici non proprio! Li vedi? Sono là fuori! - mi indicò  la finsetra, dove prima avevo scorso delle ombre: svelato il mistero - mi hanno costretto a venire a farti un colloquio di lavoro a domicilio» sgranai gli occhi stupefatta «Un collo che?»
«Maya mi ha spiegato che il giorno dell'incidente eri venuta per presentarti al collquio di lavoro come bambinaia. Io mi sono comportato veramente male e ...» lo guardai in viso: era troppo bello per essere vero «Male, male direi proprio no! Insomma, mi hai salvato la vita! Ricordami che sono in debito con te!» sorrise. Mi morsi il labbro dal colpo al cuore: era un Principe «Ero agitato, nervoso e ancora sotto shok per l'incidente di mio fratello»
«Ti capisco, anche io mi sarei comporatata così istericamente! - mi guardò male - cioè istericamente, istericamente no! - malissimo - che poi non ti sei comportato istericamente, diciamo che i fliquity ti hanno dato alla testa e il risultato ... - altro che male - Stavi dicendo?»
«Iniziamo questo colloquio?» annuii, cercando di prendere coraggio, ma la paura mi saliva impertinente per tutto il corpo, come degli insipidi ragnetti.
Che fifa!
Mi chiese della mia famiglia, dei miei studi, dei miei lavori precedenti e della mia vita attuale.
Sorpresa dalla mia forza d'animo, gli parali di mia madre e del rapporto con mio padre. Gli spiegai che scolasticamente non ero molto preparata, dato che al colleggio ero solita far pratica in economia domestica che in altro.Parlai del Singor Molina e della sua follia, naturalmente tralasciando stupidi finocchi e goffaggine di troppo.
Alla fine bevvi l'ultimo goccio di caffè e posai la tazzina sul vassaio «Questo è tutto!»
«Bhe, una vita abbastanza movimentata» terminò il suo caffè e mi porse la tazzina, che unii alla mia «Movimentata? Insomma, mi vedi? Più monotona di me non c'è nessun'altro al mondo! Perfino i troll rumorosi delle caverne si divertono più di me e della mia vita "movimentata"» sorrisi sarcastica «Non credo proprio, Florencia. Hai passato situazioni abbastanza particolari in questi ultimi anni. Un po' ti capisco, la perdita di tua madre deve essere stata molto dura ...» abbassai lo sguardo inspirando profondamente per scacciare l'onda di malinconia «Dura. Ma adesso non ne parliamo più,ok? - mi mascherai con un sorriso carico di energia, presa da non so dove - Allora, sono assunta?» Federico mi guardò timoroso «Solo una cosa, Florencia. Ti piacciono i bambini?»


Il sole stava tramontando come quel giorno. Sorrisi al ricordare quell'indimenticabile conversazione con Federico. Non era una cattiva persona, anzi, si era dimostrato premuroso e gentile, certo, pur restando nei limiti del suo corpo da bestia, però un po' più docile lo era stato.
Federico Fritzenchucchen.
Un nome e mille maschere da scoprire.
Bello e intrigante.
Tutto un Principe Azzurro.
E Maya mi aveva dato l'opportunità di scoprirlo, di conoscerlo meglio, di svelare ogni piccolo segreto che nascondeva quel viso tanto principesco. Perchè di una cosa ero certa: Federico poteva essere una bestia senza scrupoli, ma a tutti si dava una seconda opportunità per cambiare e lui era il mio Principe Azzurro.
Sì, proprio il mio!
In quel mese avevo cercato di avvicinarmi a lui, anche solo per osservarlo, ma purtroppo, non si sa per quale motivo, ero sempre e costantemente rifiutata. Sembrava quasi che il Federico del "colloquio a domicilio" fosse svanito tutto d'un tratto, per lasciare spazio al cavernicolo di sempre.
Infuriato, irrequieto si chiudeva nello studio a far chissà che cosa e solo raramente lo si vedeva gironzolare per il salotto.
Terribile e assolutamente diverso da Franco!
Franco ...                        
Come ero fortunata a conoscerlo! Era un ragazzo dolcissimo, orgoglioso, ma estremamente modesto, anzi fin troppo modesto. Possente e poderoso, fisicamente, ma fragile e delicato sentimentalmente. Sì perché Franco, pur essendo un cocciuto di alti livelli come la sorella Maya, e tenace al punto giusto, aveva un cuore tipicamente instabile. Franco era la tipica bandiera tra il detto “Va dove tira il vento e dove porta il cuore”. Tipico diciassettenne con dei sogni nel cassetto legati al tennis, ma indirizzati alle ragazze: mora, bionda o rossa che fosse, le antenne del mio carissimo amico si drizzavano ed allora si che Cupido faceva faville!
Ma purtroppo Franco non c'era quasi mai!
Il tennis lo portava lontano e lontano anni luce, ma, come dice il detto "Non c'è distanza e non ce n'è mai abbastanza se l'amicizia è un'anima che vive in due corpi" ed è quello che lega me e Franco: un'amicizia indescrivibile!
Non so cosa avrei fatto senza l'appoggio suo e di Maya, la principessina viziata di casa!
Cocciuta più del fratello ed irresistibilmente convincente! Nessuno poteva dirle di no, neanche il terribile Federico!
Nonostante questo sapeva essere oltre che una ragazza tenerissima, anche un'amica d'oro! L'unica cosa in cui andava un po' maluccio erano le situazioni sentimentali, quelle non erano il suo forte. Vedasi Gonzaolo: un continuo tira e molla all'insaputa di Federico, perchè se solo il maggiore dei Firtzenchucchen fosse venuto a conoscenza di Romeo e Giulietta allora sarebbe stata la fine del mondo, sopratutto se Giulietta aveva quindici anni e Romeo ventiquattro. Ma l'amore non ha età, quindi facevo del mio meglio per coprire la mia amica e permetterle le fatidiche scappatelle amorose, che non nascondo, sarebbero piaciute anche a me!
Orgogliosa e terribilmente sbarazzina, Maya nascondeva nella sua tenacia uno spirito, oltre che ribelle, anche protettivo nei confronti dei fratelli minori Martìn e Tomás e della cuginetta Roberta!
I tre Nanerottoli passavano la maggior parte del loro tempo a gironzolare per la casa, inventando trucchi e parrucchi per divertirsi, ossia scherzi e giochi per le Streghe come le chiamavano loro, ossia Delfina Santillán, la fidanzata viscida del Principe e Maria Laura Torrés Oviedo, la madre carogna!
Nicolas era l'unico che si distingueva nella famiglia. Gemello di Franco, considerato in famiglia estremamente insignificante, Nico, passava le sue intere giornate appiccicato ad una scatola elettronica scrivendo chissà ché, senza degnarsi minimamente del mondo che lo circondava. Sembrava essersi creato una sorte di realtà immaginaria, che solo quella scatola grigia e rumorosa sapeva dargli!
Curiosa per quel suo comportamento associale, tentavo in tutti i modi di intrapprendere una conversazione sensata, pensando che magari avesse solo bisogno di aprirsi e parlare con qualcuno, ma nulla! Rifiutata, respinta e aggressivamente ripudiata!
Avevo trovato un Federico adolescente sul cammino!
Per l'amor del Cielo, non era una persona cattiva, ma solo e soltanto un po' troppo aggressiva e scontrosa come il fratello!
Quindi rinunciai al tentativo dedicandomi solo e soltanto alle attività ricreative per i bambini, evitando completamente i padroni, donne carogne comprese!
«Floricienta!» mi girai verso la porta leggermente aperta. La governante di casa Fritzenchucchen mi osservava preoccupata. Greta Van e qualcosa era da anni al servizio della famiglia, viveva a Buenos Aires da una vita, ma quella specie di accento tedesco le era rimasto e, trasformava quella sua aria da aristocratica europea, in bizzaria pura.
Un mito Greta!
«Floricienta, dove essere finita?» da un mese ormai storpiava stramapalatamente il mio nome, associandomi dolcemente alla favola di Cenerentola,la mia preferita!
«Sì, scusami, Greta! Sto riordinando la camera! Che c'è? Mi vuoi dare una mano?» chiesi divertita dall'attaggiamento scrobutico della governante cicciottella «Nein, nein! Ma che dire? Povera Greta avere già tanti doveri da fare! Fraulein Delfino volere te!» alzai gli occhi al Cielo, imprecando l'aiuto delle fatine, più viste ormai da un mese!
Delfina Santillàn. Ventitré anni, alta, magra e incredibilmente bella. Con tutte le qualità inimmaginabili che solo un principe come Federico potesse desiderare per la tipica moglie perfetta.
Un solo difetto?
Strega!
Strega, ipocrita, bugiarda e terribilmente schizzinosa!
Amava sputare il suo viscido veleno sui fratelli Fritzenchucchen e sul personale della villa, naturalmente a buon occhio di Federico.
L'unico tonto che non si accorgeva di nulla perchè troppo preso dal restare chiuso nel suo studio.
Guardai Greta, sospirando profondamente «La Strega Minore ha deciso di passare la serata a dare ordini?»
«No chiamare così futura sposa Fritzenwalden! Essere molto maleducante!»
«Maleducato, Greta! Il fatto è che mi fa venire un nervoso quella donna! Strilla dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina, è troppo insopportabile» mi scostai la frangetta scocciata dalla situazione - Cosa aveva stamattina?»
«Unghia rotta!»
«Appunto! Cosa interesserà a noi della sua unghia rotta! Santo Fliquity aiutami tu!» dissi implorante al Cielo «Non dire qveste cose, Floricienta! Tu no dovere lamentare, tu dovere lavorare! E smettere di guradare soffitta sporca!» mi prese per mano e uscimmo dalla stanza.

Delfina e Sofia, la sorella minore della Strega, condividevano la stanza degli ospiti tra urla, grida e pianti isterici. Il rosa principesco era il colore che prevaleva su tutto, che poi di principesco la strega non aveva nulla a parte il corpo!
Entrai sorridento infastidita ed incontrai la "padrona" stesa sul letto con un viscido serpente peluche tra le braccia «Finalmente, Florencia! Dove eri finita?» mi osservò con il suo solito sguardo schizzinoso «Quante volte ti ho detto di indossare la divisa da cameriera?» sospirai cercando di trattenere la mia ira funesta. Da un mese ormai criticava e criticava il mio abbigliamento, definendolo volgare e sporco. Ma non le davo retta, tanto era inutile tentare di farle cambiare idea!


«Singor Federico!» entrai nello studio, come sempre senza bussare. Il Principe alzò il viso dalla scrivania in mogano che occupava il fondo della stanza e mi guardò leggermente scocciato «Quante volte ti ho detto, Florencia, di bussare prima di entrare? Non dirmelo, migliaia!» strinse i denti un po' arrabbiato «Lo so, lo so, ma è urgente, importantissimo! - mi avvicinai alla scrivania, scavalcando in modo sgarbato i due divani bianchi aristocratici dello studio - Sono volgare?» chiesi senza indignazione ne imbarazzo «Che?» Federico alzò un sopraciglio e mi guardò accigliato «Dico, sono volgare? - mostrai la mia vivacissima gonna rossa, abbinata ad una felpa fuxia - Allora?» il mio tono sembrava insistente.
Federico si portò le mani alla bocca meditativo, mi analizzò da cima a fondo, per poi fissare il suo sguardo magnetico nei miei occhi leggermente accecati dal nervosismo «No» incrociai le braccia furibonda «A lei vado bene così? - annui - Sicuro, sicuro? No, perchè ci sono persone in questa casa che continuano ad insinuare la mia volgarità nel modo di vestire, ma lei mi aveva garantito che, essendo bambinaia, non avrei dovuto indossare nessun abito in particolare, giusto?»
«Sì, esatto» mormorò freddo Federico, dondolandosi disinteressato sulla sua poltrona in pelle.
«Federico, vita mia! Posso?» Delfina entrà raffinatamente nello studio e, con un gesto felino, abbracciò affettuosamente il Principe: quella vipera stava marcando il territorio!
«Stavo parlando con Florencia, è importante?» la coda di foca iniziò a coccolarlo sotto il mio sguardo: baci, bacini e bacetti sulle guance irsute di Federico, metre mi guardava con il suo solito sguardo acido, odioso e tipicamente suo «Delfina, per favore»
«Che c'è? Volevo solo salutarti» disse stampadogli un lieve bacio sulle labbra, al quale il Principe non si ritirò affatto, sotto i miei occhi lucidi: ero persa ...
«Delfina, trovi Flor volgare?» sospirò Federico «Chi? Florencia? Ma se è più signorile di un persiano» si avvicinò a me e mi pizzicò dolcemente la guancia «In realtà lei aveva detto che ...»
«In realtà io avevo detto che mi saresti piaciuta diversamente - iniziò a camminare per lo studio con le sue solite mani al bacino - Ma va bene così! Anche le verduraie, ops, bambinaie hanno uno stile di vita - si diresse verso la porta - Federico, perdona l'intrusione, volevo vederti» chiuse la porta e se ne andò agitando le sue natiche da foca "Gatta morta!" pensai frtustata dall'ipocrisia che circondava quella donna.
«Visto? Tutto a posto. Continua pure il tuo lavoro, a dopo»
Chiusi la porta scocciata, infuriata, furibonda, estremamente arrabbiata!
Se avessi potuto parlare!


«Florencia! Florencia, insomma vuoi concentrarti in quello che stai facendo?! Quasi mi raspi un dito!»
"Ops, scusami gatta morta! Potresti limartele tu le tue unghie feline! Non è questo quello che fanno i gatti?" mi morsi il labbro inferiore trattenendo la rabbia che mi stava mangiando il fegato!
Delfina mi aveva chiamata per ritoccarle la manicure che la sua estetista "incapace", come l'aveva soprannominata lei, non era stata in grado di farle.
Ed io?
Io ero lì, come una sguattera a strapazzarmi per rendere felice, anzi per non sentire i capricci di quella fastidiosa vipera viscida! Che orrore!
«Delfina, la cena è pronta - Federico entrò in stanza bussando la porta già leggermente aperta - Flor, cosa stai facendo? - indossava una smagliante camicia bianca, leggermente aperta sul petto e i pantaloni neri, gli cadevano a pennello: sembrava un Dio! - Delfina, cosa significa questo?» sembrava irritato, molto irritato.
Un punto a mio favore!
«Una manicure, vita mia! Una semplice ed innocua manicure. Qualche problema?»
«Delfina, tu mi stai dicendo che la bambinaia dei miei fratelli è la tua estetista? - Federico spostò il suo sguardo sdegnato su di me - Per favore, Florencia, lasciaci soli! - sussurrai un "con permesso" e rimassi nascosta dietro la porta della stanza degli ospiti - Delfina, Flor è la bambinaia dei miei fratelli! Io la pago per questo non per farti quella dannata manicure!»
«Ma è solo per oggi, amore mio! Ho solo approfittato della libertà di un tuo dipendente, tutto qui»
«Tutto qui un corno, Delfina! Flor è la babysitter dei miei fratelli e come tale deve comportarsi, non come una tua inserviente! Non voglio assolutamente vederla fare i tuoi comodi - lo sentii avvicinarsi alla porta - Mai più!» aprii la porta, mentre i fingevo di pulire il profilo di una statua del corridoio.
Mi guardò e sbuffò profondamente prima di andarsene.
Lo vidi allontanarsi lungo il corridoio.
Federico mi aveva difesa.
Federico Fritzenchucchen in persona mi aveva difesa, salvata e protetta da quell'insipida vipera velenosa per la prima volta nella sua vita.
Mi morsi il labbro osservando svanire anche l'ultimo suo ciuffo biondo «Grazie» sussurrai mentre prendevo il corridoio opposto per raggiungere la cucina e servire la cena.


«Benvenuta, Flor! Qual buon vento ti porta al Passaggio dei "Poveri"» Damìan spolverava un vaso in ceramica, probabilmente da esporre per il Mercatino delle Pulci in cui lavorarava «Dai Bata, non mi trattare così» qualche giorno l'incidente con Delfina, avevo deciso di fare un salto al Passaggio dei Baci per rivedere la mia comitiva. Naturalmente il privilegiato era Bata, il mio amico di sempre!
«E come ti devo trattare? E' da una settimana che non ti fai vedere! I ragazzi sono furiosi, per non parlare di mia madre che invoca magie ultraterrene per avere tue notizie! Flor si può sapere dove sei finita?» la sua maglietta arancione esaltava ancora di più quei suoi due occhi neri, che brillavano preoccupati per me «Bhè, scusa se mi sono data per dispersa, ma in villa c'è sempre un caos! Se non è per i bambini, è per Greta. Se non è per Greta è per la Strega Minore che si lamenta con la Strega Maggiore e poi c'è Federico e tutta la famiglia che è una pazzia e ..
«Flor non è che a stare con quei ricconi, stai diventando pazza anche tu?» strabuzzai gli occhi «Bata! Ma che, che, maleducato! Come puoi dare della pazza a me? A Flor, la tua amica di sempre? E poi scusa, conosci anche tu i ragazzi e non sono per niente pazzi!» mi scostai la frangetta nervosa «Loro non di sicuro, ma quell'altro! Fernando si chiama, giusto?»
«Federico e comunque non è pazzo è solo un Principino, ehm, un padroncino vittima dei capricci della fidanzata scorbutica! Quella sì che è una gatta morta!»
«Danita? E' una bomba quella ragazza!»
«Delfina! - lo corressi alzando gli occhi al Cielo - Ma che fliquity ti ha preso oggi? Prima storpi tutti i nomi di questo mondo e poi dai della bomba a Delfina! Hai la febbre?»
«Flor, non cambierai mai! - sistemò l'anfora su un tavolino in legno - Allora? Cosa ci fai qui?» mi sistemai la gonna celeste «Ho delle commissioni da sbrigare e poi passavo a farvi un saluto - mi guardai attorno in cerca del gruppo - Gli altri? Dove sono?» Bata mi guardò sdegnato «E' mattina! Ti ricordo che Clara frequenta il liceo e Nata studia all'università, quindi ...» un lieve falshback riportò la mia mente al primo incontro che ebbi con Federico. Quel giorno mi stavo recando proprio all'Università di Nata e, quando lo vidi, lo scambiai per un sogno.
Un sogno che ormai era realtà.
Esisteva!
«E Facha?» Bata sospirò amareggiato «Non so, l'ultima volta che l'ho visto è stata ... - si portò una mano al mento pensieroso - due giorni fa, credo! Era triste! Ha perfino chiuso il chiostro!» mi indicò il piccolo bar di cui Facha era dipendente. Era vuoto. Un piccolo spazio chiuso, che per lo meno assumeva un po' più di vivacità quando c'era quel pazzo di Facha.
«Non ti ha detto nulla? E' per Carina?» Carina, svanita nel nulla dopo l'incidente alla festa. Povera donna!
«No, non credo che sia per Carina! Parlava di una ragazza, un po' più piccola di noi! Un amore impossibile, ha detto! Ora, non chiedermi il nome, perchè non so dirtelo, però il nostro povero Facha è a K.O per il cuore!» mi portai una mano al petto «Poverino! Deve stare malissimo! Un po' lo capisco ...» ripensai al mio adorato principino! Quanto era divino con quel suo visino fiabesco destinato solo e soltanto a quella coda di foca!
«Non dirmi che ti piace qualcuno?» strabuzzò gli occhi incredulo «Ma che dici? Io non sono innamorata di nessuno!»
«Infatti io non ho detto "innamorata" io ho usato il verbo "piacere" che è molto diverso!» mi strizzò l'occhio divertito. Damìan Garcìa, da tutti chiamato Bata, per il suo amore indescrivibile per la Batteria!
Paziente e affettuoso mi conosceva fin troppo bene! Con la sua faccina da cagnolino indifeso era sempre pronto a togliermi da situazioni imbarazzanti o ancor peggio il primo a ficcarmici dentro!
Una canaglia!
«E da quando tu, ti intendi di grammatica? - incrociai le braccia e gli scompigliai divertita i capelli - Sarà meglio che vada da Titina, altrimenti mi traformerà in colazione!»
«Uova strapazzate?» mi sorrise Bata «Esatto!» lo salutai con la mano mentre raggiungevo il negozio della mia cara Zia.
Chussatz, riportava l'insegna ritraente due bellissimi modelli. Una lei bionda dal viso d'angelo e un lui divino, per niente paragonabile al mio Principino.
Prima che potesse giocarmi il brutto scherzo della trasformazione varcai la porta del negozio.
Titina era in piedi con le braccia rivolte al Cielo, sussurrante chissà quali parole. I capelli rossi erano accuratamente raccolti in uno chignon e il completo maculato che indossava le garantiva una forma ancora più paffutella. L'espressione stanca e malinconica sul volto le esaltava ancora di più quei suoi occhioni blu, ora intenti in preghiere profane.
Sorrisi, divertita da quella scena un po' troppo "buffa" «Titi?!» la donna mi guardò sorpresa ed un enorme sorriso le si stampò sul viso «Oh Santa Carmela protettrice! Grazie del miracolo! - mi abbracciò forte forte - Mia piccola Flor, dove ti eri cacciata?» inspirai profondamente quel suo profumo dolce di torta al cioccolato, prima di parlare «Sono stata un po' occupata alla villa, tutto qui!»
«Non è tutto qui, Flor! Ti sei data per dispersa! Io non ti ho più sentita, Bata non sapeva che fine avessi fatto, Nata era impegnata a scuola e gli altri erano spariti! Piccolina, non mi devi più fare un così brutto scherzo, chiaro?» le annuii, mentre mi fondevo ancora in un abbraccio affettoso.

«Allora? Che te ne pare?» mi guardai allo specchio: i capelli prima mossi mi scendevano lisci lungo la schiena, rendendomi il viso più paffutello rispetto a prima.
"Per rimediare al tempo perduto" mi aveva detto Titina, costringendomi a sottopormi alla sua "magia di forbice" come la chiamava lei!
«Con questo nuovo look, conquisterai sicuramente quel brillante giovanotto!» sbarrai gli occhi: si ricordava ancora di Federico?
«Titi, ti ho già detto che non gli interesso e poi, poi è fidanzato e, e innamorato e ...»
«Ma io non sto parlando del tuo capo! Quello è uno scorbutico senza limiti! Io, sto parlando di quei due fari luminosi! Quegli occhi azzurro mare! Quelle stelle cadenti per la troppa bellezza» sgranai gli occhi incredula alle mie orecchie «Franco?!»
«Ah, quel giovanotto è divino! E poi, figliola, diciamocelo lo tieni in pugno!»
«Ma quale pugno, pungo! Franco è un amico, punto e basta!»
«Sì, un amico con due occhi divini che ti sbavano dietro! Su, pensaci! Se fossi in te non mi farei scappare un'opportunità del genere!» mi scostai la frangetta «Titina, ma non stiamo mica parlando di svendite promozionali e Franco non mi sbava dietro!»
«Se lo dici tu! - mi accarezzò dolcemente il viso - Oh, è tardi, Tesorino! Vieni qui, dammi il bacino e vai al villino che l'Orco ti aspetta!»
Salutai Titina e presi il viale che mi avrebbe portato direttamente a casa Fritzenchucchen.
Ripensai a Titina e al suo imbarazzante discorso. Franco era di certo un bravo ragazzo e per di più stupendo! Un vero gentiluomo, però ...
Però c'era un però ...
Quel però era Federico!
Mi piaceva tutto di lui ... proprio tutto ... dall'aspetto fisico di un degno Principe al carattere burrascoso dell'Orco dei fagiolini magici!
Ogni volta che lo pensavo, il cuore mi palpitava, batteva così tanto e così forte che prendeva spazio tra tutti i miei pensieri, mandando in tilt i miei fliquity perversi che gironzolavano per la testa inquieti e desiderosi di rivederlo ancora una volta, ma sopratutto subito!
Perchè? Perchè? Perchè tutto a me?
Perchè avevo una voglia matta di vederlo?
Perchè se mi fissava una miriade di fliquity mi prendevano lo stomaco, facendomi venire il più brutto mal di pancia del secolo?
Perchè prima di passare davanti a lui, controllavo che i capelli fossero a posto, che gli abiti fossero in ordine ed io felice e sorridente?
Lo vedevo e tutto quello che prima era grigio, prendeva improvvisamente colore.
Lo vedevo e non capivo più nulla.
La testa leggera, il cuore tra le nuvole, le vertigini, i brividi per tutto il corpo, le grambe tremanti ...
Erano forse sintomi di una malattia rara?
Cosa mi stava succedendo?
Entrai in villa e lo vidi lì, in tutta la sua maestosità seduto sul divano, con le gambe accavallate, la camicia leggermente sbottonata ed i capelli un po' spettinati.
Aveva gli occhi chiusi: si stava rilassando ...
Il cuore iniziò a battermi sempre più veloce fino a ritrovarmelo in gola.
Credevo di svenire ...
Mi sentivo strana.
Troppo strana.

ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti! Scusate il ritardo nel pubblicare la storia, ma ho voluto lavorarci un po' di più e forse ho sistemato anche la grafica (Spero e incrocio le dita)
Ringrazio di cuore Flori186  
piccolavenere96
Federika21
per i loro specialissimi commenti!
Grazie, ogni vostra recensione è molto gradita, anzi super gradita!
Spero di aver soddisatto le vostre aspettative anche questa volta!
Un bacio e Buona Lettura
PS: Questo capitolo è un continuo flashback, spero capiate! Altrimenti sarò felice di spegarvi!

 

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Capitolo 15
*** Perchè Non Lo Fa Più Spesso? ***


ddd ___PERCHE' NON LO FA PIU' SPESSO?___

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Entrai in stanza sbattendo la porta furiosamente e mi gettai stanca e frastornata sul mio caldo lettino, certa di poter ritrovare un po' di calma, persa in quel giorno autunnale!
Per l'ennesima volta Federico mi aveva dato la colpa per un qualcosa che non avevo fatto!
Presi il mio diario segreto ed iniziai a disegnare e marcare insensate linee nere per sfogare quella rabbia che mi stava mangiando il fegato!
«Strega!» sussurrai a denti stretti per contenere quell'ira irrefrenabile.

Come di consueto stavo spolverando la cucina.
Ultimamente ero convinta che qualche presenza oscura ce l'avesse con me!
Ogni giorno strati inconfondibili di polvere si formavano inspiegabilmente sui ripiani e mensole della cucina della villa!
Antonio, lo chef di casa, mi aveva accusata più volte, con quei suo baffetti tipicamente italiani, di essere una buona a nulla nei mestieri domestici e di cambiare assolutamente lavoro!
Ma sapevo ed ero certa che quel cuoco dall'accento italiano era in realtà una buonissima persona dedia solo ed esclusivamente alla cucina, la sua travolgente passione!
Alto e paffuto, Antonio Rivoira, torinese d'origine, garantiva di essere un cuoco esperto già dall'età di cinque anni, quando ghiotto di dolci, offriva il proprio aiuto alla madre cameriera di un importante ristorante italiano.
un gene di famiglia, quindi!
Amabile e delizioso, come le sue leccornie, nessuno sapeva il motivo del suo arrivo in Argentina e ancor meno quello in casa Fritzenchucchen!
"C'è sempre stato!" si azzardava a dire ogni tanto Maya a tavola "Come Greta!" completava poi.
E perchè darle torto?! Greta era preistorica ormai! Diceva di essere giunta a casa Fritzenchucchen in una sera piovosa di trent'anni prima ...
Una storia lunga e noiosa che qualsiasi membro di famiglia conosceva a menadito e si rifiutava altamente a riascoltare!
Antonio e Greta non andavano d'amore d'accordo, vivevano sotto lo stesso tetto e condividevano lo stesso ambiente (la cucina), ma avrebbe fatto volentieri a meno l'uno dell'altra!
In un'altra vita, naturalmente, visto che ormai in questa tutti conoscevano il loro odio-amore!
Strofinai anche l'ultima macchia sul bancone, dove lo Chef di casa aveva appena terminato il manicaretto del giorno.
Respirai dolcemente quel delizioso profumo di cannella, ricordandomi della mia adorata Zia, le cui delizie erano impossibili da comparare con il cibo genuino di Antonio, ma quella era un'altra storia.
Mi passai una mano sulla fronte, asciugandomi le piccole goccioline di sudore «Santo Fliquity! Che fatica!» sistemai i portabiscotti in acciaio, prendendone uno per zittire il mio sotmachino!
Guardai fuori dalla finestra che dava sul giardino della villa.
Federico, in tuta da ginnastica, stava parlando al cellulare.
Sembrava tranquillo e uno strano sorriso divertito gli colorava il viso, riempiendomi il cuore di felicità.
Parlava, parlava e parlava, mentre io sorridevo e vagavo disperatamente alla ricerca del suo sguardo.
Ultimamente pensavo un po' troppo a lui.
Riflettevo su ciò che mi stava accadendo, riflettevo su cosa fossero tutte quelle emozioni che magicamente prendevano spazio nella mia anima ogni qualvolta che lo vedevo, riflettevo e puntualmente l'unico pensiero che mi gironzolava in testa era uno sfaticato "E' impossibile!"
Era matematicamente impossibile il fatto di essermi presa una cotta per quell'uomo scorbutico e terribilmente freddo, eppure ...
Eppure lo vedevo così prode, virile e valoroso come un cavaliere.
Così bello, forte e intrigante come un Principe.
Così scorbutico e sgradevole tanto da farmi battere il cuore.
Perchè lui era in grado di farmi toccare il Cielo con un dito prima e soffrire le pene dell'Inferno poi e stranamente solo e soltanto con i suoi gesti.
Era un uomo impossibile e ...
e lui sorrideva ed io morivo, mentre la viscida coda di foca marcava il territorio.
Orribile.
Mi morsi il labbro quando lo vidi riprendere gli esercizi fisici per mantenere in forma quel suo meraviglioso fisico.
Rimasi ancora un istante ad osservare ogni suo movimento «Fliquity!» escalamai alzando gli occhi al Cielo «Dove siete, Fatine? Ho bisogno di voi!»
«Fate? Che stupida mocciosa! - Malala fece il suo ingresso "trionfante" nella cucina - Da quando le verduraie insulse come te, credono alle fate? - mi appoggiai annoiata alla scopa che poco prima avevo utilizzato per le pulizie - Lo sai, che le Fate non esistono e che se esistessero non aiuterebbero una fruttivendola indecente e lasciva come te? - camminava perfetta per la stanza, agitando quella sua orribile chioma nera - Ops, perdonami, non volevo insultarti!» la guardai per un istante, poi alzai gli occhi al Cielo, impolorante che quella tortura disumana finisse "Peccato che lo abbia già fatto!"
Maria Laura Torrès Oviedo, per tutti Malala, era la persona più spregevole della villa, ancor peggio della figlia!
Cinquant'anni e alle spalle una perfidia indescrivibile.
Mi odiava ed io odiavo lei!
Da quando avevo messo piede in quella casa lei e la figlia avevano fatto di tutto per cacciarmi: scherzi organizzati, cattiva luce davanti a Federico, insulti su insulti e ancor peggio attentati alla mia vita.
Ma io ero stata zitta!
Mi ero cucita la bocca ed ero andata avanti!
Avevo bisogno di quel lavoro e anche se non lo ammettevo esplicitamente, non volevo per nulla al mondo allontanarmi da quella famiglia, dai bambini, ma ancor di più da Federico!
Malala.
Madre "affettuosa" di Delfina e Sofia, ma Strega Maggiore di casa!
Odiosa, perfida, malvagia ed egoista fino al midollo!
Una carogna spregevole che contagiava con la sua meschinità la figlia maggiore, nonchè coda di foca per eccezione!
Insopportabili entrambe con quelle urla strappaorecchie che avrebbero reso pazze perfino le mura di quella villa. Inosopportabili e terribilmente affiatate!
Cruedelia Demon e la sua cagna dell'infamia!
La tarantola e la sua ragnetta!
Unite nel bene e nel male, o forse più nel male che nel bene?!
«Cosa fai? Alzi gli occhi al Cielo? Lo sai che è maleducazione? - mi passò acccanto e mi diede un buffetto sulla guancia - Ah, già, dimenticavo! Che educazione hai ricevuto, mia cara? Quella di un morto di fame?»
«La prego di smetterla!» le ordinai scocciata «Tu preghi me? Ah, povera cucciola indifesa - passò un dito sul bancone da lavoro, analizzando il mio lavoro - Stavi pulendo?»
«Sì»
«D'altronde è il tuo lavoro ed è l'unica cosa che ti puoi permettere!» sogghignò la perfida «Si può sapere perchè ce l'avete tanto con me?» sbottai trattenendo a stento le lacrime.
Quella donna mi stava insultanto pesantemente, sopratutto moralmente, straziandomi il cuore. Nemmeno Dulcina e Carina avevano mai toccato questo fondo!
Mi sentivo umiliata.
«Ce l'avete? Che linguaggio sozzo! Comunque non capisco cosa vuoi dire, cucciolina!»
«Perchè lei e sua figlia Delfina mi odiate?»
«Ti sbagli, piccolina! Noi non ti odiamo! E' solo un affetto diversamente ordinario, intendi? - scossi il capo ancor più umiliata di prima - Goffa, imbranata, impertinente, impacciata, maleducata e insulsa! Vuoi che continui? -  vagava raffinata per la stanza - presuntuosa, indecente, villana, ma sopratutto profittatrice!» feci per andarmene.
Tutto quello era troppo.
Veramente troppo!
«Non ho ancora finito!» disse trattenendomi con un tono di voce ancora più cattivo.
Prese il sacchetto della spazzatura e, sotto i miei occhi increduli, lo svuotò sul pavimento. Con il restante si sporcò un poco gli abiti ed il viso «Non si fa, Florencia» mi mostrò uno dei suoi sorrisi più crudeli.
Indietreggiai. Avevo capito il suo piano, l'ennesimo scherzo giornaliero!
«FEDERICO! FEDERICO! AIUTAMI!» urlò con la voce più stridula e nociva che avevo mai sentito in tutta la mia vita!
Scossi il capo, incredula di fronte a così tanta cattiveria.
Come si poteva capire una donna del genere?
Come si poteva parlarle? O ancor peggio ...
Come si poteva considerarla mamma?
«Malala! Cosa succede?» Federico entrò in cucina, passando dalla porta di servizio.
Lo sguardo perso e ancora evidenti i segni dello sforzo fisico. Osservò irritato la "mamma" di casa, per poi passare il suo sguardo gelido ed impassibile su di me. Mi scrutò trattenendo la rabbia che vedevo sgorgare dal miele dei suoi occhi «FLORENCIA! NEL MIO STUDIO!»

Marcai ancora più furiosa una delle ormai migliaia di linee nere.
Strega,quella parola che echeggiava nella mia testa, iscritta nei miei fliquity più malevoli.
Strega, sei lettere che rimanevano incise sulle pagine bianche del mio diario con tutta la mia rabbia e tutta la mia umiliazione.
Strega era Malala, che ancora una volta aveva vinto la battaglia!

«Florencia, dimmi qualcosa! - Federico fissava a vuoto la sua scrivania, mentre tamburellava nervoso le dita sul legno - Coraggio!Parla! -  ruggì, facendomi sobbalzare dal piccolo nascondiglio che mi ero creata con l'incrocio delle braccia: mi sentivo protetta - Santo Cielo, Florencia! Vuoi almeno difenderti?! - alzai timidamente lo sguardo per incontrarmi con due occhi assetati di furia.
Lo riabbassai intimidita - Anzi no! Stai zitta! -  iniziò a camminare isterico per tutta la stanza fredda e gelida come lui - Lo sai che potrei cacciarti per quello che hai fatto? - continuavo in silenzio: quella era l'ennesima ramanzina che mi spettava dopo gli scherzi delle streghe - come puoi minimamente pensare di comportarti così?! Io proprio non ti capisco! Cosa ti hanno fatto Malala e Delfina per meritare tutto il tuo odio? - mi si avvicinò con cautela, la mano posata sul mento irsuto e gli occhi persi nel vuoto - Insomma vuoi parlare?! PARLA!» mi ordinò disperato.
Scattai all'indietro spaventata dalla sua reazione «Insomma, devo o non devo parlare? Prima mi dice una cosa, poi ne fa un'altra ed io rimango qui confusa peggio che una mucca travolta da una tromba d'aria!» il Principe mi posò una mano sulle labbra, sentivo il suo calore accarezzare il mio «Shhh! Non incominciare!» gli spostai violentemente il dito, presa da una rabbia indescrivibile «E invece io inizio! Come e quando voglio! La sa una cosa, Signor Federico? Lei è una persona così ottusa, ma talmente ottusa da non poter vedere la realtà che la circonda! Passa ore ed ore, giornate e giornate in questo studio, nel suo mondo, e poi pretende che tutto vada bene e segua perfettamente i suoi piani! Ma sa una cosa? La vita non è così, Federico e se le dicessi che non sono stata io a sporcare la Signora Malala, lei mi crederebbe? - Federico rimase impassibile, freddo come sempre - No che non mi crederebbe, perchè lei è troppo accecato dal suo lavoro, dai suoi interessi per potersi interessare alla bambinaia dei suoi fratelli! Perchè Florencia Fazarino è una stupida e sciocca verduraia, goffa ed impertinente che ne combina di tutti i colori! - gelido e rigido, insensibile e fin troppo glaciale - E le dico un'altra cosa! Le dico che sono stufa ed arcistufa di farmi prendere per il naso da tutti in questa casa e prima che ancora qualcuno riesca ad umiliarmi e a prendersi gioco di me, sarò io a dire basta - lo fissai dritto negli occhi - Me ne vado!» sbattei violentemente la porta dello studio, mentre le lacrime scendevano confuse sul mio viso furioso.
In salotto incrociai l'artefice di tutto sogghignare soddisfatta per la vittoria «Me ne vado! N'è felice?!» la mia era più una domanda retorica, sapevo già quale sarebbe stata la risposta della strega.
Mi allontanai adirata diretta nella mia stanzetta sotto le risate fragorose di quella che fino ad allora era stata una delle mie rovine: Maria Laura Torrès Oviedo!

«Strega! - ripassai ancora una volta infuriata la scritta ormai permanente sul foglio e in me - Vipera viscida e velenosa! Accidenti a te e a tutta la tua stirpe! - scaraventai violentemente il diario dal letto e mi rifugiai tra le braccia del mio cuscino a forma di cuore.
Singhiozzi interminabili accompagnavano quel malinconico silenzio che faceva da cornice alla mia stanza.
Singhiozzi che credevo non si sarebbero più fermati, che sarebbero rimasti scritti nell'anima per la troppa umiliazione.
Singhiozzi che nemmeno l'amuleto o l'incantesimo più potente avrebbe potuto curare.
«Missione compiuta! - una vocina risuonò in quell'interminabile silenzio di lacrime - che c'è? Cosa ho sbagliato adesso?» alzai la testa dal cuscino, mi asciugai lentamente le lacrime, mentre ancora il pianto mi divorava l'anima.
Una lucina verde brillava davanti a me «Oltre ad essere tonata sei anche inopportuna! - la pallina rossa prese posto accanto a me - Tonta ed inopportuna!» mugugnò annoiata «Tacete! Non avete visto che la nostra piccola sta male? - il chiarore del sole mi inebriò della sua energia - Cosa è successo, piccola Flor?» mi chiese con la sua solita dolcezza «Suelo - sussurrai mentre ancora le lacrime prendevano spazio sul mio viso addolorato. Avrei voluto abbracciare qualcuno in quell'istante, sentirmi protetta, curata e sopratutto, amata - l'ho fatto davvero, Suelo?! Mi sono licenziata!»
«Come ti sei licenziata?!» esclamarono all'unisono Lumbre, Brisa e Linfa «Shhh, ragazze! Fatela parlare! - Suelo si avvicinò a me e dolcemente mi accarezzò il viso - Cosa è successo, piccolina?»
«Ero stufa ... stufa ed umiliata per colpa di quelle due streghe»
«Malala e Delfina» sbarrai gli occhi «Voi lo sapevate? - vidi le quattro lucette annuire - E allora perchè non mi avete aiutata? E' un mese ormai che tento inutilmente di rintracciarvi e voi? Voi vi date per disperse! Fliquity!» mi strinsi al cuscino triste ancora più di prima «L'impollinazione dei fiori richiede molto tempo»
«Brisa! Taci!» la voce di Linfa sembrava essere più stridula del solito «Perdonaci, Flor! Credevamo che te la saresti cavata con quelle due signore! Sei forte, coraggiosa e piena di te!»
«Imbranata e goffa allo stesso tempo! Suelo! Come potevo difendermi ed insultarle davanti a Federico! Lui è così cieco, così ottuso da far venire il mal di stomaco, Santo Fliquity!»
«No, Flor! Non dire così! Tu non sei ne goffa ne imbranata, sei ...» Suelo mi fissò un istante «Sei una babbea!»
«LUMBRE! Per tutti i troll callosi di questo mondo! O TACI O TI TRASFORMO IN UNA VIPERA VISCIDA E PIENA DI RUGHE!»
«Scusami, Suelo! Non volevo ...» la lucetta rossa svanì nel nulla «Lasciala perdere! E' un po' acida per l'impollinazione poco riuscita!»
«Vuoi fare la sua stessa fine, Brisa? - la pallina verde si scosse leggermente - Flor, guardami - alzai gli occhi ancora pieni di lacrime - hai fatto la scelta giusta!»
«Come?! Suelo, stai scherzando?! - sbottò sarcastica Linfa - Allora tutto il nostro lavoro non è servito a nulla? Allora la missione "El Milagro de lo de siempre" è fallita? Tutto il nostro paino è fallito! Incredibile! Abbiamo fatto un sacco di sforzi per cosa? Per avere una babbea ancora più depressa di prima? No! Io non ci sto!» rimasi di stucco mentre anche la lucetta blu si volatilizzava.
Di quale fliquity di piano stavano parlando?
Ma sopratutto, perchè Lumbre e Linfa erano così arrabbiate? Avevano fallito, sì, ma in che cosa?
«Flor, non dare retta a certe Fate Infuriate! Possono dire tante di quelle menzogne che neanche i diavoletti riescono a contare!»
Tutto stava prendendo il colore di un mistero ed io ero sempre più triste e sconsolata.

Preparavo demoralizzata i bagagli.
Ripensavo al tempo trascorso in villa con i ragazzi, così poco, quasi impercettibile e incalcolabile.
Quanto mi sarebbero mancati i ragazzi? Quanto mi sarebbero mancati i bellissimi momenti passati assieme, ridendo e scherzando o inventando piccole burle innocue per le streghe. Sì, perchè la mia unica ancora di salvezza in quel castello erano i ragazzi, nemmeno Federico si salvava!
Lui era il peggiore di tutti, il Dracula della situazione ed io non lo sopportavo!
Piegai l'ultima magliettina e la inserii nella borsa.
«Flor! Flor! - Tomás entrò di corsa nella mia cameretta - Eccoti qui! Dov'eri finita? E' tutto il giorno che Roberta ed io ti stiamo cercando!» cercai di nascondere i bagagli. Odiavo gli addii.
«Cosa sono questi? - la furbetta di casa mi indicò le valige ormai pronte - Non te ne stai andando, vero?» le sorrisi come un ebete «In realtà Federico mi ha dato una settimana di vacanza! Sapete il troppo lavoro stressa ed il meglio è riposare ...»
«Non sei brava a raccontare le bugie, Flor! - Tomás incrociò le braccia - dicci la verità!»
Raccontai ai bambini l'ennesima buffonata di Malala, ignara che qualcuno dietro la porta ci stava ascoltando.
«Ma Flor, tu devi dirlo a Federico! - Tomás mi abbracciò quasi disperatamente - Non te ne puoi andare! Devi restare con me!»
«E con me! Flor, lo sanno tutti che Malala e Delfina sono due streghe senza scopa, non vedo il perchè dire la verità ti spaventi?!» mi asciugai l'ennesima lacrima «Già,  lo sanno tutti tranne Federico! Non ha detto nulla, è rimasto impassibile come sempre! Non mi ha nemmeno chiesto di restare!»
Osservai i bambini che ormai mi sedevano di fronte sul letto. La salopette colorata di Roberta non corrispondeva al suo animo angosciato. Gli occhi scuri le brillavano e tratteneva a stento le lacrime.
Il piccolo Tommy, nella sua tenacia, nascondeva una piccola debolezza, che ancora non avevo scoperto. Gli occhi, nonostante la loro ombra scura, celavano tristezze e sofferenze a me ancora sconosciute.
Ma il tempo era scaduto ed io non avrei avuto più la possibilità di scoprirle.
«E' Federico - sospirò il piccolino - Il problema è Federico! Se non fosse per la sua stupidità a quest'ora le streghe se ne sarebbero già andate!»
«E' vero! Federico non si accorge di quanto male ci vogliono Malala e Delfina! E tu devi aiutarlo, Flor! Non te ne puoi andare così! Se ci abbandoni, qui è la fine! Solo tu ci puoi aiutare!»
«E come?» domandai cosciente ormai dei bambini d'oro che tenevo tra le braccia «Stando con noi, Flor! Convincerlo che si può essere felici!»
«Credi che non ci siamo accorti di nulla? Tutti sappiamo che Federico non è più lo stesso da anni - Tomás si asciugò una lacrima - E' triste, cattivo e per di più non gli importana niente di noi»
«Non dire così, Tommy» lo strinsi ancora più forte a me «Flor, lui non era così! Qualche anno fa, prima che la mamma mi abbandonasse, venivo tutte le estati qui da loro e Fede era felice, certo, non come una Pasqua, ma di sicuro con un sorriso più largo di quello che ha adesso!»
«Sì, Flor! Roberta ha ragione! E' tutta colpa di quella strega di Delfina se Fede è così! Sono sicura che gli ha fatto qualche incantesimo malefico, perchè questo non è il mio fratellino!»
«Sei solo tu che ci puoi aiutare a far ritornare Fede come era prima! - Roberta sospirò - Sei la persona più buona che conosca al mondo e non ci puoi abbandonare proprio adesso!»
«Ci prometti che rimani?» gli occhi di Tomás brillavano nell'oscurità della mia stanzetta. Era il bambino più bello che avessi mai visto in tutta la mia vita. Bello e coraggioso come il fratello. Due sosia indescrivibili.
«Allora?!» insisté Roberta «Ve lo prometto - sorrisi vedendo nascere una nuova felicità negli occhi dei bimbi - parlerò con Federico - li vidi avvicinarsi alla porta - alt! Dove credete di andare senza prima darmi due bei bacini sulla guancia?! - i due cuginetti mi si avvicinarono e mi stamparono due teneri baci sulle guance - Molto meglio! - se ne andarono lasciando spalancata la porta - E ora che faccio?! - con le mani mi coprii il viso disperata - Ah, fatine dei guai datemi una mano voi!»

«Florencia, possiamo parlare?» Federico entrò di soppiatto nella mia stanzetta. Strabuzzai gli occhi incredula della sua presenza, dopo il litigio furibondo di qualche ora prima «Ehm, qualunque cosa sia successa non è colpa mia! Sono rimasta chiusa in camera fino ad ora e Greta può testimoniarlo!»
«No, non preoccuparti! Non è successo niente» sospirai sollevata dal fatto che per una volta la colpa non ricadesse su di me.
Finalmente.
«Mi dispiace» Federico rimase impassibile poggiato allo stipite della porta con le braccia conserte e lo sguardo perso nel pavimento «Le dispiace?! - strabuzzai gli occhi ancora più incredula di prima! Se poco prima Federico era entrato in stanza dopo un litigio furioso, calmo e pacato come sempre, ora che si stava scusando, aumentava dei seri fliquity dubbiosi in me. era veramente insolito - Si sente bene? - guardai fuori dalla finestra - Mi sa che stasera verrà un temporalone di quelli!»
«Florencia, per favore! Non rendermi le cose più difficili di come sono già!»
«Ah, perchè adesso chiedere scusa è difficile - mi alzai pian piano dal letto e mi avvicinai a lui gesticolando freneticamente con il dito - Ma per favore! Chiedere scusa è la cosa più semplice che una persona possa fare! E' segno di umiltà e generosità! Chi non lo fa è veramente un orco!» sbottai arrabbiata ancora più di prima «E' questo quello che pensi di me? - Federico mi guardò - che sono un orco?» mi scostai nervosa la frangetta «Bhe, è quello che penso di lei adesso! E mi scuso se l'ho offesa, non era mia intenzione!» Federico si sedette lentamente sul letto che la piccola Roberta occupava accanto al mio ormai da tempo «Lo vedi? Per te è così semplice chiedere scusa. Come fai? Sei così ... così ...» sospirai «Lo so, sono così strana!» sorrise scuotendo lentamente il capo «No, ti sbagli! Sei così diversa! - si fermò un istante - Sei pazza, stravagante, imbranata, impertinente ...» lo bloccai «Ehi, ci vada piano!»
«Scusami»
«Lo vede? E' così semplice chiedere scusa - sospirai emozionata per quel magnifico piccolo momento "intimo" - Ah, Singor Federico! Perchè è così freddo?» alzò un sopraciglio sorpreso «Io non sono freddo»
«Ma non si guarda mai allo specchio? Sempre così imbronciato, cupo, con quel musone che potrebbe benissimo arrivare in Europa! - mi bloccai pensierosa - un cubetto di ghiaccio! Ecco cosa mi ricorda, un Freezer, un cubetto di ghiaccio - lo vidi sorridere alla mia battuta - Ah, ma lo vede come è bello quando ride?! Ehm, volevo dire come cambia? Le si illumina il viso talmente tanto che sembra che il sole sia sceso in terra! Perchè non lo fa più spesso?» alzò il sopraciglio questa volta sorridente «Cosa?»
«Sorridere!»
«Già, sorridere ...»
«Sorridere e radersi quella barba, per esempio! Le hanno mai detto che somiglia ad un cavernicolo moderno?»
«Flor, adesso non esagerare» mi sorrise ancora una volta. Quanto era bello?!
«Io le sto solo dicendo la verità! Solo e soltanto la verità - incrociai le dita e le baciai di fronte a lui - senza offesa, naturalmente!»
Segui un lungo silenzio, in cui ognuno probabilmente pensava ai fatti suoi.
Non so lui, ma io rivedevo impresso nella mente quel suoi sorriso indimenticabile.
Bello e raggiante: un Sogno, come quello che ci fece incontrare la prima volta!
«Vi stavo ascoltando prima - sbarrai gli occhi - tu ed i ragazzi»
«Prima? E ...e - balbettavo - e ... cosa ha sentito?»
«Purtroppo non tutto - sospirai sollevata - ma avrei voluto sentire di più! - si passò nervoso una mano tra i capelli biondi - Perchè non mi hai detto la verità? In fondo non ti costava nulla»
"Mi costava, eccome se mi costava!" «Ha sentito?»  
«Ho sentito che Malala ti ha fatto un brutto scherzo! Ancora non capisco come la mia madrina possa aver fatto una cosa simile?! - si passò una mano sul viso - Malala - sospirò - comunque sia non preoccuparti, con lei ho già parlato e mi ha garantito che non si ripeterà più. Stai tranquilla! - si prese ancora un istante - Mi dispiace, Flor»
«E di cosa, Federico? Non è che adesso ha preso il giro e si andrà avanti a scusare per tutta la vita?»
«Mi dispiace che ti sia ritrovata in situazioni sconcertanti e - mi guardò fissa negli occhi, sentivo il cuore salirmi in gola - e mi dispiace di non averti creduto! - eravamo una di fronte all'altro, i nostri occhi si fissavano a vicenda ed io mi sentivo morire. Improvvisamente lo vidi prendermi le mani: credevo di svenire. Il suo tocco tiepido, forte e così principesco tra le mia mani, un poco screpolate a causa dei continui detersivi - Vorrei che tu restassi»
«N'è è sicuro? Perchè altrimenti i bagagli sono già pronti!» strinse ancora più dolcemente le mie mani tra le sue «Flor, Tommy e Roberta hanno bisogno di te ed anche io - il color miele dei suoi occhi risplendeva alla luce del tramonto: era un momento così romantico - come tutti i miei fratelli d'altronde - sospirò credo un po' confuso - ti prego resta»
Riflettei un istante non so se per decidere o per sentire ancora le sue possenti mani cingere le mie, ma il silenzio che segui fu indimenticabile. I nostri occhi erano un libro aperto: io leggevo i suoi, imploranti e probabilmente lui sfogliava i miei. Quello che lesse non so, ma rimanemmo lì immobili, mentre i minuti trascorrevano, mentre il tempo passava accarezzandoci dolcemente sotto quel tramonto da favola.
«FEDERICO! FEDERICO!» ancora una volta la coda di foca si era intromessa, rovinando completamente quel piccolo passo in più nel rapporto tra me e Federico.
Una gatta morta guasta feste!
«Devo andare» si alzò lentamente, lasciandomi le mani, per poi avvicinarsi alla porta. Prima che se ne andasse lo bloccai «Resto» sussurrai con la voce ancora interrotra dai battiti irrefrenabili del cuore.
Mi sorrise, strizzandomi dolcemente l'occhio e bisbigliandomi un timido "Grazie".
Quando se ne andò, mi chiusi in stanza, gettandomi euforica su letto.
Federico stava cambiando ed io ero cotta di lui!


ANGOLO AUTRICE: Ce l'ho fatta!!!!!!
W me!!!!!!! La grafica è finalmente uscita perfetta!!!!!!!!!
Mi scuso per i capitoli precedenti, ma ora non ci sarà neanche più un errore nell'intestazione (almeno credo) XD
Voglio ringraziare tutte le persone che nella mia storia lasciano sempre un segno, naturalmente gradito!
biby_ef
piccolavenere96
flori186
Federika21
freezer1996

Un grazie di cuore ragazze!!!!!
Alla prossima ....


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Capitolo 16
*** Sotto Minaccia ***


____________Sotto Minaccia___________
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«Flor? Flor, mi stai ascoltando?»
Maya muoveva esasperata una mano davanti al mio viso in cerca di attenzione.
Lo avevo fatto ancora: Federico aveva colpito di nuovo ed i miei fliquity si erano persi allegramente nei meandri più segreti.
Accompagnata dalla mia incontrollabile immaginazione, mi ero creata un piccolo mondo, un mondo fatato, incantanto, pieno di colori, fantasie e sorrisi. Un mondo dove la felicità era a portata di mano e i sogni si realizzavano a colpo di bacchetta. Le fate rallegravano la vita quotidiana con la loro magia colma d'amore e le streghe, nonostante le verruche repellenti sul viso, avevano un bonbon al posto del cuore e un bastoncino zuccherato per scopa!
Il Castello reale ne dominava l'intero paesaggio, dimostrando a tutti i sudditi la maestosità e l' eleganza del possente proprietario: il Principe!
Il Principe.
Federico.
L'unico Principe dai poteri soprannaturali, l'unico essere in grado di bloccare il tempo e i battiti dei cuori innamorati delle fanciulle che erano nelle sue vicinanze.
Mi bastava sentire il suo nome che il portale di quel mondo si apriva e per me non c'era più nulla da fare, ero persa, troppo concentrata nell'immaggine perfetta del Principe, che con quei suoi capelli dorati, con quei suoi occhi dolci più del miele, con quel suo viso poderoso, mi fissava teneramente e con fare innamorato mi sussurrava un soave "Ti amo"
«Ti amo ...» ripetevo ogni volta con un sorriso tremendamente ebete, del quale ancora oggi mi vergogno.
Quel giorno Maya se ne accorse, ma giustamente io no!
«Grazie, Flor! Anch'io ti amo! - sbarrai gli occhi sentendo quella "strana" rivelazione - Non fare quella faccia da pesce lesso, sto scherzando! - prese una caramella dal cestino della scrivania di camera mia - Piuttosto, chi è?» masticò con gusto il dolcetto sotto il mio sguardo inquieto. Avevo paura della sua insitenza, conoscevo Maya e sapevo che non aveva limiti.
Mai!
«E' buona?» cercai di sviare l'argomento per sfuggire ad una conversazione abbastanza imbarazzante «Mmm, sì, anche se il porcellino potrebbe conservarle meglio» disse prendendo un'altra caramella «Fuffi non è un porcellino qualsiasi! E' un facocero rosa ed è bravissimo nel suo lavoro!» sospirai nervosa per l'insulto al facocerino che avevo trovato tempo prima al mercatino delle pulci.
Non era un contenitore qualunque e per questo aveva attirato la mia attenzione. Tenero, con quei suoi occhioni a mandorla, e sbarazzino al tempo stesso per la criniera nera. Me ne ero innamorata!

Il nostro incontro era avvenuto in uno dei tanti mercatini delle pulci del quartiere. Quel giorno Bata mi aveva consigliato di andarci per una particolare svendita di oggetti d'epoca che io adoravo!
Quando i nostri sguardi si incrociarono io avevo già terminato tutto il denaro a disposizione e guardavo assorta quei bellissimi occhioni nocciola che con fare irresistibilmente amabile sembravano dirmi "Comprami, fammi tuo". Mi morsi il labbro immaginandomelo posto sul tavolino della stanzetta che occupavo alla pensione: il colore rosa del corpicino paffutto si sarebbe intonato alla perfezione con le pareti e poi, poi un contenitore così particolare mi mancava prorpio!
"Che peccato" pensai riguardando il color pastello sul viso del dolcissimo facocero «Carino, vero?»  una voce si scolpì dietro di me. Incuriosita, mi voltai, imbattendomi in un uomo alto, robusto e molto simile ad un cow-boy!
Lo scrutai attentamente, incapace di sibilare parola: era un ragazzo giovane, forse con qualche anno in più di me, ma il cappello western e i capelli castani impeccabilmente ribelli gli coprivano la maggior parte del viso. Preoccupata indietreggiai.
«Phacochoerus Africanus li chiamano in Africa, ma qui da noi sono dei semplici Facoceri - alzò pian piano il viso per imbattersi nel mio, rimasi inerme quando incontrai i suoi occhi verde cielo - Max è il mio nome e il vostro, Principessa?» mi si avvicinò, mentre mi sorrideva galantemente. Avvertivo le sue braccia dietro la schiena, sembrava volermi cingere in un abbraccio da un momento all'altro «Non le importa il mio nome - balbettai spaventata - e non mi chiami Principessa!»
«Ecco fatto! - alzò trionfante il contenitore rosa con uno smagliante sorriso sulle labbra - Cinque pesos, vero? - sorrise all'ambulante consegnando una banconota - Grazie - le fece un occhiolino mieloso, lasciandola incantata e poi si diresse a me - Che peccato che tu non mi voglia dire il tuo nome! - romantico e terribilmente smielato - Sai, sono molto premuroso e amo fare regali alle Principesse come te!» mi misi le mani sui fianchi e guardai infuriata l'energumeno che avevo di fronte «Che peccato che io non sia una Principessa che accetta regali dagli sconosciuti!»
«Aggressiva e nevrotica come piace a me!» gli sorrisi sarcastica «Sbruffone e antipatico come NON piace a me! Coraggio, se ne vada, che la svendita promozionale di giovani ragazze aggressive si svolge da un'altra parte!» sbuffai sconvolta e lo scorbutico scoppiò in una sonora risata «E sei anche simpatica! - guardò curioso le borse di plastica degli acquisti appena fatti - hai fatto compere, Principessina?» lo fulminai con lo sguardo «Non sono affari tuoi, Principino!» dissi in tono sarcastico, troppo esasperata per pensare «Oh, sì che lo sono! - si avvicinò alle borse, alzando il cappello western - Fammi dare un'occhiata!?» mi allontanai sconvolta «Ma come si permette, maleducato che non è altro! - mi sorrise maliziosamente - Chi si crede di essere? - galantemente mi fece un cenno con il cappello e si voltò, deciso a lasciare la discussione in sospeso - Dove sta andando? Qui non abbiamo ancora finito, maleducato che non è altro! - mi salutò dal dietro augurandomi uno sfacciato "Hasta la vista" - Maschilista! - gridai esasperata, vedendolo allontanarsi tra la gente, che osservava ogni mio gesto incuriosita.
Tornata a casa, svuotai ancora arrabbiata le borsette «E questo? - osservai l'oggetto che tenevo tra le mani - Cosa ci fai tu qui? - il facocerino dei miei sogni mi osservava con i suoi incantevoli occhi a mandorla - Non sarà che ... - mi portai una mano alla bocca - lo sbruffone!»
Rigirai tra le mani ancora incredula quell'oggetto tanto desiderato. Lo sfacciato del mercatino delle pulci mi aveva fatto un regalo oltre alla sua tremenda aria da corteggiatore: Fuffi!
Avevo deciso di chiamare così quel pensierino, come il cagnolino che il mio papà mi aveva regalato al mio quarto compleanno!
Era tenerissimo un maltesino bianco come il latte e dolce come lo zucchero, un amore!
Purtroppo non somigliava molto al farfallone del mercatino, però ...

«Bah, per me rimane sempre un maiale! - sorrise Maya, inghiottendo l'ennesima caramella - Allora, mi dici chi è?» la osservai sdegnata: la coda spettinata e gli occhi impiccioni, garantivano a quel suo viso sbarazzino una solenne curiosità. Sviai impotente lo sguardo, dedicandomi ad una scusa plausibile «Chi è chi?»
«Non fare la finta tonta, Flor! "C'è che mi sono innamorata di te ..."» canzonò allegramente, mentre io scoppiavo a ridere, troppo divertita «Non sono innamorata, Maya!» sorrisi trattenendo a stento le lacrime «Ah, non sei innamorata, eh? - mi scrutò da cima a fondo - testa leggera? Cuore tra le nuvole? Vertigini? Farfalle nello stomaco? Mal di pancia improvviso? Narcisismo? Non dirmi che non hai mai provato queste cose? - pensai un istante a quanto Maya fosse perspicace, sembrava mi avesse letto nel pensiero - dai, Flor! Di me ti puoi fidare!» mi disse con fare implorante.
La guardai per un momento, poi scossi leggermente il capo: se fosse venuta a conoscenza della mia cotta segreta per suo fratello, allora si che sarebbero stati guai!
«Ma se non c'è nessuno!» Maya mi scrutò, analizzando i miei occhi fino all'inimmaginabile «Non ti credo!»
«Maya!» mi nascosi dietro un sorriso isterico «Mi dispiace, Flor! Non ti credo! Sai anche tu che i tuoi occhi non mentono mai e in questo momento vedo solo riflessi due gicanteschi cuori rosa che mi dicono "Ti amo, ti amo, ti amo" - gesticolò divertita - e poi la tua faccia da ebete non se la scorda nessuno! Lo conosco?» mi chiese afferrando l'ennesima caramella da Fuffi «Ehm, cosa fai di bello stasera?»
«Non cercare di cambiare argomento! Dai, lo conosco? - si fermò un istante probabilmente ad analizzare i miei movimenti, abbastanza irrequieti - Sì, lo conosco! E' nella band? - abbassai lo sguardo per non incrociare il suo, i miei occhi non mentivano mai, ero io a mentire! - No, non è nella band! E allora chi è? Flor, non essere cattiva, sbaglio o sono una tua amica?! Di me ti puoi fidare!» l'insistenza di Maya si era trasformata in un'incredibile tenerezza da cucciolo implorante «Ma se non c'è nessuno!»  
«"Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo" Devo continuare?» prese la mia spazzola e mi minacciò divertita «D'accordo, d'accordo! - alzai le mani, consegnandomi definitivamente alla mia "poliziotta" - C'è qualcuno» sospirai ormai arresa all'evidenza.
Maya salì sul letto in un battibaleno e, saltando a più non posso, iniziò ad urlare energicamente «Ah, lo sapevo! Lo sapevo! Maya Fritzenwalden non sbaglia MAI! - poi si fermò di colpo e si gettò a peso morto sul mio letto, osservandomi con un enorme sorriso stampato in faccia - chi è? Ah, non dirmelo, non dirmelo! E' Bata! Era implicito che un'amicizia bella come la vostra si trasformasse un giorno in amore e poi si dice che l'amicizia non sta ad un passo dall'amore?! - sbarrai gli occhi, esterrefatta: io e Bata innamorati?! Guardava troppi film d'amore la mia carissima amica - Anzi no, so chi è! E' ... Tah-dah Franco! - disse farfallando le mani - Mio fratello riesce sempre a far centro, come e quando vuole! Flor, perchè mi guardi così?» sbarrai gli occhi: non avevo mai pensato a Franco come un possibile fidanzato.
Il gemello sportivo dei Fritzenchucchen era sempre stato piuttosto affettivo nei miei confronti. Il nostro rapporto era quella semplice amicizia scritta di mille gesti affettuosi e parole dolci. Un'amicizia che si era rafforzata nel tempo, grazie alla distanza che ci separava.
Era da tempo ormai che non vedevo Franco, erano passati mesi dal suo ultimo ritorno a casa e più passavano i giorni, man mano le opportunità di sentirci per via telefonica erano diventate quasi sempre improbabili. Il fuso orario, gli allenamenti ed il lavoro erano stati degli ostacoli con non poca rilevanza nel nostro rapporto, ma nonostante questo quando lui chiamava tutta la famiglia per un saluto veloce, riuscivamo a scambiarci qualche parola, sotto l'occhio indiscreto di Federico, che dall'alto del suo cospetto sempre controllava tutto e tutti.
Franco era una persona dolcissima e si sentiva in colpa per questa sua "mancanza di tempo" nei miei confronti, così, per farsi "perdonare" mi inviava spesso dei piccoli souvenir dal posto in cui era stato con allegati i rispettivi biglietti o cartoline. Fogli colorati, in cui in poche, ma rilevanti parole, mi descriveva il suo successo sportivo e l'importante affetto che sentiva per me. Possedevo una per una quelle lettere colme di emozioni in una cassettina nel mio comodino e quando sentivo sempre più distante il mio Farolito, mi sedevo sul letto e con le lacrime agli occhi, mi immergevo in quelle dolci parole, che sembravano avvicinarlo sempre di più al mio cuore.
«Non è lui, vero? - abbassò il viso, vedendo il mio sguardo sconcertato - Oh no! - si portò sbalordita una mano alla bocca - Non ci posso credere! Perchè non ci sono arrivata prima?! Oh my God! - si guardò attorno come se controllasse che non ci fosse nessuno nei dintorni, poi con estrema calma, marcando ogni lettera, mi sussurrò - F E D E R I C O - annuii fuori dal mio controllo, come se quel nome sussultasse un'incredibile magnetismo che neanche il mio cuore poteva controllare - O mio Dio! Fede! Il Mangiabambini! Ti sei inn ...» svegliandomi dal coma profondo, le misi spaventata una mano sulla bocca «Zitta, Maya! Vuoi che Federico mi scopra e mi mandi in gatta buia?!» le liberai la presa «Ti sei innamorata del Mangiabambini? - la sua era più una domanda retorica, ormai sapeva tutto - Come ho fatto a non capirlo prima! Ora che mi ci fai pensare è così evidente!»

Ero seduta sul mio lettino a ripensare a qualche istante prima. Finalmente Maya se n'era andata con i suoi fratelli a lezione di tedesco ed io potevo respirare un po' di tranquillità.
Uno dei miei segreti più nascosti era stato svelato, così dal niente era venuto a galla tutto e Maya lo sapeva. Sapeva che mi ero presa una bella cotta per il fratello e non per quello tanto dolce e affettuoso che tutti amavano, bensì per quello odioso ed irrequieto che la famiglia disprezzava.
Un po' mi vergognavo.
«Gli opposti si attraggono» mi aveva detto Maya, prima di chiudere la porta. Forse aveva ragione, forse Federico ed io eravamo tanto diversi quanto uguali, forse io mi ero innamorata di lui per questo. Lui era un essere così freddo e scontroso da far venire il mal di pancia ed io? Io cercavo di essere sempre solare, pronta ad aiutare tutti per qualsiasi necessità, mostrando un allegro sorriso, nonostante i miei problemi di cuore.
Ma che cos'era l'amore?
Domandai con l'inchiostro al mio Diario.
Cos'era ciò che veramente sentivo per Federico? Per quel Freezer glaciale che nemmeno la fidanzata con tanti bacini e bacetti aveva sciolto?
Improvvisamente il campanello iniziò a squillare a più non posso, distraendomi dai miei pensieri più contorti.
Posai la penna, sperando che Greta o Antonio andassero ad aprire al mio posto, ma a quanto pareva non era la mia giornata e quel turno spettava a me "di diritto" «Arrivo! - mi alzai svogliatamente abbandonando il diario sul letto - Fliquity, che insistenza!» il campanello suonava all'impazzata ed io ero più isterica del solito, poichè interrotta in un mio momento di "pensiero contorto".
Raggiunsi il più velocemente possibile le scale e quando vidi Federico uscire dallo studio, ormai avevo già iniziato a scendere i gradini.
Io correvo e lui veniva.
Lui veniva ed io correvo.
Lo scontro fu devastante.
Sentii il tepore delle sue labbra posarsi sulle mie e le mie guance arrossire all'impatto. Un formicolio percorse velocemente ogni vena del mio corpo facendomi perdere l'intera cognizione del tempo.
Imbarazzati ci staccammo, ma io ero ancora tra le sue braccia, inebriata completamente, oltre che dal suo profumo di colonia, anche da tutti quei fliquity che pazzi correvano stravaganti per tutto il mio corpo.
I suoi occhi color miele fissavano brillanti i miei, in cui quel colore che tanto avevo amato, stava prendendo il bagliore del grano.
Lo guardavo estasiata e incapace di pronunciare alcuna parola, persa nel suo sguardo, persa in quella marea improvvisa di emozioni, dove la mia anima stava naufragando al ritmo dei battiti del mio cuore, persa in quel bacio accidentale che io e il mio Principe ci eravamo appena scambiati.
«Scusami, Flor» sussurrò debolmente a pochi centimetri dal mio viso, sentivo il suo respiro sulla pelle «No, mi scusi lei» bisbigliai sempre più ipnotizzata dalla limpidezza di quello sguardo.
Che cosa sarebbe rimasto di quell'incidente? Imbarazzo? Vergogna? Paura o desiderio?
Quello era il mio primo bacio e stavo toccando il Cielo con un dito, mentre ancora mi sentivo stretta tra le braccia del mio Principe.                                                                                                                                                          
In collegio mi avevano spesso parlato di baci e carezze talmente passionali da far venire la tremarella al solo pensiero, ma questo? Non pensavo si potessero provare emozioni così forti al solo sfiorare le labbra o ancora peggio sentire l’adrenalina correre a mille nelle vene e invitare sgarbatamente a proseguire ciò che il mio corpo desiderava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Il bacio del Principe.
Ci guardavamo come se il tempo si fosse fermato, come se le parole non servissero a spiegare quell'istante, come se anche lui provasse qualcosa per me.
Ma lui, provava qualcosa per me?
«Federico ... io ...» chiesi con la voce ancora tremante «Tu ...» continuò lui con un filo di voce «Io ...»
«Floricienta! Floricienta! Aprire dannata porta!» Greta entrò con la sua aria tedesca nel salotto.  Imbarazzati, io e Federico ci allontanammo, interrompendo definitivamente ogni contatto «Greta! - rispose Federico ancora a disagio - stavo proprio invitando Florencia ad aprire la porta - poi sì passò nervoso le mani tra i capelli - Flor, la porta!» mi risveglia dal sogno e annuii energicamente.
«Franco! - esclamai all'aprire la porta - che bello rivederti!» lo abbracciai forte, forte «Angioletto, non mi abbracciare così, che altrimenti sarò già con le ossa rotte prima dell'ora di cena!» entrò in casa sotto gli occhi emozionati di un Federico teso ed una Greta fin troppo allegra «Herr Franka!» esclamò la tedesca, prima di unirsi in un affettuoso abbraccio «Ah, mia piccola Gretina, non piangere! - mi portai una mano al cuore, emozionata da quella scena colma d'amore - Adesso Franco non ti lascerà mai più, promesso – osservò poi il fratello  - Che c'è, Federico? Non vieni a salutare il tuo fratello preferito?!» disse con uno smagliante sorriso sulle labbra, degno del mio grande amico, che preso dall'emozione aveva abbandonato i bagagli sull'uscio della porta.
«Franco! - strepitò il Freezer con le lacrime agli occhi dalla felicità - Non mi hai detto che saresti tornato oggi!»
«Diciamo che volevo farvi una sorpresa! - mi fece l'occhiolino divertito - e gli altri? Dove sono?» si guardò attorno in cerca dei fratelli "scomparsi" «Pichononi essere andati a lezione di tedesco per imparare vocabolaria e grammatico! - Franco, Federico ed io scoppiamo in una sonora risata a sentire le parole accartocciate della povera governante tedesca - che avere detta di sbagliata, Greta?»
«Niente, Gretina, tu non dici mai niente di sbagliato - Franco le sorrise dolcemente, cingendole la spalla con una delle sue possenti braccia - prepareresti ai cari e buoni vecchi Fritzenwalden un tè alla tedesca?!»
«Ja, Herr Franca! Io andare subita! - Greta si voltò verso di me, svolazzando il suo impeccabile caschetto moro - e tu, Floricienta, togliere faccia da ebeto e venire ad aiutare povera Greta!»
Seguii la governante tedesca in cucina, ancora sottoshock. Possibile che la mia vita avesse certi sbalzi imprevedibili?
Prima il Freezer, poi Franco ed ora?
Mentre preparavo il tè, ripensavo a tutte quelle emozioni che mi avevano riempito l'anima.
Cinque mesi che ero in quella casa e già mi ero innamorata!

«Allora, questo the?» la voce di Malala risuonò acida e penetrante come sempre. Alzai gli occhi al Cielo, risentita per i continui ordini della Strega Maggiore "Odiosa" farfugliai, sistemando la tazza da tè in ceramica sul vassoio «Arrivo, Signora Malala!» sbraitai, mentre percorrevo le scale, osservando attentamente il tè gocciolare intrepido lungo la tazza: non volevo combinarne un'altra delle mie!
«Florencia» avevo raggiunto il corridoio del piano di sopra e, per la mia solita sfortuna sfacciata, avevo incontrato la soluzione a tutti i miei problemi «Signorina Delfina! - esclamai più che sorpresa, un po' irritata - Se mi lascia passare, vado a consegnare il tè delle cinque a sua madre!» cercai di essere il più amabile possibile, anche se di fronte a così tanta "stregoneria", anche la gentilezza d'animo si rifiutava di fuoriuscire facilmente «Non prima che ti abbia parlato» il suo tono aspro e leggermente minaccioso mi fece rabbrividire «E di cosa dovremmo parlare, io e lei, Signorina?» indietreggiai un po' spaventata dallo sguardo accattivante dell'inspida coda di foca «Oh, abbiamo molte cose di cui parlare, Florencia»  
«E di cosa, Signorina? Io e lei abbiamo in comune solo la sala da pranzo e la cucina, che poi tanto nostra non è, se si considera il fatto che Greta e Antonio...»
«Taci!» grugnò agitando isterica la sua inquietante coda di cavallo nera «Mi scusi, volevo solo mettere in chiaro alcune cose»
«Sono io qui, che devo mettere bene in chiaro alcune cose» sibilò fulminandomi con lo sguardo «E Malala? Cioè, mi scusi, e la Signora Malala? Il suo tè si potrebbe freddare e ...»
«E che si freddi allora! Tanto c'è quella tedesca buona nulla che lo rifarà, no?»
«Non parli così di Greta! Sarà anche un po' goffa e le parole le si accartocceranno in gola, ma è pur sempre una brava persona!»
«Non ti innervosire tanto, Florcita - mi sorrise maliziosamente - altrimenti quelle tue deliziose guancette rosa prenderanno il colore del fuoco e noi non vogliamo questo, giusto? - annuii preoccupata della situazione - comunque, questo non è un problema mio! Ma quello che ti sto per dire, sì! - dal suo volto malefico, sparì definitivamente l'espressione scaltra. Ora i suoi occhi sputavano solo odio - ti ho vista - con un gesto elegante si portò le mani al bacino - giù, da basso, con Federico»
Sbarrai gli occhi incredula. La strega Minore aveva visto il piccolo "incidente" di qualche ora prima e, naturalmente, in quel preciso istante me lo stava rinfacciando con una snervante ostilità. Ovviamente, degno di Delfina.
I suoi occhi neri mi scrutavano con risentimento, disprezzando ogni centimetro della mia pelle fino ad incontrare i miei occhi verdi, che in quel momento tremavano più del vassoio che ancora tenevo tra le mani.
«Le posso spiegare tutto, Signorina! - agitò lentamente l'indice della mano destra - Non è come sembra! In realtà io stavo ...»
«Shhh, Florencia - si portò un dito sulle labbra - non ti stanchi mai di tutti questi tuoi inutili giri di parole? - mi fulminò adirata - Io, non ho bisogno della tua fantasia e tanto meno delle tue facce da pesce lesso che hai davanti al MIO Fidanzato!»  
«Ecco ... vede, io»
«Credi che non mi sia accorta che provi una certa attrazione per Federico? Che quei fari che ti ritrovi al posto degli occhi, si illuminano ogni volta che il MIO Fidanzato è nelle vicinanze? - mi sorrise maliziosamente - Mi ricordi una piccola e dolce micetta in calore - si coprì la bocca con la mano destra - Oh, povera micetta poco apprezzata! Perchè tu sei questo, Florencia! Lo sai, vero? Sai che mai e poi mai, neanche per tutto l'oro del mondo, Federico s'interesserà ad una sporca verduraia come te, vero? Sai che per quanto il MIO Fidanzato possa dimostrarsi gentile nei tuoi confronti, mai ricambierà quel tuo ostile capriccio? - le labbra mi tremarono spaventate, mentre sentivo gli occhi riempirsi di lacrime - Oh, non te la sarai mica presa, piccola, dolce, Flor?! Ma, amor mio, la vita è questa, reale e piedi in terra e non la tipica fiaba dove anche le sguattere hanno un posto nel cuore di chi le circonda! Devi rassegnarti, micetta! - mi sorrise - Federico è MIO! Solo e soltanto MIO!»
«Mi stai offendendo, Delfina! - sentivo le lacrime cominciare a scorrermi sul viso - e questa volta ti parlo da persona a persona e non da inserviente a padrona - sospirai, cercando di riprendere la calma - si può sapere perchè ce l'hai tanto con me? - gesticolavo nervosa, mentre i singhiozzi del pianto interrompevano ogni tanto le mie parole - posso sopportare i vostri insulti dalla mattina alla sera, posso sopportare che mi chiamiate verduraia, cardo, immonda creatura, capisco anche schifosa e sporca per il fatto di venire dal "popolo", ma ora basta! - Delfina appariva disinteressata, fredda e indifferente, anzi sembrava pure prendersi gioco di me - Sono stanca di essere sempre nel mirino dei vostri assurdi scherzi!» mi asciugai l'ennesima lacrima «Oh, perdonami, Florencia! Hai frainteso le mie parole, io non volevo farti assolutamente nulla!» farfugliò ironica la Strega «Mi sa che è lei che ha frainteso le mie di parole! Si può sapere perchè mi odia tanto?»
«E non lo hai ancora capito, eh? - si portò delicatamente le mani ai fianchi e mi fissò divertita - La risposta è un solo nome: F E D E R I C O» le barriere che mi trattenevano dallo scurissimo oceano di lacrime si dileguarono improvvisamente, ed io mi trovai a naufragare in quell'immenso manto di tristezza.
Goccioline salate e ricche di angoscia mi rigavano completamente il viso, mentre io, disperata per l'accaduto, cercavo inutilmente di asciugarle con la maniche della maglietta ormai zuppa e fradicia per tutto il polso.
Delfina osservava ogni mio gesto con un debole sorriso sulle labbra. Si divertiva a far soffrire la gente.
Si divertiva a veder soffrire me!
«Flor? Delfina? Cosa sta succedendo qui? - il vassoio mi scivolò improvvisamente dalle mani per lo spavento, mentre un Franco troppo spaesato, ci osservava, intento a capire ciò che stava succedendo in quel luminoso corridoio. Il rumore dei cocci interruppe quell'indigesto silenzio - Angioletto, perchè piangi? - inaspettatamente i suoi occhi si colorarono di un intenso colore blu, se non fossi stata certa dell'amicizia di Franco, avrei giurato in quell'istante di avere davanti a me, l'incarnazione di un lupo mannaro - Cosa le hai fatto, Delfina?» sentii le forti braccia di Franco cingere le mie. Sicura e protetta in quel gesto affettivo, cercai di controllare i singhiozzi che mi stavano struggendo l'anima.
«Cosa le hai fatto hai fatto, Delfina? Ma sentilo! - sibilò la strega - Diciamo che la tua bambinaia ha allungato un po' troppo il passo - mi sorrise compiaciuta - qualcuno doveva metterle un freno, non credi?»
«E quel qualcuno saresti tu, Delfina?» la coda di foca si guardò attorno - E chi altro vedi? Tuo fratello ha fin troppi problemi con l'azienda ed io sono la sua fidanzata, per tanto sarò io a riportare l'ordine assente da tempo in questa famiglia - sospirò quasi stanca della sua carriera troppo esperta di attrice - e comincerò dal personale di servizio, Florencia ne fa parte, non vedo dove sia il problema - nascose quella sua coda da vipera in un sorriso raffinato - Oh, non te la sarai mica presa, Florcita - si voltò verso la camera della madre, dandoci completamente le spalle - Buona serata, ragazzi e - scosse la coda di cavallo nera - occhio a ciò che fai, Florencia!»
Delfina si allontanò agitando appagata le sue natiche "inferme" dirigendosi verso la camera che condivideva con la famiglia. La minigonna stretta si univa perfettamente alla camminata da sfilata di moda che le offriva la proprietaria: un disquilibrio tra anima e corpo!
Sotto i nostri occhi scossi, si chiuse la porta alle spalle, non prima di essersi controllata la manicure "Strega" pensai quando ormai anche l'ultima lacrima si perdeva sulla spalla di Franco.
«Si può sapere che diavolo ti ha detto, quella sfacciata? - scossi ancora turbata il capo, percependo l'irritazione ormai evidente del mio caro amico - Flor, quell'insolente ti ha fatto piangere! Dimmi cosa è successo!»
«Non c'è bisogno che la insulti» respirai a fondo il suo profumo delicato «Io sarò buono finchè vuoi, ma stupido non lo sono ancora e quando si tocca una persona a me cara, dimentico le buone maniere! - sospirò irritato - Te lo richiedo, cosa ti ha detto quella sfacciata di Delfina? - al sentire un mio nuovo silenzio, si passò nervoso una mano tra i capelli - Mi vedo costretto ad andare a parlare con Federico»
«No! - gridai esasperata, separandomi completamente dall'abbraccio - lei ... - osservai il vassoio d'acciaio per terra con l'ormai tè freddo rovesciato ed i cocci infranti ovunque. Sospirai, cercando di mantenere la calma, mentre mi abbassavo lentamente per rimettere in sesto il mio lavoro - è passato tutto, Franco! Non c'è bisogno che ti scaldi tanto! La Signorina Delfina mi ha ripresa per un lavoro svolto male e ha fatto bene, se non lo fa lei, chi altri mantiene l'ordine in questa casa? - lo vidi raggiungermi e con una stoffa bianca che ricopriva uno dei mobiletti in legno del corridoio, per asciugare il disastro - Federico ha già troppi grilli per la testa e ...»
«Sì, Flor, ma questo non la giustifica a farti piangere!» sembrava essersi tranquillizzato «Conosciamo entrambi Delfina e sappiamo che non sa essere molto delicata nel fare delle osservazioni e poi ... - sospirai per il troppo bruciore degli occhi - e poi sono un po' sensibile in questo periodo! Sarò allergica a qualcosa, tutto qui!» ci alzammo all'unisono: io con il vassoio in acciaio ed i cocci al suo interno e lui con il panno bianco ormai giallastro. Mi sorrise indicandomi la stoffa «Pulizie fai da te!»
«Sai sempre come farmi ridere, Farolito» mi abbracciò dolcemente, mentre posava le sue labbra delicate sulla mia fronte «Sei il mio Angioletto, Flor! - il mio volto era completamente cinto dalle sue forti mani - Non scordartelo!» si allontanò coprendosi a mo' di turbante il viso con il panno bagnato «Che sciocchino!» lo sgridai divertita, mentre lui mi salutava con la mano «A dopo, Flor!»
   
«Casa Fritzenchucchen, ehm, volevo dire Fritzenwalden, chi parla?» risposi al telefono di casa cercando di essere il più prfessionale possibile, cosa che non mi riusciva per niente bene. Era il mio lavoro e dovevo almeno tentare di essere una persona competente e determinata, ma sopratutto perfetta davanti a Federico, viste le continue minaccie della Stega.
«Ciao, Flor! Sono io, Bata!» il volto mi si coprì di un immenso felice: in tanto buio si potevano avere attimi di luce, no?
«Bata! Come stai?»
«Bene, bene, ma ora non importa! Devi venire immediatamente al capannone»
«Come stai, Flor? Oh, sto bene, Bata, grazie di avermelo chiesto, sei un vero amico!» canzonai irritata dal fatto che al mio amico non gli importava un emerito fliquity di me «Scusa, Flor! Ma non abbiamo tanto tempo! Devi correre qui al passaggio, io ed i ragazzi ti aspetteremo al capannone, ok?»
«E' successo qualcosa? Mi sembri così preoccupato»
«Non so niente neanche io! Mi ha avvertito Facha e dal tono della sua voce non era nulla di buono» mi portai una mano al cuore «Cercherò di sfuggire dalle grinfie di Federico, i ragazzi mi copriranno!» riattaccai inquieta il telefono «Cosa dovere coprire pichononi, Floricienta?» sussultai impaurita «Greta! - mi avvicinai alla governante sempre più tedesca in quel suo tailleur verde scuro - qual buon vento la porta qui?» l'accompagnai a sedersi su una delle sedie che circondavano la penisola della cucina «Io lavorare in cucina! - fece spallucce - Essere mia lavora!»
«Ecco appunto! Il suo lavoro è anche aiutarmi, non è vero, Gretina?» chiesi mostrando uno dei miei migliori sorrisi «Essere tu, che dovere aiutare povera Greta!»
«Ma sì, in fondo è la stessa cosa! - le diedi un buffetto sulla guancia, che allontanò irritata - E comunque, si ricorda quella mia vecchia Zia, tanto malata, che nemmeno un miracolo può salvare? - la governante annuii - Ecco, mio cugino mi ha chiesto di raggiungerlo al più presto per accudire la mia cara, povera e malata Zia»
«E io che dovere fare?» congiunse le braccia innervosita «Dovrebbe fare buon viso a cattivo gioco!» esclamai compiaciuta «Buon visa a cattifa gioca?!» un enorme punto interrogativo si disegnò su quel viso prussiano «Mi deve coprire, Greta, con il Signor Federico!» scosse il viso passiva «Nein, nein, io non mettere in pasticci di Floricienta, neanche morta!» le accarezzai dolcemente i capelli «Le hanno mai detto che questo suo nuovo look le dona moltissimo? E' un taglio che le da un tocco sbarazzino e ...»  
«Non corrompere, governante Greta, bitte!» mi indicai sorpresa «Io? Corrompere? Ah, vede troppi film, Greta!»
«Nein, nein - si alzò dalla sedie, sistemandosi accuratamente la gonna verde "ufficio" - E ora, con permessa, che Greta andare da pichononi per bagnetta!» la bloccai per il braccio «No, no, no Gretina - strinsi le mani a mo' di preghiera - Eh dai, Greta, fammi questo favoretto piccolo, piccoletto!»
«Dare lei a Greta!» ordinò risentita «Sì, sì, del lei! - recuererai il mio infallibile labbro tremolante - Per favore, Gretina! In fondo è solo un modo per restituirmi il favore di domenica scorsa quando lei se n'è dovuta andare via per ...» alzò un sopraciglio e mi sorrise «Essere piccola ricattatrice, Floricienta!» l'abbracciai soddisfatta e felice della mia persuasione ben riuscita «Ah, grazie, grazie, grazie!» le stampai un enorme bacio sulla guancia «Non allungare troppo, Floricienta!» scoppiai a ridere, mentre vedevo la governante ripulirsi dallo shiocco del gesto affettivo.
Mi guardai allo specchio velocemente: fuseaux grigi e t-shirt verde oliva «Un attimino ancora - sussurrai, mentre recuperavo dalla mia scrivania l'amuleto spilla-spirale e lo inserivo delicatamente nella magliettina - ecco fatto! Un po' di energia non guasta mai» afferrai la mia inseparabile borsa di jeans e "scappai" da casa Fritzenchucchen, sperando di non incontrare nessun guasta feste!

Quando arrivai al Passaggio dei Baci erano già le cinque di sera. Alcune persone passeggiavano allegre per le vie del quartiere, altre restavano barricate nel proprio negozio aspettando la supposta esistenza di qualche cliente «Che triste - sospirai allungando l'occhio alla fontanina dei due innamorati, i cui segni dell'autunno erano fin troppo evidenti - molto, molto triste»
Affrettai il passo per il freddo troppo pungente: la brezza di una tipica sera autunnale si stava facendo troppo frizzante e la mia mantellina gialla, non aveva i fliquity qualificati per riscaldarmi completamente!
«Ciao ragazzi! - Nata era seduta a gambe incrociate sul divano, mentre accarezzava malinconicamente i capelli di Clara, immersa in un pianto triste, quasi soffocante. Facha occupava uno degli scalini del palco e fissava passivo il pavimento, come se anche il cemento tenesse un valore inestimabile. Bata era invece poggiato ad un muro con le mani che gli coprivano il viso «Cosa sono tutte queste facce da funerale? Non è mica morto nessuno!» ironizzai, gettando la borsa su un delle poltrone rosse e occupandone un'altra «Flor, Carina è ... - sussurrò Facha freddo - Carina è ...» mi portai una mano al cuore, mentre gli occhi cominciavano a riempirsi di un liquido caldo, quasi acido «Oh no! Carina è ...»
«Carina è in coma!» persi l'intero controllo del mio corpo e le lacrime si abbandonarono al dolore.

Carina ed io non avevamo mai avuto un buon rapporto, lei era Marte ed io ero Venere, due pianeti completamente distinti.
Io vivevo di sogni, di speranze, di affetto e di tutto ciò che l'amore sapeva dare e lei questo non lo poteva sopportare. La sua condizione famigliare troppo pessimista e il portafoglio troppo pieno per essere vero, non l'avevano di certo aiutata a rafforzare quel suo carattere talmente debole, da essere privo di affetto, di amore, che quei suoi ostentati genitori non erano stati in grado di offrirle.
Carina.
Dark, emo, punk, goth, lolita, metallara.
Al limite dell'espressività, Carina cercava in tutti i modi di attirare l'attenzione su di sè, mostrando ogni giorno stili completamente diversi tra di loro, alternativi fino all'esasperazione. Cambiare la propria immagine per piacere alla gente, avere un'altra opportunità, una possibilità per essere accettata dalla società, ma sopratutto dai genitori.
Ma non era il mondo a non accettarla. Non erano le persone ad odiarla per quel suo stravagante modo di essere o di vestire, bensì era lei!
Carina non si accettava, non si piaceva, non si amava e quante volte si è sentito dire "La prima regola per piacere, è piacere a se' stessi" e questo lei non lo aveva capito.
Diciotto anni e alle spalle un'infanzia difficile, un abbandono paterno e un’orribile voglia di essere diversa, di uccidere, devastare e nascondere la Carina amabile, gentile, innamorata della vita.
Lei era questo, n'ero sicura.
Ma purtroppo la vita ci pone di fronte a differenti situazioni, scelte da compiere e strade da prendere e Carina aveva optato per quella più semplice all'apparenza, ma più difficile al percorrerla.
La droga.
La droga si era divorata quel suo essere, quella sua amabilità, quella sua bontà di cuore, tramutandola nell'essere più spregevole e odiato al mondo.
Ero venuta a conoscenza di questo enorme problema, qualche mese prima, quando Facha era venuto dipserato alla villa, con la scusa di essermi dimenticata qualcosa al negozio della Zia.
Triste, infelice, abbatutto e terribilmente deluso, mi aveva confessato di aver soccorso Carina in circostanze alquanto "strane". Gli esami del sangue ne avevano confermato la diagnosi: insufficienza cardiaca per cocktail a base di alcohol e droga.
«Un mix perfetto» aveva sogghignato, nascondendo la sua innocente preoccupazione.
Scappata dall'ospedale in preda ad un'insostenibile crisi di panico, da allora non ci giunsero più sue notizie, fino ad a quel momento.
 
Con le lacrime agli occhi raggiunsi le ragazze sul divano e unendo il nostro dolore ci abbracciamo, lasciando percorre quell'inersorabile sofferenza per le nostre vene.
Magari le lacrime avrebbero saziato quell’ ingiusto tormento nell'attesa che da lassù un miracolo salvasse la vita della nostra "amica".

ANGOLO AUTRICE: Ciao Ragazze!!
Capitolo molto triste ... ma d'altronde ho voluto dare un'impronta un po' suggestiva e malinconica ... scusate la confusione!
Nonostante questo i colpi di scena non sono mancati e spero vi siano piaciuti!
Ringrazio di cuore chi di voi ha commentato lo scorso capitolo
flor186
biby-ef
Federika21
piccolavenere96
freezer1996
lovelyhead

Alla prossima ... e BUONA LETTURA

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Capitolo 17
*** Solo un Desiderio ***


sss _____Solo un Desiderio_____
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Il corridoio dell'Ospedale era colmo di gente.
Le infermiere, nella loro divisa bianca, andavano e venivano, prese ad assistere i pazienti che occupavano una per una le stanze del reparto di Medicina Generale.
Le fissavo abbattuta, malinconica, intente nello svolgere al meglio il proprio lavoro. Il ricordo di Carina mi attraversò la mente e come per un brivido le mani iniziarono a tremare, come il mazzo di achillee e veroniche che tenevo tra le mani.
Carina Dominiguez.
Carina che ora non c'era più.

Era un giorno autunnale qualunque a Buenos Aires e, dopo tante suppliche dei bambini, ero riuscita ad allontanarmi da casa Fritenchucchen per dare inizio al mio giorno libero.
Il Lunedì.
Quei lunedì che ultimamente occupavo di vedetta all'Ospedale, accanto al corpo inerme di Carina.
Entravo nella stanza con passo felpato, controllando sempre che non ci fosse nessuno, poi con fare malinconico depositavo nel piccolo vaso sul comodino, i fiori freschi di campo appena colti.
Infine, il mio sguardo si posava timidamente su Carina.
Fragile, delicata in quel suo viso di porcellana, tenue in quei suoi spettinati capelli biondi, che ancora portavano i riflessi blu della sua ultima pazzia. Debole nella sua carnagione pallida, gracile e malaticcia anche in quel suo sonno che sembrava ormai profondo da settimane.
Completamente immersa in una voragine dalla quale solo con la forza d'animo ci si poteva ancora aggrappare al filo della speranza, voragine, dove solo Carina ed il suo carattere gagliardo avrebbero trovato vittoria.
Presi posto accanto a lei e dolcemente le posizionai tra le mani l'amuleto della prestanza, chiudendole leggermente per facilitare l'influsso. Il piccolo ciondolo a scatola si accoccolò lentamente bagnato dal sole del mattino che a malapena filtrava dalle finestre. Le minuscole pietre azzurre, prendevano spazio in quel bagliore, mettendo ancora più in risalto la forma circolare di quell'amuleto dall'energia indescrivibile.
Forse con un mio piccolo aiuto, il sole sarebbe ritornato a splendere anche per Carina.
Le scostai teneramente un ciuffo biondo, mentre osservavo il lenzuolo candido ripercorrere lentamente la sua respirazione flebile.
Quanto aveva sofferto Carina?
Quanto dolore aveva provato quella ragazza?
Pensavo a quanto fosse difficile affrontare la realtà che la circondava: genitori assenti, amici che ti considerano una pazza maleducata «Già, amici» sospirai, mentre vedevo la sua mano stringere pacatamente la mia.
Che razza di amici eravamo stati? Io per prima mi ero comportata come una squinternata insensibile!
Avevamo litigato, sbraitato, strappato i capelli, comportandoci come due estranee. Due sconosciute!
"La guerra si fa in due" diceva un detto, ma in questo caso ero io che combattevo con me stessa, con le paure di accettare una persona problematica, di affrontare i suoi dubbi, le sue perplessità. Paura di stringerla e coccolarla finché anche il più stupido errore potesse sembrare un'insignificante macchia.
Paura di esserle amica.
«Flor ...» Carina si mosse leggermente e i tubi che la incatenavano al letto la seguirono passo a passo «Carina! - esclamai, strabuzzando gli occhi e lasciando che l'amuleto scivolasse via dalle nostre mani - Come stai? Ti senti bene? Vuoi che chiami l'infermiera?»
«Shh, Flor! - la sua voce sembrava debole, fragile - Parli sempre troppo, Slaughter ... sai, stavo pensando a tutte le nostre discussioni, i nostri litigi - cercò di stringere ancora di più la mia mano. Sembrava volesse dimostrare la sua forza, rassicurare se stessa di essere ancora tenace in quella sua debolezza, ferma nei brividi della malattia - bisticci assurdi!» sospirò, mentre un lieve sorriso le colorò il viso «Terribilmente assurdi!»
«Assurdi e inevitabili, Havoc! - i suoi occhi nocciola incrociarono i miei - Perché, Flor? Perché il tempo passa così in fretta? - minuscole gocce salate le bagnarono il volto - Perché quando ci si rende conto di aver sbagliato è troppo tardi? Perché si è così ciechi da non poter distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato?» la sua voce tremava «Forse perché sbagliando si impara ... - sussurrai, afferrando il mio dolore alle sue mani - forse perché nella vita si hanno più opportunità, più treni da prendere per capire i propri errori!»
«E quando la vita finisce? Cosa rimane, quando la vita finisce? Quando tutto quello che hai si sgretola davanti ai tuoi occhi? Quando tutto ciò che hai fatto, pensato e desiderato non è nulla?»
«Io non so ... - sibilai prontamente abbassando lo sguardo. Un silenzio inquietante pervase l'intera stanza. Mi morsi il labbro, con tanta energia fino a farlo tremare, poi alzai gli occhi per incontrare i suoi - Ma so una cosa! So che la vita non finisce! Niente al mondo ha una fine, Carina! Niente! - Carina scosse violentemente il capo - Ascoltami, Carina, niente ha una fine! Noi esistiamo e viviamo per questo! Viviamo per la nostra vita, per le nostre emozioni, i nostri sentimenti, i nostri pensieri e per i nostri cari, i nostri amici e per tutte quelle persone che ci amano e che ci stanno sempre accanto! Quello che facciamo, quello che pensiamo e desideriamo rimane per sempre dentro i loro cuori, perché è amore! E non un amore qualsiasi, ma è l'Amore con l'A maiuscola, quello vero ...»
«Sei sempre stata così tu, Slaughter! Piena di sogni, di ambizioni, di ... - sospirò - Amore!»
«Ma anche tu lo sei! Hai una vita davanti, dei desideri da realizzare, dei sogni per cui varrà la pena lottare!» Carina scosse nuovamente il capo «Potrai mai un giorno perdonarmi? - non aspettò una mia risposta - Sì che potrai, perché tu sei speciale, Flor! E il tuo cuore è grande e c'è sempre spazio per una nuova amica ...»
«Tu sei una mia amica! Non devo perdonarti di nulla ...»
«Ho fatto un sogno sai, - deglutì lentamente - una spiaggia candida, un mare turchino, una brezza estiva. Io che danzavo sulle note dolcissime di Einaudi avvolta in uno scialle dorato. Danzavo senza mai fermarmi, con frenesia, innamorata di quel bellissimo sole mi scaldava con i suoi raggi brillanti. E un falò. Un falò dal fuoco intenso, rosso e voi tutti attorno. Facha, Bata, Nata, Clara e tu, intonavate una canzone a suon di chitarra, accompagnando la melodia del pianoforte. Felici e spensierati danzavamo, incantati dall'Amicizia. Poi una voce. La voce roca e affettuosa di mia Zia Christina che mi invitava a proseguire, a danzare, a ballare verso di lei. Una luce ...»
«Carina?» la chiamai notando che la forza della sua mano diminuiva «Shh, lo senti? Senti questo sgorgare d'acqua? Questa pace? Questo ... ho tanto sonno, Flor» le accarezzai dolcemente la fronte, mentre irrefrenabili  lacrime già scorrevano sul mio viso «Shh» le labbra mi tremavano, un brutto presentimento percorse la mia mente «Ho le palpebre così pesanti ... ho tanto sonno ...» Carina chiuse gli occhi, cancellando anche l'ultima ruga di dolore sul suo volto.
Il suono incessante della macchina medica che aveva accompagnato l'intera conversazione divenne più insipido, opprimente, quasi soffocante. Da tanta sorpresa, la voce mi si era bloccata in gola e a malapena riuscivo a controllare il respiro.
Carina si era addormentata.
E questa volta era per sempre ...

"Salutami tutti" furono le sue ultime parole, prima che il velo del sonno eterno le si calasse completamente addosso.


Posai dolcemente il mazzo di fiori sulla lapide "Che la luce di Dio continui a illuminare la tua nuova strada" riportava il freddo marmo, dove la foto di una sorridente Carina, faceva il suo ingresso. Capelli biondi, spettinati e occhi color nocciola, ma sopratutto il sorriso, quel sorriso che per molto tempo si era nascosto, ma che ora nemmeno la morte aveva ucciso. Quel sorriso che sarebbe rimasto per sempre nei nostri cuori.
Mi voltai, lasciando cadere i pensieri in qualche preghiera: Bata fissava inerme la pietra, accucciato, con gli occhi lucidi e i pugni tirati, adirato per non aver potuto partecipare a quel doloroso lutto. Furioso come tutti, cacciati, banditi e allontanati per non avere il cosiddetto "Sangue Blu". Così si era giustificata la madre di Carina. Minacciosa, acida e terribilmente pungente. Pungente come quelle parole che avevano straziato nuovamente i cuori di me e dei miei amici.
Nata coccolava dolcemente Clara. Le accarezzava i capelli e ogni tanto le picchiettava la mano sulla spalla in segno consolatorio. Entrambe perse, smarrite in ricordi orami passati, ma per sempre inscritti in noi.
Volsi lo sguardo all'orizzonte. Il cimitero era tranquillo, ma l'aria frizzante d'autunno si faceva sentire. Mi strinsi ancora di più nella mia mantellina olivastra "Che la luce di Dio continui a illuminare la tua nuova strada".
"Che sciocchezza" pensai. I genitori avevano fatto proprio centro!
la frase giusta al momento giusto!
Assenti, lontani, distanti, sia fisicamente che sentimentalmente e poi pretendevano a tutti i costi di conoscere la figlia.
Mi morsi il labbro, scuotendo leggermente il capo «Dov'eravamo noi? - i ragazzi si voltarono verso di me - Dov'eravamo quando Carina stava male?» fissavo il vuoto, cercando di trattenere a stento le lacrime «Flor, calmati - Bata mi si avvicinò - calmati, cerca di stare tranquilla»
«Tranquilla? Come posso stare tranquilla quando una nostra amica se n'è andata! - Bata avvolse affettuosamente la mia testa, invitandola a posarsi sul suo torace - Carina è morta!»
Piansi disperatamente tra le braccia del mio più grande amico, fino quando anche l'ultima lacrima si seccò ghiacciata dal vento flebile di quel giorno autunnale.


Il ricordo di Carina mi torturava di giorno e di notte, tra i corridoi di casa e le vie del Passaggio, la sua figura esile, intenta in qualche nuova sciocchezza, catturava la mia mente in ogni istante.
Vagavo assente e sconsolata di abitazione in abitazione, svogliata e inanimata svolgevo il mio lavoro, ritrovandomi la sera a nascondere la testa sul cuscino a dare sfogo nuovamente alla mia rabbia.
Suelo e le ragazze avevano fatto di tutto per consolarmi, per non parlare dei fratelli Fritzenwalden, ma il mio cuore sentiva solo una grande tristezza, un'angoscia che si poteva solo spiegare come senso di colpa.
L'idea che Carina avrebbe potuto salvarsi, vivere la propria vita mi faceva rabbrividire e causa di questo ero anche io.
Non ero stata in grado di aiutarla e questo mi mangiava il fegato. Florencia Fazarino, sempre pronta ad aiutare gli altri, generosa fino al midollo?
Ma per piacere!
Nemmeno le fatine più pazze al mondo avrebbero creduto ad una simile sciocchezza!
Io, arrabbiata e furiosa prima e angosciata e afflitta ora!
Se non era egoismo questo!
«Flor! Flor! - Tomas entrò nella mia stanza seguito come sempre da Roberta - Ancora con queste cose?» disse indicandomi gli amuleti con i quali mi ero tappezzata anima e corpo «Sì! Ancora con queste cose, mi aiutano a stare meglio, a vedere il mondo migliore, a ... - incrociai le braccia - Come state?»
Da tempo ormai evitavo i bambini, non li assecondavo e li trattavo come se fossero l'ultima ruota del carro. Mi chiedevano di giocare, di portarli a passeggiare, ma la mia risposta era una perenne scusa. Tomas e Roberta erano proprio due angioletti, sopportavano la mia tristezza e la mia rabbia, senza opporsi ne dire nulla.
Loro erano i miei angioletti ed io dovevo assicurarmi che stessero bene e invecchiassero ogni giorno di più con uno smagliante sorriso che io, prima di tutti, li avevo tolto.
Dovevo sorridere, per loro.
«Insomma - Tomas fece spallucce e prese posto accanto a me sul letto - nessuno vuole giocare con noi!» si lamentò il piccolo, giocherellando con uno dei mie amuleti scaccia-pensiero «E anche tu ti sei data da fare!» la principessina di casa mi osservò immusonita. I codini erano più perfetti del solito e lo sguardo nocciola era lievemente scosso da un velo di malinconia. Le feci cenno di sedersi sulle mie gambe e Roberta non esitò un solo istante «Ah, piccolini! Perdonatemi - mi accoccolai dolcemente tra i capelli della bimba, inspirandone il profumo e sentendola ancora vicino a me - Perdonate questa strega malandrina!»
«Ah, Flor! Finalmente sei tornata!» Tomas si unì all'abbraccio in una lotta quasi divertente con la cugina per accaparrarsi il posto sulle mie gambe. Ne seguì una battaglia sfrenata e tra risate, solletico, carezze e cuscini finimmo distrutti tra i due letti. Li osservai attentamente riprendere fiato: il piccolo Tomas era completamente sudicio, sui capelli scompigliati, arricciati sul fondo, si intravedevano brillanti goccioline di sudore. Gli occhi erano chiusi, rivolti al soffitto, intenti in chissà quali scherzi e fantasie future.
"Tomas" pensai, mordendomi il labbro. Lo avevo abbandonato per pensare a me stessa, avevo lasciato che cadesse nella solitudine come un tempo.
Strinsi i pugni con fermezza, certa che non sarebbe più capitato!
Perché io volevo così e così sarebbe stato!


In giardino l'aria era penetrante e, benché avvolta nel mio giubbotto preferito blu elettrico, non riuscivo a scaldarmi.
Casa Fritzenwalden era completamente deserta e se era deserta era un piccolo miracolo quotidiano!
I pargoletti di casa studiavano allegri nelle loro camerette, sotto gli ordini scanzonati di una Greta "insegnante". Nico era chiuso in stanza con la "Scatola elettronica" come l'avevo chiamata io, mentre Franco era agli allenamenti. Per non parlare delle streghe! Volate con la loro scopa in chissà quale centro estetico!
"Vipere" pensai rivolgendo uno sguardo alla finestra dello studio e portandomi una mano al cuore. Anche Federico era abbastanza strano in quei giorni: si chiudeva nel suo rifugio e stava ore ed ore a parlare al telefono con chissà chi, pronunciando frasi insensate e paroloni talmente brutti da sembrare strafalcioni!
Und Kartofen, mit Kartofen, und Kartofen, mit Kartofen ... in quella casa c'erano più cartocci e rottami che in una zona di demolizione ! Tutti con questi Kartofen!
Scossi il capo.
Scherzi a parte, Federico era così strano perchè aspettava una visita, mi avevano spiegato i ragazzi.
"Arriva lo zio Tuti!" aveva urlato Maya, poco dopo che Federico aveva annunciato la notizia a tavola, sotto gli occhi divertiti dei ragazzi che sapevano quanto la ribelle Fritzenwalden fosse legata a quell'amico di famiglia.
Matias si chiamava l'amico tedesco-italiano o italiano-tedesco di Federico, che sarebbe ritornato a Buenos Aires dopo mesi di assenza a causa del lavoro in Germania.
La luce dello studio era accesa «Libera! - farfugliai mentre raggiungevo l'angolo del giardino più vicino alla mia camera - Libera dal Sergente Freezer!» ispezionai con cura l'ambiente: avevo una missione da compiere ed essere l'agente perfetto non sarebbe mai bastato se non ci fosse stato anche il luogo X, quello perfetto.
La piscina, ormai coperta, mi dava le spalle e al mio cospetto solo alberelli gracili e arbusti graziosi dalle forme più bizzarre, resi ancora più elettrizzanti dal quel tipico tramonto autunnale.
Sospirai, provocando un leggero fumo intorno a me "Sono i vostri cari che ci affidano le vostre vite, per accompagnarmi nel vostro Destino" misi una mano in tasca, accompagnata dall'inconfondibile voce di Suelo, cercai disperatamente la piccola noce, per poi estrarla e fissarla profondamente "Ricorda, la pianterai solo per esprimere un desiderio, solo uno!"
«La noce della mamma» i lineamenti argentei di quel piccolo oggetto erano meravigliosi e bagnati da quel freddo sole autunnale, sembravano riflettere gli occhi di mia madre. Quegli occhi che ogni giorno prima di svegliarmi e di addormentarmi rivedevo con estrema dolcezza. Quegli occhi color grano, angelici in quel loro riflesso blu, ma sopratutto affettuosi in quel loro fondale d'amore. Occhi che quando mi fissavano mi sapevano donare quella pace e quella speranza che a volte mi sembrava di aver perso per strada.
Occhi che ora sentivo nella noce della mamma.
La rigirai tra le dita, cercando di memorizzare ogni suo dettaglio, gettai poi lo sguardo davanti a me.
Una sensazione strana, un'emozione indescrivibile, il sesto fliquity della situazione, guidarono i miei occhi all'angolo che cadeva esattamente sotto la mia stanza: l'angolo X, il luogo perfetto!
Presa da un vortice di eccitazione mi avvicinai e, dopo essermi inginocchiata sull'erba umida, scavai esaltata un buco nella terra, non curante ne di niente, ne di nessuno, ma certa del miracolo che stava per cambiare la mia vita!
"Solo per esprimere un desiderio, solo quando lo vorrai" le parole sussurrate al vento della mia fatina preferita, accompagnavano la mia fervida immaginazione alla ricerca di quel desiderio nascosto, a cui avevo donato ogni mio singolo pensiero dall'incontro poche ore prima con i ragazzi.
Maya, con il suo intenso calore, Franco con il suo fervente vigore, Nicolas con le sue problematiche strazianti, Tomas e Roberta e le loro birichinate e Federico, Federico e quell'amore indissolubile che provavo per lui, quell'amore che forse avrebbe trovato le radici come la noce che ora come ora stavo piantando.
Misi lentamente le mani nella terra, stringendo con forza la nocetta. Una sensazione dolce, calda e tremendamente frizzante mi invase corpo e anima, le mani iniziarono a tremare e accompagnate dal suono del vento sussurrai il mio desiderio.
Sussurrai il mio sogno più grande.
«Io vorrei rinascere qui»


Sul mio letto, fissavo incredula l'oggetto che tenevo tra le mani, mentre cercavo di trovare le parole giuste per completare la mia ennesima pagina di diario. Con la penna piumosa in una mano e l'oggettino dall'altra, somigliavo ad una vera e propria bambina alla quale avevano appena fatto un regalino.
Lo giravo e rigiravo tra le dita ripensando a quanto accaduto pochi istanti prima.
Ora, che stavo con i piedi per terra, nella mia stanza, sembrava che ciò che era successo in giardino in realtà fosse tutto un sogno.
Il desiderio, i fliquity compulsivi che mi avevano invaso l'anima, la confusa frenesia dei miei pensieri e quel bagliore, il bagliore che con il tocco della terra umida, mi aveva accecata e inondata di una marea incontenibile di dubbi e perplessità.
Ora la risposta ai miei problemi la tenevo davanti agli occhi: il regalo della mia mamma si era smaterializzato ed ora una brillante metà noce bianco splendente aveva preso il suo posto.  
In giardino tutta quella magia mi aveva spaventata, facendomi correre a gambe levate, ma ora, con la mente fresca ed i fliquity calmi e tranquilli, riflettevo su quanto la mia vita fosse strana.
Credevo nelle fate, nella mia mamma che dall'alto mi proteggeva, credevo nei fliquity malconnessi, credevo in strani bagliori, ma sopratutto credevo nella magia, nella magia che solo l'amore poteva offrirmi. L'amore della mia mamma!
Era opera sua tutto questo ed io ero il suo miracolo.
Sorrisi, stringendo forte al cuore quella preziosa conquista.
"Rinasci, rimanendo sempre te stessa" sembravano dirmi e canzonare i fliquity pazzi del mio cervello. Annuii ubriaca di stupore, rimanendo incantata a fissare ciò che ora stava aprendo le porte al mio futuro «Florencia - la voce di Federico mi fece sussultare - Florencia, posso entrare?» il tocco delicato alla porta era nel suo piccolo insistente. Nascosi il diario sotto il cuscino, lasciando in bella vista solo e soltanto la penna piumosa, poi infilando la nocetta in tasca, mi alzai velocemente dal letto «Arrivo, signor Federico! Ora le apro! - mi diedi una ritoccatina allo specchio della stanza, dove Fuffi sembrava strizzarmi l'occhio vivace come sempre. Ricambiai il gesto e raggiunsi finalmente la porta. Respirai a fondo una, due e tre volte, finché premetti la maniglia - Buonasera, signor Federico!»
«Ciao Florencia, posso entrare» mi fissava autoritario, con la sua solita aria indignata, poggiato lievemente allo stipite della porta. Le braccia conserte in quella sua camicia color paglia e i suoi occhi fissi su di me. Agitata, mi schiarii la voce «Certo, Signor Federico! Entri pure – mi scostai lasciandogli lo spazio per passare - Scusi il disordine, ma stavo sistemando un po' tutto - sorrisi imbarazzata - Si accomodi pure!»
Federico prese posto sul letto di Roberta e pian piano, con occhi tremendamente dolci, accarezzò il copriletto colorato «Era di mia madre - sospirò mentre un velo di malinconia si calava sul suo viso - parlava sempre della sua infanzia in Spagna, di quanto gli zii l'avessero aiutata a crescere» mi sedetti sul mio letto, in modo da rimanere di fronte a lui
«Le manca davvero tanto, vero? Anche la mia mi manca tanto, anzi, tantissimo! Ci sono dei momenti, in cui mi prendono un sacco di fliquity malinconici, di una tristezza indescrivibile, proprio qui - mi portai una mano al cuore - ed è proprio in quei momenti che mi accorgo di non essere sola! Che ci sono una marea di persone intorno a me, pronte ad ascoltarmi, a consolarmi, a vedermi felice e allora parlo e parlo, finché anche l'ultima parolina prende colore e poi bam - battei le mani - tutto passa!»
«E' un modo per farmi parlare?» alzò il sopraciglio incuriosito dalle mie parole «Beh, non per forza con me! - abbassai lo sguardo, gettando gli occhi sulle mie scarpette color pesca, poi lo rialzai incrociando quello del Principe - Beh, ecco, come dire? - mi scostai la frangetta nervosa - Il mio era un consiglio! Ad esempio ... - mi allungai per recuperare la cornice in legno rosa sul mio comodino - La vede questa? Sa chi è? - Federico scosse leggermente il capo, mentre scrutava interessato ogni piccolo dettaglio della fotografia: i ricci biondi, gli occhi dorati e il viso celestiale - Questa è la mia mamma! - Federico sorrise - Era una donna meravigliosa! Dolce, tenera, tutta rose e fiori! Si prendeva cura di me, mi trasformava nella sua principessa e allora sì che il mondo girava come volevamo noi! - portai la foto al cuore, mentre i miei occhi si alzavano al cielo, perdendosi nuovamente in lontanissimi ricordi - Lei parlava e parlava e la mai mente viaggiava in luoghi sconosciuti, in fiabe che nemmeno il tempo era riuscito a bloccare e lei era lì, ad accarezzarmi, a coccolarmi, a stringermi forte e sussurrarmi parole dolci! Era un angelo, una donna dal cuore d'oro, era come ...»
«Te» la voce di Federico mi riportò alla realtà, ma ancora sotto shock, non afferrai le sue parole «La sto annoiando, vero? E' che quando parlo della mia mamma mi prende il fliquity della lingua lunga e parlo e parlo finché ... - mi portai una mano alla bocca, cercando di bloccare quel fiume in piena di parole - Mi scusi, l'ho fatto di nuovo! Comunque tutto questo giro di parole per dirle che non importa con chi o cosa parla, l'importante è che la sua mente e il suo cuore siano con la persona cara - Federico mi fissava, perso, smarrito in chissà quali pensieri, quasi lontano dal mio torrente di consigli - Si sente bene, Signor Federico?» il mio Principe scosse nuovamente il capo, come se volesse allontanare il turbinio di pensieri che poco prima lo stava avvolgendo «Cosa, Florencia? Sì, sì, tutto bene!» si alzò dal letto e si passò nervoso le mani sui pantaloni «E' sicuro di stare bene? - lo raggiunsi alla porta e mi portai una mano al petto - Ho detto qualcosa che non va? Mi dispiace, io ...»
«No, sono solo un po' stanco - si passò una mano tra i capelli, guardandosi attorno, come per controllare che non ci fosse nessuno nelle vicinanze - Senti, ma ... tu, come stai?» alzai il sopraciglio, incuriosita da tutti quegli strani atteggiamenti che stava adottando ultimamente Federico e che mi stavano accompagnando da svariate settimane. Come il caso, la strana coincidenza di aprire la porta della mia stanza e ritrovarmelo lì, come un passerotto caduto dal nido, che si nascondeva dietro scuse insensate: "E' pronta la cena", quando era implicito che tutto il personale di servizio sapesse a memoria ora per ora le abitudini della famiglia. "Cercavo Roberta", quando la piccola era a scuola. "Uno scarafaggio vagante" quando ormai era da tutto il giorno che in casa ci si occupava delle pulizie o ancor peggio "Hai visto Greta?" quando non ero tenuta a sapere dove si cacciasse il personale nei giorni liberi.
A volte lo beccavo a fissarmi mentre parlavo con Antonio, quando intrattenevo con fiabe e giochi i ragazzi o ancor più strano quando lo sorprendevo in circostanze bizzarre, come il fatto di origliare le mie conversazioni.
Se prima pensavo si trattasse di un test che mettesse alla prova il mio lavoro e le mie capacità, ora avevo dei seri dubbi.
«E a lei? Cosa le importa di come sto io? - incrociai le braccia, alterata da quegli strani ricordi: Federico non si fidava di me e quindi, non meritava di sapere ciò che pensavo, ciò che desideravo e nemmeno ciò provavo  - O è qui perché a rivisto lo scarafaggio gigante di qualche giorno fa?» poggiato allo stipite della porta, abbassò nervoso lo sguardo «Florencia, io ...»
«Non ho visto né Roberta ne Greta, se è questo quello che vuole sapere!» fissò i suoi occhi nei miei, marcando una piccola smorfia sul suo viso divino «Perché devi sempre fraintendermi? - sospirò irritato, facendomi indietreggiare spaventata. Federico aveva sempre quell'effetto su di me: prima mi infuriava e poi mi terrorizzava.
Tipico! - Sono venuto qui per vedere come stavi. Mi sono preoccupato - lo guardai intrigata - cioè i ragazzi si sono preoccupati. Ti vedevano triste, malinconica ...»
«Infelice? Un'amica se n'è andata per sempre» dissi in tono freddo, pacato, cercando di appartare ogni mia emozione, legata al ricordo di Carina «Mi dispiace» sussurrò Federico amareggiato «Anche a me - lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi fissi sul pavimento, che in quel momento sembrava nascondermi misteri inimmaginabili - ora se non le dispiace vorrei restare sola» nuovamente quella malinconia, nuovamente quel vuoto, nuovamente quel velo di tristezza che per giorni mi aveva turbata e che ora mi circondava con il ricordo di Carina.
Sembrava fosse tutto tornata alla normalità, sembrava che finalmente il mio cuore si fosse messo in pace, sembrava che Carina fosse scritta nell’anima come un bel ricordo e non più nella mente, invece ...
Invece era tutto il contrario.
Carina c'era, sia nel cuore che nella mente e quella ferita che sembrava essersi rimarginata, ora sgorgava dolore ovunque.
«D'accordo» disse tristemente Federico, mentre pian piano chiudevo la porta, abbandonandolo dall'altra sponda.
Raggiunsi a tentoni il letto per poi sedermici sopra.
Fissai la camera: la scrivania, la specchiera addobbata a festa, i miei amuleti, oggetti comuni che accompagnavano la vita di tutti i giorni, ma c’era qualcosa di strano, di insolito.
Sembrava che tutto avesse nuovamente preso il colore grigio.
Pareti e tappezzerie si alternavano inspiegabilmente alle indimenticabili immagini della morte di Carina. Ora sfuocate, ora sbiadite, prima nitide e poi imprecisi. Immagini taglienti di sguardi indiscreti che supplicavano perdono per una colpa mai avuta. Immagini inquietanti di una malattia d’anima, quella malattia che s’era portata via la mia amica. Immagini che riprendevano ripetutamente i sorrisi, i gesti affettuosi, gli sguardi amorevoli che solo due amiche, prima di un addio, avrebbero potuto scambiarsi con il cuore in mano. Immagini di Carina e me, in quell’insignificante stanza d’ospedale, dove anche la luce del sole aveva smesso di brillare.
Immagini di lacrime che come ad allora, bagnavano lentamente le mie guance.
Afferrai il diario della mia mamma, con l'intenzione di mascherare quell'indescrivibile mestizia, tra le pagine dei suoi lontani giorni felici
Feci scorrere lentamente le pagine, alla ricerca della frase che sempre aveva fatto risplendere in me una nuova luce, quella frase che da anni ormai accompagnava ogni mio singolo gesto, ogni mia emozione, ogni mio sentimento.
Parole nere, lucide, corsive, di una calligrafia importante, elegante e dolce erano incise sulle pagine ingiallite di quel diario. Parole sulla vita, sull’amore, sulla crescita e sull’onore.
Parole che fina dal primo istante in cui quel diario entrò in mio possesso, entrarono nella mia vita come una brezza estiva, come una piccola fata, portatrice di buone novelle, come un raggio di luce in mezzo a tanto buio.
“Ci sono giorni pieni di vento, ci sono giorni pieni di rabbia, ci sono giorni pieni di lacrime, e poi ci sono giorni pieni d’amore che ti danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni, perché l’arte della vita sta nell’imparare a soffrire e nell’imparare a sorridere.
Carpe Diem, diceva Orazio. Cogli l’attimo, perché tutte le cose, anche le meno interessanti, le più brutte, hanno un lato piacevole. Bisogna solo saperlo e volerlo vedere. Ma non aver paura della vita.
Credi invece che la vita sia davvero degna di essere vissuta, e il tuo crederci aiuterà a rendere ciò una verità. Perché se ami la vita, la vita ricambia il tuo amore”
Alberto,  riportavano in genere queste speciali dediche, che mia madre custodiva con estremo riguardo tra le pagine dei suoi segreti.
«Ma dov’è? – sfogliavo ormai con insistenza le facciate ingiallite dal tempo, ma della frase nemmeno l’ombra – Non venite a dirmi che adesso sono diventata pure cieca! – sibilai con ironia – Ci mancava anche questa! » chiusi violentemente il diario e asciugai esasperata le lacrime.
Poi un flash, un ricordo, un deja-vu.
Riaprii lentamente il quadernetto fiorito e osservai attentamente, una per una le pagine che anni prima mia madre aveva scritto con estrema cura e pazienza  «Ma come?» mi portai una mano alla bocca per avere il tempo di assimilare la scoperta appena fatta. La frase, l’aforisma della vita era scomparso e magicamente con lui anche altre facciate.
Qualcuno aveva visto il diario di mia madre e ne aveva strappato alcune pagine.
Ma perché?

ANFOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Eccomi ritornata da un "breve" periodo di vacanza e come promesso a Settembre!
Spero che abbiate passato delle meravigliose vacanze, visto che la scuola è dietro l'angolo (e non è per niente buono!!) Scherzi a parte, scuola o no, ho dato la fine all'estate con questo capitoletto!
Molto triste devo dire, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso e che perdoniate tutta questa mia "introspettività"!
Che dire? Alla prossima e ... BUONA LETTURA!

PS: Un grazie immenso a tutte le persone che commentano e si fanno sentire! Grazie!

NB: Per il "monologhetto" di Alberto, ho preso spunto da autori celebri come:Romano Battaglia, William James,  Arthur Rubinstein e Herman Hesse

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Capitolo 18
*** Un Bacio non Deve Fare Male ***


      ___Un Bacio non Deve Fare Male___


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Svegliata dal profumo amarognolo del tipico tè argentino, mi alzai lentamente da letto e osservai il piccolo vassoio d'acciaio che aveva occupato il mio comodino.  La luce filtrava a malapena dalle finestrelle della mia stanza, ma illuminava con facilità l’invitante colazione energetica che ero solita degustare ogni mattina: croissant appena sfornati e naturalmente mate che in quel preciso momento era accompagnato da un fiore, una rosa dal color pesca che sembrava mi invitasse a saziare quello spiacevole languorino che si era creato nel mio stomaco.
«Finalmente ti sei svegliata! – spostai la testa al letto accanto. Roberta, già vestita e pettinata, mi osservava con una certa euforia – Ce ne hai messo di tempo! E’ Più di mezz’ora che ti sto chiamando!» le sorrisi estasiata al ricordo dell’ennesimo sogno dove un Federico più che valoroso mi salvava da una strega inferocita «Ero un po’ occupata»
«Ah, già, il tuo Principe – la piccola di casa si sistemò il nastro delle treccine – Quando glielo dirai?» spalancai gli occhi stupita «Cosa?»
«Che sei cotta di lui! – si alzò dal letto e mi si avvicinò schioccandomi un bacio sulla guancia – Ora vado, altrimenti quella cotta sarò io! Ciao!»
Come un folletto intrepido, la bimba se l’era data a gambe saltellando!
“Tipico di Roberta” pensai, ricordando quanto quella ragazzina fosse tremendamente audace e talvolta perfino impertinente.
Da quando aveva scoperto che ero innamorata di suo cugino, non aveva fatto altro che far comunella con quella pazzoide di Maya, cercando in tutti i modi di farmi dichiarare.
«E’ semplice vai lì, cerchi il suo sguardo, lo fissi negli occhi con mistero, con estro e poi gli dici “Federico, mi sono innamorata di te”» alzai gli occhi al cielo, assistendo per l’ennesima volta a quella che sembrava essere la rappresentazione scolastica della mia presunta “dichiarazione” a Federico «Ma che dici, Maya! – sbottò Roberta afferrando uno dei miei cuscini a forma di cuore – questo fa troppo “telenovelas argentinas” – saltò sul letto, briosa – Flor, tu vai da Federico, lo guardi negli occhi – elevò il cuscino a pochi centimetri dal suo viso – ti avvicini e …» un sonoro schiocco rimbombò per tutta la stanza, mentre una appassionata Roberta si gettava impetuosa sul letto.
Roberta aveva suggerito un bacio e Maya ed io ci stavamo sbellicando dalle risate.

Sorrisi a quel ricordo.
Quante me ne combinavano le donne di casa?
Ogni giorno era un passo in più verso la pazzia!
E mentre un Federico malinconico e furioso girava per i corridoi di casa alla ricerca di una scusa logica per sfogare la sua ira, io e le principessine di casa studiavamo le più strambe giustificazioni che le Streghe usavano per spendere e spandere i milioni dei Fritzenwalden.
Non immaginavo si potesse essere così brave a mentire senza nemmeno essere attrici!  
E così tra manicure, tisane alle erbe e creme antinvecchiamento, i pesos del maggiore di casa si prosciugavano nel nulla e un Federico, sempre più agitato e profondamente confuso, vagava alla ricerca di risposte a quei resoconti fiscali i cui zeri sembravano essere aumentati senza ragione.
La risposta?
Beh, semplice ed efficace.
“Non credevo di aver speso tanto” “Pensavo fosse in saldo” “Ne avevo proprio bisogno” o peggio di tutte “Ero convinta di avere usato la mia di carta!”
«Streghe!» farfugliai allo specchio, mentre mi sistemavo il maglioncino giallo pastello che Titina mi aveva regalato l’anno passato.
Possibile che Federico non si accorgesse del covo di vipere in cui si era soggiogato?
«Vedo che ti è piaciuto il mio regalo!» il sorriso di Franco mi invase l’anima «Buongiorno, Farolito!» lo abbracciai in segno di gratitudine «Buongiorno a te, Angioletto! Allora, piaciuta la colazione a letto? - si sistemò la felpa rosso porpora, per poi dedicarmi uno di quei suoi sorrisi spaccapietre – Non sai che lotta ho dovuto fare con mio fratello, ma poi si sa, Franco Fritzenwalden vince sempre, no?»
Federico aveva l’ostinata capacità di interferire sempre nelle vite altrui, in modo particolare nella mia!
 Non vedevo nulla di male nei gesti affettuosi di Farolito, in fin dei conti era un mio amico e come tale si comportava, tranne che in alcuni momenti, quando sembrava volesse divorarmi con quei suoi occhi azzurro Cielo. Ma questa era un’altra storia.
Tutto stava nel fatto che Federico vedesse malvagità ovunque, tranne dove più gli sarebbe servito vedere.
Un caso disperato!
«Cosa c’è, Flor? Non ti è piaciuto il mio regalo?» agitai violentemente le mani, negando con il capo «Oh no! Che sciocca! Mi sono fatta prendere dai miei soliti fliquity! – respirai a fondo – Comunque no! Il tuo regalo è stato fenomenale, sopratutto il mate, con tanto zucchero come piace a me!» Franco mi si avvicinò lentamente «Così ti piacciono le cose dolci, Angioletto!» sussurrò accarezzandomi teneramente la guancia «Ehm – indietreggiai imbarazzata, mentre mi perdevo nel mare blu dei suoi occhi, fino a che le mie spalle toccarono l’anta dell’armadio.
Corsa finita, Flor bloccata.
Abbassai sconcertata lo sguardo, ritrovandomi a fissare le mie scarpette verde prato – ecco, io credo che …»
«Dolci come te – sibilò, mentre con un tocco lieve, mi sollevava leggermente il mento per far ricadere il suo sguardo penetrante nel mio – Ti hanno mai detto che sei molto carina? - scossi il capo, ribassandolo, decisa a non rispondere, ma Franco sembrava determinato e molto sicuro di sé – Ebbene sì, sei molto, ma molto carina! Un Angioletto caduto dal cielo per la troppa bellezza!» mi sorrise, facendomi sciogliere il cuore. Sapevo e sentivo che le distanze tra noi si stavano accorciando e, anche se avevo una tremenda voglia di chiudere gli occhi e scappare a gambe levate, sembrava che gli occhi magnetici della mia “Lanterna” mi tenessero imprigionata.
Sentivo il suo profumo, il suo calore, perfino i battiti del suo cuore sembravano talmente amplificati da rimbombare temerari nella mia testa.
Chiusi gli occhi, decisa a continuare ciò che la mia mamma e le mie fatine probabilmente volevano.
Se quello era il desiderio del Destino, allora avrei giocato le carte che mi erano state assegnate.
Decisa del bacio di Franco.
Anche se innamorata di Federico.
«Disturbo?» la voce rauca di Federico irruppe nel silenzio della mia stanza. Imbarazzata più che mai e con ancora il cuore in gola, mi allontanai velocemente da Franco, ringraziando le mie fatine per non avermi fatto compiere la più grande sciocchezza della mia vita.
Sorrisi al Freezer, che dall’alto del suo cospetto mi osservava indignato, talmente seccato da sembrare turbato. I capelli spettinati, il viso corrugato in un’espressione acida, gli donavano quel tocco principesco in più. Irresistibile in quel suo maglione cobalto ispezionava petulante me ed il fratello.
Sbottai in una risatina isterica per cercare di salvare l’irreparabile «Oh, salve Signor Federico! Stavo appunto ringraziando Franco per il pensierino, la colazione con le brioscine, la rosellina e … - mi avvicinai al vassoio e afferrai il contenitore d’acciaio, dove sicuramente qualche goccia di tè si era depositata sul fondo – e la bevandina – andai da Federico e gli infilai la bombilla in bocca – Coraggio, Federico, assaggi che squisitezza il mate dolce! – se con una mano sostenevo il recipiente, con l’altra disegnavo segni agitati nell’aria – Così gradevole, così delizioso, quasi angelico! – fissai il Freezer che man mano deglutiva sorpreso la bevanda – E guardi che con questo il Cielo si può veramente toccare! – spostai poi gli occhi su Franco, che da un momento all’altro si sarebbe gettato in terra per dar sfogo alla sua inesorabile risata. Lo fulminai con lo sguardo – Uno zuccherino! Non trova?» Federico tossì, sputando ciò che rimaneva del mate sulla moquette della mia stanza: nemmeno il caldo del mate era riuscito a penetrare il gelido cuore del Freezer!
Che fosse un caso?
«Oh, guardi qui che disastro! S'è macchiato tutto quanto! Crede di stare bene?» con fare preoccupato, afferrai un tovagliolino di carta colorata e, con affrettata dolcezza, gli ripulii la bocca, percorrendo lievemente il contorno delle sue labbra. I miei occhi vagarono alla ricerca dei suoi.
Fu un errore.
Un errore fatale.
Le gambe iniziarono a tremarmi e il cuore smise di battere.
L’espressione dura, rude e seccata che avevo colto sul suo viso pochi istanti prima, non lasciava la ben che minima traccia nel suo sguardo. Nonostante il suo carattere freddo, introverso, ferreo e terribilmente cocciuto, quel miele delicato dei suoi occhi nascondeva una dolcezza indescrivibile. Bastava fissarli per capire quanta sensibilità si celava dietro quella maschera di Freezer insolente.
Tanta sofferenza, tanta tristezza, tanto amore da dare ma senza sapere come.
Un Principe delle fiabe che aveva perduto il sogno di volare, volare con l’amore.
«Florencia, non permetterti più» sussurrò Federico, mentre una me, ancora persa, cercava di ricomporsi. Indietreggiai imbarazzata «Sì, Signore» sibilai mentre abbassavo lo sguardo scuotendo il capo per cancellare quelle strane sensazioni «Tutto questo casino per due gocce di mate! Era almeno buono, fratellino?» sdrammatizzò Franco.
Lui e il suo solito senso dell’umorismo, capaci anche di far tornare il sorriso al più triste bradipo vagabondo.
Perché questo era Farolito!
Spiritoso e allegro al punto giusto, forse anche troppo!
L’unico difetto che lo caratterizzava era quell’indescrivibile aria da corteggiatore che lo rendeva esageratamente sdolcinato e anche insolito, decisamente insolito.
«Non ho chiesto il tuo parere, Franco! – ruggì Federico, avanzando lentamente verso il fratello – Florencia è una mia dipendente e i suoi comportamenti non badano al rispetto di questa casa!» me ne stavo zitta, mogia, mogia ad ascoltare l’ira furiosa di quello che sembrava non più essere il mio principe Azzurro, bensì l’orco furibondo di una fiaba mal scritta!
«Certo, Federico! – Il Franco arrabbiato sapeva essere molto ironico e tremendamente sfacciato - Perché qui noi tutti siamo i tuoi cagnolini, no? Ritti e cupi, come degli abili robot?»
«Ah, perché tu adesso sei diventato l’avvocato difensore dei tuoi fratelli e del personale, giusto?»
«Tu non sai di cosa sto parlando!» sospirò sdegnato Franco «No, no, so bene di cosa stiamo parlando! – Federico mi osservò, scrutandomi da cima a fondo, per poi puntare i suoi occhi freddi e gelidi sul fratello – Stiamo parlando di etica, di comportamento e tu sei il primo a non rispettarla!»
L’ennesimo litigio, l’ennesima discussione basata sempre sulla stessa inutile causa: la moralità!
Federico era testardo, cocciuto talmente ostinato da mettere i brividi.
E Franco non era da meno!
Non era la prima volta che litigavano a causa mia e purtroppo di questo me n’ero resa conto.
Ogni piccola cosa che il gemello dei Fritzenwalden mi diceva o faceva, rischiava di mandare in collera il mio principale. Non so se per cattiveria o per lune storte o semplicemente per “etica” come la chiamava lui.
Quell’etica che oscurava l’educazione prussiana della famiglia. La stessa etica per cui un Fritzenwalden non poteva essere amico di una dipendente, la stessa per cui la bambinaia di casa doveva stare al suo posto, solo e soltanto ligia ai suoi doveri.
Cosa giusta, ma veramente nauseante, perché io volevo un bene infinito ai ragazzi.
Ma il lavoro è lavoro, e nonostante le mie continue discussioni con il maggiore dei Fritzenwladen al riguardo, la colpevole di tutto e di tutti ero solo e soltanto io.
Come in quel preciso momento!
Spazientita e veramente esausta di ascoltare sempre le stesse accuse, girai i tacchi e con fare terribilmente rabbioso abbandonai la stanza, sbattendo violentemente la porta.
Ero infuriata e avrei preso a calci chiunque, se avessi potuto.
Ma avevo paura, paura che da un momento all’altro Federico e Franco si sarebbe presi a cazzotti, lì, nella mia stanza.
Era troppo pericoloso e loro erano furiosi.
Sarebbe scorso del sangue?!
Muta, ma con i nervi a fior di pelle, rimasi ad origliare dietro la porta.
«Ci risiamo, Federico? – sbuffò Franco – Ancora questa storia? Non ti stufa ripetere sempre lo stesso disco? Perfino Florencia si è stancata di ascoltarti e sinceramente la capisco!»
«Florencia un corno, Franco! Qui la cosa la dobbiamo risolvere noi!»
“O mamma mia, qui si ammazzano” incrociai le dita, pregando le fatine della pace, perché tutto si calmasse e ritornasse la tranquillità.
«Sono d’accordo! Le cose le dobbiamo risolvere noi ed io sono stanco di girarci sempre intorno – Franco sospirò e dopo qualche istante riprese a parlare – Sono innamorato di Florencia! E non mi guardare così, Federico! Che cosa farai adesso? Mi caccerai? Mi ucciderai? O ancor peggio, mi priverai del cognome dei Fritzenwalden?»
Strabuzzai gli occhi stupefatta.
Franco era innamorato di me.
Franco, il mio Farolito mi amava. Com’era possibile?
Lui era un amico, il mio amico ed ora?
Tutto aveva senso.
I suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti affettuosi nei miei confronti, le sue parole, i suoi gesti, perfino i suoi incantevoli sorrisi, prendevano un colore diverso. Sembrava tutto così semplice, così ingenuo e invece tutto era rivolto a me, con un solo scopo: stravolgermi il cuore.
Ed io?
Io che ero sempre stata distante, comportandomi semplicemente come un’amica, poco prima, gli avevo fatto intendere che sarebbe potuto esserci qualcosa tra di noi.
Lo stavo per baciare!
Corsi in giardino, senza intendere ne volere. Avevo solo un desiderio: parlare.
Parlare con la mia mamma, con quella noce che, una volta piantata nel terreno umido di casa, aveva dato vita ad un tenerissimo germoglio smeraldo. Solo con lui potevo essere sincera e sentirmi a mio agio, perché lui era frutto dell’amore della mia mamma ed era come averla lì, accanto a me.
E quel piccolo simbolo d’affetto era tutto ciò che in quel momento più desideravo al mondo.



«E così quel bonbon dagli occhioni celesti è cotto di te, tesoruccio?»
Titina mi sistemò accuratamente un riccio un po’ troppo ribelle «Già, così sembrerebbe»
«E perché quel faccino tanto triste?» scossi il capo lentamente.  
Nella mia testa risuonavano ancora le parole ambigue delle mie fatine «Parole d’amore sussurrate al vento, prendono sapore dalle labbra da cui escono» Titina si bloccò e stranita, scrutò il mio sguardo «Che cosa hai detto, Flor?» dondolai nervosa il capo «Ehm, no, niente di particolare! Solo una stupida frase letta su un giornale, tutto qui!» in realtà l’unica cosa che ero riuscita a leggere era il mistero che quelle mie strambe fatine erano solite aggrovigliare attorno ad una semplice frase!
Mi domandavo chi fosse stato l’inventore di quegli assurdi rebus? Non era più semplice dire in faccia i problemi e cercare di risolverli nel migliore dei modi? A quanto pareva no!
Le fatine preferivano arzigogolare, meditare, escogitare, fare le “misteriose” in tutto e per tutto!
Ed io, perplessa, titubante, talmente scettica da farmi venire da sola il mal di pancia!
Franco e la sua improvvisa dichiarazione d’amore avevano mandato in completo tilt ogni fliquity caotico del mio povero cervello!
Quella strana confusione aveva poi lasciato spazio ad un indescrivibile imbarazzo. Non sapevo cosa fare, come comportarmi e quando lo incrociavo per casa, quando tentava di avvicinarsi a me, lo ignoravo, cercavo di essere il più distante possibile, evitando ogni suo piccolo gesto d’affetto.
Ma era giusto?
«E alla villa? Come va in quella casa di matti?» presi il succo di frutta dal bancone e ne bevvi un piccolo sorso «Come vuoi che vada? – assaggiai uno dei tanti biscottini al cacao che occupavano il vassoio di ceramica colorata – I bambini sono sempre più dispettosi con quel loro visetto angelico, poi ci sono le Streghe e la loro asfissiante acidità, Federico che mette sempre il naso dove non deve metterlo e la mia mammina che tenta di proteggermi da quell’aria viziata che si respira giorno e notte in quella casa – depositai il bicchiere sul bancone maculato del negozio – A proposito della mamma, hai presente il suo diario segreto?– Titina annuì, afferrando un biscotto alla marmellata –Ti ricordi che ti ho parlato spesso di quell’Alberto che ne firmava alcune pagine? Sono scomparse» la mia cara “Zia” strabuzzò gli occhi, per poi inghiottire lentamente il boccone «Come scomparse?»
«Scomparse, svanite – agitai le mani in aria – volatilizzate! Il problema è che non so veramente chi potrebbe averle prese e nemmeno il perché? – presi un tovagliolino di carta e nervosa cominciai a torturarlo con le mani – Chi potrebbe essere così interessato a un paio di vecchie pagine?»
«Non pensi che possano essere stati i bambini? Magari uno scherzetto innocuo, un qualcosa da niente» scossi lentamente il capo e sorrisi al ricordo dei miei “docili” angioletti «No, i bambini non mi farebbero mai una cosa del genere. Sanno quanto siano importanti per me i ricordi di mia madre. Sono sicura che loro non centrano niente, forse …»
«Forse chi? Federico? Credi che il tuo datore di lavoro, abbia …»
«Boh, non so! In questi giorni è così strano che potrei pensare di tutto, anche dargli dell’impiccione! Pensa che l’altro giorno l’ho pure beccato in camera mia a guardare alcune foto che tengo sul comodino»
«Si, ma non è un ladro! – sbuffai nervosa – Per quanto possa essere un ficcanaso non lo ci vedo proprio nella parte di un borseggiatore! Piuttosto, io non mi fiderei per nulla al mondo di quelle due streghe! - afferrò un spazzola a mo’ di arma – Quella Delfina ha uno strano modo di fare e quella Maria Laura, scusami se te lo dico, ma mi puzza un po’! – agitò la sua abile “spada” – E poi non sei stata tu a dirmi degli insulti e le varie minacce?! Se fossi in te, mia cara, affilerei lo sguardo e starei più attenta, in quella casa si nascondono fin troppe cose e fai qualcosa per questa macchia – mi indicò la voglia che tenevo nascosta sotto la frangetta – ogni giorno sembra ingrandirsi sempre di più» osservai Titina per un istante. Non avevo colto bene le sue parole.
La sua bocca mi diceva una cosa, ma gli occhi azzurri, sembravano trasmettere altro.
Conoscevo da tempo Titina.
Conoscevo il suo carattere chiacchierone,  così propalatore, e leggermente logorroico ed era difficile pensare,anche solo per un attimo, che potesse nascondermi qualcosa. Non ne era capace.
Perfino un pappagallo sarebbe riuscito a tacere più a lungo di quella cicala della mia cara “Zia”.
Era impossibile che ne fosse capace, almeno così mi era sembrato fino a quel momento.
«Titina – fissai i miei occhi nei suoi – c’è qualcosa che non so, ma che dovrei sapere?»



Malala conosceva mia madre.
Non si sapeva ne come ne perché, ma la donna che più amavo al mondo e quella che più odiavo si conoscevano e sembrava si fossero frequentate per un po’ di tempo.
Ora, come poteva essere che la mia mamma, una donna dal cuore d’oro, la cui bontà, superava quella di un dolce appena sfornato, potesse aver stretto amicizia con Malala, malandrina diplomata in magia nera e laureata in maledizioni?
«Tua madre mi scrisse spesso di un’amica conosciuta poco tempo prima della tua nascita. Disse che l’aiutò molto nella gravidanza, dato che tuo padre era spesso via per lavoro. La descrisse con pochi aggettivi, disse che era una brava persona, un’anima generosa e un’amica confortante che qualche anno dopo la tua nascita sparì nel nulla. Mi ricordo ancora quando ironicamente mi scrisse di una parrucca che quella donna era solita portare. Quel giorno mi sbellicai dalle risate, immaginandomi Margarita fare altrettanto davanti alla sconosciuta. Per non parlare del suo strano modo di vestire in lutto, sempre nero, bianco, nero. Avrei giurato che me la paragonasse a Mortisia Addams»
Alcune cose tornavano.
Il bianco e il nero erano sicuramente i colori preferiti da Malala, ma se la Strega nascondesse la sua calotta pelata sotto una parrucca, non lo sapevo e tanto meno sapevo se in qualche momento della sua vita avesse trasmesso bontà ad altre persone che non fossero bigliettoni verdi.
 A quanto pareva il destino non me la stava raccontando giusta, però Titina sì e una grande soddisfazione si era appropriata del mio orgoglio.
Non era da tutti, togliere le fedi ad una pettegola discreta come la mia cara “Zia”!
L’unico problema era “affilare” occhi e orecchie e cercare di ricavare più informazioni possibili dalla Strega Madre e dalla sua apprendista,
In fondo cosa ci voleva?
Sguardo indiscreto, udito perfetto e fortuna, tanta fortuna.
Fortuna che ultimamente non avevo!
Inserii le chiavi nella serratura della villa e con fare svogliato entrai in soggiorno.
Crudelia Demon e la sua cagnetta giacevano in tutta la loro vanità sul divano di casa, intente in una loro tipica conversazione. Da un lato Malala e la sua aria ricca di presunzione e dall’altro Delfina, pronta a dare sfogo ad ogni suo minimo capriccio «E così la nuova collezione di Gucci sarà presentata questo Natale – Maria Laura sorseggiò il cocktail verde limone, alzando superba il mignolo destro – Sarebbe un incanto poterci andare –  fissò una rivista poggiata sul tavolino – L’Europa. Moda, benessere, qualità e ricchezza.»
«Versace, Armani, Chanel, Dolce&Gabbana, Richmond e chi più ne ha, più ne metta! – risero spaventosamente isteriche – Mamma, chiamo subito! – Delfina afferrò il telefono fisso della villa – Vedrai, Eveline non potrà dirci di no!»
“Arroganti approfittatrici!” pensai, mentre Tarantola e Ragnetto mi fecero un leggero cenno, prima di salire le scale e rifugiarsi nel loro covo maligno.
Scossi il capo sempre più scoraggiata.
Mia madre non poteva aver frequentato quella donna, neanche nel peggiore degli incubi!
«Greta! – urlai quasi sdegnata – Sono a casa! Ho già fatto io la spesa!» come volevasi dimostrare, nessuna risposta!
In villa Fritzenchucchen si respirava una certa aria di egoismo fuori dalla norma.
Tanta gente, tante teste, tanti cuori, ma ognuno indirizzato ai fatti propri.
Una persona poteva parlare, gesticolare, mettersi a saltare fino a toccare il cielo con un dito, che se non era ne il momento ne il luogo adatto, potevano crollare i grattacieli, cadere i pianeti, annegare i pesci che nemmeno il più ficcanaso dei muri ti prestava attenzione.
Questo era uno di quei momenti.
E così, con l’autostima bassa e l’umore quasi a terra, raggiunsi la cucina.
Federico seduto alla penisola, conversava animatamente con un’altra persona, dandomi completamente le spalle.
Svogliata, poggiai la borsa della spesa accanto al lavandino e mormorai un apatico buongiorno. Federico e l’uomo che gli sedeva accanto si voltarono di colpo.
Ogni giorno che passava, mi rendevo sempre più conto di quanto fossi innamorata di quel Principe dallo sguardo freddo e indifferente, quello stesso sguardo che ora mi squadrava da cima a fondo, in quella sua tenuta informale. Maglia verde e jeans marroni non facevano di certo l’uomo d’affari che era, ma anche se avesse indossato il più sudicio degli stracci, per me sarebbe rimasto il più valoroso del cavalieri con o senza spada, perché Federico era questo.
Il mio cavaliere freddo dagli occhi dolci come il miele.
Il mio Principe Azzurro.
Scossi il capo leggermente.
Forse mio, mio non proprio, ma un Principe Azzurro lo era di sicuro.
«Flor! – Federico posò un braccio attorno al collo dell’uomo – Ti voglio presentare una persona»
Il sorriso del Principe era veramente indescrivibile, irresistibile, solare, caloroso, quasi magico.
 Sembrava che solo in quell’uomo dai capelli castani e gli occhi timidamente chiari si nascondesse il segreto per far sciogliere quel ghiacciolo congelato del Freezer. Un mistero talmente sbalorditivo da trasformare il dolce miele dei suoi occhi nella cura balsamica per il mio cuore.
Il suo sorriso era la cura alla mia solitudine, al mio dolore, alla mia nostalgia, a tutti i miei mali.
«Flor, lui è Matias, il mio migliore amico, nonché mio avvocato – gli occhi dello sconosciuto si illuminarono improvvisamente e un dolce sorriso gli colorò il viso – Matias, lei è Florencia, la bambinaia dei miei fratelli» strinsi la mano dell’uomo, accompagnando il gesto da un timido bacio di cortesia, come era solito fare in Argentina, poi lo fissai per qualche istante.
Il maglione a collo lungo lo rendeva ancora più magro di quanto sembrasse, mentre i pantaloni scuri gli cadevano perfettamente. Trepidante, incrociai il suo sguardo. Uno sguardo dolce, affettuoso, ricco di emozioni. Un blu notte, profondo, talmente vivo da penetrare nell’anima. Un sguardo famigliare e che già una volta avevo incontrato nella mia vita.
Lo sguardo di …
«Florchi!» il giovane mi avvolse in un abbraccio caloroso, dal quale titubante e tremendamente spaventata indietreggiai.
Solo una persona mi chiamava così. Solo una persona aveva “osato” chiamarmi così.
Quella persona era …
«Matu!» eccitata lo abbracciai con un’energia indescrivibile, inspirando quel suo solito profumo agli agrumi. Sembrava che con un semplice tocco, avessi varcato quella porta che mi separava dal passato, perché fino a qualche secondo prima Matias era il mio passato che ora si era fatto realtà.
Quanto era piccolo il mondo, quanto ci si poteva aspettare dal Destino, ma soprattutto quanta bellezza c’era nel ritrovare un amico perduto, un amico che pensavi disperso e che non avresti mai immaginato di rincontrare, poterlo stringere, accarezzare, sentirlo vivo e accanto a te.
Un Miracolo.
Un Miracolo nato tredici anni prima per le strade del barrìo “Esperanza”, più precisamente dal gelataio all’angolo in un pomeriggio d’estate.
Nonostante i miei sei anni appena compiuti, sapevo essere abbastanza cocciuta da persuadere mia madre, convincendola anche dei più bizzarri desideri e quel giorno i miei fliquity perversi si erano focalizzati solo e soltanto nell’immagine di un enorme e succulento gelato, di quelli grossi, ma talmente grossi da far venire l’acquolina anche al più sazio degli elefanti.
Panna e cioccolato, un classico, ma nella coppetta in fantasia, prendeva un gusto tutto diverso.
Degustavo avida il mio desiderio, su una panchina del parco, ciondolando divertita le gambe e progettandone già un prossimo, mentre osservavo scocciata due marmocchi che, come due moschettieri, agitavano giocosi due enormi spade di legno.
“Bello” pensai, ma sicuramente non quanto il mio gelato, visto che mi ci ributtai addosso famelica, creandomi una realtà parallela dove solo io ed i gelati facevamo del mondo una cosa migliore.
«Andiamo, Principino» una donna bionda irruppe nei miei pensieri, riportandomi alla realtà. Con estrema eleganza, la vidi avvicinarsi e accarezzare il biondino, che infastidito si allontanò «Non mi chiamare così! – puntò la spada contro probabilmente la madre – Non mi piace!» la donna, per niente arrabbiata dal tono spregevole adottato dal figlio, gli scostò dolcemente la frangetta ribelle «L’auto ci aspetta e Peter pure, non vogliamo far fare tardi a papà, giusto Federico?» la donna si accarezzò teneramente il ventre, leggermente gonfio «Sì, però viene anche Tute!»
«Federico, Matias deve andare a casa con la sua mamma, non può partire con noi»
«Ma …»
«Niente ma, l’aereo ci sta aspettando e poi sono sicura che ti troverai bene in Germania» il biondino fissò il vuoto per qualche istante, prima che l’atro ragazzino lo raggiungesse e gli dasse qualche colpetto sulla spalla in segno consolatorio «Tanto ci sentiamo, no? Ci sono l’e-mail!» i due amici si abbracciarono dolcemente. Seguii la scena con il gelato ormai finito, finché vidi sparire il biondino e la madre su di una macchina scura.
L’altro ragazzino rincorse l’automobile, salutando l’amico, fino all’esasperazione, poi quando anche la vettura era un pallino indistinguibile, si accasciò a terra, disegnando strane figura con la spada in legno.
Incuriosita, mi avvicinai timidamente al ragazzino. La mia mamma stava parlando con il gelataio e non mi avrebbe sgridata se mi fossi allontanata per qualche istante. Gli picchiettai un dito sulla spalla e il bambino si voltò, fissando i suoi occhi blu nei miei «Sei triste? – domandai, mentre con un polso mi pulivo la boccuccia ancora sporca di gelato. Il bimbo, leggermente disgustato, annui – Perché? Perché sei triste?»
«Perché il mio migliore amico se n’è andato in Germania» farfugliò il ragazzino «E cos’è la Germania?» mi accucciai accanto a lui «E’ un Paese Europeo, al di là dell’Oceano»
«Ah - osservai curiosa la scritta che il bimbo con la spada aveva fatto pochi minuti prima - A .. M .. I ..» tentai di leggerla «Amigos, amici» mi corresse malinconico, mentre studiavo ed analizzavo quella strana scrittura «E tu non hai altri amici? - chiesi con la discretezza che solo un bambino può avere. Il ragazzino scosse leggermente il capo – e ti va di essere mio amico?»
Il bambino mi sorrise «Matias» mi porse la mano. La scrutai, cercando di capire cosa fare, poi, ricordandomi i film visti con la mamma, la strinsi decisa «Florencia»

E così Matias Ripamonti era stato il mio primo ed unico vero amico. Ci eravamo fatti compagnia a vicenda. Io alla ricerca di una persona con cui divertirmi, passare il tempo e giocare spensierata e lui in attesa del ritorno del suo amico.
Trascorrevamo la maggior parte del tempo assieme. Io ero entrata a far parte della sua vita e lui della mia. Le nostre famiglia si apprezzavano e amavano vederci ridere e scherzare, senza parlare poi dei pranzi e delle cene condivise, in cui l’allegria era all’ordine del giorno.
Ana e Bartolomeo erano due persone squisite e facevano di Matias la persona più preziosa al mondo. Li ricordavo con estrema dolcezza. Lei con i suoi capelli rosso fuoco, talmente ribelli da essere paragonati ai serpenti della dea “Medusa” e Bartolomeo, speciale in quei suoi due occhi blu mare, ma esile in quel suo corpo alto quasi come un “grattacielo”, come ero solita dire da piccola.
Credo che quegli otto anni furono senz’altro i migliori della mia vita.
Poi, però, come tutte le cose, anche quelle belle devono finire e qualche anno prima della morte di mia madre, Matias dovette trasferirsi e di lui non ebbi più notizie, tranne un orsetto.
Esatto, un piccolo orsetto di peluche.



«Guarda cosa ho qui per te» Matias afferrò una borsetta di cartone colorato che aveva delicatamente posato su letto di Roberta qualche istante prima.
Dopo l’effettivo shock della cucina, dove un Federico alzava il sopraciglio sempre più sconcertato, io ed il mio amico di sempre, eravamo riusciti a sfuggire alla sua intrepida scarica di domande, rifugiandoci nel luogo più sicuro della casa: la mia stanza.
 Un piccolo batuffolo bianco prese piede davanti ai miei occhi «Un orso di peluche! – emozionata lo presi tra le braccia  ed inspirai dolcemente quel profumo di arancia e cannella, tanto famigliare. Sorrisi a Matias – Ah, grazie Matu! Grazie! Grazie mille! - mi gettai al suo collo e, presa dal fliquity dell’affetto compulsivo, iniziai a riempirli il viso di piccoli bacetti giusti, giusti per dimostrargli la mia gratitudine, finché incrociai il suo sguardo ed imbarazzata indietreggiai, mentre cercavo di ricompormi il prima possibile – E così, te ne sei ricordato?» deviai gli occhi all’orsettino. Matias si alzò pian piano dal letto e iniziò a passeggiare curioso per la mia stanza «E come non potevo? E’ sempre stato il simbolo della nostra amicizia – si soffermò allo specchio della scrivania e mi scrutò pensieroso – E poi il 26 agosto è un giorno importante, non trovi?» fissai i suoi occhi blu e sorrisi emozionata da tanta dolcezza «Il mio compleanno – sussurrai – Ho sempre ricevuto i tuoi orsetti, sai? – pensai nostalgica agli ultimi anni trascorsi in orfanotrofio, dove Matias e i suoi regalini erano diventati un semplice ricordo – Tranne che in questo ultimo periodo» la mia voce nascondeva una certa tristezza. Speravo solo che il mio amico di sempre non si fosse accorto, non era tempo ne di lacrime ne di ripensamenti «Flor, solo perché non hai più avuto mie notizie, non vuol dire che io ti abbia dimenticata – si accucciò davanti a me e dolcemente prese le mie mani tra le sue – Ti ho cercata, Flor – con le sue dita forti e possenti accarezzava con cura le mie – Ti ho cercata, ma non ti ho mai trovata! Da quando mi trasferii, sei anni fa, non c’è stato un solo giorno nella mia vita, in cui non abbia pensato a noi, alla nostra amicizia, ai bei momenti passati insieme ed ora – abbassò lo sguardo per poi rialzarlo ed incentrarlo nel mio – Ed ora, che siamo qui, faccia a faccia, come due adulti, vorrei che accantonassimo per un attimo il passato per pensare con chiarezza alla nostra amicizia, al presente che finalmente potremo rivivere»
Le sue parole erano così sincere e così pure da farmi brillare gli occhi.
Era sempre stato questo suo strano modo di porsi a colpirmi. La sua dolcezza, la sua franchezza, quell’autentico e genuino modo di vedere le cose sotto un altro aspetto. Quel suo ostinato ottimismo, talmente persuasivo da confondere anche il più testardo dei muli.
Era bello avere di nuovo a che fare con quel suo temperamento perseverante, con quel suo tono di voce pacato, chiaro, limpido come le acque profonde che albergavano nei suoi occhi.
Gli sorrisi.
Era strano, anzi stranissimo, trovarsi lì, a fissarsi dopo parecchi anni come se niente fosse, come se il tempo non fosse passato, come se il tempo si fosse fermato, permettendoci di cancellare ogni brutto ricordo, tra questi anche la morte della mamma.
Era strano osservarlo, vedere riflessi i miei occhi nei suoi, come due specchi d’acqua, pur sapendo che anche per noi, come per i ricordi, il tempo era passato. Sapendo che non eravamo più dei mocciosi giocherelloni che si divertivano scherzando e passando il tempo insieme. Questa volta, a specchiarsi, non erano più degli occhi infantili, fanciulleschi, bensì occhi adulti e maturi.
Era questo che eravamo diventati.
Due adulti.
«Vedo che li conservi ancora» Matias giocherellava con uno dei miei amuleti, lo raggiunsi e con aria di sfida glielo levai dalle mani «Esatto! Sai come sono e sai anche che non ci si deve permettere di toccarli – mi scostai la frangetta – senza il mio permesso, chiaro!»
«E quelle lucine che dicevi di vedere? – mi sorrise divertito – Ti fanno ancora compagnia?»
«Ah, tu stai parlando delle fatine, giusto? – sistemai l’amuleto “alalà” nel contenitore apposito – Potrei definirle come delle guide, delle accompagnatrici, sai, sono come certi segnali stradali che ti mostrano qual è la strada giusta da fare quando hai perso il tuo navigatore personale»
«E il tuo, Florchi? Che fine ha fatto il tuo navigatore personale?» scossi leggermente il capo «Purtroppo l’ho perso con la morte di mia madre» gli occhi di Matias si riempirono di piccoli brillantini «Mi dispiace – sussurrò – avrei dovuto esserci»
«Non importa, è acqua passata. E tu? Passi sempre così il tuo tempo? Italia-Germania, Germania-Italia-Buenos Aires?» il sorriso di Matias sembrava nascondere una certa aria di malinconia «Lavoro con Federico da tempo ormai. Ci conosciamo da una vita ed è una brava persona – ricordai i due bambini che giocavano spensierati in quel parco come due veri moschettieri – Diciamo che sono di famiglia qui e anche in Germania ed in Italia, vado spesso per lavoro. Ma dimmi, Flochi, cosa ci fai qui dai Fritzenwalden?»
Fu così, che tra una risata e un’altra, gli raccontai per filo e per segno la mia piccola avventura dal collegio all’arrivo in villa, naturalmente passando per Titina, Bata e i ragazzi e accennando la triste storia di Carina, ma evitando volontariamente la mia piccola – grande cotta per Federico. Era il suo migliore amico!
«Com’è piccolo il mondo» Matias scosse lentamente il capo «Già, piccolo ed imprevedibile. Chi l’avrebbe mi detto di ritrovarci qui, dopo anni e anni senza vederci, a ricordare i vecchi tempi?»
«E pensare che ho passato anni a cercarti, senza mai ottenere risultati e poi, tutto d’un tratto ti ritrovo a lavorare come bambinaia a casa del mio migliore amico, se non è destino questo?!»
«A proposito di casa, quanto tempo resterai? Mi piacerebbe che passassimo un altro po’ di tempo assieme, noi due, che ne dici?» Matias si portò una mano al mento pensieroso, poi sorrise sarcastico «Federico mi incatenerà come un povero matto! E’ uno schiavo del lavoro e ama schiavizzare anche il suo staff, per tanto credo che rimarrò qui per un po’ di tempo e penso proprio che lo passeremo insieme – mi si avvicinò con cautela e lentamente mi avvolse tra le sue braccia – Mi sei mancata, Florchi»
«Anche tu, Matu»
La porta di camera mia si aprì improvvisamente ed una Maya si gettò energicamente su Matias, che nell’impatto interruppe l’abbraccio, finendo faccia a faccia sul mio lettino «Ciao Tuti!» l’adolescente di casa solleticò il mio caro amico, che in risposta le scompigliò animatamente i capelli, raccolti in una coda di cavallo. Li osservavo divertita.
Maya sembrava così bambina e di certo anche Matias.
«E allora? Come sta la Principessina di casa?» domandò Matu, rincorporandosi sul letto «Ma quale principessina, principessina, sono una donna, sai? – Maya si alzò e, dopo essersi sistemata la gonna in jeans, sfoggiò le sue doti femminili in una piccola sfilata – visto? – si accucciò poi ai piedi del letto esibendo il più perfetto labbro da coniglio – Allora? Cosa mi hai portato di bello dalla Germania? Non dirmi una di quelle salsicce bianche grasso di maiale, perché ti scotenno! Piuttosto, mi aggraderebbe qualcosa di italiano, come non so – Maya si portò un dito al mento e alzò lo sguardo pensierosa – Una borsa o un cappello o ancor meglio, un profumo!» Matias sospirò divertito «Giù, nello studio, nella borsa rosa - Maya drizzò le antenne e con uno smagliante sorriso abbandonò la stanza a tutta velocità – E non farti vedere da tuo fratello!»
«Maya!» l’urlo di Federico spezzò il silenzio. Guardai Matias divertita «Troppo tardi»



«Allora? Che te ne pare?» balzai davanti a Matias, bloccandogli completamente il passaggio di ritorno alla villa «Allora, cosa? – mi scrutò da cima a fondo – Stai parlando del tuo abbinamento piumino pesca e gonna menta o della tua irrefrenabile mania per le snakers?»
«E dai! – gli diedi un buffetto sulla spalla - Il mio abbigliamento è i-n-s-u-p-e-r-a-b-i-l-e e poi sai benissimo di cosa sto parlando!» Matias si portò le mani in tasca e mi sorrise divertito «Sempre la stessa, eh?»
«Tale e quale! – mi sistemai il berretto in lana rosa scuro – Adesso dimmi come ti è sembrato il gruppo!»
Gli attesissimi saluti al nuovo ospite di casa Fritzenwalden, avevano portato una nuova brezza di allegria alla villa, rendendone l’aria molto più respirabile rispetto agli altri giorni. I ragazzi sembravano aver preso con filosofia l’arrivo di Matias e ogni giorno che passava lo trattavano come un membro in più della famiglia. Con la sua amichevole dimestichezza, Matu era l’armistizio di casa. Un tiepido velo di “tranquillità” sembrava aver coperto l’intera abitazione, nascondendo in chissà quale angolo sotto il tappeto quella maledetta polvere di acidità che aveva dominato per tanto tempo. Sembrava si fosse creato un enorme specchio dove la felicità dei ragazzi si rifletteva come un manto di isterismo negli occhi delle due perfide streghe, nascoste nel loro covo alla ricerca della prossima vittima.  
Federico aveva cambiato la sua attitudine da perfetto oppresso convulsivo in una semplice mancanza di affetto che faceva ricadere solo sulle spalle del povero Matias.
In quanto a me, beh, avevo dedicato tutto il mio tempo a ristabilire l’amicizia con Matu, accantonando rimpianti e rancori in un reparto speciale del mio cuore. Il cosiddetto “Dimenticatoio” dove c’era sempre meno spazio dovuto alle marachelle dei bambini e alle ormai noiose e canzonate urla pungenti delle Streghe.
Un record da non poco conto.
E Matias conosceva tutto di me: il mio carattere, la mia famiglia, i miei amuleti, perfino le mie fatine. Ciò che volevo mostrargli, non era più il mio passato, bensì il mio presente, la mia nuova vita.
Bata, Facha, Nata e Clara ne facevano parte e con loro il mio fervido desiderio di cantare e ballare e perché no? La mia vita.
«Quelle quattro campane da dormitorio? - guardai Matias sconcertata – Sto scherzando, Florchi! – sorrisi – La verità è che mi siete sembrati incredibili! L’idea di creare un band musicale è stata veramente incredibile e la tua voce – alzò un sopraciglio –  Si può sapere quando è nato questo talento improvviso? Che io mi ricordi, eri peggio di una chitarra scordata!»
«E invece hai davanti a te l’ugola d’oro della famiglia Fazarino!» entrambi scoppiammo in una sonora risata «A parte gli scherzi, Flor, da quando canti così bene? Hai preso lezioni?» ripresi il cammino verso casa, seguita dal mio accompagnatore «Ma quali lezioni, lezioni?! Sai meglio di me che i soldi non piovono dal Cielo! Diciamo che la mia è stata una passione nata così dal niente!»
«Beh, se anche io iniziassi a cucinare così dal niente e ti invitassi, preparati a venire con un bell’estintore a portata di mano! Non so quale grado di incendio potrei causare!» sorrisi all’immagine di un Matias ai fornelli con un simpaticissimo grembiule a fiorellini «Cantavo sotto la doccia, tutto qui!» Matu mi prese a braccetto «Bene, Signori e Signore da domani tutti a cantare sotto la doccia, perché così la fama di cantante invidiabile è assicurata!»
«Eh, dai! Non prendermi in giro!» osservai sorridente l’uscio della villa, poi spostai lo sguardo sul mio grande amico. Avvolto in un confortante cappotto nero, cercava di scaldarsi le mani, avvicinandole alla bocca, in un gesto un poco infantile. Poi, con fare professionale sbirciò l’orologio da polso «Prepara l’asse sulla schiena, Florchi. Abbiamo fatto leggermente ritardo»
«Suvvia, le undici non saranno un problema per Federico! Sommetto che tutti avranno già raggiunto le braccia di Morfeo» Matias mi guardò perplesso «Tu dici?»
Quando la porta si aprì, fummo invasi da un’impressionante penombra. Sembrava che il velo della notte fosse caduto su casa Fritzenchucchen, solo la luce della luna, faceva il suo timido ingresso dalle finestre. In salotto nemmeno il minimo rumore.
Avanzammo cauti, prudenti nel non fare baccano e più che contenti nel non aver trovato ad aspettarci il “Mangiabambini”. Dopo tanti giorni passati rendere partecipe Federico delle nostre più “intime” conversazioni, dandogli spiegazioni sul Cosa, Dove, Quando e Perché della nostra amicizia, finalmente potevamo respirare e sentirci sollevati e liberi. Due adulti amici e liberi di volersi bene e trascorrere insieme delle piacevoli serate, senza motivarle al proprio datore di lavoro.
“Impiccione di un Freezer!” pensai al varcare la porta.
«Ben tornati» un’ombra si elevò dalla poltrona che dava sull’ingresso. I capelli scompigliati e leggermente bagnati dalla luce notturna, rendevano il suo sguardo ancora più magnetico e decisamente seccato. Il viso nascondeva delle sottili rughe e quel  giallo che indossava come maglietta, era svanito nel crepuscolo, perdendone completamente la vivacità.
«Federico» sussurrò quasi spaventato Matias, mentre ancora mi teneva per mano, nella tentata entrata furtiva di qualche istante prima «Vi sembra questa l’ora di rientrare a casa?» fece un passo in avanti, sprofondando nella candida luce della luna. I capelli biondi, quasi schiariti dall’effetto luminoso, brillavano quasi come il colore del latte e gli occhi, infastiditi e leggermente stizziti, splendevano di luce propria.
Il cuore iniziò a battermi.
«Ci dispiace – abbassai lo sguardo, nervosa – ma sa com’è Signor Freezer …»
«Ti ho detto di non chiamarmi così!» ordinò bisbigliando. Alzai le spalle indicando la mia innocenza «Beh, sa com’è Signor Federico, una chiacchiera tira l’altra e un gelatino pure – cercai lo sguardo di Matias – molto buono devo dire, e comunque – fissai i miei occhi su Federico – e passa così velocemente la serata, ma talmente veloce che nemmeno ti rendi conto di quanto le lancette avanzino sull’orologio e fanno tic-toc, tic-toc e tic e toc ma sei talmente concentrato nella conversazione che …»
«Zitta, Florencia, zitta! – con lo sguardo fulminante mi indicò il patibolo – Nello …»
«Studio – continuai, avviandomi al mio destino e ricevendomi un’occhiataccia dal Freezer – Che c’è? E’ l’abitudine!»
Svogliata entrai nel laboratorio di Federico e presa da una fobia indescrivibile non so se più per il buio o più per il “Mangiabambini” ancora in salotto, cercai l’interruttore della luce «Ah, Fatine delle condanne a morte, fate che non chieda la mia testa, per favore» implorai quando finalmente l’oscurità sparì.
Dal salotto si udiva un leggero borbottio, e, incuriosita dalla situazione, mi affacciai alla porta chiusa «Non prendertela con lei – la voce di Matias suonava grave e supplicante – E’ colpa mia se abbiamo ritardato. Le avevo promesso un gelato, ma voleva rientrare a casa presto, per i bambini, capisci? L’ho pregata io perché venisse, contro il suo volere»
«Contro il suo volere, certo – Federico sospirò – Non capisco cosa ci troviate tu e Franco nel difendere così tanto il personale di questa casa?» ne seguì uno schiocco di dita «Ehi, Flor farà parte anche del personale di questa casa, ma prima di tutto è una persona, in modo particolare un’amica e io non sono il suo avvocato difensore, chiaro?»
«Ah certo, un’amica! – Federico rise quasi isterico – “Flor vieni qua, andiamo di la, vieni che ti offro un gelato, se vuoi possiamo uscire, tanto al Signor Freezer non deve interessare quello che facciamo, giusto?”»
«Esatto, Federico, non ti deve interessare quello che facciamo! Oggi è il nostro giorno libero e non siamo obbligati a rimanere incatenati né alla tua né alla vita dei tuoi fratelli, sai?» una risatina ironica pervase l’ambiente «Incatenati alla mia vita e a quella dei miei fratelli, bella questa! Chi te le scrive le battute, uno di quei tuoi amici sceneggiatori?»
«Cosa c’è, Federico? Non ti basta già controllare la vita dei tuoi fratelli, vuoi anche controllare quella del personale?»
«Sai come sono. Mi interesso alla vita delle persone che vivono in questa casa»
«Interessato o paranoico? Nei giorni che ho trascorso in questa casa, non hai fatto altro tranne che controllare la vita di Florencia. Che c’è, Tedesco, ti piace quella ragazza?»
Sbarrai gli occhi, mentre il cuore sembrava volesse uscirmi dal petto per saltare tre metri sopra il Cielo.
«Ma che dici? – Federico rise nervoso – Piacermi Florencia? Non ti passa per quella tua mente malata, il fatto che io sia già felicemente fidanzato?»
Una pugnalata dritta e pungente, raggiunse il mio cuore, perforandolo completamente.
«Beh, questo spiegalo al tuo ego, perché stai rovinando la vita a quella ragazza e io questo non te lo permetterò mai! Sei il mio migliore amico, ma anche lei lo è e per tanto io ti voglia bene come ad un fratello, il mio cuore ascolterà solo il suo. Mettiti l’ego in pace, Federico e fai chiarezza in quella tua testolina paranoica, perché è ora di pulizie!»
I passi di Matias lungo la scalinata centrale, interruppero il silenzio che si era formato dopo quella pesante discussione.
Ma tutte quelle parole, tutte quelle frasi sussurrate alla notte, non erano pesanti quanto il mio cuore. Mi sentivo oppressa, affaticata, asfissiata da quell’indigesto sentimento che mi stava torturando l’anima.
Io e quella mia ostinata capacità a vedere cose che non esistevano, a crearmi luoghi, situazioni ed emozioni senza nessun fondamento nella realtà. Io e quelle mie stupide illusioni, quei miei stupidi sogni che non facevano altro che farmi prendere il volo verso l’inferno.
Federico amava la Strega con tutto il suo cuore e tutta la sua anima.
Come potevo credere ancora nelle fiabe? Come avevo potuto minimamente pensare che come nei sogni, il capo si interessasse alla dipendente goffa? E infine, come avevo potuto illudermi così, dal niente, in un mare di utopia, dove le chimere regnavano senza peccato, dove il rapporto capo-inserviente era così ben definito da rimanere tale e quale nel tempo.
Il battito della porta mi riportò alla realtà. Con il viso coperto dalle mani, Federico entrò in stanza farfugliando chissà quale maledizione. Indietreggiai inquieta, quasi spaventata dalla possibile reazione che avrebbe potuto scatenare quell’abominevole Mangiabambini.
«Che ci fai ancora qui? – ruggì con il suo solito tono disprezzante – Vattene, Florencia, vattene» la sua sembrava più una supplica che un ordine. Mi avvicinai a lui, intenerita da quell’improvvisa trasformazione da mostro a bambino.
Anche Federico sapeva essere dolce e tornare bambino e quel suo modo rude e selvaggio di apparire era la conferma che nel suo cuore giaceva ancora quello spirito ribelle di un normale diciassettenne, lo stesso spirito che probabilmente non lo aveva mai abbandonato.
Non lo potevo incolpare per aver scelto la Strega. In fin dei conti sappiamo tutti che l’Amore è cieco e lui aveva optato per un mondo fatto di incantesimi e pozioni magiche.
Cosa potevo fare io?
Aiutarlo.
Aiutarlo a entrare in quel mondo e accompagnandolo se necessario.
Da quel momento io, Florencia Fazarino, avrei fatto di tutto per dimenticarmi di Federico Fritzenwalden, anche a costo di vendere il cuore e l’anima.
«Mi dispiace, Signor Federico – gli posai una mano sul gomito e lo vidi osservarmi con estremo disgusto - Avrei dovuto rientrare prima. Mi prendo le mie responsabilità, costi quel che costi, anche raggiungere il patibolo e consegnarle la testa se necessario, l’importante è che non mi incarichi della manicure alla sua fidanzata. La Signorina Delfina, sa essere veramente isterica quando le si passa scarsamente il lima unghie»
«Chi ti da questo diritto, Florencia?» Federico mi si avvicinò adirato, furioso, quasi come un cane funesto. Lo sguardo inviperito, fiammante, pronto ad afferrarmi e a farmi sparire con una semplice scintilla. Gli occhi color miele si erano tinti di sangue. Sembrava un assassino, un assassino in preda ad un istinto omicida. Il giallo della sua maglietta era vivo, accesso di rabbia come il suo viso, un viso le cui rughe intimavano, spaventavano, terrorizzavano.
Ancora una volta avevo fatto una gaffe.          
«Chi mi da il diritto di che? -  indietreggiai – Di limare le unghie alla Signorina Delfina? – la mia voce tremava come una foglia – O di prendermi le mie responsabilità?» Federico mi prese per le braccia, scuotendomi, fino a farmi incontrare il suo sguardo con il mio «Chi ti da il diritto di prendermi in giro? Di entrare nella mia vita come un uragano e spazzare via ogni minima certezza? Di farmi litigare con il mio migliore amico? Di farmi dubitare di ciò che sento, di ciò provo – lasciò la presa e si girò di scatto, passandosi una mano tra i capelli biondi, leggermente sudati – e perfino di ciò che penso – raggiunse uno scaffale dello studio e, dopo aver fissato ed accarezzato dolcemente la foto dei suoi genitori,  mi osservò con indignazione – Da quando sei arrivata qui hai cambiato tutto a tua immagine e somiglianza. I miei fratelli, il personale, perfino me! Mi domando chi ti da il diritto di venire qui e di imporre il tuo modo di vivere e di essere?»
Lo guardavo tremante, spaventata, come se il bambino di qualche istante prima, si fosse nascosto per dare spazio ad un uomo rozzo, villano, arrabbiato più con se stesso che con il resto del mondo. Un uomo insoddisfatto della vita che gli stava regalando il più bel piacere che si potesse mai avere, ma che lui stava accantonando e gettando per lasciare spazio all’isterismo che solo lo stress del lavoro e le due Streghe potevano offrirgli. Il piacere e la bellezza di vedere crescere i propri fratelli.
Trattenevo a stento le lacrime.
Per l’ennesima volta mi stava dando la colpa di tutto e di tutti.
Deglutii, prendendo lentamente il respiro «Mi cacci – allontanai una lacrima con un dito – Se è il mio modo di essere, il mio modo di vivere, il mio modo di prendermi cura dei suoi fratelli, mi cacci! Se è questo che la fa star male, le sto dando l’opportunità di prendere il toro per le corna, la colga! – alzò un sopraciglio - Anziché stare qui a sbraitarmi dal mattino alla sera come uno squalo dannato, colga l’opportunità di stare bene lei e di far star bene anche a me, mi cacci, mi mandi via, lontano da questa casa, dal suo mondo e da tutta la sua famiglia e le garantisco che non mi vedrà mai più, mai più»
Solo quando mi bloccò nuovamente con quelle sue enormi braccia potenti, frenai il mio ennesimo fiume di parole, anche se le lacrime scorrevano incontrollabili sul viso, senza pudore, ne decenza. Mentre il mio sguardo si era perso un’altra volta nel suo. Notai un brillio strano in quei suoi due occhi miele, poi lo vidi avvicinarsi finché dolcemente mi sigillò le labbra con un bacio.
Una scarica elettrica percorse il mio intero corpo e immediatamente, come ipnotizzata, mi avvicinai sempre di più a lui.
Il cuore mi batteva all’impazzata e un’indescrivibile nube si era appropriata completamente  della mia mente, scollegando ogni minimo fliquity. Poveri neuroni impazziti!
Cellule emozionate che fluttuavano ebbre, gioiose tremendamente infatuati per le vie del mio cervellino, offuscato da enormi cuori che palpitavano all’unisono, perfettamente innamorati.
Incrociai le braccia per il suo collo e istintivamente aprii leggermente le labbra per corrispondergli il bacio. Federico sospirò sulle mie labbra e mi strinse i fianchi. Sembrava che il bacio si stesse facendo sempre più profondo, appassionato e il mio cuore batteva, così come il suo.
Lo sentivo, dal suo petto al mio, palpitare, pulsare, martellare come un dolce brivido, un tiepido sussulto, una delicata pelle d’oca.
Era un bacio.
Era dolcezza, tenerezza, delicatezza, gioia, passione e Amore.
Ci separammo lentamente quando anche l’ultima goccia di fiato ci venne a mancare.
Incrociai i miei occhi con i suoi e arrossii leggermente.
Federico mi sorrise e dolcemente mi accarezzò il viso. Lo seguii e ne imitai il gesto «La tua barba? Non c'è più» sussurrai con stupore. Federico mi sorrise teneramente «Solo ora te ne accorgi? Un bacio non deve fare male» e nuovamente si impossessò delle mie labbra.
Uno sciame di farfalle inondò la mia mente.  



ANGOLO AUTRICE:
Ciao Ragazzi!!!
Eccomi tornata con un nuovo capitolo!
Come prima cosa volevo scusarmi per il ritardo, ma il mio povero computer è stato confiscato per svariate settimane in terapia intensiva ... ma spero di essermi fatta perdonare a mio modo!
In tal caso e un po' in ritardo BUONA LETTURA!

PS: Ringrazio pubblicamente biby_ef ... flori186 ... freezer1996 ... federika21 per il bellissimo segno che lasciate sempre nei miei capitoletti.
Un ringraziamento speciale anche a plume, per la recensione inaspettata e il commento veramente emozionante. Prometto che appena potrò mi cimenterò in un qualcosa tutto mio ... ho già in mente qualcosina. ma per ora mi dedico alla mia eroina!
A tutti un bacio speciale

Dani

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Capitolo 19
*** Parola di Marinaio ***


...Parola di Marinaio...

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Bacio.
Dicono che un bacio è la tenerezza se si dona ad un bimbo, l'affetto se si dona ad un amico, una carezza sulle labbra, che fa fremere il cuore e arriva all'anima di chi si ama.
Dicono che un bacio nasconde parole non dette, che è per eccellenza il linguaggio dell’Amore, un apostrofo rosa tra le parole “ti amo”.
Dicono anche che raggiunge le porte del Paradiso con un semplice, ma meritato silenzio. E’ un istante breve, ma intenso che ognuno vorrebbe non finisse mai. Un piccolo segreto sussurrato sulle labbra.
Fermare il tempo. Arrestare il cuore. Svuotare la mente e cavalcare indescrivibili emozioni.
Rileggevo le frasi di mia madre, rispecchiandomi dentro. Sfogliavo il suo diario con ancora il cuore in gola, lo sentivo battermi dentro il petto, bloccarsi come per riprendere fiato e poi ripartire alla velocità della luce. Tra le sue pagine, i suoi ricordi sembravano unirsi ai miei in quella danza di emozioni e poi ancora lei, mia madre. I suoi occhi dorati risplendevano nei miei, sorridendomi e felicitandosi per quel sentimento che fino a qualche istante prima mi aveva completamente svuotato l’anima.
Mi girai nel letto, cercando di prendere sonno.
Inutile. I miei occhi rimanevano fissi, immobili e rivolti completamente al soffitto, mentre le mie labbra si schiudevano inebetite stampando un  esuberante sorriso, che nemmeno la Strega munita del più grande incantesimo, avrebbe potuto cancellare.
Un sorriso fatto di magiche emozioni che sicuramente avrei ricordato per tutta la vita. Sembrava che qualche bell’angioletto innamorato avesse schioccato una freccia dritta, dritta al mio cuore e che un Federico provvisto di corona e mantello, ne padroneggiasse il centro.
Tale e quale ad un Principe.
Ancora una volta in quella notte, i fliquity si aggrovigliarono nella mia testa per dare vita alle immagini incantate di quella che ormai definivo “la sera più bella della mia vita”.
Io e il mio Principe.
Il mio Principe ed io.
Nello studio.
A litigare.
E poi …
E poi, Federico e quella sua stretta poderosa, quelle sue braccia vigorose e quei suoi muscoli scolpiti, netti, decisi come ogni sua carezza.
Federico e quel suo profumo inebriante, quella sua colonia dolciastra, quel suo fresco respiro sul mio viso, quello stesso respiro degno del suo habitat glaciale.
Federico e quel dolce miele dei suoi capelli, quel fervido grano dei suoi occhi, quella sua bocca di fragola, sottile e fatata come ogni suo bacio, ogni suo tocco e ...


«Flor»
la sua voce sembrava una timida carezza tra i miei capelli, dolcemente posati sul suo torace. Alzai lentamente il viso solamente per incontrare il suo sguardo «Sì?» sussurrai dipingendo un lieve sorriso al vedere brillare il miele dei suoi occhi «Flor, io … - alzai il sopraciglio notando l’arresto improvviso di ogni sua attenzione – Ecco, io …» mi scostò dolcemente la frangetta, mentre una me sorridente si rifugiava ancora una volta tra le sue braccia «Ah Federico, non sai da quanto tempo aspettavo questo momento – sospirai, stringendo ancora di più le braccia intorno alla sua vita – Sapevo che prima o poi sarebbe successo! La mia mamma, le mie fatine, i miei amuleti, tutto mi indicava che tu eri il mio Principe, l’uomo della mia vita, il padre dei miei figli, il nonno dei miei nipoti …»
«Flor, io …»
«Shh, Federico! Lasciami finire – lo rimproverai dolcemente – Dapprima mi rifiutavo di credere che un uomo della tua, per così dire “altezza”, con tutti quei suoi principi vichinghi, si potesse interessare ad una bambinaia goffa come me. Beh, ma poi, si sa, tutto non è mai come sembra e come in una di quelle fiabe dove malvagie stregonerie impediscono al Principe di confessare i propri sentimenti alla Principessa, abbiamo anche noi la nostra fiaba! Non trovi anche tu, che un bacio valga più di mille parole? – sospirai, inspirando lievemente il suo profumo - Ah Federico, io me lo sentivo! Me lo sentivo che prima o poi saremmo stati insieme, che, era come se nell’aria si respirasse uno strano venticello primaverile, una sensazione indescrivibile che sembrava volesse soffocare il cuore e sai per cosa? – non ottenendo risposta continuai – Per tanto Amore, tanto sincero Amore»
«Amore … - ripeté Federico con una certa rassegnazione, prima di interrompere definitivamente l’abbraccio. Si passò una mano tra i capelli, ora scompigliati, poi incentrò i suoi occhi nei miei – Flor, scusami» alzai il sopraciglio, cercando di intuire un qualcosa in più in quella sua espressione leggermente remissiva. Incrociai le braccia e sospirai quasi divertita «Non mi devi chiedere scusa. Delfina sarà obbligata ad accettare il nostro Amore – posai la mano sul suo braccio, ma Federico mi evitò quasi indignato – Federico, mia madre diceva sempre che non c’è pietra che possa arrestare il passo dell’Amore e …» Federico scosse leggermente il capo «Mi dispiace, Flor – titubante mi si avvicinò, poi con fare dubbioso mi stampò un leggero bacio sulla fronte – Buonanotte» si coprì l’intero viso con le mani e, dandomi definitivamente le spalle, abbandonò lo studio, lasciandomi in preda ad una marea di dubbi.
Il perché del suo comportamento non aveva il ben che minimo senso.
Federico sapeva essere testardo, ostinato e a volte perfino impertinente, ma, forse, quel suo essere così rude e così dolce allo stesso tempo e tal volta anche “leggermente” contradditorio, faceva di lui la persona speciale che tutti apprezzavano, per il suo carisma e quel suo speciale fascino “reale”. La stessa persona dal carattere misterioso e tremendamente polemico della quale mi ero perdutamente innamorata.
Scrollai ogni pensiero, per lasciare spazio ad un sorriso ebete.
Mi portai una mano sulle labbra «Federico mi ha baciata? – chiesi in un sussurro – Federico mi ha baciata – ripetei leggermente incredula, reagendo poi con una dilatazione del sorriso classificata come di estrema deficienza.
Rimasi così per chissà quanto tempo. Mezz’ora, un’ora, due ore?! Quel che so è che tornai in camera mia saltellando come un canguro in preda ad un attacco spastico.
Sì, ma non come un canguro qualsiasi.
Un canguro con due enormi cuori al posto degli occhi.

E con questo dolce pensiero, finalmente, mi donai completamente a Morfeo.


«Piantala, Tomas
– nonostante fossero appena le sette, in casa Fritzenwalden già si respirava la pura pazzia. Lampade a tutta illuminazione, corridoi che sembravano aver smarrito il senso dell’orientamento, porte in preda ad attacchi di panico e note scanzonate che Maya  dedicava a tutta la famiglia nei primi dieci minuti di sveglia mattutina. Chiamarlo caos sarebbe stato solo un piccolo complimento.
Passai accanto alla stanza di Maya, sospirai. Nella testa per tutto il giorno ci avrebbero accompagnati le strofe dei Black Eyed Peas. Sorrisi al sentire la giovane dei Fritzenwalden canticchiare qualche parole. Per quel giorno avrei lasciato perdere qualsiasi rimprovero. Mi ero promessa che dal momento in cui i miei occhi si sarebbero spalancati, l’Amore sarebbe albergato per sempre in villa. Rimproveri, punizioni, litigi, discussioni non servivano a nulla nella vita. Portavano solo stress e nervosismo rovinando di passo in passo il cuore delle persone. Federico ne era una dimostrazione, ma l’eccezione conferma la regola e, anche il macigno più solido e il ghiacciolo più freddo, sciogliendosi al contatto dell’Amore avevano dato vita ad un uomo migliore.
Sospirai nuovamente. Quanto poteva essere meravigliosa la vita? Quanto potevano rallegrare e portare al Cielo un cuore i piccoli gesti come un bacio?
Istintivamente strinsi i pugni. La famiglia Fritzenwalden aveva già sofferto tanto, forse anche troppo. Ragazzi giovanissimi che si erano trovati ad affrontare le disgrazie della vita. Ben o male io avevo avuto mio padre e, anche se per poco, mi era stato accanto con tutto il suo amore e anche solo il fatto di averlo lì, con un falso sorriso sul viso, ad accarezzarmi il capo, dava una speranza in più alla mia vita, una speranza legata al  “non tutto è perduto” e al che “dopo un acquazzone sarebbe tornato a risplendere il sole”.
Ma loro … Federico era giovanissimo.
Diciassette anni e alle spalle mille sogni, mille desideri, ambizioni passeggere, ma con grandi fondamenta nel presente. Sogni che probabilmente sarebbero anche diventati realtà, con il tempo … magari …
Si era sentito come un padre all’improvviso. Un enorme coraggio, una forte speranza, l’amore per i suoi genitori, le promesse fatte loro, uno spirito valoroso, lo avevano portato alla coscienza di tutto ciò. Diciassette anni e la grande responsabilità di diventare padre dei suoi fratelli.
In fin dei conti, Tomas aveva pochi anni di vita.
Federico era stato un gran bravo a cogliere al volo questa nuova realtà. Ma tra dire e fare c’è di mezzo il mare, si sa, e Federico, tutto solo e soletto, era riuscito a gestire al meglio gli affari di famiglia, ma non quest’ultima. Nonostante questo, si era guadagnato oltre che il rispetto dai fratelli, anche un affetto incondizionato. Da Franco a Tomas, i giovani Fritzenwalden avrebbero fatto di tutto, anche dare la vita, per il loro fratellone maggiore, ma lui …
Lui aveva accantonato i suoi sogni, i suoi desideri per la famiglia.
Era ammirevole ed io Florencia Fazarino mi sarei occupata della sua felicità e perché no? Anche di quella di tutti loro.
«Insomma, Tomas, piantala! Vattene! – le urla provenivano dalla camera da letto dei gemelli – Il computer è mio, allontanati, cretino!» frastornata dalle urla isteriche, spalancai la porta. Nicolas il più giovane dei gemelli minacciava il piccolo Tomas con uno dei suoi libri di scuola «Solo un minuto»
«Allontanati!» l’espressione sul viso di Nicolas mi rabbrividì.
Da quando ero andata a lavorare alla villa, non avevo mai visto quel ragazzo così tanto arrabbiato, sembrava che il fliquity dell’ira funesta gli avesse offuscato completamente i connotati. Potevo sorprendermi nel vedere fuoriuscire le orbite dagli occhi, per non parlare anche delle vene del collo: l’incredibile Hulk in versione ridotta.
Spaventata, avanzai, coprendo Tomas, in un gesto difensivo «Nico, ma cosa stai facendo?! – urlai quasi disperata, mentre il giovane mi squadrava da cima a fondo con due pupille scintillanti d’ira – Ti sembra questo il modo di comportanti?» Nicolas abbassò il libro, si passò una mano tra i capelli e sospirò quasi irritato «Che cosa avete tutti oggi? Non vi sopporto – si portò le mani sul viso – Non sopporto più nessuno!» con gesto furioso scaraventò il libro a terra e lasciò la stanza correndo come un lepre inviperita «Nicolas! – feci appena in tempo ad urlare, ma il ragazzo era già sparito. Preoccupata, osservai Tomas che, tenendosi una mano sul gomito destro, fissava perso il pavimento – Ehi, Tommy, tutto bene? – gli occhi del piccolo continuavano persi nel nero della moquette. Gli sollevai lentamente il viso, per incentrare il suo sguardo – Ti ha fatto male?» vedevo brillare le lacrime in quei suoi occhi dorati, potevo addirittura percepirne la paura e Tomas, tremava, tremava angosciato, sconvolto, ferito da tutto ciò che era appena successo. Lo vidi gettarsi tra le mie braccia, con tutta la forza che un bambino può recuperare dalla sua paura «Shhh – gli accarezzai dolcemente il capo, quando lo sentii piangere – E’ tutto passato, piccolo»
«Flor, è stato terribile – singhiozzò Tomas stretto al mio collo – Io … volevo solo vedere … se avevo vinto il concorso … ma … lui … mi ha preso per il braccio e …» nuovamente scoppiò a piangere «Tommy, calmati, ora è tutto passato. Parlerò io con Nicolas, vedrai che sarà stato solo un po’ nervoso – cercai di rassicurare più me stessa che il bambino – Adesso fai un bel sorriso a Flor» Tomas scosse leggermente il capo «Non ci riesco» gli scompigliai dolcemente i capelli, poi mi slacciai il ciondolo che mi ero messa la mattina stessa «Niente è impossibile – glielo misi dolcemente – Vedrai che con i raggi del Glimlag, ti ritornerà la forza di sorridere» Tomas fece dondolare il ciondolino a forma di sole «Dici, davvero?»
«Ti ho mai detto una bugia? - il bambino mi fissò con aria dubbiosa – Tomas!» lo rimproverai divertita «E dai, Flor, stavo solo scherzando – si strofinò il naso con il polso – Sai, sto già meglio, mi sa che il tuo Sole Sorriso, funziona veramente!» mi fece l’occhiolino, poi dopo avermi stampato un bel bacio sulla guancia, corse da Pedro per andare a scuola.
Volevo fare qualcosa, distrarmi, togliermi dalla testa l’orribile scena appena vissuta. Avevo assistito a diversi litigi tra fratelli Fritzenwalden, per non parlare poi delle Streghe, ma mai nessuno, era stato così scioccante. Forse, la villa rappresentava per filo e per segno la famiglia di cui tutti facciamo parte e non è per niente scandaloso parlare di discussioni, litigi e battibecchi vari, perché tra parenti è la cosa più normale al mondo.
In villa era così, sia di giorno che di notte … se non era Roberta che faceva uno scherzo a Tomas, era Tomas che lo faceva a Delfina, e Martin che con la sua intelligenza scatenava l’ira di tutti i fratelli, per non parlare poi di Maya che amava sfogare le sue doti beffarde su Franco, meccanismo che faceva scattare l’ira di Federico.
Sistemai anche l’ultimo letto, poi rimasi a fissare per qualche istante la stanza dei gemelli.
Il problema non era la villa in preda agli attacchi bisbetici di ogni pazzo membro, no, il problema era Nicolas. Mentre gli altri suoi fratelli passavano intere giornate a vivere di giochi e scherzi, lui trascorreva le sue ore libere chiuso in camera, solo, attaccato a quella dannata scatola elettronica che tranne che rimbecillirlo non faceva altro.
Esasperata, mi portai le mani suoi fianchi “Povero ragazzo” pensai. Nicolas, il gemello di casa Fritzenwalden uno sventurato emarginato sociale ed era colpa nostra se il poverino si comportava come un cucciolo a cui avevano appena tolto l’osso dei suoi sogni.
Le pareti rosse sembravano descrivere con il loro colore, gli occhi furenti di Nicolas.  
Nicolas si stava perdendo i migliori anni della sua vita, se non anche i momenti più belli trascorsi con la sua famiglia ed io, bambinaia incaricata, dovevo fare qualcosa, dovevo aiutarlo.


«Flor, cos’hai?
– Facha mi passò una mano davanti al viso - Mi sembri un po’ persa»
«Sì, è dieci minuti che fissi il pavimento, si può sapere cos’hai?» fulminai Clara, quel pomeriggio più isterica che mai. Sembrava aver superato alla grande la morte di Carina «Scusatemi ragazzi, ero sovrappensiero»
«E’ successo ancora qualcosa con quello scorbutico di Fritzenwalden?» Bata fece voltare le sue due bacchette «No, Federico oggi nemmeno l’ho visto, il fatto è che mi preoccupa Nicolas»
«Il brutto anatroccolo?» l’ironia di Clara mi fece rabbrividire, ma per fortuna nessuno sembrò ascoltarla «Flor, a me dispiace che i miei cugini ti preoccupino, però ora dobbiamo decidere cosa fare per il concorso, il termine dell’iscrizione è domani e noi non abbiamo ancora scelto la canzone da portare!»
«Nata ha ragione, se andiamo avanti così, la vetta del successo ce la possiamo anche scordare!» Facha si fece scivolare sul divano in pelle rossa «Beh, ragazzi, non è colpa mia se c’è chi preferisce farsi i cavoli degli altri anziché provare!»
«Clara, la colpa non è di nessuno» Bata colpì il disco della batteria, provocando un rumore sordo «Ah no? E allora chi ha il coraggio di spiegarmi il perché in questo ultimo mese non abbiamo nemmeno provato un minimo straccio di canzone, eh? – Clara balzò in piedi, poi, furiosa più che mai, punto il dito su di me – Nessuno, perché tutti sappiamo che in realtà la colpa di tutto è di Flor e di quella pazza vita che le gira intorno! Per lei tutto è più importante della band, se non è per i mocciosi, è per il viziatino di turno, ma mai, mai si ricorda di avere dei compagni che l’aspettano anche quando decide di darli buca, mai!»
«Clara, ti stai costruendo un castello senza fondamenta! – Bata la minacciò con una delle sue bacchette – Sai benissimo che quando abbiamo deciso di formare il gruppo, lo abbiamo fatto per passione, come un hobby, pur sapendo che ognuno di noi aveva delle priorità a cui dedicarsi. Non siamo tutti dei mantenuti come te!»   
 Frastornata da quegli insulsi battibecchi, balzai in piedi dal divano «Adesso basta! – il silenzio rimbombò nel capannone – Clara ha ragione, e non sapete quanto mi dispiace di non essermi occupata di voi e della band»
«Solo?» ignorai nuovamente Clara «In questo ultimo mese ho avuto un sacco di problemi gironzolarmi per la testa e mi dispiace tantissimo per questo, perché non era quello che avrei voluto ne per me, ne per voi – presi posto al tavolino davanti al divano, poi afferrai carta e penna – Allora, Kikirikì o Chaval Chulito?»
I ragazzi mi osservarono allibiti.


Avvolsi un fiocco celeste al gambo del mio nuovo amuleto «Ecco fatto» annodai bene, bene, finché i petali vistosi del fiorellino ciondolarono.
Avevo passato l’ultima settimana a minacciare i fliquity del mio cervellino, affinché trovassero una soluzione al mio dilemma; plasmon, spinaci, more e mirtilli, sembravano aver fatto il loro effetto, dando completamente senso al detto della mia cara zia Titina “Mens sana in corpore sano”. Così dopo giorni e giorni di affaticamento celebrale, stavo per sciogliere il terribile nodo della scatola elettronica: un nuovo amuleto per ristabilire l’equilibro nella vita di Nicolas. Il Diario della mamma aveva parlato chiaro “Per chi si mette in viaggio, la Clematide disegna il passaggio”. Sicuramente il bluette della spilla a fiore avrebbe tranquillizzato l’animo nervoso del gemello dei Fritzenwalden e magari chissà, aiutandolo anche a trovare la strada giusta per trovare se stesso … Nicolas aveva bisogno di un navigatore speciale ed il mio Lakuar lo avrebbe accompagnato ovunque, anche dove i miei fliquity non riuscivano ad arrivare «Flor, sei qui?» un tocco lieve alla porta mi fece scivolare dalle mani il talismano, mentre con poco fiato in gola, sibilavo un leggero sì.
La porta si aprì.
Con i suoi ricci biondi sempre spettinati, Franco sgattaiolò nella mia stanza con fare furtivo, era preoccupato, lo leggevo nel blu dei suoi occhi, così blu da farmi rabbrividire, perché ero io la causa della sua preoccupazione. Imbarazzata, abbassai lo sguardo, giocherellando con la spilla «Flor, ti ho cercata ovunque – Franco si inginocchiò davanti al mio letto per catturare la mia attenzione. Mi era vicino, sentivo il suo calore, il cotone del suo maglioncino bianco accarezzarmi le gambe, ma non avevo il coraggio nemmeno di fissarlo, rimanevo imperterrita – Flor, io non ce la faccio più, sono settimane che mi eviti, ti allontani da me ed io … ho fatto qualcosa che non dovevo fare? - avevo paura, paura di alzare gli occhi ed incontrarmi con i suoi, paura dei suoi pensieri, dei suoi gesti … lui mi amava - Flor, per favore guardami – mi accarezzò dolcemente il viso, provocandomi un tiepido brivido, poi mi sollevò lentamente il mento per incentrare il suo sguardo, ma nuovamente lo evitai – Flor, che cosa ho fatto? Perché non mi rispondi? Almeno guardami - rinunciai al gioco di sguardi, Franco e il suo dolcissimo modo di proporsi mi facevano pena, se continuavo così gli avrei solo fatto del male e basta. Finalmente, fissai i suoi occhi. Erano blu e non celesti come al solito, anzi, brillavano di tristezza, quell’inquietudine che ero stata in grado di procurargli – Angioletto, cosa ti ho fatto?» mi scostai nervosa la frangetta «Franco – sussurrai – io … mi dispiace, mi sono comportata come una stupida, non dovevo fare così, il fatto è che …» non trovavo le parole adatte per spiegare al mio carissimo amico il mio stato d’animo. Io gli volevo bene, ma non come lui a me «Il fatto è che?» sospirai nervosa «Ah, lasciamo perdere, facciamo finta che non sia successo niente e ricominciamo da capo, ok?»
«Flor, ti conosco, e i tuoi occhi mi dicono che ti ho fatto qualcosa, per favore, dimmelo»
«Poco tempo fa, per sbaglio, ho sentito una conversazione tra te e Federico» Franco mi fulminò «Per sbaglio, eh?» alzai le spalle «Che c’è? Ero lì per caso! Io non sono di certo una spiona che origlia le conversazioni altrui, ma per chi mi hai preso, scusa?» Franco sorrise divertito, poi allungò la mano lungo il mio viso, accarezzandolo dolcemente «Per un bellissimo Angioletto»
«Ah, Flor, ancora con questa storia!» portò la testa all’indietro sbuffando annoiato.
Ancora una volta mi ero salvata. Se solo avessi osato dire la verità, chissà come avrebbe reagito sapendo che io, ero a conoscenza della sua cotta per me. Meglio tenere segreto ciò che doveva rimanere segreto, perché si era sempre a tempo a rovinare una bellissima amicizia come la nostra e Franco non si meritava di soffrire.
Così, viva le bugie! Bugie a fin di bene naturalmente e poi fondate sulla realtà. Franco sapeva che odiavo quando qualcuno prendeva le mie veci di fronte al "sergente universale", perché mi conosceva ed io, ero e sono tutt’ora una donna indipendente, in grado di difendersi da sola da orchi senza cuore e principi insanguinati, per tanto, amicizia o no, la spada della legge l’avrei alzata solo con la forza delle mie belle manine.
Gli amici servivano per altro.
«Sì, Farolito caro, ancora con questa storia! E’ la miliardesima volta che te lo ripeto: sono grande e vaccinata, indipendente, so difendermi da sola e di sicuro non mi faccio venire la tremarella per le urla isteriche di un Mangiabambini malato di nervi!» Franco rise divertito «Mangiabambini malato di nervi? Questa me la devo segnare, così la prossima volta che litigo con Federico, ho la battuta pronta»
«Eh no, mio caro – alzai l’indice - certe cose le posso dire solo io!» Franco mi abbassò il dito «Una specie di  tuo dizionario?»
«Una specie - sentivo il calore della sua mano avvolgere la mia. Sembrava che l’amicizia di una volta fosse tornata a regnare tra di noi – Farolito?»
«Mm?» alzò lo sguardo, prima intento a fissare le nostre mani, per poi incentrarlo nei miei occhi «Tuo fratello? Come sta?»
«Chi? Federico? - annuii, trattenendo il nodo che mi si era formato in gola.
Dalla sera del meravigliosissimo bacio che ci eravamo scambiati non lo avevo più visto.
La mattina seguente lo avevo cercato per tutta la villa, sperando in un suo sorriso, in una sua carezza, ma la mia illusione era svanita quando Matias mi aveva comunicato che il mio Principino era dovuto partire per un improvviso viaggio di lavoro. Fin qui tutto normale, se si considerava il fatto che Federico era un importante uomo d’affari, ma il problema sorgeva nel sapere che ad accompagnarlo era andata quella coda di foca di Delfina. Al pensare a quei due soli e soletti in chissà quale parte della terra, riempiva ogni fliquity del mio corpo di un’angoscia indescrivibile. Mi fidavo di Federico, lo amavo e non me l’ero presa più di tanto per il fatto di non avermi portata con sé, anzi, confidavo in una rottura doc con quella serpe di Delfina. Nel mio cuore sapevo che quando sarebbe tornato, il nostro amore sarebbe uscito alla luce del sole e solo così, tra un sorriso ed un altro, avremmo condiviso i giorni nella nostra vita abbracciati tra un fratello Fritzenwalden e un altro …
«Credo che stia bene, per quel che ne so, l’affare con i Francesi è andato a importo. Ora si spera solo che l’impresa dei Chateaubriand …»
«Salute!»
«Flor, è un cognome francese, non uno starnuto guasto!» scoppiammo entrambi in una sonora risata.
Io e le lingue straniere non andavamo molto d’accordo, soprattutto se si parlava di inglese, tedesco e francese. Quegli europei puntigliosi amavano complicarsi la vita. Perché si ostinavano a vivere di lingue sconosciute a livello mondiale, quando lo spagnolo avrebbe risolto tutti i loro problemi? Perché arricchire il proprio vocabolario celebrale, quando bastava sapere la propria lingua? Bah, tutto ciò rimaneva un mistero, tranne il fatto di sapere che l’Europa era un Paese di matti. Forse era il perfetto rifugio in cui Malala e Delfina amavano volare con le loro scope. Parigi non è mica in Europa?
«E questo? – Franco prese tra le dita il mio amuleto – un nuovo fermaglio per i capelli?» glielo afferrai «Ma quale fermaglio dei capelli, questo è un talismano potentissimo che non devi azzardarti a toccare, nemmeno con un dito!» il giovane strabuzzò gli occhi «Quando fai così mi spaventi»
«Beh, allora spaventati, perché i miei amuleti sono potentissimi e se non usati nel modo giusto, possono essere pericolosissimi» Franco rise «E questo è un amuleto per che cosa?» strinsi forte il fiorellino azzurro, poi fissai concentrata gli occhi azzurri del mio carissimo amico «Farolito, ti presento Laukar, l’amuleto dei viaggiatori. Per chi si è perduto, questo è un piccolo aiuto»
«E aiuta anche con le ragazze?» gettai uno sguardo al mio sacchetto contenente tutti i miei amuleti «Beh, no – posai la spilla sul letto ed iniziai a frugare – per questo tipo di cose c’è solo una cosa che ti può aiutare – alzai la piccola bacca rossa che tenevo con cura legata ad un fiocchetto giallo – il Fruta è la soluzione a molti di questi problemi, ti da coraggio ed elimina ogni paura o timore che sia, aiutandoti ad affrontare ciò che più ti indispone, anche le ragazze, sai? La portavano gli antichi faraoni al centro del petto, poiché dono di Iside – gliela posai al centro del palmo della mano – funziona solo se la tieni stretta al cuore»
Franco chiuse il palmo con ancora la mia mano poggiata alla sua «E per un bacio?» lo vedevo sorridere, mentre si avvicinava a me, mentre accorciava leggermente la distanza tra di noi, mentre i suoi occhi coloravano di blu i miei «Per un bacio? – sussurrai nervosa – Che cosa intendi per un bacio?»


Il campanello dei Fritzenwalden rimbombò nuovamente per i corridoi della villa.
Sospirai percorrendo velocemente le scale. Grazie alle fatine degli amuleti mi ero salvata da Franco e la sua aria da corteggiatore. Non mi ero mai resa conto di quanto fosse facile inventarsi delle scuse per evitare le persone. Ci sono cose che nessuno può mai capire nella vita, ma fortunatamente ogni giorno s’impara sempre qualcosa di nuovo. Che siano amuleti, talismani o portafortuna, una piccola bugia può sempre aiutare a cavarsela anche nelle situazioni più imbarazzanti e se non si è proprio dei grandi attori, tentar non nuoce, no?
Alzai gli occhi al Cielo, ringraziando le fatine, poi mi diressi alla porta d’ingresso. Quando la spalancai, le goccioline trasportate dal vento tempestarono il mio viso «Titina, cosa ci fai qui?» i capelli rossicci raccolti in una crocchia si agitavano come le foglie che lo sbuffo autunnale muoveva in giardino. Tremava, tremava come i suoi occhi celesti, che mi osservavano cupi, turbati, come impressionati da un qualcosa che solo la mia cara Zia poteva conoscere. Solo dopo qualche istante mi avvolse in un abbraccio disperato «Oh tesoro mio, sei tutta intera, grazie al Cielo – sentivo il suo profumo di cannella invadermi l’anima, ma ero troppo confusa per preoccuparmene – Mio Dio, grazie al Cielo, stai bene!» mi scrutò da cima a fondo. Ora i suoi occhi sembravano più tranquilli, ma io no «Titina, certo che sto bene, mi sa che qui quella che non è molto in forma sei tu, sei così pallida»
«Oh, Flor cara! - si lanciò nuovamente tra le mie braccia – avresti da offrirmi un buon tè?


La tazza fumante del tè tremava come una foglia tra le mani di Titina. La mia cara Zia era talmente fuori di sé che si stringeva a tutto il suo corpo come fosse il suo ultimo appiglio. La osservavo sorseggiare, deglutire e qualche volta sospirare, cercando di trovare le parole per spiegare quell’inquietudine che brillava nei suoi occhi celesti. Perfino la cucina di casa Fritzenwalden sembrava essere caduta in preda ad un terribile silenzio e di certo il tempo non aiutava, visto che dalle finestrelle deboli tuoni echeggiavano come per dare atmosfera.
Titina sospirò ancora una volta, poi estrasse dalla sua borsa leopardata una busta colorata e oscillando la mise sul tavolo. Senza nemmeno esitare, l’afferrai quasi di colpo. Velocemente lessi il mittente «Titina, ma è di mio padre - la zia annuii sconcertata. Impaziente, aprii la busta, dalla quale estrassi un cartoncino colorato. Le parole erano chiare, in stampatello, come amava scrivere mio padre. Poche lettere, il cui inchiostrò sembrava essersi divorato la carta, così come era successo al mio stomaco – Cosa significa che sono in pericolo?»
L’ultima volta che avevo visto mio padre era stata cinque anni addietro, prima che le autorità mi segregassero in un collegio.
Mio padre era un uomo fantastico, amava ridere e scherzare e nei miei fliquity celavo ancora bellissimi ricordi della mia famiglia insieme, ma ahimé, la sua chimera era il mare e come dice il detto “Chi non sa pregare vada in mare a navigare”, quindi chimera o no, mio padre aveva gettato il dolore della perdita di mia madre tra le onde dell’Oceano.
Ricordavo ancora quei suoi occhi neri, che sorridevano ad ogni mia marachella e quelle sue sopraciglia folte, scure come la notte, che il più delle volte si corrugavano in un’espressione divertita, ma nel suo sguardo, anche il più ignorante degli asini avrebbe potuto scorgere malinconia, perché si sa “Per chi in mare cade, non è facile montare”
Ma ripeto e ribadisco, per me, Eduardo Fazarino era l’uomo più importante della mia vita, anche prima del Freezer, perché lui era il mio super papà. Quello stesso papà che di notte mi raccontava una fiaba prima di addormentarmi, che mi stringeva tra le sue forti braccia per coccolarmi, che mi lanciava in aria, ogni qualvolta si rallegrava, che mi prendeva per la mano per una passeggiata, quello stesso papà che amava la mia mamma e l’aveva resa felice come una dolce pernice.
Titina scosse velocemente il capo «L’ho ricevuta questa mattina, probabilmente tuo padre sapeva del tuo ritorno al Passaggio dei Baci. L’importante è che tu, mia cara Flor, stai bene. E’ successo qualcosa? Una di quelle serpi velenose ti ha fatto o detto qualcosa?» negai col capo «No, quella Strega di Delfina è andata con Federico in Europa, e la tarantola della madre è in una Spa»
«Strano» ironizzò Titina, cercando di mantenere la calma «Sai, in fin dei conti non mi meraviglio se papà sa dove sono – sorrisi – ha avuto sempre un buon fiuto per sapere dove si trovava sua figlia - Titina sbottò in una risatina isterica.
C’era ancora qualcosa che la mia cara zia mi nascondeva, e se il mio sesto fliquity non errava, era qualcosa che riguardava la lettera di mio padre «Titina, secondo te perché mio padre ti ha mandato questo messaggio, voglio dire, è anni che non lo sento, e poi si presenta con una specie di biglietto intimidatorio, mi chiedo se non ci sia sotto qualcos’altro – osservai la zia tentennare sulla sedia – Titi, mio padre ha qualche problema?»
Papà era un uomo troppo buono per il mondo marittimo. Mi chiedevo spesso come faceva a resistere a tutti quegli squali che divoravano senza pietà. In questi anni mi ero documentata più volte sui marinai e la realtà che li circondava. Nei libri li descrivevano come dei “barbanera indiavolati” alla ricerca di chissà quale tesoro delle sette leghe. Ora, non che credevo che mio padre fosse un barbanera indiavolato, anzi, per me era solo una povera vittima di questi mangia pesci, perché ripeto, era troppo buono e mi chiedevo come faceva a resistere … prima o poi sarebbe rimasto divorato (parola di marinaio)
«Che io sappia no, ma Flor cara, dove hai detto di aver vissuto con la tua famiglia?» alzai il sopraciglio «Titina, cosa centra con la lettera?»
«Eccome se centra, questa lettera è stata spedita da “Esperanza”, il paese in cui hai vissuto per molto tempo!» strabuzzai gli occhi incredula «Cosa? Mio padre è qui?»
 



Angolo Autrice:

Hola Chicos!!!!
Eccomi tornata questa volta con un piccolo capitolo!
Scusate il tardo ritardo, purtroppo scuola e lavoro non mi permettono di dedicare tanto tempo alla scrittura, ma spero di essermi fatta perdonare ... già vi premetto che per il prossimo capitoletto bisognerà aspettare ancora un po', spero mi capiate ;)
In questo capitolo c'è stato poco romanticismo, ma non vi preoccupate, perchè nel prossimo molti segreti verranno a galla ... seguitemi!!
Un grazie a tutti ...
Un Bacio

Dani

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Capitolo 20
*** Segreto Sussurrato ... Cuore Spezzato ***


°°°Segreto Sussurrato ... Cuore Spezzato°°°
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Il viaggio in autobus sembrava non finire più.
Avevo passato gli ultimi dieci minuti a fissare le mie sneakers rosse con lo sguardo perso: gli occhi fissi nel vuoto ed il cuore palpitare lentamente, come se l’emozione di incontrare mio padre dopo tanti anni, non sfiorasse minimente la mia immaginazione.
Strinsi fortemente il fascio di lettere che tenevo tra le mani.
Erano passate due settimane dal primo biglietto che Titina mi aveva consegnato con gli occhi terrorizzati dalla paura, ma non era stato neanche l’ultimo.
Mio padre era sconvolto, le sue parole erano chiare come l’acqua: ero in pericolo.
Non conoscevo ancora il motivo di questa sua preoccupazione, e benché avessi fatto di tutto per contattarlo e affrontare il problema, mio padre, l’uomo di mare, si era trasformato in un vero e proprio vagabondo. Le lettere erano state spedite ogni qualvolta da posti differenti, impedendomi di rintracciarlo; quest’ultima nuovamente da Esperanza.
Era un’emozione tornare nel quartiere dove avevo passato la mia infanzia e ricordare i bellissimi momenti trascorsi quando ancora mia madre era in vita, ma il mio umore non calzava perfettamente nella commozione.
Era così triste trovarsi nel paese di tutta una vita e non poter minimamente tracciare un sorriso.
Il mio cuore parlava chiaro: non c’era posto per ricordare, perché quelli che erano i miei ricordi si erano polverizzati con le parole di Federico qualche giorno prima.
Sospirai, perdendomi in quell’oblio di dolore.


«Torna Fede!»
esclamarono all’unisono Tomas e Roberta correndo giù per le scale a tutta felicità. Con estrema frenesia si gettarono su di me e mi divorarono di abbracci «Flor, non vedo l’ora che entri da quella porta!» il piccolo di casa si spaparanzò con un cuscino tra le braccia «Ah sì? E come mai tutta questa fretta?» i bambini si scambiarono uno sguardo complice «Per i regali!» risposero contemporaneamente, mentre lo schiocco della serratura annunciava l’arrivo tanto sperato.
Un enorme sorriso si colorò sul mio viso.
Finalmente rivedevo il mio Principe Azzurro dopo un’intera settimana.
Era bellissimo in quel suo giubbotto blu scuro, mentre si scuoteva freneticamente la neve di dosso.
«Federico!» i bambini lo raggiunsero, gettandosi tra le sue braccia. Tomas e Roberta scoppiarono in una sonora risata quando il Freezer li sollevò in aria giocosamente.
Osservai la scena con il cuore in mano. Non avevo mai amato così tante persone nella mia vita, ma non volevo di certo tornare indietro, vista la meravigliosa opportunità che mi era stata offerta.
Mi guardai intorno alla ricerca di Delfina, ma non ve n’era neanche l’ombra, così nell’istante in cui Federico  rimise a terra i bambini, gli corsi incontro stringendolo con tutto l’amore che il mio cuore sprizzava. Sentivo il suo dolce profumo invadermi l’anima. Chiusi gli occhi decisa a salutarlo con un lieve bacio, sotto gli sguardi incuriositi dei piccoli di casa.
Non mi ero accorta di quanto Federico fosse freddo … nemmeno mi aveva ricevuta con un sorriso, ma è il bello delle sorprese, no?
«Staccati da lì cardo immonda!» la voce stridula della coda di foca si intromise come un pugnale volante nella mia mente.
Ancora abbracciata a Federico, voltai il capo incredula «Tu?» sibilai con il fiato bloccato in gola.
Delfina mi fulminò inviperita «Sì! Io, Delfina Santillàn Torres Oviedo, futura sposa del mio fidanzato, Federico Fritzenwalden» sbarrai gli occhi stupita.
Federico e Delfina di nuovo insieme? Dopo quel bacio?
Ero impietrita, completamente scioccata, mentre toglievo le braccia dal collo di Federico. Spostai lo sguardo sui ragazzi, che scuotevano il capo sdegnati, poi su Federico, sempre più distaccato ed infine su quella coda di foca che sorrideva con estrema soddisfazione.
Certo, come potevo interessare ad uomo come Federico? Un uomo che preferiva l’eleganza di una miniabito invernale pittore di un corpo degno di rivista, al burlesco di una gonna marrone muralista di una babysitter mal riuscita?
Strinsi i pugni con forza. Contenevo la rabbia a stento, ero più al limite che alla concessione, mi sentivo un diavolo per capello «Mi scusi – mormorai perplessa, mentre gettavo uno sguardo furioso a Federico – Avevo scambiato il Signor Federico per … Franco» sospirai.
Federico alzò un sopraciglio, mentre Delfina mi squadrava da cima a fondo con un lieve sorriso sulle labbra. Come una gatta morta, si avvicinò al Freezer e gli avvolse le braccia intorno al collo, adottando una postura per così dire elegante «Ah – sospirò sul collo del Principe come per marcare il territorio – vita mia, l’hai sentita? Che tesoro, ti ha scambiato per il tuo fratellino minore. Non è un amore?»  Federico annuì meccanicamente «Siamo simili» curvai le mie labbra in una smorfia “Similissimi” pensai “come il giorno e la notte”
«Oh cara Flor – sibilò nuovamente la Strega – non ci avevi parlato della tua storia con Franco»
Io e Franco?
Mi coprii il viso con le mani: guai in vista!

Poco dopo l’intera famiglia era riunita nell’elegantissima sala da pranzo della villa.
Sospirai, entrando con una delle meravigliose delizie di Antonio. Il dolce profumo del cioccolato inebriava ogni mio senso, forse solo in questo modo avrei trattenuto le lacrime. La glassa di vaniglia era chiara e, adornata da ciliegine rosso porpora, disegnava in quel mare oscuro di cacao la bianca scritta “22 Giugno 2004 … Ti amo”.
Un nodo mi si formò nello stomaco, mentre depositavo con mani tremolanti la torta sul tavolo, proprio di fronte a Federico. Sentivo addosso il suo sguardo freddo ed impassibile, era una tortura sopportare tutto quello, soprattutto se alla mia destra avevo una tremenda coda di foca che sorrideva come una iena in piena savana tropicale.
«Scusate» Delfina si schiarì la voce, mentre con un campanellino richiamava l’attenzione dei presenti «E taci, Strega! – Tomas ingoiò il suo ultimo pezzo di pane – Non ci lasci nemmeno mangiare in pace!» Federico lo riprese con il suo solito tono scontroso «Tommy caro – riprese la gatta morta – sarà solo per poco, dopo di ché potrai tornare – gettò uno sguardo al posto che il piccolo sedeva a tavola completamente impataccato – alle tue delizie culinarie» sorrise poi schifata.
«Ma quali delizie del …»
«Tomas! - lo riprese nuovamente Federico, mentre l’intera famigliola rideva a crepapelle, poi con fare rigido e robotico, afferrò “dolcemente” la mano della Strega – continua pure, Delfina»
Sull’intera sala da pranzo calò il silenzio.
Si sapeva ciò che stava per accadere, per tanto l’unica persona che sembrava veramente interessata alla situazione era Crudelia de Mon, che dall’alto del suo cospetto, sorrideva compiaciuta ai ragazzi, l’uno più disinteressato all’altro. Nicolas fissava a vuoto il piatto, i bambini giocherellavano con i tovaglioli, Maya si mangiava le unghie, Sofia ingoiava il pane restate in tavola, mentre Franco … beh, lui mi fissava con quei suoi due occhi turchesi.
La coda di foca prese posto alle spalle di Federico, che cinse dolcemente «So che non è una novità, perché ormai io e vostro fratello ci conosciamo da una vita e sempre siamo stati l’uno innamorato dell’altra, però non c’è mai stata occasione per parlarne apertamente, vero amore? – Delfina cercò lo sguardo di Federico, stranamente incrociato al mio. Rabbrividii, mentre il Freezer annuiva meccanicamente – Ora è giunto il momento che la nostra relazione sia realtà. Io e Federico ci sposiamo»
Istanti di silenzio accompagnarono il sorriso appagato della iena tropicale.
Tremavo, ma non per il freddo, se non per la consapevolezza che un tir carico di mucche giganti mi aveva appena travolta, scaraventandomi per chissà quanti chilometri.
Solo dopo qualche secondo Malala si alzò e applaudì freneticamente, invitando poi in modo “gentile” la figlia minore a seguire il suo esempio «Beh – riprese poi Federico, passando lo sguardo per ognuno dei suoi fratelli – Non dite niente?» i ragazzi si fissarono per qualche momento. Improvvisamente Franco abbandonò la sua sedia per unirsi in un abbraccio caloroso con il Freezer «Bella là, fratellone! – gli diede un buffetto in viso, poi stampò due baci di felicitazione a Delfina – Non ci siamo conosciuti molto, però ti auguro di essere felice! - e con un sorriso sulle labbra mi si avvicinò – a più tardi, Angioletto!»
«Franco – Federico sembrò fulminarlo con lo sguardo – non rimani per il brindisi?»
«No, ho da fare» e abbandonò la sala.
«Ah, Herr Federika, potere io dare bacio di aggradamento? - Il Freezer sorrise accogliendo tra le sue braccia una Greta umida di lacrime – Ah, Federika, non sapere da quanto tempo Greta aspettare qvesta momenta – si soffiò il naso con il fazzoletto che Federico le aveva offerto poco prima – Essere tanta felice sua vecchia pampinaia! Essere tanta piccola, Herr Federika, tanta piccola quando Greta essere venuta in qvesta casa in qvel giorno tanto piovoso e ora, lei essere cresciuta, stare per sposare, fare sua propria famiglia  e povera Greta … essere tanta vecchia e felice per suo picionono!» Greta si soffocò in un nuovo pianto, che riuscì a calmare solo tra le braccia di Federico.
«Sono contento per te - mormorò in seguito Nicolas con un lieve applauso - che siate felici» e senza esitare si alzò e seguì le orme del gemello «Che cos’avranno da fare quei due questa sera? – chiese Federico passandosi una mano per i suoi capelli biondi – Florencia, tu ne sai qualcosa? – mi risvegliai dallo stato di trance che avevo raggiunto e, afferrando quella poca forza che mi era rimasta, scossi leggermente il capo – E voi? Maya, Martin, non vi congratulate?»
Maya fissò il fratello indignata «Io non ho molto da dire – disse con ancora un dito in bocca – la vita è la tua e sai benissimo che cosa farne, se hai deciso di buttarti direttamente nel cassonetto, non è un mio problema – bevve un sorso d’acqua per poi ritornare alla coppia – Comunque felicitazioni»
Federico era rimasto turbato dal tono aspro della sorella tanto quanto me. Ma cosa ci potevo fare se tranne che dire la verità la giovane dei Fritzenwalden non aveva fatto altro?
«Federico, Delfina – il Freud di famiglia si sistemò gli occhiali leggermente fuori posto – Approvo ciò che nel gergo comune si definisce “relazione congiunta” per quanto il vostro rapporto si basi su una lunga serie di anni trascorsi insieme, ma ciò non vuol dire che mi rendiate l’uomo più felice sul nostro Pianeta, per non parlare di Galassia, atrimenti sfiderei le leggi della fisica atomica– un enorme punto di domanda si disegnò su ognuno dei nostri volti – Cerco di spiegarmi. Per tanto io consideri la tua fidanzata, Delfina, una persona non adatta al ruolo che le hai assegnato, piegherò il mio intelletto ad accettare questa situazione alquanto sollecita– sospirò - per tanto, felicitazioni» una smorfia si disegnò sul viso di Federico, mentre la Strega sollevava indignata gli occhi al Cielo «Io non c’ho capito un’emerita mazza!» ruggì Tomas a braccia conserte «Cosa essere che picionono non capire? Herr Federika sposare»
«Appunto!» il bambino nascose gli occhi sotto un’espressione imbronciata, mentre Greta lo osservava incuriosita «Quello che il mio socio vuole dire – continuò poi la piccola Roberta agitando i suoi codini ribelli – è che Federico non può sposarsi con Delfina!»
«Perché?» esclamarono all’unisono gli adulti di famiglia «Perché Fede è innamorato di Flor e anche Flor lo è di lui!» quando involontariamente incrociai gli occhi del Freezer, abbassai il viso imbarazzata.
Volevo morire, anzi, avrei voluto strangolare con le mie stesse mani quei due mocciosi dalla lingua lunga, qualcuno doveva insegnarli quando era giusto parlare e quando invece no!


Il panorama del barrio Esperanza era tale e quale a qualche anno prima, solo la torre d’ingresso aveva perso il suo giallo vivace, per dare vita a piccole crepe del tempo. Finalmente il pullman attraversò l’arco, segno che ero quasi arrivata a destinazione.
Le campagne argentine erano simili a tutti i luoghi che avevo visto, ma forse, per il troppo tempo trascorso in città, ne avevo dimenticato la bellezza.
Enormi distese verdeggianti, costeggiavano con la loro rigorosa natura la carreggiata che stavo percorrendo e solo a volte, sbucava dal nulla qualche fattoria colorata per ricordare l’impronta umana sulla terra.
Sospirai, stringendo la borsa di jeans dove avevo riposto il fascio di lettere.
Ero arrabbiata, triste e arrabbiata … e per di più senza casa.
Ebbene sì, avevo deciso di andarmene.
Il dolore era troppo forte per essere trascurato, il mio cuore era straziato, a pezzi ed ero sicura che se avrei continuato a vedere come il Freezer “succhiava” le labbra di quell’insipida Strega, non sarei più riuscita rimetterne insieme i cocci.
Non avevo detto addio a nessuno, se non a Federico e … per sempre.
Vedere come gli occhi dei miei ragazzi si riempivano di lacrime e sentire le loro suppliche di restare, non mi avrebbe fatto altro che male. Ero partita così, qualche soldo da parte, i miei due bagagli (momentaneamente rifugiati da Titina) e le lettere di mio padre.
Il mio futuro sarebbe iniziato con un passo nel passato, chissà, forse solo così avrei potuto ricominciare con un po’ di fortuna.
E ancora.
Un bel sole alto nel cielo, di un giallo splendente quasi simile all’oro, al … miele degli occhi di Federico.
Sospirai mentre una lacrima correva sulla mia guancia …


«Flor, possiamo parlare? - sobbalzai lasciando cadere il piumino. Mi riabbassai per riprenderlo e continuai nella pulizia del vaso di non so quale epoca – Per favore, io … non so come dirtelo» la voce di Federico era una carezza tra i miei capelli, ma una pugnalate al mio cuore. Non lo degnai di uno sguardo e passai a spolverare il corrimano della scala.
Uhuhu, era in legno. Non me n’ero mai accorta!
Era da un po’ di giorni che ignoravo Federico e quel suo bizzarro modo di presentarsi davanti a me qual volta gli sembrasse giusto, ma ero arrabbiata, furiosa, mi sentivo presa in giro per ogni fliquity del mio cervello, insomma, non volevo vedere Federico Fritzenwalden nemmeno in fotografia!
Ma lui no, non si dava per vinto e il suo ronzio era talmente insopportabile da triplicare la mia rabbia!
Mi giravo ed era dietro di me, m’incamminavo per il corridoi e lui faceva lo stesso dalla parte opposta, uscivo dalla stanza ed era lì e sempre con il solito ZzZzZzZzZzZ di un’ape a cui hanno appena staccato un’ala.
Insopportabile!
«Flor, maledizione noi dobbiamo parlare!» in un batter d’occhio mi ritrovai a fissare i suoi occhi color miele, mentre sentivo la sua mano stingere il mio polso. Anche arrabbiato Federico sapeva essere il più bel Principe delle fiabe ed i miei occhi non facevano altro che tremare al solo fatto di averlo vicino.
Abbassai lo sguardo turbata «Non abbiamo nulla di cui parlare, Signore»
 Federico mi sollevò dolcemente il mento «Flor, io non so come spiegarti che …»
«Spiegarmi cosa, Signor Federico?! - mi scostai violentemente da lui. Quell’uomo mi avrebbe rovinata anche lontana mille miglia, chissà vicini come pappa e ciccia – Che gli asini volano e gli uccelli ragliano? Ma per favore, guardi, non ho tempo da perdere in discussioni inutili, devo continuare a pulire … - mi rigirai e continua a lucidare il corrimano – Mmmm … che sporco!»
«Flor – me lo ritrovai nuovamente alle spalle – non sono discussioni inutili, noi … - si passò una mano tra i capelli – noi dobbiamo parlare, dobbiamo chiarire quello che c’è stato tra di noi» mi bloccai di colpo, respirai profondamente e mi girai, incrociando i suoi occhi dorati «Non so di cosa parla, Signore – cercai di essere il più ferma possibile – Non capisco, tra di noi c’è il nulla, ci separano monti e mari, cieli e fiumi e … mi scusi, ma il corrimano mi aspetta» feci per ritornare suoi miei passi quando Federico  mi prese per il braccio «Per favore, Florencia, è importante» alzai gli occhi al Cielo «Quanti mosconi girano in casa … eh anche belli grossi …»
«Flor, è importante» ribadì lui sempre più serio «D’accordo, nello studio?» chiesi indicandogli il patibolo «Nello studio» confermò.

Quando presi posto sul candido divanetto dello studio, un fastidioso silenzio separava me ed il mio capo. Io seduta con il volto poggiato ai gomiti e lui, da un lato all’altro della stanza, camminava nervoso con le mani sul viso «Allora? Qual è la cosa importante di cui mi voleva parlare? Devo cambiare storie ai bambini? Sono forse troppo violente, ci sono forse troppe Streghe e Principi maledetti?»
«Florencia, sai benissimo che non è di questo che ti devo parlare e per favore, per una buona volta nella tua vita, lascia da parte la tua ironia» alzai il dito a mo’ di maestrina «Guardi che quella che lei chiama la mia “ironia” è l’unica cosa che mi fa sorridere quando sto con lei!» lo vidi inginocchiarsi davanti a me e prendermi dolcemente le mani «Flor, mi dispiace – furiosa voltai il viso in un’altra direzione e lo sentii sospirare – io … non so cosa mi è preso quel giorno, ero confuso e tu parlavi tanto …»
«Certo che parlavo – voltai il capo per dirigere la mia ira solo e soltanto a lui - e parlo anche adesso, perché come “quel giorno” mi sta accusando di qualcosa che non ho fatto!» Federico alzò un sopraciglio scioccato «Ma che … Flor, non fare la finta tonta, ci siamo baciati …
«Mi hai baciata» lo corressi fulminandolo con lo sguardo «Ti ho baciata e ti ho ferita e questo non me lo perdonerò mai, il fatto è che … ero stanco e …»
«Insomma, ti vuoi decidere? Eri confuso o stanco? – mi alzai scostandolo all’impatto, feci per andarmene, poi mi rigirai osservando come Federico si era portato una mano al mento pensieroso – Senta, Signor Federico, facciamo finta che non sia mai capitato nulla tra di noi– lo vidi avvicinarsi a me – perché tra di noi non c’è nulla – la mia voce si armonizzava ad ogni suo passo - che … che … che … quel meravigliosissimo bacio non ci sia mai stato – era sempre più vicino, il suo sguardo si era incontrato con il mio – che … che … i tuoi capelli, i tuoi occhi, la tua bocca sono degne di un Principe delle fiabe e che …» le parole mi si bloccarono quando lo vidi mettermi l’indice sulle labbra, a pochi centimetri da me «Shh – la sua voce era un sussurro – Flor, mi sposerò con Delfina, lei è la donna perfetta per me, l’hanno scelta i miei genitori ed io l’amo, però …»
«Però che?» ero ipnotizzata dalle fiamme che ardevano nell’oro degli occhi del mio Principe «Però non lo posso evitare» spostò il suo sguardo sulla mia bocca «Cosa?» sussurrai stregata «Questo»
Si appropriò delle mie labbra e mi baciò, come se la primavera fosse ritornata a risplendere in quella stanza buia e fredda.
Sentivo il cuore palpitare ovunque ad ogni sua carezza: petto, orecchie, mani e piedi tremavano, io tremavo alle sue dita ferme sui miei fianchi e alle mie giocose tra i suoi capelli. Tremavo sentendomi la donna più importante del mondo, più desiderata, più amata …
Sospirai sulle sue labbra prima di rispondergli nuovamente con la passione alle stelle, con tutta l’ansia per quell’uomo che non avrei mai avuto nella mia vita, perché lontano, perché diverso, perché di un’altra.
Federico grugnì e mi avvicinò ancora di più al suo corpo, mentre copriva il mio viso di dolci baci.
“Baci?!” pensai.
Quei baci potevano essere molto pericolosi, erano artiglieria pesante per il mio cuore malato d’amore … dovevo finire quella piacevole tortura, altrimenti addio a qualsiasi possibile cura.
Probabilmente Federico notò la mia rigidezza e con piccoli sospiri, terminò quello che ormai consideravo il mio supplizio «Scusami» sussurrò poi con un lieve sorriso, passandomi infine un dito sulle labbra «Federico, è meglio che io me ne vada» mi scostò dolcemente la frangetta «Sì, è tardi, domani i bambini andranno a scuola e …»
«No, Federico – mi scostai da lui, cercando di riprendere il controllo della situazione – è meglio che io me ne vada e per sempre …» feci per andarmene, ma mi prese per la mano «Flor, io … - si passò una mano trai capelli - non credo sia una buona idea e i ragazzi? Non sopporteranno l’idea che tu te ne vada e …»
«E’ meglio per entrambi, anche se …»
«Anche se?» pensai a me, a lui, e a quel sentimento fortissimo che ormai aveva fatto il nido nel mio cuore, ma … purtroppo non tutti gli uccellini spiccavano il volo alla nascita ed il mio amore era nato già con un’ala rotta, una barchetta appena naufragata nell’Oceano.
Scossi il capo freneticamente «Niente, preferirei che restasse tra di noi, sono sicura che quando sarà il momento troverai le parole giuste»
Federico annuì silenziosamente, poi prima di chiudere la porta, incrociai i suoi occhi con i miei «Addio»


Attraversai il vicolo deserto, incontrandomi finalmente con l’insegna del piccolo bar scelto da mio padre. Ocho7ocho riportava la scritta gotica, tipicamente a caratteri pirateschi. Non mi stupii più di tanto nel vedere i colori così rustici tipici dei lupi di mare, Esperanza era il quartiere dei cosiddetti “Marineros”, poiché, tempo addietro, diceva mio padre, affacciava sull’Oceano Atlantico. Per tanto botti di legno, galeoni, funi attorcigliate, nodi da marinaio e polene erano all’ordine del giorno.
Mi avvicinai al portico che dava sulla viuzza del centro del barrio: uomini di tutte le età gorgheggiavano boccali di non so quale diavoleria, serviti da giovincelle in stracci colorati. Le gitane erano di casa con i loro gesti stravaganti e danzavano sulle note del flamenco per intrattenere i lupi di mare, già ubriachi alle cinque del pomeriggio.
Mi strinsi nel mio cappotto marrone e, sospirando varcai l’ingresso nel bar.
Un vento tiepido scaldò le mie guance rossastre, mentre un’ondata di fumo nauseabondo raggiungeva le mie narici già intorpidite per il freddo. Gettai l’occhio al bancone centrale, dove una donna di mezza età versava boccali di birra ad una coppia di anziani «Casimiro, Casimiro, te lo dissi che ci avresti rimesso il dito» mormorò sistemandosi lo scialle blu «Taci, zingara – l’uomo alzò la mano fasciata, mentre sorseggiava la bevanda giallastra – la tua è solo fortuna!» scoppiò in una sonora risata, alla quale si unì poi l’altro anziano «Rie bien quien rie ultimo, cari miei hermanos Ortega e ahora sciò – gli indicò la porta – filatevene a casa che vuestras mujeres ve aspettano sanos e salvos» la donna lasciò il bancone, ma l’uomo con la mano fasciata la bloccò «Ma come Almundina, non ce l’hai un bacetto per me?» la donna lo strattonò, regalandogli poi un sorriso «Neanche por suenño Casimiro e ahora sciò, no vees? – la donna mi indicò - Una donzela chiede de mi, adios tìos!»
Avvolta nel suo scialle blu cobalto, la proprietaria del bar mi si avvicinò, ondeggiando la sua lunga gonna nera a fresie blu «Hola, chiquita! – esclamò mentre mi racchiudeva tra le sue braccia, stampandomi due leggeri baci sulle guance, mentre mi sussurrava di reggerle il gioco – Como estas? Era da un poquito che non ti vedevo. Y tu mamà? Scommeto que es una reina come tanto tempo fa – sospirò accompagnandomi ad un tavolo all’angolo – Ahy niñita,que bueno averti incontrato aqui en el mio bar – quando prese posto accanto a me, mi sorrise, mostrando una fila di denti ammaccati e neri come la pece – Gracias por averme retto el gioco, carita de Angel, como te llamas?» le ricambiai il sorriso un po’ nervosa «Florencia, Signora»
«Oh por favor – agitò una mano all’aria – no me llames asì, para ti soy Almundina, “la dama del misterio” – la squadrai da cima a fondo: il trucco pesante le regalava sicuramente qualche anno in più, ma il rossetto bordeaux era un velo di eleganza in quel viso abbronzato. Gli occhi neri facevano pan- dan con i capelli corvini e leggermente ondulati, dove una fresia celeste spuntava in tutto il suo splendore – Chiquita, no te preocupes,soy buena, misteriosa, pero buena y tu? Cosa ci fa una carita de muñeca acà, en un posto rico de  gente orrible?»
«Cerco mio padre» sussurrai stringendo ancora di più la mia borsa di jeans, mentre la donna si portava una mano alle labbra «Tu papa?»
«Si, mio padre, forse lo conosce, si chiama Eduardo Fazarino» Almundina alzò gli occhi al Cielo «Oh, ojos de cielo, como no puedo conocer a “Barba Negra”» strabuzzai gli occhi «Barba Negra?»
«Sì – la donna si alzò dal tavolo e mi prese le mani – esperame aqui, niñita, tu papa volverà pronto – gettò uno sguardo alle mie mani, poi mi sorrise – eres afortunata, carita de Angel, tu futuro es como aquello de Cenicienta! La conoces la historia de Cenicienta?» annuì scioccata.
Come poteva dirmi certe cose? Certo, le gitane sapevano leggere le mani, e tante volte non sbagliavano, ma da qui a dirmi di avere un futuro come Cenerentola, passavano leghe e mari, stando in tema. E come se non bastasse in un periodo dove sembrava che un autobus di cento tonnellate mi aveva appena schiacciata a tutta velocità. Federico, i ragazzi, mio padre, le lettere … cose che altro che portarmi problemi non stavano facendo altro.
«Un futuro di cenere vorrà dire?» la donna scosse leggermente il capo «So que non puedo legerte la mano si tu no quieres, pero es ineviable … tu manita tiene una figura tan graciosa y como he dicho prima, tu futuro serà rico de flores amarillas … descubreràs secreto que el pasado ocultò, però seràs feliz, tienes solo que estar fuerte porquè  el presente serà muy duro y muy dificil, mas con tu sonrisa asì encantadora, so que riusciràs ad affrontarlo … ahora tengo que irme – mi fece l’occhiolino – debo avisar a tu papa»
Sospirai al vedere Almundina girare l’angolo. Cosa intendeva?
“Scoprirai segreti che il tuo passato ha nascosto” … centrava forse con i biglietti intimidatori?  
E come poteva il mio futuro essere di rose e fiori, quando il Principe della mia vita aveva preso il primo cavallo per scappare dalla Strega di Biancaneve?
Scossi il capo.
No, di certo quella gitana aveva visto troppe mani fino a vedere doppio e poi diciamocelo, avere a che fare con degli ubriachi porterebbe squilibri mentali a chiunque …
Mi portai una mano alle labbra “Ops, sto parlando come Martìn”
Al pensare ai miei ragazzi mi si formò un nodo in gola. I “fari” di Franco, le urla di Nico, le teologie di Tincho, le marachelle dei mocciosi …
Deglutii lentamente come per scacciare ogni immagine.  
«Florsicuchi» avrei riconosciuto quella voce anche lontano mille miglia.
Aspra, amara, rauca, era la voce di mio padre.
Mi voltai.
Un uomo basso dal sorriso smagliante aprii le sue braccia pronte a ricevermi in un abbraccio.
Senza esitare mi lanciai verso di lui, disinteressandomi del grembiule bianco che indossava completamente sudicio di cibo.
«Papà!» inspirai il suo profumo, mentre sentivo la folta barba nera pungermi la fronte (solo ora capivo il vero significato del suo soprannome).
Era esile, più gracile di cinque anni prima ed i capelli che credevo ancora corvini, ora avevano assunto un colore più simile all’argento. Lo strinsi ancora di più a me con il timore che mi abbandonasse ancora una volta.
«Anche se in mare è, anche se in mare è, anche se in mare è lui pensa sempre alla sua Flor» alzai gli occhi completamente lucidi «Ah papà, quanto mi sei mancato!» mi accarezzò dolcemente la nuca «Lo so, piccolina, ma ora sono qui … per te» mi baciò dolcemente la fronte «Vamos chicos! – Almundina si precipitò nella nostra direzione con un vassoio ricco di delizie – Non so vosotros, pero ahora es el tiempo para la merienda, adelante – disse indicandoci il tavolo che poco prima avevo occupato – “Barba Negra” no sapevo que tenìa una niñita asì, creo que se parece muy a la Cenicienta del cuento de Hadas» mi fece un occhiolino «Florsicuchi è la mia Cenerentola»
«Lo sabìa, lo sabìa – depositò due tazze fumanti di cioccolata - ahora me voy, creo que debeis parlar, adios tìos!» e in uno sbatter di scialle se ne andò.
«E’ simpatica» sussurrai mentre mio padre mi prendeva le mani tra le sue «Già, Almundina è una grande donna» sospirai «Come la mamma» mio padre mi sorrise «Come la mamma … Le somigli sempre di più, sai?»
«Titina me lo dice sempre, “Tale madre, tale figlia”» canzonai al ricordare i ricci rossi della mia cara Zia «Quando ho saputo che ti eri trasferita al Passaggio dei Baci speravo che incontrassi la migliora amica di tua madre. Titina è una bravissima persona e voleva bene a tua madre, sapevo che ti avrebbe aiutata in un modo o nell’altro»
«A proposito di Titina, è successo qualcosa? Perché non ti sei più fatto sentire? Credevo che dopo la maturità ti saresti presentato almeno per salutarmi …» mio padre incrociò i suoi occhi neri con i miei «Tesoro, sai che “per chi …”»
«“per chi cade in mare, non è facile montare”, sì, lo so ma neanche per tua figlia?» mi sorrise tristemente «Ci sono stati dei problemi» alzai gli occhi al Cielo «Lo sapevo! Sapevo, papà, che eri finito in un qualche guaio! Ancora quel Nestor?»
Poco prima della morte di mia madre, papà aveva avuto dei “piccoli” problemi economici che lo avevano portato a chiedere un aiuto ad uno di quegli aguzzini mangia fegato della periferia di Buenos Aires. Le terapie di mia madre costavano e, una volta saldati i debiti, lavorammo per qualche tempo per restituire il dovuto. Ma ancora ricordo le minacce di quello strizzacervelli maleodorante, le discussioni, le urla di mio padre e poi … la luce e quel Nestor liquidato con quel suo avido bottino di bigliettoni.
Era inspiegabile quanto la gente potesse essere attaccata al denaro.
«No, Nestor non centra nulla, per fortuna» il suo viso disegnò una smorfia «E allora? Cosa sta succedendo? Perché sono in pericolo?» mi accarezzò dolcemente il volto «Flor, tu stai bene? So che hai trovato lavoro in una casa di un imprenditore famoso»
«Avevo, non ci lavoro più» la mia voce tremava ancora di rabbia e tristezza «Ma come? – alzò un sopraciglio – Cosa è successo? Ti hanno trattata male? Non ti pagavano?» scossi il capo «Mi sono innamorata, papà» sospirò «Fammi indovinare, del tuo capo?» annuii «Sì e per di più fidanzato, ma è una storia senza futuro e prima che qualche cuore ci rimetta la vita, ho preferito andarmene»
«Hai fatto la cosa giusta, Florsicuchi. Ti ricordi la storia che ti raccontavo sempre da piccola?»
«Quale? Quella della Principessa triste?» quanto amavo quella fiaba. Era una delle mie preferita e mio padre me la raccontava sempre prima di andare a letto …
«Esatto, proprio quella … perché amore mio, devi sapere che non piove per sempre, che un giorno quei nuvoloni grigi che occupano il Cielo, si sposteranno per far splendere un Sole meraviglioso …»
«Che ti scalderà il cuore … - continuai io – papà …»
«Mmm?»
«L’amore fa male» abbassai il viso mentre una lacrima scese dai miei occhi e mio padre l’asciugò dolcemente con il suo pollicione «Lo so e per questo devi essere forte, soprattutto per quello che ti dirò ora …» alzai lo sguardo intimorita dalle sue parole «Papà, così mi preoccupi – frugai nella mia borsa di jeans e posai sul tavolo il fascio di lettere – mi vuoi dire cosa sta succedendo? - mio padre si portò all’indietro, incrociando le braccia – Cosa è stato della tua vita da marinaio? Cosa ci fai qui come cuoco? Perché tutto questo mistero?»
«Florsicuchi, i soldi vanno più che vengono, ma io sono qui per te»
«Perché?» riuscii a malapena a sussurrare «Amore mio, quello che sto per dirti non ti piacerà per niente – sospirò passandosi una mano tra i capelli – Le fiabe sempre acquistano un significato importante, sembrano sogni e per quanto possano essere d’immaginazione, nascondo un fondo nella realtà»
«Non ti capisco»
«Tesoro mio, ricordi? L’arte della vita sta nell’imparare a soffrire e nell’imparare a sorridere – annuii – promettimi che quello che ti dirò non cambierà la meravigliosa persona che sei, promettimi che saprai vedere oltre le apparenze»
«Continuo a non capire»
«Tu promettilo» mi portai un dito alle labbra e lo bacia in segno di promessa «Giurin giurello te lo prometto con una mano sul petto» mio padre sorrise, poi sospirò «Quando conobbi tua madre tu avevi pochi mesi di vita – il cuore smise di battermi – e c’era una donna con lei, si chiamava Maria Bonita, era come una tua balia … - osservai mio padre asciugarsi con il polso gli occhi – tua madre era così dolce, così buona, una persona eccezionale ed io me ne innamorai, non mi importava che avesse già una figlia, io l’amavo, ma quella donna, quella donna non mi piaceva, anche dopo il matrimonio le girava sempre intorno, le riempiva la testa di cavolate e … - si portò una mano al viso – quando tua madre mi chiese di darti il cognome, non ci pensai minimamente due volte. Eri la figlia che avrei voluto sempre avere ed eri così bella, così piccola, così di Margarita ed io vi amavo, ma quella donna era l’arca dell’infamia … - le parole di mio padre erano come degli enormi aghi infilati nella pelle – ci controllava, ci persuadeva, faceva di tutto per portarci sulle sue idee e … Argh che stupido! Che stupido sono stato a …» scossi il capo, mentre sentivo le lacrime già coprirmi l’intero viso «No, che stupida io, che stupida io a giurare, a credervi, a sognare in quella che era l’illusione di una famiglia felice, una famiglia che non è mai esistita!»
«No – l’uomo cercò di prendermi la mano, ma lo evitai – Florsicuchi, ascoltami. Ti sto dicendo tutto questo perché sei in pericolo»
«Ah, perché se non fossi mai stata in pericolo probabilmente la verità non sarebbe mai venuta a galla» ribattei ironicamente «Quella donna, Maria Bonita, si è rifatta viva, ti cerca e non per prendere un tè con dei biscotti» i miei occhi si annebbiarono nuovamente di lacrime «Mi avete mentito, te ne rendi conto? E non per una caramella rubata o per un voto nascosto a scuola, mi avete mentito sulla mia identità, per vent’anni!»
«Lo so, ma tua madre …»
«Non scaricare la colpa solo su mia madre, lei ora non c’è più e stava a te dire la verità»
«Ero combattuto, non sapevo cosa fare e per di più ho avuto qualche problema e …»
«Chi è?»
«Chi, tesoro?»
«Non mi chiamare tesoro. Chi è mio padre? - Eduardo si passò una mano tra i capelli nervoso per poi posare sul tavolo un altro fascio di lettere leggermente ingiallite. Ne presi una e la lessi velocemente con il fiato in gola - Alberto» mormorai con gli occhi sbarrati «Tua madre non parlò mai di quest’uomo, era un argomento che non voleva mai toccare, mi disse solo che …» si bloccò per qualche istante «Che? Cosa ti disse?» l’uomo sospirò «Che era … sposato» nuovamente il cuore fece un balzo nel mio petto «Ah, bene – ironizzai – ricercata e per di più bastarda! Cosa chiedo di più alla vita?» Eduardo fece per riprendermi la mano, ma lo scansai «Amore mio …» lo fulminai con lo sguardo «Non mi chiamare amore mio, Eduardo, non sono tua figlia, quindi smettiamola di dire diavolerie, ho già vissuto una vita piena di menzogne, non vorrei che il mio futuro se ne riempisse nuovamente» sul suo viso si disegnò una smorfia di dolore «Flor, so come ti senti, sei arrabbiata, furiosa, triste e forse non vorrai neanche più vedermi, ma ti prego, stai attenta, quella donna è cattiva, lei … lei causò la morte di tua madre con quegli intrugli e …»
«Vattene» sussurrai con la poca forza rimasta «Flor, ma …»
«Voglio rimanere sola»
«Flor, ma …»
«Se vorrò sapere di più mi metterò in contatto con te» lo vidi alzarsi e dirigersi verso la porta della cucina, poi si voltò «Riguardati e stai attenta, ah – ritornò al tavolo e vi posizionò sopra una vecchia fotografia in bianco e nero – è una foto di tua madre e quella donna, se la vedi, stanne alla larga, ma soprattutto non dirle di essere figlia di Margarita Valente» quando anche il suo grembiule bianco sparì dietro la porta della cucina, mi abbandonai ad un terribile pianto isterico.
Mio padre non era mio padre.
Quello che invece lo era si chiamava Alberto, lo stesso del diario di mia madre, era uno sconosciuto e per di più la ingannava ed io? Beh, questo era il colmo dei colmi, io, Florencia ex-Fazarino, ricercata e per di più bastarda!
E poi la mia vita era come quella di Cenerentola!
Ma per favore, perfino quella spazzacamini aveva più dignità di me …   


L’aria fresca inebriava la mia pelle completamente secca per le troppe lacrime versate. Ma il freddo della notte non era paragonabile al gelo che sentivo nel cuore.
Ero stata ingannata, prima da Federico ed ora da quella che era la mia famiglia …
Non sapevo chi ero, da dove venivo, qual’era la mia storia, mi sentivo come una mucca in preda ad una tromba d’aria, un piccolo piccione a cui avevano appena tolto la piazza, tremendamente confusa.
La luna si rifletteva ambiziosa nell’acqua cristallina del Rio Azul.
Non sapevo il perché, ma quel luogo mi trasmetteva in un certo senso la tranquillità che mi mancava da anni.
Cosa potevo fare? Cosa dovevo fare? Cercare mio padre, salutarlo con la manina, presentarmi e poi dirgli “Ciao papino, sono Flor, tua figlia”
O starmene lì, chiusa nel guscio della mia angoscia e starmene allerta da quella Maria Bonita?
Titina credeva veramente a Eduardo, in realtà anche lei n’era a conoscenza, ma bocca mia cuciti e avanza.
Poco prima avevo litigato anche con lei, ma la Zia non aveva tanta colpa come l’aveva Fazarino, quell’uomo mi aveva ingannata per ben vent’anni, comportandosi come il padre che non avevo mai avuto e trattandomi per quello che non ero: una figlia.
Mi aveva mentito, usata per vestire i panni di quella figlia che avrebbe voluto avere da mia madre.
Come poteva dire di amarmi? Come poteva chiamarmi figlia, pur sapendo che non lo ero? Come aveva potuto nascondere così tante bugie in così tanti anni?
E quella donna?
Chi era quella Maria Bonita che mi cercava? E perché? Cosa centrava con la morte di mia madre?
Io non la conoscevo e non la ricordavo quando ancora la mamma era in vita …
E infine Alberto.
Chi era? Perché si era preso gioco di mia madre? Perché ci aveva abbandonate? Perché aveva ingannato sua moglie …
Troppi dubbi, troppa tristezza, troppo dolore …
«Troppe domande, cara Flor» una lucina giallo sole, illuminò la notte argentina «Suelo! – esclamai – non sono dell’umore adatto per essere sgridata» la pallina colorata mi volò incontro «Oh piccolina, ma non sono venuta qui per sgridarti, qui la confusione è lecita ed era ora che venisse tutto a galla»  mi scostai la frangetta nervosa «Parli tu, perché il tuo cuore è sano e salvo»
«Flor, credi che non mi faccia male vederti triste? Credi che da lassù la tua mamma non soffra a vedere le lacrime bagnare il tuo viso? – scossi il capo – Flor, so che è dura da accettare, che il destino ti sta ponendo davanti un cammino difficile e tortuoso, ma quello che tu chiami inganno, in realtà è la meraviglia della vita … hai la possibilità di indagare, scoprire chi sei ed essere felice»
«Essere felice? Con una donna alle calcagna? Ma per chi mi hai preso, Suelo, per un monaco Zen? Sai che odio le bugie e qui a quanto pare mi hanno mentito già da quanto ero ancora una creaturina del Cielo e non è bello!»
«Lo so, so che non è bello e che è difficile da accettare, ma è il Destino, quello stesso Destino che ti ha portata in casa Fritzenwalden, che ti ha fatto conoscere l’Amore, l’Affetto, l’Amicizia, ma che soprattutto ti ha portata a credere in quello che sono i sogni, i desideri, ma soprattutto nei sentimenti – abbassai il viso malinconica, mentre Suelo si posò sulla mia mano – Flor Devi essere forte e accettare tutto questo, perché in te hai la speranza, l’amore di tua madre e tutto il nostro appoggio.  Sono fiamme che mai si spegneranno. Non è bello vivere di menzogne, devi affrontare la realtà e fare chiarezza nella tua anima, perché il miglior alleato che avrai in questa  battaglia sarà te stessa …» pochi istanti dopo Suelo era già scomparsa in una nube dorata, mentre una fogliolina incantata si posò tra le mie dita. Sulla sua superficie luccicante, eleganti lettere si aprivano a passo di danza.

E’ il tempo che passa per ogni secondo

la vita è scarsa se non hai speranza
nel sole del mondo

La strinsi forte al cuore.
Sapevo cosa fare.
Avrei trovato quell’Alberto, giusto per togliermi la soddisfazione di vedere il suo viso e cantargliene quattro per aver lasciato mia madre. Poi mi sarei dedicata a capire chi era quella donna che tanto spaventava Eduardo e per l’Amore … beh, per quello non c’era ne tempo ne spazio, perché il mio cuore si era fermato e aveva già un proprietario, Federico.




Nota Autrice:

Ciao a tutti!!
Ben trovati alla mia storia! Sono stata abbastanza veloce? Spero di sì, visto che mi sono buttata a capofitto in quest'ultima settimana XD
Tutto sommato credo di aver risolto un sacco di dubbi in questo capitolo, ma di avervene creati di altri ... cattiva, eh?  ;)
Un ringraziamento speciale a Federika21 e Dilpa93!
Perdonatemi se non sono riuscita a rispondervi, appena pubblico avrete mie notizie :D
Intanto vi ringrazio di cuore per i vostri commenti e mando un abbraccio a chi segue con il cuore questa storia!
Ciao, alla prossima ...

Dani

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Capitolo 21
*** Te lo Prometto, Papà ***


Te lo prometto, Papà

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«Flor …»
Lentamente aprii gli occhi.
Un sole primaverile, dai brillanti raggi dorati, m’illuminò il viso, disegnando davanti a me un’enorme distesa di fiori colorati.
Mi alzai e cercai di sistemarmi la gonnellina rosa e arancio.
La brezza delicata mi accarezzò i capelli, dolcemente accoccolati lungo la mia schiena.
«Flor …» mi voltai all’indietro. Nulla, solo un piccolo cespuglio di iris celesti, che il sole bagnava con la propria luce.
Mi avvicinai a passo felpato.
Quei piccoli boccioli blu sembravano così preziosi e brillanti in quella luce quasi incandescente.
«Flor …» sentii nuovamente.
Aguzzai lo sguardo verso uno dei fiorellini.
Era così delicato il suo profumo e così vivo il suo colore … lo colsi, stringendolo delicatamente tra le mie dita. Era una vera e propria esplosione di colori, un arcobaleno com’erano soliti ricordare i greci ed era proprio vero.
Il dorato dei petali, allungati e disposti a ventaglio, donavano a quel suo delicato blu opaco, una lucentezza in più, mentre il verde dei gambi giocherellava animatamente con i raggi del sole.
«Flor …» mi guardai intorno, alla ricerca di quella voce, ma il panorama che mi si offriva era soltanto un semplice prato. Vedevo solo fiori di ogni genere e colore, percorrere la distesa e poi salire, lungo la collina e circondare con il loro profumo ogni albero e cespuglio.   
Improvvisamente la mia attenzione fu catturata da un’ombra che a passo lento scendeva dalla collina.
 Sforzai gli occhi, cercando di individuarne l’identità, ma la luce del sole era troppo forte e fui costretta a chiuderli «Flor … - continuò la voce, questa volta più delicata – cara, mia piccola Flor – i raggi si fecero più tenui e finalmente riuscii a mettere a fuoco l’immagine. Quella che poco prima credevo fosse un’ombra, ora aveva preso le sembianze di un uomo.
Un uomo tozzo, dal corpo robusto e particolarmente massiccio mi sorrideva timidamente. Indossava un abito formale, con tanto di giacca e cravatta, che non riuscivano di certo a nascondere la pancia leggermente gonfia.
Il viso era leggermente corrugato in un’espressione docile, serena, quasi delicata, ma che non ne occultava il pallore e le occhiaie violacee, sottostanti agli occhi celesti. Un cappello di lusso, tipicamente classico, gli copriva interamente il capo, impedendomi di vedere oltre quello che era il suo volto –come sei bella. Bella e fresca, come ti ho sempre immaginata … Dolce e mite come tua madre, impulsiva e ambiziosa come me, un miscuglio di magia ed emozioni come una rosa dal colore del pesco – sospirò –Ti ho sempre sognata ed ora eccoti qua, ti stavo proprio aspettando e non sai da quanto tempo, ma ora che parte della verità è venuta a galla ho trovato il modo di incontrarti – si portò lentamente una mano al capo e con un certo tremolio, si tolse quello che era il cappello di lusso.
Mi coprii la bocca sconcertata. Non credevo a quello che stavo vedendo.
Scioccata, indietreggiai, mentre focalizzavo il mio sguardo sulla macchia rossa, disegnata sulla parte sinistra della fronte, quella chiazza purpurea, simile ad una voglia che avrei riconosciuto ovunque. Quella stessa chiazza che ogni giorno vedevo crescere sul mio viso, nella stessa posizione –Non avere paura – sussurrò l’uomo, i cui capelli bianchi erano talmente corti da farlo sembrare calvo – La paura è questione di un attimo, poi passa, lasciando il posto a ciò che è la realtà – indietreggiai sempre più spaventata - La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta. Per lei si piange, si litiga, si soffre e talvolta ci si rende infelici, ma ricorda, piccola Flor, è meglio una verità dannosa che un errore utile, poiché il dolore durerà solo per qualche istante, mentre la verità porterà ad altre conoscenze, quali la felicità … » avrei riconosciuto quelle parole ovunque.
L’uomo dalla chiazza rossa stava ripetendo le stesse frasi che per anni avevo letto nel diario di mia madre, frasi che più volte erano state firmate da un certo Alberto.
Spalancai gli occhi sbalordita.
Quell’uomo non era solo il riflesso che vedevo in acqua, no, lui era Alberto, mio padre «Diciamo che l’acqua mi ha sempre affascinato» mi sorrise dolcemente.
Mi guardai intorno sempre più scioccata. Non capivo ciò che stava accadendo, mi sentivo come intrappolata in una bolla senza ossigeno, confusa, intorpidita, spaventata, neanche io sapevo come ben definirmi.
Sentivo solo il sangue ribollirmi nelle vene ed il cuore accelerare ad ogni secondo. Solo una certezza in questo caos: sapevo chi era mio padre.
«Fatine – chiamai le burlone di turno – so che è un altro dei vostri scherzi, quindi saltate fuori e  fatevi vedere!» Alberto scoppiò in una sonora risata «Oh, sicuramente le fatine di tua madre centrano in tutto questo» mi portai le mani ai fianchi «Non lo trovo per niente divertente, Signore»
«Non chiamarmi Signore, così mi fai sentire vecchio e alla mia età non è certamente un complimento. Sai chi sono e mi piacerebbe che mi prendessi in considerazione» camminò nella mia direzione. Mi portai le mani alle tempie, massaggiandole in cerca di un po’ di tranquillità «Sono così confusa, così perplessa, ho i fliquity che mi stanno dando al cervello ed è tutto così strano!»
«Shhh, so come ti senti e so anche che tutto questo è difficile da accettare, ma presto farai chiarezza in te stessa e tutto riprenderà colore – rise divertito - è inutile che chiami le tue fatine, non verranno – mi prese dolcemente le mani ed incentrò i suoi occhi celesti nei miei – Mi dispiace che tu stia vivendo tutto questo, ma devi sapere che prima o poi, nella propria vita, una persona è tenuta ad affrontare la realtà – le sue mani tremavano ed erano estremamente fredde – è una battaglia, Flor – nei suoi occhi un brillio speciale, quasi magnetico, era come se Alberto splendesse di luce propria – una battaglia che dovrai vivere e vincere, una battaglia che si chiama vita – il suo tocco era dolce, così delicato da cancellare quell’angoscia che si era creata nel mio cuore, così soave, da riaccendere in me quella speranza che si era spenta poco prima – Devi credere che la vita … »
«Sia davvero degna di essere vissuta –continuai io, stringendo di più le sue mani - e il tuo crederci aiuterà a rendere ciò una verità. Perché se ami la vita, la vita ricambia il tuo amore , papà» con frenesia ripetei le parole che più volte avevo letto. Alberto mi sorrise, per poi accarezzarmi dolcemente il viso «E’ stato tutto un inganno, mio piccolo Fiore, sta a te sciogliere quelli che sono i nodi, ma promettimi una cosa» gli occhi iniziarono a brillarmi di lacrime. Mio padre era un uomo speciale, ma soprattutto sincero. Era incredibile quanto uno sguardo potesse descrivere un’anima «Cosa, papà?»
«Perdona, sii felice, e non dubitare mai dell’Amore, perché è la cosa più sincera che esista al mondo» lo abbracciai, liberandomi di quel pianto che da troppo tempo ormai trattenevo «Te lo prometto, papà» mi stampò un lieve bacio sul capo.


“Sta a te sciogliere quelli che sono i nodi” le parole del sogno turbinavano nella mia mente come spirali impazzite, mentre rigiravo tra le dita la fotografia che Eduardo mi aveva consegnato qualche settimana prima.
Cosa si poteva capire da una semplice fotografia in bianco e nero?
Meno che niente, considerando il fatto che delle due donne protagoniste riconoscevo solo mia madre. Il suo sorriso era inconfondibile: ne avrei potuti vedere altri mille, che il suo non me lo sarei mai scordata.
Mia madre era una persona incredibile: mai una lacrima, mai una lamentela, mai una smorfia di dolore, perfino il giorno in qui se n’era andata, lo aveva fatto con un sorriso sulle labbra.
Dove trovava quella forza di sorridere, di continuare a sperare, pur sapendo che la vita le aveva dato una disgrazia dopo l’altra?
Eppure lei era lì, con i suoi boccoli dorati e i suoi occhi vivaci a sorridere alla fotocamera, abbracciata a quella Maria Bonita, anche lei sorridente, in posa sul portico della casa di Esperanza. I capelli scuri, tagliati leggermente a caschetto, donavano al suo viso una certa rotondità. In effetti, un po’ tutto il suo corpo era abbastanza “rotondo” e quelle curve che cercava di nascondere sotto un golfino nero, seguivano perfettamente il taglio della veste presumibilmente bianca a pois scuri. Scrutai il volto della donna: le sue labbra carnose disegnavano più un ghigno che un sorriso. Mi incentrai negli occhi della donna e un brivido mi percorse la schiena.
Un sguardo vendicativo, oscuro, che lanciava fiamme d’ira da entrambe le pupille.
Solo una volta nella mia vita avevo incrociato due occhi simili, il cui risentimento traboccava ovunque.
Occhi attenti come quelli di una Tarantola, occhi severi e oscuri come quelli di Crudelia Demon, occhi furenti e misteriosi come quelli di Maria Laura Torres Oviedo, la madre di Delfina.
Mi alzai dalla panchina del parco che avevo occupato poco prima.
L’immagine di Titina, intenta nel testarmi una nuova pettinatura, irruppe nei miei pensieri.
«Tua madre mi scrisse spesso di un’amica conosciuta poco tempo prima della tua nascita. Disse che l’aiutò molto nella gravidanza, pochi aggettivi, una brava persona, un’anima generosa e un’amica confortante ... e poi sparì nel nulla. Mi ricordo ancora quando ironicamente mi scrisse di una parrucca che quella donna era solita portare. Per non parlare del suo strano modo di vestire in lutto, sempre nero, bianco, nero. Avrei giurato che me la paragonasse a Mortisia Addams»
Voltai la foto, dove una calligrafia delicata marcava in nero la scritta “Beba e Margie 1984”
Malala conosceva mia madre, l’aveva sicuramente frequentata, ma da lì a pensare che fosse Maria Bonita, non riuscivo proprio ad immaginarmelo. La strega maggiore era alta, magra, slanciata,  di portamento elegante, al contrario Maria Bonita, era il completo opposto e per quanto potessero avere in comune la parrucca ed un amore insensato per il colore nero, fisicamente non si somigliavano neanche un po’.
Tranne per lo sguardo.
Quegli occhi avrebbero messo inquietudine a chiunque, anche al leone più affamato della savana!
Sul fatto che Malala centrasse in tutto questo non v’era dubbio, conosceva mia madre e questo era già un dato di fatto. Il problema stava nel capire se la Strega Maggiore avesse mai incontrato Maria Bonita e se si, persuaderla a trovarla.
In gioco c’era la mia identità.
Era giunto il momento di svelare il mistero di una verità taciuta da ormai vent’anni.


«Signorina Fazarino?» alzai il viso dal tessuto che stavo lavorando. Un uomo di mezza età, in pantaloni beige e camicia nera entrò nel capannone mi alzai e, come di consuetudine argentina, gli stampai due leggeri baci sulle guancie «Sì, sono io»«Sono Fabricio Alquila, l’organizzatore della serata “Polvo de Estrellas”, posso parlarle? - gli indicai il divano in pelle rossa al centro dello stanzone – stava lavorando ai costumi di scena?» chiese l’uomo poggiando lo sguardo ai tessuti sparsi qua e la per il suolo «Diciamo di sì – sorrisi – la nostra band gioca molto sulla fantasia»
«La fantasia è alla base di tutto, soprattutto della musica – un’espressione divertita si disegnò sul viso affusolato dell’uomo, marcando ancora di più quelle che erano le rughe dell’età – però tal volta bisogna essere anche realisti e rimettere i piedi a terra» Alquila estrasse da una cartelletta un plico di fogli e un paio di riviste «E’ successo qualcosa con il concorso?» chiesi preoccupata «Oh no – scosse il capo – il concorso è programmato tra due settimane. Sono venuto per farle firmare i permessi per la privacy. Il comitato organizzativo ha votato per formalizzare la serata, quindi ci saranno fotografi, giornalisti e gazzettieri del mensile del quartiere. Come sa, la nostra intenzione sarebbe poi, oltre quella di includere un contratto discografico, anche di finalizzare il tutto ad enti benefici. Dato che i vostri volti non rimarranno sconosciuti, non vorremmo che voi partecipanti vi alteraste al vedervi tra le prime pagine del “Pasaje news” che per tanto poco noto che sia, pur sempre un giornale rimane»
«Mi sembra corretto. Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, c’è così tanta gente permalosa in giro …» Alquila mi passò una penna «E’ lei la capogruppo?»
«Beh, io sono la cantante principale, non so se questo vale anche come capogruppo» l’uomo alzò un sopraciglio brizzolato «Credo proprio di sì. Se è d’accordo con la privacy, le chiederei un piccola firmetta qui» mi indicò una x in fondo alla pagina «Cioè che se io firmo, la band verrà fotografata e filmata?»
«Esattamente, semplice, no?» mi sorrise «Semplicissimo»
Una volta firmato, mi mostrò le riviste che poco prima aveva estratto dalla sua cartelletta «Le ho portato l’articolo che la prossima settimana uscirà sul giornale locale» sbarrai gli occhi «Perché? Devo firmare anche questo?» Alquila scoppiò in una sonora risata «Certo che no! Si ricorda le fotografie che le abbiamo scattato insieme alla sua band?»
Qualche giorno prima un tal Francisco era venuto al capannone con una di quelle macchine fotografiche professionali. Si era presentato ai nostri occhi increduli con un cappellino colorato e un enorme borsone di pelle nera e, mettendosi in un angolino dello stanzone, aveva montato in quattro e quattr’otto un set fotografico, compreso di sala trucco (una sedia con un bauletto pieno di trucchi) e camerino (un posticino ricavato dallo stand dei vestiti).
«Sì – sorrisi al ricordare come quel giovanotto dal borsone di Mary Poppins, scattava flash a più non posso – sì, me le ricordo»
«Il fotografo le ha passate alla redazione del giornale locale che ha preparato quest’articolo degno di uno Saint-Vincent!» alzai un sopraciglio «Un che?»
«Oh, non perdiamo tempo in chiacchiere, e guardi qui – mi passò la rivista – Questi sono i direttori musicali, gli organizzatori d’eventi e gli sponsor scelti per la pubb…»
«Sì, sì, non perdiamo tempo in chiacchiere – Alquila mi osservò stupefatto – Lei mi sta dicendo che io e i ragazzi andremo su un giornale?» chiesi con la voce tremante dall’emozione, mentre con frenesia iniziai a sfogliare le pagine della rivista «Sì è così, ma attenzione, così la rompe …» mi fermai proprio quando ai miei occhi balzarono le immagini della mia band.
Era incredibile quanto fossimo affiatati.
In una foto apparivo abbracciata a Bata, che sosteneva le sue bacchette di legno a mo’ di sfida. In un’altra Clara e Nata intorno ad un microfono con le bocche spalancate, pronte per cantare, poi c’era Facha travestito da gallo che più che innamorato sembrava sofferente e accigliato ed infine quella di gruppo, dove uniti più che mai, sorridevamo a più non posso, lasciando trasparire l’emozione che ci attorniava «E non è ancora finita, signorina» Alquila voltò la pagina seguente.
Mi portai una mano alla bocca.
Una fotografia mi ritraeva sorridente nel vestito blu che la mia cara Zia Titina mi aveva regalato per il Natale passato «E’ incredibile» riuscii a malapena a sussurrare, mentre i miei occhi erano alla ricerca di ogni minimo dettaglio.
Era un primo piano che nel suo piccolo occupava l’intera pagina e ne ero io la protagonista dai capelli sciolti al vento. Il vestito mi cadeva perfettamente tanto da farmi sembrare una vera e propria modella, addolcita da quella scarpetta indaco che mi accerchiava il collo in una forma così elegante e soave da cancellare l’espressione malinconia che avevo disegnata in viso.
«Il redattore l’ha trovata talmente fantastica che non ha potuto non dedicarle un tale spazio. Cosa ne pensa?» la vista mi si annebbiò lievemente di lacrime «E’ incredibile …» sussurrai.
Mi chiedevo cosa avessero pensato i miei genitori se mi avessero vista su quella rivista. Cosa avesse detto mia madre, cosa avesse fatto mio padre … sicuramente sarebbero stati felici, ora dovevo renderli orgogliosi, vincendo il concorso, solo così li avrei uniti ancora una volta, dopo che inganni e passato li avevano divisi.
«Posso averne delle copie?» chiesi con insistenza. Alquila mi sorrise «Ma certo, signorina»


Poche ore prima, avevo chiamato Matias, per raccontargli tutto per filo e per segno. Il poverino non aveva capito neanche una parola del mio discorso, così preoccupato della mia esuberanza mi aveva dato appuntamento al suo appartamento di vìa Campo, una piccola stradina alla periferia del barrio Villa Mitre, nel centro di Buenos Aires.
Matias abitava in un condominio tranquillo, di quelli alti ed impotenti, con tanto di portieri, per di più simpaticissimi e ascensori metallizzati a porte scorrevoli. Se non avessi saputo che quell’edificio di cubi incastrati tra di loro, dotati di balconi più simili a terrazze e finestre di forme strane era un palazzo, lo avrei sicuramente scambiato per una scultura abbandonata da un pittore piuttosto smemorato.
Non mi meravigliai quando all’entrata i due portieri Gustavo e Delmar, con tanto di tesserino di d’identità, mi confermarono la presenza di Matias, in fin dei conti il mio carissimo amico era sempre stato noto, fin dall’infanzia per i suoi gusti del tutto raffinati, raffinati ed eleganti come la sua personalità. Quando lo avevo nominato ai custodi, rispettivamente marito e moglie, notai nascere su quei loro visi leggermente longevi un dolce sorriso.
Gustavo inarcò le sue sopraciglia grigiastre, mormorando sorpreso «Il Signor Ripamonti riceve sempre poche visite»
Ed era vero, soprattutto quando non si era mai liberi, a causa di un tuo capo, spesso irritato e nevrastenico, che ti sottopone quotidianamente ad ore ed ore di lavoro incondizionato.
Se la sua non era una vita da poche visite, non mi sarei mai meravigliata  di vedere un asino volare.
«L’avvocato è sempre così occupato – continuò poi la moglie – ma a quanto pare non lo sarà ancora per tanto» Delmar mi sorrise maliziosamente.
Intuite le sue allusioni, negai il più velocemente possibile con il capo «Oh no, io e Matias siamo solo due vecchi amici d’infanzia»
«Già, due buoni vecchi amici - Matias raggiunse la portineria e dopo avermi stampato un lieve bacio sulla guancia, si rivolse ai due anziani – Gustavo, Delmar, è arrivato qualcosa per me?» l’anziano si chinò lievemente ad afferrare un pacco incartato che poi depositò sul bancone «E’ arrivato questo, Signore» Matias storse il naso «Fammi indovinare, Fritzenwalden s.p.a?» l’uomo sorrise «La medesima»
«Beh, intanto vi ringrazio – prese il pacco, gettandogli un’occhiata fugace – a più tardi Signori Tocos, buona giornata»
I due coniugi ci salutarono con un cenno di capo.
Sentivo i loro occhi seguirci ad ogni nostro passo. Odiavo essere al centro dell’attenzione, mi faceva sentire a disagio, soprattutto quando sapevo che stavano proprio parlando di me.
Quando finalmente anche le porte dell’ascensore si chiusero, sospirai sollevata. Matias pulsò il bottone del settimo piano.
Sbiancai all’eventualità di dover fare le scale … "Un altro proposito per il Natale"pensai. Dovevo assolutamente ringraziare l’ideatore degli ascensori con una bella torta farcita al cioccolato … un così grande gesto non poteva di certo essere trascurato. Non era da tutti giorni aiutare gente bisognosa, progettando oggetti di una simile utilità e per la torta ... beh, nessuno la poteva rifiutare!
Gettai l’occhio al pacco che Matias portava stretto sotto il braccio «Non ne aveva abbastanza di caricarti in ufficio? Adesso si da pure il permesso di torturarti a casa?» bofonchiai «Parli di Federico?»
«Il medesimo – ironizzai, ripetendo le parole del portiere – Ma non ti annoi mai a stare con un tipo così isterico?» Matias sorrise «Dici così per quello che è successo tra di voi» abbassai il viso per nascondere il mio rossore «No, ti sbagli! – incrociai le braccia – Lo dico perché lo penso veramente»
«Flor, ti conosco e so bene come sei fatta, quindi non provare a mentirmi»
«Beh, a quanto pare non mi conosci abbastanza – le porte dell’ascensore si aprirono, lasciando intravedere un corridoio lungo e stretto, sulle cui pareti spuntavano delle applique di ogni genere e forma – comunque non sono venuta per parlare di quel … »cercai un insulto nel mio vocabolario degno di quel ghiacciolo senza cuore «Freezer?» mugugnò divertito Matias. Lo fulminai con lo sguardo «No, Fritzenwalden!» Matias rise divertito dal mio isterismo cronico, poi, una volta raggiunta la porta 1025, inserì le chiavi nella serratura e l’aprì.
Improvvisamente con un suo battito di mani, la luce si accese «Wow – esclamai scioccata – Tute, ma che …»
«Carino, vero? - Matias posò le chiavi sull’angoliera in legno dell’ingresso – Tecnologia allo stato puro»
Ero sconcertata.
Sapevo che Matias aveva una predisposizione per tutto ciò che era considerato moderno, ma non credevo che la sua per così dire attualità lo avesse portato ad avere certi poteri «Dammi il numero di quel potente mago che ti ha fatto tutto questo? – sibilai, mentre ispezionavo accuratamente ogni piccolo dettaglio dell’abitazione.
«Beh, appena lo trovo te lo darò»
Era un piccolo appartamento di città, anche se in realtà di piccolo aveva ben poco, considerando l’imponente divano bianco che dominava il centro del salotto. C’era poi la  cucina, che occupava interamente la parete retrostante il sofà, dove un’isola in candido marmo lucente, spuntava come un fungo, per fungere da tavolo. Sfiorai con le mani la statua in ebano scuro che accantonava il divano.
Feci una smorfia leggermente schifata al comprovare l’identità della figura «Non posso credere che tu ce l’abbia ancora» mugnai, ricordandomi l’ignoto dal capo gigante e pelato che ero solita vedere all’ingresso della vecchia casa dei genitori di Matias. Quella statua, se statua si poteva chiamare con quell’espressione da cane bastonato che si ritrovava, mi aveva sempre suscitato una certa inquietudine per via di quei suoi due occhi grandi e terribilmente rabbiosi che sembravano sempre  dire Toccami e ti ammazzo!
A quel ricordo, ritrassi mortificata la mano.
Riconoscendo probabilmente il mio gesto, Matias scoppiò in una sonora risata «Voleva rivederti – ironizzò, mentre maledicevo in silenzio – Eh dai, Florchu, non fare quella faccia, accomodati e fa’ come se fosse casa tua» vidi Matias togliersi il cappotto color fuliggine ed appoggiarlo al divano «Con quel coso che mi fissa?» dissi puntando il pelato arrabbiato «Raul è innocuo – feci una smorfia sotto le risate di Matias – Vuoi qualcosa da bere?» negai velocemente con il capo «Prima parlo, prima mi tolgo dallo sguardo assassino del tuo amico»
Entrambi prendemmo posto sul divano, incredibilmente morbido «Allora, mi vuoi dire cos’è questa storia che hai trovato tuo padre?» Matias incentrò il suo sguardo preoccupato nel mio. Curvai le labbra disegnando un abbondante sorriso «Si chiama Alberto – Tute inarcò le sopraciglia per farmi continuare – e l’ho sognato!» sbarrò gli occhi confuso «Lo hai sognato?!»
Gli raccontai per filo e per segno il sogno, cercando di essere il più precisa possibile, a causa dei continui fliquity infiammati d’euforia che mi offuscavano completamente petto e mente. Ad ogni mio gesto frenetico, Matias annuiva zitto, zitto e quando terminai, lo vidi poggiare la schiena al divano e fissare a braccia conserte il vuoto «Era lui – esclamai ancora emozionata – e aveva una macchia proprio qui, come me» dissi indicando la piccola chiazza marcata sulla mia fronte.
Matias storse le labbra in una smorfia «Flor, è un’assurdità – spalancai gli occhi incredula  -  non puoi fidarti di un sogno! I sogni solo l’interpretazione del nostro inconscio, quello che solo noi vogliamo vedere»
«Non è vero – scossi il capo – Io so che è lui, lo dice mia madre» strinsi la gonna in fantasia che indossavo con rabbia «Flor – Matias sospirò tristemente, poi, prendendomi le mani, incentrò i suoi occhi azzurri nei miei – tua madre non c’è più, è … è ora che tu te ne faccia una ragione» gli occhi cominciarono a brillarmi «E’ da tempo che so che mia madre è morta, Matias, ma non per questo non la ritrovo nel mio cuore, ogni volta che la cerco. Tute, cerca di capirmi, ho appena scoperto che Eduardo non è mio padre, ho passato due settimane infernali ed ora, che finalmente vedo uno spiraglio di luce in tutto questo buio, non ti fidi di me?» Matias dondolò il capo «Io mi fido di te, Florchu – mi accarezzò dolcemente il viso – è dei sogni che non mi fido. Il fatto è che … - si portò una mano al mento pensieroso – sono sogni e basta» gli sorrisi rassegnata «Questo è quello che pensi tu, ma io ci credo e so che l’uomo del sogno è mio padre – sospirai – è il mio sesto fliquity che me lo dice, capisci?» Matias mi sorrise, poi spostò lo sguardo al pelato testa di legno «Che ne dici, Raul, diamo retta a quella pazza di Flor?» mi gettai tra le braccia di Matias «Grazie,Tute sei un vero amico» mi scostò leggermente «Ma ad una condizione - accigliai il viso – domani andremo in ospedale ad informarci sulla tua nascita, magari questo Alberto ha lasciato qualche documento» lo fissai confusa, ancora tra le sue braccia «Cosa intendi?»
«Beh, qualcosa che parli della tua adozione, una carta che affermi la tutela di Eduardo e Margarita» mi morsi il labbro nervosa, ritornando a stringere la gonna, questa volta con meno ferocia «Matias, c’è una cosa che non ti ho detto – Matias sospirò preoccupato – Mio padre, Alberto, è sposato» Tute strabuzzò gli occhi perplesso «Questo complica le cose» annuii «Lo so»


Matias chiuse la porta a chiave, pigiò il bottone dell’ascensore e quando raggiungemmo il piano terra lo bloccai «Un momento» Matias mi osservò preoccupato «Ti sei ricordata ancora qualcosa?» gli lanciai un’occhiata decisamente molto scaltra «Sì, non credo che sia stato tu a fare tutto quello?» dissi puntando in alto con il dito «Tutto quello cosa?»
«L’appartamento, Tute. Non mi inganni sai, per quanto tu sia elegante e raffinato, non arriveresti mai ad essere così perfetto»
«Flor! – mi riprese per poi lasciare ricadere le spalle in un gesto del tutto remissivo – D’accordo – iniziò a frugare nella tasca del suo cappotto, poi mi porse un bigliettino bianco, che afferrai di scatto – Ecco il nome del mago» spalancai gli occhi «Nicolas?!»
«Già, proprio lui! Altro che hacker associale, quel ragazzo è un vero e proprio designer, ci sa fare con i disegni e le planimetrie virtuali»
«Virtuali?» sibilai scioccata «Sì, gli arredatori di oggi, usano il computer per progettare case e stanze varie, hanno un programma apposta. Sweet Home 3D, credo si chiami, è uno sballo!» esclamò divertito Matias, mentre riuscivo a malapena a sorridere.
Altro che ragazzo associale dai fervidi complessi di solitudine (definizione spudoratamente copiata da Martin), il poverino altro che lavorare, sgobbava tutto il giorno, dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina per realizzare un suo sogno.
E noi che lo avevamo giudicato male “Devo sostituire il Laukar e fargli avere quello della speranza, sono sicura che lo aiuterà”, pensai.
«Flor? – mi riprese Matias, agitando una mano davanti il mio viso – Andiamo?» annuii.
Ci incamminammo verso l’uscita del palazzo a braccetto, solo come due amici affiatati potevano fare «E per Maria Bonita, cosa faccio?» chiesi poi a Matias, dopo aver salutato i portinai con un piccolo movimento del capo «Beh, la foto è un inizio, posso risalire a qualcosa»
«E poi?»Matias mi sorrise «E poi si vedrà» mi accoccolai a lui per ripararmi dal vento gelido di dicembre.
Ci stavamo dirigendo alla sua macchina quando sentii Matias allentare il passo fino a bloccarsi «Tedesco, cosa ci fai qui?» il mio cuore sobbalzò ad incontrare gli occhi incredibilmente dorati di Federico.
Con il suo cappotto grigio era poggiato al cofano della macchina con un plico di fogli tra le mani. Aveva la cravatta blu perfettamente annodata ed i capelli caramellati erano leggermente scossi dal vento.
Un brivido mi percorse l’intero corpo.
«Flor?» chiese inarcando un sopraciglio «Federico» lo salutai io, stringendomi a braccia conserte nel mio giubbotto viola. Federico si ricompose e con pochi passi ci raggiunse «Cosa ci fai tu qui?» chiese portando il plico sotto il braccio, mentre i suoi occhi fissavano imperterriti i miei.
Voltai lo sguardo in un’altra direzione, per evitare quel tremendo contatto «Sono con un mio amico, non vedi?» mi agganciai a Matias in modo affettivo, provocando una scintilla nello sguardo dorato del Freezer «E due amici escono di casa abbracciati?» il suo tono era maledettamente seccato. Con la coda dell’occhio osservai Matias passare in rassegna ognuno di noi e, battere il piede destro con fare preoccupato. Istintivamente lo strinsi ancora di più come per tranquillizzarlo, poi spostai l’attenzione a Federico che aspettava titubante una mia risposta.  
Gli sorrisi «Beh, non vedo che cosa ci sia di strano» mi fulminò con lo sguardo «Due amici non si abbracciano» mugugnò a denti stretti.
Mi scostai leggermente da Matias «Non tutta la gente è fredda come te» se non ci fosse stato Federico, probabilmente mi sarei sbellicata dalle risate per quel tono così arrogante che avevo adottato.
«Per lo meno io non vado in giro ad abbracciare tutta la gente che incontro» portai furiosa le braccia ai fianchi, avvicinandomi di pochi centimetri a lui «Ah sì?» Federico fece lo stesso e in men che non si dica, i nostri respiri si incrociarono «Sì» tuonò lui risoluto.
Saette e fulmini partivano ed arrivavano dai nostri sguardi.
Non c’erano parole, solo fuoco e fiamme, ribollire prima nei miei e poi nei suoi occhi. Vedevo il miele fremere in quelle sue pupille assetate di sangue: se io ero furiosa, lui lo era di più «Che c’è, Fritzenwalden, sei geloso?» sussurrai con un piccolo sorrisino sulle labbra. Il sussulto di Federico fu quasi impercettibile.
Matias si schiarì la voce imbarazzato «Ehm, Tedesco, come mai sei qui?» Federico ed io ci ricomponemmo contemporaneamente. Sentivo le guance accaldate ed il cuore ancora palpitarmi per i pochi minuti prima.
Non volevo ammetterlo, ma quel gelido del Freezer non mi sarebbe mai stato indifferente. Forse neanche una testa di cocco caduta in testa, mi avrebbe fatto scordare quegli occhi dorati.
Gettai lo sguardo a Federico, anche lui leggermente arrossato, e lo vidi passarsi una mano nervoso per i capelli, poi sospirò «Come mai sono qui? – Matias gli sorrise di soppiatto, mentre, il Freezer gli mostrava il plico di fogli – sono arrivati questi in azienda. Erano abbastanza importanti e ho deciso di farteli avere prima di domattina»
«Non ne hai abbastanza di torturarlo al lavoro? Devi anche seguirlo fino a casa?» ero furiosa, anzi, i nervi a fior di pelle che avevo erano furiosi.
Se Matias non lo avesse fermato, a quell’ora avrei saputo tutta la verità.
Fremevo di conoscere il verdetto finale, perchè la gelosia si sa, si prova solo quando nel cuore batte un sentimento importante. Non mi importava se quello stupido di Federico non avrebbe mai ammesso ciò che provava nei miei confronti, ma saperlo ed avere una certezza mi avrebbe risolto una parte di problemi. Lo scopo? Beh, lui amava Delfina ed io … io, beh io non so cosa o chi ero, ma il mio scopo era semplice e molto arduo: stuzzicarlo fino all’esasperazione e poi chissà, forse solo così i suoi veri sentimenti sarebbero venuti a galla.
Federico mi gelò con lo sguardo, poi ritornò a fissare Matias, consegnandogli i documenti «Guardali e fammi sapere – si voltò per far ritorno alla sua macchina, ma si bloccò, rigirandosi nuovamente – domani sera io e Delfina usciremo a cena, se vi va potete venire, non ci fa altro che piacere» chiusi gli occhi fino a ridurli a piccole fessure.
Cosa aveva in mente?
«Ehm, io veramente …» Matias balbettò confuso. Lo fermai, stringendogli il polso «Ci saremo»



Nota Autrice:

Salve a tutti!
Ecco a voi un piccolo pensierino per il Natale: un capitolo sotto l'Albero ...è il mio regalo per voi, tutte quelle quelle persone che leggono e recensiscono la mia storia e alle quali voglio dire un Grazie di cuore!
Vi auguro un felicissimo Natale, da passare allegramente con la vostra famiglia!

Dani

PS: Ricordatevi che Natale è sempre, purchè viva  in ogni nostro sorriso ...

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