That was quite a show

di Melchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte uno ***
Capitolo 2: *** Parte due ***
Capitolo 3: *** Parte tre ***
Capitolo 4: *** Parte quattro ***



Capitolo 1
*** Parte uno ***


 

That was quite a show

 

 

 

Avremmo potuto continuare così per sempre.

(Il Re Leone III)

 

 

 

 

 

 

In fondo cos’era Arthur? Solo quello con i capelli più biondi del circondario.

Anche se Merlin li aveva notati subito, non era certo così superficiale da tenersi qualcuno solo per il colore dei suoi capelli.

Il mondo era pieno di biondi convinti di essere i più fighi del pianeta, soprattutto nelle città grandi come Londra. Nel senso, sicuramente c’erano un sacco di montati coi capelli chiari anche nei paesini di campagna tipo Ealdor, ma più un posto è grande più gente c’è, e le possibilità crescono, no?

Quindi Merlin era rilassatissimo.

Non sarebbe nemmeno diventato uno di quegli individui patetici che dicono “sìsì va tutto bene, mi ricordo a malapena com’era fatto ” e poi si ritrovano a pomiciare nei locali con brutte copie degli stessi individui di cui “non ricordano più nemmeno la faccia”, cercando dettagli che per qualche motivo tutti i tuoi amici riconosceranno, e che li porteranno a guardarti scuotendo la testa e dicendoti che devi uscirne.

Merlin sentì un brivido per niente piacevole stringergli la spina dorsale in una stretta brevissima e così intensa da dargli un principio di vomito.

In effetti la cosa dei capelli biondi era proprio una stronzata, sarebbe stato molto meglio trovarsi qualcuno coi capelli rossi. E gli occhi di ogni colore possibile, tranne l’azzurro.

A parte che non gli piaceva l’idea di farsi qualcuno che somigliava all’attore di Ron in Harry Potter, brr, ma prendersi uno con quel colore degli occhi sarebbe stato quasi la stessa cosa di scegliersi il Pettyfer del locale (no, non era colpa di Merlin se conosceva Alexander Pettyfer – aveva accettato di andare a vedere Beastly con Gwen solo perché lei ci teneva tanto, e il nome di quel tizio gli era rimasto in mente solo per caso, non perché appena gli aveva visto i capelli aveva pensato “ce li ha più chiari di lui, ma non sono così belli”).

Chiuse gli occhi un momento. Va bene, era un po’ agitato. Pochissimo. Ma era normale, per sera sarebbe già sbollito e il giretto fuori con Gwen gli avrebbe fatto bene. Avrebbero chiacchierato e girellato per i quartieri ghiacciati, poi sarebbero andati a mangiare un gelato fuori stagione o qualcos’altro di buono e dolce in un locale caldo come un camino gigante. Magari Gwen sarebbe rimasta a dormire da lui, o si sarebbero chiusi in camera di lei, a divorare caramelle gommose guardando brutte commedie che facevano ridere solo perché erano storditi dai coloranti tossici delle caramelle.

 

- Dio Merlin, che femminuccia fastidiosa che sei! Non ti esploderà lo stomaco stile film splatter per qualche gelatina! –

- Non sono gelatine, sono caramelle gommose. –

- Stai davvero correggendomi sulla definizione di gelatina? Dimmi che ho sentito male. DIMMELO. –

 

Scosse la testa come un cane che si scuote la pioggia di dosso. Aveva cose molto più importanti a cui pensare, come il modo giusto di dire a Gwen che lui e Arthur non avevano più nessun tipo di, uhm, relazione. Non erano più amici, né amici che facevano sesso, né amici che NON facevano sesso con altri amici.

Non erano un bel niente, in effetti, e andava benissimo, lei non doveva restarci male, e nemmeno pensare che questo avrebbe minimamente influito sulla sua vita.

Merlin non lo avrebbe permesso.

 

*

 

- Dimmi che non l’avete fatto di nuovo, Merlin. Ti supplico. Non sono mentalmente o spiritualmente pronta per un’altra settimana di disperazione e canzoni emo. O grugniti e isterismo, dipende con chi sto parlando. Comunque – Gwen gli agitò una mano davanti alla faccia, come per essere sicura di avere tutta la sua attenzione – se davvero l’avete fatto di nuovo, risolviamola entro stasera, va bene? Chiamo Morgana, le dico-

Merlin coprì lo schermo del suo cellulare con una mano, fissandola negli occhi scuri e contrariati.

La luce delle sei di sera entrava dai vetri fumé del locale e ruscellava sui tavoli. I vetri dei bicchieri la tagliavano in trentamila colori diversi, e vedendoli riflessi sul tavolo a Merlin venne in mente la chiesa di Ealdor al tramonto, quando le vetrate colorate la tingevano tutta d'oro.

Non fu un bel pensiero. Lo fece sentire nello stesso modo in cui si sentiva quando la guardava: piccolo e con il cuore che rischiava di traboccare, senza nessun motivo.

Sbatté gli occhi, tornò nel bar e guardò la faccia contratta di Gwen: - Mi dispiace che tu finisca sempre in mezzo a queste cose. – scosse un po’ la testa, d’istinto - Però questa volta è vero. Sul serio. – le parlò con dolcezza, ma senza lasciar vacillare la voce.

Gwen sospirò come sospirava quando le venivano dette delle cose che non le piacevano e a cui non credeva.

- Merlin, secondo te lo è sempre. Non sarebbe un mese normale se tu e Arthur non decideste di non avere più niente a che fare l’uno con l’altro, sai? –

Lui sorrise, perché quando la vedeva tentare di parlare seriamente e poi fallire e sorridere in quel modo, lui le andava dietro senza nemmeno accorgersene. Il sorriso fuggiasco di Gwen era troppo adorabile anche solo per provare a resistergli.

 

- Questa volta la situazione è un po' diversa. C’è stata anche tutta la scena tragica di lui che prende le sue cose e se ne va, renditi conto. –

Rise. Gwen no.

- Dici davvero? Ha portato via la roba che aveva lasciato a casa tua? –

Merlin annuì nel modo più solenne e ridicolo che la sua faccia riuscì a mettere insieme, sperando che servisse a farla sorridere. Si stupì quando funzionò.

- Anche quel maglione rosso vecchio e bucherellato che non mette più, quello del liceo. Sai com’è quando decide di fare il teatrale, si sarebbe portato via anche i capelli che aveva lasciato sul divano se gli fossero venuti in mente. –

Gwen lo guardava come qualcuno che aspetta di vedere l’eroe di turno scoppiare in lacrime, pronta ad abbracciarlo e a dirgli “andrà tutto bene” con la voce rotta e gli occhi lacrimosi rivolti al cielo.

Avrebbero dovuto guardare anche meno film drammatici, stavano avendo effetti deleteri sul loro cervello.

 

- Com’è successo? -

Merlin scosse le spalle. - È successo e basta.  Direi che l’importante è il finale. E a proposito di finali, non devi preoccuparti di niente, non cambierà nulla. Io… -

Gwen lo interruppe: sbatté gli occhi e poi li tenne chiusi per qualche secondo, e Merlin si zittì da solo.

Dopo un momento così, tornò a guardarlo: - Se non mi vuoi dire cos’è successo – iniziò,  senza smettere di sorridere rassicurante come una mamma (stavano facendo a gara di rassicurazione o era un’impressione malata di Merlin?) - va bene. Ma non fingere di essere tranquillo, Merlin. Mi spaventerebbe. –

Lui scosse la testa, senza sapere bene perché. - Lo so che sembro calmo, ma è perché lo sono davvero. E lo sono perché la situazione è così chiara. –

Gwen gli prese le mani, fredde come sempre, nelle sue. Strinse quasi come se volesse fargli male, ma senza smettere di sorridergli almeno un po’.

- Merlin, di solito litigate per qualche motivo stupido o meno stupido e tu dici che stai bene, poi non esci più di casa e quando scopriamo cos’è successo e veniamo a vedere, ti troviamo ridotto a uno straccio denutrito che ascolta canzoni pop deprimenti fingendo di lavorare. –

- Non è gentile farmi passare per il cliché di una quindicenne-cliché, sai? –

Gwen non finse nemmeno di ascoltarlo e continuò: - Ora sei qui e mi dici che Arthur ha portato via le sue cose e che tu sei tranquillo perché la situazione è chiara. Permettimi di pensare che appena rimarrai da solo penserai al suicidio. –

Scoppiò a ridere. – E dai Gwen, sembra esagerato persino a te! –

Gwen non gli lasciò le mani e tacque, l'espressione sempre pensierosa e preoccupata.

Merlin smise di ridere, e le sorrise e basta, in un modo così dolce, e fuori posto, che le gelò lo stomaco.

- Non basta conoscere qualcuno per sapere cosa farà. –

 

 

 

 

Gwen aveva voglia di piangere. All’improvviso, così dal nulla. Era arrivata allegra, si era preoccupata e poi spaventata, ma adesso le batteva forte il cuore e voleva piangere e basta.

- Che cos’è successo? – bisbigliò, di nuovo, alle loro mani strette forte.

- Niente delle cose terribili che pensi. –

Merlin sembrava essersi fissato con l’Attack quel brutto sorriso da incubo.

- E allora cosa? – insisté lei. Non era una situazione normale, e quindi non era discreta come lo sarebbe stata normalmente.

- Allora è andata come sarebbe andata comunque, prima o poi. Era chiaro che non avremmo continuato così per sempre. –

La borsa di Gwen trillò.  - Ignoralo. – disse, senza nemmeno sbattere gli occhi.

- Era un messaggio – vedendo che Gwen continuava fissarlo e non accennava lasciargli le mani, Merlin barò – potrebbe essere lui. O Morgana. Magari è una cosa importante. –

La sua manovra era talmente ovvia che trascendeva il semplice patetico, ma Merlin sapeva anche che alla parola “importante” Gwen sarebbe scattata come se l’avesse punta una vespa. Magari qualcuno era nei guai. Gwen non avrebbe potuto lasciar correre quel pensiero.

Come a volergli dare ragione, lei liberò una mano dalle sue e aprì il messaggio. Se fosse stato un annuncio tragico, tipo che Morgana aveva deciso di scappare di casa, SERIAMENTE, questa volta, forse Merlin avrebbe riavuto anche l’altra mano libera.

- In effetti è Morgana. Dice che Arthur è arrivato a casa con uno scatolone di robaccia e non… non sta bene. –

Merlin per un attimo pensò di chiederle cosa c’era scritto davvero nel messaggio, ma poi si rese conto che lui non le stava dicendo niente di quel che era successo, pur sapendo bene che così l’avrebbe fatta angosciare ancor di più, e decise di tacere.

- Gli passerà. Gli passa sempre tutto, lo sai. – si risolse invece.

Nonostante quello che dicevano certe malelingue, lui era bravo a capire le cose. Alcune, almeno. Una di queste era che meno pronunciava il nome di Arthur meno gli sembrava di parlare di lui.

- Merlin, ascoltami … -

- Gwen – la interruppe un’altra volta, e si sentì spregevole, di una prepotenza da viscido bastardo.  Gwen era troppo buona per arrabbiarsi con lui perché non la lasciava parlare, era da infami approfittarsene. –Sapevo che ti saresti preoccupata, ma ho pensato che fosse meglio dirtelo subito. Sono io che ti prego: non consumarti su questa cosa. – si morse un labbro - Doveva succedere ed è successo. Nuova pagina. – tolse una mano dalla sua per fare il gesto di voltare davvero una pagina, sperando di nuovo di riuscire farla sorridere con un gesto da cartone animato. E che lei non si accorgesse che gli tremava la mano.

Questa volta lei lo ignorò.

- Arthur – il nome gli bruciò la lingua, c’era cascato – si fa passare il malumore e la rabbia quasi alla stessa velocità con cui decide di ammazzare Morgana. Sarà così anche stavolta. –

- Lo sai benissimo che dipende dal motivo, per cui si arrabbia –Gwen era testardamente decisa a non credere a nessuna bugia o generalizzazione che attutisse la caduta massi, e Merlin non riusciva a non amarla, per questo. Ma vederla così preoccupata lo faceva sentire in colpa, e Merlin era sempre stato un disastro, coi sensi di colpa.

 

- Lo so, ma questa volta non è niente di drammatico. E a proposito di cose non drammatiche, dopocena cosa facciamo? –

Gwen lo guardò ancora un momento, poi sciolse definitivamente le mani dalle sue per appoggiarsele alle tempie e massaggiarle. Probabilmente aveva capito che se si affidava a modi di sviare la conversazione così idioti, era veramente pronto a tutto pur di non dirle la verità.

- In teoria Morgana aveva proposto di trovarci tutti vicino a casa sua, ma a questo punto… - Gwen tacque un momento, e Merlin ne approfittò per fare una domanda senza doverle parlare sopra.

- Ci sarà anche Lancelot? –

Gwen lo guardò come se si fosse messo a parlare del moto dei pianeti, ma pianeti bellissimi.

- Morgana ha detto che saremo tutti, quindi sì, ma perché? –

Merlin fece il primo sorriso non-spaventoso dopo quelle che a Gwen parevano ere geologiche.

- Perché stavi per propormi di andare a casa a fare gli emo insieme, e ti ringrazio ma rifiuto. –

- Non l’avevo pensata in questi termini. – rispose, fingendo di essere offesa.

Merlin rise. – Di sicuro pensavi a parole più gentili, e anche questo è molto carino da parte tua, ma possiamo farlo domani. –

- Perché non stasera? – insisté lei, dimostrando di essere davvero brava a mettere da parte ogni scrupolo quando decideva di non essere accomodante.

- Perché hai un cavaliere che ti aspetta davanti a Villa Camelot. –

- E tu cosa vorresti fare? Dev’essere qualcosa di molto bello perché non finiamo nel mio appartamento a guardare film stupidi, sappilo. –

Merlin disse una bugia (giusto la cosa adatta per sentirsi meglio), ma quando vide il volto di Gwen rilassarsi, decise che era il momento giusto per guardare l’orologio e farle notare che se voleva passare da casa a cambiarsi era il caso di andare a pagare il conto delle cioccolate calde e avviarsi.

 

 

-*-

 

 

 

Note di Melchan

Okay, avevo deciso di pubblicare questa fic solo una volta terminata, ma ne sto pubblicando un'altra in un fandom che di solito tocco (come autrice - usiamo paroloni) una volta l'anno, non mi ci trovo proprio benissimo come ambiente e quindi... w l'egoismo \o/ Diciamocelo XD questa è la mia sezione dell'EFP preferita a livello umano e perciò preferisco avere una spinta in più a scrivere la parte finale pubblicando due fic in contemporanea, piuttosto che aspettare di avere del tutto il cuore in pace pubblicando solo storie finite e fare l'angstona solo di là D:

Passando alle cose di cui potrebbe anche solo lontanamente fregare di leggere qualcosa XD Questa non è esattamente la fic più allegra e saltellante che ho scritto in vita mia, e peraltro è un mezzo parto vista la lunghezza (assolutamente non premeditata) e i MESI passatai da quando l'ho cominciata (casua blocco, ora che pare aver levato le tende confido di finirla una volta per tutte).

Peraltro questa cosa di scrivere papiri sta diventando un'abitudine, ed è mooooooolto inquietante per me O_O Io ho sempre campato a oneshot, ora ho questa specie di botta per cui tutto quello che scrivo cresce cresce cresce e io non so mai se come quando è successo.

Nel senso, ho minimo altre due AU di Merlin iniziate e una incasinatissima in testa e tutte so già che sono lunghissime come svolgimento, help me! \O/

 

Passando al lato pratico (un disastro, sono lo stereotipo vivente della studentessa di materie umanistiche sfigata e un po' cazzona che di pratico non sa fare nulla): i capitoli come vedete non voglio farli ridotti (ho sempre odiato le fic a capitoli corti, mi sembrano una presa per il culo da parte dell'autore al lettore, della serie proprio "ahah, te la centellino così sei costretto a lasciarmi più commenti e roderti di più!11!!!!!1!"), quindi saranno tutti o abbastanza cicciottelli o enormi :3 XD

L'atmosfera come vedete non è esattamente quella di un'allegra scampagnata, ma in fondo lo so che un po' di angst nella vita lo vogliono tutti ù_ù *e arrivò un "MA TE TI BU'I"*, e poi bon, niente, ho riletto queste note e mi sono accorta che sono prive della minima serietà e piene dei miei amati incisi inutili: ne ho tolti/riscritti il più possibilie nella fic, fatemi sfogare qui, please XDD

 

Riguardo al titolo: voi non avete idea della disperazione *DRAMMI SERISSIMI*
Poi mi è venuta in mente Take a bow di Rihanna cantata in Glee (o meglio, i titoli della mia playlist me l'hanno mostrata tipo ascesa dal cielo), che è tipo perfetta e mi ha fatto venire l'idea folla di trasformare tutto in una song-fic *sì è seria*
Altrettanto poi mi sono ricordata di quanto odio le song-fic e ho deciso che usare una citazione per il titolo rendeva già abbastanza onore alla cosa *si fa forza per non ficcarci mezzo testo*

Ora che ho sproloquiato in libertà e sono blaterosamente appagata vi saluto, ci si vede col secondo capitolo! è.é

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Capitolo 2
*** Parte due ***


 

2.


 

 

 

"So now you're gone and I'm haunted.”

(A Fine Frenzy)

 

 

 

 


 

Un’ora dopo Merlin era a casa da solo, senza nessuna intenzione di accendere il videotelefono e provare a contattare Will. Non aveva voglia di ripetere la mezza storia anche a lui, e sapeva che se avesse composto il numero entro un quarto d’ora sarebbe stato punto a capo: a sentirsi dire che aveva fatto benissimo, certo, ma comunque punto a capo.

Si mise a guardare la televisione. C’era un documentario di History Channel sulla Exacalibur e i posti dove avrebbe potuto trovarsi nell’Anno Domini 2012. Merlin alzò il volume e si coprì col plaid, finendo per raggomitolarsi nell’angolo del divano come una pallina smunta e bianchissima.

 

Aveva detto una bugia a fin di bene a Gwen per convincerla ad andare all’appuntamento, ma sulla questione di non essere una quindicenne scema non aveva mentito. Quindi non avrebbe pianto.

Ebbe una mezza idea di farlo solo quando squillò il campanello, e trascinandosi fino al videocitofono col plaid sulle spalle scoprì che era davvero chi aveva temuto al primo DINDIN.

“Pronto?” borbottò. La voce calda del presentatore nemmeno gli arrivava più, doveva essersi persa nel tragitto di due metri dal divano alla parete dell’ingresso.

“MERLIN!” la voce di Morgana, invece, lo assordò senza nessun problema. “Pensavi davvero di restare tappato là dentro tutta la sera? Apri!”

Merlin sospirò e per un pazzo momento si chiese se fosse il caso raccontarle che tornato a casa aveva scoperto di avere la febbre a quaranta; poi pensò che quella secondo i criteri di Morgana sarebbe stata una perfetta giustificazione per sfondare il  portone di vetro del palazzo ed entrare in casa prendendo a calci la porta. Con Gwen al seguito, ovviamente, pronta a raccogliere i pezzi di legno e ferraglia e ammucchiarli negli angoli, per facilitare le cose agli operai che avrebbero dovuto sistemare tutto il casino.

“Ti apro.”

Si guardò intorno in preda a un improvviso panico, pregando qualunque Dio di riuscire a cambiarsi e vestirsi decentemente prima che arrivassero. Se si fosse fatto trovare in pigiama e plaid-coperta-di-Linus Gwen si sarebbe convinta di aver avuto ragione fin dall’inizio, e che lui si era davvero conciato come un barbone e lasciato morire sul divano (cosa che in effetti aveva fatto, ma il punto non era quello – Merlin nemmeno sapeva più se ci fosse, un punto).

Poi ebbe l’idea: bastava lasciarle fuori per qualche minuto, il tempo di infilarsi almeno una maglia pulita, e poi dire che quando avevano citofonato era in bagno, e che dopo ci era dovuto tornare. Semplice, machiavellico, sarebbe venuto in mente a chiunque avesse avuto un cervello più grosso di una nocciolina.

 

“Possibile che tu sia così stupido?”

“Io? Sono IO quello che ha scordato le chiavi in casa, Merlin?!”

“No, ma la gente normale a questo punto chiamerebbe un fabbro, non spaccherebbe la mia serratura di casa!”

“Non la sto spaccando, la sto aprendo!”

”Certo, con una molletta! Una molletta con sopra degli Swaroski! Morgana ne sarà entusiasta.”

“Merlin, sta’ zitto e basta! Non fai altro che lamentarti! … Cos’era questo rumore?”

“… si è rotta la molletta, stupido somaro! Te l’avevo detto, era una…”

“Basta Merlin, sembri una vecchia suocera insopportabile!”

“E tu…”

 

“Merlin! Apri subito, lo so che stai cercando un modo per cambiarti in zero secondi e toglierti quei quattro stracci di dosso!”

Ovviamente. Se Gwen era capace di perdere ogni sua discretezza nel giro di niente, Morgana poteva abbandonare i toni da affascinante sorellona iper-protettiva appena non le facevano più comodo. Eppure le fu grato, perché le sue urla erano abilissime nel coprire altri pensieri subdoli e appuntiti.

Aprì senza nemmeno più preoccuparsi di lasciare la coperta sul divano.

“Ciao!” la salutò, con tutta l’allegria che riuscì a mettere insieme nell’arco di una frazione di secondo scarsa.

Lei lo ignorò ed entrò in casa, sbirciando subito intorno.

Poi lo guardò col volto corrucciato, bellissima come sempre e come sempre di cinque centimetri più alta di lui. Coi tacchi diventava inquietante come una top model vista dal vivo.

“Ho detto a Gwen di aspettarci giù, altrimenti avresti trovato un modo per convincerla che fosse giusto lasciarti qui.”

Prima che Merlin potesse dire qualsiasi cosa, da “ma che stai dicendo” a “vuoi un tè?”, lei si mise ad annusare l’aria come se cercasse odore di gas in una casa piena di gente addormentata. Gli fece segno di star zitto anche se non aveva effettivamente detto nulla.

“Almeno l’odore è umano.” Concluse. “Quando Arthur fa l’isterico camera sua diventa peggio di una stalla usata come deposito cadaveri.”

Merlin non disse niente. Poi si ricordò che non dire niente avrebbe aggravato ulteriormente l’atmosfera non proprio allegra, e si sforzò di sorridere. E dopo fece una cosa che non aveva mai fatto.

 

 

 “Da quando noi ci baciamo, Merlin?”
Lui le sorrise come aveva fatto al bar poche ore prima, ma Morgana non era Gwen, e non si spaventò. Pensò solo che avrebbe voluto spaccare tutti i denti ad Arthur, perché un’espressione simile sul volto di Merlin non era innaturale, era profana.

Hai ucciso una cosa purissima.                                                                                                                   

… Morgana non era sicura di voler sapere perché la faccia di Merlin le aveva fatto venire in mente gli unicorni e Harry Potter.

Decise di tornare al centro della questione.

 

“Merlin, mi hai appena dato un bacio sulla guancia. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in questo, lo sai vero?”

Merlin si mise a ridere.

“Non mi baci nemmeno al mio compleanno, cosa vorrebbe dire ora?”

Lui smise di ridere, e rifece solo quella faccia spaventosa che non avrebbe dovuto essere contemplata nell’ordine delle cose.

 

“Mi è sembrata la cosa giusta da fare. Proprio perché non l’avevo mai fatto.” E perché forse era una delle ultime occasioni. “Vuoi bere qualcosa?”

Fece per avviarsi nella cucina-sgabuzzino, dove la teiera di ferro che Gwen gli aveva regalato per i ventun anni stazionava sul fornello, ma Morgana lo prese per la manica della vestaglia e lo inchiodò sul posto.

“Voglio bere qualcosa, Merlin. Dove preferisci, ma fuori di qui. Mettiti quello che vuoi e andiamo.”

 

Merlin si sentì stupido per aver anche solo pensato di potersi comportare come avrebbe fatto con Gwen. Era così ovvio che Morgana avrebbe voluto tutto e subito. È una Pendragon, dopotutto.

Piantala.

 

Merlin le toccò appena la mano, e quando lei fu abbastanza sicura che non sarebbe volato fuori dalla finestra, suicidandosi dal terzo piano tramite sfracellamento a terra o in alternativa scappando da lei e aggrappandosi ai ferretti  della grondaia come l’Uomo Ragno (per poi sfracellarsi a terra, considerate le sue non-capacità atletiche), lo lasciò andare.

 

Merlin andò a sedersi sul divano, e si chiuse un po’ meglio i cordini della vestaglia che ciondolavano tristemente sulle sue ginocchia. Sentiva lo sguardo fisso di Morgana come se gli stesse premendo sulla trachea.

“Se ci farai un fiocco capirò che vuoi annunciarmi la fine del mondo grazie a tuoi insospettabili poteri ESP, e mi sentirò autorizzata a stenderti e portarti dallo psichiatra più vicino.” Annunciò lei.

 

Non era giusto. Persino il loro modo di prenderlo in giro era troppo simile. Morgana era come lui, ma più elegante. Riusciva a mettere insieme frasi articolate che suo fratello si sarebbe perso nemmeno a metà, ma il loro sarcasmo era accordato sulla stessa nota inconfondibile.

Merlin si sentì circondato, e immensamente stanco. Avrebbe dovuto immaginarlo, che nessuno lo avrebbe aiutato nel passare oltre, ma nemmeno un giorno e lui era già e pezzi. Come sarebbe stato di lì a una settimana?

 

“Morgana” cercò le parole giuste. Non le trovò. “non penso di poter venire stasera. E nemmeno domani.”

Lei sbuffò, e batté un piede per terra come una ragazzina infastidita. “Chissà perché immaginavo che lo avresti detto. Non m’interessa. Vestiti e spiega le tue ragioni mentre lo fai.”

Merlin continuò a parlare, fermo sul divano “Noi due siamo amici. E proprio perché lo siamo, non farò l'egoista.”

Merlin lo sapeva di star facendo la figura del tragico, la recita, ma farla breve e guardarsi le mani mentre diceva quelle cose gli sembrava l’unico modo per dirle. Guardando Morgana avrebbe potuto interrompersi, e procrastinare quel discorso sarebbe stato l’equivalente di lasciare una bestia in agonia.

 

“Leon, Lancelot, anche Gwaine, sono tutti suoi amici.” continuò “Se vivessimo ai tempi di Re Artù sarebbero i suoi accidenti di cavalieri, basta guardarli per capirlo, se ne accorgerebbe chiunque. “ Non riuscì a trattenere un sorriso “Però sono anche tutti delle belle persone, ed è proprio per questo che non ho intenzione di metterli nella condizione di scegliere e poi sentirsi in colpa. Sanno benissimo quello che sta succedendo, e sanno benissimo che al momento il loro eroe è arrabbiato con me. Se scendessi adesso sarebbero comunque gentili, perché è nella loro natura. Ma non potrebbero essere a loro agio, perché lo è anche la loro lealtà verso Arthur."

Zing

“Non gli imporrò una cosa simile solo per uscire un’ultima sera a far finta che non sia cambiato niente.”

Si decise finalmente a guardare Morgana.

Lei lo fissava e basta, e a Merlin sembrò di poter scorgere minuscoli falò ardere nelle sue pupille più nere di un oceano profondo.

“Non capisco una parola di quello che dici.”

Merlin fece per l’ennesima volta il suo nuovo sorriso da incubo, che nella mente di Morgana sarebbe rimasto sempre il sorriso Arthur Cos’Hai Fatto.

“Invece hai capito benissimo. È quello il problema, vero?”

Merlin la guardò chinarsi sul tappeto zeppo di polvere che ristagnava sul tappeto da tempo indefinito (al momento faceva fatica a immaginare di fare qualcosa di banale e scontato come passare l’aspirapolvere, ma per qualche delirio dell’inconscio pensò che così i bellissimi pantaloni da millemila sterline di Morgana si sarebbero sporcati, e che era un peccato).

“Quello che ho capito“ disse lei fissandolo  “è che tu stai delirando sulla natura umana con frasi da ottanta righe ciascuna, e io sto pensando a quale chiave inserire su Google per trovare il modo più lento di uccidere un ventiduenne.”

Merlin continuava a sorridere. “Vuoi porre fine ai miei deliri in modo così drastico?”

“No, voglio ammazzare quel pezzo di somaro di mio fratello.”

“In effetti penso che Uther ti pagherebbe l'avvocato difensore, dopo essersi lamentato per un po'.”

Morgana lo guardò male in un modo così particolare, e che conosceva così bene, che a Merlin venne voglia di chiederle di andarsene. Non l’avrebbe mai fatto davvero, ma se non l’avesse conosciuta si sarebbe chiesto se si stesse comportando come la fotocopia dotata di vagina di Arthur più del solito solo per cattiveria.

 

- Merlin, le cose sono due, e sono molto semplici. O mi dici cosa diavolo è successo o ti stordisco davvero e poi ti porto fuori così come sei. –

Alla fine Merlin decise di affidarle quantomeno una briciola insignificante di verità. Abbastanza da acquietarla un poco senza rimestare ancora su tutto.

- Arthur… – “ignora.“ – Arthur mi ha fatto capire come la pensa su certi argomenti, e io ho agito di conseguenza. –

- Certi argomenti, Merlin? Dillo e basta, cosa ti ha fatto questa volta?-

Eccola di nuovo: la certezza che Mogana preferiva un milione di volte dare la colpa ad Arthur anche per il buco nell'ozono che prendersela con lui. Aveva passato al vita a litigare con Arthur, e nemmeno una delle loro liti, anche per le cose importanti, l'aveva mai fatta smettere di amarlo.

Per lei infuriarsi con Arthur fino a esplodere era mille volte più semplice che dover affrontare una conversazione spiacevole con Merlin. Lui era certo che nel cuore così splendente di Morgana, Arthur avesse un piedistallo privato con la scritta "tanto sono eterno"; avrebbe scommesso un braccio che il pensiero di perdere il suo bellissimo, arrogante e stupido fratellastro per una litigata più incazzosa non aveva mai sfiorato il cervello di Morgana: incrinare il suo rapporto di affetto protettivo con Merlin per colpa di una conversazione troppo scomoda era un'opzione molto più realistica.


Merlin cominciava a pensare che forse la cosa più giusta da fare fosse farla contenta, dirle tutto. Godersi il suo supporto incondizionato, e poi uscire a mettere in pratica il principio con cui aveva liberato casa propria da un sacco di roba che non aveva comprato lui, sperando che il resto del mondo lo perdonasse per aver almeno provato a dimenticare e andare avanti.



“Hai dimenticato il videotelefono.”

“Vaffanculo, Merlin.”

 

“Morgana.

La scostò pianissimo, e non riuscì nemmeno a stupirsi quando lei lo lasciò andare senza opporre resistenza. Doveva averla convinta qualcosa nel tono della sua voce, ma non sapeva davvero cosa.

Non aveva tutta questa importanza.


Andò al tavolino vicino all’altro piccolo divano del salotto, si inginocchiò davanti al muro e strappò dei cavi dalle prese di corrente. Poi si tirò su e prese tra le braccia la scatoletta di metallo che era adagiata sul tavolo.

“Ti dispiace riportarla a casa? L’ha scordata qui.”

 

Ecco, adesso anche Morgana aveva in faccia qualcosa che somigliava vagamente alla paura. Una specie di timore, come se finora non avesse voluto capire l’entità della situazione, e lui le avesse brutalmente sbattuto in faccia l’evidenza delle cose con quello stupido gesto impacciato, mentre la scatoletta di metallo e plastica rischiava di scivolargli dalle mani e lui doveva far forza sui suoi scarsissimi muscoli per tenerla su.

Morgana non mosse un passo.

“Te l’ha regalato, Merlin. È tuo, che accidenti ti viene in mente?”

“Non è mio. L’ha preso quando è andato via a Dicembre ed è rimasto qui anche dopo. In effetti un paio di volte l’ho usato per parlare anche con Will, non avrei dovuto.”

“Rimettilo a posto, Merlin.”

 

Eccola di nuovo. Quella stanchezza. Morgana si stava impegnando a rendere tutto ancora più difficile e penoso di quanto già non fosse (e lo era tanto), ma lui avrebbe dovuto saperlo nel momento stesso in cui le aveva aperto il portone dabbasso che sarebbe finita così. Appoggiò il videocitofono sul divano e le disse che non l’avrebbe tenuto comunque, l’alternativa era regalarlo, e che scegliesse lei.

 

“Merlin, dimmi cosa ti ha fatto. Dillo e basta.”

Lui la guardò, e capì di essere riuscito in un’impresa quasi impossibile per chiunque altro. Era riuscito a far quasi piangere Morgana Pendragon.

Il quasi era perché non l’avrebbe mai fatto davanti a lui, naturalmente, e di quel passo gli avrebbe chiesto con voce fermissima di usare il bagno, lui avrebbe detto “certo” e sarebbe rimasto qualche minuto a pensare che Morgana si stava asciugando gli occhi con rabbia nel suo bagno-sgabuzzino ed era tutta colpa sua.


“Arthur è fidanzato con Sophia.” iniziò, soddisfatto per il tono rilassato con cui gli era uscito. Magari usare un tono privo di isteria avrebbe aiutato.

... va bene, non ci credeva nemmeno lui.

“Non credo che tu conoscessi la situazione nei particolari, ma è così."

Morgana alzò una mano per interromperlo.

 "So che a Uther piace cianciare di matrimoni combinati, ogni tanto butta lì idiozie del genere anche a me. Ma non ci crede fino in fondo, lo sa anche lui che per sua grande sfortuna siamo nel duemiladodici."

"Morgana, io penso che sappia solo che tu lo sai. Ma conosci Arthur, se vostro padre s'impone più del minimo su qualcosa che lui non ritiene davvero sbagliato lo farà."

Lei aggottò le sopracciglia, e una lineetta di disappuntò le segnò la pelle bianchissima della fronte. Chissà come faceva a non sembrare nemmeno per sbaglio una ruga.

"E' ovvio che pensa che lo sia! Arthur è un idiota, ma i matrimoni combinati sono una cosa che... Merlin, come ha fatto a venirti in mente un'idea del genere?"

"Mi è venuta perché ad Arthur sono sempre piaciute le ragazze, e anche tu lo hai visto con Sophia."

"E' educato e carino con lei, anche se è odiosa. Ma è normale, lo è con tutte le ragazze. Non chiedermi perché ma questa specie di cosa ce l'ha sempre avuta, l'unica ragazza con cui l'ho mai visto litigare sono io."

"Questo lo so, ma Sophia in fondo non gli è mai dispiaciuta. E' una bella ragazza, sprizza feromoni e... Morgana, lo sai anche tu. Il fidanzamento di fatto c'è, e se Arthur non si opporrà è una cosa che prima o poi verrà fuori e basta. Probabilmente tra un annetto si sposeranno in pompa magna o qualcosa del genere. Io ho solo deciso che non voglio essere lì a fare la figura dello stupido quando accadrà.”

“Merlin, ma sei seriamente sei uscito di testa? Ad Arthur piaci tu.”

Morgana lo disse in modo così buffo, con la faccia quasi in super-deformed, che a Merlin venne da ridere di nuovo. Magari in modo un po’ isterico, stavolta, ma gli venne da ridere.

“Questo non... non è come pensi tu. Non è così semplice, e Arthur... lascia stare, perfavore. Arthur è fidanzato, l'ho scoperto e ho deciso di chiudere la questione e basta invece di trascinarcela dietro. Nient'altro.”

Vide Morgana aprire la bocca per rispondergli qualcosa, capì che non sarebbero state belle parole e poi, per una volta nella sua sfigatissima vita, Merlin fu salvato in corner. Roba da fare un segno sul calendario.

 

 

“Ragazzi…?”

Si voltarono verso la porta, e lì c’era Lancelot. Si sporgeva dal corridoio sorridendo, con la fronte un po' aggrottata e l'aria di chi in effetti sa di aver salvato una situazione in corner.

“Lance, Merlin non vuole uscire perché è convinto che gli terrete il muso. Cosa ne pensi?”

“Morgana!” Merlin si sentì morire. Nel giro di dieci minuti sarebbe diventato per tutti una specie di ragazzina delle medie molto immatura. Morgana era davvero insuperabile anche quando decideva di piegare le parole altrui secondo la propria personalissima interpretazione.

 

“Lancelot, non era quello che intendevo…” iniziò, ma lui gli sorrise, e Merlin sentì scivolare via ogni straccio di determinazione riguardo alle stoiche decisioni sulle scelte e l’egoismo.

 

“Merlin, le questioni tra te e Arthur non sono esattamente il nostro campo. E temo che se Morgana scenderà da sola Gwen avrà una crisi di nervi e passerà la notte davanti a casa tua, pregandoti di aprire e non fare sciocchezze.” Calcò forte le ultime parole, come se trovasse la cosa buffa e anche un po’ tenera.

Merlin non poté trattenere una risata. L’idea era tragicamente verosimile: non abbastanza da farlo sentire di nuovo in colpa (perché era ovvio che avrebbe aperto subito a Gwen, non l’avrebbe mai e poi mai lasciata sul pianerottolo!), ma sufficiente per farlo ridere.

“Mh” mugugnò alla fine, sapendo che si stava arrendendo a fare la cosa sbagliata “in effetti una passeggiata potrei anche farla.”

“Lancelot, ti offrirò la cena. Sappilo.” Morgana era tornata del tutta padrona di sé nel giro di dieci secondi, e adesso parlava col tono più annoiato del suo repertorio (ne aveva uno, sì) e ripeteva a Merlin che a volte era davvero un bambino.


Per le dieci e mezzo di sera stavano passeggiando davanti a uno Starbuck’s chiuso, con alle spalle un paio di fermate metropolitana, e Merlin aveva il braccio di un Gwaine leggermente brillo attorno alle spalle e la sua voce divertita nelle orecchie.

Era tutto così bello e normale che avrebbe voluto non tornare più all'appartamento.

E avrebbe voluto anche non aver bevuto due birre di seguito, perché se fosse stato del tutto sobrio si sarebbe accorto della vicinanza esagerata con il cavolo di palazzo della zona alta di Londra dove vivevano Morgana, suo fratello (vedi che le perifrasi sono un bella cosa?) e Uther. Insieme a una dozzina di servitori sparsi, certo.

 

“Perché siamo qui?” biasciò Gwen al suo orecchio, chiarissimo nella strada silenziosa.

“Non lo so.

Si sforzò di ragionare. Nessuna aveva parlato di passare di lì, di questo era sicuro.


“Perché voglio che Gwen vada a letto col cuore in pace.” Li freddò Morgana, e poi suonò il campanello di Villa Camelot.

Merlin si chiese cosa sarebbe accaduto se avesse alzato i tacchi e provato ad andarsene. Si rispose che lo sapeva benissimo: Morgana avrebbe detto a Leon di riportarlo indietro a braccia, e vista l’aria persa il suddetto doveva essere abbastanza ciucco da farlo davvero.  

Aprì la bocca per protestare in qualche modo, ma la bocca gli si seccò appena il portone si spalancò su di loro: ovviamente lì c’era Arthur (l’ho fatto di nuovo), insieme alla voce non molto lontana di un cronista sportivo.

Merlin non era ancora abbastanza stordito da dimenticare che era giovedì: il fottuto giorno libero delle cameriere, quindi ovvio che aprissero o lui o Uther. Non voleva sapere se Morgana aveva calcolato anche quello. Davvero, no.

 

“Sei già qui?” le fece Arthur, sgarbato.

Merlin, suo malgrado, si stupì un poco. Non erano strane le parole, era strano il tono. Di solito con Morgana Arthur faceva sfoggio di tutti i suoi modi di fare più antipatici e infantili, ma era davvero raro che rispondesse in modo così incattivito.

Lei non incassò bene.

Infatti gli sorrise, cosa che gettò tutti in un preoccupatissimo silenzio che fu lei a spezzare come una stalattite troncata sulle ginocchia: “Esatto, e se ti rivolgi di nuovo a me con quel tono ti stacco la testa dal collo.”

 

Arthur la guardò di sbiecò, poi si fece in là di un minuscolo passetto per farla passare.

Quando Morgana si fu avviata verso il salotto, senza girarsi indietro nemmeno per un momento e rispondendo secca “Sono io” alla voce di Uther dal piano di sopra, Arthur aprì del tutto la porta al resto di loro.

 

Merlin rimase in fondo alla fila, dietro a Gwen. Arthur non sembrò nemmeno vederlo, e si allontanò verso la sala principale parlando con Lancelot della partita. Merlin si chiese se non fosse quello il momento giusto per levarsi di torno, ma Gwen fece attenzione a tirarlo con delicatezza per una manica e lui lasciò perdere. In fondo il vero motivo per cui erano lì era che Morgana voleva che accadesse: se non fosse nemmeno entrato in salotto sarebbe tornata al piano-Leon, e arrivati a quel punto sarebbe stato come cominciare a raschiare il fondo con un cucchiaino da caffè.

Entrò nel gigantesco salotto cercando di non fare rumore e adocchiò subito una sedia del tavolo di vetro dietro ai divani un po’ spostata. Così sarebbe riuscito a mettersi in disparte e allo stesso tempo avrebbe fatto un favore alla cameriera distratta (era abbastanza sicuro che Uther non prendesse bene le disattenzioni dei sottoposti, né al lavoro né in casa).

 

Finse di non vedere l’occhiataccia di Morgana e sistemò la sedia dietro a un tavolino tra un divano e una poltrona poco distanti dalla televisione.

L’atmosfera, per chi non si chiamava Merlin, era rilassata e allegra.

I ragazzi avevano cominciato a guardare la partita quando lui ancora stava entrando, e persino Morgana ogni tanto si distraeva da Gwen e dalle occhiate che continuava a lanciargli per controllare come andava il gioco.

 

A lui il calcio non era mai interessato, e si sentiva più malinconico che mai. Si disse che era tutta colpa delle birre, ma avrebbe dovuto farci l’abitudine se davvero non aveva intenzione di seguire le sue stoiche decisioni sulle uscite di gruppo.

 

 

 

 

 

 

Note di Mel-chan:

Ed ecco la seconda parte.

Posto al volo prima di tornare a studiare (pausa di dieci minuti già sforata di tre -.-) e... bon, grazie a chi ha messo la storia tra le seguite >< Qui si comincia a entrare nel vivo, e vorrei fare un mini-appunto (penso che dalle mie fic si capisca già da sé, ma siccome mi piace chiaccherare chiarisco una cosa): tutto quello che scrivo su Merlin io lo penso prendendo in considerazione sempre e solo l'unica stagione che per me vale, ovvero la prima, con l'unica eccezione della presenza di Gwaine (che tutto ora ritengo sia l'unica cosa buona uscita dalle altre XD) ^^'' Quindi la Morgana di cui cui parlo (e anche Gwen) è quella della suddetta prima ^^

Quella che Arthur e lei hanno una specie di strana e meravigliosa mezza cotta che probabilmente dura dall'eternità, che va nel bosco vestita dalla Cappuccetto Rosso più bella della Terra quando dovrebbe passare inosservata (esibizionismo forevaH, non portateglielo mai via) XD e che si aggrappa a Merlin disperata perché Arthur sta andando a farsi ammazzare *le viene da piangere*

Quindi siate pazienti con me e non chiedetevi cose come "ma che dice amore eterno, ci ha messo il tempo di una cretina isterica biondastra per dimenticarsi che in realtà non potrebbe vivere senza Arthur", okay? ;_;

Okay.

 

Alla terza (e penultima parte), bye :*



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Capitolo 3
*** Parte tre ***


3.

 


“I was watching her the other night, when you spoke of your wedding. She looked like Juliet on awakening in the tomb.”

[Downton Abbey]






“Merlin, vuoi qualcosa? Non hai toccato niente…” Gwen gli si era avvinata, ciotola di patatine alla mano, e lui non se n’era nemmeno accorto. Doveva essere proprio fuso.

Fece segno di no con la testa e ringraziò. “Mi dispiace” aggiunse dopo un istante, piano per essere sicurissimo che sentisse solo lei. “Sto facendo il guastafeste. Sono uno straccio, ieri notte ho fatto anche le ore piccole col racconto.”

Stava diventando un maledetto bugiardo seriale, e tutto nell’arco di un giorno scarso. Non si sentiva proprio fiero di sé, ma pensò che una bugia bianca sulla coscienza era molto meglio che far soffrire Gwen ribadendo verità scomode.

Ovviamente fu inutile, perché altrettanto ovviamente Gwen non gli credette. Diede un buffetto alla sua spalla magrissima e tornò a sedersi tra Gwaine e Morgana, con Lancelot seduto ai suoi piedi sul bel tappeto rosso di casa Pendragon, e per Merlin fu totalmente ovvio che anche come bugiardo seriale faceva pena. Era davvero inutile.

 

 

“Chiederti di capire le regole è troppo, ma almeno TACI, Merlin, va bene?”

“Ho solo detto che quello coi capelli neri è veloce, non mi sembra che serva una laurea in Gioco del Calcio per capirlo.”

“Merlin, metà squadra ha i capelli così, se ci tieni a buttare in mostra la tua ignoranza almeno fallo bene!”

“Si dice mettere in mostra.”

“Sì sì, attaccati alle scemenze grammaticali per cambiare argomento, resti un ignorante lo stesso.”

“TU che parli d’ignoranza?”

 

Sentì tutta la pena per se stesso che aveva ricacciato indietro fino a quel momento, e la debolezza, schiacciarlo come una valanga di massi formato palazzo. Si trovava lì perché non era stato capace di fare la cosa giusta e perché Morgana, con tutto il bene che le voleva, quando si fissava con qualcosa sapeva essere un’egoista clamorosa. Era ovvio che sarebbe finita in modo imbarazzante e deprimente.

Si alzò, sollevato che lei fosse troppo presa dalla televisione per farci caso, e riportò la sedia apposto senza fare rumore e stando attento ad allinearla in perfetta simmetria con le altre.

Poi sfilò il cappotto dalla sedia, cercando di non farlo nemmeno frusciare, ma stavolta non gli andò bene. Morgana sentì il rumore della stoffa che sgusciava contro lo schienale di legno della sedia, e girò la testa talmente in fretta da fargli venire in mente l’Esorcista.

 

- Che stai facendo? - Riuscì a soffiare come un gatto e a farsi capire benissimo da tutti. Merlin era sicuro che non avrebbe mai smesso di mostrare inaspettati e prodigiosi talenti, mai.

- Niente. Sono stanco e voglio lavorare un po’ prima di dormire, quindi mi avvio. Ti telefono domani. - cominciò a mettersi il cappotto, per essere sicuro che Morgana non ordinasse a qualcuno di strapparglielo di dosso.

Okay, forse stava esagerando.

Decise che doveva sbrigarsi.

E poi fece il secondo grande errore della giornata: controllò Arthur.

 

Lo aveva fatto per due anni, non era facile smettere. Soprattutto quando non sapeva tra quanto si sarebbero rivisti.

Le volte che Arthur era andato via per più di un giorno di seguito, un mese a Cardiff da parenti materni la primavera scorsa, per esempio, Merlin aveva avuto una specie di brutta sensazione addosso per tutto il tempo. Non sapere che stesse facendo, se si fosse quasi ammazzato, rotto arti, se mangiasse almeno un piatto al giorno diverso da schifezze più o meno cancerogene lo rendeva incapace di occuparsi della sua, uhm, vita. Lo vedeva quasi tutte le sere con il videotelefono, certo, ma non era la stessa cosa. Sapere che non aveva le occhiaie non serviva a nulla se non riusciva a controllare che camminasse bene.

Sentiva anche la mancanza dei suoi amici, quando erano via, ma una vocina odiosa gli ripeteva sempre che loro sapevano badare a se stessi. Arthur, invece, lo sapeva fare solo in parte, e infinitamente meno di quanto credesse.

 

Adesso non aveva più alcuna scusa per preoccuparsi per lui, nemmeno quella di un amico protettivo e un po' ansiogeno.

Controllò lo stesso, e capì che nonostante tutto Arthur stava bene. Non si era nemmeno girato a guardarlo, al contrario di tutti gli altri presenti, e se da un lato il cervello di Merlin connetteva ancora quel che bastava a fargli capire che lo stava ignorando apposta, la restante massa informe che si sentiva nella scatola cranica disse “vedi, è sempre lo stesso. È arrabbiato e fa il ragazzino, ma non è distrutto. Ha tutti i pezzi al loro posto, e di sicuro non ha passato l’ultima nottata con la gastrite per colpa… dello stress.”

In fondo era quello che voleva Merlin, no? Niente tragedie.

 

“Non farla tanto lunga. Sto solo dicendo di smetterla di girarci intorno.”

“Ma di che stai parlando?”

"Sono sicuro che ne hai già un'idea."

 

Era abbastanza sicuro che Gwen stesse per piangere, così le sorrise, sperando di essere rassicurante. “Grazie per la serata.” 

A giudicare dalla sua faccia non funzionò.

Non sarebbe più uscito con loro in quel modo. Non se doveva essere così.

Aveva voluto provare, era stato cocciuto, ed ecco il risultato.

 

A dispetto di quel che aveva detto sui loro campi, Lancelot fu l’unico abbastanza testardo e abbastanza illuso da provare a richiamare l’attenzione del padrone di casa: “Arthur, senti…”

“Cosa?” lo seccò, sgarbato com’era stato poco prima con Morgana. “State perdendo gli ultimi minuti.”

“Merlin sta…”

“Lasciagli fare quel che vuole.”

 

L’ultima cosa la sentì mentre era già davanti alla porta.

Beh, gran bel finale.

 

Due anni di casini e l’ultima cosa che Arthur avrebbe detto al suo indirizzo sarebbe stata “Lasciagli fare quel che vuole.” Son soddisfazioni. Cercò di fare un risolino tra sé e sé, ma non gli riuscì bene.

Pregò Iddio che nessuno di quelli che aveva dietro lo avesse sentito (Gwen e chi altro gli si era trascinato dietro a distanza di sicurezza - non al punto di dover davvero dire qualcosa ma quel che bastava per osservare il dramma greco proprio fino all’ultimo). Avrebbero potuto scambiarlo per un singhiozzo o roba del genere. Per carità.

 

 

“Io so solo che devi essere sbronzo. Adesso muoviti, se non compriamo quell’accidenti d'affare Morgana…”

“Arthur, piantala, okay? Voglio fare un discorso serio per una volta nella vita, ti dispiace?”

“Lo farei se ci fosse qualcosa da discutere, Merlin. Ma c’è solo nella tua mente malata, quindi…”

“Falla finita. O preferisci aspettare la festa di fidanzamento? Non ti sto dicendo di fare niente, solo smettiamola con… con le cose superflue.”

“E quali sarebbero secondo te, le cose superflue?”

“Vuoi i dettagli?’”

 

Uscì, ignorando la folata di vento che cercò di richiudergli la porta sul muso, e si avviò per il giardino cercando di non congelare. Sperava che Morgana avesse l’animo di aprirgli il cancello elettrico, visto che l’aveva lasciato uscire, ma alla peggio si sarebbe arrampicato su una delle colonnine che lo cingevano e avrebbe lasciato al caso la possibilità di spezzarsi le ossa o prendere solo una brutta botta a tutto il corpo.

Non gli sembrava così importante nemmeno preoccuparsi di non fare l’imbecille.

 

“Sì, mi piacerebbe. Soprattutto perché continuo a non capire che sarebbero le tue cose superflue.”

“Perché vuoi renderla più complicata di quello che è?!”

“Non mi stai rispondendo, te ne sei accorto? Comunque non importa, adesso…”

“Il sesso, va bene? IL SESSO! Sto solo dicendo di smetterla con quello.”

“Non mi risulta che sia mai stato un problema, per te.”

“Infatti, ma ho il sospetto che per la tua fidanzata lo sarebbe.”

“Ah, allora sono fidanzato davvero?”

“Sì idiota, hai presente?, bella ragazza, capelli rossi?”

“Se parli di Sophia, lei non c’entra niente.”

“Arthur, per favore. Vuoi davvero raccontare balle fino al giorno del tuo matrimonio?”

“MATRI- COSA?!”

“Sì, è quello che succede dopo i fidanzamenti.”

“Ma da dove ti esce questa storia?”

“Me l’ha detto lei.”

 

 

Non voleva pensare alla cena.

Cercò di concentrarsi su qualcos’altro. Il racconto, magari. Aveva pure fissato la consegna.

Gli venne in mente solo che Arthur aveva i capelli un po’ sporchi, prima.

 

                             

“Non sto dicendo che sono arrabbiato. Cioè, un po’ lo sono, perché avresti dovuto dirmelo prima di… prima. Ma non importa, non è quello il punto.”

“E quale sarebbe allora? Non so che ti ha raccontato Sophia, ma è solo una vecchia idea di mio padre e del suo. Non è nulla di importante.”

“Invece lo è, perché se non è lei sarà qualcun’altra.”

“Non mi ricordo di aver detto di volermi davvero fidanzare a momenti o roba del genere, ti è mai venuto in mente tra un delirio e l’altro?”

“Appunto Arthur, a momenti. Tu non sei nemmeno gay, se la facciamo finita e basta puoi anche ricominciare a fare le nottate con Gwaine, no?”

“Quindi fammi capire, anche se adesso non sto tradendo nessuno dovremmo smetterla di - di fare quello che ci pare perché io forse-un-giorno mi sposerò?”

“Smettila con un giorno forse, lo sai benissimo che accadrà. Sei l’erede di una compagnia gigantesca che va avanti a conduzione familiare e sei anche etero, giusto un po’… curioso. Succederà e basta, quindi finiamola con certe cose, chiuso il discorso.”

“Tutte queste seghe mentali te le saresti fatte perché Sophia ti ha raccontate stupide storie l’altra sera?”

 

Ritornava sempre lì. E pensare che era stata anche una bella cena. Si erano divertiti, Gwaine aveva anche tirato fuori un paio di canzoni che avevano fatto morire dal ridere tutti i suoi amici (Morgana e Gwen un po’ meno, ma poi la prima gli aveva messo una qualche schifezza nel bicchiere e vederlo sputare birra dal naso aveva risollevato davvero il morale di tutti). Insomma, un mezzo delirio.

Lui poi… niente, aveva solo chiacchierato e riso un sacco, ecco. Vicino ad Arthur. Nel senso che le loro sedie erano vicine. Un po’ troppo, in effetti, ma lui era mezzo ubriaco o forse un po’ di più, e quindi bo, non era colpa di nessuno se avevano finito per ridere come coglioni sbronzi sdraiati uno addosso all’altro. Okay, magari non proprio “uno addosso all’altro”, c’era più che altro Merlin steso addosso ad Arthur. Che poi lo aveva rigirato sdraiandolo sul legno scheggiato della panca del pub.

Merlin non ricordava moltissimo del momento, solo che era felice come un idiota e più Arthur gli rideva in bocca più anche a lui veniva da ridere e così via.

Un casino che da sobri non sarebbe mai successo. Davanti a tutti poi.

 

Tra tutti c’erano anche Sophia e un ragazzo di cui Merlin non ricordava il nome, ma che era sparito quasi subito. Erano figli di amici di Uther, e di conseguenza amici di Arthur.

Poco dopo Merlin aveva dovuto svuotare la vescica da tutto l’alcool ingurgitato, così si era avviato più o meno barcollante verso il gabinetto dei maschi. Finito lì aveva trovato Sophia a guardarsi le unghie di una mano appoggiata alla parete.

 

“Non è molto pulito, qui. Sta’ attenta alle malattie.”

Gli era davvero uscita una cosa simile? Era felice di non ricordarselo bene.

Ma ricordava benissimo quello che lei aveva detto dopo.

“Mi hanno detto che sei una specie di ragazzo di Arthur. Non so quanto ti convenga però, sai?” lo aveva guardato come se fosse l’essere più ripugnante che avesse mai visto. Merlin non sapeva nemmeno che si potesse essere guardati in un modo così umiliante “Chiaramente non mi piace vedere il mio fidanzato idiota farsi circuire da brutti ragazzini. Scommetto che non piacerebbe nemmeno a Uther.” Gli aveva sputato addosso quel veloce rigurgito di rabbia gelosa ed era tornata indietro, senza aspettare che lui rispondesse una qualsiasi cosa. 

 

Così Merlin, con il senso del tragico amplificato dall'alcool, era rientrato in bagno e aveva avuto qualche momento di brutta reazione.

Mentre smoccicava là dentro in modo patetico, passandosi l'acqua gelata del rubinetto calcaroso sulla faccia, aveva pensato non per la prima volta (ma di sicuro per la più intensa) che sarebbe stato molto meglio essere più stupido, per non riuscire a capire quando una cattiveria aveva un fondo di verità, e ancora più debole all’alcool, per riuscire a non ragionare quando ne beveva. O almeno a non farlo fino alla soglia di casa.

Quando era tornato al loro tavolo aveva trovato Arthur a guardare con aria imbambolata e un po' persa Sophia, che gli parlava seduta al suo posto; se n’era andato senza dire nulla a nessuno, nemmeno a Gwen. Aveva preso l'autobus e poi la metropolitana, ubriaco, fuori di sé e con la vaga e nebbiosa idea che forse, se avesse avuto un'incredibile fortuna, avrebbe trovato un lampione magico e benevolo che lo avrebbe portato in un luogo molto lotano, a un miliardo e mezzo di universi di distanza dallo stomaco ritorto che gli sciaguattava nelle viscere stile zattera in una bufera (lo chiamava stomaco perché così era più facile). Non ricordava il momento in cui era entrato in casa.

 

Come avesse fatto a tornare a casa integro in quelle condizioni era rimasto un mistero.

Gli piaceva pensare che ci avesse messo mano suo nonno Gaius dall’Aldilà, anche se sapeva che era da ingenuotti.

Si ripeté che non importava niente. In quel momento faticava a trovare qualcosa di cui gli importasse, in effetti, e pensò che non andava affatto bene: capita a tutti di ritrovarsi con qualche pezzo rotto, lui che voleva fare lo scrittore avrebbe dovuto saperlo meglio di tanta altra gente, no?

Non riuscì a farsene fregare qualcosa nemmeno di questo.

 

“Seriamente Merlin, la cena? Erano tutti ubriachi, Gwaine se la stava per fare addosso e tu vai a credere a qualcosa tirato fuori in un momento simile? Non ci credo, non puoi davvero essere più stupido di quanto pensavo.”

“Sophia era sobria, e me l’ha detto.”

“Senti, lei…”

“Lei ha detto la verità. E non capisco perché devi essere così drammatico: era solo un passatempo, no, perché t’impunti così? Non è come se… come se tu mi amassi o roba simile! Non è niente.”

Arthur l’aveva guardato e basta. Merlin quegli occhi lì, però, non ricordava di averglieli mai visti in faccia prima.

 

 

Mentre ciondolava verso casa – sì, il portone dopotutto era aperto - pensò che avrebbe davvero voluto che suo nonno fosse ancora vivo. Non gli avrebbe raccontato tutto, ma lui avrebbe capito lo stesso e Merlin sarebbe stato meglio. Okay, meglio magari no, ma… sarebbe stato diverso.

Dio, che pena.

Senza un filo preciso a tenergli insieme la testa, si rese conto che il giorno dopo avrebbe almeno dovuto mettersi a scrivere. Poteva anche dormire fino alle due del pomeriggio, non sapeva nemmeno che ore fossero e non aveva voglia di controllare, quindi chissà, ma nel pomeriggio avrebbe scritto e basta. Sperava che Gwen non lo stressasse, e che il suo umore migliorasse abbastanza da impedirgli di pensare cattiverie come Gwen stressa.

 

Dopo averlo guardato in quel modo, Arthur aveva perso ogni straccio di combattività.

“Già Merlin, questo mi sembra chiaro. È ovvio che fosse solo un passatempo.”

“Appunto. Quindi direi che si può considerare il caso chiuso.”

“Fai come ti pare. Visto che ci sono prendo la roba che avevo lasciato qui.”

“Sì.”

“In fin dei conti era una cosa da fare comunque. È una specie di miracolo, ma in effetti stavolta hai ragione. Il regalo lo faccio comprare a Gwen, stasera voglio uscire.”

“Mi sembra una buona idea.”

“Lo è, infatti. È un po’ che non faccio del sesso normale. Non so nemmeno perché, in effetti.”

“Mh-mh.”

“Ce l’hai una scatola?”

“No, ma ho un sacchetto grande. Aspetta, lo vado a prendere.”

“…”

“…”

“Sei impazzito?!”

“No Merlin, penso che lo sia tu.” Gli aveva risposto con un tono così calmo che a Merlin era venuto un brivido. Arthur era molto cose, ma non calmo: non capiva bene chi (cosa) avesse davanti. “Ti stai comportando da isterico senza uno straccio di motivo.”

Lui lo chiamava uno straccio di motivo.

Merlin lo chiamava “limitare i danni”. Ma questo non glielo aveva detto.

 

“IO sarei isterico?! Hai appena rotto una tazza!”

A Merlin piaceva quella tazza. Che peraltro era sua, non di certi somari infami.

Arthur non avrebbe dovuto romperla, non apposta.

A qualcosa però era servito: non era sicuro di come andasse presa l’improvvisa schizofrenia di Arthur, ma vederlo arrabbiarsi per qualcosa di diverso dal loro ultimo argomento di conversazione forse lo avrebbe risvegliato. Un po’, quel che bastava a Merlin per convincersi che non avrebbe provato quel tipo di brivido mai, mai più.

 

La sfuriata per la tazza in effetti distolse Arthur dal suo inquietante momento zen. Adesso era di nuovo incazzato nero, che bello.

“Sì, perché sono sicuro che la tua testa invece non si romperebbe nemmeno se la sbattessi sul pavimento! Cosa vuoi, Merlin?! Non pensavo che a due amici che scopano servisse l’anello di fidanzamento!”

“Infatti non ho mai detto nulla del genere! Ma questa cosa non serve a niente e… e poi… e poi non è nemmeno come se io ti amassi, Arthur. Quindi piantiamola di fare casini e…”

“Lascia perdere, sono stufo di queste cazzate. È chiaro che non ci stai più con la testa, quindi non mi servi a niente. Non me ne faccio nulla di un tizio così inutile.”

“Come vuoi. Adesso va’ via, però.”

 

Arthur se n’era andato con le sue carabattole sotto mano, e davanti alla porta chiusa Merlin aveva usato tutta la forza che aveva nel suo corpo inutile per non reagire come aveva fatto nel bagno dell’Albion.

C'era riuscito, ma per qualche strano motivo questo non l'aveva aiutato a sentirsi meglio.

 

 

 

 

 

 

Se lui mi amasse anche solo un po'

potrei morire felice.

 [Sekai-Ichi Hatsukoi, 1° OAV]

 

 

 

 

Note di Melchan:

 

Ed eccoci al penultimo capitolo \O/

Adesso manca solo l'ultimo, che in effetti come preannunciato è anche l'unico che non avevo e non ho ancora scritto 8D Non posso promettere una data precisa :\ ma a chi fosse interessanto prometto di non far aspettare eoni <3

Then, grazie! a tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite >w< (ci sono persino dei preferiti °.° Sono felice che vi piaccia ragazzi, davvero :3).

All'ultimo, e grazie in anticipo anche a chi eventualmente vorrà essere gentile abbastanza da lasciare un parere <3

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Capitolo 4
*** Parte quattro ***


4.

(Se questo capitolo è qui, c’è da ringraziare anche Max Pezzali e Nient’altro che noi, che è una delle sue canzoni che preferisco al mondo e mi ha tenuto compagnia per quasi tutta la stesura. Per altre note e scuse, vedere a fine fic)

 

 

We don't get to choose who we love.

[Game of Thrones, Jaime Lannister]

 

 

Quando, due giorni dopo la disastrosa uscita, Merlin si svegliò e guardò il cerchietto rosso sul calendario, si chiese se quello che aveva in mente di fare avrebbe rischiato di allungare solo il tempo di attesa per una ripresa di rapporti quantomeno civili.

Era il dieci Gennaio: da due anni, quel giorno Merlin aveva un appuntamento. Aveva scoperto per caso a cosa corrispondeva la data, trovandosi al funerale del suo professore di Letteratura Inglese nel cimitero sbagliato al momento sbagliato e notando una testa bionda che avrebbe riconosciuto davvero ovunque e che da qualche mese occupava una porzione assurdamente grande dei suoi pensieri.

Nonostante fossero già le dieci del mattino (negli ultimi giorni dormiva troppo, non ci era abituato) Merlin rimase steso nel suo letto a una piazza. In teoria era assurdo pensare di andare: che senso avrebbe avuto? Eppure all’idea di restare a casa e saltare la visita si sentiva poco bene, come se tutto dentro di lui gli dicesse che stava facendo la cosa sbagliata.

Decise di alzarsi e tenersi occupato col lavoro, per smettere di pensarci. Resistette fino alle quattro di pomeriggio, quando era quasi certo che la famiglia Pendragon avesse finito da un pezzo, prima di infilarsi il cappotto con un gesto nervoso e uscire di casa. Prese le fermate di metro che lo separavano dal quartiere di Arthur, e da lì l’autobus per il cimitero.

Appena sceso entrò nel bel negozio di fiori vicino al Campo Santo, acquistò il mazzo di fiori rosa e bianchi che aveva comprato l’ultima volta e si avviò verso il cancello, lanciando occhiate intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno che conosceva.

 

Il sospiro di sollievo che gli uscì rendendosi conto che il cimitero era quasi deserto si fece più profondo notando gli altri mazzi di fiori intorno alla lapide. Negli ultimi due anni la celebrazione era stata al mattino e quell’anno non dovevano aver fatto eccezione.

Il suo sollievo durò circa trenta secondi, poi notò la borsa nera abbandonata vicino ai fiori. Era di Morgana.

Merlin avrebbe scommesso che tra poco qualcuno sarebbe arrivato a cercarla, forse addirittura Morgana stessa. Per un momento considerò l’idea di fuggire più veloce del vento, ma all’idea di mollare i fiori e scappar via si vergognò come un ladro. Sarebbe stato come arrivare fin lì solo per scaricarsi la coscienza, e gli sembrò più spregevole di non andare proprio.

Si disse che avrebbe fatto in fretta e sarebbe andato via alle prime voci che avesse sentito.

 

Si avvicinò un altro po’ alla lapide, concentrandosi su quella invece che sull’angelo bianco che la sovrastava, e guardò le date incise sul marmo: era una cosa che lui faceva sempre. Lo aveva visto al funerale del suo professore, quando l’altro ancora non si era accorto di lui, e anche l’anno dopo, quando si era trovato lì di proposito. 

E guardando la lapide di Igraine Pendragon per la terza volta in via sua, Merlin per la terza volta si sentì sollevato che la data distasse almeno qualche giorno dalla nascita di Arthur. Sapeva che era un pensiero molto egoista, infatti non lo avrebbe mai espresso ad alta voce, ma quando ci pensava non riusciva a evitare che un’onda di gratitudine gli fluisse dentro.

Se le date avessero coinciso nettamente, Merlin era sicuro che guardare quella lapide per Arthur sarebbe stato ancora più difficile.

Sapeva che c’erano tante persone per cui invece era esattamente così, ma Arthur era l’unica che conoscesse la cui madre fosse morta a seguito del parto, e tutto quello che riusciva a fare quando lo guardava fissare quella tomba era pensare a cose del genere e restare in silenzio.

Forse questo lo rendeva una persona cattiva, ma ci avrebbe convissuto.

 

Unì le mani davanti a sé e chiuse gli occhi. Sì inumidì le labbra d'istinto e cominciò la sua silenziosa chiacchierata annuale con la madre di Arthur.

Salve, sono Merlin, non so se si ricorda di me. Sono certo che i suoi familiari saranno di nuovo qui tra poco, perciò non ci metterò troppo, glielo prometto.

Una folata di vento gli si insinuò giù per la piccola porzione di collo lasciata scoperta dal cappotto. La ignorò.

Sa, al momento io e suo figlio abbiamo qualche problema in sospeso, per questo sono venuto da solo. Ma non deve preoccuparsi, si riprenderà benissimo, è solo questione di tempo. I suoi amici gli vogliono un bene enorme, ma questo lo sa già, ed è probabile che entro pochi anni si sposerà con una ragazza bellissima e... una ragazza bellissima e molto forte, davvero molto forte, e scommetto che avranno dei bambini splendidi e intelligenti. Sono sicuro che sarà molto felice.

Tossì per schiarirsi la gola. Non stava parlando a voce alta, ma gli faceva male uguale. Che stupidaggine.

Io non posso combinare granché per aiutarlo, al momento, ma le prometto che farò del mio meglio. Già così penso di aver fatto una bella cosa: l’ho lasciato andare.

Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto per soffiarsi lo stupido naso che minacciava di gocciolare per colpa del freddo.  

Così ho reso... be', ho reso quel che doveva succedere meno brutto che se avessimo aspettato ancora qualche anno. Lei sa che tipo è Arthur, ne sono sicuro. È destinato a grandi cose, basta andare appena oltre le pose da padrone del mondo che tira fuori quando si sente osservato. Il matrimonio con Sophia, la ragazza di cui le parlavo, o comunque qualcuno del genere, lo aiuterà sicuramente a diventare l'uomo incredibile che è sempre stato destinato a essere. Sono già fidanzati, sa? Ma certo che lo sa, che stupido. Ero io che non ne avevo idea, e in effetti è stato veramente imprudente da parte mia non informarmi prima. Ma adesso ho risolto tutto. Lui probabilmente ci metterà un po’ a capirlo, ma ho fatto la cosa migliore. La verità, signora Pendragon, è che… è che se avessi fatto finta di niente, se avessi aspettato ancora un po' di tempo, è probabile che alla fine non sarei riuscito a dirgli addio.

 

Merlin ficcò il fazzoletto sporco in tasca e si passò direttamente la manica sgualcita del cappotto contro la faccia, come faceva da bambino.

All’anno prossimo, bisbigliò, e si voltò per andarsene. La faccia livida di Sophia gli fece prendere uno degli spaventi peggiori della sua breve vita.

- Sei proprio patetico. - sibilò lei, e Merlin, col cuore che batteva forte per la sorpresa, pensò che probabilmente, anzi di sicuro, aveva ragione.

- Me ne stavo andando. - borbottò in risposta, sperando di non avere un aspetto troppo sfatto, e s’incamminò.

Mentre si allontanava sentì delle voci dietro di sé, ma non si voltò. Se Sophia era intelligente non avrebbe detto nulla, e sarebbe bastato che nessuno lo riconoscesse per essere salvo.

- Merlin! –

Ovviamente. La voce di Morgana era alta e chiara, ma fece finta di niente e proseguì.

- Merlin, aspetta! - aumentò l’andatura, trattenendosi appena dal mettersi a correre. Sperò che per una volta in vita sua Morgana capisse quando era momento di mollare il colpo e lo lasciasse stare; quando sentì dei passi di corsa dietro di sé capì che era una speranza stupida. Un po’ come quella di continuare a scherzare, fottere e stare attaccati con la colla ad Arthur per il resto dell'eternità e senza pensieri per il futuro, giustamente fatta a pezzi in un pub di Londra dalla ragazza che gli aveva appena dato - a ragione - del patetico.

Quando si sentì tirare per una manica cercò di strattonare via il braccio, sperando di non far inciampare Morgana ma deciso ad andarsene di lì il più in fretta possibile. La persona dall’altro lato lo tirò così forte che Merlin e il suo inutile corpo gracilino quasi gli rovinarono addosso.

- Si può sapere che diavolo stavi facendo?! - Arthur era scarmigliato, arrossato e bellissimo. Merlin lo guardò bene, ancora col fiatone, ed ebbe paura di quello che avrebbe potuto fare se non se ne fosse andato subito. Cercò di tirar via il braccio un’altra volta; non che avesse qualche possibilità, a livello di prestanza fisica, ma sperava che ad Arthur bastasse lo sforzo per decidersi a lasciarlo. Tanto per rimanere in tema di speranze insensate.

Arthur ovviamente non smise di stringergli il braccio, e quando Merlin rimase in silenzio, cercando di apparire quasi non curante, lo scosse un pochino, cercando la sua attenzione: - Allora? Rispondimi! -

A Merlin venne in mente che non l’aveva mai, mai visto alzare un dito su Morgana mentre litigavano, nemmeno per scherzo. Lui invece si era sempre divertito a trattarlo come il suo bambolotto personale, toccandolo, strattonandolo e dandogli pacche più o meno (soprattutto meno) scherzose.

Merlin pensò di sfuggita che avrebbe dovuto prevedere che le cose sarebbero finite male sin dall’inizio, solo per il modo in cui Arthur lo toccava, l’intimità strana e prolungata che seguiva a quei maneggiamenti, sempre diversi da quelli con cui si azzuffava con Lancelot, Gwaine e gli altri.

 

Merlin rabbrividì quando un primo fiocco di neve gli scivolò contro il collo, chiedendosi come doveva sentirsi Arthur con quel freddo, solo una camicia nera addosso; gli disse di lasciarlo andare.

- Prima dimmi che cosa facevi qui. -

- Ero venuto a portare dei fiori a tua madre, nient’altro. -

- Ma perché?! Come t’è venuto in mente di farlo adesso? -

Merlin scosse appena le spalle, senza guardarlo. - Non è colpa sua se… se abbiamo discusso. Non volevo disturbare la tua famiglia, per questo non mi sono voltato. Adesso, per cortesia, lasciami andare. -

- Arthur! Fa freddo! Per favore, vieni. - Si voltarono entrambi, d’istinto, verso la voce poco lontana di Sophia. Merlin, suo malgrado, pensò che era proprio bella: si era tirata il cappellino di lana fin sopra le orecchie, ma si vedevano comunque benissimo i suoi capelli, rossi come le guance infreddolite.

Morgana stava dritta al suo fianco, la bocca ridotta ad una riga di disapprovazione e gli occhi che incenerivano Sophia; aveva tirato su il cappuccio della sua mantella color ciliegia, stringendo al petto la borsa nera che aveva dimenticato poco prima vicino ai fiori.

Arthur sembrava destinato ad esser sempre circondato da donne bellissime, pensò Merlin con un mezzo sorriso. Avrebbe solo voluto che l’idea non avesse quel retrogusto amaro che gli chiudeva stupidamente la gola.

- Ti stanno aspettando. Sbrigati, non vorrai che prendano freddo per colpa tua, no? -

Arthur sbuffò. - Come se tu fossi più resistente di loro. Stupido. - gli lasciò il braccio, ma incrociò le braccia contro il petto e lo fulminò con lo sguardo, come sfidandolo a provare ad andarsene.

- Come pensi di tornare, comunque? Hai i soldi per un taxi almeno? -

- Sì. - mentì Merlin - Va tutto bene. Adesso torna da loro, dai. Dì a Morgana che mi dispiace di non averle risposto, va bene? - si sforzò di sorridere. Stava per andarsene davvero, senza dare ad Arthur il tempo di replicare e con l’orgoglio sgualcito ma non fatto a pezzi, quando gli venne in mente che considerando com’era andata l’ultima uscita, probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta in cui lo avrebbe visto per molto, molto tempo. Fu questo a tradirlo.

Ce l’aveva quasi fatta a uscire di scena in modo dignitoso, ma la solita, stupida apprensione che aveva sempre provato nei suoi confronti decise di rovinare tutto.

- Cerca di stare attento, okay? Non voglio sentir dire che ti sei ammazzato in qualche maniera bizzarra. E ... – dovette schiarirsi la gola. Stava diventando un’abitudine insopportabile da qualche giorno a quella parte - … e la prossima volta che esci con un tempo del genere vestiti un po’ di più. Persino quel maglione rosso pieno di buchi è meglio che andarti a cercare una broncopolmonite in questa maniera, asino. -

Resistette all’impulso di aggiustargli le maniche della camicia nera, che erano risalite un poco e gli lasciavano troppa pelle esposta alla neve, e sperò vagamente che ci facesse caso Morgana (sapeva che probabilmente non sarebbe stata lei a notarlo e aggiustargliela, ma il suo cervello conservò la più probabile alternativa per quando sarebbe stato a casa, da solo, e avrebbe potuto reagire come lo stupido che era a tutto quel pomeriggio).

 

Sta’ attento, Arthur. ripeté tra sé. Sperò di averlo solo pensato, e senza più guardarlo si voltò, consapevole che non sarebbe arrivato nemmeno al cancello del cimitero con una faccia presentabile.

Doveva ancora fare il quarto passo quando un Dannazione! fortissimo fendette l’aria, e lui si sentì tirare all’indietro per il colletto del cappotto, così d’improvviso che questa volta inciampò davvero nei propri piedi e rovinò sul ghiaino.

- Sta’ lì. - ringhiò Arthur, poi si avviò a grandi passi verso le ragazze.

Merlin lo guardò dire qualcosa a Sophia e poi allontanarsi con lei verso un’altra tomba, dove un’alta Vergine Maria li nascose alla sua vista.

Non capiva cosa diavolo fosse venuto in mente ad Arthur così all’improvviso, ma gli sembrò di restare lì ad aspettare sotto la neve che cadeva piano, immobile come in attesa di una fotografia, per una quantità spropositata di tempo.

 

La prima a tornare visibile fu Sophia. Non piangeva, ma aveva un’espressione furibonda in viso e cercò di passare accanto a Morgana senza dire niente. Merlin vide l’altra fermarla per un braccio e avvicinarsi al suo viso per dirle qualcosa. La tenne lì pochi secondi, e appena la lasciò andare Sophia praticamente corse via dalla tomba, diretta verso il cancello principale del cimitero.

Un momento dopo uscì anche Arthur, e Merlin poteva vedere il suo viso ingrugnato. Morgana si mise a ridere, forte abbastanza da far arrivare il suono fino alle orecchie di Merlin, e poi diede un pugno scherzoso sulla spalla del fratello. Arthur le abbaiò qualcosa che Merlin non riuscì a capire, poi lei si voltò verso di lui, lo salutò agitando la mano con un sorriso enorme stampato sul viso e si avviò a grandi passi, probabilmente verso la macchina.

 

Arthur quasi trotterellò verso di lui, con le mani ficcate in tasca e su una guancia quello che Merlin riconobbe pochi secondi dopo come l’inconfondibile segno di un ceffone fresco.

- Adesso sarai contento. - si lamentò, guardandolo in cagnesco.

- Scusa? -

- Ora non ci sarà sicuramente nessuno stupido matrimonio. Sarai soddisfatto. -

Merlin cercò di dare un significato sensato a quelle parole. Arthur non poteva intendere la prima cosa che Merlin aveva pensato. Non poteva, non era previsto nell’ordine delle cose, non…

- Allora?! Io scarico una ragazza con cui non stavo nemmeno insieme e mi prendo un ceffone solo per colpa delle tue paranoie, e tue che fai? Stai lì immobile come un idiota. - Questo non gl’impedì di restare a sua volta fermo immobile davanti a Merlin, come se stesse aspettando qualcosa.

- Tu… l’hai fatto davvero? Le hai davvero detto che non… hai rotto il fidanzamento? E tuo padre? - Merlin non voleva crederci. Non poteva illudersi di una cosa del genere. Non poteva.

- Non c’era nessun fidanzamento ufficiale da rompere, come ti ho già detto un milione di volte. In quel caso sarebbe stato… più complicato, però avrei… insomma, non era questo il caso! Solo che a lei non è piaciuto sentirselo dire, tutto qua. -

Merlin scoppiò a ridere. Gli prese il mento in una mano e girò la guancia rossa per vederla meglio, senza smettere.

- Ti ha dato proprio un bel colpo, scommetto che te lo sei meritato per come l’hai detto. -

- Non me lo sono meritato affatto, Merlin! E se tu non ti comportassi tanto spesso come una ragazzina isterica non sarebbe successo niente di tutto questo. E adesso taci. -

Merlin stava per rispondergli a tono, ma Arthur lo interruppe nel modo più banale, scontato e splendido di tutti.

 

*

Quando tornarono alla macchina Uther sgridò Arthur per aver perso tutto quel tempo, sotto una mezza tempesta di neve per giunta, e ordinò all’autista di partire subito. Lanciò a Merlin uno sguardo leggermente affilato, ma Morgana doveva aver già annunciato che avrebbero dato un passaggio a un amico, perché non disse niente (nemmeno lo degnò di un saluto vero e proprio, in effetti).

Fu uno dei viaggi più strani della vita di Merlin, se non il più improbabile in assoluto, visto che metà macchina gioiva più o meno internamente – nel senso che Morgana aveva l’aria soddisfatta di un gatto che ha mangiato non uno ma tre canarini, e Merlin cercava di ricacciare indietro l’aria allegra (niente di più, proprio no) che gli saliva al volto appena posava lo sguardo su Arthur, mentre l’altra parte sembrava emanare onde di gelida rabbia dai capelli rossi o aveva l’aspetto imbronciato e confuso di chi non capisce la situazione, ma sa che non gli piace.

Uther e il padre di Sophia, che, come Merlin scoprì il giorno dopo da Morgana, era cugino di secondo grado della madre di Arthur, e per motivi non particolarmente misteriosi quell’anno aveva pensato di fare visita con la figlia alla tomba della cugina per il suo compleanno, continuarono a lanciare occhiate poco discrete ai figli per tutto il tempo. Era abbastanza chiaro che non riuscissero ad afferrare (o non volessero riuscire ad afferrare) cosa diavolo era successo mentre i ragazzi erano a recuperare la borsa dimenticata da Morgana, ma dopo pochi minuti passati a osservare la situazione, entrambi cominciarono a occhieggiare Merlin come se avessero fiutato che lui era una grossa parte della questione.

 

Una volta scaricato a casa e con la mente un po’ disintossicata dalla nuvola d’idiotissimo giubilo che l’aveva avvolta da dopo… da quando aveva fatto pace con Arthur, Merlin cominciò a sudare freddo all’idea che Sophia raccontasse a Uther e a suo padre com’era andata.

Stava giusto pensando se scrivere ad Arthur per avere ragguagli, quando il cellulare squillò e scoprì che Morgana aveva già provveduto.

“Se hai paura che ci sia una fuga d’informazioni non preoccuparti, le ho parlato io. Non dirà una parola.”

Merlin sorrise pensando a quanto doveva essersi goduta quel tono da agente segreto.

Mentre scriveva una risposta per ringraziarla e chiedere delucidazioni riguardo alla gravità delle minacce che aveva elargito a Sophia, il cellulare suonò di nuovo. Salvò il messaggio di risposta nelle bozze e andò a controllare quello nuovo, chiedendosi se Morgana si fosse ricordata qualcos’altro.

Era da parte di Gwen e diceva solo “<3”

Merlin si schiantò una mano sulla faccia e s’appuntò mentalmente di dire due parole a Morgana riguardo al suo concetto di discrezione appena l’avesse rivista di persona. Poi tornò a ringraziarla.

 

 ***

 

Note di Melchan:

Ci ho messo un anno e mezzo quasi spaccato a scrivere quest'ultimo capitolo, ma CE.L’HO.FATTA. Quasi non ci credo nemmeno io gente, ma eccolo qui. Dopo tutto questo tempo in cui pensavo al finale con solo un’idea in testa che non mi piaceva per niente, ho finalmente avuto la benedetta illuminazione su come far finire questa fanfiction, ed è venuta fuori tutta la cosa del cimitero.

Io spero il capitolo vi sia piaciuto.

Detto questo, devo dire ben SEI cose: GRAZIE GRAZIE GRAZIE e SCUSATE SCUSATE SCUSATE a tutte quelle ragazze (se qualcuno fosse un maschio, ovviamente vale anche per lui) che mi hanno scritto nel corso del tempo commentando la storia o addirittura mandandomi messaggi privati gentilissimi e adorabili dove mi dicevano che la storia gli era piaciuta e chiedevano se avrei mai postato il capitolo finale. Non sapete quanto scaldi il cuore e invogli a rimettersi al lavoro ricevere cose del genere ;\\\; 

Veramente, ringrazio di cuore e chiedo scusa per tutto il tempo che ci ho messo a scrivere proprio l’ultimo capitolo a queste persone e a tutte le altre che abbiano rivolto un pensiero positivo alla storia, lasciando un segno attraverso i commenti e/o inserendo la storia in qualche lista o meno.

Un abbraccio a tutti voi e un altro grande grazie!

 

Con affetto,

Mel

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