Everywhere di LarcheeX (/viewuser.php?uid=101658)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (parte 1) ***
Capitolo 2: *** Prologo (parte 2) ***
Capitolo 3: *** 1. Il triumvirato dei mezzi ***
Capitolo 4: *** 2. Dovrei essere felice. ***
Capitolo 5: *** 3. Smistata dalla parte sbagliata ***
Capitolo 1 *** Prologo (parte 1) ***
Everywhere.
Prologo (parte 1).
L’aria
frizzante della sera
sembrava tranquillamente immobile, nella Foresta Proibita. Gli alunni
di Hogwarts
cenavano tranquillamente in sala grande e non sembravano percepire
nulla.
Ma
due aure demoniache si stavano
addentrando nella Foresta, all’insaputa di tutta la scuola.
Era strano che
nessuno si fosse accorto di niente, perché una delle due era
davvero potente,
sterminata e invincibile; anche l’altra sembrava forte, ma
veniva in qualche
modo oscurata dalla prima.
Un’altra
cosa strana era che
queste due aure erano estremamente simili, come se fossero sorelle. Procedevano a grandi balzi e
riuscivano a percorrere in
poco tempo una grande distanza, con una velocità davvero
elevata.
“Inuyasha!”
gridò il primo, nella
corsa, il possessore dell'aura più elevata:
“Ancora non ho capito perché
stiamo scappando!” dal tono scettico sembrava non approvare
la scelta
dell’altro.
La
creatura chiamata Inuyasha non
rispose subito, perché era voltato a controllare che nessuno
li vedesse, nel
paese chiamato Hogsmeade. “Sei ferito. E sono in
troppi.” Osservò infine,
puntando lo sguardo sulla figura del fratello, di cui vedeva solo la
schiena
insanguinata. Il ragazzo ferito sbottò in una cupa risata:
“Sono un demone
maggiore, stupido, credi che una ferita del genere mi possa fermare?
Avrei
potuto ucciderli con un semplice attacco!”
Inuyasha,
pur correndo, alzò gli
occhi al cielo: l’orgoglio di Sesshomaru non gli avrebbe mai
permesso di farsi
vedere in difficoltà. Ma, orgoglio o no, Sesshomaru era
stato colpito
da un sectusempra e la ferita sulla
spalla sembrava terribilmente profonda, e continuava a sanguinare e
sporcargli la camicia, ma nonostante ciò il demone
aumentò ancora la velocità,
tuffandosi a capofitto nella foresta vicino al Castello.
“Sesshomaru,
cosa intendi fare?
Lì si nascondono i loro
alleati, non
possiamo entrarci!” gridò, cercando di fermarlo,
ma non fu degnato di ascolto.
Poi, l’odore di cavalli giunse anche alle suo naso. Centauri.
I
centauri erano esplicitamente
dalla parte dei due, poichè il loro orgoglio non permetteva
loro di accettare alcun dominatore, e a
giudicare dall’odore che riusciva a percepire erano almeno un
centinaio. Era lì che
Sesshomaru voleva andare.
Arrivarono
in poco tempo nel bel
mezzo del covo dei loro alleati, ma non videro nessuno. “Il
loro odore è
improvvisamente scomparso.” Sussurrò a mezza voce
Inuyasha, dando le spalle a
Sesshomaru. Il fratello annuì.
All’improvviso,
furono
circondati.
I
due fratelli indietreggiarono
fino a trovarsi schiena contro schiena, quella sporca di sangue, magra
e
muscolosa di Sesshomaru contro quella più bassa e tesa di
Inuyasha. Intorno a
loro, si materializzarono come fantasmi una trentina di figure
incappucciate,
sghignazzanti per essere riusciti a incastrare i figli del famoso
demone cane
Inu no Taisho.
“Sesshomaru.”
Chiamò quello che
sembrava il capo: “Davvero non me l’aspettavo. Non
eri uno dei demoni dalla
parte del sangue puro?” lo rimproverò, con un
ghigno divertito celato dal
cappuccio. La voce era strascicata e moderata dalla freddezza, ma
lasciava comunque
trasparire una vena di disprezzo. Il demone sbuffò, a
metà tra il divertito e
l’annoiato: “Mi sembra che ci sia qualcosa di
più importante della purezza del
sangue, Draco.” Constatò inespressivo, mettendosi
all’erta. Quello scoppiò a
ridere: “Forse. Allora è per questo che ti sei
messo in combutta con il tuo
caro fratellino mezzodemone.”
Sibilò
l’ultima parola con disgusto, come se fosse il nome di un
orrenda creatura
indegna di esistere, come se fosse l’esatto contrario di
sé stesso, come se
preferisse sprofondare nell’inferno piuttosto che essere in
contatto con una
tale feccia. E probabilmente fu questo a urtare particolarmente
Inuyasha,
perché estrasse Tessaiga e la puntò contro il
viso celato di Draco: “Bada a
come parli, schifoso mangiamorte! Sarò anche un mezzodemone,
ma nulla mi
impedisce di farti a fettine.” ringhiò, lievemente
rosso per essere stato preso
in giro. Essere considerato inferiore solo per la sua natura mezza
umana lo faceva
arrabbiare come pochi.
Scoppiarono
tutti a ridere: “Eh, piccoletto…
ci sai fare a minacce!” intervenne una voce femminile con
tono sfottente, anche
se piuttosto gracchiante. “Neanche la metà dei
miei anni e già pretende di
esigere rispetto. Ed è un mezzosangue per di
più!” inveì, latrando il suo
disgusto con una voce piuttosto acuta. “Basta Bellatrix, il
Signore Oscuro ci
ha dato ordini ben precisi.” l’ammonì
Draco, con uno scatto del braccio,
prendendo la bacchetta fra le dita.
“E
il vostro Signore Oscuro è
così vigliacco da non prendere nemmeno
l’iniziativa di annientare un demone e un
mezzodemone?” chiese Inuyasha,
sprezzante.
“Oh,
ma certo che la prendo, mio
caro Inuyasha.” Esclamò una voce gelida, suadente
e affabile che sembrava
provenire dall’alto, quanto era potente, ma ben presto fu
riconducibile ad un individuo
che emerse subito dopo dal folto della foresta.
Era
un uomo alto, anche se di
umano conservava ben poco, considerati i tratti serpentini del volto e
gli
occhi rossastri. Tutti i mangiamorte si inchinarono immediatamente,
lasciando
che lo sguardo di Sesshomaru incontrasse quello freddo di Lord
Voldemort, che
sembrava enormemente soddisfatto: “Sesshomaru…
quale piacere incontrare il figlio
del mio acerrimo nemico.” Sussurrò affabile,
prendendo la bacchetta in pugno,
mentre il demone posava la mano su Tenseiga, fiutando il pericolo.
Sentiva
qualcos’altro nell’aria, come un ulteriore aura
oppressiva, che andava ben
oltre quella dei mangiamorte. Ma non capiva cosa fosse.
Sentì la schiena del
fratello irrigidirsi contro la sua per la tensione.
Estrasse
Tenseiga, mentre
l’ilarità scoppiava tra i mangiamorte:
“Tu… Sesshomaru, vuoi davvero uccidermi
con una spada che non riesce nemmeno a tagliare una rapa?”
ridacchiò Voldemort,
con un sorriso ironico sulle labbra bianche. Ma non riuscì a
trovare una
risposta, perché Inuyasha, irritato ulteriormente
dall’essere stato ignorato
perché mezzodemone, aveva già attaccato alcuni
maghi con un fendente micidiale
di Tessaiga, dando inizio alla battaglia.
Inuyasha
non si curò molto degli
incantesimi di ostacolo che qualcuno gli aveva lanciato,
perché, essendo un
mezzodemone, su di lui avevano un effetto assai limitato, ma doveva
stare
attento alle Maledizioni che fendevano l’aria in scintille
verdognole, perché
quelle uccidevano. Gettò uno sguardo fugace sul fratello,
che era impegnato in
un confronto corpo a corpo con sette mangiamorte e Voldemort stesso, e
decise
che era ora di dargli man forte. Quando si diresse verso di lui vide
che il
laccio lucente che Sesshomaru stava comandando aveva già
ucciso un avversario.
Rischiavano di farlo arrabbiare sul serio, quelli lì. E se
non volevano vedere
un Sesshomaru in forma completa conveniva loro andarsene, e subito.
Il
demone si muoveva con grande
agilità, nonostante la ferita sulla spalla che non accennava
a smettere di
sanguinare, e aveva massacrato senza pietà gli altri suoi
avversari, rimanendo
a fronteggiare il più pericoloso dei suoi nemici in mezzo ai
loro cadaveri.
Lo
guardò con odio, lo stesso
odio che tre anni prima aveva sempre riservato al proprio fratellastro
che si era
intromesso tra lui e suo padre. Ma il Generale era stato ucciso proprio
dall’uomo che in quel momento lo scrutava con un ghigno
affabile. La sua natura
demoniaca esigeva una vendetta,
desiderava il suo sangue per lavare via l’onta che era stata
fatta alla sua
stirpe, e sapeva che avrebbe fatto di tutto per ottenere ciò
che voleva.
Le
sue orecchie a punta sentirono
uno scalpiccio di zoccoli al galoppo e pensò immediatamente
che i rinforzi
fossero finalmente arrivati. Si mosse per disarmare Voldemort della
propria
bacchetta ma non lo trovò perché scomparve e si
materializzò dietro di lui,
minacciandolo sul collo. Fece in tempo a mollargli un calcio per
liberarsi e
osservò che la scena dei combattimenti era assai critica:
Inuyasha era
circondato da nemici e lottava con tutte le sue forze, anche se lo
stavano,
lentamente, sopraffacendo. Era pur sempre una sola persona contro
dieci. Ma non
era questo quello che lo sconvolse. I centauri erano arrivati,
sì, ma stavano
combattendo per i mangiamorte.
Non
appena riuscì a realizzare
che avrebbero di sicuro perso si accorse del sorriso vittorioso del
Signore
Oscuro, che si allontanò leggermente da lui,
immobilizzandolo con una
Maledizione, e di un centauro che gli puntava l’arco al
petto, da lontano.
Non
riuscì ad opporsi: il suo
corpo non riusciva a contrastare le Tre Maledizioni Senza Perdono, e
per di più
era indebolito dalla ferita che, lo capiva solo in quel momento, gli
aveva
fatto versare più sangue del dovuto.
Successe
tutto al rallentatore:
la freccia fu scoccata, e raggiunse la sua spalla dopo un tempo che gli
sembrò
infinito, in cui Inuyasha si girava e spalancava gli occhi, proprio
mentre il
demone comprese che quella non era una freccia per uccidere, ma un
sigillo.
Rimase impotente a subire la propria carcerazione, maledicendosi per
non
essersi accorto dell’inganno di Voldemort.
La
freccia lo inchiodò all’albero
che aveva di spalle, un albero del vino, sollevandolo di qualche metro
da
terra. Subito sentì il proprio corpo inaridirsi, come se
stesse perdendo la propria
energia demoniaca, e percepì le proprie palpebre farsi
pesanti. Quella sarebbe
stata la sua fine, inchiodato, sigillato a un albero dal quale non
sarebbe mai
sceso. La foresta in cui si trovava era così immensa e
misteriosa che nessuno
si sarebbe mai addentrato per vedere cosa ci fosse. Sarebbe stato
lì per
sempre, non vivo, ma nemmeno morto. Sentì le urla di
giubilio dei mangiamorte.
L’ultima
cosa che vide fu il
fratello in fuga. Bastardo. Fu
l’ultimo dei suoi pensieri. Non lo avrebbe aiutato. Aveva
fatto male a fidarsi
di lui. Sarebbe fuggito con la sua vita, mentre lui rimaneva
lì, appeso come
uno stupido che si era fatto gabbare.
Inuyasha… mi vendicherò! Poi
il buio e l’incoscienza lo portarono
con loro.
In
quello stesso momento, a
Londra, Albus Severus Potter vedeva nascere la propria figlia.
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Avevo
un'insana voglia di postare questa storia, che durerà assai
e assai.
bene,
direi che ho finito le cose da dire. rm rm rm.
spero
che questo gigantesco crossover che inserisco qui vi piaccia. alla
prossima.
*ninjapoof*
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Capitolo 2 *** Prologo (parte 2) ***
Prologo (parte 2).
“Non
credi che in cambio di
questa obbedienza io possa chiederti… qualcosa?”
Meido
sentì la voce scivolarle
sul collo, fino alla scollatura della camicia, cominciando a farsi
strada sul suo
corpo. Odiava quella vita. Odiava quel modo di fare. Purtroppo era
l’unico che
funzionava, in quella scuola corrotta.
“Ferma
gli ippogrifi, tesoro.”
Mormorò, divincolandosi dalla stretta possessiva del mago di
fronte a lei.
Attraverso il buio riuscì a distinguere i capelli biondi e
il tipico baluginio
lussurioso degli occhi del suo professore di Arti Magiche di Attacco.
Verme
schifoso. Guarda te cosa era costretta a fare per qualche protezione
legale.
“Prima l’attestato di
Intoccabilità.”
Lui
sorrise, e, dopo quale
mescolamento in un cassetto lì vicino, tirò fuori
un plico legato con un nastro
rosso. “E ora…” mormorò,
prendendola per un polso, ma lei si divincolò ancora:
“Scusa tanto, ma prima preferirei leggerlo.”
L’uomo,
accontentandola di nuovo,
accese con un rapido movimento della bacchetta le candele della stanza,
fermandosi poi ad osservare la figura sinuosa della ragazza, scorrendo
con lo
sguardo sui suoi lunghissimi capelli biondo cenere, gli occhi color
mare
intenti nella lettura, il seno dall’abbondante profilo, i
fianchi morbidi ed
eleganti, i glutei sodi e muscolosi, le gambe lunghe e ben disegnate,
pensando
poi che si vedeva lontano un miglio il fatto che quel corpo
così perfetto fosse
quello di un demone e non di una donna umana. Lei sembrò
convincersi del fatto
che l’attestato fosse autentico, come in effetti era, e lo
infilò in una tasca
della tunica da strega, che sfilò subito dopo.
“E
ora che ne dici di provare
quel materasso?” disse, quasi innocentemente, afferrandola
per i fianchi e comprimendola
tra le sue mani e il proprio bacino pulsante. Meido decise di dover
stare al
gioco, e infilò una mano nei pantaloni del proprio
insegnante, graffiandolo
lievemente con i suoi artigli demoniaci. Lui non si aspettava certo
un’azione
così decisa da parte di lei, e si lasciò guidare
fino al letto, permettendosi
solo di cominciare a denudarla.
Meido
si sistemò a cavalcioni
sopra di lui, iniziando a muoverglisi sopra con movimenti lenti ed
estenuanti,
fino a raggiungere un ritmo serrato, che lo spinsero al limite della
sopportazione.
Lui
voleva averla in quel
momento, seduta stante. Sentì le sue mani salirle al di
sotto della gonna,
afferrandole con forza le natiche, stuzzicandola
nell’interno, strappandole via
gli ultimi indumenti. Lei rise, di una risata calcolata e carica di
malizia,
cristallina eppur torbida di eccitazione: “Siamo
già al limite, Dohor?”
ridacchiò, prendendolo in giro, facendo pressione
sull’area del suo corpo
ancora troppo chiusa dagli indumenti: “Vorresti
questo?” mormorò, abbassandogli
di scatto i pantaloni e l’intimo, facendo sfiorare le loro
due intimità, ma
ritraendosi ad un tentativo di affondo che lui avanzò
spingendo in avanti il
bacino. Rise ancora, sempre più divertita: “Come
siamo impazienti!”
“Piantala!”
ringhiò lui, a metà
tra l’irritato e l’ansimante. C’era una
sorta di incantesimo nel corpo nudo di
quel demone, un incantesimo attraente e letale, tanto da ridurre in uno
stato
di completa obbedienza anche uomini che non si lasciavano facilmente
sottomettere, come lui. C’era qualcosa nel suo tocco
malizioso e leggero, nelle
sue dita artigliate che scorrevano con una facilità
allarmante sul suo membro,
qualcosa da affascinare non solo lui, che in quel momento godeva di
quelle
attenzioni estenuanti, ma anche qualsiasi altra persona nella scuola,
qualsiasi
studente, professore o inserviente, che, si vedeva, gettavano lunghe e
desiderose occhiate nell’ammirare quel corpo capace di
chissà quale potenza
demoniaca, di chissà quale lussurioso piacere.
Meido
sapeva tutto questo, mentre
si lasciava lascivamente violare ancora una volta per salvarsi la
pelle, lo
sapeva e ne approfittava, capendo ormai che nel mondo in cui viveva era
fortunata ad avere un mezzo del genere per imporsi. Trattenne un gemito
nel
sentire un’altra estranea presenza dentro di sé,
ma, nonostante l’impulso
sempre più violento di gettarsi via, lontano dal carnale
piacere di cui era
capace, cominciò a far leva sui propri muscoli per finire
ciò che aveva
cominciato. Si lasciò penetrare fino in fondo, sempre
più velocemente, guidando
quella danza monotona di spinte e ansiti che ormai aveva praticato
così tante
volte fino alla fine. Sono una puttana
pensò, inarcando la schiena nella foga dell’apice solo una puttana.
Scivolò
lontano da lui prima che
potesse pretendere il bis, rivestendosi velocemente aiutata dalla
nascente e ritrovata
vergogna e dalla rapidità congenita della sua stirpe di
demoni e correndo fuori,
nel parco.
Ad
un certo punto, esattamente il
momento in cui il suo carattere freddamente fiero, calcolatore e
malizioso
riprese il sopravvento, sentì un tumulto, una sorta di
sconclusionata lotta per
la sopravvivenza, ma soprattutto un’aura demoniaca di
estensione mirabile venir
soppressa all’improvviso, con un suono secco come uno
schiocco.
“Sta
accadendo qualcosa, laggiù.”
Si disse, guardando la foresta. Se fosse stata una veggente sarebbe
scappata a
gambe levate.
Arlene
guardava con disincanto la
foresta che le si proponeva davanti, attratta da qualcosa che non
avrebbe
potuto definire. Forse una persona, dall’altra parte, bramava
in incontrarla, o
forse era semplicemente il casuale sguardo che avrebbe potuto
incontrare se
avesse eliminato tutti gli alberi di fronte a lei.
“Muoviti,
numero XII.” Rivolse
un’occhiata di puro odio al proprietario di
quell’ordine perentorio, sibilando:
“Non mi pare di essere io, quella lenta e vecchia,
Even.”
L’uomo
la squadrò come per dire
“giovane maleducata” ma non proferì
parola.
“Devi
comunque sbrigarti,
l’esperimento deve essere cominciato, e sai quanto Xehanort
odi i ritardatari.”
Soggiunse un’altra voce, appartenente ad un ragazzo dai
capelli blu e due
felini occhi gialli, che squadrava i due come traditori solo per colpa
di quel
lieve ritardo. “Ho capito, ho capito!”
esclamò la ragazza, muovendo la mano per
reprimere in anticipo ogni altra parola. “Aggrappati a
me.” Disse, rivolgendosi
all’unico umano del gruppo, e Even si ancorò con
forza alle spalle
apparentemente esili della loro compagna di esperimenti.
“Londra
arriviamo!” trillò lei,
ritrovando quella scatenata passione che tanto la caratterizzava,
cominciando a
correre ad una velocità disumana, seguita dal ragazzo dai
capelli blu, verso un
serpente di binari che, lo sapeva, li avrebbe direttamente condotti da
Hogwarts
a King’s Cross.
Ebbra
del vento e
dell’eccitazione data dall’esperimento
gridò, scherzosa, rivolgendosi all’uomo
che portava sulla schiena: “E non mi palpare il
culo!”
-
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-
-
-
e qui è finito
il prologo.
è stato
introdotto il personaggio di MEIDO ZANGETSUHA, inventato da me e di mia
esclusiva proprietà. il nome viene da una tecnica di
Tessaiga, la spada di Inuyasha in "Inuyasha", e difatti, nel mio
immaginario, Meido sarebbe la figlia di Shishinki, il vero inventore
del Passaggio per l'Aldilà nel manga e nell'anime creato da
Rumiko Takahashi.
chi poi volesse
utilizzare questo personaggio deve prima chiedermi il permesso. Ne sono
molto gelosa perchè ha una caratterizzazione peculiare che
mi è costata due mesi di ponderamenti.
Arlene, Even il compagno
dai capelli blu e il citato Xehanort sono i personaggi di KH II che poi
diventeranno alcuni membri dell'Organizzazione XIII, quelli che si
leggono qui sono i loro nomi da umani, prima di diventare Nessuno.
ebbene, spero che il
fututo sviluppo della storia possa in qualche modo ispirare qualche
recensione.
Buon Natale e Buon Anno
Nuovo.
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Capitolo 3 *** 1. Il triumvirato dei mezzi ***
11 years
later…
1. Il triumvirato dei
mezzi.
“Sei
sicuro di quello che fai?”
chiese Sephiroth, guardandolo dall’alto della sua invidiabile
statura. Rise:
“Non ti preoccupare, mio caro Sephiroth. Non posso certo
tirarmi indietro, ora
che sono qui.”
Le
due figure, una alta e
muscolosa, l’altra piccola e quasi invisibile nella notte,
seguite da altre quattro
che non si riuscivano a definire per il mantello, si diressero con
rapidità
verso l’ingresso secondario del Ministero della Magia.
“Che
squallido.” Commentò l’uomo
dai capelli argentati: “Un’entrata in un
bagno.” Ma, nonostante quanto avesse
detto, infilò senza proteste i piedi nella tazza e
tirò la catena, seguito
dalla piccola figura che si celava ancora dietro un cappuccio di una
tunica
nera e rossa.
“Che
schifo!” squittì una voce
acuta e querula scappata da sotto uno dei quattro mantelli, e il
proprietario
di quella schifata esclamazione fece un passo indietro. Un altro degli
ammantati lo minacciò con qualcosa di molto simile ad una
spada: “Muoviti.” Gli
altri due sembrarono voler difendere il primo, ma la figura in tunica
li
redarguì con voce dura: “Non è il
momento di litigare, e per quanto non
possiate andare d’accordo dovete collaborare. Riku, riponi
immediatamente la
tua arma, prima che qualcuno ti veda.”
Gli
ordini giunsero secchi e
senza possibilità di replica agli orecchi dei quattro, che,
riposto ogni
bollente spirito, entrarono nei bagni e tirarono la catena.
Trovarono
Sephiroth e una vecchia
donna ad attenderli. La donna era davvero molto vecchia, sembrava
doversi
sgretolare tra le sue rughe da un momento all’altro, ma nei
suoi occhi ancora
traspariva ciò che si poteva definire energica e spassionata
determinazione.
“Sono
Bellatrix Lestrange.” Si
presentò: “Il Signore Oscuro mi ha incaricato di
portarvi nella sala del
consiglio.”
Sephiroth,
da brava guardia del
corpo del proprio padrone, si guardò intorno per captare
pericoli ma, a parte
l’aura maligna che permeava ormai su tutto il mondo magico,
non rilevò nulla.
La figura con la tunica aspettò che il suo sguardo si
facesse più tranquillo,
poi disse: “Va bene.”
Camminarono
attraverso le sale
lignee del Ministero della Magia con una sorta di aria
d’attesa che spirava dai
loro corpi, mista anche alla curiosità degli impiegati che
si affaccendavano
attorno a loro.
Procedettero
in silenzio e in
fila indiana per tutto il percorso fino alla sala del consiglio, e
lì furono
introdotti da qualche parola di Bellatrix, poi fu permesso loro di
entrare.
Era
una sala circolare piuttosto
grande con un soffitto altissimo, quasi invisibile, verso il quale
sembravano
volersi protendere le otto gradinate sulle quali avevano già
trovato posto una decina
di persone, in attesa. Quelli dovevano essere i principali generali del
Signore
Oscuro.
C’era
un uomo in particolare che
attirò la sua attenzione: era completamente ammantato da una
folta e bianca
pelliccia di babbuino e sedeva scomposto, con i piedi appoggiati sul
tavolo.
Doveva essere abbastanza importante, per potersi sistemare in una tale
maniera
senza ricevere un ammonimento.
Voldemort
stava al centro della
prima scalinata, su uno scranno intarsiato, e guardava con interesse il
piccolo
gruppo di persone che si era affacciato alla porta. Aveva capito che
quello che
doveva essere il capo era anche quello apparentemente più
piccolo e fragile di
statura, e cercò di capire di quale potere fosse capace per
ottenere
l’obbedienza di un guerriero come quello dai lunghi capelli
argentati, che
tutto sembrava tranne qualcuno incline alla cieca sottomissione.
Anche
l’uomo dalla pelliccia di
babbuino, da sotto il cappuccio peloso, sebbene sembrasse, dalla
posizione,
qualcuno con poca voglia di lavorare e concentrarsi, cercò
di focalizzare chi
era venuto a visitarli così all’improvviso.
Voldemort si accorse della sua
reazione, e avrebbe voluto chiedergli cosa ne pensasse, ma si rivolse
invece al
proprio ospite: “Chi sei?”
Lui
per tutta risposta si cavò il
cappuccio, mostrando il proprio liscio volto di impubere circondato da
una
folta chioma di capelli blu e pieni di boccoli che cadevano su due
iridi
smeraldo.
A
quella vista l’uomo con la
pelliccia di babbuino cominciò a ridacchiare, mentre
Voldemort, irritato sia da
quella risata profonda che dal fatto di essere stato disturbato a
riunire il
consiglio per uno stupido ragazzino, esclamò: “Non
ho intenzione di sprecare il
mio tempo a subire le chiacchiere di un moccioso! Aria!”
Il
ragazzo non si lasciò
intimorire dalle sue parole e, anzi, sorrise. Ma c’era
qualcosa di
terribilmente spaventoso nel suo sorriso, tanto che l’uomo
che prima rideva
smise immediatamente. C’era qualcosa di perverso e contorto
in quel sorriso
all’apparenza così innocente che il silenzio si
fece così fermo da risultare
soffocante.
Soddisfatto
per aver conquistato
l’attenzione del suo importante pubblico, cominciò
a parlare: “Il mio nome è
Aster e, a dispetto di ciò che dice il mio aspetto, ho
quarantasette anni.”
Il
silenzio di fece imbarazzato e
curioso. Un uomo piuttosto anziano dai capelli color platino
strabuzzò gli
occhi. Aster continuò il proprio discorso: “Sono
un mago che ha deciso di non
andare ad Hogwarts né ad altre scuole di magia per
sviluppare da autodidatta il
proprio potere, e vengo qui a proporre un’alleanza.”
“La
cosa si fa interessante.”
Commentò l’individuo impellicciato, levando i
piedi dal tavolo e posando un
gomito sulla scrivania, ancora seduto di sbieco. La sua voce era
così profonda
da risultare distorta, ma quasi nessuno ci fece caso, tanto erano
abituati a
sentire quel modo di parlare in cui qualsiasi cosa fosse stata detta
sarebbe
risultata spaventosa.
“Non
accetto alleanze con
chicchessia.” Sibilò il Signore Oscuro, ancora
diffidente. Aster ebbe modo di
allargare il suo sorriso: “Oh, ma avrete tempo per esaminare
le mie
straordinarie qualità, dopo che avrò
parlato.” Si godette appieno la reazione
alle proprie parole, poi tornò serio e cominciò a
spiegare il proprio
contratto: “So che voi state cercando di aprire
l’Abisso con le vostre forze,
ma io potrei collaborare con voi, dato che serve un mago abbastanza
potente da
incanalare tutta la magia che fuoriuscirà dalla
Porta.” ammiccò a Voldemort:
“So anche che voi volete rinascere per davvero, dato che ora
la vostra
esistenza è legata a uno Shinigami. Io potrei perfino
tagliare questo contatto
tra voi e il vostro tutore del mondo dei morti.”
Voldemort,
si alzò, irato e punto
sul vivo su quanto riguardava la sua terza esistenza sulla Terra:
“Come hai
fatto a radunare così tante informazioni, lurido
mezz'elfo?”
Uno
degli incappucciati al
servizio di Aster fremette, sapendo che il proprio padrone avrebbe
resistito a
tutto tranne che a quell’insulto, e strinse la mano al suo
compagno. Sephiroth
posò la mano sull’elsa della spada, pronto a
sedare una qualsiasi esplosione
sia dalla sua parte che da quella avversaria.
Aster
chinò il capo, e, quando lo
rialzò, il suo sguardo affabile e conciliante
risultò trasformato in una rabbia
incontenibile e furibonda, con così tanto veleno da domare
con un’occhiata il
Platano Picchiatore, una rabbia che lasciava presagire solo una morte
tra le
più atroci, uno sguardo tanto spaventosamente tenebroso da
far tremare un
momento la sicurezza di Voldemort, così temibile che perfino
le mura sembravano
voler crollare. Ma la cosa davvero preoccupante era l’aura di
magia che si
stava alzando da quel corpo all’apparenza fragile e minuto:
nemmeno Voldemort
era capace di tanta nera e nefasta capacità magica. Tutto
quello che un mago
ordinario possedeva – concentrazione, potere magico e buoni
riflessi – in
quella manifestazione di potere risultavano centuplicati e resi ancora
più
terribili dal largo uso di magia nera che ormai permeava ogni fibra dei
suoi
riccioli color crepuscolo, ogni muscolo e ogni singolo neurone che si
nascondeva dietro a quei tanto affascinanti occhi verdi.
Voldemort
scese dal suo scranno e
si precipitò di fronte ad Aster, facendo intendere che non
si sarebbe certo
fatto scoraggiare da quella straordinaria manifestazione di
malvagità, perché
infondo lui era capace delle stesse cose. Il fatto era che, seguendo il
consiglio di quel ragazzino, aveva partorito l’idea di
rinascere davvero, ma in
un modo tutto suo: avrebbe sfruttato al massimo il suo potenziale
magico e poi,
al momento giusto, lo avrebbe assorbito come aveva fatto con la Strega
Bianca.
“E,
in cambio di questa generosa
disponibilità tu cosa desideri?”
L’aura
magica sparì
all’improvviso, domata a perfezione: “Due cose:
voglio che facciate sterminare
tutti i mezz'elfi non ancora morti.” Silenzio:
“Poi, a Hogwarts, una
studentessa è un mezz'elfo ma ancora non è stata
riconosciuta, dato che si
tinge i capelli: il suo nome è Nihal Fromthewind. Sono stato
costretto da una
maledizione, la stessa che mi tiene il corpo in questo stato, a un
destino uguale
al suo, quindi se lei muore muoio anch’io.”
“Bella
magagna.” Commentò il tipo
avvolto nella pelliccia, avvicinatosi con un balzo. Aster
cercò di individuare
almeno gli occhi di quel nuovo interlocutore ma, trovando solo il buio
di un
cappuccio, si rivolse di nuovo a Voldemort: “Lei è
la Sheireen dei mezz'elfi, e
la sua missione è uccidere me. Come la mia missione
è uccidere lei. Voglio un
modo per rompere questa maledizione, dato che non può essere
spezzata dal
diretto interessato.”
Voldemort
guardò velocemente il
suo alleato nascosto dal mantello bianco, dopodiché, avendo
intuito un cenno
d’assenso, disse, con voce chiara:
“D’accordo. Ti nomino secondo in comando.”
Sephiroth
sembrò borbottare
qualcosa a riguardo del secondo in comando, ma non disse nulla di
particolarmente udibile.
“Loro
chi sono?” chiese
Voldemort, indicando i quattro incappucciati e Sephiroth. Aster mosse
una mano
per invitarli ad avvicinasi: “Lui” e
posò una mano sul braccio dell’uomo dai
capelli d’argento: “è la mia guardia del
corpo. Starà ovunque io sarò, quindi
non proverete nemmeno ad allontanarlo. Mentre loro” e
lì i quattro si levarono
il cappuccio, mostrando i volti di un giovane dai capelli chiarissimi,
e tre
ragazzi molto simili tra loro, uno basso con una lunga treccia nera,
uno mingherlino
ed effeminato e un uomo dai capelli a spazzola. “sono Riku,
Bankotsu, Jakotsu e
Suikotsu, apprendisti.” Poi guardò
l’interlocutore che ancora giaceva
nell’anonimato, in attesa di una presentazione.
“Oh,
giusto.” Ridacchiò lui,
alzando un braccio per levarsi il cappuccio, mostrando un viso
d’alabastro
incorniciato da una lunga chioma corvina mossa come il cupo vento della
notte
più fredda, un viso dalla sfumatura di perfida ironia sul
quale spiccavano due
braci rosse dall’anima calcolatrice e avida di potere.
“Io sono Naraku, e
sembra che saremo colleghi.” Si presentò, con un
ghigno per niente
rassicurante. Aster ricambiò con un sorriso ugualmente
pericoloso.
Voldemort
non poté non pensare
che si era scelto due alleati assai potenti e utili, ma che avrebbe
anche
dovuto concentrarsi per captare ogni minimo movimento,
perché di doppio gioco
ne aveva già subito uno e di sicuro non voleva fare la
stessa fine.
La
camera del consiglio, dopo
qualche minuto e un secco ordine di Voldemort, si svuotò
delle altre, inutili
persone che avevano svolto solo la funzione di muti spettatori,
lasciando i tre
componenti di quel pericoloso triumvirato da soli a squadrarsi.
Persino
Sephiroth fu congedato,
anche se rimase a vegliare fuori dalla porta mentre gli altri quattro
venivano
scortati alla mensa da Bellatrix, e appoggiò un orecchio
alla porta per captare
qualsiasi segnale di un litigio.
“Sei
un demone?” chiese Aster a
Naraku, che era tornato a sedersi in maniera scomposta su una delle
scalinate,
liberandosi dell’impiccio del mantello lanciandolo sullo
scranno del Signore
Oscuro.
Lui
non rispose subito, prima di
proferir parola si passò una mano in un punto preciso del
polso, come a voler
controllare la presenza di qualcosa. Stava per rispondere, ma il suo
superiore
lo anticipò: “È un
mezzodemone.”
Lo
sguardo del diretto
interessato si posò con ira sul volto bianco di Voldemort,
ma non disse nulla.
I
due maghi cominciarono a
discutere sulla maledizione che incombeva sul nuovo adepto, cercando di
carpirne i punti deboli senza entrare troppo nel particolare, e ben
presto si
persero in discorsi banali su bacchette e fabbricanti.
Naraku,
invece, sembrava tutto
assorto nelle proprie valutazioni: “Un mezz'elfo”
alzò l’indice, con un sorriso
misterioso, ammiccando ai propri alleati che erano stati interrotti
dalla sua
penetrante voce: “Un mezzodemone.” E
alzò il medio, a formare un vittorioso
due: “E un mago mezzosangue.” E a quel punto,
alzando l’anulare, fissò lo
sguardo sull’uomo a cui aveva giurato fedeltà:
“Curioso che siamo noi a voler
purificare la razza, no?”
Aster
valutò con scarso interesse
la constatazione del nuovo collega, provando a indagare più
che altro sulla sua
vera natura: gli era parso infatti che quell’essere dagli
occhi rossi fosse un
attore, che recitasse mille parti e che si divertisse a confondere la
gente con
i suoi volubili modi di fare, e che non avesse punti deboli proprio per
quello.
Quale sarebbe mai potuto essere il suo obiettivo?
Quando
le tre metà
Si
uniranno
L’oscurità
Divorerà
I
sette cuori
Della luce.
-
-
-
-
-
-
-
-
ed è qui che
mi domando: c'è qualcosa che non va nella storia? come mai
nessuno tiene a lasciare commenti? D:
dunque, qui i cattivoni
sono stati presentati >:D c'è Naraku, c'è
Aster, c'è Sephiroth, c'è Voldemort e io sono
tanto felice :DD (Larchy non ha mai tifato per i cattivi. noo) se
all'inizio può sembrare lento, vi garantisco che poi
prenderà una bella piega u.u
vorrei inoltre
ringraziare ReMShipping
e Targul
per aver messo la storia nelle seguite. grazie ^^
se volete inserire un
personaggio che vi sta a cuore, se non l'ho già fatto lo
farò.
sayonara!
|
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Capitolo 4 *** 2. Dovrei essere felice. ***
2. Dovrei essere felice.
Rin
si svegliò presto, quella
mattina, per due motivi: uno, perché la fenice che era stata
adottata da lei si
mise a fischiare, agitata, e due perché quello era la
mattina in cui avrebbe
preso il treno che l’avrebbe portata ad Hogwarts. Con ancora
le immagini di un
sogno irrilevante ad offuscarle gli occhi, si alzò, tastando
qua e là per
premunirsi in caso di spigolo e, barcollante, si diresse verso la
gabbia
dell’uccello: “Fanny, fai silenzio, ti
prego.” Mormorò: “O sveglierai la
strega!”
“Rin,
fai tacere quella bestia o
la farò al forno per la festa del ringraziamento!”
Eccola,
la strega americana. Rin
chinò il capo. Non avrebbe mai potuto accettare la presenza
di quella donna,
anche se era la nuova moglie di suo padre.
Solo
il fatto che era trattata
alla pari di un cane, con un sacco di doveri e poco svago le faceva
automaticamente odiare sia lei che la progenie estranea a
sé, la prima figlia,
venuta fuori dal nuovo matrimonio di suo padre. Non che David e il
piccolo
Micheal le avessero fatto qualcosa, però il fatto che
venissero manipolati
dalla strega americana per fare in modo che lei stesse sempre lontana
da suo
padre la faceva soffrire, e lei questo non lo poteva sopportare.
“Sorellina,
già sveglia?” borbottò
David, col quale divideva la stanza, alzando il capo dal cuscino, ma
lei lo
zittì con un freddo “dormi” senza
nemmeno guardarlo, cominciando a rovistare
tra le coperte alla ricerca dei vestiti che si era preparata la sera
prima.
Maglietta,
jeans, maglione.
Bagno.
Si
guardò allo specchio, e questo
non poter far altro che restituirle una ragazzina di undici anni dal
viso
piccolo e pallido, circondato da una folta chioma di capelli scuri come
gli
occhi, bassa e mingherlina, spalle esili, gambe magre e fianchi ancora
stretti.
Si stropicciò gli occhi, reprimendo uno sbadiglio e aprendo
la porta per far
entrare la fenice prima che la strega americana potesse protestare per
il lieve
picchiettio del becco sulla porta del bagno.
“Dovrei
essere felice.” Si disse,
guardando Fanny come se potesse diventare la sua interlocutrice, anche
se in
effetti la era diventata da quando Albus Severus le parlava
così poco, e il
volatile ricambiò il suo sguardo come se capisse davvero
quello che lei diceva,
quasi con aria grave. “Sì, infondo è il
primo giorno di scuola.” Continuò, per
auto convincersi, ma c’era un fatto che frenava ogni sua
emozione riguardante
la scuola: il suo essere mezzosangue. Suo padre le aveva detto che la
sua prima
moglie, la donna che l’aveva partorita, era una babbana
uccisa per il suo
essere una normale umana, e quindi, in teoria, lei era più
che fuorilegge. Era
feccia. Doveva essere soppressa in quanto unione di un mago con un
essere
inferiore.
Tutti
sapevano che, con la nuova
ascesa di un Voldemort tornato dai morti al potere, con
l’uccisione di un
beneamato Eroe come Harry Potter, che tra l’altro era anche
suo nonno – altro
motivo per cui doveva essere soppressa –, con la
disgregazione del vecchio
governo, i mezzosangue di ogni tipo, mezzodemoni, mezz'elfi, mezzi
maghi,
magonò e altri sul genere erano stati quasi tutti
sterminati. Ma rimanevano
ancora persone che, in barba a quell’ordine di caotica
perfidia, continuavano
la loro vita in clandestinità, pur sognando e sospirando un
mondo diverso, lei
era un esempio. Tutti la conoscevano come una strega al cento per
cento, ed era
bene che così rimanesse, se voleva restare viva.
Ma,
ora che ci ripensava, non era
quello a preoccuparla, perché infondo era al sicuro
finché la sua irrilevante
natura rimaneva nascosta, ma le prepotenze e gli insulti che le
avrebbero
rivolto per il suo cognome: Potter. La famiglia
dell’Indesiderabile numero uno,
la famiglia ultima tra i maghi.
“Che
schifo.” Mormorò, con le
palme appoggiate ai bordi del lavabo e il capo chino. Lei, giovane e
innocente
undicenne, era stata contaminata da tutti quei pensieri orribili fin da
quando
era bambina, e in quel momento, nonostante la giovane età,
capiva più cose di
quante avrebbe dovuto.
Il
piccolo orologio ticchettò
fino alle otto e, dopo essersi lavata velocemente il viso, scese in
cucina.
La
strega americana si
affaccendava intorno ai fornelli, e, quando la vide, la
rimandò subito
indietro, ordinandole: “Vai a svegliare gli altri.”
Era
di cattivo umore perché per
un po’ Rin sarebbe stata da sola con suo padre, dato che
David e Micheal erano
troppo piccoli per andare ad Hogwarts e lei doveva rimanere con loro.
L’unica
cosa positiva della giornata.
Poco
dopo si ritrovarono tutti
attorno alla tavola di legno, e mangiavano con appetito, esclusa Rin.
Le si era
chiuso lo stomaco. Sbocconcellava di malavoglia un pezzo di pane che
sembrava
essere infinitamente enorme, rispetto alla sua fame, annaffiandosi lo
stomaco
con lunghe sorsate di succo di frutta.
“Così
ti sentirai male, ricordati
che ci toccano due ore e mezza di macchina.”
Commentò Albus Severus, con un
sorriso divertito ad illuminargli gli occhi verdi. Rin gli
lanciò uno sguardo
carico d’apprensione, e posò il bicchiere accanto
la piatto, costringendosi a
mangiare un altro boccone di pane. Lui le sorrise, comprensivo.
“Anch’io
voglio andare a
Hogwarts!” esclamò David, cominciando per
l’ennesima volta un capriccio ben
conosciuto alla famiglia Potter. “Tra due anni.”
Disse Albus Severus,
spalmandosi il burro sulla fetta tostata. “Ma io ci voglio
andare adesso!”
strillò, cominciando a piangere. Allora Rin si
alzò, puntandogli contro
l’indice: “Guarda che Hogwarts è un
posto pieno di mostri alieni!” disse, con
voce tenebrosa: “Che, non appena ti avvicini, ti
mangiano!” e allargò le
braccia per aumentare la dimensione drammatica del suo racconto.
David
era ammutolito. “Davvero?”
chiese, dopo un po’. Rin sapeva che il suo fratellastro era
molto
suggestionabile, quindi fece lavorare la fantasia per allungare il
brodo in una
storia ancora più incredibilmente spaventosa, per evitare
che quelle proteste
nascenti diventassero un capriccio, il capriccio i genitori che
cercavano di
calmarlo, il contrattempo in ritardo ed altre disastrose conseguenze
sul tema:
“Certo, per questo io ho inventato uno speciale incantesimo
protettivo.” Disse,
con aria saputa: “Solo chi ha il proprio incantesimo
protettivo può entrare a
Hogwarts, quindi comincia a inventarlo.”
Il
silenzio era calato
pesantemente sui quattro, che la guardavano attoniti. La strega la
fissava come
se fosse scema, ma non disse nulla perché David sembrava
davvero essersi
calmato.
“Bene.”
Disse Albus Severus: “Noi
andiamo. Ciao tesoro.” Salutò sua moglie con un
bacio sulla guancia, e, presa
Rin per mano, uscirono.
In
silenzio entrarono in
macchina, si sedettero e si guardarono. “Tra due anni ce lo
trascini tu fino
alla ferrovia.” Disse lui, e scoppiarono a ridere.
“Devo
proprio andare?” chiese,
tenendo la mano di Albus Severus in una spasmodica stretta carica
d’ansia. Lui
grugnì qualcosa a riguardo delle dita che gli si
intorpidivano per la forza
disperata della sua piccola mano, ma poi le sorrise: “Non ti
preoccupare, andrà
tutto bene.” Ma, agli occhi di Rin, quelle parole risultavano
vuote ed
esattamente contrarie al loro significato, e il sorriso sembrava
forzato.
Infondo suo padre non poteva che essere preoccupato per lei: quando lui
era a
scuola il Signore Oscuro era risalito al potere e il suo vecchio era
stato
trucidato, ed era ovvio che si sentisse inquieto. Avvertiva che
qualcosa di
terribilmente grande per il corpo minuto di sua figlia si sarebbe
abbattuto su
di lei, e, se avesse potuto, l’avrebbe portata via e messa al
sicuro, ma, il
quel momento, nulla poteva fare per trascinarla lontano da quella folla
rumoreggiante e cattiva, per proteggerla dal caotico tran tran della
stazione.
Chissà quanto avrebbe dovuto soffrire, quegli anni che
avrebbero dovuto essere
i più belli della sua esistenza.
“Dai”
Disse, guardando
nervosamente l’orologio che segnava le undici meno cinque:
“ti aiuto a caricare
il baule dentro.” Lei annuì, ma non
proferì parola, tanto era nervosa.
Sgomitarono
tra la folla per
poter entrare in una delle carrozze fumanti di ragazzini urlanti, con
la gente
che si scostava sdegnosamente appena riconosceva in loro dei Potter, e
fecero
del loro meglio per trovare un posto in uno scompartimento, anche se
invano.
La
locomotiva fischiò la
partenza, e Albus Severus schioccò un bacio sulla fronte
della figlia: “Mi
raccomando” si rassicurò: “Non dire a
nessuno quello che sai, stai attenta e
bene preparata, sii brava a scuola ed evita i guai quando
puoi.” Era commosso,
in un qualche senso, infondo era la sua prima figlia che sarebbe
partita per un
temibile ignoto. Rin lo abbracciò. “Ciao
papà.”
La
ragazzina guardò attonita la
persona a lei più cara scendere dal treno e sistemarsi sulla
banchina vicino
alla sua carrozza, e fu quando un ragazzo più grande la
colpì per sbaglio con
la borsa che si riscosse e cominciò a trainare il proprio
baule e la gabbia con
la fenice fino ad uno scompartimento all’apparenza vuoto.
Data
la pienezza degli altri,
decise di entrare, pur trovandoci un uomo dai capelli lunghi e biondi
che tutto
sembrava tranne che un uomo che amava essere interrotto, tanto era
concentrato
nella lettura di un plico. “M-mi scusi”
esordì, sentendosi pugnalata dallo
sguardo di ghiaccio che le fu rivolto: “potrei sedermi qui?
Tutto il resto è
occupato.”
Lui
la squadrò con l’aria di chi
non vede l’ora di appioppare un secco
‘no’, ma riportò la propria attenzione
al
plico, cosa che Rin prese come un ‘fa’ come ti
pare’ e, dopo aver sistemato il
baule sulla reticella non senza una certa fatica, si sedette con la
gabbia di
Fanny sulle gambe. L’animale sembrava davvero inquieto:
becchettava sulle
piccole sbarre che la imprigionavano, cercava di aprire le ali e
dimenava la
coda, emettendo versi striduli come se stesse per morire. Rin decise di
liberarla, dato che era stata stranamente tranquilla fino a quel
momento, e,
aperto il finestrino con la piccola manovella, lasciò che la
fenice si librasse
crogiolandosi tra le mille correnti del cielo.
L’uomo
dai capelli biondi osservò
l’animale con stupore, ma soprattutto con una scintilla di
scientifica
curiosità negli occhi, analizzandone con
curiosità il piumaggio vermiglio, le
zampe sottili e forti, il becco appuntito e lievemente ricurvo.
Sembrava
così interessato che
quasi faceva intendere che non ne avesse mai vista una. “Le
avevo solo
studiate.” Le rispose, secco, con una voce calma eppure
lievemente irritata per
essere stato soggetto di studi, seppur quelli di una ragazzina che
sembrava più
impaurita che incuriosita dalla sua vista.
Dopo
qualche minuto che lei passò
a torturarsi nervosamente un lembo del maglione blu il treno si mise in
moto e,
sbuffando volute di fumo candido, si diresse, sempre più
veloce, verso l’uscita
del tunnel della stazione. Rin si alzò di scatto, per paura
di non riuscire a
salutare in tempo suo padre e, sbracciandosi dal finestrino appena
aperto,
gridò, incurante dell’uomo che la guardava come se
fosse pazza: “Ciao papà! Ti
scriverò un sacco di lettere!” e
l’ultima cosa che sentì fu il: “Ti
voglio
bene!” che l’accompagnò per tutto
l’anno.
Non
fece in tempo a sedersi che
l’uomo le disse, con noncuranza: “Sei del primo
anno.”
Lei,
sorpresa per essere stata
letta così velocemente, si accasciò di schianto
sul sedile di fronte a lui, con
sguardo perso in chissà quale timore:
“Sì.” rispose con voce atona.
“Non
era una domanda. Se ne
accorgerebbe chiunque: tremi come una foglia.”
Borbottò, tornando al proprio
foglio. C’era qualcosa di strano nel modo di esprimersi di
quell’uomo, non che
usufruisse di un lessico ricercato od elaborato, ma perché
parlava come se,
qualsiasi cosa potesse uscirgli dalla bocca, non gli importasse. Una
voce
talmente fredda e vuota da far venire i brividi.
“Non
lo sai che è scortese
fissare la gente?” alzò la testa dalla propria
lettura, infastidito, e lei si
ritrovò ad arrossire: “Oh, m-mi scusi!”
esclamò, ritraendosi il più possibile
verso l’interno del sedile, abbassando lo sguardo:
“S-solo che mi chiedevo se
lei sarà uno dei miei futuri professori.”
Fu
guardata come se avesse appena
detto una schifezza, ma alla fine ricevette una breve e laconica
risposta
affermativa.
Annuì,
segno che aveva capito,
profondamente imbarazzata dal fatto che fosse così vicina a
un docente, e forse
fu quell’imbarazzo a turbarlo, tanto che si alzò e
uscì.
Rimase
sola. Era una cosa molto
piacevole, contando il fatto che il resto della fauna di Hogwarts
consisteva in
Serpeverde boriosi e altezzosi, così giganteschi in
confronto alla sua piccola
statura, ma avrebbe voluto qualcuno con cui chiacchierare un
po’, magari una
voce amica che la rassicurasse.
Come
risposta ai propri pensieri,
la porta dello scompartimento si aprì di scatto, e davanti a
lei apparve una
ragazza dal portamento così fiero e sicuro di sé
che la prima cosa che le venne
in mente fu quella di andarsi a cercare un altro posto per lasciare il
suo
all’ego sconfinato che la sua visitatrice dimostrava.
“Ciao.” Disse e, chiusasi
dietro lo scorrevole trasparente, occupò il posto prima
occupato dall’uomo dai
capelli biondi. Rin non trovò il coraggio di replicare a
quel saluto cordiale,
tanto l’aspetto perfettamente plasmato della ragazza la
intimoriva. Dimostrava
sì e no diciassette anni, era alta, con i capelli
lunghissimi biondo scuro che
sventolavano fino ai polpacci ad ogni suo movimento, e aveva le gambe
lunghe e
il corpo di una Veela, tanto risultava seducente nell’insieme.
Si
rannicchiò sul proprio posto,
accanto alla gabbia vuota di Fanny.
Lei,
accorgendosi della sua
reazione, ridacchiò: “Oh, non devi aver paura di
me!” esclamò: “Sono un demone
ma non ti mangio!” e concluse il suo discorso con un sorriso
rassicurante.
“D-demone?!”
squittì, spaventata,
cosa che non fece altro che divertire ancora la sua nuova compagna di
viaggio,
che ridacchiò esprimendosi con un breve ‘ah, non
te n’eri accorta?’ e avvicinò
una mano al suo viso. Rin chiuse gli occhi, intimorita dal fatto che
quelle
cinque dita fossero munite di artigli demoniaci, ma l’unica
cosa che sentì fu
una carezza che le scompigliava i capelli. “Sei una
primina.” Disse, con
tenerezza, per rassicurarla: “Non ti preoccupare,
andrà tutto bene.” E le
sorrise. Aveva assunto un atteggiamento diverso rispetto a quello
scherzoso e
lievemente strafottente che prima l’aveva tanto
caratterizzata, una sorta di
materna apprensione, nonostante fosse la prima volta che la vedeva.
Rin
si sentiva in imbarazzo per
l’ennesima volta: era così strano sentir fluire un
affetto estraneo in quella
mano pericolosa, e la cosa ancora più strana era tutta
quella confidenza
espansiva nei suoi confronti.
Dopo
qualche secondo la mano si
ritrasse.
“Mi
chiamo Meido Zangetsuha.” Si
presentò, tornando all’aria di fiera bellezza di
prima: “Tu sei una Potter,
vero?”
Rin
rimase basita. Non sapeva
come Meido avesse scoperto la sua natura, ma la cosa la preoccupava: se
riconoscerla era così semplice, come avrebbe potuto
sopravvivere agli insulti?
“Sì.”
Disse,
poi, chinando il capo: “Mi
chiamo Rin.”
“Rin.”
Ripeté lei, appoggiando i
gomiti sulle ginocchia e il mento sulle palme aperte: “Suona
come un
campanellino di cristallo.” Valutò, guardandola
negli occhi.
“Me
lo dice sempre mio padre.”
“Allora
ho ragione.”
Meido
si rivelò essere un demone
dal linguaggio colorito e i modi di fare colmi di seducente malizia,
aveva una
personalità molto ironica e adorava fare del sarcasmo, ma
era una persona con
la quale era molto piacevole stare. Sarà stato per il suo
carisma coinvolgente
o per l’energia dei suoi occhi azzurri, ma la sensazione che
dava alla gente,
non solo a Rin, era quella di essere così stabile nelle
proprie convinzioni e
genuina nel modo di pensare da sembrare come il vento tempestoso di
aprile:
forte ma tiepido e piacevole. Chiacchierava molto e si vedeva che, di
argomenti
di cui parlare, ne aveva fin troppi.
Le
aveva raccontato un sacco di
cose sulla scuola che lei considerava corrotta, ma poche sul proprio
conto.
Sembrava una persona che adorava farsi i fatti degli altri ma che
aborriva
parlare dei propri, come se la disgustassero.
Per
Rin, incontrarla fu una
specie di incoraggiamento: non era l’unica a pensare di dover
studiare in una
scuola priva dei valori che insegnava una volta, e aveva
l’impressione che
Meido sapesse fin troppo bene cosa significasse essere una reietta nel
mondo
dei maghi, tanto che le era sembrato che l’avesse presa in
simpatia e sotto la
sua ala protettrice. Doveva essere abbastanza influente.
Avrebbe
continuato a
chiacchierare per molto se, verso le quattro del pomeriggio, non si
fosse
aggiunta un’altra passeggera. Bussò al loro
scompartimento con una specie di
autoritaria movenza, come se pensasse che entrare fosse un suo diritto.
Era
una ragazza dai capelli corti
marrone scuro, che producevano uno sconnesso contrasto con i suoi occhi
viola,
un fisico asciutto e magrolino, anche se sembrava piuttosto muscoloso,
tanto
che portava la gabbia di una civetta e il baule con una mano sola,
mentre con
l’altra portava la giacca. Aveva un viso appuntito, dai
lineamenti spigolosi e
freddi, ma i suoi occhi erano carichi di tanta ribelle e furba astuzia.
“Salve.”
Sorrise, mostrando dei denti bianchissimi, sorriso che non convinse
affatto
Meido, che invece si irrigidì e mostrò le zanne
in un sarcastico saluto:
“Ciao.”
“Inutile
che mi attacchi così,
vengo in pace.”
“Oh,
ma io ti stavo semplicemente
salutando alla maniera dei demoni.”
“Allora
scusa se non me ne sono
accorta.”
Rin
seguì quel sarcastico
combattimento verbale con gli occhi spalancati: il demone tanto
cordiale e
gentile con il quale aveva chiacchierato fino a quel momento si era
trasformato
in un feroce animale di rara selvaggia bellezza, con tanto di zanne.
“E
perché tu non ci saluti alla
maniera dei mezz'elfi, Nihal?” disse Meido, come se la
sapesse lunga.
La
ragazza chiamata Nihal per un
momento fu terrorizzata, poi, forte di una rabbia incontenibile,
estrasse la
bacchetta: “Ripetilo.” Ringhiò,
puntandola contro Meido, che stava ancora
seduta con le gambe elegantemente accavallate, e lei scoppiò
a ridere. Era così
fredda e limpida nella sua risata da far accapponare la pelle:
“Non lo sai che
i demoni sono immuni a quasi tutte le magie?” chiese,
divertita. La sua voce
aveva acquisito una vena di pungente cattiveria.
“Non
alle Maledizioni Senza
Perdono.” Minacciò Nihal, rafforzando la presa
sulla bacchetta. Meido sorrise,
immune al tono pericoloso dell’avversaria: “Avanti,
allora.”
Rin
era sicura che Nihal non se
lo sarebbe fatto ripetere due volte, era sicura che avrebbe
immediatamente
attaccato briga, e, per evitare di rimaner coinvolta in spargimenti di
sangue
prima che cominciasse l’anno, si alzò e si
frappose tra le due, ben cosciente
che il suo corpo mingherlino avrebbe potuto resistere ben poco alla
forza che
le braccia nude di Nihal sembravano esprimere con dei muscoli sodi e
scattanti.
Invece
si spostarla con la forza,
Nihal ripose la bacchetta chinando la testa, come se niente fosse,
fissò il
baule e la gabbia col gufo sulla reticella e si sedette vicino a lei.
Anche
Meido sembrava essersi
dimenticata degli attacchi verbali appena pronunciati, e si
rilassò contro lo
schienale del suo sedile, allungando le gambe sul resto dei posti
liberi. Guardando
prima fuori dalla finestra e poi fissandola negli occhi, disse a Nihal:
“Avevo
sempre desiderato conoscerti, Fromthewind.”
“E
offendi la gente, per
conoscerla?” replicò lei, alzando il sopracciglio,
cosa che sembrò divertire il
demone: “Beh, mi devo prima premunire se sia una persona che
non devo far
arrabbiare.”
La
ragazza annuì, non del tutto
convinta, ma decisa a lasciar correre. Sapeva bene che Meido Zangetsuha
era una
specie di celebrità, a Hogwarts, e sapeva anche che era un
po’ strana. Ma in
quel momento si era accorta che non era strana, ma solamente lunatica e
calcolatrice. Si rivolse a Rin: “E tu chi sei? Non mi pare di
averti mai
visto.”
Sentendosi
chiamata in causa, Rin
arrossì e riuscì solo a mugugnare: “Mi
chiamo Rin. E sono al primo anno.”
“Devi
dire anche il tuo cognome,
tesoro.” Le disse Meido, sorridendo. Lei prese quel sorriso
come una
protezione, e disse, un po’ più sicura:
“Rin Potter.”
Nihal,
più che schifata da quel
cognome tanto tristemente famoso, sembrò deliziata:
“Oh.” Disse: “Credevo di
essere l’unica fuorilegge, qui.” E, chiuso lo
scorrevole dello scompartimento,
decise di confessare. Infondo, se Meido Zangetsuha sapeva
già che lei fosse un
mezz'elfo e non l’aveva detto in giro significava che non
aveva interesse a
farla morire, e Rin sembrava così piccola e innocente da non
poter nemmeno
partorire un’idea del genere. “Hai
ragione.” Spiegò, rivolgendosi a Meido,
mentre si sistemava una ciocca scura dietro l’orecchio:
“Sono un mezz'elfo.
Sono qui solo perché mio padre aveva deciso così
per me da quando sono nata.”
“E
io invece sono qui perché una
profezia predice che qui potrò realizzare ciò che
desidero più al mondo. Ma non
so quando succederà, quindi sto qua da quasi dodici anni,
per monitorare la
zona.” A Meido parve giusto scambiare il proprio segreto con
quello di Nihal,
per farle capire che avrebbe mantenuto il suo. Sembrava che una specie
di patto
stesse per compiersi.
Poi
guardarono entrambe la
piccola Rin, che arrossì enormemente nel constatare che
avrebbe dovuto dire ciò
che non avrebbe mai dovuto rivelare. “Ehm…
io…” balbettò: “Sono una
strega
mezzosangue. Mia madre era babbana.”
L’atmosfera
si gelò
immediatamente, le due la fissarono come se fosse destinata ad una fine
terribile e lei se ne sentì immediatamente turbata, tanto
che si pentì
immediatamente di aver parlato. “Povera piccola.”
Disse Meido, acquistando una
seconda volta il tono materno: “Ti scopriranno
subito.” Aveva una strana
compassione negli occhi. E la cosa non le piaceva affatto:
“C-cosa?” balbettò,
passando dal rosso dell’imbarazzo al bianco pallore della
paura, e a
risponderle fu Nihal: “Il Cappello Parlante” disse:
“è stato scucito e
riassemblato in modo da guardare nel corpo delle persone e dichiarare
il loro
stato di sangue.”
“E
allora tu come hai fatto?”
biascicò Rin, con la voce tremante per le lacrime e il
terrore. Nihal era un
mezz'elfo, e allora perché era ancora lì? Non era
stata accettata anche lei?
“Io
ho questo.” Le spiegò la
ragazza, mostrandole un grosso medaglione che teneva riposto sotto la
maglietta, ben nascosto. Era tondo pieno di pietre colorate:
“Funziona solo con
le persone con sangue elfico, è in grado di creare illusioni
indistruttibili,
anche per la magia.”
Disperata,
la piccola strega
rivolse uno sguardo supplicante a Meido: “Ti prego”
le disse: “Fai qualcosa.”
Rin
aveva aspettato a lungo il
momento in cui sarebbe potuta entrare a Hogwarts. Era una scuola
corrotta e
senza valori, è vero, ma ancora serbava
quell’alone di magica atmosfera che la
rendeva quasi mistica, ambita da tutti, bella nella sua sporcizia.
Sapeva
benissimo che sarebbe stata vittima di prese in giro, scherzi e
prepotenze di
ogni genere, ma si era sempre cullata nella speranza che avrebbe
sopportato
volentieri tutto quello per la dolce soddisfazione che lo studio della
magia le
dava, invece in quel momento si vedeva sbarrata la strada
dall’ombra minacciosa
del Cappello Parlante, per il quale non solo avrebbe perso
l’occasione di
studiare, e magari anche ridar lustro al suo cognome tanto disprezzato,
ma
anche la sua stessa vita. Le mancava ancora così tanto da
fare: non avrebbe mai
cavalcato un drago, né una scopa, non avrebbe mai giocato a
Quidditch, non
avrebbe mai potuto sentire il felice sollievo delle vacanze estive, non
avrebbe
mai vissuto la favola dell’amore come gliela raccontavano le
storie che le
leggevano la sera.
Meido,
in un certo modo, percepì
il suo terrore, e si avvicinò a lei, abbracciandola. Non era
mai stata gentile
con nessuno, ma quella piccola bambina le infondeva una certa
tenerezza, tipica
delle sorelle maggiori che vogliono proteggere e coccolare le sorelline
più
piccole e indifese, allontanarle dalle amare tristezze della vita e
tenerle
sempre strette al petto, cullandole nella certezza che tutto si sarebbe
sistemato. Per Rin non aveva altro conforto che quello di un abbraccio:
sapeva
che quel cappello, corrotto come la scuola che rappresentava, non
avrebbe certo
avuto pietà di lei, come non ne aveva avuta per gli altri
bambini innocenti che
erano stati massacrati davanti all’assemblea degli studenti
dell’unica Casa,
inerti e impossibilitati nell’agire.
Avrebbe
voluto saperlo prima.
Avrebbe voluto salvarla, utilizzando il suo mezzo di corruzione
più efficace,
ma in quel momento l’unica cosa che poteva fare era stare a
guardare. Nulla
avrebbe potuto fare per lei, se non complicare le cose.
“Sono
sicura che andrà tutto
bene.” Cercò di rassicurarla Nihal, ma dalle sue
parole smorte non poté uscire
altro che una mera illusione.
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Dunque,
dunque, dunque
FINALMENTE qualcuno
recensisce ç^ç
(Dark Egor Aster 97,
se vuoi inserire un personaggio che vorresti vedere, hai l'onore di
potermelo chiedere u.u)
Howevah
qui comincia l'avventura, il sentiero in cui mi perderò di
sicuro, questo guazzabuglio di parole e personaggi sta cominciando a
srotolarsi! festeggiate con me! (?) diciamo che Rin è
rimasta uguale a quella che era, Meido è entrata in scena e
Nihal è sempre fantastica (anche se noialtri malvagi
veneriamo Aster u.u)
ora
scrivo la provenienza di tutti i personaggi avuti fin qui, in modo da
semplificare le cose, ecco.
Sesshomaru, Inuyasha, Rin, Bankotsu, Jakotsu, Suikotsu: "Inuyasha" di
Rumiko Takahashi
Dohor,
Nihal, Aster: "Le Guerre del Mondo Emerso" saga, di Licia Troisi
Voldemort,
Bellatrix, Draco Malfoy: "Harry Potter" saga, di J. K. Rowling
Arlene
(Larxene), Even (Vexen), Isa (Saix), Riku, Sephiroth: "Kingdom Hearts"
saga, di Testuya Nomura
Meido
Zangetsuha: "la mia mente folle" u.u
abbiamo
saltato qualcuno?
quando
ne incontreremo altri aggiornerò questo simpatico elenchino
°3°
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Sayonara
:D
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Capitolo 5 *** 3. Smistata dalla parte sbagliata ***
3. Smistata dalla parte
sbagliata.
“Eccola!”
– “Guardala!” –
“Minuscola!” –
“Potter” – “Potter”
– “Potter”.
Erano
quelle le voci che si
attorcigliavano al suo passaggio, rendendo vani i suoi desideri di
passare
inosservata.
“Dai
Rin.” La incoraggiò Meido,
passandole un braccio intorno alle spalle e avvicinandola a
sé. Per Rin fu
imbarazzante constatare che le arrivava ai fianchi.
Dopo
la sconvolgente notizia del
Cappello Parlante erano passate altre due ore, che avevano passato a
mangiare
ciò che Meido aveva comprato dalla tipa dei dolci e a
parlare/sparlare di ogni
professore.
Per
Rin, che a colazione e a
pranzo non aveva mangiato nulla, trovarsi sotto tutto quel cibo fu una
benedizione; si saziò con cioccorane, caramelle, bacchette
di liquirizia, galeoni
di zucchero e delizie di ogni genere, annaffiando il tutto con succo di
zucca
freddo e dissetante. Era triste per lei pensare che quello sarebbe
potuto
essere il suo ultimo pasto, anzi, quasi sicuramente l’ultimo,
perché a cena non
ci sarebbe arrivata e, pensato quello, aveva smesso di mangiare e aveva
fissato
il finestrino con aria stralunata.
Anche
la compagnia di Nihal si
rivelò piacevole: era una ragazza piena di sogni ambiziosi e
ambizioni da
sogno, con volontà ferrea e salda nelle proprie speranze, e
cadeva in uno stato
estatico quando raccontava o sentiva raccontare storie. Aveva una
fantasia
unica e si lasciava trasportare con commozione ed entusiasmo dai
racconti di
ogni genere, era brava nelle imitazioni e si lanciava in lunghe
avventure
verbali su quello che avrebbe fatto dopo Hogwarts. Aveva provato di
tutto per
sollevare un pochino l’animo abbattuto di Rin, e ci era
riuscita alla grande,
tanto che la piccola strega non si era risparmiata grasse risate e
narrazioni
emozionanti. Giocare con lei sarebbe stato fantastico,
arrivò a pensare la
ragazzina, avrebbe potuto farle piombare in un fantastico regno
incantato solo
descrivendo i paesaggi e i personaggi. Ebbe la visione di lei, Rin, e
Nihal,
bambine, scorrazzare per un cortile alla ricerca di un misterioso
tesoro o di
una nave da prendere sotto arrembaggio, dimenare spade di legno e
gridare il
loro divertimento al mondo.
“Dovresti
fare la scrittrice.” Le
consigliò Meido, lanciando al mezz'elfo una delle cioccorane
rimaste, per le
quali aveva capito la passione di lei: “Hai troppa
fantasia.”
Nihal
rise, lusingata: “Lo farei
di sicuro, se fosse un lavoro un po’ più
retribuito.”
Rin
vedeva il loro futuro: una
scrittrice di successo, ricca di fama e storie da raccontare, e una
modella
alta e sensuale, bella e accattivante. Il suo avvenire, invece,
sembrava un
burrone sul quale era in bilico.
In
bilico come quei passi che
faceva sempre più tesa e incerta, stringendosi contro il
corpo saldo di Meido e
cercando di non perdere di vista Nihal.
“Ehi,
Zangetsuha!” gridò una
voce, dura come l’aria fredda della sera che fendevano con il
loro incedere, e
le tre si girarono verso la figura di un ragazzo biondo cenere che
aveva tutte
le cattive intenzioni di questo mondo: “Quella è
la Potter?” chiese, sputando
le quattro parole con un disgusto indicibile. Per tutta risposta Meido
avvicinò
Rin di più a sé: “Giù le
mani Yaxley, lei è con me.” Dichiarò
con voce limpida
e priva di ogni rimpianto. La ragazzina vide lo sguardo cattivo di
Yaxley
posarsi su di lei e squadrarla come se fosse indegna
d’esistere: “E chi
metterebbe mai le mani su una feccia del genere?”
“Oh,
ma tutti sappiamo che le
vorresti mettere su di me, le tue mani.” Cinguettò
il demone, gettandogli
un’occhiata maliziosa e canzonatoria e il ragazzo, per quanto
potesse cercare
di essere duro, ammutolì e si morse il labbro. Rin
sentì qualche risata, ma poi
gli sguardi tornarono a fissarla come se fosse un mostro, e lei si
sentiva
sempre più piccola e indifesa.
Nihal
non era in una situazione
migliore: era continuamente schernita dalle ragazze, che forse non
avevano a
genio la sua andatura militare e il suo corpo tutt’altro che
femmineo e
delicato, e presa in giro dai ragazzi, che la chiamavano
“draga”, ma lei
sembrava più fortificarsi di tutte quelle invettive che
offendersi.
Come
le invidiava: una era così
bella e desiderata da poter tranquillamente fare il buono e il cattivo
tempo
senza sentire proteste, mentre l’altra così forte
e indipendente da essere
indistruttibile nell’autostima.
Prima
di poter provare a parlare,
Rin sentì qualcosa passarle vicino al viso, e fece appena ad
accorgersi che
quel qualcosa era una fattura in piena regola che Meido la
lanciò verso Nihal
con il braccio con cui la teneva vicina e poi, sempre con la stessa
mano, fece
per tirare qualcosa contro Yaxley, che si trovava a qualche passo da
loro e
stava con la bacchetta sguainata. Il suo, sembrava solo un movimento di
dita,
un rapido guizzo del gomito verso il nemico, e l’effetto del
suo muoversi sembrò
rimanere nell’aria per qualche secondo. Dopodiché
si aprì sopra di loro un
enorme varco dimensionale del quale si riusciva solo a intravedere il
buio
fondale costellato da qualche oscura e sconosciuta galassia. Sembrava
che gli
studenti presenti intorno a loro conoscessero bene quel passaggio,
tanto che
cominciarono a mettersi al riparo appena la devastante e invincibile
forza
d’attrazione dell’attacco li cominciò a
tirare verso una morte sicura.
“Ripeto
in caso non fossi stata
sufficientemente chiara:” disse Meido, immobile e immune al
vento che
trascinava tutti quanti verso quel pericoloso buco nero:
“giù le mani, lei è
con me.”
Nihal
aveva appena fatto in tempo
a trasportarsi, con Rin attaccata ad un braccio, verso un albero non
soggetto a
quella calamità mortifera. Sapeva, come tutti del resto, che
Meido era un
demone del Passaggio, e che quindi il suo unico potere era saper creare
in
mille modi un passaggio per l’Aldilà e ne sapeva
fare di così potenti che
qualche anno prima aveva quasi distrutto il campo da Quidditch.
“Ehi,
non vale il Passaggio!”
strillò Yaxley, mentre se ne stava aggrappato ad un palo.
“Non vale?” squillò
lei, e Rin poté notare che il lato feroce e bestiale del suo
carattere, lo
stesso che aveva usato per canzonare Nihal, era spuntato fuori insieme
alle
zanne, che sembravano più evidenti di prima, rese
più lunghe e pericolose dalla
smorfia sadicamente gioiosa che le si era dipinta sul viso. Per tutta
risposta
alla protesta impaurita del proprio avversario, Meido lanciò
un altro Passaggio
dentro al primo, che venne risucchiato e andò ad amplificare
la forza di quello
nuovo.
“E
dimmi, vigliacco, questo
vale?”
Ma
non udì mai la risposta,
perché una mano gigantesca le si schiaffò sulla
nuca, mandandola a sbattere
contro una delle carrozze destinate a trasportare gli studenti fino
alla
scuola. Il passaggio si chiuse di colpo. Meido non subì
ferite o contusioni,
anzi, fece leva sul proprio atterraggio per lanciarsi a capofitto sul
proprio
nuovo avversario. Nihal capì immediatamente che Meido non
era una di quelle
persone a cui piaceva perdere.
Il
proprietario della gigantesca
mano era un uomo altrettanto enorme ruvido di una barba grigio-nera e
vestito
con un pastrano rattoppato, e sembrò sorpreso quando quella
furia incontenibile
che era diventata Meido gli si avventò contro, spedendolo a
terra. Chissà quale
forza era contenuta in quelle gambe affusolate e in quel corpo ben
formato e
sottile, dato che quel fisico all’apparenza così
esile aveva appena mandato al
tappeto uno che ne misurava il quadruplo se non di più.
“Piantala
Mei… Zangetsuha!” tuonò
la voce dell’uomo da sotto la barba, alzandosi di scatto,
prendendole un polso
e tenendola in alto in modo da non darle possibilità di
attaccare. Il demone,
dopo quella furiosa follia che le aveva completamente tinto gli occhi
di un
rosso sanguigno, si acquietò e si lasciò deporre
a terra. “Oh. Perdo sempre la
pazienza con quello là.” Si giustificò,
borbottando: “Penso che sia stato il
fatto di aver attaccato Rin alle spalle ciò che mi ha fatto
tanto arrabbiare.”
L’uomo
sembrò volerla
rimproverare, ma poi si accorse degli altri studenti ancora immobili a
fissare
la giovane con occhi impauriti e stralunati, tanto che si mise a
gridare,
dimenando le braccia come un goffo vigile urbano: “Lo
spettacolo è finito!
Muoversi, muoversi!” e, dopo un attimo di ferma indecisione,
la folla fluì
lontano dai quattro.
Meido
si rivolse al punto in cui
aveva visto Nihal e Rin nascondersi prima di venir risucchiate dal
Passaggio:
“Potete uscire, non vi mangio.” E c’era
qualcosa nel suo tono da spaventare le
due.
Rin
non poteva crederci: la donna
gentile e materna che l’aveva consolata sul treno, che le
aveva offerto la
merenda e che l’aveva protetta da Yaxley era diventata per
quei furiosi secondi
qualcosa che era il più lontano possibile da tutto
ciò che precedentemente
aveva mostrato, e fu per quel motivo che non le si avvicinò
troppo, perché
aveva sviluppato un certo timore nei suoi confronti. Era un timore
più che
giustificato, infondo Meido Zangetsuha era un demone. Quello
significava che
tutti i demoni tenevano quel sottofondo rossastro di furiosa follia?
Tutti, se
infastiditi troppo, reagivano a quel modo?
“A
proposito” cominciò l’uomo,
rivolgendosi al demone: “Da quanto non mangi?” Lei
non rispose, si limitò a
chinare il capo e osservare con tristezza la reazione di repulsione che
Rin le
aveva rivolto. Doveva essersi spaventata abbastanza. “Beata
te che ti fai
spaventare da questo.” Mormorò, passandole una
carezza sul capo.
Rin
arrivò alla cerimonia dello
smistamento per il rotto della cuffia. Aveva fatto in tempo a calcarsi
in testa
il cappello e precipitarsi nella Sala Grande che l’uomo dai
capelli biondi che
le aveva fatto compagnia per un breve tratto di viaggio
chiamò il suo nome:
“Potter Rin.”
Inutile
dire che tutti i
presenti, preside e professori compresi, la fissarono insistentemente.
Doveva
essere un bello spettacolo: piccola, piccolissima, resa ancora
più minuscola
dalla divisa più grande, rossa per l’imbarazzo e
ansimante per la corsa,
tremante e sull’orlo delle lacrime.
Vedeva
la faccia della morte, che
sembrava bianca e fredda come quella dell’uomo biondo che
reggeva il cappello,
così impassibile da risultare irreale e obliqua. Con passo
pesante si diresse
verso il proprio destino, mentre il gruppetto dei nuovi studenti
davanti a lei
si faceva sdegnosamente indietro, e un braccio misterioso la
scaraventò avanti
con un rude spintone.
“Potter
Rin.” Ripeté l’uomo,
seccato, mentre reggeva bene in alto il Cappello Parlante, in modo che
fosse
visto da tutti, e per lei fu inevitabile avanzare ancora, fino a
sedersi sullo
sgabello di legno predisposto allo smistamento.
Cercò
di visualizzare la Sala
Grande nel suo splendore: i due grandissimi tavoli riempiti da
individui inerti
dalla nera uniforme, le mura di marmo dorate dalla luce delle candele e
dei
candelabri, le figure pallide dei fantasmi immobili
nell’aria. Riuscì persino a
trovare tra quelle facce Meido, distinguibile per la sua camicia bianca
e la
gonna corta indossate al posto della più canonica veste da
mago, e Nihal,
sedutale vicino: avevano entrambe una faccia pallida e grave.
Cercò di imprimersi
i loro sorrisi nella mente, non tralasciando ovviamente
l’espressione materna
del demone mentre l’abbracciava e nemmeno l’aria
estatica del mezz'elfo mentre
raccontava i propri sogni.
Le
fu posato il cappello sulla
testa, ma era così grande che le scivolò fino al
naso, coprendo gli occhi.
Un
sibilo strisciante si diffuse
nella sua testa, come se qualcuno le stesse parlando
all’orecchio, nascosto da
tutti: “Potter.”
Ghignò: “Da quanto
è che non esamino un Potter?”
ma, subito dopo quella domanda retorica, cominciò la propria
analisi. Rin lo
ascoltava col cuore in gola.
“Rin Potter. Un carattere timido e determinato al
tempo stesso, fragile
eppur convinto delle proprie idee… c’è
del bello in questa testa tua, ma è
passato il tempo in cui valutavo l’indole per assegnare la
casa… vediamo…”
ci fu un attimo di silenzio, suo, del cappello e della sala, poi il
magico
artefatto le si rivolse, sempre in segreto, con voce alterata dallo
stupore: “Sei l’ultima
mezzosangue di Gran Bretagna,
lo sai? O comunque lo sei stata fino ad adesso.”
Fece
per gridare il suo stato di
sangue al mondo, ma ad un certo punto si bloccò. Negli occhi
di Rin offuscati
dall’oscurità apparve qualcosa di bianco, freddo e
potente, tanto da attirare
l’attenzione del Cappello: “Ma
questo…”
Non
ucciderla!
La
voce che solo lei e il
Cappello sentirono fu indescrivibile: dura, altissima e assordante,
potente ed
amplificata, con la nota corrugata che solo un uomo di discreta
età poteva
possedere. Se per Rin fu un tono nuovo e mai sentito, al Cappello
doveva essere
ben noto, tanto che gridò in annuncio, obbediente:
“PUROSANGUE UMANO!”
Quel
peso al cuore che si era
impossessata di lei quando aveva sentito quel verbo al passato
scomparve
all’improvviso, volatilizzandosi come un frettoloso stormo di
uccelli liberato
dalla gabbia che li aveva tenuti prigionieri. Era così
stupita dall’essere
tornata a vivere che non poté non esclamare, attonita:
“Eh?”
La
sala rimase sospesa nel
silenzio, le uniche che sembravano vagamente sollevate erano Nihal e
Meido, che
si scambiarono un’occhiata sorpresa e felice.
L’uomo dai capelli biondi,
sfilandole il cappello dal capo, la spinse giù dallo
sgabello e chiamò lo
studente successivo.
Rin
ebbe un attimo di
smarrimento: vicino a chi avrebbe potuto sedersi, dato che ogni persona
si
ritraeva schifata ad ogni suo passo? Poi vide le braccia di Meido e
Nihal
affaccendarsi per chiamarla e invitarla a sedersi con loro e la neo
strega, in
un frullio di mantello, corse verso di loro e si lasciò
abbracciare.
“Strilliamo
dopo, eh?” sussurrò
Meido, posando il gomito sul tavolo. Chissà
perché, ma era felice che Rin fosse
sana e salva. Guardò di sottecchi la ragazzina, chiedendosi
cosa avrebbe mai
potuto influenzare un oggetto magico potente come il Cappello Parlante,
ma non
c’era nulla nel suo modo di fare, né tanto meno
nell’aspetto fisico che potesse
lasciar trapelare enorme potere o capacità magica. Era
semplicemente una
piccola e fragile ragazzina, con gli occhi che facevano trasparire
un’aria
impaurita e con le mani incapaci di far del male.
“Ehi,
Zangetsuha” esordì una voce
ferma dietro di lei, e la ragazza fu costretta a girarsi da un paio di
rozze
mani dalle dita lunghe, ritrovandosi davanti un uomo dai capelli biondi
e gli
occhi di un freddo ghiaccio. “Professore.”
Sibilò, con aria sgarbata ma che
comunque capisce che la persona che si sta offendendo è
l’unica in grado di
aiutarla. “Il trattato di quest’anno sta per
scadere.”
Parlava
a voce ferma e decisa,
anche se volutamente bassa per non farsi sentire da volontà
indiscrete. Non le
lasciò nemmeno il tempo di replicare che si
guardò intorno e le disse, come se
sapesse come quella storia sarebbe andata a finire: “Ti
aspetto domani sera.”
Nihal
si accorse di quel discreto
scambio di parole ma abbassò la testa, segno che non ne
voleva avere nulla a
che fare, e guardò Rin. Sembrava serena, in un qualche modo.
Con un moto di
straordinaria pietà per quell’innocenza buttata al
vento, mormorò: “Ben presto
ti accorgerai di essere all’inferno.”
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arieccomi qui con il terzo
capitolo di Everywhere, e dopo questo capitolo lasceremo Rin, Meido e
Nihal per un po' e ci andremo a imboscare da qualche altra parte,
contenti? Eh, chissà chi potremmo incontrare nel prossimo
capitolo!
intanto aggiorniamo l'elenco
con i personaggi.
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Sesshomaru,
Inuyasha, Rin, Bankotsu, Jakotsu, Suikotsu, Naraku: "Inuyasha" di
Rumiko Takahashi
Dohor,
Nihal, Aster: "Le Guerre del Mondo Emerso" saga, di Licia Troisi
Voldemort,
Bellatrix, Draco Malfoy, Hagrid, il Cappello Parlante: "Harry Potter"
saga, di J. K. Rowling
Arlene
(Larxene), Even (Vexen), Isa (Saix), Riku, Sephiroth: "Kingdom Hearts"
saga, di Testuya Nomura
Meido
Zangetsuha: "la mia mente folle" u.u
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Ringrazio
quelle cinque anime buone che hanno aggiunto la mia storia tra le
seguite **
Bon,
credo di aver finito, alla prossima!
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RAMBLE ON!
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