A Golden New Year

di Many8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un avvocato. ***
Capitolo 2: *** Un'attrice. ***
Capitolo 3: *** Due persone, una casa. ***
Capitolo 4: *** Una truffa. Una? ***



Capitolo 1
*** Un avvocato. ***


Benvenuti a chi non mi conosce, bentornati a chi già ha letto qualcosa di mio.
Il 2011 è agli sgoccioli, ormai, e il 2012 più vicino di quanto io stessa riesca a capacitare, e visto che aspetto questo momento da circa un anno, non potevo non pubblicare questa mini-ff ambientata al 31 dicembre del 2011.

Appunto è una mini-ff composta da 4 capitoli da 1000 parole ciascuno, e questo è il primo tra i quattro. Una storia senza pretese, se non quella di divertire minimamente voi lettori. I capitoli verranno pubblicati giornalmente, fino al 31 dicembre.

Buona Lettura.
Capitolo 1- Un avvocato.
31 Dicembre, ore 17.21 
 

La vita è sostanzialmente incoerente e la prevedibilità dei fatti una illusoria consolazione.
A. Baricco.

 

Gli addobbi natalizi erano presenti in ogni angolo delle strade, scintillavano continuamente, cambiando colore e decoro. Le migliaia microscopiche lucine accecavano gli occhi se fissate, ma rendevano l'ambiente allegro, esageratamente per chi non condivideva benevolmente l'aria natalizia, e le feste che erano quasi del tutto terminate.
Mancava all'appello solo il capodanno.
Facendosi spazio tra una calca insostenibile di persone in cerca di svago e divertimento un uomo spiccava fra i tanti per la giacca color ocra, chiusa fino all'ultimo bottone. Scostava i corpi caldi e tremanti di felicità, apparendo scorbutico e fuori luogo.
Aveva fretta di arrivare all'appartamento che per i prossimi due giorni aveva affittato, ad un prezzo conveniente e allertante, spaparanzarsi sul divano e bere qualche birra aspettando che anche il 31 dicembre trascorresse abbastanza velocemente, e indolore.
Calpestò qualche piede e strattonò qualche bambino involontariamente , prima di rifugiarsi in un vicoletto per niente trafficato, e permettersi di respirare e modificare l'andatura, ad una più consona ad un uomo normale che non ha nessuno alle calcagna ad inseguirlo.
Infilò le mani nelle tasche della giacca, abbassando il mento fino ad infilare la punta nella sciarpa di lana, e marrone, che sua madre aveva lavorato a mano. Anche se ispida e pungente trovò calore e familiarità.
Gli ricordò i pomeriggi invernali che trascorreva con la schiena piegata in due sui libri, e gli scialle di sua madre sulle spalle affinché gli infondessero calore.
Le coperte giganti che solo sua madre riusciva ad elaborare, in cui ritrovava conforto, e nelle quali si rifugiava nelle sere più fredde.
Non avevano i soldi necessari per avere un riscaldamento che non fosse un grosso camino nel salotto, e la lana costava poco, e la manodopera di Elizabeth la sua mamma era praticamente gratuita.
Camminò per almeno un chilometro prima di salire una piccola rampa di scale le stesse che si vedono nei film inglesi e infilare la chiave nella toppa.
Adesso che i soldi non gli mancavano non che fosse ricco, ma diciamo che il suo stipendio glielo garantiva poteva anche permettersi di prendere un appartamentino già ammobiliato, nella sera prima del capodanno, e di mentire.
Bé, perché i soldi potevano creargli un allibi perfetto.
Girò uno, due, tre, quattro volte la chiave, prima che la porta si aprisse. Fece qualche passo in avanti, entrando appena nell'ingresso della casa. Grazie alla fievole illuminazione esterna riuscì a trovare al primo colpo il pulsante per accendere la luce.
Chiuse la porta e si girò per dare una rapida occhiata all'appartamento. Era piccolo, semplice, accogliente.
Lo stile era visibilmente rustico, inadatto alla città.
Poggiò le chiavi alla sua sinistra, su un tavolino di legno antico.
L'ambiente rispecchiava la personalità dei due vecchietti che gli avano affittato l'alloggio. Carlisle ed Esme Mason, due anziani così affabili, gentili e simpatici, da far nascere in lui una benevolenza inappropriata in un contesto simile. Ci aveva parlato in poche occasioni, e li aveva visti dal vivo solo una volta, ma quell'ora gli era bastata per imprimerli nella sua mente.
Entrò nel salotto, una piccola stanza con un divano, un televisore e uno scaffale con tanti libri sugli scaffali, e si lasciò cadere sulla poltrona, stanco.
Sbuffò sonoramente, e infilò le dita fra i capelli; alla luce artificiale i riflessi ramati si notavano di meno.
Si ritrovava l'ultima sera dell'anno da solo, senza uno straccio di compagnia, desiderando di bere birra fino a sentirsi la pancia come una botte piena.
«Bel 31 dicembre!» sussurrò tra le mani, con una nota evidente di ironia nella voce. Accavallò le gambe rivestite da pantaloni demodé di velluto marrone.
Trascorreva quella serata così per una menzogna nata qualche mese prima, e che si era prolificata e prolissa fino a quel momento.
Aveva detto ai suoi genitori, Elizabeth e Jason, che era fidanzato, circa cinque mesi prima; il Natale l'aveva passato con loro, giustificandosi che la fidanzata fosse in viaggio, mentre la fine dell'anno l'avrebbe trascorsa con lei, di ritorno dalla vacanza in Francia.
Ma non essendoci nessuna ragazza non poteva far altro che sconsolarsi nella sua solitudine da single, e da bugiardo.
Nascondeva le uscite con la «fidanzata», una certa Tanya nome inventato dalla sua copiosa creatività , restando in ufficio fino a tardi, e lavorando pesantemente allo stesso modo di come aveva fatto in passato sui libri, nella sua brillante carriera scolastica.
Era avvocato da circa sei anni, da quando aveva conseguito la laurea con il massimo dei voti all'età di ventidue anni. Per Elizabeth e Jason, persone semplici e dal lavoro modesto, avere un figlio laureato ad una delle università più importanti di tutto il paese con il massimo dei voti era un onore immenso, e glielo riconoscevano ogni giorno. Si sentivano soddisfatti del lavoro del proprio figlio, come il loro. In un certo senso erano stati anche loro ad infondergli degli ideali, che lo avevano portato a cooperare con uno degli avvocati più in vista della città.
Aveva una famiglia che lo seguiva, aveva un lavoro che gli piaceva e gli garantiva di vivere agiatamente, e talvolta aiutare anche i propri genitori economicamente, ma non aveva una vita sociale all'infuori della sua famiglia e del suo lavoro.
Non aveva mai avuto degli amici veri, era stato fidanzato una sola volta e per cinque settimane, con una ragazza che si chiamava Isa, al liceo, e aveva avuto al college una notte di passione con una ragazza di cui non ricordava nemmeno il nome.
Chiuse gli occhi verdi, che in passato e anche nel presente, avevano ipnotizzato tante ragazze, portandosi le mani a strizzarsi le palpebre. Sospirò affranto, deluso e si alzò dalla poltrona cercando nella cucina adiacente all'ingresso una birra. Il frigorifero era deserto.
Decise che se avesse voluto bronzarsi davvero sarebbe dovuto andare al supermercato più vicino, e così decise.
Si aggiustò la singolare giacca color ocra, stirando tutte le pieghettature che si erano formate, prese le chiavi di case e uscì chiudendosi la porta alle sue spalle.
Lui è Edward Cullen.

 

In questa storia c'è una piccola modifica dal libro della Meyer. Carlisle ed Esme sono i coniugi Mason, mentre Elizabeth e Jason (non Edward Senior, come nel libro) sono i coniugi Cullen, vivi. Sono tutti umani.
Detto questo, alla prossima.

*Va a bere la cioccolata calda che la guarda con occhi dolci e irresistibili, aspettando qualche parere :'D*

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Capitolo 2
*** Un'attrice. ***


Grazie infinite a tutti coloro che hanno messo la storia tra seguiti e preferiti, e tante, ma tante grazie a chi ha recensito :D, risponderò tra pochi minuti a tutti.

Abbiamo conosciuto un Edward un po' arrabbiato con il mondo, un po' asociale (un po'?), un po' demodé, legato alla famiglia, e un po' bugiardo, dedito allo studio e al lavoro, e forse, e dico forse, magari qualche problema di relazione con i suoi simili? Forse.

Adesso il capitolo è dedicato ad un'altra figura, un'attrice... chi sarà mai? *nessuno l'ha capito, eh?*

Vi lascio leggere. Buona Lettura.
Capitolo 2- Un'attrice.
31 dicembre, ore 18.08

... Alla vita manca sempre qualcosa per essere perfetta.
A. Baricco.

Con un sorriso ampiamente disegnato sulla propria faccia, una donna con dei pacchetti che dondolavamo al ritmo del suo passo, e uno zainetto dall'aria pesante sulla schiena, procedeva insieme alla folla verso l'alloggio che sarebbe diventato il suo rifugio per almeno tre giorni.
Era sempre stata solare e positiva, anche quando le era toccato un destino più arduo di altri, e adesso sorrideva con il viso alto, fiera, malgrado non ce ne fosse il motivo. Era semplicemente influenzata dall'atmosfera natalizia che persisteva nell'aria, dalla felicità di chi la circondava in quel momento, dalle luci che le infondevano tranquillità ma allo stesso tempo anche gioia.
Fece un respiro profondo, beandosi del profumo di zucchero filato, di caramello, e popcorn che aleggiava nell'aria.
Qualche bambino le sorrise e lei ricambiò cordiale; continuò a camminare spedita, con i boccoli dei suoi capelli che sobbalzavano ad ogni passo, il tacco delle ballerine che ticchettava, e i pacchetti che sbattevano a destra e a manca, sulle gambe dei passanti, per la forza con cui oscillava le braccia. Avrebbe fatto anche qualche saltello se non avesse avuto lo zaino pesante, e le scarpe di un numero più grande che rischiavano di essere perdute durante il tragitto. Erano l'unico paia rimasto in una svendita, e non poteva non acquistarlo.
Entrò in un vialetto meno trafficato, e sveltì il passo. Ai suoi lati, seduti sulle scale delle villette a schiera, c'erano delle coppie intente a infondersi coccole, o come diceva sua madre le «fusa».
Scoppiò a ridere a quell'idea, scuotendo il capo.
Mancava da poco più di sei giorni da casa, dal giorno di Natale, ma i suoi genitori le mancavano già. Era abituata, ormai, a restare lontana dai suoi parenti per mesi, per via del lavoro che l'occupava, ma non aveva mai imparato a non saper soffrire ogni volta che lasciava la sua camera, i suoi affetti, la sua mamma. Soprattutto quando ci si allontana per andare in un appartamento e trascorrerci il 31 dicembre da sola.
Continuò a camminare notando i numeri delle villette che la circondavano.
«19, 21, 23. Eccolo!» sussurrò tra sé, quando riconobbe il numero della casa che aveva affittato.
Salì una piccola rampa di scale le stesse che si vedono nei film inglesi e infilò la chiave, che le avevano dato i proprietari di casa qualche giorno prima, nella toppa.
Una, due, tre, quattro volte girò la chiave prima che il rumore di uno scatto le facesse capire che la porta era aperta. La scostò.
Lasciò le ballerine accanto all'entrata, e scalza arrivò nel salotto, deponendo sacchetti e lo zaino sul divano.
Si guardò intorno con l'ombra di un sorriso a incorniciarle il volto, e si soffermò sulla libreria. Le erano sempre piaciute le case arredate con mobili antichi, anche se quelli non erano proprio «antichi».
Annusò l'aria e si accorse di un profumo maschile, dolce e delicato. Diversamente da tutti gli altri dopobarba che infondevano un odore acre, e che pizzicavano il naso. Quasi come se quel profumo volesse far intendere ad una donna, o chiunque lo captasse, la virilità, la forza o il potere di un uomo.
Respirò a fondo, come ad immagazzinare quell'aroma nella sua mente.
Srotolandosi la sciarpa attorno al collo, si lasciò cadere sul divano, stendendosi completamente.
Era stanca per lo sforzo di mentire, anche se era sempre stata brava a farlo.
Il suo lavoro, quello di attrice, era un lavoro molto precario. Un giorno eri piena di appuntamenti, l'altro sulla tua agenda non era segnato nemmeno un casting. Era da circa tre mesi che non riusciva a trovare almeno una comparsa in un misero film.
Precedentemente era riuscita ad ottenere qualche parte anche se di poco importanza in qualche film di medio rango. Anche le comparse riuscivano a fruttare qualche dollaro, ed erano essenziali per un'attrice che non aveva ancora sfondato ad Hollywood.
Trascorreva il 31 dicembre in solitudine, per non far intristire i suoi genitori.
Gli aveva sempre detto delle piccole menzogne, nel momento in cui non c'erano parti che potessero esserle assegnate, diceva ai suoi che l'aveva conquistata lo stesso, pur di non deluderli.
Dopo l'accademia delle belle arti, dove si era diplomata con bei risultati, le sue aspettative non si erano esaudite così come lei le aveva ideate.
Aveva immaginato che i registi la ricercassero tra il pubblico, le offrissero di essere la protagonista del loro nuovo film. Ma così non era stato.
Pensava che le opportunità le sarebbero cadute dal cielo, mentre doveva guadagnarsele quelle opportunità. Cercarle, scovarle sui giornali, sui siti web, trascorrere ore e ore nei palazzi fuori la porta di un appartamento, in fila, nel caldo estenuante dell'estate a New York, e fare la propria performance ed infine sentirsi dire «Le faremo sapere!», che poi non era affatto vero. Non ti facevano mai sapere un bel niente.
Non voleva infliggere altre amarezze ai suoi genitori dicendogli che era disoccupata da settimane.
Non che non fossero soddisfatti della propria «bambina», ma il mestiere da attrice non era ciò che immaginavano fin prima che lei nascesse.
Li stava illudendo come aveva fatto lei con se stessa prima di buttarsi nel mondo dello spettacolo.
Gli ultimi tempi non erano stati il massimo. Era disillusa, avvilita e afflitta.
Giocherellò con la lampo della felpa che indossava, prima di decidere di alzarsi e farsi una lenta e rilassante doccia calda.
Malgrado quella casa fosse molto carina e accogliente, dopo un po' sopraggiungevano i brividi.
Prese dallo zaino i pochi indumenti che aveva portato con sé, durante la visita alla sua vecchia casa viveva da sola dalla fine del liceo, da quando aveva deciso di intraprendere la carriera da attrice, quindi gli studi ‒ ma qualche volta durante l'anno tornava alla sua città natale. Quel lavoro la stava allontanando dai suoi affetti, dai suoi cari. Erano mesi che non usciva con un ragazzo, o semplicemente con un'amica.
Sotto il getto d'acqua calda ripensò se fosse davvero l'attrice ciò che l'appassionava di più.
Interrogativa, alzò la temperatura dell'acqua.
Lei è Isabella Swan.

 

Il mondo, così come l'ho designato nella vita di Bella, è ciò che immagino io. Ragazzi con l'idea del lavoro così vario che si ritrovano con una laurea, un diploma, un attestato, senza possibilità di mettere in atto le proprie capacità. Opportunità che devono essere scovate nei meandri più nascosti e alcune volte infimi. Non è sempre così, ma in alcuni campi non c'è possibilità di sbocco se non grazie alle famose «raccomandazioni».

Abbiamo conosciuto Edward, abbiamo conosciuto Bella, dite che la prossima volta si accorgeranno dell'altro?

E' tutto anche per oggi, a domani :***

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Capitolo 3
*** Due persone, una casa. ***


Ringrazio infinitamente, ed ancora una volta, coloro che seguono questa storia e coloro che hanno deciso di lasciarmi i loro commenti, che come sempre sono più che graditi. Non ho ancora risposto a nessuna recensione - se non una - ma sto dando spazio alla scrittura dei capitoli, visto che in questi giorni il tempo mi è nemico (infatti aggiorno appena alle 16 del pomeriggio proprio perché dopo non sarò a casa...).

Per qualunque cosa doveste dirmi, o seguirmi, o come volte, qui c'è il mio contatto twitter :)

Abbiamo lasciato Bella mentre faceva una doccia calda e rilassante, mentre Edward andava al supermarket più vicino a comprare delle birre per una bella sbronza.
Bella e Edward li abbiamo conosciuti, adesso non resta che farli conoscere.

Buona Lettura.
Capitolo 3- Due persone, una casa.
31 dicembre, 18.37

Con una confezione da sei birre, legate fra di loro con degli anelli di plastica, Edward camminava lentamente per le vie desolate della città. Solo una persona che conosceva egregiamente il posto poteva insinuarsi in quelle vie così solitarie.
In quelle stradine lui si sentiva bene, a differenza di altri che magari sarebbero stati a disagio, per Edward era esattamente il contrario.
Avanzava sicuro, e non aveva paura di chi potesse nascondersi all'angolo della strada. C'era solo lui, e la pavimentazione. I pochi alberi che costeggiavano i marciapiedi, qualche auto che passava raramente, e il cielo. Il cielo era limpido, la luna era piena. Avrebbe illuminato la strada se non ci fossero stati i lampioni e gli sporadici addobbi qua e là.
In quel momento gli unici rumori che si sentivano erano le suole che squittivano sul suolo umido, e le lattine di birra che toccandosi, tintinnavano.
Andò avanti così, finché non arrivò di nuovo fuori la piccola villetta. Salì una piccola rampa di scale le stesse che si vedono nei film inglesi e infilò la chiave nella toppa.
Questa volta non ci vollero quattro mandate per aprire la porta, bensì solo una. Quando dopo solo un giro, la porta si aprì a Edward si congelò il sangue nelle vene.
I suoi occhi si sgranarono, la paura si impadronì di lui.
Non era una paura da bloccargli le gambe o farle tremare, non fino a quel punto. Ma i movimenti da quel momento in poi furono accorti, silenziosi, cauti.
Spinse leggermente la porta in avanti, facendo capolino nell'ambiente interno con la testa.
La luce era accesa, ma dall'esterno non riusciva a scorgere nessuno.
La stretta sul manico della confezione delle birre si fece più dura e serrata. Avrebbe usato quella, se ce ne fosse stato il caso.
Avrebbe scagliato le birre addosso all'intruso, pur di prendere tempo e di riuscire a fermarlo, o quantomeno scappare.
Entrò, esitando sulla soglia, e allungando il collo per vedere chi ci fosse all'interno.
Ancora una volta non vide nessuno.
Fece un altro passo, e calpestò qualcosa che fece irrimediabilmente rumore.
Tac. Un ticchettio. Un tacco.
Una scarpetta beige sotto il suo piede, una scarpetta che poteva essere al massimo un trentotto sotto la punta di una scarpa cuoio, marrone lucido.
Alzò il piede son più accortezza possibile, cercando di non produrre altro rumore che avrebbe potuto mettere in allerta l'estraneo. Adesso non era sicuro che fosse davvero un estraneo.
Cosa ci facevano delle scarpe da donna nell'atrio della casa?
Possibile che qualche familiare dei proprietari dell'appartamento fosse arrivato improvvisamente?
Edward procedette ancora, fino ad arrivare nel salotto. Le birre ancora in una mano, le chiavi nell'altra.
Si guardò intorno con tutti i sensi allerta, era guardingo come non lo era mai stato. Nemmeno quando, al college, i suoi «compagni» di stanza gli facevano degli «amabili» scherzi, ogni qualvolta rientrava dalla biblioteca pubblica nella sua stanza.
Inaspettatamente dalla porta del bagno uscì una donna. Edward era pronto per scagliarle le lattine contro quando si fermò, il braccio a mezz'aria, i muscoli ancora tesi. Il cuore che ancora batteva furiosamente.
La bocca si dischiuse quando si rese davvero conto di chi gli stesse davanti. Una donna.
Una donna con indosso solo l'intimo. Camminava lentamente con lo sguardo basso, e nelle mani un asciugamano bianco. Camminava verso il divano.
Si bloccò al centro del salotto, come se si fosse accorta di qualcuno che la stesse osservando.
Alzò gradualmente il capo, guardando verso l'ombra che l'esaminava.
Quando vide un uomo con una giacca ocra fissarla, urlò.
Subito cercò di coprirsi con l'asciugamano, che era troppo piccolo per contenerla tutta. A stento arrivava all'inguine.
«Chi sei tu?» aggiunse con il fiatone e gli occhi sbarrati. Lo guardò meglio, fissandolo. «Edward?»
Edward deglutì, arrossendo visibilmente. «Isa, da quanto tempo!» esclamò, con un tono indeciso e balbettante.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese, alzando un sopracciglio perentoriamente confusa.
«Dovrei farti anch'io questa domanda. Ehm...» le guardò le gambe scoperte. Deglutì nuovamente, improvvisamente con un eccesso di saliva. Scuoté il capo, ritornando a guardarle gli occhi.
«Allora?» ripeté Bella.
«Ho affittato questa casa.» biascicò velocemente, infine. Lo sguardo andò di nuovo sulle gambe. Erano toniche, muscolose, ed incredibilmente femminili.
«Non è possibile! L'ho affittata io!» ribatté. «Ne parliamo dopo... girati!» aggiunse.
«Cosa?» chiese interrogativo Edward.
«Ho detto girati! Hai finito di guardarmi le cosce?» cercò di allungare l'asciugamano per coprirsi anche le gambe. «Girati!» ordinò.
Edward alzò le mani in segno di resa. «Mi giro, mi giro...» sussurrò.
Sentì un frusciò e il rumore di una lampo, il cotone a contatto con la pelle. La lampo che si richiudeva.
Bella si schiarì la voce. «Puoi girarti, adesso.»
Edward si voltò pian piano, come se aspettasse dei nuovi ordini. Fece il giro del divano fino ad avvicinarsi a lei.
«Vuoi dire che hanno affittato l'appartamento a entrambi?» chiese Bella, ancora in imbarazzo.
Il rossore dalle guance di Edward iniziò gradualmente a svanire. Ambedue diedero spazio allo shock. Il loro volto impallidì repentinamente.
«Se tu non sapevi di me, e nemmeno io di te, si tratta senza dubbio di una truffa.» annuì energicamente, mentre parlava. Quella calma innaturale era dovuta allo spavento, sicuramente.
Bella abbassò il viso verso il pavimento, rimuginando. In questo modo diede al suo vecchio compagno di scuola l'opportunità di guardarla senza che lei se ne accorgesse, liberamente.
Edward ripensò a quelle gambe, agli abbracci che si erano regalati da giovani, ai baci che li avevano legati. Per lui era stata la prima ragazza, ed anche l'unica.
Guardò il suo profilo, la pelle perfettamente lisca, gli occhi castano scuro, quel colore che aveva sempre adorato.
All'amore che si erano dichiarati nelle cinque settimane in cui erano stati insieme.
Si erano lasciati senza troppe parole, in un modo taciturno. Ognuno per la propria strada, ognuno per sé. Senza troppe spiegazioni.
Tutto finito dopo poco più di trentacinque giorni. Un amore adolescenziale, una cotta. Ecco cosa era stata: una cotta.
Una cotta che ancora per entrambi resisteva più forte che mai.

Avete il mio contatto twitter, avete le recensioni, avete la modalità «contatta» di EFP, seppur vorreste dirmi qualcosa, quindi non devo aggiungere altro.

Brava paride, che nella recensione che mi ha lasciato aveva capito che Bella era la compagna di scuola di Edward, e la sua prima fidanzata, oltre che unica. Brava, brava :D!

Grazie ancora per essere arrivati fin qui, a domani con l'ultimo capitolo!
Many.

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Capitolo 4
*** Una truffa. Una? ***


Ok, sono in ritardo - solo - di due giorni. Andiamo avanti senza altre parole.

Prima, però, vorrei mostrarvi questo piccolo capolavoro - di cui mi sono innamorata - di ada90thebest. Grazie mille ancora.

f

 

Siamo arrivati alla fine, vi lascio leggere, e alla fine tutti i ringraziamenti e un piccolo discorsetto.

Buona Lettura.
Capitolo 4- Una truffa. Una?
31 dicembre, ore 19.34

Seduti tutti e due sul divano, si guardavano negli occhi senza parlare. In un momento di silenzio tra un argomento e l'altro, erano agghiacciati nell'imbarazzo di quella quiete.
Ipnotizzata dal verde profondo di quegli occhi, Bella riuscì a sviare il suo sguardo, soffermandosi sul tappeto che ricopriva il pavimento, dando all'ambiente un senso di calore, anche se in fondo quell'appartamento era più freddo di una caverna in inverno, in Nuova Zelanda.
«Allora...» esordì Bella, rompendo quella bolla di tranquillità che si era formata attorno ai due. «Cosa hai fatto in tutti questi anni?»
L'altro la fissò per un attimo, con un mezzo sorriso che gli rendeva il volto ancora più delicato. E bello. Distolse lo sguardo osservando qualcosa di attratto nell'aria. «Nulla. Oltre che lavorare.»
«Cosa fai?»
«L'avvocato. Dopo essermi laureato ho iniziato a lavorare presso uno studio legale, in questa città.»
«Sei rimasto qui?» domandò Bella, con una ruga d'espressione che le rigava il mezzo della fronte.
«Sì,» Edward si guardò le mani. Quella domanda era come una derisione, come se le prese in giro del liceo fossero ritornate. Sei rimasto qui, con mamma e papà, eh? Era questo che aveva sentito.
Aveva percepito in sé fallimento. Era un fallito, come lo designavano al liceo. Senza una ragazza, un secchione, un ragazzo che non faceva altro che studiare, leggere ed ancora leggere.
Senza altri interessi, come le botte, il calcio o il football, che univano tutti gli altri ragazzi. Quelli normali, che rientravano nei canoni della realtà.
Fece un respiro profondo. «Tu invece, cosa fai di bello nella vita?» le chiese, infine. Un nodo alla gola a fargli mancare il respiro, brividi che correvano lungo la sua schiena. E non erano dovuti al freddo. Bella, però, non era mai stata una delle tante ragazze che si prendevano gioco di lui, come, con quella domanda, non avrebbe voluto far scaturire quella reazione. Era una domanda del tutto innocente.
Bella prese un cuscino ai lati del divano, lo mise sulle sue cosce, infondendogli più pugni. Il suo volto si intristì. «Nulla. Fino ad ora non ho combinato nulla nella mia vita.» guardò il guanciale quadrato sotto le sue mani, poiché non aveva il coraggio necessario per alzare lo sguardo su di lui.
Si sentivano falliti, entrambi. Chi per lavoro, chi per amore. E questa sensazione li univa.
«Ehy,» Edward le sfiorò una mano, che era partita da sé, senza un comando opportuno. Non erano da lui certi comportamenti. In altre situazioni non avrebbe mai preso l'iniziativa. «Cosa succede?»
Bella scosse il capo, chiudendo gli occhi. «Succede che ho speso tutti i miei risparmi in questi anni, e sono a metà di quelli dei miei genitori. Dopo il liceo ho frequentato l'accademia per diventare attrice; mi sono diplomata, e mi sono trasferita a New York per riuscire ad avere colloqui o audizioni più vicini e soprattutto accessibili. Ho anche ricoperto parti a teatro abbastanza importanti, ma la paga era sempre misera, e non riuscivo mai a ricoprire le mie spese. Pur di mantenermi ho trovato qualche misero lavoro, come cameriera e o baby-sitter. Adesso, sono due mesi che non riesco a trovare nessuna audizione, o almeno nessuno disposto ad ingaggiarmi.» scrollò le spalle.
Le loro mani ormai si stringevano. Erano sudate e congelate, ma sia l'uno che l'altra percepivano calore, un calore da sciogliere anche le viscere.
«Andrà meglio, vedrai.» l'unica cosa che riusciva a fare Edward, era quella di rassicurarla, darle speranza che neanche lui possedeva.
Bella alzò lo sguardo su di lui e abbozzò un sorriso. «Grazie delle rassicurazioni, ma so che questo è un campo davvero difficile dal quale estrarre qualcosa di buono.»
«Forse il 2012 ti riserverà qualcosa di buono, non puoi saperlo.» le strinse maggiormente la mano, per infonderle coraggio. «Anzi, proprio per questo prendi questa.» le passò una birra.
Lei sorrise, e le si illuminarono gli occhi. «Così mi piaci, Cullen.» afferrò la lattina.
Edward ne prese una anche per sé.
Dovettero lasciare la mano dell'altro per aprirle, e in quegli istanti si sentirono come svuotati.
Ed infatti la ricercarono immediatamente.
«Non è proprio champagne, ma per brindare può bastare.» disse Edward, storcendo la bocca dopo un piccolo sorso.
«Mi accontento.» annuì.
«Che farai, li denuncerai i proprietari di questa casa?» chiese improvvisamente Bella.
«No, ma gli manderò una bella lettera dal mio studio, vedrai, tremeranno.»
«Buona idea!» annuì, d'accordo.
Calò di nuovo il silenzio. Questa volta per nessuno dei due c'era imbarazzo. Sconfitto, abbattuto, sparito.
Si era creata una sorta di intimità, gradita a tutti e due.
Edward depose la lattina accanto alle altre ancora sigillate, e fece lo stesso anche con quella di Bella.
Si avvicinò a lei come se fosse stato autorizzato a farlo, senza premure, né vergogna.
Le cinse anche l'altra mano, intrecciando le dita.
Accostò il suo volto a quello della sua amica, sfiorandole con il naso il suo. A sfiorarsi furono anche le labbra, e in quel preciso momento entrambi tremarono.
Tremore dovuto a qualcosa che arriva da dentro, che scombussolava tutto, che faceva torcere le anime e palpitare i cuori.
Le labbra si sfiorarono più volte. Quelle di lui sapevano di birra, mentre quelle di lei erano dolci, come il profumo di un bagnoschiuma alla fragola.
Un dolce ricordo del passato li accomunava, lei aveva trascorso ore nella biblioteca della scuola pur di farsi notare da Edward, e lui dopo settimane di tentennamenti - dovuti anche alla scarsa fiducia nel sesso opposto - aveva deciso di rivolgerle la parola. Da lì era iniziato tutto. Da una biblioteca. Ed era finita lì.
Mentre adesso, tutti ripartiva da due persone, una casa, e una truffa.
Si staccarono velocemente quando sentirono la porta aprirsi.
Un uomo entrò, con la fronte corrugata.
«Chi siete voi? E cosa ci fate qui?»
Era di carnagione scura, alto e possente.
Edward si alzò e gli andò incontro. «Io sono Edward,» si presentò.
«Jacob.» ancora confuso allungò la mano e strinse quella dell'altro. Guardò la ragazza sul divano, e le sorrise.
«Benvenuto nel club dei truffati.»

 


Questa storia è stata la prima che ho scritto in 3a persona, completamente inesperta mi sono buttata di testa, non sapendo se stessi facendo bene, o al contrario, un disastro. Spero di essere riuscita ad avvicinarmi al centro.

Inoltre, spero vivamente che il 2012 sia arrivato portando qualcosa di buono, di consistente, e che vi siate divertiti a festeggiarlo.

Se volte continuare a seguirmi potete farlo con la mia storia ancora in corso: Il guanto rosso. Avete il mio contatto twitter, per qualunque cosa, e tutti gli altri contatti che potete trovare nel mio profilo.

E' stato un piacere scrivere questa storia, e non sapete quanto mi sia divertita a caratterizzare questi personaggi, ed è stati un piacere condividerla con voi. Grazie mille di tutto a tutti.
Many, che inizia piangere, commossa.

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