Suoni

di Fed
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il rumore è senso ***
Capitolo 2: *** Le pendu ***
Capitolo 3: *** Ritorno ***



Capitolo 1
*** Il rumore è senso ***


      

- Cos’è il suono?
- Oscillazione d’essere mancante.

Non mi dava retta. Continuava a respirare più avidamente di quanto non parlasse.
I gatti non mi erano mai stati simpatici.
- Eppure, il suono…

Ci ostinavamo a crogiolarci nel sole, presi lui dal suo volersi amare, io dal mio volermi odiare. Mi ero incastrata un baluginio negli occhi per ricordare la luce più a lungo.
- Te l’hanno mai chiesto?
- Cosa?
- Cos’è l’infinito.
Il suo pelo rifletteva i secondi che ci scivolavano addosso, la mia pelle, invece, brillava solo di vaghe opache speranze; forse era per questo che il discorso non era congruo alle aspettative.

- Me l’ha chiesto un ragazzo col cappello.
- I ragazzi col cappello pensano troppo. Mettono su un cappello per nascondere i pensieri.
- Comunque me l’ha chiesto.

- Comunque.
Cominciava sempre così i nuovi discorsi. Si accumulavano tutte le parole sul bordo esatto del cielo e rimanevano impigliate all’azzurro.
- Sai che i gatti miagolano?
- Teoria disarmante.
- Eppure miagolano.
- Io non miagolo. È primavera, gli umani pensano che i gatti in primavera miagolino solo perché sono in calore.
- Eppure miagolano.
- Di tanto in tanto i gatti vanno in calore.

Annuendo, osservai le vecchie domande rimaste insolute.
Pendevano sulle nostre teste. Letteralmente.
L’inchiostro colava via dalle più vecchie e ci copriva di sozzura.
- Comunque.
- I gatti in calore non li sopporto.
- Comunque, dicevo. L’infinito.
- Ah. Il ragazzo col cappello.
Mi guadagnai un’occhiataccia.
- L’infinito. Non il ragazzo.
- Scoppierà a piovere, prima o dopo.
- Cerchi di fuggire?

Faceva caldo ed il sole era alto. Le mani conficcate nella terra spugnosa erano diventate piccole piante rampicanti. Sentivo quasi di poter arrivare altrove.
- Ma cos’è Altrove?
- Altrove è qualsiasi altro luogo.
- Come un riflesso sul pavimento.
- O un riflesso miotatico.
- Sai. Prima o poi dovrai affrontarli questi tuoi demoni.

- Comunque. Sai?
- Di tanto in tanto.
- Ma i gatti continuano a miagolare. Lo fanno per fare rumore. Il rumore è un suono magnifico, un’oscillazione celestiale.
- Tu non miagoli.
- Eppure miagolano.
- Nonostante sia primavera, il tuo pelo riflette l’estate.

Mi sorrise con quel suo muso da gatto.
- È l’attesa.

Faceva freddo e la luna era bianca. I capelli attaccati al collo dal sudore erano diventati ricordi mancanti. Sentivo quasi di poter essere altro.
- Ma cos’è altro?
[…]

- Comunque.
- Altrove, qualcun altro.
- L’infinito è silenzio.

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Capitolo 2
*** Le pendu ***


- Altrove?
- Altrove è un altro posto.
- Rispondendo così accumulerai solo silenzi.

 
C’era silenzio, infatti, ed il cielo era scomparso. Il soffitto bianco mi riempiva gli occhi ed il pavimento odorava tanto di candeggina che anche le mie vie respiratorie sembravano ormai completamente decolorate.
Fondamentalmente, ero da sola.
Io, lei e lui. Sola.
 

- Ma io non volevo essere qui.
- Capita a tutti.
- Di volere?
- Di non essere.

Lei rispondeva sempre, lui non parlava mai.
Tanto lei era saccente, tanto lui era timido.
 

- Eppure è capitato, talvolta, di sentire altro che voi.
- Ma non ne sei sicura.
- L’ho scritto.
- Le tue mani non sono più le stesse.

Mi osservai le mani: tra il dispiacere e la rabbia, giacevano grigiastre alla fine dei miei avambracci, abbandonate al vento e alla pioggia.
- Erano bianche?
- Mai state. Non erano farfalle.
- Hai mai visto farfalle completamente bianche?

[…]

- Perché qui piove?
- Questo dovresti chiederlo a lui.
- Io penso…
- Lascia stare. Lo sai che di noi tre sei l’unica a poter fare domande, limitati a quelle.

Annuii.
Ricordavo di essere sola da sempre. Di lei non ero mai certa, alle volte la sentivo respirare all’altezza della gola, altre volte sembrava trovarsi sulla bocca dello stomaco. Altre volte ancora non c’era affatto – o forse smetteva solo di respirare per farmi credere di essere altro.
In quei momenti rimaneva lui. Lui c’era sempre e, nonostante rare volte fosse pieno e lucente, ultimamente ansimava nel suo sfiorire veloce.
 

- Perché qui piove?
Lo chiesi a lui.
Era così solo da non sentirmi affatto.

 - Sai. Non ti fa bene pensare. Ora e qui potrebbero non esistere e di certo arriverai a scordarli domani. Ci sarà una festa e tutti saremo felici.
- “Tutti stanno andando alla festa e si divertono molto”.
- Non citare con me. Io colgo comunque solo le sfumature.
- E lui?

 
C’era ancora silenzio e le parole fuggivano via. Le domande che mi pendevano sopra la testa poco prima erano solo cocci sul pavimento. Cadendo avevano fatto un piccolo PLOF.
Poi nulla.
Il soffitto era ancora colmo di venature grigiastre.
 

- Il gatto saprebbe farmi le domande giuste.
- In realtà i gatti non parlano affatto.
- Voi sì?

 
Lei stava ritta in piedi.
Sembrava un minuscolo, vecchio frassino mosso appena dal vento.

- A dire il vero non parli neanche tu.
Disse digrignando i denti ad ogni parola.
- A dire il vero mi è odioso davvero tutto, di te.
Aggiunse.

 

[…]
Le farfalle bianche, quasi avendo paura di far troppo rumore, sbattevano le ali lentissimamente.

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Capitolo 3
*** Ritorno ***


Mi capitò un sabato di molti mesi dopo di tornare dal gatto.
Odiavo il fine settimana, ma solo allora ero capace di mettermi in viaggio.

 

Il prato era ancora verde nonostante il cielo vomitasse riflessi scarlatti.
Mi persi nello smeraldo dei miei pensieri e solo allora mi accorsi della pioggia.
- Come sempre, come sempre.
Disse lui senza guardarmi. La rabbia fumosa di chi conosce il futuro faceva fremere le sue orecchie, l’ansia appesa alla sua nuca piccola mi ferì profondamente.

- Non sono tornata per restare.
Dissi col mio tono migliore, scadendo poi nel cinismo alla frase seguente.
- Sei tu, con quel tuo fare da gatto, a volermi qui.

Scrollò la testa e la pioggia volò via dai suoi peli in un bagliore accecante. Le lacrime mi si conficcarono in gola e rimasero lì, pesanti come un colpo di tosse; non avevo altro che sonno.

 

- La felicità non basta ad essere felici. – annunciai tetra – Potresti averla e non possederla affatto.
Lui non mi rispose ed io attesi.
Sembrarono anni.

[...]  

- Perché non sai fermarti? – mugugnò piangendo forte. Le parole gli rimanevano aggrappate sui baffi – Perché questa continua distruzione? Non lo capisci? Non capisci che piove?
Spezzata continuai nella mia attesa, cercando nell’ansia una sigaretta che non trovai. Calciai l’erba e spuntò la terra umida a sporcarmi le scarpe. Urlai per il fastidio e per il dolore.
Feci per andarmene e non mi trovai più i piedi.

- Tu non sei fatta per vivere.
Lui si voltò solo allora, il suo naso mi riempì di nostalgia.
Cercai di ritrovarmi prima di rispondere, ma fu facile precedermi; ciò che cercavo era solo un riflesso condizionato che mi ero imposta tanti anni prima e che, da qualche tempo, stava svanendo con scoppiettii improvvisi da fuoco morente.
- L’inchiostro ti ha succhiato via l’anima.

- Ma sono viva.
Lo dissi con calma, osservando il cielo perso tra il rosso più cupo e le nuvole fumose.
- Per anni ho creduto che bastasse altro, ma non basta affatto.
- Senza sei nulla.
- Eppure.

 

- Comunque.
Ricominciò con i suoi modi, quelli antichi, sottili.
- L’hai appena fatto.
Sorrisi senza gioia, ma il cielo si schiarì di colpo. Le nuvole scure ci rovinarono addosso e svanirono nelle nostre mani. Le ossa cervicali mi si impigliarono al cervello, sussurrandogli di adagiarsi, di nuovo.
- Basta questo?
- Non basta nulla.
- Basterà mai?
- A te? – chiese lui divertito – Oh, no. A te mai.
Rise di gusto ed io mi accoccolai al suo fianco, sporcandomi le gambe nude.

- Ritrovarti è un piacere – sussurrai quindi carezzandolo – che mi uccide lievemente.

 

[...]

Guardammo in giù dopo tanto tempo. Il precipizio era intatto e meraviglioso.
- Cadere non è toccare terra.
- È staccarsene.

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