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di nowaryesreggae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Over the Hill ***
Capitolo 2: *** Alice, e nient'altro. ***
Capitolo 3: *** Sono una sfigata. ***



Capitolo 1
*** Over the Hill ***


E' tutto fottutamente bianco qui. Lo vedo, anche con gli occhi intrappolati tra le palpebre. Sento l'odore di quel colore sulla pelle, sui capelli, sulle pareti. C'è qualcuno che si muove, qui dentro. Lo so. Lo sento. Ha un profumo stranamente familiare che mi invade le narici. Vorrei muovermi, giuro. Ma gli occhi sono pesanti, le gambe sono diventate massi. Sto per impazzire. Sto gridando dentro, il mio dolore silenzioso nessuno lo sente lì fuori. Poi il mio cervello si calma, mi ripete 'dormi, dormi'. Sento ogni percezione di me, di bianco e di uomo abbandonarmi. Come in un cinematografo, danno una pellicola speciale stasera. Mi accoccolo su me stessa e mi godo lo spettacolo, stavolta.

 

 

'Svegliati, svegliati'. Una voce nella mia testa. Maledizione, sono le tre di notte. Mia madre che ancora non ha capito questo maledetto fuso orario. Il Blackberry lampeggia come un pazzo. Allungo il braccio, premo il tasto sbagliato. 'Chiamata deviata'. Penserà che gli alieni mi abbiano rapita. A tentoni digito nuovamente il numero, la sua voce affannata risponde dall'altro capo. Faccio la voce grossa, ripetendo che sono le tre e che mi trovo dall'altra parte del suo mondo. Si scusa. E allora mi addolcisco. In realtà mi manca, ma non ho trovato ancora il tempo per farglielo capire. La mia cucina è vuota, nessun odore di cibo italiano, nessuna voce familiare a salvarmi dai miei ritardi mattutini, niente miele dorato e gatti dovunque. Niente mani a scompigliarmi i capelli. Vorrei dirglielo che in un mese che sono qua ho già incontrato un ragazza che mi aiuta a portare a casa la spesa, che studia con me e mi abbraccia forte, ma ho sonno da morire. E allora taglio corto, la scusa dell'orario mi salva. Ho ancora appena quattro ore per dormire. Sempre troppo poche. Scompaio di nuovo tra le coperte senza alcun ritegno. Un fianco, poi l'altro. Poi di nuovo l'altro. Schiaccio la pancia contro il materasso, sospiro forte. Ci riprovo, ma non riesco a dormire. Scendo le scale rumorosamente, questa casa è troppo grossa per me che sono sola. Mi sento ancora più abbandonata, quando rientro e i miei passi rimbombano dal vuoto che c'è. Quasi quasi rimpiango la telefonata fuori orario di mamma, rimpiango il mio paesino inutile in cui ammazzare il tempo era davvero un'impresa. Ho voglia di aria. Prendo il giubotto, le chiavi. Sbatto dietro di me la porta, con violenta dolcezza. Mi hanno detto che c'è un punto, lì sulla collina da cui si vede tutta la città. Ho ancora due ore di tempo, per salire e vedere l'alba sopra questo magnifico manto di cemento e acciaio. E allora mi incammino, per la stradina bianca qua, vicino a casa mia. Mi sento stranamente padrona di me stessa, il cellulare l'ho lasciato a casa, per dimenticare eventuali chiamate ossessive o attacchi di mancanza che qualche persona che non sento da anni potrebbe in qualsiasi momento avere. Cammino, cammino. Inciampo ogni tanto su qualche ciottolo, come al mio solito. Gli alberi si infittiscono, il buio anche. Ah, se mia madre lo sapesse. Ah, tremerebbe d'ansia. Una ragazza diciannovenne sola in mezzo al bosco e senza cellulare. Per scelta poi. Roba da pazzi. Eppure voglio vederla Los Angeles, che è vicina ma non l'ho mai vista. E' sotto di me, adesso. Arrivo in cima stremata, infreddolita. Mi stringo un po' di più nella giacca. Poi mi siedo, sull'erba. E' da togliere il fiato. E' da farti sentire ridicolo, da farti credere solo uno stupido scarabocchio. Da farti venir voglia di tuffarti in quel mare di luci. Resto così, non so per quanto. Magari fino a che mi va. Ma c'è qualcosa che mi distrae, ad un certo punto. La vegetazione fruscia, passi, rumore di suola di scarpa. C'è qualcuno, e sta venendo verso di me. Mi faccio piccola piccola, ma chissà se è già troppo tardi. 

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Capitolo 2
*** Alice, e nient'altro. ***


 

 

Il bianco è meno intenso, le narici sono più libere. Vorrei spostare il mondo, ma non posso muovere nemmeno le dita. E' tutto così assurdo. Vivo dentro di me e non fuori. Sento il respiro mozzato a metà, chi era quell'ombra?Cosa voleva da me?Di nuovo il torpore, una voce. 'Dormi, dormi'. Qualcuno si muove accanto a me, lo sento. Ma la confusione è più forte. Tutto sbiadisce lentamente. E' di nuovo buio, e sono di nuovo seduta a terra.

 

Ca**o, non so che fare. Respiro piano, pianissimo. Quasi non mi sento più. Spuntano un paio di occhi nel buio. Io posso vederli, e loro possono vedere me. Allora tanto vale che io mi alzi in piedi. In realtà sto tremando, me ne accorgo non appena poggio il gomito sul terreno per farmi forza. L'ombra si avvicina, e mi porge la mano. Accetto l'aiuto. E' un uomo, ha le mani grandissime. E' giovane, una ribelle ciocca gli ricade sulla fronte. Ed è piccolino da far tenerezza, ma con due spalle grosse quanto la porta d'ingresso di casa mia. Gli sorrido e mi ricompongo, e ringrazio.

'Come ti chiami?'

'Alice, piacere'. Pronuncio il mio nome in italiano, senza pensarci.

'E che diavolo significa A l i c e?' ripete ridendo, mettendo l'accento sulla pronuncia del mio nome che, evidentemente, gli sembra così ridicolo. Ah, questi americani.

'Scusa, lo ripeto nella tua lingua!'. E ora capisce. E ride di nuovo. Ma diamine, è proprio strano questo. Solo a me poteva capitare di decidere di arrampicarmi su una collina alle tre di notte e trovare un altro tizio pazzo almeno quanto me che ride del mio nome.

' Ah comunque io sono Shannon, piacere!'. Eh no, adesso mi vendico. Rido più forte io.

'Ma non è un nome da donna, scusa?'.

'No, veramente no.' Sussurra. Pare si sia un po' offeso.

'Beh, vorrà dire che abbiamo due nomi strani. E a quanto mi sembra di capire non sono quello, visto che sono le tre e mezza e siamo qua a congelarci non so per quale motivo, precisamente.'

'Questo posto è meraviglioso. L'ho scoperto qualche anno fa, quando mi sono trasferito qua con mio fratello. E ci vengo ogni volta che ho bisogno di stare solo con me stesso. Sai, mi riesce difficile in mezzo al casino della vita che mi ritrovo. E invece qui non avevo mai trovato nessuno, eccetto te stasera. E in effetti è strano, non sei nemmeno originaria di questo posto, a quanto ho capito.'

' No, però avevo bisogno d'aria. E poi abito completamente da sola, e tra la nostalgia di casa e la solitudine di questo posto a volte mi sento semplicemente soffocare. '

Mi guarda e non risponde, ma mi fa cenno di sedermi. Tira fuori una macchina fotografica, e si siede silenziosamente vicino a me. Scatta una foto al panorama, l'alba sta già cominciando ad invadere il cielo, con la sua tenerezza ed eleganza. Poi mi guarda ancora un po', adesso c'è luce. Lo fisso di rimando, ha degli occhi che sembrano più profondi dell'abisso del Mississipi,, che sembrano aver visto il mondo con innocenza maturata, con amore ma quasi con amarezza. Io non riesco a sostenerli così tanto, sono umana.

' Posso scattarti una foto, o magari anche due?'

' Certo che puoi.'

' Sai, il mio sogno è diventare fotografo. Raccolgo frammenti della mia vita, ed amo i nuovi incontri. E questa è una nottata abbastanza insolita, quindi vorrei far in modo che resti impressa da qualche parte.'

Resto immobile, non so se vuole che mi metta in posa. Forse no, si alza. Sorrido di risposta, mi muovo naturalmente. Mi sento a mio agio, con uno sconosciuto, all'alba, sulla cima di una collina con un misero paio di jeans e una canotta addosso, con le spalle e le braccia congelate, il cellulare staccato barricato dentro casa, il letto sfatto e l'armadio spalancato, disordinato. Mi sento bene anche se ho lasciato la mia vita giù, in fondo, dove il bosco si fa prato. Alice quella impegnata, Alice quella che deve render conto agli altri di ciò che fa, delle sue scelte e del suo modo di respirare, di come guarda il mondo e di come si deve innamorare, per non soffrire. Sono chiusa in una scatola giù, in fondo e non lo so se tornerò a prendermi più tardi, davvero non lo so.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Sono una sfigata. ***


 
Di nuovo quel dolore dentro, lancinante, malvagio. Non posso urlarlo, e allora si consuma qui, dentro di me, rimbalza dalla testa fino allo stomaco, fino alla punta delle dita. Sono debole, ma lì fuori lo sanno che sono qui?Che sono intrappolata dentro me stessa?Che qualcuno dovrebbe venire a salvarmi? Ancora voci sconosciute, ancora bisbigli e conversazioni che non so percepire. Dove sei, occhi profondi?Dove sei, uomo tutti muscoli? Magari tu potresti salvarmi, magari. Sei il protagonista di questa assurda saga cinematografica della mia vita, che da il suo spettacolo tra le pareti del mio dolore più profondo. Ci risiamo, lo sento. Devo dormire. Devo tornare sulla collina all'alba per sapere come andrà a finire, devo o forse non posso fare altrimenti.
 
 
 
Ha una macchina, cavolo. É organizzato e anche simpatico. Mi offre un passaggio. Gli chiedo di vedere le foto che ha scattato, mi fa capire che è meglio di no. Okay Alice, stai al tuo posto, bambina. Camminiamo per una buona mezz'ora in mezzo alla natura più selvaggia , poi ci destiamo entrambi da una sorta di imbarazzo sonnolento.
'Ma dove abiti Alice?Dove abiti?' mi chiede, e scoppia a ridere.  Ma diavolo, vuole mettere in mostra di continuo quella fila di denti perfetti?
'Oddio, sai che non me lo ricordo?'.  Mi guarda come fossi un'aliena. 
' In qualche modo dovrai ritrovarla, no?.Cerca di orientarti dai!'
E allora sì, mi oriento. Lo guido gridando 'gira a destra', ' a sinistra spostandoti un po' verso destra' e cose simili finché non riconosco la porta turchese.  E' una vera e propria comica, mia madre sarebbe fiera di me e del mio senso dell'umorismo. Magari quando entro in casa e accendo il cellulare glielo racconto, o forse no. 
'Fermo, fermo è quella casa mia!' grido sbracciandomi. Inchioda, scende e mi apre la portiera. Galantuomo! Scendo, non devo inciampare. Non devo fare qualsiasi gesto imbarazzante, o dire la cosa sbagliata. Devo aprire la serratura, voltarmi, sorridere, salutare, chiudere la porta. E' facile. Come quelle dei film, dai. Lo fanno loro, lo faccio io. Facile! Aprire la serratura, volt...Oh maledizione, non ricordo nulla. Mi sta fissando da dietro alla macchina, se la ride. Evidentemente sono bloccata nella stessa posizione da mezz'ora e  ho un aspetto da ebete. Finalmente ricordo tutto, giro la chiave nella toppa, mi volto dalla parte sbagliata, mi volto di nuovo, lo individuo, lo saluto e lui risponde esplodendo in una risata, lui, la sua fila di denti bianchi, e i suoi occhi, quelli lì del Mississipi. Olè. Chiudo la porta senza ritegno, anche se quello sguardo metterebbe in moto le gambe di chiunque. Non gli ho chiesto dove abita, il cognome, l'età, il codice fiscale. Niente. Sono una sfigata. E come se lo sono. Salgo le scale, inciampo. La notte insonne e l'imbarazzo cominciano a pesare sulle ginocchia.  Entro in camera, mi guardo intorno. La Bastiglia il 14 Luglio del 1789 doveva avere un aspetto più ordinato e assestato. Ma poi perché mi vengono in mente queste metafore francesi, e pessime peraltro. Accendo il cellulare, che comincia a lampeggiare anche su spie rosse che si sono dimenticati di appiccicarci. Venti miliardi di chiamate perse e messaggi carichi di ansia.  Placo tutto con uno squillo, che da sempre nella mia lingua vale un po' come un 'non rompete le scatole'. Mi affloscio sul letto, mi ci tuffo. Come mi tufferei nel Mississipi. Come che adesso vorrei un fiume maestoso a scorrermi dentro casa. Shannon Mississipi, sì, mi piace. Chiunque tu sia, ovunque tu sia tornato o andrai, sappi che non ti libererai facilmente di me, puoi contarci. 
 
Quando mi sveglio il sole è già alto nel cielo. Dovrei essere a lezione, in realtà. Ma no, mi avvolgo un po' meglio nelle lenzuola e resto abbandonata addosso a me stessa ancora per un po'.  Voglio vivere senza impegni, almeno senza averne troppi. Gli orari, gli appuntamenti, la scrivania piena di fogli, il nervosismo a fior di pelle. Basta, voglio diventare una persona migliore.  Scendo che sarà, che so, l'una. Le mie fette biscottate piene di miele, il mio latte di soia e il mio caffè italianomi aspettano di sotto. Il sapore con cui ho iniziato le migliori giornate della mia vita. Compresa questa, che sono sicura finirà sulla cima di una collina, all'alba, con un po' di timidezza che sa diventare coraggio, come sempre.

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