Una vita innocente nella Russia comunista

di Reberu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** 1 capitolo. ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***


« Sofronov! » esclamò il coordinatore mentre io, sorridente, osservavo quel ragazzino che sghignazzava con una certa e incomprensibile foga con altri compagni, che acconsentivano a quelle simpatiche e grossolane battutine.
 « Sofronov, smettetela! » Lo stesso uomo che lo interpellò precedentemente, un uomo tarchiato con gli occhi iniettati di sangue, sembrò quasi imbestialirsi maggiormente quando, per un misero secondo (forse per errore) il ragazzino si voltò e gli rivolse uno sguardo divertito, e non solo, aveva anche abbondante riso in bocca.
 Quel fare, burlone e menefreghista, sinceramente, era da tempo ormai poco apprezzato dai coordinatori e da alcuni compagni, che sembravano stargli attorno solo per un tornaconto personale; questa era una delle teorie. Io stesso, scrivo di quest'ipotesi con confusione, poiché, correttamente e minuziosamente, posso solo parlarvi di ciò che passava nella mia, di testa, quando mi limitavo ad osservare da lontano e con devozione quel mio coetaneo dall'apparenza seria, quello che, subito dopo, si rivelava esilarante e quasi improbabile. Insomma, era un personaggio pieno di contraddizioni.
 Quel Roman, quel maledetto, mi aveva stupito, ma non riesco ancora a comprendere se in negativo, o in positivo.
 Comprendere me stesso, le mie parole su di lui, i miei pensieri impossibili e indecifrabili su di lui, la mia opinione su di lui, insomma, tutta quella robaccia nella mia mente, spesso era un'impresa ardua ed astrusa. Non riuscivo a mantenere un'idea costante, una a cui credere fermamente perché capii che osservare, anche se con attenzione, ciò che una persona appare, non è assolutamente uno dei modi migliori per riconoscerla, non è assolutamente il metodo corretto, eppure, spesso si pensa che l'esteriorità sia una parte integrale dell'essere.
 Eppure, non è così.
 Per quanto cercassi di capire la sua personalità dai suoi lineamenti, espressioni e quant'altro, dovetti accettare che tutto ciò che faceva parte della sua esteriorità, non corrispondeva un bel niente con sua interiorità, complicata, ma che non riuscivo a non adorare e stimare.
 Questo fatto mi rattristò, poiché, appena firmai le prime presenze al K.O.M.S.O.M.O.L, alcuni incontri erano già stati effettuati e tutti i compagni sembravano essersi coalizzati in vari gruppi, oppure, certi, sembravano avessero trovato il proprio collega favorito: quello con cui scambiarsi opinioni -ovviamente, favorevoli- sulla politica del nostro governatore supremo, quelli con cui parlare dei valori comunisti, oppure, se si desidera allungare la lista di quegli individui, vi erano anche quei compagni malsani che avevano già qualcuno con cui fumare le loro prime sigarette. Questo, non solo mi provocò un'angoscia agonizzante, una di quelle che riducono l'essere a qualcosa di inutile, ma, addirittura, nella mia mente vi passarono dei pensieri strani, di quelli che è decisamente meglio allontanare seduta stante. Quali sarebbero quei pensieri, vi chiederete, se siete arrivati fino a questo punto della vostra lettura; beh, quello di lasciare il K.O.M.S.O.M.O.L: ma, guai se avessi proferito simili parole. Ma almeno, cercate di comprendermi. Se voi vi sentiste praticamente degli esseri indesiderati in un luogo che neanche voi amate nel profondo non provereste un desiderio costante, anche se dannoso, di fuggire da quel luogo che per voi è una campana di vetro? E non finiscono qui, i miei sfoghi. Ora, più che di un desiderio, desidero parlare di quella sensazione di repulsione per ogni cosa che trattasse di questo dannato K.O.M.S.O.M.O.L.
 Deliravo, quando dovevo semplicemente mostrare la mia tessera, di uno stupido rosa, al coordinatore per farsi trascrivere la sua firma. Certe volte, mi vennero voglie malsane come quella di stracciarla.
 Deliravo, quando mia madre mi informava di tutte le agevolazioni che avrei avuto partecipando a quel circolo.
 Deliravo, quando mi chiedevano interessati come andasse la mia frequenza lì.
 Ma comprendetemi, e siate sapienti, lettori miei; quella frequenza mi stava quasi opprimendo, e i miei parenti, compresi genitori, sembravano trarre piacere nel vedermi sempre tendente anche a scatti di rabbia, quella che cercavo di attenuare con dei respiri profondi, quella che cercavo di opprimere chiudendo gli occhi, ma spesso, dall'inconscio, delle immagini disturbavano la mia tranquillità, e non riuscivo a trovare momenti di quiete. Le parole da sopportare, erano ormai troppo pesanti, soprattutto, come già detto, quelle della mia famiglia. Loro, ormai russificati, soprattutto i miei zii, erano, a mio parere, una delle peggiori tipologie di persone. Loro, ormai, avevano un non so che di esageratamente russo: il loro accento yakuto -quel nostro accento spesso duro, spesso cantilenante, a causa della nostra lingua a tratti spigolosi-, stava scemandosi così dando spazio ad una parlata inconfondibilmente moscovita; ormai, avevano perso quasi quasi la loro importanza che davano alle nostre millenarie tradizioni, e, se vogliamo dirla tutta, si rifiutavano di pregare il dio Sole durante lo Ysyakh*, e di festeggiare al villaggio il capodanno; ormai, le loro menti si erano perse in un mare di ideologie social-comuniste, il governo aveva provocato, con la sua potenza, un danno, a parer mio, permanente nell'animo e nella logica delle persone. Se vogliamo dirla tutta, anche io, da piccolino, avevo rischiato di essere corrotto dalla politica e dalle teorie dei miei parenti. Mi stavano crescendo inculcandomele, e passai alcuni anni della mia vita credendo di essere convinto di esse, addirittura, mi dissero, parlando del passato, che cercavo di propagandare quelle ideologie anche tra i miei compagni di classe. Ma, non spaventatevi, con il tempo, persi logicamente quell'attaccamento e quell'amore per la politica, e me accorsi quando cominciavo a proferire non più parole basate sull'ideologia comunista, ma su basi che potevano suonare pericolose, incitanti alla rivoluzione o reazionarie, anche se non mi rendevo conto di ciò a cui potevo andare incontro.
E' da lì, che iniziò il mio percorso di rieducazione.


*Lo Ysyakh è una festività tengrista celebrata ogni anno a Luglio, con grande zelo, nella regione del protagonista (Yakutia).

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Capitolo 2
*** 1 capitolo. ***


A scuola, e non solo, spesso si sentiva parlare di gulag. Si diceva ch'essi fossero luoghi di rieducazione per la gentaccia reazionaria e dissidente, e addirittura, noi bambinetti, ancora ingenui ed innocenti, provavamo un senso di inquietudine e terrore quando venivamo a sapere che alcuni di essi fossero collocati nella nostra regione; onde evitare spiacevoli conseguenze, gli adulti, come già avrete capito, insegnavano noi come comportarci. Insomma, usando un linguaggio assolutamente semplice e infantile, eravamo tutti uguali.
Io ero tra quei pochi bambini dotati, in modo spontaneo e naturale, di abilità di pensiero leggermente più sviluppati di quei miei coetanei che mi circondavano. Non che mi reputassi più intelligente, o più capace dei compagni -dopotutto, poveri, non era mica loro, la colpa-, ma mi ritenevo più eccentrico, forse più complicato ed ingegnoso di loro. Quando si è ancora giovinetti, poco si pensa allo sviluppo di una propria mentalità, una di quelle uniche, di quelle che seguono e rispettano i nostri principi, quelli che ci vengono naturali dalla nascita. Non che questo, comunque, valga per tutti i bambini, ma, certamente, anche quelli con capacità più sviluppate e con una mentalità più dissidente, dovevano essere rieducati a dovere. Certi marmocchi straordinari, per quanto possano essere unici e irripetibili nel loro genere, spesso vengono condizionati e plasmati, a volte con accurata attenzione, a volte senza ritegno, così facendo che l'individuo diventi nuovamente un piccolo "cittadino" corretto e giusto. Infatti, essendo ancora un pivello, i miei genitori e, sì, diciamo l'intera famiglia, sembrava essersi messa in comune accordo per rieducarmi, onde evitare spiacevoli conseguenze. Mi insegnarono a rispondere in un certo modo ai dibattiti, mi insegnavano a recitare le interessanti (sì, certo) citazioni dei più grandi comunisti della storia, mi inculcarono che in realtà non esisteva nessun Dio, nessun Dio sole o simili, e tanto altro. Diciamocelo, la mia famiglia stava manipolandomi e indirizzandomi verso altre scuole di pensiero così allontanandomi dalla mia natura. Aveva plasmato la mia mente come si progetta un robot, cioè, dicevo, facevo tutto ciò che loro mi aveva con dedizione insegnato senza prestare, ovviamente, particolare attenzione a ciò che realmente pensavo. Però, dovrei fare loro i complimenti, sì, seriamente; stavano arrivando al termine del loro losco obiettivo -ognuno ha delle abilità nascoste ed evidentemente la mia famiglia aveva la capacità di condizionare- se non fossero stati gli anni che passavo a reindirizzarmi naturalmente verso le mie ideologie perdute. Quei miei comportamenti, scorretti e pericolosi, non furono certamente arrestati dalla derisione, dall'umiliazioni da parte di altri, anche se, ovviamente temevo la persecuzione. Se fossi diventato una persona di alto rilievo nel mio campo, anche solo un'insinuazione sospetta mi avrebbe procurato dei guai molto gravi. Tutto veniva ormai ispezionato ed esaminato con attenzione, ed ogni nostra azione (lettori, ci mancava poco anche il nostro stesso respiro!) doveva essere conforme all'ideologia. Se mi avessero catalogato come trasgressore, e con altre etichette indelebili come "sospetto","pericoloso","rifiuto della società", quella sarebbe stata la rovina non solo mia, ma in parte anche per la mia famiglia; addirittura, mi capitò di venire a sapere che il padre di un mio compagno, anch'esso, come me, un evidente e convinto dissidente, era stato pesantemente deriso da un ragazzino; vi parlo di insulti molto pesanti e carichi di significati che non dovrebbero essere mai proferiti, in nessun modo, da giovinetti così piccoli e soprattutto così stupidi.
Ormai, tutto quel bombardare il popolo -i giovani, gli adulti, e anche i signori di una certa età- era dannoso e controproducente non solo per l'ideale di democrazia (oh no, la parola proibita!) cosa mai esistita in Russia, ma per la sanità delle persone stesse.
Io, personalmente (ah, come se non avessi mai espresso il mio parere in queste pagine!) ritengo che questa condotta forzata avesse potuto portare all'esaurimento nervoso, e se vogliamo esagerare (anche se in questi casi eccedere non è un male, chissà la sofferenza di quei repressi!) anche alla follia. Quella politica significava non solo la rovina di un popolo, ma di tanti popoli, quelli di quest'URSS che aveva inglobato molti paesi confinanti, aah, poveri noi! Ma che illusi, questi sovietici, pensavano che io potessi davvero essere rieducato, illusi, poveri illusi;
Vorrei davvero scrivere ancora, ancora e ancora, magari su quegli eventi che portarono problemi anche con la mia famiglia, gli scontri, e di mio padre. Ma sinceramente, un dolore alla testa inizia ad infastidirmi.
Che queste pagine mi perdonino!

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