La condanna del Purosangue

di Changing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova amicizia ***
Capitolo 2: *** La fuga ***
Capitolo 3: *** Notte di luna nuova ***
Capitolo 4: *** Ricordi in una tazza di té ***
Capitolo 5: *** Niente di meglio di un buon bagno ***
Capitolo 6: *** Un'anima dilaniata ***
Capitolo 7: *** Tradimento ***
Capitolo 8: *** Fine della casa nel bosco ***
Capitolo 9: *** Nella stanza delle cose nascoste ***
Capitolo 10: *** La battaglia ***
Capitolo 11: *** Avevi gli occhi lucidi ***



Capitolo 1
*** Una nuova amicizia ***


La condanna del Purosangue






Prologo
Di vecchi rancori e nuovi amici







Amore. Inteso in qualunque sua forma, sotto ogni aspetto, era un qualcosa di incomprensibile per Draco Malfoy. Amore per una donna, per l'arte, per la natura, per gli animali, tutti ridicoli valori senza alcun fondamento. Eppure, fu proprio un atto privo di affetto che lo portò a scoprire questo sentimento.
...
Era una tipica giornata primaverile: mite, dall’aria dolce e piena di vita, con un sole tiepido ed inebriante, ma senza essere invadente; perfetta per una gita ad Hogsmeade.
Una ragazza girovagava senza meta per le vie del paese con la borsa a tracolla colma di libri nuovi. Era sola. La sua bellezza, delicata nei lineamenti, era pari al suo ingegno e non c’era volta che mentre passeggiasse qualcuno non si voltasse a guardarla. Aveva lunghi e setosi capelli corvini che le ricadevano sulle spalle in morbidi boccoli ed acuti ed intuitivi occhi indaco.
Astoria Greengrass, questo era il suo nome, apparteneva ai Corvonero, benché la sua famiglia fosse Serpeverde da generazioni. Tuttavia, nonostante fosse davvero orgogliosa della sua Casa non aveva, in cinque anni, mai trovato alcuna affinità con le sue compagne. Era vero che era circondata da studenti più o meno brillanti, ma non si trovava affatto in sintonia con la loro mente speculativa ed estremamente superficiale. In una parola borghese. A loro interessava solo ciò che era utile, ciò che spesso non si accordava con la particolare sensibilità di Astoria. In sostanza aveva molte conoscenze che non usava approfondire.
Immersa nei suoi pensieri, la ragazza si ritrovò improvvisamente in uno stretto vicolo. Il suo scarso senso dell'orientamento non l'aiutò di certo. Si guardò intorno, cercando con sguardo attento anche solo un insignificante punto di riferimento. I dintorni erano deserti. Sembrava di trovarsi in una dimensione parallela rispetto alle vie principali brulicanti di gente e pervase dal loro chiacchiericcio, sebbene gli edifici di pietra e mattoni grigio scuro fossero sempre gli stessi.
D'un tratto sentì un rumore che le fece accapponare la pelle. Un lamento, di certo non umano. Ebbe paura, e un lungo brivido le percorse tutto il corpo, facendole balzare il cuore in petto, ma la curiosità, come sempre, fu più forte di lei. Mantenendo il suo solito sangue freddo, seguì quel gemito straziante. Avvicinandosi sempre di più alla presunta fonte del rumore, riuscì a distinguere delle voci. D'istinto accelerò il passo, poi cominciò a correre. Svoltò a destra e poi a sinistra un paio di volte finché non si ritrovò di fronte una scena tanto pietosa quanto ignobile. In un angolo, rannicchiato su se stesso, vide un cane il cui pelo era di un color crema così chiaro da sembrare bianco. Quel candore era contaminato in vari punti da chiazze cremisi.
 “Sangue?!” pensò inorridita Astoria, mentre sentiva nascere impetuosamente dentro di sé una forte rabbia mista a compassione.
Poco distante, un gruppo di Serpeverde rideva a crepapelle. Due di loro, entrambi di corporatura piuttosto robusta, erano piegati con le mani sulle ginocchia. Il terzo stava con la schiena appoggiata contro il muro, giocherellando con un ciottolo che teneva in mano e con in volto dipinto un ampio ghigno soddisfatto.
Prima ancora che si accorgessero della sua presenza Astoria sfoderò la bacchetta con un rapido movimento: «Everte Statim!»
Immediatamente i tre vennero scaraventati lontano, finendo a gambe all'aria.
La ragazza corse verso il povero animale che tremava in un angolo. Avvicinò cautamente la sua mano, reprimendo l'orrore del sangue in un'espressione stizzita, ma il cane le ringhiò contro.
«Tranquillo piccolo, non ho alcuna intenzione di farti del male» disse con la voce più calma che le riuscì, provando, per quanto difficile, a distendere i muscoli del viso. Aspettò pazientemente, in silenzio, con la mano tesa. Per lunghi istanti lui la fissò, incerto se fidarsi o no. Aveva degli splendidi occhi, pensò Astoria, davvero singolari: grigi striati da particolari scaglie color indaco. Alla fine il cane si avvicinò per annusarle la mano.
Una voce irritata esordì nel silenzio.
«Come hai osato, tu.... Greengrass?» la ragazza alzò lo sguardo, furente di rabbia.
«Adesso ti diverti anche a maltrattare gli animali, Malfoy? Ti facevo meno infantile»
Uno degli altri due ragazzi, che si era alzato in quel momento, le puntò la bacchetta contro.
«Non rivolgerti così a Draco ragazzina...» ma prima che potesse lanciare una qualunque fattura, Malfoy lo fermò con un gesto della mano, abbassandogli la bacchetta.
«Lascia stare Goyle»
«Esatto, è meglio che filiate via se non volete che il vostro amico lì abbia qualche problema» disse lei, indicando Draco con un cenno del capo.
«Ma cosa... Draco...?» obiettò l'altro Serpeverde.
«Non sono affari che ti riguardano» rispose secco il ragazzo «Andiamocene... In fondo è solo una stupida bestiaccia»
Astoria si alzò in piedi con uno scatto felino.
«Siete molto più bestie voi, che per sentirvi più forti vi avventate contro chi non può difendersi» non fosse stato per la sua buona educazione, avrebbe sputato ai loro piedi: «Mi fate schifo» aggiunse solo con uno sguardo pieno di disprezzo rivolto a Malfoy. Prima che il loro contatto visivo potesse durare qualche istante di troppo, lui le diede le spalle e se ne andò senza dire una parola.
Quando ebbero svoltato l'angolo, la ragazza si concentrò sul cane, che nel frattempo si era nuovamente accucciato nel suo angoletto. Esaminò attentamente le ferite, cercando di toccarle il meno possibile e ingoiando un aspro rivolo di bile che le salì in bocca.
Anche se non erano molto gravi, quei tagli rischiavano di infettarsi. Cercò frettolosamente una qualunque pozione che potesse fare al caso suo. Afferrò una boccetta contenente un liquido denso e violaceo.
Il pomeriggio trascorse in fretta, e Astoria si accorse che era ora di tornare solo all'imbrunire, quando anche la debole luce del crepuscolo accennava a scomparire. Fortunatamente, grazie alle sue abili cure, il cane si era del tutto ristabilito. A quanto pareva era persino riuscita a conquistare la sua fiducia; lui si lasciò accarezzare senza protestare e ricambiò cominciando a leccarle delicatamente una mano. Il viscidume della sua lingua liscia e rosea non era esattamente piacevole per lei, a dire il vero la disgustava un pochino, ma lasciò comunque fare il cane. La inteneriva.
Non doveva avere più di due anni, o forse tre. Era di taglia medio-grande, con il pelo corto e un po’ ispido, non molto curato, e un paio di orecchie appuntite. Aveva il muso lungo e regolare. Somigliava molto ad un lupo… domestico.
Curioso” pensò, “il tuo pelo e il colore degli occhi somigliano a quelli del tuo aggressore”.
La ragazza diede un'ultima carezza all'animale, poi si alzò proseguendo nella stessa direzione in cui aveva visto andar via il gruppetto di Serpeverde. Dopo pochi passi si accorse di non essere sola: il cane la stava seguendo scodinzolante.
«Non puoi venire con me, lo capisci? Non ti farebbero entrare ad Hogwarts»
Il cane abbassò le orecchie e guaì sconsolato. Lei lo guardò, cercando di non farsi vincere dalla tenerezza e dalla compassione.
- Facciamo così, ritornerò appena ci sarà un'altra uscita ad Hogsmeade. Promesso! - Il cane si accucciò a terra, appiattendo le orecchie.
Non sapeva bene il perché di quella promessa, in fondo non era nemmeno sicura che lui l'avesse capita. Nella testa le risuonarono le parole di Draco “In fondo è solo una stupida bestiaccia”. Si chinò per fargli una carezza, poi se ne andò trattenendo con tutte le sue forze l'impulso di rimanere o di portarlo con sé.
- Io non sono come loro – mormorò.
...
Dannata Greengrass”, disse Draco fra sé, seduto su una poltrona della sua Sala Comune. “Si crede di avere chissà quale autorità! Solo perché il suo papino Mangiamorte mi ha chiesto di tenerla d'occhio. Se mio padre non si trovasse in una situazione così precaria...” Rimase a fissare il fuoco per quelle che sembrarono ore, meditando su una possibile vendetta per l'umiliazione subita, ma non gli venne in mente niente. Qualunque cosa potesse inventarsi, lei avrebbe capito che sarebbe stata opera sua, come era sempre stato quando da bambino ordiva scherzi più innocenti. Ma questa volta era in gioco la sicurezza della sua famiglia, non poteva permettere che una bravata qualsiasi la mettesse a repentaglio, anche se moriva dalla voglia di vendicarsi. Aveva troppa paura della reazione di suo padre.
La famiglia Greengrass era da tempo immemore al servizio del Signore Oscuro e aveva inoltre stretti legami con la famiglia Malfoy e il casato dei Black.
Per questa volta avrebbe lasciato correre. Per questa volta.
 
Un anno passò, senza che i due ebbero più scambi di rilevante importanza. C’era una cosa, però, che colpiva sempre Draco nei rari momenti in cui si incrociavano per le strade di Hogsmeade: con Astoria c'era sempre “quell'ammasso di pulci”, che la seguiva come un'ombra. Lo stesso ammasso di pulci che, per noia, avevano preso a sassate qualche tempo prima. Sembrava che lei preferisse la sua compagnia a quella di altri esseri umani.
Che spreco” pensò distrattamente il ragazzo.

 


Hi everyone! (^u^)/°
In realtà questa doveva essere una piccola long di massimo cinque capitoli per il contest di Charlotte McGonagall, ma a quanto pare i personaggi hanno preso il sopravveno su di me e non ho potuto fare troppi tagli =P
Non so come dia partita l'idea, ma spero che vi piaccia comunque e che continuiate a seguire la fic.
Alla prossima!


Changing

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Capitolo 2
*** La fuga ***


Capitolo 1
La fuga



 

La notte del 25 Dicembre, si teneva nella residenza dei Greengrass uno speciale incontro. Un incontro che non aveva niente a che vedere con gioiosi e colorati festeggiamenti, ma che avrebbe dovuto cambiare cerimoniosamente la vita della secondogenita di questo casato.
Nell'ampia sala dei banchetti, erano seduti attorno ad un lungo tavolo il padrone di casa e i più stretti adepti alla cerchia dei Mangiamorte, tra cui: Rodolphus e Bellatrix Lestrange, i fratelli Carrow, Antonin Dolohov, Severus Piton e, naturalmente, la famiglia Malfoy. La sala era fiocamente illuminata, quel poco che bastava per distinguere i lineamenti di ogni volto. Voldemort sedeva a capotavola come di consueto.
Nell'aria vigeva una tensione così densa e opprimente che pesava tanto sulle spalle, quanto nel cuore. Tutto a causa di una sedia vuota accanto a quella di Dionysus Greengrass. L'uomo attendeva rigido e con sguardo ostentatamente vitreo e impassibile l'arrivo di sua figlia. Era un uomo dalla corporatura possente, dal viso severo, duro e quadrato, che portava però i segni di una profonda stanchezza.
«Ebbene Dionysus» lo richiamò la sibilante voce del suo Signore, ora innaturalmente stridula: «dovresti insegnare a tua figlia che non si fanno attendere gli ospiti» disse mettendo un'inquietante enfasi su queste ultime parole.
Un elfo domestico entrò trafelato dal portone principale e corse verso il suo padrone. Gli bisbigliò qualcosa nell'orecchio. Draco scorse un lampo di terrore e rassegnazione attraversare gli occhi dell'uomo, il cui volto già bianco ed emaciato, impallidì. Quando l'elfo si fu congedato, Dionysus raddrizzò il busto possente e appoggiò le braccia sui braccioli della sedia.
«Sono desolato... mio Signore ma... sembra che Astoria... non si trovi nei suoi alloggi» la sua voce era bassa e rauca. La sua figura imponente sembrava annullarsi quando si rivolgeva al suo Signore.
Voldemort rispose con una pericolosa nota di irritazione che fece rabbrividire tutti i presenti, benché il sadico volto del Mago Oscuro sembrasse serbare la solita espressione di ambigua, perversa follia.
«Sarebbe a dire che non riuscite a trovarla. È così?» Dionysus abbassò lo sguardo e serrò ancora di più la presa attorno ai braccioli della sedia.
«Si, mio Signore» Voldemort scosse la testa con un raptus, poi si alzò in piedi.
«Bene. Dalla sua assenza deduco che non è interessata a unirsi a noi» l'uomo non rispose.
Il Signore Oscuro si alzò e cominciò lentamente a fare il giro del tavolo.
«Questa è per me una grande delusione Dionysus. Tutti i miei amici possiedono il Marchio Nero, e se tua figlia non vuole essere mia amica, allora sarà mia nemica. Sai cosa significa questo, Dionysus?» adesso era arrivato dietro la sedia dell'uomo, sulla quale aveva appoggiato le mani. Le sue ceree dita ossute risaltavano sul profilo della sedia rivestita in cuoio blu scuro. Voldemort avvicinò la testa all'orecchio del capofamiglia dei Greengrass: «Che la ucciderò» sussurrò prima di scoppiare in una fragorosa risata alla quale si unirono alcuni dei presenti, chi con più, chi con meno vigore.
Draco non fu uno di quelli. Teneva lo sguardo basso, senza dire nulla.
«Silenzio!» urlò improvvisamente Voldemort, riprendendo in mano il controllo delle emozioni dei presenti.
«Qualcosa non va, Draco?» la sua voce ricordava il sibilo di un serpente. Il ragazzo sentì il suo cuore fermarsi e il sangue congelarglisi nelle vene: «Ovviamente confido anche nel tuo aiuto per ritrovare la ragazza. So che un tempo eravate molto amici»
«Si» rispose il ragazzo con un filo di voce.

Il vento gelato sferzava il viso di Astoria, graffiando ogni piccolo lembo di pelle scoperto, ma lei sembrava non curarsene. Correva con tutta la forza che aveva nelle gambe: doveva raggiungere la Passaporta il prima possibile.
La scelta che aveva preso era stata meditata con cura, sofferta a causa della paura. Sarebbe stata completamente sola e tremava al solo pensiero. L’odio e la paura per quel viscido e deviato essere di Lord Voldemort erano molto più forti.
«Forza Hyperion, sbrigati» disse incitando il suo cane, lo stesso che aveva salvato un anno prima dagli attacchi dal gruppo di Serpeverde, capeggiato da Draco Malfoy.
Da quel giorno, si era instaurato un legame molto particolare fra la ragazza e l'animale. Un rapporto di simbiotica fratellanza.
Hyperion, così si chiamava, era molto più che un cane per Astoria. Era l'antidoto della perpetua solitudine nella quale ella stessa, a volte, si confinava. Benché la casa dei Corvonero fosse la dimora delle menti brillanti, la ragazza si sentiva spesso circondata dalla più assoluta banalità e superficialità, e gli ultimi eventi avevano confermato le sue sensazioni. Con il ritorno dei Mangiamorte e del loro Signore, le poche conoscenze della ragazza si erano allontanate progressivamente, chi per timore, chi per puro conformismo. La famiglia Greengrass era stata infatti una preziosa alleata di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, sin dai tempi della Prima Guerra Magica, sebbene non fosse mai stata condannata per la mancanza di prove. D'altronde lei non aveva fatto molto per chiarire le cose con i suoi compagni.
Ho già sofferto abbastanza per persone così” pensava, “meglio perderle che trovarle”.
Quella semplice creatura era stata l'unica capace di provare per lei un affetto puro e incondizionato, più forte persino di quello del suo stesso padre, troppo accecato dalla bramosia di potere per ascoltare i desideri e i sogni di sua figlia, fra i quali non c'era di certo quello di diventare una Mangiamorte.
Non aveva un buon rapporto nemmeno con sua sorella Daphne, simile a suo padre per molti aspetti, e che si era trasferita ad Edimburgo qualche anno prima. Da allora aveva ricevuto solo qualche telegrafica lettera di circostanza.
Hyperion e la sua giovane amica corsero a lungo, inoltrandosi nel boschetto che costeggiava tutti i terreni di proprietà dei Greengrass. Astoria si graffiò una guancia, cercando di scostare le fronde che diventavano man mano più fitte e intricate, osteggiata anche dall'oscurità che stava calando. I suoi respiri caldi ed affannati si condensavano e si dileguavano come fantasmi. Ormai non sentiva nemmeno più il freddo; aveva la fronte madida di sudore ma non se ne curò. Finalmente arrivò ai piedi di una grande quercia dalle nodose radici che si intrecciavano formando un contorto groviglio. In un incavo aveva riposto uno zaino, la Passaporta. Conteneva tutto ciò che le sarebbe potuto servire per uno, forse due mesi.
«In qualche modo ce la caveremo, vero?» chiese sorridendo a Hyperion, il quale rispose con un sonoro abbaio, muovendo la coda di qua e di là.
La mano della ragazza e la zampa del cane, si posarono sullo zaino nel medesimo istante e i due scomparvero in un lampo di luce.

«Hai una brutta cera Draco, se continui ad andare in giro con quella faccia mi farai preoccupare» Pansy Parkinson, compagna di Casa del ragazzo, lo guardava con vuota preoccupazione, mentre nella Sala Grande cominciavano ad affollarsi gli studenti assonnati.
«Non rompere Pansy, se dormo o no, non sono affari tuoi» la ragazza si voltò stizzita e offesa, ma a Draco poco importava.
Nonostante non gradisse le continue attenzioni della ragazza, sapeva che aveva ragione. Da quando era tornato a scuola non aveva fatto altro che cercare Astoria, ma solo di notte, per non destare sospetti fra gli studenti. All'inizio si era preoccupato di cercarla a scuola: negli infiniti cunicoli dei sotterranei, nella Stanza delle Necessità e nei piani superiori a cui nessuno aveva accesso, ma l'unico risultato che aveva ottenuto era stato un gran senso di impotenza e stupidità: la ragazza non sarebbe mai stata così sciocca da nascondersi in un posto brulicante di Mangiamorte come era adesso Hogwarts. In più tutti i passaggi segreti erano stati chiusi dai fratelli Carrow.
Aveva passato notti insonne, impegnato parte nelle ricerche, parte nella paura; una paura che gli attanagliava le braccia, le gambe, le ossa, i polmoni, che strisciava sinuosamente nei suoi pensieri e sibilava sinistra come una serpe, avvolgendolo e soffocandolo fra le sue spire. La voce del Signore Oscuro visitava ogni notte la sua mente, senza permettergli di addormentarsi, tenendolo vigile, con ogni muscolo del suo corpo teso fino allo stremo. Temeva per sé, per la sua famiglia e di non essere in grado di portare a termine il suo compito. Di questo incolpava quei giorni lontani, quando non era ancora entrato ad Hogwarts e passava le sue giornate tra le mura del suo maniero e i giardini delle terre dei Greengrass, a giocare con la loro secondogenita.
Il ragazzo si alzò da tavola e si avviò verso l'uscita.
«Aspettaci Draco!» disse Goyle con la sua voce profonda e pastosa.
«Oggi salterò le lezioni» li fermò lui brusco, troncando sul nascere una qualunque proposta di svago. Per sua grande fortuna, il ragazzo aveva avuto uno “speciale permesso” dal preside per saltare le lezioni di tanto in tanto. Ovviamente ciò era stato deciso in accordo con la sua famiglia affinché potesse proseguire la ricerca di Astoria, ma lui ne approfittava in più di un'occasione.
«Allora, che facciamo?» continuò l'altro non avendo inteso il sottile messaggio «Che ne dici di divertirci con qualche moccio...»
«Oggi no Goyle. Vado a farmi un giro ad Hogsmeade. Da solo»
La sua fermezza non ammetteva repliche, e per quanto stupido Goyle potesse essere, capì che non doveva rispondere, ma solo levarsi dai piedi.
Le vie del villaggio non erano particolarmente affollate, anzi, quasi deserte. Draco camminava senza una meta precisa. Guardava disinteressato le vetrine di quei pochi negozi rimasti aperti, senza davvero vedere cosa vi fosse esposto. Nessun pensiero concreto e coerente rimaneva impresso nella sua mente apatica per più di una manciata di secondi. Solo quando fu passata l'ora di pranzo di accorse di avere fame. Si trovò, guarda caso, proprio dietro Mielandia.
Sempre meglio di niente” pensò non molto allettato dall'idea di pranzare con delle caramelle. Ma la fame era davvero troppa per poter aspettare o fare gli schizzinosi, anche se ne avesse avuto voglia.
Stava per fare il giro dell'edificio quando, con la coda dell'occhio, scorse un'indistinta macchia chiara uscire da una finestra aperta sul retro della bottega. Riconobbe quasi immediatamente il cane che incontrava spesso insieme ad Astoria. In bocca teneva il manico di una piccola cesta.
Prima che se ne potesse rendere conto, Draco stava seguendo di soppiatto un animale.
Devo essere impazzito” si disse. Malgrado il suo scetticismo si lasciò guidare dal suo istinto, e il suo istinto diceva che Astoria non avrebbe mai abbandonato quel cane. Lei adorava gli animali, sin da quando era bambina. Più di una volta aveva salvato un uccellino ferito o aiutato un gatto rimasto su un albero. Qualche volta l'aveva persino aiutata.
Ma per piacere! Ero solo uno moccioso. Non sono nato per fare il buon samaritano come Potter, e non sono un tipo tutto miele e zucchero. Mi viene il voltastomaco solo a pensarci”. Ed era proprio così. Ma oltre alla nausea per la troppa dolcezza, represse ed ignorò anche una lieve fitta che gli attanagliò il petto, che lui si rifiutò di credere nostalgia. Sebbene la sua testa fosse occupata da mille pensieri, una parte di lui rimaneva costantemente vigile, per non rischiare di perdere di vista il cane nella distesa di neve che imbiancava il paesaggio.
Rimase sempre a debita distanza. Camminarono per numerosi vicoli deserti o comunque poco frequentati, fino ad uscire dal paese. Non molto lontano si trovava il limitare di una ristretta area boschiva. Il cane proseguiva sicuro di sé, come se già conoscesse la strada. Draco fece altrettanto, ma con meno convinzione.
Dopo qualche passo il cane si sedette a terra, davanti a due alberi imponenti e abbaiò due volte. I due tronchi cominciarono a spostarsi lentamente, mossi da una forza misteriosa. Fra di essi vide sbucare man mano la figura di una tenda di modeste dimensioni.
«Ma che diavolo...» mormorò incredulo.
Se in quella tenda si trovava davvero Astoria, avrebbe dovuto tenersi pronto. Passo dopo passo si avvicinò silenzioso, sebbene non riuscisse ad evitare il gommoso scricchiolio dell'attrito delle sue scarpe contro la neve.
Improvvisamente, sentì un colpo sordo alla schiena.
Tutto fu buio.
...
La paura non aveva impedito ad Astoria di perdere il controllo e di scagliare un incantesimo contro il misterioso intruso. Si avvicinò cautamente, con il cuore in fibrillazione. Di certo chiunque fosse riuscito a trovare la tenda doveva essere un mago molto potente. O molto astuto.
L'uomo o donna che fosse, giaceva a terra inerme. Hyperion la precedette e andò ad annusarlo. Improvvisamente si tirò indietro con un balzo e cominciò a ringhiare.
«Cosa ti prende Hyperion?»
 L'animale non interruppe nemmeno per un attimo il contatto visivo con il corpo.
Astoria si avvicinò ancora, poi riconobbe l'inconfondibile tonalità di biondo quasi albino dei capelli, marchio della famiglia Malfoy.
«Draco?»
Non seppe dire se aveva pronunciato il suo nome nella mente o a voce alta. La sua presenza poteva significare una sola cosa...
Hyperion ringhiò più forte. Astoria si voltò rapidamente verso di lui. Nonostante i suoi iridi fossero grigi, la ragazza vi vide dardeggiare l'ira fiammante dell’istinto di sopravvivenza. Prima che lei potesse fermarlo, il cane si avventò sul ragazzo, addentando con le candide zanne, la sua gamba destra.
Astoria rimase immobile per un istante, le dita sfiorarono la bacchetta, ma non l'afferrarono. Corse verso il cane e abbracciando il suo corpo, anche con i suoi arti esili, riuscì a strattonarlo via. Draco rimaneva a terra privo di sensi, ancora sotto l'effetto dell'incantesimo. La ragazza sgridò Hyperion.
«Che cosa ti è saltato in mente?!»
Lui abbassò le orecchie e si mise a terra, guaendo con aria colpevole «Guai a te se ti muovi di li!» Astoria corse accanto al ragazzo.
“Come faccio adesso? Non posso lasciarlo qui… forse dovrei”. Cercò di controllare il terrore che lentamente dilagava dentro di lei.
Notò con orrore che la gamba destra aveva numerosi segni, alcuni molto profondi, altri meno. Il sangue aveva insozzato i suoi pantaloni, o quel che ne rimaneva, e macchiava la neve purissima.
La ragazza sospirò. “Ormai l'incantesimo è stato spezzato”. Il fatto che nessuno fosse intervenuto ad aiutarlo, significava che almeno era solo.
Mormorò un Levicorpus e portò Draco nella tenda, adagiandolo sulla sua brandina con cautela. Si accorse che l’amico era rimasto fuori.
«Guarda che puoi entrare, basta che non lo azzanni»
In fondo la ragazza si sentiva colpevole per aver fatto una simile richiesta. Se fosse stata anche lei una creatura fatta di puro istinto come Hyperion, avrebbe sicuramente reagito nella stessa maniera contro colui che l'aveva ferito a sangue.
Si accovacciò accanto al baule lì vicino; era interamente rivestito in cuoio nero e un fine ricamo d'argento sul coperchio lo decorava con le sue iniziali, un vecchio regalo di sua madre. Gliel’aveva regalato poco prima di morire. Poco prima che Astoria entrasse ad Hogwarts. Era riuscita a portarlo nel bosco la vigilia della fuga, ma sapeva che se fosse stato necessario avrebbe dovuto abbandonarlo. Vi frugò dentro in cerca di una pozione che la potesse aiutare. Decise che dell'essenza di dittamo sarebbe andata più che bene. Prese una sedia e sedette accanto alla sua brandina. Versò qualche goccia sulle ferite più profonde e aspettò, sperando di non dover più assistere ad una vista simile.

 



Il prossimo capitolo è già scritto, lo pubblicherò prestissimo.
Mi raccomando RECENSITE!!
Al prossimo capitolo,

Changing

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Capitolo 3
*** Notte di luna nuova ***


Capitolo 2
Notte di luna nuova




 

Draco era immerso nell'oscurità più totale. Non riusciva a vedere neanche le sue mani. Non sentiva nessuna emozione. Non si ricordava di come fosse arrivato fin lì, voleva solo che tutto rimanesse in questa perpetua situazione di stasi.
Sarebbe bello” pensò “se potessi rimanere così per sempre”. La profonda sensazione di vuoto che lo pervadeva, lo faceva sentire lontano da tutto ciò che era terreno.
D'un tratto, la testa cominciò a pulsargli; un dolore così acuto e prorompente. Man mano sentì anche un forte bruciore concentrarsi sul polpaccio della gamba destra. Si sentì vorticare e venne strappato violentemente da quel buio.
Aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco. Era disteso, il soffitto sembrava di tela, di un colore tenue e opaco, fastidiosamente confortante. Sentì i tessuti della propria gamba tendersi. Si alzò a sedere, ma lo sforzo gli procurò una fitta di dolore talmente atroce da farlo imprecare.
«Non essere così esagerato. C'è di peggio» lo apostrofò una voce familiare.
Draco voltò si voltò di scatto. Astoria era seduta su una sedia accanto a lui, con in mano un libro dall'aria piuttosto consunta. Non aveva alzato lo sguardo, teneva gli occhi sempre puntati sulle pagine ingiallite.
«Tu! Che cosa diavolo mi hai fatto?» disse trattenendo un'altra imprecazione. Finalmente lei lo guardò negli occhi.
«Hyperion ti ha azzannato e io ho curato le tue ferite»
«Dove siamo?... E chi diavolo è Hyperion?» chiese lui guardandosi intorno; quel posto aveva un'aria familiare. Era arredato molto sobriamente, con il minimo indispensabile. C'erano un tavolo di legno con una sedia, un baule, il letto su cui era disteso e una sorta di larga cesta di vimini dove era seduto il cane, che lo fissava… in modo strano. Come se lo stesse studiando «Aspetta... io quel cane lo stavo seguendo e... si può sapere che mi è successo alla gamba?!» esclamò guardando inorridito e le sue ferite.
«Tu stavi seguendo Hyperion?» chiese la ragazza senza prestare attenzione alle sue domande «Ecco come sei riuscito ad aggirare l'Incanto Fidel..!» ma si tappò la bocca troppo tardi. Draco la guardò, suo malgrado, palesemente sbalordito.
«Sei riuscita ad eseguire un Incanto Fidelius? Ma è... assurdo. Complicato… Non è possibile»
Astoria abbassò lo sguardo e, evidente segno del suo nervosismo, cominciò a sfregarsi le mani e a tamburellare le dita sulle ginocchia. La sua espressione però non tradiva alcun segno di imbarazzo.
«Come ci sono riuscita non sono affari tuoi. Dimmi piuttosto perché stavi seguendo Hyperion» disse facendo un cenno con la testa verso il cane.
Negli occhi di Draco corse un barlume che la ragazza non riuscì a decifrare.
«Hai ragione, credo di doverti delle spiegazioni...»
Con uno scatto fulmineo estrasse la bacchetta e la puntò contro di lei «Ma non lo farò»
Hyperion balzò fuori dalla cesta e cominciò a ringhiare, mostrando le candide zanne «Non è stato molto intelligente lasciar andare quella bestiaccia a zonzo per Hogsmeade»
La ragazza cercava di mantenere la calma e la compostezza, ma il suo fervore sfuggì dal suo sguardo.
«E' abituato così, sa cavarsela da solo. Più di quanto non faccia tu, Draco»
Sentir pronunciare il suo nome dalla ragazza dopo così tanto tempo gli fece un insolito effetto.
«Non parlarmi così ragazzina, ho io la bacchetta in mano»
Gli occhi di Astoria riflettevano la stessa determinazione e fermezza di un anno prima, quando si erano incontrati nel vicolo del paese.
«E allora, cosa aspetti? Fai come hai sempre fatto, striscia verso l'ombra del più forte calpestando il tuo orgoglio»
Il ragazzo non si mosse, pervaso da un fastidiosissimo senso di umiliazione e si sentì in dovere di giustificare le sue azioni.
«Tu non capisci! Lui mi ucciderà. Ucciderà me e tutta la mia famiglia! Non ho scelta»
Si rese conto che stava quasi urlando, con voce spezzata, in bilico sull'orlo di un crollo emotivo. La tensione accumulata in quei giorni stava sortendo il suo effetto nefasto. A volte si stupiva del potere che le emozioni avevano su di lui, sul suo corpo, sulla sue capacità di ragionamento e di controllo. Perché non potevano essere comandate come si comanda ad un braccio di alzarsi o ad una gamba di muovere un passo? Eppure sono sempre una parte di noi...
«Si ha sempre un'altra scelta. Anche io avrei dovuto percorrere la tua stessa strada, sottostare alla mia condanna, ma come vedi ho scelto di non farlo. E preferisco morire piuttosto che piegarmi davanti a voi Mangiamorte»
«E' facile per te parlare. Tu non hai niente da perdere, se non la tua vita. Ma da me dipende anche il destino dei miei genitori. Tu non sai quanto Lui fa paura... Avevo il compito di sorvegliarti e l'ho fatto. Ora ho il compito di riportarti davanti al Signore Oscuro. E lo porterò a termine»
Nonostante le sue parole, il ragazzo non si mosse, tenendo puntata la bacchetta contro Astoria. I loro occhi combattevano una muta battaglia più di quanto non avessero fatto le loro parole fino a quel momento. Passò qualche istante.
«Tu non sei così Draco. Non lasciare che la paura ti guidi verso le scelte sbagliate» continuò a sostenere il suo sguardo, senza batter ciglio. Poi, con un dito, Astoria abbassò lentamente la sua bacchetta e il ragazzo non riuscì a replicare. Non trovò nessuna valida motivazione. Come tempo fa non aveva avuto la forza di finire Albus Silente, adesso non riusciva a trovare il coraggio di consegnare Astoria nelle mani della Morte.
Le diede le spalle per interrompere in fretta quell'imbarazzante contatto visivo che lo faceva sentire sempre più accaldato e a disagio.
«Farò finta che non sia successo niente, ma tornerò presto»
Si avviò versò l'uscita, ancora un po' zoppicante per il dolore alla gamba destra.

Sospirando profondamente di sollievo, Astoria si lasciò cadere pesantemente sul duro materasso. Si sentiva ancora il tepore lasciato dal corpo del ragazzo.
Rimase per lungo tempo a fissare i sottilissimi fili che si intrecciavano formando la tela della sua tenda, mentre il suo cuore, che batteva come quello di un passerotto in pericolo, rallentava. Poi si alzò e andò a sedersi fuori nella neve, per prendere una boccata d’aria fredda. Il bosco era coperto di neve che brillava come pietra lunare sotto la luce della notte. Il silenzio era profondissimo, molto diverso da quello musicale del giorno. La sera aveva tutto un altro suono, muto e misterioso.
Nella mente di Astoria era ancora scolpita l'espressione ombrata di ira e di terrore di Draco. Nonostante fosse stata lei a trovarsi sotto tiro, in quel momento aveva sentito che il ragazzo era molto più vulnerabile di lei. Non aveva potuto fare a meno di provare un familiare moto di affetto e di istinto di protezione nei suoi confronti. A volte si sentiva particolarmente emotiva; le succedeva sempre così quando trovava un'anima sofferente, come quando da piccola incontrava un passerotto spaurito caduto dal nido. O un cagnolino ferito. A volte si era chiesta se tutto ciò fosse un bene prezioso o un male da estirpare, ma non si era mai ritrovata a dubitare delle sue scelte come in quel momento.
Hyperion la raggiunse poco dopo e si stese accanto a lei.
«Sai, per un attimo ho creduto davvero che mi avrebbe portata via» disse mentre lo accarezzava «Ma se tu non gli sei saltato addosso, significa che avevi capito prima di me che lui non mi avrebbe fatto del male, non è così?»
Il cane emise un verso profondo e indistinto, quasi un borbottio.
La ragazza sorrise, osservando il limpido cielo notturno senza luna trapuntato di stelle.
Sarà stata una minaccia o una promessa?
...
Draco ritornò a scuola appena in tempo per la cena. Era riuscito a riparare i suoi pantaloni con un incantesimo, ma la gamba gli doleva ancora. Per tutta la strada non fece altro che rivedere nella sua mente gli scambi di sguardi tra lui e Astoria.
Si sedette distrattamente fra Tiger e Parnsy.
«Dove sei stato tutto il giorno? Mi sei mancato» gli domandò la ragazza con voce melliflua, accarezzandogli i capelli.
«In giro» rispose lui sbrigativo senza neanche guardarla. Aveva fame ed era troppo stanco per degnare chiunque o qualunque cosa di attenzione. E poi la sua mente era occupata altri pensieri. Notando l'indifferenza del ragazzo, Pansy incrociò le braccia in segno di totale disappunto.
«Mi spieghi perché in questi giorni continui ad ignorarmi? Sono davvero stufa di...»
Un gesto inaspettato fermò la potenziale predica della ragazza. Draco si voltò e la baciò senza preavviso, con insolita intensità. Pansy si sentì spiazzata: Draco non era certo il tipo che dava spettacolo o faceva certe cose all'improvviso, di solito era molto più discreto e meno... impetuoso.
Un gruppo si Serpeverde lì intorno si mise a fischiare e a gridare frasi di approvazione che però non sovrastarono il brusio della Sala Grande.
Draco lì ignorò e la ragazza non parlò fino alla fine del pasto. Quando lui fece per andarsene, lei lo seguì. Superata la porta e svoltato l'angolo Pansy lo chiamò.
«Perché l’hai fatto?»
«Fatto cosa?» chiese lui con aria innocente.
«Non fare l'idiota Draco! Perché cavolo mi hai baciata?» lui si avvicinò di qualche passo con espressione ironica e provocante e con un dito avvicinò il volto della ragazza.
«Non sapevo che ti desse fastidio Parkinson. Di solito mi pare il contrario» per tutta risposta lei gli diede un sonoro schiaffo.
«Non sono il tuo giocattolo, Malfoy» e detto questo si avviò con passo svelto verso il suo dormitorio.
Draco continuava a massaggiarsi la guancia.
“Queste donne” si disse “prima o poi mi uccideranno”.
Non aveva molta voglia di tornare al dormitorio, così si avviò verso la torre di Astronomia. Se non per le lezioni, cercava di evitare quel luogo, ma quella sera si sentiva distante persino dai propri ricordi.
A dire il vero non sapeva nemmeno lui il perché del suo gesto avventato. Sì, probabilmente era stato il modo più rapido ed efficacie per zittire una sciocca come Pansy e frenare la sua vocetta stridula che trasudava stupidità già di per sé, ma questo non era stato tutto. Era come se avesse avuto bisogno di provare qualcosa a se stesso. Virilità? Forza? Coraggio? Tutte qualità di cui ultimamente sentiva una grande mancanza e un gran bisogno.
I suoi pensieri tornarono a quel pomeriggio, ancora una volta. Si sentiva un debole, un perdente, per non essere riuscito a concludere ciò che aveva iniziato, tuttavia non trovò in sé nessun senso di colpevolezza o rimpianto.
Si appoggiò alla ringhiera e guardò verso il punto in cui, probabilmente, si trovava la tenda di Astoria. Non poté fare a meno di chiedersi come avrebbe fatto a procurarsi il cibo sufficiente per rimanere nascosta tutto quel tempo e se la sua prossima visita sarebbe dovuta essere amichevole o non. No, di certo non amichevole. Di cortesia forse, per accertarsi che non morisse per colpa degli stenti o in qualche altro modo. Non avrebbe avuto senso rischiare così tanto non consegnandola al Signore Oscuro per poi lasciarla morire in una tenda.
Gli vennero in mente le parole di Astoria: “Non lasciare che la paura ti guidi verso le scelte sbagliate”. Probabilmente, l'unico motivo per cui si era salvata era il fatto che le sue parole gli avevano ricordato l'ultima notte in cui vide Albus Silente. La notte in cui avrebbe dovuto ucciderlo. Ma sapeva che non ne sarebbe mai stato capace comunque.
Notò che era una notte di luna nuova, le stelle brillavano di luce propria nell'oscurità. Nemmeno una nuvola le copriva.

 




Va bene va bene, ho pubblicato il capitolo molto presto, ma che ci posso fare se una volta finito di scrivere mi faccio prendere dall'euforia u.u?
Rileggendo la scena tra Draco e Astoria non ho potuto fare a meno di ripensare (come ha anche fatto Draco xD) all'incontro tra lui e Silente la notte della sua morte.... :'(
Parliamo invece un po' della Parkinson... Come personaggio non mi è mai andata molto a genio, ma mi dispiaceva dare di lei l'immagine della comune e decantata "puttanella" di Malfoy (scusate il termine!). Certo non hanno una relazione seria e stabile, specialmente per volere del ragazzo, ma almeno si è fatta rispettare =P
Sarà così furbo Draco da non farsi scoprire? Speriamo di sì.... Il prossimo capitolo sarà un pò più tranquillo, dedicato in maniera particolare ai vecchi Draco e Astoria.
Mi raccomando RECENSITE!!
Alla prossima,

Changing

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Capitolo 4
*** Ricordi in una tazza di té ***


Capitolo 3
Ricordi in una tazza di té





 

Astoria era seduta per terra, all'ombra dei rami di una grossa quercia. Amava il suono dolce del fruscio delle foglie mosse da vento più di ogni altra cosa. La natura le dava quel senso di libertà che non aveva mai trovato fra le tetre mura del suo maniero. La vastità incondizionata dell'orizzonte e il profumo fresco dell'erba erano cose a cui non avrebbe mai potuto rinunciare. Con le sue manine intrecciava una ghirlanda di fiori appena raccolti.
«Ah, sei qui!» disse Draco venendole incontro con passo svelto. Aveva un po’ di fiatone, doveva aver camminato a lungo «tuo padre ti sta cercando dappertutto»
«Dai siediti qui con me» rispose Astoria.
«Tuo padre...»
«Da papà ci andiamo tra cinque minuti, dai solo un altro pochino. Ti pregooo» chiese la bambina sporgendo un pochino il labbro inferiore e assumendo un aria innocente e supplichevole.
Il piccolo Draco alzò gli occhi al cielo e fece come le aveva chiesto.
«E va bene»
Si mise ad osservare le mani di lei che, goffamente, terminavano il loro lavoro.
Dopo qualche istante, Astoria si alzò soddisfatta e posò la ghirlanda in testa al suo amico.
«Ehi, non sono mica una femmina» protestò lui, tentando di levarsela dalla testa, ma lei fu più veloce e la riprese in mano.
«Voglio solo vedere come ti sta, tanto non c'è nessuno»
«Guai a te se ne parli con qualcuno, non voglio che i miei amici mi prendano in giro»
Lei lo ignorò e, dopo aver rimesso la composizione di fiori al suo posto si sdraiò prona davanti a Draco e appoggiò la testa sulle mani. Piegò appena la testa di lato e lo studiò a fondo. Lui strappava dei fili d'erba lì accanto.
«Ti sta davvero bene invece!»
«Ma per favore...»
Astoria sorrise, vedendo le guance sempre candide del suo amico farsi rosee, sicuramente più per la vergogna che per il piacere del complimento.
«Ti voglio bene Draco»
Le sue gambe dondolavano su e giù e più il viso del bambino si faceva rosso, più lei era divertita.
«E adesso che c'entra questo?»
Lei si alzò in piedi e si allontanò di qualche passo, prendendo velocità.
«Chi arriva ultimo a casa è un troll puzzolente!»
L'altro si alzò di scatto.
«Non vale. Tu sei partita prima!»
«Ma io sono una femmina!»
Insieme corsero a tutta velocità verso la residenza dei Greengrass, mentre il sole alle loro spalle cominciava la sua lenta e inesorabile discesa.

Il fumo che emanava dalla tazza bollente saliva sinuoso per poi dissolversi nell'aria e diffondere così un piacevole tepore lì intorno. Astoria stava seduta sulla sua sedia in attesa che Hyperion tornasse con le provviste, se così poteva essere chiamato un mucchietto di frutta e dolciumi rubati qua e là.
Erano passati giorni da quando aveva visto Draco e questo non si era più presentato. Era contenta che nessun Mangiamorte fosse piombato improvvisamente nella sua tenda, ma era curiosa di sapere che fine avesse fatto il ragazzo. Non aveva dimenticato la paura nei suoi occhi quando aveva parlato del “Signore Oscuro”. Quel nome le faceva rivoltare lo stomaco. La mente di un uomo che aveva scelto per sé un soprannome del genere doveva essere senz'altro distorta e perversa a livelli raccapriccianti. Cosa riduce le persone in questo stato? Non è forse vero che quando si nasce l'animo è privo di qualsiasi impurità? Probabilmente questa era solo una falsa credenza.
Un abbaio la distolse dai suoi pensieri. Si affacciò dalla tenda e vide Hyperion che ansimava con la lingua in fuori, ai suoi piedi aveva il piccolo cestino. Lei lo richiamò con un fischio e quando lui le si accucciò ai piedi, lo accarezzò per lungo tempo.
Ci aveva messo molto a scegliere un nome per il cane. All'inizio non ne aveva avuto nemmeno l'intenzione, per evitare di affezionarvisi troppo o di considerarlo di sua proprietà, ma alla fine non aveva resistito e, ispirandosi alla mitologia greca, l'aveva chiamato Hyperion. Oltre ad essere il nome di un Titano, significava anche “colui che precede il sole”, un raggio di speranza in un periodo in cui dilaga l'oscurità persino nei cuori delle persone. Aveva le orecchie sempre all'erta, il muso lungo e regolare e una coda pelosa sempre in movimento; somigliava molto ad un lupo, ma era più piccolo.
Posò il cestino con le provviste sul tavolo e lo guardò torva. Non sarebbero potuti andare avanti a stenti ancora per molto. I morsi della fame non avrebbero tardato a farsi sentire e lei non poteva rischiare che qualcuno scoprisse Hyperion.
Appoggiò i gomiti e il mento sul tavolino, non poteva mangiare subito, avrebbe aspettato fino alla sera o il giorno dopo. Seguendo l'onda dei suoi pensieri si addormentò in un sonno senza sogni.

Draco si maledì per la malsana idea che gli era venuta in mente. Il freddo era molto più rigido quel giorno e aveva le guance arrossate. Strinse più forte a sé il lungo cappotto nero e cercò di camminare nei punti in cui la neve era meno spessa, voltandosi di tanto in tanto per assicurarsi che nessuno lo stesse seguendo. Camminò per un bel po' di tempo, tanto che a un certo punto pensò persino di essersi perso. Alla fine scorse la tenda tra gli alberi e sospirò. Non sentiva alcun rumore, il silenzio di quel luogo era quasi innaturale. Scostò rapidamente un lembo della tenda e si guardò intorno. Sia Astoria che il sacco di pulci dormivano beatamente, lui nella sua cesta, lei riversa sul tavolo con la testa sulle braccia piegate.
“Meglio così” pensò il ragazzo. L'importante era che fosse ancora viva, se non l'avesse visto avrebbe evitato molte seccature. Si avvicinò al tavolo in punta di piedi. Dalla borsa che aveva a tracolla estrasse del pane, del formaggio e della frutta.
Per un attimo osservò la ragazza addormentata. I lunghi e mossi capelli corvini le incorniciavano dolcemente lineamenti sottili del volto, che la facevano apparire più grande di quanto non fosse, e la pelle, per quel che ricordava, era sempre stata perfettamente candida, senza l'ombra di un'imperfezione. Ma ciò che senz'altro preferiva, ancor più delle sue labbra rosse e perfette, erano i suoi occhi. Non tanto per il taglio, quanto per la loro energia travolgente che compensava i suoi modi pacati e riflessivi. Era un bene che fossero chiusi. Gli sembrava di star osservando un'opera d'arte.
Si voltò in fretta e si diresse a passo svelto verso l'uscita, ma si fermò all'improvviso quando sentì un ringhio sommesso. Il cane si era svegliato e dalla sua cesta mostrava le zanne aguzze. Prima che Draco potesse scappare, Astoria emise un altro suono indistinto, simile a un gemito e aprì lentamente gli occhi.
«Cosa c'è Hyperion?» Chiese con voce impastata dal sonno. Poi vide il ragazzo con la coda dell'occhio e si mise in una posizione più eretta e composta «Ah, sei tu»
«Insegna alla tua bestiaccia a non ringhiare ogni volta che mi vede, se non vuoi morire di fame»
Lei lo guardò con aria interrogativa, non capendo a cosa si stesse riferendo, poi si voltò d'istinto verso il tavolino e vide il cibo che, evidentemente, le aveva portato.
«Non te l'ho chiesto io. So cavarmela benissimo da sola». Esitò. In fondo aveva apprezzato il gesto di Draco «Comunque ti ringrazio» disse lisciando le pieghe del lungo maglione cobalto che indossava.
Hyperion aveva smesso di ringhiare e si era rimesso a sonnecchiare nella sua cuccia. Solo in quel momento Astoria notò le guance scarlatte del ragazzo e cominciò a ridere di gusto.
«Cosa c'è di tanto divertente?» chiese palesemente irritato.
«Non ti vedo con una faccia così rossa da quando avevi otto anni»
Draco la invidiava. Dopo Potter e i suoi amichetti, era la persona più ricercata dai Mangiamorte e se l'avessero trovata per lei sarebbe stata la fine, una fine di certo non indolore. Eppure lei stava ridendo, ripensando a teneri ricordi d'infanzia.
«Come fai a comportarti in questo modo in una situazione del genere?!» nella sua voce c'era più irritazione di quanta non ne volesse far trapelare. A volte il confine tra invidia e ammirazione è troppo sottile. Forse l'unica persona da biasimare era se stesso: per essere un codardo, un uomo così vigliacco da non saper scegliere nemmeno da che parte stare.
L'espressione di Astoria si fece subito più seria.
«Ogni tanto ridere fa bene a tutti. Anche tu dovresti» Draco non le rispose.
La ragazza si avvicinò al suo baule e ne tirò fuori due piccole bustine. «Sei congelato. Bevi qualcosa di caldo prima di andartene»
«Non mi va» rispose lui istintivamente ancor prima di considerare l'idea.
«ome preferisci. Aguamenti» disse agitando la bacchetta e riempiendo due tazze di acqua per poi riscaldarle.
In effetti il suo viso era diventato liscio e freddo come il marmo e da quando era uscito da Hogwarts non aveva mai levato le mani dalle tasche, se non per posare il cibo. Sbuffò e si sedette sulla brendina, borbottando.
Calò un silenzio piuttosto imbarazzante, nel quale però Astoria sembrava trovarsi completamente a suo agio. Faceva roteare la tazza osservando le increspature del liquido scuro, immersa in chissà quale pensiero. D'un tratto parlò.
«Perché mi stai coprendo?» quella domanda, benché sapeva che prima o poi sarebbe giunta, lo colse alla sprovvista.
«Non sono affari che ti riguardano»
«Non dire stupidaggini» ribadì lei con tono calmo.
Draco non aveva idea di cosa dirle, era una questione della quale non conosceva realmente la risposta. Si sentì appena stringere lo stomaco «Non importa» aggiunse infine Astoria: «tanto lo capirò comunque prima o poi» disse sardonica.
«Non credo proprio» ribatté il ragazzo concedendosi un piccolo ghigno, suo malgrado contagiato dallo spirito sarcastico della ragazza.
«Lo sai che sono sempre stata più intelligente di te»
«Ma non più furba»
«Questo è da vedere»
Per un breve momento i muscoli di Draco avevano allentato la loro tensione e il suo respiro parve farsi più lento e profondo.
«Vedi che ci riesci anche tu?»
«A fare cosa?» chiese lui.
«Hai appena sorriso»
Il ragazzo bevve in fretta un enorme sorso di the che gli andò di traverso ed emise due rauchi colpi di tosse.
«Come siamo sentimentali» disse quando si fu ripreso. Astoria alzò gli occhi al cielo.
«Si sta facendo tardi, è meglio che tu vada» il ragazzo annuì.

La tenue luce di cui si era illuminato il volto di Draco scomparve in un istante. Ma forse fu solo una sua impressione. Per quanto fosse ancora profonda la ferita del suo cuore, Astoria non poteva fare a meno di considerare il ragazzo come un uccellino dall'ala spezzata: poteva camminare e persino riuscire a nutrirsi, ma la sua rimaneva comunque una vita a metà. La sua indole materna e protettiva aveva sempre il sopravvento su qualunque cosa, persino sul dolore e il rancore. Si era sentita al settimo cielo quando l'aveva visto sorridere. Non era stato il solito ghigno, smorfia o espressione strafottente che indossava costantemente a scuola, ma un sorriso genuino, anche se fugace.
Poco prima che uscisse dalla tenda non poté fare a meno di chiedergli se e quando sarebbe ritornato. Lui le rispose con malizia.
«Già ti manco Greengrass?» fu delusa e irritata dalla sua ostinazione nel chiamarla per cognome, ma preferì non darlo a vedere.
«No, ma almeno così non ti scambierò di nuovo per un Mangiamorte e non verrai azzannato da Hyperion» Draco non capì se stesse scherzando o se fosse seria. Ci pensò un po' e poi le disse:
«La prossima settimana. Ce la farai a non metterti nei guai?»
«Non faccio mai promesse che non sono sicura di poter mantenere»
Si salutarono e lui si allontanò, scomparendo tra le fronde.
“Chissà quanto tempo era che non si rilassava un po'”.

Astoria ascoltò con molta attenzione la cantilena del vecchio e polveroso Cappello Parlante. Conosceva già le caratteristiche proprie di ogni Casa, ma ascoltarle in versi rendeva ai suoi occhi ogni proposta più allettante, benché sapesse già dove sarebbe stata smistata. Avrebbe dovuto far fronte all'indignazione di suo padre, ma poco le importava, come del resto tutto ciò che riguardava la sua famiglia Purosangue. Sapeva che il suo amico sarebbe stato lì accanto a lei per sostenerla e tanto bastava.
«Greengrass» la chiamò la professoressa McGranitt.
La ragazza si avvicinò a testa alta e con passo sicuro allo sgabello. Poco prima di sedersi, lanciò una fugace occhiata a Draco. Stava guardando un punto indefinito delle vetrate della Sala, con espressione tesa e una postura rigida.
Il cappello sfiorò appena la sua testa. Le sembrò di sentirlo ridacchiare e mormorare qualcosa, ma la sua voce fu forte e chiara quando annunciò il nome della sua Casa.
«Corvonero!» lei sorrise compiaciuta e si avviò al suo tavolo sotto gli scrosci degli applausi, ignorando molti sguardi increduli dei Serpeverde. Ancora una volta, lei l'aveva avuta vinta. Aveva scelto il proprio destino.
Draco fissava il suo piatto e giocherellava con una posata, facendola roteare fra le sue mani. Non capiva il perché di quell'atteggiamento così distaccato, le ipotesi che puntualmente si facevano largo tra i suoi pensieri erano troppo inverosimili per essere prese in considerazione. O almeno questo era quello che le piaceva credere. Aspettò finché anche lui non finì di mangiare, poi si alzò e cercò di intercettarlo alle porte della Sala Grande per salutarlo. Con una mano gli diede una lieve pacca sulla spalla.
«Ehi Draco!»
Alle spalle del ragazzo, due Serpeverde ridacchiarono. Lei li ignorò. Il ragazzo aveva un'aria seccata.
«Che vuoi ragazzina?» Astoria lo guardò di sbieco, credendo di non aver sentito bene.
«Che ti prende adesso? Non sei contento di rivedermi?» negli occhi color indaco della ragazza si rifletteva il bagliore del fuoco delle torce. Draco si irrigidì sentendo le risa sommesse e coperte con finti colpi di tosse degli altri due ragazzi, che erano la cosa più vicina ad un gorilla che Astoria avesse mai visto.
«Non sapevamo che facessi anche il babysitter» disse uno dei due.
«Stai zitto idiota!» ringhiò Draco. I suoi occhi mandavano lampi d'odio che Astoria non aveva mai visto. Le facevano paura. Gli altri ammutolirono all'istante, guardando per terra.
«Io questa non la conosco... Tornatene a casa mocciosa»
La bambina sentì una morsa avvolgerle il petto e la gola farsi sempre più serrata, quasi volesse chiudersi per non far passare l'aria. Il ragazzo e i due Serpeverde la superarono, avviandosi con tutta probabilità verso la loro sala comune.
Le parve di sentire il rumore di qualcosa che si incrinava. Cercò di chiamarlo, ma ogni suono le morì dolorosamente in gola. Le assurde congetture che aveva accantonato per molto tempo si erano orribilmente tramutate in realtà. Il suo unico e migliore amico l'aveva tradita, la persona che conosceva meglio di chiunque altro. Forse non abbastanza.
Con una manica della nuovissima divisa asciugò gli occhi che le si erano inumiditi. Non aveva idea di dove si trovasse il suo dormitorio, così si mise a correre alla cieca, senza sapere dove stesse andando. Aveva voglia di tirargli un pugno, di prenderlo a calci e di chiedere spiegazioni, per alimentare quel tenue barlume di speranza che persisteva ancora in lei, ma temeva quello che avrebbe potuto risponderle, perché una più che vaga idea ce l'aveva già.
Lui era un Malfoy, un Purosangue che, come da copione, aveva rispettato la centenaria tradizione della sua famiglia; non poteva permettere a una ragazzina di infangare il suo nome, il suo onore. Chi non è degno di maneggiare l'ignobile e ambita dimensione del potere non era all'altezza di far parte di quella ristretta cerchia elitaria. Si vergognava di lei.
Fino all'ultimo aveva sperato che la sua apparente freddezza, le lettere senza risposta avessero una motivazione più innocente e meno ignava. Draco era diventato come tutti gli altri. Il suo unico scoglio dopo la morte di sua madre, in una marea di superbia e ignominia era stato sommerso, condannato allo stesso destino di tutti gli altri Purosangue.





Bonsoir =)
E così questa è la triste storia di Draco e Astoria... (ho fatto la rima!)
Non è un caso o una scelta impulsiva dell'autrice (cioè io? -.-") che Draco abbia ripreso un pizzico di confidenza con la sua vecchia amica. Il fatto è che (almeno secondo il mio punto di vista e nella mia storia), Astoria è stata l'unica vera amicizia di Draco e, anche se non è sempre pronto ad ammetterlo esplicitamente, sente un grande rimorso per colpa del suo tradimento, e avere un'occasione, seppure minima, di riaggiustare le cose, o comunque di riscattarsi è un incentivo in più per abbassare le sue difese, anche inconsciamente. In fondo anche a Silente bastarono poche parole per far calare la bacchetta a Draco in punto di morte (anche se alla fine le cose sono andate diversamente... ç__ç).
Spero di non aver ingarbugliato le vostre idee =P e che seguirete anche il prossimo capitolo. Mi raccomando, recensite!
Alla prossima

Changing

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Capitolo 5
*** Niente di meglio di un buon bagno ***


Capitolo 4
Niente di meglio di un buon bagno




 

 
Draco tornava alla tenda di Astoria circa una volta ogni due settimane, per non destare sospetti tra gli insegnanti. Portava sempre con sé una cospicua quantità di provviste, nascoste nella borsa grazie ad un incantesimo di Estensione Irriconoscibile. A volte, su sua richiesta, le raccontava brevemente delle ultime notizie della Gazzetta del Profeta, mentre Hyperion se ne stava accucciato accanto alla padrona, o le appoggiava il muso in grembo e muovendo la coda allegramente. Malfoy preferiva di gran lunga stargli alla larga. Da quando si era risvegliato con una gamba sanguinante evitava di avvicinarsi a qualunque bestiaccia della sua specie. Persino l'innocuo Thor, il cane del guardiacaccia della scuola che era ancora più codardo di lui, gli incuteva un certo timore.
I mesi passavano; Hogsmeade diventava ogni giorno più tetra e desolata. Non si udiva più l'allegro chiacchiericcio dei maghi proveniente dai Tre Manici di Scopa, né si vedeva più il consueto via vai di gente per le vie del paese; anche il profumo delle leccornie di Mielandia sembrava essersi dissipato. Passando si sentiva solo il peso di un cadaverico silenzio. Gli abitanti erano solo un ricordo. Hogsmeade era diventata una città fantasma.
Nonostante fosse già primavera inoltrata e gli alberi, ora non più spogli, dessero un tocco in più di vitalità, Draco non poteva fare a meno di provare un brivido lungo la schiena ogni volta che era costretto a passare di lì, per questo preferiva un sentiero alternativo per andare da Astoria. Eppure anche lui era stato artefice di quei cambiamenti, seppur in minima parte. Avrebbe dovuto essere contento, o quanto meno soddisfatto che i piani del Signore Oscuro stessero andando per il verso giusto. Ma lui non era mai contento, non era mai felice.
Ancora una volta si allontanò dalla strada principale che portava ad Hogsmeade e si avviò verso il bosco. Ormai sarebbe stato in grado di percorrere quella strada anche ad occhi chiusi. Lasciatosi alle spalle i tetti spioventi e aguzzi del villaggio si sentì subito meglio. Quei tronchi alti e sottili segnavano il confine del suo territorio e le fronde sopra di lui erano la barriera che lo proteggeva dal mondo esterno, inibendo persino la prepotente luce del sole.
Arrivò alla tenda di Astoria prima di quanto avesse immaginato, ma quando sollevò il lembo del ruvido tessuto che copriva l'entrata non trovò nessuno. Uscì e aggirò la tenda.
«Astoria» chiamò. Nessuna risposta. La chiamò di nuovo, alzando di più la voce. Non sentiva alcun rumore nei dintorni. Dove poteva essere? Fece qualche passo in avanti, prima piano, poi sempre più veloce. Doveva essere lì da qualche parte. Non potevano averla portata via i Mangiamorte, era impossibile. O forse l'avevano seguito. L'avevano seguito e l'avevano trovata. Si fermò, correre alla cieca non sarebbe servito a niente. Se l'avevano trovata a quest'ora si trovava già nella loro residenza. La immaginò inginocchiata in una delle tante sale degli oscuri sotterranei del maniero, che urlava e si contorceva dal dolore, sotto lo sguardo sadico e intriso di sangue di uno dei Mangiamorte, o peggio ancora, del Signore Oscuro. Cominciò a respirare affannosamente.
«ASTORIA!»
Immagini, una più terribile dell'altra, si succedevano nella sua testa in una frazione di secondo, incapace di controllarle. Lui non sarebbe stato in grado di fare niente se...
Un fruscio alle sue spalle lo fece sobbalzare e il suo cuore perse un battito. Proveniva da un cespuglio. Il rumore era debole, ma capì comunque che qualcosa si stava avvicinando di corsa. Mise mano alla bacchetta, ma non fece in tempo a formulare un qualunque incantesimo che una creatura bassa e pelosa saltò fuori superandolo senza neanche fermarsi un attimo. A guardarlo meglio sembrava proprio...
«HYPERION TORNA SUBITO QUI!» Draco riconobbe subito la voce furiosa di Astoria.
Vide i ramoscelli e le foglie tremolare prima che la ragazza uscisse fuori inciampando proprio su di lui.
«V-vuoi fare un po' più di attenzione?» disse Draco, benché riconobbe che la ragazza pesava veramente poco, grazie alla sua corporatura esile. Quella fu l'unica cosa che fu capace di dire, sebbene una meravigliosa sensazione di sollievo lo stesse privando delle sue energie.
«Ciao anche a te» rispose lei con allegria sarcastica.
Si rialzò quasi subito. Qualche foglia le si era impigliata tra i capelli; si prese qualche secondo per sistemarsi e poi riprese il suo inseguimento.
«Ma che sta succedendo?» confuso, si rialzò lentamente, per paura che le sue gambe potessero cedere.
«Devo fare il bagno a Hyperion e... beh, lui e l'acqua non vanno molto d'accordo» mentre parlava, la ragazza lo guardava attentamente.
«Usa la magia allora» le ricordò lui con aria di sufficienza.
«Non posso ho ancora addosso la Traccia, e non lo laverò di certo nella tenda. Sai che sporcizia poi!» disse facendo una smorfia disgustata.
Draco si concesse un piccolo ghigno divertito, non tanto per l'espressione della ragazza quanto per il suo modo di fare. Era sempre stata molto attenta all'igiene personale e a quello delle sue cose, odiava lo sporco e il disordine. Questo suo aspetto che, come molti altri, risentiva dell'ambiente in cui era cresciuta.
«Aiutami a riprenderlo, per favore!»
«Scordatelo» disse lui sistemandosi la divisa e avviandosi verso la tenda per posare le provviste. Nonostante l'incantesimo la borsa aveva un peso considerevole e lui aveva decisamente bisogno di sedersi qualche minuto.
«Ma...» Astoria decise di non perdere altro tempo e così si lanciò di nuovo alla ricerca del suo cane.

Si rimise a correre, cercando di assecondare il bruciore che le raschiava la gola e le mozzava il fiato. Non aveva mai avuto una grande resistenza fisica.
Parlare con Draco aveva aumentato la distanza tra lei e Hyperion e non aveva alcuna intenzione di lasciarlo gironzolare nella SUA tenda con il pelo sporco e le zampe incrostate di fango. Tuttavia le aveva fatto piacere rivedere il ragazzo, anche se si era un po' preoccupata vedendolo così pallido e scarno.
Quando scorse il suo rifugio rallentò il passo: Hyperion era di certo nei dintorni e continuare a corrergli dietro sarebbe stato solo una perdita di tempo, in questi casi era sempre meglio fermarsi e giocare d'ingegno.
La mancanza di foglie secche e il terreno morbido e umido per i passati giorni di pioggia, le permisero di muoversi facendo il minimo rumore. Si appoggiò al tronco di un albero. La corteccia era umida e muschiata, una sensazione che non amava. Nel piccolo spiazzo deserto di fronte alla tenda non c'era nessuno. Vi entrò con cautela e prese dal suo baule una piccola manciata di Ossicini Trillanti, uno degli snack di Mielandia ideati appositamente per gli animali, poi li mise fuori, davanti all'entrata, e si acquattò dentro pronta a scattare appena avesse scorto il cane. Come previsto, pochi di secondi dopo, si stagliò sulla tenda l'ombra di Hyperion che annusava circospetto l'aria intorno a sé. Astoria trattenne il fiato. Lui si avvicinò agli Ossicini e dopo aver controllato un'altra volta l'area circostante, cominciò a sgranocchiare il suo spuntino, come si intuì dalle allegre note degli strumenti più svariati che si udirono. Appena il cane si fu distratto, la ragazza balzò fuori e afferrò prontamente il collare di cuoio nero che gli circondava il collo, per impedire con il minimo sforzo un'altra possibile fuga. Hyperion si divincolò a lungo, ringhiando indignato per essere stato imbrogliato.
«Quanta scena» disse Astoria rivolta più a se stessa che all'altro.
Dopo un po' Hyperion si stufò e si accucciò a terra rassegnato con le orecchie basse e il muso appoggiato sulle zampe.
Draco, che era arrivato nel bel mezzo della lotta, aveva osservato la scena accigliato, non capendo il motivo di un tale spreco di energie quando avrebbe potuto imboccare una via più semplice.
La ragazza prese in braccio Hyperion.
«Ascolta» disse rivolta a Draco «dato che anch'io ho voglia di farmi un bagno è meglio che tu aspetti qui»
«Non che ci sia niente da vedere» rimbeccò il ragazzo con espressione maliziosa. Non poteva trattenersi dallo stuzzicarla ogni tanto, anche se il più delle volte la ragazza non gli dava credito. Era per questo che non era mai capitato loro di avere un vero e proprio litigio: con lei era quasi impossibile. Sempre che non si andassero ad intaccare i suoi ideali.
«Allora il modo in cui mi fissi proprio quando pensi che io non stia guardando è solo frutto della mia immaginazione» gli rispose lei con il medesimo tono.
«Non so di che parli. Stare sempre dietro a quella bestiaccia ti deve aver dato alla testa» ed entrò nella tenda ponendo fine alla discussione.
Astoria si fece largo tra i rami fogliosi, pensando che era da tempo che non si divertiva così tanto.

Draco si stese sul letto della ragazza: aveva bisogno di un po' di tranquillità. Provò a rilassarsi, ma la prospettiva di addormentarsi, abbandonando la sua mente all'ignoto non lo rassicurava molto, così si costrinse ad alzarsi in piedi. Magari poteva fare due passi lì intorno. Camminò senza una meta precisa per qualche minuto, tentando di mantenere un'unica direzione per non perdersi. Non amava il profumo di terra umida, che gli ricordava molto qualcosa di sporco, ma l’aria pulita e quel verde così intenso lo rinfrancavano e lo rinvigorivano.
Era stano come in quel periodo preferisse la solitudine alla compagni altrui. Gli sembrava che quelle brevi passeggiate, quei momenti in cui si sedeva in un bosco non pensando a nulla, fossero gli unici momenti di vero respiro.
Ora la sola presenza di Tiger o Goyle lo irritava, così come quella degli altri compagni di Casa. Si sentiva soffocare. L’unica eccezione era Astoria, anche se non avrebbe davvero saputo spiegarne il motivo. L’atmosfera intorno a lei gli infondeva sicurezza; con lei era come essere a casa. Una vera casa.
Dopo qualche minuto sentì in lontananza lo scroscio di una cascata. Una cinquantina di metri più avanti ne intravide una che si gettava in un laghetto di modeste dimensioni, il quale a sua volta proseguiva in un ruscello che andava verso est. Si avvicinò, attento a non farsi vedere, molto probabilmente era lì che si trovavano Astoria e Hyperion. Infatti vide quest'ultimo accucciato su una roccia a crogiolarsi sotto i raggi del sole. Dell'altra invece non c'era traccia. La scorse solo dopo, seminascosta dai getti biancastri della cascata. Di lei si vedeva solo la schiena su cui poggiavano i lunghi capelli corvini, ora disposi in piccole ondine a causa dell'acqua invece che nei soliti boccoli composti. In quel momento si stava sfregando delicatamente le braccia. La sua figura era sottile e longilinea, priva di curve flessuose. Nonostante questo, Draco ne rimase comunque affascinato, come del resto lo era sempre stato del suo viso. Probabilmente quest'attrazione era dovuta soprattutto alla presenza dell'acqua, del luogo ameno, o al semplice fatto che la ragazza fosse svestita. Ma la sua idea di sensualità non aveva mai avuto a che fare con corpi particolarmente formosi.
Tanto rimase lì a fissarla che, in un attimo di distrazione, perse l'equilibrio e cadde a terra, mettendo le braccia in avanti appena in tempo per non sbattere la faccia contro un albero. Tuttavia fece quel tanto di rumore che bastò perché Hyperion si allertasse e cominciasse ad abbaiare.
Il ragazzo imprecò tra sé, maledicendo quella bestiaccia. Provò ad alzarsi per scappare prima che Astoria potesse affatturarlo, ma un ramo di spine si era impigliato nei suoi pantaloni. Tentò di strapparlo via ma finì solo per ferirsi più volte, riempiendosi le mani di graffi.
«Avevi detto che non c'era niente da vedere o sbaglio?»
Astoria lo guardava dall'alto con aria di disapprovazione e un barlume di divertimento. Aveva i capelli ancora bagnati che le ricadevano da una spalla e un lungo panno bianco che la avvolgeva da sotto le spalle, fino a pochi centimetri sotto il ginocchio.
«Non dire stupidaggini, stavo solo facendo due passi». Beh, non era del tutto falso in fondo.
«Mmmmh» Astoria si chinò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani con le dita intrecciate «Dovrei darti una bella lezione adesso... Magari potrei trasformarti in un bel furetto bianco. Che ne dici Hyperion?» il cane abbaiò scodinzolante in segno di approvazione.
«Non oseresti» disse lui in tono di sfida, sebbene non ne fosse del tutto convinto.
«Vogliamo provare?» Astoria era sempre più divertita e Malfoy sempre più irritato. Preferì non rispondere, dissimulando dolore per le ferite alle mani.
«Piuttosto, hai qualcosa tipo essenza di dittamo?» le chiese dopo un po' mentre lei era tornata a cambiarsi, accorta a non farsi vedere di nuovo.
«No, l'unica scorta che avevo l'ho usata per curarti quando sei stato morso da Hyperion e anche se fosse non vorrai sprecare dell'essenza di dittamo per dei graffietti come quelli?» il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
«Hai qualcosa da darmi?» ripeté. Sentì il rumore dei suoi passi accompagnati da quelli della bestiaccia avvicinarsi.
«Vieni con me»
Tornarono insieme alla tenda. Astoria frugò per un po' nel suo baule, poi tirò fuori delle piccole striscette marroncine di un materiale sconosciuto e una bottiglietta che conteneva un liquido trasparente. Si sedettero e lui le porse le mani come lei gli aveva chiesto. Versò su un fazzoletto di stoffa finemente ricamato qualche goccia del liquido trasparente e cominciò a tamponargli in modo lieve le ferite. Per quanto Draco si sforzasse, non riuscì a trattenere dei piccoli gemiti per il bruciore provocato dalla medicazione.
«Non cambi mai eh?» rise la ragazza.
«Puoi smetterla di commentare e finire di... che stai facendo esattamente?»
«Evito che le tue ferite si infettino e ci metto sopra dei cerotti» disse indicando le striscette con un cenno del capo. Draco non ebbe voglia di fare domande e lasciò fare la ragazza.
«Ahia!» esclamò ancora quando il fazzoletto toccò, seppure piano, una ferita un po' più profonda delle altre «Devi proprio fare così? Mi stai facendo male!» ritrasse la mano agitandola come se si fosse scottato e cominciò a soffiare nel punto in cui gli doleva. Lei riprese le sue mani e vi applicò alcune di quelle striscioline di cui Draco aveva già scordato il nome.
«Vai in giro con i Mangiamorte rischiando la tua vita e fai tante storie per dei graffietti. Sei proprio un codardo» lo ammonì ironicamente Astoria.
«Parli come uno di quegli stupidi Grifondoro» disse l'altro con asprezza.
La ragazza rispose con un sorriso, ma con un sua grande sorpresa, nei suoi occhi non c'era era traccia né di allegria né di sarcasmo o umorismo. Poi si alzò, richiudendo la boccetta del liquido trasparente e prendendo le striscioline rimaste per poi riporle nuovamente al loro posto; il tutto in movimenti lenti e misurati.
«Ma io non sono un Grifondoro»

Dopo l'affermazione di Astoria i due non avevano più parlato e lui se n'era andato pochi minuti dopo.
In effetti, fino al giorno dello Smistamento, Draco era quasi sicuro che la sua amica sarebbe stata affidata alla Casa di Godric, per via del suo carattere testardo e indipendente. Si ricordò infatti che il Cappello attese per circa due minuti prima di pronunciare il verdetto finale. I due minuti più lunghi della sua vita.
Che vi fosse stato del rimpianto o del rammarico in quell'affermazione? O forse era solo una pura e neutra osservazione, anche se la sua espressione lasciava intendere il contrario. Anche se non era un acuto osservatore della natura umana, sapeva, inconsciamente, che gli occhi di Astoria parlavano più di chiunque altro.
Quando ritornò al castello era ancora immerso nei suoi pensieri. Poco prima di svoltare verso il suo dormitorio si imbatté in Pansy Parkinson.
«Ehi Draco!»
I due avevano ricominciato a parlarsi qualche settimana dopo il loro litigio; o meglio dire era stata lei a rivolgergli la parola come se nulla fosse accaduto. Ma i suoi pensieri erano stati impegnati in questioni più importanti che preoccuparsi di una ragazza dalla testa vuota.
«Ti stavo cercando!» trillò Pansy con una vocetta fastidiosamente acuta.
«Mi hai trovato» rispose lui brusco. Lei sembrò non badarci.
«Stavo pensando...» cominciò con uno sguardo che non auspicava niente di buono.
«Congratulazioni» Pansy si fermò con la bocca semiaperta e la frase sospesa a metà, ma soprattutto visibilmente indispettita.
«Insomma, ascoltami seriamente per una volta»
Lui sbuffò contrariato, ma si appoggiò al muro tenendo le braccia conserte, preparandosi ad ascoltare una delle sue solite civetterie.
«Cosa hai fatto alle mani?» chiese lei vedendo le mani del ragazzo, appena prima di riprendere il suo discorso.
«Niente» rispose lui stringendo istintivamente le dita, nascondendole ancora di più dietro gli avambracci.
Pansy spostò di nuovo lo sguardo sul suo visto, decisamente più interessata a ciò che doveva dire.
«Dato che le gite ad Hogsmeade quest'anno sono state sospese, e tu e Piton sembrate andare molto d'accordo, io e gli altri ci stavamo chiedendo se potevi chiedergli di fare una piccola eccezione, se capisci a cosa mi riferisco»
Draco inarcò un sopracciglio. Lui e Piton “andare molto d'accordo”? Dopo le assurdità di Astoria non aveva mai sentito una simile idiozia.
«Non so se ti sei accorta che fuori c'è una guerra»
«Certo che me ne sono accorta. Ma figurati se a noi può capitare qualcosa. E poi è tanto che non passiamo del tempo insieme»
Draco non poteva credere che dopo quei due babbei di Tiger e Goyle esistesse qualcuno di ancora più stupido.
«È una pessima idea. E poi Hogsmeade non è più quella di una volta, te lo posso garantire» lei arricciò la bocca e scosse la testa poco convinta.
«Vorrà dire che troverò un modo da sola!»
E detto questo se ne andò via indignata. Ultimamente Draco si comportava in maniera insolita e il fatto che si assentasse quasi con regolarità da scuola la insospettiva non poco. Di certo avrebbe scoperto di cosa si trattava.
«Buona fortuna» Draco la seguì verso la Sala Comune, con la mente che vagava ben oltre i confini delle mura di Hogwarts, nei pressi di un lago e di una tenda nascosti in un bosco.

 





Salve a tutti!
Pensavate che avessi dimenticato la mia long? Ebbene NO. Mi dispiace per voi ma sappiate che io non lascio mai le cose a metà, quindi mi dovrete sopportare fino alla fine anche se dovessi metterci un'eternità e mezzo (come ho scritto anche nell'altra long =P). Purtroppo la scuola mi ha tenuta molto impegnata in questi ultimi tempi e quindi non sono potuta essere molto regolare con gli aggiornamenti, non solo in questa fic.
Devo dire che le intenzioni di Pansy non mi piacciono affatto u.u
Spero che continuiate a seguirmi, un grazie a tutti quelli che recensiscono, in modo particolre a Lady_Erato per tutte le recensioni che mi ha lasciato =). Mi raccomando, continuate a farmi conoscere le vostre opinioni. Alla prossima,

Changing

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Capitolo 6
*** Un'anima dilaniata ***


Capitolo 5
Un'anima dilaniata









Quella che prima era solo una saltuaria occasione per mettere a tacere l'irritante voce della coscienza, per Draco diventò presto una routine. Le visite ad Astoria si fecero sempre più regolari e frequenti e, se non era per portarle del cibo, era semplicemente per scappare dalla pesantezza del clima di Hogwarts. Ovviamente mascherava le sue vere intenzioni con una scusa.
Spesso, tuttavia, la ragazza non si trovava nella tenda: con l'arrivo della bella stagione usciva spesso per fare lunghe passeggiate nel bosco insieme ad Hyperion. Solo una volta il ragazzo aveva espresso la sua indignazione dovuta a tanta incoscienza, e quindi ingratitudine nei suoi confronti, ma dopo aver notato l’espressione fastidiosamente compiaciuta di Astoria, aveva deciso di limitarsi a dei borbottii o commenti brevi e sarcastici come “poi non dare la colpa a me se finisci nelle mani del Signore Oscuro”. Allora lei sorrideva e preparava due tazze di tè ignorandolo completamente.
«Ehi Draco» la voce di Goyle lo risvegliò dai suoi pensieri.
«Che vuoi ancora?» ribatté lui irritato.
«Il professor Carrow ti sta cercando. Dice che ti aspetta nel suo ufficio»
Lo aveva sempre compiaciuto il tono quasi reverenziale con cui gli si rivolgevano Tiger e Goyle. Lo riempiva di quel senso di superiorità che ultimamente veniva a mancargli nei momenti meno opportuni. E i colloqui con gli altri Mangiamorte erano uno di questi.
«Allora digli che non voglio essere seccato, ho da fare»
Goyle sembrò indeciso e per qualche secondo si dondolò avanti e indietro sui suoi piedi «Perché sei ancora qui? Non hai qualche moccioso da tormentare o qualche sala in cui abbuffarti?»
«È che mi sembrava urgente. Credo che abbia a che fare con il Signore Oscuro» Draco si irrigidì.
«Bene allora» disse prima di lasciare la confortevole sicurezza della poltrona su cui era seduto. Il suono della sua voce gli era parso debole e incrinato, più acuto del solito. Goyle lo seguiva a un passo di distanza.
 Senti Draco...» esordì rompendo il silenzio dei corridoi.
«Che altro c'è?» rispose lui senza fermarsi né guardarlo.
«No è che… In questo periodo sei molto strano. Insomma, te ne stai sempre per i fatti tuoi... C'è qualcosa che non va?»
«Non essere idiota non c'è assolutamente niente che non va. E anche se ci fosse non verrei di certo a raccontarlo a te».   
Goyle non disse altro fino alle porte dell'ufficio di Amycus Carrow dove i due si separarono. Draco bussò alla porta. Ogni suo movimento gli sembrò improvvisamente più pesante.
«Avanti» rispose una voce dall'interno.
Il maggiore dei fratelli Carrow stava in piedi di spalle vicino alla finestra, immobile come un lungo e secco albero in inverno, dietro la sua scrivania in ebano, dal taglio classico, ad osservare le gocce di pioggia che picchiettavano sul vetro, illuminate come tanti piccoli cristalli dalla luce della luna. La stanza era quasi del tutto buia, l’unica pallida fonte di luce era la finestra.
«Mi cercavi Amycus? L'ora del coprifuoco è passata da un pezzo» solo allora l'uomo si voltò. La luce pura e argentea della luna conferiva maggiore spigolosità ai suoi lineamenti aguzzi e scavati, dalla forma del lungo mento a quella dell'imponente naso aquilino. Le fattezze più sgradevoli che Il ragazzo avesse mai visto dopo quelle del suo Signore. Amycus ghignò.
«Sempre spiritoso il nostro Draco. Un'osservazione piuttosto ipocrita considerando l'esempio di coscienziosità che l'ha pronunciata» mentre parlava misurava a piccoli e lenti passi la parete dietro la sua scrivania. Ora il suo tono ed il suo contegno si fecero più seri: «Comunque sia non ti ho convocato in qualità di studente». Il ragazzo sentì una stretta allo stomaco: era proprio ciò che aveva temuto.
«Pare che nei pressi di Ely, un misero centro babbano, si sia rifugiato un traditore. Certo, era solo un normale sottoposto, ma pur sempre un traditore. E il nostro Signore, come ben sai, non è molto incline al perdono...». La morsa allo stomaco si fece più stretta. Gli apparve per un istante il viso di Astoria: «...quindi, dato che molti dei nostri sono impegnati nella ricerca di Potter, ve ne occuperete tu, Ganon, e quello stolto nullafacente di tuo padre. Tutto chiaro?» Draco annuì. Sentì fremergli le dita della mano destra. Da quando suo padre era caduto in disgrazia molti, soprattutto Amycus, si permettevano di infangarlo in quel modo. Ma dal momento che lo stesso Lucius non aveva il coraggio di ribellarsi apertamente, se non ringhiando maledizioni fra i denti, figuriamoci suo figlio.
Dopo che ebbe ricevuto le istruzioni necessarie per la missione, il ragazzo si congedò.
«Oh, Draco» lo chiamò Amycus appena prima che lui facesse scattare la maniglia della porta: «come procedono le ricerche della giovane Greengrass?» Malfoy esitò. Un attimo che, ne era consapevole, gli sarebbe costato caro.
«Non ci sono tracce per ora» e si richiuse la porta alle spalle senza aspettare una risposta.
...
Pioveva. Quella tipica, fastidiosa pioggia inglese invisibile agli occhi ma abbastanza percettibile da farti penetrare la sensazione si umidità fin nelle ossa.
La Cattedrale della Santa e Indivisibile Trinità di Ely si stagliava nell'oscurità, bella, potente e oscura come solo quell’altezza, gli aguzzi trifori e quei pinnacoli gotici l'avrebbero potuta far apparire.
Draco seguiva suo padre. Insieme a Ganon Drakar si fermarono nell'ingresso dal soffitto a vela antistante all'entrata, dove poterono ripararsi dalla pioggia.
«Verräter si nasconde qui dentro da qualche parte» esordì Drakar mentre con la mano faceva cadere qualche gocciolina dal suo mantello che era sfuggita all'incantesimo Impervius: «È già stato lanciato un incantesimo anti-smaterializzazione nella zona, in modo da impedirgli di fuggire. Data l'ora dovremmo trovare in giro solo due o tre guardiani, tutti gli altri monaci sono nei dormitori al piano superiore, quindi non dovremmo avere problemi. Se trovate un Babbano, eliminatelo».
Draco rabbrividì per la freddezza con cui l'uomo aveva pronunciato quella frase. Tuttavia, doveva riconoscere che Ganon era uno dei Mangiamorte che lo intimorivano meno. A differenza di altri non aveva quella smaniosa sete di sangue babbano, ma eseguiva la sua missione con linearità e distacco.
«Nessuno ti ha nominato a capo della missione Ganon, non sei tu che devi darmi ordini» disse suo padre a denti stretti.
«E a me non sembra, Malfoy, che tu sia nella posizione di poter controbattere le mie decisioni, se non vuoi che faccia rapporto al Signore Oscuro».
Draco assistette a quel breve scambio in silenzio, umiliato e spaventato dalla condizione di suo padre e sperando che avesse il buon senso di tacere: Ganon era un duellante estremamente abile.
«Bene, dividiamoci allora. Io ispezionerò il piano superiore mentre tu e tuo figlio vi occuperete del piano terra» Draco annuì.
L’uomo spinse il basso portoncino di legno che costituiva l'entrata della cattedrale ed entrarono insieme.
Il luogo era sufficientemente illuminato da alcuni faretti posti sopra i capitelli delle colonne che separavano una navata e dall'altra. Subito all'ingresso, ai piedi di una delle due colonne che segnavano l'inizio della navata centrale, si trovava un enorme pannello su cui scorrevano delle scritte come: “preghiera del giorno” o “orari di apertura per i visitatori”. Sempre sulle colonne di entrambi i lati della navata, a intervalli regolari, erano issate delle scatole nere che avevano chissà quale utilità. Era orribile come i Babbani fossero riusciti a contaminare con la loro superflua modernità una delle poche buone cose che fossero stati in grado di realizzare.
Suo padre si diresse nell'ala destra della cattedrale, così lui andò a sinistra. Percorse la navata guardandosi furtivamente intorno. In altri casi non gli sarebbe dispiaciuto ammirare con più calma le vetrate a cui il buio della notte aveva sottratto ogni colore, i soffitti affrescati o i pavimenti piastrellati con simmetrici motivi geometrici, ma le circostanze richiedevano la sua massima attenzione. Superata e ispezionata la zona del transetto, decise di perlustrare il presbiterio.
«Alohomora» mormorò per aprire il cancello che gli precludeva l'accesso alla zona dell'altare. La sua voce, sebbene molto bassa, riecheggiò così tanto insieme allo scatto della serratura che per un attimo temette che sarebbe stato scoperto. Cominciò a percorrere il lungo corridoio ma si fermò dopo pochi metri, all'altezza di un altro corridoio più basso e corto. Per qualche motivo a lui sconosciuto sentiva di dovervi entrare. E così fece.
Alla sua sinistra si trovavano due porte di legno che, secondo il cartello lì accanto, conducevano agli antichi lavatoi dei monaci. Proseguì. Colse, dopo pochi passi, un'iscrizione sul pavimento che recitava così:
“Questa processione si erge sulle fondamenta del passaggio per la Cappella della Lady
[1] usata dai pellegrini per Ely”
E così l'ampia stanza che si trovava a pochi metri da lui si chiamava Cappella della Lady. Leggendo quel nome gli venne di nuovo in mente il volto di Astoria, che lui scacciò con un rapido movimento della testa. Che cosa gli stava succedendo? Non poteva lasciarsi distrarre così facilmente.
Percorse a passo più rapido tutto il corridoio, ma si fermò sulla soglia della cappella. Udì distintamente un lieve mormorio. Senza riflettere oltre, fece un balzo in avanti con la bacchetta tesa e si guardò intorno.
Era la cappella più grande che avesse mai visto. Tutte le pareti erano percorse da archi ciechi a ogivale su cui erano poggiati dei cuscini scarlatti bordati in oro. File e file ordinate di sedie pieghevoli di metallo erano rivolte verso il modesto altare costituito da un lungo tavolo sul quale si poggiavano due candelabri d'argento, uno per ciascuna estremità, e al centro un crocifisso ligneo sul quale era dipinto un uomo morente. Alla base della vetrata soprastante era posta una scultura, un'opera relativamente moderna a giudicare dalla semplicità e dall'intensità e la vivacità dei colori, raffigurante una donna dai capelli biondi che teneva le braccia rivolte verso il cielo, vestita con un lungo abito turchese tenuto in vita da un cordone dorato. Ai piedi dell'altare era inginocchiato un uomo dai capelli brizzolati che indossava unicamente un saio nero.
Sentendo il rumore dei passi del ragazzo questi si girò e nei suoi occhi limpidi, contornati da pesanti rughe, il giovane Malfoy poté distintamente vedere paura e consapevolezza.
Come già detto, Draco non era mai stato un interessato lettore del genere umano, ma gli riusciva senz'altro facile riconoscere negli altri emozioni che gli erano così familiari.
«Sei tu Matthew Verräter?» era quasi certo della risposta.
L'uomo non parlò subitò. La sua bocca si aprì e ne uscì un debolissimo suono, come l'ultimo sospiro esalato in punto di morte.
«Rispondo a questo nome» Matthew abbassò lo sguardo, giunse le mani e cominciò a mormorare parole incomprensibili, data la distanza.
«Non provare ad attaccarmi o ti uccido» ringhiò Draco, sentendo che le mani cominciavano a sudargli. L'uomo alzò di nuovo lo sguardo.
«Non potrei nemmeno se volessi, ho rinunciato alla magia»
«Che cosa intendi?»
«Esattamente questo: che ho rinunciato a far uso della magia e con essa anche alla mia bacchetta. L'ho bruciata»
«E perché diavolo hai fatto una cosa tanto stupida?!» l'uomo raddrizzò il busto e giunse di nuovo le mani.
«Ti prego, non uccidermi!» lo implorò, ora alzando la voce, come se tutte quelle sedie inadatte fossero occupate da persone venute ad ascoltare la sua supplica: «Togliere la vita a qualcuno è un gesto più arduo e orribile di quello che sembra. Dilania la tua anima! È una ferita profonda, un peso che ti seguirà e ti tormenterà le viscere fino alla morte. Io non ce l'ho fatta a sopportarlo e per questo ho deciso che non avrei più nemmeno toccato la mia bacchetta».
Draco voleva interrompere quel commovente racconto, ma non sapeva bene cosa dire. Eppure era una semplicissima formula. Due parole che avrebbero messo fine a tutto. E allora perché continuava a temporeggiare? Era stato debole di fronte ad Albus Silente e lo era stato di fronte ad Astoria; adesso tutto si ripeteva ancora una volta.
È sbagliato” gli disse una voce.
Sei un codardo” gli disse un'altra.
«Pentiti finché sei in tempo. Lasciami andare via e vedrai che il Signore ti ricompenserà aprendoti le Porte del Regno dei Cieli» il ragazzo pensò che quell’uomo doveva essere in preda al delirio.
«Signore? Di chi stai parlando? Non ti starai riferendo al Signore Oscuro?» l'uomo aprì la bocca per rispondere ma qualcun altro parlò.
«Draco!» Lucius Malfoy aveva appena fatto il suo ingresso dalla seconda arcata in fondo alla sala. Lo raggiunse e, una volta che gli fu accanto, osservò con un distaccato disgusto l'uomo inginocchiato davanti a loro.
«Avanti Draco, finiscilo» la mano del ragazzo cominciò a tremare. Servivano solo due parole.
Suo padre gli mise una mano sulla spalla. Non ci fu calore o rassicurazione in quel gesto, troppo forte e serrato per essere familiare.
Fermati, sei ancora in tempo!”.
«No, ti prego. Risparmiami ti scongiuro!» la voce dell'uomo si ruppe in un singhiozzo.
«Forza Draco. Non vorrai disonorarmi così, vero?»
«A-Ava...» - Cominciò a balbettare.
«NO! Ti supplico abbi pietà di me!» adesso Verräter si era completamente prostrato a terra.
«Taci!» urlò Lucius: «Draco non perdere altro tempo. Pensa alla punizione del nostro Signore se scoprirà che non hai portato a termine il tuo compito»
Uccidere dilania l'anima!”.
Il cuore del ragazzo cominciò a battere furiosamente.
«Avada...» il pianto di Matthew sovrastò le sue parole.
«Fallo!» gli ordinò suo padre.
Il Signore Oscuro, la voce, Verräter, lo sguardo severo di suo padre, delusione, rabbia, vergogna, pericolo, paura, tutte queste immagini e sensazioni cominciarono a susseguirsi rapidamente nella sua mente. Sentì le vene piene di sangue caldo pulsargli sulle tempie. La testa gli faceva male. Voleva solo che tutto questo finisse. Voleva solo vivere in pace. Chiuse gli occhi.
«Avada Kedavra» prima che se ne potesse rendere conto un lampo verde aveva attraversato la stanza e colpito l'uomo che, riverso sul pavimento, non aveva potuto nemmeno vedere in faccia la morte. Era stato un momento. Veloce, come la fiamma di una candela che sei spegne in un soffio.
Suo padre sciolse la stretta dalla sua spalla e ritornò indietro, verso l'uscita.
«Ben fatto Draco» disse con voce piatta e stanca: «Avviserò io Ganon, tu torna a scuola» ma suo figlio non lo ascoltava.
Continuava a fissare il corpo inerme dell'uomo che fino ad poco prima lo stava implorando proprio lì davanti ai suoi occhi. Respirava, parlava, il suo cuore batteva come quello di Draco. Un attimo fa era vivo. Ora non lo era più. Tutto per mano sua. Perché un concetto così elementare gli appariva ora complesso ed orribilmente insopportabile? Sentiva dolore, dolore in tutto il corpo. Un agonia sorda e rumorosa che gli ottenebrava la mente. Le immagini non si erano fermate. La gambe non riuscirono più a sopportare il suo peso e cedettero, ma lui non provò nulla.
Uccidere dilania l'anima“.
In un istante si smaterializzò.

Astoria era stesa sul suo letto, fissando il soffitto. Quella notte il sonno tardava ad arrivare, forse per quello strano senso di inquietudine che l'aveva attanagliata da qualche ora, così profonda da impedire ai suoi pensieri di navigare in acque più dolci e quiete.
"Dovrebbe essere normale" pensò. Dopotutto era una delle persone più ricercate dell'Inghilterra; eppure sentiva che qualcosa non andava.
Hyperion, come al solito, era accucciato nella sua cesta ai piedi del letto, russando. Guardarlo (e sentirlo) dormire così serenamente l'aveva confortata più di una volta dalle sue caliginose riflessioni; perché se di giorno le piaceva perdersi nella contemplazione dei riflessi smeraldini delle foglie e nelle acque limpide dei torrenti, di notte non c'era più la luce del sole a distrarla e deliziarla, ma solo i suoi pensieri.
Si alzò a sedere, poi si sdraiò di nuovo, posando la testa sul lato opposto del letto, in modo da poter accarezzare il suo cane dietro le orecchie allungando solo un braccio. Al suo tocco, Hyperion cominciò a muovere la zampa posteriore in segno di apprezzamento.
Nonostante il piccolo sorriso che si dischiuse sulle sue labbra, Astoria non riusciva ancora liberarsi di quell'inquietudine. All'improvviso sentì un vero e proprio brivido percorrerle la schiena, così forte che la fece sobbalzare. Ritirò bruscamente la mano da Hyperion, il quale, fortunatamente dormiva ancora beato.
Non riuscì a spiegarsi quella sensazione. Era stato come se tutti i suoi incubi peggiori le avessero fatto visita per un'istante. Probabilmente era stato solo il culmine della tensione accumulata in giorni e giorni, anche se la presenza di Draco, come quella del suo amato Hyperion, l'avevano piacevolmente svagata e rassicurata. Chissà cosa stava facendo in quel momento Draco. Più di una volta aveva notato la sua fronte aggrottata, mentre nel silenzio fissava il vuoto. Sapeva quanto il ragazzo fosse preoccupato e più di una volta avrebbe voluto chiedergli di fuggire da Hogwarts, ma non era mai riuscita a dar voce a quei pensieri. Le tornava in mente il giorno in cui lui aveva rinnegato un'infanzia di amicizia, quell'espressione beffarda e strafottente con cui l'aveva respinta.
Improvvisamente, Hyperion alzò il muso, drizzando le orecchie.
«Cosa c'è piccolo?» Astoria lo accarezzò ancora, temendo che potesse aver avuto un incubo, poi seguì la direzione del suo sguardo, rivolto verso l'uscita della tenda. All'inizio non capì e continuò a spostare lo sguardo dall'uno all'altro, poi fu chiaro anche a lei. Sentì dei passi, lenti, attutiti dal rumore del terriccio umido della notte. Il cuore cominciò a martellarle in petto. Sentì che le tremavano le mani. Strinse la bacchetta che teneva sempre accanto a sé e si alzò. Lentamente si avvicinò all'uscita e Hyperion dietro di lei.
Dopo qualche lunghissimo istante non ci fu più alcun rumore. Forse era stato solo qualche animale selvatico. Dopo averci riflettuto la ragazza si decise comunque ad uscire. Mormorò un “Lumos” sollevò un lembo della tenda con la bacchetta.
Benché la luce le permettesse di vedere con scarsa chiarezza solo a un raggio di 3 metri intorno a sé, riconobbe subito il profilo magro e slanciato di Draco. Tuttavia non poté fare a meno di trasalire.
«D-Draco che ci fai qui a...» ma interruppe la sua frase a metà, osservandolo meglio.
Stava in piedi, illuminato solo da un lato dalla luce biancastra della sua bacchetta, con le spalle insolitamente ricurve in avanti, fissandosi le mani con sguardo vitreo.
Quando si sentì chiamare alzò lentamente la testa e solo allora Astoria si accorse che il ragazzo stava tremando. Tremava violentemente, come non l'aveva mai visto prima, forte e debole al contempo, come la fiamma di una candela che minaccia di spegnersi per un soffio di vento. Quell'immagine la spaventò molto.
Quando il ragazzo sembrò riconoscere il suo volto, esplosero nei suoi occhi spenti mille emozioni, contorte ed impossibili da afferrare tutte insieme. Ma non ci volle molto a comprendere il nocciolo della questione. Draco era terrorizzato.
«Draco, cosa ti è successo?» disse avvicinandosi a lui di qualche passo preoccupata, ma cercando di essere rassicurante. Quelle emozioni la stavano contagiando non poco, e per un attimo credette che si sarebbe sentita male.
Il ragazzo non disse nulla e tornò a fissarsi le mani, come se contenessero la risposta alla sua domanda.
«Rispondimi ti prego!»
«I-io...» sembrava stesse cercando le parole «...si è spezzata. È finita» la sua voce era simile ad un singhiozzo.
«Draco spiegati meglio. Non capisco cosa...»
«L'HO UCCISO» urlò quello d'un tratto. Astoria sobbalzò: «L'HO UCCISO E ADESSO SI È SPEZZATA!».
Il suo volto scarno era contratto dalla disperazione e il suo petto si alzava e si abbassava spasmodicamente. La ragazza non sapeva cosa fare; Draco era chiaramente in preda al panico.
Sentì qualcosa muoversi ai suoi piedi. Hyperion, che fino a quel momento le era rimasto seduto accanto con i sensi all'erta, si era alzato in piedi e si stava avvicinando al ragazzo, con le orecchie basse.
«No, fermati! Hyperion torna subito qui!» il cane non l'ascoltò e Astoria aveva paura che l'uno avrebbe potuto aggredire l'altro o viceversa. Ma prima che potesse intervenire assistette ad uno spettacolo incredibile.
Hyperion si era accucciato ai piedi di Draco e aveva cominciato a leccargli piano una mano.
Il ragazzo si accorse di quel contatto sconosciuto e, ancora con gli occhi sbarrati, cominciò a fissarlo, come un bambino che osserva il mondo per la prima volta. Il respiro era ancora più veloce del normale ma, lentamente, il ragazzo sembrò scordarsi di ciò che gli stava accadendo.
Astoria gli si avvicinò di nuovo e gli toccò delicatamente il braccio in un gesto rassicurante e gli parlò con la voce più calma di cui era capace in quel momento.
«Vuoi spiegarmi che cosa è successo? Cos'è che si è spezzato?» Draco fu scosso da un brivido.
«Si è spezzata... La mia anima si è spezzata» disse con un filo di voce rauca.
Il ragazzo continuava a tremare. La violenza delle sue emozioni era stata così forte da renderlo irriconoscibile. Non aveva senso chiedergli altro nelle condizioni in cui si trovava, così lo prese per un braccio e lo trascinò piano dentro la tenda.
«Vieni dentro» Draco si lasciò guidare senza protestare, continuando a fissare il vuoto, come se di lui fosse rimasto solo il corpo.
Astoria lo fece sdraiare sul letto: «Adesso stenditi e riposati» e come se avesse pronunciato un potente incantesimo, il ragazzo chiuse gli occhi, il suo respiro riprese il suo naturale e lento ritmo e, dopo appena qualche minuto, cadde in un sonno profondo e senza sogni. Per tutto il tempo le loro mani rimasero strette.
Astoria restò a guardarlo per qualche istante. Non capì esattamente se in quel momento provasse paura o solo preoccupazione, o forse entrambe le cose.
Prese una sedia e la portò vicino al letto, poi vi si sedette. Per un'ora o forse anche di più provò a fare chiarezza su quanto era accaduto e nei suoi pensieri. Frammenti dei minuti appena trascorsi le passavano davanti agli occhi. Perché Draco si trovava in quelle condizioni? Aveva davvero ucciso qualcuno? Esitò un attimo prima di prendere quella decisione, poi sfilò la bacchetta dalla tasca del mantello del dormiente e vi eseguì un Prior Incantatio. L'ultima maledizione utilizzata era stata proprio l'Anatema che Uccide. Rimise con cautela la bacchetta al suo posto e tornò a guardare il volto di Draco.
Avrebbe dovuto provare solo disgusto e orrore, sarebbero stati sentimenti più consoni e giusti, eppure non era così. Questo la impensierì. Forse non era ancora abbastanza matura per giudicare con saggezza qualunque situazione e comportarsi di conseguenza, ma in quel momento avrebbe solo voluto essere in grado di far stare meglio Draco.
Era curioso il fatto che, negli ultimi mesi, lei avesse curato tante volte le sue ferite, prima la sua gamba, poi le sue mani, e adesso era la sua anima ad avere una ferita profonda.

Quando dischiuse appena gli occhi, Draco riuscì solo a distinguere una sbiadita macchia color ocra. Mentre cercava di rimettere insieme confusi brandelli della sua memoria, la sua vista si definiva sempre di più. Appena riconobbe il familiare soffitto di tela balzò subito in piedi. Uno spiacevole dolore gli percorreva tutti i muscoli, come dopo un pesante allenamento di Quidditch. Si guardò intorno.
Astoria era seduta su una sedia accanto a lui con un libro in grembo. Quella scena gli era stranamente familiare.
«Che diavolo ci faccio qui?!» disse con voce più alta di quanto avrebbe voluto, svegliatosi di soprassalto.
«Buongiorno anche a te» rispose sarcastica la ragazza, alzando lo sguardo.
«Che ore sono? Come ci sono arrivato qui?»
«Il sole è sorto da un po', quindi immagino che siano più o meno le 8.00... Davvero non ti ricordi come sei arrivato qui?» Draco rifletté un attimo. L'ultima cosa che ricordava era un lampo verde, poi Matthew Verräter steso a terra. Scacciò subito quell'immagine dalla sua mente, e con lei tutte le inquietanti sensazioni che gli aveva provocato.
Per un attimo prese in seria considerazione l'ipotesi di raccontare tutto ad Astoria, ma poi cambiò idea. Chissà come avrebbe reagito, forse l’avrebbe persino odiato. Di nuovo.
«No, non lo ricordo» rispose. Lei sembrò studiarlo a fondo, ma poi riabbassò di nuovo gli occhi sul suo libro.
Draco fece per uscire dalla tenda, ad Hogwarts si stavano certamente chiedendo dove fosse finito, ma si fermò sentendo la voce della ragazza.
«Prima che tu vada, volevo dirti che c'è sempre un modo per riparare le cose rotte, di qualunque danno si tratti».
Il ragazzo non rimase troppo a riflettere su quella frase. Non era la prima volta che Astoria si comportava in modo enigmatico.

 

 
[1] “Lady” è un termine utilizzato anche per dire “Madonna”, ma dato che Draco non ha nemmeno idea di cosa sia il cristianesimo, legge quella scritta come “Cappella della Lady” e quindi della “Nobildonna”.




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Beeeeeeeeeeeeene bene
eccomi tornata dopo secola secolorum con questo nuovo capitolo (sperando che ci sia ancora qualche buon anima che legga questa storia ç___ç). Che ne pensate?Ormai non manca molto alla fine... snif :'(
Ci tengo a ringraziare Lucrezia che ha dimostrato tanto entusiasmo per questa fanfic e che spero di non deludere o annoiare mai. Grazie grazie :D
Spero che continuiate a seguirmi e a recensire
A presto

Changing

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Capitolo 7
*** Tradimento ***


Capitolo 6
Tradimento







Dopo il misterioso risveglio nella tenda di Astoria, Draco non vi tornò per lungo tempo. Al suo ritorno si era giustificato dicendo che era andato in un locale a festeggiare, ma nonostante ciò Amycus Carrow sembrava non essere del tutto convinto. Per molti giorni, il ragazzo sentì il suo sguardo dietro la schiena. Le sue ripetute fughe dalla scuola e il suo parziale isolamento gli avevano destato sospetto. Tutto per aver cercato di soddisfare i propri bisogni seguendo il proprio istinto. Un gesto alquanto stupido, pensò.
Per di più, di notte continuavano a tormentarlo incubi orribili al seguito dei quali si svegliava ansimando e madido di sudore.
Proprio quando una di queste notti Draco era quasi riuscito a prendere sonno, un debole ticchettio cominciò a disturbarlo. Probabilmente aveva cominciato a piovere. Si girò di lato, ma il rumore divenne sempre più forte. Quel poco di sonnolenza che era riuscito a conquistare svanì in pochi attimi. Si mise a sedere, frustrato e infastidito. Solo in quel momento si accorse che l'origine di quel picchiettio non aveva a che fare con l'attuale condizione atmosferica. Dopotutto si trovava in un sotterraneo, come era possibile sapere se stesse piovendo o no?
Quel rumore proveniva dalla porta. Draco prese la bacchetta e si avvicinò con cautela, deciso a disintegrare chiunque o qualunque cosa avesse disturbato il suo sonno. Quando dischiuse la porta notò appena in tempo un barbagianni dalla livrea color tortora striata di bianco. Questo, appena si aprì uno spiraglio per poter entrare, volò nella stanza posandosi sulla testata ai piedi del suo letto.
«Maledetto pennuto vuoi per caso svegliare tutti?». Fortunatamente i suoi compagni avevano il sonno pesante. «E levati subito dal mio letto!» disse scacciandolo con un gesto della mano.
Allora il barbagianni si spostò sul letto di Nott, che russava più forte degli altri. Draco notò che ad una zampa aveva legato un piccolo biglietto. Lo prese.
Vi erano scritte poche parole in una calligrafia sottile ed elegante ma leggermente inclinata, forse per colpa della fretta.
 
“Hyperion sta male. Mi serve subito dell'estratto di fresia e di geranio a foglia di quercia”.
 
Draco sospirò. Ecco perché aveva sempre odiato gli animali; occuparsi di loro portava solo grandi seccature e un'inutile spreco di energie. Era troppo tardi perché potesse uscire e non avrebbe saputo nemmeno dove trovare quegli ingredienti a quell'ora della notte. Certo avrebbe potuto rubarle dalle scorte di Piton o di Lumacorno, ma non aveva alcuna intenzione di correre un simile rischio. Sopratutto con il fiato di Amycus Carrow sul collo. Cosa avrebbe potuto inventarsi se fosse stato scoperto? Che stava organizzando un fresia-party? No, la bestiaccia avrebbe aspettato fino a domani mattina. Qualcosa però lo fece indugiare sulla sua decisione. Non sapeva esattamente cosa. Forse cercando nel suo baule avrebbe potuto rimediare dell'estratto di fresia, anche se quello di geranio a foglia di quercia era più difficile da rimediare.
Ma come sarebbe potuto uscire senza farsi scoprire? Ultimamente la sorveglianza nei corridoi era raddoppiata: si vociferava che Harry Potter sarebbe tornato ad Hogwarts.
Quando finalmente alzò gli occhi dal foglio, vide che il barbagianni stava ancora lì sul davanzale, che si puliva le piume delle ali con il becco. Draco lo scacciò di nuovo, desideroso di tornarsene a letto.
Un momento. Astoria non possedeva un barbagianni. Questo voleva dire che era riuscita a stregare il primo uccellaccio che le era capitato o che aveva usato uno di quelli del servizio postale di Hogsmeade.
Malfoy imprecò sottovoce. Possibile che la ragazza facesse del suo meglio per rendere vani tutti i suoi sforzi per tenerla nascosta? Rischiare la propria vita per un cane... doveva essere impazzita.
Si rimise sotto le coperte, cercando di riprendere sonno.
La mattina dopo si alzò spossato e, con molta calma, si preparò per recarsi al villaggio.
Per strada rilesse distrattamente il biglietto, in città era rimasta aperta solo l'erboristeria della famiglia Fincher, o almeno così ricordava. Purtroppo quando arrivò davanti alla lignea porta bianca del negozio vi trovò appeso un cartello:
“Chiuso per lutto”.
Se ne era completamente dimenticato. Proprio la scorsa settimana aveva saputo da suo padre che Richard Fincher, il figlio del proprietario dell'erboristeria, era rimasto ucciso in un incidente. Ovviamente era tutta una messinscena. Sembrava infatti che Richard scambiasse delle informazioni con l'Ordine della Fenice (o quel che ne rimaneva), in cambio di protezione per la sua famiglia emigrata in America. Evidentemente non era stato abbastanza furbo.
Immaginò la scena, il lampo verde, gli occhi svuotarsi della scintilla della vita e il perenne sorriso di quel ragazzo spegnersi. Gli tornò in mente la notte in cui era stato alla cattedrale di Ely e si sentì rabbrividire. Il battito del suo cuore accelerò, insieme al respiro. Così riprese a camminare, più svelto di prima, inspirando profonde boccate d’aria fresca per calmarsi.
Draco avrebbe dovuto ricorrere ai venditori del mercato nero; se ne trovava sempre qualcuno nei vicoli isolati e meno frequentati di Hogsmeade. Così setacciò un paio di stradine tra la Stamberga Strillante e i Tre Manici di Scopa, ma non trovò nessuno.
Al terzo tentativo, nei pressi di Mielandia, incappò in un vicolo cieco. Cominciava a stufarsi di quel via vai infruttuoso; in fondo chi lo costringeva? Magari la bestiaccia aveva solo un po' di febbre o di tosse (sempre che i cani potessero tossire). Aveva cose ben più importanti a cui pensare. Eppure non si fermò.
Quando cambiò strada per fare un altro tentativo sentì un cigolio, seguito da un tonfo. Accelerò il passo e, proprio dietro l'angolo, trovò Pansy Parkinson seduta per terra che si massaggiava la schiena. Accanto a lei vide una grossa e vecchia trave di legno; quella che lei, probabilmente, aveva fatto cadere.
«Pansy... che diavolo ci fai fuori dal castello?!» era furioso. Quello che gli serviva in quel momento era proprio un'altra bella seccatura.
Lei alzò lo sguardo e si rialzò in piedi, sgrullando via accuratamente i possibili granelli di terra che potevano esserle rimasti sulla divisa.
«Ti stavo seguendo» rispose accennando un sorriso ironico e una scintilla di malizia negli occhi neri.
«Come cavolo ti è venuto in mente? Se lo venissero a sapere i Carrow...» Pansy sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«E da quando ti interessa quello che pensano i Carrow? E poi lo sai che con noi Serpeverde chiudono sempre un occhio... Non mi dirai che sei preoccupato per me?» chiese con tono languido.
Draco era veramente stufo. Solo una come Pansy poteva scambiare un tentativo per levarsela dai piedi con una cosa come la preoccupazione. In questi momenti si chiedeva spesso per quale assurdo motivo continuasse ancora a sopportarla. In realtà non era poi così difficile da intuire: per l'incondizionata devozione che lei aveva nei suoi confronti. Per questo anche dopo uno dei suoi sfoghi emotivi, come quello di tre mesi prima, quando lui l’aveva baiata senza motivo, era sempre tornata da lui. L'aveva sempre considerata un piacevole passatempo, quando aveva del tempo libero. Ma ultimamente di tempo e di voglia ne aveva avuto ben pochi.
«Che cosa? Ma non farmi ridere» rispose sarcastico, rimanendo sempre serio. L'eccitazione sul viso della ragazza si spense in un istante, trasformandosi in un'espressione contrariata: «Tornatene a scuola» aggiunse.
«Sono stufa di sentirmi dire quello che devo fare!» eccola che ricominciava. Il tempo correva e Draco sentiva che sarebbe esploso da un momento all'altro: «Voglio sapere cosa ti sta succedendo! Te ne vai sempre in giro da solo, manchi da scuola e ultimamente mi tratti sempre male. Per caso non ti p...».
Ogni parola lo indisponeva sempre di più. Non solo stava rischiando grosso per nascondere Astoria, adesso doveva anche sentire le lagne di una povera ottusa. Sentiva il fastidio, la rabbia e lo stress di giorni e giorni urticargli la pelle e tutto successe in un attimo.
Mentre Pansy parlava ancora, lui la afferrò per le spalle e la sbatté bruscamente contro il muro. Lei lo guardò terrorizzata.
«Quello che faccio e perché lo faccio non sono affari che ti riguardano» la sua voce era più bassa del solito: «Smettila di starmi così appiccicata e smettila di venirmi dietro come un cagnolino. Ho già i miei tirapiedi, non me ne serve un altro».
Mentre Draco parlava, gli occhi di Pansy si facevano via via più lucidi e le sue labbra tremarono.
«M-ma Draco...» lui la lasciò andare con un movimento secco.
«Vattene» la interruppe ancor prima che potesse balbettare qualcos'altro e spostandosi per lasciarla passare.
Per qualche istante Pansy non accennò a muoversi, poi fece due passi di lato, lenti. Si voltò e corse via.
Il giovane Malfoy rimase solo. Non avrebbe saputo dire con precisione cosa provasse in quel momento. Qualcosa che non assomigliava affatto al sollievo, ma nemmeno ad un vago senso di colpa. Sentiva ancora addosso il peso delle sue parole, la rabbia del momento. Si sentiva peggio di prima.
Fece per andarsene anche lui ma una voce lo fece trasalire.
«Non così in fretta Draco» Amycus Carrow lo guardava sogghignante; stava appoggiato al muro dell'edificio dietro di lui con le braccia conserte.
Il ragazzo sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
«Amycus!» non sapeva bene cosa dire: «Da quanto sei qui?» aggiunse preoccupato dopo un attimo di esitazione.
«Quel che è bastato per divertirsi un po'» rispose l'uomo mentre si avvicinava a lui: «Vedo che ci sai fare con le donne» ridacchiò per il suo commento.
Draco si chiese cosa ci fosse di tanto esilarante in quella situazione ma non parlò.
«Su una cosa però sono d'accordo con la signorina Parkinson: anche a me piacerebbe sapere perché te ne vai a zonzo così spesso»
«Il Signore Oscuro mi ha affidato un compito importante...»
«Che avresti già portato a termine se la ragazza si fosse trovata davvero nei paraggi».
Sebbene anche Amycus fosse un Mangiamorte come lui, Draco preferiva tenervisi a distanza. Quell'uomo gli dava una pessima sensazione. Gli occhi avevano un inquietante velo di follia ben celato dalle sue buone maniere, ma che si rifletteva tutto nel suo sadico sorriso. Sembrava provare un piacere più forte e profondo degli altri nel vedere la sofferenza delle sue vittime; amici o nemici che fossero.
«Cerco di svolgere al meglio il mio compito. E poi non credo di avere molto altro da imparare a Hogwarts» rispose sperando che l'insicurezza nella sua voce fosse solo frutto della sua immaginazione.
Il ghigno dell'uomo si fece, se ciò era possibile, ancora più ampio ed accattivante.
«Bene, diciamo che ti credo. Comunque non ti conviene approfittare troppo dei privilegi che ti sono stati concessi e, in ogni caso, se fossi in te farei più attenzione» gli sembrò di sentirlo ridacchiare di nuovo. Poco dopo si smaterializzò.
...
Astoria era seduta sul pavimento, accanto alla cuccia di Hyperion che dormiva profondamente. Aveva passato lì l'intera notte, senza mai addormentarsi. Il cane aveva la febbre molto alta ed era scosso da tremori a intervalli regolari. Era cominciato tutto uno o due giorni prima, senza preavviso. Hyperion aveva cominciato ad indebolirsi e dormiva più del solito, finché, la sera prima, non aveva dato di stomaco. All'inizio pensava che fosse tutta causa della sua pessima alimentazione, ma il malessere sembrava più accentuato del dovuto.
Ogni tanto lo rinfrescava con una pezza bagnata e quando non lo faceva lo accarezzava delicatamente, perché ogniqualvolta lo toccava con troppa forza, il cane emetteva un forte gemito. Doveva soffrire molto.
Così passava la maggior parte del tempo parlando. Raccontava delle loro gite ad Hogsmeade o di altri ricordi più o meno remoti, anche se per lo più gli narrava delle storie. Come sua madre quando lei era bambina.
Di lei aveva una memoria sbiadita, offuscata come un vetro dal vapore, ma conservava sempre il ricordo del suono della sua voce: chiara e melodiosa, come il suono di campanelli d'argento mossi dalla brezza, capace di incantare chiunque l'ascoltasse, come se ogni parola che uscisse dalla sua bocca fosse una magia. Quando era malata le leggeva sempre un libro, soprattutto quelli babbani, che piacevano molto a entrambe*. Il tutto ovviamente all'oscuro di suo padre.
Si riscosse bruscamente dai suoi pensieri: Hyperion aveva ripreso a tremare violentemente. Astoria non ce la faceva più a starsene con le mani in mano, sentiva il bisogno di fare qualcosa, una qualunque cosa che potesse alleviare le sofferenze del suo amico. Aveva bisogno degli ingredienti che aveva chiesto a Draco.
Perché non era ancora arrivato? Forse aveva avuto qualche problema con gli insegnanti. Eppure una forte stretta al petto le suggeriva tutt'altro. Una stretta molto familiare, la stessa che aveva provato la sera del suo Smistamento..

Era buio ormai. Dopo l'incontro con Amycus, Draco era tornato immediatamente a scuola. Le sue ultime parole l’avevano reso ancora più inquieto di quanto già non fosse. Vi meditò come un assassino che teme di essere scoperto da un momento all’altro. Non era possibile che l’uomo fosse a conoscenza dell'aiuto che stava dando ad Astoria. In ogni caso, avrebbe dovuto fare ancora più attenzione. Decise che ancora per un altro po' avrebbe fatto a meno della sua compagnia.
Compagnia. Saggiò questa parola sulle sue labbra.
Per sette interminabili giorni, Draco ebbe paura del calare del sole, perché, con esso, arrivavano anche i suoi incubi. Gli tornava in mente la notte in cui era morto Verräter, il volto arcigno di Amycus Carrow che lo teneva d'occhio, il sibilo della voce del Signore Oscuro e la paura di non potere niente contro tutte queste forze che minacciavano continuamente lui e la sua famiglia.
Passava il più delle ore seduto nella poltrona della Sala Comune ad osservare i sinuosi riflessi argentati delle acque del Lago Nero, oppure a misurare la stanza a grandi passi. Ricominciò persino a leggere. Leggeva qualunque cosa gli capitasse sotto mano, da noiosi trattati sull'Erbologia ai manuali di Quiddich. Di giorno, invece, si sforzava di passare più tempo con Tiger e Goyle, i quali, anche se rimasero sorpresi da questo cambiamento repentino, non osarono fargli domande.
Tuttavia nessuna attività lo assorbiva completamente o per troppo tempo. Sentiva che aveva bisogno di andarsene, di tornare nel bosco sotto la protezione degli alberi, anche solo per un minuto. E, fece moltissima fatica ad ammetterlo, aveva anche bisogno e nostalgia dei brevi momenti che passava con Astoria, delle discussioni che faceva da solo (perché lei sembrava non ascoltarlo) sull'importanza della purezza del sangue e altri argomenti a cui lei non aveva mai voluto prestare attenzione. E qualche volta, vedendola sorridere e giocare con quel sacco di pulci, perdevano importanza anche per lui. Ogni tanto si chiedeva se Hyperion fosse guarito, ma scacciava subito quel pensiero fastidioso, che non portava mai nulla di buono con sé.
La mattina dell'ottavo giorno, Draco era seduto al tavolo dei Serpeverde, girando pigramente il cucchiaio nella sua scodella di porridge.
«Se non hai fame lo prendo io!» disse Tiger, che era seduto alla sua sinistra con ancora in bocca un pezzo di torta ai mirtilli.
«Tieni, ingozzati pure» rispose avvicinandogli la ciotola con il dorso della mano.
Proprio in quel momento entrarono dalle finestre una miriade di gufi. Si ricordò in quel momento e con poco entusiasmo che era il giorno della posta.
Gli cadde davanti la Gazzetta del Profeta, che lui aprì con noncuranza. Ovviamente era già al corrente delle notizie più rilevanti. Zabini, con il suo consenso, prese il giornale e diede una rapida e annoiata occhiata alle prime pagine.
«Hmpf» Zabini emise una specie di risatina sardonica: «Qualche pezzente è andato a rubare in un negozio fallito di Hogsmeade. In giro c'è proprio gente che fa la fame» -
«Quafe nefozio?» chiese Tiger con la bocca ancora piena di cibo.
«Ehm...» rispose Zabini che era già andato a leggere la pagina sportiva: «un erboristeria credo».
Draco, che non aveva prestato molta attenzione a quello che i ragazzi stavano dicendo, scattò al suono di quella parola.
«Dammi qua» disse togliendo di mano il giornale a Zabini. Cercò l'articolo in questione che trovò in un baleno. Consisteva solo in un piccolo riquadro marginale a fondo pagina.
Furto a Hogsmeade
Scassinata la baracca della famiglia Fincher
 
Tre giorni fa, il 28 aprile, un misterioso ladro ha scassinato l'ex erboristeria Fincher in ora tarda. Dal momento che il negozio aveva chiuso bottega qualche giorno prima, non è stato possibile rubare alcun incasso. Il proprietario continuava ad usare lo stabile come deposito per le scorte di pozioni rimaste. Maximilian Fincher può ritenersi dunque fortunato, dato che sembrano mancare all'appello solo alcune fiale di estratto di geranio e di fresia.
Si presume che il colpevole sia qualche mago bisognoso in cerca di spiccioli. Il proprietario del negozio non ha pertanto ritenuto necessario sporgere denuncia. Egli stesso ha affermato che “da quando è scomparso il suo amato figlio sente il bisogno di ritirarsi a vita privata per un po' di tempo e non preoccuparsi più degli affari”.
Il furto è stato scoperto quando...
 
Draco smise di leggere.
« Quella stupida...» ringhiò.
«Di chi parli?» chiese Tiger.
«Di tua madre!» ribatté lui brusco prima di alzarsi e dirigersi a grandi passi verso l'uscita, inseguito dalla voce di Tiger che gli urlava che cosa gli fosse preso. Ad un ritmo così spedito arrivò nei pressi del bosco in un batter d'occhio. Finalmente intravide la tenda in mezzo agli alberi e vi entrò senza pensarci due volte.
Astoria era china sul tavolo, sembrava stesse mettendo in ordine la sua tenda. Hyperion le scodinzolava accanto e vedendo entrare il ragazzo la sua coda cominciò ad agitarsi.
«Cosa diavolo ti è saltato in mente?!» sbraitò il Serpeverde. Ma lo sguardo divertito che si aspettava non arrivò, perché la ragazza non si degnò nemmeno di voltarsi verso di lui.
«Non so di cosa tu parli» la sua voce e i suoi modi erano freddi e distaccati.
«Non prendermi in giro, Astoria, non questa volta» ma lei non rispose. Continuava a raccogliere le sue cose e a riporle nel baule finché non cominciò a rimpicciolire anche i mobili: «Si può sapere cosa diavolo stai facendo?»
«Mi trasferisco» Draco fu come colpito da un fulmine.
«Che cosa?... Non sarà che sei arrabbiata con me perché non ti ho portato quello che mi avevi chiesto! Beh stai esagerando» -
Adesso la tenda era vuota. Astoria si fermò e lo guardò con un disprezzo tanto forte che avrebbe potuto radere al suolo i dintorni.
«Io sto esagerando? HYPERION STAVA PER MORIRE, DANNAZIONE!» la sua voce era forte come una palla di cannone e tagliente come il più affilato dei coltelli, mentre i suoi occhi erano puro ghiaccio incandescente. Il cane le si sedette accanto, immobile come una statua.
«Avrà avuto sì e no un raffreddore...» rispose lui spostando lo sguardo su un angolo in basso della tenda.
«Non ti avrei mai chiamato e non avrei rischiato la vita per un raffreddore! Ma questi per te sono gesti tanto inutili quanto incomprensibili, dato che non rischieresti la tua vita nemmeno per salvare te stesso» fece una pausa, nella quale ripose le sue ultime cose nel baule, chiudendolo poi con un sonoro botto: «Pensavo che almeno ora avrei potuto fidarmi di te... Ora vattene, non ho più niente da dirti» Draco non sapeva come replicare. Eppure aspettare gli era sembrata la cosa giusta da fare.
«Tu non capisci...» sebbene il ragazzo fosse ancora adirato e sulla difensiva, la sua voce suonò debole e poco convinta: «...non puoi andartene!» Astoria si voltò nuovamente verso di lui.
«Non ho alcun motivo per restare. Avrei dovuto pensarci molto tempo prima» Draco avrebbe voluto replicare, tirare fuori più di una valida ragione per farle cambiare idea, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.
D'un tratto qualcosa nello sguardo di Astoria cambiò. La rabbia e il risentimento scivolarono via lasciando posto alla paura. Hyperion saltò e si mise a quattro zampe e, con le orecchie basse, cominciò a ringhiare. Draco si girò di scatto e, dietro di lui, stava in piedi con un’espressione sadica e arcigna Amycus Carrow.








Dai su, questa volta ho aspettato solo un mese. Sono migliorata eh? =D
Sono contenta di vedere che questa storia piaccia più di quanto avevo previsto, speriamo che continui su questa linea...
Ed eccoci quindi ad un punto di svolta, Astoria è stata trovata! Spero davvero che riesca a salvarsi ç___ç. E Hyperion? E Draco? Oh mammamia mi ero quasi dimenticata di lui.
Non mi resta che scrivere anche il capitolo successivo (sempre che non l'abbia già scritto e infilato da qualche parthe uhm uhmmmmm). Spero di pubblicarlo presto.
Alla prossima,

Changing

 

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Capitolo 8
*** Fine della casa nel bosco ***


Capitolo 7
Fine della casa nel bosco









«Quindi era qui che ti nascondevi» ghignò Amycus. Draco si sentì mancare; Astoria era pallida e non fu capace di dissimulare la sorpresa come la paura. Con un gesto rapido la ragazza sfoderò la bacchetta, ma il Mangiamorte fu più veloce.
«Stupeficium!» la giovane Greengrass venne sbalzata contro la parete di tela, senza neanche avere il tempo di urlare e Hyperion si lanciò all'istante contro il loro assalitore, azzannandogli la gamba destra.
Draco corse verso Astoria che giaceva a terra svenuta. Le mise una braccio dietro la testa, per cercare di sollevarla, ma avvertì un viscido calore lo fermò. Astoria era ferita alla testa.
Il Mangiamorte ululò dal dolore e provò a scrollarsi il cane di dosso ma, sia per la sofferenza che per l'inaspettata e poderosa forza delle fauci dell'animale, dovette ricorrere alla bacchetta. Ma Hyperion cominciò a graffiarlo, lacerandogli i vestiti e poi la carne. La bacchetta scivolò dalle mani dell'uomo, che non fu in grado di mantenere una presa salda, e rotolò fino ai piedi di Draco.
«Lurida bestiaccia...» ringhiò Amycus, lanciandosi in una lunga serie di imprecazioni molto meno pulite.
Il ragazzo ebbe un attimo di esitazione, il tempo di prendere coscienza della sua posizione di vantaggio. Rimise Astoria a terra delicatamente, poi si lanciò sulla bacchetta e l'afferrò. Mentre l'uomo si dimenava, cercando di ribellarsi dalla morsa di Hyperion, guardò Draco e la bacchetta per un istante, prima quasi con terrore, poi la rabbia tornò nei suoi occhi spazzando via qualunque altra cosa.
«Non fare lo sciocco, ridammi subito la bacchetta!»
«Mi hai preso per uno stupido?» disse il ragazzo sentendo finalmente crescere in lui un po' di determinazione. Ma proprio in quel momento Amycus riuscì ad assestare al cane un poderoso calcio con la gamba sana e Hyperion finì a terra con un guaito. Per il ragazzo fu come se qualcuno lo avesse appena ferito in pieno petto con una lama affilata. Uno strano effetto. Il Mangiamorte si raddrizzò a fatica, cercando di spostare tutto il peso sulla gamba sinistra. Quella poca sicurezza che Draco aveva acquisito calò vertiginosamente. Eppure era lui ad avere la bacchetta dalla parte del manico.
«Avanti Draco, che cosa speri di ottenere? Sappiamo entrambi che non è questo il tuo ruolo nella storia, quello del prode cavaliere che salva la sua bella».
«Questi non sono affari che ti riguardano».
«E una volta che ti sarai sbarazzato di me cosa farai? Prima o poi ti troveranno, Draco, e allora sarà troppo tardi. Consegnami adesso la bacchetta e la ragazza, e sarà come se nulla fosse mai accaduto» il ragazzo non rispose, conservando la stessa espressione fissa su di lui: «Pensa ai tuoi genitori» continuò Amycus con voce suadente e melliflua: «perderai tutto quanto, anche loro» Draco non parlava e non agiva.
Perché si ritrovava sempre davanti a scelte così difficili? E perché non era mai in grado di fare quella giusta? Non aveva intenzione di consegnare Astoria ai Mangiamorte, ma Amycus non aveva tutti i torti...
D'un tratto si udirono dei fruscii. L'uomo e il ragazzo si girarono verso l'entrata della tenda, colti di sorpresa, e un attimo dopo un lampo di luce rossastra illuminò la stanza accecando Draco, che dovette ripararsi il volto con un braccio.
Quando riaprì gli occhi vide Amycus steso a terra e dietro di lui, in piedi, c'era Lucius Malfoy che si guardava intorno, incredulo.
«Padre...» lo sguardo dell'uomo si posò su suo figlio, poi su Astoria, su Hyperion, su Amycus e di nuovo su suo figlio e ogni altra emozione lasciò posto ad una rigida severità. Camminò verso di lui a passi grandi decisi.
«Dimmi che Amycus stava mentendo e che tutto questo...» disse facendo un ampio gesto con il braccio: «non è opera tua»
L'uomo gli venne così vicino che Draco riuscì persino a sentire il suo respiro profondo e adirato e fu solo capace di balbettare con un filo di voce.
«I...Io...» prima che potesse dire o pensare altro, un sonoro schiaffo gli risuonò sulla guancia.
«TUTTO QUESTO E' OPERA TUA?» gridò Lucius. Draco non l'aveva mai visto in quello stato. Gli occhi erano iniettati d'odio e disprezzo e la mascella contratta, leggermente sporgente, accentuava i solchi del suo viso scarno e sciupato. Il ragazzo fu costretto ad abbassare lo sguardo: non poteva sopportare né competere con una forza di tale intensità.
Non fu capace di rispondere, mosse solo il capo debolmente. Teneva una mano premuta sulla guancia, come se volesse contenere il dolore, in realtà trascurabile. La ferita si era aperta molto più in profondità, in quell'orgoglio che Astoria aveva ritenuto inesistente.
Draco non era mai stato schiaffeggiato da suo padre, era sempre bastato il suo sguardo severo. Forse era anche per il fatto che il giovane Malfoy non aveva mai nemmeno desiderato andare contro il volere del padre. Non si parla di quelle piccole marachelle tipiche dei bambini o di scherzetti ai domestici di un giovane annoiato, quelle gli venivano sempre perdonate, anzi, gli erano apertamente concesse. Vi era, probabilmente, una semplice ragione: essere un Malfoy era sinonimo di supremazia, di essere speciali, e suo padre era il capofamiglia dei Malfoy; per quale ragione avrebbe dovuto contrastare le decisioni di qualcuno a lui superiore? Per quale motivo avrebbe dovuto mettere in dubbio i precetti con cui era stato allevato? E poi, lasciar decidere gli altri al suo posto era stato senz’altro comodo, fino a quel momento.
Dopo lunghi istanti di silenzio Lucius aggirò suo figlio e si avvicinò ad Astoria, distesa a terra.
«Mi hai profondamente deluso, Draco. Sei la vergogna della famiglia» quelle parole, pronunciate con voce bassa e roca, furono il colpo di grazia; il coltello conficcato nel suo animo fece un quarto di giro.
L'uomo gli si parò davanti con la ragazza tra le braccia: «Prendila e non provare a scappare» Draco eseguì meccanicamente gli ordini, sempre con sguardo basso. Nonostante la sua corporatura esile, non avrebbe mai immaginato che Astoria potesse essere così leggera e così calda. Sfiorò appena la ferita, incurante del sangue che gli sporcava le mani e i vestiti. Fortunatamente sembrava che non ne uscisse molto.
Sentì suo padre afferrargli la spalla e in un attimo comparvero davanti al cancello del Maniero dei Malfoy. Questo si spalancò al loro passaggio e i due percorsero il lungo viale ciottolato, fiancheggiato da alte siepi. Uno camminava a grandi falcate, con la schiena ritta e il portamento fiero che non aveva da lungo tempo, l'altro lo seguiva con la testa bassa e lo sguardo vuoto, senza badare a nulla.
Mi hai profondamente deluso. Sei la vergogna della famiglia”.
Lucius bussò al portone e venne accolto da uno dei tanti elfi domestici.
«Buonasera padrone» disse con un profondo inchino. L'uomo si sfilò il mantello e lo gettò addosso all'elfo, che lo raccolse e lo piegò appendendolo al suo braccio.
«Devo vedere immediatamente il Signore Oscuro, digli che è per una questione urgente».
I sensi di Draco si ridestarono sentendo nominare quel nome. Una questione urgente. Stava per consegnare Astoria nelle mani della Morte e non era in grado di fare nulla.
«Padre...» disse con un filo di voce.
«Silenzio» lo interruppe l'uomo a denti stretti: «Non voglio sentire una sola parola uscire dalle tua bocca: rischieresti solo di disonorarmi ancora di più»
Il coltello fece un altro quarto di giro.
L'elfo chinò il capo.
«Sono desolato padrone, ma in questo momento l'Oscuro Signore non è in casa. È uscito qualche ora fa e ha lasciato detto che sarà di ritorno questa sera»
Il disappunto crucciò il volto di Lucius e Draco rilassò i muscoli, tesi allo stremo fino a quel momento. Abbassò lo sguardo su Astoria, ancora addormentata. La testa, piegata leggermente all'indietro metteva in mostra il bel collo, sottile come la sua figura. Istintivamente le accarezzò il dorso della mano con il pollice. Sembrava così vulnerabile in quello stato, avrebbe voluto fare di più per lei, tutto ciò che le doveva e che non era stato in grado di fare per se stesso.
«Bene» rispose Lucius: «allora rinchiudi questa ragazza nei sotterranei e vai a chiamare Binx e Trachet» il debole sollievo di Draco venne nuovamente smembrato.
L'elfo schioccò le dita e Astoria si sollevò dalle braccia del ragazzo, il quale riuscì a trattenerla per qualche istante ma non riuscì ad andare oltre sotto lo sguardo pieno di disprezzo di suo padre.
Draco osservò il resto della scena impotente. Com'era terribile e umiliante quella sensazione, l'incapacità di poter reagire e cambiare il corso degli eventi. Il ragazzo stava tratenendo l'impeto di correre da lei.
«Quanto a te» continuò suo padre rivolgendosi a lui: «rimarrai nella tua camera fino a nuovo ordine. Lascerò due elfi a guardia della porta e guai a te se proverai ad uscirne»
L'elfo era ormai scomparso oltre la porta di servizio che conduceva ai sotterranei. Alla servitù non era permesso di usare i corridoi principali riservati ai padroni di casa, così era stata costruita per loro una rete di stretti cunicoli secondari. Poco dopo sbucarono dalla stessa porticina altri due servi.
Senza uno sguardo né un cenno del capo, padre e figlio si congedarono e Draco salì l'ampia scalinata che portava ai piani superiori. Quando si richiuse la porta alle spalle, non poté fare a meno di crollare a terra, sfinito.
Tremava, ma non solo di paura. Tremava dalla rabbia, dalla paura e dalla confusione. Serrò una mano intorno allo schienale della rigida sedia in ebano, aiutandosi ad alzarsi in piedi. Tutto, fuori e dentro di lui, vorticava in un turbine potente ed inesorabili di immagini ed emozioni e, inaspettatamente, afferrò la prima cosa che trovò a portata di mano, un calamaio forse, e lo lanciò contro il muro. Ma guardare l'inchiostro nero che colava sulle odiate pareti color smeraldo non gli bastò, così prese altri oggetti: un cuscino, un libro, una cornice e ancora un libro e li scagliò dove capitava, poi buttò a terra la sedia vicino alla scrivania e infine diede un calcio al muro. L'ira gli implodeva dentro e si riversava in ogni suo muscolo come il magma bollente che scivola lungo il pendio scosceso del vulcano, arrivando fino al respiro che si fece affannoso e profondo.
Lui era stato una delusione per suo padre, era vero, ma allo stesso modo suo padre lo era stato per lui. Non ne capiva profondamente il motivo, ma in quel momento, Lucius, potente Purosangue padrone né del suo destino né della sua stessa casa, aveva perso gran parte del suo rispetto. Tuttavia non poteva affatto biasimare il disdegno che suo padre provava nei suoi confronti, perché erano sentimenti che condivideva pienamente per la prima volta.
Quando gli sembrò di essersi calmato almeno un po' si lasciò cadere di peso sul letto, poi prese un cuscino e vi affondò il viso.
Nello stesso istante in cui Astoria aveva lasciato la sicurezza della sue braccia, Draco si era reso conto di quanto fosse importante la sua presenza, di come solo accanto a lei fosse riuscito a sentirsi... bene. Era come se gli avessero portato via una parte di lui, delle sue energie vitali. Era un'idea banale, imbarazzante e avvilente per un ragazzo egoista come lui, che il suo benessere potesse dipendere tanto da una donna come lei. Ma era ancora più deprimente pensare che nonostante i suoi sentimenti fossero stati così intensi, la paura gli aveva impedito di agire per salvarla dai sotterranei.
E allora, cosa aspetti? Fai come hai sempre fatto, striscia verso l'ombra del più forte calpestando il tuo orgoglio”. Le parole di quella sera lontana gli ritornarono alla mente da chissà dove. Aveva avuto ragione, Astoria, a ritenerlo un codardo privo di onore, un debole; così debole da farsi schifo. Dopo tutto quello che era successo, non si sarebbe sorpreso se Astoria fosse arrivata persino ad odiarlo.
Pensò a tutto ciò che sarebbe accaduto di lì a qualche ora e, d'un tratto, la morte non gli sembrò più la peggiore delle conclusioni. Il suo unico desiderio, in quel momento, era di trovarsi il più lontano possibile da quelle quattro mura di pietra, in un luogo dove nessuno avrebbe potuto trovarlo, dove potesse sentirsi sicuro.
Prima che potesse reagire, sentì il corpo torcersi e allungarsi fino allo stremo e in un attimo cadde sul pavimento. Si sorprese non avvertendo il freddo tocco del marmo sotto le sue dita. Era seduto su un assito ligneo.
Si guardò intorno. Come immaginava, si trovava proprio nella tenda di Astoria. In un impeto di magia involontaria doveva aver trovato una breccia nell'incantesimo anti-smaterializzazione che circondavano la sua casa e le sue terre. Nell'aria si respirava ancora il profumo della ragazza, dolce e pungente come l'ambra.
Il corpo di Amycus non giaceva più a terra e non vide nemmeno Hyperion. Sentì subito il bisogno di chiamarlo. Del Mangiamorte non gli importava più niente, ma voleva sapere cosa ne era stato della bestiaccia; era la cosa più vicina ad Astoria che gli era rimasta.
«Hyperion...» lo chiamò più volte, ma non accadde nulla. Draco si alzò in piedi con inaspettata fatica; si sentiva debole e stanco. Si trascinò fino all'esterno. Era arrivato l'imbrunire e il freddo tepore arancione del crepuscolo stava lasciando spazio all'oscurità. Chiamò ancora una volta il nome del cane, ma udì solo la sua eco rimbalzare nella foresta.
Nulla. Non gli era rimasto più nulla. Si sedette a terra sul terriccio umido, senza preoccuparsi per la seconda volta della sorte dei suoi vestiti, e appoggiò la schiena sulla parete di tela. Senza riflettere oltre, mise la testa sulle ginocchia piegate e lasciò che le lacrime calde gli bagnassero il viso. Da quando Potter lo aveva scoperto nel bagno di Mirtilla Malcontenta un anno addietro, si era ripromesso di non piangere più. Ma ora era solo e non gli importava più di nulla.
 
Lo svegliò qualcosa di sgradevolmente umido. Era la sua mano. Dischiuse gli occhi e vide che era sceso il buio. Ma cos'era quella sensazione? Draco alzò la testa e sobbalzò, ritirando a sé la mano.
«Ma che cavolo...» Hyperion era seduto accanto a lui e lo stava annusando con curiosità, guaendo e agitando la coda. Nei suoi occhi grigi si rifletteva il bagliore della luna. Sembrava così sconsolato con le sue orecchie basse e lo sguardo triste. Guaì ancora.
«Almeno tu ce l'hai fatta» quella frase gli era uscita spontanea dalla bocca. Ripiombò nello sconforto ripensando ad Astoria e sperando che il Signore Oscuro non fosse ancora ritornato al Maniero. Il pensiero di rimanere lì, fermo e impotente, mentre lei poteva stare soffrendo le pene dell'inferno lo fece sentire peggio di prima, ma si sentì anche invadere da un'inaspettata forza.
Che cosa stava facendo lì seduto a rimuginare su quanto il suo essere fosse un totale fallimento? Si stava comportando da smidollato, da sciocco sentimentale come San Potter. Si alzò in piedi, non sapendo bene cosa fare, si guardò intorno spaesato e si fece luce con la bacchetta. Hyperion abbaiò.
«Che c'è?» gli chiese sarcastico: «Vuoi farmi la predica anche t...?»
Un urlo terrificante lacerò l'aria, rimbombando tra gli alberi e anche oltre. Era una voce familiare, ma talmente distorta dalla rabbia che Draco non avrebbe saputo dire a chi appartenesse.
Hyperion drizzò le orecchie e si girò verso la probabile fonte di quel rumore: Hogsmeade. Prima ancora che il ragazzo si decidesse sul da farsi, il cane si lanciò in una corsa forsennata verso il villaggio e, senza pensarci due volte, Draco gli corrse dietro. Man mano che si avvicinavano. Il ragazzo rallentava e Hyperion con lui: sebbene il buio lo favorisse, temeva di essere scoperto, magari proprio da uno squadrone di Mangiamorte.
«Allarme Potter! Allarme Potter!» sentì gridare quando fu più vicino.
Si nascose dietro un edificio, in mezzo ad alcuni bidoni e vecchie scatole di cartone ammuffite e Hyperion gli si accucciò accanto silenzioso. Draco era troppo preso dagli eventi per prestarvi attenzione.
Molti uomini stavano setacciando in lungo e in largo i vicoli di Hogsmeade. San Potter doveva essersi finalmente fatto vivo.
Che tempismo” pensò il ragazzo.
Quando le acque si furono calmate e anche l'allarme Anti-Potter cessò di squillare, un Mangiamorte che camminava lì nei paraggi si appoggiò al muro e fu raggiunto poco dopo da un collega.
«Hai già finito le ricerche?» l'uomo appoggiato al muro alzò le spalle.
«Qui non c'è. Secondo me deve esserci stato un intoppo nell'incantesimo...» a quella parole l'altro uomo si avventò su di lui e afferrò il suo mantello con entrambe le mani.
«Se per colpa della tua inerzia ci scappa Potter, siamo tutti morti! E tu sarai il primo...» -
«Calmati Brooke, ti ho detto che qui non l'ho visto» si difese l'uomo alzando le mani in segno di resa: «Hogsmeade è un buco e l'avremmo già trovato se fosse stato qui» Brooke mollò la presa del suo amico.
«Va bene, ho capito... È che non oso immaginare a come reagirebbe il Signore Oscuro se venisse a sapere che Harry Potter si trova ad Hogwarts» l'altro si aggiustò il mantello sgualcito; sembrava parecchio più giovane del suo collega, dimostrava tra i venti e i ventidue anni.
«Perché dovrebbe? Se fosse davvero nella scuola riusciremmo a prenderlo in un batter d'occhio» disse schioccando le dita: «Con Piton e i Carrow in giro...» Brooke scosse la testa.
«Tu non l'hai visto qualche giorno fa, quando ci ha chiamato per disporre gli squadroni qui al villaggio: “Potter non deve assolutamente entrare a Hogwarts” ha detto:”ucciderò chiunque dovesse fallire o oserà disubbidirmi”... Non l'ho mai visto così in vita mia, sembrava quasi...» Non riuscì a trovare la parola giusta completare la frase. Il suo amico scrollò di nuovo le spalle.
«Sarà stato lo stress...» Brooke guardò basito il collega.
«Mike, ti ho mai detto che sei un vero idiota?»
«Sì, qualche volta» rispose lui con noncuranza.
«Secondo me ha nascosto qualcosa nel castello, anche se non ho la più pallida idea di cosa sia...»
A questo punto, i due vennero richiamati da un gruppo di Mangiamorte.
Secondo me ha nascosto qualcosa nel castello”. Nella mente di Draco presero forma e si legarono insieme idee e pensieri. Ora sapeva cosa fare, sapeva dove cercare. Ed ebbe la certezza che c'era un modo per salvare Astoria.









Saaaalve a tutti.
Sono contenta di essere riuscita a postare questo capitolo prima del previsto (meglio tardi che mai, no?).
Che ne pensate? Io non lo trovo poi così male, anche se io non faccio mai testo =P
Sapete, mi scoccia parecchio il fatto che le mie storie non vadano mai come previsto, prendono sempre una piega completamente differente! Sarà normale? Dev'essere un brutto tiro dell'inesperienza -___-".
By the way, spero di leggere presto i vostri commenti.
A presto,

Changing

 

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Capitolo 9
*** Nella stanza delle cose nascoste ***


Capitolo 8
Nella Stanza delle Cose Nascoste







Draco camminava in silenzio al limitare della Foresta Proibita. Dopo aver ascoltato la conversazione dei due Mangiamorte, aveva deciso di incamminarsi verso Hogwarts percorrendo esternamente il villaggio per non farsi individuare. Hyperion lo seguiva furtivo. Non sapeva ancora se qualcuno era venuto a conoscenza del suo tradimento, ma era meglio non correre rischi inutili. Per di più, ora che aveva riacquistato lucidità nel pensiero e ricacciato nel profondo la sua imbarazzante anima sentimentale, stava cominciando a preoccuparsi di dove potesse essere finito Amycus Carrow.
D'un tratto sentì un rumore di passi provenire dal sentiero ciottolato poco distante; Hyperion sobbalzò e drizzò le orecchie e il ragazzo non perse tempo a nascondersi dietro ad un albero. Non si preoccupò di richiamare il cane: dopotutto non avrebbe destato alcun sospetto. Dopo qualche istante sbucarono tre uomini incappucciati che camminavano velocemente in direzione della scuola, poco distante li seguiva un altro gruppo di Mangiamorte, poi altri e altri ancora... cominciò a vederne anche in volo, quasi completamente mimetizzati nel cielo notturno. Doveva essere proprio vero che Potter era tornato ad Hogwarts. Povero stupido, non aveva alcuna possibilità di sconfiggere il Signore Oscuro. Il suo arrivo capitata a proposito.
Già da quando si era fatto il nome di Harry, in Draco si era acceso un barlume di speranza, un'idea. Sapeva che non avrebbe potuto niente contro il Signore Oscuro, era troppo debole, e se anche fosse riuscito a tirare Astoria fuori dalle segrete non sarebbe mai riuscito ad andare lontano, ne era certo; tuttavia San Potter si trovava ancora più svantaggiato di lui. Se Draco fosse riuscito a trovarlo prima degli altri, avrebbe potuto consegnarlo al suo Signore, e magari, in cambio, lui avrebbe potuto lasciare andare Astoria. Non era certo della riuscita del piano, ma in quel momento, quella gli sembrava l'unica via possibile.
Si ha sempre un'altra scelta”. Sentì ancora una volta le parole di Astoria risuonargli nella mente come un campanellino d'argento.
«No, non è vero!» la scacciò via Draco.
Hyperion, che lo precedeva, si girò e lo guardò con aria interrogativa. Sempre che i cani potessero assumere un'aria interrogativa: «E tu che vuoi?» gli chiese Draco infastidito. Il cane inclinò la testa e guaì. Il ragazzo decise di non farci caso, così brontolò un verso indistinto e proseguì.
Si trovò un posto in cui, protetto dagli alberi, potesse osservare la scuola senza essere visto. Le entrate erano sicuramente sorvegliate, sia da Mangiamorte che da insegnanti, e nel suo caso gli uni o gli altri non facevano differenza. Doveva rimanere nell'ombra. I passaggi segreti erano fuori uso. Provò a pensare ad un altro modo per intrufolarsi nel castello ma non gli venne in mente niente.
«Dannazione!» imprecò tra sé, sentendo svanire quel poco di speranza che fin' ora gli aveva permesso di non mandare in frantumi qualunque cosa, compreso se stesso. Ma prima che potesse pronunciare altre belle parole, qualcosa attirò la sua attenzione.
Una luce.
Sopra i tetti di Hogwarts cominciava ad intessersi lentamente una cupola biancastra che andò a ricoprire l'intero edificio. Che cos'era? Una variazione dell'incantesimo Protego? Che bisogno c'era di alzare le difese della scuola se... Draco capì all'istante.
Tutto intorno a lui sembrò assumere un'innaturale staticità. Nessun vento osava accarezzare le fronde degli alberi, e nessun animale, orso o uccellino, produceva alcuno scricchiolio nella foresta. Persino le nuvole, che fino a qualche minuto prima sorvolavano pigramente il cielo notturno, sembravano essersi ritirate. Di colpo il rumore del proprio respiro sembrò assordante. Hyperion se ne stava seduto, teso e all'erta, con le orecchie ritte.
A questo punto non rimaneva che aspettare.
 
La battaglia cominciò poco dopo con una scintilla solitaria, annunciatrice delle altre mille che la seguirono. In pochi istanti fu tutto un infuriare di luci, scoppi, rimbombi, grida e sordi tumulti. Draco era felice di trovarsi al di fuori di tutto questo, e il pensiero che prima o poi vi si sarebbe dovuto inoltrare lo opprimeva e lo faceva sudare freddo dalla tensione e dalla paura. Pensò che anche i suoi genitori, in quel momento, stavano combattendo nella mischia. Con una punta di rimorso si ricordò che sua madre non sapeva ancora niente di lui, di dove fosse e in che condizioni si trovasse. Quando la barriera che proteggeva Hogwarts andò in frantumi, cadendo a terra in mille scheggi brillanti come fosse polvere fatata, il ragazzo capì che quello era il momento di agire. Se non lo avesse fatto ora, quando la preoccupazione di sua madre e l'immagine di Astoria imprigionata gli davano forza e un motivo per lottare, non ne sarebbe stato più capace. Provò a smaterializzarsi. Funzionò.
Si ritrovò davanti all'ingresso della sua Sala Comune, nei sotterranei che si aspettava di trovare deserti. Vide invece una fiumana di studenti urlanti e terrorizzati della sua Casa che correvano chi da una parte, chi dall'altra, senza alcun criterio in cerca di un riparo per salvarsi la pelle. In quello stato di caos nessuno fece caso a lui.
Tanto meglio”, pensò. Forse così avrebbe potuto trovare...
Prima che potesse completare il suo pensiero, vide correre davanti a sé i suoi tirapiedi e li afferrò per il mantello senza pensarci due volte. Questi si voltarono spaventati, aspettandosi di trovarsi di fronte chissà chi, ma vedendolo i loro visi pallidi ripresero colore.
«Draco, finalmente!» esclamò Goyle: «ci stavamo proprio chiedendo dove fossi, vero Vincent?» chiese rivolgendosi all'altro in cerca di supporto. Tiger grugnì qualcosa di incomprensibile.
«Al diavolo!» li zittì Draco, che non aveva voglia di perdere un minuto di più: «Ditemi dove si trova Potter» Tiger sembrava indisposto e di malumore e non gli rispose, mentre Goyle alzò le spalle.
«Non lo so. L'ultima volta l'ho visto ai piani superiori, ma non ho idea di dov’è ora...»
«Non importa andiamo a cercarlo» ordinò Malfoy. Fece qualche passo, ma con la coda dell'occhio vide che uno dei duo non lo seguiva: «Ti vuoi muovere, razza di babbeo?»
Tiger lo guardò con un astio intenso che il ragazzo non gli aveva mai visto e non poté fare a meno di sentirsi colpito, quasi intimorito. L'altro gli si avvicinò a grandi passi e avvicinò il proprio viso al suo.
«Piantala di chiamarmi babbeo, Mafloy» Draco rimase spiazzato. Avrebbe voluto trovare una risposta pungente per mettere a tacere l'improvviso e inappropriato moto d'indipendenza di Tiger, ma la stazza del ragazzo, che da vicino sembrava più imponente del solito, e il tempo che scorreva inesorabile, annullarono la prontezza di spirito del giovane Malfoy. Si limitò a rispondere con un poco convinto: “Beh, allora andiamo”.
Non fu facile rintracciare Potter fra tutta quella gente. I tre cercarono di muoversi nei corridoi meno affollati, anche se incapparono più volte in uno scontro e furono costretti a difendersi. Draco si accorse con orrore, e non senza un po' di senso di inferiorità, di come sia Tiger che Goyle, lanciassero Avada Kedavra, con semplicità e, specialmente il primo, con una terrificante vibrazione di piacere nella voce. Lui si limitò a schiantare un paio di maghi e a rimanere nell'ombra per il resto del tempo. Finalmente, mentre Tiger stava lottando contro un Grifondoro del sesto anno e Goyle con un Tassorosso del quinto, Draco udì uno stralcio di conversazione di una coppia di studenti.
Se ne stava al riparo dietro un'armatura mentre i due ragazzi erano in cerca dei loro compagni. Avevano appena visto Harry Potter correre trafelato per le scale verso il settimo piano e si chiedevano indignati del perché stessero combattendo quella battaglia senza di lui.
Draco uscì all'istante allo scoperto e richiamò i suoi tirapiedi.
«Forza, al settimo piano!»
Quelle scale sembravano non finire più, ma Draco continuava a correre nonostante sentisse la gola arida e bruciante, stretta in una morsa che gli affaticava il respiro e le gambe dolenti; infine, quando i tre considerarono l'idea di aver sbagliato strada, raggiunsero la meta. Sbucarono appena in tempo per vedere gli ultimi centimetri di una porta scomparire nel muro.
Come sei banale, Potter. Ti nascondi sempre negli stessi posti”.
Il ragazzo raggiunse a grandi passi la statua di Barnaba il Babbeo e, camminando per tre volte avanti e indietro, pensò intensamente ad un luogo in cui avrebbe potuto trovare il Grifondoro. In un batter d'occhio la Stanza delle Necessità ricomparve davanti ai suoi occhi e Draco, precedendo i suoi compagni, spalancò il portone.
Si trovò in una sala così grande che non riuscì a scorgerne le pareti di margine, piena di migliaia di oggetti di ogni sorta accatastati uno sopra l'altro, formando enormi montagne.
Che diavolo è venuto a fare in un posto del genere?”.
Si inoltrarono fra quei cumuli di cianfrusaglie. Dopo aver svoltato un paio di volte a destra e a sinistra, e aver zittito gli sciocchi lamenti di Goyle su quanto poco avesse mangiato quel pomeriggio, Draco trovò Harry.
Il ragazzo stava in piedi, con la mano tesa davanti ad un mezzo busto di pietra su cui era poggiata una magnifica tiara.
«Fermo Potter» intimò Tiger beffardo, con grande disappunto di Draco. I tre puntarono le bacchette contro il Grifondoro.
«È la mia bacchetta che hai in mano, Potter» disse Draco, non sopportando l'idea che Tiger potesse emergere prima e meglio di lui.
In quegli ultimi tempi, preso com'era dalle sue faccende, Malfoy si era quasi dimenticato di non essere più in possesso della sua bacchetta. Per fortuna aveva con sé quella di sua madre, la quale, piuttosto che lasciare disarmato il suo amato figlio, se ne era separata senza esitazione.
«Non più» rispose Harry.
Cominciò così l'ennesimo gioco di implicite provocazioni, nel quale vinceva chi aveva l'ultima parola, o chi più si mostrava calmo e beffardo.
Draco si sentì irritato, vedendo come il ragazzo rispondeva con sarcasmo alle loro affermazioni. Così gli spiegò perché erano venuti a cercarlo, che l'avrebbero consegnato al Signore Oscuro, eppure l'espressione dell'altro non mutò, sebbene si trovasse solo contro tre. Come poteva?
D'un tratto la voce di Weasley interruppe la loro conversazione. Allora c’erano anche i suoi amichetti! Avrebbe dovuto pensarci.
Prima che Draco potesse agire o dare un qualunque ordine ai suoi sgherri, Tiger, con un movimento simile ad una frustata, punto la bacchetta contro un'enorme caterva di oggetti.
«Descendo!» urlò.
L'ammasso di mobili, libri e bauli si inclinò vertiginosamente per poi crollare con un gran fracasso. Oltre alla voce di Potter che invocò il suo amico, si sentì anche quella della Granger. Cos'era stata quell'inaspettata presa di iniziativa?
Gli eventi si evolsero rapidi e in poco tempo si ritrovarono coinvolti in un duello, cosa che avrebbe voluto evitare. Potter e i suoi amici si diedero alla fuga; sembravano avere una certa fretta. Tuttavia Draco era deciso a non lasciarseli scappare: erano la sua unica possibilità di salvare Astoria e la sua famiglia. Precedette Tiger e Goyle nella corsa e lanciò vari incantesimi offensivi, imitando anche l’azione di poco prima del compagno ma fu tutto inutile. Dalle sue spalle arrivavano potenti lingue di fuoco, create da uno dei suoi tirapiedi. All’improvviso cominciarono a farsi più frequenti e disordinate e una di queste gli arrivò vicinissima all’orecchio destro, rischiando di ustionarlo. Draco si voltò adirato, pronto a rimettere in riga i suoi scagnozzi.
«Razza di…» ma si bloccò a metà della frase, immobilizzato dalla paura.
Un’enorme muro di fuoco sovrastava il gruppetto dei tre Serpeverde, arrivando quasi a toccare il soffitto e incendiando rapidamente ciò che gli stava attorno. Alla base, vide Tiger che tentava di spegnere la sua bacchetta, dalla quale fuoriusciva una potente scia infuocata.
«Lascia perdere non restare lì impalato, corri!» gridò Draco.
Goyle se la diede a gambe e Tiger subito dopo di lui, abbandonando la sua bacchetta ormai fuori controllo.
Insieme corsero senza sapere dove stessero andando, come topolini in un labirinto, evitando le fiamme e cercando una via d’uscita. Il fuoco rese la temperatura insopportabile. Draco cominciò a sudare e mentre correva sbottonò i bottoni superiori della sua camicia e lasciò cadere a terra il mantello. Erano completamente circondati dal fuoco e non si vedeva altro a perdita d’occhio. L’incendio divampò a tal punto da bloccare loro qualunque via di fuga.
Erano in trappola.
«Lì, saliamo lì sopra!» urlò Goyle d’un tratto, indicando un’alta montagna di oggetti.
Senza valutarne la stabilità o cercare un’alternativa, i ragazzi cominciarono ad arrampicarsi tra mobili rotti e sedie pericolanti. Il caldo bruciava loro la schiena e rendeva scivolose le loro mani. Con molta fatica riuscirono a superare la metà della montagna. Draco si fermò un’istante per riprendere fiato. Si chiese che fine avevano fatto Potter, Granger e Weasley. Per un’istante si sentì inorridire vedendoli, nella sua mente, ardere vivi tra le fiamme, lanciando grida atroci, così per distrarsi guardò in basso. La stanza si era trasformata in un oceano di fuoco al quale sopravvivevano ancora alcune cataste di oggetti che, come la loro montagna, stavano cedendo. Draco ricominciò subito la sua scalata ma un rumore lo fece sobbalzare. Qualcosa era caduto dalla montagna. Un grido gli fece accapponare la pelle e, voltandosi, fece appena in tempo a vedere gli occhi terrorizzati di Goyle prima che venisse inghiottito dalle fiamme. Non riuscì a dire niente, nemmeno a gridare il nome dell’amico. Il fuoco continuava ad erodere la montagna e la paura ebbe il sopravvento su qualunque altro pensiero.
Quando stava per arrivare in cima vide Harry e i suoi amici sfrecciare nel cielo a cavallo di alcune scope. Draco si guardò intorno. Non c’erano vie d’uscita. Cominciò ad agitare le braccia, sperando di essere visto, in un ultimo, disperato gesto di salvarsi la vita.
Fortunatamente, Potter non aveva un cuore malvagio e all’ultimo momento fece dietro front e corse in loro aiuto.
Prima che se ne rendesse conto era già fuori. Nell’istante stesso in cui le porte dell’inferno si chiusero dietro di lui fu avvolto dal gelido freddo della notte e il sudore che gli imperlava la schiena si raffreddò pian piano, facendolo rabbrividire.
Mentre Potter era distratto avrebbe potuto schiantarlo o pietrificarlo, e sebbene avesse la bacchetta stretta fra le mani non ci riuscì. Quel maledetto bastardo gli aveva appena salvato la vita. Che fare? Avrebbe dovuto ringraziarlo?
Senza mettersi a pensare troppo e prima che potessero crearsi situazioni imbarazzanti corse via senza dire niente. Avrebbe trovato un altro modo per salvare Astoria. Doveva esserci.
Mentre camminava, quasi correndo, verso l’ingresso del castello, Tiger lo fermò, afferrandolo per una spalla.
«Perché non abbiamo preso Potter?»
«Non era il caso» concluse Draco sbrigativo.
Il totale caos in cui si trovava la scuola, i rimbombi che sembravano sempre così vicini e la consapevolezza di poter essere uccisi da un momento all’altro gli toglievano qualunque voglia di parlare.
A quella nuova indifferenza, Tiger emise un ringhio rabbioso, che terminò con un breve urlo di rabbia.
«Non era il caso?! Te lo dico io qual è il problema: c’è che sei un debole, Malfoy! E io non ho più intenzione di seguirti, né di essere chiamato babbeo, tonto o scemo! Se vuoi passare dalla parte di Potter e dei suoi amichetti fa’ pure, ma io me ne vado»
E così fece, diretto chissà dove a grandi passi, con le spalle incurvate e la bacchetta alla mano, pronta ad uccidere qualunque essere si parasse di fronte al suo cammino.
«Vattene!» gli gridò allora il ragazzo: «Per me sei sempre stato solo un peso!... Perdente!»
Quell’insulto finale gli sembrò abbastanza patetico. Queste parole furono le ultime che gli rivolse. Sapevano di aspro, di falso e di solitudine.
Negli ultimi tempi aveva provato il sapore di quest’ultima e dell’indipendenza, ma senza quell’idiota di Tiger e quel povero di Goyle, ora che ne aveva bisogno, si sentì scoperto, nudo. Pensando all’amico appena morto gli si aprì uno squarcio dentro al petto. Aveva appena visto morire davanti ai suoi occhi un ragazzo che conosceva da più di sette anni. Probabilmente non l’aveva mai trattato davvero come meritava. Non avrebbe mai creduto che avrebbe potuto stare tanto male per una cosa del genere. Si ricordò della sera in cui il ragazzo l’aveva accompagnato da Amycus, prima della missione Verräter, e del suo goffo tentativo di comportarsi da amico.
Gli occhi gli si inumidirono. Sbatté le palpebre più volte: non era quello il momento di commuoversi; il tempo per le riflessioni era poco. Doveva agire e in fretta.
Si mise a correre in cerca di un posto tranquillo, pensando ad un modo per poter liberare Astoria. Forse in quel momento non c’era nessuno a Villa Malfoy. Ma se ci fossero stati degli incantesimi di protezione? Se fosse scattato un allarme come quello di Hogsmeade che avrebbe richiamato il Signore Oscuro o altri Mangiamorte?
Se non aveva altre alternative doveva rischiare. In ogni caso Amycus Carrow avrebbe parlato con il Signore Oscuro di lì a poco, sempre se non l’aveva già fatto. Se avesse agito in fretta, forse avrebbe fatto la cosa migliore.
Improvvisamente si ritrovò immerso nella battaglia. Aveva scelto la strada sbagliata. Numerose scintille volavano sopra la sua testa e vicino al suo corpo, rischiando più volte di colpirlo. I suoi sensi tornarono all’erta. Qualunque rumore, scroscio, passo, schianto, botto o scalpiccio lo mise in agitazione, e pronto a rispondere, mentre cercava una via di fuga. Ormai non riconosceva più gli alleati dai nemici, tanta era la polvere sollevata dalle macerie del castello, il chiasso, le luci pallide delle torce, confuse con quelle degli incantesimi.
D’un tratto distinse nella mischia una disordinata capigliatura rossa. Era la signora Weasley che lottava fianco a fianco col marito. Nonostante l’età si sapeva ancora muovere con discreta destrezza, o forse era stato l’istinto materno e di sopravvivenza ad acuire le sue capacità.
Subito gli venne in mente sua madre. Dove si trovava in quel momento? Sicuramente lo stava cercando. Doveva trovare un modo per mandarle un messaggio.
Mentre pensava corse attraverso i corridoi e le pareti frantumate come foglie morte, riuscendo finalmente ad uscire. Il giardino, però, era ancora più caotico e pericoloso dell’interno di Hogwarts. Qui infuriavano giganti, troll e maghi, e muoversi senza mischiarsi a loro sembrava quasi impossibile.
Rientrò dentro e cercò una strada meno affollata. Arrivò ad un ingresso secondario del castello e qui, stremato, si appoggiò al corrimano di una scalinata per riprendere fiato. Fino a quel momento non si era ancora fermato.
«Guarda guarda chi si vede» agghiacciato Draco si voltò.
In piedi, eretto in cima alla scalinata, stava con un ghigno sadico, Amycus Carrow.







*Risorge inaspettatamente dalle terre dell'oblio*
Ehilà! Ho promesso che non mi sarei dimenticata di questa storia ed eccomi qua. Ormai non parlo più di ritardo, non avrebbe alcun senso.  :P
Per quanto riguarda Goyle... so che in realtà nel libro è Tiger a morire, ma ho voluto fare deliberatamente questo cambio. Dopotutto Astoria si dice fosse stata una Serpeverde :/
Quante me ne sono successe! Non ho idea di quando pubblicherò il prossimo capitolo, dal momento che mi sto trasformando in una specie di eremita reclusa tra pile di libri... Un consiglio? Se volete una vita serena non scegliete Università con i test a numero chiuso -_-"
A presto (spero)
Changing

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Capitolo 10
*** La battaglia ***


Capitolo 9
La battaglia





 


Draco sentì il sangue rallentare e gelarglisi nelle vene. L'aveva letto, a volte, nei libri: “il sangue gli si gelò nelle vene”, ma non aveva mai pensato che potesse accadere davvero. Ed insieme al freddo, venne invaso da un profondo senso di impotenza.
«Draco, non mi aspettavo di incontrarti qui» la voce del mago sembrava avere una leggera nota isterica questa volta: «Credevo fossi andato a salvare la tua bella nelle segrete del castello. O forse il prode cavaliere non è abbastanza impavido?».
«Taci Carrow!» sentirlo parlare in quel modo ridicolo era davvero insopportabile. Le provocazioni bastarono a ridargli quel po' di calore sufficiente a difendere le briciole rimaste del suo onore.
Il mago rise sarcastico e sfoderò la sua bacchetta, Draco quella di sua madre.
«Non ho intenzione di perdere altro tempo con te» disse l'uomo:«c'è una battaglia più importante ora. Vedrai, sarò breve... Stupeficium!».
«Protego!».
Amycus cominciò a lanciare incantesimi a raffica, Draco ebbe a malapena il tempo di difendersi. Mentre duellava il mago oscuro scendeva sicuro la scalinata, gradino dopo gradino, come se stesse andando incontro a vittoria certa; il giovane Malfoy, invece, indietreggiava, senza avere il tempo di contrattaccare. Sebbene il ghigno perenne di Amycus non fosse sempre lo stesso, Draco sentiva che quella non era come tutte le altre volte: sentiva di non essere più una semplice preda con cui il cacciatore si diverte a giocare prima di ucciderla. Dopo essere stato sconfitto qualche ora prima da un cane e un poco più che adolescente – l'uomo non poteva sapere che Lucius lo aveva aggredito alle spalle – era senz'altro ansioso di vendicarsi.
Amycus era rapidissimo, Draco camminava all'indietro cercando un modo per difendersi ma d'un tratto inciampò, forse su un rialzo del pavimento o su una qualche maceria del castello. Cadde all'indietro, ma riuscì a rotolare di lato appena in tempo per evitare un incantesimo di Amycus. Tuttavia non riuscì ad alzarsi in piedi per paura di essere troppo lento e non c'erano nemmeno luoghi dietro cui andare a ripararsi.
Senza smettere di attaccare, Amycus rise.
«Cosa fai, adesso ti metti a strisciare come uno scarafaggio? Eppure mi era sembrato di capire che volessi fare l'eroe».
Mentre Draco cercava penosamente di rialzarsi in piedi, evitando contemporaneamente gli incantesimi del mago oscuro, arrivò vicino ad un muro, sotto una delle due balconate del piano superiore. Parte del parapetto era stato demolito, forse da un incantesimo Bombarda o un Confringo e le sue macerie erano cadute di sotto. Quando il ragazzo le toccò con una mano sentì alcune rocce frantumate e altre polverizzate così, senza pensarci troppo, ne afferrò una manciata e le tirò addosso ad Amycusl L'uomo che, non si aspettava nulla del genere, provò a proteggersi il viso con il braccio sinistro, ma fu troppo lento e alcune polveri gli entrarono ugualmente negli occhi. Draco si alzò di scatto.
«Dolohoferio!» gridò, ricordando la terribile maledizione che Antonin Dolohov gli aveva insegnato. Non l'aveva mai usata prima. Tuttavia non aveva preso bene la mira e anziché prenderlo in pieno aveva colpito in basso.
Il mago lanciò un grido di dolore e un'imprecazione, il ragazzo aveva riaperto la ferita inferta dalle zanne di Hyperion qualche ora prima nella tenda di Astoria. Amycus si piegò in due per la sofferenza: l'incantesimo causava alcune lesioni interne. La gamba cominciò a sanguinargli copiosamente, allora Draco corse verso le scale per tentare di fuggire - fuori aveva visto scatenarsi i giganti mandati dai Mangiamorte – e cercò di bloccare i movimenti del mago con un Impedimenta ma lo mancò di un soffio e, per evitare l'attacco, l'uomo perse l'equilibrio anche a causa della gamba ferita.
Allora Draco si mise a correre più in fretta che poté per cercare di arrivare in cima alle scale, senza voltarsi indietro, ma fu un errore.
«Glisseo!» sentì urlare dietro di sé.
D'un tratto le scale si inclinarono e divennero uno scivolo. Il ragazzo sentì mancargli il pavimento sotto i piedi, cadde di nuovo e cominciò a scivolare. Prima che potesse voltarsi per contrattaccare sentì una parola il cui solo suono lo fece rabbrividire per il resto della sua esistenza.
«Crucio»
Fu pervaso da dolore indescrivibile, più forte che se il suo corpo stesse ardendo sul rogo, o le sue gambe e le sue braccia fossero legate a centauri che corrono in direzioni opposte, o seicentosessantasei spade lo stessero trafiggendo lentamente. Gridò come non aveva mai fatto e non avrebbe più fatto nella sua vita. Non riusciva a tenere gli occhi aperti, ma ogni volta che li chiudeva vedeva orribili immagini di violenza e di morte, così si sforzava di tenerli aperti, ma la vista lo abbandonava sempre di più, finché non vide solo confuse macchie colorate. Ogni cellula del suo corpo gridava con lui e in quel momento la sua mente non vide e non sentì niente se non il dolore. Mentre si contorceva e urlava fino a consumare la sua gola, la bacchetta gli cadde di mano e rotolò a pochi passi da lui.
Non seppe dire quanto durò, ma sembrò interminabile. Quando tutto finì rimase rannicchiato su se stesso, tremante, senza il coraggio o la forza di muoversi.
«Oh, come mi piacerebbe continuare con te, era un po' che non mi divertivo così tanto, ma voglio consegnarti tutto intero al nostro Signore. Prima che tu impazzisca e che implori la morte in ginocchio di fronte a me, ci terrei a farti rivedere la tua amica, sempre che sia ancora viva... o sana di mente. Anche se devo ammettere che già così, rannicchiato come un bambino indifeso sei uno spettacolo divertente. Ma voglio vedere meglio i tuoi occhi spaventati... alzati forza!» e sferrò un poderoso calcio nel ventre del ragazzo.
Allora il giovane Malfoy si mise lentamente a quattro zampe, sudato, dolorante, stremato, impaurito. Era in trappola.
Draco alzò lo sguardo e fissò la bacchetta di Amycus puntata contro di lui, lunga e di legno scuro, dalla punta sottile come un lungo spillo pronto a ferire le sue vittime. Piuttosto che venire processato davanti al Signore Oscuro, sarebbe stato meglio morire subito. Riabbassò gli occhi.
L'uomo rise ancora, un riso malato, distorto, agghiacciante.
«Ora non provi più a fare l'eroe, eh? In fondo eri un ragazzo promettente: un servitore docile e sottomesso. E' un peccato che tu ti sia lasciato andare ad una cosa sciocca e vana come gli ideali» disse queste parole scimmiottando una voce femminile: «E poi con un codardo come te potevano solo che avere vita breve. Ma guardati non hai nemmeno il coraggio di alzarti...» allora Amycus si chinò, con difficoltà, avvicinando il suo viso all'orecchio del ragazzo: «Sono certo che il Signore Oscuro sarà felice di rivederti» disse con un bisbiglio che assomigliava terribilmente ai sibili del suo Signore.
Draco non si sforzò neanche di ascoltarlo; in quei brevi istanti pensò solo a quanto fosse stata miserabile la sua vita fino a quel momento. Gli tornò in mente Goyle inghiottito dalle fiamme dell'Ardemonio, lo sguardo terrorizzato di Verräter e gli venne una forte fitta di nausea; poi gli occhi saggi e buoni di Albus Silente, che un anno prima, nella torre di Astronomia, sembravano aver avuto per lui una sincera speranza, della fiducia, una fiducia che aveva rivisto negli occhi di Astoria e che in un certo senso lo imbarazzava al solo ricordo, ma che, sopratutto in quel momento, avrebbe tanto voluto avere l'occasione di soddisfare. Semmai avesse avuto una seconda occasione gli sarebbe piaciuto, in fondo, essere una persona diversa. Solo un po'.
Amycus aveva appena finito di parlare e stava per lanciare il suo incantesimo, ma non fece in tempo ad aprire bocca che qualcosa lo fermò.
Nel fragore e nel chiasso della battaglia che avvolgevano Hogwarts il ragazzo non aveva sentito né visto Hyperion correre loro incontro, che con un balzo azzannò il braccio di Amycus.
Draco rimase un attimo immobile dalla sorpresa, mentre l'uomo, incredulo di essere stato giocato una seconda volta si dimenava come un ossesso, furioso. Con uno sforzo titanico, il ragazzo riuscì ad afferrare la sua bacchetta e, senza nemmeno pronunciare l'incantesimo lanciò uno Stupeficium che colpì il mago in pieno petto. Fu così potente che l'uomo venne scagliato in alto, contro il muro, sbatté forte il capo e precipitò. Poteva essere ancora vivo, così Draco corse a vedere ma in una manciata di secondi, un'altra parte della parapetto del piano superiore, resa già instabile da altri colpi subiti durante la notte, crollò dopo quest'ultimo colpo di grazia. Il corpo di Amycus fu sommerso dalle macerie; si vedeva solo parte della gamba destra, ancora sanguinante.
Mentre Draco fissava quella scena, non sapendo bene che cosa provare, se disgusto o un immenso sollievo, sentì le zampe di Hyperion sul il proprio fianco. Quando si voltò vide che il cane scodinzolava e si dimenava, quasi saltava. In poche parole gli stava facendo le feste: era contento di averlo ritrovato. Il ragazzo rimase perplesso e si sentì inaspettatamente goffo; non sapeva cosa fare e per un attimo rimase immobile, con le braccia leggermente alzate – a causa dell'esperienza non si sentiva mai particolarmente sicuro quando Hyperion era così euforico – ma poi, senza pensarci, lo accarezzò, prima sul capo e poi sul ventre, come faceva la sua amica.
Era strano, non si era mai sentito in quel modo, con un piacevole calore, una sensazione così genuina e pura, non migliore né peggiore di ciò che provava in compagnia di Astoria, solo di diversa. Ma tutto finì in pochi istanti. Improvvisamente Hyperion scattò in piedi e cominciò a ringhiare. In un primo momento Draco pensò che il cane ce l'avesse con lui e fece un balzo indietro spaventato, ma poi capì.
Una voce sibilante e roca, che ben conosceva, serpeggiò in tutte le stanze del castello e sembrò che provenisse direttamente dal cuore di ogni mago, invece che dalla Foresta Proibita. D'istinto Draco si appoggiò e si tenne stretto alla ringhiera dalle scale: si sentì improvvisamente debole. Era il Signore Oscuro che ordinava alle sue forze di ritirarsi e ai suoi avversari di fare altrettanto. Molti morti erano stati fatti quella notte, per cui si rivolse direttamente ad Harry Potter e gli intimò di venire lui stesso ad affrontare il suo destino, se non voleva altri inutili spargimenti di sangue.
Quando tutto finì, fu come svegliarsi da un incubo: il peggio sembrava passato, ma rimaneva addosso l'ombra di quella paura, l'ombra della disperazione più totale, del pensiero che sembrava non esserci più alcuna speranza.
Il ragazzo si accorse che Hyperion tremava visibilmente.
«Vieni» disse solo, e insieme si andarono a sedere su un cumulo di macerie sotto le scale, dalla parte opposta rispetto al corpo senza vita di Amycus.
Il cane appoggiò il muso sulle gambe del ragazzo e lui lo lasciò fare, facendogli di tanto in tanto qualche carezza.
Si sentiva esausto, non sapeva cosa fare.
Potter aveva ben poche speranze di sopravvivere, diciamo pure nessuna. Il suo destino, quello di Astoria, della sua famiglia, persino quello del sacco di pulci erano segnati. Eppure una voce fioca e debole, come l'ultimo respiro di un moribondo o il primo di un neonato, diceva che c'era ancora una possibilità, piccola, un sottile filo di seta. Ma era difficile darle ascolto.
Come stava Astoria in quel momento? Di certo non bene. E dov'erano i suoi genitori? Dov'era sua madre?
Sentiva i muscoli rigidi come travi di legno, il respiro profondo e stanco, la testa dolorante. Tuttavia non aveva dimenticato i pensieri di poco prima, quando aveva avuto la bacchetta di Amycus puntata contro. Se il Signore Oscuro avesse vinto sarebbe stata la fine. Per tutti. Nonostante il dolore e la stanchezza sentì il bisogno di alzarsi. Le sue gambe cominciarono ad andare per conto proprio, lente e pesanti, e Draco si lasciò trasportare con Hyperion al suo fianco, silenzioso. Uscì di fuori, attento a non farsi vedere. Mancava poco ormai all'alba.
Il possente castello era ridotto a un cumulo di macerie, polvere ovunque e su chiunque. Dopo il fragore della battaglia, il silenzio che regnava sembrava quasi innaturale, spettrale come quello di un cimitero. Negli ultimi tempi non aveva di certo amato Hogwarts, eppure vederla ridotta in quello stato non lo fece affatto sentire bene. Era inquieto. Ma il colpo più grande lo ricevette passando davanti alle vetrate della Sala Grande. Vi sbirciò dentro; la stanza era irriconoscibile. Era stata adibita ad infermeria improvvisata, quella vera doveva essere crollata o peggio, strapiena anch'essa di vittime. Il pavimento era infatti ricoperto da morti e feriti, li conosceva quasi tutti, anche solo di vista. Vide volti segnati dal dolore, lacrime, visi coperti da mani tremanti. Ovunque un mare di sofferenza; per fortuna non si vedevano né Potter, né i suoi amici. La nausea di Draco salì ancora. Uno dei gemelli Weasley era morto, la famiglia, straziata, gli stava intorno e lo accarezzava, lo abbracciava, come se il loro amore potesse fargli riaprire gli occhi, o il contatto con il suo corpo potesse far svanire il loro dolore.
Draco non era mai stato tanto sensibile ai sentimenti altrui come in quel momento, forse perché le emozioni più forti sono evidenti anche ai cuori più insensibili, o forse il giovane Malfoy non lo era poi così tanto. Forse stava cambiando. Sentì anche i suoi occhi farsi umidi e pungenti e se ne andò prima di lasciarsi sopraffare dai sentimentalismi. Ma la testa gli ronzava e girava, i pensieri si affaticavano, la nausea diventava più forte, finché, barcollante, non fu costretto ad appoggiarsi ad un muro e vomitò. Si pulì con la manica della giacca, camminò un altro po' e poi si lasciò cadere a terra. La mente era vuota, le membra pesanti, spoglio di ogni sensazione tranne una grande desolazione nel cuore. L'unico, piccolo conforto fu il calore del muso di quell'animale che si ostinava a stargli accanto e con la sua improvvisa calma sembrava volesse lasciarlo riposare. Infatti, senza accorgersene Draco si addormentò di colpo, seduto a terra, in un corridoio vuoto, nascosto accanto alle macerie di un antico muro ormai distrutto.

Fu svegliato da un brusio eccitato. Il cielo si era dipinto dei chiarori dell'alba e il ragazzo sentì di nuovo la mente sgombra e il cuore più leggero, benché lo stato di qualche ora prima non fosse del tutto passato. Anche Hyperion si svegliò con lui e guaì per dare il buongiorno. Draco gli diede una pacca veloce e si alzò per vedere cosa stesse succedendo.
Nel corridoio dove si trovava non c'era nessuno, così seguì il rumore di voci e di passi. Si stava muovendo moltissima gente. Vide che molti si dirigevano verso l'uscita e li seguì anche lui, ma prima si fermò e si rivolse ad Hyperion: «E' meglio che tu vada ora, non preoccuparti per me». Il cane emise un verso basso e scosse la testa, come se fosse contrariato. Infatti non accennò a muoversi.
Draco osservò i volti di maghi e studenti: erano stanchi, ma solenni e ancora tesi, non un sorriso. L'atmosfera era ancora rigida.
«Qui non è ancora finita e la prossima vota potremmo non essere così fortunati. Aspettami fuori scuola, io cerco di capire che sta succedendo poi andremo insieme da Astoria... Ora va'».
Hyperion scosse la testa e lo fissò per un attimo. Quando il ragazzo credette di aver avuto troppa fiducia nelle capacità cognitive del cane, questo se ne andò per la sua strada.
A dire il vero Draco non sapeva se sarebbe riuscito a mantenere la sua di parola, non perché non lo volesse, ma la situazione era ancora poco chiara e incerta. Almeno Hyperion sarebbe stato al sicuro.
Il giovane Malfoy si decise a seguire la fiumana di gente che si riversava all'esterno. Cercò di tenersi a distanza, ma non riuscì ad evitare gli sguardi sorpresi dei maghi che lo notarono camminare con loro. Non vide Potter da nessuna parte, ma scorse Granger e Weasley che tenevano le mani strette l'uno nell'altra per farsi coraggio. Uscirono sul piazzale di fronte all'entrata principale della scuola.
Ad aspettarli c'era il Signore Oscuro in persona, insieme a ciò che rimaneva dei suoi seguaci. Potter giaceva inerme tra le braccia di Rubeus Hagrid. La spada di Damocle falciò gli animi di tutti i presenti.
Era la fine di tutto.
Non credette neanche per un'istante a ciò che raccontò il suo Signore: che Harry Potter era stato ucciso mentre cercava di scappare dal castello. Draco odiava Potter, ma lo conosceva abbastanza bene da saper riconoscere le bugie sul suo conto.
L'unica cosa bella fu che riuscì a rivedere gli occhi di sua madre; di suo padre evitò lo sguardo. Ci fu un lungo discorso che di nuovo Draco riuscì a malapena ad ascoltare, preso com'era dallo sconforto e dalla paura che da un momento all'altro il suo Signore potesse giustiziarlo davanti a tutti o peggio, potesse fare lo stesso con Astoria. Eppure il giovane Malfoy non riuscì a muoversi: non voleva tornare indietro, in quel mondo che, ora lo sapeva, lo sentiva profondamente, voleva solo lasciarsi alle spalle. Così rimase nell'ombra e attese il momento giusto per poter agire come meglio credeva.
Ma le cose si evolsero in un modo del tutto inaspettato. Neville Paciock, che aveva sempre creduto essere più codardo di lui, ripudiò apertamente il Signore Oscuro e per questo, con uno schiocco di dita, il mago gli diede fuoco.
Poi si scatenò il caos. Harry Potter si alzò dalle braccia del mezzo gigante e poi scomparve nel nulla. Paciock fu salvato in tempo, tutti cominciarono a correre a destra e a manca, creature magiche impazzite ripresero ad attaccare l'una o l'altra fazione. In quel marasma sentì le voci dei suoi genitori che lo chiamavano. Si immerse nella folla.
«Mamma, papà dove siete?!» gridò, zigzagando tra i vari ostacoli e sgomitando per farsi strada, cercando di evitare i lampi di luce che cominciarono a volare ovunque.
Alla fine li vide. Sua madre con i capelli scarmigliati come non l'aveva mai vista, con gli occhi segnati e cerchiati di viola, come quelli del marito. Si aspettava di trovare un padre adirato, ma quando i suoi genitori lo videro corsero entrambi ad abbracciarlo; Narcissa lo baciò sulla fronte e la sera in cui era stato schiaffeggiato e chiamato “la vergogna della famiglia” sembrò d'un tratto lontana. Ma non si trattennero molto in effusioni affettuose, non c'era tempo.
«Andiamocene via. Il Signore Oscuro perderà e gli altri ci uccideranno se rimaniamo»
Lucius annuì senza dire niente e così anche Draco. Narcissa decise che per il momento sarebbe stato meglio rifugiarsi nella loro residenza estiva, Hoarcliff, a qualche miglio da Plymouth.
Si allontanarono in gran fretta, ma quando stavano per smaterializzarsi, il ragazzo li fermò.
«Aspettate devo prima fare una cosa»
«Non dire sciocchezze Draco, rischierai di farti ammazzare» lo rimproverò sua madre.
«Non intendevo qui a scuola. Vedrai non ci vorrà molto» cercò di avere un tono sicuro. Non voleva dire ai suoi genitori cosa aveva intenzione di fare. Anche se in ogni caso avrebbero cercato di impedirgli di allontanarsi di nuovo da loro, in questo modo aveva più possibilità.
«Ma... ti abbiamo appena ritrovato, cosa devi fare di tanto importante?»
«Ve ne parlerò al mio ritorno. Andate ora, posso badare a me stesso. Non sarà più pericoloso che stare qui o andare in missione con i Mangiamorte» sua madre sembrò esitare. Per un attimo le parve di vedere in suo figlio una persona diversa e questo la spaventò. Avrebbe voluto costringerlo a venire con loro, ma sapeva che non era la cosa giusta da fare.
«Non potremmo venire con te?»
«Non ce n'è bisogno, tornerò il prima possibile» la rassicurò ancora.
Molto probabilmente, infatti, il loro maniero era ormai deserto, tutti erano impegnati nella battaglia.
«Va bene, ti aspetteremo a Hoarcliff»
Draco guardò suo padre, aspettandosi un saluto o un cenno del capo. Invece Lucius gli mise una mano sulla spalla e lo strinse a sé. Sembrava volesse dirgli qualcosa di importante.
«Figliolo... fa' attenzione» disse solo.
Ma il ragazzo non aveva bisogno d'altro. Quando i suoi genitori si smaterializzarono andò alla ricerca di Hyperion, chiamandolo a gran voce e il cane non si fece attendere; di nuovo manifestò la sua gioia di rivedere il suo nuovo amico.
Insieme si smaterializzarono e ricomparvero al maniero dei Malfoy.

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Capitolo 11
*** Avevi gli occhi lucidi ***


Capitolo X
Avevi gli occhi lucidi

 

 

 

 

 

Regnava il silenzio. Il cielo era plumbeo, pesante, con delle sfumature bluastre, dal momento che il sole era sorto solo da poco. Sembrava che oltre le piante del giardino grigio e tetro non vi fosse altra creatura vivente nel raggio di chilometri. Poiché fino a pochi istanti prima Draco si trovava immerso nel caos, avrebbe dovuto sentirsi più sollevato, ma non fu così; era ancora teso e all'erta.
Fortuna che almeno non era solo questa volta. Gli tornò in mente di quando, al primo anno, fu costretto per punizione ad accompagnare Rubeus Hagrid, Potter, Granger e Weasley nella Foresta Proibita. Quando dovettero dividersi scelse di essere accompagnato da Thor; non fu esattamente un'esperienza piacevole.
Mentre il ragazzo valutava la situazione, cercando di capire se la residenza fosse effettivamente deserta, Hyperion non esitò un attimo e, appena arrivati, trotterellò verso il portone della villa impaziente di rivedere la sua padroncina. Il giovane Malfoy gli corse subito dietro per evitare che facesse troppo rumore, ma il cane sembrava così eccitato da non potersi contenere.
«Dannazione, vuoi stare tranquillo?» disse il ragazzo irritato, temendo ancora che potesse esserci qualche pericolo nascosto dietro l'angolo.
Draco pensò tra sé che sarebbe stato meglio se fosse venuto da solo. Forse a causa del momento di debolezza si era lasciato prendere troppo dai sentimentalismi.
«Non è da qui che si entra. Avanti vieni con me... e sta' un po' zitto!»
Il ragazzo decise infatti di entrare da una delle entrate posteriori. Ve n'erano quattro in tutto: una per la servitù, nell'ala ovest del maniero, una nelle cucine, a nordest rispetto all'entrata; la terza, la più grande, si trovava nella sala da ballo e dei ricevimenti, mentre l'ultima era nascosta nel giardino sul retro e conduceva direttamente ai sotterranei. Draco non sapeva se i Mangiamorte ne fossero a conoscenza: non c'era mai stato bisogno di usarla, ma si sentiva più sicuro ad entrare da lì che dalla porta principale.
Percorse il lungo viale dal cancello d'entrata fino alla fontana del suo giardino - a metà strada tra il cancello e l'entrata principale - dove poté cambiare strada e aggirare la villa, percorrendo i sentieri costeggiati da siepi e così intricati da poter essere quasi scambiati per un labirinto. Ma il ragazzo conosceva quei luoghi a memoria. Quando ancora le siepi erano più alte di lui, si divertiva molto a giocarvi a nascondino, spesso insieme ad Astoria, a volte con amici occasionali, altre da solo.
Il giardino sul retro era grande esattamente quanto quello anteriore, ma le siepi, anziché sembrare un labirinto, circondavano sei grandi aiuole, disposte in due file da tre e decorate da alberi ombrosi e numerosi cespugli di camelie bianche, molto cari a Narcissa, fioriti tutto l'anno grazie alla magia. L'entrata segreta si trovava in una di queste aiuole, l'ultima a sinistra, ed era coperta da un cespuglio di camelie che si sarebbe prontamente spostato sentendo la parola d'ordine.
Draco camminò furtivo, attento ad ogni minimo rumore, il che era assai difficile con Hyperion accanto che ansimava rumorosamente e smuoveva i ciottoli del sentiero con il suo passo allegro. Arrivato davanti al cespuglio, il ragazzo scavalcò la siepe che recintava l'aiuola e silenziò il luogo per paura di fare troppo rumore.
«Ambitione ad astra1»

Si sentirono vari crepitii e scricchiolii e ogni parte della pianta si tese come se volesse stiracchiarsi; poi cominciò a muoversi con strani ondeggi. Hyperion le abbaiò contro, sentendosi minacciato da quello strano vegetale, e la pianta si spaventò tanto che si sbrigò a levarsi di mezzo. Si spostò rivelando la botola di pietra che gli avrebbe dato accesso alle scale; per aprirla sarebbe bastato bussare con la bacchetta di un membro della famiglia Malfoy e così accadde.
La luce del giorno appena nato bastava a mala pena ad illuminare i primi gradini, poi v'era solo il buio più totale.
«Lumos» disse il ragazzo.
Non era la prima volta che usava quel passaggio segreto, quando era piccolo ci aveva giocato qualche volta, anche se i suoi genitori non erano d'accordo per paura che il bambino potesse rimanervi intrappolato. Quindi, anche se stava per avventurarsi in un luogo oscuro e silenzioso, non temeva ciò a cui stava andando incontro, ma quello che avrebbe potuto trovare alla fine.
"Il peggio ormai è passato", si disse per farsi coraggio, "devo sbrigarmi a tirare Astoria fuori di qui".
Scese le scale con molta cautela e percorse il buio e infinito corridoio a grandi e silenziosi passi per fare più in fretta. Il luogo non era affatto stretto, lui e Hyperion camminavano comodamente fianco a fianco, ma c'era un forte odore di chiuso, di polvere e di muffa. Probabilmente da quando Draco aveva cominciato ad andare ad Hogwarts, nessuno vi era più entrato.
Arrivato alla fine trovò, come ben ricordava, un muro di pietra. Spense la bacchetta, poi la usò per tracciare sul muro il nome del suo antico antenato che costruì villa Malfoy “Hephasto Malfoy”; le lettere comparivano man mano, risplendendo di una spettrale luce verde. Quando ebbe finito, il muro si dissolse come sabbia portata via dal vento.
Draco ed Hyperion sbucarono in un altro corridoio, ora illuminato da alcune antiche torce in ferro battuto, ma questa volta il ragazzo sapeva di trovarsi all'interno della villa, sotto l'ala nordovest. Non sembrava ci fossero altre persone. Si voltò indietro, il muro di pietra era di nuovo al suo posto, come previsto. Si assicurò che il cane fosse con lui e si diresse verso le prigioni sotterranee.
In realtà non c'erano mai state prigioni a Villa Malfoy fino all'estate scorsa, quando il Signore Oscuro aveva fatto del maniero il suo quartier generale; tra i vari cambiamenti, alcune delle stanze vuote e inutilizzate dei sotterranei vennero allestite per “accogliere i suoi ospiti”.
Senza accorgersene Draco accelerò il passo. Lungo la strada aprì varie porte pesanti e cigolanti, ma non trovò Astoria da nessuna parte e cominciò a temere che ormai fosse troppo tardi. Quando rimase l'ultima porta, la aprì cauto. Inizialmente gli sembrò che non ci fosse nessuno, dal momento che l'unica fonte di luce fuori dai corridoi era quella della sua bacchetta, ma poi la vide. In un angolo della stanza c'era una gracile figura rannicchiata, con la fronte appoggiata sulle ginocchia e le braccia dietro la schiena.
Hyperion le corse incontro abbaiando contento. Lei alzò di scatto la testa e nonostante la debole penombra Draco riuscì a vedere quanto sorpresa e disorientata, talmente tanto che non si mosse e la sua espressione rimase la stessa anche quando il cane la sommerse di effusioni e cominciò a leccarle la faccia.
«Hyperion! Ma cosa...» poi guardò verso la porta, confusa, cercando di tenere a bada il suo amico peloso.
Draco le corse incontro non appena i loro occhi si incontrarono. Per un attimo era rimasto sulla soglia con uno starno disagio addosso, ma gli era passato subito, lasciando posto ad un gran sollievo: Astoria era viva e quasi del tutto illesa. Notò che aveva un taglio sulla fronte e le mani legate. Il viso era pallido e stanco, ma lei non disse una parola su di sé.
«Draco... anche tu...» non finì la frase. Neanche il ragazzo sapeva cosa dire, qualunque cosa gli sembrava stupida o inutile.
«Stai bene?» le chiese alla fine. Lei fece cenno di “sì” con la testa: «Girati, ti aiuto a slegarti» allora anche i pensieri della ragazza parvero sbloccarsi.
«Che ci fai qui... con Hyperion? Cosa è successo?» chiese mentre si voltava.
«Ti spiegherò meglio quando saremo lontani da qui. Il Signore Oscuro e tutti i Mangiamorte sono ad Hogwarts, stanno combattendo Potter e l'Esercito di Silente»
Quando Draco illuminò i polsi della ragazza, vide che erano pieni di escoriazioni; al suo risveglio doveva essersi dimenata a lungo in quella cella buia. Appoggiò a terra la bacchetta per poter agire meglio. Le prese le mani e d'istinto accarezzò con il pollice le zone arrossate intorno alle ferite. Per un istante ebbe lo sciocco impulso di baciarle, ma si trattenne. Le dita della ragazza fremettero. La slegò in fretta, anche se i nodi che la legavano erano davvero stretti; poi si alzarono in piedi.
«Mi... mi hanno preso la bacchetta. Credo sia da qualche parte nella villa» disse Astoria. Anche lei sembrava quasi a disagio.
«Pensi che sia rimasto qualcuno?»
«Non lo so... quando mi sono svegliata qui qualche ora fa ero sola e non ho visto né sentito nessuno»
Quando pronunciò quest'ultima frase si strinse le braccia; aveva gli occhi bassi, privi della loro solita luce, la voce sembrava debole e ogni tanto leggermente tremula. Il giovane Malfoy capì senza bisogno di parole tutta la paura che la ragazza aveva provato in quelle ore, sola, smarrita, immersa nell'oscurità, con il pensiero che sarebbe potuta morire da un momento all'altro.
«Perché hai portato Hyperion?» disse lei, cambiando argomento. Dal suo tono si capiva quanto fosse confusa e come le paresse strano vedere quei due insieme di loro spontanea volontà.
«Ehm... ci teneva a vederti» rispose Malfoy alzando le spalle ed evitando il suo sguardo. Il cane le scodinzolava accanto, continuando a chiedere affetto e attenzione anche con qualche saltello. Allora Astoria sorrise e si chinò per coccolarlo meglio.
«Hyperion, come mi sei mancato!»
Sembrava fossero passati giorni invece che ore. Più le emozioni sono forti, più sono capaci di distorcere il tempo.
Si sentì un po' geloso del fatto che il cane ricevesse più attenzioni di lui.
«E a me non dici niente, scusa?»
Non era esattamente quello che voleva dire; avrebbe preferito apparire più indifferente.
La ragazza alzò lo sguardo su di lui e si mise di nuovo in piedi. Non rispose subito, sembrò meditare, perplessa, ma poi sorrise di nuovo.
«E' solo che non mi aspettavo di vederti... Ma ne sono felice»
Astoria non era espansiva come molte ragazze della sua età, parlava sopratutto con lo sguardo, ma la sincerità dei suoi occhi, quelle parole e il suo sorriso gli comunicarono più di quanto avrebbe fatto qualunque gesto inutile. Tuttavia Draco sentì ugualmente il desiderio di avvicinarsi a lei, di toccarla, di abbracciarla per il sollievo, di baciarla perché sentiva qualcosa per lei, ma per qualche motivo temeva ancora che Astoria lo avrebbe allontanato. Forse perché credeva di non essere adatto a lei – altruista, intelligente e dall'animo così forte - più di quanto non lo fosse ad essere il migliore amico di Harry Potter. Ovviamente in quel breve momento non pensò tutto questo; sentiva solo che la cosa migliore era trattenersi.
D'un tratto fu lei ad avvicinarsi, con un nuovo luccichio in fondo allo sguardo. Ma all'improvviso tutto si fermò.
Ci fu un rumore di passi lontani. Finalmente Hyperion si calmò e si mise guardingo. I passi accelerarono: avevano visto la porta aperta; Draco si parò davanti ad Astoria, si chinò per raccogliere la bacchetta che aveva lasciato brillare a terra, ma fu troppo tardi.
La porta cigolò, fece capolino la bacchetta illuminata di un ragazzo che Draco riconobbe come uno dei Mangiamorte più giovani.
Tutto accadde in un'istante.
Quando Draco sfiorò la sua bacchetta, quella del Mangiamorte si spense per lanciare un altro incantesimo, appena prima del giovane Malfoy. La stanza tornò nell'oscurità; solo una debole luce che filtrava dal corridoio. Hyperion abbaiò, il ragazzo lo sentì muoversi. Poi volarono due lampi di luce, uno verde, uno rosso. Draco disse ad Astoria di buttarsi a terra e lui gli fece scudo con il proprio corpo; sarebbero stati protetti dal buio. Ci fu un tonfo, poi un rumore sordo. La porta si richiuse di colpo. Il ragazzo continuò a lanciare altri incantesimi, ma quando si accorse che l'unica luce era quella dei suoi incantesimi e che non si sentiva più alcun rumore si fermò.
Tutto taceva. Troppo.
Sentì uno spaventoso brivido corrergli lungo la schiena. Draco e la giovane Greengrass si misero a sedere, cauti.
«Draco accendi la luce» la voce di Astoria tremò.
La bacchetta si illuminò.
Il corpo del Mangiamorte giaceva accasciato contro la porta, con gli occhi chiusi, svenuto. Ma tra lui e i due ragazzi c'era anche Hyperion.
Astoria lanciò un grido. Draco ebbe una fitta allo stomaco e i cuori di entrambi soffocarono fin quasi a scoppiare.
«HYPERION, NO!»
La ragazza si alzò e quasi non inciampò di nuovo per terra. Corse dal suo vecchio amico e si inginocchiò accanto a lui. Per un attimo sembrò che avesse quasi paura di toccarlo, poi provò a scrollare il suo corpo ormai senza vita, continuando a chiamare il suo nome.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, non ce la faceva a rivivere quella scena un'altra volta in così breve tempo. Gli occhi gli si inumidirono, la gola si serrò in una morsa dolorosa.
Astoria chiamava il suo amico, anche se sapeva che non sarebbe servito a niente, poi la sua voce si fermò e anche lei.
Allora Draco le si avvicinò e le mise le mani sulle spalle, con delicatezza, ma appena la ragazza lo sentì si voltò e affondò il suo viso nel petto del ragazzo. Piangeva silenziosa e ogni tanto era scossa dai singhiozzi che tentava di trattenere. Quando accadeva si stringeva a lui ancora più forte, come se in questo modo il dolore potesse sparire, e allo stesso modo lui la strinse a sé.
«Non è giusto» disse dopo un po', tra le lacrime che non riusciva a fermare.
«Molte cose non lo sono, specialmente in guerra» le rispose lui, ed istintivamente le accarezzò i capelli, mentre gli tornavano alla mente le immagini della sera prima, quando nella Sala Grande ognuno compiangeva i suoi amici e familiari caduti. Nonostante questa volta non si trattasse di un essere umano, il dolore non sembrava affatto dissimile.
Passò qualche istante.
«Voglio andare a Hogwarts. Voglio combattere con tutti gli altri!» esordì Astoria all'improvviso, con un tono totalmente diverso, staccandosi da lui.
«Scordatelo. Sei troppo debole ora!» inveì il ragazzo. Finalmente tutto era finito e adesso lei con le sue manie di eroismo stava rovinando tutto. Non poteva, né voleva sopportare altro dolore.
Astoria si voltò di nuovo verso Hyperion. Sembrava quasi che dormisse, ma la vista del suo ventre immobile e l'assenza del suo respiro profondo le spezzarono il cuore ancora una volta.
«Sto meglio di quanto immagini! Mentre io sono qui a piangere altri stanno rischiando la vita e io non lo sopporto. Altri hanno perso le persone che amavano per colpa loro» disse lanciando uno sguardo infuocato, colmo di odio verso il Mangiamorte svenuto. Per un istante Draco credette che la ragazza si sarebbe scagliata contro il corpo del giovane con tutte le poche forze che le rimanevano, ma fortunatamente non accadde: «io ho perso un amico» continuò: « e sono stata al sicuro a sufficienza direi»
Draco sentiva la rabbia montargli dentro. Perché diavolo doveva rendere le cose così difficili? Non le era bastato tutto quello che aveva dovuto sopportare?
«Tu hai rischiato la vita venendo qui... perché lo ritenevi giusto» disse Astoria prima che il ragazzo potesse dar sfogo alla propria rabbia: «lascia che anch'io faccia lo stesso»
La collera del giovane Malfoy si placò in fretta. Stette in silenzio per un po', infine parlò quasi borbottando, seccato:
«Hai sempre fatto come ti pareva...»
Mentre parlava teneva lo sguardo basso: «ascolta, sono venuto fin qui per...» ancora i suoi pensieri si ingarbugliarono: «io... non voglio perderti di nuovo» poi sentì un desiderio ardergli dentro e prima che la vergogna potesse fermarlo il suo cuore parlò da solo: «io ti...»
Ma Astoria non lo lasciò finire e cogliendolo di sorpresa lo baciò sulle labbra.
Per Draco fu il bacio più dolce della sua vita, delicato come la carezza di un petalo di rosa, e un sospiro caldo sulla sua anima. Ma in quel bacio, per qualche strano motivo, sentì anche la profonda tristezza di Astoria; per questo non chiese, né desiderò più passione. Stare con lei era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
Poi i due rimasero l'uno con la fronte appoggiata a quella dell'altra.
«Vengo con te» le disse lui all'improvviso.
Lei non rispose ma allontanò il suo viso per guardarlo meglio, poi lo accarezzò e i suoi pensieri si persero lontani. Infine parlò un ultima volta:
«Ho visto, che avevi gli occhi lucidi» gli sorrise debolmente.



Otto anni dopo...


Era una splendida giornata di sole, tiepida, che sembrava nata apposta per donare serenità ai cuori in tempesta. La vista del verde del giardino che riluceva nella luce dorata del pomeriggio donava ad Astoria una grande serenità. Per qualche strano motivo, una brezza le riportò alla mente il ricordo del suo caro amico perduto anni fa. Sospirò, pensando a ricordi felici, e si ripromise che quella sera sarebbe andata a trovarlo nel luogo in cui si trovava la loro tenda durante la guerra.
La donna se ne stava seduta in sala da pranzo, vicino al tavolino dove era solita prendere il tè, quando non era impegnata a scrivere o a lavorare. Accanto a lei una culla dondolava dolcemente grazie alla magia e un neonato vi osservava il mondo, silenzioso, con i suoi occhioni grigi.
La stanza, come del resto l'intera Villa Malfoy, era completamente cambiata da quando Draco e Astoria si erano sposati. Era luminosa, ariosa e priva di quel terribile clima di pesantezza che l'aveva caratterizzata per anni. La donna aveva sempre pensato che non sarebbe mai riuscita a viverci, specialmente dopo che il maniero era stato il quartier generale di Lord Voldemort, ma quando gli anziani signori Malfoy, Lucius e Narcissa, avevano deciso di ritirarsi a vita privata ad Hoarcliff affidandogli per sempre Villa Malfoy, Astoria aveva finalmente potuto liberarsi di tutta quell'oppressiva oscurità. C'era voluto del tempo per tutti quei cambiamenti, sopratutto per farli accettare a suo marito, ma alla fine, con molta pazienza, era riuscita ad ottenere ciò che voleva.
L'orologio suonò le cinque; i suoi ospiti sarebbero arrivati a momenti. Infatti pochi minuti dopo sentì bussare alla porta; entrò un uomo sulla quarantina: Staunch, il maggiordomo a servizio dei Malfoy da qualche anno.
«La signora Granger e suo marito» annunciò.
Astoria fece cenno di farli entrare. Aveva un udito piuttosto sviluppato e sentì che fuori dalla porta qualcuno borbottava:
«Ho un nome anche io!»
«Ron adesso smettila di polemizzare su tutto, nessuno ti ha costretto a venire! E non farmi fare brutta figura»
Hermione entrò accompagnata da suo marito che si guardava intorno con circospezione.
«Benvenuti!» li accolse la padrona di casa, alzandosi per andarli a salutare. Abbracciò l'amica che non vedeva da un po' di tempo e si presentò al suo accompagnatore con un sorriso, cercando di farlo sentire a suo agio.
«Astoria, questo è mio marito Ron. Mi dispiace non averti avvisata prima, ma all'ultimo momento ha insistito per accompagnarmi... sai, per via del bambino» disse poggiando una mano sul grosso pancione coperto da un lungo vestito leggero.
«Nessun problema, mi fa piacere. Venite accomodatevi» e li condusse vicino al tavolino rotondo, abbastanza grande per quattro o sei persone.
Hermione vide la culla dondolante e si avvicinò per guardare, curiosa e intenerita.
«Che amore. E' un bambino bellissimo... ciao Scorpius!».
La donna pensò a quanto fosse strano che un bambino che sembrava così buono potesse essere il figlio di Draco.
Astoria aveva conosciuto Hermione sul lavoro, al Dipartimento della Regolazione della Legge Magica. Nei primi tempi c'era stata diffidenza e sopratutto molta competizione fra le due, ma con il tempo – e collaborazioni forzate – avevano scoperto di condividere molto più che un'intelligenza brillante e di trovarsi interessanti lì dove erano diverse.
«Questa casa è davvero cambiata» osservò Hermione mentre si accomodavano, provando un gran sollievo. Anche se non l'aveva detto a nessuno, in realtà il pensiero di ritornare di nuovo in quella casa le aveva messo un po' d'angoscia. Non aveva mai scordato la notte in cui era stata torturata da Bellatrix Lestrange, ma Astoria aveva insistito così tanto che aveva deciso di provare a lasciarsi il passato alle spalle. Forse era anche per le sue preoccupazioni che Ron aveva deciso di accompagnarla.
«E... il signor Malfoy non è in casa?» chiese l'uomo, cercando di farla sembrare una domanda disinteressata, anche se era ovvio che non lo era. La moglie infatti lo fulminò con lo sguardo.
«Non si preoccupi, Draco è fuori per lavoro» Astoria sorrise. Provava un'istintiva simpatia per quell'uomo. Dopotutto non poteva biasimarlo se non provava alcuna simpatia per suo marito. In fondo anche per lei era stato così per molto tempo.
Astoria cambiò sapientemente argomento.
«Che nome pensate di dare al vostro bambino... o bambina?»
I due coniugi si scambiarono un rapido sguardo, poi parlò Hermione: «Beh, se sarà un maschio ci piacerebbe chiamarlo Hugo...» Astoria cercò di non dare a vedere che quel nome non le piaceva per niente: «...mentre nel caso di una femmina ci piacerebbe Emily»
«Oppure Roseline» puntualizzò suo marito.
«Sì anche a me piace molto Rose, però...» arrossì leggermente: «preferirei Emily... sai, adoro Emily Dickinson»
«E allora? Io tifo per i Cannoni di Chudley ma non chiamerei mio figlio Barnabus2!... E poi vuoi dare a tua figlia il nome di una che si è suicidata?» esclamò Ron scettico.
Prima che Hermione protestasse per la superficialità di suo marito, Astoria rise ed intervenne con la sua opinione: «suonano tutti e due molto dolci e delicati. Io trovo che Rose sia un nome bellissimo... forse più evocativo di Emily, che è anche carino»
Il tempo passò rapido e piacevole. Persino Ron riuscì a trovarsi un po' più a suo agio, anche se avrebbe preferito andarsene prima di avere qualche imbarazzante incontro con il padrone di casa. Poi si assentò per andare in bagno.
Quando uscì dalla porta le due donne rimasero per un attimo in un silenzio privo di imbarazzo; come Hermione aveva imparato, Astoria si prendeva spesso questi piccoli momenti di riflessione.
«Sono felice che tu sia venuta» disse alla fine: «avevo paura che per colpa di Draco...»
«Ma no cosa dici» la interruppe l'altra, sempre un po' a disagio quando si trovavano a parlare di Malfoy, anche se ciò avveniva raramente.
«Non preoccuparti, conosco la vostra storia e se io fossi stata al vostro posto probabilmente avrei per lui gli stessi sentimenti» la rassicurò, schietta come sempre. Esitò un attimo e poi sospirò: «a volte vorrei che si mostrasse anche agli altri per ciò che è» avrebbe avuto molto di più da dire, ma non voleva riversare il suo fiume di pensieri su Hermione, non era nel suo carattere.
«Sembra quasi che non parliamo della stessa persona... Sai non ti nascondo che io lo ricordo ancora come il ragazzo che... scherniva Harry nei corridoi» stava per dire “che mi insultava chiamandomi Mezzosangue”, ma non voleva mettere Astoria a disagio: «a volte mi sembra così strano che siate sposati» l'altra donna la guardò interrogativa ed Hermione si affrettò a puntualizzare: «non fraintendermi, è solo che sembrate così diversi»
«Anche tu e tuo marito lo siete» sorrise Astoria. Hermione si sentì un po' in imbarazzo, ma vedendo il viso sereno dell'amica si rilassò subito: «ma capisco quello che vuoi dire. Tra noi non è stato sempre così semplice, abbiamo avuto molte difficoltà» aggiunse poi ripensando non solo all'anno della battaglia di Hogwarts, ma a tutta la loro storia.
Quando i due ragazzi si erano Smaterializzati nuovamente ad Hogwarts, l'avevano trovata in festa per la caduta del Signore Oscuro. Scoprirono che il Mangiamorte che li aveva aggrediti era stato mandato subito dopo l'arrivo di Voldemort a Hogwarts, affinché prelevasse la giovane Greengrass che sarebbe stata giustiziata pubblicamente. Fortunatamente il ragazzo aveva deciso di fare una breve sosta nelle cucine, stanco e affamato com'era dopo la battaglia.
Astoria si era riappacificata con suo padre, ormai vecchio e provato, ma la sua relazione con Draco venne osteggiata su molti fronti. Lucius era stato inizialmente contrario al fatto che suo figlio si fidanzasse con una Traditrice del suo Sangue, ma dopo molto tempo cedette, anche se non accettò mai quella relazione fino in fondo. Tuttavia non fu quella la parte peggiore.
Gli aspetti più intimamente “Malfoy” di Draco, il suo egoismo e la sua vanità, a volte faticavano a venire repressi, tanto che c'erano stati momenti in cui Astoria si era chiesta se non avesse scambiato il suo affetto per istinto materno, o se non si fosse innamorata che di un ricordo di infanzia. Così quando, dopo quattro anni, il ragazzo le aveva chiesto di sposarla, lei aveva rifiutato e i due si erano lasciati. Per più di un anno non si videro e Astoria non ebbe più sue notizie.
«Ma lui è molto cambiato dai tempi di Hogwarts» aggiunse alla fine la donna.
Alla fine Draco tornò da lei una sera, profondamente cambiato dal tempo e dall'esperienza e Astoria si innamorò di lui una seconda volta, mentre lui non l'aveva mai scordata.
Hermione notò la luce negli occhi della donna, sorrise, e non chiese più nulla al riguardo. Quella fiducia così forte e l'amore profondo che aveva visto nel suo sguardo le faceva venir voglia di vedere Malfoy sotto una nuova luce.
«Ragazzi questo posto è più grande di quanto pensassi. Ho dovuto chiedere indicazioni ad un Elfo»
Astoria rise, mentre Hermione pensò tra sé che, al contrario, Ron non era poi così cambiato dai tempi di Hogwarts. Poi rise anche lei.

Il pomeriggio passò in fretta e verso l'ora di cena i suoi amici tornarono a casa. Era il tramonto, il cielo si era tinto di un tenue arancione che sfumava verso l'azzurro della sera.
Astoria uscì dalla sala da pranzo accompagnata dalla culla fluttuante e, passando per l'ampio ingresso salì e le scale per andare al piano di sopra, dove oltre alle varie stanze si trovava anche lo studio di suo marito. Bussò e senza aspettare una risposta entrò.
La investì una debole corrente d'aria, dal momento che l'uomo teneva le finestre dello studio sempre aperte. Draco era seduto alla sua scrivania di palissandro, chino su alcune carte, ma quando la sentì entrare alzò la testa.
Con il tempo si era trasformato in una persona più riservata, al contrario di sua moglie che aveva imparato ad aprirsi a nuove amicizie. I suoi occhi grigi erano capaci di trasmettere al tempo stesso una glaciale freddezza, un ardente calore e nascosta gentilezza per pochi eletti.
«Se ne sono andati?» chiese lui.
«Pochi minuti fa» la donna andò dietro la sedia del marito, gli circondò il collo con le braccia e lui le accarezzò dolcemente: «mi sei mancato, lo sai?»
«Non puoi costringermi a vederli se non voglio» si irrigidì l'uomo, sentendo un messaggio nascosto tra quelle parole. Avevano già discusso in proposito, non voleva riaprire vecchie ferite.
«Non lo farei mai» disse lei baciandolo con dolcezza.
Accadrà quando sarai pronto” pensò.
D'un tratto il bambino nella culla iniziò a vagire, così la madre lo prese in braccio e dopo averlo cullato un po', il piccolo si calmò.
«Perché non lo prendi un po' in braccio? Io ho bisogno di cambiarmi, voglio andare a fare una passeggiata»
«Non è che poi ricomincia a piangere come fa sempre?» rispose il marito un po' turbato.
«Non essere così timoroso come al solito, è solo un bambino» e così dicendo Astoria glielo mise in braccio e se ne andò prima che l'uomo avesse il tempo di protestare.
Draco non poteva fare a meno di sentirsi impacciato e un po' sciocco con quel cosino tutt'occhi tra le braccia. Quando piangeva non sapeva mai cosa fare; per fortuna quel giorno sembrava tranquillo e in pace. Guardava suo padre con gli occhi spalancati, sembrava lo stesse studiando per la prima volta.
«Scorpius» provò a chiamarlo l'uomo.
Il neonato mosse la testa e le braccine; sembrava che capisse già il suo nome. Draco non ne avrebbe voluto anche un secondo, specialmente quel nome – certo il nome di un caro amico, ma sempre di un cane si trattava - e lui e Astoria avevano discusso a lungo, ma alla fine, ovviamente, lei l'aveva avuta vinta.
Poi il piccolo Scorpius chiuse lentamente gli occhi, cullato goffamente da suo padre e si addormentò, con respiri profondi.
Mentre Draco osservava quella creaturina così perfetta, che sembrava somigliargli tanto – priva però di ogni sua impurità - non poter fare a meno di lasciarsi trasportare da un pensiero tenero e pieno d'amore:
Sarai un uomo migliore di tuo padre, Scorpius Hyperion Malfoy”.


 

1Il proverbio latino originale recita “per asperia ad astra”. In questo caso da lat. “con l'ambizione [si giunge] alle stelle”, ossia al successo. Inoltre i nomi dei membri del casato Malfoy discendono da stelle e costellazioni.

2Ipotetico nome del capitano dei Cannoni di Chudley






Ho concluso questa storia in modo consapevole, l'avevo promesso no? :)
Spero vi sia piaciuta... almeno un po'.

A presto,
Changing

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