After all, you're my wonderwall

di GiadiStewart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Try to start again ***
Capitolo 2: *** I feel trapped ***
Capitolo 3: *** Do you want to join to my party? ***
Capitolo 4: *** I'm strong when I'm alone ***
Capitolo 5: *** The party ***
Capitolo 6: *** I don't care who you are, I want you. ***
Capitolo 7: *** Disappointment ***



Capitolo 1
*** Try to start again ***


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Il sole splendeva alto nel cielo, come ogni giorno nella calda Los Angeles. Purtroppo io potevo osservare quell’immensa distesa azzurra e limpida solo dalla finestra della mia stanza, perché ormai da sei mesi ero diventata il nulla, l’anima era separata dal mio corpo inerme e senza respiro; da mesi ero ormai bloccata in questa stupida casa che una volta credevo avesse uno spirito. Quanto ero ingenua e cieca. Ero attratta da questa casa perché era misteriosa, cupa e piena di segreti nascosti che volevo scoprire, ma ancora non sapevo cosa potesse nascondere: morte, terrore, sofferenza; adesso ero diventata anche io parte di quell’oscurità.
Il fatto era che non mi ero abituata a questa vita, non ancora almeno e non so se riuscirò mai a farlo perché mi sento prigioniera, non posso uscire –tranne durante la notte di Halloween- e non sono libera quanto vorrei, ormai tutto sta diventando troppo piccolo per me anche se questa casa è enorme e potrei avere tutti i confort possibili, ma questa casa non saprà mai darmi l’aria che respirano tutti, il vento che soffia tra i miei capelli, il sole che tocca con i suoi raggi caldi la mia pelle pallida o l’erba fresca di primavera. Non potrò chiedere tutto queste e né potrò averlo perché ho perso tutto ormai.
Ho perso anche lui, lo definirei il mio primo amore, quella persona così simile a me che mi ha capita e mi ha aiutata, mi ha consigliata e mi ha protetta. Il mio Tate, che ormai non era più mio, ma che si era limitato ad essere l’ “inquilino” che si aggira in questa casa più cauto possibile per non incontrare me o la mia famiglia. Certe volte speravo di incontrarlo per sbaglio nel seminterrato, ma era talmente attento e scaltro che riusciva ad evitarmi, ma se tanta era la voglia di vederlo, tanta era anche la voglia di affrontarlo mai perché ormai non eravamo più niente, ci eravamo costruiti uno spesso muro impossibile da buttare giù, e che soprattutto non volevo buttare giù perché quello che aveva fatto a mia madre era imperdonabile e al solo pensiero di quel brutto ricordo mi venivano i brividi e la bile risaliva fino alla gola per il disgusto e disprezzo che si era creato in me.
Ricordo ancora la seconda volta che l’ho visto, mi disse: “ Non si dovrebbe ferire le persone che ami”, un sorriso amaro apparve sul mio volto perché proprio lui fu il primo a farmi del male; tante volte mi disse ‘ti amo’, ma ora non sono sicura che lo facesse davvero.
Intanto in questi sei mesi la casa era stata abitata da tre famiglie e mamma, papà ed io continuavamo a tenerli lontani per evitare che anche loro facessero questa fine, e ci eravamo riusciti senza troppi problemi anche se tante volte gli ‘spiriti cattivi’ che abitavano qui ci rendevano l’impresa difficile; la cosa che però mi sorprese di più era che Tate non apparse mai perché mi aspettavo avesse tentato di uccidere qualcuno che stesse con me per l’eternità come avesse fatto l’ultima volta; invece non era successo niente di tutto questo. Speravo che almeno in quei momenti potessi vedere ancora i suoi riccioli biondi e i suoi occhi scuri che nascondevano la sua vita difficile e tutte le sue sofferenze; speravo sempre di sentire la sua voce che mi diceva sempre che voleva stare con me, che ci saremmo appoggiati a vicenda che mi amava, ma il suo spirito non si faceva vedere da mesi e ormai le speranze si facevano sempre più vane.
La porta bussò e subito dopo la figura di mia madre apparve, mi sorrise al quale io non risposi, ma abbassai lo sguardo passando a torturarmi le unghie; mia madre rimase immobile a guardarmi con tristezza e con passo lento si avvicinò a me circondandomi con un braccio le spalle e baciandomi la tempia, appoggiai la testa sulla sua spalla e rimanemmo così, in silenzio, per qualche minuto.
Mia madre non si era mai espressa su quello che successe tra me e Tate, nemmeno su quello che lui le aveva fatto e quando mi vedeva in questo stato –praticamente sempre- mi veniva accanto e senza parlare, mi abbracciava e mi baciava; anche io non volevo parlare di Tate, la ferita era ancora aperta e solo sentire il suo nome era come se il mio cuore –ormai senza vita- cominciasse ad accelerare i suoi battiti, inoltre non ero ancora pronta ad affrontare questo argomento, soprattutto se riguardava lo stupro a mia madre, al solo pensiero la rabbia ribolliva in me ed era in questi momenti che volevo vederlo davanti a me e sputargli in faccia tutto il veleno che stava aumentando in me, perché doveva pagare per quello che aveva fatto e lo stava facendo stando da solo in questa casa ed evitandomi, lui sapeva che io non lo volevo più e ci sarebbe stato nessun tipo di rapporto tra me e lui.
“Tesoro, si sta per trasferire un’altra famiglia” mi disse mia madre risvegliandomi da quei pensieri ed io seppi soltanto annuire e lei mi lasciò un altro bacio tra i capelli uscendo poi dalla stanza lasciandomi di nuovo sola. La casa sarebbe stata popolata di nuovo, le stanze che erano state vuote per un mese verranno arredate da altri mobili e quindi io la mia famiglia dovevamo di nuovo tenere al sicuro quelle persone inconsapevoli di quello che andranno incontro, ormai le mie giornate venivano occupate solo in questo modo perché rinchiusa qui dentro non sapevo cosa fare e di solito stavo chiusa dentro quella che una volta era la mia stanza per evitare di incontrare lui.
In realtà non sapevo neanche quello che volevo, perché se da una parte il mio essere voleva andare a cercarlo e sapere come stava, dall’altra parte volevo lasciarlo solo e fargli capire che quello che aveva fatto era imperdonabile e sbagliato.
Mi riscossi da miei pensieri perché non volevo che mia madre tornasse a chiamarmi per sapere se arrivavo o no, quindi mi prestai a uscire dalla mia stanza e a scendere al piano di sotto; quando arrivai ai piedi delle scale trovai anche mio padre e mia madre che stavano aspettando i prossimi abitanti della casa, rivolsi uno sguardo a mio padre che ricambiò con un sorriso. Lui non aveva perdonato Tate e credo che non lo farà mai, perché in fondo aveva fatto del male alla donna che amava e non gli poteva perdonare una cosa così; allo stesso modo Tate non si avvicinava più a lui, anzi a nessuno di noi anche se inizialmente Tate aveva cercato di riallacciare un rapporto con mio padre, ma senza troppi successi incassando solo sguardi di fuoco e completo mutismo.
Pochi minuti dopo la porta principale della casa si aprì e fece la sua comparsa la signora Marcy, la stessa agente immobiliare che aveva venduto la casa a noi, e a seguito un uomo, un donna e un ragazzo. Marcy ripeteva sempre le solite cose:
“E’ una classica casa vittoriana di Los Angeles costruita negli anni ’20 dal medico delle grandi star dell’epoca; queste sono delle lampade Tiffany originali” la nuova famiglia guardava la casa con stupore e con occhi affascinati, tranne il ragazzo che aveva lo sguardo alquanto annoiato. La mia attenzione si moltiplicò quando quest’ultimo disse una cosa che mi sorprese molto:
“Ho sentito che questa casa ha un brutta reputazione”
I suoi genitori lo guardarono con rimprovero, mentre Marcy strabuzzo gli occhi cercando però invano di non apparire nervosa, ma non poteva sfuggire a quella situazione quindi fece un sorriso tirato e rispose: “Diciamo che è una cosa un po’ sfortunata; dovete sapere che i precedenti proprietari di questa casa sono morti un paio di mesi fa ed erano in tre: la figlia morì per overdose, la madre ha partorito in casa, ma non sono riusciti a salvarla, mentre il marito si è suicidato perché non riusciva a sopportare la loro assenza”.
La donna e suo marito avevano lo sguardo sconvolto e la donna aveva cercato il contatto dell’uomo perché voleva essere confortata e si leggeva nei loro occhi che avrebbero preferito non sapere questo macabro fatto; mentre il ragazzo non disse niente e quello che mi sorprese di più era che non celava alcuna emozione, alcun interesse. Marcy, vedendo che la notizia li aveva scossi un po’, decise di lasciarli da soli per discutere sul da farsi entrando in cucina; i tre membri della famiglia si guardarono negli occhi e fu proprio il ragazzo a parlare per primo:
“Non è male questa casa ed è anche molto grande, direi che c’è sicuramente molto spazio per fare delle feste quando comincerò il liceo” disse con fare spavaldo che suo padre ricambiò con uno sguardo di negazione.
“Kurt non dire queste cose per favore –lo rimproverò sua madre, almeno adesso sapevo il suo nome- John che facciamo? Quando la signora Marcy ci ha raccontato di questa famiglia la mia idea di acquistare questa casa è subito cambiata, non vorrei che succedesse lo stesso a noi” continuò preoccupata, John la guardò e la strinse a sé cercando di rassicurarla mentre Kurt alzava gli occhi al cielo e si dirigeva da qualche altra parte. Ok adesso entravo in gioco io; è giusto che il ragazzo sappia chi gli salverà la vita! Sperai che non si dirigesse in cucina dove c’era Marcy e per fortuna le mie preghiere furono esaudite perché si diresse in salotto e si stava guardando intorno, e proprio in questo momento decisi che era l’occasione giusta per apparire.
Come se niente fosse cominciai a girare intorno alla stanza e quando apparsi nella sua visuale si spaventò e fece due passi indietro, lo guardai come se lui fosse quello strano e non io.
“C-chi diavolo s-sei?” balbettò Kurt
Io gli sorrisi divertita e mi avvicinai a lui, o almeno cercavo di farlo visto che lui continuava ad allontanarsi impaurito
“Guarda che non ho intenzione di farti del male –dissi sarcastica- ho solo intenzione di presentarmi. Sai è educazione” lui non mi rispose e continuò a fissarmi, quasi mi sentii a disagio e non sopporto quando le persone mi fissano come se cercassero qualche difetto o chissà quale altra cosa. Cercai comunque di non darci troppo peso e passai a presentarmi: “Sono Violet comunque e vivo qui vicino. Ero curiosa di vedere chi erano i prossimi”
Appena pronunciai questa frasi Kurt si risvegliò dai suoi pensieri e mi guardò con più attenzione, prese coraggio e per la priva volta mi rivolse la parola: “I prossimi?”
Annuii “Già. Sai della storia delle varie morti?”
“C-certo” i suoi occhi azzurri si fecero due fessure per scrutarmi meglio, ma purtroppo non potei aggiungere altro perché un campanello d’allarme risuonò nella mia testa quando udii la voce di John e appena Kurt si girò verso la provenienza della voce di suo padre io scomparii.
“Kurt con chi stavi parlando?” chiese suo padre non vedendo nessuno
“Emh… papà ti presento…” ma si bloccò perché quando si girò dalla mia parte vide che non c’era nessuno e si tocco i capelli biondissimi “No lascia stare papà. Comunque novità?”
John gli sorrise facendo trasparire la sua felicità ed euforia disse “Dopo tante ricerche la prendiamo!”
Al contrario del padre, Kurt non lasciò libero l’entusiasmo e gli rispose con un sorriso. Bene direi che i giochi ricominciano.  




Note dell'autrice: 
Mi congratulo con voi se siete arrivati alla fine di questo capitolo perchè lo trovo un po' noioso xD 
Comunque ho voluto cominciare questa storia perchè innanzitutto adoro American Horror Story e poi la mia testolina non ha voluto porre freno a tutte le fantasie che mi si creavano in testa se Violet avesse perdonato Tate e così ne è venuta fuori questa cosa qui :D 
Non avrò un giorno fisso sugli aggiornamenti perchè io non riesco proprio a rispettarli *fischietta facendo finta di niente* e quindi se non mi vedrete per un mese non dovrete stupirvi! 
Emh... non so cos'altro dire quindi spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi raccomando lasciate qualche recensione che non fa mai male u.u Almeno per sapere se vi piace o meno. 
Alla prossima, Giada. 

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Capitolo 2
*** I feel trapped ***


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Mentre Kurt e i suoi genitori stavano mettendo in ordine la casa avevo deciso che era meglio non farmi vedere per non destare troppi sospetti, insomma se continuavo a comparire e scomparire avrebbero pensato che qualcosa non andava quindi sono stata tutta la giornata in soffitta perché nella cantina sapevo chi c’era e non volevo incontrarlo; anche se in pochi secondi sapevo che potevo trovarmelo di fianco a me, ma visto che non lo aveva fatto negli ultimi 6 mesi le probabilità che cominciasse ora erano abbastanza scarse.
Tuttavia, i miei genitori mi stavano sempre vicini convinti che con la loro presenza a lui non sarebbe passato neanche per l’anticamera del cervello di venire a disturbarmi, ma restavo comunque un’adolescente e la loro presenza cominciava a diventare pressante tanto che quel pomeriggio non riuscii più a trattenermi:
“Non potete essere le mie guardie del corpo per l’eternità, ho bisogno della mia libertà” dissi con voce alterata senza però urlare, mio padre invece aveva già perso la pazienza e si era innervosito, “Non sono assolutamente d’accordo! Tate può venire a cercarti in qualunque momento e io quel ragazzo non lo voglio più vedere anche a soli pochi metri di distanza dalla mia famiglia!”
Mia madre stava più che altro facendo da paciere tra mio padre e me, con scarsi risultati perché entrambi eravamo testardi e determinati, caratteristiche che avevo preso da lui per l’appunto; non sopportavo mio padre in quei momenti perché pensava ancora che fossi una bambina che aveva bisogno di un supporto, ma io volevo che mi lasciasse un minimo di libertà visto che con tutte le pasticche che avevo ingerito avevo decretato la mia morte e quindi rimanere rinchiusa in questa sfottuta casa per l’eternità.
“Tesoro, non serve parlare in questo modo a Violet, basta farla ragionare –disse cercando di calmarlo, poi rivolgendosi a me- e tu dovresti capire tuo padre non pensare solo a te stessa”; sbuffai perché non ce la facevo a sopportare tutto questo, in questa situazione dovevamo sostenerci a vicenda ma a quanto pare non era così.
“Voglio avere solo un po’ di respiro, in queste mura mi sento imprigionata e voi con questa insistente pressione mi fate sentire ancora più in gabbia e non voglio sentirmi così” dissi sottovoce e con voce rauca, mentre parlavo mi si era formato un nodo in gola che non riuscivo a sciogliere e volevo solo uscire da quella situazione e andare a rifugiarmi da sola a liberare tutta la tensione; sentii gli occhi pizzicare e la vista stava cominciando ad appannarsi perché le prime lacrime salate stavano scorrendo sulle mie guance, era troppa la tensione che stavo accumulando e i miei nervi cominciavano a risentirne. Tutto quello che accadde: la mia morte, lo stupro a mia madre, venire a sapere che era stato Tate e la pressione dei miei genitori non avevano di certo giovato al mio umore che era spesso messo sottopressione e sempre irascibile.
Mia madre si accorse che di nuovo stavo scoppiando a piangere e subito si sentì in colpa, la sua espressione si rattristò e mi avvicinò al suo corpo e mi strinse a sé, io non apposi resistenza ma non ricambiai l’abbraccio; mio padre cercò di parlare ma dalla sua bocca non uscì nessun suono perché non sapeva cosa dire e un semplice ‘mi dispiace’ non avrebbe funzionato, così si limitò a strofinare le sue mani nervosamente nei capelli neri.
Rimasi ancora per un po’ di minuti in quella posizione poi sussurrai con voce flebile che volevo stare da sola, così mia madre allentò l’abbraccio e io mi staccai da lei, la guardai negli occhi sperando di avere il suo consenso e annuì in risposta con un sorriso debole così ne approfittai per scendere dalla soffitta e andare da qualche parte.


http://www.youtube.com/watch?v=8eCefZW-r0c (Purtroppo non so cos'abbia YouTube, ma non mi fa vedere il codice ._.)

La prima cosa che optai era il bagno e quando entrai guardai se non c’era nessuno e così facendo entrai, sapevo che potevo rendermi invisibile agli umani, ma la cosa mi metteva comunque a disagio perciò cercavo di trovarmi sempre in posti isolati; una volta entrata in bagno frugai all’interno della tasca della felpa e appena la mia sentì qualcosa di freddo e solido lo afferrai, conservavo ancora la piccola custodia delle mie lamette e non pensavo mi sarebbero servite ancora,  inoltre un giorno stavo quasi per gettarle via, ma non so per quale motivo decisi di tenerle visto che, non volevo più tagliarmi. Ne tirai fuori una e scoprii l’avambraccio, a differenza di sei mesi prima ora la mia pelle pallida era perfetta senza nessuna cicatrice e quando passai la lametta sopra la pelle non sentii niente perché ormai il mio corpo senza vita non percepiva più dolore, ma solo un leggero fastidio che era sopportabile e quando tracciai una piccola riga ovviamente il liquido rosso non fuoriuscì, ma rimase solo una striscia del mio stesso colorito circondata solo da un po’ di color cremisi. Non sapevo perché lo stavo facendo visto che non potevo sentire nulla e non potevo sfogare tutto lo stress su questa pratica che una volta era parte di me; ad un tratto quando stavo fissando quella linea sottile nella mia testa risuonò la sua voce: “ti stai facendo del male! Promettimi che la smetterai”. – “Promesso!” fu la mia risposta. Avevo infranto la mia promessa quando lui pensava solo a proteggermi, ma adesso che senso aveva? Del male non ne sentivo neanche un po’, lui non era più parte di me quindi quella promessa non valeva più no? E perché mi sentivo in colpa, perché lo sentivo ancora così vicino a me in modo tale da influenzarmi ancora?
Stavo sicuramente dando di matto, non c’era più ed era sparito da qualche parte nella casa ed io ero sola, maledettamente sola; altre lacrime solcavano le mie guance e dalla mia bocca uscivano solo lamenti e singhiozzi e ormai mi sembrava che sfogarmi piangendo fosse la cosa più semplice che invece costruire una fortezza impassibile ed essere indifferente.
“Perché mi stai facendo questo?” dissi prima sussurrando con la voce rotta dal pianto
“PERCHE’ CONTINUI A TORTURARMI?” urlai sperando che i miei genitori non venissero a cercare e così facendo anche aumentare la loro ‘protezione’, avevo bisogno di urlare, dovevo urlare per sfogarmi e forse anche per farmi sentire da lui sperando che comparisse da un momento all’altro accanto a me e che mi confortasse stringendomi a sé.
Inconsciamente questo pensiero non rimase solo nella mia testa, ma lo espressi molto chiaramente: “Ho bisogno di te, voglio te accanto a me. Ti prego” dissi con voce flebile, ma sapevo che lui poteva sentire, lui stava sempre in ascolto anche se c’era un piano a separarci; mi sedetti per terra ed appoggiai la schiena al muro, stringe le ginocchia al petto e vi appoggiai la testa nascondendola con le braccia e continuai a piangere per i seguenti minuti non sentendo la sua presenza. Quanto ero stupida ed ingenua, non avevo preso in considerazione che si potesse essere dimenticato di me ed essere andato avanti con la sua vita come prima del mio arrivo, dopo questa mia illuminazione piansi ancora e solo quando non avevo più le forze per versare altre lacrime mi alzai e mi guardai allo specchio e quello che vidi era orribile: il viso tutto bagnato di acqua salata, gli occhi gonfi e rossi, i capelli in disordine e non potevo presentarmi da mia madre e mio padre in questo modo perché mi avrebbero fatto sicuramente mille domande, se avevo visto Tate oppure se mi ha detto o fatto qualcosa e non volevo affrontarli ora, avevo troppa tensione addosso solo che non sapevo cosa fare o dove andare. Kurt non era una buona scelta, in cantina non ci pensavo nemmeno e in soffitta neanche, insomma la casa diventando troppo piccola per me.

Forse era meglio prima uscire dal bagno e poi mi sarei inventata qualcosa, però non feci neanche in tempo a fare un passo che subito barcollai e non riuscii ad afferrare il bordo del lavandino, pensai di cadere a terra, ma non sentii il contatto freddo del pavimento e neanche il tonfo che avrei fatto, anzi sentivo due braccia che mi sorreggevano: una mi teneva la schiena e l’altra l’angolo delle ginocchia, aprii gli occhi che tenevo precedente chiusi e il mio naso si trovò a pochi centimetri da una parte del corpo di qualcuno, era il suo petto, era il suo profumo; non ci potevo credere che fosse proprio lui. Era qui con me.
Aspettai qualche minuto prima di alzare lo sguardo verso i suoi occhi, non ero ancora pronta ad affrontarlo, fu lui il primo a parlare e sentire la sua voce mi faceva sentire bene, come se solo quel suono annullasse tutto quello che mi era successo prima:
“Devi stare attenta” disse telegrafico e con la voce spenta e rauca, alzai lo sguardo e finalmente i miei occhi incontrarono i suoi e quasi il mio respiro si fermò perché non erano i suoi occhi, erano diversi: erano cupi e spenti, marcati da delle profonde occhiaie violacee, la pelle era pallida e i capelli ispidi e disordinati. Quello non era il mio Tate, era diverso, non aveva quella luce che emanava quando era con me, era stanco, silenzioso… senza energia, poteva essere per…
Scossi la testa prima che quel pensiero si facesse strada nella mia testa e cercai di concentrarmi su di lui; mi fissava con un sorriso tirato come se facesse finta che andava tutto bene e che stava bene, ma purtroppo per lui non ero così stupida.
“O-ok. A-adesso devo a-andare” balbettai con voce tremante, abbassai il viso perché non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi e reggere il suo sguardo, le mie lacrime non avrebbero resistito a restare al loro posto; feci per uscire dal bagno, ma subito la sua mano scattò a prendere il mio polso e a girarmi in modo che fossi di nuovo di fronte a lui. Non opposi resistenza però abbassai di nuovo lo sguardo, lui però voleva che lo guardassi negli occhi e così mi prese il mento e alzò il mio viso, gli occhi cominciavano ad essere lucidi, perché riesco solo a piangere? Perché non riesco a dimostrarmi forte davanti a lui? Mi fissò negli occhi per minuti che mi sembravano interminabili e piano piano si avvicinò di più a me ed i nostri corpi erano a poca distanza uno dall’altro, subito pensai al peggio, ma non poteva avere il coraggio di baciarmi perché sapeva che io avrei reagito male anche se mi mancava da morire.
Per fortuna i miei pensieri non divennero azioni concrete, ma mi disse: “Prima vuoi la mia presenza, poi te ne vai?” sì, mi stava decisamente ascoltando, sulle mie labbra si disegnò un sorriso amaro e poco dopo gli risposi:
“Ho sbagliato, scusa. Adesso devo andare!” pensavo che la mia voce risuonasse più insicura e debole, invece era dura e acida che sorprese anche Tate, infatti mi lasciò il mento e lentamente si fece più lontano, pensavo però che mi lasciasse libera invece ribatté:
“Devo andare dai tuoi genitori che ti proteggono da me?” sputò quelle parole con disprezzo e noncuranza, quella frase mi fece male e non mi aspettavo che me la dicesse direttamente e un forte fastidio si creò dentro di me.
“Dopo quello che hai fatto alla mia famiglia mi sembra il minimo che possono fare” tremavo, ma cercavo di tenere sotto controllo i miei istinti, lui rimase in silenzio e notai che anche il suo muro dell’indifferenza cominciava a sgretolarsi perché molto probabilmente ogni volta che gli rinfacciavo quello che aveva fatto si sentiva in colpa, ma in questo momento non mi interessava quello che sentiva lui perché ero io quella che era sempre nervosa e sotto stress, ero io quella che doveva fare i conti ogni giorno con questa prigione, ero io quella che soffriva e volevo porre fine a tutto questo anche se le aspettative mi sembravano molto basse. In questo momento volevo solo pensare a me.
“Lasciami in pace, Tate perché ne ho bisogno. Sono stanca di vivere così” sussurrai con voce appena udibile, le lacrime cominciarono a scendere lungo tutta la guancia e poi cadevano sul pavimento, lui però era accecato dalla rabbia che non badò al mio pianto quindi cominciò ad urlare: “E TU PENSI DAVVERO CHE ME LA STIA GODENDO? CHE NON STIA SOFFRENDO? –fece un pausa e il suo respiro stava per diventare affannato, ma poi riprese con più calma- Se tu hai bisogno di stare sola, io ho bisogno di te. Ti amo ancora, Violet” disse l’ultima frase lentamente e a voce bassa come se volesse che la rielaborassi per bene.
Lo aveva ripetuto, di nuovo. Me lo disse tantissime volte ed io al confronto glielo dissi solo quando lo lasciai, ma il fatto era che anche io lo amavo ancora, ma non potevo perdonargli ancora quell’errore, non me lo sentivo e non potevo farlo quando ogni volta che lo guardavo mi appariva nella testa l’immagine di mia madre sotto il suo corpo. Scossi violentemente la testa per far scomparire quell’immagine, no non potevo ancora perdonarlo.
“Mi dispiace, ma non ti posso perdonare Tate” conclusi con un groppo alla gola e completamente vuota nell’animo; subito dopo aprii la porta del bagno e senza lasciare che ribattesse lo lasciai lì da solo con il viso sofferente e con le lacrime agli occhi. Andai subito alla soffitta e non mi interessava se i miei genitori mi avrebbero vista in lacrime, potevano chiedermi quello che volevano ottenendo solo i miei singhiozzi e lamenti.



Note dell'autrice: 
Ciao a tutti! :D Spero che il capitolo vi sia piaciuto e inoltre mi sto accongendo che sto scrivendo un capitolo più depresso dell'altro D: Vabbè a parte questo, sono davvero contenta che il primo capitolo abbia soddisfatto le vostre aspettative, perchè ve lo dico le mie era piuttosto basse, insomma mi sono creata un bel po' di casini in testa che non sapevo come risolvere, però non vi sto a raccontare tutto se no vi annoiate e vi capisco. Per fortuna c'è stata Ale che mi ha aiutata e mi ha fatto sembrare la mia idea meno stupida di quello che era, thanks honey <3 
Comunque ringrazio davvero quelle persone che hanno preso un minuto della loro giornata per recensire e farmi sapere le proprie idee sulla storia e che hanno fiducia in me, infine anche le persone che hanno inserito la storia tra le seguite, ricordate e preferite. Aw *-* Non me l'aspettavo davvero! 
Ultima cosa poi la smetto di rompere le balls, ho deciso di aggiornare così presto -secondo i miei standard- perchè innanzitutto non voglio beccarmi da subito il lancio dei pomodori per il lungo ritardo e anche perchè domani si ricomincia scuola -aiuto!- e non avrò poi così tanto tempo ç_ç Voi siete pronti a ricominciare? Avete fatto tutti i compiti? 
La mia risposta è no ad entrambe le domande (perchè vi dovrebbe interessare poi? Boh ._.) e quindi meglio che vada a finirli. 
Adios e alla prossima!
-Giada

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Capitolo 3
*** Do you want to join to my party? ***


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I giorni passavano lentamente e mi sembravano molto più lunghi dopo la visita di Tate che mi aveva lasciata molto scossa e anche più infelice di prima; la mia solitudine era aumentata drasticamente e non serviva che i miei genitori mi facessero da guardie del corpo per ‘proteggermi’ visto non osavo muovermi dalla soffitta e stavo –per tutta la giornata- ad osservare fuori dalla finestra oppure trascorrere ore infinite stesa sul vecchio letto che chissà da quanto tempo stava lì sopra. Ovviamente non sentivo e non vedevo Kurt da giorni anche se non mi importava poi molto perché con lui non avevo approfondito nessun tipo di rapporto anche se la prima che era entrato da quella porta lo avevo sentito come una persona con cui potermi sentire libera e non pensare alle complicazioni che mi opprimevano ogni giorno.
Inoltre, come se questo non fosse abbastanza dopo tutti gli stratagemmi che avevano adottato i miei genitori per far scappare quella famiglia dalla casa furono tutti inutili, gli incubi erano cominciati e c’erano gli altri spiriti della casa che riuscivano a trovare il modo per incastrare mio padre e mia madre, ma che comunque non si arrendevano perché non volevano che altre tre persone si aggiungessero alla lunga lista di morti. A differenza nostra, la famiglia Stevenson –era il loro cognome- non voleva proprio mollare quella casa perché avevano fatto un lunga ricerca e –come sempre- dovettero sganciare tantissimi dollari per esserne i proprietari.
Per concludere Tate non si era più fatto vedere dopo quella sfuriata reciproca fatta da accuse, colpe e grida ed io in questo momento non me la sentivo proprio di vederlo, ero ancora troppo scossa e debole e non sapevo ancora quanto tempo dovevo far passare; dopo sei mesi stavo ancora male senza la sua presenza fisica –perché sapevo che psicologicamente era ancora nella mia testa- e dopo la sua ricomparsa stavo ancora più male di prima, la mia ferita che avevo cercato a malapena di ricucire si era aperta di nuovo e non trovavo la forza di metterci una toppa sopra.
I passi che colpivano il legno antico della soffitta interruppero il flusso dei miei pensieri, ma non mi voltai a guardare chi era, ma continuai a fissa quell’immenso giardino che circondava la casa e che non potevo godere, mia madre si fermò all’entrata per scrutare il mio viso e dopo aver capito cosa potesse passarmi per la testa abbassò lo sguardo e altri passi risuonarono contro il pavimento diventando sempre più vicini. Non voltai il mio viso neanche quando mia madre apparse al mio campo visivo, era come se fosse invisibile per me e non aspettò che potessi guardarla come se sapesse che non volessi farlo e cominciò a parlare con voce calma e sussurrata:
“Tesoro, so che non è il momento giusto per parlarne, ma io e tuo padre pensavamo che non serve aspettare per dirti quello che abbiamo deciso –fece una pausa sperando di catturare la mia attenzione, ma tenni ancora lo sguardo sul giardino, così riprese- Abbiamo deciso che non sarebbe sbagliato darti un po’ di… libertà perché non riusciamo a sopportare che tu sia rinchiusa qui dentro figuriamoci tenerti alle strette. Sono riuscita a convincere tuo padre in qualunque modo e alla fine ha ceduto e lo sta facendo per il tuo bene, e dopotutto non sei più una bambina, ormai sei una ragazza che vuole essere indipendente quindi…” lasciò cadere il discorso senza concluderlo non trovando le parole adatte, non disse nulla per i restanti minuti e non potendo sopportare ancora il mio sguardo perso ed assente abbassò il suo e si alzò dal piccolo balconcino dove eravamo sedute, prima di andarsene mi baciò i capelli e mi strinse la spalla sinistra. I suoi passi si allontanavano piano senza troppa fretta come se non volesse andarsene e rimanere insieme a me a farmi compagnia, ma in questo momento volevo stare sola senza che nessuno mi disturbasse… volevo isolarmi.
“Grazie, mamma” mi uscì dalle labbra che fino a quel momento erano rimaste sigillate, ormai non riconoscevo più la mia voce: non era allegra e gioiosa, ma era spenta, rauca e priva di ogni sfumatura; mia madre si girò immediatamente al suono della mia voce e mi rivolse un sorriso appena accennato. “Ringrazia anche papà” aggiunsi e lei annuì, infine sapendo che non volevo aggiungere altro se ne andò.
Due settimane fa potevo esultare o per lo meno avere meno peso in corpo per questa notizia, ora invece non mi tocca per niente, come potrei essere felice se il ragazzo che ho amato mi ha lasciata in questa situazione? Come potrei essere felice se dentro di me sento il nulla? Non sento alcun tipo di emozione, niente mi sorprendere, sorridere, arrabbiarmi e piangere… ormai sono talmente debole che non riesco a fare neanche quello. Sono vuota, completamente vuota.
L’amore per Tate era un’ossessione, un errore del quale mi sono resa conto troppo tardi e di cui non ho trovato la forza di dire basta, di tagliare i ponti con lui, anzi ho aspettato che tutto si incasinasse per lasciarlo. Mi bastava che dicesse un semplice ‘ti amo’ ed io mi scioglievo come neve al sole perché credevo alle sue parole e solo quando ho saputo che lui aveva ucciso tutti quegli studenti, aveva stuprato mia madre, mi sono fatta forza e gli ho detto addio anche se il mondo mi crollava addosso, anche se una parte di me mi diceva: “ti ha capita, ti ha salvata, ti è stata accanto, non puoi lasciare che tutto questo distrugga il vostro legame”, anche se lui mi diceva le parole più belle che una persona possa sentire, io mi sono fatta forza e mi sono convinta che quel legame doveva finire e lasciarmi libera, lasciarmi vivere anche se quello che sto facendo adesso non è proprio paragonabile a quella parola.
Ma ora? Ora era riapparso, il pensiero di lui era assiduo nella mia testa e non riesco a toglierlo, questo è il prezzo che devo pagare per l’eternità? Sembra proprio di sì e pensarci ora mi convinco sempre di più che non ho abbastanza forza per farcela rimanendo sempre con questa rabbia e sofferenza dentro di me.
No, non credo di potercela fare. E’ impossibile.
 
 
Poche ore dopo decisi che era meglio uscire da quella soffitta e girare un po’ per la casa che ormai conoscevo a memoria, speravo solo di non incontrare lui.
Violet, cerca di non pensare a lui!
Non sapevo dove potevano essere mia madre e mio padre, ma non me ne curai molto e anche la casa era deserta, non vi era nessun rumore, nessuna voce che provenisse da qualche stanza, così decisi di rendermi visibile. Percorsi tutti lunghi corridoi sui quali avevo camminato da più di sei mesi senza una meta ben precisa; poco dopo però arrivai davanti a quella che era la mia stanza… e quella di Tate.
Oh cazzo, basta pensare a lui! Devo smetterla.
Subito pensai che la stanza fossi di Kurt, infatti c’era un letto da una piazza e mezza con un lenzuolo di colore bianco e una coperta rossa; alla destra del letto c’era un lungo ripiano pieno di libri e sotto di esso una scrivania con un computer e tantissimi libri –di scuola, credo- riposti uno sopra l’altro in modo disordinato e infine alla mia sinistra c’era un armadio a quattro ante in legno scuro. Il suo modo di mettere le cose, con noncuranza, era molto simile al mio: raggruppare un marea di vestiti sulla sedia della scrivania, i libri sparsi per tutta la camera, ma l’unica cosa che erano sempre al loro posto erano i miei CD e quando mi accorsi che anche lui aveva questa abitudine, sorrisi. Andai a sbirciare tra i suoi libri, visto che con l’ultimo ragazzo mi sono ritrovata dei pessimi artisti e non vorrei rimanere basita anche questa volta, quindi meglio lasciar perdere; raggiunto il ripiano, allungai la mano verso il dorso di un libro e trascinai il dito sui successivi, quando però mi accorsi di un titolo molto familiare mi bloccai. Non era un libro, ma era quel libro. Non potevo credere che Kurt lo avesse, ero perseguitata continuamente, non avevo un attimo di pace… tutto di Tate mi rincorreva, pure questo dannatissimo libro.
Il bussare della porta mi rianimò e mi fece scattare sull’attenti, le mie mani che non erano salde sul libro che avevo appena preso lo fecero cadere con un tonfo, mi girai di scatto e vidi Kurt appoggiato allo stipite della porta con sguardo incuriosito e con un leggero sorriso; mi prestai a raccogliere il libro e a riporlo al suo posto, ma il suo spostamento dalla porta a me era stato veloce e aveva fatto in tempo a prendermi il libro dalla mani, lo osservò attentamente e poi i suoi occhi azzurro ghiaccio si scontrarono nei miei marroni. Il suo viso ora non mostrava alcuna emozione e non capii a cosa potesse pensare, e anche dopo la sua domanda non seppi dove voleva andare a parare:
“Ho visto che l’hai preso anche tu questo libro alla biblioteca della scuola…” constatò lui, io non sapevo che dire quindi liquidai il discorso con un semplice “Già”.
Calò di nuovo il silenzio aspettando che ricominciasse a parlare, ma non lo fece ed io non dissi nulla; Kurt si avvicinò ancora a me tenendo sempre lo sguardo chinato sulla copertina del libro e quando il mio naso era a pochi centimetri dal suo petto –visto che era molto alto-, rimasi un po’ spaesata e immobile finchè non capii cosa volesse fare: allungò il suo braccio destro e con un movimento deciso infilò il libro al suo posto. Poi, si allontanò di nuovo da me mettendo le mani in tasca e formulandomi un’altra domanda:
“Ti piacciono gli uccelli?”
Sapevo a cosa si riferiva e mi uscì quasi in automatico la risposta: “Sì”.
Rimanemmo in silenzio a guardarci per un tempo che sembrava infinito, mi stavo torturando le mani e anche Kurt se ne accorse perché le prese tra le sue e lasciò lungo il mio corpo, in quel breve tocco ho sentito un brivido passare per tutta la schiena e quasi sussultai, ma per fortuna non se ne accorse di questa mia reazione. Perché mi sentivo in imbarazzo? Perché Kurt mi faceva questo effetto? Subito saltai alla conclusione più immatura e mi sentii una stupida per averlo pensato, devo ammettere che Kurt è davvero un bel ragazzo, ma parlare di innamoramento era ancora troppo presto e poi non potevo permettermi che succedesse qui e soprattutto ora che stavo una merda.
Il ragazzo che un attimo prima mi stava di fronte si era spostato, sedendosi sul letto e invitando anche a me, accettai ma cercai di mantenere una certa distanza e anche questa volta di accorse di questo mio gesto e sulle sue labbra apparve un piccolo sorriso ed io divenni quasi rossa dalla vergogna.
“Giri sempre per casa mia?” mi chiese a bruciapelo, lo guardai interdetta e non ebbi il tempo per rielaborare la domanda e non sapevo che rispondere visto che mi aveva colta di sorpresa, abbassai di nuovo lo sguardo sulle mie gambe e poi risposi titubante:
“L-la porta era a-aperta” con la coda dell’occhio lo vidi corrucciare la fronte e poi annuire. Mi sentivo così rigida e a disagio con lui e non ne sapevo il motivo, continuavo a mordermi il labbro che quasi mi uscì sangue, mi torturavo le dita e non ce la facevo a smettere, avevo sbagliato ad uscire da quella soffitta per venire qui, mi stavo complicando ancora di più la vita… come se non lo fosse già abbastanza.
Ad un tratto sentii il materasso muoversi e alzai lo sguardo per capire cosa stesse facendo e…
Perché l’ho fatto?
Il suo viso era a pochi centimetri dal mio e sentivo il suo respiro sul mio viso, i suoi occhi fissi sui miei e il respiro cominciava ad essere più corto e debole, il rossore sulle mie guance si faceva di nuovo vedere e speravo che non mi ridesse in faccia per questo, ma non lo fece. Questa vicinanza mi ha resa ancora più agitata e anche più piccola visto che lui era veramente alto, il silenzio non durò per molto perché lui ricominciò a parlare con un tono deciso, ma comunque calmo e dolce:
“La smetti di comportanti come se io fosse pericoloso e ti volessi mangiare da un momento all’altro? Sei troppo agitata e troppo silenziosa quindi – allontanò il suo viso dal mio e improvvisamente di alzo in piedi- adesso facciamo qualcosa perché in questa casa mi annoio a morte” lo seguii con lo sguardo dirigersi verso la sua scrivania a prendere qualche CD e inserirne uno allo stereo.
Mi feci forza e sperai che la timidezza e la paura mi avrebbero lasciate in pace almeno per un po’, così lo raggiunsi anche io e quando gli fui vicino gli dissi con tono ironico
“Usi ancora lo stereo? Non conosci la Apple e i suoi i-pod e le sue mini casse?”
“Guarda che anche se non sono di Los Angeles non sono un cavernicolo! Ce l’ho anche io l’i-pod, ma lo stereo rimane sempre quello con il suono migliore”
Regola numero 1: mai mettersi contro Kurt Setevenson. Con una frase mi ha praticamente fatta stare zitta e se ne è accorto anche lui e infatti scoppiò a ridere, ma io volevo rifarmi così ribattei:
“Mmh.. allora vediamo se riesci a stupirmi con la musica. Se non ce la farai ti regalerò le mini casse della Apple” ero convinta che non l’avrebbe avuta vinta, alcuni gruppi o cantanti che ascoltavo io erano praticamente sconosciuti e quindi ero pronta a cedere quelle casse che tanto mi ero agognata di comprare. Kurt mi rivolse lo stesso sguardo di sfida che avevo io e poi allungò una mano in avanti e gliela strinsi con vigore, mi sorrise e poi tornò a scegliere il CD da mettere.
“Pregusto già quelle casse che saranno tra le mie mani!” disse beffardo
“Pff, non sognare troppo” risposi alzando gli occhi al cielo.
Aspettai ancora qualche minuto e quando le prime note di una canzone che amavo troppo risuonarono nelle mie orecchie strabuzzai gli occhi e Kurt osservava la mia espressione con le braccia incrociate sul petto e un ghigno divertito; oddio non poteva essere che ci aveva azzeccato in pieno. A poco a poco cedetti alla scommessa e dovevo anche cedergli le mie preziose casse,
“Allora Violet?” disse con orgoglio.
Ero titubante, ma non potevo dirgli una bugia perché ero pessima in queste cose, e poi scoppiai: “Eh va bene, hai vinto! Adoro i ‘The Notwist’” non sapevo perché ero così scocciata, forse perché Kurt aveva colpito il mio ego o qualcosa di simile, ma mi arresi; “Domani ti porterò quelle benedette casse ok?”.
Il suo sorriso si illuminò ancora di più di prima e pensavo che fosse per il suo nuovo premio, ma la sua domanda mi lasciò senza fiato: “Quindi ci sarai anche domani?”
Deglutii visibilmente e gli risposi balbettando “Non c-ci sei d-domani? Passo u-un’altra volta se v-vuoi”
“No! – si affrettò a dire con troppa enfasi- Cioè intendo, no ci sono, puoi passare tranquillamente” concluse con un tono più tranquillo, io non sapevo cosa dire perciò annuii.
“Ora devo andare, a domani allora” lo salutai sperando non mi accompagnasse fino alla porta, ma le mie speranze furono vane
“Ti accompagno” rispose telegrafico
“No, non serve abito qui vicino. Faccio in un attimo” cercai di essere più convincente possibile e per fortuna lasciò perdere il discorso; feci per andarmene quando la sua voce risuonò ancora e tornai indietro senza varcare la soglia della porta: “Che c’è?” chiesi visibilmente preoccupata
“Ti volevo solo chiedere se potevi partecipare ad un party qui, visto la mia new entry nella città degli angeli”
Subito volevo rifiutare però improvvisamente mi ricordai del discorso che mi aveva fatto mia madre un paio d’ore fa: “Ci sarò” accennai un sorriso e anche lui mi rispose allo stesso modo e me ne andai; scesi le scale e sbattei la porta in modo che sentisse che me ne ero andata via e poi mi resi invisibile. Salii di nuovo le scale e poi salii quelle che portavano alla soffitta buia e povera. E sola. 



Note dell'autrice:
Eccomi qui con l'aggiornamento di un nuovo capitolo! :D 
Come avrete potuto notare, finalmente o purtroppo -dipende dai punti di vista- Kurt si è rifatto vedere e si rifarà vedere molto più spesso xD Vi dò un consiglio: questo è solo quello che vede Violet, il vero personaggio salterà fuori molto presto quindi non è scontato quello che percepisce la nostra protagonista u.u Vi sto dando troppi indizi, devo smetterla D: 
I 'The Notwist' ascoltateli perchè sono fighi, li adoro *-* 
Emh... credo di aver finito quindi spero che il capitolo vi sia piaciuto e grazie ancora per le recensioni al capitolo scorso, aw siete tanto carineee :') 
Ok, lascio che ho tanta fame xD. Alla prossima :3

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Capitolo 4
*** I'm strong when I'm alone ***


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Il mio cervello continuava ad arrovellarsi su quanto fosse sbagliato creare un legame con Kurt, non potevamo essere amici perché lui non doveva stare qui, era sbagliato e pericoloso ed avrebbe rischiato la vita a restare qui. Ancora non riesco a capire come cavolo i suoi genitori si ostinino ad non trasferirsi da un’altra parte, sono ancora in tempo e se più il tempo passerà più le loro vite si accorceranno com’è successo con noi.
Mia madre e mio padre stanno facendo di tutto per farli scappare dalla paura e il risultato è: niente; ormai non sanno più cosa fare, e io? Beh io non ho mai preso a queste cose perché stavo uscendo da una situazione dolorosa –anche se non ne sono ancora uscita completamente- e non ho intenzione di cominciare adesso anche se un po’ mi dispiace lasciare soli i miei genitori a fare tutto.
Ora dovevo andare da Kurt per dargli il suo meritato premio anche se separarmi da quelle piccole casse sarà molto doloroso, ma d’altronde dovevo mantenere la promessa; erano interminabili i minuti che tenevo in mano quella scatoletta, dico scatoletta perché non so per quale misterioso motivo avevo ancora la confezione delle casse quindi ne approfittai per sbarazzarmene e ci feci un pacchetto con un fine fiocco blu tanto per dare un po’ di presentazione.
Inoltre, non sapevo ancora che scusa utilizzare per essermi piombata in camera sua e non potevo usare sempre la stessa se no mi prendeva per intrusa ed era meglio evitare, quindi preferii optare per la prima cosa che mi sarebbe venuta in mente quando me lo chiederà.
Mi alzai da quel letto malmesso che aveva perfino la forma del mio corpo visto che la gran parte della giornata ero distesa lì, a passo lento raggiunsi la porta, ma non riuscii ad aprirla di un centimetro che si richiuse immediatamente con un tonfo forte e che mi fece sussultare e sapevo chi era. Lo potevo riconoscere dal suo respiro a pochi centimetri dal mio collo che mi provocava i brividi su tutto il corpo, presi ad osservare quella mano che serrava la porta, quella mano che aveva toccato ogni parte del mio corpo con dolcezza e delicatezza, come se non dovessi essere presa con violenza, ero preziosa per lui e dovevo essere considerata come tale. Adesso quella mano però mi stava bloccando la strada, rigida sul legno duro della porta; subito la rabbia che era rimasta nascosta chissà dove, venne fuori come se quel pensiero risvegliò tutto quello che Tate aveva fatto. Purtroppo non riuscivo ancora a perdonarlo perché nonostante mi abbia amata come se fossi l’unica, nonostante mi abbia capita, nonostante abbia cercato di tirarmi su il morale, tutto il male che aveva provocato prevaleva sul resto e non potevo comandare i miei sentimenti, non potevo dire in un giorno qualunque: ti perdono e ti amo. No, non potevo farlo perché ero troppo fragile e testarda per farlo.
La sua mano piano piano si rilassò e si staccò dalla porta e allo stesso tempo mi girai anche io, volevo cercare di non mostrarmi sofferente di fronte a lui, sempre con quelle lacrime che usciva quando sentivo la sua presenza o che fosse proprio davanti a me come è successo l’ultima volta; volevo mostrarmi forte, indifferente.
Trovai il suo viso vicinissimo al mio e d’istinto abbassai lo sguardo non riuscendo a reggerlo, come potevo mostrarmi forte se solo i suoi occhi color onice mi facevano cadere in piccolissimi brandelli? Ero una stupida, ecco cos’ero!
“Guardami!” fu lui a parlare per primo con un tono freddo che mi fece scattare e alzare lo sguardo, teneva i denti serrati e i suoi occhi trafiggevano i miei con rabbia, quella fu la prima volta che avevo veramente paura di lui e anche se quello sguardo mi metteva in soggezione riuscii a sostenerlo, neanche una lacrima, neanche un leggero tremore, ma avevo paura.
“Che c’è?” non so con quale forza riuscii a rivolgergli la parola per prima
Lui continuò a fissarmi senza muovere un muscolo e mi sentivo così a disagio che volevo fuggire dai suoi occhi, ma invece lo guardai come se quei minuti fossero ore; le sue mani si strinsero in due pugni come se cercasse di mantenere il controllo e non rompere la prima cosa che si trovava sotto gli occhi.
“Non puoi.” Mi rispose telegrafico e con tono freddo e deciso; cercai di capire cosa intendesse con quelle due parole, ma non arrivai a nessuna soluzione quindi gli chiesi:
“Cosa?” con lo stesso tono
“Lui –disse infastidito- non puoi stare con quel Kurt, gli farai del male!”
“Come se te ne importasse qualcosa di lui” sussurrai più a me stessa che a lui, ma ovviamente Tate aveva sentito, sbatté ancora il pugno che aveva serrato poco prima sulla porta quasi rompendola e io mi spaventai, il respiro diventava accelerato e gli occhi inumidirsi.
No, lacrime, non ora!
Ma purtroppo non potevo controllarle e piano piano scesero lungo tutta la mia guancia, cominciavo a respirare a fatica, ma Tate non sembrava curarsene, cosa che prima faceva sempre, anzi continuava a fissarmi sempre con lo stesso sguardo; si avvicinò sempre di più a me e io feci un passo indietro, ma trovai subito lo stipite della porta segno che non avevo scampo e lui mi aveva intrappolata.
“Lo sai che mi interessi tu, Violet” disse addolcendo un po’ il suo tono, ma non era quello che conoscevo io, non gli apparteneva. Cosa era cambiato in lui? Perché mi trattava come così freddamente? Rivolevo il mio Tate.
Pochi secondi dopo mi accorsi del pensiero che avevo fatto e scossi la testa per scacciarlo subito, non potevo e non dovevo pensare così di lui.
“Avevi detto mi lasciavi in pace, che mi non avresti dato più fastidio se non ti volevo perchè ti importava più di me che di te stesso. Stai violando la promessa Tate” cercai di voltare la situazione a mio favore, anche se questo significava farlo sentire in colpa. Ero stupida, egoista, stronza o qualunque altra cosa, ma volevo che lui non mi parlasse più.
D’un tratto abbassò lo sguardo e pensai di avercela fatta e che se ne sarebbe andato lasciandomi sola e una parte del mio obiettivo era riuscito: farlo sentire in colpa, ma di andarsene non ne pensava proprio.
“Che cosa pensi che abbia fatto in questi sei mesi eh?! –mi trafisse gli occhi con il suo sguardo addolorato e con gli occhi lucidi e una piccola crepa si creò dentro di me- Pensi che non abbia pensato che saresti stata meglio senza di me dopo tutto quello che ho fatto? Pensi che mi sia dato alla pazza gioia mentre tu eri chiusa in quella stanza buia, a versare litri di lacrime e a sentirti singhiozzare ogni minuto? NO VIOLET! Sono un egoista, ti voglio e solo il pensiero che te ne devi andare da quello – si portò le mani tra i capelli il suo viso si trasformò in sofferente, tremava e le lacrime che non riusciva a trattenere uscirono fuori-. Ho bisogno di te Violet” concluse guardandomi negli occhi ormai arreso e senza avere la forza di dire altro, mi guardava aspettando una mia risposta, un mio gesto che non arrivava, lo guardavo anche io con gli occhi ormai gonfi e rossi. Mi sentivo vuota, le gambe potevano abbandonarmi da un momento all’altro anche se mi sostenevo alla porta, perché mi doveva dire tutto questo ora? Doveva per forza complicarmi in questo modo la vita? Mi sarei buttata tra le sue braccia e l’avrei tenuto stretto per ore, l’avrei perdonato, ma c’era qualcosa che me lo impediva, qualcosa come: “ha stuprato tua madre, deve stare solo con la sua sofferenza”, eppure c’era un parte di me che lo voleva perdonare, dimenticare tutto quello che aveva fatto e averlo di nuovo vicino a me, ma perché non riuscivo ad ascoltare questo lato di me? Cosa era successo in me dopo quel brutto ricordo di sei mesi fa?
“Violet…” mi chiamò Tate con voce flebile, mi circondò il viso con le mani, era di nuovo a pochi centimetri da me potevo sentire il suo respiro caldo, e io nostri corpi erano vicinissimi e capii cosa voleva fare, ma non mi spostai, non ne avevo la forza e volevo davvero che lui mi baciasse? Non lo so, ormai non sapevo più nulla.
“Ti prego, Violet” mi stava pregando di perdonarlo, non mi ero mai trovata in difficoltà come ora, non sapevo cosa dire, cosa fare, ero completamente smarrita.
Annullò piano la poca distanza che ormai ci separava, dandomi il tempo di ritirarmi se lo volevo, ma sapevo che in cuor suo sperava che non lo rifiutassi e che ricambiassi il bacio. Ormai i nostri nasi si sfioravano e le mie labbra erano dischiuse per accogliere le sue quando…
Il cellulare vibrò dentro la tasca dei pantaloni segno che era arrivato un messaggio e non so se maledirlo o ringraziarlo, ma fu abbastanza da far sospirare Tate e allontanarsi dal mio viso, io invece ero ancora in trance e quasi non capii dove fossi, ma poi mi ricordai del cellulare e lo presi dalla tasca e lessi chi me lo aveva mandato: Kurt. Lo aprii e c’era scritto:
“Non vorrai mica scappare con le casse, spero. Ti sto aspettando da mezz’ora!”
Sgranai gli occhi, mi ero totalmente dimenticata di Kurt, Tate aveva preso la maggior parte dei miei pensieri che l’incontro con Kurt finì nei meandri della mia mente.
Distolsi lo sguardo dal cellulare e guardai il ragazzo biondo che mi stava di fronte, che non mi stava guardando, ma guardava il cellulare e… aveva letto il messaggio;
“Devi andare” disse arreso e quasi mi venne da rispondere “no, resto qui”, ma la parte ancora razionale di me mi disse che era meglio andarsene che la situazione stava diventando troppo pesante quindi mi limitai ad annuire.
“Pensaci Violet” e sapevo a cosa si riferiva, ma non dissi nulla perché non ero ancora sicura di me stessa e non volevo dargli false speranze e poco dopo se ne andò, lasciandomi sola.
 
 
Poco dopo mi trovai a camminare tra i corridoi di quell’immensa casa per dirigermi verso la camera di Kurt, ormai la voglia mi era passata e avrei preferito rimanere sola in soffitta e inoltre temevo che Kurt vedendomi in questo stato mi chiedesse cosa mi fosse successo e che non sarei riuscita a trattenere tutte le lacrime, facendolo così allarmare o peggio, prendermi per pazza. Ed io non volevo questo.
Camminavo a passi lenti ed incerti come se non volessi arrivare davanti a quella stanza orami più che familiare, ma purtroppo la casa non aveva la capacità di allungarsi e di spostare sempre più lontano la porta e quindi ci arrivai in troppo poco tempo. Bussai con poca forza –che ormai avevo completamente smarrito- e pensai che forse non aveva neanche sentito, ma le mie ipotesi erano infondate perché non mi lasciò neanche il tempo di preparami ed aprì di fretta, sembrava che mi avesse aspettato dietro quella porta. Il suo viso sempre sorridente incontrò il mio spento e cupo anche se mi sforzai di fare un piccolo sorriso che non mi riuscì molto bene, poi mi ricordai del pacchetto e lo agitai davanti al suo viso facendogli capire che non me ne ero dimenticata e proprio in quel momento il suo sorriso raggiunse i suoi occhi azzurri oceano che contagiò anche me, si spostò poi da un lato per lasciarmi entrare e chiuse la porta alle sue spalle.
“Come sei entrata?” mi chiese, ecco lo sapevo che quella sarebbe stata la sua prima domanda così mi girai per incontrare il suo sguardo
“Ciao Kurt, sto bene grazie” dissi ironica e dal suo petto risuonò una piccola risata
“Ok, scusa –rispose alzando le mani come per arrendersi- anche se non sembri che tu stia bene” il suo sorriso si spense e divenne pensieroso e abbandonando le sue braccia lungo il corpo. Era una contestazione decisa, lui era sicuro che il significato del mio ‘stare bene’ era solo per dire la prima cosa che mi era venuta in mente e tutto questo mi aveva provocato una fitta allo stomaco inaspettata molto forte, deglutii non sapendo cosa dire e come se non bastasse, lui continuava a fissarmi aspettando una mia risposta. Voleva la verità per caso? O voleva che lo ammettessi?
“N-non è n-niente” balbettai cercando di non fargli capire che aveva colpito nel segno, anche se credo lo avesse già capito
Lui sospirò e disse: “Senti Violet, ti conosco da poco… anzi non ti conosco proprio, ma sei un libro aperto e si vede che stai male. Ora non voglio che ti confessi a me perché in fondo, chi sono io? Però ti prego, voglio conoscere la vera Violet e non credo che sia quella piagnucolona, solitaria e che si fa mille problemi, lo so che non sei tu” concluse e io mi sentii davvero inutile perché tutti cercavano di capire me, ma io non capivo loro. Era perché sono incapace? O perché non ci arrivo alle cose? Oppure capire le persone è il mio punto debole?
Avevo solo troppo casino in testa per Tate e adesso arriva lui che cerca di darmi compassione e pietà, ma non ne avevo bisogno perché stavo bene così.
Non avevo bisogno di nessuno, non ho mai avuto bisogno di nessuno e me la sono cavata sempre da sola ed ora arrivano i moralisti a tirarmi su l’umore?
No, no e ancora no. Da sola ce l’avevo sempre fatta e ce la potevo fare anche ora.
“Era il pacchetto che volevi no? Bene, te l’ho portato e adesso me ne posso andare” cercai di cambiare discorso e la voglia di andarmene era davvero forte, feci per aprire la porta della sua stanza e andare a rifugiarmi su quella soffitta che era diventata la mia casa, ma la sua voce mi fermò di colpo con la mano sulla maniglia 
"Aspetta! Non mi interessavano le casse della Apple, te le puoi tenere visto che costano tanto, io resto fedele al mio vecchio stereo -sorrise, ma io non ricambiai-. Era un pretesto per vederti, tutto qui" e mi riconsegnò il pacchetto che accettai. Non sapevo cosa dire, non sapevo se dire un semplice 'grazie' oppure ribattere per quella confessione che però sarebbe stata una falsa sfuriata perchè, se devo essere sincera, come mi era entrata in un orecchio mi era uscita dall'altro e questo era inaspettato da parte mia viste le mie poche frequentazioni con i ragazzi, di solito arrossivo visibilmente e mi imarazzavo, ma ora era tutto diverso. Non mi importava granché, e questo mi dispiaceva per lui, ma non volevo ferirlo decendogli quello che avevo appena pensato, quindi mi limitai soltanto a rivolgergli un'altra occhiata e ad aprire la porta per uscire dalla stanza. 
Prima di riuchiuderla però sentii ancora la sua voce che mi diceva: " Ti aspetto alla festa di domani, me l'hai promesso". 
Già... la festa, mi ero dimenticata anche di questo. Non risposi neanche a quella frase e mi chiusi la porta alle spalle e lasciandogli poche speranze non sapendo se potevo mantenerla o meno quella promessa. 



Note dell'autrice: 
Tadaaaaan! Ce l'ho fatta bella gente! Questo capitolo è stato davvero un lunghissimo parto, punto uno perchè la scuola non mi dava molte possibilità per scrivere e punto secondo perchè non sapevo proprio come impostarlo D: E siamo solo all'inizio, sono messa proprio bene insomma -.-'' 
Eh niente, che dire... dopo tante richieste, o meglio suppliche, quel biondino di Tate si è rifatto vivo non come il meglio dei galantuomi, ma meglio di niente xD 
Il prossimo capitolo ci sarà quel benedetto party e scoprirete finalmente il vero Kurt, quello senza costrizioni e sorrisi, sperando di riuscire a soddisfare le vostre aspettative u.u Btw, il capitolo in parte è pronto e spero che verso il fine settimana e poco prima riesco ad aggiornare in modo tale da non farmi aspettare ventordicimila anni per un capitolo °-° 
Vabbene, smetto di rompervi le balls e me ne vado xD 
Alla prossima, 
-Giada. 

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Capitolo 5
*** The party ***


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La musica rimbombava per tutta la casa ed ero sicura che avrebbero sentito per tutta la via, tutto era pronto e Kurt ci aveva impiegato due giorni per preparare tutto ed ora la maggior parte della casa era al buoi con qualche luce colorata, tanti tavoli con le birre e superalcolici vari di cui neanche sapevo il nome, i divani erano stati spostati proprio per lasciare più spazio.
Non era ancora arrivato nessuno, ma Kurt aveva già attaccato la musica che già odiavo, anche se era perfetta da ballare, ma sicuramente non ballerò con tutta quella gente.
Mannaggia a me che ho gli ho fatto questa promessa!
Questa piccola vocina mi fece venire l’idea di non presentarmi e starmene nascosta a guardare tutto il proseguo della festa, ma la parte più razionale di me mi disse che non era troppo tardi tornare indietro e che ormai –in qualunque modo andasse- dovevo partecipare.
Inoltre tutti mi avrebbero riso in faccia perché non sapevo come vestirmi visto che non sono quel tipo di ragazza tutta lustrini pailettes, ma non me ne importava poi molto visto che dopo mezz’ora saranno tutti pieni di alcol e penseranno solo a ballare o a scopare con qualcuno quindi anche questo problema poteva considerarsi risolto.
Mentre la musica continuava a suonare a palla vidi mio padre precedermi prima che mi decidessi ad apparire e con sguardo preoccupato mi chiese: “Sei sicura di voler partecipare a quella festa? Già vedo cosa a preparato quel pazzo del ragazzo e non voglio che partecipi anche tu!”
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai: “E’ la ventesima volta che me lo chiedi papà e la risposta è sempre la stessa: sì! E poi ti ricordo che recentemente hai ‘approvato’ la mia piccola libertà?” chiesi metaforicamente, lui rimase per qualche momento interdetto e poi annuì sconfitto.
“Va bene! Vai e divertiti.”
“Bene, grazie papà” sorrisi e lo abbracciai e mentre scesi le scale mi pareva di aver sentito mugugnare un ‘Certo certo’ da parte sua, ma lo tralasciai perché ero già in ritardo.
Quando apparii in salotto non vidi nessuno, ma la musica era ancora più alta di quello che pensavo e quando vidi la grandezza delle casse capii subito il motivo… erano davvero grandi ed equivalevano quasi alla metà del mio corpo. Ma dove prendeva queste cose?
Girai per tutta la casa e come prevedevo Kurt ha fatto le cose veramente in grande: anche la cucina era strapiena di roba, c’era pure da mangiare, ma chissà se li avrà comprati o se li avrà fatti sua madre.
Tralasciai questo pensiero per concentrarmi meglio su alcuni passi, pensavo fossero i primi ragazzi che arrivavano alla festa e invece… la mia vista si annullò e divenne tutto buio e una voce risuonò dolce vicino al mio orecchio:
“Speravo non venissi più?” sentivo il suo fiato caldo sul mio orecchio destro e subito una scarica di brividi percorse tutto il mio corpo e come se non bastasse Kurt non accennava ad allontanarsi da mio corpo ed io stavo completamente andando in tilt. Uff perché devo lasciarmi trascinare così? E fu proprio questa domanda a risvegliarmi dal momento di estasi nel quale ero entrata, così cercai di darmi un contegno e di far apparire la mia voce il più normale possibile
“Ma se non è arrivato ancora nessuno?”  dissi con tono troppo stridulo e teso, tentativo di rendermi meno sensibile al suo tocco: fallito. Anche se ero morta avevo bisogno anche io di vedere quindi senza sembrare troppo sgarbata, tolsi le sue mani dal mio viso e mi girai e idiota io che l’ho fatto! Era davvero bellissimo e il suo sorriso sghembo completava il quadro, tuttavia non si era vestito troppo accuratamente, ma comunque avrebbe fatto il suo figurone: indossava un paio di jeans stretti e chiari, una maglietta nera con scollo a V a maniche lunghe che però teneva piegate fino alla piega del gomito mettendo in evidenza i suoi muscoli non troppo pompati.
La sua bellezza era veramente mozzafiato tanto che rimasi a fissarlo per alcuni minuti e infatti se ne accorse schiarendosi la gola per attirare la mia attenzione e abbassai con uno scatto il viso quando vidi che stava ridacchiando.
Rideva pure delle mie figure!
“Stai davvero molto bene” disse interrompendo il silenzio pesante che si era venuto a creare
“N-non avevo nient’altro, non sono la tipa dai millemila vestiti all’interno dell’armadio” ero davvero imbarazzata quella sera, non so cosa creava tutto quel disagio, non che le altre volte che vidi Kurt ero completamente a mio agio, ma ora ero troppo tesa come una corda di violino.
Sentii ancora la sua risata soffocata e poi dire: “Non c’è problema, stai benissimo così” fece poi un passo verso di me e subito mi si bloccò il respiro temendo il peggio, ma per fortuna avvicinò soltanto la sua mano calda sulla mia guancia per lasciarmi una carezza appena sfiorata. Quel tocco mi aveva trasmesso solo una piccola scossa, ma nulla più perciò lasciai perdere.
Inoltre, il campanello interruppe il momento segno che la festa stava per cominciare, il campanello continuava a suonare senza sosta… abbastanza impazienti quelli là.
“Scusami, vado ad aprire” io annuii e si diresse verso l’ingresso, dalla cucina riuscivo a sentire prima delle urla e poi delle frasi attutite:
“Ehi bello, finalmente!” da come parlava sembrava essere un vecchio amico.
E poi una ragazza:
“Wow che casa! Ci si diverte stasera!”.
Alzai gli occhi al cielo e la tensione salì ancora di più rispetto a cinque minuti fa, non sapevo come comportarmi, non sapevo come attaccare bottone con quelli visto che non ero mai stata forte nelle relazioni, continuavo a muovermi avanti e indietro incapace di stare ferma e cominciai a sudare freddo. Forse era meglio andare di là se no Kurt avrebbe pensato che me la ero data a gambe, cominciai a camminare incerta e intanto il corridoio era tutto scuro e dal salotto provenivano le luci colorate. Quando arrivai tutti avevano già cominciato a ballare e c’era già un bel gruppo di persone e credo che ne arriveranno altri, un paio di ragazzi si accorsero della mia presenza e mi squadrarono dall’alto in basso.
Sapevo già i loro pensieri sul mio vestire, ma lasciai perdere.
Poco dopo notai che una ragazza parlava all’orecchio di Kurt e capii subito qual’era l’argomento del loro discorso perché vidi Kurt rivolgermi il suo sguardo e dirigersi verso di me.
Okay, adesso si sta dirigendo verso di me e poi che faccio? Ecco cosa succede quando non si vanno mai a feste di questo tipo!
Quando mi sorrise e avvicinò le sue labbra al mio orecchio e con voce alta in modo da farsi sentire mi disse: “Balliamo?”. La domanda mi lasciò interdetta e non me l’aspettavo per niente, invece lui cercava sempre di mettermi alle strette e così presi la scelta più giusta da fare: scossi la testa in segno di negazione e lui mi rivolse uno sguardo supplichevole, ma io rimasi ferma sulla mia decisione.
Kurt si avvicinò di nuovo al mio orecchio e con voce suadente mi disse: “Ricordi quello che ti ho detto ieri? Questa non è la vera Violet quindi mi aspetto di vederla stasera anche a costo di stare qui per tutta la serata” quel ragazzo mi lasciava sempre spiazzata senza capacità di ribattere e mi stavo innervosendo, insomma non poteva costringermi se non volevo.
“Devo assentarmi un momento, poi torno perciò non scappare” era davvero sicuro di sé e non sarei riuscita a sfuggirgli molto facilmente
“Ti sei già arreso?” gli chiesi con tono di sfida
Non mi rispose subito e nel frattempo si scompigliò i capelli: “Ottengo sempre quello che voglio”
Okay, ennesima bastonata. La voglia di andarmene era troppo forte, mi bastava soltanto aspettare che lui se ne andasse e muovere quei piedi che erano rimasti fin troppo sullo stesso posto, ma non capisco per quale motivo rimasi lì e non colsi quell’occasione neanche quando si allontanò.
Poco dopo vidi arrivare verso di me quella stessa ragazza che aveva parlato poco prima con Kurt, aveva un vestito davvero cortissimo nero, capelli rossi e gli occhi verdi, quando arrivò esattamente di fronte a me, senza dire niente allungò il braccio e mi porse una bustina trasparente, non capendo cosa significasse glielo chiesi: “Senti, ma che cos’è?”
Lei mi sorrise e poi mi rispose: “Ti farà sciogliere un po’” e poi come era arrivata, se ne andò.
Guardai cosa c’era all’interno della bustina trasparente e intravidi una pasticca e subito ci arrivai a quello che aveva detto quella ragazza! Voleva che la prendessi, ma non sapevo che tipo di droga era e non sapevo quali effetti mi avrebbe provocato, e più di tutte non volevo assolutamente prenderla!  
Ma dove cavolo ero finita? Droga, musica a palla, cosa ci poteva essere ancora?
Misi in tasca la bustina e decisi almeno di andare a prendere da bere piuttosto che starmene ferma come un palo; il tavolo era dall’altra parte del muro di persone che ballavano e non riuscivo neanche a trovare un varco che non fosse in mezzo a tutto quel casino, ma non avevo altra scelta: dovevo farmi strada tra loro.
Mi incamminai e appena dentro a quella massa di persone non riuscivo a camminare dritta, ma con i loro corpi mi sballottavano da una parte all’altra e mi era difficile tenermi in equilibrio e quando uscii da tutto quel casino mi ritrovai Tate davanti. Fantastico! Di male in peggio.
Anche se non volevo vederlo il mio cuore cominciò a battere velocemente, anche se speravo di non darlo troppo a vedere.
“Che ci fai qui?” chiesi dura e infastidita
“Non prendere quella roba, Violet!”
“C-che…?” non riuscii a concludere la frase sbalordita com’ero
“So quello che vuole fare quello, dammi la bustina”
“Cosa? Tu stai delirando!”
“Ho detto, dammi la bustina” ripeté meno paziente di prima, e anche io la stavo decisamente perdendo. Continuava a presentarsi di sorpresa e facendomi richieste assurde, era abbastanza ormai.
“Lasciami in pace Tate” dissi ormai arrabbiata e fece per andarmene, ma lui mi prese il polso e mi fece rigirare di fronte a lui e mi ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio e il respiro mi divenne improvvisamente affannato, ero tesa al suo contatto come se tutti i miei nervi mi mettessero all’erta e allora perché allo stesso tempo lo volevo? Dio non ci capisco più un cazzo!
“Solo non prendere quelle pasticche” disse scandendo ogni parola in modo che mi entrasse bene in testa; io non gli risposi e lui mi lasciò andare.
Era da un po’ che Kurt era sparito e non avevo la minima idea di dove potesse essere andato a finire, provai in cucina ma non c’era, provai al piano superiore ma di lui nessuna traccia, solo coppiette sbronze che scopavano di qua e di là, l’unica stanza che rimaneva era la cantina e non so per quale motivo sentivo che poteva essere lì sotto.
Scesi le scale e la musica diventava sempre più attutita, le luci erano accese e illuminavano gran parte del sotterraneo, subito i ricordi di Tate fecero capolino nella mia testa, cercai di fermarli, ma ormai avevano preso il sopravvento. Ogni singola parte di questa casa apparteneva a noi e ogni volta che entravo in una stanza i ricordi mi assalivano ed io non potevo fermarli, le mie speranze di accantonare quel ragazzo biondo erano vane ed io dovevo solo conviverci.
Quando arrivai ai piedi delle scale, svoltai a sinistra–quella che era la vecchia stanza di Charles- e vidi quello che non avrei mai dovuto vedere, restai immobile come un pezzo di ghiaccio, con gli occhi spalancati dalla sorpresa. I miei occhi stavano fissando l’immagine di Kurt piegato con il naso a pochi centimetri da un tavolino, con un tubetto mentre sniffava una polvere bianca, il mio cervello si spense in quel momento e agii soltanto d’istinto:
“K-Kurt?” lo chiamai impaurita e scossa allo stesso tempo, lui si alzò di scatto al suono della mia voce e vidi la sua espressione cambiare in sorpresa, non poteva immaginare che io potessi trovarlo qui e subito si mise a coprire con il suo corpo tutto quello che c’era sopra il tavolo. Che stupido.
“Ho visto tutto, non ti preoccupare” dissi sarcastica e cominciai a correre per andarmene, ma la sua voce irruppe nelle mie orecchie. Ma cosa volevano tutti da me? Non potevo andarmene in soffitta in pace? Evidentemente no.
“Violet, aspetta!” io ero già al quarto scalino mentre lui era appena all’uscita della stanza, mi girai innervosita e sperai che non dicesse la tipica frase fatta: ‘non è come pensi’ se no potrei veramente uscire di testa questa volta. Aspettai che continuasse, ma quello che avevo previsto non era arrivato, anzi la prima cosa che mi disse era:
“So che Mary ti ha dato una bustina, dammela per favore”
Restai impietrita senza muovere un muscolo, la rabbia stava cominciando ad annebbiarmi il cervello e la prima cosa che mi veniva in mente di fare non era scappare e andare a rifugiarmi in soffitta, era più che altro urlargli quanti insulti potevano venirmi in mente, ma non feci neanche questo e senza pensare quello che facevo tirai fuori la bustina e lui allungò la mano perché pensava che gliela dessi e invece agii in tutt’altro modo: aprii la bustina, presi il contenuto e la avvicinai alla bocca, ma senza appoggiarla alla lingua, nel frattempo Kurt si era avvicinato in fretta ed ora era di fronte a me e senza che me ne accorgessi mi strinse il polso e lo allontanò dalle mie labbra
“Dammela, non puoi prendere questa roba” mi disse con tono duro e rabbioso
Lo fulminai con lo sguardo “Tu non mi dici quello che devo fare, chiaro? –ribattei stringendo i denti- Tu non mi conosci” dissi questa frase scandendo bene le parole, in modo che gli entrasse bene in testa che non bisogno del tutore.
E poi anche lui si divertiva in questo modo, perché non dovrei farlo anche io?
Strattonai il braccio e lui lo lasciò andare facilmente, riportai la mano alla bocca e appoggiai la pasticca sulla mia lingua, Kurt non fece nulla, non mi fermò e non disse una parola… mi osservava soltanto.
La ingoiai e dopo un paio di minuti cominciarono i primi effetti: le pupille si dilatarono, i nervi e tutti i muscoli si tesero come se avessero presero una scossa, il cervello si spense come se fosse andato in standby; l’espressione traspariva tutta la sua impotenza che aveva su di me, ma in quel momento non mi interessava, ero troppo elettrizzata perché me ne importasse qualcosa.
Salii le scale e tornai alla festa, la musica era diventata più alta e la vista un po’ appannata, ma comunque tutti stavano ancora ballando come se fossero appena arrivati e anche io non esitai ad entrare in pista.
Io che ballavo? Un evento da segnare sul calendario. Potevo farlo solo da fatta questa cosa.
Ad occhi chiusi ballavo a tempo di musica, era impossibile non spingersi perché eravamo tutti attaccati e notai che quella Mary mi stava fissando con un sorriso soddisfatto, troppo per i miei gusti, ma ora non volevo mettermi a pensare a quello, volevo solo divertirmi.
La schiena di una ragazza dietro di me venne sostituita da un petto ampio e capii subito di chi si trattava, le sue braccia mi cinsero la vita e ci muovevamo in sincronia come se uno sapesse i movimenti dell’altro, sentii il fiato di Kurt sulla pelle del mio collo che mi provoco soltanto dei piccoli brividi. Avrei preferito che ci fosse un’altra persona qui con me, ma ora chissà dove fosse, magari avrà trovato una ragazza più bella di me tra di loro, e questo pensiero mi fece innervosire ancora di più. Cercai di mettere da parte in un angolo della mia mente anche questo e mi promisi di pensarci più tardi.
Mi girai in modo da incontrare gli occhi di Kurt che mi fissavano desiderosi e capii subito cosa volesse così mi prestai ad accontentarlo, mi avvicinai sempre di più al suo viso e portai le mie mani tra i suoi capelli biondi, lui mi strinse di più a sé tenendomi la schiena e le nostre labbra si sfiorarono prima e poi approfondirono il bacio, appena aprii la bocca la sua lingua entrò e sfiorò la mia, quel tocco mi fece rabbrividire che non grazie a lui, ma grazie alla pasticca che avevo ingoiato. Il mio cervello poteva essere andato, ma anche il cuore non rispondeva ai suoi tocchi. Prima di staccarsi da me mi morse il labbro inferiore e lo lasciai fare, ci guardammo negli occhi e notai che aveva un’espressione più che soddisfatta che mi fece salire la rabbia; intanto vidi sbucare da un angolo della casa dei riccioli biondi, i suoi riccioli, solo che il suo sguardo traspariva solo delusione.
Lo avevo deluso.
Il mio cuore aveva smesso di battere quando realizzai tutto, ma ero ancora troppo fatta per affrontarlo, ma quando lo vidi scomparire mi sentii davvero uno schifo.

 



Note dell'autrice: 
Come promesso eccovi il quinto capitolo! :D 
L'ho scritto in tempi record e dopo la lunga attesa per quello precedente ho voluto farmi perdonare e spero di esserci riuscita xD Anche se non come volete voi u.u
Passando al capitolo... premessa: spero di non essere stata troppo esplicita nel descrivere le scene, stando nei limiti del rating arancione perciò ditemi se sono andata troppo in profondità ne ho bisogno perchè dovrò sapermi regolare anche per i prossimi capitoli :) Poi, Violet sta mostrando sempre di più i suoi sentimenti sempre accesi per Tate, ma che orgogliosa com'è non confessa (ma dico io... 'na svegliata?), inoltre di Kurt non gliene frega meno di zero quindi non preoccupatevi fan di Tate, anche se... E qui mi fermo xD
Stavolta ho messo due canzoni che mi hanno ispirata -e che mi sembravano perfette per il capitolo-, non sono una grande fan di questo genere musicale, ma stiamo parlando di quel figone di T. Mills e di una canzone della colonna sonora di Skins! (No, non vado pazza per Skins). 
Coooomunque sto blaterando troppo e sicuramente vi starete annoiando. Quindi alla prossima bella gente! 
-Giada. 
 

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Capitolo 6
*** I don't care who you are, I want you. ***


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La testa mi doleva, la sentivo pesante e avrei preferito tenerla appoggiata al cuscino piuttosto che alzarla; anche gli occhi faticavo ad aprirsi e nel momento in cui lo feci mi aspettavo che la luce accecante del giorno mi avrebbe fatto perdere la vista per un breve momento, ma tutto quello che vidi fu soltanto una luce soffusa che faceva trasparire solo una piccola parte dei colori della soffitta.Non riuscivo ad avere ricordi della scorsa notte, solo che mi divertivo con Kurt dimenticandomi di tutto il resto e che lo baciai; subito una sensazione di vergogna invase tutto il mio corpo, non mi sarebbe mai passato per la testa di baciare qualcuno. L’unica cosa che sentii fu adrenalina percorrere tutto il mio corpo morto, e non sapevo che potevo ancora sentire queste sensazioni dentro di me; l'unica motivazione banale che la mia testa dolorante riuscì a produrre fu che magari anche i morti erano sensibili alle droghe, ma lasciai cadere i miei pensieri perché la testa non me lo permetteva. Un altro pensiero però si fece strada nella mia mente: chi mi aveva portata qui? E trovai in meno di un secondo la risposta: Lui. Kurt era da escludere a priori, non conosceva questo posto e inoltre non ricordo di essere venuta quassù con le mie gambe dopo che l’effetto dell’ecstasy finì; e il solo pensiero che nonostante tutto quello che ho combinato l’altra notte si fosse preoccupato per me, mi fece sentire in colpa e mi si strinse il cuore immobile. Ma fu solo un momento perché si assopì quando lui fece la sua comparsa con un viso impassibile e con la mascella contratta, e con tono atono mi parlò: “Come ti senti?”.Non si era avvicinato di un solo centimetro e la tensione era palpabile, lui stringeva le dita a pugno e io invece stringevo le ginocchia al petto, come se volessi proteggermi da lui, e anche se volevo starmene da sola, decisi comunque di dargli una risposta pensando che se ne andasse visto che aveva assolto il suo compito da cavaliere gentiluomo.

“La testa mi fa un po’ male” dissi con una voce spenta e senza emozione

“E’ normale –mi liquidò subito con noncuranza-, siamo sensibili a cose come quelle, anche se siamo morti, per questo ti dissi di non prendere quella pasticca. Hai solo bisogno di stare a letto e poi sparirà tra un paio d’ore”. Io non sapevo che altro dire, ma annuii per fargli capire che avevo compreso.

Perché provavo fastidio per quel suo comportamento? Perché volevo solo che mi stesse vicino come quando cercò di salvarmi dal mio suicidio?

Freddo.

Impassibile.

Distante.

Tutto mi metteva paura, era il solito Tate –fisicamente, intendo- ma era quello che traspariva che mi impauriva; i suoi sorrisi, i suoi sguardi e il suo tocco che erano capaci di tranquillizzarmi e di quietare i soliti pensieri che animavano la mia mente, in quel momento non c’erano: quella sua serietà evidenziava quello che lui era veramente: l'oscurità, il male. Da quando abbiamo litigato l'ultima volta, mi sono convinta che fosse egoista, insensibile, bugiardo e tante altre cose e proprio in quel momento era quello che ho sempre pensato, ma perché tutto ad un tratto volevo che fosse dolce, protettivo, l'altro Tate.

Mi odiavo, non riuscivo a capirmi, dentro di me si mischiavano una moltitudine di emozioni, pensieri e sentimenti, tutti contrastanti tra di loro. Perché non riuscivo a dire a me stessa “Tate non è più nulla per te, è polvere” oppure “Lo ami ancora, hai bisogno di lui come lui ha bisogno di te”.

Niente. Vuoto totale.

Tate se ne stava per andare e subito entrai nel panico perché temevo che quello che era successo ieri sera fosse stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, avrebbe pensato che io ero solo infantile, dipendente dagli altri e senza palle. No, non volevo questo.

“Mi dispiace!” dissi con un tono di voce troppo alto e con troppa foga, lui stava per abbassare la maniglia, ma si fermò anche se non mosse la mano da lì e neanche si voltò dandomi le spalle.

“Per cosa?”

Deglutii difficilmente: “Per ieri sera, avrei dovuto ascoltarti e non l'ho fatto”.

Cadde un silenzio di tomba, lui non parlava e io non sapevo cosa aggiungere sperando che mi rispondesse. Finalmente si girò e mi guardò dritto negli con la stessa espressione di prima.

“Avevi le tue motivazioni e io non posso contraddirle”. Non riuscivo a credere alle sue parole, lui era sempre quello che si preoccupava per me, lui era quello che mi metteva sempre all'erta e ora? Ora si mette in disparte come se io non fossi più nulla per lui.

Caddi in un baratro profondo e buio e volevo restarci, per sempre. Volevo chiudermi lì dentro e non uscire mai più; ecco cosa significava affezionarsi alle persone, significava che prima ti accoglievano tra le loro braccia e ti promettevano che nulla vi avrebbe separati e poi quando meno te lo aspetti ti abbandonano come se tutto quello che era successo prima non avesse più importanza, e questo è esattamente quello che sta succedendo a me ora.

“C-cosa?” anche se avevo già capito tutto volevo almeno la conferma.

Tate fece un respiro profondo e si avvicinò al letto anche se per me era comunque sempre molto lontano: “Violet, ormai ho capito, me ne sono fatto una ragione. Non hai bisogno di me, hai bisogni di qualcuno che ti ami come io non ho saputo fare. Hai bisogno di qualcuno che sia sincero e sia capace di darti tutto l'amore di cui hai bisogno, e quell'amore Violet te lo meriti perché io so quanto tu abbia sofferto, ma non sono io che posso dartelo. L'hai detto tu no? Io sono l'oscurità e devo pagare per tutto quello che ho fatto, partendo prima di tutto dal lasciarti in pace. Ti amo, Violet, ma non ti merito. Siamo diversi, tu sei genuina, vera e quel sorriso che ho visto poche volte, ma che mi hai l'opportunità di assaporare lo terrò sempre nella mia memoria -disse indicando la tempia sinistra-, ma io non mai meritato neppure quello. Non hai bisogno di me”.

Paralizzata. Sorpresa. Muta. Avevo gli occhi spalancati e il mio corpo -ancora sul letto- era proteso verso di lui a cercarlo immobile, non riuscivo a muovere nessun muscolo; potevo cadere in un baratro ancora più profondo di quello precedente? La mia mente era offuscata da quelle parole che continuavano a martellarmi il cervello impedendomi di formulare un pensiero ordinato e privo di stupidità.

Ora potevo lasciarlo andare, aveva capito quello che ho provato io in tutti questi mesi, potevo essere finalmente soddisfatta e dirgli che poteva andarsene, ma non poteva andare così ovviamente; non volevo che se ne andasse, volevo che tutto quello che aveva detto se lo rimangiasse e che se lo dimenticasse per stare con me. Gli occhi cominciarono ad inumidirsi di lacrime salate e anche le sue avevano cominciato a scendere sulle sue guance lisce. Volevo alzarmi e andare da lui, ma la paura che sparisse o che mi respingesse era forte e la mia anima non avrebbe potuto incassare un altro colpo così duro.

“P-perché dici tutte queste cazzate Tate? Lo sai che sono solo delle pure e stupide cazzate?”. Le mie labbra avevano trovato il coraggio di muoversi e di pronunciare quelle parole che volevo tanto dire; lui, al contrario non sapeva cosa dire, era il suo momento di stare zitto ora. Ormai avevo preso coraggio e avevo bisogno di sfogarmi. Mi alzai dal letto e mi diressi verso di lui tenendomi a distanza.

“Quando hai macchinato tutto questo? -Stava per rispondere, ma lo bloccai subito-. No, mi serve che rispondi, non mi interessa, tutto quello che voglio sapere per quale cazzo di motivo ti sei messo in testa queste cose! Tu non mi meriti? Ma che cazzate sono mai queste. Okay, tu sei diverso dagli altri, ma i tuoi sentimenti per me non erano falsi ma li hai sempre dimostrati senza alcun timore. L'ho sempre saputo che tu mi amavi e non l'ho mai dubitato. Io sono stata bene con te, mi sentivo così me stessa e questo solo grazie a te, quel Tate che mi capisce, che mi supporta, che mi ama e tu non puoi cambiare tutto questo. Lo so, non so se potrò mai perdonarti per quello che hai fatto a mia madre, ma questo è quello che sei. O ti voglio o ti lascio andare. Ma siccome io non riesco e non voglio lasciarti andare... io ti voglio Tate, qui e accanto a me”.

Dovetti riprendere fiato dopo non aver fatto neanche una pausa perché volevo che sapesse tutto quello che pensavo su di lui. Tate, mi aveva guardata negli occhi per tutto il tempo tant'è che certe volte ho dovuto abbassarli da quanto erano fissi sui miei, ma in qualche modo mi rincuorava vedere che quegli occhi non più gelidi, ma liquidi mi guardavano.

Ora mi sentivo completamente in imbarazzo, non sapevo cosa fare, lui aspettava sicuramente qualche mossa da parte mia e così come sempre andavo d'istinto. Piano piano mi avvicinai a lui, sentivo i suoi occhi perforami la testa, ma io non avevo il coraggio di guardarlo così tenni la testa bassa, presi la sua maglietta e la strinsi nella mano e solo in quel momento alzai la testa per incontrare il suo viso a pochi centimetri dal mio; lui come se volesse sentirmi ancora più vicina strinse i fianchi e mi portò più vicina al suo corpo andando a toccare il mio petto sul suo, i nostri nasi si stavano sfiorando. Volevo sentire le sue labbra morbide sulle mie e quando lui si avvicinò per baciarmi delicatamente mi sentii rigenerata, mi sentivo protetta tra le sue braccia; le nostre labbra si muovevano insieme e armoniosamente, spostai le braccia intorno al collo e gli accarezzai i capelli così da avvicinarlo a me e per approfondire il bacio. La sua lingua si intrufolò toccando leggermente la mia, dal mio corpo partì una scarica di brividi, era incomprensibile l'effetto che poteva darti quel ragazzo. Prima di lasciarmi respirare mi leccò il labbro inferiore e si spostò a baciarmi lentamente il collo fino ad arrivare alla spalla interrompendosi sostituendo i suoi baci con le parole.

“Odio l'idea che quel tossicomane ti abbia baciata”. Lo disse serio e con tono duro. Era tornato il Tate di sempre, però non volevo che facesse danni.

“Lascialo stare, ti prego. Non voglio che ti faccia altre cazzate okay?”.

Lui mi guardò, e annuì con un po' di esitazione, ma sapevo che se Kurt non avesse fatto nulla, Tate se ne sarebbe stato calmo.

Di Kurt però non me ne importava gran ché perché finalmente avevo di nuovo con me la persona che amavo di più. L'unico problema ancora da risolvere era mio padre.

Note dell'autrice:
SBAM! 
*Me si nasconde dal lancio dei pomodori* Lo so, mi avrete maledetta in questi mesi di assenza e sono completamente d'accordo con voi. Vi chiedo umilmente perdono per questo imperdonabile ritardo (scusate la ripetizione D:), ma se qualcuno è andato a leggere l'avviso che ho lasciato nel mio profilo EFP ho avuto qualche problemino con il computer e ora l'ho risolto quindi tornerò ad aggiornare sicuramente come prima. 
Veniamo al capitolo. Allora, allora, allora fan Violate non gasatevi tanto perchè questo è solo l'inizio e tutto può cambiare quindi questo è solo un regalino per farmi perdonare xD No, vabbè oltre che a questo avevo bisogno anche per la mia salute mentale di far fare pace a quei due u.u Comunque lo ripeto, niente è solo rose e fiori, anche perchè siamo solo al sesto capitolo °-° 
Ultimissima cosa poi vi lascio andare u.u Niente volevo solo dirvi -è la centesima volta che lo dico, ma sopportatemi- che sono davvero contenta che questa storia vi piaccia e che vi stia entusiasmando parecchio, non mi aspettavo un affiatamento simile, tutto questo mi spinge solo ad andare avanti e a fare sempre il meglio. Tutto questo è solo grazie a voi, davvero :') 
Bene, vi ho stressati abbastanza xD
Alla prossima, 
-Giada.

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Capitolo 7
*** Disappointment ***


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Luce. Vedevo tanta luce. Il buio era finalmente scomparso. Sopito.

Tutto mi sembrava che cominciasse ad avere un senso, sentivo qualcosa di diverso dentro di me che era sconosciuto da mesi. Era da troppo tempo che quella sensazione di benessere non albergava nella mia anima, era da troppo tempo che non mi brillavano gli occhi in quel momento, era da troppo tempo che non stavo tra le braccia di una persona che amavo.

Ormai potevo pensare a tutte le cose brutte che aveva fatto, ma io amavo lui, amavo il suo carattere, amavo come si comporta con me, protettivo ma anche dolce. Il modo in cui mi faceva sentire, il modo in cui mi toccava e mi guardava... potevo andare in fiamme per tutto il calore che si scatenava dentro di me. Non capivo come avevo potuto stare lontana da lui per così tanto tempo, senza averlo accanto; mentre ora che era vicino a me era come se non ne potessi fare a meno. Dire che mi scombussolava era poco. Non potevo fare a meno di lui.

Purtroppo però non era tutto rose e fiori, perché appena pensavo alla mia famiglia la pace che avevo svaniva. Soprattutto mio padre non avrebbe mai accettato che avessi perdonato Tate e per lo più che fossi tornata insieme a lui, conoscendolo non mi avrebbe rivolto la parola per mesi; portava ancora rancore nei suoi confronti per tutto il male che aveva fatto alla sua famiglia e non potevo biasimarlo perché anche io provavo gli stessi sentimenti anche se ora come ora li avevo accantonati. Non potevo e non volevo vivere la mia eternità nella rabbia, nello sdegno e nella solitudine.

“A cosa stai pensando?” Tate interruppe il flusso dei miei pensieri; non mi ero nemmeno accorta che era da molto che eravamo in silenzio. Da quando avevamo chiarito le cose, non ci eravamo mai mossi dalla soffitta, o meglio dal letto; per tutto il giorno eravamo rimasti distesi, io appoggiata al suo petto e lui che non smetteva di accarezzarmi. Stavo così bene che non mi sarei mai mossa da lì. “Stavo pensando a mio padre”. Il suo corpo per un brevissimo istante si irrigidì, ma poi tornò rilassato continuando la sua scia di carezze.

“Hai intenzione di riferirgli tutto?”.

Annuii lentamente, pensavo che mi avrebbe contraddetta, ma ancora non conoscevo il nuovo Tate.

“Io ti appoggerò. Devi fare la cosa giusta, senza avere paura che lui ti giudichi; -fece un mezzo sorriso amaro- ma comunque tu sei sua figlia, non potrebbe mai farti questo. Ti vuole bene e non ti farebbe mai del male”.

Eh si, non conoscevo ancora il nuovo Tate. Sei mesi fa mi avrebbe detto che non dovevo parlarne con nessuno, che doveva stare un segreto, eccetera, ma questo nuovo Tate stava cambiando per me, perché mi amava. Meritava una seconda possibilità, non solo da parte mia, ma da parte di tutti; dovevano capire chi era veramente.

“Ho paura” confessai finalmente ciò che albergava in me.

“Di che cosa?”.

Presi un respiro profondo sperando che lui non si arrabbiasse: “Ho paura di rimanere sola”.

Contrariamente a quello che pensavo, Tate mi strinse ancora di più a sé tanto andai a finire con il viso a contatto con la pelle profumata del suo collo e le sue labbra a pochi centimetri dal mio orecchio sussurrarono: “Shh, non devi assolutamente pensare a questo, tu sei una persona speciale e i tuoi genitori non potranno mai lasciarti sola perché non possono perdere una figlia come te, okay!?”.

Non aveva centrato del tutto il bersaglio; aveva capito che temevo di essere lasciata sola anche da mia madre e mio padre, ma...

“Non hai capito. Oltre che aver paura di essere lasciata da loro, ho paura di essere lasciata sola da

te”.

Si staccò da me e di mise seduto con la schiena appoggiata alla testiera del letto e anche io mi misi seduta con le gambe incrociate.

“P-perché dici questo? Ti ho fatto diventare così insicura?”. Parlava velocemente per la preoccupazione, sono stata una stupida a rivelargli la mia paura; i suoi occhi erano diventati timorosi e abbassai lo sguardo per non guardarlo.

“Lascia stare. Ho detto una delle mie cazzate, non pensarci più”. Speravo di bloccare il discorso, ma mi ero dimenticata della determinazione che caratterizzava Tate, non voleva lasciare mai le cose a metà.

Abbandonò la sua posizione per avvicinarsi a me e trovandosi di fronte, con due dita sollevò il mento in modo che potessi guardarlo dritto negli occhi; non ero mai stata capace di esprimere quello che pensavo stando sempre chiusa in me stessa, ma ora che lui mi spingeva a parlare, a chiarire mi sentivo davvero molto nervosa e inoltre non sapevo cosa dire e che parole utilizzare per evitare che fraintendesse.

“Violet, perché hai paura? Dimmelo. Voglio solo capire, non sarò impulsivo”.

Ci pensai un po' su, e decisi di vuotare il sacco visto che non avrei potuto fare niente per cambiare discorso.

“I-io... -non riuscivo a formulare una frase di senso compiuto, ma Tate aspettava paziente- Io ho paura di non essere abbastanza... per te”. Lo avevo detto. Avevo dato voce alla mia più grande paura. Non avevo paura della delusione di mio padre, avevo paura di non essere abbastanza per Tate visto che lui era da tempo il mio unico punto di riferimento. Avevo paura che fosse stato lui a lasciarmi prima o poi, che si stancasse di me, però solo dopo mi venne in mente che forse avevo dei dubbi sui suoi sentimenti. Perché sono così ingenua? Perché?

“Come fai a pensare a questo? Non ti deve nemmeno passare per la testa questa idea Violet! Dopo tutto quello che mi avevi detto cominci ad avere dei dubbi su quello che provo io? Non voglio che pensi questo, voglio che tu capisca che quello che ho provato per te sei mesi fa è sempre lo stesso affetto e amore che provo ora, anzi i sentimenti per sono aumentati rispetto a sei mesi fa. Non potresti essermi d'impiccio o qualunque altra cosa tu possa pensare. Ora che ti ho riavuta indietro non ti lascerò scappare molto facilmente che tu lo voglia o meno. Ti voglio sentire vicina, voglio essere al tuo fianco per sempre, altro non mi serve. Voglio la mia Violet”.

Mia. Ero sua.

Quelle parole mi provocarono una serie di brividi in tutto il corpo, ora che avevo sentito ciò che provava veramente non mi serviva altro. Sono solo una stupida che si fa mille problemi per ogni cosa solo perché ero io quella insicura, ma non riuscivo mai a capire gli altri cosa volevano o provavano perché pensavo sempre e solo a me stessa.

Tate prese ad accarezzarmi la guancia sinistra e fremetti sotto il suo tocco caldo e delicato, la aderii ancora di più al suo palmo abbandonandomi alle sue carezze.

“Mi piace quando ti lasci andare con me”. Quando riaprii gli occhi me lo ritrovai a pochi centimetri dal mio viso, non avevo sentito che si fosse avvicinato a me; con la sua presenza ero totalmente diversa ed era più facile lasciarmi andare.

“Vieni qui, voglio sentirti vicina”. Diretto, senza troppi giri di parole. Aveva bisogno di me ed io non aspettavo altro, volevo solo lui.

 

 

Avevo deciso di parlare con mio padre e mia madre quello stesso giorno, così lasciai Tate a malincuore. Mi aveva chiesto se avevo bisogno di lui, ma negai perché avevo bisogno di chiarire da sola con loro, ma mi aveva promesso che mi avrebbe aspettato in soffitta qualunque cosa succedesse e io mi sentii più sicura.

Ero certa che si trovassero nel seminterrato, così scesi le scale.

“Mamma! Papà!”. Li chiamai, ma non vidi la loro presenza, quindi provai a richiamarli. Nulla. Rimasi per un po' lì sperando che si decidessero a farsi vedere, ma nulla; così a malincuore me ne tornai al piano superiore. Appena feci i primi scalini però sentii la voce paziente di mia madre: “Violet”. Mi girai di scatto e scesi le scale.

“Mamma. -feci una pausa, poi formulai la tanto attesa domanda- Dov'è papà?”.

“Sono qui, Violet” quasi mi spaventai per la sua improvvisa apparizione. Aspettavano solo che cominciassi a parlare, molto probabilmente sapevano già tutto ma ovviamente volevano sentirlo da parte mia. Era solo che avevo tanta paura del loro giudizio e mi pentii di non avere Tate qui a fianco a me a stringermi la mano, lui mi avrebbe dato la forza di parlare, ma ora non c'era e dovevo cavarmela da sola. Presi un respiro profondo.

“P-penso che lo sappiate già, ma per correttezza nei vostri confronti sono venuta per dirvi che ho messo da parte il rancore nei confronti di Tate e che sono tornata con lui”.

Silenzio. Nessun respiro, ci guardavamo. Erano quei silenzi così pensanti ed imbarazzanti che non si riuscivano a sopportare e si sperava che finissero il più velocemente possibile. Ma questo non sembrava finire mai, ed io ero indecisa se parlare oppure aspettare una loro risposta.

Optai per la prima.

“Allora? Non avete nulla da rimproverarmi o semplicemente non avete niente da dire? Vi prego ho bisogno che mi dite qualcosa!”.

Niente. Nessun muscolo si era mosso, quindi decisi che era totalmente inutile quello che avevo fatto e mi decisi ad andarmene, ma come se volessero farmi soffrire, mio padre parlò.

“Hai fatto uno sbaglio Violet. Dopo tutto quello che ha fatto, lo hai perdonato. Ha fatto del male a te e che fai? Lo perdoni. Ha fatto del male a tua madre e gli perdoni anche quello. Tu. Non. Sei. Mia. Figlia”. Lo disse scandendo ogni parola, come se volesse che quella frase entrasse e non uscisse mai più dalla mia testa. Proprio in quel momento mi sentii cadere in un vortice di sofferenza, lo avevo deluso e non ne voleva sapere di me, ero nessuno per lui e potevo anche non farmi vedere per mesi, ma a lui non gliene sarebbe fregato nulla di me.

“BEN! Ma cosa? Tu non sai quello che stai dicendo!” Era mia madre che mi stava difendendo? Allora non si aspettava neanche lei un reazione di questo tipo.

Ma non me ne importava più di tanto, li avevo delusi e loro non potevano farmi scegliere tra la mia famiglia e Tate, non sapendo quanto quest'ultimo mi sia stato di aiuto per me stessa. Ora volevo definitivamente andarmene da lì visto che non ero ben voluta, inoltre non volevo piangere davanti ai loro occhi. Avevo bisogno di una sola persona in quel momento, e quella persona -l'unica che poteva veramente capirmi- era in soffitta ad aspettarmi.

Salii velocemente le scali, intanto le lacrime avevano cominciato il loro percorso sul mio viso e ci sarebbero rimaste per un bel po'. Raggiunsi la soffitta e appena apparii alla visuale di Tate, lui mi corse incontro e mi abbracciò stretta a sé in modo talmente forte che un essere umano avrebbe faticato a respirare.

Mi prese in braccio e mentre io continuavo a piangere lui all'orecchio mi sussurrava frasi per consolarmi anche se non servivano a molto; mi portò sul letto e si distese accanto a me per tutto il tempo senza neanche lamentarsi delle troppe lacrime o dei troppi singhiozzi. Era paziente, era comprensivo come avrei voluto che lo fosse stato anche mio padre.



Note dell'autrice:
TADADADAAAAN! Sì sono ancora viva u.u Scusate nella poca velocità nell'aggiornare, ma i professori in questo periodo sono abbastanza sadici e vogliono far sgobbare noi studenti ç_ç. 
Coooomunque, passando al capitolo... beh che dire uno più depresso dell'altro LOL. Era ovvio che non potevo far andare tutto rose e fiore per più di un capitolo e inoltre questo è solo l'inizio delle catastrofi xD Ma d'altronde non è colpa mia se amo le storie così -o forse un po' sì u.u-. 
Allora come trovate il nuovo Tate comprensivo e aperto nei confronti di Violet? Ovvio che non ho cambiato interamente il suo carattere perchè è per il suo carattere un po' stronzo che sono caduta ai suoi piedi (okay forse sto esagerando ._.). Quindi state all'erta! 
Per quanto riguarda la reazione di Ben, lascio a voi i commenti. 
Cambiando argomento, in realtà non è che cambia molto, volevo comunicarvi che FORSE comincerò un'altra storia Violate. Non ho ancora nulla di scritto, ma è tutto nella mia testolina quindi non so quando comincerò anche perchè devo vedere se i professori sadici ci daranno qualche respiro xD 
Vabbene, vi lascio. 
Alla prossima, 
-Giada.

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