Filosofia adolescenziale

di Lonely_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontri ***
Capitolo 2: *** Intrighi ***
Capitolo 3: *** Agonie ***



Capitolo 1
*** Incontri ***


Filosofia adolescenziale









1. Incontri






A che si può pensare nell’età migliore della propria vita? A cosa se non ai problemi di tutti i giorni, quei piccoli, futili litigi familiari od amichevoli, che sempre e comunque si concludono in giornata? A nulla. A meno che non si sia più acuti e più coscienziosi d’altri. A meno che non si pensi in grande. A meno che non si abbiano progetti già fatti e finiti, con più persone, persino. A meno che non ci si sia cacciati in guai troppo grandi per essere risolti da soli. Guai che portano lentamente alla disperazione.
Mi ritrovo più nella seconda descrizione, francamente. Seppure avrei preferito la prima. Ma, ormai, è tardi per fingersi stupidi. È tardi per mentire ancora. Bugie sopra bugie. Che stanchezza. Lo stress ti avvolge e non ti fa più respirare. Diamine, che vita...
Però dovrei iniziare dall’inizio, così magari si riuscirebbe a capire qualcosa in questo garbuglio di sentimenti ed episodi ininterrotti. Probabilmente non ci si capirà nulla uguale, ma magari chi si trova in situazioni simili potrà donarmi sostegno. Oppure si metterà a ridere.
Mi chiamo Oscar, sono un ragazzo di quattordici anni, compiuti giusto qualche mese fa. Non faccio la vita che dovrei; non perché sia alcolizzato, drogato o che altro. Piuttosto perché sono troppo sensibile e fragile. Così tanto da non riuscire a dire di no a nessuno. Non più.
Sono nato in un paesino di campagna, ho vissuto con solo i sogni come compagni di giochi. Sogni di posti migliori, di gente migliore. Sogni che sempre sono rimasti tali da allora.
Non sono mai stato in ottimi rapporti con tutta la mia famiglia; ma d’altronde chi lo è? Ho sempre conosciuto poco mio padre, è un uomo riservato e poco affettuoso. Il tipo che si prende cura del figlio solo, e pure di malavoglia, quando si ammala ed è troppo piccolo per badare a sé stesso. A differenza di mia madre, che si è sempre fatta in quattro per me. Mi ha spronato, aiutato, sostenuto; in molteplici situazioni è stata la mia miglior compagna e la mia amica più cara. Finché non ho cominciato a sbagliare. Sbagliare... Secondo lei.
I miei tempi felici si conclusero il giorno che iniziai la terza media. Giorni di cenere si stendevano lungo l’inizio del nuovo ciclo scolastico, l’ultimo in quella specie di caserma che mi era persino al civico affianco. I primi giorni erano monotoni, noiosi, come tutti quelli iniziali, insomma. Ma v’era una variante: nel gennaio dell’anno precedente, avevo conosciuto un giovane su un sito di scrittura. Pubblicavo allora storie per sfogo personale, bozze di romanzi che non sarebbero mai stati conclusi. Ed egli, benché non vi fosse assolutamente nulla di simpatico e/o particolarmente interessante in tutto quel pastrocchio di parole, quasi gettate alla rinfusa, aveva commentato positivamente, incoraggiandomi a scriverne altre. Non ne scrissi altre. Ma lo volli conoscere meglio.

[ Da: BlackAsNight123 ]

Ciao! Sono contento che ti sia piaciuta la mia storia, sarei lieto di conoscerti meglio. Che ne dici? Hai msn?

[ Da WhiteAsSnow321 ]

Sì! Ecco il contatto: WhiteIsTheBest123@hotmail.it. Anch’io voglio conoscerti meglio! Sei bravissimo a scrivere!

Ammetto che mi è sempre piaciuto crogiolarmi nei complimenti. Benché abbia sempre fatto il modesto, sono a conoscenza del mio talento. Perciò adoro sentirmi elogiare nella maniera in cui fece quel giovane. Chiacchierando venne fuori che anche lui aveva dodic’anni. Il suo nome era Roberto, ed era il ragazzo più femminile che avessi mai incontrato. Eppure viveva all’altro capo della nazione, al Nord. Non ho mai sopportato quei damerini, io che sono del centro. Ma lui faceva una meravigliosa eccezione. Era gentile, dolce, sensibile almeno quanto me se non di più; un piccolo fiorellino in procinto di sbocciare per rivelare al mondo le sue meraviglie. Assieme scoprimmo lo yaoi*, che ci aprì innanzi un intero mondo. Ci piaceva vedere due ragazzi che avremmo potuto essere noi amarsi contro tutti i pregiudizi altrui. Adoravamo quelle storie complesse attraverso cui si sviluppavano gli intrighi dei protagonisti. Cercavamo sempre nuovi video, che si spingevano sempre più in là. Così tanto da finire per legarci. Ma nulla di decisivo accadde sino all’estate successiva, quella per l’appunto che precedeva l’inizio della terza media. Scoprii che quel ragazzo mi aveva catturato. Ogni qual volta vedevo le sue foto avvertivo il cuore martellarmi il petto, mi mancava il respiro. E sentivo un inquietante calore fra le gambe. Nessuno mi aveva mai provocato quelle emozioni, eccetto una ragazza che in tutti i modi tentavo di dimenticare per le sue azioni crudeli e gelide nei miei confronti, di cui narrerò in seguito.
Un giorno d’inizio settembre gli telefonai per la prima volta. Aveva una vocina tenera e dall’accento differente dal mio. Parlava con tutte le vocali chiuse. Lo trovai dolcissimo. Parlammo così tanto che rammento finii tutti i soldi nel cellulare. Parlammo di cose assurde, sciocchezze perlopiù. Ma mi resi conto di amarlo in quel periodo.
A distanza d’un mese, durante una delle nostre giornaliere telefonate – sì, ormai era divenuta un’abitudine telefonarsi tutte le sere -, gli dissi che l’amavo. Lui rimase in silenzio e, dopo una lunga pausa, mi salutò. Il mattino successivo mi scrisse in un messaggio che anche lui mi amava. Lì iniziò la mia rovina.

- Come mai passi così tanto tempo al telefono e al computer? Non esci più con noi, ormai! Insomma, Oscar! Cos’ha quel ragazzo di così speciale? Noi ci conosciamo da tre anni, non può essere più importante! – Esclamò il mio amico Valentino durante una delle nostre passeggiate. Eravamo soliti uscire io, lui e Marco, un altro compagno di classe. Si lamentava poiché li liquidavo spesso per tornare a casa e sentire Roberto.
- Beh, lo amo! Lo amo, okay? E stiamo insieme. – Dissi io tutto d’un fiato, lo sguardo puntato a terra, le guance rosse. Lo sgomento s’impadronì del viso dei miei due amici.
- Ma non è possibile stare insieme a distanza! – Commentò Valentino, sfoggiando un sorriso di scherno, gettando un’occhiata a Marco in cerca di conferma; che non trovò.
- Noi ci stiamo. Ed è per questo che ogni volta torno a casa presto e poi mi vedi al pc. L’amore è differente dall’amicizia, no? – Osservai io, alzando lo sguardo ai due, che mi fissavano quasi fossi un animale selvaggio rinchiuso in gabbia per sicurezza pubblica. Mi ci stavo abituando, a certi sguardi.
- Okay. A noi- cioè, a me, sta bene. Però mi piacerebbe che ce lo dicessi, invece di inventare scuse tutte le volte. – Mormorò Marco, guadagnandosi uno sguardo sbalordito da parte di Valentino, che sperava invece di potermi attaccare senza riguardi. Sorrisi. Mio malgrado quel giovane era un gioiello.
- Hai ragione. Perdonatemi. È che non sapevo come dirvelo, avevo paura della vostra reazione. Solo questo. – Confessai, tornando ad arrossire. Perché diamine era così difficile dire una cosa del genere?!
- Beh, non dovevi. Noi ti vogliamo bene, vero Valentino? E ti sosterremo sempre. Cioè, quando quello che hai deciso o stai per decidere è giusto e non ti farà del male, ecco. – Mi tranquillizzò Marco, sorridendomi anche lui, tirando una gomitata a Valentino, che se ne stava in silenzio.
- Allora, Vale? È così anche per te? – Domandai inclinando il capo, mantenendo intatto il sorriso.
- Non chiamarmi Vale, sai che non mi piace. E comunque sì, è ovvio che sia cos– Non fece in tempo a concludere la frase che li abbracciai entrambi, maledicendomi per la mia stupidità. A volte c’è bisogno di qualcuno di cui fidarsi. Ed io li avevo appena trovati.

- Quando devi metterti al telefono? Devo chiamare zia... – Chiese mia madre, gettando un’occhiata allo schermo del pc dove figurava la mia chiacchierata con Roberto; mi sbrigai a far apparire l’innocua finestra di Google.
- Alle otto, come sempre. – Risposi voltandomi e gettandole un’occhiataccia, eloquente segno che poteva tornarsene agli affari suoi. Lei rimase ancora un po’ a fissare lo schermo e poi annuì, allontanandosi. La mia pena è che il mio computer è sempre stato nella camera dei miei, poiché la mia è minuscola ed a malapena ci sto io.
Tornai a parlare con Roberto, sorridendo ebete senza nemmeno rendermene conto. Stavamo parlando delle rispettive famiglie. Nessuno dei due vi andava molto d’accordo. La prima cosa che mi raccontava sempre quando ci incontravamo in chat era che aveva litigato coi suoi. Immaginai non fosse gente molto dialogativa. Avevo avuto modo di salutarli una o due volte che avevano risposto al telefono. Anche loro avevano l’accento strano di Roberto.

- Pvonto? -
- Pronto, buona sera, c’è Roberto? –
- Sì, glielo passo subito... Ma chi lo cevca? –
- Sono un amico, mi chiamo Oscar. –
- Oh, capisco. Bene, avviva subito. –

La ‘r’ moscia era un elemento che li caratterizzava. Assieme alle vocali chiuse. Che accento strano, mi ripetevo. Ma era tanto carino.
Gettai un’occhiata all’orologio del pc. Segnava le otto in punto. Salutai tutti gli altri compagni di chat e mi alzai dalla sedia, correndo in camera. Composi il numero, che aveva un prefisso differente dal mio, ed attesi. Uno squillo. Due squilli. Lo scatto del telefono che viene alzato.

- Pvonto? -
- Ehi, Robbie... –
- Ciao Oscav! Aspetta che chiudo la povta... –
- Sì. – Vari rumori dall’altro capo del filo. Poi un rumore di lenzuola che vengono scostate.
- Oh, ecco. Ciao! Come stai? –
- Tutto bene, grazie. Te? Che facevi prima che ti chiamassi?
- Ma niente, niente di che... Tu? –
- Pensavo a te... –
- Che dolce che sei... Anch’io. Ti penso sempve, sai? –

Le nostre telefonate erano per la maggiore così. Scambi affettuosi di parole dolci. Ero divenuto così romantico in quel periodo, che tutti a scuola mi davano del gay; il che non si allontanava molto dalla realtà. Benché non guardassi altro ragazzo che non fosse Robbie.
Le cose a scuola non filavano molto lisce. A matematica avevo lacune immense, da cui non riuscivo a venir fuori in nessun modo. E si avvicinava gennaio. Il pagellino già era andato uno schifo. A parte il nove ad arte, il resto era davvero da non invidiare. A matematica avevo quattro. In pagella che sarebbe diventato, quel voto? Dovevo darmi una mossa e mettermi d’impegno. Cosa che, nella mia vita, raramente avevo fatto. Ed infatti, non lo feci nemmeno allora.
Arrivò Natale. Poi capodanno. Ed il primo giorno del nuovo anno, conobbi il mondo delle role**. Iniziai con il profilo del personaggio che io e Robbie più amavamo nel nostro anime preferito. A distanza di quattro giorni creai un nuovo personaggio, un OC***. E conobbi due ragazzi che come me ruolavano dei personaggi di quell’anime. Erano due giovani più grandi di me. Uno aveva tre anni in più, l’altro ne aveva uno ma siccome li compiva a marzo, sembrava ne avesse due in più. Entrambi erano molto simpatici e mi colpirono nel profondo. Quello più grande si chiamava Claudio, l’altro Christian. Anche loro abitavano lontano da me. Il primo nella regione affianco alla mia; l’altro giù al Sud, molto fuori portata. Con entrambi andavo molto d’accordo. Ma non seppi come mai, al più grande dissi di essere una ragazza. Volevo attirare la sua attenzione. Non sapevo perché. Non allora, almeno.

Tizio scrive: come ti chiami?
Caio scrive: Luisa, tu?
Tizio scrive: ah, sei una ragazza? io Claudio.. non avevo mai incontrato nessuna ragazza che ruola, a dire il vero ci spero sempre che siano femmine ma alla fine son tutti maschi, mi deludono x)
Caio scrive: Immagino... Beh, allora io non ti ho deluso :)

Ecco, forse non volevo deluderlo. Per quello mentii spudoratamente. Cioè, okay la mia femminilità, ma una ragazza non sembravo per nulla, nemmeno via web! Ma già cominciava la mia debolezza riguardo gli altri. Prima veniva sempre la mia opinione, di solito. Ed invece da quel momento tutto iniziò a cambiare. E se dico tutto, intendo tutto.


~


Dizionario time:

*Yaoi: Con questo termine si indica una relazione in anime o manga fra due o più ragazzi; comunque relazioni gay fra individui di sesso maschile.
**Role/ruolare: Interpretare un personaggio di anime, manga, libro, film o qualsiasi altro tipo di finzione, fingendo di essere lui e mettendo fra asterischi le azioni che compie in terza persona.
***OC: Original Character; personaggio originale.



Ringrazio tutti i coloro che sono giunti fin qui a leggere. Sono contenta di avervi intrattenuti così tanto, wow. Premetto che questa storia è scritta principalmente come sfogo, non ho idea se piacerà o meno. Diciamo che avevo semplicemente voglia di scriverla. Per favore, lasciate un commento, anche futile o altro. Mi farà piacere sapere cosa pensate di questa storia (:

Al prossimo capitolo, se lo scriverò~

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Capitolo 2
*** Intrighi ***


Filosofia adolescenziale

 
 
 
 
 


2. Intrighi
 
 
 
 
 
 
A gennaio di quello stesso sfortunato anno, peraltro appena iniziato, venni a conoscenza della probabilità di un campo scuola. La meta, cosa che mi parve tanto assurda da farmi dubitare dei miei medesimi sensi uditivi, era la città in cui risiedeva Robbie. Ma il punto era che la maggior parte della classe non voleva andarci, poiché era lontano, costava troppo e c’era stata una divisione fra i compagni, il che portava ad essere molto scontrosi e poco rispettosi l’uno verso l’altro. Fatto sta, che si decise che il campo scuola non si sarebbe fatto.
La mia tristezza era paragonabile, in quel periodo, solo alla marea di compiti che ogni giorno mi assegnavano ininterrottamente. La professoressa d’inglese ce l’aveva con me poiché ero un fan accanito di Wilde e la tormentavo, implorandola di farmelo portare all’esame sulla tesina; ma lei insisteva, sbraitandomi contro che non era presente nel programma e che quindi non mi era possibile trattare di lui. Quanto avrei voluto darle fuoco, a quella megera.
Ma non era l’unica a darmi problemi: la professoressa di matematica era una vera incapace, non sapeva spiegare e poi ci lanciava contro verifiche su verifiche, nelle quali tutti, e se dico tutti vuol dire tutti, non riuscivamo mai a prendere più di un cinque regalato. Io ero fra i peggiori: non classificato, addirittura. Ma era troppo severa coi giudizi. In fondo, mi pareva d’impegnarmi abbastanza nel calcolare tutto quel pasticcio di numeri e simboli astratti. Eppure a lei non bastava, evidentemente.
A parte la situazione scolastica, quella con Roberto filava liscia. Tutte le sere, dalle otto alle dieci, parlavamo al telefono. Ci raccontavamo cos’avevamo fatto nella giornata, le rispettive arrabbiature riguardo i genitori, la scuola, gli amici o che altro. Rendevamo noto l’un l’altro gli incontri fatti e i posti visitati. Era una specie di identikit giornaliero reciproco. Ed una volta concluso, si passava alle dolcezze.
 
- ... E nulla, alla fine non ci sono uscito perché ero troppo stanco. Quella di inglese esagera, diamine! Vedessi tu quante cose ci dà da tradurre! – Esclamai stancamente io, agitando una mano, anche se Robbie non poteva vedermi.
- Immagino, puve quella di Fvancese fa così. Pensa che pev domani avevo cinque pagine di testo da copiave e traduvve! Una cosa assuvda... – Commentò, accompagnando l’affermazione con un sospiro. Siccome quell’argomento non mi interessava, passai ad altro. Adoravo sentirlo imbarazzarsi, quindi iniziai a fargli i complimenti.
- Comunque oggi, al pc, guardavo di nuovo le tue foto... Te l’ho mai detto quanto siano invitanti le tue labbra? E quanto mi piacerebbe accarezzarti il collo? – All’altro capo del telefono udii dei versi di sorpresa; li faceva sempre, quando dicevo qualcosa d’inaspettato. Così tenero, era!
- S-sì... Me l’hai detto... – Articolò imbarazzato dopo qualche secondo.
- E ti ho detto quanto vorrei lasciar impresso il calco dei miei denti su quella pelle di porcellana? – Sussurrai col tono più sensuale possibile. Non ero abituato a parlare in quel modo, a dire il vero; ma siccome nei film funzionava...
- Mh... Oscav... – Il fatto che non sapesse pronunciare il mio nome rendeva il tutto ancora più tenero.
- Sì? – Mormorai, sorridendo con malizia senza nemmeno rendermene conto.
- N-niente... Ti amo... – Sentirglielo pronunciare con quella vocina imbarazzata era la cosa più soddisfacente del mondo.
 
Le nostre telefonate a tratti continuavano, spingendosi sino alle dieci e mezza al massimo; non perché avessimo sonno o ci importasse delle nostre condizioni il giorno successivo. Più che altro perché le rispettive famiglie ci urlavano contro dopo quella soglia d’orario, che era anche piuttosto avanzata.
Mentre la mia anima veniva lentamente catturata pezzo per pezzo da Robbie, la mia mente si trovava continuamente ad avere a che fare con giovani di tutti i tipi. Col mondo delle role incontravo una miriade di ragazzi e ragazze al giorno, quasi tutti coetanei. Chiacchieravamo del più e del meno, ma intanto conoscevo sempre più Claudio e Christian.
 
Crì scrive: Non credo che andare avanti con la storia di loro che stanno in casa sia ancora stimolante... Li facciamo andare per negozi? xD
Oscar scrive: Sì dai xD Anche se credo che un ragazzo che va in giro con un bambino, inoltre senza somigliargli, potrebbe essere preso per un pedofilo ._.
Crì: Ma no! Al massimo sembrerà un baby-sitter xD
Oscar: Allora vedremo xD Comunque perché non parliamo un po’ di te? Ce l’hai un real*?
Crì: Uhm, sì... Ma come mai vuoi vederlo?
Oscar: Per vedere la tua foto, no? Ecco, questo è il mio...
 
Dopo aver visto per la prima volta la sua foto, dire che rimasi abbagliato è veramente poco. Christian era di una bellezza folgorante: Capelli color paglia, occhi verdi con riflessi azzurri e dorati, viso delicato, pelle d'avorio, corpo esile e viso tenero. In vita mia non avevo mai trovato nessuno che corrispondesse così perfettamente alla mia idea di un essere sovrannaturale. Ed in effetti fui tentato più volte, anche in seguito, di domandargli se fosse davvero un essere umano come me. Poiché non mi consideravo grandioso quanto lui.
Christian aveva un carattere mite e principalmente freddo. Evitava sempre di mostrarmi le sue emozioni ed era per me molto difficile comprendere cosa pensasse. Anzi, il più delle volte nemmeno tentavo di capirlo. La cosa che però maggiormente mi cambiò, fu che gli piacevano particolarmente i personaggi sadici e spietati, quelli che però al contempo erano buoni dentro, che portavano quella maschera di crudeltà per abitudine o difesa. E decisi di provare anch’io.
Dal silenzioso e riservato ragazzo che ero, in poco tempo divenni vanitoso, superbo, strafottente e menefreghista. E mi accorsi che in quel modo, attiravo la gente almeno tre volte di più di quanto avessi fatto precedentemente. Anche Robbie mi preferiva così, seppure risentisse parecchio del cambiamento poiché era parecchio evidente.
 
- Senti Oscav, volevo chiedevti una cosa, posso? -
- Certo, dimmi... – Di solito, quando dicono così, sta per finire il mondo, pensai.
- Ti tvovo cambiato, sai? Da quando ti ho conosciuto, l’hanno scovso. Pevò vecentemente, fino al mese scovso non evi così... – Spiegò con tono pacato, un tono che possedeva però una nota d’inquietudine che avvertii ugualmente.
- Cambiato... In bene? – Chiesi, terrorizzato all’idea che un mio cambiamento potesse allontanarlo. La risposta fu immediata.
- Cevto! Solo che io... Ecco, io... Non cvedo ti faccia bene, Oscav. – Commentò poi, in tono fermo.
- Ma non mi faccia bene, /cosa/? – Sottolineai, aggrottando la fronte. Robbie fece una pausa.
- Fave così, tutto il sapiente, il vanitoso... Io pvefevivo pvima, quando eri insicuvo di tutto. – Arriverò a parlare in seguito del periodo in cui mi legai particolarmente a Roberto, durante l’estate che precedeva la fine delle scuole medie.
- Ah sì? Quando piangevo come una femminuccia per qualsiasi cosa? Quando ero così chiuso in me stesso che il mondo fuori mi pareva un film horror? Preferivi così?! – Sbraitai, forse in maniera troppo rude. Robbie esitò al lungo, prima di proferire nuovamente parola.
- No, non intendevo questo. Io volevo dive che- Non lo lasciai concludere. Ero troppo arrabbiato.
- Che cosa?! Robbie, lo capisci che stavo male? Ero sul punto di deprimermi, di dire addio a tutto e a tutti! Davvero preferivi quando ti chiedevo ogni due minuti di tranquillizzarmi, di ripetermi che mi amavi?? –
- No! Non prefevivo questo, cvetino! Intendevo dive che così non ti vendi più conto delle pevsone che hai affianco! Non sai più capive cosa pvovano! Pensi solo a te stesso, Oscav! – A quelle parole rimasi io in silenzio diversi secondi. Poi sospirai.
- Basta, non ho più voglia di parlare. Buona notte. – Mi congedai rapidamente. Senza attendere la sua risposta riattaccai il telefono, rimanendo poi al lungo a fissarlo. Dopo qualche minuto scoppiai a piangere, soffocando i gemiti nelle coperte. Era il primo di una lunga serie di litigi.
 
A distanza di due mesi, alla fine di febbraio, a scuola arrivò una notizia. Si era riusciti ad accontentare la parte della classe che voleva andare in campo scuola poiché un’altra classe era in soprannumero ed andava a compensare quelli mancanti da noi. Quale fu la mia gioia nell’apprendere la notizia è indescrivibile. Di quel giorno rammento solamente gli sguardi felici di Valentino e Marco, che continuamente scrutavano la mia reazione; rammento che scrissi innumerevoli volte sul diario, sui quaderni e sui libri i giorni che mancavano al campo scuola; rammento che appena uscito da scuola telefonai a Robbie, e che lui reagì esattamente allo stesso modo; rammento che quella sera, parlando al telefono, pianificammo di tutto e di più. Ero così felice, così felice che finalmente le cose girassero nel verso giusto. Tutto mi pareva incredibilmente surreale, non riuscivo più a pensare razionalmente. La mia mente era assopita dalla gioia più totale, mia madre quasi non mi riconosceva.
Quello che non sapevo è che avrei dovuto godermi molto di più quelle giornate monotone in cui il tempo pareva rallentare solo per farmi dispetto; quei giorni tutti uguali in cui nulla contava; quelle ore interminabili in cui immaginavo me stesso ad assaporare le labbra di Robbie, accarezzandolo come avevamo immaginato tante volte. Dovevo godermeli. Perché una gioia del genere, non l’avrei provata mai più.
 
 
Dizionario time:
 
Real: Nel linguaggio delle role, indica il profilo reale del player (colui che interpreta il personaggio).
 
Ohw, sono contentissima d’aver attirato così tanti lettori, finalmente mi sento soddisfatta *w*. Sì cari, mi avete convinta, andrò avanti con lo scritto ù.ù
Seguitemi, mi raccomando. Fra poco entriamo nel vivo della storia!
A presto, ricordatevi di commentare ;)

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Capitolo 3
*** Agonie ***


Filosofia adolescenziale









3. Agonie





Durante il mese in cui ci stavamo preparando tutti mentalmente al campo scuola, ero così irrequieto che chiunque avesse avuto a che fare con me per più di dieci minuti, certamente dopo avrebbe avuto brutti e gravi riscontri fisici. Tutti continuavano a ripetermi che non mancava molto, i giorni sarebbero trascorsi in fretta. Invece a me pareva che tutto e tutti rallentassero per farmi dispetto. Quando uscivo per passeggiare, i mezzi pubblici che ritardavano mi strappavano innumerevoli imprecazioni; se andavo a fare la spesa, il signore o la signora davanti a me era sempre troppo lento e finivo per strillargli contro; se Marco o Valentino facevano tardi per incontrarci, si beccavano insulti. Non ero quasi umano. Ogni secondo avevo una crisi di nervi.
Poi, il settimo giorno di quel mese arrivò. E con esso arrivò la partenza per la città di Robbie.
- Oddio... Quando cazzo arriviamo? – Mi domandava ininterrottamente Marco, seduto affianco a me nel pull-man, mentre la meta prevista mi pareva allontanarsi di più ad ogni secondo.
- Non lo so. Non lo so, porca puttana. – Rispondevo io, fissando il cellulare come aspettassi qualcosa di differente dalle innumerevoli chiamate di mia madre per chiedermi a che punto stavamo.
Per tranquillizzarci, siccome il viaggio durava dieci ore contate e tutti nel pull-man erano estremamente nervosi, ci misero un film: Benvenuti al Sud*. Mai pellicola fu più demotivante. Per fortuna non era il contrario, per il protagonista. Mi domandai se anche Roberto, quella volta che era venuto nella mia città in visita prima di conoscermi, avesse fatto in quella maniera.
Finalmente arrivammo nella sua città. La differenza con la mia era incommensurabile. Benché in certi punti somigliasse vagamente ad alcuni quartieri residenziali.
Con Robbie ci eravamo messi d’accordo che l’avrei chiamato per fornirgli il nome dell’albergo, la via e l’orario in cui sarei arrivato. Fatto sta che arrivammo tipo mezz’ora prima. Dunque mi sbrigai ad avvertirlo, col cuore che minacciava d’uscirmi dal petto per finirmi tra le mani.
Quello che doveva essere chiamato ‘albergo’ era in realtà un motel d’infima categoria, con camere da due persone, con letti nemmeno matrimoniali, spazi estremamente ristretti e vista dalla finestra orripilante. Non che di solito badassi a dettagli del genere, ma era comunque traumatizzante, dopo che l’anno prima eravamo stati, al campo scuola, in un hotel a quattro stelle con comfort d’ogni genere.
Mentre tutti correvano per le camere altrui per constatare se erano differenti o uguale alla propria, io me ne stavo davanti alla finestra, fissando la strada sottostante ed immaginando che tutte le macchine che passavano erano quelle dei genitori di Robbie. Con lui nel frattempo ci scrivevamo ogni due per tre.
 
Robbie scrive:
 
Senti, ho paura... Ho paura di non essere come immaginavi, ho paura di deluderti...
Risposta:
 
Tu non potrai mai deludermi, non dire sciocchezze ;) piuttosto ho paura io...
 
Scrivevamo cose simili a raffica. Mi veniva da piangere senza motivo ma non potevo farlo, nella mia stanza c’era un via vai continuo di gente che, come detto in precedenza, voleva constatare se la mia fottuta camera era uguale alla loro.
Finalmente Robbie mi scrisse che era davanti all’albergo. Corsi in fretta e furia le scale che mi separavano dal piano terra, rischiando più volte di cadere faccia avanti o peggio. Arrivato alla hall mi piazzai davanti all’entrata e mi sistemai innumerevoli volte la giacca, i capelli e tutto ciò d’immaginabile. Poi lo vidi. Chiaro e limpido come il riflesso in uno specchio. Quel riflesso che avrei visto solamente in seguito. Era lì, davanti a me. Non era una foto. Non era una videochiamata. Era lì, proprio lì. Entrò correndo e mi abbracciò energicamente, rischiando di soffocarmi.
 
- Sei davvero qui...? – Sussurrai timoroso, accarezzandogli i capelli con le mani tremanti.
- Miao! – Rispose in un tenero mormorio che potei udire solo io.
 
Salutai i genitori in fretta e furia, senza calcolarli più di tanto. Poi ci sedemmo su un divano posto lì affianco. Non accennavo a lasciare la mano di Robbie per nessun motivo. Come se fosse il mio ultimo appiglio innanzi un baratro che mi ero costruito da solo.
Dopo aver chiacchierato indefinitamente di cose che non rammento coi suoi genitori, proposi di far salire un momento Robbie in camera mia, per mostrargliela; benché i suoi protestassero, alla fine lo convincemmo. Imboccammo le scale poiché entrambi gli ascensori erano occupati, salendole con una fretta prossima alla frenesia. Le sue scarpe facevano un rumore simile a quello dei tacchi di legno.
 
- Ma che cazzo di scarpe hai? – Domandai a un tratto, sorridendo divertito ed euforico. Passando innanzi una porta a specchio notai che le guance mi ardevano come braci.
- Non lo so, me le ha messe mia madve... – Rispose lui, nervosamente, stringendomi forte la mano.
Senza pensare più a nulla, gli presi il viso con una mano e gli lasciai un bacio sulle candide labbra, socchiudendo gli occhi. Lui, dopo un momento d’incertezza, rispose prontamente al bacio, lasciandosi sfuggire un flebile gemito di sorpresa e forse gioia.
- Su, andiamo, in camera possiamo stare tranquilli... – Gli proposi, staccandomi di malavoglia dalle sue morbide labbra, la cosa più deliziosa che avessi mai assaporato. Lui annuì sorridente e continuammo a salire le scale. Passammo in mezzo a tutti i ragazzi che facevano via vai per le stanze, la mia era la terzultima del corridoio. Ci tenevamo stretti la mano, sorridendo ebeti. Non ci sembrava vero di essere assieme.
Arrivati alla mia camera bussai energicamente più volte, sospirando con fare nervoso ogni secondo che non aprivano. Quando finalmente lo fecero mi lasciai sfuggire un ‘era ora’ e mi gettai nella stanza assieme a Robbie. Velocemente lo presentai a tutti quelli nella stanza, erano di più poiché, non so chi, aveva invitato tutti gli altri della nostra classe. Gli intimai di sloggiare e, dopo due o tre minuti, finalmente se ne andarono. Gettai un timido sguardo a Robbie, avvicinandomi a lui lentamente. Gli posai una mano sul volto, specchiandomi nei suoi occhi scuri, e lo baciai nuovamente, stringendolo forte a me. Lui ricambiò, accarezzandomi i capelli. Rammento che desiderai che quel bacio non avesse mai fine. Cosa che invece avvenne poco dopo, qualcuno gli stava telefonando insistentemente. Rispose con fare scocciato. Era sua madre che ci diceva di tornare giù. Entrambi sospirammo, a chiamata conclusa, e ci guardammo in silenzio.
- Mi dispiace... – Sussurrò dopo un po’, sorridendo impacciato. Ricambiai il sorriso e mi alzai, prendendo due quaderni dal tavolo. Glieli porsi allargando il sorriso.
- Sono i quaderni di cui ti parlavo... – Spiegai, notando con quanto interesse li sfogliasse. Mentre attendevo di andare al campo scuola avevo iniziato a scrivere un quaderno, sfogandomi la mia ansia e il mio nervosismo. In più, assieme a quello, portai a Robbie anche un quaderno pieno di bozze, storie sui nostri personaggi, quelli che ruolavamo, che a lui piacevano tanto. Adorava come scrivevo, me lo ripeteva sempre. Così avevo pensato che gli avrebbe giovato avere qualche mia bozza originale di qualche futuro romanzo o chissà che altro.
- Gvazie, sei stato molto gentile... – Disse dopo un po’, alzando nuovamente a me lo sguardo. Ci alzammo e ci avvicinammo allo specchio che stava in camera. Sorridevamo entrambi, non avevamo smesso da quando ci eravamo toccati il primo istante. Vederci assieme in uno specchio faceva uno strano effetto.
- Ah! Quasi dimenticavo... – Esclamai qualche secondo dopo, tirando fuori da una tasca un piccolo anello. Lo infilai all’anulare sinistro di Robbie, constatando che, grazie a Dio, era della sua misura. Lui, sempre più sbalordito e al contempo compiaciuto, lo rigirò fra le mani, estasiato da tanti regali. Poi fummo costretti a tornare di sotto, la madre lo tempestava di telefonate. Mentre eravamo nell’ascensore, siccome non avevo assolutamente voglia di salutarlo benché c’era la possibilità, quasi una certezza, che ci saremmo rivisti anche il giorno successivo, premetti tutti i tasti a caso, prenotando i vari piani, ed intanto lo addossai a una parete dell’ascensore, baciandolo amatamente sul collo, mordendolo a tratti. Lui mi assecondava, gemendo a ogni sfioramento. La cosa divertente era che a qualsiasi piano l’ascensore si fermasse ci staccavamo prontamente, tornando in posizione naturale. Alla fine, per errore, premetti il piano terra e fummo costretti a uscire.
- Oh, eccoli! – Esclamarono i genitori di Robbie, alzando le braccia quasi fosse accaduto un miracolo. Mi domandai che razza di idea avessero di me.
Una volta tornati da loro, mi porsero una busta contenente un libro sulla città di Robbie e una sciarpa simile a quella che portava al collo. Ringraziai solarmente e, prendendo la busta, indicai a Robbie un divano lontano da quello dei suoi genitori, che nel frattempo parlavano con una mia professoressa. Ci sedemmo lì, lontani da altri sguardi che non fossero i rispettivi, e ci tenemmo la mano, sorridendo l’un l’altro.
Non rammento di che parlammo. Rammento solo che ero tanto, tanto felice. Quando se ne andò, quasi subito scoppiai a piangere, legandomi al collo la sciarpa che mi aveva regalato. Siccome era ora di cena, tutti andarono al ristorante, passandomi davanti poiché si trovava proprio affianco al divano dove fino a pochi minuti prima c’era Robbie, dove io sostavo, desiderando con tutto me stesso che tornasse lì, con me.
 
Quella sera fu un incubo. Non riuscivo a dormire e continuavo a piangere. Ero in camera con Marco, che per quanto era stanco mi ascoltava pure. Lo fece però per poco, si addormentò mentre parlavo. Sospirando mi rigirai più volte, cercando di prendere sonno e ripetendomi che tanto, il giorno dopo, l’avrei rivisto. Credo che fu solo la stanchezza del viaggio e quella della passeggiata notturna, a farmi addormentare; sì, avevamo fatto una passeggiata dopo cena. Avevamo preso un autobus a casaccio, con tutte e due le classi, e ce n’eravamo andati a zonzo, coi negozi chiusi, i monumenti bui e la gente notturna che ci fissava perplessa. Fatto sta che il mattino dopo ero un relitto. Anche perché ci svegliarono telefonandoci dalla reception in camera. Il trillo del telefono fu la cosa peggiore.
Durante la mattinata visitammo musei e cose varie, edifici, luoghi e persone che non ricordo e non ho interesse a ricordare. Verso l’ora di pranzo ci lasciarono vagare liberi nei pressi di un McDonald’s, nel quale potevamo pranzare. Ci diedero due ore e mezza per fare ciò che volevamo, a patto che, passato quel lasso di tempo, tornassimo in un luogo prestabilito.
Tutti i miei compagni di classe erano scostanti con me, probabilmente la voce che ero là solo per quel ragazzo si era sparsa, una voce in parte falsa e priva di fondamento ed elementi che chiarissero il tutto, elementi che solo io e Robbie possedevamo, e che non avremmo certo rivelato al primo curioso.
Gli telefonai e gli dissi la via in cui mi trovavo. Poco dopo arrivò con i suoi genitori, che mi parvero ancora più freddi e scostanti del giorno precedente. L’idea che mi odiassero iniziò a farsi spazio nella mia mente.
Non parlammo molto, quella mattina. Ci stringemmo la mano, seduti su un muretto, sotto gli occhi dei suoi genitori che ci ripetevano di non stare così attaccati. Io quasi non ci facevo caso. L’idea che dal giorno successivo sarei dovuto rimanere lì, nella sua città, senza poter più vederlo, mi terrorizzava. Sì, perché ai genitori non stava bene, non si sa per quale motivo, che noi ci vedessimo tutti e cinque i giorni della mia permanenza. Ci attenemmo comunque agli ‘ordini’, ripetendoci che comunque sarebbe successo, fosse stato prima o dopo era quasi irrilevante. Quasi, per l'appunto.
Quando dovettero andarsene, piansi lacrime amare in silenzio, fissando il vuoto per tutto il tempo rimanente al ritrovo nella piazza stabilita. Vedere un ragazzo che piangeva non era esattamente una cosa di tutti i giorni. Poi, che piangeva in mezzo alla gente era ancora più strano. Praticamente ero sotto gli occhi di tutti. Finché non mi rintanai in un bagno pubblico, tentando inutilmente di darmi un contegno. Ero agonizzante. Se qualcuno di mia conoscenza mi avesse visto in quello stato, sono certo che mi avrebbe rinchiuso in un manicomio; o comunque avrebbe telefonato al 118.
Non credevo avrebbe fatto così male. Credevo sarei stato più forte. Credevo mi sarei abituato più in fretta all’idea che comunque vivevamo in città diverse. Ma non fu così. Non vi riuscii affatto.
Ed il peggio, doveva ancora arrivare.
 
Dizionario time:
 
*Benvenuti al Sud: Film comico uscito nel 2010, basato sul trasferimento di un lavoratore del Nord ad un posto al Sud per motivi lì spiegati dettagliatamente.
 
Salve a tutti! Mi rincresce che abbiate mollato i commenti :( però comprendo che potreste aver avuto da fare. Non preoccupatevi, trovo sia normale. Ad ogni modo continuate a seguirmi, sono lieta delle aggiunte e tutto il resto ;)
Grazie mille, grazie a tutti~

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