Where is my place? di Tawariell (/viewuser.php?uid=2481)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Where
is My Place?
Capitolo
1
Montpellier, Vermont, Maggio 2010, 5
a.m.
Una
pioggia leggera cadeva sulla cittadina di Montpellier, sembrava il classico temporale
primaverile così normale da quelle che parti e spesso preannunciavano lunghe e
piacevoli giornate di sole.
Le
serrande iniziavano ad alzarsi in alcuni negozi, soprattutto quelli vicino al
centro dove arrivò un piccolo autobus proveniente da un altro stato, era mezzo
vuoto, eppure nessuno fece caso al misterioso straniero, dallo sguardo cupo e
mesto, che vi discese.
Indossava
solo un cappotto nero, una t-shirt e dei jeans e teneva gli occhi bassi,
evitando di incrociare lo sguardo di chiunque.
Era
riuscito a dormire per un po’ nelle ultime ore, solo che il suo sonno era
popolato da incubi che si ripetevano continuamente così aveva finito di cercare
di smetterla di dormire, forse doveva veramente tornare al vecchio metodo:
sbronzarsi.
Camminò
davanti ad un giornalaio della stazione, dando un’occhiata distratta ai titoli
dei giornali, poi si avviò verso un bar, non aveva fame, il suo stomaco era
chiuso, però doveva pur mangiare qualcosa anche se la sua intenzione era sempre
quella di farsi inghiottire da un buco nero.
Entrò
nel locale, ordinò una brioche e un caffè per poi andarsi a rifugiare nel
tavolino più nascosto, mangiò di malavoglia ma bevve volentieri quel liquido
bollente, aveva un saporaccio però non poteva chiedere di meglio in un posto
del genere.
Nessuno
lo guardava per fortuna, aveva bisogno di stare totalmente solo con se stesso,
per un momento, più per abitudine che per reale volontà, tirò fuori la carta di
credito dell’Fbi, fu solo quando la stava allungando al barista che si accorse
di quello che stava facendo.
“Mi
scusi, pago in contanti” sospirò allungando qualche bigliettone, mentre, in
fretta e furia rimise via la carta, pensando tra se e se che forse avrebbe
fatto meglio a buttarla via.
Senza
dire altro uscì dal locale, vagando a zonzo per la cittadina, non ricordava di
essere mai stato in Vermont e non ricordava di aver preso il bus la sera prima:
doveva essersi sbronzato proprio bene.
Rammentava,
invece, il motivo per cui lo aveva fatto e tale ricordo gli aveva fatto venire
voglia di ubriacarsi un’altra volta.
Oppure
poteva decidere di tornarsene a Boston e affrontare Walter e le sue dannate
bugie?
In
fondo perché doveva riprendere a fare la vita di randagio per colpa sua?
Anche
se faceva parte di quel mondo da solo due anni, ormai gli sembrava la sua
strada, poteva continuare a collaborare con l’Fbi, era apprezzato da tutti per
le sue doti, per la sua intelligenza, per la sua perspicacia, il suo intuito e
per come sapeva far ragionare Walter.
Sempre
lui, sempre in mezzo.
Avrebbe
voluto spedire lui in un altro universo altroché!
Era
stato già abbastanza difficile dover accettare che ci fossero universi
paralleli, dover poi accettare di venire da uno di questi universi e non in quello
in cui stava vivendo adesso era davvero dura.
Forse
stavolta avrebbero ricoverato lui al Saint Claire.
Chissà
com’era il suo universo?
Non
sarebbe stato male poterlo visitare almeno una volta.
Vedere
se le persone erano come in questo universo.
Olivia
aveva parlato di posti più tetri: più di quella cittadina? Impossibile.
O
forse era lui che vedeva tutto buio?
Ovunque
guardasse non vedeva che oscurità, anche se la pioggia era leggera e dietro le
nuvole si intravedeva il sole.
Si
sedette su una panchina all’entrata del parco cittadino, osservando il flusso
regolare delle automobili che aveva cominciato ad esserci da circa mezz’ora.
Era
confortante vedere quella normalità.
Ne
aveva un gran bisogno.
Mise
le mani in tasca, tirando fuori una moneta, la sua moneta con cui iniziò
a giocherellarci.
Era
il suo porta fortuna.
La
guardò per un istante infinito.
Poteva
tornare a casa?
Sì,
ma dov’era casa?
A
Boston o nell’altro universo?
Da
nessuna parte, forse.
Si
alzò in piedi, riprendendo a girare sotto la pioggia, sentiva il bisogno
impellente di bere di nuovo, il suo raziocinio gli stava ponendo troppe domande
e il cuore gli faceva sempre più male.
Doveva
trovare un posto dove bere per dimenticarsi del mondo e di se stesso solo che
non ne trovava uno adatto.
Quei
bar erano decisamente troppo eleganti e troppo “perbene” per il suo standard,
quantomeno il suo standard attuale.
Così
decise di riprendere a camminare sotto la pioggia, non era la pioggia
torrenziale di Boston, ma si augurava di prendersi ugualmente qualche malanno
in modo da poter finire incosciente per qualche giorno.
Il
suo lato masochista stava avendo decisamente il sopravvento, però non era
ancora abbastanza e fu solo tre ore più tardi, quando intravide un orrenda
bettola in un trucido quartiere di periferia che pensò che forse poteva
iniziare a ritenersi soddisfatto.
Boston,
Bowling di Sam Weiss, diverse ore più tardi.
Olivia
dopo un’intera giornata di vane ricerche si era rifugiata al bowling, non ne
sapeva la ragione, forse perché non voleva vedere la faccia distrutta di Walter
o quella malinconica di Astrid.
Il
laboratorio era all’improvviso diventato tetro e scuro, era passata di corsa a
prendere la piccola Ella, felice di sentirla parlare di quella strana storia su
Peter, lei e Walter, che però aveva avuto il potere di renderla ancora più
triste.
Così
dopo aver atteso invano il sonno per ore, era corsa da Sam che, facendo finta
di non guardarla seduta per terra in un angolo, si era messo a sistemare le
palle lasciate in giro dai clienti.
Olivia
aveva lo sguardo nella sua direzione, ma non lo vedeva, non vedeva niente, non
sentiva niente, si sentiva peggio di quando aveva perso John dato che almeno a
lui aveva detto di amarlo.
Perché
non gli aveva detto niente?
Sapeva
benissimo cosa stava per succedere tra Peter e Walter però aveva preferito voltare
la testa dall’altra parte, facendo finta di non vedere.
Giocherellò
con una palla abbandonata, poi con tutta la rabbia che aveva in corpo la lanciò
lontano rischiando di prendere Sam in pieno viso.
“Sei
diventata matta?
“Così
la smetti di far finta di guardare altrove”
“Non
ti facevo così egocentrica” borbottò Weiss andandosi a sedere di fianco a lei.
“Stai bene?”
“Hai
una domanda di riserva?” replicò la ragazza senza guardarlo negli occhi.
“Che
cosa succede?” le chiese il suo amico senza troppi giri di parole.
“E’
così evidente che sono un disastro in campo sociale?” scherzò Olivia cercando
di evitare la domanda.
“Non
cambiare discorso. Dimmi cosa succede” insistette Sam.
“Ricordi
la faccenda del segreto che ho deciso di tenere?”
“Sì”
“La
persona che non doveva scoprirlo lo ha scoperto e non l’ha presa bene”
“Capisco…
il segreto?”
“Ma
niente solo che tale persona è stata rapita da quello che credeva essere il suo
vero padre”
“Non
sarebbe la prima volta che sento un fatto del genere”
“Sì,
ma in genere le altre persone vengono dallo stesso universo” replicò asciutta
Olivia
“Peter
Bishop viene da un universo parallelo?” chiese stupefatto Weiss e a quel punto
la Dunham gli tirò un pugno sulla spalla.
“Non
ti si può nascondere niente” bofonchiò la donna fingendosi seccata.
“Dov’è
lui adesso?”
“E
chi lo sa?”
“Glielo
hai detto?”
“Certo
che no, lo ha scoperto lui”
“Non
parlo di quello”
“E
di cosa?”
“Gli
hai detto che lo ami?”
Olivia
abbassò la testa stringendosela tra le mani.
“Credo
che significhi no”
“Sono
un disastro”
“Non
preoccuparti, tutto il mondo ormai è analfabeta a livello sentimentale: guarda
me”
“Consolante”
Sam
si alzò, andò a prendere una caraffa d’acqua con due bicchieri e, dopo averne
riempito uno lo porse ad Olivia che bevve in silenzio per qualche minuto.
“Stavo
pensando a quando andai al cinema una volta”
“Vai
al cinema?”
“Ho
una vita sociale ogni tanto che ti credi”
“Vai
avanti”
“Tra
l’altro era veramente un film osceno, io detesto le commedie romantiche”
“Devi
essere più un tipo da Stephen King, vero? O magari robe splatterose alla Saw”
“No,
mi piace Cronenberg”
“Soprattutto
La Mosca, vero?”
“Esatto”
Olivia
sorrise, leggermente rasserenata da quella conversazione.
“Dimmi
che filmaccio eri andato a vedere”
“Non
ricordo il titolo, ricordo però una frase”
“Quale?”
“Giura
che non mi prendi in giro”
“Non
sono dell’umore Sam, al massimo ti sparo”
“Considerando
quello che sto per dirti potresti farlo veramente”
“Dimmi
la frase Sam”
“Quando
ami qualcuno devi dirglielo perché poi il momento passa”
Olivia
sospirò, abbassando di nuovo la testa.
“Posso
usarti come bersaglio per le freccette?”
“Senza
punta però”
“D’accordo”
Weiss
le accarezzò leggermente i capelli, poi si allontanò in silenzio lasciandola da
sola, sapeva bene che Olivia non voleva farsi vedere così da nessuno.
Quando
si voltò lei era sparita.
Montpellier,
bar di periferia.
Un
uomo dai capelli neri e da sinistri occhi blu, giocava ad un tavolo da poker in
compagnia di alcuni avventori nel retro del locale.
Giocavano
da ore e lui non si faceva scrupoli di usare la sua particolare intelligenza
per barare, non sapeva perché lo stesse facendo o forse lo sapeva,
semplicemente aveva deciso di non pensare più a niente.
Gli
altri lo guardavano con occhi truci, erano stanchi di perdere e quel ragazzino
pareva avere un po’ troppa fortuna.
Peter,
nel frattempo, buttò giù l’ennesimo bicchiere, ormai deciso ad andare fino in
fondo a quella follia.
I
suoi occhi erano cerchiati di rosso, era sveglio da ore, aveva mangiato solo la
brioche al mattino e bevuto una quantità industriale di alcool, sapeva di
correre il rischio di sentirsi male, ma la cosa gli importava veramente poco.
Forse
sperava solo di auto-distruggersi in fretta.
Quando
tirò fuori l’ennesimo asso, il giocatore che era di fronte a lui si alzò di
scatto, gli si avvicinò e gli puntò alla gola un coltellino.
“Stai
barando, vero ragazzino?”
“Cosa
te lo fa credere?” ribatté cercando di usare il suo sorriso più strafottente.
Non
fece in tempo a dire di più, gli altri tre lo presero di peso, frugandogli tra
i vestiti, dove trovarono altri mazzi di carte.
In
pochi secondi fu trascinato in un lurido viottolo vicino al bar, dove iniziarono
a prenderlo a calci e a pugni.
Non
reagì, sperava che il dolore fisico offuscasse ogni altro tipo di dolore.
Le
botte continuarono per una buona mezz’ora mentre il giovane Bishop era
diventato una maschera di sangue
I
pugni allo sterno erano quelli che facevano più male, erano come stilettate,
era come se qualcuno continuasse a ripetere ciò che la sua mente aveva compreso
pochi giorni prima sul quel maledetto ponte.
Non
era di questo mondo.
In
uno degli ultimi istanti di coscienza ricordò che sia Olivia che Walter gli
avevano detto che non era grave, eppure aveva dormito per un giorno e mezzo.
Adesso
sapeva perché.
Non
aveva voluto accettare la realtà perché farlo significava distruggere quel
meraviglioso equilibrio che era diventato vitale per lui.
Cadde
ricevendo l’ennesimo calcio.
I
suoi aggressori lo lasciarono per terra, pesto e sanguinante, sotto la pioggia
battente.
Non
ebbe neanche la forza di chiedere aiuto, perdendo i sensi in quel piccolo
inferno che si era costruito da solo.
Fine
Capitolo 1
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Ospedale
di Montpellier, tre giorni dopo.
Una
leggera luce filtrava tra le persiane della finestra nella stanza numero
ventiquattro, occupata solo da un giovane uomo che dormiva ormai da quarantotto
ore.
Non
si era svegliato neanche per mangiare, era come se la sua mente stesse
rifiutando ogni contatto con l’esterno, non che le ferite riportate durante il
pestaggio non fossero state gravi, lo erano, aveva diverse fratture, tra cui
quattro costole, il naso, il sopracciglio destro e persino parte della
mandibola anche se ciò non gli avrebbe impedito di mangiare normalmente.
Tuttavia
il medico aveva detto che non era in pericolo di vita e che in teoria si
sarebbe dovuto essere risvegliato da un po’.
Invece
il misterioso giovane, i cui lineamenti particolari erano ora rovinati da
svariati lividi, continuava a dormire, ignaro di tutto.
Aveva
un respiro greve, molto simile a quello di un bambino, pensò la giovane
infermiera che insieme ad altri provava a prendersi cura di lui.
Il
suo collega e compagno, Martin, l’aveva aiutata a ripulirgli il viso, bendarlo
e a cambiargli il nutrimento liquido che per fortuna il giovane non rifiutava.
Aveva
visto con i suoi occhi, purtroppo, ritornare indietro quello stesso liquido, ma
con quel ragazzo non stava succedendo segno che non aveva perso del tutto la
voglia di vivere.
Laura,
così si chiamava la donna, lo aveva preso a cuore, non sapeva perché, forse
perché lo sentiva smarrito e spaventato.
In
quel mentre entrò Martin che la fissò con i suoi grandi occhi castani.
“Si
è svegliato?” le domandò preoccupato.
“No”
sospirò la ragazza guardando quel corpo martoriato e inerme. “Hai scoperto
qualcos’altro oltre al suo nome e cognome?”
“Pare
sia un consulente civile dell’Fbi di Boston”replicò asciutto l’uomo sedendosi
accanto a lei.
“Che
significa?” domandò incuriosita.
“Non
ne ho idea. Comunque li ho chiamati, hanno detto che lo conoscono e manderanno
qualcuno a prenderlo. Solo che …”
“Non
si può muovere, lo hai visto anche tu in che stato è”
“Infatti
no. Chissà perché continua a dormire”
“Forse
le ferite lo hanno spossato più del previsto”
“O
magari tutto quell’alcool mescolato al fatto che non avevano mangiato
praticamente nulla”
Laura
annuì volgendo lo sguardo verso Peter che continuava a dormire.
Chissà
chi lo aveva aggredito così e perché.
Il
giovane Bishop si mosse, iniziando a sbattere le palpebre ripetutamente.
Sentiva
dolori dappertutto, alla testa, allo stomaco e aveva la bocca arida.
Provò
a mettere a fuoco non riuscendo a capire dove si trovasse, decisamente la sua
ben nota intelligenza in quel frangente lo stava aiutando molto poco dato che
la confusione regnava sovrana nella sua testa.
Cosa
diamine gli era successo?
Era
ancora in ospedale?
E
perché mai?
Provò
a mettere ordine negli ultimi ricordi che aveva solo che alcune immagini si
sovrapponevano l’una sull’altra e temeva di stare mescolando la realtà con il
sogno.
Fu
solo quando si passò una mano sul torace nel tentativo di mettersi a sedere che
si rese conto di quanto gli facesse male così senza volerlo si lasciò scappare
un lamento.
“Signor
Bishop, non può sedersi, ha le costole rotte”
“Fan…
fanta… fantastico” balbettò, con enorme sforzo dato sentiva dolore pure alla
mascella, il tutto mentre cercava di mettere di nuovo a fuoco ciò che aveva di
fronte.
Per
un momento intravide una figura da lineamenti delicati, vestita nella sua
solita divisa, con i capelli biondi sciolti lungo le spalle che gli diceva
“Bentornato”
Fu
solo un istante però perché poi quella figura famigliare scomparve per lasciare
il posto a quello di un estranea, molto carina doveva dire, dai lunghi riccioli
castani e dai caldi occhi neri.
“Come
si sente?”
Avrebbe
voluto rispondere subito solo che pure parlare gli costava un immenso sforzo.
Ma
perché diamine era conciato così?
“Non
bene” farfugliò infine riuscendo a mettere a fuoco anche l’altra figura, un
uomo di circa trent’anni, né brutto né bello, dall’aria decisamente simpatica e
gioviale.
“Vuole
un antidolorifico?” gli domandò lo sconosciuto che doveva essere anche lui un
infermiere a giudicare dalla divisa.
Provò
a replicare, ma gli mancò il fiato a causa delle fitte allo sterno: di questo
passo ci avrebbe messo una settimana per fare una seria conversazione con
qualcuno.
Gli
scappò un colpo di tosse e a quel punto vide le stelle.
“Non
lo faccia più, non le conviene. Le porto un antidolorifico, d’accordo?”
insistette l’uomo allontanandosi verso il banco dei medicinali.
Annuì
incapace di replicare ad alta voce.
“Che
le è successo signor Bishop?” chiese la donna anche se sapeva che non avrebbe
ottenuto subito una risposta, difatti Peter scosse la testa come a dire che
proprio non ce la faceva a parlare.
“D’accordo
mi scusi, ha ragione, vuole un taccuino così è più semplice?”
Di
nuovo Peter annuì con il capo, guardandosi poi intorno frastornato: cosa gli
era successo? Era una bella domanda.
Provò
di nuovo a riordinare i pensieri.
Viveva
a Boston da quasi due anni, si era riappacificato con suo padre, era diventato
un consulente dell’Fbi e poi?
Ah
sì, le indagini sempre più strane, muta forma, bambini empatici, super soldati
invecchiati geneticamente, formule matematiche e musicali che portavano a
sfidare le leggi della fisica, teletrasporto e universi paralleli.
Quest’ultima
cosa doveva esserla sognata, decisamente non aveva senso.
Mentre
formulava quest’ultimo pensiero i due infermieri erano tornati, lui, con un
analgesico che Peter si premunì di buttare giù subito non appena l’uomo glielo
porse altrimenti aveva paura di mettersi ad urlare e non ci teneva a fare la
figura del lamentoso, lei con un taccuino e una penna che gli mise tra le mani.
Non
poteva dirgli tutto altrimenti lo avrebbero portato in psichiatria, doveva solo
scrivere il minimo indispensabile.
“Io
sono Laura e lui è Martin, il mio collega. L’abbiamo trovata tre giorni fa a
pochi isolati da qui signor Bishop”
Scrisse
sul taccuino una domanda piuttosto sciocca, più che altro per perdere tempo
anche perché voleva ricordare tutto.
“Come
sapete il mio nome?” aveva infatti vergato.
“Mi
spiace, ci siamo permessi di guardare tra i suoi documenti. E’ un consulente
dell’Fbi”
Peter
annuì vergando altre parole:
“Avete
fatto bene. Avete avvisato qualcuno?” Persino scrivere gli stava costando un
notevole sforzo anche perché proprio non riusciva a ricordare perché fosse
ridotto in quello stato.
Forse
qualche indagine che stava seguendo?
Non
gli sembrava.
Detestava
avere dei vuoti di memoria, era sempre padrone di se, delle sue emozioni e del
suo modo di vivere.
Magari
chiamando Olivia avrebbe potuto capirci qualcosa di più.
Nel
frattempo Laura si era allontanata per controllare altri pazienti mentre Martin
aveva letto la sua domanda
“Sì,
ci ha risposto un certo Broyles. Ha detto che manderanno qui l’agente Dunham e
suo padre”
Fece
per sorridere a quelle parole quando improvvisamente un flash gli attraversò la
mente.
Era
scappato lui!
Se
n’era andato perché aveva scoperto di venire da un’altra dimensione e Olivia e
Walter gli avevano tenuta nascosta la verità.
Fissò
l’uomo con gli occhi iniettati di sangue.
E
adesso?
Mica
poteva strangolarlo per aver rivelato a quei due bugiardi dove era scappato.
“Si
sente bene?” domandò Martin notando lo strano sguardo del giovane. Era
veramente inquietante.
Peter
scrisse altre parole
“No,
niente. Mi è venuto in mente perché sono qui” cercando di sorridere in maniera
angelica.
Quello
non aveva colpe.
Al
suo posto avrebbe fatto lo stesso.
Martin
rispose rassicurato da quel sorriso
“Quindi
si ricorda di essere in Vermont?”
Certo
che non se lo ricordava, rammentava solo di aver bevuto come non mai in vita
sua, di aver preso un bus per una destinazione ignota e di essersi fatto menare
apposta da un gruppo di trogloditi in un locale malfamato.
Da
quando in qua era diventato auto-distruttivo?
Era
proprio caduto in basso, decisamente.
Non
era da lui comportarsi così.
E
quelle botte facevano un male, l’analgesico era stato solo una panacea, si
sentiva uno straccio.
C’erano
però dei lati positivi in quella situazione perché uno poteva evitare di
parlare e due pensando ai suoi dolori fisici non continuava a pensare alla
sensazione di aver perso la terra sotto i piedi, che però era sempre lì in un
angolo della sua mente a tormentarlo.
Non
poteva guarire così in fretta, lo sapeva.
E
si rendeva anche conto che tutto sommato non sarebbe stato un gran male perdere
realmente la memoria, almeno sarebbe tornato a casa tranquillamente senza avere
la stessa dannata voglia di prenderli a schiaffi tutti e due e poi buttarsi dal
primo ponte.
“Signor
Bishop?” chiese Martin ancora preoccupato.
Peter
sorrise vergando alcune righe sul taccuino.
“Sono
venuto in Vermont per un’indagine. Mi hanno aggredito mentre ero in giro.
Potrei aver qualcosa di decente da mangiare?”
Calcò
molto la mano sulla parola decente anche perché ricordava molto bene la
terrificante brioche mangiata in un bar qualche giorno prima, non che
pretendesse chissà cosa da un ospedale, però voleva che fosse almeno
mangiabile.
L’infermiere
assentì leggendo quelle poche righe.
“Mi
spiace molto signor Bishop per quello che le è successo. Se vuole abbiamo
ancora dei pancake alle ciliegie”
Adesso
sì che aveva davvero voglia di ucciderlo.
Ma
di tutti i dannati gusti dei pancake proprio alle ciliegie?
Walter,
sempre Walter, ovunque girasse sempre lui di mezzo.
Probabilmente
lo avrebbe trovato anche all’inferno.
Deglutì
cercando di non mostrare la sua ira però Martin intravide lo stesso per un
secondo il suo sguardo luciferino che lanciava bagliori di fiamma.
Bishop
scrisse altro cercando di continuare a sorridere.
“Non
avete delle uova con il bacon? Le preferirei, grazie”
L’uomo
annuì.
“Sì,
credo di sì. Vuole dell’acqua intanto?”
Peter
annuì, così l’infermiere gli porse un bicchiere con una cannuccia.
Che
umiliazione costretto a bere con la cannuccia perché non poteva neanche
mettersi a sedere.
Bevve
piano piano, deglutendo a più riprese visto che le fitte aumentavano: quel
cavolo di analgesico non era servito ad un tubo.
E
lui era stato un vero idiota a provocare quegli energumeni.
Avrebbe
dovuto andare a prendere a calci Walter, altro che farsi menare.
Imbecille,
imbecille, imbecille.
Poco
dopo l’uomo rientrò con un vassoio che posizionò sul comodino, che poi gli
spostò davanti al suo viso.
“Ce
la fa a mangiare da solo?”
Il
ragazzo annuì sperando che lo lasciassero finalmente solo.
“E’
sicuro? Posso imboccarla se vuole”
Bishop
scosse la testa fissandolo con aria truce, poi per dimostrare che diceva il
vero, si mise a mangiare così i due finalmente se ne andarono.
Faceva
una gran fatica, però farsi imboccare era veramente troppo, già non riusciva a
proferire parola senza che ogni atomo del suo corpo gridasse vendetta.
Gli
ci vollero quasi venti minuti a mangiare quelle uova, però almeno erano
decenti, sicuramente più delle robe ingurgitate tre giorni prima.
Non
che avesse ritrovato la voglia di vivere tutta d’un botto, solo magari
preferiva andarsene a pancia piena di buon cibo.
Sfinito
poggiò la testa all’indietro, sperando di riposare un po’ dato che ora come ora
non poteva proprio muoversi e quindi quei due sarebbero riusciti a
venire a prenderlo.
Avevano
vinto loro.
Chinò
il capo, chiudendo gli occhi quando sentì risuonare alcuni passi, forse era
l’infermiera di prima.
“Signor
Bishop sono arrivati suo padre e un suo amico”
Peter
spalancò gli occhi, alzandosi di scatto a sedere e questo gesto mancò poco che
lo fece ululare.
Doveva
darsi una calmata.
“Signor
Bishop le ho già detto che non si può mettere a sedere lo capisce?”
Certo
che lo capiva, si sentiva come se gli fosse passato sopra un auto-treno.
“Li
faccio entrare?”
Peter
riprese in mano il taccuino scrivendo alcune parole.
“Ma
non doveva venire insieme all’agente Dunham? E poi non è un po’ troppo presto?”
Laura
sorrise
“Li
abbiamo avvisati alcune ore fa”
Il
ragazzo annuì sentendo un brivido lungo la schiena.
Non
aveva nessuna voglia di vederli.
Soprattutto
suo padre, ecco magari su Olivia poteva soprassedere, ma suo
padre proprio no.
Il
problema era dirlo a quella gentile signorina, un po’ troppo soffocante per i
suoi gusti.
Affranto
scrisse due parole.
“Va
bene” poi rimise la testa sul cuscino mentre l’infermiera portava via il
vassoio.
Qualche
minuto dopo sentì risuonare altri passi così chiuse gli occhi, voltando la
testa dalla parte opposta.
Dopotutto
era vero che non poteva parlare.
“Peter”
fece una voce a lui famigliare.
Aprì
gli occhi e si voltò verso il suo interlocutore.
Non
poteva essere.
Quello
era Newton.
E
l’altro?
Sembrava
Walter solo un po’ più elegante, con una aria molto meno… come poteva
definirla? Da figlio dei fiori?
Era
identico, i lineamenti erano uguali.
Quindi
quello era…
“Ciao
figliolo” disse solamente l’uomo con un tono molto più freddo con cui lo diceva
Walter.
Aereo
federale in volo tra Boston e il Vermont
Olivia
osservava il cielo dalla finestra, stava nascendo il sole ed era come se stesse
rinascendo anche dentro di lei.
Stavolta
non gli avrebbe più mentito, non poteva, non dopo aver rischiato di perderlo.
“Cosa
ti ha detto di preciso Broyles?” le chiese Walter con tono dimesso.
Lei
aveva evitato l’argomento perché sapeva che il padre di Peter sarebbe
andato in crisi a sentire in che stato era stato ritrovato il giovane, ci era
andata anche lei in crisi a sentire quel rapporto, lei che non si scomponeva
mai di nulla.
Tuttavia
era ora di smetterla con le bugie, non erano mai servite a niente, solo a
distruggere il loro meraviglioso equilibrio famigliare, del resto Walter aveva
capito molte cose su di lei e Peter prima che loro stessi le comprendessero.
“E’
in un ospedale, alcuni sanitari lo hanno trovato in una via di periferia, pesto
e sanguinante, ha diverse costole rotte, insieme al naso, al sopraciglio destro
e parte della mandibola”
“E’
colpa mia” riuscì solo a dire Walter.
“Ti
correggo è colpa nostra” replicò Olivia asciutta.
“Ho
provato a dirglielo ma succedeva sempre qualcosa” farfugliò lo scienziato
guardandola negli occhi.
“Balle.
Non volevi farlo come non volevo farlo io. Perché entrambi non volevamo
perderlo” affermò la Dunham cercando di usare un tono comunque gentile. Non ce
l’aveva con lui, non più di quanto non ce l’avesse con se stessa.
“Quindi
anche tu …”
“E
non venirmi a dire che non lo sapevi. Lo hai capito prima di noi, accidenti a
te!” disse con un pallido sorriso.
“Ho
provato a farvelo capire, ma voi ragazzi siete tutti strani. Io sono di
un’altra epoca, me ne rendo conto, eravamo ancora mezzi hippy quando ero
giovane io”
“Lo
so, lo so Walter” fece divertita la donna. Voleva bene a quell’uomo malgrado
tutto, malgrado le avesse fatto del male in passato, ora si rendeva conto che
era realmente pentito. Non aveva mai creduto nella redenzione fino a quando non
aveva incontrato quello strambo scienziato.
“Posso
chiederti quando lo hai capito?” domandò con il suo sorriso da furetto Walter.
“Giurami
che non lo dirai a Peter. Sono sicura che potrebbe uccidermi se sapesse che ti
dico una cosa del genere”
“Parola
mia. Non sarebbe la prima volta che gli nascondo qualcosa” affermò
scherzosamente il dottor Bishop.
“Beh,
allora, diciamo che l’ho ammesso con me stessa solo negli ultimi mesi però un
po’ lo avevo capito quando …” si fermò temendo di essere ascoltata da qualcun
altro.
“Da
quando?” la incalzò lo scienziato.
“Beh
ricordi quando ti venimmo a chiamare in hotel per un caso? Tu ti svegliasti, ci
guardasti in un modo strano dicendo: vi serve il letto? Ecco ti posso
dire che non me la presi affatto, anzi, non potei a fare meno di guardare Peter
pensando che la cosa non mi sarebbe affatto dispiaciuta”
Walter
si mise una mano sulla bocca scoppiando a ridere, subito imitato da Olivia.
“Sei
terribile agente Dunham: ho affidato mio figlio ad una strega maliziosa!”
balbettò tra le risate lo scienziato.
Quella
conversazione aveva migliorato l’umore di entrambi, tuttavia sia nell’uno che
nell’altra continuavano ad aleggiare terribili presagi sul futuro.
Walter
temeva di non riuscire ad arrivare in tempo questa volta, voleva spiegargli la
sua versione dei fatti, fargli capire che non era mai stata sua intenzione
fargli del male, anzi voleva solo proteggerlo.
E
anche se non era suo padre, si considerava tale e non lo considerava
certo un surrogato dell’altro Peter.
Non
lo aveva mai visto così.
Mai.
Nessuno
avrebbe mai potuto sostituire il suo Peter, lo sapeva.
Il
suo cuore era andato in mille pezzi quando suo figlio era morto, si era aggrappato
ad Elisabeth come non mai.
Poi
era avvenuto quello strano miracolo, quel folle assurdo miracolo in cui aveva
potuto avere di nuovo un figlio.
La
sua intenzione iniziale era davvero solo di poter salvare l’altro Peter, non
voleva rapirlo.
Ma
poi quando lo avevano avuto lì con loro, lui ed Elisabeth non avevano potuto
riportarlo indietro.
Sapevano
bene che avevano provocato un dolore terribile agli altri Walter ed Elisabeth.
Lo
sapevano.
Solo
che avere lì quel nuovo Peter era stato splendido.
Amava
tutto di quel bambino anche le differenze che aveva con il primo Peter.
I
primi tempi aveva cercato di passare con lui ogni istante.
Dopo,
vedendolo soffrire, aveva tentato di trovare il modo di riportarlo indietro.
Ci
aveva creduto in quella ricerca?
Forse
non del tutto.
E
dopo?
Dopo
come aveva potuto allontanarsi così da Elisabeth e Peter?
Come?
Erano
tutto il suo mondo.
Ricordava
solo che la sete di sapere, la voglia di cambiare il mondo, era diventata sete
di potere, bramosia, possesso.
Aveva
reso loro la vita un inferno sulla terra.
Tra
tutte le colpe che sentiva di avere quella era forse la peggiore.
Diciassette
anni di manicomio erano proprio pochi per i suoi misfatti.
Aveva
rapito un bambino alla sua famiglia e dopo averlo amato da morire, forse
persino più del suo Peter, lo aveva praticamente abbandonato, rendendolo
infelice, quasi incapace di provare sentimenti o di dimostrarli.
Anche
la complicata relazione che Peter aveva con Olivia era frutto di
quell’analfabetismo sentimentale che lui aveva causato.
In
una situazione normale Peter si sarebbe avvicinato a quella ragazza molto prima
e avrebbe compreso quanto lei lo amava, quanto lei lo desiderasse, invece aveva
persino pensato di non essere ricambiato.
“Mi
spiace Olivia” sussurrò Walter guardandola negli occhi.
“Per
cosa?” domandò lei anch’essa persa nei suoi pensieri.
“Mio
figlio non ha compreso quanto tu tenessi a lui anche per colpa mia” farfugliò
l’uomo guardandola anche negli occhi come per chiederle perdono.
“Avrei
dovuto dirglielo, sapevo che situazione difficile aveva vissuto” replicò lei
con un tenero sorriso.
“No,
Olivia, non immagini neanche che razza di inferno gli ho fatto vivere. Io non
so dove diavolo abbia trovato la forza di perdonarmi la prima volta, in ogni
caso non meritavo allora il suo perdono e non lo merito adesso”
“Sei
tu suo padre, non perché portate lo stesso cognome, non perché il dna non
dimostrerà mai che non siete padre e figlio. Lo sei perché tu ogni giorno dai
la vita per lui, in ogni tuo più piccolo gesto ed è questo che fa un padre,
ecco perché Peter ti ha perdonato. E lo farà ancora, vedrai”
Lo
scienziato le sorrise commosso e grato chinando il capo per non farsi vedere
piangere.
Fine
Capitolo 2
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Ospedale
di Montpellier, Vermont.
Un
silenzio surreale regnava nella stanza numero ventiquattro, silenzio che pareva
in realtà pieno di mille voci, dubbi, domande e paure.
Peter
fissava da quasi dieci minuti quel volto, così uguale e così diverso da quello
di Walter, colui che aveva considerato suo padre fino a pochi giorni prima.
Non
sapeva cosa dire e ringraziava il cielo di non riuscire a parlare almeno aveva
una scusa per quel mutismo.
L’uomo,
Walternate, così lo chiamava Walter, si era seduto su una delle scomode sedie
posizionate vicino al suo letto e non aveva detto niente, si limitava a
fissarlo con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra.
Per
fortuna Newton se ne era andato via, in ossequio al suo padrone e creatore, che
non voleva avere nessuno per il suo primo colloquio dopo più di venti anni con
suo figlio.
Cercando
di mettere il ragazzo a suo agio gli aveva allungato il bicchiere dell’acqua
con la cannuccia e subito Peter ne aveva approfittato per bere ed abbassare lo
sguardo.
Quella
situazione era veramente difficile da capire e da vivere, negli ultimi giorni
aveva avuto tante di quelle rivelazioni da fargli mettere in crisi la sua
stessa identità, il suo modo di vivere e persino la capacità di
auto-conservazione che aveva sempre avuto nonostante i periodi difficili.
Aveva
scoperto di avere un lato auto-distruttivo molto pronunciato e la cosa lo
spaventava a morte, soprattutto in ragione delle percosse che aveva subito
volontariamente e di cui stava portando i pesanti segni.
Non
riusciva a parlare, non riusciva ad alzarsi in piedi e nemmeno a mettersi a
sedere.
E
ora quell’uomo che veniva di là.
Dal
suo mondo.
Poteva
definirlo così, no?
Continuò
a bere in silenzio sperando che la fonte di quell’acqua durasse veramente in
eterno.
Anche
se faceva fatica ad ammetterlo aveva una gran paura di riguardarlo negli occhi
perché gli faceva pensare a Walter o meglio ad un suo doppio e considerando che
Walter lo aveva ferito più di tutti in vita sua, adesso non sapeva cosa
aspettarsi da questa sua versione alternativa.
Anche
perché, se aveva capito bene, era stato lui a creare Newton e i vari mutaforma
e questo non faceva pensare a nulla di buono.
D’altra
parte era venuto lì, in ospedale, a trovarlo e probabilmente lo stava cercando
da anni: chissà cos’avrebbe fatto lui se gli avessero rapito una persona cara?
Walternate,
dal canto suo, sentiva proprio quello smarrimento che aveva visto negli occhi
del figlio: cosa fare? Cosa dirgli?
Era
un uomo tutto d’un pezzo, capace di affrontare ogni tipo di problema con
fermezza e durezza se serviva, era diventato molto giovane il segretario della
difesa degli Stati Uniti e conservava questo posto da anni, anche se i governi
erano cambiati, lui era rimasto al suo posto, come baluardo per un mondo in
pericolo.
Sì,
era bravo ad affrontare i problemi.
Tutti
i problemi, tranne uno.
Ricordava
ancora il dolore lancinante che aveva provato quando suo figlio era sparito, si
era sentito sprofondare in un buco nero e lì aveva gettato se e ciò che restava
della sua famiglia e del suo matrimonio.
Era
affondato nella spirale dell’alcolismo sperando che ciò lo portasse a
dimenticare quel dolore terribile, poi, non sapeva come, era risalito,
lentamente, poco alla volta, giurando a se stesso che mai si sarebbe più
mostrato debole con nessuno.
Non
era nella sua natura.
Quel
giuramento rischiava veramente di venir meno di fronte a quel figlio così
cercato come un faro nella nebbia fitta.
Quel
figlio che adesso aveva il volto e il corpo martoriati e ogni sua ferita faceva
male anche a lui, anche se non lo dava a vedere.
“Cos’è
successo?” riuscì infine a dire usando il solito tono fermo e pacato, senza la
minima inflessione.
Il
giovane Bishop chinò la testa ancora di più, fingendo di non aver sentito, non
ce la faceva a parlare perché temeva di non riuscire a mentire e non voleva
mostrarsi debole, non davanti a quell’uomo, che sì era suo padre, ma era anche
uno sconosciuto.
Il
ragazzo, tuttavia, non aveva fatto i conti con il carattere di Walternate, il
quale, non era il tipo da accettare un silenzio come risposta ad una sua
precisa domanda.
Con
calma e risolutezza gli levò il bicchiere di sotto, lo fece sdraiare e gli
porse taccuino e penna.
“Dimmi
cos’è successo figliolo” insistette e Peter, davanti a quello sguardo, cedette,
vergando alcune parole.
“Ho
scoperto pochi giorni fa di essere stato rapito dal nostro mondo dall’uomo che
credevo essere mio padre, sono scappato e …”
Si
fermò, scrivere tutto significava mostrare il suo lato più debole e nascosto,
un lato che aveva appena imparato a conoscere e non amava per niente.
Suo
padre sorrise, limitandosi a guardarlo negli occhi e ad attendere.
Il
giovane chinò il capo, ma non continuò a scrivere.
“Sono
tuo padre, non devi aver paura di me”
Peter
riaprì gli occhi, volgendoli verso quell’uomo: non era di lui che aveva paura,
ma di se stesso.
Deglutì
due o tre volte, poi riprese a scrivere.
“Sono
scappato perché ero impazzito di dolore, mi sono ubriacato e mi sono fatto
picchiare apposta in un quartiere malfamato”
Quando
il fruscio della penna si fermò, il ragazzo rimase in attesa altri cinque
minuti prima di porgerlo a quell’uomo sapendo di stare consegnando la parte più
fragile di se stesso ad uno sconosciuto.
Walternate
lesse quelle poche righe in silenzio, varie volte, volgendo in continuazione lo
sguardo verso il figlio.
La
sua rabbia cresceva di minuto in minuto mentre rileggeva per la decima volta
quel biglietto.
Rabbia
non verso suo figlio.
Rabbia
verso quell’uomo che lo aveva rapito e ridotto in quello stato.
Si
alzò di scatto dalla sedia, uscendo a passi decisi dalla stanza per andare a cercare
Newton solo che quel gesto lasciò sconcertato Peter: lo aveva turbato così
tanto da spingerlo ad andarsene?
Cercando
di non pensarci poggiò meglio la testa sul cuscino, sperando di riposare un
po’.
Nel
frattempo Walternate aveva raggiunto Newton.
“Voglio
riportarlo subito di là” esordì in tono duro.
“Ha
visto in che stato è. Lei ci ha messo due giorni per riprendersi ed è un uomo
sano, in forma, senza problemi” replicò con altrettanta fermezza il mutaforma.
“Se
lo lascio qui ancora lo verranno a prendere di nuovo quei mostri” rispose
brutalmente il segretario.
“Il
passaggio dimensionale potrebbe peggiorare il suo stato e anche se abbiamo
delle cure più all’avanguardia di là potrebbero non servire, non subito almeno”
insistette il capo dei mutaforma.
“Potrebbe
morire?” domandò Walternate con il solito tono.
“Non
dico questo, non ne abbiamo la certezza” affermò Newton che si sentiva
maledettamente umano in presenza di quell’uomo.
“Sì
o no?” chiese con un tono che non ammetteva repliche.
“No,
ma peggiorerà sicuramente” disse il mutaforma.
Disgraziatamente
per lui a metà della frase Walternate se n’era già andato: gli era bastato
sentire quel no, il resto non aveva importanza.
Non
per lui.
Rientrò
nella stanza del figlio che trovò abbandonato sul cuscino, con un’espressione
sofferente dipinta sul viso, espressione che tentò inutilmente di celare con un
sorriso quando udì i passi del padre riavvicinarsi al suo letto.
“Vuoi
tornare a casa?” domandò tornando a sedersi.
Peter
si sentì punto sul vivo a sentire la parola casa.
Quell’uomo,
in un modo o nell’altro, sapeva come affondare il coltello nella sua piaga.
Girò
la testa verso la finestra, stringendo le palpebre per tentare di fermare due
lacrime prepotenti che gli pungevano sotto.
Casa.
Ripensò
a Boston.
Al
laboratorio.
Walter,
Astrid, Olivia.
La
festa di compleanno che aveva avuto pochi mesi prima, una piccola festa intima,
famigliare, serena.
A
quando Walter e lui erano andati a pesca insieme.
Aveva
sognato quel momento per anni.
Aveva
adorato suonare il piano per lui mentre creava le sue formule strampalate.
Tutto
pur di far parte del suo mondo.
Di
esserne la parte vitale.
Ed
aveva adorato suonare il piano per lei.
Olivia,
la sua Olivia che però non sarebbe mai stata sua veramente.
Lei
amava ancora John Scott, non avrebbe potuto amare lui, non dopo un amore così
grande.
Walternate
mise una mano sulle spalle del figlio vedendo quelle lacrime solitarie sul suo
volto martoriato.
Lacrime
di rabbia e dolore.
Stava
per porre di nuovo la domanda quando gli sembrò di sentire qualcosa.
“Sì,
figliolo?”
“Portami
via” balbettò con immenso sforzo Peter, asciugandosi con decisione quelle
maledette lacrime.
Sarebbe
tornato a casa.
Sarebbe
finalmente fuggito da tutto quel dolore.
Accettazione
dell’ospedale, due piani più sotto.
Un
uomo sui sessant’anni, che nonostante gli evidenti acciacchi manteneva un certo
fascino e una bella donna sui trenta varcarono in quell’istante l’ingresso
dell’ospedale, che era stranamente deserto.
La
donna si avvicinò subito all’accettazione dove una solerte infermiera stava
compilando svariati moduli.
“Buongiorno
sono l’agente dell’Fbi Olivia Dunham, sono qui per il nostro consulente Peter
Bishop. Posso sapere dov’è?”
L’infermiera
assentì con il capo guardando nel monitor del pc, quando la sua attenzione fu
catturata da Walter.
“Chi
è quell’uomo?”
“Il
padre di Peter Bishop, dottor Walter Bishop, anch’egli nostro consulente”
“E’
sicura?” domandò incredula la ragazza.
A
quelle parole Olivia spalancò gli occhi, voltandosi verso Walter, il quale si
guardava in giro spaesato: non gli piaceva per niente l’idea che suo figlio
fosse finito in quel posto per di più per un pestaggio.
“Che
vuol dire?” chiese la Dunham preoccupata per quella domanda insistente.
“Vede
… a quanto mi risulta il padre del signor Bishop è salito circa dieci minuti
fa”
“Cosa?”
fu Walter a porre la domanda “Sono io suo padre!” e con rabbia tirò fuori i
documenti che mostravano la sua identità mentre un brivido gelato gli correva
lungo la schiena.
“Anche
quell’uomo aveva dei documenti e pareva molto sicuro del fatto suo” deglutì
incredula la giovane infermiera che non riusciva a levare gli occhi di dosso a
Walter. Lui e quell’altro uomo entrato pochi minuti prima erano assolutamente
identici, tranne per l’abbigliamento: quello di prima era vestito in maniera
elegante, questo era tendente al casual, se così poteva definirlo.
La
Dunham a quel punto le mostrò meglio il suo tesserino e nel parlare usò il tono
più fermo che poté
“Le
assicuro che questo è l’unico padre di Peter Bishop che io conosca! Ora mi
indichi la stanza altrimenti metto a ferro e fuoco l’ospedale!”
Walter
si avvicinò all’orecchio di Olivia bisbigliando poche significative parole
“Sei
molto brava agente Dunham!”
“Ti
dovrei prendere a pugni altro che! Soprattutto se la persona di sopra è chi
dice di essere” sibilò Olivia mentre lei e Walter si erano messi a seguire
l’infermiera verso gli ascensori.
“Secondo
piano, stanza ventiquattro. Vado a chiamare la sicurezza: mi spiace per il
problema”
La
Dunham non si prese neanche la briga di replicare entrando nel’ascensore
insieme a Walter.
Dovevano
fare in fretta.
Una
volta arrivati al piano iniziarono a correre come due forsennati temendo che l’altro
fosse riuscito nel suo intento e purtroppo per loro quando arrivarono alla
camera di Peter l’unica cosa che videro fu un forte bagliore, poi più niente.
Quella
luce potente li accecò per un secondo dopodiché entrarono di corsa nella
stanza.
Non
c’era nessuno.
Furibonda
Olivia prese la flebo e la scaraventò per terra, dove si ruppe in mille pezzi.
“No!No!No!”
Il
suo primo istinto fu quello di scagliarsi contro Walter.
Era
colpa sua.
Delle
sue dannate bugie.
Lo
scienziato non si mosse.
Era
d’accordo con lei e quando vide il suo braccio alzato non reagì.
“Fallo,
me lo merito!”
“Tu
… tu e le tue bugie!!! Maledizione!!!” la giovane fermò la mano ad un
centimetro dalla guancia di Bishop.
La
sua naturale onestà la fermò.
“Cosa
c’è?” chiese interdetto l’uomo.
“Gli
abbiamo mentito entrambi, io due volte. Se gli avessi detto quanto tenevo a lui
ora non sarebbe andato via invece non ho fatto niente quando lui mi ha detto di
pensare di non essere ricambiato.” Sospirò in un soffio.
Avvilita
si sedette sul letto, stringendo le lenzuola su cui aveva dormito fino ad un
secondo prima l’uomo che amava.
Ne
annusò l’odore.
Dio
come gli mancava.
Cosa
gli aveva detto Sam?
“Quando
ami qualcuno devi dirglielo perché poi il momento passa”
Olivia
chinò il capo, stringendo ancora di più le lenzuola, inebriandosi di
quell’odore, sperando che le desse la forza di continuare a lottare per lui e
per loro.
E
nel fare quel gesto si accorse di un biglietto di carta attaccato al tessuto.
Lo
prese per gettarlo via quando si accorse di una scrittura famigliare.
Peter.
Come
un assetato nel deserto gioisce nel trovare una sorgente d’acqua, Olivia si
sentì rinascere a vedere la sua scrittura.
Aprì
meglio il biglietto per leggerne il contenuto e fu a quel punto che la vista le
si sbarrò
“Ho
scoperto pochi giorni fa di essere stato rapito dal nostro mondo dall’uomo che
credevo essere mio padre, sono scappato e…. sono scappato perché sono
impazzito di dolore, mi sono ubriacato e mi sono fatto picchiare apposta in un
quartiere malfamato”
Walter
le poggiò le mani sulle spalle.
“Cosa
c’è Olivia?”
Lei
rilesse quel biglietto varie volte mentre lacrime scottanti inondavano il suo
bel viso.
Ora
capiva quanto lui stesse soffrendo.
Era
preparata a tutto, ma non a questo.
Non
al fatto che per non provare dolore arrivasse a farsi del male da solo.
Non
era da lui.
Cosa
gli avevano fatto?
In
preda alla rabbia verso se stessa fece a pezzi le lenzuola, poi se le strinse
al volto continuando a piangere disperata.
“Che
cosa gli abbiamo fatto Walter? Siamo stati due egoisti! Due esseri meschini!
Non abbiamo capito niente di lui! Niente!”
Walter
era sempre più sconvolto da quella reazione.
Spaventato
le strappò il biglietto di mano per leggerne il contenuto e fu a quel punto che
capì.
Nella
testa dello scienziato rimbombarono ripetutamente due frasi
“Sono
impazzito di dolore” la prima era una pugnalata al suo egoismo, ma la seconda
era anche peggio “Mi sono fatto picchiare apposta”.
Incapace
di reggere oltre l’uomo iniziò anch’egli a piangere, non sapendo cosa fare
mentre vari flash gli attraversavano la mente.
Peter
che suonava il piano per aiutarlo a creare i suoi intrugli infernali.
Peter
che gli portava il caffè.
Che
lo abbracciava temendo di perderlo.
Peter
che lo chiamava “Papà”
Aveva
dato per scontato tutto, anche il suo perdono, oltre che la sua presenza.
E
non aveva capito di averlo pugnalato al cuore con le sue bugie.
“Mi
spiace figliolo” balbettò tra le lacrime, poi vedendo l’agente Dunham ancora in
lacrime cercò di dirle qualcosa.
Sapeva
quanto sarebbe costato ad Olivia, in termini di orgoglio, quel comportamento,
però ora si rendeva conto che per lei la cosa più importante, così come per
lui, era Peter.
“Olivia”
farfugliò sedendosi sul letto, osservandola stringere quelle lenzuola.
“Walter,
sono una dannata egoista, lo so. Solo che … che non posso perderlo, non
possiamo perderlo. Striscerò ai suoi piedi se occorre, ma lo rivoglio. Io lo
amo, lo amo da morire!” fece la ragazza straziata dall’angoscia.
“Lo
so” affermò semplicemente Walter.
“E
lo ritroveremo” fece lei cercando di sorridere mentre si asciugava le lacrime e
appallottolava ciò che restava delle lenzuola nella sua giacca.
Non
c’erano piani, non c’erano strategie.
Solo
una precisa volontà.
Riportare
a casa Peter.
Tutto
il resto poteva aspettare.
Over
There, Giardino della Villa dei Bishop
Una
potente luce illuminò il prato fiorito, per un momento fu impossibile vedere
alcunché, poi spuntarono due uomini, l’uno che sorreggeva l’altro.
Nel
momento del passaggio, Peter aveva sentito una violenta fitta attraversargli il
corpo, si attaccò a suo padre, spalancando gli occhi.
Solo
che non aveva abbastanza forze e cadde rovinosamente sull’erba, iniziando a
vomitare sangue.
Walternate
si chinò, tentando di tirarlo su, ma fu tutto inutile, Peter era attanagliato
dalla sofferenza, sembrava che le percosse subite si fossero centuplicate.
Allungò
il braccio verso il padre, continuando a sputare sangue, poi dopo aver lanciato
due o tre gemiti di puro dolore, svenne nell’aiuola del giardino.
Walternate
frugò nelle tasche come un forsennato, quello spettacolo aveva spaventato
persino lui, alla fine riuscì a trovare il cerca persone.
“Sicurezza
presto un medico in giardino!”
Neanche
dieci minuti dopo un battaglione di sanitari aveva già raccolto il corpo
esanime del giovane Bishop portandolo in una delle stanze più grandi della
villa, la sua stanza che Elisabeth aveva preparato in tutti quegli anni in
attesa di un suo insperato ritorno.
Sentendo
tutto quel trambusto l’ex signora Bishop si era precipitata fuori dal suo
studio e vedendo l’ex marito circondato da uno stuolo di persone rimase
interdetta per qualche secondo, poi riprendendosi prontamente gli si avvicinò.
“Cosa
succede?” domandò incuriosita.
“Abbiamo
trovato Peter” fece Walternate con lo sguardo perso verso la stanza del figlio.
“Come?”
fece la donna incredula “Dov’è?”
“Nella
sua stanza” affermò il segretario della difesa.
“Vado
a vederlo” e subito si diresse verso la porta, ma l’ex marito la bloccò.
“Ascoltami
Elisabeth” il tono era sempre il solito. Freddo, glaciale, distante eppure
c’era qualcosa di nuovo, qualcosa che lei non riusciva a cogliere: rabbia?
Paura? Non sapeva.
“Lasciami,
voglio vederlo” fece lei divincolandosi da quella stretta.
“Volevo
solo avvertirti che non sarà un bello spettacolo” replicò Walternate.
“Che
vuoi dire?” ora sì che aveva paura.
“Lo
hanno riempito di botte. E’ in uno stato penoso e adesso come adesso non
possiamo usare le nostre cure, il passaggio lo ha stroncato.”
“Chi
lo ha picchiato?” a quel punto Elisabeth era più che mai decisa entrare in
quella stanza per poter riabbracciare il figlio.
“Non
saprei, solo che non sai il peggio” non amava avere conversazioni del genere,
solo che preferiva mettere sull’avviso la sua ex moglie, dopotutto in qualche
modo le voleva ancora bene.
“Cosa
può esserci peggio di questo?” domandò ormai furiosa la donna.
“Ha
scoperto di venire da qui solo da pochi giorni. L’uomo che credeva suo padre lo
ha ingannato per tutti questi anni perciò il nostro Peter è impazzito di dolore
e si è fatto picchiare apposta”
Elisabeth
fissò a lungo l’ex marito dopo quelle affermazioni, cosa poteva dirgli?
Erano
più di venti anni che aspettava il loro bambino, sperando e pregando qualunque
divinità di poterlo rivedere almeno una volta.
Ed
adesso doveva sentirsi dire che quelli che lo avevano rapito lo aveva spinto
all’auto-distruzione tale e tanta era la sofferenza che gli avevano causato?
Come
una furia entrò nella stanza, stanca di quell’attesa che l’aveva sfibrata di
dentro e di fuori in tutti quegli orribili anni.
La
camera era in penombra, però anche così poteva vederlo.
Il
suo volto era ancora più bello di quanto ricordasse solo che quei terribili
lividi lo coprivano quasi interamente.
E
lo stesso valeva per il torace che si poteva intravedere sotto le bende.
Si
avvicinò a lui, gli prese la mano.
Aveva
atteso tanti anni, poteva aspettare anche qualche giorno in più per poterlo
sentir parlare di nuovo.
Gli
passò una mano sul viso, contratto dalla sofferenza.
Come
lo aveva chiamato Walter?
“Il
mio piccolino”
In
quel momento gli sembrava davvero il suo, il loro piccolino anche se era ormai
un uomo, lei come madre poteva sentire il suo immenso dolore e il suo forte
senso di smarrimento.
“Sei
a casa, Peter e nessuno ti porterà più via da noi” bisbigliò Elisabeth continuando
ad accarezzarlo.
Il
giovane reclinò il capo, abbandonandosi sfinito sul cuscino, come se anche nel
sonno potesse sentire quelle lievi carezze.
Fine
Capitolo 3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Over There, Villa dei Bishop
Elisabeth
entrò di buon mattino nella stanza del figlio che dormiva ormai da cinque
giorni nel suo letto, se da una parte il suo cuore gioiva nell’averlo di nuovo
lì dall’altra non poteva non soffrire nel vedere quel viso devastato dalla
violenza.
Gli
prese la mano, asciugandogli la fronte imperlata di sudore, aveva la febbre
alta, non si era abbassata, nonostante le cure che il medico aveva detto
chiaramente avrebbero avuto poco effetto fino a che non si fosse ripreso dal
passaggio dimensionale.
E
considerando che quel passaggio lo aveva devastato, dovevano soltanto sperare
che avesse la forza di reagire da solo.
Aveva
così voglia di parlargli, di abbracciarlo, di stringerlo a se.
Era
un uomo ora, uno splendido uomo, la cui forza di vivere era stata messa a dura
prova dai troppi inganni, eppure lei sapeva che era forte, che avrebbe superato
quel momento malgrado tutto.
L’ex
signora Bishop si avvicinò ancora di più al volto del figlio, studiandone i
lineamenti e odiando quei lividi più che mai.
In
che stato doveva essersi ridotto per arrivare a farsi picchiare apposta?
Ripensò
a quando era bambino, lo aveva visto troppo spesso fragile per la malattia, ma
dannatamente forte di carattere, aveva una forza d’animo che sbalordiva anche
lei.
“Non
ho paura di morire, mamma”
Le
aveva detto mentre giocavano con la loro moneta, era il loro segreto, il loro
legame.
Peter
era come lei, lo sapeva.
Si
alzò dalla sedia, frugando tra i suoi vestiti fino a che non la trovò.
La
loro moneta.
Tornò
a sedersi accanto a lui, stringendola a se.
Non
si era sbagliata, il loro legame non era morto, malgrado li avessero divisi il
tempo, lo spazio e pure una dimensione.
“Peter”
sussurrò accarezzandogli il volto tumefatto.
Il
giovane si mosse, lasciandosi andare ad un lamento e subito dopo aprì gli
occhi, sforzandosi di non chiuderli.
A
differenza di quello che era successo in ospedale, la vista non gli si offuscò,
anzi, vide e riconobbe tutto subito chiaramente, come se in qualche modo quel
posto gli fosse famigliare.
Sentendo
la sua mano sinistra stretta da un’altra mano, fece due respiri profondi,
cercando di trovare la forza per parlare chiaramente.
Voleva
liberarsi in fretta di quell’impaccio in cui si era ficcato da solo, purtroppo
il suo corpo stava reagendo lentamente anche per colpa del passaggio
dimensionale.
Senza
volerlo si lasciò scappare due colpi di tosse, sputando di nuovo sangue.
Era
proprio messo bene.
Una
mano gentile gli pulì il viso, sfiorandoglielo con una carezza.
Riconobbe
subito quel tocco anche se erano passati tanti anni.
Si
voltò e la vide, bella come se la ricordava, con lo stesso sorriso tenero e
rassicurante.
“Ciao
… mamma” la salutò cercando di usare il tono più fermo che poté.
“Ciao
Peter” replicò lei allargando il sorriso mentre continuava ad accarezzarlo.
“Ti
ho fatto proprio una bella sorpresa, vero?” provò a scherzare il giovane
Bishop.
“Abbastanza”
la donna stette al gioco prendendogli le mani dove gli fece scivolare la
moneta.
“Ce
l’hai sempre, vedo” aggiunse continuando a fissarlo.
Peter
annuì, ricordando vagamente quei giochi nella sua stanza, tanto tempo prima.
Cosa
doveva dirle? Tutto era nuovo e nel contempo famigliare, gli pareva persino di
non essersene mai andato.
“Come
ti senti?” chiese sua madre continuando a mostrarsi serena. Sapeva che non
avrebbe giovato a suo figlio se fosse scoppiata in un pianto a dirotto per le
sue condizioni critiche.
“Beh,
direi bene a dispetto delle apparenze” e in effetti tutto sommato stava meglio,
almeno riusciva a parlare.
“Cosa
ti è successo?” era una domanda inutile, se ne rendeva conto, però ci teneva ad
avere la versione dei fatti di suo figlio.
Peter,
dal canto suo, la studiò a lungo, prima di risponderle aveva la terribile
sensazione che lei sapesse già tutto, ma forse si stava sbagliando.
Incrociò
gli occhi di lei, occhi scuri che erano così simili ai suoi per forma e
profondità.
Strinse
forte le sue mani, bisbigliando poche parole
“Non
c’è bisogno che te lo dica, lo sai già”
Elisabeth
annuì, lasciandosi scivolare una lacrima lungo la guancia.
“Voglio
sentirlo da te” disse infine cercando di sorridere.
“E’
proprio necessario?” era già abbastanza avvilente dover ammettere con se stesso
di essersi comportato da imbecille, doverlo poi rimarcare ad alta voce non era
il massimo della prospettiva.
“Sì”
disse semplicemente sua madre.
Doverlo
scrivere era stato molto più facile, forse perché non aveva sentito la sua voce
parlarne, ammettere la sua debolezza, la sua grande debolezza che continuava a
fargli paura.
Si
era sempre ritenuto forte, aveva sempre saputo badare a se stesso, anche in
ragione della sua famiglia disastrata.
“Ho
scoperto alcuni giorni fa la verità sulle mie origini” provò ad iniziare, non
era facile, eppure sua madre pareva deciso a sottoporlo a quella tortura e lui
non riusciva a spiegarsene la ragione.
“Capisco
… volevi bene all’uomo che credevi tuo padre?” ecco quella domanda non se
l’aspettava proprio.
“Ti
stai divertendo?” tentò di cambiare discorso Peter. Era inutile, lo sapeva. Sua
madre era come lui: non avrebbe mai mollato la presa.
“Non
più di tanto, anzi per niente soprattutto a vedere mio figlio coperto di lividi
a causa di un pestaggio, che è successo per sua volontà, peraltro”
Il
giovane Bishop chinò la testa sconfitto, decisamente i suoi genitori erano due
tipi tosti.
“Sono
stato un idiota” affermò poi nel rialzare il capo.
“Appurato
questo, ora come va?” domandò Elisabeth stringendogli di nuovo le mani.
“Beh,
sto meglio davvero. E non ho più istinti masochistici, anche perché le botte
fanno proprio male” disse Peter, con estrema risolutezza, sorridendo.
E
subito suo madre ricambiò il sorriso accorgendosi comunque della smorfia che il
figlio fece per i dolori che provava ancora dappertutto.
Vedendola
leggermente rabbuiarsi il ragazzo le accarezzò la guancia cercando di
rassicurarla
“Magari
la prossima volta faccio una cosa indolore: un colpo in testa e via”
L’ex
signora Bishop si rasserenò
“Sì,
direi che stai meglio. Ti porto qualcosa da mangiare?” gli domandò infine.
“Grazie,
volentieri”.
Stava
decisamente meglio e quello scambio di battute non era poi stato un gran male,
anzi.
La
donna intanto era uscita dalla stanza per andare in cucina a preparargli la
colazione, era talmente intenta che non si accorse del rumore alle sue spalle,
fu solo quando si voltò un istante che lo vide.
“Sei
diventato matto?” chiese correndo incontro al figlio che era arrivato in cucina
zoppicando “Devi stare a letto”
Peter
scosse il capo con veemenza.
“No,
basta, per favore” balbettò con immensa fatica.
“Siediti
almeno”
A
quelle parole assentì con un gesto del capo, accasciandosi sulla prima sedia
che trovò
“Ti
senti bene?”
“Più
o meno” rispose guardandosi in giro.
“Credo
sia inutile ripeterti che dovresti tornare a letto”
Il
giovane Bishop annuì sorridendole.
“Sei
perspicace”
“Anche
da bambino quando stavi male ti rifiutavi sempre di stare a letto”
“Sono
una testa dura”
Elisabeth
gli accarezzò il volto, accorgendosi che scottava ancora.
“Sei
proprio pazzo. Ascoltami ti do un’ora d’aria, poi torni di là e non accetto
scuse”
“Non
posso almeno stare in giardino?” domandò con un tenero sorriso.
“Spaventeresti
quelli della sicurezza con quella faccia” replicò l’ex signora Bishop “Sai come
farti dire sempre di sì, non è vero?”
Peter
scosse il capo, ripensando per un momento all’unica donna che aveva amato,
Olivia.
Lei
non gli aveva mai detto sì.
“Va
tutto bene?” chiese Elisabeth notando immediatamente che si era rabbuiato.
“Sì”
rispose prontamente il ragazzo tornando a sorridere.
“Ti
stavo facendo delle uova. Ti va il bacon? Da piccolo ti piaceva sempre”
Peter
lo guardò per un attimo, ricordandosi di altri momenti, rendendosi conto che
non li aveva sognati.
“Mi
piace molto, sì” rispose guardandola negli occhi.
Elisabeth
poggiò le uova vicino ai fornelli, si avvicinò a lui e lo strinse, scoppiando a
piangere
“Mi
sei mancato tanto, tanto”
Il
giovane uomo la strinse a sua volta, inebriandosi del suo profumo.
L’abbraccio
di sua madre era una delle poche cose che era sempre riuscito a farlo sentire
in pace e al sicuro.
Rimasero
così per svariati minuti, assaporando quel momento atteso da troppo tempo.
Dieci
minuti più tardi erano in giardino a fare colazione anche se Elisabeth aveva
imposto al figlio di camminare con un bastone a causa delle fratture alle
costole e Peter non aveva saputo opporvisi.
Dopotutto
quella situazione gli piaceva anche perché i suoi veri genitori non avevano
segreti per lui.
“Benché
non lo faccia vedere pure tuo padre è molto preoccupato per te. Quando hai
iniziato a sputare sangue mentre dormivi l’ho visto sbiancare varie volte”
esordì sua madre felice di vederlo mangiare di buon appetito nonostante la
convalescenza.
“Anche
in ospedale è sbiancato quando ha letto il mio biglietto su quello che mi era
capitato” replicò Peter continuando a mangiare.
Aveva
decisamente una gran fame, quelle uova erano strepitose e inoltre era stufo di
starsene a letto, voleva guarire in fretta, tornare alla vita normale benché,
in quel mondo, non aveva la minima idea di cosa potesse fare, ma quello era
decisamente l’ultimo dei suoi problemi.
Era
il figlio del segretario degli Stati Uniti D’America, poteva fare quello che
voleva della sua vita.
“Tuo
padre è via, ma tornerà stasera, vuole cenare con te” disse Elisabeth quasi gli
avesse letto nel pensiero.
“Mi
farà davvero piacere” fece continuando a guardarsi intorno.
C’era
un panorama incredibile da quella terrazza, si poteva vedere il mare e il
giardino pareva immenso, avrebbe voluto fare un giro più tardi sempre che sua
madre glielo avesse permesso.
“Non
puoi camminare troppo, lo sai” affermò la donna notando il suo sguardo perso.
“Sei
impossibile” rispose il ragazzo “E se andassimo insieme a fare una passeggiata?
Ti prometto che ti userò come bastone”
“Perché
no? Ma sappi che se ti metterai a correre, ti legherò con una corda” disse sua
madre beandosi di quella conversazione così come della sua presenza.
Non
si sentiva così da anni, da troppi anni.
“E’
successo qualcosa mamma?”
Elisabeth
scosse il capo, voltando la testa.
“Da
quando siete separati?” domandò con assoluta semplicità Peter.
“Ora
sei tu quello impossibile” fece lei riprendendogli le mani. “Ci siamo separati
poco dopo la tua scomparsa. Il dolore ci ha distrutti di dentro e di fuori, rovinando
il nostro matrimonio. Tuo padre iniziò anche a bere”
“Davvero?”
questo proprio non se l’aspettava. Walternate non sembrava il tipo da crollare
così, soprattutto non se lo figurava darsi all’alcolismo.
Ma
perché continuava a chiamarlo Walternate? Dopotutto era lui suo padre, no? E a
rigor di logica avrebbe dovuto definire Walter con quel nome.
Gli
girava la testa.
“Tuo
padre mi ha detto che quando starai meglio avrà bisogno del tuo aiuto per un
progetto” fece improvvisamente Elisabeth fissandolo turbata.
Si
era subito accorta del suo leggero mancamento.
“Di
che genere?” non gli aveva detto niente in ospedale, ma del resto lui non è che
fosse in condizioni di fare alcunché.
“Non
saprei” disse sua madre distrattamente “Vuoi che andiamo subito a fare un giro?
Così dopo ti riposi?”
Peter
la squadrò con un aria truce
“E’
proprio necessario che io mi riposi?”
“Ti
ricordo che hai ancora diverse fratture e che hai vomitato sangue neanche
un’ora fa”
A
quel punto il ragazzo scosse la mano, fingendosi seccato.
“D’accordo
signora, allora andiamo a fare un giro”
L’ex
signora Bishop lo aiutò ad alzarsi dalla sedia, lo prese sottobraccio e insieme
si avviarono lungo il marciapiede più grande del giardino.
Malgrado
il giovane si stesse facendo forza, sua madre sapeva che non stava ancora bene,
ci voleva tempo però vederlo sorridere aiutava a stare meglio anche lei.
In
pochi minuti si ritrovarono in mezzo ad un viale alberato, dove stavano già
sbocciando i fiori di pesco e di albicocco, era raro vederne, soprattutto nelle
zone vicino a Boston, ma loro vivevano in una zona tranquilla.
Camminavano
in totale silenzio, Peter si guardava intorno, ritrovando una certa serenità
interiore, voleva lasciarsi il mondo di là indietro, senza pensare al domani,
senza progetti, solo vivendo alla giornata, magari ricostruendo il rapporto con
i suoi veri genitori.
Poteva
farlo, tanto per quello che ne sapeva dall’altra parte non lo avrebbero più
cercato.
Guardò
sua madre, pensando all’altra madre, a quella che si era suicidata per il
rimorso di averlo rapito, le amava allo stesso modo, anche se erano diverse
come carattere e come vitalità.
Diverso
era il discorso sui suoi due padri, anche perché adesso non voleva pensare a
Walter e alle sue malefatte.
Lasciò
vagare la mente sul paesaggio che aveva di fronte, mettendo in un angolo ogni
ricordo doloroso, ogni paura, doveva andare avanti.
Passarono
quasi un’ora a camminare, al termine della quale il giovane Bishop chiese di
potersi sedere il tutto mentre sua madre sorrideva soddisfatta.
“Te
lo avevo detto” sottolineò immediatamente non appena il ragazzo si sedette su
una panchina.
“Ora
sono sicuro che ti stai divertendo” sospirò fiaccato dalla camminata. Non
poteva proprio negare di avere ancora dolori sia sul torace che sul viso, se li
sentiva entrambi schiacciati da una pressa e ciò gli fece ricordare il momento
in cui aveva ricevuto tutti quei pugni.
Ma
possibile che lo avesse fatto volontariamente?
Elisabeth
evitò di fargli domande, accorgendosi dello sguardo perso, era evidente che
pensava ancora a loro, al suo passato, al mondo di là.
Avrebbe
voluto che sparissero per sempre, tutti quanti, rivoleva la vita di venti anni
prima quando Peter non ne era che un bimbo e Walter un brillante scienziato,
legato a lei e al loro bambino.
Erano
una famiglia felice.
Scosse
la testa rendendosi conto che era un sogno impossibile, che adesso aveva vicino
di nuovo suo figlio e questo la rendeva immensamente felice.
Al
resto non voleva pensare.
“E’
bellissimo qui” mormorò improvvisamente Peter.
“Sì,
adesso sì” replicò prontamente sua madre accarezzandogli il volto e a quelle
parole suo figlio le sorrise, un sorriso di sincera gratitudine.
Una
settimana dopo.
Walternate
e Peter stavano sorvolando su un elicottero le varie zone in quarantena della
costa orientale degli Stati Uniti.
Il
giovane Bishop cominciava a stare meglio anche se sul suo volto, così come sul
torace, si vedevano ancora svariate cicatrici.
Ora
riusciva a parlare senza provare dolore, l’unico inconveniente era che, di
tanto in tanto, doveva fermarsi mentre camminava perché altrimenti gli si
mozzava il respiro.
Il
dottore che lo aveva visitato quella mattina aveva detto che stava guarendo
bene, che il suo recupero era sorprendente, tuttavia non poteva pretendere che
le sue fratture si sistemassero in meno di un mese.
“Hai
visto cos’ha fatto quell’uomo?” esordì improvvisamente suo padre indicando
l’ennesimo posto in quarantena.
Peter
annuì, sconvolto da quelle visioni, i viaggi extradimensionali di Walter e del
suo amico William Bell avevano provocato immensi disastri e sciagure.
Adesso
come adesso non poteva dare torto a suo padre se aveva mandato quei mutaforma
contro lo scienziato benché Peter non poté fare a meno di pensare a quando
Newton aveva quasi ucciso suo…. Walter.
Aveva
avuto una paura terribile allora.
Sapeva
che non sarebbe mai riuscito ad odiare veramente l’uomo che lo aveva rapito.
“Torniamo
indietro?” domandò infine senza staccare gli occhi da una foresta morta.
Due
universi in lotta per cosa?
Forse
non voleva neanche sapere la risposta.
Walternate
intanto aveva dato ordini al pilota di rientrare alla villa.
“Come
va con i progetti che ti ho dato?” chiese poi a suo figlio ancora perso nei
suoi pensieri.
“Bene,
a quanto pare l’oggetto risponde ai miei impulsi, forse potremmo iniziare ad
usare la tecnologia molto presto” fece Peter.
Adorava
parlare di quel progetto, ci teneva a trovare il modo di rimettere le cose a
posto, forse ci sarebbe riuscito solo in parte, ma lo doveva a tutte quelle
persone morte senza colpa alcuna per le ambizioni cieche di due scienziati
folli.
“Ne
sono lieto. Ah figliolo, una cosa importante” gli disse suo padre e subito il
giovane si volse.
“Dimmi”
malgrado si sforzasse non riusciva ancora a chiamarlo papà. Con Walter ci erano
voluti due anni, se escludeva quel terribile giorno in cui Newton aveva cercato
di ucciderlo.
“Sono
preoccupato per te perciò ho deciso di mettere delle guardie della divisione
Fringe alla villa. Quando arriverai ci saranno gli agenti Olivia Dunham e
Charlie Francis, saranno loro a prendersi cura di te”
La
divisione Fringe?
Ah
sì, si era scordato che c’era anche lì, ma che era sotto la giurisdizione di
suo padre, il segretario della difesa.
Malgrado
si sforzasse il passato continuava ad inseguirlo.
Rientrarono
a casa mezz’ora dopo, per cena, solo che ad attenderli c’era un battaglione di
fotografi e giornalisti decisi a parlare con Peter.
Il
giovane era letteralmente sconvolto da quell’assembramento, non si era
assolutamente reso conto di quanto il suo rapimento fosse un fatto celebre fino
a che non aveva visto tutte quelle persone desiderose di fargli delle domande.
Walternate
era furibondo e lanciava fuoco e fiamme contro la sicurezza mentre suo figlio
fissava interdetto quello stuolo infinito di microfoni che gli venivano ficcati
sotto il naso.
“Signor
Bishop come si sente? Chi è che l’ha rapita? E perché mai?”
Non
se la sentiva proprio di rispondere a quelle domande e malgrado non fosse
ancora completamente in forze, corse in casa alla velocità della luce seminando
quegli sciacalli.
“Da
dove sono arrivati?” domandò ancora frastornato.
“Mi
spiace figliolo, è proprio a questo che alludevo in elicottero, ora vai a farti
una doccia ci penserò io qui” rispose prontamente suo padre.
Il
giovane non se lo fece ripetere due volte, sgattaiolando di sopra nell’ampio
bagno della sua camera, dove rimase sotto la doccia per quasi un’ora.
Era
assurda una cosa del genere, non poteva neanche tornare a casa sua che si
ritrovava circondato da quelle iene.
Non
era la prima volta che ci sfuggiva perciò temeva che prima o poi avrebbe dovuto
indire una conferenza stampa per spiegare cosa gli era successo.
Proprio
una bella prospettiva: dover raccontare i fatti suoi in pubblico.
Non
poteva neanche accendere la televisione che ad ogni telegiornale si ritrovava
la sua faccia con annesse surreali ricostruzioni del suo rapimento.
La
prossima volta avrebbero tirato in ballo gli alieni.
Ma
chi diavolo li aveva informati del suo ritorno?
Aveva
il tremendo sospetto che ci fosse lo zampino di qualcuno a lui vicino.
Era
veramente stufo pensò uscendo dalla doccia avvolgendosi il corpo gocciolante in
un accappatoio.
Non
ebbe il tempo a finire di farlo che qualcuno bussò alla porta.
Sbuffando
andò ad aprire ritrovandosi di fronte una figura che ben conosceva, solo che
non era lei anche se lo sembrava, era il suo doppio.
L’aveva
conosciuta cinque giorni prima a New York, insieme all’agente Francis, ma
mentre quest’ultimo era la copia sputata dell’altro Charlie, quella Oliva non
aveva assolutamente niente in comune con la donna che lui aveva conosciuto,
tranne la somiglianza fisica.
“Mi
scusi il disturbo signor Bishop, volevamo solo salutarla. Siamo qui per la sua
sicurezza e le promettiamo che quello che è successo oggi non si ripeterà” fece
l’Olivia di quell’universo usando un tono militaresco.
“Non
si preoccupi, non è colpa sua. Ora se non le dispiace” replicò sperando di potersi
vestire in pace.
La
donna bloccò la mano del giovane che voleva chiudere la porta.
“Mi
scusi avrei bisogno di dirle altro” e senza attendere una risposta varcò la
soglia e chiuse la porta a chiave.
“Che
c’è?” non che avesse qualche tipo di timidezza, però non amava andarsene in
accappatoio gocciolante davanti ad un’estranea che per di più somigliava ad
Olivia.
Non
era nella condizione di poter avere una conversazione con quella.
Peter
si andò a sedere nell’angolo più stretto del divano, non riuscendo proprio a
capire cosa volesse da lui quella donna.
Questa
era rimasta in piedi a fissarlo senza dire una parola.
Il
giovane era raggelato da quello sguardo, non gli piaceva, si sentiva sotto
esame, era come se… un istante dopo spalancò gli occhi, squadrandola da capo a
piedi fino a studiarne a fondo lo sguardo.
Spaventato
si alzò dirigendosi dritto al telefono, lei lo bloccò con una mano.
“Ciao
Peter!” fece la donna sorridendo.
Il
ragazzo le puntò il dito contro il viso.
“Cosa
ci fai qui? Sei impazzita? Ora chiamo la sicurezza” replicò iroso. Non voleva
vederla, non voleva vedere nessuno di quel mondo che sperava di essersi messo
alle spalle.
La
giovane Dunham con assoluta calma gli fermò di nuovo la mano, tenendola nella
sua, ma subito lui si divincolò.
“Ti
faccio così paura?” chiese con la sua solita serenità.
Era
cambiato in quelle ultime settimane?
Non
sapeva dirlo con certezza.
Il
suo sguardo si era fatto più buio, più guardingo, più teso e sul corpo portava
ancora i segni dell’orribile pestaggio a cui si era sottoposto volontariamente
dopo le loro schifose bugie.
Non
era stato un bene, per lei, trovarlo con in dosso solo l’accappatoio, non che
fosse la prima volta che lo vedeva così, solo che di solito non aveva segni
così marcati sul corpo e non aveva appena fatto la doccia.
“Preferirei
che te ne andassi” rispose infine il giovane senza guardarla negli occhi. Gli
faceva male vederla, inutile negarlo e forse per questo l’avrebbe fatta andare
via senza avvisare nessuno.
Olivia
sospirò irritata, era ovvio che quell’idiota era ancora convinto di non essere
ricambiato.
“Sei
arrabbiato con me?” domandò cercando di trovare le parole giuste.
“Può
darsi” lei aveva la capacità di farlo sentire in imbarazzo, soprattutto in quel
frangente.
“Niente
può darsi, Bishop, lo so che sei arrabbiato con me!” e detto questo gli lanciò
un biglietto dove lui riconobbe subito le parole che aveva scritto due
settimane prima.
“E
quindi?” il fatto che lei conoscesse quel suo lato non significava
proprio niente.
Olivia
sbuffò pensando che i Bishop fossero proprio delle teste dure.
“Secondo
te cosa diamine ci sono venuta a fare qui travestendomi da quella lì?”
quasi ringhiò nel porre la domanda.
“E’
carino il modo in cui definisci l’altra te stessa, comunque potevi avere voglia
di fare un giro di qua” aveva usato un tono ironico e strafottente tentando
inutilmente di non mostrare l’imbarazzo che sentiva.
La
Dunham a quel punto si avvicinò a lui, sedendosi sul divano.
“Sei
un idiota, lo sai? Quando ci conoscemmo ti eri messo a chiamarmi tesoro facendo
finta di essere quello che non sei e ora, dopo due anni che ci conosciamo, hai
paura di me?” sibilò furiosa.
“Non
è così semplice” replicò il ragazzo.
“So
che sei arrabbiato con me e Walter, lo so. Mi spiace tanto averti mentito e
dispiace anche a lui” il tono ora era calmo e sereno.
“Non
è importante” provò a fingere, sapendo che non sarebbe servito.
“Lo
è altrimenti non saresti andato in giro a farti picchiare” adesso il tono era
tornato irritato, ma non verso di lui, verso se stessa.
“Non
voglio parlare di questo” era vero dopotutto.
“Già,
tu sei tanto bravo a non parlare dei tuoi problemi, vero, Peter? Ci sono sempre
per primi i problemi di Walter, miei, di Astrid e magari anche di Gene! Vuoi
pensare un po’ a te stesso maledizione!”
“Non
ricordo di aver mai spazzolato Gene” replicò il ragazzo divertito da quella
conversazione.
“Perché
mi stai rendendo le cose difficili?” chiese avvicinandosi ancora.
“Onestamente
non ho ancora capito cosa vuoi da me” rispose in un soffio Peter tentando di
non incrociare il suo sguardo.
Era
sempre splendida, anche con quello strano taglio rosso.
Olivia,
invece, non riusciva a levargli gli occhi di dosso, non se lo ricordava così il
suo volto.
Era
dannatamente bello.
E
dannatamente triste.
Per
tutta la vita lei non avrebbe mai dimenticato di avergli fatto così male da
spingerlo all’autodistruzione.
“Non
puoi stare qui” disse infine tirando fuori un foglio che gli allungò.
Lui
subito lo prese, fissandolo interdetto.
Era
la tecnologia antica a cui stava lavorando.
C’era
lui in quel disegno.
E
distruggeva un universo attraverso quella macchina.
“Come
l’hai avuto?” chiese preoccupato.
“E’
stato un osservatore” fece lei prontamente.
Il
giovane si passò le mani tra i capelli bagnati e questo gesto ebbe il potere di
far sentire un gran calore ad Olivia.
Non
sapeva quanto avrebbe resistito ad averlo lì vicino con indosso poco o niente
senza approfittarne.
Non
che non volesse dichiararsi, solo che non c’era poi tempo per altro, temeva che
li avrebbero sorpresi.
Peter
sospirò irritato: anche suo padre gli aveva mentito.
In
tutti gli universi non faceva altro che incontrare bugiardi.
“Tu
non appartieni a questo mondo” insistette Olivia.
“In
effetti no, ma non appartengo neanche all’altro” rispose guardandola finalmente
negli occhi, notandovi una strana emozione.
“Invece
sì” gli si avvicinò ancora mentre lui continuava a guardarla senza capire. Cosa
voleva da lui?
“Ho
pensato a migliaia di ragioni per cui tu debba tornare di là. Combattere i
mutaforma, stare accanto a Walter, salvare il mondo” disse tutto d’un botto
Oliva cercando di trovare il fiato per poi aggiungere “Ma in realtà devi
tornare perché tu appartieni a me”
Peter
si ripeté mentalmente quelle parole varie volte poi avvicinò il suo volto a
quello di lei, si guardarono per un istante infinito e finalmente si baciarono.
Un
bacio tenero, appassionato, vibrante, atteso da troppo tempo.
Lei
gli cinse le spalle, decisa a bearsi del suo calore, ne aveva un disperato
bisogno e lui fece altrettanto perdendosi in lei, sfiorandole delicatamente il
collo con la punta del naso.
Non
voleva altro, solo attaccarsi a lei.
“Mi
spiace, Peter, mi spiace tanto” sussurrò lei prima di carezzare di nuovo le sue
labbra.
“Ora
sto bene, ora che ci sei tu” bisbigliò continuando a baciarla.
Era
sua.
Lo
amava.
“Non
posso dimenticare quello che ti sei fatto a causa delle nostre menzogne”
insistette Olivia.
Peter
le mise una mano sulle labbra
“Sssh
va tutto bene.” Per poi riprendere a baciarla in bocca.
Lei
lo lasciò fare, stringendosi a lui.
Erano
insieme.
Tutti
gli universi potevano aspettare ancora un po’.
Fine
Capitolo 4
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Over There, Secondo Piano della
Villa dei Bishop.
Olivia e Peter continuavano a baciarsi
lentamente, come per assaporare ogni istante insieme, avrebbe potuto arrivare
qualcuno, ma la porta era chiusa a chiave per fortuna.
La giovane Dunham gli passò le mani
sul collo, poi scese, persa nel suo meraviglioso calore, intanto il ragazzo
chiuse gli occhi beandosi di quei tocchi leggeri, appena accennati, non sapeva
fin dove si sarebbero spinti, però forse la cosa non aveva molta importanza.
Delicatamente le sfiorò le spalle con
le mani, mentre le sue labbra seguitavano a cercare quelle di lei, nel
tentativo di stare più attaccati possibili.
“Potrebbe arrivare qualcuno”
sussurrò Olivia non riuscendo a levargli gli occhi di dosso.
C’era solo lui e nessun altro.
“Vuoi fermarti?” domandò Peter
perso nel suo sguardo.
“In realtà no, solo che …” non
pensava che sarebbe diventata così sfacciata, d’altra parte aveva avuto una
paura matta di perderlo e ora sentiva l’esigenza di fargli capire quanto lo
amava.
“Solo che?” chiese il giovane
Bishop scostandole i capelli dal viso.
Lei non rispose, passandogli una mano
sul torace bagnato, sotto l’accappatoio, Peter richiuse gli occhi, gustandosi
il momento, purtroppo quando la mano di Olivia scese all’altezza delle costole,
non poté non fare una smorfia di dolore maledicendo per l’ennesima volta quelle
dannate fratture.
La ragazza si fermò immediatamente,
notando la sua espressione.
“Ti fa male?” domandò
preoccupata.
“Un po’ … continuo a non capire
come ho fatto ad essere così imbecille” scherzò allargando il sorriso.
“Il dolore ci fa fare cose
strane” replicò Olivia accarezzandogli il volto. “Certo è un peccato”
“Un peccato?” chiese Peter
baciandole la mano destra.
“Avrei tanto voluto fare una
cosa “ fece la Dunham passandogli le dita sulle labbra.
“Ho persino timore a chiederti
cosa volevi fare” scherzò Peter riprendendo a baciarla.
“Ah, quindi ami le cose
sadomaso, beh allora potrei decidere di fare quella cosa” bisbigliò lei e senza
attendere una sua risposta gli abbassò di scatto l’accappatoio, facendoglielo
scivolare in vita.
Il giovane Bishop rimase sorpreso da
quel gesto, non se l’aspettava proprio, però sentire il contatto con la pelle
di Olivia non gli dispiaceva per niente.
Piano le passò una mano sul seno,
sbottonandole la camicia e poi stringendola a se, ma quell’azione la pagò
davvero cara, sentendo altro dolore alle costole.
“Accidenti a me ed alla mia
stupidità” borbottò imbufalito.
“In effetti” sospirò la ragazza
accarezzandogli il viso. “Potevi almeno farti picchiare con meno veemenza”
“Ridi, ridi, intanto sono
costretto ad usare il bastone per camminare a volte” replicò fingendosi
arrabbiato.
“Povero Peter vittima del
proprio masochismo” scherzò Olivia sfiorandogli le labbra con i polpastrelli
delle dita.
Il giovane gli accarezzò i capelli
perdendosi nei suoi occhi verdi, poi delicatamente la accostò al proprio petto,
voleva sentirla, aveva bisogno della sua presenza più che mai.
Era così strana e nel contempo così
famigliare quella loro intimità, sembrava la naturale conseguenza del loro
rapporto così speciale, solo che aveva temuto di non essere nient’altro che un
amico per lei.
“Credo che tra poco dovrò andare
a cena e poi penso che prima o poi ti verranno a cercare” bisbigliò baciandole
i capelli.
“Sei sicuro di star bene?”
domandò Olivia osservandolo di sottecchi. Era così bello stare tra le sue
braccia, sentire il suo odore, il suo odore che sapeva sia di uomo e che di
ragazzo.
“Assolutamente” replicò con il
suo solito sorriso rassicurante, per poi guardare verso la sveglia: erano le
19.30 passate e lui doveva presentarsi dai suoi per le 20.
“Poi dici a me che sono una
bugiarda” affermò la Dunham, passandogli una mano sul petto.
“Sto bene, davvero” insistette
lui continuando a sorriderle.
“Puoi continuare a fingere con
il mondo intero se vuoi, ma io so che non è così” fece la ragazza piantandogli
nei suoi occhi blu i suoi occhi verdi.
“Cosa dovrei avere sentiamo?”
borbottò voltando la testa dalla parte opposta.
“Per quanti anni hai finto di
non provare dolore? Solo adesso mi rendo conto di quanto deve essere stato
difficile per te riavvicinarti a tuo padre”
Peter sospirò irritato, non voleva
affrontare quell’argomento, non con lei.
“Non devi sentirti in colpa, tu
lo hai fatto in buona fede. Avevi bisogno di mio… Walter per una persona a te
cara” rispose tornando a sorridere.
“Quante volte lo hai aspettato?
Quante?” sapeva di stare giocando sporco, però non voleva che ci fossero più
segreti tra di loro.
“Non voglio parlarne. E’ tutto
passato ora, sono un uomo adulto e sto bene. Comunque non era mio padre, quindi
che problema c’è?” era proprio seccato da quella storia, si scostò da lei e si
rimise meglio l’accappatoio.
“Sei molto bravo a scappare, in ogni
caso non pensare di darmi a bere che tu riesca a metterti alle spalle sia lui
sia il difficile cammino che avete fatto insieme” quella era pugnalata, lo
sapeva.
“Mi ha mentito Olivia, mi ha
sottratto ai miei veri genitori. Non voglio parlare di lui, punto!” esclamò
sempre più arrabbiato.
“Peter, per favore” sospirò la
ragazza accarezzandogli il volto.
“Tu non capisci e comunque non
sono affari tuoi” non voleva fare così, il problema era che temeva di crollare
da un momento all’altro.
Sentiva i ricordi della sua triste e
solitaria adolescenza avvolgerlo, aveva cercato di dimenticare, però una parte
della sua mente glieli mostrava ogni tanto.
Sapeva che lei capiva, aveva avuto un
patrigno meschino e crudele, che l’aveva picchiata, rovinandole la vita, però
non si sentiva di tirar fuori la cosa, non adesso che era così confuso.
“Perché dobbiamo parlarne?”
domandò poi tornando a baciarla.
Non era un tentativo di cambiare
discorso, semplicemente l’ennesimo modo di aggrapparsi a lei.
Olivia gustò con quel bacio con
passione, riprendendo ad accarezzarlo sui capelli e sul collo, quando si
staccarono lei gli sorrise.
“Forse perché la tua angoscia
dei giorni scorsi nasce da allora” disse genuinamente.
Peter chinò la testa sentendosi
prendere dai ricordi sempre più, uno in particolare, quando aveva atteso suo
padre per un giorno intero, al freddo, per andare a pesca insieme dopo che
glielo aveva promesso ed invece era rimasto al laboratorio, dimenticandosi di
quella promessa.
Sentì il freddo pungente di
quell’orribile giornata avvolgerlo, era stato allora che aveva iniziato ad
odiare il genitore, ripromettendosi di non aprirgli mai più il suo cuore ed
invece ci era cascato di nuovo.
Non si accorse che Olivia lo aveva
preso tra le braccia, né si accorse che lo aveva stretto a se, però si accorse
delle sue carezze, lievi, appena accennate.
Pianse in silenzio, con la testa
reclinata sulla spalla di lei, soltanto un leggero tremolio del suo corpo
faceva capire cosa gli stava succedendo, tremolio che la ragazza sentiva
chiaramente.
Conosceva bene quel senso di
smarrimento, la paura terribile di essere soli al mondo a lottare contro chi
avrebbe dovuto proteggerla e amarla e invece le aveva fatto soltanto del male.
Lei e Peter erano due anime perse che
si erano ritrovate.
“Ero così felice che ci fossimo
riconciliati e lo dovevo anche a te” balbettò il giovane Bishop stringendosi
alla sua Olivia, nonostante le varie fitte che sentiva allo sterno.
Lei non disse niente, limitandosi ad
accarezzargli i capelli neri, ancora bagnati.
“Quando ho scoperto… la verità
non ho capito più niente, mi sono sentito annientare dal dolore e volevo solo
che quel dolore finisse. Volevo morire” farfugliò ancora Peter.
A quelle parole lei gli fece alzare il
viso baciandolo quasi con rabbia.
“E se fossi morto io cos’avrei
fatto? Tu mi hai ridato la luce” mormorò Olivia sorridendogli tra le lacrime
Il ragazzo la baciò ancora,
abbracciandola stretta sussurrando
“Anche tu”
“Ma una luce diversa e nuova di
quella che avevo visto con John. E’ stato come se ci fossimo ritrovati” disse
infine accarezzandogli il volto.
Lui annuì a quelle parole, quando un
flash gli attraversò la mente, lo stesso che passò da quella di lei.
“Come mi hai trovato?”
“In questo disegno con i
tulipani piani è l’unico dove sorridi e in questa zona non ci sono tulipani
bianchi, tranne qui”
“Io sono Peter”
“E io sono Olivia”
“Lo stai facendo tu?”
“Sì”
Si osservarono a lungo dopodiché si
baciarono ancora ed ancora, non avendo bisogno di parole per dirsi quello che
avevano appena ricordato insieme.
Dieci minuti dopo lui si stava
rivestendo mentre lei lo guardava divertita e ammirata insieme: indossava un
completo grigio scuro, senza cravatta, che esaltava non poco la sua figura.
“Hai proprio l’aria del
principino che va alla cena di corte” disse improvvisamente abbracciandolo da
dietro.
Il giovane ridacchiò a quelle parole,
tuttavia Olivia ebbe la stupefacente impressione che stesse arrossendo.
“E non prendere in giro” scherzò
Bishop voltandosi e riprendendole le labbra.
“Cosa intendi fare?” domandò
facendosi seria.
“Voglio parlare a … mio padre.
Poi tornerò di là” affermò Peter in maniera risoluta.
“D’accordo, ora vado da Charlie
altrimenti si preoccupa!” replicò Olivia dandogli un ultimo bacio e poi uscendo
velocemente dalla porta.
Non c’era nessuno in giro, così
raggiunse il compagno di lavoro fingendo di aver perlustrato la villa
nell’ultima mezz’ora in cui era scomparsa, così insieme andarono a cenare in
uno dei salottini privati della villa, facendosi dare il cambio da due agenti
della sicurezza.
Peter, nel frattempo, ero andato dai
suoi genitori nel grande salotto centrale, nonostante il grande nervosismo per
quello che aveva appena scoperto sulla macchina o forse a causa di quello, il
suo appetito si era centuplicato e mangiò quasi con voracità la raffinata cena
che sua madre gli aveva preparato.
Nessuno dei due parve accorgersi della
sua agitazione, troppo impegnati com’erano a porgli mille domande sul mondo di
là, sulla sua vita e sulle sue passioni.
Il giovane cercò di rispondergli con
la solita tranquillità, soprattutto per via di sua madre, ci teneva che lei non
venisse coinvolta nella discussione che avrebbe avuto molto presto con il
padre: dopotutto era certo che la donna non sapesse nulla dei progetti dell’ex marito.
Verso le dieci si alzò chiedendo di
andare in giardino a passeggiare, cosa che gli fu concessa, ma a due metri
delle guardie lo seguivano instancabilmente.
La cosa stava iniziando a stancarlo
veramente tanto: ma di che diamine avevano paura i suoi?
Gli sembrava strano che tutto
quell’enorme spiegamento dipendesse dai giornalisti e fotografi che si erano
appostati da giorni intorno alla villa.
E se suo padre avesse saputo che
qualcuno era arrivato dall’altra parte?
Questo lo fece preoccupare soprattutto
per Olivia, temeva che fosse scoperta.
Si sedette su una panchina,
guardandosi intorno con aria circospetta e riflettendo su varie cose: dubitava
che la ragazza fosse venuta da sola in quell’universo, era più che probabile che
con lei ci fosse anche Walter.
Sospirò ripensando a lui, non
riuscendo a capire se fosse ancora arrabbiato o meno con quell’uomo, che, in
qualche modo, gli aveva fatto da padre.
“Va tutto bene?” quasi saltò a
sentire quella voce. Walternate, il suo padre naturale, benché, per quanto ne
sapesse, la prova del dna avrebbe dimostrato, senza ombra di dubbio che tanto
Walternate che Walter potessero essere suo padre.
Era proprio surreale dover mettere in
dubbio persino il dna.
“Sì, grazie” rispose alzando lo
sguardo verso di lui e incrociando quegli occhi così uguali e così diversi da
quelli di Walter “Avrei bisogno di parlarti della tecnologia”
“Sicuro? Mi sembri molto stanco
e poi … ti sono spuntati dei nuovi lividi sul collo” a quelle parole Peter
avrebbe voluto sprofondare di ottanta metri nel sottosuolo, ricordandosi che
Olivia lo aveva baciato anche lì due ore prima.
“Non è nulla, davvero. Andiamo
nel tuo studio?” era bravo a cambiare discorso quando ci si metteva.
Suo padre annuì, facendogli strada nel
suo ufficio privato che teneva ancora alla villa, il giovane Bishop era sempre
più nervoso, forse non era stata una grande idea decidere di parlarne con
quell’uomo, forse avrebbe dovuto scappare subito con Olivia prima di cena.
Walternate si andò subito a sedere
sulla sua comoda poltrona di pelle e Peter fece altrettanto, trovando infine la
forza di guardarlo di nuovo negli occhi.
“Allora, mi dicevi che la
macchina risponde ai tuoi impulsi: è una grande notizia, potremmo iniziare ad
usarla presto, no?”
“Ne dubito” rispose asciutto il
giovane Bishop squadrandolo.
“Perché?” domandò incuriosito il
segretario della difesa.
“Non intendo distruggere l’altro
universo!” replicò sbattendogli sul tavolo il disegno con la sua faccia
indiavolata.
“Come lo hai avuto?” chiese
Walternate usando il suo solito tono, non mostrando nulla della rabbia che lo
aveva colto nel momento in cui aveva riconosciuto quel disegno.
“Non ha importanza. Tu,
piuttosto, non venirmi a dire che non lo sapevi. Mi hai mentito!” ringhiò
furioso. Era veramente stufo che la gente si prendesse gioco di lui.
“Non è come pensi” disse suo
padre cercando di raddolcire il tono di voce.
“Ah no? Non mi hai mentito?”
chiese ironicamente.
“Peter, non abbiamo scelta o
loro o noi. Cerca di capire” adesso stava usando il tono di un padre affettuoso
che non gli si addiceva per nulla.
“Beh, trovati un altro angelo
dell’apocalisse. Non intendo uccidere sette miliardi di persone” Peter si stava
veramente trattenendo in quel frangente dato che la rabbia gli stava montando
sempre di più nel cuore.
“Peter, per favore, hanno
iniziato loro la guerra rapendoti” Walternate provò a prendergli la mano, ma
subito il giovane la tirò indietro lanciandogli uno sguardo truce.
“Ah beh allora è giusto andare ammazzare
miliardi di innocenti per le colpe di uno. E in ogni caso quell’uomo non mi ha
certo ucciso!” adesso la sua voce era irriconoscibile persino a lui.
“Ti ricordo che ti ha fatto così
male da spingerti all’auto-distruzione!” rispose inviperito suo padre provando
ad avvicinarsi a lui.
“Sono affari miei … MIEI … hai
capito? Non voglio coinvolgere due universi per i miei problemi personali” ma
come diamine ragionava quell’uomo?
“Ora lo difendi? Sono io tuo
padre!” sibilò furibondo il segretario della difesa.
“E chi lo sta mettendo in
dubbio? Voglio solo farti capire che le altre persone non c’entrano. Sono
disposto a fare di tutto per guarire questo mondo … tranne che distruggere
l’altro! Non puoi chiedermi questo!” adesso aveva cercato di usare un tono fermo
e pacato. In fondo in fondo suo padre era un uomo ferito.
“Peter … “ provò ad iniziare
Walternate, ma a quel punto il ragazzo si era già alzato avviandosi verso la
porta.
“La discussione termina qui.
Buona notte” affermò con molta calma il giovane Bishop.
Walternate lo raggiunse a grandi
passi, fermandolo per un braccio.
“Ascoltami, voglio farti vedere
una cosa, parliamone ancora, forse troveremo una via di mezzo” il ragazzo lo
guardò, non era molto sicuro delle sue intenzioni, d’altra parte era andato lì
per cercare un compromesso, no?
Annuì con un breve cenno del capo.
“Ti senti di andare in un posto?
Con l’elicottero ci metteremo poco” la voce di suo padre si era raddolcita.
“D’accordo” insieme si avviarono
verso la pista privata del segretario.
In meno di mezz’ora di volo furono a
Liberty Island, quartier generale della difesa.
Non c’era quasi nessuno a quell’ora di
notte, tranne le guardie per la sicurezza, Walternate portò il figlio nel suo
laboratorio privato.
“E’ qui che conduco i miei
esperimenti per la salvaguardia di questo povero mondo” aveva un tono mesto e
stanco, ma Peter se da una parte ne fu colpito dall’altra sentiva un disagio
crescente.
“Hai creato qui i mutaforma?”
domandò con un certo interesse.
“Sì” rispose sorridendogli
“Vieni ti faccio vedere le nostre vasche”
Il giovane annuì mentre sentiva il
disagio aumentare, si accostò a quelle strane vasche, simili a quelle di
Walter, ma più moderne.
Quasi strisciando si accostò al muro,
voleva andarsene e subito, non gli piaceva star lì.
“Che cos’hai figliolo?” ancora
il tono gentile di prima, ma anche stavolta non lo convinse e il giovane Bishop
si guardò in giro con aria spaesata.
“Era questo che volevi farmi
vedere?” domandò cercando di farsi passare quel nervosismo.
“Non proprio, però ti vedo
stanco, perché non ti siedi un attimo?” fece indicandogli un tavolino di ferro.
“Purtroppo non ho altro”
aggiunse con un sorriso.
Il ragazzo guardò il tavolino di ferro
e poi guardò suo padre, gli pareva di essere finito in uno strano film
dell’orrore.
Scosse la testa cercando di scacciarvi
quelle fantasie malate convinto che fossero appunto solo fantasie e si andò a
sedere sul tavolino sbirciandolo a più riprese.
“Cosa pensi che ci sia?” il tono
di suo padre era scherzoso ma anche un po’ offeso.
“Niente, mi sento a disagio. Mi
dicevi della macchina” rispose provando a sorridergli, dopotutto poteva davvero
sbagliarsi.
Walternate gli si avvicinò
“Capisco i tuoi scrupoli,
figliolo, ma tu devi cercare anche di capire me” era ormai ad un passo da lui
quando disse quelle parole e Peter si allontanò di scatto anche perché aveva
intravisto qualcosa.
Tuttavia suo padre fu più veloce e gli
piantò una siringa nel braccio destro che lo fece cadere all’indietro.
Nell’ultimo istante di coscienza il
giovane Bishop si diede per l’ennesima volta dell’imbecille.
Quando si svegliò dieci minuti più
tardi era legato mani e piedi a quel tavolo.
“Sei diventato matto?” domandò
cercando di non far vedere che aveva paura.
“Figliolo, devi sapere che io
ottengo sempre quello che voglio” esordì poi tirando fuori un’altra siringa.
“Che vuoi fare?” quella
situazione gli stava piacendo sempre meno..
“Nulla di che, non preoccuparti,
solo aiutarti a cambiare idea” il tono era gentile, quasi affettuoso e ciò
faceva una gran paura al giovane Bishop.
In quel momento, più che mai,
rimpianse la reale gentilezza e il reale affetto che suo … Walter aveva
dimostrato per lui in quegli ultimi due anni.
Nel frattempo era spuntato intorno
alla sua testa un cerchio di ferro che l’avvolse tutta, deglutì ormai in preda
al panico, non si sentiva molto tagliato per fare l’eroe.
“Che cos’è quella siringa?”
provò a chiedere cercando di non far vedere la sua paura, solo che Walternate
la sentiva eccome.
“Sai, non si scrivono certe cose
agli sconosciuti” ancora lo stesso tono, falsamente affettuoso e falsamente
gentile.
Si era fatto fregare.
Il suo padre naturale era proprio un
grandissimo bastardo.
“Quali cose?” domandò vedendo
che l’uomo stava mettendo degli elettrodi sul cerchio intorno alla sua testa e
gli svuotava dentro il contenuto della siringa.
“Ciò che mi hai scritto in
ospedale su quando sei impazzito di dolore” sorrise quasi dolcemente suo padre.
Era finito all’inferno e ora né Olivia
né Walter potevano salvarlo.
“Quindi?” non poteva giocargli
quel brutto tiro, lo aveva visto arrabbiato in ospedale e non sembrava che lo
fosse contro di lui.
“Sai ho pensato subito di poter
usare quel terribile senso di smarrimento che hai provato, così mentre avevi un
incubo proprio su quei momenti, ho prelevato il tuo sangue e ho usato quei
picchi di adrenalina particolari per creare un composto” non voleva neanche
sapere che tipo di composto anche se ormai aveva capito.
Avrebbe sentito di nuovo quella terribile
angoscia che lo aveva portato a farsi picchiare da degli sconosciuti.
Evitò di dire altro e quando vide che
Walternate azionava il macchinario a cui era legato, chiuse gli occhi e si
serrò le labbra, cercando di non dargli la soddisfazione di gridare, però fu
tutto inutile.
Non appena la prima scossa elettrica
attraversò il suo corpo, lanciò un urlo talmente acuto che per un attimo non
riconobbe la sua voce.
Alla seconda scarica emise un altro
grido, stringendo i polsi per il male anche perché aveva sentito chiaramente le
costole spostarsi.
Le scariche perdurarono per quasi
quattro ore, con intervalli regolari di dieci minuti, quando finalmente
quell’uomo, che doveva essere suo padre, smise e lo liberò, Peter era svenuto.
Si ridestò al rientro in villa e senza
neanche guardare Walternate negli occhi, cercò di raggiungere la sua camera in
fretta, nonostante la spossatezza fisica e mentale che sentiva, una volta lì si
barricò dentro a doppia mandata e si lascò cadere sul divanetto.
Stava per chiudere gli occhi quando
vide accendersi la luce, spaventato temette che suo padre lo avesse seguito
anche lì.
“Peter” la voce di Olivia. Ci
mancava pure lei.
Si voltò di scatto, cercando di non
farsi vedere, non doveva essere un bello spettacolo perché sicuramente aveva
gli occhi rossi e si sentiva la bocca impastata di sangue.
“Scusa, ti spiace se parliamo
domani? Sono un po’ stanco” provò ad usare il suo solito tono tranquillo,
sereno, ma sapeva che non l’avrebbe ingannata.
“Perché hai fatto così tardi?”
domandò andandosi a sedere di fianco a lui.
“Niente, abbiamo parlato fino
adesso della macchina” stava iniziando a mentire bene.
“E cosa ti ha detto? Vuole che
la usi?” era preoccupata, lo sentiva strano.
“Sì … cioè … ne parliamo domani
ti va?” fece continuando a tenere la testa girata.
“Cosa succede? Perché non mi
guardi?” chiese Olivia sempre più preoccupata.
Il giovane deglutì sperando di trovare
qualche scusa credibile, ma lei lo fece subito voltare notando subito i suo
occhi cerchiati di rosso e il sangue che gli colava dalla bocca e dal naso,
oltre che i vestiti in pessimo stato.
Peter provò a risponderle, però
sentiva quell’angoscia dentro di se farla da padrone, sperava di non avere più
a che fare con un sentimento del genere, non gli piaceva per niente.
Olivia, intanto, aveva preso il suo
fazzoletto, lo aveva bagnato e gli stava ripulendo il viso.
“Ti ha torturato?” domandò
infine la giovane.
Lui annuì andando a sdraiarsi sul
letto con uno sguardo sconvolto dipinto sul viso.
“Resto io qui con te” sussurrò
baciandogli la fronte.
“Non mi pare il caso” balbettò
chinando la testa sul cuscino “Ti chiedo solo un favore”
“Quello che vuoi” rispose lei
cercando di mostrarsi forte, anche se stava male a vederlo così.
“Portami via al più presto temo
che presto o tardi finirò per dirgli di sì” sospirò sorridendo.
Olivia assentì con un lieve cenno del
capo, poi lo baciò sulle labbra.
“E’ una promessa, ti riporteremo
a casa” bisbigliò accarezzandogli la guancia.
“Lo sapevo che c’era anche
Walter” scherzò il giovane prima di lasciarsi vincere dallo sfinimento.
La Dunham gli baciò di nuovo le
labbra, sorridendo per quelle parole, poi gli sfilò le scarpe e lo avvolse
nelle coperte.
In totale silenzio iniziò ad
accarezzargli il volto tirato dalla sofferenza, atterrita da quella svolta che
neanche lei si attendeva, avrebbe voluto rimanere veramente lì con lui tutta la
notte, ma non poteva, l’avrebbero scoperta.
Dieci minuti più tardi uscì dalla
camera, guardandosi in giro per non farsi sorprendere poi tornò nelle stanze
che i Bishop avevano assegnato a lei e a Charlie, arrovellandosi per il resto
della notte su come contattare Walter e gli altri per farsi aiutare.
11 a.m.
Peter si alzò dal letto sentendosi
scricchiolare tutte le ossa, provando a non pensare alla notte da incubo appena
trascorsa.
Sua madre non si sorprese vedendolo
arrivare in cucina così tardi perché l’ex marito l’aveva informata che lui e il
figlio avevano lavorato fino a tardi al loro progetto, tuttavia l’uomo, come
sempre, era andato via al mattino presto.
Per il giovane Bishop fu un sollievo
non trovarsi in giro il padre, non sapeva come avrebbe reagito in sua presenza
e di certo non era in condizioni per avere altre conversazioni con lui.
Elisabeth si avvicinò al figlio
avvedendosi subito dei suoi occhi cerchiati di rosso e dal viso distrutto.
Era come se fosse tornato indietro
anche perché gli erano rispuntati dei lividi qua e là.
“Peter forse non dovresti
stancarti troppo con quel progetto” fece la donna porgendogli il caffè
bollente.
Il ragazzo non ebbe neanche la forza
di rispondere, bevve quel liquido caldo senza pronunciare una parola, senza
nemmeno darsi la pena di fornire spiegazioni, non era proprio dell’umore di
farlo.
“Mi dici cosa succede?” sua
madre era preoccupata a vederlo così silenzioso.
“Andiamo a fare un altro giro in
giardino?” era un bel modo di cambiare discorso, ormai stava diventando
un’abitudine.
“Ti ho fatto una domanda, sembra
che tu sia peggiorato. Da dove vengono quei lividi?” insistette la donna.
“Mamma, ho sentito, però non so cosa
risponderti” aveva una gran voglia di ammazzare qualcuno e nel contempo sentiva
quella maledetta angoscia opprimerlo.
Elisabeth gli prese la mano,
stringendola nella sua.
“Come preferisci, non insisterò.
Sicuro di non voler mangiare niente?” domandò raddolcendo il tono.
Lui annuì provando a sorriderle.
“D’accordo, andiamo in giardino”
e come l’altra volta lo aiutò a rialzarsi portandolo nel viale, soltanto che
questa volta quella vista non ebbe nessun benefico sull’umore tetro di Peter,
anche perché vide quell’orda di giornalisti ancora appostati nei dintorni.
Era stato suo padre ad avvisarli,
adesso ne aveva la drammatica certezza, così che non potesse scappare di
nascosto.
Era prigioniero in una gabbia d’oro.
Fine capitolo 5
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
Over There, salottini privati di Villa
Bishop, 4 p.m.
Olivia passeggiava avanti ed indietro
in stato di evidente nervosismo, aveva deciso di provare a chiedere aiuto a
Charlie, si rendeva conto quanto potesse essere rischioso, però gli sembrava
così simile al Charlie che conosceva.
Charlie …
Il suo capo…
Il suo amico…
Il suo fratello maggiore..
E non c’era più.
Già da un anno.
“Te la caverai”
Si scrollò le spalle cercando di
mostrarsi forte.
Una delle poche cose belle di quel
viaggio, oltre alla possibilità di poter riavere il suo Peter, era
quella di avere a che fare con quel Charlie.
In quel mentre arrivò finalmente
l’oggetto dei suoi pensieri.
“Ciao Charlie”
“Ciao Olivia … c’è qualcosa che non va?”
Era proprio come lui, si accorgeva
sempre se aveva qualche problema.
“Ho bisogno di parlarti, è importante”
Charlie si accomodò su uno dei
salottini.
“Sotto tutto orecchi” rispose
semplicemente riuscendo subito a metterla a suo agio.
“Prima di tutto scusami se ti parlo a
voce bassa, ma ho il timore che possano esserci dei microfoni” sussurrò la
giovane Dunham.
“E anche se fosse? Non abbiamo segreti
“ l’agente Francis non riuscì a capire cosa volesse la sua collega da lui.
“Abbassa la voce, ti prego” bisbigliò
lei e a quel punto lui annuì.
“Non sono Olivia o meglio non sono
l’Olivia che tu conosci” disse tutto d’un botto aspettandosi una qualche
reazione che però non venne.
“Lo avevo capito” fece sorridendo
l’uomo.
“Da cosa?” domandò la ragazza
fissandolo interdetta.
“Sei diversa” replicò Charlie
continuando a sorridere.
“Perché non mi hai denunciato?” chiese
incuriosita.
“Non lo so, ma se sei qui credo che tu
abbia una buona ragione” affermò Francis.
“La vostra Olivia sta bene, non le ho
fatto nulla. Dobbiamo solo riportare Peter a casa sua” era pericoloso quel
gioco, molto pericoloso.
“E’ questa casa sua” adesso sì che era
davvero confuso.
“No, Charlie. Non lo è. Walter, il
nostro Walter, avrà tanti difetti, ne ha combinate tante, troppe anche a me, ma
dentro è un uomo buono, io l’ho visto e ama sinceramente Peter come suo figlio,
invece questo …” si interruppe ripensando al viso stravolto del giovane Bishop.
“Invece questo?” l’aveva vista
impallidire e anche se non era l’Olivia che conosceva, gli dispiaceva vederla
così.
“Lo ha torturato, Charlie” disse con un
tono assai angosciato.
“Stai scherzando? Ha torturato suo
figlio dopo anni che non lo vedeva? E’ assurdo”
“Infatti” forse ce l’avrebbe fatta ad
averlo dalla sua parte. Aveva fatto bene a fidarsi di lui.
“Ne sei sicura?” la sua era una domanda
retorica, vedeva quanto la giovane fosse sconvolta e non dubitava affatto della
sua sincerità.
Lei annuì al che Charlie si alzò
iniziando a girare per la stanza.
“E cosa diamine ci ha chiamato a fare?”
con enorme sforzo di volontà era riuscito a parlare a bassa voce, anche se
dentro voleva mettersi ad urlare.
“Non vuole che proteggiamo suo figlio,
vuole che lo teniamo prigioniero” fece lei sorridendo amara.
Francis tornò a sedersi mentre i suoi
occhi scuri erano ormai vitrei.
“Cosa vuole da Peter? Hanno uno scopo
quelle torture, giusto?” domandò sapendo di aver c’entrato il bersaglio.
“Esatto. Vuole che suo figlio azioni
una macchina che distrugga il nostro universo” e dicendo questo gli mostrò il
foglio che aveva preso dalla camera del giovane Bishop.
Vedendolo Charlie impallidì.
“E’ diventato matto? Pensa così di
risolvere i problemi del nostro? Ha chiamato lui la stampa, vero? In modo che
il figlio non potesse neanche tentare di scappare di nascosto. Un bel serpente”
borbottò imbufalito. Aveva servito per anni una carogna.
Olivia assentì con il capo.
“Ho bisogno di te” era così confortante
potersi affidare di nuovo a lui.
L’agente Francis le sorrise.
“Ti aiuterò, te lo prometto” era
assolutamente sincero, non era il tipo da mentire.
“Devi contattare nella zona del teatro
dell’opera il nostro Walter e William Bell. So che ci aspettano lì da giorni e
saranno molto preoccupati”
“D’accordo, non ci saranno problemi.
Non mi facevo un traditore, sai?” c’era un’amara ironia nella sua voce.
“Non lo sei, Charlie. Non è
distruggendo il nostro mondo che salvereste il vostro”
“Lo so. Ascolta, l’altro giorno sono
andato a fare un giro nei dintorni per perlustrare la zona, chiederò di poterlo
fare di nuovo, non sospetteranno nulla”
Olivia gli prese le mani sorridendogli
commossa
“Sei come il nostro Charlie, sai?”
“Lui è morto, vero?”
La Dunham annuì tra le lacrime.
“Chi lo ha ucciso?”
“Uno dei mutaforma mandati dal vostro
Walter”
“Mutaforma? Perché mi stupisco? Uno che
tortura suo figlio è capace di tutto. Adesso ho un motivo in più per aiutarti.
Devo vendicare il mio doppio”
La ragazza sorrise a quella battuta.
“Grazie, non lo dimenticherò”
“Neanche io”
Un’ora più tardi, zona del teatro
dell’opera di New York.
Charlie Francis alter era stato di
parola, aveva raggiunto gli invasori in fretta, riuscendo ad inventarsi
una scusa credibile davanti a Walternate, che pareva non sospettare nulla, ma
di questo l’agente Francis si fidava poco.
Una volta arrivato lì, cercò di
visualizzare il loro Walter, affidandosi alla descrizione che Olivia gli
aveva fatto, in teoria avrebbe dovuto essere identico al Walter che conosceva,
ma quando lo individuò in un bar, rimase a bocca aperta nel vedere il suo
abbigliamento.
Erano veramente agli antipodi e questa
convinzione aumentò quando ne incrociò lo sguardo.
Olivia aveva ragione.
“Dottor Bishop, per favore non scappi”
fece avvicinandosi al tavolo dove erano seduti lui e William Bell.
“Charlie Francis? Io credevo che … ah
sì tu sei il loro” rispose con tono gentile lo scienziato.
“Preferirei che non mi ricordasse che
il mio doppio è stato ucciso, gliene sarei grato” affermò con un sorriso
bonario Charlie.
“Mi scusi ha ragione. Come ha già
capito io sono il dottor Walter Bishop e lui è William Bell”
“Ci conosciamo già” dissero quasi
contemporaneamente i due, lasciandosi scappare un sorriso.
“Superati i convenevoli, credo che
avrete capito che voglio aiutarvi. Mi manda la vostra Olivia” disse sedendosi
al tavolino.
“C’è qualche problema?” domandò
preoccupato Walter.
“Sì”
Lo scienziato diventò bianco come un
panno lavato, immaginandosi il peggio per il suo Peter.
“E’ successo qualcosa a mio figlio?”
“Sì”
“Cosa?” adesso stava urlando e
vedendolo così agitato William gli bloccò le mani.
“Walter, calmati, non è così che
aiuterai Peter” disse in tono fermò il capo della Massive Dynamic.
“La verità è che la situazione è molto
critica. Suo figlio è nelle mani di un pazzo, usando un linguaggio eufemistico:
da quello che ho capito stanotte il nostro Walter ha torturato Peter per
costringerlo ad usare una macchina che distruggerà il vostro universo” aveva
parlato in tono calmo, scandendo bene le parole.
“E’ proprio un gran simpaticone
Walternate” fece Bell mentre Walter era passato dal bianco al rosso vivo.
Peter torturato?
Lo scienziato si immaginò di scuoiare
vivo il suo doppio, salarlo e darlo in pasto alle gazze.
“Dobbiamo andare a tirarlo fuori in
fretta” il dottor Bishop aveva usato il tono più pacato che aveva potuto.
“E qui arriva la cattiva notizia” provò
a scherzare Francis, venendo fulminato con lo sguardo sia da William che da
Walter.
“Va bene, parlando seriamente … La
villa ha uno stuolo infinito di guardie, di cui, in teoria, anche io farei
parte. Come se non bastasse ci sono appostati da giorni dei giornalisti che
vogliono avere un’intervista da Peter sul suo rapimento… provate ad indovinare
chi li ha avvisati?”
“Ci sta proprio rendendo le cose
difficili” borbottò Walter continuando a pensare al figlio sotto i ferri di
quell’essere.
“Grazie del suo aiuto, Charlie. Adesso
dobbiamo trovare il modo di entrare nella villa e tirar fuori Peter di lì”
aggiunse Bell.
“Non c’è di che. Non so se potrò
tornare ed è meglio non lasciarvi il mio cellulare, siamo intercettati lo
sapete meglio di me visto che nei giorni scorsi vi abbiamo trovato a Central
Park” disse l’agente Francis che rimase ancora una decina di minuti con loro.
Più tardi passò velocemente a casa di
Alt Livia, stava dormendo, così la svegliò, cercando di spiegarle la
situazione, lei sembrò capire e lo lasciò andare, promettendo di non dire
niente.
Cinque ore più tardi, Villa Bishop
Peter, dopo la passeggiata mattutina,
aveva trascorso la giornata confinato nella sua stanza, temendo di dover
incontrare di nuovo suo padre… suo padre? Non meritava certo quel titolo.
Con la scusa del peggioramento del suo
stato, aveva chiesto ed ottenuto di poter mangiare lì, benché avesse poca fame,
stava cercando di far leva sul suo forte senso di sopravvivenza.
Sua madre era andato a trovarlo varie
volte, provando a parlargli, ma lui si era chiuso in uno strano mutismo perché
stava cercando la maniera di andarsene da lì
Si avvicinò alla finestra, scrutandone
l’orizzonte, anche se non li vedeva sapeva che sia i suoi guardiani che quei
dannati paparazzi erano ancora lì.
Avrebbe potuto aspettare la notte, per
poi tentare di scappare da un’uscita secondaria, sì ma quale?
Durante il giorno, in una delle sue
poche uscite dalla camera, aveva rubato una piantina della villa e del giardino
e l’aveva studiata fin nei minimi dettagli.
Sembrava un dannatissimo bunker.
Qualcuno improvvisamente bussò cosa
che lo fece sussultare e non trovando di meglio come arma prese un fermacarte
dalla scrivania, appostandosi dietro alla porta.
“Chi è?” domandò sulla difensiva.
“Sono io, Peter” rispose Olivia.
L’uomo spalancò la porta, la prese per
un braccio e poi richiuse a doppia mandata.
“Vedo che sei in ottima forma” scherzò
osservandolo.
Gli occhi erano più rossi della sera
prima e un po’ ovunque gli erano rispuntati dei segni.
“E’ carino farmelo notare. Allora?”
domandò andandosi a sedere sul divanetto.
“Non credo sia una grande idea startene
confinato qui dentro” disse lei sedendosi a sua volta e dandogli un piccolo
bacio sulle labbra.
Lui l’abbracciò, stringendola forte a
se.
“Ne hai una migliore?”
“In effetti, no. Comunque ho parlato
con Charlie” fece staccandosi da lui.
“Cos’hai fatto?” chiese irritato il
giovane “Ci tradirà”
“Non lo farà, gli ho spiegato tutta la
situazione” accarezzandogli il volto teso.
“Ebbene?”
“Ha visto tuo padre e William”
A quelle parole Peter si rabbuiò
“Mi faresti il favore di non usare la
parola padre per un po’? Mi è indigesta”
“Scusami” sussurrò tornando a baciarlo
sulle labbra.
Il giovane Bishop approfondì quel
contatto, desideroso di sentirla come la sera prima, lei fece altrettanto, si
sentiva in pace solo percependo il suo calore.
Quando stavano per andare oltre,
qualcun’ altro bussò alla porta e subito Olivia si andò a rifugiare in bagno.
“Chi è?” domandò assai indispettito per
l’interruzione.
“Sono tuo padre” lo sapeva, lo sapeva
che sarebbe venuto.
“Questo è tutto da dimostrare. In ogni
caso stavo per andare a dormire e non ho molta voglia di vederti” affermò tra
il serio e il faceto.
Non fece in tempo a terminare la frase
che la porta si aprì, lasciandolo raggelato.
“Ho i doppioni di tutte le porte” fece
Walternate entrando nella sua camera.
“Vuoi portarmi ancora nel tuo parco
giochi?” domandò Peter riprendendo in mano il fermacarte “Non ho timore ad
usarlo, fidati” aggiunse sfidandolo con lo sguardo.
“Perché devi pensar male di me?” il
tono era offeso.
“Fai lo spiritoso adesso? Fuori di qui
o te lo tiro addosso, giuro” disse il giovane Bishop avvicinandosi a lui.
“Sono sicuro che non lo farai” gli
sorrise Walternate guardandosi intorno.
Peter, per un secondo, ebbe paura che
si fosse accorto della presenza di Olivia, ma se così era, suo padre non ne
mostrò il segno.
“Andiamo in giardino” la frase era
detta con il tono di un ordine.
“Te lo puoi scordare” ringhiò il
ragazzo squadrandolo.
“Per favore, voglio solo parlarti”
aveva ripreso a parlargli in tono affettato e ciò aveva il potere di fargli
venire la nausea.
“Ma certo, lo so bene cosa intendi per parlare”
sibilò il giovane che adesso come adesso voleva solo sputargli in faccia.
“Mi spiace … “ provò a dire Walternate
ma fu subito interrotto dal figlio
“Le tue balle raccontale agli elettori,
a me non le dai a bere. Non verrò a farmi torturare di nuovo”
“Peter sai bene che potrei chiamare le
guardie e farti trascinare via a forza” e dicendo questo si avvicinò provando
ad accarezzarlo, però immediatamente il giovane si scostò
“Vattene all’inferno” fece
minacciandolo con il fermacarte.
“Sono arrivati degli invasori
dall’altra parte, lo sai, non è vero?” domandò con un sorriso.
“E se anche fosse?” chiese il giovane
notando che suo padre teneva qualcosa nella mano sinistra.
Spaventato gli piantò addosso il
fermacarte, colpendolo alla spalla, ma Walternate si riprese in fretta e lo
spinse indietro.
“Cerca di darti una calmata figliolo”
mormorò massaggiandosi la clavicola.
“Fuori di qui” e con tutta la forza che
gli era rimasta sbatté il padre fuori dalla sua stanza, che richiuse a chiave,
barricandola poi con un armadio.
Solo in quel frangente si ricordò di
Olivia chiusa in bagno, la andò ad aprire e scoprì che la giovane era andata
via.
Tanto meglio, almeno non rischiava di
finire nelle mani di Walternate.
Si svestì e si sdraiò, sfinito da
quella lunga giornata di agitazione, solo pensando ad Olivia riuscì a calmarsi
e a prendere sonno.
Disgraziatamente per lui due ore più
tardi si ritrovò di nuovo sullo stesso scomodo tavolino della notte precedente,
sempre legato.
Come diamine aveva fatto a tirarlo
fuori dalla sua stanza? Era riuscito persino a buttare giù l’armadio?
Forse era entrato dalla finestra.
Era proprio finito in un film
dell’orrore, per di più nei panni della vittima e dire che aveva sempre avuto
simpatia per i cattivi.
Aprì lentamente gli occhi, trovandosi
una luce abbagliante di fronte.
“Gentile signor segretario… perché è
lei, vero?” stava usando il sarcasmo come ultima risorsa.
“Vedo che sei ancora di buon umore”
rispose suo padre mettendogli di nuovo gli elettrodi intorno alla testa.
“E questo è un male per me, vero?”
sapeva che non aveva bisogno di porre quella stupida domanda, stava inutilmente
tentando di prendere tempo.
Walternate non si prese neanche la
briga di rispondergli, facendogli entrare altro liquido negli elettrodi e poi
fece partire il macchinario.
Per Peter fu peggio della prima volta
dato che le scariche gli passavano più lentamente, esplorando ogni fibra, ogni
molecola, ogni atomo del suo corpo.
Di nuovo si serrò le labbra, ma quando
sentì le scariche passargli dal cervello, emise alte grida, ricordandosi della
terribile pioggia di Boston.
Provò a scacciare quei ricordi,
pensando ad Olivia e alla sua presenza costante vicino a lui, ai suoi abbracci
e a quando gli aveva fatto capire di amarlo.
Un’altra scarica gli attraversò il
cranio e con essa sentì ancora la pioggia, ma stavolta era quella del Vermont,
terribile, angosciosa, il senso di vuoto, la voglia di trovare pace e di non
essere più niente e nessuno.
Lasciò cadere sul tavolo la testa, non
avendo neanche più l’energia di gridare o chiedere aiuto.
Era totalmente solo.
In tutti i sensi.
Si svegliò tre ore dopo sul divano
della sua camera, era l’alba, ma non vi era nessuno in giro e la porta era
ancora barricata mentre la finestra che dava sul giardino era aperta.
Si sdraiò sul sofà, non avendo la
forza di alzarsi o di fare alcunché tantomeno di andare a chiudere le imposte.
Poco dopo sentì una mano gentile
sfiorargli il viso.
Era lei.
“E’ successo ancora?” domandò la voce
gentile di Olivia.
Peter neanche rispose, abbandonandosi
sul cuscino, completamente distrutto, senza volontà.
La ragazza si spaventò a morte
vedendolo così, non capiva cosa gli stesse facendo quel mostro, era più di una
tortura fisica.
“Peter” provò a dire ancora.
Lui, con le poca forza rimastagli,
balbettò qualche parola
“Portami via”
Olivia, non riuscendo a fare altro, lo
prese tra le braccia, stringendolo forte a se e il giovane si attaccò a lei
come un naufrago, perso nell’oceano, si aggrappa ad un pezzo di legno.
Fine Capitolo 6
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
Over There, motel dei pressi del
teatro dell’Opera, New York 9 a.m.
Walter Bishop stava mangiando il
quarto hamburger di fila vicino alla finestra della camera che lui e William
Bell avevano preso, in incognito, pochi giorni prima nell’inutile attesa di
Olivia e Peter.
“Non ti farà male tutto quel cibo?”
domandò alle sue spalle il suo amico.
“Belly, pensa piuttosto a trovare un
punto debole di quella villa. Lo dobbiamo tirare fuori da lì” il tono di Walter
era cupo e rabbioso mentre nella sua testa continuavano a formarsi mille
immagini della sofferenza di suo figlio.
Anche se non sapeva cosa gli stessero
facendo di preciso, poteva percepire il tormento della sua anima dilaniata,
forse perché in qualche modo Peter lo stava chiamando per chiedergli aiuto.
Non lo avrebbe abbandonato mai.
“Walter, ci sarebbero anche delle
uscite secondarie, solo che bisognerebbe distrarre sia i giornalisti che la
sicurezza”
“Olivia e Charlie hanno detto che ci
penseranno loro alle guardie, quanto a quegli sciacalli, troveremo loro un
diversivo. Il problema è Walternate, lui è sempre vigile” replicò sempre più
irritato lo scienziato.
Detestava starsene lì senza far niente
mentre suo figlio stava passando le pene dell’inferno.
Notando la sua figura incurvata, Bell
gli si avvicinò posandogli una mano sulla spalla
“Peter se la caverà, è un ragazzo
forte” fece usando un tono fermo e nel contempo affettuoso.
“Lo so, è sempre stato più forte di me,
però non posso sopportare che soffra. Ed è colpa mia, di nuovo” la voce del
dottor Bishop ora era un sussurro.
“Walter …” provò a dire William, ma il
suo amico scosse la testa
“E’ colpa mia, Belly, se non gli avessi
mentito, non sarebbe scappato e non si sarebbe fatto picchiare per la sofferenza
che io gli ho causato” il vecchio scienziato si lasciò cadere sulla sedia,
affranto.
“Walter, non puoi sapere cosa gli sta
facendo” insistette il capo della Massive Dynamic.
“Forse no, ma sento che sta chiedendo
il mio aiuto” mormorò continuando a tenere la testa bassa “Non lo posso
abbandonare”
“Walter, te lo giuro, lo tireremo fuori
da lì” affermò in tono risoluto Bell posandogli entrambe le mani sulle spalle
“Grazie” rispose semplicemente il
dottor Bishop con gli occhi pieni di lacrime.
Ancora una volta aveva sentito l’anima
di Peter invocare il suo aiuto da chissà dove.
Villa Bishop
Olivia e Charlie Alter entrarono nella
camera di Peter che dormiva ancora fiaccato dalla notte appena vissuta.
Il giovane riposava semi rannicchiato
sul lato sinistro, con indosso solo una maglietta e la biancheria intima,
tremando vistosamente dal freddo.
La Dunham appena lo vide così, si
affrettò a coprirlo con il piumone, ma questo sembrò non servire dato che il
ragazzo continuava a tremare.
L’agente Francis, intanto, era rimasto
sconcertato da quella visione, ricordandosi come lo aveva visto pieno di
vitalità, pochi giorni prima.
Aveva creduto ad Olivia quando gli
aveva parlato di torture però una cosa del genere proprio non le aspettava.
Peter aveva gli occhi rossi, vari
segni ovunque, specialmente vicino alle tempie e un pallore cadaverico che non
faceva presagire niente di buono.
“Mio Dio, quell’uomo è un mostro! Come
si fa a ridurre una persona in questo stato?” domandò in preda alla rabbia.
“E questa persona è suo figlio”
aggiunse Olivia tergendo la fronte bagnata di Peter con un fazzoletto umido.
Scottava, anzi bruciava, probabilmente aveva la febbre alta.
“Infatti… “ farfugliò Charlie sedendosi
su una poltrona vicino al letto del giovane “La madre sa nulla?”
“Per ora no, Peter non vuole dirle
niente, non capisco perché” disse la Dunham continuando a passare il panno sul
viso del giovane Bishop.
“Le parlo io, non si può continuare in
questo modo” sibilò Francis ormai sul punto di esplodere.
“Sì, hai ragione, però dovremmo trovare
il momento adatto” rispose Olivia che, malgrado non le desse a vedere, era
profondamente scossa dalla sofferenza di Peter.
Non era abituata a vederlo così, anche
nella malattia lo aveva sempre visto lottare, ricordava la sua reazione
rabbiosa quando si era preso quel dannato virus.
Adesso, invece, era come annientato,
non reagiva quasi a nessuno stimolo, se non alla sua presenza.
Avrebbe preferito di gran lunga
vederlo di nuovo in preda all’ira piuttosto che in quello stato.
Per l’ennesima volta intinse il
fazzoletto in una brocca d’acqua e poi glielo passò sulla fronte sperando
inutilmente in una sua reazione.
“Peter, sono qui, ti prego, combatti”
bisbigliò spaventata la ragazza.
Il giovane, tuttavia, non si mosse,
era devastato di dentro e di fuori.
“Olivia, penso stia riposando, vedrai
dopo parlerà” provò a dirle Charlie anche se ci credeva poco pure lui.
“Sì, forse hai ragione. Ora temo che
dovremmo andarcene, penso di aver trovato il modo di distrarre la sicurezza” fece
ancora la Dunham posando un lieve bacio sulla fronte arsa di Peter.
Charlie alter annuì e insieme uscirono
dalla stanza non senza aver prima dato un’ultima occhiata furtiva al corpo del
giovane Bishop.
Giardino di Villa Bishop 10 a.m.
Peter era seduto su una panchina della
villa, dove stava cercando di riprendere le forze e si guardava in giro con
aria spaesata, era riuscito a dormire qualche ora anche se il suo corpo era
attanagliato dalla sofferenza e il suo umore stava peggiorando di minuto in minuto.
Elisabeth lo raggiunse notando
un’altra volta quegli occhi rossi e il suo pallore.
“Non riesci a riposare?” era una
domanda sciocca, lo sapeva anche se lei, però non sapeva cosa dirgli.
Il figlio si voltò sorridendole
malinconicamente.
“Già, non so perché” mentì
spudoratamente.
Chissà se lei capiva?
“Vuoi che ti preparo qualcosa da
mangiare?” provò a chiedergli.
Il suo primo istinto fu di dirle di
no, aveva lo stomaco chiuso dall’angoscia e dalla nausea sempre più crescente
verso suo padre.
Tuttavia si fece forza ed annuì.
“Vuoi delle uova?” domandò ancora
felice di quella risposta.
“Preferirei del pancake con le
ciliegie, per favore” chissà come gli era venuta quella? Forse Walter gli aveva
fatto una fattura.
“Certamente” rispose baciandogli la
fronte, accorgendosi immediatamente che scottava.
“Hai la febbre …”
“Non è niente, davvero” ci mancava solo
quello.
“Sei bollente, avrai almeno quaranta di
febbre. Voglio sapere cosa succede!”
“Mamma …” iniziò a dire il giovane.
“Pensi di potermi prendere in giro?”
Il giovane Bishop chinò la testa, non
sapendo cosa dire.
“Vado a prepararti i pancake, ma dopo
ne parliamo”
Lui annuì con un piccolo cenno del
capo.
Venti minuti dopo erano sul tavolino
che dava sul mare, dove avevano fatto insieme colazione la prima volta.
Peter si fece forza iniziando a
mangiare i pancake insieme a sua madre, ricordando altri momenti, altre
colazioni.
Adesso era veramente convinto che
Walter gli avesse fatto una fattura pensò mentre prendeva il quarto pancake di
fila coperto di sciroppo d’acero.
“Beh, non hai perso l’appetito, almeno
quello” fece sua madre prendendo anche lei il quarto.
“In effetti” e stavolta non stava
mentendo. Il crescente nervosismo gli aveva aperto nello stomaco una voragine.
“Mi puoi dire cosa succede? Credi che
io sia cieca?” domandò irritata.
“Troppo complicato da spiegare” non la
poteva coinvolgere, Walternate avrebbe potuto fare del male anche a lei, ne era
convinto.
“Sai benissimo che non ti farò alzare
da questo tavolo senza ottenere una risposta” disse con tono rabbioso.
In quel mentre sentirono risuonare
alcuni passi che subito Peter riconobbe.
“E’ bello vedervi fare colazione
insieme. Dopo verresti a fare un giro con me, figliolo?” aveva parlato con quel
maledetto tono affettato che aveva il potere di fare venire la nausea al
giovane Bishop.
E adesso cosa poteva rispondergli?
Se avesse detto di no sua madre si
sarebbe insospettita più di quanto già non stesse facendo, se avesse detto di
sì sarebbe finito di nuovo in quella camera di tortura.
“Allora?” insistette Walternate
scrutandolo a lungo.
Peter guardò sua madre e poi guardò
lui, cosa poteva fare?
“Non mi sento, vorrei riposare”
dopotutto era una scusa credibile.
“Andrete un’altra volta, Peter ha la
febbre alta” si intromise sua madre notando la strana preoccupazione negli
occhi di suo figlio.
“Mi spiace, vatti pure a riposare
figliolo tanto abbiamo tutto il tempo del mondo” affermò bonariamente il
segretario e subito il giovane Bishop ne approfittò per rientrare quasi di corsa
in casa.
Non andò in camera sua, però, anzi si
mise a girellare per la villa sperando di incontrare Charlie od Olivia dato che
quella mattina non li aveva ancora visti.
Li trovò nei salottini interni che
parlottavano tra di loro.
Non appena lo vide arrivare alla
giovane Dunham le si illuminò il viso e si trattenne a stento dal correre ad
abbracciarlo.
“Buongiorno mie care guardie” fece
sorridendo il giovane andandosi a sedere insieme a loro.
Olivia gli prese la mano sinistra,
stringendola nella sua.
“Tutto bene?” non poté fare a meno di
chiedergli.
“Sono un fiore” rispose cercando di
mostrarsi forte.
“In effetti si nota, soprattutto per
gli occhi di un bel rosso tulipano” scherzò Charlie Alter.
Peter sorrise, stringendo ancora di
più le mani di Olivia.
“Grazie agente Francis” disse poi.
“Non c’è di che, signor Bishop” rispose
allargando il sorriso l’uomo. “Abbiamo un piano, l’unico problema è come
liberarci di suo … del segretario” non aveva molta voglia di definire padre
il suo capo, poi si mise a frugarsi tra i vestiti da dove infine tirò fuori una
penna che porse a Peter.
“Che cos’è?” domandò il ragazzo
guardando le parole che vi erano incise sopra
“Trova la crepa?” chiese continuando a
non capire e con lui anche Olivia.
Charlie gli sorrise
“Al mio primo caso me la regalò un
superiore. E’ la crepa che permette alla luce di entrare in una galleria buia”
Il giovane Bishop annuì stringendo
l’oggetto metallico.
World Trade
Center, scantinati, 6 p.m.
Il capo della Massive Dynamic, insieme
era al suo amico, era passato dalle Torri Gemelle per prendere uno dei suoi
furgoni speciali, oltre a varie armi di sua invenzione.
Si augurava che potessero servire a
fermare la sicurezza di Villa Bishop e tirar fuori Peter di lì al più presto.
Walter era nervosissimo, questa volta
voleva assolutamente arrivare in tempo anche perché temeva che il suo doppio
avrebbe portato il figlio al punto di non ritorno.
Bell passò in rassegna svariati
camioncini, ne cercava uno piccolo, assai particolare, che aveva fatto produrre
alcuni anni prima.
“Dobbiamo perdere tutto questo tempo?”
gli domandò all’improvviso il dottor Bishop che era così agitato da muovere le
mani in continuazione.
“La vuoi finire?” borbottò William
fermandogliele.
“Ho bisogno di mangiare qualcosa … “
sospirò lo scienziato.
Il magnate strabuzzò gli occhi a
quelle parole
“Hai finito di mangiare un’ora fa!”
ringhiò esterrefatto.
“Mio figlio a quest’ora mi avrebbe già
portato dello zucchero filato” borbottò Walter irritato.
“Ho sempre pensato che Peter avesse un
cuore d’oro, ora ne ho la certezza perché non ti ha ancora ucciso”
“Se non ci muoviamo potrebbe essere
Walternate ad ammazzarlo” e questa volta fu il dottor Bishop a ringhiare.
“Ok, l’ho trovato” affermò Bell
cercando di non badargli altrimenti si sarebbe innervosito pure lui.
“Cosa?”
Il capo della Massive Dynamic lo
trascinò verso un furgoncino dalle dimensioni ridotte.
“Sali in fretta”
Walter non se le fece ripetere due
volte, entrò nel camion insieme il suo amico, che fece partire subito
l’automezzo.
“Non fa rumore” mormorò stupefatto lo
scienziato.
“Infatti” replicò con un sorriso Bell
portando il veicolo fuori dalle cantine.
Villa Bishop, 8 p.m.
Elisabeth aveva preparato la tavola in
giardino, convinta che stare all’aria aperta avrebbe migliorato l’umore del
figlio, che continuava a starsene rintanato in casa, salvo sporadici giri con
lei.
Peter non aveva saputo dirle di no,
anche perché sapeva di essere con lei, quindi il padre non avrebbe
tentato tiri mancini.
La donna gli aveva preparato
tagliolini con scampi, che subito il giovane iniziò a mangiare con grande
appetito.
“Mi fa piacere che apprezzi la mia
cucina” disse sua madre sorridendo.
“Questi tagliolini sono fantastici
cucini bene come mio …” si bloccò all’istante rendendosi conto di quello che
stava per dire.
“Come tuo?” domandò incuriosita l’ex
signora Bishop.
“Un mio amico ristoratore, ha il suo
locale in uno scantinato, una roba stranissima con ampolle e strani macchinari”
disse prontamente Peter salvandosi in corner.
“Sembra l’antro di uno scienziato
pazzo, modello Frankenstein Junior” sogghignò sua madre anche rasserenata da
quelle battute.
“Ecco hai descritto il posto alla
perfezione” rispose il ragazzo pensando che a Walter mancassero soltanto i
baffetti e non sarebbe poi stato così diverso da Gene Wilder.
Sua madre stava per replicare quando
sentì trillare il telefono in casa.
“Arrivo subito, continua pure a
mangiare”
“Va bene” annuì il giovane Bishop
gustandosi quel piatto invitante.
D’improvviso sentì il freddo metallo
di un revolver puntato sulla tempia
“Mi spiace interrompere la sua cena
signore, ma suo padre desidera vederla” questa non se l’aspettava proprio.
Peter poggiò le mani sul tavolo, forse
poteva sorprenderlo come aveva fatto con quel killer tempo addietro, doveva
solo stare calmo.
Respirò profondamente due volte e tirò
un pugno all’indietro colpendo la bodyguard in pieno viso, poi fece per
scappare ma si ritrovò circondato da quattro energumeni armati fino ai denti.
“Mi spiace per lei, signore, però suo
padre ci aveva avvisato della sua mancanza di collaborazione” fece il più
grosso “Ora si muova, verso l’elicottero.”
Il ragazzo decise di seguirli tenendo
le mani alzate, cercando una via di fuga che intravide dietro di se alla sua
destra.
Con uno scatto felino la prese,
iniziando a correre verso gli alberi, il suo istinto di sopravvivenza stava
avendo la meglio persino sulle torture psicologiche subite anche perché sapeva
che quelli non potevano ucciderlo.
A suo padre serviva vivo.
Quando fu vicino ad uno degli
albicocchi si sentì trafiggere la gamba sinistra da una puntura e cadde in
avanti.
“Vedo che le piacciono le maniere
forti” sibilò di nuovo l’individuo di prima tirandogli un calcio nello stomaco,
ma per sua fortuna il ragazzo lo sentì a malapena dato che il narcotico gli
stava obliando i sensi.
Si ridestò nel solito tavolino di
ferro, con la vista annebbiata dalla fame e dalla stanchezza, aveva davanti a
se delle immagini confuse.
Poco dopo sentì la prima scarica,
ancora più lenta dell’altra volta, la sentì passare dal suo stomaco che
reclamava inutilmente cibo, poi in tutti i vasi sanguigni, dalle arterie ai
capillari.
Voleva gridare, ma non ne aveva la
forza.
“Walt… Liv …” farfugliò reclinando la
testa sul freddo metallo.
Un’altra scarica, questa volta
violentissima, raggelante.
Si sentì avvolgere dall’oscurità.
Un’oscurità senza fine.
Un’oscurità che lo chiamava e gli
diceva che non vi era posto per lui da nessuna parte.
Che presto tutti gli avrebbero voltato
le spalle.
Poi un freddo, un freddo pungente.
Lo sentì fin dentro le ossa.
Il freddo di tanti anni prima quando
aveva atteso suo padre per una giornata intera.
Il freddo degli elettrodi sulla sua
fronte di ragazzino inerme mentre sempre suo padre lo usava come cavia per uno
dei suo dannati esperimenti.
Aveva voluto dimenticare.
Ora quel gelo e quel buio minacciavano
di inghiottirlo.
La sua coscienza ebbe pietà di lui e
lo fece svenire, ma durò solo un attimo perché le scariche erano così forti da
destarlo nuovamente.
La notte più nera, quella degli incubi
della sua infanzia triste lo stava avvolgendo.
E nessuno sarebbe venuto a salvarlo.
Qualche ora più tardi si ritrovò nel
suo letto, incapace di muovere un solo muscolo mentre lontano udiva delle voci,
solo che non riusciva a distinguerle.
Aveva ancora freddo però non aveva la
forza di allungarsi neanche verso la coperta, si guardò notando che indossava
solo una maglietta e la biancheria intima.
Chiuse gli occhi, provando a prendere
sonno, inutilmente perché sentì la porta spalancarsi e qualcuno avvicinarsi a
lui.
Un brivido gelato gli corse lungo la
schiena.
Forse il segretario era tornato a
finire il lavoro.
Accanto al suo letto, intanto, Olivia,
Charlie Alter e sua madre lo fissavano preoccupati.
“Mio Dio … avevate ragione” fece
Elisabeth accarezzandogli il volto bianco per il pallore e rosso per il sangue
che gli colava un po’ dappertutto.
“Chiamo un medico” aggiunse la donna
prendendo il telefono mentre i due agenti coprivano il corpo del giovane con il
piumone.
“Peter sono qui” provò a dire la
Dunham.
Di nuovo il giovane non si mosse,
continuando a fissare il vuoto.
Gli toccò la fronte.
Era più calda della sera prima.
L’agente Francis andò in bagno dove
riempì una brocca che le porse insieme ad un fazzoletto pulito.
Subito Olivia lo intinse passandolo
sul volto martoriato del ragazzo.
“Peter” tentò ancora.
Niente.
Nessuna reazione.
Il giovane Bishop neanche li vedeva,
pensava di essere ancora nel laboratorio del padre e in quell’istante
sentì un’altra scossa trapassargli le membra.
Urlò di dolore muovendo convulsamente
il corpo.
Quella vista spaventò ancora di più i
suoi due amici e la madre che provò ad avvicinarsi a lui.
“Peter per favore, guardami” sussurrò
l’ex signora Bishop ma il ragazzo aveva lo sguardo fisso.
Charlie si sentì montare una rabbia
dentro così come Olivia.
Cosa potevano fare?
Elisabeth gli scosse il corpo
violentemente.
“Bambino mio guardami per pietà!” gridò
angosciata.
Peter non la vedeva e in quel momento
sentì l’ennesima scossa durante la quale emise l’ennesimo gemito di pura
sofferenza.
Pochi minuti dopo arrivò un dottore
dato che una chiamata da parte dei Bishop era quasi sempre legge.
Quando entrò nella stanza e vide Peter
rimase qualche minuto in totale silenzio.
“Cosa gli è successo?” domandò infine
ritrovando la voce.
“Mio … il mio ex marito lo sta
torturando” balbettò Elisabeth bianca come un lenzuolo.
Il medico la guardò qualche minuto
senza dire niente, poi posò la mano sulla fronte di Peter.
“Ha la febbre alta, sospetto che siamo
vicino ai 42 e non scherzo. Rischia di morire” fece mettendosi a trafficare nella
sua borsa da dove tirò fuori una siringa e una fialetta.
“Questo dovrebbe abbassargliela, però
dovreste portarlo in ospedale” disse ancora l’uomo facendogli la puntura mentre
gli altri tre continuavano a stare in silenzio.
Olivia non riusciva ad accettare di
vedere il suo amore ridotto in quello stato, stava peggiorando di giorno in
giorno e lei non riusciva a fare niente per salvarlo, anche se glielo aveva
promesso.
“E’ quello che vorremmo fare, solo che
ha visto anche lei che c’è l’assembramento qui fuori” affermò Charlie con tono
stizzito.
“Potreste denunciarlo … scusate sono un
idiota, nessuno avvallerebbe mai una denuncia contro il nostro difensore
supremo” sospirò il medico.
La Dunham applaudì a quelle parole poi
si rimise a fianco a Peter accarezzandogli il viso.
“Sono qui … amore … sono qui” bisbigliò
perdendosi in quegli occhi blu che lei amava così tanto e che ora erano così
spenti.
“Ho freddo … freddo” farfugliò il
giovane Bishop e a quel punto Olivia si avvicinò ancora di più a lui prendendogli
il volto.
“Peter, sono qui” disse di nuovo.
“Ho freddo… non voglio più … non voglio
più sentir dolore … voglio morire” balbettò ancora prima di cadere svenuto
sulla sua sinistra.
La ragazza lo prese tra le braccia,
cercando di trasmettergli tutto il suo calore mentre il corpo di lui continuava
a tremare.
Fine Capitolo 7
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8
Olivia continuava a tenere stretto
Peter, ma il giovane non mostrava segno di riuscire a reagire, lei allora lo
strinse ancora di più, massaggiandogli i muscoli delle braccia per
trasmettergli altro calore.
“Ho freddo … freddo” farfugliò tenendo
lo sguardo fisso verso di lei senza vederla.
“Ascoltami, per favore, ascoltami”
sospirò prendendogli il volto tra le mani.
I suoi occhi erano cerchiati di rosso
come non mai e il suo pallore era aumentato, non sentiva le loro voci, solo
qualcosa di remoto, di lontano.
“Peter” fece accarezzandogli il viso.
Aveva una paura matta di non riuscire
a farlo reagire.
“Olivia … cosa ci fai qui?” domandò con
voce flebile il ragazzo.
“E’ la tua camera, ricordi?” rispose
prontamente la Dunham sfiorandogli i capelli sudati con una lieve carezza.
“Lui è qui … ti farà del male …
vattene” sussurrò allungando una mano verso di lei.
“Non c’è il segretario” affermò Olivia
stupita da quelle parole e notando che lo sguardo di lui era sempre perso.
“E’ buio qui” la voce di Peter era poco
più di un bisbiglio.
“Amore, non è buio” spaventata da
quelle parole.
“Io … io non ti vedo. Vedo lui” fece
sfiorandole il viso con la mano. Anche se non la vedeva, poteva sentirla, per
questo si attaccò a lei.
La Dunham era atterrita da quella
reazione, sembrava un bambino spaventato, non l’uomo che conosceva.
Gli sfiorò la fronte con un piccolo
bacio, continuando ad accarezzarlo sul volto terreo.
Il giovane Bishop sbatté le palpebre
varie volte vedendo intervallarsi davanti ai suoi occhi, il laboratorio di
Liberty Island e la sua camera, che lentamente prese il sopravvento.
La prima cosa che vide fu Olivia che
lo guardava con gli occhi pieni di paura, poi l’agente Francis, sua madre e uno
strano signore di mezza età che pareva un medico e che gli sembrava di
conoscere.
Infine visualizzò l’arredamento e la
finestra.
“Bentornato” mormorò Olivia
stringendogli le mani.
“Grazie” fu l’unica cosa che gli riuscì
di dire, si sentiva stanchissimo e aveva il corpo squassato da brividi di
freddo.
A quel punto l’uomo di mezza età si
avvicinò al suo letto, scostando un po’ più indietro la giovane Dunham.
“Signor Bishop, mi rendo conto che non
è molto in grado di parlare, però ho bisogno di sapere cosa le sta facendo
suo…”
Peter lo interruppe bruscamente
“Il segretario della difesa non è mio
padre. L’unico padre che conosco si chiama sì Walter Bishop ma non è di questo
… di queste parti” la sua voce fu ferma e dura nel pronunciare quelle parole.
“D’accordo. Adesso mi dica cosa le sta
facendo”
Il ragazzo si guardò in giro,
incrociando lo sguardo di sua madre, che aveva gli occhi colmi di lacrime, poi
quello di Charlie, che sembrava sul punto di esplodere e infine su Olivia, che
pareva tanto spaventata quando in preda all’ira.
Doveva parlare di fronte a loro?
In fondo raccontare in dettaglio cosa
stesse subendo non li avrebbe sconvolti molto di più di quanto già non fossero.
Oppure sì?
“Mi attacca ad una macchina, con degli
elettrodi” cominciò a raccontare, però si rese conto che pure parlare gli stava
costando un gran sforzo.
Velocemente si passò una mano sul
torace accorgendosi che le costole gli dolevano come due settimane prima.
“E poi?” chiese ancora il dottore
toccandogli anche lui il petto “Vedo che siamo proprio tornati indietro.
“Già” aveva dolore anche alla
mandibola.
“Mi dica il resto, è importante, così
la posso aiutare portando dei medicinali appositi”
Peter sorrise a quelle parole,
pensando amaramente che forse l’unica persona che poteva guarirlo, adesso si
sentisse ferito e colpevole per la sua fuga.
“Attraverso gli elettrodi mi manda
delle scariche, che …” quella era la parte più difficile da spiegare.
“Che?” quel medico non mollava affatto
l’osso.
Per un momento il giovane Bishop incrociò
gli occhi verdi della sua donna, stava soffrendo con lui e per lui.
“Ha creato un composto usando … usando
il mio lato auto-distruttivo” non avrebbe detto altro, tanto era tutto
abbastanza chiaro.
Olivia gli si avvicinò, riprendendogli
le mani.
“Come stai?”
Avrebbe voluto sostenere che stava
bene però non amava mentirle.
“Male” disse semplicemente sentendo che
quel maledetto tremolio non se ne andava.
Anche sua madre si accostò al letto e
gli sfiorò una guancia con una lieve carezza.
“Ti porto la cena che non hai finito,
anzi che non hai neanche iniziato” affermò con la voce incrinata.
Il giovane annuì con un cenno anche se
adesso la fame gli era passata.
Charlie, nel frattempo, si era seduto
su una sedia e pareva sul punto di vomitare.
“Glielo dico onestamente, signor
Bishop, ho una gran voglia di andare a sparare al mio capo”
Peter cercò di sorridere a quelle
parole, ma gli venne fuori una mezza smorfia, non aveva energie e aveva paura
che avrebbe presto ceduto.
Olivia continuava a pensare a quello
che lui aveva appena detto.
Adesso capiva tutto.
Capiva ogni cosa.
Poco dopo rientrò Elisabeth con il
piatto di tagliolini che il figlio aveva avanzato e che era praticamente
intatto.
“Ti aiuto a mangiare?” domandò
vedendolo tremare
“No, ce la faccio” replicò prendendo in
mano la forchetta che però gli cadde subito.
Chiuse gli occhi, inspirando
profondamente, poi li riaprì e cercò di riprendere in mano la forchetta che
cadde di nuovo sulle lenzuola.
Irritato allungò la mano sinistra,
provando a stringere la posata, ecco la sentiva, inspirò di nuovo, con molta
calma e poi la portò verso il piatto.
Lentamente riuscì a prendere qualche
tagliolino, ma non appena provò a girare la forchetta questa gli scivolò ancora
dalle dita.
Tenendo gli occhi bassi per non vedere
gli sguardi compassionevoli che sicuramente avevano gli altri, ritentò per la
quarta volta, solo che il tremolio era così forte che non gli riuscì neanche di
impugnarla.
Lacrime di rabbia gli puntellavano gli
occhi, serrò le palpebre per non farsi vedere così mentre una mano gentile gli
sfiorò la mano sinistra.
“Ti aiuto io” mormorò Olivia la cui
voce tradiva la collera e il tormento che stava provando.
“Non ho … d’accordo” balbettò chinando
la testa.
Il suo padre naturale lo aveva ridotto
ad una larva umana.
Non era neanche in grado di mangiare
da solo.
Per rispetto nei suoi confronti sia il
dottore che l’agente Francis uscirono dalla stanza e si rifugiarono in cucina
dove il primo lasciò vari medicinali per il giovane Bishop.
Nel frattempo la Dunham aveva iniziato
ad imboccare Peter che, con estrema fatica, masticava quella poca pasta che
riusciva a mettere in bocca.
Non aveva fame, era nauseato e la
voglia di morire la stava ancora facendo da padrone dentro al suo animo.
Terminò la cena solo per compiacere
Olivia e sua madre, però non aprì gli occhi perché ormai li aveva pieni di
lacrime.
“Me accorgo che vuoi piangere sai” fece
la ragazza accarezzandogli il viso.
A quel punto si arrese e alzò le
palpebre.
“Non è ..” provò a dire, ma subito si
fermò.
Era una stupida bugia quella che stava
per dire.
Una stupida inutile bugia.
“Non è vero che non è niente” disse
ancora la Dunham.
Lui sorrise o meglio ci provò, ma gli
venne di nuovo una smorfia.
“Sa fare di meglio di così, signore”
bisbigliò lei sfiorandogli le labbra con un tenero bacio “Rivoglio il suo
sorriso super sexy”
A quel punto Peter sorrise veramente
poi le diede anche lui un piccolo bacio.
“Grazie agente Dunham” sussurrò
perdendosi nel suo sguardo verde.
“Non c’è di che signore. Sono più belli
i suoi occhi quando sorride” fece ancora lei.
“Siamo in vena di complimenti” rispose
allargando il sorriso per poi riprenderle le labbra.
“E’ perché non deve mai dimenticare che
io la amo” mormorò incorniciandogli il viso tra le mani.
“Lo terrò a mente. Ti amo anche io
agente” gli stava piacendo quel gioco e in qualche modo stava migliorando il
suo umore.
“Stia attento che la controllo. So
benissimo che è spesso stato tentato di scordarselo soprattutto nelle ultime
ore, domani gli chiederò di nuovo se non l’ha dimenticato” disse baciandolo
teneramente.
A quelle parole Peter scoppiò a
ridere, poi l’abbracciò di slancio anche se il tremolio non se n’era ancora
andato.
Non del tutto.
10 a.m.
Walternate stava guardando il panorama
dalla finestra del suo ufficio quando qualcuno bussò
“Avanti”
Sentì la porta aprirsi e dei passi
famigliari risuonare nella stanza.
Lentamente si voltò incrociando lo
sguardo stanco di suo figlio.
“Hai vinto. Entrerò nella macchina”
rispose semplicemente cercando di nascondere i fremiti che continuavano a
squassare il suo corpo martoriato.
Il segretario gli si avvicinò,
accarezzandogli il viso.
“Mi spiace aver dovuto usare le maniere
forti, ma sono felice che tu abbia capito” fece in tono gentile.
“Ne sono convinto” replicò con calma
Peter posandogli la mano sinistra sulla spalla destra.
“Ora vatti a riposare, ti porto a
Liberty Island nel pomeriggio” disse Walternate con un caldo sorriso.
“Come vuoi” affermò sorridendo il
ragazzo.
“Ho già dato al medico le istruzioni su
come guarirti” dichiarò con tono dispiaciuto.
“Molto premuroso da parte tua, papà”
il tono di voce del giovane Bishop era incredibilmente calmo.
Parlava con voce bassa e modulata,
come se volesse scandire bene le parole.
“Sono felice che mi chiami così” e nel
dire questo allargò il sorriso.
“Lo immagino” non vi era ombra di
sarcasmo nelle sue parole.
Sembrava realmente convinto di ciò che
diceva.
“Ce la fai a stare qui due minuti?
Vorrei bere qualcosa insieme” fece premuroso suo padre
“Ma certo, papà. Mi fa molto
piacere bere qualcosa con te” il sorriso di Peter si allargò e ciò fece molto
piacere al segretario che uscì per rientrare poco dopo con una bottiglia di
whisky e due bicchieri che subito riempì.
“Al nostro progetto” disse con aria
serena Walternate.
“Al nostro progetto” replicò il giovane
facendo tintinnare i due bicchieri.
4 p.m.
Il segretario della difesa e suo
figlio erano giunti a Liberty Island da circa dieci minuti ed adesso stavano
entrando nel locale dove vi era la macchina.
Il ragazzo indossava una leggera tuta
ed era scalzo, sentiva un po’ freddo, ma non più di tanto, sperava solo di fare
in fretta perché non era ancora molto sicuro di quello che stava facendo.
“Non devi aver paura, figliolo, sarà
una cosa indolore per loro” la voce di suo padre era affettuosa e
gentile, sembrava che volesse recargli conforto.
“Ne sono felice” rispose Peter
sorridendogli e parlando sempre a voce bassa.
Era ancora molto stanco e provato.
Salì sul montacarichi quasi
zoppicando, tenendo gli occhi bassi e pensando ancora ad una volta a ciò che
stava per fare.
Doveva riuscirci.
Altrimenti sarebbe finito per sempre
avvolto in quella terribile oscurità.
Un secondo dopo si ritrovò in alto,
vicino alla macchina, vi entrò e l’azionò.
Fine Capitolo 8
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
Over There, Liberty Island, 5 p.m.
Una grande luce illuminava l’ufficio privato di Walternate, sede del ministero della Difesa, facendo quasi risplendere il pregiato mobilio.
Era un sole forte, quasi accecante che preannunciava in qualche modo l’imminente estate.
Se nelle altre parti dell’edificio c’era un brulicare infinito di gente, l’ufficio del segretario era deserto quasi totalmente.
Vi era infatti una sola persona che si era appisolata sulla scrivania.
Quella persona era proprio Walternate.
L’uomo si svegliò lentamente, coprendosi il volto, infastidito da quell’eccessiva luce poi si guardò in giro spaesato.
Come era finito lì?
L’ultima cosa che rammentava era suo figlio che entrava nella macchina, dopodiché il vuoto.
Allungò la mano verso una brocca d’acqua alla sua sinistra, si riempì il bicchiere e bevve in silenzio.
Si passò una mano sugli occhi provando a ricordare e con molta fatica si alzò andando a tirare giù le imposte.
Quel sole era veramente accecante.
Ancora intontito si avviò verso la porta per provare a chiedere spiegazioni a qualcuno quando con la coda dell’occhio intravide qualcosa.
Uno strano luccichio proveniva dal suo tavolo personale.
Sembrava qualcosa di metallo.
Tornò indietro e lo vide.
Anzi la vide.
Una moneta d’argento da mezzo dollaro.
Dove l’aveva vista l’ultima volta?
La prese in mano e all’improvviso ricordò qualcosa.
Quando lui e Peter erano entrati nella stanza della macchina quest’ultimo si era messo le mani in tasca, tirando fuori quella stessa moneta con cui aveva iniziato a giocarci.
Come un prestigiatore.
Quella era una moneta da prestigiatore.
Suo figlio lo aveva in qualche modo ipnotizzato facendogli vedere una realtà fittizia.
Furente per essersi fatto giocare in questo modo corse di fuori chiamando il colonnello Broyles.
“Cosa c’è signor segretario?”
“Ho bisogno di tutta la divisione Fringe alla mia villa, presto!”
“Mi può dire cosa succede?”
“Gli invasori stanno di nuovo rapendo mio figlio, ecco cosa succede” ringhiò in preda all’ira e in quel mentre gli venne un tremendo sospetto.
Corse verso la stanza della macchina, spalancò la porta e la ispezionò da cima a fondo.
Mancava qualcosa.
Sempre più rabbioso tirò un pugno sul tavolo.
Si era fatto fregare proprio bene.
Giardino di Villa Bishop, uscita laterale.
Un piccolo camioncino attendeva nascosto dagli alberi, con il motore acceso, benché non se ne sentisse il rumore.
Al suo interno vi erano William Bell e Walter Bishop che stava mangiando la quattordicesima liquerizia con aria famelica e con gli occhi colmi di agitazione.
All’interno del giardino vi era intanto un trambusto incredibile: Olivia Dunham e Charlie Francis Alter avevano dato l’allarme all’ingresso principale sostenendo che in mezzo ai paparazzi ci fossero alcuni invasori.
Gli uomini della sicurezza, non rendendosi conto di essersi fatti ingannare, erano corsi in massa verso quella direzione, lasciando campo libero ai due agenti, ad Elisabeth e Peter Bishop, che, nonostante non si sentisse propriamente in forze, correva come un forsennato verso l’uscita laterale sulla sinistra della villa.
Non appena rientrato da Liberty Island aveva dato in mano alla sua compagnia e a Charlie uno strano macchinario, nessuno dei due gli aveva fatto domande, lo avevano aiutato in fretta: per le spiegazioni ci sarebbe stato tempo più avanti.
Una volta arrivati al cancello fu un gioco da ragazzi uscire dalla villa e sgattaiolare verso il furgoncino.
Peter aiutò l’agente Francis ed Olivia a caricarvi ciò che aveva portato dal ministero della difesa anche perché stava cercando di evitare lo sguardo di Walter.
Dopotutto aveva pensato che non si sarebbero più rincontrati.
Lo scienziato, dal canto suo, non appena lo aveva visto, aveva subito notato il pallore cadaverico, gli occhi rossi e vari lividi.
Non potendo trattenersi scese di corsa dal camion e gli si avvicinò.
“Peter” provò a dire.
La voce era bassa e tremolante.
Il ragazzo si voltò verso di lui sorridendogli lievemente.
“Ciao Walter”
“Non sembri molto in forma”
“Ho avuto giorni migliori, in effetti. Ne parliamo dopo, vuoi?”
Il dottor Bishop acconsentì, stringendogli con calore la mano sinistra, stretta che Peter ricambiò.
“Temo che dovreste andare, adesso” disse Charlie Alter avvicinandosi ai due “Rientreranno presto”
“Hai ragione, grazie di tutto, agente Francis” fece Peter allungando la mano verso di lui, ma l’agente lo abbracciò.
“Mi raccomando, cerca di tirarti su” in qualche modo si era affezionato a quel ragazzo
“Anche perché prima o poi vorrei che mi insegnassi il trucchetto che hai usato con il segretario” aggiunse divertito.
“Sarà un piacere Charlie, così ti farò visitare il nostro mondo” affermò quasi commosso il giovane Bishop ricambiando l’abbraccio.
“Mamma … io …” fece poi voltandosi verso Elisabeth che scosse il capo.
“Vengo con voi”
“Che cosa? Sei sicura? E’ il tuo mondo” mormorò il ragazzo stupefatto.
“Sei tu il mio mondo, non posso perderti di nuovo dopo averti ritrovato” la donna lo abbracciò e lui annuì.
“Andiamo” esclamò risoluto mentre guardava Olivia e Charlie Alter abbracciarsi.
“Grazie di tutto amico mio. Come sempre grazie a te me la caverò” sospirò la Dunham.
“E io come sempre grazie te. Ora vado a distrarli” replicò il giovane agente tornando verso la villa.
Olivia lo guardò un’ultima volta allontanarsi, poi si voltò verso Peter.
“Andiamo a casa” sussurrò dandogli un piccolo bacio in bocca.
“Sì” fece il ragazzo salendo insieme a lei ed alla madre sul retro del camioncino mentre Walter, dopo aver chiuso il portone, tornava a sedersi a fianco del suo amico.
William Bell partì velocemente, felice come non mai che quel motore non facesse nessun tipo di rumore, neanche quando accelerava al massimo.
In meno di un’ora furono al teatro dell’opera di New York, dove non c’era anima viva, anche perché Charlie alter, furbescamente, aveva indicato a Broyles e gli altri una direzione sbagliata.
Stava rischiando grosso, lo sapeva, però non se la sentiva di tradire i suoi nuovi amici proprio adesso.
Quando Walternate rientrò alla villa e la trovò desolatamente vuota.
Si sentì mozzare il respiro in gola.
Oltre a suo figlio, stavolta aveva perso anche la sua ex moglie.
Teatro dell’opera, New York.
Walter, Olivia, Peter, Elisabeth e William era ormai al suo interno dove stavano trafficando con il macchinario preso al laboratorio di Boston di Walternate.
“Non ce la faremo mai, Belly” borbottò lo scienziato.
“Invece sì” replicò il capo della Massive Dynamic.
“Olivia non ha il potere e questo affare non ha abbastanza energia”
Bell gli sorrise bonariamente.
“Sarò io la vostra fonte di energia. Ho viaggiato così tante volte tra gli universi che i miei atomi sono pronti a frantumarsi alla prima sollecitazione. Tu mi hai insegnato che abbiamo così tanti atomi quante sono le stelle del cielo”
Walter lo guardò commosso.
“Grazie, scusami se ho dubitato di te”
“Figurati sei sempre stato più testardo di un mulo con un chiodo fisso in testa”
Il dottor Bishop ridacchiò a quelle parole mentre il capo della Massive Dynamic alzava le mani, allargando lo squarcio verso l’altra dimensione.
“Walter, ti ho levato alcuni pezzi del tuo cervello perché me lo avevi chiesto tu. Perché avevi paura di ciò che stavi diventando”
Il suo amico annuì e ormai in lacrime ripeté
“Grazie”
Poi William Bell divenne un fascio di luce energetica che trasportò le due donne e i due uomini nel loro mondo.
Un secondo dopo videro apparire la propria dimensione e Broyles, il loro Broyles che li salutava
“Bentornati”
Harvard, laboratorio del Dotto Bishop, tre ore dopo.
Mentre Olivia aiutava Elisabeth a familiarizzare con quei luoghi, Walter stava sottoponendo Peter ad un check up completo il tutto con la preziosa collaborazione di Astrid che, quella sera, pareva avere energie infinite.
In quel momento lo scienziato stava esaminando gli occhi del figlio con una piccola pila
“Devi dirmi cosa ti fatto, in dettaglio, quella carogna”
“Ancora? E’ la decima volta che te lo dico”
“In dettaglio figliolo, in dettaglio”
Il giovane Bishop sospirò, però non era irritato, anzi.
“Mi ha legato ad un tavolo, mi ha messo degli elettrodi che lanciavano scariche …” cominciò a dire di nuovo il ragazzo ma fu subito interrotto dal padre.
“Il composto?” quella domanda era un colpo basso.
“Te l’ho detto: nasce dal mio lato auto-distruttivo” replicò Peter sorridendo.
“Lato che non pensavo potessi avere” sibilò Walter guardandolo truce.
“Neanche io pensavo di averlo, ma quando ho scoperto che qualcuno mi ha raccontato delle balle è venuto fuori” rispose il figlio.
L’agente Farnsworth si avvicinò ai due con un tenero sorriso e poi porse un piattino a Peter.
“Uno pari, palla al centro. Ora gli lasci riprendere fiato su, dottore”
Il giovane chinò la testa guardando il contenuto del piatto.
“Ancora? E’ la terza fetta Astrid. Stai cercando di uccidermi?” fece divertito e pure rinfrancato da tutte quelle attenzioni.
“Mi spiace” affermò l’assistente di suo padre con aria fintamente colpevole “E’ che quando sono nervosa cucino e ho sfornato dolci per una settimana. Torte, muffin, biscotti e li ho anche mangiati tutti” a quelle parole mise il broncio che ebbe il potere di far ridere il giovane Bishop
“A proposito, preparati a pagare la fattura della mia liposuzione” disse ancora la donna tra il serio e il faceto guardando con preoccupazione il volto martoriato di quello che ormai considerava un fratello minore.
“Scusami se ti ho fatto preoccupare” le disse Peter sorridendo di nuovo.
“Non importa, sei tornato adesso, vero?” chiese lei.
Il ragazzo annuì riprendendo a mangiare la torta in silenzio mentre Astrid e Walter si guardarono commossi.
Poco dopo il dottor Bishop si avvicinò di nuovo al figlio, notando una cosa e proprio in quel frangente rientrò Olivia.
“Cosa sono quei lividi vicino al collo?” domandò incuriosito.
“Non è niente papà, sto bene” fece Peter continuando a mangiare la torta.
“Papà?Mi hai chiamato papà…” la voce dello scienziato era poco più di un sussurro.
A quelle parole suo figlio alzò la testa, lo guardò un attimo riflettendo su quello che aveva appena detto.
“Sì, credo di averlo fatto. Se hai viaggiato due volte tra gli universi per salvarmi la vita significherà pure qualcosa” mormorò sorridendogli.
Walter gli diede una lieve carezza sul viso troppo emozionato per dire o fare altro.
Casa Bishop
Walter e Peter avrebbero voluto sistemare Elisabeth nella stanza libera del loro appartamento, ma la donna, temendo di violare la loro intimità famigliare, aveva accettato l’invito di Astrid di stare con lei per qualche giorno.
Non voleva assolutamente diventare invadente, così dopo un lungo ed accorato abbraccio al ritrovato figlio, aveva seguito l’agente Farnsworth a casa sua.
Peter, dopo cena, aveva tentato inutilmente di aiutare il padre a lavare in piatti, ma quello lo aveva spedito a letto ricordandogli il suo stato di convalescente, così quando verso le undici Olivia andò a bussare dai Bishop fu Walter ad aprirgli.
“Agente Dunham, che piacere vederti. C’è qualcosa che non va?”
“No, beh è che… “ detestava dover fornire spiegazioni sui propri comportamenti.
“Oh scusami, hai ragione, vuoi Peter, andiamo su” e senza attendere una replica le fece strada verso la camera del figlio che non stava dormendo, ma provava a rilassarsi leggendo Se incontri per strada Buddha, uccidilo.
Quando sentì aprire la porta il giovane sorrise ai due.
“Ciao”
La Dunham entrò, era sua intenzione andarsi a sedere di fianco al compagno, tuttavia la presenza del dottor Bishop la metteva a disagio.
“Mettiti pure a letto con Peter, Agente Dunham. Non mi scandalizzo, basta che non lo strapazzi troppo” fece l’uomo intuendo i suoi pensieri.
“Non sono moribondo e comunque vogliamo solo dormire” rispose leggermente stizzito il figlio arrossendo lievemente.
E tale rossore aumentò quando si accorse che suo padre continuava a fissargli il collo.
“In effetti non sono lividi” affermò infine lo scienziato per poi voltarsi verso Olivia “Complimenti Agente Dunham”
E a quel punto fu Olivia a diventare viola.
“Così amate le cose sadomaso. Posso prestarvi i miei manuali”
“No, grazie Walter, ne faccio a meno” replicò Peter che se da una parte era veramente imbarazzato dall’altra si sentiva finalmente a casa proprio a causa di quelle discussioni.
“Peccato. Comunque anche ai miei tempi lo chiamavano dormire” esclamò con un sorriso da furetto lo scienziato.
Adesso Peter e Olivia lo osservavano come a dire “Te ne vuoi andare?” e così il dottore si decise.
“Buona notte ragazzi” sussurrò chiudendo la porta.
“Buona notte Walter” fecero in coro i due.
La Dunham attese che i suoi passi si allontanarono, poi si svestì, rimanendo in maglietta e biancheria intima e si infilò nel letto del giovane Bishop che subito l’abbracciò e la baciò.
“Senti …” iniziò lei passandogli le mani sulle labbra.
“Dimmi …” bisbigliò il ragazzo mordicchiandole le dita.
“Ma tu intendevi dormire dormire dormire oppure dormire?” domandò sfiorandogli il volto con una carezza.
“La seconda che hai detto, Agente Dunham” fece alle loro spalle la voce del padre di Peter, il quale subito urlò
“Walter!!!!!!!!!” e a quel punto lo scienziato se ne andò davvero.
Olivia si avvicinò ancora di più al compagno riprendendo a baciarlo e nel mentre gli sfilò la maglietta.
Lui fece altrettanto perdendosi nelle sue labbra e nel suo volto.
Non appena sentì il seno della ragazza contro il suo torace sussultò, un brivido di piacere e passione.
“Sei sicura?” domandò baciandole la punta del naso.
“Assolutamente” replicò la giovane dandogli un bacio assai lussurioso e attaccandosi ancora di più al suo petto.
Com’era caldo.
Le sembrava quasi di andare a fuoco.
Immediatamente gli circondò la vita con le braccia.
“Tu, piuttosto, te la senti?” chiese studiando quelle cicatrici sul volto dell’amato che sorrise.
“Sto bene” mormorò baciandola ancora ed ancora.
Aveva trovato il suo posto.
Il suo posto perfetto.
Casa Bishop 2 a.m.
Nella piccola villetta a schiera regnavano la quiete e il silenzio così il giovane dai capelli scuri, per non disturbare nessuno, era sceso in punta di piedi, non indossando altro che dei calzoncini e una t-shirt, piuttosto leggeri.
Dopotutto era maggio inoltrato.
Accese la luce del piccolo salotto, poi si andò a sedere sul sofà fissando il camino.
Malgrado continuasse a ripeterlo non stava ancora bene.
Non del tutto.
Il tremore non se n’era andato.
E lui continuava a sentire freddo.
Aveva tenuto stretta Olivia finché aveva potuto, beandosi del suo calore, poi temendo di farle male era sceso.
Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva quel posto orribile.
Quella specie di antro degli orrori dove era stato torturato per tre notti consecutive.
Sarebbe mai guarito?
Aveva paura di no.
D’improvviso udì dei passi leggeri alle sue spalle, sussultò lievemente, ma quando si voltò e incrociò gli occhi di Walter sorrise.
I suoi occhi erano diversi.
Lui era diverso.
L’uomo, senza dire niente, gli mise il suo cardigan prediletto sulle spalle, subito il ragazzo se lo infilò meglio mentre vide il padre allontanarsi.
Ritornò pochi minuti dopo porgendogli una tazza di cioccolata bollente, Peter sorrise iniziando a berla a piccoli sorsi.
Chiuse gli occhi, sentendo quel bel calore propagarsi dal suo stomaco al resto del corpo.
Rialzò le palpebre e sorrise ancora.
Quando la terminò Walter gli prese la ciotola di mano e la portò in cucina, per poi tornare di nuovo da lui.
Stava tremando ancora, anche se meno di prima.
Con circospezione si avvicinò al figlio e lo abbracciò, Peter chiuse di nuovo gli occhi, lasciandosi cullare da quell’abbraccio mentre ricordi dolorosi gli tormentavano l’animo.
Quelle tre notti.
Quelle terribili tre notti di torture.
Le scariche che straziavano il suo corpo e la sua anima facendogli poco a poco perdere la voglia di vivere.
Di sperare.
Di sognare.
Non voleva più sentirsi così.
Mai più.
E quello che gli aveva fatto più male era che a fargli tutto quello era stato il padre.
No, quell’uomo non meritava l’appellativo di padre.
Si strinse ancora di più a Walter tremando mentre lo scienziato aveva iniziato ad accarezzargli i capelli.
Era Walter suo padre.
L’uomo che in passato gli aveva fatto del male ma aveva saputo dimostrargli di amarlo sopra ogni cosa.
Aveva ragione Olivia.
Quello strambo scienziato dava ogni giorno la vita per lui.
Ecco perché lo avrebbe sempre perdonato per ogni suo errore o debolezza.
Il dottor Bishop, dal canto suo, era assai in pena nel vederlo così, non era da lui.
Non del suo Peter.
Era sempre stato forte.
Adesso sembrava un bimbo impaurito.
Quel maledetto mostro, che osava definirsi padre, lo aveva ridotto così.
Era in parte colpa sua.
Se non gli avesse mentito, Peter non sarebbe scappato e non si sarebbe fatto del male da solo.
In un modo o nell’altro era sempre colpa sua.
Lo strinse ancora di più come per chiedergli perdono, baciandogli la fronte in silenzio.
Il giovane si abbandonò totalmente a quell’abbraccio, sicuro di trovare requie al suo dolore e alla sua anima tormentata.
Nessuno dei due si accorse che Olivia era scesa preoccupata di non sentire rientrare Peter, ma non appena li vide così preferì tornare di sopra, non volendo violare quel loro momento insieme.
Erano padre e figlio.
Avevano diritto a ritrovarsi.
Ancora una volta.
Fine Capitolo 9
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Epilogo ***
Epilogo
Boston, Laboratorio del Dottor Bishop, 6 a.m.
Astrid e Walter quella mattina erano arrivati molto presto, non perché ci fosse qualche caso in corso, semplicemente lo scienziato voleva preparare la bevanda preferita del suo Peter compresa di tutti gli ingredienti.
Così il solito cicaleccio tra il dottore e la sua paziente collaboratrice regnava sovrano nei locali del laboratorio e pure nel corridoio di fianco.
Fu proprio mentre i due stavano litigando sull’ultimo ingrediente che qualcuno entrò senza però farsi notare, anzi andandosi a rifugiare nell’angolo più nascosto di quel luogo.
Non si sentiva di parlare con nessuno, voleva solo riprendere famigliarità con quel posto, era stato via diverso tempo, troppo per i suoi gusti.
Avevo deciso lui di andarsene pensando di aver perso tutto e invece non aveva perso niente, quella era ancora casa sua.
Aveva solo bisogno di sentirne l’odore, i rumori, i suoni.
Tutto quanto.
Pensò alla sua festa di compleanno.
Ormai un anno prima.
Alle caramelle che Walter aveva fatto per lui.
Il suo sguardo blu si posò sul piano.
Da quando non suonava?
Da troppo.
Fu tentato di alzarsi per farlo ma poi pensò che sarebbe stato meglio farlo più tardi.
Adesso voleva godersi quella strana quiete.
Voleva sentire suo padre e Astrid parlare.
“Asterix ti ho detto mille volte che questo non va bene!”
La povera agente dell’Fbi brontolò
“Sei impossibile, Walter! E poi io sono Astrid, Astrid, Astrid, lo vuoi capire?”
“E’ la stessa cosa!”
“No, che non lo è! E poi sei sicuro che Peter amerà questo intruglio?”
“Ovviamente e poi dopo gli faremo anche una crema pasticcera!”
“Grande idea, basta che non fai come l’altra volta che quasi rischiavi di metterci dentro le mani sporche di sangue”
Peter sorrise a quelle parole, chinando la testa per non farsi vedere.
Non aveva ancora fatto colazione, però per adesso non aveva molta fame.
“Assolutamente! A proposito … dove hai messo i pancake alle ciliegie che ho fatto per Peter ed Olivia quando arriveranno?”
“Nel solito forno così dopo appena arrivano li scaldiamo e mangiamo insieme”
“Brava cara”
“Non ce la fai proprio a chiamarmi con il mio vero nome, eh?”
Astrid si allontanò verso un angolo buio, tuttavia non vide Peter, anche se gli passò di fianco, il ragazzo era troppo nascosto dall’oscurità tanto che nemmeno quando ripassò si accorse di lui.
“Walter, non abbiamo molto succo da arancia, lo vado a comprare?”
“Più tardi tanto non penso si alzeranno molto presto” e dicendo questo il dottor Bishop fece una risatina.
“Walter, Walter non mi dire che li ha spiati?”
“Certo che no, ma è evidente che ora stanno insieme”
“Davvero? E’ fantastico!”
“Non l’avevi capito Asterisco?”
La sua assistente brontolò
“Astrid, mi chiamo Astrid”
“Ma sì… sì …”
Peter, ancora nascosto nel buio, sorrise.
Era così bella quell’atmosfera.
Non avrebbe mai voluto andarsene.
Non avrebbe mai dovuto andarsene.
Anche perché se avesse ascoltato prima le spiegazioni di suo padre non sarebbe mai finito nelle mani dell’altro.
Chinò la testa rabbrividendo.
Uno strano gelo gli era passato attraverso le ossa.
E quelle scariche.
Anche nell’oscurità poteva vedere le cicatrici che gli avevano lasciato.
Come aveva potuto fargli così male?
Sembrava così felice del suo ritorno.
Ciò gli fece ricordare un altro momento.
“Era un periodo felice. Credevi ancora che tuo padre ti volesse bene”
Strinse i polsi cercando di scacciare quel ricordo.
Suo padre.
Il suo vero padre gli voleva bene davvero.
Aveva attraversato due volte gli universi per salvarlo.
Lo amava sopra ogni cosa.
E questo lo faceva sentire al sicuro.
L’altro non contava niente.
Non avrebbe mai contato niente.
Entrambi gli avevano mentito, ma l’uno per proteggerlo, l’altro per torturarlo.
Scosse la testa cercando di concentrarsi di nuovo sulle voci del laboratorio.
“Walter ho trovato il succo d’arancia, ne ho prese tre confezioni”
“Grazie cara, mettile in frigo. E le caramelle le stai facendo?”
“Anche quelle? Mi sembra troppo!”
“Va bene, quelle no!”
Peter tornò a sorridere e proprio in quel momento Astrid lo notò, avvicinandosi a lui.
Gli prese le mani.
“Tutto bene?”
“Sì”
“Da quando sei qui?”
“Un po’ “
“Stai bene?”
“Direi di sì”
Lei lo scrutò a lungo.
“D’accordo ti lascio stare, quando vuoi c’è la colazione nel forno”
“Grazie”
“No, grazie a te per essere tornato” fece accarezzandogli la guancia.
Lui allargò il sorriso.
“Non hai idea di come sia buio questo posto senza di te”
“Astrid… io”
“Saremo sempre la tua famiglia, sempre. Nessuno potrà cambiare questo”
“Lo so”
Gli diede un piccolo bacio sulla fronte.
“A dopo”
Il giovane chinò il capo, continuando a stare nell’ombra, aveva ancora bisogno di stare da solo e nel contempo di sentire le voci di quel luogo.
Si sentiva avvolto da una strana malinconia.
Forse stava soltanto ritrovando la terra sotto i piedi.
O forse stava mettendo radici e ciò lo spaventava e lo elettrizzava contemporaneamente.
Non era solo quello, lo sapeva.
C’era il bisogno di scacciare via il dolore, l’angoscia di essersi sentito totalmente abbandonato.
Si rendeva drammaticamente conto che non sapeva se avrebbe mai avuto il coraggio di parlarne con qualcuno.
Aveva paura ad aprirsi del tutto anche perché aveva commesso il tragico errore di farlo con la persona sbagliata.
“Non si dicono certe cose agli sconosciuti”
Rabbrividì di nuovo.
Forse quel freddo non se ne sarebbe andato più.
E con esso il ricordo di quelle notti di torture.
Non avrebbe mai dimenticato, lo sapeva.
Scrollò le spalle, osservando suo padre ed Astrid lavorare alacremente per lui.
Il suo cuore avrebbe avuto per sempre delle cicatrici, però era vivo ed aveva di nuovo la sua strampalata famiglia.
Si decise ad alzarsi e farsi vedere.
“Ciao figliolo, finita la meditazione?” chiese lo scienziato fissandolo con aria preoccupata.
“Non ti si può nascondere niente, vero?” replicò con un sorriso affabile Peter.
“Esatto, soprattutto quando sono in ansia per te” fece il dottor Bishop.
“Tu sei sempre in ansia per me. Senti Walter, sbaglio o Astrid aveva parlato di pancake?” domandò il ragazzo continuando a sorridere.
Voleva che non stessero più in pena per lui.
“Sì, li ho preparati io, li trovi nel forno” disse prontamente Walter ricambiando il sorriso.
“Ottimo. C’è dello sciroppo d’acero, vero?” chiese andando a trafficare nel forno a micro-onde.
“Sì e anche una cioccolata calda” disse ancora l’uomo fissandolo in maniera emblematica.
Peter lo guardò per un lungo istante: cosa doveva dire?
Che stava meglio?
Che non sentiva più quel dannato tremore?
Non sarebbe servito a niente.
“Grazie” balbettò abbassando la testa cercando di non far vedere che arrossiva.
Si avviò in silenzio verso il cucinino dove prese la cioccolata, che iniziò subito a bere a lunghe sorsate mente attendeva che i pancake si scaldassero.
Nel frattempo Astrid e Walter si erano scambiati uno sguardo triste.
Peter non stava ancora bene.
Non del tutto.
E anche loro temevano che non sarebbe mai guarito.
Il giovane si sentì subito quegli occhi puntati sulla schiena, ma evitò di voltarsi, si sentiva a disagio e anche un po’ in colpa per la loro preoccupazione.
Avrebbe mai finito di farli star male?
Prese a mangiare i pancake con aria famelica, sedendosi su una sedia vicino all’entrata, in modo da avere sempre le spalle voltate ai due.
Walter non potendone più si avvicinò a lui, posandogli le mani sulle spalle.
“Buoni?”
“Fantastici, grazie… papà” rispose con un tenero sorriso.
Lo scienziato restò qualche minuto senza parole nel sentirsi chiamare così dato che il suo ragazzo lo faceva assai raramente.
“Stai …” provò infine ad iniziare la frase.
“Benissimo. Sul serio” il giovane Bishop era commosso da quelle attenzioni.
“Farò finta di crederci, ma so che non è così” disse suo padre con assoluta semplicità.
“Sto bene, sono a casa, sono con la mia famiglia e il resto passerà da solo” insistette Peter.
“Come vuoi” Walter non se la sentì di insistere. Temeva che avrebbe solo peggiorato le cose.
Dieci minuti dopo il giovane Bishop aveva terminato la colazione e si era messo a girellare per il laboratorio per vedere se c’era qualcosa di nuovo il tutto mentre Astrid e Walter terminavano il loro menù per la festa che avrebbero fatto alla sera.
Fu solo quando Peter si avviò verso l’ufficio del padre che la di lui assistente lo bloccò.
“Ehm no … meglio di no”
“Cosa c’è?”
“E’ in disordine”
Il ragazzo alzò il sopracciglio
“Quando mai è stato in ordine?”
Astrid si mise davanti alla porta
“No, davvero Peter è un disastro, non lavo il pavimento da una settimana”
“Astrid, non mi interessa”
La giovane donna non sapeva più cosa inventarsi anche perché Walter non le stava dando una mano e pareva ancora preso dalla crema pasticcera.
Con assoluta calma Peter la spostò ed entrò nell’ufficio del padre dove, stranamente, regnava un ordine immacolato.
Sbatté le palpebre più volte per cercare di capire perché Astrid gli avesse mentito quando la sua attenzione fu catturata da una piccola cornice di foto.
Stava vedendo male.
Arrossendo violentemente si avvicinò alla scrivania e la prese in mano.
In quella foto c’erano lui stesso ed Olivia che dormivano abbracciati.
Avvampò.
“Walter!!!!!!!”
L’agente Farnsworth si precipitò nella stanza.
“Non è come pensi…”
“E cosa dovrei pensare?” ormai aveva raggiunto la gradazione più scura del rosso e stava passando al viola.
“Beh Walter ha detto che non riusciva a dormire per …” iniziò la donna che stava facendo una fatica enorme a non scoppiare a ridere nel vederlo così imbarazzato.
“Per?”
“Beh … beh temeva si fosse rotto qualcosa nelle tubature”
“Nelle tubature?”
“Sì, sentiva dei cigolii fortissimi”
Peter la fissò come a dire: mi stai prendendo in giro?
Astrid assunse un’aria afflitta
“Ti assicuro voleva chiamare l’idraulico”
“Sì, ok… ma non ho capito cosa c’entra tutto questo con la foto di me ed Olivia”
L’assistente di suo padre sorrise
“Beh poi ha compreso”
Il giovane Bishop aveva ormai gli occhi a fessura.
“Dimmi che non è quello che sto pensando”
Astrid ora aveva assunto un’aria angelicata
“Non so, tu cosa stai pensando?”
In quel mentre entrò Olivia e subito Peter nascose la foto sotto gli appunti di suo padre.
La ragazza avrebbe voluto salutare meglio il suo compagno ma Walter ed Astrid li stavano fissando così si limitò ad un formale saluto
“Ciao Peter” farfugliò terribilmente tesa per quegli sguardi.
“Ciao Olivia” rispose il giovane che stava provando le stesse cose con in più l’imbarazzo per la foto e il discorso con Astrid.
Stufo di quella situazione lanciò ai due impiccioni delle occhiate di fuoco al che finalmente si decisero ad andarsene.
La giovane Dunham corse incontro al compagno e lo baciò con passione.
“Ciao amore” sussurrò perdendosi nei suoi occhi blu.
“Buongiorno, hon” rispose lui baciandole la punta del naso.
Era sempre più bella.
In quel mentre si sentì un urlo disumano
“No, dottore, no, la foto anche di giorno no, basta la registrazione di stanotte”
Per un momento i due fidanzati divennero bianchi come lenzuoli, poi ripresero a baciarsi, troppo presi l’uno dall’altra.
“Non vai ad ucciderlo?” domandò lei sorridendo divertita.
“Più tardi” replicò il giovane con un sorriso un po’ tenero e un po’ diabolico.
Fine
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=914544
|