The only exception.

di LoveShanimal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1: Birth. - Prometto.. ***
Capitolo 2: *** 2: There is a fire inside of this heart and a riot about to explode into flames. ***
Capitolo 3: *** 3: Here we are at the start. ***
Capitolo 4: *** 4: Crash, crash, out of control. ***
Capitolo 5: *** 5: One day it'll all just end. ***



Capitolo 1
*** Chapter 1: Birth. - Prometto.. ***


I 30 Seconds To Mars non mi appartengono (ma magari!!) bla bla bla.
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, bla bla, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, bla bla, nè offenderle in alcun modo.

Ciao. Sono tornata.
*Urla. imprecazioni, pianti, donne che si strappano i capelli*
"Ma che ci fa questa ancora quiii?" "Ma non possiamo stare un po' in pace??"
Mi dispiace, ma oggi, anche se sono passati solo due giorni dalla fine dell'altra mia FF, avendo davanti un pomeriggio intero per scrivere un bel (coff coff) capitolo di una bella (coff coff) storia, non ho potuto resistere.

Si riparte da zero gente. Siamo io, word, e Shannon. Sempre lui, nessun'altro. Avrò una fissa, ma che ci posso fare.

Prima del capitolo ho due ringraziamenti:
-Grazie a Pia, che mi ha dato il coraggio di pubblicare, e ha avuto il coraggio di leggere questa sottospecie di capitolo.
-Grazie ai Mars. Grazie a Loro che ci sono sempre. Grazie a loro che sono il mio respiro, il mio cuore, il mio tutto.

 

The only exception.

 

Maybe I know, somewhere
Deep in my soul
That love never lasts
And we’ve got to find other ways
To make it alone
Or keep a straight face
And I’ve always lived like this
Keeping it comfortable, distance
And up until now
I’d sworn to myself that I’m content
With loneliness
Because none of it was ever worth the risk, but
You, are, the only exception

 
 

Chapter One: Birth.
Prometto.

 
 
Questa è la storia di un amore.
Un amore che dura negli anni, un amore che nasce nell’adolescenza di due persone, uno l’opposto dell’altra.
Un amore che segue ad un’amicizia, un amore che ha ferito, spezzato, cambiato, rovinato, ma solo uno dei due.
Un amore che si prova a riprendere dopo più di vent’anni.
Un amore così forte che, dopotutto, ha lasciato tanti bei ricordi.
Uno dei più belli, e dei più dolorosi, riporta ad una promessa.
Una promessa così importante, così dolce, ma anche così bugiarda.
Una promessa fatta una giornata calda di agosto.
 
 
Il sole era basso, era quasi il tramonto.
La spiaggia era vuota, c’erano pochissime persone. Tutte erano andate via, chi prima di pranzo, chi dopo, per evitare o prendere le ore più calde della giornata.
Ma ormai quelle ore erano finite, e tutti approfittavano della freschezza della sabbia per giocare o per fare una passeggiata.
Solo due persone rimanevano calme al loro posto.
Erano appena arrivate, e sebbene avessero due asciugamani stese per terra, solo una era occupata dai loro corpi intrecciati. Sembravano addormentati, per il loro silenzio e per la loro immobilità.
Lui pensava a lei.
Lui pensava a quanto fosse fortunata ad averla.
E lui aveva paura, aveva paura di perderla.
“Deborah..” gli disse, stringendola un pochino e parlandole a pochi centimetri dalla fronte.
“Si?” lei non sentiva il battito del suo cuore accellerato.
Lei non sentiva i sintomi dell’amore.
Non sapeva amare, non sapeva cosa volesse dire amare.
“Mi prometti che non mi lascerai mai per motivi stupidi?”
“Perché dovrei essere io a lasciarti?” rispose lei.
“Sarai tu a a lasciarmi, perché è così.” Lui sorrideva, con un sorriso triste.
“No.” Lei disse quelle parole perché, in questi casi, non c’è altro da dire. Ma lei non ne era affatto convinta. In realtà, nel profondo, anche lei pensava che lui avesse ragione, che la verità fosse completamente opposta a quello che stava affermando. Anche lei, perché tutti sapevano che lui era troppo innamorato per lasciarla. E lei..
“Allora promettimelo, promettimi che non mi lascerai per motivi stupidi.” Ribadì lui, senza più nessun accenno di sorriso sul suo volto.
“Te lo prometto.”
“E.. – lui sorrise, con quel sorriso ingenuo che lo caratterizzava, almeno a quel tempo. L’ingenuità lo abbandonò tempo dopo – mi prometti che non mi lascerai mai? Che staremo insieme per sempre?”
Lei arrossì.
“Te lo prometto, Shannon.”
Lui abbassò la faccia e la baciò.
 

Lei non sapeva quanto quella promessa era importante per lui.
Lei non sapeva dare il peso a tutto quello che diceva o succedeva.
Lei non sapeva che quando lui pensava a quel giorno si malediceva per averle strappato quelle parole da bocca,  per aver insistito, e soprattutto per averci creduto e essersi illuso.
E lui, lui non sapeva quanti rimpianti lei aveva.
Lui non sapeva quante volte aveva pensato a lui e si era maledetta per averlo lasciato.
Lui non sapeva quante volte pensava a se stessa da giovane e schifava quella che era stata.
Nessuno dei due aveva mai cercato l’altro.
Lui la odiava, la odiava per tutto il male che le aveva fatto.
Lei si vergognava troppo per quello che gli aveva fatto.
Ma, sebbene lui non sapesse più niente di lei, cosa facesse, chi fosse diventata, dove abitasse, lei conosceva tantissime cose di lui.
Sapeva che era il batterista della band che seguiva da sempre.
Sapeva che era cambiato, ma non immaginava per colpa sua.
Sapeva che era cambiato, ma non quanto.
Non sapeva che continuava ad amarla, però, dopotutto.
 

Le loro strade si incrociarono senza che nessuno dei due si fosse sforzato per farle incrociare, dopo esattamente ventiquattro anni dopo essersi allontanate.
Avevano diciasette anni prima, quarantuno dopo.



LoveShanimal is back, again! :)

 
 
 

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Capitolo 2
*** 2: There is a fire inside of this heart and a riot about to explode into flames. ***


Buonasera :3

Lo so, mi ero ripromessa che questa volta non avrei aspettato tanto per pubblicare, ma la scuola, i miei fratelli che si fregavano il computer con il file dentro, e altre mille cose mi hanno impedito di pubblicare questo secondo capitolo.

Non è tanto lungo, e non succede poi nulla di che, ma siamo all'inizio e voglio andare con calma, non voglio consumare subito la storia u.u

Allora, devo fare una precisazione: rileggendo il capitolo, mi sono accorta che c'è un riferimento (NON VOLUTO) agli avvenimenti di questi giorni, cioè quelli della crociera e del capitano. Ripeto, NON è VOLUTO D:

Beh, che devo dire più adesso? 

Ah si. E' la prima volta che mi cimento nella scrittura in terza persona, ho sempre scritto in prima ed è sempre stato più facile. Mi fate sapere com'è il risultato? Perché se fa schifo, torno ai vecchi modi D:

Ultimissima e poi non vi rompo più le palle!! : non so se avete notato, ma i diversi capitoli sono divisi in 'chapter 1' e 'chapter 2'. Mi rifaccio ad Hurricane , con il Chapter 1 per il passato (birth) e il 2 per il presente (life). Spero sia tutto chiaro u.u

*Ha incasinato ancora di più*

 

Buona lettura, fatemi sapere come vi sembra :3



Chapter 2: Life
2: There is fire inside of this heart and a riot about to explode into flames

 
“Shannon..”
Quella voce dolce  richiamò l’uomo alla realtà, lo strappò indietro dalla sua testa con tanta potenza sebbene fosse così bassa e impastata, per colpa del sonno.
Continuò a tirare su il pantalone, e girò lo sguardo nella camera, prima a destra e poi a sinistra, per cercare la sua canottiera. Si mosse, e la afferrò da sopra la poltrona dove non ricordava di averla poggiata la sera prima. Non se ne preoccupò, gli succedeva spesso.
Passò a cercare le scarpe.
“Dove vai?” sembrava essersi svegliata completamente, non c’erano più increspature nella sua voce.
“A prendere il mio aereo, te l’ho detto che oggi sarei partito.. dove vuoi che vada?” gli disse, senza neppure voltarsi. Avrebbe preferito starsi zitto e non dire nulla, ma lei era stata troppo gentile con lui per ignorarla.
“Ti accompagno? Mi vesto in un minuto!”
C’era un briciolo di speranza nella sua voce, una buona parte di allarme, e tanta tristezza.
Conosceva la risposta di chi, dopo aver condiviso una notte non così male con lei, non la guardava neppure in faccia.
Cherie.. – disse, con quell’accento francese, così stranamente perfetto in un americano, che tanto aveva colpito la ragazza la sera prima – avevo detto che non era nulla di serio. Avevo detto che era solamente una notte, e poi basta. L’ho detto più di una volta..”
“Si, lo so, ma io..” piagnucolava.
Lui avrebbe dovuto scegliere qualcun’altra, lo sapeva.
Non voleva ferire qualche donna, non lei, soprattutto, che poi era così piccola, così tenera, così indifesa.
“Mi dispiace, eh? Lo sai che non ti volevo fare del male – disse, andando a posizionarsi finalmente accanto a lei, che oramai si era seduta, e stringeva il lenzuolo per farsi forza – davvero, non pensare questo. Ma io non sono un tipo da relazioni serie, te l’ho detto anche prima di tutto questo.”
‘Non lo sono più, ormai..’ pensava lui.
“S-s-si – lui la guardò, dritta negli occhi, e lei non potè fare che lasciare stare. Non aveva la forza di controbattere – hai ragione, mi dispiace.”
Lui sorrise, fiero di un’altra vittoria, e le baciò la fronte.
“Stammi bene.” Disse, uscendo dalla porta dell’albergo.
L’avrebbe ricordata, come ricordava tutte, ma per lui era semplicemente una delle tante.
Ora lo aspettava l’aeroporto e un altro volo in aereo, lo aspettava di nuovo il suo tour, suo fratello, il suo migliore amico, che era quasi un secondo fratello, e soprattutto la sua batteria.
Lei, lei tra tutte, era quella che lo faceva stare meglio.
 
 
“Signore, biglietto prego.”
La bellissima hostess bionda l’aveva fermato prima che lui potesse entrare, e lui, meccanicamente, aveva mostrato i biglietti aerei. Era ormai abituato a quel genere di faccende, e non lo infastidivano più come le prime volte.
Con lui c’era Tomo.
Tomo, il chitarrista della band, il suo migliore amico, il suo fratello acquisito.
Parlavano del più e del meno, quando furono distratti dalla confusione alle loro spalle.
“Shannooooooon!” gridava qualcuno.
Tomo pensò che fosse qualche fan, ma Shannon aveva riconosciuto quella voce.
“Oh no..” si portò le mani alla testa, e si coprì la faccia. L’altro intuì qualcosa, e gli si parò davanti per nasconderlo.
“Shannon! Girati, Shannon, sono io! Ti devo parlare!”
Alle loro spalle, c’era una ragazza che correva verso di loro, inseguita da due uomini della sicurezza, che urlava a perdifiato il nome del batterista e cercava di attirare la sua attenzione.
“Shannon! Sono io! Non partire, ti prego, non partire!”
Lui continuò a guardare avanti, infastidito.
“Ha fatto?” chiese alla hostess.
“Si, tenga.”
Gli restituì i biglietti, e Shannon con uno strattone tirò anche il suo compagno.
“No, aspettami ti prego! – si stava avvicinando la donna, sempre di più – ti prego!”
Velocemente, i due entrarono e la hostess chiuse la porta dell’aereo, mentre una guardia sbarrava la strada alla ragazza.
E intanto che lei si dibatteva per raggiungere quell’uomo che tanto l’aveva colpita, lui si era seduto sulla poltrona della sua prima classe, rilassandosi dopo aver scampato un momento imbarazzante e decisamente brutto.
“Cavolo, non immaginavo venisse a cercarmi.. devo stare attento a non dire più la compagnia aerea. Stupido..” quelle osservazioni sembravano indirizzate più a se stesso, che non al suo vicino, che comunque le ascoltò, e non si astenne dal commentarle.
“Shannon, la potresti smettere? Ti prego, davvero, smettila. Abbiamo fatto tante, troppe volte questo discorso. Se proprio vuoi continuare a comportarti così, non mettere me in mezzo. Ti ho già coperto troppe volte.” Si allacciò la cintura, e rivolse lo sguardo verso il finestrino, guardando l’aereo che iniziava a camminare, e spiccava il volo.
Era la sua parte preferita del viaggio, quella.
Il vuoto nello stomaco, il paesaggio che cambiava, l’aereo che gli dava l’illusione di poter volare, non con un motore e con dei comandi, ma con le proprie ali.
Però quella volta il suo umore gli impedì di godersi al meglio quelle emozioni che sempre lo rendevano felice.
“Tomo, e dai..” il batterista accavallò le gambe, e si spaparanzò sulla comoda poltrona della prima classe.
“Dai niente, non farmi ripetere ancora una volta tutto il discorso. Ti comporti da bambino, giochi con i sentimenti delle donne come se fossero bambole. Vuoi portarti a letto una ragazza diversa ogni notte? Bene, ma scegli qualcuna che non ha sentimenti, non una persona debole come la ragazza di prima.”
Tomo era sdegnato, Shannon incredulo. L’amico gli aveva sempre fatto quel discorso, ma mai con quel tono e con quelle parole.
“Non sapevo si sarebbe comportata così. gliel’ho ripetuto più di una volta che non facevo sul serio, cosa pretendi più?”
“Che tu cresca, Shannon, che tu cresca. Hai quarantuno anni, non dieci, dovresti pensare ad avere qualcosa di stabile nella tua vita. Una donna che ti ami davvero, magari. Non rimarrai in eterno il giovane playboy, lo sai benissimo.”
E con questo mise fine alla conversazione, temporaneamente, premendo un pulsante che abbassava lo schienale della sua poltrona, e si stese.
Shannon invece rimase per un po’ di tempo a contemplare la figura supina accanto a lui, aspettando forse che si rialzasse e dicesse ‘ei, stavo solo giocando!’, ma quando si accorse che quel silenzio sarebbe durato ancora a lungo, si alzò e si avvicinò al frigobar.
Frugò per un po’ senza trovare nulla che gli piacesse, fino a quando una voce femminile lo fece sobbalzare chiedendogli a pochi centimetri dall’orecchio “Ha bisogno di una mano?”
Si girò, e di trovò di fronte una hostess sulla trentina, belle curve, tacchi vertiginosi, scollatura esagerata e un rossetto di un rosso scuro in contrapposizione con il bianco della pelle.
Lei gli sorrise, aspettando una risposta.
Prima che potesse rispondere, magari corteggiarla come faceva sempre, le parole di Tomo gli rimbombarono nella testa ‘una donna che ti ami davvero, magari’.
“No, grazie. Sono a posto così.”
Tornò al suo posto, in silenzio, senza aspettare neppure che l’altra rispondesse, che intanto se n’era andata stranita verso un’altra donna che attirava la sua attenzione con la mano.
Guardò storto l’amico ancora dormiente, e sbuffò.
“Mi hai rovinato il volo, stupido Tomo..” bisbigliò.
Non poteva sapere che l’altro, che gli dava le spalle, in realtà non stava dormendo, ma fingeva.
Non poteva sapere che gli era spuntato un sorriso di vittoria sul volto, un sorriso con un sapore così dolce perché, in realtà, la vittoria era di entrambi. Aveva insinuato il dubbio in Shannon, e questo era abbastanza per farlo gioire. Forse, finalmente, l’amico avrebbe messo la testa a posto, e sarebbe stato davvero felice.
 
“No, Lucas, no. Non puoi farmi questo.”
Shannon sentì il fratello entrare in casa, e quando lo raggiunse lo vide intento a trascinare tutte le valigie con la mano destra, mentre con la sinistra parlava a telefono.
“Buonasera, eh.” Era tornato a Los Angeles il giorno successivo agli altri due componenti della band. Lui e la sua ossessione per la Francia.
Scaraventò le valigie in malo modo per terra, chiuse con un calcio la porta, e fece un cenno al fratello con la mano per salutarlo.
“Eh, ma allora? .. Lo so che non è colpa tua, scusa.. … Ma come dobbiamo fare adesso? … me lo devi, Lucas, non mi puoi abbandonare così!” sbuffò.
Shannon lo guardava, con un mestolo in mano, stranito.
Gli piaceva cucinare, era una cosa che aveva preso dalla madre.
Quando si accorse che non avrebbe avuto alcuna attenzione da Jared, ritornò in cucina alla sua pizza, una nuova ricetta italiana che aveva preso durante l’ultimo tour.
Si abbassò all’altezza del forno, e vide che la sua cena era quasi pronta, e piano piano un ottimo odore invase tutta la stanza.
Sorrise, soddisfatto, e iniziò a ripulire tutta la farina sparsa per i mobili e le macchie di pomodoro.
“Questa non ci voleva..” entrò nella stanza furioso, sbattendo il suo amato telefono sul tavolo e sedendosi.
“Cosa è successo?”
Shannon era calmo, non era una persona che si appendeva troppo ai problemi, ma cercava sempre di trovare una soluzione senza agitarsi troppo. La sua calma molte volte infastidiva il fratello, come in quel caso, che invece si faceva trasportare dalle emozioni e non riusciva semplicemente a farsi scivolare le cose addosso.
“Lucas. Mi ha detto che Oliver si è licenziato. Non ce la fa più a seguire i nostri ritmi, per lui è stancante. Proprio adesso che dobbiamo fissare le ultime date dei concerti e dobbiamo concludere il tour. Non ci voleva, non ci voleva proprio. Tutto questo per cosa poi? Perché noi siamo troppo esigenti, lo facciamo volare da una parte all’altra del mondo senza riposo, e soprattutto la moglie gli manca, ed è incinta al settimo mese, e tra poco partorisce e lui non vuole perdersi nulla..”
“..giustamente.”
Shannon continuò la frase del fratello, con quella parola che non aveva voluto dire, per puro orgoglio. Non voleva giustificare il loro manager, non voleva. Un capitano non abbandona mai la nave prima che affondi, no? Stava pensando, proprio in quel momento. Secondo lui li stava abbandonando, li stava abbandonando in quel momento, in quel momento in cui ne avevano più bisogno.
Diede un pugno sul tavolo.
“Hai detto a Lucas di trovarci immediatamente un nuovo manager, no?” il più grande dei fratelli Leto aveva appena indossato un guanto da cucina, ed era alquanto buffo, ma la situazione non fece cogliere l’occasione al minore dei due di insultare l’altro.
“Certo che si..” rispose Jared, con un’espressione come se stesse rispondendo alla domanda più stupida che gli potessero fare.
“Allora è inutile affaticarsi e torturarsi tanto. Lucas non ci deluderà, ne sono più che sicuro. Adesso vatti a cambiare e scendi, che ti faccio provare una cosa nuova.” Sorrise.
“Cosa?!” il tentativo di Shannon di distrarre l’altro funzionò, e incuriosito Jared allungò il collo per vedere nel forno.
“Pizza, della buona pizza italiana!”
“Uhm.. non lo so, non mi ispira.” Il cantante fece una smorfia, come un bambino viziato. Quel briciolo di vitalità che era apparsa sul suo viso dopo le parole ‘cosa’ e ‘nuova’ messe nella stessa frase, si spense alla stessa velocità con cui si era accesa.
“Dopo una settimana e più di cibo francese, mi sembra un miracolo mangiare qualcosa di buono. Quindi, ti prego, levati di testa la Francia, cambiati, e vieni a mangiare.” Il maggiore dei due fratelli scosse la testa, ripensando a tutto quello che il suo povero stomaco aveva dovuto digerire in quei giorni. Riteneva Parigi una città stupenda, ma in quanto a cibo, lasciava molto a desiderare.
Jared, a sua volta, alzò gli occhi all’aria, e si diresse al piano di sopra.
Nessuno dei due, avrebbe potuto immaginare che quella sarebbe stata la causa di un problema ben peggiore del licenziamento di un manager.

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Capitolo 3
*** 3: Here we are at the start. ***


Chapter 1: Birth.
3: Here we are at the start.
 

I due ragazzi passeggiavano per strada ridendo.
Erano due anni che si erano conosciuti, ma solo da qualche mese uscivano insieme. Si era creato questo strano gruppo di non meno di dieci persone nella loro classe, e loro ne facevano parte.
A loro si era aggiunto anche il fratello di Shannon, Jared, che stava simpatico più o meno a tutti, e si era trovato bene con quelle persone perché erano gli unici, di tutti quelli che conosceva, che non lo insultavano per i suoi capelli lunghi, e per il suo carattere introverso.
Era successo molte volte, e altrettante Shannon era intervenuto e aveva ‘parlato’ - o soprattutto picchiato – con quelli che si erano azzardati, prendendo le difese del fratello, e beccandosi anche diverse note disciplinari. Ormai la preside della loro scuola lo conosceva, e lo salutava anche quando si incrociavano nei corridoi.
Uscivano insieme tutti quanti, tutti i giorni, approfittando delle belle giornate che la primavera finalmente offriva loro, e poi qualche volta Shannon e Deborah si ritrovarono anche a stare da soli, come in quel momento.
Nessuno dei due era infastidito quando accadeva, anzi si trovavano bene insieme e c’era un certo feeling tra loro.
 
“Shannon.. ti dovrei dire una cosa.” Disse lei, per niente nervosa, solo leggermente imbarazzata.
“Bene.. in realtà anche io.” Si fermarono, e si ritrovarono l’una di fronte all’altro.
Indugiava, non sapendo da dove iniziare. Poi decise che era inutile, e andò dritto al punto.
“In questi giorni tutti mi stanno chiedendo se io e te siamo fidanzati. Eh, beh..”
Lui inarcò il sopracciglio, e assunse un’espressione a metà tra il sorpreso e l’incredulo.
“E.. mmh..” cercava le parole esatte per continuare il discorso.
“Taglia corto Deb. Tu non hai mai negato, giusto?” concluse lui.
“Ma.. come fai a saperlo?” lei era curiosa.
“Perché è da giorni che chiedono la stessa cosa anche a me, e io rispondo nel medesimo modo.” Sorrise.
“Quindi..”
“Cosa?” lui guardò i suoi occhi, che però erano abbassati a guardare le mattonelle della strada.
“Cosa devo dire la prossima volta che me lo chiedono? Cioè se dobbiamo dire una cosa.. mmh.. almeno mettiamoci d’accordo!” la ragazza corrugò la fronte, cercando un senso nelle parole che aveva appena pronunciato, con la certezza che non esistesse.
Però lui capì al volo, e rispose, dopo essersi grattato la testa, impacciato.
“Potremmo.. beh.. semplicemente dire che siamo fidanzati no? Cioè, per me non c’è nessun problema, figurati.. e poi, comunque, se ci pensi, sai che casino dire a tutti quelli che ce l’hanno chiesto e a cui abbiamo risposto affermativamente che invece non è così? E l’imbarazzo della finta situazione post-fidanzamento? Poi se per te è un proble..”
“Ma sei partito a razzo! Stai facendo tutto tu! – rise – ..per me non c’è nessun problema, non è un fastidio dire che io e te stiamo insieme.”
“Oh. Bene, allora!” gli angoli della bocca si incurvarono, spontaneamente.
 
Anche se era una finzione, lui ne era felice. Ne era felice perché non aveva visto sulla faccia di lei un’espressione inorridita, che invece si aspettava, ne era felice perché lei non aveva rifiutato, perché sperava che, prima o poi, dalla finzione sarebbero passati alla realtà.
 
“Ti va.. di.. mmh.. fare un giro? Cioè, un giro solo io e te? Non credo che gli altri si offenderanno.”
Infatti gli altri non si sarebbero offesi. Anzi, negli ultimi tempi, da quando la loro relazione era diventata, per così dire, ‘ufficiale’, approfittavano di ogni occasione per lasciarli soli. Come la sera precedente, quando tutti stavano nella taverna di Jack, uno del gruppo, e se n’erano andati per una buona mezz’oretta solo per ‘andare a comprare la pizza’, e li avevano lasciati lì, dicendogli “E’ inutile che veniate anche voi!”.
In realtà a tutti sembravano una bella coppia, quindi erano felici che tra loro ci fosse qualcosa, e si divertivano a punzecchiarli con battutine ogni qual volta gli era possibile. Come quando tornarono alla taverna, e prima di entrare urlarono “rimettetevi i vestiti!”.
Per dirla tutta, la situazione era stata davvero ambigua là, seduti sul divanetto, da soli, con la televisione a fare da unico sottofondo e da unica fonte di luce, a causa della lampadina che era stata spenta – da chi poi? – ma non avevano fatto altro che fingere di vedere quel programma stupido di cui non avevano capito nemmeno il nome.
Lui era semplicemente schiavo di quell’atmosfera che si era creata, pensava ai mille risvolti che quella serata poteva prendere, alle mille possibilità che si aprivano davanti a lui, alle mille mosse che avrebbe potuto fare.
Pensava ma non agiva, indugiava e il tempo passava, e quando sentì la porta aprirsi semplicemente sospirò, deluso. ‘Codardo!’ pensò, rivolgendosi a se stesso, amareggiato. Non era la prima volta che era sul punto di fare qualcosa, e poi si tirava indietro.
Lei era semplicemente annoiata, tutte le immagini che si sovrapponevano in tv non l’attiravano minimamente – aveva anche provato a seguirle, ma aveva rinunciato subito – non si era accorta che la situazione era diventata un poco ambigua, anche perché era abituata a stare sola con Shannon, e stare in una taverna o per strada non faceva differenza.
 
“D’accordo, non c’è problema.”
Deborah si alzò, prese l’enorme – o almeno, enorme per una ragazza della sua età – borsa nera e se la mise sulle spalle. Tutti lanciarono alcuni sguardi sospetti nella loro direzione, e tra quelli il più intenso era quello di Jared.
Sapeva che il fratello stava aspettando solo il momento giusto per dichiararsi, anche se la cosa non lo faceva saltare di gioia, e l’unica cosa che riusciva a sperare era che fosse felice, in qualunque caso.
Sapete quelle persone che non piacciono a pelle? Non che abbiano fatto qualcosa di male ma.. quando le vedete, non potete far altro che fare un’espressione tutt’altro che carina e voltare la faccia dall’altra parte, pur di non vederla?
Ecco, questo era più o meno il comportamento di Jared nei confronti di Deborah.
Non la sopportava. Né lei, né il modo in cui Shannon ne era completamente cotto, né il suo carattere così superficiale.
Da parte della ragazza il rancore non era ricambiato, però rabbrividiva vedendo quegli occhi ghiaccio che, di solito, le ragazze amavano, perché nei suoi riguardi celavano disprezzo, e forse, addirittura, odio.
Fecero un tratto di strada in silenzio.
L’aria era diventata improvvisamente pesante, ancora più opprimente di quel caldo che annunciava ormai l’inizio dell’estate.
Shannon era impaziente, nervoso, agitato, per quello che si apprestava a fare.
Deborah era curiosa di sapere cosa lui volesse e per quale motivo fosse così serio.
“Ci sediamo?” chiese lui, mentre attraversavano la villa dove usavano andare tutti insieme – proprio per questo lei non fu sorpresa, o spaventata, o imbarazzata – perché c’erano moltissime panchine, abbastanza per tutto il gruppo, e soprattutto in quel periodo era particolarmente bella, colorata dai colori dei fiori che sbocciavano.
“Va bene..” ma lui si era già seduto, prima che lei potesse dare la sua risposta.
Capì finalmente che c’era qualcosa che non andava, e guardò il ragazzo perplessa.
Dopo qualche minuto, o forse anche di più, di silenzio, lei chiese: “Ma ti senti ma..?”
“Vorresti ancora stare con Greg? Pensi mai a lui? Rimpiangi mai di averlo lasciato?”
Shannon pose quelle tre domande tutte di seguito, senza neanche aspettare che lei finisse la sua di domanda, con sguardo cupo e un’espressione corrucciata.
“Cosa c’entra ora?” disse lei, infastidita.
 
Era abbastanza viziata da odiare quando qualcuno la interrompeva mentre parlava, quando qualcuno si rivolgeva a lei con quel tono, quando qualcuno le faceva domande inappropriate, ma soprattutto quando qualcuno le chiedeva di Greg.
Greg era il tipico ragazzo popolare, che conosceva tutti e che era conosciuto da tutti.
Era la massima ambizione per una ragazza.
E Deborah aveva avuto la fortuna, sfortuna, a suo avviso, di essere abbastanza popolare, e bella, da attirare la sua attenzione.
Si, perché Deborah era davvero una ragazza bellissima.
Aveva gli occhi un po’ schiacciati alle estremità, un naso piccolo, e le labbra piene. Una delle cose più belle, che tra l’altro furono quelle che colpirono anche Shannon, erano le fossette che si creavano ogni qual volta lei rideva, che le davano quell’aspetto angelico che il ragazzo tanto amava.
Aveva lunghi capelli neri, che ricadevano mossi sulle spalle, voluminosi, che lei aveva il vizio di spostare frequentemente con la mano destra.
Infine, cosa che attraeva la maggior parte dei ragazzi che la corteggiavano, era il fisico, che non solo era snello, ma era munito di belle forme, in qualche caso anche troppo belle.
Comunque, Greg come gli altri l’aveva notata, e l’aveva corteggiata.
Fiori, cioccolatini, qualche sorriso, ed era riuscito a strapparle un appuntamento.
Purtroppo, però, alla bellezza esteriore, si contrapponeva una vera e propria bruttezza interiore.
Era così.. arido?
Arido di sentimenti, arido di parole, arido addirittura di argomenti.
Capitava che qualche serata uscivano e, dopo solite domande di routine come “come stai?” o “come va la scuola?”, si ritrovavano in silenzio. Un silenzio differente di quello con Shannon, perché in quel caso le parole erano troppe, erano superflue.
Nel caso di Greg, non erano abbastanza.
La loro storia era miseramente finita, e al contrario di quello che lui diceva in giro, era stata lei a lasciare lui.
Cosa c’entrava Greg con Shannon?
Greg e Shannon, in teoria, dovevano essere migliori amici.
Lui, infatti, si era ritrovato a parlare con Deborah per caso, sostanzialmente, in una serata in cui entrambi dovevano accompagnare due loro amici che si volevano conoscere, ma che alla fine non si erano piaciuti.
Dopo quell’uscita a quattro mal riuscita, Shannon si avvicinò sempre di più alla ragazza, inizialmente perché aveva intenzione di farla tornare insieme al suo migliore amico – più volte nel corso dei mesi in cui furono fidanzati, lui fece battute del tipo “Ma tu staresti meglio con Greg che con me!” – e, successivamente, perché si era innamorato.
 
“C’entra, credimi. Allora?” chiese impaziente.
“Perché devi mettere sempre in mezzo Greg? A me di lui non frega nulla, e mi dispiace che è tuo amico. L’ho lasciato io, quindi non sono né pentita né tantomeno vorrei tornare a stare con lui. Contento? Finito l’interrogatorio?” sbuffò.
Sentire il nome di quel ragazzo, dalla bocca di chiunque, Shannon, le sue amiche, anche da sua cugina, la irritava particolarmente, perché era semplicemente stata una delusione per lei, una semplice perdita di tempo.
Ed era stufa, più che stufa, di sentirsi ripetere sempre il suo nome e di quanto fosse bello.
“Ne sei sicura? Davvero?” la sua espressione era indecifrabile. Si morse il labbro, aspettando una risposta.
“Non so che ti è preso oggi, ma mi sembri un po’ duro di comprendonio. Ho detto di si, si, SI! Ne sono sicura.” Girò la faccia dal lato opposto,  seccata. Un’altra cosa che odiava era quando le persone le facevano ripetere più volte una stessa cosa.
“Mmh.” Riuscì a dire solo Shannon.
Ci fu un attimo, un unico attimo di pausa, prima che lui, con il pollice e l’indice della mano destra, afferrasse il mento di lei e lo facesse girare di nuovo verso se stesso.
La guardò negli occhi, concentrato, cercando chissà cosa nelle sue iridi color cioccolato, che incorniciavano due pupille grandi e nere.
Un attimo ancora, prima che protendesse verso di lei, e portasse il suo viso ad un centimetro dal proprio, i loro respiri che si intrecciavano. Ancora un attimo, l’ultimo, prima che posasse le sue labbra carnose su quelle di lei, altrettanto carnose e altrettanto morbide.
Fu un bacio dolce, lento, casto.
Le loro lingue non si muovevano, erano a riposo, e per quella volta non si svegliarono.
Semplicemente le loro labbra si adattarono a vicenda alla forma delle altre, semplicemente si scaldarono a vicenda, semplicemente combaciarono per una manciata di secondi che sembrarono un’eternità.
Quando si staccarono, lei aveva un’espressione sorpresa, la bocca semiaperta e gli occhi sbarrati.
Lui la guardò soddisfatto, fece un mezzo sorrisetto, e poi si alzò, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Andiamo?” ancora, senza aspettare una risposta della ragazza, Shannon si girò e si allontanò senza fretta.
Lei prese la borsa, con movimenti meccanici, e raggiunse il ragazzo, con lo sguardo basso, le guance rosse, e le mani giunte. C’era molta distanza tra loro, che nessuno dei due sembrava voler colmare.
Tornarono dal resto del gruppo accompagnati da un silenzio imbarazzante, e quando gli altri li videro si lanciarono strane occhiatine. Jared aveva capito tutto, e non sapeva se esserne felice.
“Andiamo a prenderci un gelato?” disse Jack, cercando di allentare la tensione.
“Si” “Perché no?!” “E’ perfetto per questo caldo!” “Speriamo che ci sia la nocciola, l’altra volta era finita!”
Un vociare confuso si alzò nel gruppo, e mentre tutti si incamminavano verso la gelateria, Shannon raccontava tutto a Jared, al contrario di Deborah che continuava a guardare verso il basso, non ascoltando nemmeno una parola di quello che le amiche dicevano, in silenzio.
 
Quel semplice bacio fu l’inizio di tutto.

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Capitolo 4
*** 4: Crash, crash, out of control. ***


Chapter 2: Life.
4: Crash, crash, out of control.

 

La donna guardò fuori dal finestrino.
La giornata per lei non era cominciata bene. Si era svegliata in ritardo, si era bruciata con il caffè, e la sua auto non si decideva a partire da sola.
Aveva dovuto prendere un taxi, e per di più era finita nel bel mezzo del traffico mattutino.
“Perché non sono rimasta a dormire stamattina?” borbottò.
“Come scusi?” chiese l’autista che, annoiato, lanciava occhiate alla bella donna nel sedile posteriore.
“Nulla, parlavo tra me e me..”
Da poco aveva terminato il contratto come manager di un gruppo, che l’aveva si, arricchita ulteriormente, ma l’aveva tenuta occupata per più di un anno e mezzo ed era tornata a casa dimagrita, stremata, ma soprattutto con meno sanità mentale di come era partita.
Si era riproposta di rimanere un mese intero nel letto, a mangiare, curarsi la pelle e vedere qualche film, e, cosa più importante, dormire.
Andare a dormire presto e svegliarsi tardi, nascondersi dal freddo nel piumone, e condurre una vita tranquilla. Di avventure spericolate, anche se, doveva ammettere, divertenti, ne aveva vissute abbastanza.
I suoi progetti si volatilizzarono tre soli giorni dopo il suo rientro a casa.
Riuscì a dormire tanto solo per due giorni – il primo, purtroppo, venne dedicato alla pulizia della casa – e poi arrivò la telefonata che cambiò tutto.
Stava bevendo una cioccolata calda, quando il cellulare che usava per le telefonate di lavoro iniziò a vibrare.
“Dannazione!” imprecò. Si era dimenticata di spegnerlo.
Corse a prenderlo, e rispose.
“Pronto?”
“Deborah?! Sia ringraziato il cielo!” era sollevato.
“Lucas? Lucas! Da quanto tempo non ci sentiamo?” era piacevolmente colpita: se avesse dovuto tirare ad indovinare, lui sarebbe stato una delle sue ultime possibilità.
“Lo so, credimi, lo so! Lavorare con le rock star è bello, fino a quando non ti tolgono anche il tempo per respirare!”
“Non me lo dire. Ho appena finito un anno e mezzo, e più, di contratto. Ho visitato ogni angolo di questo pianeta! Per fortuna è finita. Un altro mese, e mi sarei suicidata!” la donna rise,  e si accorse subito che l’uomo dall’altra parte della cornetta invece che accompagnarla, si era zittito.
“Ehm.. a proposito di contratti..” l’uomo, nel suo lussuoso appartamento, si era appena messo le mani tra i capelli, disperato. Quella era la sua ultima possibilità, e perderla significava perdere il lavoro.
“No, ti prego Lucas, no. Non firmerò nessun contratto per almeno un anno!” le peripezie di un tour non erano cose da poco, lo sapeva bene.
“Ma non è un tour intero! Sono solo quattro mesi! Dalla prossima settimana, a dicembre. La band si prenderà una pausa, poi, non preoccuparti. Ti prego, Deborah, sei l’unica mia speranza! Il vecchio manager ha abbandonato la barca, mi ha abbandonato e adesso non so cosa fare. Avrò fatto una cinquantina di chiamate solo oggi: tutti occupati. Non trovo uno schifo di manager disposto ad aiutarmi. E se non lo trovo, sono fottuto. Non posso insistere con gli altri.. tu invece sei mia amica, te lo chiedo come un favore personale. Ti prego!” il tono della sua voce era alto, sfiorava addirittura l’isterico.
“Ma Lucas.. sono appena tornata..” nella mente della donna apparvero tutte le volte che l’amico l’aveva aiutata nel corso degli anni. Dalla scuola, fino al lavoro. Gli doveva tanto, dopotutto..
“Ti prego, Deborah, sono disperato..”
Dopo ancora tre o quattro battute di questo tipo, la donna accettò, più per pietà che per convinzione.
“Grazie, sei un angelo!”  l’uomo iniziò a saltare, ballare, ed esultare. Sentendolo, la donna pensò ‘posso resistere per quattro mesi!’
“Spero che sia una band di donne. O almeno, almeno con una sola donna. Ti prego, dimmi di si. Magari i Paramore, che Hayley Williams la conosco già e poi amo i suoi capelli!” rise.
“Mi dispiace per te, ma è un gruppo tutto al maschile!”
“Ah. Bene.” Gli uomini erano permalosi, facevano solo casino ed erano invadenti. In più, anche a quarant’anni suonati non sapevano cosa fosse l’indipendenza.
“Mi dici almeno chi sono, così mi cerco qualche informazione su internet!” continuò, esasperata.
Lui, che stava ancora esultando, fu preso da sconforto. Quella era la parte più difficile.
“Ehm. Uhm. Devo andare!” non ebbe il coraggio di dirglielo, sapeva che, non appena avesse detto il nome della band, lei si sarebbe tirata indietro.
Deborah, perplessa, rispose: “Ma mi devi dire solo il nome!”
“Non posso.. mmh.. non ho tempo. Domani alle nove al mio studio, sii puntuale!”
E senza neppure aspettare una risposta, riagganciò.
“N-O-V-E?” urlò lei, al telefono, quando ormai la conversazione era già terminata.
Provò a richiamare più volte quel numero, ma non vi fu alcuna risposta.
 
 
 
Ma Deborah non era l’unica, quella mattina, ad avere qualche problema con la sveglia.
“Bro?! BRO!” Jared afferrò il cuscino da sotto la testa di Shannon, che continuò a non svegliarsi. Allora, cercò di tirare le coperte, ma il fratello, ormai abituato a quelle scenette mattutine, lo precedette e le tenne strette, a coprirlo fino a sotto il naso.
“Abbiamo un appuntamento con il nostro nuovo manager, te ne sei dimenticato? Sbrigati!” non ricevendo risposta, riprese il cuscino in mano e lo buttò più volte in testa al fratello.
“Ma stai fuori?!” gridò lui di rimando, portandosi le mani alla testa.
Jared ne approfittò di questo momento di distrazione, per afferrare le coperte e togliergliele di dosso.
“Alzati. Immediatamente. Sono le nove meno un quarto e facciamo tardi. Io sono pronto, Tomo è pronto. Non voglio dare una brutta prima impressione. Quindi alza il culo e sbrigati.” Lo guardò spazientito.
“Ma tanto capirà comunque che sei un’idiota, non rompere!” si strofinò gli occhi, proprio come un bambino.
“O ti alzi adesso, o vado a prendere un secchio di acqua gelata e giuro sul mio blackberry che ti faccio il bagno.”
Shannon riuscì solo a sbuffare.
Senza alcuna voglia, si alzò e strappò di mano il cuscino al fratello, rilanciandolo sul letto e borbottando qualcosa come ‘pericolo pubblico’. Andò in bagno a farsi una doccia veloce.
Quando scese al piano di sotto, non vide Tomo da nessuna parte.
“Tomo?” lo chiamò, ma non ebbe risposta.
L’occhio gli cadde sull’orologio, che segnava le sette e mezzo del mattino.
Si bloccò.
“Jared, SEI MORTO!” sentì al piano di sopra il rumore di qualcuno che stava correndo, e senza aspettare un secondo, si lanciò verso le scale. Salì i gradini a due a due, talmente veloce da rischiare di inciampare e di sbattere contro quelli successivi.
Lo vide correre nella sua stanza, e lo seguì veloce.
Jared chiuse la porta a chiave prima che il fratello potesse bloccarla con un piede.
“Maledetto!” strillò Shannon, battendo un pugno sulla porta.
“Attento che la sfondi!” disse l’altro, tra le risate.
“Non importa, tanto la stanza è la tua. Basta che riesco ad entrare così ti posso fare il culo a strisce!”
Dalla stanza provenivano solo risate.
L’unica cosa che calmò la situazione fu l’arrivo di Tomo. Portò al piano di sotto il maggiore dei fratelli Leto così da fare colazione, e dopo due minuti anche Jared li raggiunse.
Fischiettando, come se nulla fosse successo, scese le scale e andò verso il frigo.
“Buongiorno Tomo!” disse raggiante.
Shannon, che ancora non aveva mandato giù il suo scherzetto, prese un limone dalla cesta sul tavolo e lo lanciò sul fratello.
Lo colpì in pieno petto.
“Ringraziami -  disse, vedendo l’espressione attonita dell’altro – te lo stavo per lanciare al centro del tuo bel faccino, ma ho provato pietà: non posso sfigurarti proprio oggi, darei una brutta prima impressione. Non appena il nostro nuovo manager capirà che sei insopportabile, sarà lui stesso a darmi un limone in mano.” Dedicò al fratello un sorriso decisamente bastardo.
“Dai, sbrighiamoci che facciamo tardi. Cinque minuti e dobbiamo partire, altrimenti ci mettiamo nel traffico. Chiaro?” parlava al plurale, ma si rivolgeva solo al fratello, che di rimando lo guardava storto.
Shannon si avviò al piano di sopra, calmo. Ancora non era a conoscenza delle sorprese che quella giornata gli riservava.
 
 
Lucas si aggiustava la cravatta, e sebbene l’estate fosse completamente passata e ormai le giornate si settembre si succedessero umide e per niente calde, lui stava visibilmente sudando.
La sua fronte era ricoperta di un velo di sudore, era aggrottata e aveva per di più le maniche della camicia arrotolate fino al gomito.
“Lucas, calmati, per favore. Non c’è nessun motivo per sudare così, non ti uccideremo se non andrà bene. Tanto, alla fine, possiamo cavarcela un po’ di tempo senza un manager!” cercò di sdrammatizzare Tomo.
Tre paia di occhi si girarono verso di lui, fissandolo sconcertati.
“Lo sai che cosa è successo l’ultima volta che abbiamo lavorato senza un manager? Jared ci ha fatto firmare un contratto per cinque dischi, sebbene sapesse che per i nostri tempi cinque sarebbero stati impossibili da pubblicare, e per poco non pagavamo trenta milioni di dollari. Non siamo fatti per stare senza un manager, no..”
Neppure Jared, che era stato così accusato dal fratello, potè controbattere: avevano bisogno di un manager qualificato, maschio o femmina, bello o brutto, simpatico o bastardo, ma ne avevano bisogno.
“Ma almeno potrebbe essere puntuale ?” disse Jared, leggermente infastidito.
“È una persona serissima, fidati, soprattutto quando si tratta di lavoro. Avrà un ottimo motivo per questo ritardo. Poi ci si aggiunge anche il fatto che è appena uscita da un tour di più di un anno con un’altra band, e ovviamente con la stanchezza, il rientro, avrà tantissime cose da fare..”
Intanto che Lucas giustificava la donna, lei era appena scesa dal taxi dopo tre quarti d’ora di attesa bloccata nel traffico.  Il tassametro era salito a livelli indicibili, il tassista aveva cercato di fare conversazione – per altro pessima – ed era in ritardo il giorno in cui avrebbe dovuto firmare un contratto con una band di cui non sapeva nemmeno il nome.
Corse nel grattacielo, a cui riuscì solo a dare solo un’occhiata esternamente, e si avvicinò velocemente alla reception.
“Mi scusi, mi chiamo Deborah Cooper. Ho un appuntamento con Lucas Coleman.”
La signorina guardò l’agenda davanti a sé senza alzare lo sguardo.
“Deborah Cooper.. si, eccola.
Decimo piano, quarta stanza a destra appena esce da quell’ascensore.” Le indicò uno dei tre ascensori davanti a loro, la donna la ringraziò e si diresse nella direzione indicata dal dito della ragazza, in fretta.
“Decimo piano, quarta stanza a destra.” Si ripeteva fra sé.
L’ascensore era quasi pieno, ma fortunatamente il bottone del decimo piano era già premuto.
Non appena le porte si aprirono, si buttò sulla destra, contando le porte.
Uno, due, tre..
Arrivata davanti alla quarta, si bloccò.
Prese un bel respiro, si aggiustò la gonna, si stirò con le mani la giacca, si tastò la testa per accertarsi che la pettinatura non si fosse rovinata, e prese un altro bel respiro.
Preparò un sorriso che sembrasse vero, ed entrò.
“Buongiorno, scusate il ritardo, il traffic..”
Le parole le morirono in gola.
Erano i 30 seconds to Mars, quelli.
Non sapeva cosa fare. Quell’istante si prolungò, diventando infinito.
Aveva preso il decimo piano, come aveva detto la ragazza della reception. Aveva preso la quarta stanza a destra, come aveva detto lei.
Gli occhi le si spalancarono, il sorriso si spense, e le gambe tremarono sui tacchi alti.
Dall’altra parte della stanza, le altre quattro persone presenti, ebbero altrettante diverse reazioni.
Lucas fu percosso da un brivido.
Aveva sperato fino all’attimo prima che la donna non si presentasse, che quel momento non arrivasse mai.
Jared rimase incredulo. Incredulità che si trasformò in un attimo in rabbia.
Shannon vide riaffiorare davanti ai suoi occhi ricordi passati, di tempi lontani, in cui era perdutamente innamorato e non era stato ancora deluso. Ricordi di amore, di felicità, di speranze.
Ricordi che aveva voluto comprimere in una parte remota del suo cervello, che sempre gli venivano a fare visita, ma che non erano mai esplosi con tanta violenza come in quella volta.
E Tomo, ignaro di ogni cosa, riuscì ad avvertire solo quella tenzione che c’era nella stanza, quella tensione che a momenti sarebbe esplosa, senza alcun controllo, travolgendo tutti, anche lui che in quel quadretto si sentiva completamente fuori luogo.

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Capitolo 5
*** 5: One day it'll all just end. ***


Chapter 2: Life
5: One day it'll all just end.

 
 
Quel silenzio nella stanza durò pochi secondi.
“Deborah, entra..” disse piano Lucas.
Questa frase fu, per Jared, un fulmine a ciel sereno.
In quei pochi attimi era stato certo che fosse uno sbaglio, uno scherzo bastardo del destino. La donna si sarebbe scusata, e sarebbe andata via. Non gli era passata neanche per un attimo nel cervello l’idea che lei, proprio lei, potesse essere la loro nuova manager.
“È uno scherzo, vero?” urlò, tremando di rabbia.
Vecchi sentimenti gli erano ripiombati addosso, uno dopo l’altro, in un solo momento.
E nessuno di quelli era positivo.
“Jared, calmati!” urlò Tomo, sorpreso dal comportamento del cantante.
“Tu.. – puntò minaccioso il dito contro la donna – non ti è bastato tutto quello che hai fatto, eh? Stronza! Perché devi tornare nelle nostre vite? Perché devi tormentare ancora mio fratello?”
La donna, purtroppo, era diventata una statua, era immobile vicino alla porta ancora aperta.
Era tanto incredula quanto gli altri.
Non disse nulla, cosa che fece infuriare ancora di più Jared.
Si avvicinò a lunghi passi, chiuse la porta con un calcio, e le mise la mano destra intorno al collo.
A poco a poco iniziò a stringere sempre di più la presa, sbattendo la donna contro il muro e guardandola con occhi infuocati.
Questo sembrò svegliarla, infatti circondò con le sue le mani dell’uomo, e sibilò “lasciami!”, cercando di darsi un tono autoritario, per quanto la poca aria che le arrivava ai polmoni potesse permetterlo.
La scena si svolse così velocemente che gli altri nella stanza non riuscivano neanche ad ammettere che stesse succedendo davvero.
Shannon era l’unico che sembrava estraneo da quel mondo. Poggiava i gomiti sul tavolo, e con le mani sorreggeva la testa, che sembrava pesargli troppo, in quel momento.
Voleva solo svegliarsi e tornare a vivere la sua vita, normalmente, senza lei, senza il suo fantasma che lo seguiva ovunque e continuava a fargli male, costantemente.
Lucas sbiancò: era lui il colpevole di tutto ciò, ma si aspettava una reazione meno aggressiva, dopo ventiquattro anni, ma soprattutto non da Jared.
Tomo, sempre più sbalordito, scattò in piedi e scansò l’amico.
“Così le fai male!” urlò.
“È tutto quello che si merita!” Jared digrignò i denti, alzandosi.
Tomo cinse le spalle della donna, e l’accompagnò a sedersi vicino al tavolo.
“Di solito non è così, non so cosa gli è preso!” si scusò.
“Lo so io, però..” bisbigliò lei, quasi tra sé e sé.
Shannon, non appena la donna appoggiò la borsa sul tavolo, si alzò di scatto, quasi colpito da una scossa.
Si avviò verso la porta, mentre Lucas gli corse incontro.
“Aspetta, dobbiamo parlare del contratto!” disse, disperato.
“Fate voi come vi pare.” Disse, con tono cupo, aprendo e sbattendo la porta dietro di sé.
Quando si girò, l’uomo trovò una situazione non molto rassicurante: Jared che lo guardava con odio, Deborah che scuoteva la testa nella sua direzione – mentre pensava perché l’hai fatto? – e Tomo che guardava a turno tutti e tre, non capendo ancora cosa fosse successo.
“Credo che tu mi debba delle spiegazioni, Lucas.”
Deborah assentì, e l’uomo non poté far altro che prendere un lungo respiro e parlare.
“Non avrei mai voluto farvi incontrare. Sono amico di entrambi e conosco la situazione ma.. non avevo alternativa, Jared. Sai quante persone ho chiamato ieri? Tutti. Tutti i manager che conosco, più o meno importanti. Nessuno. Nessuno era disponibile. Tutti impegnati in altri lavori o appena tornati da lavori precedenti. Ho insistito, un poco, con questi ultimi, ma non potevo costringerli. Non avevo così tanta confidenza. Ho chiamato anche persone che non sentivo da mesi, pensa tu! Nessuno voleva accettare la mia offerta, tranne.. – si girò verso la donna – lei è mia amica, ho potuto insistere, ho potuto chiederglielo come favore personale. Però, ti assicuro, che lei non sapeva per quale band avrebbe dovuto lavorare. Infatti è stata una sorpresa tanto per lei che per voi. Ho dovuto fare in questo modo, solo in questo modo, altrimenti lei non avrebbe accettato e voi sareste stati senza manager. È l’unico modo..” l’ultima frase la disse con un tono disperato.
La donna si alzò, e afferrò la borsa.
“Non sono gradita per questo lavoro, quindi vado via.” Si girò a sorridere solo a Tomo, dicendogli grazie con il labiale.
Con passi veloci si avvicinò alla porta, ma non riuscì ad uscire perché sia Tomo che Lucas la fermarono.“Ti prego resta. Abbiamo bisogno di un manager” “no, non andare via!” dissero simultaneamente.
Scosse la testa, e riprovò ad uscire, quando anche Jared parlò.
“Abbiamo bisogno di un manager, purtroppo.. – disse acido – però sono solo quattro mesi. Forse resisto ad avere la tua faccia tutti i giorni davanti.” Sorrise sarcastico.
“Io così non ci lavoro!” disse, senza accenno di sorriso sul volto.
Tomo, allora, si piazzò tra lei e il cantante.
“A lui non ci devi badare. Ti difenderò io! – sorrise, di un sorriso vero – però ti prego, te lo chiedo davvero con tutto il cuore, aiutami. Aiutaci.”
Ci rifletté per un po’ di tempo.
“Fatemi vedere questo contratto..” sbirciò i fogli, e dopo aver sbuffato, prese una penna dalla borsa e firmò. Nella stanza gli uomini esultarono, tutti tranne il frontman della band che si arrese all’idea di dover passare alcuni mesi con quella donna. Si adagiò sulla sedia, sbuffando e chiudendosi gli occhi con l’indice e il pollice della mano destra. La parte più difficile sarebbe venuta ora: dillo a Shannon.
“Appena qualcuno mi tratta senza il dovuto rispetto, io abbandono la barca. Non mi faccio scrupoli.” Deborah strinse la mano a Tomo e andò via, senza aspettare risposta.
Quando uscì dalla stanza, si appoggiò al muro e prese un profondo respiro, a occhi chiusi. Avrebbe passato quattro mesi d’inferno, ne era più che sicura.
Non appena si sentì pronta, aprì gli occhi, e sbirciò nel corridoio: fuori al balcone alla sua destra c’era un uomo. Era solo la sua schiena, ma la donna sentì una morsa allo stomaco vedendolo. Una nuvola grigia gli aleggiava sulla testa. Shannon stava fumando, da solo, immobile.
Lo fissò per qualche istante, scosse la testa, e non appena vide che si stava muovendo girò i tacchi e puntò all’ascensore. Non si sentiva pronta per un confronto con lui, in quel momento.
Intanto l’uomo si sentiva esattamente al centro dell’uragano.
Quella donna.. quella donna, di cui non riusciva neanche a pensare il nome, era ripiombata nella sua vita, ancora ancora e ancora, portando con sé vecchi rimpianti, vecchi ricordi, vecchie emozioni, con un nuovo corpo da donna, invece da quello da ragazza.
L’aveva riconosciuta subito, non c’erano stati dubbi: era rimasta quella di sempre, forse un po’ più alta, ma con gli stessi occhi un po’ schiacciati, quelle stesse fossette, quello stesso naso, quelle stesse labbra piene e morbide. I tratti erano inconfondibili, il corpo era cambiato, si era pian piano trasformato in quello maturo di quel momento.
Ognuna di quelle parti del corpo lo riportavano ad un ricordo ben preciso: i capelli che attorcigliava attorno alle dita, che erano sempre così morbidi e avevano sempre quel buon profumo di vaniglia che era il suo preferito a diciassette anni; quel collo che lui baciava quando lei era arrabbiata, perché sapeva che le dava sui nervi, e si divertiva a vederla guardarlo storto; quelle labbra…
Gli faceva tutto così male.
Avrebbe preferito non ricordare.
Avrebbe preferito non vederla mai comparire davanti quella porta.
Avrebbe preferito che tutto quello fosse finito, anzi non fosse mai cominciato.
Spense la sigaretta e la buttò nel cestino. Avrebbe smesso anche di fumare, prima o poi.
Si girò, e la vide allontanarsi.
Aveva un completo giacca e gonna, con le scarpe con il tacco coordinate, e tutto le stava divinamente, come al solito. Anche quando era ragazza tutto quello che indossava sembrava essere stato creato proprio per lei, aveva sempre avuto quel fisico né magro né grasso, ma normale, con quelle belle curve al posto giusto.
Chissà cosa era successo mentre lui stava fuori.
Ma in cuor suo, sapeva che le loro strade non si erano incrociate per caso.
Sapeva che avevano bisogno di una manager, e se Lucas aveva portato lei.. non c’erano altre persone disponibili.
“Shannon Leto, passerai proprio quattro mesi da favola.” Disse a se stesso, sorridendo sarcastico.
Si allontanò dalla ringhiera, e la vide ancheggiare ancora per tre passi, per poi fermarsi davanti all’ascensore. Dopo aver premuto il bottone, attese che le porte si aprissero. Diede un’ultima occhiata verso il batterista, e i loro occhi si incrociarono.
Era la prima volta dopo tanto tempo.. diciassette anni, precisamente.
Lei assunse un’espressione triste, lui rimase neutro. Ma non perché lei soffrisse più di lui - in realtà era esattamente il contrario - ma perché lui lo sapeva mascherare bene.
 
 
“Buongiorno” Jared ammiccò alla ragazza alla reception, e lei rimase per un attimo imbambolata a guardarlo.
Deborah trascinava, controvoglia, i suoi bagagli verso il gruppo.
Tomo si era offerto di aiutarla, ma lei aveva rifiutato. Non voleva essere di disturbo, non a lui.
Shannon era stato per tutto il viaggio silenzioso, Jared l’aveva ignorata, e Tomo si era seduto con lei a farle compagnia.
Si era quasi commossa, quell’uomo aveva il cuore d’oro.
“Tr.. Quattro camere, suite, grazie.” Continuò il frontman, sbuffando.
La donna si sarebbe dovuta sentire un minimo offesa, ma non le importava così tanto.
Non bastava così poco per scalfirla.
“Ecco a voi!” La ragazza porse con un gran sorriso le chiavi al cantante, e lui le distribuì, lanciando le ultime a Deborah, che per poco non le lasciò cadere a terra per la sorpresa, e osservò i numeri. Erano tutte camere vicine, e per di più la sua era tra quelle dei fratelli Leto.
“Mi scusi.. – disse, senza badare agli altri – potrei avere una camera un po’ più lontana dalle altre?.” Il suo tono era molto neutro, come se la sua richiesta non potesse ferire nemmeno un po’ i suoi accompagnatori, che per altro non sembrarono battere ciglio, ad eccezione di Tomo che ne sembrò davvero dispiaciuto.
“Grazie.” Prese la chiave della sua camera – che era comunque sullo stesso pianerottolo delle altre, ma almeno c’erano altre quattro stanze a dividerle – e senza dire una parola si avviò verso l’ascensore.
Una donna così bella non potè non attirare l’attenzione dei fattorini, che non appena la videro con le due grosse valigie, preparate in fretta il giorno precedente prima di prendere l’aereo, le offrirono il loro aiuto.
“Siete molto gentili” disse, con un sorriso accattivante. Il più giovane dei due fu immediatamente rapito dal suo fascino.
Shannon sembrava diventato passivo a tutto, infatti guardava quella scena disinteressato e con sguardo vuoto, almeno così sembrava, mentre Tomo prendeva in giro Jared che aveva appena esclamato “Non c’è nessuno che porta le valigie a me?!” parecchio irritato.
L’ascensore in cui era entrata Deborah era pieno, così agli uomini toccò aspettarne un altro.
Lei non disse niente a loro,loro non dissero niente a lei, così la donna si fiondò nella sua stanza, senza aspettarli – dopo, ovviamente, aver ringraziato i fattorini.
Lasciò le valigie nell’entrata, senza preoccuparsi di riordinare i vestiti, e si avvicinò al letto.
Prese un lungo respiro – l’ennesimo della giornata – e si appoggiò sulla superficie morbida, accarezzando la seta.
In quel momento iniziava un lungo periodo di solitudine, di torture, di angoscia e di duro lavoro.
Essere un nemico di Jared non era affatto consigliabile, ma non poteva fare altro che prendere la situazione così com’era venuta.
Un giorno tutto questo finirà..” sussurrò, cercando di farsi forza.  
Quei quattro mesi sarebbero stati lunghissimi, ma prima o poi sarebbero finiti.

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